Denuncio al mondo ed ai posteri con i miei libri tutte le illegalità tacitate ed impunite compiute dai poteri forti (tutte le mafie). Lo faccio con professionalità, senza pregiudizi od ideologie. Per non essere tacciato di mitomania, pazzia, calunnia, diffamazione, partigianeria, o di scrivere Fake News, riporto, in contraddittorio, la Cronaca e la faccio diventare storia. Quella Storia che nessun editore vuol pubblicare. Quelli editori che ormai nessuno più legge.
Gli editori ed i distributori censori si avvalgono dell'accusa di plagio, per cessare il rapporto. Plagio mai sollevato da alcuno in sede penale o civile, ma tanto basta per loro per censurarmi.
I miei contenuti non sono propalazioni o convinzioni personali. Mi avvalgo solo di fonti autorevoli e credibili, le quali sono doverosamente citate.
Io sono un sociologo storico: racconto la contemporaneità ad i posteri, senza censura od omertà, per uso di critica o di discussione, per ricerca e studio personale o a scopo culturale o didattico. A norma dell'art. 70, comma 1 della Legge sul diritto d'autore: "Il riassunto, la citazione o la riproduzione di brani o di parti di opera e la loro comunicazione al pubblico sono liberi se effettuati per uso di critica o di discussione, nei limiti giustificati da tali fini e purché non costituiscano concorrenza all'utilizzazione economica dell'opera; se effettuati a fini di insegnamento o di ricerca scientifica l'utilizzo deve inoltre avvenire per finalità illustrative e per fini non commerciali."
L’autore ha il diritto esclusivo di utilizzare economicamente l’opera in ogni forma e modo (art. 12 comma 2 Legge sul Diritto d’Autore). La legge stessa però fissa alcuni limiti al contenuto patrimoniale del diritto d’autore per esigenze di pubblica informazione, di libera discussione delle idee, di diffusione della cultura e di studio. Si tratta di limitazioni all’esercizio del diritto di autore, giustificate da un interesse generale che prevale sull’interesse personale dell’autore.
L'art. 10 della Convenzione di Unione di Berna (resa esecutiva con L. n. 399 del 1978) Atto di Parigi del 1971, ratificata o presa ad esempio dalla maggioranza degli ordinamenti internazionali, prevede il diritto di citazione con le seguenti regole: 1) Sono lecite le citazioni tratte da un'opera già resa lecitamente accessibile al pubblico, nonché le citazioni di articoli di giornali e riviste periodiche nella forma di rassegne di stampe, a condizione che dette citazioni siano fatte conformemente ai buoni usi e nella misura giustificata dallo scopo.
Ai sensi dell’art. 101 della legge 633/1941: La riproduzione di informazioni e notizie è lecita purché non sia effettuata con l’impiego di atti contrari agli usi onesti in materia giornalistica e purché se ne citi la fonte. Appare chiaro in quest'ipotesi che oltre alla violazione del diritto d'autore è apprezzabile un'ulteriore violazione e cioè quella della concorrenza (il cosiddetto parassitismo giornalistico). Quindi in questo caso non si fa concorrenza illecita al giornale e al testo ma anzi dà un valore aggiunto al brano originale inserito in un contesto più ampio di discussione e di critica.
Ed ancora: "La libertà ex art. 70 comma I, legge sul diritto di autore, di riassumere citare o anche riprodurre brani di opere, per scopi di critica, discussione o insegnamento è ammessa e si giustifica se l'opera di critica o didattica abbia finalità autonome e distinte da quelle dell'opera citata e perciò i frammenti riprodotti non creino neppure una potenziale concorrenza con i diritti di utilizzazione economica spettanti all'autore dell'opera parzialmente riprodotta" (Cassazione Civile 07/03/1997 nr. 2089).
Per questi motivi Dichiaro di essere l’esclusivo autore del libro in oggetto e di tutti i libri pubblicati sul mio portale e le opere citate ai sensi di legge contengono l’autore e la fonte. Ai sensi di legge non ho bisogno di autorizzazione alla pubblicazione essendo opere pubbliche.
Promuovo in video tutto il territorio nazionale ingiustamente maltrattato e censurato. Ascolto e Consiglio le vittime discriminate ed inascoltate. Ogni giorno da tutto il mondo sui miei siti istituzionali, sui miei blog d'informazione personali e sui miei canali video sono seguito ed apprezzato da centinaia di migliaia di navigatori web. Per quello che faccio, per quello che dico e per quello che scrivo i media mi censurano e le istituzioni mi perseguitano. Le letture e le visioni delle mie opere sono gratuite. Anche l'uso è gratuito, basta indicare la fonte. Nessuno mi sovvenziona per le spese che sostengo e mi impediscono di lavorare per potermi mantenere. Non vivo solo di aria: Sostienimi o mi faranno cessare e vinceranno loro.
Dr Antonio Giangrande
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ITALIA ALLO SPECCHIO
IL DNA DEGLI ITALIANI
ANNO 2023
IL GOVERNO
QUINTA PARTE
DI ANTONIO GIANGRANDE
L’APOTEOSI
DI UN POPOLO DIFETTATO
Questo saggio è un aggiornamento temporale, pluritematico e pluriterritoriale, riferito al 2023, consequenziale a quello del 2022. Gli argomenti ed i territori trattati nei saggi periodici sono completati ed approfonditi in centinaia di saggi analitici specificatamente dedicati e già pubblicati negli stessi canali in forma Book o E-book, con raccolta di materiale riferito al periodo antecedente. Opere oggetto di studio e fonti propedeutiche a tesi di laurea ed inchieste giornalistiche.
Si troveranno delle recensioni deliranti e degradanti di queste opere. Il mio intento non è soggiogare l'assenso parlando del nulla, ma dimostrare che siamo un popolo difettato. In questo modo è ovvio che l'offeso si ribelli con la denigrazione del palesato.
IL GOVERNO
UNA BALLATA PER L’ITALIA (di Antonio Giangrande). L’ITALIA CHE SIAMO.
UNA BALLATA PER AVETRANA (di Antonio Giangrande). L’AVETRANA CHE SIAMO.
PRESENTAZIONE DELL’AUTORE.
LA SOLITA INVASIONE BARBARICA SABAUDA.
LA SOLITA ITALIOPOLI.
SOLITA LADRONIA.
SOLITO GOVERNOPOLI. MALGOVERNO ESEMPIO DI MORALITA’.
SOLITA APPALTOPOLI.
SOLITA CONCORSOPOLI ED ESAMOPOLI. I CONCORSI ED ESAMI DI STATO TRUCCATI.
ESAME DI AVVOCATO. LOBBY FORENSE, ABILITAZIONE TRUCCATA.
SOLITO SPRECOPOLI.
SOLITA SPECULOPOLI. L’ITALIA DELLE SPECULAZIONI.
L’AMMINISTRAZIONE
SOLITO DISSERVIZIOPOLI. LA DITTATURA DEI BUROCRATI.
SOLITA UGUAGLIANZIOPOLI.
IL COGLIONAVIRUS.
SANITA’: ROBA NOSTRA. UN’INCHIESTA DA NON FARE. I MARCUCCI.
L’ACCOGLIENZA
SOLITA ITALIA RAZZISTA.
SOLITI PROFUGHI E FOIBE.
SOLITO PROFUGOPOLI. VITTIME E CARNEFICI.
GLI STATISTI
IL SOLITO AFFAIRE ALDO MORO.
IL SOLITO GIULIO ANDREOTTI. IL DIVO RE.
SOLITA TANGENTOPOLI. DA CRAXI A BERLUSCONI. LE MANI SPORCHE DI MANI PULITE.
SOLITO BERLUSCONI. L'ITALIANO PER ANTONOMASIA.
IL SOLITO COMUNISTA BENITO MUSSOLINI.
I PARTITI
SOLITI 5 STELLE… CADENTI.
SOLITA LEGOPOLI. LA LEGA DA LEGARE.
SOLITI COMUNISTI. CHI LI CONOSCE LI EVITA.
IL SOLITO AMICO TERRORISTA.
1968 TRAGICA ILLUSIONE IDEOLOGICA.
LA GIUSTIZIA
SOLITO STEFANO CUCCHI & COMPANY.
LA SOLITA SARAH SCAZZI. IL DELITTO DI AVETRANA.
LA SOLITA YARA GAMBIRASIO. IL DELITTO DI BREMBATE.
SOLITO DELITTO DI PERUGIA.
SOLITA ABUSOPOLI.
SOLITA MALAGIUSTIZIOPOLI.
SOLITA GIUSTIZIOPOLI.
SOLITA MANETTOPOLI.
SOLITA IMPUNITOPOLI. L’ITALIA DELL’IMPUNITA’.
I SOLITI MISTERI ITALIANI.
BOLOGNA: UNA STRAGE PARTIGIANA.
LA MAFIOSITA’
SOLITA MAFIOPOLI.
SOLITE MAFIE IN ITALIA.
SOLITA MAFIA DELL’ANTIMAFIA.
SOLITO RIINA. LA COLPA DEI PADRI RICADE SUI FIGLI.
SOLITO CAPORALATO. IPOCRISIA E SPECULAZIONE.
LA SOLITA USUROPOLI E FALLIMENTOPOLI.
SOLITA CASTOPOLI.
LA SOLITA MASSONERIOPOLI.
CONTRO TUTTE LE MAFIE.
LA CULTURA ED I MEDIA
LA SCIENZA E’ UN’OPINIONE.
SOLITO CONTROLLO E MANIPOLAZIONE MENTALE.
SOLITA SCUOLOPOLI ED IGNORANTOPOLI.
SOLITA CULTUROPOLI. DISCULTURA ED OSCURANTISMO.
SOLITO MEDIOPOLI. CENSURA, DISINFORMAZIONE, OMERTA'.
LO SPETTACOLO E LO SPORT
SOLITO SPETTACOLOPOLI.
SOLITO SANREMO.
SOLITO SPORTOPOLI. LO SPORT COL TRUCCO.
LA SOCIETA’
GLI ANNIVERSARI DEL 2019.
I MORTI FAMOSI.
ELISABETTA E LA CORTE DEGLI SCANDALI.
MEGLIO UN GIORNO DA LEONI O CENTO DA AGNELLI?
L’AMBIENTE
LA SOLITA AGROFRODOPOLI.
SOLITO ANIMALOPOLI.
IL SOLITO TERREMOTO E…
IL SOLITO AMBIENTOPOLI.
IL TERRITORIO
SOLITO TRENTINO ALTO ADIGE.
SOLITO FRIULI VENEZIA GIULIA.
SOLITA VENEZIA ED IL VENETO.
SOLITA MILANO E LA LOMBARDIA.
SOLITO TORINO ED IL PIEMONTE E LA VAL D’AOSTA.
SOLITA GENOVA E LA LIGURIA.
SOLITA BOLOGNA, PARMA ED EMILIA ROMAGNA.
SOLITA FIRENZE E LA TOSCANA.
SOLITA SIENA.
SOLITA SARDEGNA.
SOLITE MARCHE.
SOLITA PERUGIA E L’UMBRIA.
SOLITA ROMA ED IL LAZIO.
SOLITO ABRUZZO.
SOLITO MOLISE.
SOLITA NAPOLI E LA CAMPANIA.
SOLITA BARI.
SOLITA FOGGIA.
SOLITA TARANTO.
SOLITA BRINDISI.
SOLITA LECCE.
SOLITA POTENZA E LA BASILICATA.
SOLITA REGGIO E LA CALABRIA.
SOLITA PALERMO, MESSINA E LA SICILIA.
LE RELIGIONI
SOLITO GESU’ CONTRO MAOMETTO.
FEMMINE E LGBTI
SOLITO CHI COMANDA IL MONDO: FEMMINE E LGBTI.
IL GOVERNO
INDICE PRIMA PARTE
UNA BALLATA PER L’ITALIA (di Antonio Giangrande). L’ITALIA CHE SIAMO.
LA POVERTA’
UNA BALLATA PER AVETRANA (di Antonio Giangrande). L’AVETRANA CHE SIAMO.
PRESENTAZIONE DELL’AUTORE. (Ho scritto un saggio dedicato)
LA SOLITA INVASIONE BARBARICA SABAUDA. (Ho scritto un saggio dedicato)
Storia d’Italia.
INDICE SECONDA PARTE
LA SOLITA ITALIOPOLI. (Ho scritto un saggio dedicato)
L’Italianità.
Gli Antifascisti.
Italiani scommettitori.
Italioti Retrogradi.
Gli Arraffoni.
INDICE TERZA PARTE
SOLITA LADRONIA. (Ho scritto un saggio dedicato)
Italioti corrotti e corruttori.
La Questione Morale.
Tangentopoli Italiana.
Tangentopoli Europea.
INDICE QUARTA PARTE
SOLITO GOVERNOPOLI. MALGOVERNO ESEMPIO DI MORALITA’. (Ho scritto un saggio dedicato)
Il Potere.
La Geopolitica.
Nazi-fascismo e Comunismo: Economia pianificata.
I Conservatori.
Il Capitalismo.
Il Sovranismo.
Il Riformismo.
I Liberali.
I Popolari.
L’Opinionismo.
Il Populismo.
Il Complottismo.
Politica e magistratura, uno scontro lungo 30 anni.
Una Costituzione Catto-Comunista.
Democrazia: La Dittatura delle minoranze.
Democrazia: Il potere oscuro ed occulto. I Burocrati. Il Partito dello Stato: Deep State e Spoils system.
Il Presidenzialismo.
L’astensionismo.
I Brogli.
Lo Stato di Emergenza.
Quelli che…la Prima Repubblica.
Quelli che…la Seconda Repubblica.
Trasformisti e Voltagabbana.
Le Commissioni Parlamentari.
La Credibilità.
I Sondaggisti.
Il finanziamento pubblico.
I redditi dei politici.
I Privilegiati.
I Portavoce.
Servi di…
Un Popolo di Spie.
INDICE QUINTA PARTE
SOLITA APPALTOPOLI. (Ho scritto un saggio dedicato)
La Resistenza Morale.
Gli Appalti Pubblici.
La Normativa Antimafia.
SOLITA CONCORSOPOLI ED ESAMOPOLI. I CONCORSI ED ESAMI DI STATO TRUCCATI. (Ho scritto un saggio dedicato)
Impuniti.
Ignoranti e Magistrati.
ESAME DI AVVOCATO. LOBBY FORENSE, ABILITAZIONE TRUCCATA. (Ho scritto un saggio dedicato)
Ignoranti ed avvocati.
SOLITO SPRECOPOLI. (Ho scritto un saggio dedicato)
Sprechi Vari.
Le Multe UE.
Le Auto: blu e grigie.
Le Regioni.
L’Alitalia.
SOLITA SPECULOPOLI. L’ITALIA DELLE SPECULAZIONI.
L’Oro.
La Ricchezza.
I Ricconi alle nostre spalle.
I Bonus.
La Partita Iva.
Quelli che…Evasori Fiscali: Il Pizzo di Stato.
Il POS.
Il Patto di Stabilità.
Il MES.
Il PNRR.
Il ricatto del gas.
La Telefonia.
Bancopoli.
IL GOVERNO
QUINTA PARTE
SOLITA APPALTOPOLI. (Ho scritto un saggio dedicato)
La Resistenza Morale.
La Resistenza.
Il Nuovo codice degli appalti.
Estratto dell’articolo di Edoardo Izzo per lastampa.it il 18 aprile 2023.
Trentanove indagati, 24 misure cautelari di cui 12 a carico di militari dell'Aeronautica. È la maxi operazione della procura di Velletri che ipotizza un giro di tangenti per un volume d'affari in relazione ad appalti per infrastrutture della forza armata del valore complessivo di circa 3 milioni di euro.
Ad eseguire le misure cautelari i militari del comando compagnia carabinieri - polizia Militare A.M. - di Roma Ciampino che, questa mattina, si sono recati nelle province di Roma, Napoli, Caserta, Latina, Viterbo, Grosseto, Chieti e Ravenna per notificare la misura degli arresti nei confronti di 14 persone, 10 ordinanze di applicazione dell'obbligo di dimora e la notifica di ulteriori 15 avvisi di conclusione delle indagini preliminari ad altrettanti indagati. I destinatari delle misure, nel particolare, sono 12 militari dell'Aeronautica e 12 civili, titolari e dipendenti, di ditte operanti nel settore edile.
Con il provvedimento sono stati riconosciuti gravi indizi di colpevolezza a carico dei 39, indagati a vario titolo, per le ipotesi di turbata libertà degli incanti, frode nelle pubbliche forniture, corruzione per l’esercizio della funzione e falsità ideologica commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici, condotte commesse a Ciampino, Pratica di Mare, Vigna di Valle, Furbara, in provincia di Roma; Montecastrilli (TR), Borgo Piave (LT), Grazzanise (CE) e Somma Vesuviana (NA), nel periodo intercorso tra il mese di maggio 2017 ed il mese di gennaio 2021.
L'esecuzione dell'ordinanza costituisce l'epilogo di una complessa attività investigativa che trae origine da una delega della procura di Velletri, tesa a verificare la condotta illecita di due militari, entrambi effettivi all'epoca dei fatti al 2° Reparto Genio A.M. di Ciampino (RM) e proprietari di una società edile privata, con quote di capitale pari all'85% e al 15%, con sede nel comune di Ciampino e attiva nel campo immobiliare (compravendita, permuta, ristrutturazione, costruzione, locazione, affitto, manutenzione di immobili).
I due, con incarichi di responsabilità nella gestione degli appalti per opere infrastrutturali della forza armata operavano, talvolta, anche quali delegati ad assumere l'incarico di direttore dei lavori e/o responsabile di cantiere. Gli accertamenti finanziari svolti sul conto degli stessi hanno permesso di stabilire come, tra uno dei due militari ed alcuni titolari di ditte edili legate da vincoli contrattuali con la forza armata, emergessero singolarità riguardo diversi movimenti di denaro meritevoli di ulteriori approfondimenti.
L'attività investigativa conseguente ha indotto gli investigatori a monitorare altresì complessivi 49 appalti pertinenti a lavori in basi militari dell'Aeronautica, dislocate nelle regioni Lazio e Campania […]
L'Aeronautica Militare al tempo, dopo le prime evidenze investigative e l'esecuzione dei primi atti, attraverso il Ca. S.M.A. protempore, avviava una propria inchiesta amministrativa interna nel periodo monitorato - dal maggio 2017 a gennaio 2021 - confluita nell'odierna documentazione probatoria, che confermava le irregolarità emerse in ordine alle citate procedure di assegnazione degli appalti.
Estratto dell’articolo di Luigi Ferrarella per corriere.it il 14 aprile 2023.
Lo scambio al casello dell’autostrada tra l’indagato e il suo inquirente: terza tranche di una tangente di 50.000 euro in contanti al maresciallo della Guardia di Finanza, in cambio del fatto che l’investigatore, in quel momento al servizio della Procura di Milano in una indagine su una grossa frode fiscale Iva, tenesse fuori dall’inchiesta le figlie dell’imprenditore e ridimensionasse gli elementi a carico dell’industriale facendo sì che nell’informativa al pm non gli venisse contestata anche l’associazione a delinquere.
[...] solo adesso che una condanna a 5 anni e a mezzo milione di confisca disvela l’arresto del 22 giugno scorso. E solo perché i 38 indagati della frode fiscale multimilionaria, nel ricevere dalla gip milanese Anna Magelli la proroga delle indagini, leggono tra i motivi anche l’esigenza di «verificare completezza e correttezza delle indagini compendiate nell’annotazione GdF 26 aprile 2022, dal momento che a seguito dell’arresto del maresciallo Nicola Costanzo, uno dei redattori dell’informativa finale, è emersa un’attività tesa a inquinare le risultanze probatorie».
[...] in un’altra Procura, Brescia, dove i pm Claudia Moregola e Paolo Savio stavano interessandosi ai contatti tra l’imprenditore Giuseppe Bellini (uno dei 38 indagati del pm milanese Maurizio Ascione) e appunto il maresciallo della GdF di Gorgonzola che indagava su Bellini.
Pedinamento e intercettazioni fanno comprendere ai pm di Brescia come il finanziere si sia accordato per due rate da 15.000 euro già consegnate, e per una tranche finale da 20.000 euro, a fronte delle quali l’imprenditore «comprava» comunque l’impegno futuro dell’investigatore a non denunciare anche le due figlie; a risparmiargli nell’informativa al pm l’imputazione di associazione a delinquere; e anzi a contestargli gli addebiti fiscali in un modo da lasciare spazio alla sua difesa tecnica. [….]
L’ufficio milanese della Procura europea antifrode (i pm Sergio Spadaro, Gaetano Ruta, Giordano Baggio) muta l’accusa in «corruzione per atto contrario ai doveri d’ufficio»: reato per il quale alla vigilia di Pasqua il Tribunale di Brescia condanna il finanziere in rito abbreviato (dunque già con la riduzione di un terzo) a 5 anni di reclusione, e alla confisca non solo dei 50.000 euro “prezzo” del reato, ma anche di beni stimati 473.000 euro, ritenendoli sproporzionati ai suoi redditi legali. [...]
Estratto dell'articolo di Ilaria Sacchettoni per corriere.it il 14 febbraio 2023.
Sei patteggiamenti e la richiesta di un giudizio abbreviato per Giovanna Boda. Più un rinvio al 30 maggio per altri 9 imputati. Si conclude così con una decisione del gup l’inchiesta che svelò un giro di tangenti al ministero dell’Istruzione.
Giovanna Boda, la dirigente pubblica che il 14 aprile 2021, all’apice dello sconforto, si gettò dal terzo piano per l’imbarazzo di alcune rivelazioni quali l’inchiesta per corruzione che la vedeva coinvolta, ora è una signora alle prese con grossi problemi di salute […]
Accusata di aver sottomesso «la propria funzione e i suoi poteri» all’imprenditore Federico Bianchi di Castelbianco, ex presidente della agenzia «Dire» per denaro — 3 milioni 200mila euro circa — è stata ammessa al processo con rito abbreviato.
Secondo il capo d’imputazione favorì Bianchi in più occasioni: assegnandogli appalti frazionati («al fine di rimanere sotto soglia»); anticipandogli (via sms) «la bozza del bando per il finanziamento di progetti scolastici per il contrasto alla povertà educativa»; intervenendo su una funzionaria affinché lo aggiornasse con una serie di informazioni a lui utili.
L’inchiesta del pm Carlo Villani, coordinata dal procuratore aggiunto Paolo Ielo, ha coinvolto altre 13 persone fra imprenditori e collaboratori della dirigente. […]
Estratto dell'articolo di Giulio De Santis per il “Corriere della Sera – ed. Roma” l’1 febbraio 2023.
Novecento euro di rimborso ottenuto dal ministero degli Esteri per un buffet all’ambasciata italiana in Ecuador. È quanto chiesto dall’ex ambasciatore Filippo Marco Tornetta, 67 anni, con fattura. Falsa. Almeno secondo l’accusa, in quanto come fornitrice del servizio mirato alla preparazione dei pasti nella documentazione è indicata una società specializzata nel ramo delle pulizie.
Il rilievo è contenuto nei capi d’imputazione contestati all’ex diplomatico, che ora ha patteggiato una pena di due anni per truffa e peculato. Contestazione quest’ultima avanzata per aver dichiarato di aver rottamato un’Alfa Romeo di proprietà del ministero degli Esteri, quando, in realtà, l’ambasciatore l’auto l’ha ceduta al prezzo di 2.654 euro intascando i soldi della vendita. [...] Le irregolarità risalgono invece al biennio 2019-2020.
Lungo l’elenco dei rimborsi per circa 22mila euro ottenuti per spese mai sostenute.
Denaro inviato da Roma per promuovere l’immagine del nostro Paese in Ecuador. Le fatture false riguardano soprattutto banchetti che non si sarebbero mai svolti. Nella nostra sede diplomatica a Quito si sarebbe tenuto un «catering personalizado en eventos embajada d’Italia» contabilizzato sul libro cassa al costo di 787 euro. A organizzarlo la società Mas Rapida, come scritto da Tornetta. [...]
Il rimborso più dispendioso chiesto (e ottenuto) da Tornetta è stato di 11mila euro per un buffet a nome dell’ambasciata italiana allo Swiss Hotel di Quito. L’evento, come accertato dagli inquirenti, però non si è mai svolto. Un altro capo d’imputazione concerne l’accensione da parte di Tornetta - difeso dall’avvocato Cataldo Intrieri - di un conto corrente al Banco Solidario a Quito che il diplomatico ha fittiziamente intestato all’ambasciata.
Scopo dell’operazione: accreditare sul conto circa 12mila euro, che poi l’ambasciatore ha prelevato giustificando le riscossioni per eventi svolti in Ecuador. Il patteggiamento di ieri segue la condanna davanti alla Corte dei Conti, che ha stabilito un risarcimento di 16mila euro per il danno erariale legato alle spese ingiustificate dell’ex ambasciatore in Ecuador
Tangenti, l'architetto che ha detto no a un milione di euro e ha denunciato i corrotti. Andrea Priante su Il Corriere della Sera il 25 gennaio 2023.
L’architetto veneziano è «l’eroe» che si è ribellato al sistema: «Non mi lasciavano altra scelta che vendere i miei terreni a chi volevano loro. Ma io ho registrato tutto di nascosto»
«Ero esterrefatto dalle richieste fattemi dal primo cittadino». E il motivo è evidente: il sindaco Fragomeni e la banda di intrallazzatori che lo circondava «stavano in qualche maniera coartando la mia volontà». È l’ottobre del 2019 quando un architetto veneziano si presenta dai carabinieri e usa queste parole per denunciare la richiesta di una tangente che gli era arrivata dall’allora primo cittadino di Santa Maria di Sala, Nicola Fragomeni, e dal consigliere comunale Ugo Zamengo.
La «resistenza morale»
Per il gip di Venezia ha dimostrato «resistenza morale», e nei suoi confronti, il procuratore capo Bruno Cherchi usa parole di velluto: «Questa indagine è stata lunga e complessa - spiega il magistrato - gestita in maniera encomiabile, ed è nata perché un cittadino non ha accettato e ha mantenuto la “schiena diritta” contro un sistema che prevedeva richieste di denaro da parte di pubblici ufficiali. Ha dimostrato la forza di non cedere alla tentazione di avere dei vantaggi». A 53 anni, questo professionista si ritrova a indossare i panni - sempre piuttosto scomodi - dell’eroe: ha rinunciato a un milione di euro pur di non pagare una mazzetta ai due amministratori comunali. Ma grazie alla sua segnalazione i carabinieri hanno avviato la maxi-inchiesta che lunedì ha portato all’arresto di sei persone tra politici locali, imprenditori e professionisti. Il contributo dell’architetto veneziano emerge dall’ordinanza con la quale il gip ha spedito i sei indagati agli arresti domiciliari. Nella denuncia il 53enne scrive: «Nel 2015 io, mia madre e i miei fratelli abbiamo ereditato del patrimonio immobiliare. Tra i beni vi è un terreno di quasi due ettari nel comune di Santa Maria di Sala». Nel 2017 trova finalmente un acquirente disposto a pagare un milione e 100mila euro per l’acquisto dell’area, a patto che il Comune approvi «un progetto da me redatto su indicazione dell’acquirente» che prevede di realizzare su quel terreno «un’area commerciale e residenziale».
L'incontro
Qualche tempo dopo, spiega l’architetto, incontra Fragomeni: «Il sindaco mi riferiva che vi era un costo da sostenere “come onere aggiuntivo” di 10 euro al metro cubo. Pensavo si trattasse di oneri di urbanizzazione, ma mi diceva di no, che erano oneri per “la gestione della pratica”. All’epoca non ci diedi peso, ma oggi ho ben chiaro di cosa si trattava...». Infatti, dopo che per due anni la sua istanza non riceve risposte dal Comune, a luglio del 2019 gli arriva «una chiamata dal geometra Carlo Pajaro (il dirigente dell’Ufficio tecnico del Comune di Santa Maria di Sala, ndr) che mi invita in ufficio per parlare». Il tecnico gli chiede se l’acquirente è ancora interessato al suo terreno e, quando ottiene conferma, i due si salutano. L’incontro successivo avviene a ottobre. «Lui era da solo, mi ha detto che c’era una nuova proposta da 1,2 milioni di euro per l’acquisto del mio terreno e che mi sarei dovuto rivolgere all’architetto Marcello Carraro (pure lui tra gli arrestati, ndr)». Stando alla procura, le persone interessate all’area sono quelle che, in accordo col sindaco, sperano di costruirci sopra una casa di cura. Ovviamente, dopo aver vinto un appalto pubblico «pilotato». Il veneziano scopre però che Carraro pretende, per la sua opera di mediazione, il 3% del valore della compravendita. Ma il problema è un altro: gli scoccia tradire la parola data al precedente acquirente, anche se capisce che il Comune preme perché accetti la nuova proposta.
L'appuntamento
Non sapendo che fare, prende tempo. Pochi giorni dopo, però, Pajaro lo convoca: il sindaco vuole parlargli. L’appuntamento è per il mattino successivo, in una caffetteria di Santa Maria di Sala. «Avendo maturato la consapevolezza che qualcosa di strano stava per accadere, visto anche il luogo dell’incontro, ho deciso di presentarmi con un registratore nel mio marsupio». È la svolta: l’architetto registra tutto e consegna il nastro ai carabinieri. «Fragomeni mi ribadiva l’offerta della nuova ditta: un milione e 200mila euro, di cui 100mila dovevo riceverli in nero per poi versarli nelle mani di Pajaro, che sapeva che “tragitto fargli fare”». Eccola, la mazzetta. E in caso di rifiuto può pure dire addio al via libera preventivo chiesto al Comune: «Durante l’incontro si faceva chiaro riferimento che, senza il “loro assenso” il terreno avrebbe avuto un valore inferiore». Era lampante: «Per vendere il terreno non avevo altre vie se non quella di cederlo all’imprenditore indicatomi dal Comune». È con le spalle al muro. Eppure quest’uomo non ci pensa un attimo e nel pomeriggio si presenta in caserma per denunciare tutti. Ora sono scattati gli arresti. E chissà se, a distanza di cinque anni dalla sua richiesta, quel parere preventivo gli mai arrivato.
Tutte le verità non dette su Pnrr e nuovo codice degli appalti. FRANCESCO MERLONI E ALBERTO MASSERA su Il Domani l’08 aprile 2023
Le nuove norme sono fatte su misura per amministrazioni prive di competenze e in violazione dei principi di concorrenza Ue.
E le gare per i progetti del Pnrr saranno fatte in deroga anche alle nuove regole.
Le istituzioni europee potranno accettare una normativa italiana a regime che va così evidentemente in direzione contraria?
Alla fine, con l’approvazione del nuovo Codice dei contratti, è venuto al pettine il nodo dell’incapacità delle amministrazioni di attuare la gran parte degli interventi del Pnrr. Da cinquant’anni l’Europa emana direttive per l’armonizzazione delle legislazioni dei paesi membri in materia di contratti pubblici, direttive sempre più organiche approvate mediamente ogni dieci anni. Tutto ciò perché l’Europa è interessata alla creazione di un mercato unico aperto a tutte le imprese europee per gli appalti superiori alle soglie comunitarie, ma anche di un vero mercato concorrenziale, aperto e non condizionato da fatti corruttivi, in tutti i paesi membri, anche per gli appalti sotto soglia: e anche per questa categoria di contratti le istituzioni europee hanno costantemente preteso il rispetto dei fondamentali principi di non discriminazione, parità di trattamento e trasparenza.
Dal canto suo l’Italia ha continuamente adottato normative molto complesse, piene di disposizioni e vincoli, oscillando tra norme concorrenziali, lotta agli sprechi e alla corruzione (che hanno giustificato decenni di prevalenza del prezzo più basso come criterio di scelta delle offerte, assai poco adatto ad assicurare la qualità delle prestazioni); in un mercato caratterizzato da gravi deficienze strutturali, legate alla frammentazione, tanto della domanda pubblica - oltre 39mila stazioni appaltanti, prive di capacità amministrativa adeguata -, quanto nell’offerta privata, pochissimi grandi operatori in un mercato segnato da imprese piccole e tecnologicamente arretrate.
IL CODICE DEL 2016
Il secondo Codice dei contratti del 2016 aveva posto al centro, in piena attuazione delle direttive europee del 2014, due interventi di fondo: la riduzione della normativa vincolistica, con maggiore discrezionalità delle amministrazioni, compensata da una totale trasparenza; la ristrutturazione del mercato dal lato pubblico, con una forte attenzione alla qualificazione di un numero ristretto di stazioni appaltanti destinate a gestire tutto il contratto dalla programmazione/progettazione all’esecuzione, anche per conto delle amministrazioni minori. Ma per raggiungere il risultato servivano: una rapida definizione dei requisiti, una rapida qualificazione, ma soprattutto una mirata politica di investimenti pubblici di potenziamento delle stazioni appaltanti con reclutamento di personale tecnico altamente qualificato e con solleciti processi di digitalizzazione.
Ebbene, da un lato non vi è stato alcun investimento attivo, mentre si è continuato nella sciagurata politica indiscriminata dei tagli al personale e dell’invarianza finanziaria. D’altro lato lo stesso processo di qualificazione è stato apertamente boicottato, con l’attivo concorso dell’Anci, a difesa del potere di “gestire” il contratto per i comuni più piccoli, anche se privi di competenze tecniche e informatiche.
Il governo Conte 1, dopo avere introdotto una amplissima deroga alle regole di legge per consentire la ricostruzione del ponte di Genova, con il decreto legge 32 del 2019, denominato “sblocca-cantieri”, ha cominciato lo smantellamento del codice dei contratti del 2016. Prima in nome del “fare” e della lotta alla “burocrazia” e poi della vera emergenza derivante dalla pandemia, tutti i governi successivi (Conte 2 e Draghi), sempre con decreto legge, hanno costruito amministrazioni straordinarie (commissari con ampi poteri di deroga), hanno progressivamente elevato le soglie per affidamenti diretti e per procedure negoziate senza bando con invito a un numero molto ristretto di imprese, hanno ripristinato l’appalto integrato; hanno reso il criterio del prezzo più basso di nuovo equiparabile a quello dell’offerta economicamente più vantaggiosa. Il tutto sempre trascurando la riforma strutturale della qualificazione delle stazioni appaltanti. L’incapacità amministrativa di quest’ultime aumenta in modo esponenziale i rischi di cattiva esecuzione dei contratti, di sprechi di denaro pubblico e di corruzione. Un’amministrazione male organizzata non è necessariamente corrotta o poco concorrenziale, ma il rischio c’è, elevatissimo.
GLI EFFETTI DEL PNRR
In questo contesto è poi arrivato il Pnrr. Un vasto piano di utilizzazione di un ammontare di risorse europee ben superiore a quelle disponibili in precedenza, ma che è stato impostato, per vincoli europei e per scelta italiana, in gran parte sul modello dei piani di utilizzazione dei fondi strutturali europei: tanti interventi disparati, che tutti presuppongono una consolidata capacità di spesa, di gestione di un numero eccezionale di contratti pubblici, di acquisto di beni, di affidamento di servizi e di lavori. Il Pnrr stesso dichiara che c’è un problema di “capacità amministrativa”, ma, ancora una volta, non pone al centro proprio l’investimento nel potenziamento attivo delle stazioni appaltanti, ma l’ennesima revisione delle regole. L’Italia, come sempre, si è adeguata, senza negoziare, ai vincoli dei regolamenti del 2021, che impediscono di utilizzare i fondi per investire sulle amministrazioni con nuovo personale.
La riscrittura del Codice dei contratti pubblici è considerata una delle riforme “abilitanti” l’attuazione del Pnrr, indispensabile per gestire meglio i contratti necessari per il piano.
Il nuovo Codice, entrato in vigore il 1° aprile - molte sue norme saranno operative solo il 1° luglio, altre il 1° gennaio 2024; scadenze differenziate che non aiutano l’attuazione delle nuove regole -, è opera sapiente del Consiglio di stato, che ha predisposto un corpo di norme primarie e di allegati che non richiede ulteriori adempimenti, ma rimane molto complicato e pesante (le norme approvate sono in numero superiore a quelle abrogate), quindi di difficile attuazione da parte di amministrazioni che restano in ritardo.
Il lavoro compiuto è stato, però, deturpato da alcune modifiche mirate introdotte dal governo, rivendicate dal ministro Matteo Salvini, che si pongono in piena continuità con i decreti legge dei governi precedenti. Particolarmente grave la fissazione, a regime, di soglie elevate per gli affidamenti diretti (150mila euro), e per negoziazioni senza bando fino alle soglie comunitarie. Tanto che è stato calcolato che il 98 per cento dei contratti pubblici sarà affidato senza una vera gara concorrenziale, ma chiamando poche imprese (con un principio di rotazione sinora di incerta applicazione).
Per non parlare della modifica che consente alle stazioni appaltanti non qualificate (anche i comuni più piccoli e privi di qualunque struttura) di gestire contratti fino a 500mila euro o della qualificazione di diritto (senza valutazione dei requisiti di legge) delle Unioni dei comuni (spesso realtà amministrative ancora poco attrezzate) o dei comuni capoluogo. Tutte norme che il governo ha introdotto sotto dettatura dell’Anci. E ancora della modifica che elimina quasi tutti i limiti all’utilizzo dell’appalto integrato, pure previsti dal testo del Consiglio di stato.
E, infine, l’ultima sorpresa. Dalle norme transitorie del nuovo Codice apprendiamo che le nuove disposizioni non serviranno per i contratti utili al Pnrr, che seguiranno, ancora, le regole specialissime e derogatorie ulteriormente varate con decreto legge (il n° 13 del 24 febbraio 2023) che questo governo ha approvato, sempre in continuità con i due precedenti “decreti semplificazioni”.
Tanto rumore per nulla? No, molto peggio. La pressione di emergenze vere e presunte e poi dell’attuazione del Pnrr ha spinto per una revisione anticipata del Codice che lo ha reso profondamente segnato (per il 98 per cento) da soluzioni non concorrenziali. L’enorme lavoro compiuto servirà per regolare solo il due per cento dei futuri appalti. Per poi accorgersi che neanche questo è sufficiente per il Pnrr, per il quale si preferisce la strada della deroga. Che, a sua volta, si rivelerà illusoria in assenza di una capacità tecnica di gestione dei contratti da parte delle stazioni appaltanti che il Codice, e il governo, si guarda bene dall’assicurare.
LE MODIFICHE DA FARE
Tutti i governi degli ultimi trent’anni sono stati incapaci di risolvere i nodi del settore dei contratti pubblici, anzi li hanno gravemente aggravati. Scaricare la responsabilità sui predecessori per la cattiva qualità degli interventi del Pnrr, come fa l’attuale governo, non aiuta. Qui non discutiamo l’opportunità del mix di interventi che il Pnrr contiene, pure criticabile. Il problema sta nell’incapacità strutturale del sistema amministrativo di progettarli e realizzarli con rapidità ed efficacia.
Lo stesso Pnrr, se in parte speso per il reclutamento di personale stabile di qualità poteva essere usato, concordando con la Commissione Ue, per superare ritardi decennali e portare a pieno titolo l’Italia nel mercato europeo degli appalti. Se c’è un margine di rinegoziazione con Bruxelles, spetta a questo governo, utilizzando alcune aperture dei due regolamenti europei del 2021, dimostrare di volere veramente aggredire i nodi che rallentano l’operatività delle amministrazioni. Il governo, con appoggio bipartisan, rinunci a progetti inutili e comunque irrealizzabili, destinando le risorse risparmiate al reclutamento di personale nuovo, a tempo indeterminato, con competenze qualificate, finalmente pagato in modo adeguato e competitivo, da destinare non a pioggia ma alle parti “sensibili”, in quanto, appunto, qualificate, del sistema amministrativo (stato, regioni, province, città metropolitane, comuni capoluogo). Anche se questa misura servisse solo in parte per l’attuazione immediata degli altri interventi del Pnrr, almeno avrebbe contribuito a una riforma organica, questa sì “abilitante”, del settore dei contratti pubblici.
Le istituzioni europee, in particolare la Commissione, così attenta a vigilare sull’effettiva adozione di norme concorrenziali e imparziali, corredate dalla giusta dose di trasparenza, potranno accettare una normativa italiana a regime che va così evidentemente in direzione contraria? Potranno accettare la sua mancata applicazione al Pnrr, sostituta da norme ancora eccezionali e non pro-concorrenziali, comunque in grado di produrre una significativa alterazione del mercato rilevante?
FRANCESCO MERLONI E ALBERTO MASSERA
Giurista di diritto amministrativo.
Perché sul codice degli appalti c’è un terrore ingiustificato: più competenza, meno divieti e spettri. Giovanni Guzzetta, Alberto Zito su Il Riformista il 6 Aprile 2023
Nei giorni scorsi abbiamo assistito a un dibattito sul nuovo codice degli appalti che definire surreale non rende abbastanza. Prima di entrare in qualche considerazione di merito sia consentita una riflessione più ampia. In un paese come l’Italia, in cui l’intervento dello Stato nell’economia è, a dir poco, dilagante, il settore degli appalti pubblici ha un peso rilevantissimo nell’economia nazionale. Esso incide fortemente sul PIL e, dunque, da un lato, sulla spesa pubblica e, dall’altro, sulla condizione di famiglie e imprese. Direttamente, in termini di trasferimenti economici e di prestazioni richieste dalle (e alle) amministrazioni e, indirettamente, in termini di qualità di servizi e infrastrutture. E’ un tema molto, troppo importante, perché diventi l’occasione di polemiche sbrigative, di scontri strumentali per guadagnare qualche titolo sui giornali. Purtroppo è quello cui abbiamo assistito nella maggior parte dei casi.
L’aspetto che più ci ha colpito è stata la lettura esasperatamente e ingiustificatamente allarmistica delle conseguenze che discenderebbero dall’entrata in vigore del nuovo codice. E’ stato agitato un rischio di esplosione della corruzione e della minaccia alla qualità e sicurezza degli appalti, di lavori, servizi e forniture. La cosa più sorprendente è che spesso gli argomenti su cui si fonda questo allarmismo riposano su basi fragili se non inconsistenti. Non si tratta ovviamente di difendere acriticamente un prodotto legislativo, frutto, peraltro, del lavoro di organi tecnici, particolarmente qualificati, come la Commissione che ha redatto il testo poi consegnato, come dev’essere, alla politica per le sue scelte di opportunità. Peraltro nulla della polemica di questi giorni ha riguardato presunti stravolgimenti tra il disegno originario dei tecnici e il risultato finale approvato dal Governo, dietro parere delle Camere.
Ma se non si tratta di difendere acriticamente, non si tratta nemmeno di demonizzare altrettanto acriticamente. Chi si occupa professionalmente di diritto, sia in sede scientifica, che nelle aule di tribunali, sa bene quanti problemi abbia la nostra legislazione e quanti interventi si dovrebbero fare per assicurare una mai come oggi minacciata certezza del diritto. Ma appunto queste operazioni vanno fatte a partire dalla consapevolezza dei problemi e delle difficoltà, che nascono spesso dalla necessità di contemperare esigenze diverse e spesso antagonistiche. Non è necessario scomodare Kafka per ricordare che la necessità di legalità dell’azione amministrativa può produrre esiti appunto “kafkiani” quando non viene contemperata con l’esigenza di assicurare il buon andamento, l’efficienza e l’efficacia dell’azione pubblica. Legiferare, oggi, nello Stato contemporaneo, definito non a caso da tempo, “Stato amministrativo”, significa trovare continuamente un senso della misura, delle proporzioni, anzi della proporzionalità tra finalità perseguite e mezzi necessari.
Anche perché l’eccesso di regolazione o la cattiva regolazione, spesso producono effetti paradossali, finendo per incentivare proprio i comportamenti patologici che si vorrebbero evitare. Per questo è necessaria molta serietà e molta onestà intellettuale nell’affrontare questioni così serie. Basta un esempio per capire quanti danni possa produrre un dibattito, ansiogeno, masochistico e opportunistico. Con riferimento proprio alla modifica degli appalti di lavori pubblici. Si sono letti titoli terrorizzanti, come ad esempio quello per cui con la disciplina emergenziale, prima, e con il nuovo codice, poi, ben il 98 per cento dei lavori potrà essere assegnato senza bando. Cioè senza una gara aperta a chiunque voglia parteciparvi. Detto così sembra che ci troviamo di fronte al far west, all’arbitrio puro, all’anarchia in cui può annidarsi ogni sorta di malcostume e di corruzione. Peccato che questa affermazione sia del tutto fuorviante.
Innanzitutto perché quel 98 per cento è calcolato sul numero delle procedure e non sul loro valore economico. E dunque non dà nessuna informazione, ai fini che interessano, per combattere le patologie. Se, in ipotesi, 98 procedure avessero il valore di 10.000 euro e due quello di 15 milioni di euro, il dato sarebbe molto meno allarmante, che se il rapporto fosse invertito. Quello che conta dunque sono, innanzitutto, i dati economici, non il numeri delle procedure degli appalti. Ma è la somma che fa il totale, direbbe Totò. E allora vediamo la somma e vediamo il totale. Basta leggere l’ultima relazione dell’ANAC, l’autorità anticorruzione che vigila sugli appalti pubblici, per avvedersi che le cose stanno in modo diverso. Escludiamo intanto gli appalti sotto i 40mila euro che, già con il precedente codice, potevano essere attribuiti con affidamento diretto (cioè alla singola impresa senza consultazione di altri operatori). Se consideriamo tutti gli altri, nel 2021 le procedure con gara europea, i cosiddetti “sopra-soglia” hanno assegnato lavori per circa 24 miliardi di euro, il 55 per cento del totale della spesa pubblica in questo settore (43 miliardi).
Gli altri appalti, c.d. sottosoglia, hanno invece avuto un valore che si aggira intorno ai 19 miliardi (che non sono il 98 per cento). Peraltro, all’interno di questa categoria, vi sono almeno tre differenti modalità di assegnazione, tutte presidiate da garanzie crescenti di confronto concorrenziale man mano che ne cresce il valore economico. Confronto che consiste nell’obbligo di svolgere indagini di mercato e invitare un numero minimo, determinato dalla legge, di operatori economici (dovendo sempre motivare la scelta compiuta a favore del prescelto). Ebbene, rispetto a questa situazione il dibattito pubblico si è concentrato essenzialmente sulla circostanza che, con il nuovo codice, la soglia per il c.d. affidamento diretto, è salita da 40.000 a 150 mila euro. Facendo un po’ di calcoli, questo significa che il 98 per cento paventato, si è trasformato in un 5 per cento del totale: circa 2 miliardi di euro rispetto ai 43 complessivi spesi annualmente nel settore.
Due miliardi non sono pochi e, si potrebbe dire, anche il 5 per cento può generare allarme. Giusto, ma c’è differenza tra allarme e terrore, c’è differenza tra rischi e arbitrio, far west e corruzione dilagante. Ma non è tutto. Perché anche considerando gli affidamenti più a rischio (quelle al di sotto dei 150mila euro, appunto) i meccanismi esistenti per accertare comportamenti patologici sono tali e tanti (dall’obbligo di motivazione, al principio di rotazione, dalla richiesta di requisiti soggettivi di qualificazione e integrità professionale) che, se si vuole e se lo si sa fare (ma qui non c’entra la legge), le garanzie possono essere assicurate. Soprattutto se si realizzerà, come vuole il nuovo codice dei contratti pubblici, la digitalizzazione dell’intero ciclo degli appalti. Il problema vero è che, non solo legiferare, ma anche amministrare e vigilare è difficile. Richiede competenze e metodi innovativi. Mentre è molto più facile stabilire divieti, porre veti e agitare lo spettro di un paese irredimibile. Costa poco e soprattutto consente di eludere la fatica di affrontare realmente i problemi. Che sono purtroppo tanti e complessi. A cominciare da un paese asfissiato dall’impotenza di fare e di crescere.
Giovanni Guzzetta Professore ordinario di Istituzioni di Diritto pubblico, Università di Roma Tor Vergata
Alberto Zito Professore ordinario di diritto amministrativo, Università di Roma Tor Vergata
L’anticorruzione lancia l’allarme sul nuovo Codice degli appalti approvato dal governo. Stefano Baudino su L'Indipendente il 31 marzo 2023.
Il governo ha ufficialmente varato il decreto contenente il nuovo Codice degli appalti, festeggiato dal leader leghista e ministro Matteo Salvini come una «rivoluzione» foriera di effetti positivi su semplificazione, sburocratizzazione e velocizzazione delle procedure. Molti punti della riforma, che innescherà una liberalizzazione quasi totale dei contratti pubblici, sono stati però aspramente criticati dall’Autorità nazionale anticorruzione. Sulle barricate ci sono i sindacati, che hanno indetto una mobilitazione per il 1º aprile, data in cui il nuovo codice entrerà in vigore.
Tra i punti cardine della norma vi è sicuramente la digitalizzazione, che troverà il suo perno nell’attività della Banca dati nazionale dei contratti pubblici, che farà capo all’Anac. Via anche al fascicolo virtuale dell’operatore economico, alle procedure automatizzate nel ciclo di vita dei contratti pubblici e all’accesso agli atti per i cittadini.
Tra le misure più contestate spicca, però, la liberalizzazione degli appalti sotto-soglia: per appalti fino a 150mila euro, la procedura indicata è quella dell’affidamento diretto; al di sopra di tale soglia scatta invece per le stazioni appaltanti la procedura negoziata senza bando (con 5 imprese invitate per appalti fino a un milione di euro e 10 per appalti fino a 5,3 milioni), nel rispetto del principio di rotazione. Per gli appalti fino a 500 mila euro, le piccole stazioni appaltanti – cioè gli enti locali più piccoli – avranno poi la possibilità di procedere in maniera diretta, senza passare per le stazioni appaltanti qualificate. Attraverso il meccanismo dell’appalto integrato, prima non consentito, si potrà inoltre attribuire con la medesima gara sia la progettazione esecutiva che la realizzazione dei lavori sulla base del progetto di fattibilità tecnica ed economica. La norma autorizza anche il cosiddetto “subappalto a cascata“, cioè il subappalto del subappalto.
Pur dando atto di una serie di elementi positivi, tra cui la gestione digitale degli appalti, il rafforzamento della vigilanza collaborativa e il ruolo accresciuto di Anac di sostegno alle stazioni appaltanti, l’Autorità nazionale anticorruzione ha complessivamente stroncato la riforma. «Semplificazione e rapidità sono valori importanti, ma non possono andare a discapito di principi altrettanto importanti come trasparenza, controllabilità e libera concorrenza, che nel nuovo Codice non hanno trovato tutta l’attenzione necessaria, specie in una fase del Paese in cui stanno affluendo ingenti risorse europee», ha dichiarato il presidente Giuseppe Busia. Sulla base delle nuove norme, infatti, il 98,7% dei lavori pubblici potrà essere assegnato direttamente o con procedura negoziata senza bando, dunque senza che abbia luogo una gara pubblica che coinvolga chiunque voglia partecipare.
Secondo Busia, le soglie «troppo alte» per gli affidamenti diretti e le procedure negoziate «rendono meno contendibili e meno controllabili gli appalti di minori dimensioni, che sono quelli numericamente più significativi, tutto questo col rischio di ridurre concorrenza e trasparenza nei contratti pubblici». Grandi perplessità sono state espresse sugli appalti sotto i 150mila euro, con cui «si dà mano libera, si dice “non consultate il mercato, scegliete l’impresa che volete”, il che vuol dire che si prenderà l’impresa più vicina, quella che conosco, non quella che si comporta meglio». Al contrario, sarà più facile scegliere «il cugino o anche chi mi ha votato, soprattutto nei piccoli centri».
A denunciare i potenziali effetti perversi del “subappalto a cascata” sono poi i sindacati. l’Usb ha sostenuto che il nuovo Codice porterà alla “giungla“, dal momento che “la stazione appaltante potrà procedere ad una sequela infinita di cessioni di lavori ad altre imprese: un meccanismo che favorirà la nascita di scatole vuote, senza dipendenti e create solo per appaltare lavori, e che porterà ad una ulteriore frammentazione del sistema”. A questo proposito, giova infatti ricordare come la criminalità organizzata tenda a inserirsi nel settore delle opere pubbliche proprio grazie al meccanismo del subappalto, costituendo sovente società prive di reali strutture intestate a prestanomi (le cosiddette “cartiere“) che apparentemente prendono in subappalto lavori affidati a una società reale, con la finalità di creare costi fittizi per innescare meccanismi fraudolenti.
Insomma, analizzando la riforma nella sua interezza, a fronte di piccoli passi avanti su alcuni versanti, la strada per infiltrazioni, fenomeni corruttivi e una conseguente lievitazione dei costi dei lavori appare spianata. In una nota congiunta, Vito Panzarella e Alessandro Genovesi, Segretari generali di FenealUil e Fillea Cgil, hanno affermato che il nuovo Codice degli appalti “rischia di farci tornare indietro di cinquant’anni soprattutto in termini di legalità, trasparenza e tutela dei lavoratori” e che le nuove regole rendono nella pratica “più difficile il rispetto dei contratti collettivi, l’applicazione e verifica delle tutele per salute e sicurezza, favorendo il dumping e il nanismo aziendale e rendendo più difficile verificare la concreta applicazione della parità di trattamento economico e normativo lungo la filiera”. Il 1 aprile, Cgil e Uil manifesteranno contro questa riforma, nonché contro il decreto 11/2023 sul Superbonus, nelle città di Torino, Roma, Napoli, Cagliari e Palermo.
[di Stefano Baudino]
Estratto dell’articolo di Enrico Marro per il “Corriere della Sera” il 31 marzo 2023.
«Sono reazioni immotivate. Ho detto cose ragionevoli e non avevo alcuna intenzione di fare polemiche politiche né di criticare i sindaci».
Il presidente dell’Anac, Giuseppe Busia, non ci sta a essere finito nella bufera per i suoi giudizi sul nuovo codice degli appalti. […]
È un fatto, però, che lei sul nuovo codice degli appalti, non è stato tenero.
«Ho detto e lo ripeto che, se non ci sono motivi di urgenza, per i contratti di fornitura fino a 140 mila euro non ha senso vietare il ricorso a gare e procedure negoziali. E questo non tanto per evitare episodi di corruzione, quanto inutili sprechi, perché l’obbligo di affidamento diretto, senza nemmeno chiedere due preventivi, comporta il rischio che la prima ditta che passa faccia il prezzo.
E questo lo dico (queste le parole che attendeva la Lega per ammorbidire i toni, ndr ) senza alcuna critica ai sindaci dei piccoli Comuni, che sono eroi e spesso si assumono grandi responsabilità. I miei rilievi vogliono solo aiutarli a fare bene».
Ha fatto infuriare la Lega.
«Mi dispiace. Ma io sto semplicemente facendo il mio mestiere, senza colore politico. La mia nomina passò in Parlamento praticamente all’unanimità. Nel commentare il nuovo codice degli appalti ho anche detto che ha tante cose positive».
Quando scade il suo mandato?
«Nel 2026». […]
Estratto dell’articolo di Paolo Baroni per “la Stampa” il 31 marzo 2023.
Dopo il varo del Codice degli appalti o «Codice-Salvini» come l'ha subito ribattezza la Lega suonando la grancassa, scoppia il caso-Anac. È bastato infatti che il presidente dell'Anticorruzione, Giuseppe Busia, rinnovasse le sue critiche al nuovo Codice che è subito partita la richiesta di dimissioni.
La sua colpa? In prima battuta mercoledì il presidente dell'Anac aveva segnalato la scarsa trasparenza ed il rischio che le nuove regole […] potessero ridurre la concorrenza […]. Poi ieri […] ha rilanciato le sue critiche.
Frasi che il responsabile enti locali della Lega, Stefano Locatelli, ha definito «gravi, inqualificabili» aprendo poi il fuoco di fila di tutta la Lega contro l'Anac. […] A stretto giro Busia ha rettificato il suo pensiero («amministratori corrotti? Assolutamente no, i sindaci sono eroi») e dopo queste dichiarazioni anche la Lega ha ammorbidito i toni, tanto che fonti del ministero delle Infrastrutture hanno fatto filtrare «grande soddisfazione e sollievo per l'evidente correzione di rotta».
«Busia ci ha ripensato ed ha corretto una frase bizzarra» ha commentato a sera Salvini, mentre dal Mit evidenziavano che i contatti tra il ministro ed il presidente Anac «non sono mai venuti meno, nemmeno nelle ultime ore. Il ministro non si sottrae al confronto costruttivo per il bene del Paese e al fianco degli amministratori locali».
[…] Tutte le opposizioni hanno invece definito «inaccettabile» l'attacco della Lega ad una autorità indipendente come l'Anticorruzione che, tra l'altro, tra i suoi compiti ha anche quello di vigilare sull'affidamento e l'esecuzione dei contratti pubblici. […]
Estratto dell'articolo di Ilario Lombardo per “La Stampa” il 31 Marzo 2023
Matteo Salvini, vicepremier di un Paese del G7, allude a valigette cinesi che potrebbero aver corrotto parlamentari a Bruxelles. Lo dice a Udine, nel giorno della chiusura della campagna elettorale in Friuli Venezia Giulia.
[...] ha voglia di criticare quello che non gli piace dell’Europa. Per esempio, la decisione presa sulle auto elettriche, contro la richiesta italiana di inserire i biocarburanti: «Mi viene il dubbio che, siccome all’Europarlamento hanno trovato qualcuno guarda caso di sinistra che aveva le valigie piene di denaro contante dei paesi islamici, chissà se fra un po’ non ne troveranno anche altre piene di denaro contante che arriva dalla Cina, per votare certe leggi che sono anti-italiane anti-europee e favoriscono solo il gigante Oltreoceano (che in realtà per l’Italia oltreoceano non è, ndr)».
Di fatto Salvini sta ipotizzando una corruzione, come quella presunta che secondo gli inquirenti in Belgio è partita dal Qatar e dal Marocco e ha coinvolto parlamentari europei del Pd.
Un dichiarazione che susciterà polemiche, decisamente impegnativa per un vice presidente del Consiglio, capo del secondo partito della coalizione di centrodestra, a sostegno di una tesi critica verso l’Ue: «L’Europa che vuole tutelare l’ambiente non può legarci mani e piedi ai cinesi. Perché l’Europa che vuole imporre le auto elettriche a tutti è una roba priva di senso, che licenzia in Italia e aiuta la Cina».
Estratto dell’articolo di Ilario Lombardo per la Stampa l’1 aprile 2023.
Chiudete gli occhi. Ve lo ricordate Michele Geraci, economista di casa in Cina che la Lega elevò a sottosegretario del governo gialloverde con la missione specifica di aprire il cuore di Pechino agli affari italiani?
(...)
Ora riaprite gli occhi e guardate il video di Salvini ieri, sul palco di Udine, dove il leader allude alla corruzione cinese, lasciandosi andare così contro la decisione di Bruxelles di sfavorire l'uso dei biocarburanti per le auto green: «Siccome all'Europarlamento hanno trovato qualcuno, guarda caso di sinistra, che aveva le valigie piene di denaro contante dei paesi islamici, chissà se fra un po' non ne troveranno anche altre piene di denaro contante che arriva dalla Cina, per votare certe leggi che sono anti-italiane e favoriscono solo il gigante Oltreoceano». A parte che dall'Italia alla Cina di oceani non ce n'è una goccia, è comunque notevole osservare il battito d'ali in Italia del vicepremier di un Paese del G7 provocare un cataclisma diplomatico dall'altra parte del mondo.
Dagospia l’1 aprile 2023. SALVINI PARLA DI “CINA-GATE” DA TEMPO – IERI, NON PER LA PRIMA VOLTA, IL CAPITONE HA EVOCATO UN GIRO DI MAZZETTE DIRETTE ALLE ISTITUZIONI EUROPEE PROVENIENTI DALLA CINA PER FAVORIRE LE AZIENDE PRODUTTRICI DI AUTO ELETTRICHE DEL DRAGONE – GIÀ A FEBBRAIO, SU “QUATTRORUOTE” SALVINI DISSE: NON “VORREI CHE DOPO IL QATAR-GATE SALTASSE FUORI UN CINA-GATE: STANNO ARRIVANDO LE AUTOMOBILI. NON MI STUPIREI SE...”
SALVINI SUL CINA-GATE DA “QUATTRORUOTE” DI FEBBRAIO
(…) “Stanno arrivando le automobili, con modelli che costano assai meno di quelli europei. Il consumatore rischia di andare inevitabilmente in quella direzione e, quindi, non mi stupisco che qualcuno ci possa guadagnare.
Ecco, non vorrei che dopo il Qatar-gate saltasse fuori un Cina-gate. La transizione, poi, porta un altro aspetto da non sottovalutare, sempre a proposito di costi: l’intenzione di molte Case di trasformare i concessionari in agenti, prendendosi una quota dei loro ricavi e i dati dei clienti. Anche lì bisognerà essere attenti. Saranno anni delicati”
Estratto dell’articolo di Ilario Lombardo per lastampa.it l’1 aprile 2023.
Matteo Salvini, vicepremier di un Paese del G7, allude a valigette cinesi che potrebbero aver corrotto parlamentari a Bruxelles. Lo dice a Udine, nel giorno della chiusura della campagna elettorale in Friuli Venezia Giulia. Il leader leghista sente la vittoria in tasca. E’ euforico, e ha voglia di criticare quello che non gli piace dell’Europa.
Per esempio, la decisione presa sulle auto elettriche, contro la richiesta italiana di inserire i biocarburanti: «Mi viene il dubbio che, siccome all’Europarlamento hanno trovato qualcuno guarda caso di sinistra che aveva le valigie piene di denaro contante dei paesi islamici, chissà se fra un po’ non ne troveranno anche altre piene di denaro contante che arriva dalla Cina, per votare certe leggi che sono anti-italiane anti-europee e favoriscono solo il gigante Oltreoceano (che in realtà per l’Italia oltreoceano non è, ndr)». […]
Il codice del fare. C'è un paradosso tra le difficoltà che il nostro Paese incontra ad avviare i progetti del Pnrr e le polemiche con cui è stata accolta la riforma del codice degli appalti da parte dell'opposizione. Augusto Minzolini il 30 Marzo 2023 su Il Giornale.
C'è un paradosso tra le difficoltà che il nostro Paese incontra ad avviare i progetti del Pnrr e le polemiche con cui è stata accolta la riforma del codice degli appalti da parte dell'opposizione. Una contraddizione grande come una casa che dimostra come l'incapacità a spendere risorse e a realizzare opere è per noi un problema strutturale, ma ogni volta che si tenta di affrontarlo si incontrano riserve, dubbi, diffidenze e le solite strumentalizzazioni che fanno parte del bagaglio della nostra politica.
Parlo delle difficoltà del Paese e non dell'attuale governo, appunto, perché l'incapacità italiana di spendere i soldi che arrivano da Bruxelles è proverbiale in Europa e appartiene, purtroppo, agli esecutivi di ogni colore. Ad esempio, ora tiene banco il tema del Pnrr: in questo caso le procedure sono state anche velocizzate eppure ci sono ritardi e ostacoli duri da superare. E non vale neanche il paragone con il governo dei «tecnici», con Draghi. Perché fin quando si trattava di approvare le riforme che ci chiedeva la Ue - cioè il compito che ha svolto egregiamente l'esecutivo precedente - siamo stati al passo, poi quando si è trattato, come si dice in gergo, di «mettere a terra» i progetti allora sono nati i problemi. Problemi che ha incontrato e incontrerebbe anche oggi, se c'è un minimo di onestà intellettuale, lo stesso Draghi. La ragione è semplice: nei meandri della nostra burocrazia, delle mille leggi, dei mille organismi che regolano le funzioni dello Stato, duole dirlo, si può perdere chiunque. Anche Leonardo o Archimede non saprebbero che pesci prendere.
La verità è che la nostra macchina statale e tutta la catena di orpelli, doppioni, filtri che l'accompagnano è irriformabile o ci vorrebbero anni. Per cui l'unica opzione per assicurarsi tempi sicuri è saltare certi meccanismi a piè pari, o, comunque, ridurne il peso. È l'insegnamento arrivato dalla ricostruzione in tempi brevi del ponte Morandi a Genova. È quella la filosofia della riforma del codice degli appalti messa in cantiere dall'attuale governo. Da una parte è un'ammissione di impotenza perché ci si rende conto che riformare tutti gli organismi che sovrintendono a questo compito è come la fatica di Sisifo. Dall'altra si sceglie strada diversa per non tenere fermo il Paese, per modernizzarlo, per adeguarlo ai tempi del mondo d'oggi: si punta cioè sulla fiducia tagliando il cerchio di regole che lo soffoca e ne rallenta oltremodo lo sviluppo. Di ciò dovrebbe esserci contezza anche nell'opposizione e nel sindacato. Invece si lanciano sospetti sulla possibilità che assegnando con più facilità appalti senza gara si indebolisca il principio di concorrenza, o si avanzano dubbi sui rischi che possono determinare regolamenti più semplici sul piano della corruzione o delle infiltrazioni mafiose. Riflessioni che hanno un senso, ma è anche vero che stiamo parlando di un «codice degli appalti» non di «un codice penale». La concorrenza la garantisce il mercato mentre il controllo della legalità è un compito della magistratura, appartiene ad un'altra sfera. Senza contare che a volte maggiori controlli o iter di approvazione più lunghi aumentano - dispiace dirlo - le occasioni di corruzione. E in questo momento l'Italia se vuole recuperare il tempo perduto, se desidera aumentare il suo tasso di efficienza, se non vuole perdere altre posizioni nella classifica dei Paesi che funzionano, deve darsi innanzitutto un «codice del fare».
Dagospia il 30 Marzo 2023. TROVATE LE DIFFERENZE – MATTEO SALVINI RIVENDICA IL CODICE DEGLI APPALTI, APPROVATO DAL CONSIGLIO DEI MINISTRI, COME OPERA SUA, AL PUNTO CHE DALLA LEGA LO HANNO RIBATTEZZATO “CODICE SALVINI”. MA COSA CAMBIA RISPETTO ALLA PROPOSTA FATTA DAL CONSIGLIO DI STATO A MARIO DRAGHI, IL 7 DICEMBRE 2022? BASTA FARE UN RAPIDO CONFRONTO TRA I DUE TESTI PER CAPIRE CHE NON SONO POI COSÌ DIVERSI COME IL “CAPITONE” VUOLE FARCI CREDERE…
Il testo del nuovo codice degli appalti: ecco come cambia. Enrico Marro su Il Corriere della Sera il 29 Marzo 2023
Il nuovo codice degli appalti, approvato martedì dal Consiglio dei ministri, conta 229 articoli e 36 allegati. Il via libera rientrava tra gli obiettivi previsti dal Pnrr entro il 31 marzo
Martedì 28 marzo 2023 il Consiglio dei ministri ha approvato definitivamente il decreto legislativo contenente il nuovo «Codice dei contratti pubblici», in attuazione della delega data al governo con la legge 78 zdel 21 giugno 2022.
Il nuovo codice degli appalti si compone di 229 articoli e 36 allegati. Il testo è stato messo a punto, sotto il profilo tecnico, dal Consiglio di Stato. L’approvazione del codice rientra tra gli obiettivi previsti dal Pnrr entro il 31 marzo. Deregolamentazione e velocizzazione delle procedure sono i criteri guida della riforma.
Dal primo gennaio 2024 è prevista la digitalizzazione degli appalti, con la creazione di una banca dati e di un sistema interconnesso tra tutti i soggetti e le stazioni appaltanti che gestiscono lavori pubblici.
Bandi di gara solo sopra la soglia di 5,3 milioni
Il nuovo codice degli appalti prevede i bandi pubblici di gara solo per i lavori sopra la soglia di 5,3 milioni di euro fissata dalle normative europee.
Per i contratti di fornitura di servizi fino a 140mila euro e per la realizzazione di lavori fino a 150 mila euro la procedura indicata è quella dell’affidamento diretto.
Sopra questi importi scatta invece la procedura negoziata senza bando, ma con cinque imprese invitate, nel caso di appalti fino a un milione di euro, e con dieci imprese invitate per i lavori tra 1 e 5,3 milioni di euro.
Inoltre, le stazioni appaltanti qualificate potranno ricorrere all’appalto integrato che affida a un unico soggetto la progettazione e l’esecuzione dei lavori sulla base di un progetto di fattibilità tecnico-economica.
Possibili i subappalti a catena.
Il meccanismo per la revisione dei prezzi
È previsto un nuovo meccanismo di revisione dei prezzi, dopo quelli provvisori sperimentati durante la pandemia. Esso scatterà quando l’aumento dei costi dell’opera supera il 5% dell’importo complessivo previsto dal contratto. In questo caso i prezzi verranno adeguati non al 100% ma all’80%. In teoria la variazione dovrebbe scattare anche in caso di ribasso dei prezzi. Si farà riferimento agli indici dell’Istat riferiti ai costi di costruzione per la realizzazione dei lavori.
Mentre per i contratti di forniture di beni e servizi i parametri di riferimento saranno gli indici dei prezzi al consumo, dei prezzi alla produzione dell’industria e dei servizi e gli indici delle retribuzioni orarie contrattuali, sempre calcolati dall’istituto nazionale di statistica.
Salvini e gli appalti, la tattica per diventare l’«uomo del fare»: basta con chi dice no. Storia di Cesare Zapperi il 29 Marzo 2023 su Corriere della Sera
Pochi obiettivi, rilevanti e subito (con i tempi della politica, naturalmente). Questo era l’intento di Matteo Salvini all’atto di intraprendere la nuova esperienza ministeriale per risalire la china dei consensi leghisti ben al di sotto della soglia di allarme. Ed ora con il nuovo codice degli appalti e il progetto del ponte sullo Stretto in dirittura d’arrivo (se poi vedrà la luce è un altro discorso) il leader ha argomenti concreti per proporsi al suo elettorato e all’opinione pubblica come «l’uomo del fare».
Era quello che gli chiedevano da più parti quando, dopo il picco del 34% alle Europee, la Lega aveva imboccato una ripida strada in discesa. Di qui la scelta, obbligata, di cambiare strategia. Di frequentare meno le piazze e di più i cantieri. Di ridurre i comizi e di preferire i confronti con i sindaci e gli amministratori locali. Di lavorare pancia a terra sui dossier a discapito delle dirette social (mai comunque abbandonate). «Un compito a casa l’ho portato: 229 articoli del codice degli appalti. Nella vita precedente mi portavo in giro un romanzo» il commento compiaciuto dopo il via libera del Consiglio dei ministri.
Il codice degli appalti è stato subito individuato come la bandiera più «comoda» da sventolare. Cosa c’è di più popolare, specie agli occhi di chi lavora nelle zone più produttive del Paese, di una battaglia forbici in mano per tagliare lacci e lacciuoli? Quale miglior avversario da indicare al pubblico ludibrio del moloch burocratico che tutto rallenta e tutto blocca? E allora, via alla semplificazione, via all’innalzamento delle soglie al di sotto delle quali le amministrazioni pubbliche possono affidare gli appalti senza una gara. «Ci sono i professionisti del no, i no tav, i no ponte, i no Expo, i no pedemontani, i no gas, i no nucleare — osserva Salvini — io lavoro per i sì».
Video correlato: Salvini presente a Trappitello (Dailymotion)
Al ministero delle Infrastrutture l’obiettivo è stato affidato alla regia di Elena Griglio, capo dell’ufficio legislativo. In pochi mesi, a colpi di forbici e di lima, insieme al suo staff ha prodotto i 229 articoli che il ministro, con il sostegno della Lega e dei parlamentari che hanno subito provveduto a tempestare la rete e le agenzie con comunicati di giubilo, ha icasticamente definito il «Codice Salvini».
Si ripete in qualche misura lo schema dei del 2019 che anche allora presero il nome del ministro. Ma rispetto ad allora, quando era l’uomo del no (all’immigrazione), adesso Salvini si fa forte dell’opposizione di Pd e Cgil per porsi come l’uomo del sì, o meglio «l’uomo del fare». Potrà andare nelle piazze e dire quello che ha detto ieri sera al Tg1: «L’Italia ha bisogno di infrastrutture, di meno burocrazia, di più lavoro, di appalti più veloci e mi dispiace per i signori del no, ma in questo ministero mi hanno mandato per aprire cantieri, strade, autostrade, porti, aeroporti, e ferrovie».
Non è un caso, quindi, se ieri mattina sul tavolo del suo ufficio di Porta Pia il ministro abbia trovato, gentile omaggio dei suoi collaboratori, la riproduzione della pagina dell’Unità, storico quotidiano comunista, del 4 ottobre 1964, giorno dell’inaugurazione dell’Autostrada del Sole, con contenuti contrari all’infrastruttura definita «la spina dorsale di un sistema rachitico». Un’opera, rivelatasi fondamentale per lo sviluppo dell’Italia, che per i critici di allora era frutto di «una visione solo automobilistica».
Sessant’anni dopo, la partita del si gioca sugli stessi binari. qua, il ministro che vuole unire la Sicilia al resto del Paese con un collegamento diretto e più veloce, facendone l’esempio di una politica che non ha paura di una sfida contro cui si sono infranti tanti sogni. Dall’altra, nello schema che polemicamente fa comodo a Salvini, il partito del no, ambientalisti e progressisti che si oppongono alla maxi opera, considerata uno spreco di denaro a danno di tanti altri interventi sulle strade e le ferrovie dell’isola ridotte in condizioni pietose. Il dualismo perfetto per chi, da sempre, alimenta la propria attività politica con l’antagonismo.
Estratto dell'articolo di Paolo Baroni per la Stampa il 29 Marzo 2023
Per Matteo Salvini il nuovo Codice degli appalti, approvato ieri sera invia definitiva dal Consiglio dei ministri, «è una rivoluzione positiva. Snellisce, semplifica, accelera» i cantieri. In pratica, ha spiegato il vicepremier e ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, «offrirà a imprenditori e sindaci uno strumento rivoluzionario» garantendo «più cantieri, più lavoro e più sicurezza in tutta Italia».
Oltre ad assicurare appalti più rapidi, con un risparmio di tempo (solo per gli affidamenti senza gara, secondo stime del Mit, si risparmiamo da sei mesi a un anno), il nuovo codice assicura più autonomia agli enti locali, in particolare ai piccoli comuni, una corsia preferenziale (con un meccanismo di premialità all'insegna del «Prima l'Italia!») per le forniture italiane ed europee, pagamenti più rapidi alle imprese (che potranno fatturare già al momento dell'adozione dello stato di avanzamento dei lavori) e grazie alla digitalizzazione consentirà di risparmiare carta e incombenze burocratiche. Oltre a questo viene «piegato il partito dei No – spiega una nota della Lega –. È infatti previsto il dissenso qualificato, principio per cui le amministrazioni pubbliche avranno una cornice più limitata in caso di contrarietà a un'opera».
Mentre la Lega celebra il «codice-Salvini», i sindacati degli edili confermano lo sciopero generale del primo aprile contestando la liberalizzazione degli appalti a cascata. Si lamentano gli artigiani e dubbi esprime anche il presidente dell'Anticorruzione, Giuseppe Busia che apprezza «l'impulso alla digitalizzazione»; però, avverte, «attenzione a spostare l'attenzione solo sul "fare in fretta", che non può mai perdere di vista il "fare bene". Semplificazione e rapidità sono valori importanti - aggiunge - ma non possono andare a discapito di principi altrettanto importanti come trasparenza, controllabilità e libera concorrenza, che nel nuovo Codice non hanno trovato tutta l'attenzione necessaria, specie in una fase del Paese in cui stanno affluendo ingenti risorse europee».
(…)
Gli Appalti Pubblici.
Gli Appalti Pubblici.
Gare d'appalto: Quante e quali tipologie esistono?
Il codice appalti individua tre macro categorie di appalti, a cui fanno seguito numerose sotto categorie distinguibili a seconda del settore di riferimento e della procedura seguita dalla pubblica amministrazione per l'affidamento.
Quali sono i tre settori principali d'appalto?
Nel primo caso è possibile parlare di ambiente, edilizia urbana, industria, ristrutturazioni, fornitura di gas, servizi telefonici, ecc...
1. appalti di servizi;
2. appalti di forniture;
3. appalti di lavori ed opere.
Cosa sono gli appalti di servizio?
Il codice appalti li chiama "concessioni di servizi" poiché riconosce all'impresa il diritto di gestire i servizi anche ottenendo un prezzo dall'amministrazione. La concessione di servizi è una categoria residuale, poiché comprende tutto ciò che non rientra negli appalti di lavori o di opere, né nelle forniture
Cosa sono gli appalti di forniture?
Più semplici, invece, sono gli appalti di forniture, dove per fornitura si intende l'erogazione di specifiche tipologie di prodotti. Nell'ambito degli appalti pubblici le forniture possono riguardare:
l'acquisto di un prodotto;
la locazione finanziaria del prodotto;
la locazione o l'acquisto del prodotto con riscatto dello stesso;
la realizzazione di lavori di posa o di installazione.
Ciò che distingue la fornitura dalla realizzazione di lavori ed opere non è tanto la tipologia di prodotto (un'opera potrebbe essere oggetto di fornitura - ad esempio con l'installazione della stessa - ma anche di appalto di lavori) quanto la modalità con cui il contratto viene eseguito. Mentre il lavoro richiede l'intervento diretto dell'impresa, che realizza, ristruttura o progetta un bene, nella fornitura l'impresa stessa procura quel bene alla pubblica amministrazione, che lo utilizza a seconda delle necessità.
Qual è la differenza tra l'appalto e il contratto d'opera?
Per quanto riguarda la differenza, invece, nell'appalto l'opera o il servizio prevede un'organizzazione di media o grande impresa, mentre nel contratto d'opera il lavoro è in prevalenza dell'obbligato medesimo, anche se coadiuvato da componenti della sua famiglia o da qualche collaboratore.
Cosa sono gli appalti di lavori ed opere?
Per appalti di lavori ed opere si intende il contratto stipulato per iscritto da una o più amministrazioni e uno o più operatori economici che riguarda:
l'esecuzione di lavori nel comparto edilizio, come i lavori di costruzione e di ingegneria civile, la realizzazione di infrastrutture (strade, impianti), la progettazione di impianti e molto altro ancora;
l'esecuzione e/o la progettazione esecutiva di un'opera, quale potrebbe essere un manufatto (come ad esempio un immobile);
la realizzazione di un'opera che deve corrispondere alle esigenze richieste dall'amministrazione in sede di gara d'appalto, a prescindere dai mezzi utilizzati dall'operatore economico.
Semplificando gli appalti di lavori e opere hanno ad oggetto l'esecuzione di un'attività il cui risultato sarà una costruzione, una ristrutturazione o la realizzazione di un'opera.
Quali sono le procedure principali d'appalto?
Nel secondo, ossia per le procedure, le gare d'appalto possono essere:
1. aperte a chiunque voglia aderire;
2. ristrette ad un certo numero di imprese con specifici requisiti;
3. negoziate, ossia offrono la possibilità all'operatore economico di contrattare con l'amministrazione e vige il principio di Rotazione;
4. dialogo competitivo e di partenariato per l'innovazione che permettono all'operatore di individuare con l'amministrazione i mezzi e gli obiettivi per la realizzazione dell'appalto pubblico;
5. L’ appalto integrato.
6. acquisti attraverso il MePA.
L'art. 70 del codice dispone che, per l'aggiudicazione di appalti pubblici, le stazioni appaltanti utilizzano la procedura aperta, la procedura ristretta, la procedura competitiva con negoziazione, il dialogo competitivo e il partenariato per l'innovazione, acquisti attraverso il MePA.
Per ciascuna di queste categorie il nuovo codice appalti, aggiornato di recente con il Decreto Sblocca Cantieri, prevede delle soglie al di sotto del quale l'amministrazione può procedere alternativamente all'indizione di gare o affidare direttamente l'appalto ad un operatore economico iscritto in un'apposita lista. Esistono anche delle soglie oltre le quali l'amministrazione è obbligata a seguire le procedure ordinarie dovendo estendere, in alcuni casi, anche la partecipazione ad imprese che non si trovano sul territorio italiano.
Le soglie non sono fisse e periodicamente vengono aggiornate dalle leggi di bilancio o dalle direttive dell'Unione Europea.
Qual è la differenza tra procedure aperte e procedure ristrette?
Quando si parla di procedura aperta ci si riferisce a quella in cui ogni operatore economico interessato può presentare un'offerta, mentre in quella ristretta possono partecipare alla procedura solo gli operatori precedentemente contattati dalla stazione appaltante.
Cosa si intende per procedura ristretta?
La procedura ristretta è una delle procedure di scelta del contraente definite dal Nuovo Codice dei Contratti Pubblici, a cui ogni operatore economico può chiedere di partecipare e in cui soltanto gli operatori economici invitati dalle amministrazioni aggiudicatrici possono presentare un'offerta.
Quando si usa la procedura negoziata senza bando?
La procedura negoziata senza bando negli appalti pubblici riferiti ai servizi è consentita quando l'appalto fa seguito ad un concorso di progettazione e deve essere aggiudicato al vincitore o a uno dei vincitori del concorso. Vige il principio di Rotazione.
Come si svolge la procedura negoziata?
Successivamente la procedura si articola in tre fasi:
a) svolgimento di indagini di mercato o consultazione di elenchi per la selezione degli operatori da invitare;
b) confronto competitivo fra gli operatori e conseguente scelta dell'affidatario;
c) stipula del contratto.
La scelta del contraente: procedura aperta, ristretta, competitiva con negoziazione e dialogo competitivo. Dott.ssa Laura Facondini il 30/08/21 su diritto.it
Per quanto concerne la procedura di scelta del contraente, il codice prevede alcuni tipi di procedure, tra cui la procedura aperta, la procedura ristretta, la procedura competitiva con negoziazione e il dialogo competitivo.
La procedura aperta (art.60 del Codice dei Contratti pubblici)
La stazione appaltante rende noto, tramite pubblicazione di un bando, l’oggetto, l’importo dei lavori a base di gara e le condizioni del contratto cui intende addivenire. All’esito della procedura che prevede la raccolta e la valutazione delle offerte di tutti i concorrenti ammessi, individua il miglior offerente.
Nella procedura aperta tutti gli operatori economici che hanno i requisiti previsti nel bando possono presentare offerta.
La procedura di scelta del contraente avviene tramite alcune fasi. In primo luogo, viene adottata determinazione a contrarre nella quale vengono definiti gli aspetti importanti della procedura di gara ed approvato il bando. In seguito, viene pubblicato il bando e in tal momento possono essere presentate le offerte da parte degli operatori economici interessati. Allo scadere del termine di presentazione delle domande, il Responsabile Unico di Gara verifica la documentazione amministrativa e sulla base di questo procede all’ammissione o esclusione dei concorrenti. Dopodiché viene nominata una Commissione, la quale procede alla valutazione delle offerte tecniche nel caso di aggiudicazione secondo il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa. Inoltre, viene stilata una graduatoria e, qualora i costi della manodopera risultassero congrui e non si ravvisasse anomalia dell’offerta, viene proposto un aggiudicatario provvisorio. Infine, vengono verificati i requisiti ed approvata l’aggiudicazione in capo all’operatore economico risultato primo in graduatoria.
La procedura ristretta (art.61 del Codice dei Contratti pubblici)
Nella procedura ristretta, a seguito della pubblicazione del bando, gli operatori economici che hanno i requisiti previsti presentano richiesta di essere invitati e successivamente e previo invito della stazione appaltante possono presentare la loro offerta.
L’importante distinzione tra la procedura aperta e la procedura ristretta consiste in tale netta distinzione di fasi, in quanto nella procedura ristretta si realizza uno sdoppiamento tra la fase di presentazione dei documenti per le verifiche amministrative e dunque l’ammissione alla gara e la fase di presentazione delle offerte.
La procedura di scelta del contraente avviene tramite alcune fasi. In primo luogo, viene adottata determinazione a contrarre nella quale vengono definiti gli aspetti importanti della procedura ed approvato il bando e viene pubblicato il bando. In seguito, vengono presentate le domande di partecipazione da parte dei concorrenti e verificate le domande di partecipazione.
In secondo luogo, vengono invitati alla gara tutti i concorrenti in possesso di requisiti o eventualmente selezionati. La gara viene celebrata solo tra i concorrenti invitati. In seguito, individuata la graduatoria, verificata la congruità dell’offerta, effettuata proposta di aggiudicazione e approvata l’aggiudicazione.
La procedura competitiva con negoziazione e il dialogo competitivo (art.62 e 64 del Codice dei Contratti pubblici)
Tali procedure si distinguono per l’elevato grado di flessibilità, che le distingue dalle ulteriori procedure in quanto non sussiste una rigida suddivisione di ruoli tra Committente e concorrente, in quanto in tal caso si parte da un’idea iniziale da parte della stazione appaltante per l’individuazione dei bisogni da soddisfare e si perviene dopo diversi livelli di negoziazione ad un’offerta finale.
Nella procedura competitiva con negoziazione, disciplinato dall’articolo 62 del Codice, vengono invitati i soggetti che ne abbiano fatto richiesta nel termine stabilito e che siano in possesso dei requisiti fissati nel bando. Conclusa la fase della selezione la stazione appaltante spedisce gli inviti e ricevute le offerte inizia la negoziazione con gli offerenti. Occorre specificare che i requisiti minimi ed i criteri di aggiudicazione non sono soggetti a negoziazione.
Nella procedura di dialogo competitivo di cui all’articolo 64 del Codice, la stazione appaltante motiva in determina sulla necessità del ricorso a tale procedura. In tale procedura, qualsiasi operatore economico può chiedere di partecipare. La stazione appaltante avvia un dialogo con i candidati ammessi a tale procedura, al fine di elaborare una o più soluzioni atte a soddisfare le proprie necessità, sulla base della quale i candidati selezionati sono invitati a presentare offerte.
In tali procedure è fondamentale che venga garantita parità di trattamento tra tutti gli offerenti durante il corso della gara e che non siano fornite informazioni che possano avvantaggiare alcuni offerenti rispetto ad altri.
Che cosa si intende per appalto integrato?
Come di consueto, gran parte dei problemi è connessa all'appalto integrato, ossia all'affidamento congiunto della progettazione esecutiva e della realizzazione dei lavori, che il nuovo Codice ha oltremodo liberalizzato, superando la limitazione della previgente normativa e della stessa Legge Delega.
Quali tipologie di appalto sono legittime sul MePA?
Per la legge, gli enti e le amministrazioni pubbliche legittimati a fare acquisti attraverso il MePA sono: le amministrazioni statali, tra cui anche le scuole. le aziende e amministrazioni dello Stato a ordinamento autonomo.
MePA (mercato elettronico) Consip per le PA: cos’è, come funziona, come iscrivere un’azienda e partecipare a un bando
Il Mercato elettronico Mepa di Consip è il ganglio fondamentale dove le PA possono comprare in rete: importante quindi padroneggiarne bene il funzionamento e capire quali cambiamenti interessano la piattaforma a partire da maggio 2022
Pubblicato da Nicoletta Pisanu e Francesco Porzio su agendadigitale.eu il 23 Maggio 2022
Il Mepa di Consip, Mercato elettronico della Pubblica amministrazione, è un luogo virtuale per gli acquisti in rete della PA: qui domanda della PA e offerta delle imprese si incontrano. Uno strumento digitale attraverso il quale le PA possono acquistare beni e servizi offerti da fornitori abilitati, per importi inferiori alla soglia comunitaria prevista di 207.000 euro.
La piattaforma offre vantaggi sia alle PA che alle imprese, digitalizzando i processi di procurement pubblico, riducendo i tempi di gara e anche i costi commerciali. Il MePA è gestito da Consip.
Indice degli argomenti
Cos’è e come funziona il MePA Consip
Mepa, cosa cambia da maggio 2022
Mepa iscrizione, come fare
Procedura di registrazione al Mepa
Come iscriversi e partecipare a un bando del MePA
I vantaggi del MePA per le aziende e la Pubblica Amministrazione
Il progetto Sportelli in rete: cos’è e come possono accedere le aziende
Criticità del MePA: come migliorarlo agendo sui processi e non sulla piattaforma
Svantaggi e punti deboli del Mercato elettronico Pubblica Amministrazione
Le regole del mercato elettronico (Consip e codice appalti)
Il lato oscuro del MePA: costi e strumenti di acquisto disponibili in rete
Come dare un futuro migliore al MePA e all’Italia
Cos’è e come funziona il MePA Consip
Per la legge, gli enti e le amministrazioni pubbliche legittimati a fare acquisti attraverso il MePA sono:
le amministrazioni statali, tra cui anche le scuole
le aziende e amministrazioni dello Stato a ordinamento autonomo
Regioni, Province, Comuni, Comunità montane e le loro associazioni
le istituzioni universitarie
aziende e amministrazioni del Servizio sanitario nazionale
enti del servizio sanitario nazionale
amministrazioni territoriali non regionali
organismi di diritto pubblico
gli istituti autonomi case popolari
le Camere di commercio, industria, artigianato, agricoltura e loro associazioni
enti pubblici non economici nazionali, locali o regionali
ARAN – Agenzia per la rappresentanza negoziale delle PA
agenzie di cui al D.Lgs 300/1999
Onlus e associazioni di volontariato
Sono tre le fasi previste per lo svolgimento della procedura di vendita/acquisto sul Mercato elettronico. In primis, Consip si occupa di pubblicare i bandi del Mercato elettronico. Il secondo step prevede che i fornitori si abilitino secondo i requisiti e pubblichino le loro offerte inerenti gli appalti. La terza fase prevede che le PA emettano ordini diretti a valere sulle offerte già pubblicata dai fornitori nel Catalogo o trattino prezzi e condizioni di fornitura, attraverso gli strumenti di negoziazione quali la “richiesta di offerta” o la “trattativa diretta”. Le amministrazioni possono fare “shopping” di quel che hanno bisogno verificando i beni, i servizi e i lavori disponibili tramite il bando del Mercato elettronico o, per alcune tipologie di beni e servizi il Catalogo che contiene Offerte valide e irrevocabili già pubblicate dai fornitori. A quel punto, se nel Catalogo è presente qualche offerta interessante per soddisfare le proprie necessità, l’amministrazione può effettuare ordini di acquisto, altrimenti l’amministrazione può richiedere offerte per negoziare con uno o più fornitori.
Mepa, cosa cambia da maggio 2022
Dalla fine del mese di maggio 2022 sarà attiva una nuova piattaforma MePA con una nuova disciplina. Il tutto nella sostanza non si discosta dal precedente sistema, ma le modifiche sugli aspetti tecnici e organizzativi del MePA sono stati così impattanti da richiedere la abilitazione ex novo di tutti i 146.214 fornitori già abilitati al MePA e di reinserire tutte le offerte già pubblicate all’interno del Catalogo del MePA che, erano circa 10 milioni prima che diventasse impossibile contarle per ragioni tecniche. Non chiediamoci se fosse possibile evitare di “uscire e rientrare tutti” per poter riavviare il MePA con la nuova piattaforma (l’opinione diffusa in capo agli esperti è “certamente si”), ma vediamo le differenze.
Finalmente sono state organizzate meglio le categorie merceologiche e un’impresa ora può scegliere con maggiore selettività le categorie a cui limitare la propria abilitazione al MePA. Un esempio? Fino a oggi, per 20 anni, alle gare per manutenzione di ascensori era legittimo nonché di fatto inevitabile invitare elettricisti, idraulici, termotecnici oltre ai manutentori di impianti elevatori perché tutti questi servizi di manutenzione erano inclusi in una unica categoria merceologica, surreale quanto ingestibile, chiamata “servizi agli impianti”. Ora finalmente le categorie scendono nel dettaglio degli specifici servizi di manutenzione, con evidenti vantaggi sia per le Pubbliche Amministrazioni che fanno inviti più mirati e consapevoli sia per le Imprese che non perdono tempo ricevendo inviti a gare di nessun interesse. E questo è solo un esempio di che cosa significa migliorare l’organizzazione merceologica.
Mepa iscrizione, come fare
Per iscriversi al MePA e partecipare alle iniziative, per prima cosa il legale rappresentante di un’azienda dovrà registrarsi al sistema di e-procurement tramite il sito acquistinretepa.it. Per l’iscrizione al Mepa, fondamentale disporre di firma digitale e Pec. Registrarsi permette di ottenere username e password per accedere al proprio account.
Dal mese di febbraio era già attiva la procedura di pre-abilitazione al nuovo sistema di e-procurement che sarebbe stata efficace al momento della messa in linea del nuovo sistema, per lasciare alle Imprese il tempo per farlo senza troppi disagi.
Procedura di registrazione al Mepa
L’abilitazione al MePA inizia con la procedura di registrazione. Per registrarsi, sono possibili due strade:
cliccare sul menù presente in tutte le pagine del portale Acquisti in rete pa, alla voce “Registrati”
cliccare sulla dicitura “Non sei ancora registrato?” che si trova sotto agli spazi del login
Dopo questo passaggio, l’utente deve indicare il proprio ambito di appartenenza, per esempio “impresa italiana” o “UE”. Dopo aver selezionato la definizione corretta, bisogna inserire la partita IVA dell’azienda che si rappresenta.
Poi è necessario controllare che tutte le informazioni fornite al portale siano corrette. A quel punto, il sistema indica uno username, mentre l’utente dovrà scrivere la password e poi confermarla. Dopo la registrazione, si riceverà una mail: bisognerà cliccare sul link presente nel testo per confermare l’avvenuta registrazione.
Come iscriversi e partecipare a un bando del MePA
Dalla vetrina dei bandi del MePA è possibile selezionare un bando e iniziare la procedura di abilitazione cliccando su “Partecipa” dopo aver eseguito l’accesso con le credenziali user e password. A fare la procedura dev’essere il legale rappresentante dell’azienda. Finalmente le dichiarazioni rilasciate non hanno più scadenza, pertanto dovranno essere aggiornate non appena cambierà una informazione in esse contenuta, prestando attenzione al fatto che una dichiarazione non aggiornata equivale a una falsa dichiarazione. Sono ammessi a richiedere l’abilitazione al MePA tutti gli operatori economici che possono partecipare alle procedure di affidamento dei contratti pubblici, come previsto dal Decreto legislativo 50/2016 e dalla normativa comunitaria in materia.
In dettaglio, gli operatori economici ammessi sono:
Singolo operatore economico
Consorzio stabile che partecipa con la propria struttura d’impresa
Consorzio fra società cooperative di produzione e lavoro
Consorzio fra imprese artigiane che partecipa con la propria struttura d’impresa
Rete di imprese con soggettività giuridica che opera con la propria organizzazione d’impresa
Rete di imprese con soggettività giuridica
I vantaggi del MePA per le aziende e la Pubblica Amministrazione
Sia PA che imprese godono di vantaggi attraverso l’utilizzo del MePA. Le amministrazioni possono innanzitutto risparmiare tempo nei processi di acquisizione. Inoltre, il processo d’acquisto risulta essere trasparente e facilmente tacciabile. L’amministrazione ha inoltre ampio ventaglio di scelta, può confrontare prodotti e servizi offerti da fornitori che provengono da tutta l’Italia.
D’altro canto, per i Fornitori il MePA è un utile strumento di e-procurement in quanto, oltre a ottimizzare i tempi di vendita, favorisce anche la diminuzione dei costi. Lo strumento permette di valorizzare la propria azienda anche se piccola, con accesso da tutto il territorio italiano. Il MePA offre anche un confronto diretto con il proprio mercato di riferimento e permette di rinnovare i processi di vendita.
Il progetto Sportelli in rete: cos’è e come possono accedere le aziende
Sportelli in Rete è un progetto ideato per semplificare l’accesso delle aziende, soprattutto le più piccole, al Programma di razionalizzazione della spesa per la PA e alle gare pubbliche.
Il progetto è stato studiato in collaborazione con le associazioni di categoria, che ospitano sportelli di aiuto alle imprese per fare formazione e informazione, in particolare sul MePA. Tra le associazioni coinvolte, ci sono Confindustria, Unimpresa, Confagricoltura, Unioncamere e Ance.
Criticità del MePA: come migliorarlo agendo sui processi e non sulla piattaforma
Per cambiare marcia e fare un salto di qualità sul MePA dovremmo concentrarci su regolamento e processi anziché continuare a rimbiancare il tutto per renderlo più bello e al passo coi tempi. È molto più semplice ed economico di qualsiasi altro intervento.
Ogni cambiamento dell’interfaccia e dell’aspetto grafico lo può rendere più gradevole a chi lo usa la prima volta, ma costringerebbe comunque le 203.203 persone che lo utilizzano da sedici anni a dimenticare quanto avevano imparato e a ricominciare tutto da capo.
E infatti il bilancio della prima fase del rifacimento attuato nel febbraio scorso non sembra positivo a detta delle migliaia di dipendenti di enti pubblici che abbiamo formato quest’anno. Forse per questo motivo non si sono più visti i passi successivi annunciati da Consip.
Svantaggi e punti deboli del Mercato elettronico Pubblica Amministrazione
Il MePA ora è esteticamente più bello e al passo coi tempi ma contiene più inesattezze del precedente, da quelle veniali a quelle più gravi: gli strumenti di acquisto sono chiamati iniziative, la “area merceologica” che non è mai definita nella disciplina è usata arbitrariamente sia per aggregare le categorie merceologiche sia all’interno delle stesse categorie merceologiche, i contratti di convenzione sono inseriti nel catalogo dove il Codice degli Appalti prevede Offerte e molto altro ancora. Ma se queste criticità si possono risolvere rapidamente, il problema maggiore è la completa mancanza dei filtri di ricerca nel catalogo delle offerte. Se prima del rifacimento i filtri erano già imbarazzanti per la pochezza, il nulla attuale ci fa rimpiangere il passato.
Oggi l’unico modo per fare ricerche nel catalogo è tentare di esportarlo, operazione non sempre fattibile, e poi operare con i filtri di microsoft excel. Senza questa soluzione artigianale, l’alternativa è usare il catalogo per effettuare affidamenti diretti senza alcun confronto concorrenziale delle migliaia di offerte ivi presenti, come purtroppo ormai avviene sempre più diffusamente. Stipulare un contratto consultando un solo Fornitore senza confronto competitivo con altri è permesso dal codice, ma è la circostanza di più scarsa concorrenzialità e convenienza, accettabile quando si lavora con la carta e i sigilli perché la procedura competitiva potrebbe costare più dell’eventuale risparmio ottenibile. Ma oggi con l’eprocurement che dovrebbe rendere i processi efficienti, il confronto competitivo dovrebbe essere rapido e dovrebbe diventare prassi comune. E invece no, si è digitalizzata la stessa procedura che si svolgeva prima tramite la carta, ossia la consultazione di un solo operatore economico, tanto la legge lo permette.
Ma nelle situazioni così critiche il principio di Pareto stabilisce che con il 20% degli interventi possiamo provocare l’80% degli effetti. Ed è proprio vero, con poco sforzo si può ottenere tanto. L’ottimismo non manca, ma dove bisogna intervenire?
Le regole del mercato elettronico (Consip e codice appalti)
Negli anni ‘90 l’AIPA (Autorità per l’informatica nella Pubblica Amministrazione) ci insegnava che per informatizzare un processo bisogna prima reingegnerizzarlo, mentre se si informatizza un processo senza ripensarlo l’efficienza potrebbe migliorare di poco o addirittura peggiorare.
Sono passati quasi trent’anni e non solo è ancora vero, ma soprattutto è ancora necessario insegnarlo.
Nel mercato elettronico i processi di utilizzo sono definiti dalle regole del mercato elettronico, ossia dalla disciplina. E le regole le decide l’ente che gestisce il mercato elettronico, ossia Consip. A riguardo, l’attuale Codice degli Appalti lascia ampissima libertà di azione rispetto al previgente, per chi ha il coraggio di sfruttarla.
Ma la disciplina attuale del mercato elettronico sembra scritta negli anni ‘90 perché segue due linee di azione pur rispettabili ma ormai superate:
declinare ogni possibile responsabilità in caso di problemi, ad esempio malfunzionamenti, contenziosi, procedure illegittime, inadempimenti, reati;
disciplinare nel modo più conservativo possibile strumenti e processi di acquisto, rinunciando a qualsiasi innovazione di processo.
Le regole del MePA prevedono infatti che Consip non assuma alcuna responsabilità circa esattezza, veridicità, aggiornamento, conformità alla normativa del contenuto del portale, che sia esonerata da ogni responsabilità e risarcimento danni derivanti dall’uso del portale, che sia estranea a qualsiasi controversia tra enti e Imprese, che non garantisca la rispondenza del portale a esigenze, necessità o aspettative di imprese ed enti. Queste sono le regole della Consip che presenta i propri strumenti come la risposta a tutte le esigenze di acquisto. Se è giusto chiarire che Consip non può garantire che gli Enti agiscano nel rispetto della normativa, qui si va oltre questa forma di trasparenza.
Il lato oscuro del MePA: costi e strumenti di acquisto disponibili in rete
Usare strumenti innovativi non significa necessariamente innovare. Le regole infatti negano le opportunità offerte dai nuovi media digitali al punto da obbligare una Impresa che ha bisogno di assistenza o informazioni a chiamare il call center Consip al costo di circa 1 euro al minuto da rete mobile (max. 15 euro per chiamata), avendo Consip eliminato ogni altra possibilità di contatto ad esempio tramite moduli web, chat, ecc.
Il modo conservativo con cui sono state scritte le regole si riflette anche negli strumenti di acquisto all’interno del MePA. La richiesta di offerta infatti è stata realizzata pensando alla procedura negoziata al punto che Consip ingiustificatamente afferma che sia improprio usarla per procedure aperte o per affidamenti diretti. La trattativa diretta che consente di negoziare con un solo operatore e l’ordine diretto da catalogo senza alcuna possibilità di confrontare più offerte sono utilizzabili essenzialmente per negoziare affidamenti con un solo fornitore, dunque sono perfettamente legittimi ma rinunciano alla grande innovazione apportata dal catalogo elettronico che è il cuore del mercato elettronico. Il catalogo è l’elemento sostanziale che fa la differenza tra un mercato elettronico e una piattaforma per gare telematiche.
Il Codice degli Appalti con il catalogo elettronico introduce infatti una straordinaria innovazione nel procurement pubblico perché consente a tutta la Pubblica Amministrazione di condividere in un unico catalogo milioni di offerte che vengono inserite ed aggiornate in tempo reale dai fornitori che vedono le offerte dei concorrenti e di conseguenza rilanciano continuamente migliorando le proprie. L’alternativa se non ci fosse il mercato elettronico sarebbe quella in cui ogni ente chiede una offerta a un solo fornitore o, con molta fatica, qualche offerta a qualche fornitore. E con il MePA si è digitalizzata esattamente questa alternativa perché gli enti possono fare affidamenti diretti sollecitando una sola offerta, o a fatica qualcuna in più, senza possibilità di confronto di offerte nel catalogo perché manca ogni possibile filtro per cercarle e confrontarle. E in questo modo si rinuncia all’innovazione consentita dalla normativa e dalle nuove tecnologie, alla possibilità per enti e imprese di risparmiare molto più tempo nei processi di procurement, al risparmio che deriva dal confronto concorrenziale di più offerte nel catalogo e al miglioramento di efficienza dei processi di vendita. Da non trascurare che in questo modo si vanifica anche il tempo speso da migliaia di fornitori ad inserire nel catalogo ed aggiornare oltre otto m9ilioni di offerte. E il costo di quel tempo speso invano prima o poi, direttamente o indirettamente, lo paghiamo tutti come maggiori costi di acquisto o minori entrate per l’erario.
Come dare un futuro migliore al MePA e all’Italia
Ce la possiamo fare, ma occorre coraggio. Il coraggio di ammettere che in una piattaforma telematica è possibile sfruttare, senza violare la normativa, meccanismi gratificanti che incentivano i membri della community a comportarsi in modo eccellente. Occorre il coraggio di lasciar usare le offerte condivise nel catalogo per effettuare confronti competitivi finalizzati ad affidamenti di contratti o indagini di mercato. Occorre integrare il MePA con gli altri mercati elettronici perché non è efficiente che un imprenditore debba abilitarsi a dieci mercati elettronici diversi e ogni mattina debba cercare le gare in ciascuno di essi, con modalità e caratteristiche diverse. Anzi, non solo non è efficiente cercare le gare in ogni diverso mercato elettronico, ma non è proprio pensabile per chi si guadagna il pane con la propria efficienza. Occorre estendere il concetto di usabilità di una piattaforma alla semplicità nell’eseguire procedure legittime da parte degli enti per evitare di realizzare mercati elettronici dove è semplice eseguire procedure illegittime.
Ed è giunto anche il tempo di puntare ad obiettivi più strategici per il Paese come quello di sfruttare il MePA anche per agevolare l’informatizzazione delle piccole e microimprese proponendo ulteriori servizi integrati con i processi di procurement. Oggi l’unico ulteriore servizio previsto sul portale è quello che permette di gestire le fatture elettroniche ma non è neanche integrato con gli ordini ricevuti con la stessa piattaforma MePA né è possibile usarlo per inviare fatture a soggetti diversi dalla PA, quindi tra pochi giorni sarà inutile.
Si potrebbe estendere in modo integrato la digitalizzazione ad altri processi che ruotano intorno al public procurement quali la gestione di catalogo, disponibilità in magazzino, ordini, consegne, assistenza, marketing. Non solo le Imprese ma anche gli Enti Pubblici hanno un’esigenza non più derogabile di efficienza nei processi di vendita verso la PA che si può soddisfare solo con l’integrazione tra il MePA e i sistemi informativi utilizzati quotidianamente. In venti anni di MePA non esiste ancora alcuna funzionalità di integrazione o anche solo di scambio dati con i sistemi realizzati da Istituzioni terze e che le Stazioni Appaltanti devono utilizzare (ad esempio SIMOG, TED, verifica dei requisiti, ecc.) né sono presenti interfacce applicative standard per l’interazione con sistemi informativi automatizzati.
Dopo tanti anni, qualcosa finalmente sta cambiando nel percorso evolutivo dell’e-procurement da quando è stato pubblicato il Decreto n. 148 del 2021 “Regolamento recante modalità di digitalizzazione delle procedure dei contratti pubblici”. Nonostante esso sia stato scritto a un livello così alto da limitarsi a principi generali facilmente desumibili dal Codice degli Appalti, esso ha il pregio di demandare all’Agenzia per l’Italia Digitale (AgID) il compito di emettere regole tecniche per la definizione delle modalità di digitalizzazione. Il compito è sempre più difficile perché oggi esistono decine di piattaforme telematiche e più le regole AgID saranno incisive ed efficaci e più impatteranno sulle stesse piattaforme già esistenti. L’approccio pilatesco del Decreto 148/2021 non fa ben sperare, ma la leadership che AgID ha già dimostrato in passato e il confronto pubblico sulle regole tecniche iniziato il 31 marzo scorso hanno destato vivo ottimismo.
Le soglie di procedura.
Quando è obbligatoria la procedura aperta?
Lgs. 50/2016), il DL n. 32 innalza la soglia per la procedura negoziata, previa consultazione di almeno 3 operatori economici, da € 150.000 a € 200.000. Al di sopra di questa soglia, i lavori potranno essere affidati soltanto tramite procedura aperta.
Qual è la soglia sotto la quale è possibile procedere a un affidamento diretto di servizi o forniture?
Il Codice Appalti del 2016 consentiva l'affidamento diretto per importi fino a 40mila euro. Le norme introdotte per far fronte alla pandemia hanno ampliato progressivamente la portata dell'affidamento diretto. La soglia è passata a 150mila euro, ma solo fino a giugno 2023 e per i lavori finanziati dal PNRR e dal PNC.
Quando si può fare un affidamento diretto?
Per affidare dei lavori è necessario rispettare i seguenti requisiti: importo dei lavori affidati inferiore a 150.000 euro. In questo caso la stazione appaltante ha la possibilità di affidare direttamente i lavori, senza la necessità di consultare più operatori economici.
Cosa sono le soglie comunitarie appalti?
Le soglie di rilevanza comunitaria servono per stabilire l'obbligo di rendere pubblica una gara di appalto in tutte le nazioni dell'Unione Europea ed allargare la platea dei partecipanti a tutti gli operatori interessati, in possesso dei requisiti richiesti.
Quali sono gli appalti sotto soglia?
I contratti sotto soglia sono quei contratti che hanno per oggetto lavori, servizi e forniture di importo inferiore alle soglie di rilevanza europea. Il nuovo Codice dei contratti pubblici (Decreto Legislativo 31 marzo 2023, n. 36
Qual è la soglia per affidamento diretto?
In particolare, il Codice prevede che si possa procedere ad affidamento diretto per i lavori fino a 150.000 euro, per i servizi e le forniture, inclusi i servizi di ingegneria e architettura e l'attività di progettazione, fino a 140.000 euro, e per i servizi sociali e altri servizi specifici fino a 40.000 euro.
PRINCIPIO DI ROTAZIONE, PROCEDURE RISTRETTE, APPALTI SOPRA-SOGLIA…
Il Tar Calabria riafferma i principi formatisi sull’applicazione del “principio di rotazione”, pronunciandosi sul caso di una procedura ristretta per appalto di servizi, di importo sopra la soglia comunitaria.
L’attuale fornitore del servizio presenta domanda di partecipazione alla procedura di gara e viene escluso stante “il divieto di partecipazione del fornitore uscente imposto dalla normativa vigente nelle procedure negoziate”
Tar Calabria, Reggio Calabria, 31/07/2023, n. 649 accoglie il ricorso ed annulla l’esclusione:
Rilevato che il presente giudizio verte intorno all’unica questione relativa all’applicabilità alla procedura “ristretta” di cui all’art. 61 D.lgs. n. 50/2016 del principio di rotazione;
Ritenuto che il ricorso è fondato, dovendo escludersi che il principio di rotazione debba trovare applicazione nell’ipotesi di una procedura ristretta indetta ex art. 61 D.lgs. n. 50/2016 per un appalto pacificamente “sopra soglia” (€ 6.264.372,00) e a valle della pubblicazione di un bando e/o di un avviso pubblico cui tutti gli operatori economici in possesso dei requisiti richiesti sono stati in condizioni di poter partecipare;
Considerato che:
– la giurisprudenza amministrativa consolidata ha chiarito che “l’obbligatorietà del principio di rotazione per le gare di lavori, servizi e forniture opera in relazione agli appalti cd. “sotto soglia” disciplinati dall’art- 36 del d.lgs. 50/2016 (v. Cons. Stato, VI, 31 agosto 2017, n. 4125), nonché per le procedure negoziate senza bando, come è reso manifesto dall’art 63, comma 6, che espressamente menziona il principio di rotazione insieme agli altri principi (trasparenza, concorrenza) che devono ispirare tali procedure caratterizzate dall’assenza di una vera e propria procedura di gara. Il principio di rotazione, quindi, è applicabile esclusivamente in presenza di contratti sotto soglia in cui le procedure di gara sono particolarmente semplificate e in presenza di una procedura negoziata senza però la pubblicazione del bando” (cfr. TAR Campania, Salerno, sez. I, 6 febbraio 2018 n. 184);
– nel caso di specie, il ………. ha indetto una procedura “ristretta” per aggiudicare un appalto “sopra soglia” e previa pubblicazione di un bando alla stregua di una norma (art. 61 D.lgs. n. 50/2016) nella quale il principio di rotazione non è testualmente invocato né come regola (come nelle procedure negoziate “sotto soglia” ex art. 36), né come eccezione (come in quelle negoziate, anche “sopra soglia”, previste dall’art. 63 comma 6 quando non vi è la pubblicazione di un bando);
Evidenziato che:
– la procedura “ristretta” in discorso è una delle due procedure “ordinarie” di scelta del contraente definite dal codice dei contratti pubblici (l’altra è quella “aperta”), alla quale ogni operatore economico può chiedere di partecipare e in cui soltanto gli operatori economici invitati dalle amministrazioni aggiudicatrici sono abilitati a presentare un’offerta (art. 61 D.lgs. n. 50/2016 e ora art. 72 D.lgs. n. 36/2023);
– più nel dettaglio, essa si articola in due fasi: nella prima, la stazione appaltante rende nota la volontà di procedere all’affidamento di un determinato contratto e fornisce tutte le indicazioni e le informazioni necessarie alla presentazione dell’offerta; trattasi di una fase antecedente di selezione (o di “prequalifica”), propria della procedura ristretta impiegata per il “sopra soglia” e funzionale ad individuare i soggetti da invitare (qui predefiniti nel numero di sei; v. bando di gara punto n. II.2.9-doc. n. 2 di parte ricorrente) a presentare l’offerta conformemente alle specifiche contrattuali dettate dalla lex specialis;
– il tratto distintivo rispetto alla procedura negoziata, a cui la P.A, come già spiegato, può ricorrere sia negli appalti “sotto soglia” (art. 36, co.2, D.lgs. n. 50/2016) che “sopra soglia” (art. 63 co. 6), è che nella procedura “ristretta” la stazione appaltante pubblica un avviso ovvero, come nella fattispecie per cui è causa, un bando al quale tutti gli operatori economici in possesso dei requisiti richiesti, compreso il gestore uscente, possono partecipare, auto-vincolandosi a non esercitare a monte la facoltà di scelta di quali operatori economici invitare, ma preferendo prima compulsare il mercato al fine di far emergere specifiche manifestazioni di interesse compatibili con la tipologia dei servizi, dei lavori e delle forniture da affidare. A questa opzione procedurale corrisponde il “diritto” di un operatore economico di partecipare a prescindere dalla eventuale qualità di appaltatore uscente, a maggior ragione se nessuna disposizione di gara ne prescrive espressamente il divieto;
– viceversa, quella negoziata, tipica del “sotto soglia”, è una procedura di affidamento in cui le stazioni appaltanti consultano gli operatori economici da loro già selezionati o individuati attraverso un elenco o un albo e negoziano con uno o più di essi le condizioni dell’appalto, rinunciando a rivolgersi prioritariamente ed “indistintamente” al mercato;
Ritenuto che:
– nelle procedure “sotto soglia” – e in quelle previste dall’art. 63 co. 6 “sopra soglia”- il principio di rotazione con la scandita regola operativa del divieto di invitare il precedente aggiudicatario nell’affidamento di nuove commesse, trae fondamento (di per sé non assoluto) nell’“esigenza di evitare rendite di posizione in capo al gestore uscente”, la cui posizione di vantaggio deriva dalle informazioni acquisite durante il pregresso affidamento, e perseguire quindi “l’effettiva concorrenza”, garantendo la “turnazione di diversi operatori” nella realizzazione del “medesimo servizio” (cfr., tra le tante, Cons. Stato, sez. V, 7 settembre 2022 n.7794; 15 dicembre 2020, n. 8030; id., sez. III, 25 aprile 2020, n. 2654; TAR Lazio, sez. I, 31 marzo 2023 n. 5555);
– il principio di rotazione, in ogni caso, “non ha carattere assoluto, bensì relativo, dato che in caso contrario esso limiterebbe il potere della stazione appaltante di garantire la massima partecipazione alla procedura di gara; si tratta quindi di un principio servente e strumentale rispetto a quello della concorrenza, che deve quindi trovare applicazione nei limiti in cui non incida su quest’ultimo” (v. TAR Catanzaro, 11 luglio 2023 n. 1019);
Atteso che, alla luce di tali premesse, la risoluzione dell’unica questione dedotta si focalizza sull’individuazione dell’esatta natura della procedura di selezione del contraente: se preceduta dall’individuazione discrezionale dei soggetti partecipanti, essa va qualificata come procedura negoziata in senso stretto e soggiace al principio di rotazione (cfr. Cons. Stato sez. V, 22 febbraio 2021 n. 1515), principio motivatamente derogabile, allorché l’equilibrio concorrenziale possa ragionevolmente recedere innanzi alle particolari caratteristiche del mercato di riferimento, all’esiguità del numero di operatori economici interessati e alla natura dell’affidamento); se, invece, la gara risulta preceduta da un avviso aperto a tutti gli operatori, si è fuori dalle procedure negoziate, non deve applicarsi il principio di rotazione e non opera quindi alcun meccanismo preclusivo, capace di impedire al gestore uscente l’accesso alla procedura, con la conseguenza che, in tale diversa situazione, la partecipazione di quest’ultimo non costituisce deroga al suddetto principio e neppure richiede alcuna esplicita motivazione da parte dell’Amministrazione (in tal senso, da ultimo, TAR Venezia, 26 marzo 2021 n. 389);
Ritenuto, pertanto, che nel caso di specie:
– la motivazione dell’esclusione di xxx, riportata nel verbale di gara impugnato, appare per un verso errata e, per altro contraddittoria:
i) errata, perché essendo prevalentemente riferita all’ambito degli appalti “sotto soglia”, si traduce di fatto nell’aver inibito a posteriori la partecipazione di un operatore economico alla procedura di gara, senza che ciò fosse (e potesse essere) espressamente preannunciato nel bando;
ii) contraddittoria, perché, come già anticipato in sede cautelare monocratica, non si tratta di una procedura negoziata, in cui l’esigenza di effettiva concorrenzialità è più sentita anche a costo di sacrificare il contraente uscente, ma di una procedura “ristretta” (o, in altri termini, “spuria”), caratterizzata: a) da un iniziale meccanismo di apertura al mercato con la partecipazione di tutti gli operatori economici aventi potenzialmente le carte in regola per presentare un’offerta nel settore merceologico di riferimento, il che esclude qualsiasi intervento dell’Amministrazione resistente nella fase di selezione o individuazione preliminare degli operatori economici da invitare alla procedura (cfr. Cons. Stato, V, 24 maggio 2021, n. 3999) e b) da una successiva fase “negoziata” in cui dare sfogo al confronto concorrenziale tra gli operatori invitati dopo che hanno chiesto di poter partecipare alla gara;
– la procedura in questione non è riconducibile né ad una procedura negoziata ex art. 36 co.2 (essendo l’appalto “sopra soglia”), né ad una procedura negoziata ex art. 63 co. 6, in quanto il ………. ha pubblicato nelle forme dell’evidenza pubblica un bando di gara nella G.U.R.I. e nella G.U.E.E. per l’acquisizione delle domande di partecipazione, indifferentemente rivolto a tutti gli operatori economici in possesso dei requisiti indicati e contraddistinto dall’automatica ammissione dei soggetti che hanno manifestato l’interesse a partecipare alla successiva gara;
– con la pubblicazione del bando l’Amministrazione ha demandato al mercato l’individuazione dei soggetti interessati a presentare la propria offerta, essendo ammissibile che abbia poi manifestato interesse a partecipare anche il gestore uscente destinato a “competere” con altri eventuali concorrenti;
Ritenuto opportuno precisare inoltre che:
– anche il regime derogatorio di cui all’art. 2 D.L. n. 76/2020 richiama testualmente il principio di rotazione con riguardo alla sola procedura negoziata di cui al comma 3 e non alle procedure ordinarie (aperta e ristretta);
– il D.lgs. n. 50/2016 (art. 36) prevede espressamente l’applicazione del principio di rotazione con riguardo al settore dei “sotto soglia” anche a fronte dell’assenza di qualsiasi previsione al riguardo da parte delle direttive, mentre l’art. 63, pur menzionandolo espressamente, è la norma sulle procedure negoziate tout-court e non sulle “ristrette” di cui all’art. 61;
– l’art. 91 D.lgs. n. 50/2016, cui l’art. 61 co. 3 rinvia in un’ottica di semplificazione procedurale, non risulta applicato nella procedura in esame, laddove l’Amministrazione non ha in concreto ristretto i candidati che hanno presentato domanda a seguito del bando; ne consegue che la stazione appaltante non ha operato alcuna selezione discrezionale dei partecipanti, ma ha ammesso (come in una procedura aperta, alla quale non è applicabile la rotazione) quelli che presentavano i requisiti pretesi dal bando, uscente compresa;
Considerato che:
– il principio di rotazione non discende espressamente dalle Direttive n. 2014/23 e n. 2014/24 e, pur consentendo una turnazione tra i diversi operatori nella realizzazione del servizio, va applicato secondo criteri di logicità, ragionevolezza e proporzionalità allorquando, come affermato dalla giurisprudenza “non appare sussistere nella specie una significativa limitazione degli operatori economici invitati alla selezione, giacché la gara in considerazione, pur a mezzo della procedura negoziata, risulta conformata da un’ampia partecipazione, comprensiva di tutti gli operatori economici che avevano fatto domanda di ammissione alla previa procedura aperta (poi annullata) e di tutti i gestori attuali del servizio (cfr. TAR Toscana, sez. I, n. 1667/2021);
– non si rinviene, a confutazione di quanto sostenuto nella memoria della difesa erariale, alcuna norma primaria o sub-primaria (Linea Guida ANAC) che imponga o semplicemente autorizzi la rotazione nelle procedure ristrette, siano esse “sopra soglia”: gli inviti della procedura ristretta, come sì è visto sopra, conseguono ad un bando e non a scelte discrezionali della stazione appaltante, per cui non corrispondono ontologicamente agli “inviti” dell’art. 36; anzi, ANAC ha avuto modo di chiarire che “la rotazione non si applica laddove il nuovo affidamento avvenga tramite procedure ordinarie o comunque aperte al mercato, nelle quali la stazione appaltante, in virtù di regole prestabilite dal Codice dei contratti pubblici ovvero dalla stessa in caso di indagini di mercato o consultazione di elenchi, non operi alcuna limitazione in ordine al numero di operatori economici tra i quali effettuare la selezione” (Linee Guida n. 4, par. 3.6.). In effetti, se la pubblicazione del bando e/o dell’avviso assicura una trasparenza adeguata per consentire l’apertura al mercato e, quindi, la deroga al divieto di invito e affidamento al fornitore del servizio uscente, ciò vale indipendentemente dal tipo di procedura prescelta (indagine di mercato con sollecitazione di manifestazioni di interesse o pubblicazione di un avviso/bando per la presentazione di offerte);
Ritenuto che, in tale ottica, devono essere evitati approcci ermeneutici eccessivamente formalistici del principio di rotazione, destinati praeter legem compromettere il buon andamento dell’azione amministrativa, laddove, come accade nel caso in esame, si finirebbe per aggiudicare il servizio all’unico concorrente rimasto in gara, contravvenendo, non senza contraddizione, proprio al principio di concorrenza assunto come postulato della tesi di parte resistente;
Ritenuto, alla stregua delle ragioni suesposte, che:
– la decisione dell’Amministrazione resistente di escludere xxx per violazione del principio di rotazione non è, dunque, conforme a legge;
A cura di giurisprudenzappalti.it del 31/07/2023 di Roberto Donati
La Normativa Antimafia.
Cosa c'era prima di ANAC?
L'Autorità nazionale anticorruzione (ANAC) nasce dalla trasformazione di un altro organismo pubblico, ossia la Commissione per la valutazione, la trasparenza e l'integrità delle amministrazioni pubbliche (CIVIT), creata nel 2009 (art. 13 del D.
Cosa vuol dire ANAC?
L'autorità nazionale anticorruzione (Anac) è un'autorità amministrativa indipendente il cui compito è quello di prevenire fenomeni corruttivi nell'ambito delle pubbliche amministrazioni (pa) e delle società partecipate e controllate.
Chi fa il Piano nazionale anticorruzione?
Il Piano Nazionale Anticorruzione 2022 (Pna), approvato dal Consiglio dell'Anac il 16 novembre 2022 e in attesa del parere dell'apposito Comitato interministeriale e della Conferenza Unificata Stato Regioni Autonomie locali, avrà validità per il prossimo triennio.
Chi è il responsabile per la trasparenza?
Il responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza è individuato tra i dirigenti. Laddove possibile, è altamente consigliato attribuire l'incarico di RPCT in capo a dirigenti di prima fascia, o equiparati. Negli enti locali, per specifica disposizione legislativa
Chi nomina il responsabile della trasparenza?
Pertanto, la competenza della nomina dell'RPCT spetta all'organo di indirizzo e, inoltre, tale figura deve essere prevista nell'organigramma dell'amministrazione con proprie funzioni, poteri, limiti e responsabilità.16 ma
Quale è la durata del piano anticorruzione?
Il Piano Triennale di Prevenzione della corruzione e della trasparenza, contenente la programmazione delle misure di prevenzione della corruzione da attuare nel triennio successivo deve essere adottato entro il 31 gennaio di ogni anno.
Cosa va pubblicato in trasparenza?
La trasparenza consiste nella pubblicità di atti, documenti, informazioni e dati propri di ogni amministrazione, resa oggi più semplice e ampia dalla circolazione delle informazioni sulla rete internet a partire dalla loro pubblicazione sui siti istituzionali delle amministrazioni.
Quali sono le 4 aree di rischio obbligatorie comuni a tutte le amministrazioni?
L'ALLEGATO 2 al PNA sotto la rubrica "Aree di rischio comuni e obbligatorie" individua"
A ) Area: acquisizione e progressione del personale
1. Reclutamento
2. Progressioni di carriera
3. Conferimento di incarichi di collaborazione;
B) Area: affidamento di lavori, servizi e forniture
Che differenza vi è tra trasparenza e pubblicità?
Secondo questa dottrina, la pubblicità non coincide con la trasparenza, anche se ne costituisce uno dei possibili elementi. La pubblicità è un mero stato di fatto dell'atto, dell'organizzazione o del procedimento, mentre la trasparenza è – come detto – chiarezza e comprensibilità dell'azione amministrativa.
Che differenza c'è tra amministrazione trasparente e albo pretorio?
Albo pretorio: cos'è? La pubblicazione di atti e provvedimenti all'interno dell'albo pretorio on-line non va confusa con quella effettuata all'interno della sezione Amministrazione Trasparente, per assolvere invece gli obblighi di pubblicazione previsti dal Decreto Trasparenza.
Chi controlla l'amministrazione trasparente?
Il Responsabile per la prevenzione della corruzione e della trasparenza svolge attività di controllo sull'adempimento da parte dell'amministrazione degli obblighi di pubblicazione assicurando completezza, chiarezza e aggiornamento delle informazioni pubblicate.
Quali poteri ha l'Anac in materia di Inconferibilità e incompatibilità?
Anzitutto, vale evidenziare che anche nella materia della inconferibilità e incompatibilità degli incarichi, individuata quale misura di prevenzione della corruzione, l'Anac esercita il suo generale potere di regolazione, che si inquadra in quello di indirizzo sulle misure di prevenzione della corruzione nei confronti ...
Che cos'è la dichiarazione di incompatibilità?
Dichiarazione insussistenza cause inconferibilità e incompatibilità incarico. All'atto del conferimento dell'incarico, il dirigente presenta una dichiarazione sulla insussistenza di una delle cause di inconferibilità e, annualmente, una dichiarazione sulla insussistenza di una delle cause di incompatibilità.
Qual è la differenza tra Inconferibilità e incompatibilità di incarichi?
Nelle ipotesi di inconferibilità il RPCT dichiara la nullità dell'incarico, nelle ipotesi di incompatibilità dichiara la decadenza dell'incarico conferito se non avviene la scelta, da parte del soggetto interessato, entro 15 gg dalla contestazione.
Che cosa si intende per incompatibilità nel pubblico impiego?
Il dipendente pubblico non può esercitare il commercio, l'industria, le professioni, assumere impieghi alle dipendenze di privati o accettare cariche in società costituite a fine di lucro, tranne che si tratti di cariche in società o enti per le quali la nomina è riservata allo Stato.14 dic 2021
Ai sensi dell’art. 1 del d.lgs. n. 39/2013, comma 1, lett. g), per inconferibilità s’intende «la preclusione, permanente o temporanea, a conferire gli incarichi previsti dal presente decreto a coloro che abbiano riportato condanne penali per i reati previsti dal capo I del titolo II del libro secondo del codice penale, a coloro che abbiano svolto incarichi o ricoperto cariche in enti di diritto privato regolati o finanziati da pubbliche amministrazioni o svolto attività professionali a favore di questi ultimi, a coloro che siano stati componenti di organi di indirizzo politico».
NORMATIVA ANTIMAFIA APPALTI.
L'informazione antimafia si caratterizza per una più ampia portata rispetto alla comunicazione antimafia, in quanto essa presuppone, oltre all'accertamento dell'inesistenza delle cause ostative previste tassativamente dall'articolo 67, anche l'accertamento dell'inesistenza di situazioni di infiltrazione mafiosa...
Quindi, un primo punto fermo è che di regola la documentazione antimafia non va chiesta sotto i 150.000 euro. E' inutile dire che il frazionamento dei contratti per restare sotto questo importo è vietato.
NORMATIVA ANTIMAFIA APPALTI: L’ANAC DIFFONDE IL MANUALE PER IMPRESE E PA. Da app.tuttogare.it
A rispondere ai dubbi più comuni in tema di esclusione dalle gare e applicazione delle norme antimafia agli appalti pubblici è l’ANAC.
Normativa Antimafia Appalti, dall’ANAC arriva la guida per le Imprese e le PA con la rassegna delle interpretazioni fornite dall’Autorità sull’impatto delle norme antinfiltrazione per gare e cantieri.
Infatti, come è noto, gli operatori economici che intendono concorrere all’affidamento dei contratti pubblici devono possedere non solo le specifiche capacità tecniche-professionali ed economico-finanziarie necessarie per eseguire il contratto e disciplinate dall’art. 83 del d.lgs. 50/2016.
Ma devono essere in regola anche con i requisiti di moralità, individuati dall’art. 80 del d.lgs. 50/2016.
Normativa Antimafia Appalti: l’ANAC fornisce il manuale per Imprese e PA
Tra le novità in esame si segnala la previsione in virtù del quale la sussistenza di cause
di decadenza,
di sospensione
o di divieto previste dall’art. 67 del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159 (c.d. “codice antimafia”)
oppure ancora di un tentativo di infiltrazione mafiosa di cui all’art. 84, comma 4, d.lgs. 159/2011,
costituisce motivo ostativo alla partecipazione alle gare e, quindi, all’affidamento di contratti pubblici.
Questo nuovo precetto ha il pregio di aver raccordato la disciplina del d.lgs. 159/2011 con quella del d.lgs. 50/2016. In tal modo si fa chiarezza circa il corretto inquadramento degli strumenti di controllo antimafia nell’ambito della contrattualistica pubblica sia in fase di gara sia in fase di esecuzione.
Dunque da un lato il primo comma dell’art. 80 del d.lgs. 50/2016 richiede che i fatti siano stati accertati dall’autorità giudiziaria con sentenza definitiva o decreto penale divenuto irrevocabile.
Mentre per il secondo comma è sufficiente una considerazione unitaria degli elementi di fatto che, valutati nel loro complesso, possono costituire un’ipotesi ragionevole e probabile di permeabilità della singola impresa ad ingerenze della criminalità organizzata di stampo mafioso.
Infine, l’ANAC, in merito all’annotazione dell’interdittiva antimafia nel casellario informatico ha sottolineato che la sua adozione rappresenta una misura anticipata a protezione degli appalti pubblici.
E più in generale è uno strumento di tutela dell’attività della pubblica amministrazione, al fine di prevenire ogni possibile inquinamento da parte di organizzazioni mafiose.
Pertanto l’annotazione sul casellario informatico ha la funzione di informare tutte le amministrazioni aggiudicatrici circa l’esistenza di una causa, allo stesso tempo, ostativa alla partecipazione alle procedure di gara e risolutiva dei contratti già in essere. A cura di lentepubblica.it del 06.02.2020
LA NORMATIVA ANTIMAFIA NEGLI APPALTI PUBBLICI. Da old.ancebrescia.it
Si ritiene opportuno pubblicare un breve sunto della vigente normativa "antimafia" negli appalti pubblici, riepilogando gli adempimenti che tale normativa pone a carico delle imprese esecutrici di lavori pubblici. L'opportunità di riepilogare le norme antimafia è dettata non dalla emanazione di nuove leggi bensì dall'esigenza di unificare disposizioni rinvenibili in una frammentaria legislazione che, a partire dalle prime leggi del 1982, incide sul medesimo tema con pesanti ripercussioni per la gestione di pubblici appalti.
È opportuno ricordare che la normativa in commento è stata oggetto di modifiche, da ultimo previste nella legge di riforma degli appalti pubblici, legge "Merloni" n. 109/94; altre modifiche dovrebbero essere contenute nei decreti e regolamenti attuativi previsti dalla citata legge n. 109 e soprattutto nella "Merloni-ter" in discussione nelle aule parlamentari.
Il riepilogo segue un ordine temporale partendo dalla fase iniziale della richiesta di partecipazione alla gara per arrivare alla gestione del lavoro con le problematiche connesse a subappalti, noli e contratti di fornitura; il tutto corredato da fac-simili e modelli di dichiarazioni.
1) RICHIESTA DI INVITO PER PARTECIPARE ALLA GARA
Non è previsto nessun adempimento
2) PARTECIPAZIONE ALLA GARA
- Indicazione da effettuare in sede di offerta circa i futuri subappalti o cottimi
(Art. 18 Legge 55 del 19-1-90 - art. 34 D.Lgs. 406 del 19-12-91 - D.M. 31-3-1992 - art.34 Legge 109 del 11-2-94).
L'impresa deve indicare all'atto dell'offerta le opere che intende subappaltare o concedere in cottimo. Tale indicazione risulta pertanto presupposto necessario per poter ottenere in corso d'opera l'autorizzazione al subappalto o al cottimo.
Unitamente alle opere che si intende subappaltare vanno indicati i nominativi, da due a sei, di ditte tra le quali si individuerà il proprio subappaltatore (nel caso venga indicato un solo nominativo deve essere allegato il relativo certificato di iscrizione all'A.N.C. o alla C.C.I.A.A., se il subappalto non supera i 75milioni).
In merito alla disciplina del subappalto si tenga conto di quanto indicato al successivo punto 6.A1.
Il fac-simile n. 1 riporta lo schema di dichiarazione, da rendere in carta libera e da allegare alla documentazione inerente la partecipazione alla gara, che le imprese potranno utilizzare, apportando le variazioni ritenute necessarie a seconda della tipologia del lavoro da sub-appaltare.
- Dichiarazione circa gli oneri relativi alla redazione dei piani di sicurezza (Allegati al D.P.C.M. 55 del 10-1-1991)
Il bando di gara per appalti pubblici di qualsiasi importo dovrebbe correttamente prevedere "la richiesta all'offerente di specificare che l'offerta tiene conto degli oneri previsti per i piani di sicurezza".
Il fine della norma è quello di evitare che l'appaltatore possa avanzare istanza per vedersi riconosciuti gli oneri relativi non tanto all'attuazione delle misure previste nel piano di sicurezza, che verrà redatto ad aggiudicazione avvenuta ed alle cui previsioni dovrà comunque attenersi per il rispetto delle norme che regolano la materia, ma per la materiale redazione di tale documento.
Tale dichiarazione potrà anche essere redatta in unica soluzione con altre attestazioni previste dal bando. In tal caso l'imposta di bollo sarà quella prevista per tali attestazioni. Se redatta separatamente quale unica dichiarazione su foglio singolo, si ha motivo di ritenere che sia esente da imposta di bollo, similmente alla dichiarazione di sopralluogo e remuneratività dei prezzi per la quale gli organi competenti hanno asserito il non assoggettamento all'imposta di bollo in quanto atto unilaterale del soggetto offerente.
Il fac-simile n. 2 riporta una traccia di dichiarazione resa non unitamente ad altre.
3) STIPULA DEL CONTRATTO
La documentazione da predisporre per poter sottoscrivere il contratto d'appalto consiste in:
A) Certificazione antimafia
(Art. 7 Legge 55 del 19-3-90 - Art. 20 Legge 203 del 12-7-1991 - D. Lgs. 490 del 10 agosto 1994 - Art.2 Legge 95 del 29-3-1995 - Art. 15 D.L. n. 67 del 25/3/97 convertito in L. n. 135 del 23/5/97)
In estrema sintesi il quadro risultante dopo l'emanazione del decreto legislativo 490/94 in tema di certificazione antimafia è il seguente:
A) relativamente alla stipula dei contratti d'appalto:
- contratti fino a 50 milioni: non è richiesta nessuna verifica né certificazione;
- contratti da 50 milioni di lire a 5.000.000 di ECU per lavori dichiarati urgenti o per contratti concernenti rinnovi: è richiesta l'autocertificazione dell'appaltatore (vedi fac-simile n. 3) in attesa che la stazione appaltante verifichi negli archivi della prefettura il requisito di "non mafiosità";
- contratti da 50 milioni di lire a 5.000.000 di ECU per lavori non urgenti o non concernenti rinnovi: è richiesta la verifica effettuata dall'ente o mediante collegamento telematico con la Prefettura o mediante apposita richiesta scritta alla Prefettura;
- contratti pari o superiori a 5.000.000 di ECU: l'ente appaltante deve richiedere la certificazione alla Prefettura.
B) relativamente all'autorizzazione di contratti di subappalto e dei subcontratti di fornitura o servizi:
- per importi fino a 50 milioni: non è richiesta alcuna verifica né certificazione;
- per importi da 50 a 200 milioni per lavori o prestazioni dichiarate urgenti: è richiesta l'autocertificazione del subcontraente (vedi fac-simile n. 3) in attesa che la stazione appaltante verifichi negli archivi della prefettura il requisito di "non mafiosità";
- per importi da 50 a 200 milioni per lavori e prestazioni non urgenti: è richiesta la verifica effettuata dall'ente o mediante collegamento telematico con la Prefettura o mediante appo-sita richiesta scritta alla Prefettura;
- per importi superiori a 200 milioni: l'ente appaltante deve richiedere la certificazione alla Prefettura.
La circolare del Ministero degli Interni del 14-12-1994, n.559/Leg./240.514.3, precisa in ordine alle autocertificazioni (fac-simile 3) -che, nei casi di urgenza, consentono alle amministrazioni tenute a chiedere le comunicazioni di procedere ugualmente alla stipula dei con-tratti o subcontratti relativi a lavori o forniture o di concessione di opere, beni e servizi pubblici - che "l'urgenza è desunta dalla disciplina che li riguarda, ovvero è dichiarata o riconosciuta dall'amministrazione o ente pubblico interessati". Tali dichiarazioni possono rientrare in quelle "sostitutive" previste dal l'art. 2 della legge n. 15/1968 che ora (alla luce della soppressione del 2° comma di tale articolo disposta dal comma 10 dell'art. 3 della legge "Bassanini-2" n. 127/97) possono essere rese senza firma autentica e perciò anche senza il bollo.
È previsto inoltre che in caso di lavori di somma urgenza le Amministrazioni possano procedere alla consegna dopo aver richiesto le prescritte informazioni al Prefetto.
Se l'esito delle verifiche fa emergere tentativi di infiltrazioni mafiose i contratti ed i subcontratti non possono esseri stipulati, approvati o autorizzati.
Nei casi di somma urgenza, se le cause di divieto o gli elementi di infiltrazione mafiosa so-no accertati successivamente alla stipula del contratto l'Amministrazione appaltante può recedere dal contratto. In tali casi è fatto salvo il pagamento del valore delle opere già eseguite ed il rimborso delle spese sostenute per l'esecuzione del rimanente, nei limiti delle utilità conseguite.
La certificazione antimafia deve essere acquisita dall'ente appaltante presso la Prefettura territorialmente competente in funzione della residenza o sede delle persone fisiche o giuri-diche interessate. Qualora il rapporto con la P.A. riguardi un'articolazione secondaria delle imprese, società o consorzi interessati, avrà invece rilievo, ai fini della competenza territo-riale, la sede di tale articolazione.
La stessa circolare ha inoltre opportunamente sottolineato che la richiesta di comunicazione va evitata quando l'Amministrazione sia già in possesso dei dati riguardanti gli stessi soggetti, sia pure in relazione ad altro procedimento (ciò in conformità alle esigenze di semplificazione dell'azione amministrativa).
La certificazione deve essere acquisita :
- a carico di ogni direttore tecnico risultante dal certificato di iscrizione all'Albo Nazionale dei Costruttori;
- a carico della società;
- per le società di capitali, anche consortili ai sensi dell'art. 2615-ter del codice civile, per le società cooperative, per i consorzi cooperativi, ovvero per i consorzi di cui al libro V, titolo X, capo II, sezione II del codice civile, nei confronti del legale rappresentante e degli eventuali altri componenti l'organo di amministrazione, nonché di ciascuno dei consorziati che nei consorzi e nelle società consortili detenga una partecipazione superiore al 10 per cento, e di quei soci o consorziati per conto dei quali le società consortili o i consorzi operino in modo esclusivo nei confronti della pubblica amministrazione;
- per i consorzi di all'art. 2602 del codice civile nei confronti di chi ne ha la rappresentanza e degli imprenditori o società consorziate ;
- se trattasi di società in nome collettivo nei confronti di tutti i soci;
- se trattasi di società in accomandita semplice, nei confronti dei soci accomandatari ;
- se trattasi delle società di cui all'articolo 2506 del codice civile, la certificazione è richiesta nei confronti di coloro che le rappresentano stabilmente nel territorio dello Stato.
Il decreto-legge n. 67/97, convertito nella legge n. 135 del 23/5/1997, introducendo alcune modifiche al decreto legislativo 490/94, ha posto l'obiettivo di pervenire ad un collegamento telematico tra le prefetture e le camere di commercio, in modo che le certificazioni di queste ultime possano sostituire quelle prefettizie.
La stessa norma ha altresì previsto che nel caso di diniego all'approvazione di un contratto sulla base di riscontri informatici o telematici con le prefetture, l'interessato possa richiede-re direttamente alla Prefettura, previa comunicazione al soggetto appaltante, la relativa comunicazione "antimafia" a proprio carico.
Per quanto concerne l'efficacia temporale delle comunicazioni prefettizie la norma da ultimo ricordata, in accordo con l'art. 2, comma 3, della legge "Bassanini-2", n. 127/97, ha preci-sato che "le segnalazioni e le comunicazioni sono utilizzabili per un periodo di sei mesi dalla data del loro rilascio" e che "per i contratti e gli altri rapporti di durata superiore al biennio esse devono essere rinnovate almeno ogni diciotto mesi".
Da ultimo l'art. 15 della legge 135/97 prevede che "anche fuori del caso di lavori o forniture di somma urgenza, le amministrazione possono procedere (alla stipula dei contratti) qualora le informazioni non pervengano (dalla Prefettura) nei termini previsti" (e cioè entro15 giorni - comma 4, art. 4, D.Lgs. 490/94). In tale caso la stipula del contratto d'appalto è sottoposta a condizione risolutiva, qualora successivamente, dalla comunicazione prefetti-zia emergano segnalazioni circa la sussistenza delle cause di divieto o di sospensione dei procedimenti previste dalle norme "antimafia".
B) Comunicazione circa la composizione azionaria (Art. 1 D.P.C.M. 187 dell'11-5-91)
Le società per azioni, in accomandita per azioni a responsabilità limitata, le società cooperative per azioni o a responsabilità limitata, le società consortili per azioni o a responsabilità limitata aggiudicatarie di opere pubbliche, ivi comprese le concessionarie e le subappaltatrici, devono comunicare (vedi fac-simile n. 4) all'amministrazione committente o conce-dente, prima della stipula del contratto o della convenzione, la propria composizione socie-taria, l'esistenza di diritto reali di godimento o di garanzia sulle azioni "con diritto di voto" sulla base delle risultanze del libro dei soci, delle comunicazioni ricevute e di qualsiasi altro dato a propria disposizione, nonché l'indicazione dei soggetti muniti di procura irrevocabile che abbiano esercitato il voto nelle assemblee societarie nell'ultimo anno o che ne abbiano comunque diritto.
Qualora il soggetto aggiudicatario, concessionario o subappaltatore sia un consorzio, esso è tenuto a comunicare i dati riferiti alle singole società consorziate che comunque partecipino alla progettazione ed all'esecuzione dell'opera.
Le imprese ed i consorzi sono tenuti alla conservazione, per cinque anni, delle copie delle note di trasmissione e dei relativi dati.
C) Compilazione del modello GAP
(Art. 1 Legge 726 del 12-10-82 - Circolari Ministero Interni: 558/GA 10/S.2 del 28-1-83 - 558/c/6 A.9/11)
Per gli appalti di importo superiore a 100 milioni di lire sussiste l'obbligo per l'appaltatore di compilare il modulo GAP predisposto dall'Alto Commissario per il coordinamento della lotta alla delinquenza mafiosa.
Il modulo (che può essere utilizzato fotocopiando quello riprodotto in allegato alla presente nota) deve essere compilato nella solo parte inerente i dati dell'impresa aggiudicataria.
4) INIZIO DEI LAVORI
A) Denuncia di inizio lavori
(Art. 18 - comma 7 - Legge 55 dei 19-3-90 - art. 9 D.P.C.M. 55 del 10-1-91)
La documentazione di avvenuta denuncia agli enti previdenziali - inclusa la cassa edile - assicurativi ed infortunistici deve essere presentata prima dell'inizio dei lavori e comunque entro trenta giorni dalla data del verbale di consegna.
Si tratta cioé di trasmettere all'ente committente la copia della comunicazione dell'inizio dei lavori usualmente già predisposta per ogni cantiere nei confronti dell'INAIL, nonché di quelle all'uopo predisposte nei confronti dell'INPS e della CAPE indicando l'oggetto dell'appalto e l'ubicazione del cantiere.
B) Redazione dei piani di sicurezza
(Art. 18 - comma 8 - Legge 55 del 19-3-90 - art. 9 D.P.C.M. 55 del 10-1-91)
La normativa prevista dal citato articolo 18 della legge n. 55/90 in tema di redazione dei piani di sicurezza è stata interamente rivisitata dai decreti legislativi n. 626/94 e n. 494/96, che qui non vengono commentati in quanto esulano dalla materia in commento.
5) ADEMPIMENTI IN CORSO LAVORI
A) Trasmissione copia dei versamenti contributivi
(Art. 18 - comma 7 - Legge 55 del 19-3-91 - art. 9 D.P.C.M. 55 del 10-1-91)
La trasmissione delle copie dei versamenti contributivi, previdenziali ed assicurativi, nonché di quelli dovuti agli organismi paritetici previsti dalla contrattazione collettiva (CAPE), dovrà essere effettuata con cadenza quadrimestrale. Il direttore dei lavori ha tuttavia facoltà di procedere alla verifica di tali versamenti in sede di emissione dei certificati di pagamento.
L'obbligo riguarda sia i versamenti contributivi della ditta appaltatrice che quelli delle imprese subappaltatrici.
B) Comunicazione circa la variazione della composizione societaria
(Art. 2 - D.P.C.M. 187 dell'11-5-91)
Le amministrazioni committenti chiedono, in corso d'opera, alle ditte appaltatrici (se costituite sotto forma di società per azioni, o in accomandita per azioni, di società a responsabilità limitata, di società consortili, o di società cooperative per azioni o responsabilità limitata) se siano intervenute variazioni nella composizione societaria di entità superiore al 2% ri-spetto alla comunicazione fornita per la stipula del contratto di appalto o di subappalto.
6) SUBAPPALTI
(Art. 21 legge 646 del 13-9-82; Art. 18 Legge 55 del 19-3-90; D.P.C.M. del 10-1-91 - art. 34 D.Lgs. 406 del 19-12-91 - D. Lgs 490 del 10-8-1994; art. 34 legge 11-2-94 n. 109/94; art. 2 legge 246 del 28-6-95)
Il regime dei subappalti è diversificato a seconda che all'appalto risulti o meno applicabile l'art. 34 della legge quadro sulle opere pubbliche, legge 109/94.
Sono vincolati al citato articolo 34 della legge 109/94 gli appalti la cui progettazione sia stata affidata a partire dal 3-6-95 e tutti quelli ove il relativo bando di gara sia stato pubblicato a partire dal 31-1-1997.
Primo presupposto perché in corso lavori si possa ricorrere all'esecuzione di parti di opere in regime di subappalto è che unitamente all'offerta venga presentata un'apposita dichiara-zione ove si espliciti anticipatamente l'opzione per il subappalto.
La dichiarazione in parola si pone come requisito necessario per procedere all'affidamento di parti di opere in regime di subappalto, ma non attiene ai requisiti per l'ammissione alla gara; la mancata presentazione di tale dichiarazione inibisce la possibilità di ricorrere al subappalto, ma non porta all'esclusione dal procedimento di aggiudicazione.
La non corretta formulazione di tale dichiarazione perciò, lungi dal comportare un'esclusione dalla gara, può essere al più motivo ostativo al subappalto.
A1) Appalti vincolati all'art. 34 legge 109/94
Il regime dei subappalti nel contesto di lavori cui risulti applicabile l'art. 34 della legge quadro delle opere pubbliche, legge n. 109/94, come detto si differenzia da quello dei lavori aggiudicati nella vigenza della precedente normativa
Soggetti alla legge "Merloni" n. 109/94, come già ricordato, sono tutti i lavori che sono stati messi in appalto "a valle" di progettazioni i cui incarichi formali siano intervenuti a far data dal 3 giugno 1995 come pure di quei lavori che, sebbene riferentisi a progetti precedenti il 3 giugno 1995, sono stati messi in gara con bandi pubblicati successivamente al 31-1-1997. (Per le trattative private, in luogo del bando deve farsi riferimento alla data di presentazione delle offerte).
Nel contesto di tali appalti non risulta necessario richiedere alcuna autorizzazione all'ente committente, in quanto rimane valida l'indicazione già espressa in sede di offerta, che si appalesa come autorizzazione a seguito dell'aggiudicazione.
In tale occasione vige infatti l'obbligo di indicare unitamente alla presentazione dell'offerta, in apposita dichiarazione, i lavori che ci si riserva di subappaltare con l'indicazione di un massimo di sei nominativi di ditte, tra le quali si individuerà il proprio subappaltatore (nel caso venga indicato un solo nominativo deve esser allegato il relativo certificato di iscrizione all'A.N.C., o alla C.C.I.A.A. per subappalti di importo inferiore ai 75 milioni). La norma poi prevede la possibilità di ottenere un'autorizzazione dall'Autorità per la vigilanza sui lavori pubblici circa il ricorso ad un subappaltatore diverso da quelli inizialmente indicati.
Per quel che riguarda questo aspetto di problematicità della norma, e cioè l'autorizzazione da parte dell'Autorità per potersi avvalere, ai fini dell'affidamento di subappalti, di soggetti diversi da quelli indicati in sede di offerta, non si ritiene sostenibile la tesi secondo cui fino a che l'Autorità non sia operativa non si può derogare dall'indicazione formulata in gara (e cioè, o si utilizza uno dei nominativi indicati, o si procede all'esecuzione diretta). La facoltà di variazione dei subappaltatori prevista ex lege non può essere invero disconosciuta e quindi si può ritenere che debba esser comunque concessa all'impresa che lo richieda. In sostituzione dell'Autorità di vigilanza sui lavori pubblici, e fino alla sua costituzione, deve valere la normativa previgente, che prevedeva l'obbligo per l'appaltatore di richiedere al committente l'autorizzazione al subappalto indicando in quel momento il subappaltatore prescelto. Lo stesso principio di autotutela dell'amministrazione impone di ricorrere a tale procedura per evitare che, sempre e solo in casi di "accertata impossibilità" a ricorrere ai subappaltatori inizialmente indicati, il lavoro appaltato non possa essere realizzato.
Si ritiene pertanto che, nel solo caso di "accertata impossibilità" a rivolgersi alle ditte indicate in sede di offerta, competa all'ente committente pronunciarsi sulla richiesta di variazione del subappaltatore, fintanto che non venga costituita l'Autorità.
L'articolo 34 della legge n. 109/94 pone poi un vincolo alle opere che ricadono nell'ambito della categoria prevalente, le quali risultano subappaltabili nel limite massimo del 30%, o di quello eventualmente diverso ma non superiore a tale entità definito per ciascuna categoria di lavori da un apposito regolamento.
Tutte le opere che non ricadono nell'ambito della categoria prevalente non hanno limiti quantitativi di subappaltabilità e possono pertanto essere affidate interamente in regime di subappalto.
Prima di affidare una parte dei lavori in subappalto è necessario:
- trasmettere al soggetto committente idoneo certificato di iscrizione all'A.N.C. (o alla C.C.I.A.A. per importi contenuti entro i 75 milioni) del subappaltatore, salvo il caso in cui, avendo indicato all'atto dell'offerta un unico subappaltatore, tale certificato sia stato già al-legato unitamente all'indicazione delle opere da subappaltare in sede di gara.
- trasmettere la dichiarazione di non controllo di cui al successivo punto B).
- trasmettere l'eventuale dichiarazione sostitutiva "antimafia" (come da successivo fac-simile n. 3) nel caso di urgenza in attesa che l'ente committente proceda alle necessarie verifiche;
Circa il momento in cui procedere a tali adempimenti va peraltro ricordato l'obbligo, meglio descritto al successivo punto D), di trasmettere entro 90 giorni dalla data della gara di aggiudicazione dei lavori copia dei contratti di subappalto. Si ritiene pertanto che la documentazione sopra ricordata possa essere trasmessa al committente unitamente alla copia del relativo contratto di subappalto.
Concludendo si suggerisce alle imprese, per i lavori vincolati all'applicazione dell'articolo 34 della legge 109/94, di citare sempre, in apposita dichiarazione da allegare all'offerta, le opere che si intende subappaltare, provvedendo, nei casi in cui l'art. 34 della legge 109/94 risulti applicabile, a segnalare per ciascuna di esse da due a sei nominativi di ditte tra le quali verrà scelto, al momento di procedere all'esecuzione delle opere, il relativo subappaltatore. Qualora venisse segnalato un solo nominativo, è fatto obbligo di allegare, in sede di offerta, la relativa documentazione prevista dalle norme antimafia per conseguire l'autorizzazione al subappalto.
Si richiama l'attenzione delle imprese circa l'importanza di presentare sempre (anche quando si preveda di poter realizzare le opere interamente in proprio senza dover ricorrere a subappaltatori), insieme all'offerta, la citata dichiarazione circa i futuri subappalti, riportando in essa tutte le opere facenti parte dell'appalto. In tal modo l'impresa offerente non assume un obbligo di effettuare le opere ricorrendo a subappalti (se lo riterrà più opportuno potrà realizzarle interamente da sola), ma rinvia ad un momento successivo la scelta.
A2) Richiesta di autorizzazione al subappalto per appalti precedenti l'applicazione dell'art. 34 legge 109/94
Come già detto si tratta di quei lavori che ricadono in una delle due seguenti fattispecie:
- lavori aggiudicati tra il 1/1/1993 ed il 3/6/1995 (quelli aggiudicati prima del 1/1/93 ricadono sotto il regime inizialmente fissato dall'art. 18 della legge n. 55/90 con il limite quantitativo del 40% delle opere subappaltabili) ;
- lavori aggiudicati tra il 3/6/95 ed il 31/1/1997 purchè il relativo affidamento della progetta-zione sia precedente il 3/6/1995.
Per i citati appalti la norma prevede in via di principio che le imprese, le associazioni, i consorzi aggiudicatari sono tenuti a eseguire in proprio le opere o i lavori compresi nel con-tratto.
Possono altresì procedere alla stipula di contratti di subappalto comunicando all'amministrazione o ente appaltante i nominativi dei soggetti cui intendono subappaltare o dare in cottimo i lavori (vedi fac-simile n. 5).
L'affidamento in subappalto o in cottimo di qualsiasi parte delle opere o dei lavori pubblici compresi nell'appalto è consentito qualora sussistano le seguenti condizioni:
1) che le opere da subappaltare o da affidare in cottimo, ivi compresi gli impianti e lavori speciali, non siano pari alla totalità dei lavori della categoria prevalente;
2) che l'impresa affidataria del subappalto o del cottimo sia iscritta all'albo nazionale dei costruttori per categorie e classifiche di importo corrispondenti ai lavori da realizzare in subappalto, salvo per i lavori di importo non superiore a 75 milioni per i quali, secondo la legislazione vigente, è sufficiente per eseguire lavori pubblici l'iscrizione alla Camera di commercio, industria, artigianato, e agricoltura;
3) che non sussista, nei confronti dell'impresa affidataria del subappalto o del cottimo, alcuno dei divieti previsti dalla normativa "antimafia" (all'articolo 10 della legge 31 maggio 1965, n. 575);
4) che l'impresa abbia indicato all'atto dell'offerta le opere che intenda subappaltare o con-cedere in cottimo e, per i lavori ad alta specializzazione di cui alle categorie A.N.C. 19 b, 19 c, 19 d, 19 e, una o più imprese subappaltatrici candidate ad eseguire tali opere.
Alla comunicazione inerente il subappalto deve essere allegato, oltre alla certificazione antimafia ed alla dichiarazione di non controllo più oltre richiamata, il certificato di iscrizione all'A.N.C. o, a seconda dei casi, alla Camera di Commercio.
Il contratto di subappalto potrà stipularsi dopo l'autorizzazione da darsi dall'amministrazione o ente appaltante entro trenta giorni dall'avvenuta comunicazione. Tale termine può essere prorogato una sola volta, ove ricorrano giustificati motivi. Trascorso tale termine senza che si sia provveduto, l'autorizzazione si intende concessa.
A3) Subappalto non autorizzato - sanzioni
L'importanza di segnalazione in sede di offerta dei futuri subappalti è collegata alle pesanti sanzioni cui è sottoposto il subappalto non autorizzato.
La concessione in subappalto o cottimo, in tutto o in parte, di opere pubbliche senza la prescritta autorizzazione (cui è equiparabile nell'attuale regime il subappalto affidato a ditte non indicate in sede di offerta) è infatti sanzionata nel seguente modo:
- per l'appaltatore: arresto da 6 mesi ad un anno e ammenda variabile da un minimo pari ad un terzo dell'importo delle opere concesse in subappalto, fino ad un massimo pari ad un terzo dell'importo delle opere assunte in appalto;
- per il subappaltatore: arresto da 6 mesi ad un anno ed ammenda pari ad un terzo dell'importo delle opere ricevute in subappalto o cottimo.
B) Dichiarazione inerente le forme di controllo tra la ditta appaltatrice e la subappaltatrice
In allegato alla richiesta di autorizzazione al subappalto o cottimo, oltre alla certificazione "antimafia" ed, a seconda dei casi, al certificato di iscrizione all'A.N.C. o alla C.C.I.A.A., de-ve essere presentata una dichiarazione circa la sussistenza o meno di eventuali forme di controllo o di collegamento tra l'impresa appaltatrice e la ditta subappaltatrice. Tale dichiarazione, resa in carta bollata, può essere redatta secondo il fac-simile n. 6.
Qualora sussistano forme di controllo o di collegamento tra l'appaltatore e l'impresa affidataria del subappalto o del cottimo, la dichiarazione va opportunamente modificata indicando tali forme.
C) Cartelli di cantiere
Nei cartelli esposti all'esterno del cantiere devono essere indicati anche i nominativi di tutte le imprese subappaltatrici, nonché i relativi dati di iscrizione all'Albo Nazionale Costruttori (numero di matricola, categoria e importo di iscrizione).
A tal fine il Ministero dei lavori pubblici ha emanato la circolare n. 1729/UL, dell'1-6-1990, con la quale ha predisposto uno schema indicativo di tali cartelli (vedi fac-simile n. 7). In essa è stabilito che nel cantiere dovrà essere installata e mantenuta durante tutto il periodo di esecuzione dei lavori, apposita tabella di dimensioni non inferiore a m 1,00 (larghezza) per m. 2,00 (altezza), collocata in sito ben visibile, indicato dal direttore dei lavori, entro cinque giorni dalla consegna dei lavori stessi.
Per le opere con rilevante sviluppo dimensionale, il direttore dei lavori dovrà altresì provvedere affinché venga installato un numero di tabelle adeguato alla estensione del cantiere.
Pur non essendo vincolante per gli altri enti pubblici, la circolare del ministero dei Lavori pubblici può essere considerata di generale riferimento.
D) Trasmissione copia del contratto di subappalto
Per i lavori che, come ricordato al punto A1, sono soggetti all'art. 34 della legge n. 109/94, l'impresa appaltatrice ha l'obbligo di trasmissione al committente, entro 90 giorni dalla data della gara di aggiudicazione dei lavori, di copia dei contratti di subappalto, corredati dai certificati di ciascun subappaltatore dell'iscrizione all'A.N.C. per categoria ed importo idoneo in relazione all'oggetto ed all'importo delle opere concesse in subappalto, ovvero di iscrizione alla C.C.I.A.A. per importi non superiori ai 75 milioni. È tenuta altresì alla comunicazione dei nominativi e dei relativi dati anagrafici circa i soggetti in capo ai quali l'ente ha l'obbligo di verificare le situazioni "antimafia" (legali rappresentanti - soci se si tratta di s.n.c. - nonchè eventuali altri componenti il consiglio di amministrazione, direttori tecnici riconosciuti all'Albo Nazionali Costruttori, nonché i relativi familiari, anche di fatto, conviventi).
Per i lavori di cui al precedente punto A2 il contratto tra l'impresa appaltatrice e quella sub-appaltatrice deve essere trasmesso in copia autentica (in carta semplice) all'amministrazione o ente committente e al direttore dei lavori entro venti giorni dalla data del contratto stesso.
E) Previsione di bando circa il pagamento diretto al subappaltatore o la trasmissione di copia delle fatture
Nel bando di gara l'amministrazione o ente appaltante deve indicare che provvederà a corrispondere direttamente al subappaltatore o al cottimista l'importo dei lavori dagli stessi eseguiti o, in alternativa, che è fatto obbligo ai soggetti aggiudicatari di trasmettere, entro venti giorni dalla data di ciascun pagamento effettuato nei loro confronti, copia delle fatture quietanzate relative ai pagamenti da essi aggiudicatari via via corrisposti al subappaltatore o cottimista, con l'indicazione delle ritenute di garanzia effettuate. Nel caso di pagamento diretto i soggetti aggiudicatari comunicano all'amministrazione o ente appaltante la parte dei lavori eseguiti dal subappaltatore o dal cottimista, con la specificazione del relativo importo e con proposta motivata di pagamento.
F) Prezzi unitari previsti dal contratto di subappalto
L'impresa aggiudicataria deve praticare, per i lavori e le opere affidate in subappalto, gli stessi prezzi unitari risultanti dall'aggiudicazione, con ribasso non superiore al venti per cento. Qualora venga sottoscritto un apposito elenco prezzi, lo stesso dovrà essere alle-gato alla copia del contratto di cui al punto D).
G) Disposizioni comuni a quelle previste per l'appalto
Si applicano ai contratti di subappalto disposizioni già previste e più sopra richiamate per l'appalto, e precisamente:
- la certificazione "antimafia" (o la relativa dichiarazione sostitutiva);
- comunicazione circa la composizione azionaria;
- compilazione del modello GAP (per la parte relativa ai "subappaltatori")
- denuncia di inizio lavori;
- redazione dei piani di sicurezza;
- trasmissione copia dei versamenti contributivi.
Per la trasmissione di atti e documenti all'ente committente i subappaltatori ricorrono di norma alla ditta appaltatrice.
7) NOLI A CALDO - CONTRATTI DI FORNITURA CON POSA IN OPERA
(Art. 22 Legge 203 del 12-7-91 - art. 34 Legge 109 del 11-2-94)
Ai fini della normativa antimafia e dei relativi adempimenti i noli a caldo (ovvero i noli di macchinari con l'operaio addetto alla manovra) come pure i contratti di fornitura (distinti dai contratti di appalto il cui oggetto è la realizzazione di un bene e non la fornitura di un mate-riale) sono equiparati ai subappalti allorquando l'importo imputabile alla manodopera sia prevalente rispetto a quello del solo materiale fornito, o del nolo.
Qualora viceversa vi sia una prevalenza del valore della fornitura effettuata rispetto al valo-re della manodopera impiegata, il relativo contratto non è soggetto alla medesima normati-va "antimafia" prevista per i subappalti.
Per gli appalti vincolati all'applicazione dell'art. 34 della legge 109/94 vige un diverso regi-me.
Come già ricordato al precedente punto 6.A1 sono vincolati al citato art. 34 gli appalti la cui progettazione sia stata affidata a partire dal 3-6-95 ed il cui bando sia stato pubblicato entro il 31/1/97, così come tutti quelli ove il relativo bando d'appalto sia stato pubblicato a partire dal 1-2-1997.
Per tali appalti è stato stabilito di assoggettare al medesimo regime previsto per i subappalti le attività che richiedano l'impiego di manodopera, quali le forniture con posa in opera e i noli, se singolarmente superiori al 2 per cento dell'importo complessivo dei lavori.
In ciascuno dei due regimi indicati è però necessaria la verifica dei requisiti di "non mafiosità" (a seconda dei casi dimostrata con la certificazione prefettizia o con la "autodichiarazione") come pure una apposita comunicazione al soggetto committente circa l'intenzione di procedere alla fornitura con posa in opera o al nolo a caldo.
8) NOLI A FREDDO - CONTRATTI DI FORNITURA
Ai fini della normativa antimafia e dei relativi adempimenti i noli a freddo (ovvero i noli di macchinari senza l'operaio addetto al loro funzionamento) ed i contratti di fornitura che non prevedono la posa in opera non sono equiparati ai subappalti.
Restando pertanto esclusi dall'applicazione delle norme antimafia non sono soggetti ad autorizzazione preventiva dell'ente committente, non sono vincolati ad alcuna formalità ed il soggetto che concede il nolo del proprio macchinario non è sottoposto alla verifica di "non mafiosità".
9) COTTIMO FIDUCIARIO O DI MOVIMENTO TERRA
L'articolo 20 della legge n. 109/94 prevede quali sistemi ordinari di aggiudicazione il pubblico incanto o la licitazione e quali sistemi eccezionali (cioè adottabili esclusivamente nei ca-si prevista da tale legge) l'appalto concorso e la trattativa privata. Non è pertanto più ipotizzabile il ricorso all'esecuzione di opere pubbliche tramite lo strumento del cottimo così co-me disciplinato dalle norme per gli appalti pubblici. Peraltro il cottimo sarebbe vincolato dalle medesime disposizioni antimafia previste per gli appalti, che pertanto non vengono qui ulteriormente ricordate.
Si rammenta che lo strumento del cottimo, normalmente poco utilizzato dagli enti pubblici sebbene previsto dalla normativa previgente la legge n. 109/94, non deve essere confuso con la fattispecie individuata dall'art.13 del contratto di lavoro del settore edile che disciplina le condizioni cui l'azienda deve attenersi nel caso in cui affidi ai propri dipendenti lavorazioni a cottimo individuale o collettivo.
Le fattispecie di cottimo prima previste dalla normativa sui lavori pubblici, e perciò vincolate dalle norme antimafia, erano quelle dei cottimo fiduciario (art. 67 R.D. 24-5-1895 n. 350), ove l'ufficio pubblico stipulava apposita convenzione con persona idonea di fiducia tanto per l'esecuzione di un lavoro che per le somministrazioni, e quella del cottimo per movimenti terra (art. 339 L. 20-3-1865 n. 2248 all. F) effettuato tra l'appaltatore ed il cottimista.
SOLITA CONCORSOPOLI ED ESAMOPOLI. I CONCORSI ED ESAMI DI STATO TRUCCATI. (Ho scritto un saggio dedicato)
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In Polizia.
Sicilia.
Puglia.
Lombardia.
Concorsi, limiti assunzionali e dotazioni organiche nella P.A. Camera dei Deputati Servizio Studi XVIII Legislatura su Camera.it il 22 luglio 2022
Tra gli interventi adottati negli ultimi anni in materia di pubblico impiego, si segnalano, in particolare, quelli diretti alla ridefinizione della disciplina della responsabilità disciplinare dei pubblici dipendenti (con l'obiettivo di rendere effettivo l'esercizio dell'azione disciplinare), alla limitazione delle facoltà assunzionali e al contenimento delle spese, nonché alla riforma del sistema di misurazione e valutazione della performance delle pubbliche amministrazioni (nella prospettiva della separazione tra trasparenza e performance). Si segnala poi, da ultimo, l'introduzione a regime di una nuova procedura semplificata per lo svolgimento dei concorsi pubblici relativi al reclutamento del personale delle pubbliche amministrazioni, nonché alcune norme transitorie per i concorsi, relativi al medesimo personale, banditi nel corso della fase emergenziale.
Dotazioni organiche nella P.A.
1. Facoltà assunzionali nelle amministrazioni dello Stato. Per quanto attiene alle amministrazioni dello Stato (ed altri enti ed organismi individuati di volta in volta) la disciplina della limitazione del turn over è stata caratterizzata dalla fissazione di percentuali massime di reintegrazione dei cessati e dal ripetuto prolungamento del periodo di applicazione delle limitazioni medesime.
Per quanto riguarda le modalità di calcolo delle cessazioni, un'importante novità è stata introdotta dal D.L. 90/2014, che ha eliminato (dal 2014) il vincolo alle assunzioni relativo alle percentuali di unità lavorative cessate nell'anno precedente (cd. limite capitario), mantenendo il solo criterio basato sui risparmi di spesa legati alla cessazioni di personale (peraltro con riferimento al solo personale di ruolo) avvenute nell'anno precedente.
Dal 2019, in generale, la percentuale del personale che si può assumere è pari al contingente corrispondente ad una spesa del 100% della spesa relativa al medesimo personale cessato nell'anno precedente, essendo terminata la precedente limitazione per il triennio 2016-2018. Si ricorda, infatti, che in tale periodo la percentuale di limitazione alle assunzioni di personale a tempo indeterminato non dirigenziale per specifiche amministrazioni dello Stato e per le regioni e gli enti locali sottoposti al patto di stabilità interno era stata ridotta, dall'articolo 1, commi 227-228, della L. 208/2015 (stabilità 2016), nel limite di un contingente di personale corrispondente ad una spesa pari al 25% di quella relativa al medesimo personale cessato nell'anno precedente (v. tabella).
La legge di bilancio 2019 (articolo 1, comma 399, della L. 145/2018 ) ha però disposto che, per il 2019, la Presidenza del Consiglio dei ministri, i Ministeri, gli enti pubblici non economici e le Agenzie fiscali, in relazione alle ordinarie facoltà di assunzione riferite al medesimo anno, non possano effettuare assunzioni di personale a tempo indeterminato con decorrenza giuridica ed economica anteriore al 15 novembre 2019.
Per le Università la suddetta limitazione si applicava con riferimento al 1° dicembre 2019 relativamente alle ordinarie facoltà di assunzione dello stesso anno. Sono inoltre fatti salvi gli inquadramenti nel ruolo di professore associato ai sensi dell'articolo 24, comma 5, della legge 240/2010, che possono essere disposti nel corso dell'anno 2019 al termine del contratto di ricercatore a tempo determinato di cui all'articolo 24, comma 3, lettera b), della stessa legge. Inoltre, la medesima legge di bilancio interviene in materia anche sotto altri aspetti.
Più nel dettaglio:
fissa determinati limiti di spesa per le assunzioni a tempo indeterminato in alcune amministrazioni, a valere sulle risorse del Fondo per il pubblico impiego, per la parte relativa alle nuove assunzioni a tempo indeterminato presso la P.A. (come rifinanziato dalla stessa legge di bilancio), disponendo nel contempo che vengano comunicati ai Dipartimenti della funzione pubblica e della Ragioneria generale dello Stato i dati concernenti le relative procedure concorsuali, nonché la spesa annua lorda per il trattamento economico complessivo (c. 301 e 302);
dal 2019, elimina il divieto di assunzioni per le amministrazioni che nell'anno precedente non hanno rispettato il pareggio di bilancio (comma 823). Sul punto, la circolare 3/2019 della Ragioneria generale dello Stato ha precisato che viene meno il sistema sanzionatorio diretto per il mancato rispetto dell'equilibrio di bilancio, ma permangono le sanzioni in caso di mancato rispetto dei limiti di spesa del personale. Nel documento si legge, infatti, che "le disposizioni normative in materia di spesa di personale che fanno riferimento alle regole del patto di stabilità interno o al rispetto degli obiettivi del pareggio di bilancio di cui all'articolo 9 della legge 24 dicembre 2012, n. 243 o, più in generale, degli obiettivi di finanza pubblica, si intendono riferite all'equilibrio di bilancio di cui all'articolo 1, comma 821, della legge 30 dicembre 2018, n. 145".
Per quanto concerne la disciplina previgente, si rinvia all'approfondimento al presente tema.
2. Facoltà assunzionali negli enti locali. A decorrere dal 2020, le facoltà assunzionali degli enti locali cd virtuosi sono disciplinate dall'articolo 33 del D.L. 34/2019. In particolare:
le regioni e i comuni che registrino una spesa di personale sostenibile da un punto di vista finanziario potranno assumere personale a tempo indeterminato sino ad una spesa complessiva per tutto il personale dipendente non superiore ad un determinato valore soglia, definito con decreto ministeriale);
le regioni e i comuni che, pur avendo intrapreso un percorso di graduale contenimento del rapporto fra spese per il personale ed entrate, dal 2025 non abbiano portato tale rapporto al disotto del citato valore soglia saranno legittimate ad applicare un turn over pari al 30 per cento, fino al conseguimento del medesimo valore soglia.
Per quanto concerne i comuni, la legge di bilancio 2020 (art. 1, c. 853, L. 160/2019) ha precisato che il decreto ministeriale chiamato a stabilire anche per gli stessi il predetto valore soglia, debba altresì stabilire un valore soglia superiore a quello prossimo al valore medio, cui sono tenuti a convergere i comuni con una spesa di personale eccedente anche la soglia superiore. Ai comuni che registrano un rapporto compreso tra i due valori soglia è fatto divieto di incrementare la spesa di personale registrata nell'ultimo rendiconto della gestione approvato. I comuni con popolazione fino a 5.000 abitanti (cioè i piccoli comuni) facenti parte di un'Unione di comuni, qualora si collochino al di sotto del valore soglia prossimo al valore medio, è consentito incrementare la spesa di personale a tempo indeterminato anche se ciò può determinare lo sforamento della stessa. Ciò al solo al solo fine di consentire l'assunzione di almeno una unità e sempre che, con l'attivazione delle facoltà assunzionali, non si ecceda il valore superiore. I comuni che procederanno in tal senso collocheranno dette unità in comando preso le corrispondenti Unioni, che ne sosterranno i relativi oneri, in deroga alle vigenti disposizioni in materia di contenimento della spesa di personale.
Analoga disciplina è stata introdotta, dal 2022 (vedi infra) per le province e città metropolitane (art. 3, c. 1-bis, del D.L. 34/2019). Anche in questo caso, per gli enti meno virtuosi, è previsto l'avvio di un percorso, che si conclude nel 2025, mirato al raggiungimento della sostenibilità finanziaria del rapporto fra spese complessive per il personale ed entrate correnti, con riferimento ad un valore soglia la cui individuazione è demandata, come per le regioni ed i comuni, ad apposito decreto ministeriale. Qualora tale obiettivo non sia raggiunto, le assunzioni di personale non potranno eccedere il 30 per cento di coloro che cessano dal servizio.
In merito alle capacità assunzionali degli enti locali, l'art. 14-bis del D.L. 4/2019 ha introdotto due novità sostanziali:
la possibilià di sostituire i dipendenti che cessano già nel corso dell'anno (senza attendere l'esercizio successivo), ma i reclutamenti possono avvenire soltanto una volta maturata la corrispondente facoltà assunzionale e cioè a seguito delle cessazioni che producono il relativo turnover;
la possibilità di utilizzare e somme residue non ancora utilizzate dei budget dei precedenti 5 anni (in luogo di 3), con riferimento però alle percentuali di capacità assunzionali esistenti nei singoli esercizi
2.1 Valore soglia per le regioni
Per quanto riguarda le regioni, in attuazione di quanto previsto dal richiamato articolo 33, comma 1, del D.L. 34/2019 (come modificato dall'art. 1, c. 853, della L. 160/2019), è stato emanato il DM 3 settembre 2019 che, dopo aver fissato al 1° gennaio 2020 la data a decorrere dalla quale si applica la suddetta disciplina alle regioni a statuto ordinario, individua il valore soglia definito per fasce demografiche sulla base del quale determinare le facoltà assuzionali delle predette regioni.
Il valore soglia del rapporto della spesa del personale delle regioni a statuto ordinario rispetto alle entrate correnti non deve essere superiore alle seguenti percentuali:
regioni con meno di 800.000 abitanti, 13,5 per cento;
regioni da 800.000 a 3.999.999 abitanti, 11,5 per cento;
regioni da 4.000.000 a 4.999.999 abitanti, 9,5 per cento;
regioni da 5.000.000 a 5.999.999 abitanti, 8,5 per cento;
regioni con 6.000.000 di abitanti e oltre, 5,0 per cento.
Le regioni a statuto ordinario che si collocano al di sotto del suddetto valore soglia possono incrementare la spesa del personale registrata nell'ultimo rendiconto approvato, per assunzioni di personale a tempo indeterminato, in coerenza con i piani triennali dei fabbisogni di personale e fermo restando il rispetto pluriennale dell'equilibrio di bilancio, sino ad una spesa del personale complessiva rapportata alle entrate correnti inferiore ai richiamati valori soglia, ferme restando determinate percentuali massime di incremento.
In fase di prima applicazione e fino al 31 dicembre 2024, le medesime regioni possono incrementare annualmente, nel limite del predetto valore soglia, per assunzioni di personale a tempo indeterminato, la spesa del personale registrata nel 2018, in misura non superiore:
al 10% nel 2020;
al 15% nel 2021;
al 18% nel 2022;
al 20% nel 2023;
al 25% nel 2024.
2.2 Valore soglia per i comuni Per quanto concerne i comuni, in attuazione di quanto previsto dal richiamato articolo 33, comma 2, del D.L. 34/2019 (come modificato dall'art. 1, c. 853, della L. 160/2019), è stato emanato il DM 17 marzo 2020 che, dopo aver fissato al 20 aprile 2020 la data a decorrere dalla quale si applica la suddetta disciplina ai comuni, individua il valore soglia definito per fasce demografiche sulla base del quale determinare le facoltà assuzionali delle predette regioni.
Il valore soglia del rapporto della spesa del personale dei comuni rispetto alle entrate correnti non deve essere superiore alle seguenti percentuali determinate nella Tabella 1 del DM:
comuni con meno di 1.000 abitanti, 29,5 per cento;
comuni da 1.000 a 1.999 abitanti, 28,6 per cento;
comuni da 2.000 a 2.999 abitanti, 27,6 per cento;
comuni da 3.000 a 4.999 abitanti, 27,2 per cento;
comuni da 5.000 a 9.999 abitanti, 26,9 per cento;
comuni da 10.000 a 59.999 abitanti, 27 per cento;
comuni da 60.000 a 249.999 abitanti, 27,6 per cento;
comuni da 250.000 a 1.499.999 abitanti, 28,8 per cento;
comuni con 1.500.000 abitanti e otre, 25,3 per cento.
A decorrere dal 20 aprile 2020, quindi, i comuni che si collocano al di sotto dei predetti valori soglia possono incrementare la spesa di personale registrata nell'ultimo rendiconto approvato, per assunzioni di personale a tempo indeterminato - in coerenza con i piani triennali dei fabbisogni di personale e fermo restando il rispetto pluriennale dell'equilibrio di bilancio asseverato dall'organo di revisione - sino ad una spesa complessiva rapportata alle entrate correnti non superiore al valore soglia su indicati per ciascuna fascia demografica. Il richiamato DM 17 marzo 2020 prevede inoltre, per i suddetti comuni, una disciplina transitoria in base alla quale, in sede di prima applicazione e fino al 31 dicembre 2024, essi possono incrementare annualmente, per assunzioni di personale a tempo indeterminato, la spesa del personale registrata nel 2018, in misura non superiore ad ulteriori valori percentuali indicati nella Tabella 2 del medesimo DM.
I comuni in cui il rapporto fra spesa del personale e le entrate correnti risulta superiore ai seguenti valori soglia per fascia demografica individuati dalla Tabella 3 del più volte richiamato DM, adottano un percorso di graduale riduzione annuale del suddetto rapporto fino al conseguimento nel 2025 del predetto valore soglia anche applicando un turn over inferiore al 100 per cento. Tali valori soglia sono i seguenti:
comuni con meno di 1.000 abitanti, 33,5 per cento; comuni da 1.000 a 1.999 abitanti, 32,6 per cento; comuni da 2.000 a 2.999 abitanti, 31,6 per cento;
comuni da 3.000 a 4.999 abitanti, 31,2 per cento;
comuni da 5.000 a 9.999 abitanti, 30,9 per cento;
comuni da 10.000 a 59.999 abitanti, 31 per cento;
comuni da 60.000 a 249.999 abitanti, 31,6 per cento;
comuni da 250.000 a 1.499.999 abitanti, 32,8 per cento;
comuni con 1.500.000 abitanti e otre, 29,3 per cento.
A decorrere dal 2025, i comuni per i quali il rapporto fra spesa del personale e le entrate correnti continua ad essere superiore al suddetto valore soglia per fascia demografica, applicano un turn over pari al 30 per cento fino al conseguimento del predetto valore soglia.
Infine, i comuni in cui il rapporto fra spesa del personale e le entrate correnti risulta compreso fra i valori soglia per fascia demografica individuati dalla Tabella 1 e dalla Tabella 3 non possono incrementare il valore del predetto rapporto rispetto a quello corrispondente registrato nell'ultimo rendiconto della gestione approvato.
Per completezza, si rinvia anche alla Circolare 13 maggio 2020 della Presidenza del consiglio dei ministri, esplicativa del predetto DM 17 marzo 2020.
Per una panoramica sulle regole ordinarie e straordinarie per le assunzioni di personale da parte dei Comuni, si rimanda al documento elaborato dall'ANCI.
2.3 Valore soglia per le province e città metropolitane. Per quanto concerne le province e le città metropolitane, in attuazione di quanto previsto dal richiamato articolo 33, comma 1-bis, del D.L. 34/2019 è stato emanato il DM 11 gennaio 2022 che, a decorrere dal 1° gennaio 2022, individua i seguenti valori soglia per fascia demografica del rapporto della spesa del personale rispetto alle entrate correnti:
province con meno di 250.000 abitanti, 20,8 per cento;
province da 250.000 a 349.999 abitanti, 19,1 per cento;
province da 350.000 a 449.999 abitanti, 19,1 per cento;
province da 450.000 a 699.999 abitanti, 19,7 per cento;
province con 700.000 abitanti e oltre, 13,9 per cento;
città metropolitane con meno di 750.000 abitanti, 25,3 per cento;
città metropolitane da 750.000 a 1.499.999 abitanti, 14,2 per cento;
città metropolitane con 1.500.000 di abitanti e oltre, 16,2 per cento.
Dal 1° gennaio 2022, le province e le citta' metropolitane che si collocano al di sotto dei predetti valori soglia possono incrementare la spesa del personale registrata nell'ultimo rendiconto approvato, per assunzioni di personale a tempo indeterminato, in coerenza con i piani triennali dei fabbisogni di personale e fermo restando il rispetto pluriennale dell'equilibrio di bilanci.
In fase di prima applicazione e fino al 31 dicembre 2024 le province e le città metropolitane possono incrementare annualmente, per assunzioni di personale a tempo indeterminato, la spesa del personale registrata nel 2019, in misura non superiore al 22% nel 2022, al 24% nel 2023 e al 25% nel 2024, e, per il periodo 2022-2024, possono utilizzare le facoltà assunzionali residue antecedenti al 2022 se più favorevoli rispetto alle facoltà assunzionali connesse ai suddetti incrementi percentuali, fermo restandoi limiti di ciascuna fascia demografica, i piani triennali dei fabbisogni di personale e il rispetto pluriennale dell'equilibrio di bilancio.
2.4 Enti territoriali esclusi dalla normativa vigente. Il decreto legge Sostegni-ter (art. 15, c. 5-ter, D.L. 4/2022) prevede che, limitatamente al triennio 2022- 2024, gli enti territoriali non rientranti nei limiti assunzionali posti dalla suddetta normativa - in quanto al di sotto di un determinato valore soglia, differenziato per fascia demografica, del rapporto tra spesa complessiva per il personale ed entrate correnti - possono effettuare nuove assunzioni di personale a tempo indeterminato nel limite di un contingente complessivamente corrispondente ad una spesa pari al 100 per cento di quella relativa al personale di ruolo cessato nell'anno precedente e nell'anno in corso.
3. Mobilità volontaria e collettiva. La disciplina della mobilità del personale pubblico è contenuta sostanzialmente nel decreto legislativo n.165/2001, il quale disciplina diverse fattispecie dell'istituto, quali la mobilità volontaria tramite passaggio diretto di personale tra amministrazioni pubbliche (articolo 30), la mobilità collettiva (od obbligatoria, articoli da 33 a 34-bis) e la mobilità intercompartimentale (articolo 29-bis).
Su tale impianto normativo nella XVII legislatura si è intervenuti con il D.L. 90/2014, con l'obiettivo di favorire la mobilità del personale pubblico.
La disciplina della mobilità volontaria (istituto che permette di ricoprire posti vacanti in organico mediante passaggio diretto di dipendenti appartenenti a una qualifica corrispondente e in servizio presso altre amministrazioni, dietro domanda di trasferimento e con assenso dell'amministrazione di appartenenza) è stata significativamente modificata dall'articolo 4, comma 1, del D.L 90/2014. Tale provvedimento ha disposto, in primo luogo, la possibilità (in via sperimentale), di trasferimenti anche in mancanza dell'assenso dell'amministrazione di appartenenza, a condizione che l'amministrazione di destinazione abbia una percentuale di posti vacanti superiore a quella dell'amministrazione di provenienza. Oltre a ciò, le sedi delle pubbliche amministrazioni ubicate nel territorio dello stesso comune (o a una distanza inferiore a 50 chilometri dalla sede di prima assegnazione) sono considerate come medesima unità produttiva, con la conseguenza che all'interno di tale area i dipendenti sono comunque tenuti a prestare la loro attività lavorativa, previo accordo tra le amministrazioni interessate o anche in assenza di accordo, quando sia necessario sopperire a carenze di organico. E' stato inoltre istituito il portale per l'incontro tra domanda e offerta di mobilità, nonché l'obbligo, per le amministrazioni che intendano avvalersi della mobilità, della pubblicazione sul proprio sito istituzionale, per un periodo minimo di 30 giorni, del bando che indica i posti che si intendano coprire.
In materia, l'articolo 3, comma 7, del D.L. 80/2021 limita i casi in cui tale forma di mobilità è subordinata all'assenso dell'amministrazione di appartenenza, disponendo che l'assenso rimane necessario qualora ricorra una delle seguenti fattispecie:
si tratti di posizioni motivatamente infungibili;
si tratti di personale stato assunto da meno di tre anni;
l'amministrazione di appartenenza abbia una carenza di organico superiore al 20 per cento nella qualifica corrispondente a quella del richiedente;
Il richiamato articolo 3, comma 7, e l'art. 12 del Decreto cosiddetto fiscale confermano, altresì, la necessità dell'assenso per i dipendenti di enti o aziende del Servizio sanitario nazionale e degli enti locali con un numero di dipendenti a tempo indeterminato non superiore a 100 e prevede che per il personale della scuola continuino a trovare applicazione le norme vigenti in materia.
Si ricorda che, in base alle esclusioni già vigenti (di cui al richiamato art. 30, co. 1, del D.Lgs. 165/2001), per il trasferimento tra le sedi centrali di differenti Ministeri, agenzie ed enti pubblici non economici nazionali non è richiesto l'assenso dell'amministrazione di appartenenza, la quale dispone il trasferimento entro due mesi dalla richiesta dell'amministrazione di destinazione, fatti salvi i termini per il preavviso e a condizione che l'amministrazione di destinazione abbia una percentuale di posti vacanti superiore all'amministrazione di appartenenza.
Il D.L. 36/2022ha disposto la soppressione dal 1° luglio 2022 del portale della mobilità, che sarà assorbito da Portale del reclutamento, su cui le amministrazioni dovranno pubblicare, a decorrere dalla medesima data, l'avvio della procedura di mobilità volontaria.
Il medesimo D.L. 36/2022 ha altresì introdotto una disciplina transitoria per l'inquadramento in ruolo del personale in distacco o comando (salvo talune eccezioni) al 31 gennaio 2022 in deroga alle suddette procedure di mobilità volontaria e senza il consenso dell'amministrazione di provenienza. Tali procedure straordinarie possono essere attivate entro il 31 dicembre 2022 e nel limite del 50 per cento delle vigenti facoltà assunzionali, con riferimento a dipendenti già in servizio a tempo indeterminato presso un soggetto pubblico.
La mobilità collettiva si attiva nelle ipotesi di soprannumero o eccedenze di personale. Scopo dell'istituto è verificare la possibilità di applicare le norme in materia di collocamento a riposo d'ufficio al compimento dell'anzianità massima contributiva del personale interessato, oppure di pervenire alla ricollocazione totale (o parziale) del personale in soprannumero o di eccedenza nell'ambito della stessa amministrazione (o presso altre amministrazioni comprese nell'ambito della regione o in quello diverso determinato dai contratti collettivi nazionali), anche mediante il ricorso a forme flessibili di gestione del tempo di lavoro (part-time) o a contratti di solidarietà. Il personale non riassorbibile è collocato in disponibilità ed iscritto in appositi elenchi secondo l'ordine cronologico di sospensione del rapporto di lavoro.
Al fine di favorire i processi di mobilità fra i comparti di contrattazione delle pubbliche amministrazioni del personale non dirigenziale (cd. mobilità intercompartimentale) il D.P.C.M. 26 giugno 2015 ha definito la tavola di corrispondenza fra i livelli economici di inquadramento previsti dai contratti collettivi relativi ai diversi comparti di contrattazione. Il richiamato D.P.C.M., in particolare, ha precisato l'obbligo per le amministrazioni di equiparare le aree funzionali e le categorie di inquadramento del personale appartenente ai diversi comparti di contrattazione, tenendo conto delle mansioni, dei compiti, delle responsabilità e dei titoli di accesso relativi alle qualifiche ed ai profili professionali (per i quali è comunque vietato l'accesso a quelli con superiore contenuto professionale nonché il rispetto della fascia economica di riferimento).
Uno specifico filone normativo ha riguardato, inoltre, la mobilità volta a favorire il passaggio del personale eccedentario delle province (a seguito della riforma degli enti locali) verso regioni, comuni e altre pubbliche amministrazioni, a valere sulle facoltà assunzionali degli enti di destinazione (articolo 1, commi 422-428, della L. 190/2014).
In materia, l'art. 3, c. 3-quater, del D.L. 36/2022 ha ridotto alcuni termini temporali relativi alle procedure di tale mobilità e alla possibilità di ricorso ( in via suppletiva) alla procedura concorsuale di reclutamento.
4. Gestione delle eccedenze di personale. L'articolo 2, commi da 1 a 3, del D.L. 101/2013, modificando parzialmente l'articolo 2, comma 11, del D.L. 95/2012, riconosce innanzitutto alle amministrazioni un margine più ampio per la copertura dei posti vacanti in alcune aree, a fronte della gestione delle posizioni soprannumerarie in altre. La possibilità di coprire i posti vacanti è però subordinata ad un congelamento di posti corrispondente al valore finanziario delle unità in sovrannumero che saranno assorbite e all'autorizzazione ad assumere da parte del Dipartimento della funzione pubblica e del Dipartimento della ragioneria generale dello Stato, previa presentazione, da parte delle amministrazioni interessate, di un piano di assorbimento delle eccedenze.
Inoltre, si riconosce l'applicabilità della disciplina pensionistica previgente al D.L. 201/2011 ai dipendenti pubblici in soprannumero nel caso in cui maturino i requisiti per la decorrenza del trattamento entro il 31 dicembre 2016.
5. Contratti di collaborazione. Gli articoli 5 e 22, commi 8 e 9, del D.Lgs. 75/2017 hanno introdotto il divieto per le amministrazioni pubbliche di stipulare contratti di collaborazione che si concretino in prestazioni di lavoro esclusivamente personali, continuative, con modalità di esecuzione organizzate dal committente anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro. A seguito di una modifica introdotta dall'articolo 1, comma 1148, lett. h), della L. 205/2017 (legge di bilancio per il 2018), è stato stabilito che il divieto operasse a decorrere dal 1° gennaio 2019 (in luogo del 1° gennaio 2018, data originariamente prevista), termine da ultimo ulteriormente prorogato al 1° luglio 2019 dall'articolo 1, comma 1131, lett. f), della L. 145/2018 (legge di bilancio 2019).
A differenza di quanto stabilito per i rapporti di lavoro privati, per le pubbliche amministrazioni non trova comunque applicazione la norma (di cui all'articolo 2 del decreto legislativo n.81/2015) che prevede l'automatica applicazione della disciplina del lavoro subordinato in caso di collaborazioni aventi le suddette caratteristiche.
6. Stabilizzazione del personale precario. La disciplina relativa alla stabilizzazione del personale precario delle pubbliche amministrazioni è attualmente dettata dall'articolo 20 del D.L. 75/2017 che, nell'ambito della riforma del pubblico impiego (di cui alla legge delega 124/2015) prevede sia una specifica procedura di stabilizzazione, sia l'espletamento di specifiche procedure concorsuali riservate.
Sotto il primo profilo, si prevede, fino al 31 dicembre 2023 (31 dicembre 2022 per gli enti pubblici di ricerca) la facoltà, per le amministrazioni, di procedere alla stabilizzazione (in accordo con il nuovo piano triennale dei fabbisogni e con l'indicazione della relativa copertura finanziaria) del personale non dirigenziale che possegga tutti i seguenti requisiti:
sia in servizio. successivamente al 28 agosto 2015, con contratti a tempo determinato presso l'amministrazione che procede all'assunzione (in caso di amministrazioni comunali che esercitino funzioni in forma associata, anche presso le amministrazioni con servizi associati);
sia stato reclutato a tempo determinato, in relazione alle medesime attività svolte, con procedure concorsuali (anche se espletate presso amministrazioni pubbliche diverse da quella che procede all'assunzione);
abbia maturato, al 31 dicembre 2022 (termine che riguarda anche il personale sanitario), alle dipendenze dell'amministrazione che procede all'assunzione, almeno tre anni di servizio, anche non continuativi, negli ultimi otto anni. Per la stabilizzazione presso gli enti ed aziende del Servizio sanitario nazionale, ai fini di tale requisito, rilevano anche i periodi di servizio prestati presso altre amministrazioni del Servizio sanitario nazionale.
Per quanto concerne il secondo profilo, le medesime amministrazioni - fino al 31 dicembre 2024 (31 dicembre 2022 invece per le assunzioni relative al personale medico, tecnico-professionale e infermieristico degli enti ed aziende del Servizio sanitario nazionale e al personale degli enti pubblici di ricerca) - possono bandire procedure concorsuali riservate, in misura non superiore al cinquanta per cento dei posti disponibili, al personale che possegga tutti i seguenti requisiti:
sia titolare, successivamente al 28 agosto 2015, di un contratto di lavoro flessibile presso l'amministrazione che bandisce il concorso;
abbia maturato al 31 dicembre 2024 (31 dicembre 2021 per le procedure bandite da enti pubblici di ricerca) almeno tre anni di contratto, anche non continuativi, negli ultimi otto anni, presso l'amministrazione che bandisce il concorso (termine che riguarda anche il personale sanitario). Per quanto concerne specificamente gli enti pubblici di ricerca, le procedure concorsuali riservate si applicano anche ai titolari di assegni di ricerca in possesso dei requisiti previsti.
Le suddette disposizioni incontrano, inoltre, delle limitazioni. In particolare:
ai fini delle suddette procedure, non rileva il servizio prestato negli uffici di diretta collaborazione dei Ministri o degli organi politici delle regioni, né i servizi prestati presso gli uffici di supporto agli organi di direzione politica degli enti locali;
le amministrazioni interessate dalla stabilizzazione e dai concorsi riservati non possono instaurare ulteriori rapporti di lavoro flessibile, per le professionalità interessate, fino al termine delle relative procedure, mentre hanno facoltà di prorogare i corrispondenti rapporti di lavoro flessibile con i partecipanti alle procedure richiamate fino alla loro conclusione, nei limiti delle risorse disponibili;
le procedure richiamate non si applicano al personale dirigenziale (ad eccezione di quello degli enti ed aziende del Servizio sanitario nazionale) al personale docente, educativo e amministrativo, tecnico e ausiliario (ATA) presso le istituzioni scolastiche ed educative statali; ai comuni che per l'intero quinquennio 2012-2016 non abbiano rispettato i vincoli di finanza pubblica; ai contratti di somministrazione di lavoro presso le pubbliche amministrazioni.
Infine, fino al 31 dicembre 2022 e in presenza di determinate condizioni, le pubbliche amministrazioni possono, ai soli fini dell'applicazione delle richiamate procedure di stabilizzazione disciplinate dal richiamato art. 20, co. 1 e 2, del D.L. 75/2017, elevare gli ordinari limiti finanziari per le assunzioni a tempo indeterminato stabiliti dalle norme vigenti, incrementandoli a valere sulle risorse previste per i contratti di lavoro a tempo determinato o per altre forme di lavoro flessibile (nei limiti posti dall'art. 9, co. 8, del D.L. 78/2010) e calcolate in misura non superiore all'ammontare medio delle medesime risorse impiegate nel triennio 2015-2017.
Articolo 97 della Costituzione
Le pubbliche amministrazioni, in coerenza con l'ordinamento dell'Unione europea, assicurano l'equilibrio dei bilanci e la sostenibilità del debito pubblico.
I pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge [95 c.3], in modo che siano assicurati il buon andamento e l'imparzialità dell'amministrazione.
Nell'ordinamento degli uffici sono determinate le sfere di competenza, le attribuzioni e le responsabilità proprie dei funzionari [28].
Agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni si accede mediante concorso, salvo i casi stabiliti dalla legge [51 c.1].
Nella Pubblica Amministrazione si può essere assunti a tempo indeterminato:
Per Pubblico Concorso:
diretto da idoneo vincitore;
indiretto da idoneo non vincitore per scorrimento delle graduatorie (in alcuni casi 20%);
Per Mobilità permanente da altra Pubblica Amministrazione;
3 tramite centri per l’impiego, per qualifiche che, come requisito di accesso, richiedano l’aver frequentato la scuola dell’obbligo;
4 contratti per persone appartenenti alle Categorie Protette.
5 Per stabilizzazione.
Nella Pubblica Amministrazione si può essere assunti a tempo determinato con contratti flessibili:
contratto di somministrazione a tempo determinato;
2. contratto di lavoro subordinato a tempo determinato;
a) prestazioni di lavoro accessorio (voucher)
b) contratti di collaborazione coordinata e continuativa.
c) collaborazioni marginali (prestazioni occasionali -30 g – Euro 5000)
d) prestazioni di lavoro autonomo occasionale
3. contratti di formazione.
a. Apprendistato per laureati;
b. Formazione-Lavoro per laureandi.
InPa.
Adecco.
Asmel.
Ales.
InPa.
Dipartimento della Funzione Pubblica. InPA Portale del Reclutamento
Il progetto
Un’unica porta d’accesso per il reclutamento del personale della PA rivolta a cittadini e Pubbliche Amministrazioni.
Grazie al decreto legge n. 80/2021 (convertito con la legge n. 113 del 6 agosto 2021), sono possibili nuovi percorsi più veloci, trasparenti e rigorosi per selezionare i profili tecnici e gestionali necessari alla realizzazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR). Il portale ha l’obiettivo di migliorare la qualità del reclutamento della Pubblica amministrazione attraverso un sistema innovativo digitale che semplifica e velocizza l’incontro tra domanda e offerta di lavoro pubblico.
Un progetto rivoluzionario per la Pubblica Amministrazione, protagonista nella ripresa del Paese.
Il progetto
Il Portale Nazionale del reclutamento nasce con l’obiettivo di accelerare il percorso di modernizzazione e rinnovamento del Paese supportando l’Ufficio per i concorsi e il reclutamento del Dipartimento della Funzione Pubblica nella realizzazione del nuovo sistema di reclutamento pubblico. Il progetto intende velocizzare, semplificare e digitalizzare i processi organizzativi delle procedure di reclutamento del personale nelle pubbliche amministrazioni per ridurne i costi economici e sociali.
Adecco.
Adecco per la Pubblica Amministrazione
Adecco è presente con la ricerca e selezione del personale anche per il settore del pubblico impiego, offrendo servizi specializzati di consulenza e di Recruiting delle figure professionali più in linea con il settore di riferimento per la Pa.
I vantaggi per la Pubblica Amministrazione nell’affidarsi a un partner professionale come Adecco sono:
consulenza gratuita a disposizione per le esigenze specifiche del settore della Pa;
risparmio sui costi di reclutamento e di selezione dei nuovi lavoratori;
selezione mirata e veloce di candidati competenti;
HR consulting, corsi di formazione e altri servizi di somministrazione del lavoro a disposizione della Pubblica Amministrazione.
Asmel.
ASMEL, Associazione per la Sussidiarietà e la Modernizzazione degli Enti Locali, nasce nel 2010 sulla scia della ultraventennale esperienza maturata tra i Comuni italiani aderenti al Consorzio ASMEZ. Scopo dell’associazione è quello di valorizzare l’azione di governo locale attraverso il rafforzamento del “tessuto connettivo” delle autonomie locali estremamente frammentato e caratterizzato da un numero molto elevato di Comuni di piccole e piccolissime dimensioni. In particolare l’Associazione in questi anni ha promosso azioni volte al miglioramento della qualità dei servizi erogati degli enti associati, specialmente di quelli a tecnologia avanzata, alla realizzazione di economie di scala nella gestione di funzioni, servizi, interventi, programmi, progetti, iniziative e nell’acquisto di beni e sevizi, di qui la promozione della costituzione tra gli Enti soci di una autonoma Centrale di Committenza, e al rafforzamento della capacità di rappresentanza e di tutela degli interessi delle diverse comunità. L’azione associativa muove dalla consapevolezza che gli Enti Locali sono gli organi di prossimità ai cittadini e, come tali, vivono con estrema partecipazione il territorio. Essi sono il territorio: ne “sentono” le esigenze in continua evoluzione condividendo, allo stesso tempo, i limiti e i rischi di un isolamento che è sempre dietro l’angolo. ASMEL nasce dalla consapevolezza che questi limiti sono la vera forza dell’Italia dei Comuni: le necessità di tutti possono essere soddisfatte lavorando insieme, attraverso la creazione di una Rete le cui maglie siano le singole esperienze e le migliori competenze, per trovare soluzioni da condividere ed elevare la qualità delle organizzazioni a un livello di eccellenza diffuso. In questi anni, la Rete degli Enti Locali ASMEL, costituitasi a seguito di un’adesione volontaria crescente su tutto il territorio nazionale, ha prodotto da subito i primi risultati, con un’inversione di tendenza che vede le istituzioni periferiche riacquisire il ruolo di protagoniste nel processo nazionale di rinnovamento. A partire dal dicembre 2012, inoltre, ASMEL ha anche promosso la costituzione di ASMEL Consortile s.c. a r.l. e, terminata la fase di start-up, ha ceduto interamente la propria partecipazione societaria consentendo ad Asmel Consortile di diventare a tutti gli effetti la maggiore centrale di committenza pubblica dei Comuni italiani. Il modello dell’in house è riconosciuto dall'art. 37, comma 4 del D.lgs. n. 50/2016 quale strumento idoneo alla centralizzazione per tutti i Comuni non capoluogo. Una modalità operativa che riconosce la massima autonomia ai Comuni aderenti e sviluppa la centralizzazione telematica come standard di efficienza e trasparenza per le pubbliche amministrazioni aderenti. ASMEL Consortile, nella sua veste di società di committenza in house dei Comuni Soci è anche lo strumento più efficace per valorizzare le risorse umane interne a ciascuna Stazione Appaltante: RUP interno del Comune e componenti Commissioni di Gara Telematiche, laddove richiesti. La Rete ASMEL continua ad affermarsi come “riserva certa” di professionalità avanzate, anche in un’ottica di incontro tra domanda pubblica e offerta privata, in cui gli interessi del pubblico sono sempre tutelati. Per gli associati ASMEL l’efficienza cessa di essere la meta da raggiungere per adeguarsi a norme in perenne cambiamento, ma diviene la leva per una più efficace gestione della cosa pubblica che vive, si ammoderna, rispetta gli standard qualitativi, risparmia sulla spesa e, soprattutto, non trascura le specifiche autonomie e identità. La prova concreta che “l’innovazione in maniera locale” è una strada che oggi tutti possono percorrere.
Ales.
Ales – Arte Lavoro e Servizi S.p.A., società in house del Ministero della Cultura (MiC), è impegnata da oltre vent’anni in attività di supporto alla conservazione e valorizzazione del patrimonio culturale italiano e nello svolgimento di attività strumentali alla gestione tecnico-amministrativa dei procedimenti di tutela messi in atto dal socio unico.
Le attività svolte da Ales, dal momento della fondazione ad oggi, sono orientate a supportare il MiC in numerosi progetti di miglioramento delle condizioni di fruibilità del patrimonio culturale italiano, nonché, a promuovere tramite progetti speciali e in accordo con il MiC, i beni culturali italiani ed il made in Italy a livello nazionale e internazionale.
Per l’erogazione dei propri servizi, Ales si avvale di uno staff di esperti per la pianificazione e la programmazione di dettaglio dell’opera di valorizzazione del patrimonio culturale e, di operatori appositamente formati per l’esecuzione delle attività operative presso i luoghi della cultura e le Direzioni Generali del MiC.
Ales S.p.A. fonda il proprio operato su criteri di efficienza, produttività e qualità, investendo sul proprio capitale professionale e puntando sul valore delle risorse umane per lo sviluppo dell’azienda e la soddisfazione dei fruitori del patrimonio culturale nazionale. La formazione e la riqualificazione, l’attenzione alle esigenze della committenza ed una gestione del personale puntuale ed attenta alla normativa in materia di sicurezza sui luoghi di lavoro sono parte integrante del sistema di valori su cui si fonda l’identità dell’azienda.
Storia
La società nasce nel 1998 ai sensi dell’art. 10, commi 1, lett a) 2 e 3 del D.Lgs. 1 dicembre 1997, n. 468 e dell’art. 20, commi 3 e 4, della L. 24 giugno 1997, n. 196.
Nel 2009, in attuazione dell’art. 26 della L. 18 giugno 2009, n. 69, “la partecipazione azionaria detenuta da Italia Lavoro S.p.A. in Ales S.p.A. viene trasferita al Ministero per i Beni e le Attività Culturali”, garantendo in tal modo la configurazione di Ales S.p.A. quale società in house del Ministero.
Nel 2014 Ales S.p.A. riceve un importante incarico per il supporto alla Soprintendenza di Pompei nella gestione del c.d. “Grande Progetto Pompei”, un progetto interessato alla tutela e alla valorizzazione dell’area archeologica con un programma di interventi conservativi, di prevenzione, manutenzione e restauro. L’iniziativa, finanziata dall’Unione Europea, ha trovato il supporto di Ales S.p.A. nello sblocco delle pratiche amministrative relative ai fondi europei per il miglioramento e lo sviluppo del territorio, ottenendo così il finanziamento su fondi FESR (Fondo Europeo per lo Sviluppo Regionale).
Consolidatasi nella progettazione e nella realizzazione di attività di capacity building, Ales S.p.A. ha ricevuto numerosi incarichi di rilievo istituzionale, tra cui la gestione del progetto per il miglioramento delle condizioni di fruizione pubblica della Galleria degli Uffizi (2015) e la sua attrattività nell’ambito del turismo culturale, in ottemperanza a quanto disposto dalla L. 7 ottobre 2012, n. 112, in tema di “tutela, valorizzazione e rilancio dei beni e delle attività culturali e del turismo”.
Nel 2016 viene effettuata in Ales S.p.A. la fusione per incorporazione della società Arcus S.p.A. – Società per lo sviluppo dell’arte, della cultura e dello spettacolo – avvenuta, ope legis, ex art. 1, comma 322, della L. 28 dicembre 2015, n. 208 (Legge di stabilità 2016). In tale occasione, Ales S.p.A. rileva l’incarico di promuovere, comunicare e diffondere la conoscenza dell’Art Bonus, progetto di sostegno a favore del patrimonio culturale nazionale, compresa la gestione del sito istituzionale.
Sempre nell’anno 2016, ad Ales S.p.A. viene affidata la gestione degli spazi nonché, l’organizzazione delle mostre e degli eventi culturali tenuti presso le Scuderie del Quirinale, privilegiando la scelta di un programma di divulgazione dell’arte italiana classica e moderna, manifestando, altresì, un profondo interesse sul rapporto tra l’Italia e la grande arte internazionale. In tale occasione, Ales acquisisce dall’Azienda Speciale Palaexpo, precedentemente incaricata alla gestione degli spazi espositivi delle Scuderie, il ramo d’azienda interessato all’organizzazione e al coordinamento delle attività culturali qui promosse.
Dal 2018 inoltre Ales S.p.A. supporta l’Ufficio impegnato all’attrazione di risorse destinate al patrimonio e a progetti dedicati ad attività culturali (Grant office) presso il Servizio del Segretariato Generale del MiC.
Scorrimento graduatorie concorsi 20% tetto idonei: regole ed eccezioni. La guida allo scorrimento delle graduatorie dei concorsi pubblici in base alle nuove regole in vigore dal 22 giugno 2023. Da Ticonsiglio.com il 28 Agosto 2023
Dal 22 giugno 2023 sono cambiate le regole sullo scorrimento graduatorie dei concorsi pubblici.
Vengono considerati idonei i candidati che si sono collocati entro il 20% dei posti successivi all’ultimo di quelli banditi.
In caso di rinuncia all’assunzione o di dimissioni del lavoratore intervenute entro 6 mesi dall’assunzione, la Pubblica Amministrazione può procedere allo scorrimento della graduatoria ma sempre rispettando tale limite.
Questo sistema mira ad accelerare l’intera procedura di selezione nella PA e ad assumere solo i più meritevoli.
Tuttavia esistono delle precise regole di applicazione e diversi casi in cui il tetto taglia idonei al 20% non si applica.
In questa guida chiara e dettagliata vi spieghiamo come funziona lo scorrimento delle graduatorie nei concorsi e l’idoneità fissata per chi si trova entro il 20% dei posti dopo l’ultimo bandito.
Indice:
COSA SI INTENDE PER SCORRIMENTO GRADUATORIE
CHE DIFFERENZA C’È TRA VINCITORI E IDONEI
SCORRIMENTO GRADUATORIE CONCORSI 20% IDONEI
QUANDO SI APPLICA IL TETTO IDONEI AL 20%
CONCORSI ESCLUSI
COME SI CALCOLA IL TETTO IDONEI 20%
OBIETTIVI DEL TETTO 20% IDONEI
RINUNCIA ASSUNZIONI O DIMISSIONI ENTRO 6 MESI
DA QUANDO È EFFICACE IL TETTO AGLI IDONEI NEI CONCORSI
GUIDA SULLA RIFORMA CONCORSI PUBBLICI
COSA SI INTENDE PER SCORRIMENTO GRADUATORIE
Al termine delle procedure di valutazione dei titoli e delle prove d’esame dei concorsi pubblici viene redatta una graduatoria, ossia una sorta di classifica organizzata dal punteggio più alto a quello più basso al netto delle riserve e considerando i titoli di preferenza a parità di punteggio.
Le Pubbliche Amministrazioni attingono i candidati da assumere dalla graduatoria finale, e possono continuare ad attingere dalla stessa fino alla sua validità, che generalmente viene specificata nel bando.
L’assegnazione dei posti di lavoro ai candidati vincitori del concorso avviene a partire dalla posizione più alta in graduatoria e continua fino a coprire tutti i posti disponibili previsti dal bando.
Dopo i vincitori vi sono gli idonei non vincitori i quali possono essere chiamati successivamente per scorrimento della graduatoria.
È evidente, quindi, che più si è in alto in graduatoria, più aumentano le possibilità di essere chiamati e più si accorciano i tempi di assunzione.
Il Decreto PA 2023 convertito in Legge pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale Serie Generale n.143 del 21-06-2023 ha introdotto per le graduatorie il cosiddetto “tetto idonei” stabilito entro il 20% dei posti successivi all’ultimo di quelli banditi. La regola è precisata nel testo della GU all’articolo 1-bis, comma 1, lettera a), punto 2.
Prima di capire come funziona il nuovo tetto dell’idoneità, vediamo cosa vuol dire essere idonei nella graduatoria di un concorso pubblico.
CHE DIFFERENZA C’È TRA VINCITORI E IDONEI
Alla fine di una procedura concorsuale nelle PA viene stilato l’elenco dei candidati che hanno superato le prove d’esame previste dall’apposito bando. Nella graduatoria finale sono presenti:
sia i vincitori del concorso, ovvero coloro che rientrano nel numero dei posti banditi e che vengono subito assunti;
sia gli idonei che sono coloro che, pur avendo superato le prove d’esame, non rientrano tra i vincitori in quanto non ci sono abbastanza posti disponibili.
Gli idonei, ovviamente, non possono essere assunti subito, ma possono essere reclutati in un secondo momento attraverso il meccanismo dello scorrimento della graduatoria.
SCORRIMENTO GRADUATORIE CONCORSI 20% IDONEI
La legge entrata in vigore il 22 giugno 2023 ha di fatto dettato una limitazione allo scorrimento delle graduatorie dei concorsi pubblici.
Cioè, il riconoscimento della idoneità viene dato solamente ai candidati “collocati nella graduatoria finale entro il 20% dei posti successivi all’ultimo di quelli banditi” come si legge nell’articolo 1-bis, comma 1, lettera a), punto 2. del Decreto PA 2023 convertito in Legge pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale Serie Generale n.143 del 21-06-2023
Inoltre, il testo prevede che il blocco allo scorrimento opera anche “in caso di rinuncia all’assunzione o di dimissioni del dipendente intervenute entro 6 mesi dall’assunzione”.
Questa nuova norma ha creato diversi dubbi interpretativi tanto che la Conferenza delle regioni e delle province autonome ha chiesto un approfondimento al Ministro per la Pubblica Amministrazione.
Per chiarire ogni dettaglio è stato emanato il parere n. 0001187 del Dipartimento Funzione Pubblica del 16 giugno 2023 che fornisce una definizione legata all’ambito applicativo e va a chiarire il quadro di esclusioni.
Vediamo quindi quando si applica il tetto tagli idonei.
QUANDO SI APPLICA IL TETTO IDONEI AL 20%
Lo scorrimento delle graduatorie con il tetto al 20% per gli idonei, benché di portata generale, non si applica a tutti i concorsi pubblici.
CONCORSI ESCLUSI
La disposizione del tetto al 20% per gli idonei non si applica alle procedure concorsuali bandite:
da Regioni, Province, Enti locali o da Enti o agenzie da questi controllati o partecipati che prevedano un numero di posti messi a concorso non superiore (quindi inferiore) a 20 unità;
da Comuni con popolazione inferiore a 3000 abitanti (i piccoli comuni);
per l’effettuazione di assunzioni a tempo determinato.
Sono esclusi dal limite dello scorrimento graduatorie pari al 20% anche i concorsi banditi per il reclutamento:
del personale sanitario e socio-sanitario, educativo e scolastico, compreso quello impiegato nei servizi educativo-scolastici gestiti direttamente dai Comuni e dalle unioni di Comuni;
dei ricercatori, personale universitario e dell’Istituto superiore di sanità;
del personale in regime di diritto pubblico di cui all’articolo 3, del Decreto Legislativo 30 marzo 2001, n. 165.
Per le Pubbliche Amministrazioni per le quali non è previsto un tetto, vige la regola generale con la possibilità di scorrimento della graduatoria di tutti gli idonei fino alla decadenza della graduatoria stessa.
Il riferimento normativo è l’articolo 35, comma 5ter del D.Lgs. 165/2001 (Testo unico sul pubblico impiego) secondo cui le graduatorie dei concorsi per il reclutamento del personale presso le amministrazioni pubbliche rimangono vigenti per un termine di 2 anni dalla data di approvazione (salvo eccezioni previste da leggi regionali). Decorsi i due anni, quindi, la graduatoria scade.
COME SI CALCOLA IL TETTO IDONEI 20%
Il tetto al 20% non si calcola sul numero dei posti messi a bando, ma sul totale dei candidati collocati in graduatoria successivamente a quelli che occupano i posti che danno diritto all’assunzione.
Ossia, il tetto si calcola in base al numero dei candidati inseriti nella graduatoria finale entro il 20% dei posti che non consentono immediatamente l’assunzione. Non si tiene conto, per questa percentuale, dei posti totali banditi nella selezione pubblica.
ESEMPIO DI CALCOLO
Ipotizziamo che un ente pubblico abbia indetto un concorso per 25 posti. Tra i partecipanti alla selezione 100 candidati superano le prove d’esame.
I primi 25 in graduatoria vengono assunti e considerati vincitori. Di idonei ne restano 75, su questi si applica il tetto taglia idonei.
Quindi sui restanti 75 (importo ottenuto facendo la sottrazione 100 – 25) si calcola il 20%. Il risultato è 15 (importo ottenuto dalla moltiplicazione di 75*20%)
Ciò significa che i candidati collocati dal 26esimo posto al 41esimo posto sono idonei scorribili.
I candidati collocati dal 42esimo posto in poi non potranno essere assunti per scorrimento della graduatoria, pur essendo tra gli idonei.
OBIETTIVI DEL TETTO 20% IDONEI
Il Dipartimento Funzione Pubblica nel parere n. 0001187 del 16 giugno 2023 ha specificato che la disposizione che fissa entro il 20% dei posti successivi all’ultimo di quelli banditi nei concorsi PA è finalizzata a:
garantire una migliore qualità del personale assunto. Ciò in considerazione del fatto che i candidati collocati in graduatoria in una posizione rientrante nella quota introdotta corrisponde a quelli che hanno conseguito una valutazione finale più vicina al punteggio conseguito dai vincitori del concorso;
assicurare la rapidità delle nuove procedure concorsuali (massimo 180 giorni);
garantire la digitalizzazione dei concorsi e la loro maggiore frequenza.
RINUNCIA ASSUNZIONI O DIMISSIONI ENTRO 6 MESI
Altro aspetto interessante da valutare è la precisazione introdotta dalla nuova norma taglia idonei: “in caso di rinuncia all’assunzione o di dimissioni del dipendente intervenute entro 6 mesi dall’assunzione, l’amministrazione può procedere allo scorrimento della graduatoria nei limiti” previsti.
Questa precisazione è sempre indicata nell’articolo 1-bis, comma 1, lettera a), punto 2. del Decreto PA 2023 convertito in Legge pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale Serie Generale n.143 del 21-06-2023 e si ritrova anche nell’articolo 35, comma 5ter del D.Lgs. 165/2001 (Testo unico sul pubblico impiego) che è stato modificato.
Cosa significa? Vuol dire che la Pubblica Amministrazione che ha indetto il concorso, nel caso in cui tra i vincitori del concorso ci sia qualcuno che rinuncia all’assunzione oppure si dimette entro 6 mesi, può procedere allo scorrimento della graduatoria ma solo nel limite del 20% dei posti successivi all’ultimo di quelli banditi.
Quindi nel caso in cui ci fossero molti vincitori rinunciatari l’ente che ha indetto il concorso non potrebbe comunque attingere tra gli idonei oltre al limite previsto. Nel caso in cui restassero posti di lavoro vacanti, l’ente dovrebbe indire una nuova procedura concorsuale oppure procedere con altre modalità (ad esempio avvisi di mobilità o avviso di manifestazione di interesse per idonei in graduatorie di concorsi pubblici espletati da altri enti).
DA QUANDO È EFFICACE IL TETTO AGLI IDONEI NEI CONCORSI
Il tetto agli idonei per i candidati collocatisi entro il 20% dei posti successivi all’ultimo di quelli banditi, è valido dalla data di entrata in vigore del Decreto PA 2023 convertito in Legge cioè, dal 22 giugno 2023, ovvero il giorno dopo la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale.
Il tetto idonei ai concorsi è retroattivo? No, la nuova norma sul tetto agli idonei non è retroattiva e si applica solo sui concorsi banditi a partire dal 22 giugno 2023.
Valeria C.
Giornalista, esperta di leggi, politica e lavoro pubblico.
Come funziona lo scorrimento graduatorie concorsi pubblici nel biennio 2022-2023? Di Lorenzo De Gregoriis l'8 Maggio 2023
In questo approfondimento cercheremo di chiarire alcuni dei temi più importanti legati all’utilizzo delle graduatorie nel pubblico impiego, con specifico riferimento allo scorrimento delle graduatorie dei concorsi pubblici e agli accordi tra Amministrazioni per l’utilizzo delle stesse.
Sei nel posto giusto se sei inserito in una graduatoria e vuoi far valere il tuo diritto ad essere assunto, o ancora se sei idoneo ed in attesa di essere chiamato per scorrimento: ti aiuteremo a capire quali sono i tuoi diritti e i tuoi strumenti di tutela.
Prima di andare avanti con il nostro articolo, ti ricordo altri nostri approfondimenti che potrebbero interessarti in materia di stabilizzazione del personale precario degli enti pubblici ed ancora sulla “gerarchia” tra le varie modalità di assunzione presso gli enti pubblici (scorrimento – stabilizzazione – mobilità esterna)
In questo articolo
Le ultime novità sullo scorrimento graduatorie nei Decreti PNRR
Quanto durano le graduatorie ai fini dello scorrimento
Posso vantare un diritto allo scorrimento graduatorie?
Assunzione mediante scorrimento, mobilità volontaria e concorso pubblico: quale prevale
Gli accordi per l’utilizzo delle graduatorie di altri enti
La decadenza dalle graduatorie
A quale Giudice rivolgersi: Tribunale Civile o Giudice Amministrativo?
Le ultime novità sullo scorrimento graduatorie nei Decreti PNRR
Voglio subito introdurvi alcune delle ultime importanti novità sullo scorrimento graduatorie apportate dai recenti Decreti PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e di Resilienza).
La prima è che il decreto-legge n. 146 del 21 ottobre 2021, all’art. 16 comma 3-bis, ha previsto che le Amministrazioni titolari di interventi previsti nel PNRR, incluse le Regioni e gli enti locali, possono utilizzare le graduatorie ancora vigenti di concorsi per dirigenti di seconda fascia e funzionari, banditi anche da altre Pubbliche Amministrazioni, mediante scorrimento delle stesse.
E’ dubbio, peraltro, se lo scorrimento possa essere operato direttamente oppure – come sembra preferibile ritenere – sempre mediante l’utilizzo delle Convenzioni tra enti (sulle quali vedi più avanti).
L’altra grande novità è data dall’art. 3-bis del decreto-legge 9 giugno 2021, n. 80, che autorizza i Comuni ad effettuare, anche in forma aggregata, delle selezioni per la formazione di “elenchi di idonei”, per incarichi sia a tempo determinato che indeterminato, dai quali poter attingere in assenza di proprie graduatorie in corse di validità.
La norma specifica poi che, nel caso in cui un Comune voglia attingere all’elenco e vi siano più soggetti interessati all’assunzione, esso debba sottoporre i candidati ad una prova scritta o orale diretta a formulare delle graduatorie di merito.
Si tratta di una importantissima novità, che semplifica molto le selezioni del personale negli enti locali, ma che pone anche tanti dubbi sul tipo di procedura da attuare (a titolo esemplificativo: siamo di fronte a dei veri e propri concorsi pubblici? L’elenco degli idonei è una vera e propria graduatoria?): vedremo come risponderà la prassi degli enti pubblici e cosa diranno i Giudici in merito.
Quanto durano le graduatorie ai fini dello scorrimento
Un problema particolarmente avvertito, quando parliamo di scorrimento graduatorie, è rappresentato dalla durata delle graduatorie stesse, che generalmente hanno due o tre anni di validità, a seconda della natura dell’ente titolare.
Più nello specifico, per quanto riguarda le Aziende Sanitarie Locali e, in generale, gli enti del pubblico impiego privatizzato, l’art. 35 comma 5-ter del decreto legislativo n. 165 del 2001 prevede che le graduatorie rimangano vigenti per un termine di due anni dalla data di approvazione, salvo che una legge regionale non disponga un periodo di vigenza inferiore.
Differente è invece il caso degli enti locali, per i quali l’art. 91 comma 4 del Testo Unico Enti Locali (TUEL) stabilisce una durata delle graduatorie pari ad anni tre dalla data di pubblicazione.
Normalmente, peraltro, il legislatore dispone la proroga generalizzata ed automatica delle graduatorie del comparto pubblico, come è accaduto ad esempio con la legge di bilancio del 2018, che con il comma 1148 dell’art. 1 aveva prorogato fino al 31 dicembre 2018 tutte le graduatorie dei concorsi pubblici pubblicate da settembre 2003.
E come è accaduto, più recentemente, con la legge di Bilancio per il 2020 (legge n. 160 del 27 dicembre 2019, art. 1 comma 147), che aveva autorizzato l’utilizzazione delle graduatorie pubbliche approvate nel 2011 fino al 30 marzo 2020 e delle graduatorie pubbliche approvate dal 2012 al 2017 sino al 30 settembre 2020.
Attualmente, ai sensi della normativa richiamata, la situazione della proroga delle graduatorie, valevoli anche per lo scorrimento, può essere riassunta così:
Le graduatorie approvate nel 2018 scadono entro tre anni dalla loro approvazione: esse, dunque, ad oggi sono tutte scadute
Le graduatorie approvate nel 2019 scadono anch’esse entro tre anni dalla loro approvazione: anche tali graduatorie, quindi, sono scadute alla fine di dicembre del 2022 e non possono più essere utilizzate;
Le graduatorie approvate a partire dal 1 gennaio 2020 possono valere, per le Amministrazioni diverse dagli enti locali, due anni dalla loro approvazione ed invece, per i Comuni, tre anni dalla pubblicazione;
Diverso il caso delle graduatorie comunali del personale scolastico, educativo ed ausiliario destinato ai servizi educativi e scolastici gestiti direttamente dai Comuni, che sono automaticamente prorogate sino al 30 settembre 2023, anche ove approvate negli anni dal 2012 al 2017;
Sono altresì prorogate alla medesima data, ossia al 30 settembre 2023, le graduatorie Comunali scadute tra il 1 gennaio 2021 ed il 29 settembre 2022.
Posso vantare un diritto allo scorrimento graduatorie?
Quando si è inseriti in una graduatoria bisogna naturalmente distinguere la posizione di chi risulta “vincitore” del concorso da quella di chi, invece, è risultato “idoneo“, e quindi non vincitore.
Per i vincitori del concorso, normalmente, non si pone un problema di scorrimento graduatorie: essi infatti, proprio per il fatto di aver concluso positivamente la procedura, possono vantare un diritto all’assunzione, che potrà essere tutelato dinanzi al Giudice del lavoro se l’Amministrazione non procede con l’assunzione.
La questione dell’esistenza di un “vero e proprio diritto all’assunzione” dei vincitori di un Concorso, tuttavia, è sempre stata molto dibattuta: può peraltro accadere – per fortuna in casi tutto sommati rari – che l’Amministrazione decida di non assumere il vincitore del Concorso: in tal caso, però, deve darne una motivazione stringente e credibile, che è quanto accade (ad esempio) quando sopraggiunge un blocco temporaneo delle assunzioni o sia riscontrato un difetto di copertura finanziaria (sul punto vedi, ad esempio, la sentenza del Consiglio di Stato n. 908 del 1^ febbraio 2021).
Diverso è il caso degli idonei della graduatoria, che vantano una posizione – come si dige nel gergo dei giuristi – di mera “aspettativa verso lo scorrimento” (così si è espressa la sentenza Cons. Stato, Sez. V, 1 marzo 2005, n. 794; ma si vedano ancora le sentenze Cons. Stato, Sez. V, 16 ottobre 2002, n. 5611 e Cons. Stato, Sez. V, 9 novembre 1999, n. 1860): gli idonei, detto altrimenti, non possono “diffidare” o sollecitare il Comune a farsi assumere mediante lo scorrimento graduatorie, non avendo un “diritto” all’assunzione mediante scorrimento.
Ma vi è un però: vi sono infatti dei casi (tutt’altro che rari!) in cui l’ente è di fatto obbligato ad assumere mediante scorrimento graduatorie vigenti: ciò che accade quando l’Amministrazione abbia indetto un nuovo concorso, o abbia altrimenti espresso la propria volontà di assumere del personale, dimenticandosi però di utilizzare delle graduatorie interne ancora valide.
Detto in altri termini, se il Comune ha delle graduatorie in corso di validità (e magari prossime alla scadenza) e decide, per il medesimo profilo, di assumere del personale con un nuovo concorso, ebbene non può farlo: l’assunzione mediante scorrimento graduatorie deve in tal caso essere disposto e tu idoneo potrai domandare in giudizio l’annullamento del bando.
Sul punto, recentemente, il Giudice Amministrativo ha ritenuto che la scelta operata dall’ente, a monte, di privilegiare lo scorrimento delle graduatorie, in luogo dell’indizione di un nuovo concorso, laddove risulti manifestata chiaramente da atti interni e circolari, “consuma” la discrezionalità: ciò equivale a dire che, in pratica, così facendo l’ente si obbliga a scorrere e dunque, in maniera corrispondente, riconosce agli idonei un vero e proprio diritto allo scorrimento (T.A.R. Campania, Sez. V, sentenza n. 4275 del 2021).
Assunzione mediante scorrimento, mobilità volontaria e concorso pubblico: quale prevale
Cosa succede, invece, nelle ipotesi in cui l’Amministrazione, pur disponendo di una graduatoria dalla quale poter attingere per scorrimento, decida ciò nonostante di procedere all’assunzione del personale ricorrendo alla mobilità esterna?
In tal caso, infatti, ad avviso di alcuni Tribunali, lo scorrimento delle graduatorie recede rispetto all’assunzione autorizzata con la mobilità, ma in ogni caso deve essere preferita rispetto al reclutamento del personale basata su un nuovo concorso.
La questione – per la verità molto complessa – del rapporto tra i vari criteri di reclutamento del personale (esiste infatti una precisa gerarchia tra gli stessi?) la abbiamo approfondita in un nostro precedente post (che puoi trovare qui), ma se non vuoi dedicare troppo tempo a leggerlo puoi “accontentarti” delle breve riflessioni che seguono.
In buona sostanza, secondo la giurisprudenza prevalente (ma non senza eccezioni!), l’ordine di preferenza tra i vari procedimenti di assunzione è tendenzialmente il seguente:
Mobilità obbligatoria
Scorrimento degli idonei in graduatoria
Concorso pubblico
Ed infatti, come sintetizzato dalla sentenza del Consiglio di Stato, Sez. V, 17 gennaio 2014, n. 178, l’ente deve esperire preventivamente la mobilità obbligatoria, dopo di che deve ricorrere prioritariamente alle graduatorie esistenti e, solo in assenza, può bandire un nuovo concorso pubblico.
Leggi anche L’assegnazione del docente al potenziamento: può essere disposta senza limiti?
In tale decisione si è affermato infatti che si è oramai realizzata la sostanziale inversione del rapporto tra l’opzione per un nuovo concorso e la decisione di scorrimento della graduatoria preesistente ed efficace, in quanto quest’ultima modalità di reclutamento rappresenta oggi la regola generale, mentre l’indizione del nuovo concorso costituisce l’eccezione e richiede un’apposita e approfondita motivazione.
La preferenza dello scorrimento, quale modalità di assunzione, rispetto all’indizione di un nuovo concorso pubblico, non è tuttavia assoluta.
In alcune sentenze (ad esempio in T.A.R. Campana, Napoli, Sez. V, 12 novembre 2014, n. 5814) si osserva infatti che nell’attuale ordinamento l’utilizzazione delle graduatorie dei candidati utilmente collocati in graduatoria deve essere preferita rispetto all’adozione di una nuova procedura concorsuale salvo che l’Amministrazione dimostri puntualmente e con motivazione congrua, l’esistenza di ragioni a sostegno della scelta di attivare un nuovo concorso.
Lo aveva detto, qualche anno prima, anche il Consiglio di Stato con la fondamentale sentenza in Adunanza Plenaria n. 14 del 28 luglio 2011, secondo cui in presenza di graduatorie concorsuali valide ed efficaci, l’amministrazione, se stabilisce di provvedere alla copertura dei posti vacanti, deve motivare la determinazione riguardante le modalità di reclutamento del personale, anche qualora scelga l’indizione di un nuovo concorso, in luogo dello scorrimento delle graduatorie vigenti.
Gli accordi per l’utilizzo delle graduatorie di altri enti
Ormai è pacifico che le amministrazioni, prima di indire un concorso, siano obbligate allo scorrimento delle graduatorie proprie ed inoltre di quelle di cui sono titolari altre amministrazioni (generalmente limitrofe), sempre che riguardino il medesimo profilo da assumere.
Come fare in questi casi lo stabilisce il fondamentale art. 3 comma 61 della legge 24 dicembre 2003 n. 350 (legge finanziaria per l’anno 2004), che stabilisce che “le amministrazioni pubbliche … possono effettuare assunzioni anche utilizzando le graduatorie di pubblici concorsi approvate da altre amministrazioni, previo accordo tra le amministrazioni interessate“.
E’ previsto inoltre, secondo quanto dispone l’art. 36 del decreto legislativo n. 165 del 2001 (Testo Unico del Pubblico Impiego), che le Amministrazioni possano sottoscrivere anche contratti a tempo determinato con i vincitori e gli idonei delle proprie graduatorie vigenti per concorsi pubblici a tempo indeterminato.
Come avviene in concreto l’assunzione basata sulle graduatorie approvate da altri enti?
Nella prassi accade tipicamente che l’Amministrazione interessata ad assumere del personale pubblichi un “avviso di manifestazione di interesse” per idonei in graduatorie di concorsi pubblici espletati da altri enti, assegnando un termine ai candidati per la presentazione della domanda (vedi qui un esempio).
Oppure può accadere che sia la stessa Amministrazione interessata ad assumere del personale “esterno”, mediante scorrimento della graduatoria, a contattare l’Amministrazione titolare della graduatoria medesima: in tal caso, l’ente provvederà a verificare, al proprio interno, la eventuale disponibilità di graduatorie ancora validi ed efficaci, ai fini del successivo scorrimento.
Nella prima ipotesi richiamata, l’avviso prelude normalmente ad una vera e propria procedura di selezione, che in alcuni casi si svolge per colloquio con l’attribuzione di un punteggio e la redazione di una graduatoria di merito.
I criteri per la selezione delle graduatorie che i candidati allegano alla domanda di partecipazione all’Avviso di Manifestazione di Interesse, non sono stabiliti dalla legge ma, alternativamente, nello stesso Avviso oppure in uno specifico Regolamento per l’utilizzazione delle graduatorie di altri enti (che più raramente viene adottato), e di norma “premiano” le graduatorie degli enti più vicini geograficamente o le graduatorie più “vecchie” e dunque prossime alla scadenza.
E’ bene ricordare che il candidato collocato in posizione utile nella “nuova graduatoria” potrà essere effettivamente assunto solo ove venga poi concluso l’accordo (chiamata anche “Convenzione”) tra l’Amministrazione che intende assumere e l’Amministrazione che ha confezionato la “prima” graduatoria, che ora verrà usata per l’assunzione.
L’accordo, peraltro, potrà consistere anche semplicemente nel nulla-osta rilasciato dall’Amministrazione titolare della graduatoria “ceduta”, dal momento che la normativa non richiede una particolare forma per questa tipologia di Convenzioni.
Ma cosa accade se l’Amministrazione della “vecchia” graduatoria si rifiuta di stipulare l’accordo con l’Amministrazione che intende assumere proprio sulla base di tale graduatoria?
I Giudici a tal proposito puntualizzano che l’accordo di cui si parla rientra nello schema degli accordi di natura privatistica (così, tra le altre sentenze, si veda T.A.R. Veneto, sentenza n. 864 del 2011), da perfezionarsi con gli strumenti a disposizione dei Dirigenti quali datori di lavoro, e non con atti di natura pubblicistica: non occorrono dunque delibere di Giunta o addirittura di Consiglio, laddove è sufficiente che sia adottata una determina del Dirigente del Settore competente, con la quale viene autorizzata la sottoscrizione dello schema di Convenzione.
Occorre ancora notare che con l’accordo può essere siglato anche per assumere i vincitori di un concorso bandito da un altro ente, e non solo dunque gli idonei: quindi se ho vinto un concorso presso l’ente X potrò essere anche assunto da un altro ente Y, purché ci sia l’accordo tra i due enti per l’assunzione nel medesimo profilo. La norma di riferimento, in questo caso, è rappresentata dall’art. 14 comma 4-bis del decreto-legge 6 luglio 2012 n. 95.
La decadenza dalle graduatorie
Un problema piuttosto frequente nella prassi è il seguente: cosa accade se l’ente titolare della graduatoria mi contatta per essere assunto, sulla base dello scorrimento graduatorie, e io – che sia vincitore o idoneo – decido di rifiutare o sono costretto a farlo per motivi personali? Decado dalla graduatoria oppure no?
Ti dico subito, tanto per iniziare, che non vi è alcuna conseguenza sfavorevole se l’ente ti chiama per scorrimento da graduatorie a tempo indeterminato per propormi un contratto a tempo determinato: posso legittimamente rifiutare la proposta conservando la mia posizione in graduatoria, e ciò anche quando la chiamata avvenga da parte di un ente terzo.
Ben diverso è il problema che si presenta quando, in qualità di idoneo o vincitore di concorso, rifiuto la chiamata per l’assunzione a tempo indeterminato.
Ebbene, sul punto occorre chiarire che non c’è nessuna norma di legge che prevede la decadenza (o il depennamento, il che è lo stesso) dalla graduatoria quale conseguenza del mio rifiuto: una ipotesi del genere è prevista solo in ambito scolastico (art. 1 comma 109 L. n. 107/2015: “la rinuncia all’assunzione nonché la mancata accettazione in assenza di una valida e motivata giustificazione comportano la decadenza dalle graduatorie di merito”).
Tale conclusione è stata fatta propria dall’importante sentenza del T.a.r. L’Aquila, n. 125 del 12 aprile 2022, la quale aggiunge che il depennamento dalla graduatorie ha conseguenze pregiudizievoli per il candidato perché gli impedisce di accedere presso la stessa o altre amministrazioni negli anni di validità della graduatoria.
In definitiva, secondo la sentenza, un conto è la decadenza dalla singola proposta di assunzione, un conto è la decadenza totale dalla graduatoria (intesa anche come “depennamento”), che è illegittima in quanto preclude al candidato di essere poi eventualmente chiamato successivamente all’esito di un nuovo scorrimento, ove si rendessero disponibili ulteriori posti nel medesimo profilo.
Quindi in definitiva, secondo la sentenza richiamata, io posso legittimamente rifiutare una proposta di assunzione a tempo indeterminato da parte dell’ente titolare o da parte di un ente terzo: ciò naturalmente non impedirà all’ente di procedere oltre con lo scorrimento secondo l’ordine, ma ove mai – perdurante la validità della graduatoria – l’ente dovesse aver bisogno di scorrere nuovamente la graduatoria, oppure volesse concedere l’utilizzo della stessa ad un altro ente, dovrà tener conto anche della posizione di colui che aveva originariamente rinunciato all’assunzione.
A quale Giudice rivolgersi: Tribunale Civile o Giudice Amministrativo?
La corretta individuazione del Giudice dinanzi al quale proporre il ricorso dipende essenzialmente dalla tipologia della nostra richiesta.
Ove il ricorrente si limiti ad affermare il suo diritto puro e semplice alla nomina presso l’Amministrazione mediante lo scorrimento della preesistente (ed ancora valida) graduatoria, allora la giurisdizione non potrà che spettare al Giudice Ordinario, e nella specie al Giudice del Lavoro.
Di converso, ove esso lamenti la lesione del suo diritto alla nomina contestando la legittimità dei provvedimenti amministrativi con i quali l’Amministrazione ha attivato una nuova procedura concorsuale (ovvero anche una procedura di mobilità volontaria esterna), allora in tal caso, venendo in rilievo una fattispecie di “cattivo esercizio del potere amministrativo” (e dunque di lesione dell’interesse legittimo), la giurisdizione non potrà che ricadere sul Giudice Amministrativo, conformemente a quanto previsto dall’art. 63 comma 4 del decreto legislativo n. 165 del 2001.
Al medesimo risultato, peraltro, una parte della giurisprudenza giunge argomentando in un senso parzialmente diverso.
Nella sentenza del Consiglio di Stato, Sez. III, del 21 maggio 2013, n. 2753, si è detto infatti che il “diritto” allo scorrimento della graduatoria concorsuale non appartiene alla fase della procedura di concorso, la cui competenza è demandata al Giudice Amministrativo, ma ad una fase successiva, connessa agli atti di gestione del rapporto di lavoro, e dunque non può che essere riservato alla giurisdizione del Giudice Ordinario.
Eccoci giunti al termine del nostro approfondimento!
Vi ricordo che il nostro Studio è specializzato in Diritto Amministrativo e nel Diritto del Pubblico Impiego. Se siete inseriti in una graduatoria concorsuale ancora valida e volete sapere se avete i requisiti o meno per essere assunti mediante scorrimento o in altro modo, chiamateci o scriveteci: lo Studio saprà suggerirvi la migliore soluzione possibile per far valere i Vostri diritti.
Avv. Lorenzo De Gregoriis, Ph.D. su gdlex.it
Lo scorrimento in convenzione delle graduatorie nei concorsi. Da lapostadelsindaco.it il 07/07/2023
Nuovi limiti ed effetti sulla possibilità di condivisione tra enti
I nuovi meccanismi per lo scorrimento degli idonei (art. 35, c. 5-ter, D.Lgs. 165/2001)
Uno degli effetti più dirompenti del tetto agli idonei nei concorsi pubblici, imposto dal nuovo comma 5-ter dell’articolo 35 del D.Lgs. 165/2001 è la limitazione della possibilità di utilizzo convenzionato tra enti delle graduatorie vigenti.
Ricordiamo il testo del nuovo comma 5-ter (così come modificato dal D.L. 44/2023, convertito in L. 74/2023): “Nei concorsi pubblici sono considerati idonei i candidati collocati nella graduatoria finale entro il 20 per cento dei posti successivi all'ultimo di quelli banditi. In caso di rinuncia all'assunzione o di dimissioni del dipendente intervenute entro sei mesi dall'assunzione, l'amministrazione può procedere allo scorrimento della graduatoria nei limiti di cui al quarto periodo”.
La disposizione così modificata, quindi, non prevede di limitare il numero degli idonei entro il 20% dei posti banditi (1 idoneo ogni 5 posti messi a bando), bensì di limitare lo scorrimento della graduatoria entro il 20% dei posti della graduatoria successivi a quelli banditi: in un concorso a 5 posti, se vi sono dal sesto in poi altri 100 idonei, sarà possibile chiamare dalla graduatoria solo i primi 20 di questi 100.
Il convenzionamento delle graduatorie
La norma principale posta a disciplinare le convenzioni è l'articolo 3, comma 61, della legge 350/2003, ai sensi della quale “ ... in attesa dell’emanazione del regolamento di cui all’art. 9 della Legge 16 gennaio 2003, n. 3, le amministrazioni pubbliche ivi contemplate, nel rispetto delle limitazioni e delle procedure di cui ai commi da 53 a 71, possono effettuare assunzioni anche utilizzando le graduatorie di pubblici concorsi approvate da altre amministrazioni, previo accordo tra le amministrazioni interessate”.
L’ultimo periodo dell’articolo 36, comma 2, del D.Lgs. 165/2001 estende la possibilità di gestire in convenzione le graduatorie anche per la chiamata a lavori a tempo determinato su graduatorie di concorsi a tempo indeterminato: “E' consentita l'applicazione dell'articolo 3, comma 61, terzo periodo, della legge 24 dicembre 2003, n. 350, ferma restando la salvaguardia della posizione occupata nella graduatoria dai vincitori e dagli idonei per le assunzioni a tempo indeterminato”.
Le assunzioni riferite al PNRR
L’articolo 16, comma 3-bis, del D.L. 146/2021, convertito in legge 215/2021, con specifico riferimento alle assunzioni riferite al PNRR dispone: “In considerazione dell'urgenza di rafforzare la capacità amministrativa delle pubbliche amministrazioni, le amministrazioni titolari di interventi previsti nel PNRR, inclusi le regioni e gli enti locali, possono utilizzare le graduatorie ancora vigenti di concorsi per dirigenti di seconda fascia e funzionari, banditi anche da altre pubbliche amministrazioni, mediante scorrimento delle stesse nel limite delle assunzioni effettuabili ai sensi della normativa assunzionale vigente”.
Limiti allo scorrimento e effetti sulla possibilità di condivisione
I riferimenti alla legge 350/2003 e al D.L. 146/2021 sopra richiamati possono destare l’impressione che:
sia la convenzione tra gli enti la fonte diretta della disciplina dell’utilizzo delle graduatorie;
la convenzione riguardi la graduatoria “approvata” e, dunque, la medesima graduatoria per esteso;
il limite all’utilizzo di graduatorie convenzionate, almeno con riferimento alle assunzioni titolari degli interventi del PNRR, sia limitato solo dalle capacità assunzionali.
Tuttavia, la corretta analisi della normativa non può che portare a conclusioni del tutto opposte.
La disciplina delle graduatorie condivise non trova nella convenzione la propria fonte esclusiva: le convenzioni o accordi tra enti debbono obbedire, ovviamente, alla legge il che porta a concludere necessariamente che le graduatorie approvate nel regime dell’articolo 35, comma 5-ter, del D.Lgs. 165/2001, e cioè a partire dallo scorso 21 giugno 2023 consentono di formare gli idonei veri e propri, quelli che possono aspettarsi l’eventuale scorrimento, solo nel 20% del numero dei candidati piazzati nella graduatoria successivamente al numero dei posti previsti dal bando.
Esempio: Pertanto, tornando all’esempio iniziale, se 100 sono i candidati successivi all’ultimo tra i posti banditi, solo i primi 20 tra questi 100 possono essere chiamati come idonei; conseguentemente, l’ente titolare della graduatoria può legittimamente sottoscrivere con altri enti l’accordo per l’utilizzo della graduatoria solo nel limite dei 20 veri e propri idonei.
Infatti, sebbene si approvi una graduatoria più estesa, che arrivi a 100 candidati successivi all’ultimo posto oggetto del bando, l’approvazione deve da ora in poi identificare gli idonei veri e propri, quelli che possono essere chiamati per scorrimento, dagli altri semplici piazzati in graduatoria, i quali oltre a non avere il diritto allo scorrimento, non potranno nemmeno vantare un’aspettativa legittima: la loro posizione in graduatoria non ha alcun effetto giuridico di alcun genere.
Lo stesso vale per l’art. 16, comma 3-bis, del D.L. 146/2021: il nuovo comma 5-ter dell’articolo 35 del D.Lgs. 165/2001 non incontra, infatti, limiti alla propria applicazione ed è comunque ovvio e scontato, oltre che ininfluente sulla disciplina degli idonei, che le assunzioni possano essere effettuate nel rispetto delle facoltà assunzionali.
Dunque, le graduatorie convenzionabili risulteranno inevitabilmente più corte, con un rilevante riduzione della possibilità di materiale condivisione.
DIRITTO AMMINISTRATIVO. Decreto P.A. (44/2023): nuovo limite uso delle graduatorie. Paolo Martini su Diritto.it il 31 agosto 2023.
Il 22 aprile 2023, il Governo ha approvato il nuovo Decreto legge n. 44 titolato “Disposizioni urgenti per il rafforzamento della capacità amministrativa delle amministrazioni pubbliche” (già convertito mediante la Legge 21 giugno 2023, n. 74).
Il provvedimento è denso di novità: ad esempio la possibilità di stabilizzazioni negli Enti Locali e nelle Regioni fino al 31/12/2026 (art. 3) e la possibilità di concorsi per apprendistato e successiva assunzione di neo-laureati presso le Pubbliche Amministrazioni (art. 3-ter).
Tuttavia una disposizione introdotta dall’art. 1-bis a novella dell’art. 35 del D.lgs. 165/2001, suscita non poche perplessità.
Il testo è il seguente.
“Art. 1-bis (Modifiche al decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, in materia di concorsi per il reclutamento del personale)
1. Al decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) all’articolo 35:
1) al comma 5 sono aggiunte, in fine, le seguenti parole: “,che può essere utilizzato anche per la costituzione dei comitati di vigilanza dei concorsi di cui al presente comma”;
2) al comma 5-ter sono aggiunti, in fine, i seguenti periodi: “Nei concorsi pubblici sono considerati idonei i candidati collocati nella graduatoria finale entro il 20 per cento dei posti successivi all’ultimo di quelli banditi.
In caso di rinuncia all’assunzione o di dimissioni del dipendente intervenute entro sei mesi dall’assunzione, l’amministrazione può procedere allo scorrimento della graduatoria nei limiti di cui al quarto periodo”.
Si apprende che:
“[…] tale disposizione è finalizzata a garantire una migliore qualità del personale assunto, e ciò in considerazione del fatto che i candidati collocati in graduatoria in una posizione rientrante nella quota introdotta corrisponde a quelli che hanno conseguito una valutazione finale più vicina al punteggio conseguito dai vincitori del concorso. Si tratta di una misura che va letta in un’ottica di sistema nel quale gli altri fattori da valutare sono la rapidità delle nuove procedure concorsuali (massimo 180 giorni, così come previsto nel regolamento di modifica al dPR n. 487 del 1994, recentemente approvato in via definitiva dal Consiglio dei ministri), frequenti (il turn over annuale medio è di circa 150.000 unità) e digitalizzate”.
Risulta opportuno chiarire fin da subito che la disposizione riguarda le graduatorie dei concorsi banditi dopo l’entrata in vigore della legge di conversione del Decreto legge (ossia dopo il 22/06/2023).
Di seguito le perplessità in merito.
1. La montagna che partorisce un topolino. La sussistenza di una graduatoria e la sua inutilizzabilità
2. L’intervento a gamba tesa del legislatore rispetto alla funzione della Commissione di concorso
3. Il contesto odierno e la spinta all’inefficienza
1. La montagna che partorisce un topolino. La sussistenza di una graduatoria e la sua inutilizzabilità
La disposizione non esclude la formazione di una graduatoria.
Questa circostanza è confermata, oltre che dalla lettura di buona parte degli interpreti (ad esempio IlPersonale.it) anche dal testo stesso, che al c. 1, lett. a), menziona la graduatoria medesima. Pertanto una graduatoria verrà formata. E tuttavia non potrà essere utilizzata.
Viene dato adito inoltre ad un ulteriore dubbio: al secondo periodo del punto 2 già citato, si fa presente che: “In caso di rinuncia all’assunzione o di dimissioni del dipendente intervenute entro sei mesi dall’assunzione, l’amministrazione può procedere allo scorrimento della graduatoria nei limiti di cui al quarto periodo”.
Ad avviso di chi scrive si rende necessario un chiarimento: nel caso in cui un idoneo all’assunzione rinunciasse all’immissione in ruolo, l’Amministrazione potrebbe scorrere un posto ulteriore rispetto al fissato limite del venti per cento? Se sì, si comprende l’utilità della disposizione: ossia nel caso in cui le rinunce erodessero la quota assumibile di idonei, si potrebbe fare ricorso ai nominativi disponibili. Confermando ulteriormente la necessità dell’esistenza di una graduatoria ma al contempo la sua – in buona parte (80%) – inutilizzabilità.
Se invece del secondo periodo si valorizza maggiormente la parte finale (“nei limiti di cui al quarto periodo”), la disposizione ammetterebbe una procedura già esistente ed automatica, ovvero il normale scorrimento di una graduatoria. E tuttavia rimarcherebbe il limite del venti per cento, rendendo potenzialmente un concorso inutile in tutto o in parte, nel caso in cui (non raro attualmente) le rinunce superino non solo il numero degli idonei, ma intacchi anche quello dei vincitori.
2. L’intervento a gamba tesa del legislatore rispetto alla funzione della Commissione di concorso
Se la ratio della norma è quella dichiarata nella nota del Dipartimento per la Funzione Pubblica n. 1187/2023, il Governo avrebbe deciso di limitare fortemente il numero degli idonei all’assunzione “in considerazione del fatto che i candidati collocati in graduatoria in una posizione rientrante nella quota introdotta corrisponde a quelli che hanno conseguito una valutazione finale più vicina al punteggio conseguito dai vincitori del concorso”.
Tuttavia questa sarebbe una pesante ingerenza nel lavoro delle Commissioni di concorso oltreché una dichiarazione di sfiducia a priori nei loro confronti: è infatti l’attività di queste che stabilisce quali candidati potranno superare il concorso e, al termine, essere considerati idonei, secondo la gradazione del punteggio conseguito. In parole povere la Commissione, al termine della propria attività, indicherà quali sono i candidati che potranno accedere all’Amministrazione nel profilo bandito, ricordando che l’ultimo dei candidati inseriti nella graduatoria avrà comunque ricevuto un punteggio migliore del primo degli esclusi.
Inoltre non è detto che fra il primo classificato e l’ultimo intercorra una forbice di punteggi notevole: in molti concorsi (specie quelli che vedono numerosi candidati) si può osservare come un punto di differenza tra un candidato e un altro possa dare come risultato anche decine o centinaia di posizioni di distanza.
Il sistema risultante dalla nuova norma potrebbe spingere le Commissioni ad escludere il minimo numero possibile di candidati, in modo da creare graduatorie di centinaia di nominativi, solo per avere un numero sufficiente di soggetti assumibili.
Infatti la norma non lega il numero dei potenziali idonei ai posti messi a bando, in quanto il limite percentuale non fa riferimento ai candidati vincitori, bensì a quelli successivi all’ultimo dei posti banditi.
Quindi le future Commissioni, per poter garantire un margine di una ventina di potenziali idonei, potrebbero decidere di ammettere in graduatoria cento aspiranti. Con costi altissimi in termini di svolgimento e correzione prove, aspettative dei candidati e potenziali contenziosi.
3. Il contesto odierno e la spinta all’inefficienza
Che negli ultimi tempi i candidati ai concorsi pubblici rinuncino poi all’assunzione è noto a molti. Quantomeno è attualità di tutta evidenza per gli Uffici del Personale delle Amministrazioni, che a fronte delle risorse e del tempo impiegate per l’espletamento delle procedure selettive, si ritrovano poi con pochi candidati che accettano l’immissione in ruolo e la conseguente necessità di ribandire il concorso.
Senza contare che le graduatorie, se ben bilanciate, possono costituire un valido elemento su cui basare la pianificazione delle assunzioni e le previsioni in merito al rafforzamento del personale: se infatti prima del concorso il numero di idonei è ignoto, una volta che l’Amministrazione avrà dei numeri certi (o quantomeno probabili) potrà elaborare una strategia per assicurare le proprie attività ed i servizi da essa erogati mediante il PIAO (Piano Integrato di Attività e Organizzazione, di cui al D.l. 80/2021, comprendente il cosiddetto “piano delle assunzioni”, che avendo un orizzonte triennale, lo si ricorda, dura per tutte le Amministrazioni – tranne gli Enti Locali – più delle graduatorie grazie ad un’altra incomprensibile riforma avutasi con la L. 160/2019, che ha limitato ad un biennio la validità delle graduatorie).
Il combinato disposto dello scarso lasso di tempo della validità delle graduatorie, unito ad una così forte limitazione all’uso delle stesse, nel contesto odierno in cui le rinunce sono rilevanti o addirittura schiaccianti rispetto agli elenchi di vincitori ed idonei approvati, spingerà le Amministrazioni a bandire concorsi in modo continuo, quasi compulsivo. Con il rischio che questi concorsi non diano nemmeno il frutto sperato dei vincitori (magari per posti di difficile accesso come quelli per profili altamente specialistici o dirigenziali). E con il rischio di rendere inapplicabile la possibilità per altre Amministrazioni di attingere dalla graduatoria formatasi (D.l. 146/2021; D.l. 95/2012).
Con il possibile effetto collaterale per cui avendo sempre la possibilità continua di nuovi concorsi per una generalità di profili, le Amministrazioni non potranno mai essere ragionevolmente certe della stabilità delle risorse assunte: infatti basterà che un Ente bandisca un concorso per un Ufficio più vicino al luogo di residenza del candidato o per un profilo migliore e chiami quindi il collega neo-assunto risultato vincitore o tra i pochi idonei, per creare nuovamente un buco d’organico (da coprire con … concorso) o aggiungersi ai già numerosi esempi di rinuncia all’assunzione per l’Amministrazione chiamante. Il tutto con buona pace del principio di efficienza delle Pubbliche Amministrazioni statuito dall’art. 97 della Costituzione.
Non resta pertanto che sperare in un ripensamento del legislatore e nell’abrogazione della norma presa in esame, magari con l’aumento del limite generale della validità delle graduatorie a tre anni.
Lo scorrimento di graduatorie di pubblici concorsi proprie o approvate da altri Enti: analisi, vincoli, evoluzione
GRADUATORIE CONCORSUALI. Da di Giuseppe Fiorillo, Clemente Lombardi su filodiritto.com il 20 Dicembre 2022
Gli strumenti di programmazione finanziaria dell’Ente locale, con particolare riferimento al Piano della Performance
Lo scorrimento di graduatorie di pubblici concorsi proprie o approvate da altri Enti: analisi, vincoli, evoluzione
Il presente lavoro costituisce un approfondimento dell’utilizzazione delle graduatorie concorsuali con particolare riferimento al sempre più frequente ricorso a tale istituto da parte di pubbliche Amministrazioni diverse da quelle che hanno indetto il concorso, tema di attualità, controverso ed ampiamente dibattuto sia dalla dottrina che dalla giurisprudenza.
Il favor verso questo istituto, da diversi anni interessato da provvedimenti legislativi e/o pronunciamenti della giurisprudenza, soprattutto amministrativa e contabile, causando incertezze e difficoltà interpretative agli operatori, è suffragato dall’evoluzione della normativa regolante la materia, condivisa in larga parte anche dalla giurisprudenza, confluita in provvedimenti legislativi che senza soluzione di continuità hanno prorogato la validità delle graduatorie, originando aspettative negli idonei con inevitabile produzione di contenzioso.
In ogni caso è opportuno un intervento legislativo che, bilanciando gli interessi in gioco, sistemi organicamente l’istituto introducendo norme chiare, intellegibili e di agevole applicazione per le pubbliche Amministrazioni (soprattutto gli Enti locali), a beneficio di tutti gli operatori che a vario titolo sono quotidianamente impegnati nel reperimento di risorse umane.
Sommario
Introduzione
Quadro normativo
Scorrimento di graduatorie concorsuali proprie
Utilizzo di graduatorie concorsuali approvate da altri Enti
Validità delle graduatorie
Rapporti tra le varie modalità di reclutamento
Tutela giurisdizionale in materia di scorrimento e/o utilizzo graduatorie
1. Introduzione
L’articolo 97 della nostra Costituzione sancisce il principio che nelle pubbliche amministrazioni si accede mediante concorso, salvo i casi stabiliti dalla legge. Tale principio viene ribadito nel decreto legislativo 30 marzo 2001 n. 165 ed, in particolare, nell’articolo 35, ove è previsto che l’assunzione nelle amministrazioni pubbliche avviene tramite procedure selettive finalizzate all’accertamento della professionalità richiesta.
La Corte Costituzionale ha poi ripetutamente affermato che la selezione concorsuale costituisce la forma generale ed ordinaria di reclutamento per le amministrazioni pubbliche, quale strumento per assicurare efficienza, buon andamento ed imparzialità. Eventuali deroghe al principio del concorso pubblico, per altro delimitate in modo rigoroso, possono considerarsi legittime solo quando siano funzionali esse stesse al buon andamento dell'amministrazione e ove ricorrano peculiari e straordinarie esigenze di interesse pubblico idonee a giustificarle (sentenze n. 110 del 2017 e n. 90 del 2012; nello stesso senso, sentenze n. 7 del 2015, n. 134 del 2014, n. 217 e n. 51 del 2012, n. 310 del 2011, n. 150 e n. 9 del 2010, n. 293 e n. 215 del 2009, n. 363, n. 205 e n. 81 del 2006). In particolare, con le sentenze nr. 110/2017 e nr. 73/2013 il giudice delle leggi ha dichiarato essere in contrasto con l'articolo 97 della Costituzione l’utilizzazione di graduatorie che non siano state formate all'esito di procedure rispondenti al principio del pubblico concorso non solo quando il fine è quello di assumere personale a tempo indeterminato ma anche quando l'intendimento è quello di instaurare (o prorogare) contratti a tempo determinato.
Negli ultimi anni si è, però, verificata una inversione di rotta nell’applicazione del suddetto principio fino a rendere ragionevolmente sostenibile che la scelta di procedere allo scorrimento delle graduatorie sia assurta a regola di condotta generale delle pubbliche Amministrazioni rispetto alla indizione di un nuovo concorso che costituirebbe, quindi, l’eccezione cui ricorrere motivandone congruamente le ragioni.
Ad oggi, lo scorrimento delle graduatorie concorsuali continua, comunque, ad essere un tema ampiamente dibattuto ed il quadro normativo che si è andato progressivamente delineando in materia è a netto favore del meccanismo dello scorrimento. A ciò hanno, sicuramente, contribuito i provvedimenti legislativi con cui, ingenerando aspettative negli idonei, è stata disposta la proroga annuale della vigenza delle graduatorie.
L’istituto del cd. “scorrimento di graduatoria” identifica il procedimento che consente anche ad altri Enti di procedere all’assunzione di nuovo personale, in relazione a sopravvenute vacanze di posti in organico, attraverso la chiamata, nei limiti di validità temporale della graduatoria, di coloro che sono risultati idonei ma non vincitori nelle procedure concorsuali.
Mediante lo scorrimento di graduatoria si vanno, quindi, ad individuare ulteriori “vincitori” tra coloro che, pur avendo superato tutte le prove concorsuali, sono risultati in una posizione di graduatoria non utile all’assunzione presso l’Ente che ha indetto il concorso.
Con il ricorso all’utilizzo di graduatorie di altri Enti, per effetto della possibilità riconosciuta dal nostro ordinamento, si consente, previo consenso, alle pubbliche Amministrazioni che hanno necessità di reclutare personale per coprire posti vacanti nella propria dotazione organica, di optare per la scelta dello scorrimento di una graduatoria già approvata ed in corso di validità, quale soluzione alternativa all’indizione di un nuovo concorso pubblico.
Si tratta, quindi, di attingere da una graduatoria concorsuale vigente, ma approvata da una pubblica Amministrazione diversa da quella che deve bandire il concorso. Siffatta scelta “in primis” rispetta la regola che obbliga a reclutare il personale mediante concorso pubblico ed è rispondente all’esigenza di contenimento della spesa pubblica in quanto evita, soprattutto per gli enti di ridotta dimensione e con carenza di organico, i costi economici ed organizzativi connessi alla indizione di una nuova procedura selettiva. Rende, inoltre, più celere il procedimento finalizzato all’assunzione di personale ed è, quindi, in linea con il rispetto dei principi di economicità e speditezza dell’azione amministrativa.
2. Quadro normativo
L’istituto giuridico della utilizzazione delle graduatorie da parte di amministrazioni diverse da quelle che hanno indetto il concorso, nasce, come detto, dal cd. “scorrimento delle graduatorie” previsto dall’articolo 8 del decreto del Presidente della Repubblica n. 3/1957, testo unico delle disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili dello Stato. Tale articolo attribuiva all’amministrazione la possibilità di coprire, oltre ai posti messi a concorso, solo quelli che risultavano disponibili alla data di approvazione della graduatoria. La facoltà di scorrere la graduatoria, procedendo secondo l’ordine, era, inoltre, concessa per far fronte alla rinuncia, decadenza o dimissioni dei vincitori.
L'utilizzo della graduatorie di altri enti è stato inizialmente previsto dall’articolo 3, comma 61, della legge 24 dicembre 2003, n. 350 (Legge finanziaria per l’anno 2004) secondo cui, “ ... in attesa dell’emanazione del regolamento di cui all’articolo 9 della Legge 16 gennaio 2003, n. 3, le amministrazioni pubbliche ivi contemplate, nel rispetto delle limitazioni e delle procedure di cui ai commi da 53 a 71, possono effettuare assunzioni anche utilizzando le graduatorie di pubblici concorsi approvate da altre amministrazioni, previo accordo tra le amministrazioni interessate”.
L’applicazione della norma è stata estesa anche agli Enti locali, considerato che gli stessi partecipano al raggiungimento degli obiettivi di finanza pubblica, a maggior ragione dopo la modifica dell’articolo 36, del decreto legislativo n. 165/2001 in materia di lavoro flessibile, introdotta dal decreto-legge n. 101/2013 che ha confermato la facoltà di utilizzare graduatorie di altre Amministrazioni anche relativamente alle assunzioni a tempo determinato, senza limitazioni per nessun comparto pubblico.
Negli anni successivi l’articolo 14, comma 4-bis, del decreto-legge n. 95/2012, convertito con modificazioni nella legge n. 135 del 7 agosto 2012, n. 135, ha disposto “In relazione all'esigenza di ottimizzare l’allocazione del personale presso le amministrazioni soggette agli interventi di riduzione organizzativa previsti dall'articolo 2 del presente decreto ed al fine di consentire ai vincitori di concorso una più rapida immissione in servizio, per il triennio 2012-2014, le amministrazioni pubbliche di cui al comma 1 del predetto articolo 2, fermo restando quanto previsto dal comma 13 del medesimo articolo, che non dispongano di graduatorie in corso di validità, possono effettuare assunzioni con le modalità previste dall'articolo 3, comma 61, della legge 24 dicembre 2003, n. 350, anche con riferimento ai vincitori di concorso presso altre amministrazioni”.
L’articolo 1, commi 360 e seguenti della legge 30 dicembre 2018 n. 145, ha apportato modifiche al preesistente sistema con riguardo alle modalità concorsuali per il reperimento del personale nelle pubbliche amministrazioni, modificando alcune norme del decreto legge n. 101 del 2013 convertito nella legge 30 ottobre 2013 n. 125, favorevole allo scorrimento delle graduatorie, ed aveva disposto l’utilizzo delle graduatorie concorsuali “solo per la copertura dei posti messi a concorso”.
La successiva legge n. 160/2019 (legge di bilancio per il 2020) ha abrogato i commi da 361 a 362-ter e il comma 365 dell’articolo 1 della legge n. 145/2018.
Degno di nota è, nello specifico, la cancellazione della disposizione normativa che disponeva che le graduatorie dovevano essere “utilizzate esclusivamente per la copertura dei posti messi a concorso nonché di quelli che si rendono disponibili, entro i limiti di efficacia temporale delle graduatorie medesime, fermo restando il numero dei posti banditi e nel rispetto dell’ordine di merito, in conseguenza della mancata costituzione o dell’avvenuta estinzione del rapporto di lavoro con i candidati dichiarati vincitori”.
Con l’espunzione della norma di cui sopra dall’ordinamento giuridico ad opera della legge di bilancio 2020, n. 160/2019, sussiste la possibilità di utilizzare le graduatorie esistenti non solo per coprire i posti messi a concorso ma anche per effettuare eventuali scorrimenti.
Un ulteriore riferimento normativo è costituito, infine, nell’art. 17, comma 1-bis, del decreto-legge n. 162/2019, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 8/2020 (c.d. Milleproroghe) in base al quale gli enti locali possono procedere allo scorrimento delle graduatorie ancora valide per la copertura dei posti previsti nel medesimo piano, anche in deroga a quanto stabilito dal comma 4 dell’articolo 91 del testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267.
È evidente, per quanto appena detto, che la suddetta norma consente agli enti locali di disapplicare la disposizione del predetto articolo 91, comma 4, del Tuel 267/2000, con la possibilità di utilizzare le graduatorie anche per la copertura dei posti istituiti o trasformati successivamente all’indizione del concorso.
3. Scorrimento di graduatorie concorsuali proprie
Nell’introduzione si è già fatto cenno che questa modalità di reclutamento, per l’ente che ha indetto il concorso ed approvato la graduatoria, rappresenta oggi la regola generale per effetto della sostanziale inversione del rapporto tra l’opzione per un nuovo concorso e la decisione di scorrimento di una propria graduatoria preesistente ed efficace.
Lo scorrimento di graduatoria, attivabile nei limiti di una graduatoria valida, è l’istituto giuridico che dà la possibilità alle pubbliche Amministrazioni di attingere personale da immettere negli organici mediante interpello nei confronti degli idonei, non risultati vincitori in una selezione pubblica con evidente risparmio di spesa e celerità nella procedura di acquisizione del personale da prendere alle dipendenze.
Di conseguenza se l’Ente ha delle graduatorie in corso di validità (e magari prossime alla scadenza) e decide, per posti aventi il medesimo profilo professionale e categoria di inquadramento, di assumere del personale con un nuovo concorso, deve prestare attenzione nel motivare la scelta onde scongiurare il rischio che l’indizione di un nuovo concorso possa instaurare un contenzioso da parte degli idonei che vantano una posizione di mera “aspettativa verso lo scorrimento” (cfr. sentenza Consiglio di Stato, Sez. V, 1 marzo 2005, n. 794; Consiglio di Stato, Sez. V, 16 ottobre 2002, n. 5611) e non un “diritto”.
Occorre precisare che la preferenza della graduatoria propria da cui l’Ente può attingere per scorrimento rispetto all’indizione di un nuovo concorso pubblico, non è assoluta. La preferenza legislativa nei confronti dello scorrimento può essere superata unicamente qualora la scelta di un nuovo concorso sia sostenuta da adeguata motivazione che, in ossequio al disposto dell’articolo 3, comma 1, della legge n. 241/1990, indichi i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione dell’amministrazione di non utilizzare a graduatoria il cui scorrimento non presenta impedimenti normativi.
In questi casi l’obbligo di motivazione assume rilievo preponderante soprattutto se si tiene conto che le scelte amministrative proiettano i loro effetti nella sfera giuridica dei soggetti utilmente collocati nelle graduatorie che, per tale qualità, sono portatori di interessi meritevoli di tutela.
Va rilevato che la motivazione non deve limitarsi a riprodurre sterili forme di stile, prive di contenuto concreto o risolversi nel semplice richiamo al dettato legislativo senza far riferimento ad elementi o fatti specifici e precisi: al contrario indicare i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche, consentendo la ricostruzione dell’iter logico motivazionale-giuridico in base al quale l’Amministrazione ha adottato la determinazione finale, sulla base delle risultanze dell’istruttoria.
L’ordinamento attuale afferma, quindi, una generale propensione per l’utilizzazione delle graduatorie degli idonei, che recede solo in presenza di speciali discipline di settore o di particolari circostanze di fatto o di ragioni di interesse pubblico prevalenti, che devono, comunque, essere puntualmente enucleate nel provvedimento di indizione del nuovo concorso. (Consiglio di Stato, 23 giugno 2020, n. 4013).
Questo principio è stato invocato anche dalla Sezione quinta del Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale, nella recente sentenza n. 7780/2022, pubblicata il 7 settembre 2022 con la quale il massimo organo di giustizia amministrativa richiama, ancora una volta, la fondamentale sentenza 28 luglio 2011, n. 14, con cui l’Adunanza Plenaria, in funzione nomofilattica, ha esposto i principi di diritto che governano l’incerto rapporto fra scorrimento, da parte della pubblica Amministrazione, di graduatoria concorsuale ancora efficace e indizione di nuovo concorso, soffermandosi sui casi in cui la determinazione di procedere al reclutamento mediante nuove procedure concorsuali anziché attraverso lo scorrimento di graduatorie preesistenti risulta pienamente giustificabile.
Con la prefata sentenza, il massimo organo di giustizia amministrativa ha avuto cura di precisare che “ la riconosciuta prevalenza delle procedure di scorrimento non è comunque assoluta e incondizionata e che “ sono tuttora individuabili casi in cui la determinazione di procedere al reclutamento del personale, mediante nuove procedure concorsuali, anziché attraverso lo scorrimento delle preesistenti graduatorie, risulta pienamente giustificabile, con il conseguente ridimensionamento dell’obbligo di motivazione”; tra questi prosegue “può acquistare rilievo l’intervenuta modifica sostanziale della disciplina applicabile alla procedura concorsuale, rispetto a quella riferita alla graduatoria ancora efficace, con particolare riguardo al contenuto delle prove di esame e ai requisiti di partecipazione”; o anche la valutazione del “contenuto dello specifico profilo professionale per la cui copertura è indetto il nuovo concorso e delle eventuali distinzioni rispetto a quanto descritto nel bando relativo alla preesistente graduatoria”.
A tali canoni interpretativi continua, quindi, ad ispirarsi la recente giurisprudenza dei T.A.R e del Consiglio di Stato nel nutrito contenzioso che nasce dalla impugnazione degli atti amministrativi in cui è contenuta la scelta tra la indizione di un nuovo concorso e la chiamata per scorrimento degli idonei in graduatorie ancora efficaci.
E’ bene, infine, ribadire che nel caso in cui l’Ente opti per lo scorrimento della graduatoria, modalità ritenuta prioritaria anche dalla Cassazione - Sezione lavoro, Ordinanza n. 2316/2020, è tenuto non solo al rispetto del principio di equivalenza (vale a dire di corrispondenza del profilo professionale per il quale si procede all’assunzione a quello a cui si riferisce la graduatoria dalla quale attingere), ma, ancor prima, a riscontrare l’efficacia della graduatoria, muovendosi entro i binari tracciati dal legislatore che, ad oggi, sono quelli indicati dall’articolo 1, comma 147 e seguenti, della legge n. 160/2020.
4. Utilizzo di graduatorie concorsuali approvate da altri Enti
Le graduatorie approvate da altri Enti possono essere utilizzate da altre Amministrazioni, anche sulla base di intese raggiunte con altre Amministrazioni dopo la conclusione del concorso (è preferibile un accordo preventivo alla formazione della graduatoria, anche se non è da escludere che l’intesa possa intervenire in una fase successiva), nell’ineludibile rispetto dell’ordine delle medesime e sulla base di criteri predeterminati (es. tempi e modi per l’interpello degli idonei ed eventuale rinuncia all’assunzione dell’idoneo interpellato da un Ente locale diverso da quello titolare della graduatoria ai fini della conservazione della sua posizione per successivi scorrimenti; tempi di comunicazione all’Ente locale titolare della graduatoria circa i risultati dello scorrimento) da una specifica disciplina regolamentare.
La locuzione “previo accordo” deve inserirsi in un chiaro e trasparente procedimento di corretto esercizio del potere di utilizzare graduatorie concorsuali di altre pubbliche Amministrazioni, allo scopo di evitare ogni arbitrio e/o irragionevolezza o violazione delle regole sulla concorsualità e, quindi, sull’imparzialità dell’azione amministrativa (in tal senso, deliberazione n. 290/2019/PAR Sezione regionale Controllo Veneto; Corte di cassazione, ordinanza n. 25986 emessa il 16 luglio e pubblicata il 16 novembre 2020).
Anche qui, il legittimo scorrimento della graduatoria presuppone, come già evidenziato, che vi sia “identità” di posti tra quello oggetto della procedura che ha dato luogo alla graduatoria e la nuova esigenza assunzionale, nel senso di una necessaria corrispondenza tra il profilo e la categoria professionale del soggetto collocato in graduatoria e il profilo e la categoria professionale vacante nell’Ente che intende scorrere la graduatoria (Cfr. sentenza TAR Veneto, n. 864/2011, concernente l’illegittimità dello scorrimento in caso di mancata corrispondenza del profilo e categoria professionale).
Per gli Ermellini non è possibile utilizzare le graduatorie scegliendo i candidati “ad personam”, essendo, invece, obbligatorio procedere nell’esatto ordine degli idonei ancora rimasti in posizione utile in graduatoria. Ogni altra immaginaria modalità di utilizzo (esempio, manifestazioni di interesse, colloqui cosiddetti “motivazionali”, ulteriore selezione) è da ritenersi contraria a norme giuridiche e, pertanto, illegittima.
Occorre tenere conto che i soggetti partecipanti sono già in possesso di idoneità avendo superato una precedente selezione pubblica e pertanto non possono essere sottoposti a selezione pubblica ex novo con evidente arbitrio della procedura, potendo di fatto accadere che la scelta dell’Ente utilizzatore ricada magari su un concorrente che non rispetti l’ordine di posizionamento della graduatoria, con evidente limitazione del diritto di chi invece rivesta una utile collocazione nelle graduatorie.
Gli Enti locali che intendono utilizzare, in modo trasparente e garantito, la graduatoria di altre pubbliche Amministrazioni mediante scorrimento, è necessario che si dotino di apposito regolamento, approvato dalla Giunta Comunale ai sensi di quanto prevede l’articolo 35 del decreto legislativo n. 165 del 30 marzo 2001 e successive modifiche, che, al comma 7, stabilisce che gli Enti Locali disciplinino le modalità di assunzione agli impieghi, i requisiti di accesso e le procedure concorsuali, mediante il Regolamento degli Uffici e dei Servizi la cui competenza all’adozione spetta alla Giunta Comunale ai sensi dell’articolo 48, comma 3, del Tuel 267/2000.
In tale regolamento occorre che siano preliminarmente individuati, in particolare, criteri rispettosi dell’ordine delle graduatorie attraverso i quali scegliere una pubblica Amministrazione con cui raggiungere e sottoscrivere l’intesa, ritenendo di dubbia legittimità ogni altra e diversa procedura (esempio, avvisi di interesse cui gli idonei possono partecipare, eventuali colloqui e/o test, ecc.). Diffusa, in merito, è la scelta regolamentare intrapresa da alcuni Comuni di prevedere che la manifestazione di interesse da parte degli idonei aspiranti sia espressamente ed unicamente limitata a segnalare la graduatoria in cui sono collocati che, poi, in base a criteri prestabiliti, sarà eventualmente individuata dall’Ente che ha bisogno di assumere.
La sezione regionale di controllo della Corte dei conti della Sardegna, con la deliberazione n. 85/2019, ha ricordato il vincolo a rispettare, nello scorrimento delle graduatorie, l’ordine delle stesse. Testualmente si legge che “è opportuno evidenziare che lo scorrimento dell’altrui graduatoria dovrebbe essere effettuato con la massima trasparenza, per prevenire il fenomeno corruttivo che può annidarsi in tale attività, assicurando la piena conoscibilità degli eventuali scorrimenti delle graduatorie e, in ogni caso, seguendo rigorosamente l’ordine di merito della graduatoria da scorrere”. Il che impedisce alle singole amministrazioni di dare corso a selezioni per scegliere nell’ambito delle graduatorie, tranne che le stesse siano riservate esclusivamente al primo di ogni graduatoria se il posto che si intenda coprire è uno.
Nella materia in trattazione sono intervenuti anche i giudici della Suprema Corte (Ordinanza n. 25986 emessa il 16 luglio e pubblicata il 16 novembre 2020; sentenza n. 15790/2021, sezione lavoro, richiamata anche dal TAR Lazio-Roma, sentenza n. 1746 del 14/02/2022), i quali hanno condiviso il consolidato orientamento della giurisprudenza amministrativa del tendenziale favor per la graduatoria meno recente formata all’esito di un concorso pubblico, motivato dalla necessità di salvaguardare, sia l’aspettativa di nomina di coloro che per primi l’hanno acquisita, sia il buon andamento della pubblica Amministrazione secondo il canone di cui all'articolo 97, comma 4, della Costituzione. Hanno affermato, infatti, che “se, da un lato, costituisce una scelta discrezionale dell’Amministrazione la copertura o meno dei posti vacanti, non altrettanto può dirsi circa le modalità della provvista, perché in relazione a tale aspetto la discrezionalità è limitata dalla sussistenza di un principio generale, ossia quello della prevalenza dello scorrimento, che recede solo in presenza di speciali discipline di settore o di particolari circostanze di fatto o di ragioni di interesse pubblico prevalenti”.
L’articolo 3, comma 61 della legge n. 350/2003, ha esteso, come dianzi anticipato, a tutte le amministrazioni pubbliche, e quindi anche agli enti locali, la possibilità di attingere a graduatorie tuttora valide di altre amministrazioni, previo accordo tra le stesse e nel rispetto dei limiti assunzionali vigenti.
L’opzione tra l’indizione di un concorso e l’utilizzazione della graduatoria di un’altra pubblica Amministrazione “rientra nel potere decisionale dell’ente”, che dovrà agire nel perimetro normativo disegnato dal legislatore e dai circoscritti spazi discrezionali riservati al suo esclusivo apprezzamento.
Ma l’utilizzo di graduatoria di altra pubblica Amministrazione risponde in primis all’esigenza di contenimento della spesa pubblica legata al sostentamento dei costi per portare a compimento la selezione pubblica, nel rispetto dei principi di economicità ed efficienza dell’azione amministrativa.
Infine, aspetto non meno importante, riduzione dei tempi per dell’acquisizione del personale programmato che con questa procedura vengono notevolmente ridotti rispetto alla ordinaria procedura del concorso pubblico, ed al tempo stesso viene rispettato l’ineluttabile dettame del concorso pubblico di cui all’articolo 97 della Costituzione.
Nell’ipotesi in cui un Ente locale intenda procedere allo scorrimento della graduatoria è tenuto non solo al rispetto del principio di equivalenza, ma ancor prima è tenuto a riscontrare l’efficacia della graduatoria, per come da ultimo fissati dall’articolo 1, commi 147 e seguenti, della legge n. 160/2019. Sull’argomento è utile segnalare, inoltre, l’interessante sentenza n. 680 del 23 febbraio 2021 del Tar Campania, sezione distaccata di Salerno, sintetizzata in quattro punti fondamentali:
a) conferma dell’obbligo di previa effettuazione della procedura ex articolo 34-bis del decreto legislativo n. 165/2001 (mobilità obbligatoria) nonché l’attuale facoltatività della mobilità volontaria, per il perdurante effetto dell’articolo 3, comma 8, della legge 56/2019 (valevole solo fino al 31/12/2024, salvo proroghe);
b) competenza della Giunta comunale per l’approvazione di regolamento che definisca i criteri preventivi, utili a scegliere la graduatoria da utilizzare (non per scegliere i candidati) tra quelle eventualmente disponibili;
c) legittimità dell’assunzione a tempo parziale di idoneo attinto da una graduatoria per concorso a tempo pieno;
d) individuazione della data utile a determinare se l’utilizzo della graduatoria concorsuale sia legittimo, quanto alla validità temporale della stessa, in quella di stipula del contratto individuale anche qualora sia prevista una posteriore decorrenza dell’assunzione.
Un particolare problema che si è presentato all’attenzione degli operatori, a tutt’oggi non chiarito, attiene alla possibilità per gli Enti di attingere a graduatorie per posti a tempo parziale allo scopo di assumere personale a tempo indeterminato e pieno.
In merito la giurisprudenza amministrativa (Cfr. Tar Campania, Sezione III, 21.11.2022, sentenza n. 7185) ritiene legittimo che un Ente in procinto di reclutare a tempo indeterminato e pieno, utilizzi una graduatoria nella quale sia collocato un dipendente a tempo indeterminato e parziale.
La richiamata recentissima sentenza ha il pregio, a sommesso parere, di aver colto nel segno laddove precisa che “non vi è alcuna ragionevole differenza qualitativa e/o di profilo professionale dei candidati che, al fine del superamento dei rispettivi concorsi (tempo pieno/tempo parziale), devono possedere identici requisiti e superare prove idoneative di pari livello” (in senso contrario, Corte dei conti dell’Umbria, sezione regionale di controllo, deliberazione n. 124/2013; Tar Calabria, sentenza n. 354 del 24/5/2022).
Altra questione meritevole di attenzione è quella riguardante le modalità di scorrimento delle graduatorie.
Nelle pubbliche Amministrazioni è,infatti, sempre più diffusa la prassi (ritenuta illegittima in quanto presuppone una ulteriore procedura selettiva, aggiuntiva rispetto a quella originaria, in palese violazione dell’articolo 97 della Costituzione) dell’attivazione dello scorrimento delle graduatorie di altri Enti mediante avvisi di manifestazione di interesse rivolte direttamente agli idonei ad essere selezionati, senza stipulare alcuna convenzione con altre pubbliche Amministrazioni.
L’iter procedurale previsto dalla vigente normativa presuppone che vi sia un rapporto convenzionale da stipulare tra due o più pubbliche Amministrazioni (è preferibile che la sottoscrizione avvenga prima della formazione della graduatoria a garanzia dei principi di imparzialità e trasparenza, ma nulla vieta che la stessa possa essere sottoscritta anche successivamente all’approvazione della graduatoria), secondo il quale ciascun Ente convenzionato, in base ai criteri ricavati in convenzione, beneficia della graduatoria messa a disposizione da uno di essi, scorrendo inderogabilmente l’ordine della graduatoria, assicurando in tal modo la posizione giuridica dei concorrenti utilmente collocati nella graduatoria.
L’Accordo convenzionale, contenente regole e modalità di utilizzo della graduatoria, è di natura privatistica appartenente alla categoria degli atti negoziali secondo la disciplina codicistica – si ritiene sufficiente anche una corrispondenza tra le parti (così T.A.R. Veneto, sentenza n. 864 del 2011)-, da perfezionarsi con l’adozione di atto assunto in via esclusiva dal competente responsabile/dirigente con la capacità e i poteri del privato datore di lavoro, a norma dell’articolo 5, comma 2, del D.Lgs. 165/2001, e non con provvedimenti di natura pubblicistica (stipula di convenzione, ai sensi dell’articolo 30 del Tuel 267/2000, delibere di Giunta o di Consiglio).
Per il servizio reso all’Ente utilizzatore, l’Ente titolare della graduatoria può, ai sensi dell’articolo 67, comma 3, lettera a) del CCNL 21 maggio 2018, confermato dall’articolo 79, comma 2, lettera a) del CCNL 16 novembre 2022, legittimamente chiedere un compenso.
L’introito potrà essere devoluto interamente al bilancio dell’Ente, oppure, destinare un importo pari al 50% alle politiche di incentivazione del personale che ha partecipato alla procedura concorsuale.
Di recente si è posto anche un altro problema: la decadenza o depennamento, dalla graduatoria di un partecipante a una selezione per scorrimento di graduatoria che decide di rifiutare. Appare condivisibile il pronunciamento del TAR L’Aquila, sentenza n. 125 del 12/04/2022, che riconosce un candidato la possibilità di rifiutare una chiamata di assunzione a tempo indeterminato da parte dell’Ente titolare o da parte di una pubblica Amministrazione terza, senza essere cancellato o depennato definitivamente dalla graduatoria.
In tale evenienza l’Ente può procedere al successivo scorrimento di graduatoria secondo l’ordine, mentre il candidato non perde il diritto ad essere nuovamente chiamato, in vigenza di graduatoria valida, in caso di nuovo scorrimento qualora la pubblica Amministrazione decidesse in tal senso.
5. Validità delle graduatorie
Per quanto concerne la validità delle graduatorie, sia ai fini dello scorrimento che dell’utilizzo da parte di altri Enti, occorre tenere presente che la legge di bilancio per l’anno 2020, n. 160 del 27/12/2019, è intervenuta specificamente modificando l’articolo 35, comma 5-ter del TUPI (acronimo di Testo Unico sul Pubblico Impiego), approvato con decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, modificando la precedente vigenza che era di “ tre anni dalla data di pubblicazione” ha stabilito che “le graduatorie dei concorsi per il reclutamento del personale presso le amministrazioni pubbliche rimangono vigenti per un termine di due anni dalla data di approvazione”.
Al contrario, nel Testo Unico degli enti locali, viene stabilito che “per gli enti locali le graduatorie concorsuali rimangono efficaci per un termine di tre anni dalla data di pubblicazione”.
Al riguardo va evidenziato che le graduatorie approvate prima del 1° gennaio 2020 (data di entrata in vigore della legge 160/2019 modificativa del TUPI) continuano ad avere validità triennale in virtù sia della precedente versione dell’articolo 35, comma 5-ter, del decreto legislativo 165/2001, che dell’articolo 91 del Tuel n. 267/2000 che, non interessato dalla novella legislativa, ne prevede la validità triennale per gli Enti Locali.
In merito a quanto sopra la Corte dei conti, sezione regionale di controllo per la Sardegna, delibera 85, del 4 agosto 2020, ha ritenuto che la novella legislativa non va a modificare la disciplina posta dall’articolo 91 del Tuel 267/2000 secondo la quale per gli Enti locali le graduatorie concorsuali rimangono efficaci per un termine di tre anni dalla data di pubblicazione.
La norma, di carattere generale, non modificativa di una norma speciale qual’è l’articolo 91, comma 4, del Tuel 267/2000, introduce un doppio binario in merito ai termini di scadenza delle graduatorie concorsuali: per le Amministrazioni statali di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 165/2001 vale il disposto del citato articolo 35 (con efficacia limitata ad anni due, con decorrenza dalla data di approvazione), mentre per le Amministrazioni di cui all’articolo 2, comma 1, del decreto legislativo 267/2000, permane il regime previsto del citato articolo 91, comma 4, del Tuel 267/2000 e l’efficacia sarà di tre anni (con decorrenza dalla data di pubblicazione).
5.1 Perché le graduatorie degli Enti locali hanno validità di due anni
Anche le graduatorie concorsuali degli Enti locali, a parere di chi scrive, hanno, per le motivazioni che si andranno ad esplicitare, una efficacia limitata ad anni due in virtù del disposto dell’articolo 88 del Tuel 267/2000 a tenore del quale ”all’ordinamento degli uffici e del personale degli enti locali, ivi compresi i dirigenti ed i segretari comunali e provinciali, si applicano le disposizioni del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, e successive modificazioni ed integrazioni, e le altre disposizioni di legge in materia di organizzazione e lavoro nelle pubbliche amministrazioni nonché quelle contenute nel presente Testo unico”.
L’apparente antinomia tra le due norme venne risolta con l’introduzione del citato articolo 88, proposto dal Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, con parere n. 87 dell’8 giugno 2000 e recepito dal Tuel n. 267/2000, valevole come norma generale di richiamo e di recepimento delle norme che disciplinano il rapporto di lavoro alle dipendenze delle pubbliche Amministrazioni (decreto legislativo n. 29/1993, oggi decreto legislativo n. 165/2001 e successive modifiche ed integrazioni), mentre le disposizioni normative di cui al Tuel n. 267/2000 si applicano al personale degli Enti locali.
Il principio ermeneutico enucleato dal citato parere del Consiglio di Stato n. 87 dell’8 giugno 2000, trasfuso poi nell’articolo 88 del Tuel 267/2000, fa ritenere che il coordinamento tra la disciplina degli Enti locali e quella applicabile a tutto il comparto pubblico, costituisca specifico appannaggio dell’articolo 88, proprio allo scopo di evitare possibili contrasti interpretativi, evitando di considerare la normativa sul personale degli enti locali “speciale o prevalente”, a discapito di quella “generale”, contenuta nel TUPI n. 165/2001.
La tecnica risolutiva operata dal legislatore fu appunto quella di inserire nel Tuel n. 267/2000 le disposizioni legislative applicabili al solo personale degli Enti locali, negli spazi non ricoperti dal decreto legislativo 165/2001; per quelle interessanti sia il personale degli Enti locali che delle altre pubbliche Amministrazioni, si doveva fare rifermento alle disposizioni della legge originaria e alle altre disposizioni in materia di regolazione del rapporto di lavoro alle dipendenze delle pubbliche Amministrazioni che prevalgono su quelle del Tuel n. 267/2000. In sostanza le norme del Tuel 267/2000 possono considerarsi recessive nei confronti di quelle contenute nel decreto legislativo 165/2001, proprio in virtù del citato articolo 88.
Scopo della norma era quello di dare organicità al corpo normativo ed evitare una duplice e diversa disciplina del pubblico impiego in generale rispetto alla normativa valevole per gli Enti locali, caratterizzata invece da un complesso eterogeneo di norme legislative e/o contrattuali che non contribuiva a rendere unitario il quadro normativo del rapporto di lavoro pubblico così come disegnato dal decreto legislativo n. 29/1993.
Con la naturale conseguenza che qualora venisse abrogata la norma fondamentale, essa avrebbe coinvolto anche quella contenuta nel Tuel 267/2000, di derivazione della norma principale, che inevitabilmente doveva essere corretta.
Nelle more di quanto auspicato, fermo restando la validità triennale delle graduatorie approvate entro il 31/12/2019, nei bandi di concorso è opportuno che gli operatori inseriscano una clausola che renda adattabile la durata della graduatoria di durata biennale o triennale in conformità a sopravvenuti chiarimenti e/o interpretazioni giurisprudenziali.
6. Rapporti tra le varie modalità di reclutamento
L’articolo 30 del decreto legislativo n. 165/2001 impone alle Amministrazioni, prima di indire una selezione pubblica per la copertura di posti vacanti, di procedere, a pena di nullità, all’immissione in ruolo dei dipendenti provenienti da altre Amministrazioni attraverso la procedura di mobilità obbligatoria e volontaria.
L’esistenza di una graduatoria concorsuale in corso di validità limita, infatti, l’indizione di un nuovo concorso, ma non prevale sulla mobilità obbligatoria.
La giurisprudenza amministrativa, prevalente ma non dominante, ha ritenuto, infatti, legittima la scelta intrapresa dalle Amministrazioni che, pur disponendo di una graduatoria dalla quale poter attingere per scorrimento, abbiano deciso di procedere all’assunzione del personale ricorrendo alla mobilità cd ”volontaria”.
Occorre ricordare che, al fine di ridurre i tempi di accesso al pubblico impiego, l’articolo 3, comma 8, della legge n. 56 del 2019 (c.d. “Legge Concretezza”), dispone che il previo espletamento della procedura di mobilità “volontaria” non sarebbe più configurabile come un obbligo per la pubblica Amministrazione, ma solo come facoltà discrezionale da esercitare nel triennio 2019-2021, prorogata fino al 31.12.2024.
Trattandosi di una facoltà concessa all’Amministrazione è senz’altro opportuno che i provvedimenti di programmazione del fabbisogno triennale del personale contengano una minima ponderazione ed esplicitazione della scelta effettuata e delle ragioni che la sostengono alla luce dei principi del buon andamento, dell’efficacia ed efficienza dell’organizzazione e dell’azione della pubblica Amministrazione (TAR Sicilia n. 2420/2021).
Inoltre, l’articolo 30, comma 2-bis, del decreto legislativo n. 165/2001 prevede che le Amministrazioni, prima di procedere all’espletamento di procedure concorsuali, finalizzate alla copertura di posti vacanti in organico, devono attivare le procedure di mobilità di personale appartenente a una qualifica corrispondente e in servizio presso altre Amministrazioni, che facciano domanda di trasferimento, provvedendo, in via prioritaria, all’immissione in ruolo dei dipendenti, provenienti da altre amministrazioni, in posizione di comando o di fuori ruolo, appartenenti alla stessa area funzionale, che facciano domanda di trasferimento nei ruoli delle Amministrazioni in cui prestano servizio.
Va, altresì, evidenziato, che la giurisprudenza amministrativa ha ritenuto, anche in presenza di una graduatoria concorsuale ancora valida ed efficace, legittima la decisione di avviare procedura di mobilità esterna e di stabilizzazione del personale precario nella pubblica amministrazione, alternativa all’assunzione di personale nuovo rispetto al concorso o allo scorrimento delle relative graduatorie (Consiglio di Stato - Sezione III, sentenza n. 6705/2020).
Ai sensi dell’articolo 30, comma 2-bis, del decreto legislativo n. 165/2001, le pubbliche Amministrazioni, prima di procedere all’espletamento di procedure concorsuali, finalizzate alla copertura di posti vacanti in organico, hanno il peculiare obbligo di attivare le procedure di mobilità volontaria, provvedendo, in via prioritaria, all’immissione in ruolo dei dipendenti provenienti da altre amministrazioni appartenenti alla stessa area funzionale, che facciano domanda di trasferimento nei ruoli delle amministrazioni in cui prestano servizio.
Per i giudici di legittimità (Cassazione, sezione lavoro, sentenza 18 maggio 2017, n. 12559) la mobilità volontaria rappresenta un obbligo per la pubblica amministrazione, pena la nullità in caso di decisione diversa, non origina un nuovo rapporto di lavoro in quanto il dipendente non viene assunto, ma determina una modifica soggettiva del rapporto di lavoro e non soddisfa solo le esigenze dell’amministrazione procedente, ma assicura una più intelligente distribuzione (con il trasferimento) delle risorse umane tra le pubbliche amministrazioni, nonché economie di spesa di personale nel suo complesso, assicurando una stabilità dei livelli occupazionali nel settore pubblico e che la competenza è del Giudice Ordinario trattandosi nel caso concreto di attività vincolata.
Il favor legis per l’istituto della mobilità di personale tra Amministrazioni rispetto alle nuove assunzioni (tant’è che l’indizione di un concorso pubblico l’Ente locale è gravata da adeguata motivazione della scelta; obbligo, invece, non previsto per lo scorrimento delle graduatorie) consente una più equa distribuzione delle risorse umane che abbiano una qualifica corrispondente a quella necessaria, già formate ed in possesso di maturata esperienza con conseguente risparmio di spesa finalizzato a limitare le nuove assunzioni e quindi il numero dei pubblici impiegati e con immediatezza della disponibilità (Consiglio di Stato - Sezione III, n. 2410 dell’1/4/2022).
7. Tutela giurisdizionale in materia di scorrimento e/o utilizzo graduatorie
Per l’individuazione del Giudice dinanzi al quale proporre il ricorso in caso di contenzioso da instaurare in materia occorre fare riferimento a quanto stabilito dalla Suprema Corte (Cassazione, Sezioni Unite Civili, sentenza n. 10404/2015):
- ove la richiesta del candidato utilmente collocato nella graduatoria finale riguardi la pretesa al riconoscimento, al di fuori della procedura concorsuale, del diritto di nomina presso l’Ente locale mediante “scorrimento della graduatoria” preesistente ed ancora valida (diritto all’assunzione), extra procedura concorsuale, del concorso espletato, o di essere assunto, dopo che l’Ente locale ha deliberato di coprire il posto vacante in organico attingendo alla lista degli idonei, la giurisdizione appartiene al Giudice Ordinario, e nella specie al Giudice del Lavoro (diritto all’assunzione);
- qualora, invece, la pretesa riguardi il mancato riconoscimento del diritto alla nomina attraverso lo scorrimento della graduatoria concorsuale, avendo l’Ente locale optato per l’indizione di nuovo concorso o anche per una procedura (esempio, mobilità esterna, conferimento di incarichi esterni) per la copertura dei posti resisi vacanti, la competenza è del Giudice Amministrativo in quanto la contestazione investe il cattivo esercizio del potere amministrativo (lesione dell’interesse legittimo).
Si ricorda, infine, che in precedenza, la giurisprudenza amministrativa (Consiglio di Stato, Sez. III, del 21 maggio 2013, n. 2753), aveva affermato il “diritto allo scorrimento della graduatoria concorsuale” non appartiene alla fase della procedura di concorso, la cui competenza è demandata al Giudice Amministrativo, ma ad una fase successiva, connessa agli atti di gestione del rapporto di lavoro, e dunque non può che essere riservato alla giurisdizione del Giudice Ordinario.
Bibliografia
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Assunzioni: tra lo scorrimento di due graduatorie prevale la più vecchia ma, su tutte, la mobilità – Azienditalia – Il Personale 3/2016
Nuove assunzioni: prima la mobilità e poi lo scorrimento – Azienditalia – Il Personale 10/2017
C. Dell’Erba – Le assunzioni tramite scorrimento delle graduatorie – Il Personale.it – Maggioli Editore - 16/09/2019
A. Di Bella - L’utilizzo delle graduatorie concorsuali di altro Ente: opportunità e limiti - Azienditalia 12/2019
N. Niglio – Utilizzo di graduatorie, mobilità e procedure di stabilizzazione del personale precario della Pubblica Amministrazione – Il personale.it – Maggioli Editore – 2020
L. Cosco - Guida Normativa 2022 - Parte Dodicesima Personale degli enti locali: ordinamento giuridico ed economico
S. Dota – A. Bultrini - Quaderno ANCI n. 31, Febbraio 2022 - Le Regole Ordinarie e Straordinarie per le Assunzioni di Personale
di Giuseppe Fiorillo, Clemente Lombardi
Le caratteristiche della mobilità. Da Collana Aran Occasional Paper.
Le caratteristiche della mobilità nei comparti del pubblico nei comparti del pubblico impiego
N.1 – Giugno 2012
Pag. 1 Autori: Pierluigi Mastrogiuseppe e Cesare Vignocchi
Le elaborazioni statistiche sulle quali è basato il paper sono state curate da: Alessandra D’Amore, Rossella Di Tommaso, Adriana Piacente
Citare questa pubblicazione come: Aran (2012 Aran (2012), ”Le caratteristiche della mobilità nei comparti del pubblico impiego” – Aran, Occasional paper 1/2012 aranagenzia.it/index.php/statistiche-e-pubblicazioni
Collana Aran Occasional Paper. La collana Aran Occasional Paper raccoglie brevi contributi a carattere tecnico-scientifico su argomenti e temi collegati alle funzioni istituzionali dell’Aran ed è curata da Pierluigi Mastrogiuseppe, responsabile della Direzione Studi, risorse e servizi Direzione Studi, risorse e servizi dell’Aran dell’Aran.
Riferimenti Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni Direzione Studi, risorse e servizi UO Studi e analisi compatibilità Via del Corso, 476 00186 ROMA
Indice
1. Contenimento retributivo e governo delle consistenze occupazionali
2. Le diverse tipologie di mobilità e la loro misurazione
3. La mobilità nel comparto e fra comparti
1. Contenimento retributivo e governo delle consistenze occupazionali
L’esigenza di porre in sicurezza i conti pubblici del Paese ha comportato la messa in atto di un articolato sistema di contenimento salariale, fondato in larga misura sul blocco dei vari canali di alimentazione della dinamica retributiva: non si è dato corso al rinnovo dei CCNL, si sono congelati i fondi per la contrattazione integrativa, solo in limitati casi è possibile una rinegoziazione del trattamento individuale. Dopo le misure rivolte al versante retributivo, la necessità di offrire maggiori garanzie sull’effettivo raggiungimento del pareggio di bilancio ha rinnovato l’attenzione anche sul versante delle consistenze occupazionali. Negli ultimi provvedimenti emanati, sono infatti riproposte misure di ulteriore riduzione delle dotazioni organiche (in continuità con le analoghe misure già varate negli ultimi anni), ma in un contesto in cui si prevede la possibilità di operare “tagli non lineari” (attraverso un meccanismo di compensazioni), si pone un obiettivo specifico - a valle dei tagli - di riorganizzazione e di ridefinizione degli assetti organizzativi e si definisce un pacchetto di misure di accompagnamento, per gestire le eventuali eccedenze di personale, che fanno leva sugli istituti della mobilità e della messa in disponibilità. Come noto, il D. Lgs. n. 165/2001 prevede e regola, già da molti anni, una specifica procedura di rilevazione delle eventuali eccedenze di personale ed una corrispondente procedura finalizzata a favorire la ricollocazione del personale dichiarato in esubero. Dopo un esito negativo di questi tentativi di ricollocazione, si può giungere anche alla messa in disponibilità, con la conseguente riduzione stipendiale, sino all’eventuale cessazione del rapporto di lavoro. Nella legge di stabilità dello scorso anno (L. n. 183/11) si è voluto rendere più facilmente applicabile questo corpus legislativo, anche circoscrivendo il coinvolgimento delle organizzazioni sindacali. Più recentemente, si è di nuovo intervenuto ripristinando modalità di consultazione delle organizzazioni sindacali, circoscritte a precisi momenti dell’iter procedurale. Oltre a queste procedure unilaterali, in cui è l’amministrazione ad imporre il trasferimento al lavoratore, per proprie esigenze organizzative, vi è tutto il fenomeno - ben più importante quantitativamente - della mobilità volontaria, attraverso la quale è il dipendente a chiedere il trasferimento ad altra amministrazione. La mobilità volontaria presuppone il necessario consenso delle due amministrazioni coinvolte.
2. Le diverse tipologie di mobilità e la loro misurazione
A comporre il dato complessivo della mobilità, concorrono due tipologie generali: due tipologie generali:
a) una prima, che si può definire “mobilità permanente”, in cui il trasferimento del lavoratore da un’amministrazione all’altra avviene in via definitiva; giuridicamente, questo passaggio si realizza attraverso la “cessione del contratto individuale di lavoro”;
b) una seconda, per la quale è appropriato parlare di “mobilità temporanea”, che si realizza attraverso i diversi istituti giuridici del comando, del distacco e del fuori ruolo; a differenza della tipologia precedente, in questo caso la titolarità del rapporto di lavoro rimane in capo all’amministrazione cedente ed il trasferimento è “a termine”.
La mobilità permanente si può a sua volta suddividere in due tipologie più tipologie più specifiche:
a1) la “mobilità volontaria”, di cui si è già detto, nella quale è il dipendente a chiedere il trasferimento; il passaggio è tuttavia subordinato al consenso di entrambe le amministrazioni interessate;
a2) le diverse fattispecie di “mobilità imposta dall’amministrazione”, nella quale invece il trasferimento avviene per motivi oggettivi, come nel caso di dichiarazione di eccedenza di personale seguita da ricollocazione presso altra amministrazione, ovvero nei casi di fusione o trasferimento di competenze tra diverse amministrazioni, con contestuale passaggio di personale. Come verrà illustrato nel seguito, le statistiche disponibili distinguono fra mobilità temporanea e permanente, ma purtroppo di quest’ultima non è dato sapere quanto sia “volontaria” e quanto “imposta”. Pur in assenza di ciò, l’evidenza aneddotica sembra comunque segnalare l’eccezionalità di quest’ultima tipologia e non si è probabilmente troppo lontani dal vero rappresentandosi la mobilità permanente come, in larga misura, un esito di decisioni volontarie da parte del dipendente. Si è spesso lamentato che le Amministrazioni con riluttanza impiegano i loro poteri datoriali per aggiustare eventuali eccedenze di personale e che un loro maggiore attivismo aiuterebbe nello scopo di perseguire migliori distribuzioni territoriali dei dipendenti. A questo proposito, non va dimenticato che la migliore efficienza che si vuole ottenere con i trasferimenti di personale è posta in ogni caso a rischio in situazioni di forte resistenza alla mobilità. L’affermazione di una cultura di accettazione di questi eventi è quindi decisiva per lo scopo che si vuole perseguire. Osservare le caratteristiche degli attuali trasferimenti, di natura prevalentemente volontaria, aiuta a capire il funzionamento dei mercati del lavoro del pubblico impiego, anche nell’ottica di sostenere con opportuni incentivi la mobilità imposta. Prima di procedere all’esame delle elaborazioni effettuate, vi è una avvertenza metodologica importante, cui va prestata particolare attenzione, vale a dire il riferimento amministrativo sul quale poggiano i dati. La definizione di “mobilità” impiegata, nei dati disponibili, è quella di “passaggio da una amministrazione ad un’altra”. Si ha pertanto un evento di mobilità evento di mobilità quando cambia (in via permanente o temporanea) l’amministrazione pubblica presso la quale il dipendente presta servizio. Adottando questa definizione, i numeri rilevati nelle statistiche risentono della diversa configurazione giuridica delle singole unità amministrative presenti sul territorio. Municipi contigui costituiscono diverse pubbliche amministrazioni, mentre le prefetture o le sedi scolastiche (anche collocati in diverse aree geografiche) sono articolazioni territoriali della medesima pubblica amministrazione. Ne deriva che prefetti o insegnanti che si spostano da una sede all’altra non danno origine ad una registrazione di mobilità, mentre viene rilevata come “mobilità” lo spostamento di un dipendente da un comune a quello contiguo. Dal punto di vista dell’analisi del funzionamento dei mercati del lavoro, lo spostamento della sede di lavoro di un dipendente municipale rappresenta un fenomeno del tutto analogo allo spostamento di un dipendente della scuola. Questo significa che sarebbe necessario disporre di dati che impieghino un riferimento basato sul concetto di “sede locale”, ma ad oggi questi archivi non sono ancora agevolmente interrogabili. Per superare questa ambiguità sono stati adottati alcuni accorgimenti. In primo luogo, per effettuare un’analisi approfondita e ad ampio raggio dei diversi fenomeni di mobilità l’attenzione è stata rivolta soprattutto a quei settori ove la settori ove la sede locale tende a coincidere con l’unità istituzionale (o, diversamente detto, sulle amministrazioni pubbliche che non hanno articolazioni sul territorio). Quindi, l’analisi ha prioritariamente riguardato a tre comparti di contrattazione: Regioni-Regioniautonomie Locali, Servizio Sanitario Nazionale ed Università. Si tratta, infatti, di quelli nei quasi tutti i cambiamenti della sede di lavoro implicano una mobilità. In secondo luogo, volendo estendere l’analisi anche ad altri settori dell’amministrazione pubblica, ci si è concentrati soprattutto sulla mobilità extracomparto. Questa limitazione del campo di analisi rende possibili e statisticamente significativi i confronti: solo la mobilità extracomparto, infatti, pone sullo stesso piano (e rende quindi confrontabili) i comparti che hanno poche amministrazioni con molte articolazioni territoriali con quelli che hanno molte amministrazioni con poche articolazioni territoriali (1).
(1) L’eventuale utilizzo anche della mobilità intracomparto porterebbe nei comparti con articolazioni territoriali a sottostimare il fenomeno “mobilità”, rendendo quindi non “appropriato” il confronto tra i due universi. Infatti, a causa della “convenzione definitoria” adottata nelle statistiche disponibili, i dati sulla mobilità intracomparto delle amministrazioni articolate territorialmente (a differenza di quanto avviene per autonomie locali, università e servizio sanitario nazionale) non ne intercettano la quota dovuta ai fenomeni di mobilità tra le diverse “sedi locali”.
3. La mobilità nel comparto e fra comparti
La mobilità nel comparto e fra comparti La tavola 1 fa riferimento a questa doppia chiave di lettura. La prima colonna riporta gli eventi di mobilità intracomparto con specifica evidenza (cfr. numeri in grassetto) su Regioni-autonomie locali, Servizio Sanitario Nazionale ed Università. Negli Enti sanitari emergono oltre 26.000 dipendenti che, nel corso del 2010, si sono spostati da una amministrazione ad un'altra, con una incidenza sul complesso delle consistenze, poco inferiore al 4%. Si tratta di un fenomeno di primario rilievo, che spiega larga parte del turnover complessivo che ogni anno interessa il comparto (2). Le Autonomie locali seguono, con quasi 6.000 dipendenti che sono passati attraverso episodi di mobilità. L’incidenza è decisamente inferiore, di circa quattro volte, con un tasso attorno all’1%. Vi è infine il comparto delle Università, per le quali la mobilità sembra un evento del tutto secondario. Le due colonne che seguono esaminano la numerosità degli eventi di mobilità al di fuori del comparto di appartenenza. Un rapido sguardo ai valori percentuali testimonia la marginalità di questa tipologia di spostamenti. Esistono evidentemente vincoli professionali, in base ai quali possono delinearsi tre grandi aree, cioè quella sanitaria, quella dell’insegnamento e quella più composita dei ruoli amministrativi. A questo riguardo, va precisato che la delimitazione di queste tre aree professionali certamente non coincide con confini di comparto: si hanno ruoli amministrativi anche nel Servizio sanitario Nazionale e nella Scuola. Limitandosi dunque ai ruoli amministrativi, colpisce la sostanziale impermeabilità dei dipendenti fra i vari comparti. E’ difficile non vedere il completamento professionale che si potrebbe ottenere se ad una esperienza lavorativa in una amministrazione locale seguisse, ad esempio, quella in una amministrazione centrale e viceversa. Purtroppo, l’evidenza statistica nega decisamente che questa sia una pratica di qualche diffusione nel pubblico impiego del nostro Paese.
(2) Sull’entità di questo dato potrebbero aver inciso anche le fusioni tra diverse aziende sanitarie locali, verificatesi negli ultimi anni, fenomeno che dà comunque luogo ad un evento di mobilità, nonché talune disposizioni contrattuali che facilitano la procedura di trasferimento da un ente all’altro.
Da Adecco. Contratti pubblico impiego: cosa c'è da sapere
I lavori nel pubblico impiego possono riguardare mansioni di diversa natura e possono coprire settori molto differenti tra loro come ad esempio: finanza, sanità, educazione e altre attività governative.
L’accesso al lavoro pubblico è disciplinato dall’Art. 97 comma 3 della Costituzione Italiana, il quale stabilisce che l’assunzione nella Pubblica Amministrazione debba avvenire tramite concorsi, salvo casi stabiliti dalla legge.
Contratto pubblico impiego: di cosa si tratta?
La categoria lavorativa denominata “pubblico impiego” include tutti i lavori svolti nella Pubblica Amministrazione (Pa), ovvero presso tutti gli enti pubblici che erogano servizi ai cittadini. Per poter lavorare nella Pa è necessario essere cittadini italiani maggiorenni o cittadini appartenenti all'Unione europea.
Chi fa parte del pubblico impiego può avere come datore di lavoro:
un Ente statale (Ministeri, scuole, forze armate, prefetture);
un Ente locale (Regioni, Province, Comuni, Consorzi e Comunità montane, Asl);
un Ente pubblico nazionale e territoriale (Inps, Monopoli, Poste, Camere di commercio, ecc.).
La normativa per l’accesso al pubblico impiego stabilisce che questo avvenga tramite concorsi oppure, in base al decreto legislativo n. 165/2001, tramite:
centri per l’impiego, per qualifiche che, come requisito di accesso, richiedano l’aver frequentato la scuola dell’obbligo;
contratti flessibili;
contratti per persone appartenenti alle Categorie Protette.
Tipologie contratti di lavoro nella Pa
La disciplina del pubblico impiego dal 2001 (D.lgs. 30 marzo 2001 n. 165) prevede la possibilità di assunzione nella Pubblica Amministrazione tramite un contratto individuale di lavoro flessibile. In questi casi, le Pa possono assumere personale per esigenze temporanee nelle seguenti forme contrattuali:
contratto di lavoro subordinato a tempo determinato;
contratto di somministrazione a tempo determinato;
contratti di formazione.
È anche possibile collaborare con la Pubblica Amministrazione se si è lavoratori autonomi con P.IVA. In questo caso devono essere stabiliti preventivamente durata, luogo, oggetto e compenso della collaborazione.
Con la Legge di Bilancio 2021, il rinnovo del contratto dei dipendenti pubblici prevede:
un aumento di 107 euro mensili;
il riordino degli inquadramenti professionali;
l’inserimento di nuove figure professionali;
l’inserimento delle voci accessorie legate allo stipendio.
Da Dott. FORGIONE Gianluca
Prestazioni di lavoro accessorio e di collaborazione coordinata e continuativa: nei limiti del tetto di spesa del personale e della percentuale fissata dall'art. 9 c. 28 del DL 78/2010.
Il ricorso a prestazioni di lavoro accessorio, a prestazioni occasionali, a contratti di collaborazione coordinata e continuativa da parte di enti locali ed amministrazioni pubbliche va esaminato sotto un duplice profilo:
1) profilo contabile, con riferimento al rispetto dei vincoli previsti dalla vigente disciplina in materia di contenimento delle spese di personale e ove previsto dal patto di stabilità interno;
2) profilo giuridico, inerente la corretta qualificazione del rapporto di lavoro instaurato, dal quale discende la corretta applicazione della normativa fiscale e previdenziale.
Verranno esaminate le seguenti tipologie di lavoro:
a) prestazioni di lavoro accessorio
c) contratti di collaborazione coordinata e continuativa
b) collaborazioni marginali (prestazioni occasionali)
d) prestazioni di lavoro autonomo occasionale
LIMITAZIONI DI NATURA CONTABILE
In base al disposto dell’art. 9 comma 28 del DL 78 del 31 maggio 2010 (convertito in legge 122/2010, nella formulazione risultante per effetto della modifica apportata dall’art. 4, comma 102, lett. b), della legge 183/2011) ....... “A decorrere dall'anno 2011, le amministrazioni dello Stato, anche ad ordinamento autonomo, le agenzie, incluse le Agenzie fiscali di cui agli articoli 62, 63 e 64 del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300, e successive modificazioni, gli enti pubblici non economici, le università e gli enti pubblici di cui all'articolo 70, comma 4, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 e successive modificazioni e integrazioni, le camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura fermo quanto previsto dagli articoli 7, comma 6, e 36 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, possono avvalersi di personale a tempo determinato o con convenzioni ovvero con contratti di collaborazione coordinata e continuativa, nel limite del 50 per cento della spesa sostenuta per le stesse finalità nell'anno 2009. Per le medesime amministrazioni la spesa per personale relativa a contratti di formazione-lavoro, ad altri rapporti formativi, alla somministrazione di lavoro, nonché al lavoro accessorio di cui all'articolo 70, comma 1, lettera d) del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, e successive modificazioni ed integrazioni, non può² essere superiore al 50 per cento di quella sostenuta per le rispettive finalità nell'anno 2009. Le disposizioni di cui al presente comma costituiscono principi generali ai fini del coordinamento della finanza pubblica ai quali si adeguano le regioni, le province autonome, gli enti locali e gli enti del Servizio sanitario nazionale. Per il comparto scuola e per quello delle istituzioni di alta formazione e specializzazione artistica e musicale trovano applicazione le specifiche disposizioni di settore. Resta fermo quanto previsto dall'articolo 1, comma 188, della legge 23 dicembre 2005, n. 266. Per gli enti di ricerca resta fermo, altresì¬, quanto previsto dal comma 187 dell’articolo 1 della medesima legge n. 266 del 2005, e successive modificazioni. Alle minori economie pari a 27 milioni di euro a decorrere dall’anno 2011 derivanti dall’esclusione degli enti di ricerca dall’applicazione delle disposizioni del presente comma, si provvede mediante utilizzo di quota parte delle maggiori entrate derivanti dall’ articolo 38, commi 13-bis e seguenti. Il presente comma non si applica alla struttura di missione di cui all'art. 163, comma 3, lettera a), del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163. Il mancato rispetto dei limiti di cui al presente comma costituisce illecito disciplinare e determina responsabilità erariale. Per le amministrazioni che nell’anno 2009 non hanno sostenuto spese per le finalità previste ai sensi del presente comma, il limite di cui al primo periodo è computato con riferimento alla media sostenuta per le stesse finalità nel triennio 2007-2009”.
Per l'anno 2011, per gli enti del Servizio sanitario nazionale della regione Abruzzo, in conseguenza degli eventi sismici nel mese di aprile 2009, il primo e il secondo periodo del comma 28 dell'articolo 9 del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, si applicano con riferimento all'anno 2010 (art. 6 DL 34/2011).
Sul punto la Corte dei conti è intervenuta in diverse occasioni:
a. Corte dei conti, sezioni riunite, delibera n. 6 del 15 febbraio 2005: “Linee di indirizzo e criteri interpretativi sulle disposizioni della legge 30 dicembre 2004, n. 311 (finanziaria 2005) in materia di affidamento d’incarichi di studio o di ricerca ovvero di consulenza (art. 1, commi 11 e 42). In tale documento è stata, tra l’altro, evidenziata la differenza tra i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa”, ed il lavoro autonomo;
b. Corte dei Conti della Lombardia - deliberazione n. 722/pareri/2010 “per la quale i buoni lavoro (voucher) emessi per lavoro accessorio dagli enti locali rientrano a pieno titolo tra le spese di personale ai sensi dei commi 557 e 562 della finanziaria 2007 (Legge n. 296/2006). Tale orientamento è confermato dalla Corte dei Conti del Piemonte con delibera 112 del 13 luglio 2011.
PRESTAZIONI DI LAVORO ACCESSORIO
Le prestazioni di lavoro accessorio, sono quelle prestazioni di lavoro svolte al di fuori di un normale contratto di lavoro in modo discontinuo e saltuario. Il sistema di pagamento è rappresentato da buoni lavoro (o voucher).
Il committente può beneficiare di prestazioni nella completa legalità, con copertura assicurativa INAIL in caso di eventuali incidenti sul lavoro, e senza dover stipulare alcun tipo di contratto.
Il valore nominale di ciascun buono (10 euro) comprende la contribuzione in favore della Gestione separata dell’Inps (13%), l’assicurazione all’Inail (7%) e un compenso all’Inps per la gestione del servizio (5%).
Si configurano quali prestazioni occasionali di tipo accessorio, in base all’art. 70 del DLgs. 276/2003, le attività lavorative di natura occasionale rese nell'ambito:
a) di lavori domestici;
b) di lavori di giardinaggio, pulizia e manutenzione di edifici, strade, parchi e monumenti, anche nel caso in cui il committente sia un ente locale;
c) dell'insegnamento privato supplementare;
d) di manifestazioni sportive, culturali, fieristiche o caritatevoli e di lavori di emergenza o di solidarietà anche in caso di committente pubblico;
e) di qualsiasi settore produttivo, compresi gli enti locali, le scuole e le università, il sabato e la domenica e durante i periodi di vacanza da parte di giovani con meno di venticinque anni di età se regolarmente iscritti a un ciclo di studi presso un istituto scolastico di qualsiasi ordine e grado, compatibilmente con gli impegni scolastici, ovvero in qualunque periodo dell’anno se regolarmente iscritti a un ciclo di studi presso l’università;
f) di attività agricole di carattere stagionale effettuate da pensionati, da casalinghe e da giovani di cui alla lettera e), ovvero delle attività agricole svolte a favore dei soggetti di cui all’articolo 34, comma 6, del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633;
g) dell'impresa familiare di cui all'articolo 230-bis del codice civile;
h) della consegna porta a porta e della vendita ambulante di stampa quotidiana e periodica;
h-bis) di qualsiasi settore produttivo, compresi gli enti locali da parte di pensionati;
h-ter) di attività di lavoro svolte nei maneggi e nelle scuderie.
In via sperimentale per l’anno 2010, termine prorogato da ultimo fino al 31 dicembre 2012 dal D.L. 216/201, per prestazioni di lavoro accessorio si intendono anche le attività lavorative di natura occasionale rese nell’ambito di qualsiasi settore produttivo da parte di prestatori di lavoro titolari di contratti di lavoro a tempo parziale, con esclusione della possibilità di utilizzare i buoni lavoro presso il datore di lavoro titolare del contratto a tempo parziale.
In via sperimentale per gli anni 2009 e 2010, termine prorogato da ultimo fino al 31 dicembre 2012 dal D.L. 216/2011 le prestazioni di lavoro accessorio possono essere rese, in tutti i settori produttivi, compresi gli enti locali e nel limite massimo di 3.000 euro per anno solare, da percettori di prestazioni integrative del salario o di sostegno al reddito compatibilmente con quanto stabilito dall’articolo 19, comma 10, del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2. L’INPS provvede a sottrarre dalla contribuzione figurativa relativa alle prestazioni integrative del salario o di sostegno al reddito gli accrediti contributivi derivanti dalle prestazioni di lavoro accessorio.
Le attività lavorative in esame, anche se svolte a favore di più beneficiari, configurano rapporti di natura meramente occasionale e accessoria, intendendosi per tali le attività che non danno complessivamente luogo, con riferimento al medesimo committente, a compensi superiori a 5.000 euro netti (6660 euro lordi) nel corso di un anno solare.
Nel caso di percettori di prestazioni integrative o di sostegno al reddito, il limite economico è di 3.000 euro netti (4000 euro lordi) complessivi per anno solare e non per singolo committente. Per eventuali compensi superiori a 3000 euro, il prestatore ha l’obbligo di presentare preventiva comunicazione alle Sedi provinciali dell’Istituto. Nel caso di più contratti di lavoro accessorio stipulati nel corso dell’anno e retribuiti singolarmente per meno di 3.000 euro per anno solare, la comunicazione andrà resa prima che il compenso determini il superamento del predetto limite dei 3.000 euro se sommato agli altri redditi per lavoro accessorio.
Le imprese familiari possono utilizzare prestazioni di lavoro accessorio per un importo complessivo non superiore, nel corso di ciascun anno fiscale, a 10.000 euro.
I prestatori possono essere
- pensionati
(titolari di trattamento pensionistico in regime obbligatorio).
- studenti
(giovani con meno di 25 anni di età, regolarmente iscritti ad un ciclo di studi presso l'Università o istituto scolastico di ogni ordine e grado e con almeno 16 anni di età e, se minorenni, previa autorizzazione del genitore o di chi esercita la potestà).
I giovani studenti possono accedere al lavoro occasionale accessorio per attività rese nell’ambito di qualsiasi settore produttivo il sabato e la domenica di tutti i periodi dell’anno, oltre che nei periodi di vacanza.
I "periodi di vacanza" si riferiscono a:
a) "vacanze natalizie" il periodo che va dal 1° dicembre al 10 gennaio;
b) "vacanze pasquali" il periodo che va dalla domenica delle Palme al martedì successivo il lunedì dell'Angelo;
c) "vacanze estive" i giorni compresi dal 1° giugno al 30 settembre;
Gli studenti iscritti ad un ciclo regolare di studi universitari possono svolgere lavoro occasionale accessorio in qualunque
periodo dell'anno.
Gli studenti possono, inoltre, essere impiegati nelle Scuole e nelle Università.
- percettori di prestazioni integrative del salario o sostegno al reddito
in tutti i settori produttivi (compresi gli enti locali) nel limite massimo di 3.000 euro per anno solare, possono prestare lavoro occasionale accessorio i percettori di prestazioni integrative del salario o di sostegno al reddito (cassintegrati, titolari di disoccupazione ordinaria, disoccupazione speciale per l'edilizia e i lavoratori in mobilità).
- lavoratori part-time
I prestatori appartenenti a queste categorie possono svolgere prestazioni lavorative di natura occasionale nell'ambito di qualsiasi settore produttivo, con esclusione della possibilità di utilizzare i buoni lavoro presso il datore di lavoro titolare
del contratto a tempo parziale.
- altre categorie di prestatori
inoccupati, titolari di disoccupazione a requisiti ridotti o disoccupazione speciale per agricoltura, lavoratori dipendenti pubblici e privati, nell'ambito delle tipologie di attività individuate dalla norma. Se pubblici, è necessaria l’autorizzazione dell’amministrazione
di appartenenza.
- lavoratori stranieri regolarmente soggiornanti in Italia
Secondo le fattispecie previste, possono accedere al lavoro occasionale accessorio anche tutti i cittadini stranieri regolarmente presenti sul territorio nazionale. Tali attività non consentono nè il rilascio nè il rinnovo del permesso di soggiorno per motivi di lavoro.
Per ricorrere a prestazioni di lavoro accessorio, i beneficiari acquistano uno o più carnet di buoni per prestazioni di lavoro accessorio il cui valore nominale è stato da ultimo fissato con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali del 12 ottobre 2008. Tale valore nominale è stabilito tenendo conto della media delle retribuzioni rilevate per le attività lavorative affini a quelle sopra elencate, nonchè del costo di gestione del servizio.
Si possono acquistare:
- presso le Sedi INPS territoriali;
- presso i tabaccai che aderiscono alla convenzione INPS - FIT, visualizzabili tramite apposite vetrofanie;
- attraverso procedure telematiche (c.d. buono lavoro virtuale), accedendo al sito inps.it;
Con l’estensione della fase sperimentale all’intero territorio nazionale, dal 27 febbraio 2012 è possibile acquistare e riscuotere i buoni lavoro (voucher) presso l’intera rete degli Uffici Postali. I voucher sono in vendita nel valore nominale di 10, 20 e 50 euro e in carnet da 25 buoni. Nella cifra sono previste la copertura assicurativa Inail e quella previdenziale Inps, di conseguenza, i periodi di lavoro retribuiti con i buoni sono validi ai fini pensionistici. Il datore di lavoro può acquistare i voucher in contanti o tramite Postamat, presentando la tessera sanitaria per la verifica del codice fiscale o comunicando la partita IVA. Il limite per l’acquisto giornaliero è di 5000euro lordi. Dal giorno successivo all’acquisto e in ogni caso prima dell’avvio della prestazione di lavoro, il datore di lavoro dovrà comunicare all’Inps il proprio codice fiscale, la tipologia di attività, i dati del prestatore, il luogo di lavoro, la data d’inizio e fine della prestazione. La comunicazione può essere effettuata o chiamando il Contact center Inps-Inail (803164) o tramite portale Inps (Come fare per Utilizzare i buoni lavoro) o presso la sede Inps. I buoni sono riscuotibili dal secondo giorno successivo alla fine della prestazione di lavoro occasionale ed entro due anni dal giorno di emissione. Per poter riscuotere i buoni il prestatore deve presentarsi con la propria tessera sanitaria per la verifica del codice fiscale.
Con riferimento all'impresa familiare di cui all'articolo 70, comma 1, lettera g), trova applicazione la normale disciplina contributiva e assicurativa del lavoro subordinato.
Con specifico riguardo alle attività agricole non integrano in ogni caso un rapporto di lavoro autonomo o subordinato le prestazioni svolte da parenti e affini sino al quarto grado in modo meramente occasionale o ricorrente di breve periodo, a titolo di aiuto, mutuo aiuto, obbligazione morale senza corresponsione di compensi, salvo le spese di mantenimento e di esecuzione dei lavori.
Trattamento fiscale. Il prestatore di lavoro accessorio percepisce il proprio compenso presso il concessionario, all'atto della restituzione dei buoni ricevuti dal beneficiario della prestazione di lavoro accessorio. Tale compenso è esente da qualsiasi imposizione fiscale e non incide sullo stato di disoccupato o inoccupato del prestatore di lavoro accessorio.
Trattamento previdenziale. Il valore nominale del buono (voucher) è comprensivo della contribuzione a favore della gestione separata INPS, di quella dell’INAIL e di una quota per la gestione del servizio. Attraverso i ‘buoni lavoro' (voucher) è garantita la copertura previdenziale presso l'INPS e quella assicurativa presso l'INAIL, nei limiti di 5.000 euro nette per prestatore, per singolo committente nel corso di un anno solare o, nel caso di prestatori che percepiscono misure di sostegno al reddito, di 3.000 euro netti complessivi nell’anno solare.
I buoni lavoro hanno un valore di 10 euro ciascuno, che comprende la contribuzione in favore della Gestione separata dell’Inps (13%), l’assicurazione all’Inail (7%) e un compenso all’INPS (5%) per la gestione del servizio. Il valore netto favore del prestatore è di 7,50 euro.
Non danno diritto alle prestazioni di malattia, maternità, disoccupazione e assegni familiari.
Il concessionario provvede al pagamento delle spettanze alla persona che presenta i buoni, registrandone i dati anagrafici e il codice fiscale, effettua il versamento per suo conto dei contributi per fini previdenziali all'INPS, alla gestione separata di cui all'articolo 2, comma 26, della legge 8 agosto 1995, n. 335, in misura pari al 13 per cento del valore nominale del buono, e per fini assicurativi contro gli infortuni all'INAIL, in misura pari al 7 per cento del valore nominale del buono, e trattiene l'importo autorizzato dal decreto di cui al comma 1, a titolo di rimborso spese.
COLLABORAZIONE COORDINATA E CONTINUATIVA
I rapporti di collaborazione coordinata e continuativa sono disciplinati dagli dal art.61 al 69 del DLgs. 276/2003, presentano le seguenti caratteristiche:
assenza di un vincolo di subordinazione;
gestione autonoma da parte del collaboratore (la definizione dei tempi di lavoro e delle relative modalità deve essere rimessa al collaboratore) in funzione del risultato (che assume rilevanza giuridica indipendentemente dal tempo impiegato per l'esecuzione dell'attività lavorativa);
prestazione resa a favore di un committente;
prestazione riconducibile a uno o più progetti specifici o programmi di lavoro o fasi di esso determinati dal committente. Il progetto consiste in un'attività produttiva ben identificabile e funzionalmente collegata ad un determinato risultato finale cui il collaboratore partecipa direttamente con la sua prestazione. L'individuazione del progetto da dedurre nel contratto compete al committente. Le valutazioni e scelte tecniche, organizzative e produttive sottese al progetto sono insindacabili. Il programma di lavoro consiste in un tipo di attività cui non è direttamente riconducibile un risultato finale. Il programma di lavoro o la fase di esso si caratterizzano, infatti, per la produzione di un risultato solo parziale destinato ad essere integrato, in vista di un risultato finale, da altre lavorazioni e risultati parziali.
coordinamento con la organizzazione del committente. Il coordinamento può essere riferito sia ai tempi di lavoro che alle modalità di esecuzione del progetto o del programma di lavoro, ferma restando, ovviamente, l'impossibilità del committente di richiedere una prestazione o un'attività esulante dal progetto o programma di lavoro originariamente convenuto;
irrilevanza del tempo impiegato per l’esecuzione della prestazione. Nel caso di programma di lavoro la determinabilità della durata può dipendere dalla persistenza dell'interesse del committente alla esecuzione del progetto, programma di lavoro o fase di esso;
rapporto unitario e continuativo;
retribuzione periodica stabilita. Il corrispettivo deve essere proporzionato alla quantità e qualità del lavoro eseguito.
I rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, prevalentemente personale e senza vincolo di subordinazione, di cui all'articolo 409, n. 3, del codice di procedura civile devono essere riconducibili a uno o più progetti specifici o programmi di lavoro o fasi di esso determinati dal committente e gestiti autonomamente dal collaboratore in funzione del risultato, nel rispetto del coordinamento con la organizzazione del committente e indipendentemente dal tempo impiegato per l'esecuzione dell’attività lavorativa.
L'art. 61 non sostituisce e/o modifica l'art. 409, n. 3, c.p.c. bensì individua, per l'ambito di applicazione del decreto e - nello specifico - della medesima disposizione, le modalità di svolgimento della prestazione di lavoro del collaboratore, utili ai fini della qualificazione della fattispecie nel senso della autonomia o della subordinazione.
Proprio i requisiti del lavoro a progetto costituiscono differenziazione tra la tipologia contrattuale in esame e quelle riconducibili, da un lato, al lavoro subordinato e, dall'altro, al lavoro autonomo (art. 2222 c.c.). In effetti, sia l'introduzione nel nostro ordinamento della fattispecie dei rapporti di collaborazione coordinata e continuativa nella modalità a progetto sia la previsione di rapporti di collaborazione coordinata e continuativa a carattere occasionale ex art. 61, comma 2, del d. lgs. n. 276/03, non hanno comportato l'abrogazione delle disposizioni del contratto d'opera di cui all'art. 2222 e ss. del codice civile. Ne consegue che, ad esempio, nel caso di un prestatore d'opera che superi, nei rapporti con uno stesso committente, uno dei due limiti previsti dall'art. 61, comma 2, del d. lgs. n. 276/03, non necessariamente dovrà veder qualificato il proprio rapporto come collaborazione a progetto o a programma, ben potendosi verificare il caso che quel prestatore abbia reso una o più prestazioni d'opera ai sensi dell'art. 2222 e seguenti del codice civile.
La disciplina che emerge dall'art. 61 è, come detto, finalizzata a impedire l'utilizzo improprio o fraudolento delle collaborazioni coordinate e continuative. Al di fuori del campo di applicazione dell'art. 61 si collocano, con tutta evidenza, fattispecie che non presentano significativi rischi di elusione della normativa inderogabile del diritto del lavoro.
Il contratto di lavoro a progetto è stipulato in forma scritta e deve contenere, ai fini della prova, i seguenti elementi:
a) indicazione della durata, determinata o determinabile, della prestazione di lavoro;
b) indicazione del progetto o programma di lavoro, o fasi di esso, individuata nel suo contenuto caratterizzante, che viene dedotto in contratto;
c) il corrispettivo e i criteri per la sua determinazione, nonchè i tempi e le modalità di pagamento e la disciplina dei rimborsi spese;
d) le forme di coordinamento del lavoratore a progetto al committente sulla esecuzione, anche temporale, della prestazione lavorativa, che in ogni caso non possono essere tali da pregiudicarne l'autonomia nella esecuzione dell'obbligazione lavorativa;
e) le eventuali misure per la tutela della salute e sicurezza del collaboratore a progetto, fermo restando quanto disposto dall'articolo 66, comma 4.
Il compenso corrisposto ai collaboratori a progetto deve essere proporzionato alla quantità e qualità del lavoro eseguito, e deve tenere conto dei compensi normalmente corrisposti per analoghe prestazioni di lavoro autonomo nel luogo di esecuzione del rapporto.
Salvo diverso accordo tra le parti il collaboratore a progetto può svolgere la sua attività a favore di più committenti. Il collaboratore a progetto non deve svolgere attività in concorrenza con i committenti nè, in ogni caso, diffondere notizie e apprezzamenti attinenti ai programmi e alla organizzazione di essi, nè compiere, in qualsiasi modo, atti in pregiudizio della attività dei committenti medesimi.
La gravidanza, la malattia e l'infortunio del collaboratore a progetto non comportano l'estinzione del rapporto contrattuale, che rimane sospeso, senza erogazione del corrispettivo. Salva diversa previsione del contratto individuale, in caso di malattia e infortunio la sospensione del rapporto non comporta una proroga della durata del contratto, che si estingue alla scadenza. Il committente può comunque recedere dal contratto se la sospensione si protrae per un periodo superiore a un sesto della durata stabilita nel contratto, quando essa sia determinata, ovvero superiore a trenta giorni per i contratti di durata determinabile. In caso di gravidanza, la durata del rapporto è prorogata per un periodo di centottanta giorni, salva più favorevole disposizione del contratto individuale.
I contratti di lavoro di cui al presente capo si risolvono al momento della realizzazione del progetto o del programma o della fase di esso che ne costituisce l'oggetto. Le parti possono recedere prima della scadenza del termine per giusta causa ovvero secondo le diverse causali o modalità, incluso il preavviso, stabilite dalle parti nel contratto di lavoro individuale.
I rapporti di collaborazione coordinata e continuativa instaurati senza l'individuazione di uno specifico progetto, programma di lavoro o fase di esso, sono considerati rapporti di lavoro subordinato a tempo indeterminato sin dalla data di costituzione del rapporto. Qualora venga accertato dal giudice che il rapporto instaurato sia venuto a configurare un rapporto di lavoro subordinato, esso si trasforma in un rapporto di lavoro subordinato corrispondente alla tipologia negoziale di fatto realizzatasi tra le parti. Il controllo giudiziale è limitato esclusivamente, in conformità ai principi generali dell'ordinamento, all'accertamento della esistenza del progetto, programma di lavoro o fase di esso e non può essere esteso fino al punto di sindacare nel merito valutazioni e scelte tecniche, organizzative o produttive che spettano al committente.
Analogo progetto o programma di lavoro può essere oggetto di successivi contratti di lavoro con lo stesso collaboratore.
Quest'ultimo può essere a maggior ragione impiegato successivamente anche per diversi progetti o programmi aventi contenuto del tutto diverso.
Tuttavia i rinnovi, così come i nuovi progetti in cui sia impiegato lo stesso collaboratore, non devono costituire strumenti elusivi dell'attuale disciplina. Ciascun contratto di lavoro a progetto deve pertanto presentare, autonomamente considerato, i requisiti di legge.
Con Circ. Min. Lav. N. 1 del 8 gennaio 2004 sono state emanate indicazioni in merito alla Disciplina delle collaborazioni coordinate e continuative nella modalità c.d. a progetto. Decreto legislativo n. 276/03” .
Con la circolare del 15 luglio 2004 il Dipartimento della Funzione Pubblica della Presidenza del Consiglio dei Ministri si è espresso in materia di collaborazione coordinata e continuativa nella Pubblica Amministrazione.
L'articolo 61, oltre a definire positivamente le modalità di svolgimento delle collaborazioni coordinate e continuative c.d. a progetto, esclude infatti dalla riconducibilità a tale tipo contrattuale:
le prestazioni occasionali, intendendosi per tali i rapporti di durata complessiva non superiore a trenta giorni nel corso dell'anno solare con lo stesso committente, salvo che il compenso complessivamente percepito nel medesimo anno solare, sempre con il medesimo committente, sia superiore a 5 mila Euro. Si tratta di collaborazioni coordinate e continuative per le quali, data la loro limitata "portata", si è ritenuto non fosse necessario il riferimento al progetto e, dunque, di sottrarle dall'ambito di applicazione della nuova disciplina.
Trattamento fiscale. Il reddito prodotto è assimilato al lavoro dipendente.
Non producono redditi assimilati a lavoro dipendente, le attività derivanti da rapporti di collaborazione:
a) che rientrano nei compiti istituzionali compresi nell’attività di lavoro dipendente. Pertanto il reddito si configurerà di lavoro dipendente;
b) le attività rientranti nell’oggetto dell’arte o della professione esercitata dal contribuente. Pertanto il reddito si configurerà di lavoro autonomo.
La riqualificazione fiscale dei redditi di collaborazione ha comportato, a decorrere da tale data, l’applicazione di tutti gli istituti tipici del rapporto di lavoro dipendente, quali ad es. le diverse norme di definizione della base imponibile (art. 51 del TUIR è ex art. 48), il principio di cassa allargato (i compensi percepiti concorrono a formare il reddito dell'anno solare in cui sono riscossi, indipendentemente dal momento in cui si è avuta la prestazione lavorativa).
La mancata deduzione del progetto nel contratto, infatti, preclude solo la possibilità di dimostrarne l'esistenza e la consistenza con prova testimoniale.
Trattamento previdenziale. Nelle collaborazioni coordinate e continuative il contributo è per 2/3 a carico del committente e per 1/3 a carico del collaboratore. L'obbligo di versamento compete tuttavia al committente anche per la quota a carico del lavoratore, che viene pertanto trattenuta in busta paga all'atto della corresponsione del compenso. Ai fini di una corretta applicazione dell’aliquota, il committente deve inoltre acquisire dal lavoratore apposita dichiarazione sulla sua situazione contributiva (eventuale titolarità di pensioni o di ulteriori rapporti.
Il versamento va effettuato con mod. F24 ed il termine di scadenza è il giorno 16 del mese successivo a quello di pagamento del compenso, in armonia con le disposizioni previste dai D.Lgs 241/97 e 422/98 in materia di riscossione unificata.
La base imponibile per il calcolo del contributo alla Gestione Separata è individuata con le stesse regole dettate dal fisco per l'individuazione della base imponibile Irpef ed è quella che risulta dalla dichiarazione dei redditi e dagli accertamenti definitivi (L. 335/95, art. 2, c. 29).
Ne consegue che l'ambito di iscrivibilità alla Gestione Separata è¨ strettamente connesso all'evoluzione delle norme di qualificazione fiscale del reddito.
In data 3 febbraio 2012 l'Istituto Nazionale della Previdenza Sociale ha diramato la Circ. n. 16 in merito alla gestione separata di cui all'art. 2, comma 26, L. n. 335 del 1995. In particolare vengono trattati i temi relativi alle aliquote contributive, alle aliquote di computo e ai massimali e minimali per l'anno 2012
COLLABORAZIONI MARGINALI (PRESTAZIONI OCCASIONALI)
In base all’art. 61 c. 2, del DLgs. 276/2003, sono prestazioni occasionali i rapporti di durata complessiva non superiore a 30 giorni nel corso dell'anno solare ovvero, nell’ambito dei servizi di cura e assistenza alla persona, non superiore a 240 ore, con lo stesso committente, salvo che il compenso complessivamente percepito nel medesimo anno solare sia superiore a 5000 euro.
Qualora siano superati i limiti riguardanti la durata e/o l’ammontare dei compensi e via sia coordinamento con l’attività del committente, si configura una fattispecie assimilata al lavoro dipendente ( c.d. lavoro a progetto).
Si tratta di collaborazioni coordinate e continuative per le quali, data la loro limitata "portata", si è ritenuto non fosse necessario il riferimento al progetto e, dunque, di sottrarle dall'ambito di applicazione della nuova disciplina; tali rapporti di collaborazione coordinata e continuativa si distinguono sia dalle prestazioni occasionali di tipo accessorio rese da particolari soggetti di cui agli articoli 70 e seguenti del decreto legislativo, sia dalle attività di lavoro autonomo occasionale vero e proprio, ossia dove non si riscontra un coordinamento ed una continuità nelle prestazioni
Trattamento fiscale. I redditi da lavoro autonomo occasionale sono fiscalmente classificati fra i “redditi diversi”, ai sensi dell’art. 67, c. 1, lett. l del TUIR.
L’art. 71, c. 2 del TUIR dispone che l’imponibile sia ricavato per differenza tra l’ammontare percepito (criterio di cassa) nel periodo d’imposta e le spese specificamente inerenti alla loro produzione.
Trattamento previdenziale.
Non sono soggette agli obblighi contributivi previsti per le collaborazioni coordinate e continuative. In base a quanto disposto dall’articolo 44, comma 2, del decreto-legge n. 269 del 30 settembre 2003, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2003, n. 326, “a decorrere dal 1° gennaio 2004 i soggetti esercenti attività di lavoro autonomo occasionale e gli incaricati alle vendite a domicilio di cui all'articolo 19 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 114, sono iscritti alla gestione separata di cui all'articolo 2, comma 26, della legge 8 agosto 1995, n. 335, solo qualora il reddito annuo derivante da dette attività sia superiore ad euro 5.000. Per il versamento del contributo da parte dei soggetti esercenti attività di lavoro autonomo occasionale si applicano le modalità ed i termini previsti per i collaboratori coordinati e continuativi iscritti alla predetta gestione separata”
LAVORO AUTONOMO OCCASIONALE
Prescinde da limiti di durata o da soglie di compensi.
Rispetto alla co-co-co, a progetto e non, il lavoro autonomo occasionale si distingue quindi per:
la completa autonomia del lavoratore circa i tempi e le modalità di esecuzione del lavoro, dato il mancato potere di coordinamento del committente;
la mancanza del requisito della continuità, dato il carattere del tutto episodico dell’attività lavorativa;
il mancato inserimento funzionale del lavoratore nell’organizzazione aziendale;
la prestazione è svolta a favore di un committente di un’opera o di un servizio in proprio e senza vincolo di subordinazione e senza alcun coordinamento con la struttura organizzativa del committente.
Si distingue, pertanto, dai rapporti di collaborazione coordinata e continuativa per l’assenza di coordinamento e di inserimento nella struttura organizzativa del committente, e per l’esclusione dell’obbligo di comunicare al centro per l’impiego la stipula del contratto (nota Min Lav. 4 gennaio 2007, n. 440 e 14 febbraio 2007 n. 4746).
Il contratto di lavoro autonomo occasionale non richiede particolari formalità.
Trattamento fiscale. I redditi da lavoro autonomo occasionale sono fiscalmente classificati fra i “redditi diversi”, ai sensi dell’art. 67, c. 1, lett. l del TUIR. L’art. 71, c. 2 del TUIR dispone che l’imponibile sia ricavato per differenza tra l’ammontare percepito (criterio di cassa) nel periodo d’imposta e le spese specificamente inerenti alla loro produzione. Per quanto riguarda i rimborsi spese, l’AF con Ris. N. 69E del 21 marzo 2003 ha precisato che “..... i compensi per lavoro autonomo sono computati al netto solamente dei contributi previdenziali e assistenziali; conseguentemente nella nozione di compenso devono ricondursi anche i rimborsi di spese inerenti alla produzione del reddito di lavoro autonomo. Per quanto concerne il lavoro autonomo occasionale, l'art. 85, comma 2, del (v)Tuir, nel prevedere che i redditi di lavoro autonomo occasionale di cui all'art. 81, comma 1, lettera l) del (v) Tuir "sono costituiti dalla differenza tra l'ammontare percepito nel periodo d'imposta e le spese specificamente inerenti alla loro produzione" riconduce, sostanzialmente, fra i proventi percepiti anche i rimborsi spesa inerenti alla produzione del reddito. Pertanto, le somme corrisposte a titolo di rimborso spese inerenti alla produzione del reddito di lavoro autonomo anche occasionale devono considerarsi, in via generale, quali compensi "comunque denominati" e devono essere, quindi, assoggettati, ai sensi dell'art. 25 del D.P.R. n. 600 del 1973, alla ritenuta alla fonte a titolo di acconto nella misura del 20 per cento. All’atto del pagamento il sostituto d’imposta deve operare una ritenuta del 20% (art. 25 DPR 600/73).
Il committente, entro il 16 del mese successivo, mediante il Modello F24, verserà all’erario la ritenuta operata. Tale importo dovrà essere dichiarato nell’apposita sezione del Modello 770/Semplificato.
Entro il 28 febbraio dell’anno successivo a quello di corresponsione dei compensi, il committente dovrà, inoltre, rilasciare una certificazione riassuntiva degli importi erogati, delle ritenute operate e versate e degli eventuali contributi trattenuti e versati.
Trattamento previdenziale.
Qualora il reddito sia superiore a 5 mila euro, in base all’art. 44 c. 2 del DL 269/2003, i soggetti esercenti attività di lavoro autonomo occasionale sono iscritti alla gestione separata di cui all'articolo 2, comma 26, della legge 8 agosto 1995, n. 335. Per il versamento del contributo da parte dei soggetti esercenti attività di lavoro autonomo occasionale si applicano le modalità ed i termini previsti per i collaboratori coordinati e continuativi iscritti alla predetta gestione separata. Il contributo INPS è dovuto solo sui compensi eccedenti i 5000 euro e, così come i co.co.co. è ripartito tra committente (2/3) e lavoratore (1/3). Per l’INPS, il committente deve applicare l’aliquota contributiva sul compenso lordo erogato al lavoratore, dedotte le spese poste a carico del committente e risultanti dalla ricevuta di pagamento. Qualora iscritto alla gestione separata, così come precisato dall’INPS con circolare 13 marzo 2006 n. 41, al lavoratore spetta la corresponsione dell’assegno per il nucleo familiare e le prestazioni di malattia e maternità. LA contribuzione è dovuta nel limite del massimale.
L’imponibile previdenziale è costituito dal compenso lordo erogato al lavoratore, dedotte eventuali spese poste a carico del committente e risultanti dalla fattura. Per ridurre il rischio di eventuali contestazioni o contenziosi sulla qualificazione del rapporto di lavoro, è possibile, anche per le prestazioni occasionali, ricorrere alla certificazione del rapporto (artt. 75-84 del D.Lgs. n. 276/2003), richiedendo ad un organo qualificato la preventiva verifica del contenuto del rapporto di lavoro.
Contratto di formazione e lavoro. Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
Il contratto di formazione e lavoro è stato un contratto di lavoro subordinato a tempo determinato previsto dall'ordinamento giuridico della Repubblica italiana.
Introdotto con la legge 19 dicembre 1984, n. 863, è stato in seguito sostituito dal contratto di inserimento previsto dal decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276. (cosiddetta Legge Biagi), successivamente abrogato negli articoli da 54-59 dall'art. 1, co.14, legge 92/2012, consentendo quindi l'utilizzo del contratto di formazione e lavoro solo da parte delle Pubbliche Amministrazioni.
Descrizione
Esso prevedeva l'obbligo per il datore di lavoro di fornire, oltre alla retribuzione, una specifica attività formativa; e per il lavoratore, oltre a rendere la prestazione, anche di seguire con diligenza la formazione stessa.
Si è trattato di un tipo di contratto di lavoro con funzione formativa "a causa mista", simile al contratto di apprendistato, per la tassatività della durata, per la possibilità di assumere con inquadramento inferiore a quello previsto per la qualifica da conseguire, per la presenza di sgravi contributivi, per l'obbligo di assicurare un'attività formativa di durata e contenuti programmati e per la stipulabilità soltanto da datori di lavoro che, al momento della richiesta di avviamento, abbiano confermato in servizio almeno una percentuale minima dei contratti instaurati con la stessa fonte e venuti a scadere nei mesi precedenti.
Come per ogni tipo di contratto di lavoro, anche nei contratti di formazione e lavoro era richiesta la forma scritta ad substantiam, in mancanza della quale il contratto viene automaticamente convertito a tempo indeterminato.
Attualmente il Contratto di Formazione e Lavoro non è più sottoscrivibile perché abrogato, con riferimento peraltro al solo settore privato; ugualmente il Contratto di inserimento è stato abrogato dalla legge 92/2012. Il contratto di formazione e lavoro permane invece nel settore del Pubblico Impiego.
Assunzioni nella PA riservate ai giovani. Giovanni Galli ITALIAOGGI - NUMERO 145 PAG. 35 DEL 21/06/2023
Le p.a. potranno assumere, nel limite del 10%, e fino al 31/12/2026, giovani laureati con contratto di apprendistato o studenti di età inferiore a 24 anni con contratto di formazione e lavoro, da inquadrare nell’area funzionari
Le p.a. potranno assumere, nel limite del 10%, e fino al 31/12/2026, giovani laureati con contratto di apprendistato o studenti di età inferiore a 24 anni con contratto di formazione e lavoro, da inquadrare nell'area funzionari.
Conversione in legge del Decreto Pa bis, ecco cosa cambia. da lentepubblica.it 5 Agosto 2023
Ok definitivo alla conversione in legge del Decreto Pa bis: all’interno una serie di disposizioni urgenti per il pubblico impiego.
“Con questo provvedimento compiamo un altro passo nel percorso di modernizzazione della Pubblica amministrazione intrapreso da questo governo”.
Il ministro per la Pubblica amministrazione, Paolo Zangrillo, commenta così il via libera al Senato – dopo quello della Camera – al cosiddetto Dl Pa bis, che diventa legge.
Si tratta di misure per rendere più efficienti le nostre amministrazioni e dotarle degli strumenti necessari in tempi rapidi.
Si va dalla riorganizzazione di alcune strutture centrali e al potenziamento degli organici, a importanti novità per accelerare i concorsi per l’assunzione di docenti e le assunzioni del personale scolastico, a un coordinamento efficiente dei servizi e delle politiche attive del lavoro fino allo sblocco dei concorsi e delle graduatorie per gli enti territoriali.
In sede di conversione sono stati anche approvati due importanti emendamenti riguardanti le graduatorie dei concorsi e le assunzioni dei giovani: il limite del 20% agli idonei non si applica a determinati casi; mentre per i contratti di apprendistato e formazione lavoro, l’emendamento approvato amplia la possibilità di utilizzare le misure per favorire il reclutamento dei giovani nella pubblica amministrazione.
Contratti di apprendistato e formazione lavoro
L’emendamento approvato amplia notevolmente la possibilità di utilizzare le misure per favorire il reclutamento dei giovani nella pubblica amministrazione, previsto dall’art. 3-ter del D.L. n. 44/2023.
Si tratta in particolare:
dei contratti di apprendistato con giovani laureati individuati su base territoriale attraverso il portale InPA;
e dei contratti di formazione lavoro con studenti di età inferiore ai 24 anni che abbiano concluso il ciclo di esami sulla base di convenzioni con le Università.
I predetti contratti, stipulati a tempo determinato, possono al termine essere trasformati a tempo indeterminato sulla base della valutazione del servizio prestato.
In particolare per Comuni, Unioni di Comuni e Città metropolitane:
si raddoppia (dal 10% al 20%) il budget assunzione che può essere riservato a ciascuna delle due forme contrattuali (quindi complessivamente fino al 40%);
si ampliano le deroghe ai limiti procedurali, chiarendo che per le assunzioni in questione non è necessario attivare le procedure di mobilità preventiva e le deroghe ai limiti finanziari, specificando che è possibile incrementare la spesa per i trattamenti economici accessori dei neo assunti, anche se a tempo determinato.
La Pubblica Amministrazione cerca giovani da assumere, ecco le novità. Valentina Menassi il 30 Luglio 2023 su Il Giornale.
In arrivo gli incentivi per assumere i giovani. La norma prevede contratti di apprendistato e di formazione lavoro per candidati under 24. Previsti premi per alzare gli stipendi
Tabella dei contenuti
Le tipologie di contratto
Le novità
Attrarre nuovi profili brillanti
L’attivazione delle procedure di mobilità
La parola all’Aran
La Pubblica amministrazione è in cerca di giovani. I dipendenti del settore statale hanno un’età media che supera i cinquant’anni e il progetto è quello di assumere ragazzi appena entrati o pronti a entrare nel mondo del lavoro. I comuni sono tra i primi a cercare gli studenti più meritevoli. Ecco la novità in arrivo che potrebbe ringiovanire il settore della Pa.
Le tipologie di contratto
Da pochissimo tempo è stato approvato dalla Camera un emendamento al Decreto-bis in ambito di Pa. Il firmatario è Roberto Pella, sostituto del vice presidente dell'Anci. La proposta include contratti di apprendistato e di formazione-lavoro dedicati ai giovani. Le formule incluse sono due e sono spesso presenti all’interno del settore privato grazie ai loro benefici contributivi. Il primo è il contratto di apprendistato che è previsto fino a 29 anni mentre il secondo riguarda la formazione-lavoro che consente agli studenti universitari under 24 anni e che non hanno ancora completato gli studi, di passare un determinato periodo temporale all'interno delle amministrazioni. Quest’ultima opzione prevede che dopo aver trascorso due anni e nel caso di esito positivo il contratto dei giovani venga trasformato a tempo indeterminato.
Le novità
I comuni potranno destinare il 20% delle loro "facoltà assunzionali", ovvero la possibilità di scegliere chi assumere, tramite apprendistato e la stessa percentuale all’opzione formazione-lavoro. Questo significa che il 40% delle posizioni aperte negli enti locali territoriali sarà dedicata ai giovani. Inoltre, come spiega l’Anci, si possono effettuare delle deroghe ai limiti finanziari e quindi sono previsti aumenti per la spesa dedicata ai trattamenti economici accessori dei neo assunti, anche se a tempo determinato. In sostanza i nuovi arrivati potranno ricevere premi che consentiranno di aumentare lo stipendio in fase di ingresso.
Attrarre nuovi profili brillanti
In questi ultimi anni la Pubblica amministrazione ha riscontrato delle difficoltà nell’attrarre profili particolarmente brillanti, specialmente nel settore di ingegneri, architetti, esperti di dati o altre professioni riguardanti il mondo digitale e la transizione green. Spesso queste figure scelgono il mondo del lavoro privato perché consente di ottenere contratti con condizioni maggiormente favorevoli e, soprattutto, con stipendi più elevati. L'idea è quella di incentivare i processi di assunzione di queste figure attraverso contratti specifici.
L’attivazione delle procedure di mobilità
Infine viene eliminata anche l’esclusione all’attivazione preventiva delle procedure di mobilità. Il comune dovrà svolgere delle verifiche per vedere che ci siano lavoratori disponibili a occupare le posizioni per le quali vorrebbe aprire un concorso. Solo nel caso in cui non ci fossero queste figure all’interno del paese o in luoghi vicini, si aprirà la possibilità di rivolgersi all’esterno. Questa opzione non riguarderà i contratti di apprendistato e di formazione-lavoro.
La parola all’Aran
Il presidente dell’Agenzia per la contrattazione del pubblico impiego, Antonio Naddeo, ha affermato in merito alla novità: “Si tratta di uno strumento per permettere ai giovani di entrare nella Pubblica amministrazione costruendo un ponte con le Università. Oggi, sono nati e stanno nascendo, molti corsi dedicati alla Pubblica amministrazione, e con i contratti di formazione-lavoro è possibile accelerare e favorire l'ingresso di questi studenti nelle amministrazioni”. Attualmente l’età media di chi passa il concorso super i quaranta anni, il progetto è quello di incentivare i giovani a entrare nel mondo del pubblico impiego.
La stabilizzazione dei precari nell’art. 20 della legge Madia e nei Decreti PNRR. Di Lorenzo De Gregoriis il 24 Aprile 2023 su gdlex.it.
Se stai leggendo questo approfondimento probabilmente ti stai chiedendo se hai tutti i requisiti per la stabilizzazione e vuoi sapere quali strumenti di tutela hai a disposizione per far valere i tuoi diritti e conseguire l’agognato posto a tempo indeterminato, dopo anni e anni di precariato.
Ti dico subito che la materia è stata aggiornata alla luce di importanti novità legislative, che hanno reso possibile attivare le procedure di stabilizzazione sino al 31 dicembre 2023 (nel caso della stabilizzazione “diretta” e senza concorso) oppure fino al 31 dicembre 2024 (nel caso di stabilizzazione mediante concorso), con dimostrazione del possesso del requisito dei 36 mesi di servizio, però, alla data del 31 dicembre 2022 (nel primo caso) oppure alla data del 31 dicembre 2024 (nel secondo caso).
Parallelamente, come abbiamo detto in questo approfondimento, per favorire la stabilizzazione dei precari del comparto sanità che sono stati impiegati nella lotta alla diffusione del Covid-19, la legge di bilancio per il 2022 ha introdotto una forma di stabilizzazione “semplificata”, con termini ridotti, che è stato peraltro ulteriormente “ritoccata” con l’ultimo mille proroghe del 2023.
Prima di procedere oltre con la lettura dell’articolo, in ogni caso, ti segnalo altri approfondimenti che potrebbero interessarti:
Vedi qui per la stabilizzazione dei precari del comparto sanitario
Vedi qui per avere informazioni utili su come proporre un ricorso in materia di stabilizzazione
Vai qui se vuoi avere informazioni sugli scorrimenti delle graduatorie; ed ancora qui se vuoi comprendere se la stabilizzazione sia da preferire allo scorrimento della graduatoria e alle altre modalità di assunzione nel pubblico impiego
Vai qui per capire quali contratti valgano ai fini del conseguimento della stabilizzazione
In questo articolo
Le ultimissime novità normative apportate al Decreto Madia
Cosa si intende con il termine “stabilizzazione” dei precari?
La stabilizzazione “diretta” o senza concorso
La stabilizzazione mediante concorso
La motivazione della scelta di indire il concorso
La stabilizzazione speciale prevista nel decreto assunzioni dell’aprile 2023.
La stabilizzazione speciale prevista dal decreto legge n. 13 del 24 febbraio 2023 (Decreto Pnrr 3)
Inizio col dirvi che il tema della stabilizzazione è fortemente travagliato ed è continuamente interessato da importanti modifiche legislative.
Ci concentriamo qui soltanto sulle ultimissime novità, che sono rappresentate dai decreti mille-proroghe per il 2022 e per il 2023, dai cosiddetti “decreti PNRR” ed infine dal c.d. decreto assunzioni.
Se il decreto mille-proroghe del 2022 (ossia, il decreto legge n. 228 del 30 dicembre 2021), aveva prorogato fino al 31 dicembre 2023 il termine massimo di indizione delle iniziative di stabilizzazione diretta, fermo restando il possesso del requisito dei tre anni di servizio al 31 dicembre 2022, il secondo decreto PNRR (decreto legge n. 36 del 2022) ha esteso fino al 31 dicembre 2024 il termine massimo per la pubblicazione dei bandi per la stabilizzazione mediante concorso, fermo restando il possesso dei requisiti dei tre anni alla medesima data.
Riassumiamo allora le novità apportate all’art. 20 del Decreto Madia:
Il decreto mille proroghe del 2022 ha esteso il termine per la pubblicazione degli avvisi di stabilizzazione diretta (fino al 31 dicembre 2023) ma non anche quello per la maturazione del requisito dei tre anni di servizio con contratti a tempo determinato, che rimane irragionevolmente “fermo” al 31 dicembre 2022;
il decreto PNRR n. 2 del 2022 ha esteso fino al 31 dicembre 2024 la possibilità di pubblicare i bandi per la stabilizzazione cd. indiretta tramite concorso (quella cioè prevista dal comma 2 dell’art. 20 del Decreto Madia), con il requisito dei tre anni di servizio da maturare entro la medesima data;
il decreto mille proroghe del 2023 (decreto legge n. 198 del 29 dicembre 2022), ha introdotto al comma 2 dell’art. 20 Madia un nuovo comma 2-bis, che prevede una proroga generale dei termini fino al 31 dicembre 2026 per i precari arruolati negli enti pubblici di ricerca (e soltanto per essi)
A quanto sopra deve aggiungersi la recente pubblicazione della legge 21 aprile 2023 n. 41 di conversione del decreto PNRR n. 3 (decreto legge n. 13 del 2023), che ha introdotto una ulteriore forma di stabilizzazione mediante concorso, fino al 31 dicembre 2026, per i dipendenti degli enti territoriali, ma solo per i progetti legati al Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza.
Ed ancora il c.d. “Decreto assunzioni” (decreto legge n. 44 del 2023) ha previsto, all’art. 3 comma 5, una più generale previsione di stabilizzazione per i dipendenti di regioni, province, comuni e città metropolitane: la puoi vedere al penultimo paragrafo del nostro approfondimento.
Cosa si intende con il termine “stabilizzazione” dei precari?
La “stabilizzazione” rappresenta la definitiva assunzione a tempo indeterminato presso l’ente con il quale il “precario” ha maturato una più o meno lunga esperienza lavorativa mediante contratti “flessibili” o “a termine”, la quale può essere conseguita sia mediante un nuovo concorso pubblico (riservato in parte ai precari in possesso di determinati requisiti, come vedremo), sia mediante una assunzione diretta e senza concorso.
Alla apparente semplicità della descrizione dell’istituto, tuttavia, non corrisponde una altrettanto semplicità “applicativa” della stabilizzazione, dal momento che i dubbi posti dal Decreto Madia (chiamato anche, impropriamente, “legge Madia”), ossia dal d.lgs. n. 75 del 2017, sono ancora oggi innumerevoli.
Prima di comprendere, però, i problemi operativi posti dalla normativa, facciamo una rapida disamina delle due modalità di stabilizzazione previste dal Decreto Madia, ossia la stabilizzazione diretta (o senza concorso) e la stabilizzazione indiretta (o mediante concorso).
Prima di farlo, vi dico anche che alcune perplessità sono parzialmente risolte dalle circolari intervenute in materia, che di seguito vi indico con un link dal quale potete anche scaricarle:
Circolare “D’Alia” n. 5 del 2013, adottata dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento della Funzione Pubblica, che offre indicazioni utili anche in merito alle assunzioni basate sullo scorrimento di graduatorie vigenti
Circolare n. 3 del 2017, adottata dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri.
In aggiunta alle richiamate circolari e al Decreto Madia, normalmente potremo trovare ulteriori “fonti” del diritto che disciplinano la stabilizzazione.
Così, ad esempio, attraverso delibere di Giunta Regionale o di Giunta Comunale che vengono frequentemente adottate a complemento del Decreto Madia: tengo a precisare, però, che tali atti normativi dovranno in ogni caso essere conformi alla normativa primaria (ossia, ancora una volta, al Decreto n. 75/2017) e dunque non possono introdurre regole “nuove” o “diverse”.
In moltissimi casi, ad esempio, le Regioni adottano delle linee guida o Protocolli per indirizzare le procedure di stabilizzazione delle Aziende Sanitarie: qui un esempio di Protocollo Madia adottato dalla Regione Sardegna.
La stabilizzazione “diretta” o senza concorso
La prima modalità di stabilizzazione “diretta” dei precari è disciplinata al comma 1 dell’art. 20 del decreto Madia, il quale prevede che il candidato che voglia aspirare alla definitiva assunzione a tempo indeterminato debba possedere cumulativamente i seguenti requisiti:
Il dipendente risulti in servizio successivamente alla data di entrata in vigore della legge n. 124 del 2015 con contratti a tempo determinato presso l’amministrazione che procede all’assunzione o, in caso di amministrazioni comunali che esercitino funzioni in forma associata, anche presso le amministrazioni con servizi associati;
sia stato reclutato a tempo determinato, in relazione alle medesime attività svolte, con procedure concorsuali anche espletate presso amministrazioni pubbliche diverse da quella che procede all’assunzione;
abbia maturato, al 31 dicembre 2022, alle dipendenze dell’amministrazione che procede all’assunzione, almeno tre anni di servizio, anche non continuativi, negli ultimi otto anni.
È importante sottolineare che tale forma di stabilizzazione risponde ai principi delineati dal citato comma 1, e che sono rappresentati dalla finalità di “superare il precariato”, di “ridurre il ricorso dei contratti a termine” e di “valorizzare la professionalità acquisita dal personale con rapporto di lavoro a tempo determinato”.
Che tipo di procedimento è previsto per la stabilizzazione diretta?
Le Pubbliche Amministrazioni, ove decidano di procedere con la stabilizzazione diretta, normalmente pubblicano un “Avviso di Ricognizione” del personale precario in possesso dei requisiti di cui al comma 1 o al comma 2 dell’art. 20 del Decreto Madia: di seguito un link dal quale potete trovare un esempio di Avviso di ricognizione.
Si tratta di una procedura molto semplice in realtà: l’Avviso normalmente ripete il contenuto del comma 1 o del comma 2 dell’art. 20, senza aggiungere nulla di diverso (come è ovvio!), limitandosi a precisare (in genere) che i requisiti devono essere posseduti alla data di scadenza del termine di presentazione della domanda.
In tal caso, dunque, il candidato deve compilare l’apposita domanda ed inoltrarla all’ente (mediante PEC o raccomandata A/R).
Devo precisare che l’Avviso di Ricognizione non rappresenta assolutamente un bando di concorso, dal momento che non è prevista l’assegnazione di punteggi ai candidati che presentano la domanda; né è prevista la predisposizione di una “graduatoria”: i candidati sono infatti dichiarati idonei o non idonei e dunque sono chiamati a stipulare il contratto a tempo indeterminato solo nel primo caso.
I problemi che pone spesso questa forma di stabilizzazione sono i seguenti:
Cosa accade se l’Amministrazione prende tempo e non conclude il procedimento avviato con l’Avviso di Ricognizione?
Cosa accade se l’Amministrazione non indice un Avviso di Ricognizione? Posso avanzare di mia iniziativa una domanda per la stabilizzazione diretta, dichiarando di avere tutti i requisiti?
Cosa accade se il termine entro il quale conseguire il requisito dei 36 mesi di servizio (alla data di scadenza della domanda) è inferiore a quello previsto dal Decreto Madia (31 dicembre 2022)?
Cosa posso fare per impugnare il provvedimento che mi dichiara “non idoneo” o che mi esclude senz’altro dalla stabilizzazione?
Se vi trovate in una delle condizioni sopra descritte contattateci per avere maggiori informazioni su come tutelarvi nel migliore dei modi.
Vi anticipo, in ogni caso, che è sempre possibile formulare una istanza diretta ad ottenere la stabilizzazione, anche al di fuori di un procedimento avviato con un Avviso di Ricognizione.
Ad ogni modo, occorre tener ben presente che nella stabilizzazione diretta il ruolo centrale è rivestito dai contratti a termine: solo infatti chi ha maturato un periodo di servizio di 3 anni con questa specifica tipologia contrattuale (e non altra) maturerà un vero e proprio diritto alla stabilizzazione. Ciò in quanto solo i contratti a termine creano un rapporto di subordinazione nei confronti dell’ente.
La stabilizzazione mediante concorso
In alternativa, ai sensi del comma 2 dell’art. 20 della legge Madia, l’amministrazione sino al 31 dicembre 2024 (termine ultimamente prorogato dal Decreto PNRR 2) potrà bandire un concorso pubblico, il quale deve essere riservato però, sino ad un massimo del 50% dei posti disponibili al personale precario che abbia maturato i seguenti requisiti:
Risulti titolare, successivamente alla data di entrata in vigore della legge n. 124 del 2015, di un contratto di lavoro flessibile presso l’amministrazione che bandisce il concorso;
Abbia maturato, alla data del 31 dicembre 2024, almeno tre anni di contratto, anche non continuativi, negli ultimi otto anni, presso l’amministrazione che bandisce il concorso
Vi faccio notare, peraltro, che in entrambi i casi la scelta della stabilizzazione diretta o di quella indiretta, mediante concorso pubblico, deve essere coerente con il piano triennale del fabbisogno del personale (PTFP), sicché è illegittima la delibera che bandisce il concorso o dispone l’assunzione a tempo indeterminato del personale precario senza la previa stesura e pubblicazione del PTFP. Egualmente illegittima è la delibera ove le previsioni di assunzione del personale non sono coerenti con il menzionato Piano.
In questo caso, a differenza di quanto visto per il comma 1, la stabilizzazione mediante concorso ruota tutta intorno al concetto di “contratto flessibile“: ed infatti, soltanto chi ha maturato 3 anni di lavoro con contratti di questo tipo può partecipare al concorso riservato agli stabilizzandi.
La motivazione della scelta di indire il concorso
La scelta della Amministrazione di assumere il personale a tempo indeterminato ricorrendo alla stabilizzazione (diretta o indiretta) è “discrezionale”, risponde cioè ad una facoltà (e non ad un obbligo) dell’ente.
L’art. 20 del decreto Madia chiarisce infatti che le amministrazioni, al fine di superare il precariato, ridurre il ricorso ai contratti a termine e valorizzare la professionalità acquisita dal personale con rapporto di lavoro a tempo determinati, “possono assumere a tempo indeterminato” (comma 1).
Ed ancora, nel comma 2, è previsto che le stesse amministrazioni nello stesso triennio “possono bandire procedure concorsuali riservate al personale non dirigenziale” (comma 2).
Per tale ragione le sentenze dei Giudici Amministrativi rimarcano che “in ogni caso, si tratterà di scelte discrezionali dell’Amministrazione, come ben si evince dalla locuzione ‘le Amministrazioni possono…’, utilizzata sia nel primo che nel secondo comma art. 20 sopracitato”(T.A.R. Molise, Campobasso, Sez. I, 7 giugno 2018, n. 335).
Ovviamente, però, la discrezionalità dell’ente di scegliere se stabilizzare il personale, e di farlo in una delle due modalità previste dal Decreto Madia, non significa che l’Amministrazione sia totalmente libera: essa infatti deve motivare le proprie scelte, essendo a ciò obbligata dalla legge n. 241/1990.
Il problema si pone dal momento che, come abbiamo già scritto in un nostro precedente approfondimento, sono previste diverse modalità di assunzione nel pubblico impiego (scorrimento, mobilità, stabilizzazione, e via discorrendo).
Iniziamo col dire, ad esempio, che la stabilizzazione “diretta” debba tendenzialmente essere preferita a quella “indiretta” del comma 2 dell’art. 20, che si basa sul concorso pubblico, e ciò secondo le indicazioni emanate dallo stesso Ministero per la Semplificazione e la Pubblica Amministrazione.
Nella richiamata circolare n. 3/2017 si afferma che “in presenza di soli soggetti in possesso dei requisiti previsti dal comma 1 dell’art. 20, nel caso in cui le amministrazioni si siano determinate all’avvio delle procedure di reclutamento speciale e abbiano disponibilità finanziarie adeguate, sarebbe opportuno che le stesse ricorressero alle modalità di cui al comma 1 dell’articolo 20”.
La stabilizzazione speciale prevista nel decreto assunzioni dell’aprile 2023.
Una delle novità più rilevanti è prevista nel decreto assunzioni, ossia dall’art. 3 comma 5 del decreto legge 22 aprile 2023 n. 44.
La norma prevede che le regioni, le province, i comuni e le città metropolitane, fino al 31 dicembre 2026, possono procedere (nei limiti ovviamente dei posti disponibili in pianta organica), alla stabilizzazione del personale non dirigenziale nella qualifica ricoperta. Vi elenco per comodità i requisiti che gli aspiranti alla stabilizzazione devono possedere:
Assunzione con contratto a tempo determinato all’esito di apposita procedura concorsuale conforme ai principi dell’articolo 35 del Testo Unico del Pubblico Impiego
Maturazione di 36 mesi di servizio con contratti a tempo determinato presso l’amministrazione che procede all’assunzione
Il termine massimo per considerare i 36 mesi di servizio è stabilito al 31 dicembre 2026
E’ infine previsto che la stabilizzazione deve essere preceduta da un “colloquio selettivo” e dalla “valutazione positiva dell’attività lavorativa svolta”
Quali sono le differenze, dunque, di questa stabilizzazione rispetto a quella generale del comma 1 art. 20 Decreto Madia?
La prima differenza è ovviamente nei termini: la stabilizzazione diretta della Madia sembra destinata a scomparire, dato che il termine massimo per il requisito dei 36 mesi di servizio è stato mantenuto fermo al 31 dicembre 2022, laddove nella stabilizzazione “speciale” del decreto assunzioni detto termine è esteso fino al 31 dicembre 2026.
Ma soprattutto sono le modalità della stabilizzazione che cambiano decisamente.
Ora infatti non sarà più possibile la stabilizzazione diretta senza concorso, dato che la norma richiede comunque la sottoposizione dei candidati ad un “colloquio selettivo”: la quale espressione non rimanda necessariamente ad un “concorso”, ma quantomeno ad una prova orale che prevede l’attribuzione di un punteggio e la formulazione di una graduatoria (in ciò sostanziandosi la “selettività” del colloquio).
Del tutto ambigua e pericolosa è, infine, la previsione della “valutazione positiva dell’attività svolta”, che attribuisce all’ente che intende procedere con la stabilizzazione una discrezionalità elevatissima. Ed infatti: chi dovrà fare la valutazione positiva? Quali strumenti di tutela potranno attivarsi nel caso in cui, pur avendo tutti i requisiti per la stabilizzazione, il candidato viene escluso per una valutazione “insufficiente” in ordine all’attività svolta?
La stabilizzazione speciale prevista dal decreto legge n. 13 del 24 febbraio 2023 (Decreto Pnrr 3)
Con la recente pubblicazione della legge di conversione del decreto chiamato “PNRR 3” (decreto legge 24 febbraio 2023 n. 13), sono state introdotte infine ulteriori tipologie speciali di stabilizzazione che adesso andremo ad analizzare.
La particolarità di queste stabilizzazioni è che prevedono termini sensibilmente più brevi (rispetto a quelli previsti dal Decreto Madia) per la maturazione del diritto alla stabilizzazione; ed inoltre che esse non sono mai “dirette”, ma devono essere sempre precedute da una fase di valutazione a carattere concorsuale.
Una prima tipologia di stabilizzazione è rivolta al personale di livello non dirigenziale assegnato alle Unità di Missione PNRR ed è stata inserita dal decreto PNRR 3 all’art. 35-bis comma 1 del decreto legge n. 115 del 2022 (cosiddetto “Decreto Aiuti bis“).
In questo caso è previsto che le Amministrazioni assegnatarie del personale possono procedere, a decorrere dal 1° marzo 2023, alla stabilizzazione nei propri ruoli del medesimo personale, che abbia prestato servizio continuativo contratti di lavoro subordinato a tempo determinato per almeno quindici mesi nella qualifica ricoperta, previo colloquio selettivo e all’esito della valutazione positiva dell’attività svolta.
Una seconda tipologia di stabilizzazione è quella prevista dall’art. 50 comma 17 del decreto PNRR 3, che disciplina una stabilizzazione con le stesse modalità previste sopra, ma riservata a quanti hanno maturato (questa volta) almeno ventiquattro mesi di servizio con contratti a tempo determinato: tale stabilizzazione è riservata però al personale dell’art. 1 comma 179 legge n. 178 del 2020 (legge di bilancio 2021), ossia al personale non dirigenziale delle Amministrazioni centrali (ad esclusione dunque di quelle periferiche) impiegato per l’attuazione degli interventi previsti dalle politiche di coesione a valere sulle annualità 2014-2020 e 2021-2027.
Una terza ed ultima stabilizzazione è stata introdotta nel decreto PNRR 3 in sede di approvazione della legge di conversione ed è disciplinata dal nuovo comma 17-bis dell’art. 50 del decreto PNRR 3.
La disposizione ci dice che, per le stesse finalità del comma 17 che abbiamo visto poc’anzi, le regioni, le province, le città metropolitane e gli enti locali assegnatari del personale assunto con contratti subordinati a tempo determinato per l’attuazione dei progetti legati alle Politiche di Coesione, possono procedere alla stabilizzazione del personale che abbia prestato servizio per almeno ventiquattro mesi nella qualifica ricoperta, previo colloquio selettivo e all’esito della valutazione positiva dell’attività lavorativa svolta.
Una novità interessante, in merito a tale ultima stabilizzazione, è che il personale interessato potrà anche dichiarare, nella domanda di partecipazione alla procedura di stabilizzazione, di aver svolto il servizio anche presso Amministrazioni diverse da quella che procede all’assunzione: possibilità ad oggi riservata soltanto al personale sanitario, nell’ambito della stabilizzazione del Decreto Madia, e non anche al personale degli enti diversi dalle Aziende sanitarie.
Nepotismi, parentopoli e affari: ecco come sono ridotti i partiti. Formazioni personali, classe dirigente inadeguata, conflitti d'interesse: le forze che siedono in Parlamento o nei banchi del governo (anche di quelli locali) non sono mai state così scollate dalla società. E la sfiducia verso di loro è una cattiva notizia per la democrazia. Sergio Rizzo su L'Espresso il 21 Settembre 2023.
Nulla di illegale, ovvio. Ma che il capo di un partito si faccia la propria holding personale è un po’ curioso. Il nome è Ma.Re. holding e il suo proprietario, si può dedurre dalla sigla, è Matteo Renzi: fondatore e capo assoluto di Italia Viva. Ha costituito la società nell’aprile 2021, qualche settimana dopo l’ingresso del suo partito nel governo Draghi. Una piccola quota l’aveva anche il figlio Francesco, promessa del calcio. Che poi l’ha ridata a papà. E qualche mese fa la holding renziana ha filiato una seconda società: Ma.Re. adv. Consulenze aziendali, strategie imprenditoriali, pubbliche relazioni, marketing… Una prateria sterminata, per un ex premier con profumate relazioni che si spingono fino ai ricchi forzieri arabi.
Ma non siamo a conoscenza del fatto che qualcuno dentro Italia Viva abbia alzato un sopracciglio. Né che l’abbia fatto un collega di partito del potente sottosegretario alla Giustizia meloniano Andrea Delmastro Delle Vedove. Tre mesi dopo essere sbarcato al governo lui ha costituito una società di avvocati con la sorella Francesca, sindaca anch’ella meloniana di Rosazza, e la penalista biellese Erica Vasta. Diciamo subito che nulla impedisce a un sottosegretario di aprire una società. Ma a che serve, se per legge l’avvocato sottosegretario potrà esercitare di nuovo solo un anno dopo aver lasciato il governo?
Davanti a questi fatti, non isolati a giudicare dal coacervo di interessi personali che alberga nei partiti, verrebbe da chiedersi: cosa è diventata oggi la politica? Che non se la passi troppo bene, e il solco fra i partiti e la realtà sia sempre più profondo, è un fatto. Parlano chiaro i dati. Il 25 settembre 2022 hanno votato 30,4 milioni di persone, come nel 1958. Peccato che allora gli aventi diritto al voto fossero 32,4 milioni, contro i 50,8 di oggi. In un Paese nel quale fino al 1979 votava alle politiche oltre il 90 per cento degli elettori, e fino al 2008 più dell’80 per cento, siamo scesi di botto al 63,9. In quindici anni sono andati perduti 8 milioni e mezzo di voti. Di questi, ben 5 milioni sono spariti domenica 25 settembre 2022.
Al Sud gli elettori si sono praticamente dimezzati, da 16,2 a meno di 8,5 milioni. In Campania ha votato il 53,2 per cento. A Napoli Fuorigrotta l’affluenza è scesa dal 62 al 49 per cento. Gli elettori calabresi non hanno raggiunto il 51 per cento. A Crotone si sono fermati al 45,9. A Reggio Calabria, invece, al 48,9. Ma con situazioni da brivido in alcuni centri nelle aree ritenute più esposte al rischio criminalità. Ad Africo ha votato il 32,1 per cento. A Platì il 31,3. A San Luca il 21,5. La politica, che già serve a poco, lì evidentemente non serve a nulla.
La cosa dovrebbe indurre i partiti a una profonda riflessione anche sulla legge elettorale. Invece, zero. L’Italia è l’unico Paese democratico dove le regole elettorali cambiano in continuazione, spesso a seconda delle convenienze di chi sta al potere. I risultati di tale follia sono evidenti. Giorgia Meloni è diventata premier con una maggioranza di quasi il 60 per cento dei seggi parlamentari grazie ai 7,5 milioni di voti di Fratelli d’Italia: vale a dire un settimo dell’intero corpo elettorale. O meno di un quarto, considerando i voti dell’intera coalizione. Si dirà che in molte democrazie avanzate la partecipazione al voto è bassa. Vero. Ma a parte il fatto che non sempre è così (alle ultime presidenziali americane ha votato il 66,7 per cento, più che alle ultime politiche italiane), la breve storia della nostra Repubblica è diversa.
E dovrebbe preoccupare ancora di più la cosa che il crollo non riguardi solo le elezioni generali, ma anche le amministrative: dove la politica sarebbe in teoria più vicina ai cittadini. Il presidente della Regione Lombardia Attilio Fontana è stato eletto con 1,7 milioni di voti su 8 milioni di elettori: 22,1 per cento. Quello della Regione Lazio Francesco Rocca, con 936 mila voti su 4,8 milioni: 19,5 per cento. Roberto Gualtieri è diventato sindaco di Roma con i voti di 565 mila elettori su oltre 2,3 milioni: 24 per cento.
Se la rappresentanza scende a questi livelli, ne risente la democrazia stessa. Ebbene, a un problema così gigantesco i partiti e i loro leader reagiscono facendo spallucce. Pur sapendo esattamente come è stato rotto il giocattolo. È cominciata con la trasformazione dei partiti da strutture collettive in apparati strettamente personali. Rivoluzione certamente riconducibile a Silvio Berlusconi, ma con avvisaglie anche nella cosiddetta prima repubblica. Il resto l’hanno fatto leggi elettorali scriteriate che hanno consegnato nelle mani del capo il potere di selezionare la classe dirigente del partito. Mai sulla base delle competenze: bensì per amicizia, relazioni, parentela e fedeltà. La ciliegina sulla torta, infine, è stata l’abolizione demagogica del finanziamento pubblico, anziché una sua necessaria e profonda riforma. Come aveva proposto, per esempio, il politologo Piero Ignazi. In compenso, non si è mai fatta nemmeno la legge attuativa dell’articolo 49 della Costituzione, e i partiti sono rimasti in un comodo limbo.
Le conseguenze sono devastanti. L’assenza di competizione e meritocrazia ha avuto riflessi penosi sulla qualità degli eletti, come avevano già segnalato Andrea Mattozzo e Antonio Merlo nel saggio sulla “Mediocrazia”. E una delle ragioni per cui il Parlamento è ridotto a semplice ufficio di ratifica dei decreti governativi è questa. Il confronto con l’inizio dell’epoca repubblicana è avvilente. In un’Italia nella quale l’analfabetismo assoluto toccava il 13 per cento e i laureati erano decisamente meno dell’un per cento, il 91,4 per cento dei deputati aveva la laurea. Oggi, che sia pure ai livelli più bassi d’Europa, ma gli italiani laureati sono il 20 per cento, i deputati con la laurea (vera) in tasca si fermano appena al di sotto del 70 per cento. Neppure Giorgia Meloni ha un titolo accademico, prima donna presidente del Consiglio nonché secondo capo del governo nel dopoguerra senza laurea dopo Massimo D’Alema.
Per non parlare dei parenti. Questo Parlamento, nel quale il partito di maggioranza relativa è in mano alla sorella della premier, compagna di un ministro, ne è letteralmente invaso. Se ne possono contare più di una cinquantina; e più di 70, calcolando anche i pedigree parentali meno recenti. Un sistema sempre più chiuso in sé stesso anche ai vertici del potere. Il primo governo guidato da una donna si è presentato come una novità assoluta, ma è pura fantasia. Ben 11 fra ministri e sottosegretari, compresa la stessa premier, erano già nell’ultimo fallimentare governo di centrodestra targato Berlusconi. E se si contano anche le altre esperienze, addirittura 25 persone sui 64 componenti del gabinetto Meloni avevano già frequentato qualche governo. Compresi quelli di Conte e Draghi.
Difficile stupirsi se in questo panorama il finanziamento dei partiti non sia affatto popolare. Su 41 milioni e rotti di contribuenti quelli disposti a dare il 2 per mille a un partito non sono che 1,3 milioni: il 3,3 per cento. Misera la platea dei finanziatori, misero il gettito. In tutto, poco più di 18 milioni. Oltre un terzo dei quali va al solo Partito Democratico. Come campano, allora? Con i soldi dei parlamentari, che spesso versano nelle casse dei partiti una fetta del plafond loro spettante per retribuire gli assistenti. E con pochi assistenti e mal pagati si può immaginare anche la qualità del lavoro parlamentare.
I finanziamenti dei cittadini e delle imprese private sono quasi inesistenti. Nel 2022 il Pd ha avuto contributi da “persone giuridiche” per 125 mila euro, contro 3,8 milioni da “persone fisiche”, cioè quasi tutti parlamentari. Italia Viva ha incassato invece dalle società 675 mila euro, però contro 1,6 milioni versati quasi tutti dai parlamentari. Come del resto anche la Lega. E Fratelli d’Italia, cui non è stata negata una briciolina di 26 mila euro dal Twiga di Flavio Briatore e Daniela Santanchè. C’è poi chi si aiuta con i gadget. Il partito di Giorgia Meloni tira su 300 mila euro l’anno. Li vende la società Italica solution, che però non è del partito. Fa capo a Martin Avaro, ex “federale” di Forza Nuova a Roma Est.
Anziché ai partiti, le imprese preferiscono versare alle fondazioni politiche, casseforti personali dei leader dei partiti personali. C’è più riservatezza. Openpolis ne ha censite 121, di cui oltre metà nate a servizio di una corrente di partito o di un singolo politico: appena 19 pubblicano un bilancio accessibile su Internet. Soprattutto, i potenziali finanziatori vanno direttamente al bersaglio. Altro che lobby. E pensare che nella scorsa legislatura la Camera ha approvato una legge per regolamentare finalmente l’attività dei lobbisti, proposta da due deputati Pd e M5S. Ma prima che il Senato la ratificasse la legislatura è evaporata. Grazie ai grillini: che hanno fatto così svanire anche la loro legge. E ora la Camera ha avviato sulle lobby una nuova indagine conoscitiva! Ecco dove siamo arrivati.
Tutto in famiglia. L’ideona della ministra Calderone: far certificare i contratti a termine dagli amici consulenti del lavoro. Lidia Baratta su L'Inkiesta il 22 Aprile 2023
Tra le ipotesi nel decreto in arrivo, le causali per sottoscrivere i rapporti a termine potrebbero essere bollinate dai consulenti guidati fino a pochi mesi fa dalla ministra e ora presieduti dal marito Rosario De Luca. Continua così il conflitto di interessi della responsabile di via Veneto. Mentre il concittadino Temussi messo alla guida di Anpal ora è indagato nell’inchiesta sulle nomine alla Regione Sardegna
Dovrebbe arrivare a breve il decretone lavoro della ministra Marina Calderone, con le novità sul reddito di cittadinanza e i contratti a termine. Oltre a spezzettare in tre il sussidio grillino, si punta pure ad allentare definitivamente le regole del decreto dignità, autorizzando un uso dei contratti a tempo determinato senza dover per forza indicare le causali, cioè la motivazione dell’assunzione a tempo, come prevedeva il provvedimento dei Cinque Stelle dopo i 12 mesi. E qui arriva l’idea della ministra: nel caso di assunzione a termine per «specifiche esigenze», le aziende potranno farsi certificare queste «specifiche esigenze» dai consulenti del lavoro. Ovvero, dai colleghi della ministra, che ha presieduto l’ordine per 17 anni fino alla sua nomina da parte di Giorgia Meloni, lasciando poi la carica in eredità al marito Rosario De Luca. Tutto in famiglia.
Dopo il protocollo sottoscritto con l’Ispettorato nazionale del lavoro per il rilascio dei “bollini sicurezza” da parte dei consulenti, ora l’ordine guidato dal marito della ministra potrebbe mettere mano pure sulla certificazione delle causali dei contratti a tempo determinato.
La bozza del decreto lavoro prevede tre casi in cui si può autorizzare la sottoscrizione del contratto a termine fino a due anni (24 mesi) senza casuali. Nel primo caso, per esigenze previste dai contratti collettivi nazionali (come già previsto). Nel secondo caso, per «specifiche esigenze di natura tecnica, organizzativa e produttiva», se non previste dai contratti collettivi, individuate da imprese e lavoratori. Nell’ultimo caso, per «esigenze di sostituzioni di altri lavoratori».
Ed è nella seconda ipotesi che arriva il coinvolgimento dei consulenti del lavoro. Nel caso delle imprese più piccole, che spesso non applicano i contratti collettivi e che magari non hanno neanche rappresentanti sindacali al loro interno, la certificazione del motivo della assunzione a termine per «specifiche esigenze» potrebbe essere effettuata non solo dalle Direzioni provinciali del lavoro, ma anche da enti bilaterali, università, e consulenti del lavoro ovviamente.
In un momento in cui i contratti a termine sono in discesa e le stabilizzazioni invece stanno aumentando, «sarebbe inutile oltre che dannoso allentare le regole sui contratti a termine, magari dando pure ai consulenti del lavoro la possibilità di certificare le causali per l’utilizzo dei contratti», commenta Marco Leonardi, economista dell’Università Statale di Milano ed ex capo dipartimento della programmazione economica (Dipe) con Mario Draghi.
Dal Partito democratico c’è chi parla di «ipotesi aberrante». E Maria Cecilia Guerra, responsabile lavoro nella segreteria nazionale del Pd, si chiede: «Da quando i consulenti del lavoro decidono su temi così delicati al posto delle norme?».
Il cammino dell’ordine dei consulenti del lavoro e quello del ministero guidato dalla ex presidente continuano così a intrecciarsi, con il rischio di un grosso conflitto di interessi. Proprio mentre l’amico sassarese della ministra Massimo Temussi, nominato come suo consulente e nominato presidente di Anpal Servizi per gestire il nuovo reddito di cittadinanza dopo la cacciata di Cristina Tajani, ora risulta indagato dalla Procura di Cagliari per la nomina del suo successore alla guida dell’Agenzia sarda per le politiche attive del lavoro.
Estratto dell’articolo di Giovanni Tizian per editorialedomani.it il 21 aprile 2023.
La destra al governo lo ha ribattezzato il ministero del Merito oltreché dell’Istruzione. A guidarlo è Giuseppe Valditara. Ma un conto è la retorica sul merito, altra è la realtà, fatta di relazioni, amicizie, cerchie di fedelissimi e, scopre ora Domani, persino soci d’azienda.
Valditara, espressione della Lega di Matteo Salvini […], ha assunto nella sua segreteria a 60 mila euro l’anno fino alla fine del mandato un professore. Si chiama Mario Eugenio Comba, e l’incarico prevede che si occupi di «semplificazione, project financing e rapporti con gli enti locali nelle materie di competenza del ministero dell’istruzione».
Sulla selezione per l’incarico poi affidato a Comba, esperto di diritto, hanno pesato certamente le sue competenze. Ma è innegabile che la nomina porti pure qualche domanda sull’opportunità della stessa, per via di un potenziale conflitto di interesse: Comba, infatti, è con il 5 per cento tra gli azionisti della società E-Co Srl, il cui 17 per cento è di proprietà dell’attuale ministro Valditara.
L’azienda è nata nel 2012, sede a Torino, è «spin-off e partner del Politecnico di Milano» e presidia il campo della ricerca nelle tecnologie per la mobilità del futuro. […] Di certo per Comba ha contato il fatto di trovarsi tra gli azionisti di E-Co e di conoscere Valditara da 30 anni, quando erano colleghi all’università di Torino.
Ora, Comba avrà certamente moltissimi meriti, nel suo curriculum un lungo elenco di ricerche e attività certificano una carriera ricca di esperienze nel campo del diritto. […]
Quando ha firmato il contratto al ministero ha dovuto sottoscrivere la dichiarazione sull’assenza di «situazioni, anche potenziali, di conflitto di interesse con l’incarico attribuito». Nel documento depositato Comba firma l’insussistenza, e non fa mai cenno alla presenza ingombrante di questa azienda di cui è socio insieme al ministro Valditara, che lo ha assunto nella segreteria a spese dei contribuenti, a 60mila euro lordi l’anno.
[…] Tuttavia alcune fonti vicine a Valditara specificano […] che il ministro non ha ruoli gestionali ma è un semplice socio così come Comba: «Per questo motivo – spiegano – non ci sarebbe alcuna incompatibilità per entrambi con il ruolo pubblico ricoperto».
[…] Fiore all’occhiello dell’impresa è il progetto Smart Bus, «il più efficiente bus elettrico a zero emissioni al mondo». Esiste una società costituita nel 2019, la Smartbus Srl, costituita da E.Co srl, Chariot e la cinese Higer, un colosso specializzato nella produzione di autobus con un fatturato miliardario. Higer è usata dal governo cinese per esercitare soft power in Africa: due anni fa ha donato sei bus alla Guinea Equatoriale.
Lo scambio è il frutto di un accordo siglato tra i due governi. «La società sviluppa progetti di mobilità sostenibile, che vede operare diversi soggetti, già ammessi nel nostro mercato» spiega una fonte aziendale dell’azienda di cui è socio il ministro.
Da Taranto a Manfredonia: blitz degli ispettori in ospedale, nel mirino anche il «118». I casi: infermieri trasformati in amministrativi, radiologie chiuse per malattia. I soccorritori internalizzati attraverso le Sanitaservice: alcune Asl ne hanno promossi alcuni ad amministrativi, senza concorso né titoli. MASSIMILIANO SCAGLIARINI su La Gazzetta del Mezzogiorno il 16 Settembre 2023
Il caso dei 12 soccorritori del 118 diventati amministrativi non è l’unico punto su cui è finita nel mirino la gestione della Asl di Taranto. La stretta imposta dalla Regione su appalti e assunzioni, da parte delle aziende sanitarie e delle loro società in-house, va di pari passo con i controlli. E dunque le verifiche effettuate dal Nirs sulla Sanitaservice di Taranto si sono estese anche alla stessa Asl per riscontrare i contenuti di una lunga serie di esposti.
Il problema dei soccorritori diventati amministrativi è infatti emerso da una segnalazione di fonte sindacale. I 12 sono stati trasformati in coordinatori dei turni nelle postazioni, pur mantenendo il trattamento economico (le indennità previste dal contratto) cui si aggiungono gli straordinari e le reperibilità. L’ispezione del Nirs, guidato dall’avvocato Antonio La Scala, ha accertato che i 12 sono stati scelti senza una selezione pubblica. Altri esposti hanno poi sottolineato quella che non può che essere una coincidenza: alcuni dei neo-amministrativi sono infatti sindacalisti o figli di sindacalisti molto noti sul territorio.
Il caso è ora all’attenzione degli uffici della Regione, che stabiliranno se e come intervenire sull’organizzazione del 118. Ma nel frattempo, la settimana scorsa, gli ispettori sono tornati in Asl per acquisire altra documentazione. A partire dalle modalità di assunzione di 800 persone, in gran parte infermieri, durante l’emergenza Covid. Anche qui gli ispettori hanno accertato che una parte del personale preso con le procedure di emergenza risulterebbe assegnato a funzioni amministrative, in violazione di numerose disposizioni. Gli ispettori stanno effettuando accertamenti simili anche...
La strana storia che coinvolge ancora Luca Turco. Assolto Paolo Barlucchi, l’ex pm fiorentino che aveva avuto divergenze con Luca Turco durante l’inchiesta Concorsopoli. Il magistrato, in particolare, aveva chiesto l’astensione di Turco dal ruolo di coordinatore del procedimento quando emerse la necessità di interrogare la sorella Lucia, all’epoca direttore sanitario dell’ospedale: “Io la sorella del procuratore NON la intercetto”. Paolo Pandolfini su Il Riformista il 15 Settembre 2023
È stato assolto da tutte le accuse l’allora pm fiorentino Paolo Barlucchi, ora pg a Perugia, che con le sue rivelazioni aveva acceso un faro sul modo in cui venivano condotte alcune inchieste da parte della Procura di Firenze. Barlucchi aveva avuto delle divergenze con il procuratore aggiunto Luca Turco nell’ambito dell’indagine sui concorsi pilotati, denominata ‘Concorsopoli’, presso l’ospedale di Careggi.
Il magistrato, in particolare, aveva chiesto l’astensione di Turco dal ruolo di coordinatore del procedimento quando emerse la necessità di interrogare la sorella Lucia, all’epoca direttore sanitario dell’ospedale. Barlucchi, difeso dal giudice Paolo Micheli, rinuncerà all’inchiesta dopo non aver sentito la dottoressa. Una condotta per la quale venne condannato dalla sezione disciplinare del Csm alla censura, poi annullata nelle scorse settimane dalla Cassazione. Il magistrato era stato già assolto per altre quattro incolpazioni concernenti i suoi rapporti con altri due aggiunti della Procura fiorentina, Gabriele Mazzotta e Luca Tescaroli.
Ed è stato assolto, in sede penale, anche il luogotenente della guardia di finanza Daniele Cappelli – principale teste della difesa di Barlucchi – finito sotto processo a Firenze per alcune omissioni nell’indagine che avrebbero favorito la posizione di uno degli indagati, l’ex dg Monica Calamai. Cappelli era il testimone che davanti alla sezione disciplinare del Csm dichiarò, senza tanti giri di parole, di essere stato ‘stoppato’ dal pm Tommaso Coletta, titolare del primo filone d’indagine sui concorsi. “L’ottavo piano non condivide”, avrebbe infatti detto Coletta alle fiamme gialle che volevano intercettare la sorella di Turco, poi promossa al vertice dell’Agenzia regionale di sanità della Toscana, riferendosi all’ufficio occupato dal procuratore di Firenze nel palazzo di giustizia del capoluogo toscano.
L’inchiesta, avviata nel 2018 dalla guardia di finanza e poi terminata con una valanga di assoluzioni, aveva ad oggetto le procedure di selezione dei docenti dell’ateneo fiorentino. Dopo aver effettuato degli accertamenti preliminari, i finanzieri depositarono in Procura una prima informativa in cui segnalavano irregolarità nelle procedure di selezione per un posto da ordinario all’interno del dipartimento di otorinolaringoiatra.
La Commissione d’esame, composta da quattro medici, fra cui la sorella di Turco, sarebbe stata “eterodiretta” ed il vincitore scelto senza una vera selezione. I finanzieri chiesero allora a Coletta, titolare del fascicolo, di poter intercettare i medici. Coletta – a sorpresa – volle procedere solo nei confronti di due dei componenti, lasciando fuori dalle intercettazioni la sorella di Turco ed il presidente della Commissione. Il luogotenente Cappelli, che aveva curato in prima persona le indagini e dopo aver ultimato l’informativa, chiese quindi ai suoi superiori, i colonnelli Adriano D’Elia e Pasquale Sisto, il motivo di tale decisione. La risposta fu che Lucia Turco era la sorella del procuratore aggiunto.
Cappelli, senza perdersi d’animo, tornò in Procura per reiterare la richiesta di intercettazione nei confronti della dirigente. “Ma allora non ha capito? La sorella di Turco non la intercetto”, avrebbe però risposto il pm, sempre secondo quanto dichiarato da Cappelli davanti al Csm sotto giuramento. “Se continuiamo così, ci manda a Genova (competente per i reati commessi dai magistrati toscani)”, fu la replica di Cappelli. “Guardi che non pensi che non l’abbia ponderata, diremo che l’abbiamo fatto per mantenere il riserbo dell’indagine”, la risposta di Coletta. Prima di aggiungere: “Sa cosa fa? Ci vada lei dal procuratore a chiedere di intercettare la sorella di Turco!”.
Cappelli dopo essere uscito dalla stanza di Coletta scrisse una relazione di servizio su quanto accaduto che, però, fu ritenuta “irricevibile” dai suoi capi. “Mettersi contro i magistrati è pericoloso. Non vuoi che ti trovino un reato? Poi scatta il trasferimento”, gli avrebbero detto i colonnelli D’Elia e Sisto. Dopo qualche giorno, Cappelli venne allora convocato da D’Elia che gli mostrò una nota di Coletta – ora promosso procuratore a Pistoia – con cui si disponeva la cessazione delle indagini in quanto gli elementi raccolti “erano esaustivi”, ordinandogli al contempo di “riscrivere” la relazione di servizio. Il luogotenente sarà poi trasferito ad un ufficio non operativo per evitargli “ulteriori conseguenze” con il procuratore, con il divieto di entrare in Procura e l’avvertimento di non parlare con i colleghi che nel frattempo erano stati chiamati a gestire il fascicolo al suo posto. Paolo Pandolfini
D. Tu sei d'accordo con l'abolizione dell'Abuso d'Ufficio?
R. Se tutti gli amministratori pubblici lo odiano è perché è uno spauracchio che inibisce la firma e blocca la burocrazia. Ad interpretazione giudiziaria disomogenea tutto può diventare "Abuso d'ufficio".
D. Mmmmm..., ma mica si applicano solo agli amministratori, quando truccano i concorsi, come li punisci? Quando vai sul Comune e fanno i "cazzi loro", come li punisci?
R. Ho fatto e pubblicato l'inchiesta. Il problema non è il reato, che va punito, sono i tempi per l'accertamento e la mancata uniformità. Nel Sud è considerato collusivo mafioso, al Nord quasi non esiste e quando, come i concorsi pubblici, la platea di vittime è ampia, non si prende in considerazione.
D. Sì, certo, ma bisogna risolvere i problemi, non eliminare la fattispecie di reato. Già gli Uffici pubblici fanno i "cazzi loro", ora peggio di peggio. Il problema è che non viene applicato o applicato a "Cazzo".
R. Ergo: non eliminare il reato, ma considerarlo di elevato impatto sociale ed immediata definizione, come i reati contro le donne.
D. Quindi pensi che Nordio stia sbagliando?
R. Si giudica a cosa fatta. Quelli di Destra, vedendo che potrebbero scalzare quelli di sinistra al governo dei Comuni, hanno paura di non avere la stessa tutela giudiziaria e di essere perseguitati, più che perseguiti. Ecco perché vorrebbero fare una legge ad personam.
D. Sì, ma quelli di Destra tendono a fare i cazzi loro. E, comunque, si parla di Pubblici uffici, non solo di amministratori.
R. La stessa cosa. E' tutto un sistema di cooptazione amicale. La Destra vorrebbe fare i cazzi suoi, ma non è capace e scaltra a non farsi scoprire come la Sinistra.
D. Se abrogano l'Abuso d'ufficio e fanno imbrogli ai concorsi come li denunci?
R. Plagio, corruzione (ne risponde anche il beneficiato, essendo un reato-contratto), concussione, falsità, associazione a delinquere...
Copi alla maturità, a un esame o a un concorso o a un esame di Stato? Ecco cosa rischi legalmente. Hai il vizietto di copiare? Lo sai che in alcuni casi si rischia anche l'arresto? Ecco, caso per caso, cosa rischi a livello legale quando copi. Quante volte incappate in persone che copiano agli esami o a un concorso pubblico, o magari chissà..siete voi stessi a farlo. Quello che forse non sapete è che copiare non è uno scherzo, ma in molte circostanze costituisce un vero e proprio reato perseguibile a livello penale.
Se copi vi è il reato di plagio. Secondo l'art. 1 della legge n. 475/1925 infatti: Chiunque in esami o concorsi, prescritti o richiesti da autorità o pubbliche amministrazioni per il conferimento di lauree o di ogni altro grado o titolo scolastico o accademico, per l'abilitazione all'insegnamento ed all'esercizio di una professione, per il rilascio di diplomi o patenti, presenta, come propri, dissertazioni, studi, pubblicazioni, progetti tecnici e, in genere, lavori che siano opera di altri, è punito con la reclusione da tre mesi ad un anno. La pena della reclusione non può essere inferiore a sei mesi qualora l'intento sia conseguito.
Se poi qualche commissario ti aiuta nell'ordinamento italiano, vi è l’abuso d'ufficio che è il reato previsto dall'art. 323 del codice penale ai sensi del quale: 1. Salvo che il fatto non costituisca un più grave reato, il pubblico ufficiale o l'incaricato di pubblico servizio che, nello svolgimento delle funzioni o del servizio, in violazione di norme di legge o di regolamento, ovvero omettendo di astenersi in presenza di un interesse proprio o di un prossimo congiunto o negli altri casi prescritti, intenzionalmente procura a sé o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale ovvero arreca ad altri un danno ingiusto è punito con la reclusione da uno a quattro anni. 2. La pena è aumentata nei casi in cui il vantaggio o il danno hanno un carattere di rilevante gravità.
Se chi ti aiuta ti obbliga o ti induce a pagare c’è la concussione. La concussione (dal latino tardo concussio «scossa, eccitamento» dunque «pressione indebita, estorsione») è il reato del pubblico ufficiale che, abusando della sua qualità o delle sue funzioni, costringa (concussione violenta) o induca (concussione implicita o fraudolenta) qualcuno a dare o promettere indebitamente, a lui o a un terzo, denaro o altra utilità anche di natura non patrimoniale. Reato tipico dell'ordinamento giuridico penale della Repubblica Italiana, la fattispecie concussiva non è presente nella maggior parte degli ordinamenti europei e internazionali (al suo posto troviamo l'estorsione aggravata). I beni tutelati dalla fattispecie sono pubblici (buon andamento e imparzialità della Pubblica amministrazione) e allo stesso tempo anche privati (tutela contro abusi di potere e lesioni della libertà di autodeterminazione). Tra i delitti dei pubblici ufficiali contro la Pubblica amministrazione, la concussione è il reato più gravemente sanzionato. Oggi, a seguito della riforma introdotta dalla l. 6 novembre 2012, n.190, è prevista la reclusione da sei a dodici anni (anche ante riforma era il reato contro la P.a. più sanzionato). La normativa italiana di contrasto al fenomeno concussivo è contenuta nel codice penale e precisamente nel Libro II, Titolo II "Dei delitti contro la pubblica amministrazione" (art. 314-360).
Se chi ti aiuta si fa pagare è corruzione ed indica, in senso generico, la condotta di un soggetto che, in cambio di danaro oppure di altri utilità e/o vantaggi che non gli sono dovuti, agisce contro i propri doveri ed obblighi. Il fenomeno ha molte implicazioni, soprattutto dal punto di vista sociale e giuridico; uno stato nel quale prevale un sistema politico incontrollabilmente corrotto viene definito "cleptocrazia", cioè "governo di ladri", oppure "repubblica delle banane". In Italia il concetto di corruzione è riconducibile a diverse fattispecie criminose, disciplinate nel Codice Penale, Libro II - Dei delitti in particolare, Titolo II - Dei delitti contro la pubblica amministrazione. Le relative fattispecie criminose sono tutte accomunate da alcuni elementi:
reati propri del pubblico ufficiale
accordo con il privato
dazione di denaro od altre utilità
Quindi, la corruzione è categoria generale, descrittiva dei seguenti reati:
art. 318 c.p. - Corruzione per l'esercizio della funzione
art. 319 c.p. - Corruzione per un atto contrario ai doveri d'ufficio
art. 319 ter c.p. - Corruzione in atti giudiziari
art. 320 c.p. - Corruzione di persona incaricata di un pubblico servizio
art. 321 c.p. - Pene per il corruttore
In base all'art. 319 codice penale il pubblico ufficiale che, per omettere o ritardare o per aver omesso o ritardato un atto del suo ufficio, ovvero per compiere o per aver compiuto un atto contrario ai doveri di ufficio, riceve per sé o per un terzo, denaro o altra utilità, o ne accetta la promessa, è punito con la reclusione da due a cinque anni. È definita questa corruzione propria ed è la forma più grave di corruzione poiché danneggia l'interesse della pubblica amministrazione a una gestione che rispetti i criteri di buon andamento e imparzialità (art.97 cost). Di questo reato (corruzione per un atto contrario ai doveri d'ufficio, art. 319 c.p.) può essere ritenuto responsabile anche un Consigliere Regionale per comportamenti tenuti nella sua attività legislativa. In base alla definizione dell'art. 357 c.p. è pubblico ufficiale anche colui che esercita una funzione legislativa. È priva di fondamento la tesi secondo cui nell'esercizio di un'attività amministrativa discrezionale, ed in particolare della pubblica funzione legislativa, non può ipotizzarsi il mercanteggiamento della funzione, nemmeno qualora venga concretamente in rilievo che la scelta discrezionale non sia stata consigliata dal raggiungimento di finalità istituzionali e dalla corretta valutazione degli interessi della collettività, ma da quello prevalente di un privato corruttore. Non è applicabile la speciale guarentigia sanzionata dal quarto comma dell'art. 122 della Costituzione secondo cui i Consiglieri Regionali non possono essere chiamati a rispondere delle opinioni espresse e dei voti dati nell'esercizio delle loro funzioni. Questa speciale immunità non trova applicazione qualora il Consigliere Regionale non sia perseguito dal giudice penale per avere concorso alla formazione ed alla approvazione di una legge regionale, ma per comportamenti che siano stati realizzati con soggetti non partecipi di tale procedimento al fine di predisporre le condizioni per il conseguimento di un vantaggio illecito.
In base all'art. 318 codice penale il pubblico ufficiale che, per l'esercizio delle sue funzioni o dei suoi poteri, indebitamente riceve, per sé o per un terzo, denaro o altra utilità o ne accetta la promessa è punito con la reclusione da uno a cinque anni. Questa forma di corruzione viene definita corruzione impropria antecedente poiché l'oggetto della prestazione che il pubblico ufficiale offre in cambio del denaro o dell'altra utilità che gli viene data o promessa, è un atto proprio dell'ufficio e la promessa o la dazione gli vengono fatti prima che egli compia l'atto. Il disvalore della condotta è sicuramente minore poiché pur nella violazione dei beni giuridici di imparzialità e buon andamento della pubblica amministrazione non ci sono atti che ledano gli interessi della stessa, come avveniva invece nella corruzione propria con ritardi o omissione di atti dovuti ovvero con il compimento di atti contrari ai doveri d'ufficio. Il pubblico ufficiale non sarà imparziale avendo accettato una retribuzione non dovuta e venendo meno all'espresso divieto che gli pone la legge e pertanto sarà punito.
La legge 13 gennaio 2003, n. 3 ha istituito nell'ordinamento italiano l’Alto Commissario per la prevenzione e il contrasto della corruzione e delle altre forme di illecito all’interno della pubblica amministrazione. L'articolo 68, comma 6, del decreto legge n. 112 del 25 giugno 2008, ha successivamente soppresso l’Alto Commissario. Con DPCM del 5 agosto 2008 le relative funzioni sono state attribuite al Dipartimento per la Pubblica Amministrazione e l'Innovazione che ha istituito il Servizio Anticorruzione e Trasparenza. L'Italia ha aderito al Gruppo di Stati contro la corruzione (GRECO), unità del Consiglio d'Europa a Strasburgo che monitora la corruzione, il 30 giugno 2007. GRECO è stato fondato nel 1999 da 17 paesi europei, oggi ne conta 49, e include anche paesi non europei. L'ultima valutazione di GRECO sullo stato della corruzione in Italia è stato pubblicato in marzo 2012, ed è disponibile in inglese e francese.
Se poi chi ti aiuta falsifica i verbali d’esame vi è Falsità materiale commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici , previsto dall'art. 476 C.P. Il pubblico ufficiale, che, nell'esercizio delle sue funzioni, forma, in tutto o in parte, un atto falso o altera un atto vero, e' punito con la reclusione da uno a sei anni. Se la falsità concerne un atto o parte di un atto, che faccia fede fino a querela di falso, la reclusione è da tre a dieci anni.
Se poi chi ti aiuta, afferma in atti pubblici, che tu inabile al ruolo, sei invece capace e meritevole, vi è Falsità ideologica commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici, punito dall'art. 479 c.p.: Il pubblico ufficiale, che, ricevendo o formando un atto nell'esercizio delle sue funzioni, attesta falsamente che un fatto è stato da lui compiuto o è avvenuto alla sua presenza, o attesta come da lui ricevute dichiarazioni a lui non rese, ovvero omette o altera dichiarazioni da lui ricevute, o comunque attesta falsamente fatti dei quali l'atto è destinato a provare la verità, soggiace alle pene stabilite nell'articolo 476.
Se poi chi ti aiuta fa parte di una commissione di esame (formata da avvocati od altre figure professionali specifiche al concorso o dall'esame; magistrati; professori universitari) ed è d’accordo con i solidali vi è un’associazione a delinquere. L'associazione per delinquere è un delitto contro l'ordine pubblico, previsto dall'art. 416 del codice penale italiano. I tratti caratteristici di questa fattispecie di reato sono:
la stabilità dell’accordo, ossia l’esistenza di un vincolo associativo destinato a perdurare nel tempo anche dopo la commissione dei singoli reati specifici che attuano il programma dell’associazione. La stabilità del vincolo associativo dà al delitto in esame la tipica natura del reato permanente;
l'esistenza di un programma di delinquenza volto alla commissione di una pluralità indeterminata di delitti. La commissione di un solo delitto non integra la fattispecie in esame.
Parte della dottrina e della giurisprudenza richiede inoltre l’esistenza di un terzo requisito, vale a dire il fatto che l’associazione sia dotata di una "organizzazione", anche minima, ma adeguata rispetto al fine da raggiungere. Sul punto però non v'è uniformità di vedute: secondo taluno in dottrina non è necessaria alcuna organizzazione; secondo altri, invece, è indispensabile una struttura ben delineata "gerarchicamente" organizzata. Infine, soprattutto in giurisprudenza, si è sostenuto talvolta che è sufficiente una struttura "rudimentale". L'associazione per delinquere va ricondotta nella categoria dei reati a concorso necessario e presenta delle affinità con il concorso di persone nel reato (definito eventuale, poiché integra la fattispecie monosoggettiva); ciononostante i due istituti vanno tenuti nettamente separati. Infatti, mentre nel concorso di persone due o più soggetti s'incontrano e occasionalmente si accordano per la commissione di uno o più reati ben determinati dopo la realizzazione dei quali l'accordo si scioglie, nell'associazione per delinquere, invece, tre o più soggetti si accordano allo scopo di dar vita a un'entità stabile e duratura diretta alla commissione di una pluralità indeterminata di delitti per cui dopo la commissione di uno o più reati attuativi del programma di delinquenza i membri dell'associazione restano uniti per l'ulteriore attuazione del programma dell'associazione. Diretta conseguenza di ciò è che l'associazione per delinquere è punibile, teoricamente (non è questo il caso di trattare problemi di carattere probatorio), per il solo fatto dell'accordo, con un'eccezione rispetto alle ordinarie norme penali.
Se l'organizzazione stabilita ha carattere di sistema generale, taciuto, impunito e ritorsivo contro chi si ribella vi è l'associazione per delinquere di stampo mafioso. Il mezzo che deve utilizzarsi per qualificare come mafiosa un'associazione è quindi la forza intimidatrice del vincolo associativo e della condizione di soggezione e di omertà che ne deriva.
Gli obiettivi sono:
il compimento di delitti;
acquisire il controllo o la gestione di attività economiche;
concessioni;
autorizzazioni;
appalti o altri servizi pubblici;
procurare profitto o vantaggio a sé o ad altri;
limitare il libero esercizio del diritto di voto;
procurare a sé o ad altri voti durante le consultazioni elettorali.
Ciò nonostante si può star tranquilli che in Italia nulla succede se chi delinque sono quelle istituzioni che dettano legge ed operano i controlli.
Cosa si rischia se si viene scoperti a copiare ad un concorso? Da Vincenza Luciano su avvocatoflash.it il3/4/2019
L'interesse dello Stato alla genuinità degli elaborati in un concorso pubblico.
La tutela della pubblica fede
La contestazione del concorso nel reato di tentato abuso di ufficio
Il soggetto che “aiuta” il candidato a copiare
Fonti normative
1. La tutela della pubblica fede
Attribuire a se stessi un'opera intellettuale altrui durante un concorso pubblico al fine di conseguire immeritatamente determinati titoli (scolastici, accademici, onorifici o abilitativi, etc.) è reato. Lo prevede la legge n. 475/1925 che sanziona tale condotta con la pena della reclusione da tre mesi ad un anno, intendendo tutelare l'interesse alla genuinità degli elaborati presentati da ciascun candidato in occasione di esami o concorsi pubblici (Cass. sent. n. 18826/2011).
Il reato è integrato anche qualora il candidato faccia riferimento a opere intellettuali, tra cui la produzione giurisprudenziale, di cui citi la fonte, ove la rappresentazione del suo contenuto sia non il prodotto di uno sforzo mnemonico e di autonoma elaborazione logica ma il risultato di una materiale riproduzione operata mediante l'utilizzazione di un qualsiasi supporto abusivamente impiegato nel corso della prova (Cass., sez. VI, sent. n. 3268/10). Come nel caso in cui si copi di sana pianta una sentenza di un qualsiasi tribunale o corte.
Le norme della legge n. 475/1925 sono speciali rispetto alle disposizioni del codice penale relative alle ipotesi di falso ideologico (ex art. 495) per induzione attinenti alla formazione dei successivi atti pubblici, posto che i delitti in questione prevedono, come ipotesi aggravata, che l’aspirante consegua l’intento del superamento dell’esame o del concorso. Le stesse esauriscono, pertanto, la risposta sanzionatoria per chi abbia presentato (o procurato) lavori non propri in sede di esame, superando, così, la prova (Cass., sez. V, sent. 2739/2017).
2. La contestazione del concorso nel reato di tentato abuso di ufficio
Di recente la Corte di Cassazione ha confermato la condanna del giudice di primo grado nei confronti di un aspirante legale che aveva tentato di copiare all'esame di abilitazione professionale.
In tale occasione è stato chiarito che concorre nel reato di tentato abuso di ufficio a titolo di “estraneo” chi pone in essere atti idonei, diretti in modo non equivoco, a procurare a sé stessi un ingiusto vantaggio patrimoniale consistente nel superamento dell’esame di abilitazione alla professione di avvocato.
A nulla valendo che la mancata riuscita dell'intento sia imputabile a cause indipendenti dalla propria volontà., dovute al mancato superamento dell'esame (Cass., sez. VI, sent. n. 10567/2018).
3. Il soggetto che “aiuta” il candidato a copiare
Il soggetto che aiuta il candidato a copiare durante un concorso pubblico non è esente da responsabilità penali. Sia nel caso in cui procuri il materiale che in quello in cui rivestendo il ruolo di membro della commissione esaminatrice ometta di adottare i provvedimenti necessari pur avendo scoperto il “furbetto” durante la prova ex artt. 40 e, alternativamente, 110 o 117 c.p.
Se invece il commissario si accorge della copia durante la correzione dell'elaborato e omette la denuncia potrà essere perseguito per abuso di ufficio ex art. 323 c.p.
Se infine il commissario durante la correzione del compito si accorge della copia e per tale motivo proceda a bocciare il candidato disonesto ma ometta volontariamente di denunciare l'accaduto potrebbe rispondere delitto di omessa denuncia di reato da parte di pubblico ufficiale ex art. 361 c.p.
Nel caso in cui si attesti il superamento di esame mai sostenuti, come ad esempio quando il verbale di laurea è formato sulla base di documenti concernenti esami di profitto mai sostenuti, allora il reato configurabile è quello di cui all'art. 495 c.p. (Cass., sez. VI, sent. n. 37240/2014).
Vincenza Luciano
Fonti normative
Codice penale: artt. 323, 361, 495.
Legge 475/1925
Giurisprudenza: Cass., sez. VI, sent. n. 3268/10; Cass. sent. n. 18826/2011; Cass., sez. VI, sent. n. 37240/2014; Cass., sez. V, sent. 2739/2017; Cass., sez. VI, sent. n. 10567/2018).
Esami e concorsi: che reato commette chi si fa aiutare? Annamaria Zarrelli il 12 Marzo 2018
Cosa rischia e che reato commette chi, per superare un concorso, si fa passare le tracce o si fa aiutare dai commissari d’esame?
Inutile nascondersi dietro a un dito o “affossare” la testa sotto la sabbia: le raccomandazioni esistono e sono sempre esistite; così come esistono buste e “bustarelle”, la compravendita di esami all’università, trucchi “magici” e molto costosi per riuscire a superare un concorso pubblico. Ora se è vero che l’onestà non sempre paga è pur vero che avere la coscienza a posto non ha prezzo. Non è detto, invece, che chi usi questi mezzi disonesti e queste scorciatoie che lasciano il tempo che trovano, la passi sempre liscia. La domanda allora sorge spontanea: cosa rischia chi si fa aiutare per passare un concorso pubblico? Che reato commette chi si fa “passare” le prove d’esame dai commissari, che dovrebbero invece garantire l’ordine e la trasparenza nell’espletamento delle prove e dei concorsi pubblici? Ebbene, a rispondere a questa domanda è stata la Corte di Cassazione con una recentissima sentenza [1]. Vediamo allora cos’ha affermato la Suprema Corte in proposito e cosa rischia chi fa il disonesto per superare un concorso. Prima però esaminiamo la vicenda specifica.
Indice
Esami di stato: cosa rischia chi fa il disonesto
Esami, concorsi truccati e abuso d’ufficio
Esami e concorsi: che reato commette chi si fa aiutare?
Esami di stato: cosa rischia chi fa il disonesto
Nel caso al vaglio della Suprema Corte veniva in rilievo la vicenda di un’aspirante avvocatessa, che per superare l’esame di abilitazione ha pensato bene di ricorrere all’”aiutino” di una cancelliera del Tribunale di sorveglianza che, nello specifico, doveva vigilare sul corretto svolgimento della prova e dalla sorella di quest’ultima. Tutto ciò che avrebbe dovuto fare la candidata, dunque, era prendere parte all’esame d’avvocato e recarsi alla toilette nel momento giusto, atteso che i compiti le sarebbero stati consegnati (già svolti ovviamente) nei bagni della sede in cui si teneva la prova.
Non tutte le ciambelle, però, escono col buco. Ed infatti, ad incastrare i poco onesti personaggi della vicenda sono state le intercettazioni delle telefonate tra la cancelliera-vigilante e l’aspirante legale. Fatica e sforzi peraltro sprecati, visto che – ironia della sorte – la candidata non ha nemmeno superato l’esame. L’unica cosa, quindi, che i personaggi della vicenda appena narrata hanno guadagnato è stato un bel processo penale. Ma con quale accusa? Che reato commette chi, per superare un concorso, si fa passare le tracce o si fa aiutare dai commissari d’esame? Ecco le risposte.
Esami, concorsi truccati e abuso d’ufficio
Per comprendere che reato commette chi si fa aiutare per superare un concorso pubblico, dobbiamo prima capire che reato commette chi lo aiuta. Ebbene, se il soggetto che aiuta il candidato è un commissario d’esame o comunque un soggetto che dovrebbe assicurare l’ordine e la trasparenza nello svolgimento delle prove, il reato che viene in rilievo è quello di abuso di ufficio [2]. L’abuso d’ufficio si verifica quando il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio (vale a dire, nel caso di specie, il commissario d’esame o chi, a diverso titolo, deve vigilare sul buon andamento del concorso), nello svolgimento delle funzioni o del servizio, intenzionalmente procura a sé o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale (consistente, nel caso che ci riguarda, nel superamento dell’esame di abilitazione).
Come visto, l’abuso d’ufficio non è un reato che può essere commesso da chiunque (i penalisti direbbero che si tratta – tecnicamente – di un reato proprio) atteso che può essere commesso solo dal pubblico ufficiale o dall’incaricato di pubblico servizio.
Ma allora che reato commette il soggetto che si fa aiutare?
Esami e concorsi: che reato commette chi si fa aiutare?
Il reato è sempre lo stesso: abuso d’ufficio. Solo che chi si fa aiutare ne risponde a titolo di concorso (tecnicamente, in proposito, si parla di concorso esterno dell’estraneo nel reato proprio). Se, come nel caso di specie, il risultato sperato (il superamento dell’esame) non si realizza il reato non viene meno, ma si parlerà di tentativo. Ed infatti, la Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza in commento, ha condannato la candidata disonesta per il reato di concorso, quale estranea, nelle condotte di tentato abuso d’ufficio commesse dai pubblici ufficiali, che avevano posto in essere atti idonei diretti in modo non equivoco a procurare all’aspirante legale un ingiusto vantaggio patrimoniale, consistente nel superamento dell’esame di abilitazione alla professione di avvocato, non riuscendo nell’intento per cause indipendenti dalla sua volontà e dovute al mancato superamento dell’esame stesso.
Abuso di ufficio, tentativo, esame di avvocato, tracce scritte, pubblico ufficiale, elaborato tratto da internet
Cassazione penale, sez. VI, Sentenza 08/03/2018 n° 10567
Risponde di concorso nel reato di tentato abuso di ufficio di cui all'articolo 323 c.p. l'aspirante legale che si fa passare le tracce scritte per l'esame di abilitazione professionale grazie all'aiuto di pubblici ufficiali.
Sentenza 08/03/2018, n. 10567
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CARCANO Domenico - Presidente -
Dott. TRONCI Andrea - Consigliere -
Dott. GIORDANO Emilia Anna - Consigliere -
Dott. BASSI Alessandra - Consigliere -
Dott. D’ARCANGELO Fabrizio - rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
N.A., nata a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 20/04/2015 della Corte di appello dell'Aquila;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. Fabrizio D'Arcangelo;
udito il Pubblico Ministero, in persona Sostituto Procuratore generale Dr. Canevelli Paolo, che ha concluso chiedendo l'annullamento con rinvio;
udito il difensore del ricorrente, avv. Emilio Bafile, che ha chiesto l'accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con la sentenza impugnata la Corte di Appello dell'Aquila, in parziale riforma della sentenza emessa in data 22 maggio 2013 dal Giudice dell'Udienza Preliminare del Tribunale dell'Aquila ed appellata dalla imputata N.A., ha rideterminato in sei mesi di reclusione, condizionalmente sospesa, la pena irrogata nei confronti della stessa, confermando, nel resto la sentenza di primo grado.
2. N.A. è imputata dei delitti di cui all'art. 110 c.p., art. 81 c.p., comma 2, artt. 56 e 323, anche in riferimento alla L. 19 aprile 1925, n. 475, art. 1, contestati ai capi b), d) ed f), per aver, in esecuzione di un medesimo disegno criminoso, concorso quale extraneus alle condotte di tentato abuso di ufficio rispettivamente poste in essere dai pubblici ufficiali O.L., D.B.P. e O.P. (rispettivamente contestate ai capi a), c) e d), che avevano posto in essere e atti inidonei, diretti in modo non equivoco, a procurare alla N. un ingiusto vantaggio patrimoniale consistente nel superamento dell'esame di abilitazione alla professione di avvocato, non riuscendo nell'intento per cause indipendenti dalla propria volontà, dovute al mancato superamento dell'esame.
Le condotte abusive dei predetti pubblici ufficiali sarebbero, infatti, state finalizzate sinergicamente a consentire alla imputata, nell'espletamento delle prove scritte dell'esame all'abilitazione alla professione di avvocato, tenutosi a (OMISSIS) nei giorni (OMISSIS), di presentare come proprio un elaborato che invece era opera di altri.
In particolare, secondo l'imputazione, la N., avvalendosi dei consigli di O.L., cancelliere presso il Tribunale di Sorveglianza dell'Aquila ed addetta alla vigilanza per l'espletamento delle prove scritte per l'esame di abilitazione all'avvocatura svolte a (OMISSIS) in data (OMISSIS), aveva ricevuto dalla stessa un elaborato tratto da siti internet in cui, nella immediatezza della pubblicazione, era commentata la traccia, preparato da D.B.P. e O.P. (capo a).
D.B.P., inoltre, in qualità di funzionario del Ministero di Giustizia in servizio presso l'Ufficio Informatico della Corte di appello dell'Aquila, abusando del proprio ufficio, aveva reperito, utilizzando le risorse informatiche del proprio ufficio, navigando in Internet, le tracce d'esame, inviandole a O.P. (capo c).
Da ultimo, O.P., avvocato funzionario della (OMISSIS) in servizio presso l'ufficio legislazione (OMISSIS), aveva confezionato l'elaborato di seguito consegnato dalla sorella L. perchè venisse consegnato alla candidata N. (capo e).
3. L'avv. Emilio Bafile, nell'interesse della N., ricorre per cassazione avverso la predetta sentenza e ne chiede l'annullamento, deducendo quattro motivi e, segnatamente:
- la inosservanza o la erronea applicazione dell'art. 11 c.p.p., comma 3, in quanto la Corte di Appello, nel rigettare la eccezione di incompetenza territoriale già sollevata innanzi al Giudice dell'udienza preliminare, avrebbe dovuto individuare il Tribunale competente a conoscere della regiudicanda in quello di Campobasso, essendo parti lese delle condotte di reato poste in essere da O.L. una pluralità di magistrati appartenenti al distretto dell'Aquila;
- la inosservanza dell'art. 270 c.p.p., atteso che le intercettazioni disposte sulla utenza telefonica di O.L. erano state utilizzate come prova in procedimento diverso da quello per cui erano state disposte e, segnatamente, nei confronti della N.;
- la inosservanza dell'art. 416 c.p.p., comma 2, non essendo stata trasmessa la Relazione Integrativa della Guardia di Finanza del 28 maggio 2012, che, costituendo atto di indagine, avrebbe dovuto essere esaminata dal giudice dell'udienza preliminare in sede di decisione del rito abbreviato;
- la violazione o la erronea applicazione dell'art. 56 c.p., comma 3 e dell'art. 530 c.p.p..
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso deve essere rigettato in quanto infondato.
2. Con il primo motivo la ricorrente deduce la inosservanza dell'art. 11 c.p.p., comma 3, in quanto la Corte di Appello, nel rigettare la eccezione di incompetenza territoriale già sollevata innanzi al Giudice dell'udienza preliminare, avrebbe dovuto individuare il Tribunale competente a conoscere della regiudicanda in quello di Campobasso, essendo danneggiata dalle condotte di reato poste in essere da O.L. una pluralità di magistrati appartenenti al distretto dell'Aquila.
Dalla mera lettura dei capi di imputazione emergeva, peraltro, che i medesimi, per quanto posto in essere a loro discredito ed a danno dell'Ufficio, erano legittimati a costituirsi parte civile.
3. Tale doglianza si rivela infondata e, pertanto, deve essere disattesa.
La speciale competenza stabilita dall'art. 11 c.p.p., che ha natura funzionale, e non semplicemente territoriale, con conseguente rilevabilità, anche di ufficio, del relativo vizio in ogni stato e grado del procedimento (Sez. U, n. 292 del 15/12/2004, Scabbia, Rv. 229633), opera esclusivamente per i procedimenti in cui un magistrato assume la qualità di indagato, di imputato ovvero di persona offesa o danneggiata dal reato ed, ai sensi del comma 3 della medesima disposizione, nei procedimenti connessi.
La Corte di Appello dell'Aquila, a pagina 7 della sentenza impugnata, ha correttamente escluso la sussistenza dei presupposti per la applicazione dell'art. 11 c.p.p., comma 3, rilevando che "in relazione al reato di falso per induzione di cui al capo s) ascritto a O.L., D.S.F. e D.S.R. in concorso tra loro e di rivelazione di segreto di ufficio di cui al capo t) ascritto alla sola O.L., i magistrati indicati nel capo di imputazione quali pubblici ufficiali che, per effetto delle condotte di induzione in errore contestate come poste in essere dalla O. in concerto con i due coimputati, avrebbero emesso dei provvedimenti giudiziali sulla base di falsi presupposti non possono, ad avviso della Corte, assolutamente essere definiti come persone offese o danneggiate dal reato, nel senso tecnico inteso dalla norma penale di cui all'art. 11 c.p.p., essendo detti magistrati, semmai, solo lo strumento inconsapevole attraverso il quale sarebbe stato leso il bene rappresentato dalla tutela della fede pubblica (capo s) e del buon funzionamento della pubblica amministrazione (capo t). Non rivestendo, pertanto, i magistrati contemplati nell'imputazione di cui al capo s) la qualità di persone offese o di danneggiate dal reato, viene meno ogni e qualsiasi possibilità, in ogni caso, di applicare alla presente fattispecie il disposto di cui all'art. 11 c.p.p., comma 1 e 3".
Come ha correttamente rilevato la Corte di appello, nella specie i magistrati tratti in inganno non erano nè le persone offese dei delitti di rivelazione di segreto di ufficio commessi, in quanto non erano i titolari del bene-interesse leso, e neppure i danneggiati dal reato.
Nella sintassi del codice penale, infatti, il soggetto che commette il reato perchè determinato dall'altrui inganno ai sensi dell'art. 48 c.p. appartiene, pur sempre, ancorchè sia non punibile, al novero degli autori del reato e, pertanto, non può essere, al contempo, considerato danneggiato da una condotta posta in essere da sè medesimo.
4. Con il secondo motivo la ricorrente lamenta la inosservanza dell'art. 270 c.p.p., atteso che le intercettazioni telefoniche erano state utilizzate come prova nel procedimento penale pendente nei confronti della N., diverso da quello per cui erano state originariamente disposte.
Entrambi i giudici di merito avevano, infatti, ritenuto utilizzabili nei confronti della N. le intercettazioni telefoniche disposte nei confronti di O.L., rilevando come le stesse fossero state eseguite nel contesto del medesimo procedimento, ma avevano obliterato il contenuto precettivo dell'art. 270 c.p.p., comma 1.
Le intercettazioni erano, infatti, state autorizzate nell'ambito del procedimento n. 2608/10 R.G.N.R. dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Avezzano, al fine di accertare ipotesi di reato relative ad atti falsi confezionati in favore di noti pregiudicati abruzzesi, abuso di ufficio e rivelazione di segreto di ufficio posti in essere da L. O., D.S.R. e F..
La N. era, pertanto, certamente estranea rispetto alle vicende di rivelazione di segreto di ufficio addebitate a O.L..
Inoltre, atteso che le condotte poste in essere nel corso dell'esame di avvocato non erano soggettivamente o oggettivamente connesse o collegate con quelle di rivelazione di segreto di ufficio, essendo due vicende autonome ed irrelate, difettavano i presupposti per la operatività dell'art. 270 c.p.p., non essendo contemplato l'arresto obbligatorio in flagranza per il delitto di abuso di ufficio.
Il decreto autorizzativo adottato in relazione alla O., peraltro difettava dei presupposti di cui all'art. 267 c.p.p., mancando la motivazione come evidenziato con la memoria depositata in data 15 novembre 2012.
5. Anche tale doglianza si rivela infondata.
La Corte di Appello ha correttamente ritenuto utilizzabili nei confronti della N. le intercettazioni eseguite sulla utenza telefonica della O. in quanto le stesse erano state poste in essere nello stesso procedimento, "anche in termini di genesi delle relative indagini".
Nel caso di specie, infatti, risulta che le intercettazioni relative alle ipotesi di tentato abuso di ufficio siano state eseguite nell'ambito del medesimo procedimento nel corso del quale erano state autorizzate le captazioni nei confronti di O.L. (e, segnatamente, nel procedimento n. 2608/10 R.G.N.R. dal quale era sorto di seguito, per stralcio, quello n. 378/11 R.G.N.R.).
Secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, dal quale non vi è ragione per discostarsi, i risultati delle intercettazioni telefoniche legittimamente acquisiti nell'ambito di un procedimento penale inizialmente unitario sono utilizzabili anche nel caso in cui il procedimento sia successivamente frazionato a causa della eterogeneità delle ipotesi di reato e dei soggetti indagati, atteso che, in tal caso, non trova applicazione l'art. 270 c.p.p. che postula l'esistenza di procedimenti ab origine tra loro distinti (Sez. 6, n. 21740 dell'01/3/2016, Masciotta, Rv. 266921; Sez. 6, n. 6702 del 16/12/2014, dep. 2015, La Volla, Rv. 262496; Sez. 6, n. 27820 del 17/06/2015, Morena, Rv. 264087; Sez. 6, n. 41317 del 15/07/2015, Rosatelli, Rv. 265004; in motivazione, inoltre, v. Sez. 2, n. 1924 del 18/12/2015, dep. 2016, Roberti, Rv. 265989, nonchè Sez. 6, n. 8934 del 10/12/2014, dep. 27/02/2015, Franzosi, Rv. 262648).
L'applicabilità dell'art. 270 c.p.p. non può, pertanto, essere invocata ove, nel corso di intercettazioni legittimamente autorizzate, emergano elementi di prova relativi ad altro reato, pur totalmente svincolato da quello per il quale l'autorizzazione è stata debitamente rilasciata (v., in motivazione, Sez. 6, n. 50261 del 25/11/2015, M., Rv. 265757).
La lettera stessa degli artt. 266 e 270 c.p.p., non solo non presenta indicazioni opposte o incompatibili, ma anzi fornisce almeno due indicazioni con essa coerenti.
In primo luogo, infatti, l'art. 266 c.p.p. non esclude espressamente l'utilizzabilità delle intercettazioni nell'ipotesi del concorso di reati nel medesimo procedimento e ciò, pur essendo l'ipotesi di concorso di reati fenomeno del procedimento del tutto usuale e frequente. La locuzione "nei procedimenti relativi ai seguenti reati" deve, pertanto, per esigenze di intrinseca coerenza sistematica, essere interpretata nel senso della sufficienza della presenza di uno dei reati di cui all'art. 266 c.p.p. all'interno del procedimento, mentre, sarebbe paradossale dover invece pervenire alla conclusione che l'art. 266 c.p.p. disciplini solo i casi in cui il singolo procedimento tratta uno solo, o più, dei reati che espressamente indica.
D'altro lato, l'art. 270 c.p.p., nell'individuare i parametri per legittimare l'utilizzazione dei risultati delle intercettazioni in altri procedimenti, non richiama l'elencazione tassativa dell'art. 266, ma fa riferimento al diverso requisito della indispensabilità per l'accertamento di delitti per i quali è obbligatorio l'arresto in flagranza.
Pertanto, sia la lettera che il contesto sistematico in cui si collocano gli artt. 266 e 270 c.p.p. dimostrano che il legislatore si è posto il problema della utilizzazione dei risultati di intercettazioni legittimamente disposte per uno dei reati indicati nell'art. 266 c.p.p., trattando esplicitamente solo il caso dell'utilizzazione extra-procedimentale e, tuttavia, riconoscendo in quel caso la possibilità di utilizzazione secondo parametri diversi da quelli indicati nell'art. 266 c.p.p..
Inammissibile in quanto aspecifica si rivela, da ultimo, la censura rivolta avverso la asserita carenza di motivazione di cui all'art. 267 c.p.p. dei decreti autorizzatori delle intercettazioni delle utenze di O.L., in quanto il ricorrente, limitandosi a richiamare una propria memoria depositata in una distinta fase processuale, non si è confrontato con il testo della decisione impugnata, contestandola specificamente, e non ha chiarito in termini autonomi il significato dei propri rilievi critici in relazione alle cadenze ed al sindacato proprio del giudizio di cassazione.
6. Con il terzo motivo la ricorrente si duole della violazione dell'art. 416 c.p.p., comma 2, non essendo stata trasmessa la Relazione integrativa della Guardia di Finanza, Nucleo Polizia Tributaria L'Aquila, Gruppo Tutela Economica, depositata in data 28 maggio 2012, che, costituendo atto di indagine, avrebbe dovuto essere esaminata dal giudice dell'udienza preliminare in sede di decisione del rito abbreviato.
L'art. 416 c.p.p. fonda una presunzione di trasmissione di ogni atto presente nel fascicolo del Pubblico Ministero, atteso che il medesimo, ai sensi del secondo comma della medesima disposizione, ha l'obbligo di trasmettere al giudice dell'udienza preliminare l'intera documentazione raccolta nel corso delle indagini.
La ingiustificata pretermissione di tale atto, secondo la ricorrente, aveva, pertanto, influito in modo determinante sull'esito del giudizio e, segnatamente, aveva impedito al giudice dell'udienza preliminare di comprendere che la imputata non aveva postato alcuna traccia di esame su internet. Solo per un equivoco, pertanto, il messaggio partito da tale " A." era stato attribuito originariamente alla N..
Pur essendo tale annotazione stata acquisita dalla Corte di Appello, era, pertanto, necessario nuovamente celebrare il primo grado di giudizio, pregiudicato nell'esito a causa di tale omissione.
7. Anche tale censura deve essere disattesa in quanto infondata.
Non è configurabile la inosservanza da parte del Pubblico Ministero dell'obbligo di cui all'art. 416 c.p.p., comma 2, di depositare, con la richiesta di rinvio a giudizio, tutta la documentazione relativa alle indagini espletate, allorchè, pur difettando l'immediata disponibilità di parte del materiale probatorio, esso risulti, in base gli atti, trasmesso sicchè la difesa è in condizione di chiederne l'acquisizione al fine di prenderne visione ed estrarne copia (ex plurimis: Sez. 2, n. 6950 del 12/03/1998, D'Auria, Rv. 211102).
La Corte di Appello dell'Aquila ha, peraltro, acquisito, nel contraddittorio delle parti, la predetta relazione di indagine alla udienza del 19 febbraio 2015 ed ha rilevato, non certo illogicamente, come non potesse annettersi alla stessa il significato decisivo attribuito dalla difesa.
La circostanza che non vi fosse prova che la " A." che aveva postato un messaggio sul forum dedicato in Internet all'esame di avvocato alle ore 10.42 del 14 dicembre 2010 fosse stata la imputata, non era rilevante ai fini della definizione della posizione della N..
La responsabilità penale della imputata è, infatti, stata congruamente dimostrata dalla valutazione sinergica delle intercettazioni telefoniche intercorse tra i coimputati nei giorni delle prove di esame, dall'esito della acquisizione delle mail scambiate tra le O. ed il D.B. nel corso delle predette prove e dalla attività di pedinamento di L. O. posta in essere dalla Polizia Giudiziaria in tali giorni.
Dall'esame di tale complessivo compendio probatorio era emerso come la N. avesse goduto della assistenza dei coimputati nella redazione delle tracce d'esame.
8. Con il quarto motivo, la ricorrente lamenta la inosservanza o la erronea applicazione dell'art. 56 c.p., comma 3, e dell'art. 530 c.p.p..
La imputata, infatti, non aveva ricevuto dall'esterno gli elaborati della prova di esame ed aveva consegnato compiti genuini; non aveva, inoltre, introdotto alcun cellulare all'interno dell'aula di svolgimento della prova di esame.
La conoscenza della N. con O.L. era stata puramente casuale, l'imputata nei giorni di esame aveva fatto a meno del cellulare e non aveva postato le tracce di esame, come chiarito dalla predetta annotazione della Guardia di Finanza.
L'imputata, peraltro, aveva riportato una votazione più alta (28 rispetto ai voti delle residue prove 21 e 22) proprio il terzo giorno nel quale era stato alla O. inibito l'ingresso ai locali ove si svolgeva la prova di esame.
Errata era, inoltre, la valutazione effettuata dal Giudice dell'Udienza Preliminare in ordine alla corrispondenza degli elaborati della imputata con le mail inviate dal D.B. alle sorelle O..
La circostanza che la N., nei giorni precedenti le prove di esame, avesse conversato con la O. circa le possibili modalità di comunicazione con l'esterno durante le prove era, inoltre, inidonea a fondare un giudizio di colpevolezza, neppure in termini di tentativo punibile.
La imputata doveva, pertanto, essere assolta e, comunque, atteso che dalle intercettazioni, pur inutilizzabili, era emerso che la N., durante le prove, aveva il cellulare spento, la condotta doveva, al più, essere qualificata ai sensi dell'art. 56 c.p., comma 3, venendo in rilievo una ipotesi di desistenza volontaria nella quale l'agente aveva abbandonato l'azione criminosa prima che questa fosse portata a compimento. La presunzione di avvenuta consegna dei compiti alla N. era, infatti, priva di oggettivi riscontri.
9. Il motivo si rivela inammissibile in quanto si risolve nella sollecitazione a pervenire, attraverso una incursione del merito della presente regiudicanda, ad una diversa, e più favorevole lettura, delle risultanze probatorie poste a fondamento della sentenza impugnata.
Nella sentenza impugnata si rileva, peraltro, congruamente che non vi fu alcuna desistenza volontaria da parte della N..
La Corte di Appello, infatti, con motivazione tutt'altro che illogica, ha ritenuto irrilevante la circostanza valorizzata dalla difesa relativa al mancato utilizzo da parte della N. del telefono cellulare, pur abusivamente portato all'interno dei locali ove venivano svolte le prove di esame, in quanto il "previo ed organizzato accordo di assistenza, ad ampio spettro" tra la N. e O.L., contemplava il ricorso al cellulare solo quale ipotesi residuale.
Per quanto accertato dalle sentenze di merito, infatti, la consegna dell'elaborato confezionato da O.P. alla N. era avvenuta nel bagno dei locali destinati alle prova da parte di O.L..
Nel giudizio di cassazione sono, peraltro, precluse al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, Musso, Rv. 265482).
10. Alla stregua di tali rilievi, pertanto, il ricorso deve essere disatteso e la ricorrente deve essere condannata, ai sensi dell'art. 616 c.p.p., al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 29 novembre 2017.
Depositato in Cancelleria, il 8 marzo 2018.
Candidato che trucca il concorso: quali conseguenze? Da lentepubblica.it 28 Dicembre 2022
Se il candidato trucca il concorso quali sono le conseguenze? Vediamo insieme le ipotesi possibili e cosa prevede la legge.
Concorso truccato: i concorsi pubblici, sia per la Pubblica Amministrazione che per il privato, rimangono una notevole opportunità di lavoro.
Per poter partecipare, occorre studiare e prepararsi molto, ma a volte possono esserci delle ingiustizie, a causa di un concorso truccato.
Ma cosa si rischia in questi casi?
Vediamolo insieme.
Concorso truccato: come denunciare le irregolarità
Le procedure concorsuali, così come le prove d’esame, sono spesso controllate da enti esterni. Le commissioni vengono nominate secondo regole ben precise e le prove sono corrette da sistemi informatici.
Nonostante ciò, può accadere che ci siano delle irregolarità durante la procedura. Cosa fare, quindi, in questi casi?
Se, durante la procedura concorsuale, non sono state rispettate le regole di perfetta imparzialità o si è a conoscenza di motivi fondati che il concorso sia stato truccato, il candidato potrà rivolgersi ad un avvocato esperto in materia, il quale presenterà un ricorso al Tar competente.
I giudici amministrativi dovranno decidere circa l’ammissibilità del ricorso e valutare la riammissione del candidato nelle fasi successive del concorso.
L’accesso agli atti deve essere sempre garantito.
Candidato che trucca il concorso: commette un reato in prima persona?
Secondo la legge, in caso di raccomandazione o corruzione, i candidati che ne beneficiano non commettono reato in prima persona.
La responsabilità, infatti, è dei pubblici ufficiali o degli incaricati di pubblico servizio, che dovranno rispondere alle irregolarità commesse.
Nel 2019, la Cassazione si è pronunciata rispetto ad alcuni concorsi truccati, nell’ambito della sanità, con la sentenza 14380/2019.
Nella sentenza, è stato stabilito che il cittadino privato può essere punito per un concorso, solo quando istiga o rafforza il convincimento dei pubblici ufficiali a commettere abuso di ufficio e/o rivelazione di segreti d’ufficio (come le prove d’esame).
Poiché alcuni reati, come l’abuso d’ufficio, possono essere commessi solo da alcuni soggetti, diminuisce la responsabilità dei candidati, che possono, però, essere puniti con altre sanzioni, come l’esclusione dai concorsi futuri.
Ma il candidato può anche rispondere di reati e illeciti diversi, rispetto al pubblico ufficiale, come la violazione della pubblica fede (in caso di copiature) e falsa attestazione (se si dichiara lo svolgimento di una prova mai effettuata).
Penale Sent. Sez. 5 Num. 14380 Anno 2019
Presidente: MORELLI FRANCESCA
Relatore: CALASELICE BARBARA
Data Udienza: 20/12/2018
Corte di Cassazione - copia non ufficiale
RITENUTO IN FATTO
1. Con l'ordinanza impugnata il Tribunale di Potenza, in funzione di riesame, ha confermato il provvedimento del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Matera del 3 luglio 2018, con il quale è stata applicata, nei confronti di Alessandra D'Anzieri, la misura cautelare degli arresti domiciliari per i reati di cui agli artt. 110, 323 e 326, comma 3, cod. pen. di cui ai capi 1 e 2 dell'incolpazione provvisoria. La tesi di accusa, recepita nelle ordinanze cautelari, è nel senso che la D'Anzieri, quale concorrente nella prova per titoli ed esami per la copertura di un posto come dirigente amministrativo presso l'AS di Matera, tramite l'intercessione in suo favore del Direttore generale dell'Azienda sanitaria di Potenza, Bochicchio, presso Pietro Quinto, Direttore generale Azienda Sanitaria di Matera (indicato come "fedelissimo" del Presidente della Regione Basilicata, Pittella) nonché, tramite il Quinto, presso il Presidente della Commissione esaminatrice - Maria Benedetto - avrebbe ottenuto illegittimamente in anticipo le tracce dei temi per la prova pratica e, comunque, l'attribuzione del secondo posto, così da fruire del cd. scorrimento regionale, onde poter ottenere un posto presso altra Azienda Sanitaria Locale, determinando per la candidata un vantaggio patrimoniale ingiusto, rappresentato dall'assunzione con la qualifica dirigenziale. 2. Avverso l'ordinanza citata ha proposto ricorso per cassazione l'indagata, tramite il difensore di fiducia, denunciando inosservanza ed erronea applicazione degli artt. 110, 323 e 326, comma 3, cod. pen., nonché vizio di motivazione. 2.1. Sotto il primo aspetto si deduce che non sussistono indizi gravi in ordine al concorso, quale concorrente esterno, nel reato di abuso di ufficio e di utilizzazione di segreto di ufficio. Pur volendo prescindere dalla ricostruzione degli indizi operata dal Tribunale e dal Giudice per le indagini preliminari (secondo la quale risulterebbe dalle conversazioni captate in ambientale e telefoniche, che la D'Anzieri, come il primo classificato Fruscio, avrebbero fruito, tramite il Quinto, della sponsorizzazione per il concorso in questione, con il placet del Governatore della Regione Basilicata Pittella), diversamente da quanto sostenuto nell'ordinanza impugnata, secondo la ricorrente, non è configurabile il concorso del mero beneficiario nel reato di abuso di ufficio. 2 Corte di Cassazione - copia non ufficiale Trattandosi di reato proprio, il beneficiario può concorrere solo se ha posto in essere una condotta di partecipazione, morale o materiale, con l'autore del reato. Tale concorso non si ravvisa nell'aver raggiunto una certa posizione nella graduatoria o nell'aver conosciuto, in anticipo, l'oggetto della prova, in assenza di condotta istigatrice o di rafforzamento del proposito criminoso, o, ancora di una condotta di agevolazione di una fase dell'iter criminis. 2.1.1. Il ricorso richiama giurisprudenza di questa Corte che delinea la condotta del concorrente privato, a titolo di concorso nel reato di cui all'art. 323 cod. pen., sotto il profilo dell'intesa, delle pressioni dirette a sollecitare e ad influenzare il pubblico ufficiale per il compimento dell'atto illegittimo, tali da averlo determinato alla condotta o da averne rafforzato il proposito. Né si può ritenere, secondo la ricorrente, che il reato di cui all'art. 323 cod. pen. abbia natura necessariamente plurisoggettiva, ribadendo che, comunque, non si rinviene alcuna motivazione sulla condotta materiale ascrivibile alla D'Anzieri. 2.1.2. Quanto al reato di cui all'art. 326 cod. pen., il provvedimento, per la ricorrente, sarebbe privo della indicazione degli elementi da cui possa ricavarsi il concorso, mancando la descrizione dell'iniziativa dalla stessa assunta, o di rapporti diretti con i membri della Commissione da parte della candidata ritenuta sponsorizzata. 2.2. Sotto il secondo aspetto il provvedimento impugnato, secondo la ricorrente, è privo di motivazione o, comunque, presenta motivazione apparente, quanto all'indicazione della condotta istigatrice tenuta dalla D'Anzieri, nonché circa la descrizione del contributo causale offerto, in concreto, rispetto al reato commesso dai pubblici ufficiali, omettendo, peraltro, di spiegare i rapporti tra la D'Anzieri e il Bochicchio. Ciò anche considerando il contenuto della ordinanza genetica, secondo il ricorso priva, a sua volta, di autonoma valutazione riprendendo, sul punto, il contenuto della richiesta, con la tecnica del cd. copia e incolla. Infine si censura l'omessa valutazione specifica degli argomenti, devoluti in sede di riesame, anche con memoria difensiva prodotta in quella sede.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è fondato per quanto di ragione, sicchè l'ordinanza impugnata va annullata con rinvio al Tribunale di Potenza per nuovo esame. 3 Corte di Cassazione - copia non ufficiale 2. Si osserva, in via generale, che va condiviso l'approdo interpretativo al quale è giunta la costante giurisprudenza di questa Corte di legittimità, che ha evidenziato come, in materia di provvedimenti de libertate, il sindacato del giudice di legittimità non possa estendersi alla revisione degli elementi materiali e fattuali delle vicende indagate, ivi compreso lo spessore degli indizi, né alla rivalutazione delle condizioni soggettive dell'indagato, in relazione alle esigenze cautelari e all'adeguatezza delle misure. Si tratta di apprezzamenti di merito, rientranti nel compito esclusivo e insindacabile del giudice che ha applicato la misura e del Tribunale con funzione di riesame. La motivazione del provvedimento che dispone una misura coercitiva è, dunque, censurabile solo quando sia priva dei requisiti minimi di coerenza, completezza e logicità al punto da risultare meramente apparente o assolutamente inidonea a rendere comprensibile la logica seguita dal giudice di merito o talmente priva di coordinazione e carente dei necessari passaggi logici, da far risultare incomprensibili le ragioni che hanno giustificato l'applicazione della misura. E', pertanto, rilevabile in cassazione soltanto la violazione di specifiche norme di legge, la mancanza assoluta o la manifesta illogicità della motivazione, risultante dal testo del provvedimento impugnato. Il controllo di legittimità, in particolare, non può riguardare ne' la ricostruzione di fatti, ne' l'apprezzamento del giudice di merito circa l'attendibilità delle fonti e la rilevanza e concludenza dei dati probatori, per cui non sono consentite censure che, pur investendo formalmente la motivazione, si risolvano nella prospettazione di una diversa valutazione di circostanze, già esaminate dal giudice dì merito (Sez. 6, n. 49153 del 12/11/2015, Mascolo, Rv. 265244 - 01, di cui si riprendono le argomentazioni; Sez. F, n. 47748 del 11/08/2014, Contarini, Rv. 261400 - 01 Sez. 1, n. 6972, del 7/12/1999 - dep. 2000, Alberti, Rv. 215331 - 01; Sez. 1, n. 1769 del 23/03/1995, Ciraolo, Rv. 201177). L'adesione a tale indirizzo comporta che, nella materia in esame, qualora venga impugnato dall'indagato con ricorso per cassazione, il provvedimento del Tribunale con funzione di riesame che abbia, quale contenuto decisionale, la conferma di un'ordinanza cautelare, è improponibile ogni questione che sconfini nella verifica degli indizi di colpevolezza o delle esigenze cautelari che abbiano legittimato, ex art. 273, comma 1, e art. 274 cod. proc. pen., l'adozione della misura, travalicando i limiti del sindacato consentito sulla motivazione della decisione impugnata. Quindi questa Corte non può sostituirsi a valutazioni, rimesse al Tribunale, ma solo verificare l'adeguatezza della motivazione in rapporto alle deduzioni 4 Corte di Cassazione - copia non ufficiale difensive e alle acquisizioni probatorie, nonché la sua intrinseca logicità, coerenza oltre che l'assenza di violazioni di legge. 3. Ciò premesso quanto ai limiti del sindacato di questa Corte, si osserva che deve essere accolto il motivo di ricorso che deduce l'assenza assoluta di motivazione circa la gravità indiziaria in relazione ad entrambi i reati contestati nell'incolpazione provvisoria. 3.1. E' appena il caso di rilevare che non si ravvisa la dedotta inosservanza dell'art. 292, comma 1, lett. c) cod. proc. pen., tenuto conto che la critica posta non è dotata del necessario requisito di specificità che deve assistere il motivo di ricorso per cassazione, limitandosi ad una generale censura della tecnica di redazione dell'ordinanza genetica, secondo il cd. copia e incolla. 3.2. Va rilevato che, nel caso al vaglio, il provvedimento impugnato risulta privo dell'esposizione delle ragioni giuridicamente significative che lo hanno determinato, risultando l'iter argomentativo che ha condotto alla decisione, privo della necessaria valutazione, in quanto carente dell'indicazione degli elementi significativi del concorso del destinatario nel reato di rivelazione di segreto di ufficio e del privato beneficiario, per l'abuso di ufficio, dell'atto illegittimo, anche alla luce delle difese svolte con memoria difensiva, sottoposta all'attenzione del Tribunale con funzione di riesame. L'ordinanza impugnata, quanto alla valutazione del quadro indiziario a carico dell'indagata, una volta descritta la complessa indagine che ha determinato l'applicazione della misura nei confronti della D'Anzieri, si è limitata a richiamare e trascrivere le pagine da 80 a 85 e da 100 a 102 dell'ordinanza genetica. Nessuna valutazione delle emergenze acquisiste in termini critici è stata compiuta, in relazione anche alle doglianze sviluppate dalla ricorrente con l'istanza di riesame. Invero, dopo la pedissequa trascrizione delle pagine dell'ordinanza cautelare ritenute riferibili alla posizione dell'indagata, il Tribunale con funzione di riesame si è limitato ad evidenziare il ruolo di vertice piramidale del Presidente della Regione Basilicata (Pittella) e tale preminenza del Governatore sarebbe stata riconosciuta anche dai Dirigenti sanitari delle aziende locali di Potenza e Matera Bochicchio e Quinto, sponsor dei candidati D'Anzieri e D'Alessandro, dirigenti che avrebbero chiesto ed ottenuto dal Presidente della Regione il benestare per l'esito favorevole, per i loro candidati, del concorso in corso di espletamento, anche attraverso il concorso del Presidente della Commissione esaminatrice e alcuni componenti. 5 Corte di Cassazione - copia non ufficiale A tali considerazioni prive di un'organica valutazione del quadro indiziario a carico dell'indagata e della disamina anche delle deduzioni dell'indagata stessa, quanto alla configurabilità del concorso nei reati contestati, si aggiunge il mero richiamo, generico e nemmeno argomentato, all'ordinanza genetica quanto alla qualificazione giuridica delle fattispecie in contestazione. Si osserva, sul punto, che l'ordinanza genetica, richiamata per relationem, evidenzia che, rispetto alla D'Anzieri, il D'Alessandro, risultato vincitore del concorso, si sarebbe posto come intermediario e successivo propalatore delle notizie coperte da segreto ( tracce d'esame ) rivelate alla ricorrente. Inoltre la D'Anzieri viene indicata quale partecipe di accordi, precedenti alla rivelazione, in quanto beneficiaria dell'intercessione, in suo favore, presso il Direttore generale Quinto, da parte del Bochicchio. 3.3. Alcuna valutazione delle emergenze acquisiste, in termini critici, è stata compiuta dal Tribunale del riesame, in relazione alle doglianze sviluppate dalla ricorrente con l'istanza di riesame, circa la necessità di espressa motivazione sulla condotta specificamente attribuibile al privato, beneficiario dell'abuso di ufficio e, in questo caso, anche destinatario della rivelazione del segreto di ufficio. Ai fini del concorso dell'extraneus nel reato di rivelazione del segreto di ufficio, va dato atto dell'esistenza di un consolidato orientamento giurisprudenziale di questa Corte di legittimità, più rigoroso, secondo il quale è necessario che l'extraneus non si sia limitato a ricevere la notizia, ma abbia istigato o indotto il pubblico ufficiale ad attuare la rivelazione. Tale indirizzo, esclude che sia sufficiente ad integrare il reato, per il soggetto che la riceve, la mera rivelazione a terzi della notizia coperta da segreto, salvo che il soggetto non qualificato, invece di limitarsi a ricevere la notizia, abbia indotto o istigato ad attuare la rivelazione indebita (Sez. 6, n. 34928 del 17/04/2018, Guglielmo, Rv. 273786 - 01; Sez. 6 sent. n. 35899 del 30/05/2017, Fori, Rv. 270546; Sez. 6 n. 47977 del 18/09/2015, Gatto, Rv. 265752; Sez. 1 n. 27231 del 30/06/2015; Sez. 1 n. 5842 del 17/10/2011, Barranca, Rv. 249357). Nemmeno, peraltro, il provvedimento impugnato ha esposto di aderire a diversa opzione ermeneutica che sostiene la punibilità di colui che abbia ricevuto la notizia. Si tratta di indirizzo relativo al caso dell'estraneo che non abbia direttamente sollecitato la rivelazione dall'agente ed abbia trasmesso a terzi la notizia stessa che abbia conservato il suo carattere segreto (Sez. 6 sent. n. 39428 del 31/03/2015, Berlusconi, Rv. 264782; Sez. 6 sent. n. 42109 del 14/10/2009, Pezzuto, Rv. 245021; Sez. 6, sent. n. 15849 del 26/02/2004, Iervolino, Rv. 229344). 6 Corte di Cassazione - copia non ufficiale In ogni caso si evidenzia che il provvedimento genetico indica la partecipazione dei due concorrenti non vincitori, Fruscio e D'Anzieri, ad un accordo preliminare, rispetto al quale gli elementi di fatto, a fronte di espressa critica proposta con il gravame, non sono in alcuna parte enucleati nel provvedimento impugnato. 3.4. Ad analoghe considerazìoni, circa l'assoluta carenza motivazionale del provvedimento, deve giungersi in relazione al contestato concorso del privato nel reato proprio di abuso di ufficio, tenuto conto dell'indirizzo espresso da questa Corte di legittimità, ai fini della configurabilità del concorso del privato, destinatario dell'ingiusto vantaggio patrimoniale di cui all'art. 323 cod. pen. All'uopo, infatti, è stata reputata necessaria la dimostrazione che questi abbia posto in essere una condotta causalmente rilevante nella realizzazione della fattispecie criminosa, partecipando con comportamenti diretti a determinare o ad istigare il pubblico ufficiale, ovvero accordandosi con quest'ultimo, essendo necessario che il contesto fattuale, i rapporti personali tra le parti o altri dati di contorno dimostrino l'intesa col pubblico funzionario o, comunque, eventuali pressioni dirette a sollecitarlo, ovvero a persuaderlo al compimento dell'atto illegittimo (Sez. 6, n. 33760 del 23/06/2015, Lo Monaco, Rv. 264460 - 01; Sez. 6, n. 37880 del 11/07/2014 Savini, Rv. 260031 - 01; Sez. 6, n. 37531 del 14/06/2007, Serione, Rv. 238029 - 01; Sez. 6, n. 2844 del 01/12/2003 - dep. 2004, Rv. 227260 - 01Sez. 6, n. 8121 del 29/05/2000, Margini, Rv. 216719 - 01; Sez. 6, n. 2140 del 25/05/1995, Tontoli, Rv. 201841 - 01). 4. Si impone, pertanto, l'annullamento del provvedimento impugnato, con rinvio al Tribunale di Potenza perché siano colmate le descritte lacune motivazionali. PQM annulla la ordinanza impugnata con rinvio per nuovo esame al Tribunale di Potenza Così deciso il 20/12/2018
Reati che impediscono la prosecuzione del lavoro pubblico impiego. Scritto da Bruno Giuseppe, Avvocato
Il mio quesito è questo: sono un dipendente pubblico in periodo di prova. Assunto il 13/05/2019. La prova dura 6 mesi.
Ma non è questo il punto. Diciamo che temo di essere stato querelato ai sensi dell'art 660 cp per molestie in chat.
Una cosa che neanche volevo fare... ad oggi, non ho ricevuto nulla da nessuna Procura.
Ora, la domanda è: se venissi condannato, pur trattandosi di una contravvenzione punibile alternativamente o con l'arresto fino a 6 mesi o con ammenda fino a 516 euro, il posto di lavoro al comune di XXXXXXX lo perderei? Sono incensurato.
Attendo vostre notizie con ansia. Grazie e distinti saluti
RISPOSTA
Anche nella denegata ipotesi di condanna penale, non perderesti il posto di lavoro presso il comune di XXXXXXXXXX. Tra i requisti generali per l'ammissione ai concorsi pubblici quindi anche per mantenere in essere il rapporto di lavoro con la pubblica amministrazione, abbiamo i seguenti:
• non aver riportato condanne penali o procedimenti penali che impediscano la costituzione del rapporto di lavoro con la Pubblica Amministrazione;
• non aver subito condanne penali, anche con sentenza non passata in giudicato, per i reati indicati nel capo I, titolo II del Codice Penale ai sensi dell’art. 35 bis del D.Lgs. 165/01 (delitti contro la pubblica amministrazione);
Art. 35-bis del D.LGS. 165/2001. Prevenzione del fenomeno della corruzione nella formazione di commissioni e nelle assegnazioni agli uffici
1. Coloro che sono stati condannati, anche con sentenza non passata in giudicato, per i reati previsti nel capo I del titolo II del libro secondo del codice penale:
a) non possono fare parte, anche con compiti di segreteria, di commissioni per l’accesso o la selezione a pubblici impieghi;
b) non possono essere assegnati, anche con funzioni direttive, agli uffici preposti alla gestione delle risorse finanziarie, all’acquisizione di beni, servizi e forniture, nonché alla concessione o all’erogazione di sovvenzioni, contributi, sussidi, ausili finanziari o attribuzioni di vantaggi economici a soggetti pubblici e privati;
c) non possono fare parte delle commissioni per la scelta del contraente per l’affidamento di lavori, forniture e servizi, per la concessione o l’erogazione di sovvenzioni, contributi, sussidi, ausili finanziari, nonché per l’attribuzione di vantaggi economici di qualunque genere.
2. La disposizione prevista al comma 1 integra le leggi e regolamenti che disciplinano la formazione di commissioni e la nomina dei relativi segretari.
Si tratta dei così detti reati impeditivi della costituzione e della prosecuzione del rapporto di lavoro con la pubblica amministrazione.
Il reato per cui saresti stato querelato, non può essere considerato impeditivo della prosecuzione del rapporto di lavoro con l'ente comunale, in quanto da un'eventuale condanna penale non deriverebbero le pene accessorie dell'interdizione dai pubblici uffici, ovvero dell’incapacità di contrarre con la p.a. (artt. 28, 29, 32-ter, 32-quater, 32-quinquies Codice penale, artt. 3,4, 5, legge 27 marzo 2001, n. 97).
Non può essere inoltre considerato impeditivo della prosecuzione del rapporto di lavoro, in quanto una sentenza penale definitiva di condanna non potrebbe assumere rilievo in relazione a quanto previsto dall'art.2, comma 3 del DPR 487/1994, giacché non determinerebbe la perdita dell'elettorato politico attivo ovvero la destituzione dall'impiego presso una pubblica amministrazione.
Né tanto meno si tratta di un reato idoneo, per la sua particolare connotazione giuridica, a comportare il licenziamento del lavoratore, non avendo alcuna connessione con il regolare svolgimento del periodo di prova del dipendente.
Per completezza espositiva, secondo la giurisprudenza di Cassazione, il reato di cui all'articolo 660 del codice penale, si configura anche attraverso l'invio di SMS (Cass. n. 30294/2011; Cass. n. 10983/2011) ovvero tramite le varie agorà virtuali come Facebook (Cassazione penale Sezione I sentenza del 11/07/2014 n. 37596).
A disposizione per chiarimenti.
Cordiali saluti.
Fonti:
Art. 28, 29, 32 del codice penale
DECRETO LEGISLATIVO 30 marzo 2001, n. 165 Norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche.
DECRETO DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA 9 maggio 1994, n. 487 Regolamento recante norme sull'accesso agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni e le modalità di svolgimento dei concorsi, dei concorsi unici e delle altre forme di assunzione nei pubblici impieghi.
Come funzionano le prove di un concorso pubblico. Da Redazione PMI.It 21 Giugno 2022
Tutto quello che c’è da sapere sulle prove di un concorso pubblico, dalla tipologia alla tempistica, dalla convocazione alle strategie per superare i test.
La riforma dei concorsi pubblici e il Decreto PNRR 2 hanno stabilito nuove direttive per rendere le selezioni più snelle e trasparenti, ma anche di ridurne le tempistiche, agevolando le procedure di assegnazione dei posti disponibili. Superare le prove di un concorso pubblico è l’obiettivo di tutti i candidati che si cimentano in una lunga serie di test e prove selettive per ottenere un lavoro stabile; per arrivare preparati, è importante conoscerne le regole di base. Vediamo di seguito le principali.
Indice
Quali sono le fasi di un concorso pubblico?
Quanto passa dalla pubblicazione di un bando di concorso alla data della prova?
Quanto tempo tra scritto e orale di un concorso?
Quanto dura una prova preselettiva di un concorso?
Come studiare per una prova preselettiva?
Come superare un test di preselezione?
Come si svolge prova scritta concorso?
Cosa portare alla prova scritta concorso?
Come si svolge l’orale di un concorso pubblico?
Quanto dura l’orale di un concorso pubblico?
Come funziona la banca dati di un concorso?
Quando esce la banca dati quiz di un concorso?
Quali sono le fasi di un concorso pubblico?
Per fare domanda, dal 1° luglio e in via estensiva da novembre 2022, l’accesso ai concorsi per le assunzioni a tempo determinato e indeterminato nelle PA richiede esclusivamente dal portale InPA. Successivamente la procedura sarà estesa a Regioni ed Enti locali.
Secondo la Legge n. 76 del 28 maggio 2021, i concorsi per il personale non dirigenziale devono prevedere: una prova scritta; una prova orale che comprenda l’accertamento della conoscenza di almeno una lingua straniera. Per entrambe le prove è possibile ricorrere all’uso di strumenti informatici e digitali all’insegna della semplificazione. La prova preselettiva può essere stabilita nell’ambito dei singoli bandi.
Quanto passa dalla pubblicazione di un bando di concorso alla data della prova?
Il tempo di attesa che intercorre tra la pubblicazione di un bando di concorso e l’avvio della prima prova è variabile, mentre per quanto riguarda l’invio delle domande e la comunicazione del diario delle prove la tempistica è definita a priori:
– la domanda per accedere a un concorso pubblico si presenta entro 30 giorni dalla pubblicazione del bando, oppure 45 giorni se è compreso un periodo festivo;
– la convocazione per la prova scritta viene pubblicata almeno 15 giorni prima del suo svolgimento.
Quanto tempo tra scritto e orale di un concorso?
Tra lo svolgimento della prova scritta di un concorso e la convocazione per la prova orale dei candidati che hanno superato il primo step, trascorrono di norma almeno 20 giorni.
Quanto dura una prova preselettiva di un concorso?
La prova preselettiva consiste nella somministrazione di una serie di quesiti a risposta multipla, relativi alle discipline previste dal bando oppure inerente a tematiche di cultura generale o competenze psico-attitudinali. La durata della prova può anche estendersi fino a 100 minuti.
Come studiare per una prova preselettiva?
Qualora si debba sostenere anche la prova preselettiva di un concorso pubblico, è bene informarsi al meglio sulla tipologia di test e sulle materie d’esame previste. Si tratta di test a risposta multipla da completare in un certo lasso di tempo, quindi esercitarsi in anticipo è certamente una strategia vincente.
Oltre ai manuali relativi allo specifico concorso, quindi, è utile tenersi informati sui principali argomenti di attualità e consultare eventualmente anche alcuni testi scolastici suddivisi a seconda della disciplina.
Come superare un test di preselezione?
Analizzare bene ogni domanda e le possibili risposte è il primo step da compiere per aumentare le chance di superare una prova preselettiva, senza farsi prendere dalla fretta contrassegnando subito la risposta più scontata.
Come si svolge prova scritta concorso?
La prova scritta di un concorso può essere somministrata sotto forma di test formato da una serie di quesiti che necessitano di una risposta breve o comunque sintetica, oppure come test a risposta multipla o ancora richiedendo la stesura di un elaborato originale. La durata massima delle prove, secondo la normativa attuale, è pari a 180 minuti.
Cosa portare alla prova scritta concorso?
Per accedere alla prova scritta di un concorso è sempre necessario munirsi di documento di identità valido, codice fiscale e ricevuta di versamento del contributo di segreteria richiesto.
Prendendo come esempio il concorso ordinario per la scuola secondaria di primo e secondo grado, candidati devono anche esibire l’autodichiarazione a relativa allo stato di salute in relazione al Covid-19, ma non è più necessario mostrare l’esito negativo di un tampone o il Green Pass. È tuttavia indispensabile indossare un dispositivo di protezione facciale di tipo FFP2, secondo quanto previsto dall’ordinanza siglata dal Ministro della Salute lo scorso 25 maggio 2022. I candidati non possono portare con sé appunti o libri, fatta eccezione per i dizionari, i codici o i testi di legge non commentati purché siano autorizzati dalla commissione.
Come si svolge l’orale di un concorso pubblico?
L’obiettivo della prova orale di un concorso è quello di accertare la preparazione del candidato relativamente alla materie oggetto del bando. Le modalità di svolgimento possono essere differenti, ad esempio può capitare di dover rispondere a un numero limitato di quesiti estratti a sorte dal candidato stesso.
Nel caso del concorso ordinario per l’insegnamento, ciascun candidato estrae la traccia su cui svolgere la prova circa 24 ore prima dell’orario stabilito per il colloquio orale.
Quanto dura l’orale di un concorso pubblico?
La prova orale ha una durata massima che varia tra 30 e 45 minuti, tempistiche che possono variare a seconda della tipologia di concorso e delle indicazioni fornite dall’Ente organizzatore.
Come funziona la banca dati di un concorso?
La banca dati di un concorso è uno strumento molto utile ai candidati, che possono esercitarsi su un database di quiz già predisposti tra i quali figurano le domande proposte in fase di esame. Spesso, infatti, la banca dati predisposta dall’Amministrazione viene resa disponibile con un certo anticipo rispetto alla data della prima prova. Generalmente la banca dati è composta da un minimo di 1000 quiz fino a un massimo di 5mila domande.
Quando esce la banca dati quiz di un concorso?
La pubblicazione di una banca dati avviene mediamente 20 o 30 giorni prima della prova preselettiva o della prova scritta.
“MIO PADRE TRA I CONTROLLORI ALL’ESAME”, LE PAROLE IN AULA DI UN PARTECIPANTE AL CONCORSO TRUCCATO ALLA ASL DI LATINA. LatinaQuotidiano.it il 13 ottobre 2023.
L’aula del Tribunale di Latina è stata teatro di nuove rivelazioni nel processo che vede coinvolti Claudio Moscardelli, ex segretario del Partito Democratico, l’ex dirigente dell’Azienda Sanitaria Claudio Rainone e il funzionario della Asl pontina Mario Graziano Esposito. Questi tre sono accusati di corruzione, falso e rivelazione di segreto d’ufficio in relazione a due concorsi indetti dalla Asl, uno per 23 posti da collaboratore amministrativo e uno da 70 posti per assistente amministrativo.
Durante una delle ultime udienze, un partecipante al concorso da 70 posti è stato ascoltato come testimone. Sebbene non sia risultato tra i primi classificati, è emerso che il giovane non ha rilevato anomalie nelle prove, né scritte né orali. Tuttavia, mentre rispondeva alle domande dell’avvocato Mastrobattista, rappresentante di una concorrente che non ha superato l’esame e che è parte civile nel processo, il giovane ha rivelato un particolare inquietante: suo padre è un dipendente della Asl di Latina e quel giorno del concorso ricopriva il ruolo di controllore nelle prove. Secondo l’accusa, il presidente della Commissione, Claudio Rainone, avrebbe svelato a sei concorrenti i contenuti delle prove orali, che in seguito sono risultati essere vincitori e assunti dall’Azienda Sanitaria.
Ciò sarebbe avvenuto con la complicità di Mario Graziano Esposito, segretario della Commissione, che avrebbe falsamente attestato la regolarità dei verbali della Commissione. Relativamente a Claudio Moscardelli, ex membro del Partito Democratico, l’accusa sostiene che abbia segnalato due candidati a un dirigente, promettendo in cambio il proprio sostegno per la nomina a direttore amministrativo dell’Azienda. Il processo è stato aggiornato al 21 marzo 2024, quando verranno ascoltati altri testimoni citati dalla difesa. La prossima udienza è stata fissata per il 21 marzo dell’anno successivo e vedrà nuovi testimoni presentati dagli avvocati della difesa, tra cui Renato Archidiacono, Luca Giudetti, Stefano Mancini e Leone Zeppieri. Questo caso continua a tenere banco in città e nei corridoi della giustizia, mentre emergono nuovi dettagli sulla presunta corruzione legata ai concorsi Asl e i cittadini attendono con ansia il verdetto finale del tribunale. LatinaQuotidiano.it
12 indagati per un concorso truccato per l’assunzione e per gli idonei in un Comune. Il metodo è quello “brevettato” a Sparanise, San Cipriano, Vitulazio e Carinola. Da casertace.net il 31 Luglio 2023
Il meccanismo consente, come abbiamo più volte spiegato anche in passato, ad un politico di rango superiore ad un sindaco di controllare anche decine di assunzioni attraverso convenzioni stipulate tra i Comuni da lui controllati e appartenenti ad un’unica filiera. Per quanto riguarda l’ultimo caso di Roccamonfina e Minturno…
CASERTA – L’ultima moda, in ordine di tempo, seguita dai comuni per cercare di evitare troppe pressioni sui concorsi per l’assunzione a tempo determinato o indeterminato di suoi nuovi dipendenti, è costituita dall’utilizzo di un meccanismo che funziona pressappoco così e che ha visto la sua massima espressione nei Comuni che noi abbiamo definito della filiera Zannini, cioè Sparanise, San Cipriano, Carinola e Vitulazio, al tempo in cui Sparanise era ancora amministrata, prima dello scioglimento per infiltrazioni camorristiche, da Salvatore Martiello, e quando al comando dell’amministrazione di Vitulazio c’era ancora lo zanniniano doc Russo, sconfitto poi nettamente alle ultime amministrative da Antonio Scialdone.
In pratica, un Comune bandisce uno o più concorsi per l’assunzione di una o due unità di personale. Poi, a quel concorso partecipano diversi candidati. Ovviamente si pubblica lo stretto indispensabile, in modo tale che la partecipazione non sia troppo numerosa, perché in quel caso sarebbe poi difficile stabilire e determinare alcune cose.
Di solito, i vincitori sono candidati che attengono al circuito interno, appartenenti cioè al Comune che bandisce il concorso e alla struttura clientelare dell’amministrazione che lo bandisce.
A Sparanise, ad esempio, così come abbiamo raccontato con dovizia di particolari in tanti articoli, è andata così.
La seconda parte della storia è quella forse più importante: i concorsi, infatti, oltre a stabilire i vincitori, che di solito sono il primo o il secondo della graduatoria, stilano una classifica degli idonei su cui poi si scatena l’attività di altri Comuni di una certa filiera che li connette a quello che ha bandito il concorso.
Invece di bandire, a loro volta, procedure concorsuali finalizzate all’assunzione, due o tre sindaci, che già si sono messi d’accordo a monte, sotto il coordinamento e l’egida di un politico di rango più elevato che li controlla, stipulano una convenzione da approvare semplicemente con una delibera di giunta, grazie alla quale il Comune che non ha bandito il concorso attinge dalla graduatoria degli idonei.
Così facendo il signor Tizio o la signora Caia, che magari sono allegati all’area di influenza del politico più importante, cioè il consigliere provinciale o regionale, vengono assunti quasi in silenzio dall’altro Comune.
Ad esempio, un caso del genere si è verificato a San Cipriano rispetto alla graduatoria di Sparanise, a Carinola rispetto alle stesse graduatorie di Sparanise e a Vitulazio, dove però per dimostrare di essere zanniniano più dello stesso Zannini, il sindaco Russo è uscito distrutto da questa fase e ha letteralmente inviperito i suoi concittadini, che hanno assistito all’ingresso in pompa magna in Comune di concorrenti idonei a Sparanise, ma che con Vitulazio non hanno alcun legame territoriale e, conseguentemente, hanno scaricato questa loro rabbia nell’urna elettorale, creando delle conseguenze eccezionali, visto e considerato che pochissime volte si è visto che un sindaco in carica sia stato così sonoramente bocciato alla fine del primo mandato.
Ora, non sappiamo se il caso, registratosi a Roccamonfina, dove la Procura della Repubblica di Santa Maria Capua Vetere ha iscritto nelle scorse settimane 12 persone nel registro degli indagati, ma ad occhio e croce è successo qualcosa di simile.
A Roccamonfina c’è un segretario comunale, che si chiama Francescopaolo D’Elia. È di Minturno, dove ha svolto attività professionale nell’amministrazione locale e che è stato il motore operativo del concorso, bandito dal Comune di Roccamonfina, per l’assunzione di una sola unità di istruttore amministrativo.
Stando alle ricostruzioni realizzate anche dai giornali della Provincia di Latina, a questo concorso avrebbero partecipato anche diversi concorrenti residenti a Minturno i quali, di questo concorso non sono risultati vincitori, ma sono idonei seguendo, nelle posizioni di immediato rincalzo, il vincitore che risulterà assunto.
Sappiamo che D’Elia è sicuramente indagato; sappiamo che diversi concorrenti sono ugualmente indagati.
Non sappiamo quale sia, però, la posizione degli altri membri della commissione giudicatrice, formata da diveri componenti di cui scriveremo nelle prossime ore.
Come abbiamo già scritto nel precedente articolo, il reato ipotizzato a carico dei 12 indagati è quello di falso ideologico in concorso e rivelazione di segreti d’ufficio.
Presumibilmente, dunque, ci sarebbe qualcuno che ha rivelato a uno o più concorrenti le domande o i contenuti di una prova scritta.
Oltre a questo, sarebbero state truccate le carte. Cercheremo di tenerci informati a partire dalla messa a fuoco dell’elenco completo e certo dei 12 indagati.
“Concorsi Pubblici ed Esami di Abilitazione. Ci vogliono burocrati e poi gerarchi, non esperti per risolvere i problemi. I Funzionari Pubblici, eccentrici ed autoritari, quasi dispotici, tra vessazioni e favoritismi, perpetuano la loro dinastia attraverso le Commissioni domestiche per l’esame orale. E’ un incesto che provoca problematiche genetiche nell’evoluzione della specie.”
Intervista al Dr Antonio Giangrande, noto saggista, che parla del tema in base alla sua esperienza quarantennale e in relazione all’inchiesta e all’approfondimento relativa all’esperienza degli italiani raccontata nei suoi saggi.
D. Dr Antonio Giangrande come si fa ad ottenere il famoso posto fisso o diventare magistrato, notaio, avvocato, ecc.
R. La vera domanda è: Pubblica Amministrazione: si accede per concorso pubblico?
L’Articolo 97 della Costituzione recita:
“Le pubbliche amministrazioni, in coerenza con l'ordinamento dell'Unione europea, assicurano l'equilibrio dei bilanci e la sostenibilità del debito pubblico.
I pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge [95 c.3], in modo che siano assicurati il buon andamento e l'imparzialità dell'amministrazione.
Nell'ordinamento degli uffici sono determinate le sfere di competenza, le attribuzioni e le responsabilità proprie dei funzionari [28].
Agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni si accede mediante concorso, salvo i casi stabiliti dalla legge [51 c.1].
Nella Pubblica Amministrazione si può essere assunti a tempo indeterminato:
Per Pubblico Concorso:
diretto da idoneo vincitore;
indiretto da idoneo non vincitore per scorrimento delle graduatorie (in alcuni casi 20%);
Per Mobilità permanente da altra Pubblica Amministrazione;
3 tramite centri per l’impiego, per qualifiche che, come requisito di accesso, richiedano l’aver frequentato la scuola dell’obbligo;
4 contratti per persone appartenenti alle Categorie Protette.
5 Per stabilizzazione.
Nella Pubblica Amministrazione si può essere assunti a tempo determinato con contratti flessibili:
contratto di somministrazione a tempo determinato;
2. contratto di lavoro subordinato a tempo determinato;
a) prestazioni di lavoro accessorio (voucher)
b) contratti di collaborazione coordinata e continuativa.
c) collaborazioni marginali (prestazioni occasionali -30 g – Euro 5000)
d) prestazioni di lavoro autonomo occasionale
3. contratti di formazione.
a. Apprendistato per laureati;
b. Formazione-Lavoro per laureandi.
Agenzie di reclutamento per la Pubblica Amministrazione.
InPa.
Adecco.
Asmel.
Ales.
InPa.
D. Dr Antonio Giangrande, qualcuno potrebbe dire che lei parla sempre e solo di se stesso, giustificando i suoi fallimenti.
R. Vero. Qualcuno mi accusa di essere egocentrico e fallito. Lo sono in quest’intervista. Nei miei libri, però, parlo degli italiani, milioni di altri me inascoltati.
D. E’ un fallito?
R. Dal punto di vista scolastico non direi:
R. Diploma di Licenza Media il 23 giugno 1977
20/02/84. Iscritto nel Registro degli Esercenti il Commercio al dettaglio di Taranto: Tab.: I-II-III-IV-V-VI-VII-VIII-XIV (tabella speciale tabaccai).
Diploma di Ragioniere e Perito Commerciale presso l’Istituto Statale Tecnico Commerciale Luigi Einaudi di Manduria (TA) 5 luglio 1992:
Privatista per tutti i 5 anni;
Voto: 36/60.
Laurea in Giurisprudenza presso l’Università Statale di Milano 11 luglio 1996.
Vecchio Ordinamento Quadriennale;
Studente Lavoratore e famiglia a carico (moglie e 2 figli);
26 annualità superate in 2 anni;
Voto: 79/110
Titolo regionale della Regione Puglia: Operatore dei Servizi Giudiziari: Perito Fonico Trascrittore Dattilografo Stenotipista Forense e Tecnico dei Servizi Giudiziari. Qualifica regionale di 600 ore: 350 ore di teoria, 250 ore di stage. Inizio 25/02/2023 fine 01/08/2023. Corso svolto presso Dea Center di Salice Salentino (Le).
D. Qualcuno dirà: la scuola comunista promuove tutti, pecore e porci.
R. Non direi. Ho avuto riscontro della mia preparazione nei concorsi pubblici ed esami di abilitazione, laddove il merito emergeva da prove personali oggettive e non da valutazioni interessate di terzi.
02/06/1976. Domanda nell’Arma dei Carabinieri: lettera morta.
13/09/1991. Concorso della Polizia di Stato, scritto voto 8.16, tra i primi 50 su oltre 20.000 candidati. Il seguito: lettera morta.
29/10/1991, prova di guida e 25/01/1992 prova psico-fisica-attitudinale superate al concorso del Ministero della Giustizia per autisti degli automezzi speciali: mai chiamato.
26/10/1992. Concorso all’ATM di Milano per ferrotranviere. Prova di guida: mai chiamato.
16/01/1997. Concorso di Uditore Giudiziario: lettera morta.
04/05/1998. Domanda per nomina di Giudice di Pace. Lettera Morta.
18/11/1999. Concorso di Comandante del Corpo di Polizia Municipale di Manduria. Candidati oltre 300. 5° allo scritto, all’orale preceduto da chi aveva indetto e regolato il concorso.
Dalla sessione di esame di Avvocato 1998 alla sessione di esame di Avvocato 2014, per 17 anni, alla prova scritta si è dato sempre – stranamente - un voto uguale (25/30) a tutti e tre gli elaborati (civile, penale, amministrativo), insufficiente al superamento dell’esame, a mo’ di ritorsione per le battaglie intraprese. I ricorsi al Tar, rigettati, ma accolti per tutti gli altri, per le medesime ragioni.
Dal 2000 al 2023 non ho potuto svolgere concorsi pubblici per procedimenti penali pendenti con accuse risultate infondate per reati di opinione. Ritorsione per aver denunciato la malagiustizia.
22/05/2023. Iscritto nell’elenco Asmelab degli aspiranti Comandanti della Polizia Locale, dopo aver superato l’esame scritto per presentare interpello all’orale delle Pubbliche Amministrazioni richiedenti, o scritto se troppi interpellanti.
10/07/2023. Comune di Venosa, aspiranti Comandanti della Polizia Locale, interpellanti 229, partecipanti alla prova scritta 120, posizionato 5°, esame orale pubblico a Venosa il 14/07/2023. Preceduto.
06/09/2023. Comune di Gattinara, aspiranti Comandanti della Polizia Locale, interpellanti 76, posizionato 5° IDONEO, esame orale pubblico a Gattinara il 18/09/2023. Preceduto ingiustamente.
02/10/2023. Comune di Anacapri, aspiranti Comandanti della Polizia Locale, interpellanti 249. Preceduto. A tutti sono poste due domande secche: una obbligatoria sugli appalti pubblici. Nessuno ha saputo rispondere in modo esauriente, meno che uno...
10/10/2023. Comune di Vigliano Biellese, aspiranti Comandanti della Polizia Locale, interpellanti 53. Preceduto. Commissione: non idonea.
Da Fenomeno negli scritti a Brocco negli orali, intendendo come tali anche gli elaborati dell’esame di avvocato, che appunto non sono quesiti scritti, ma tracce da elaborare a secondo i gusti dei correttori. Come si può vedere negli scritti a risposta multipla, tra centinaia di candidati, mi sono sempre posto tra i primi 5, niente male per un fallito. Poi quando mi presentavo alle prove orali o all’esame scritto di abilitazione tutto cambiava. Non era l’oggettività a decidere, ma il gusto soggettivo degli esaminatori.
D. Questo lo dice lei.
R. Dal 17/04/1998 al 17/04/2004: Praticante Avvocato con patrocinio legale presso Il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Taranto e Titolare di Studio Legale ad Avetrana. Non abilitato Avvocato dopo 17 anni di esame di Stato a causa di ritorsione per aver denunciato l’esame nazionale truccato di abilitazione forense, da cui è scaturita la riforma del 2003. Il D.L. 112/03 è convertito nella Legge 180/03. Non lo dico io, lo dice il legislatore.
D. E per quanto riguarda gli esami di aspirante comandante dei vigili Urbani?
R. Le domande non erano poste per saggiare il comportamento e l’atteggiamento del candidato rispetto ad un caso concreto, cioè vedere quanto lui sapesse su una norma principale e altre norme ad essa collegate, ma volevano elementi nozionistici. Volevano a memoria l’articolo di legge e finiva lì. Volevano sentire quello che loro sapevano o si aspettavano di sentire.
Spesso l’esito delle prove scritte a risposta multipla (veritiere ed oggettive), si scontrano e contrastano con i giudizi personali resi in sede di orale da commissari pregiudiziali e limitati nella preparazione.
Mi trovo ad affrontare le prove orali nei concorsi pubblici. Mi trovo di fronte commissari che ogni giorno usano gli stessi articoli dei codici di pertinenza alla competenza rivestita.
Prendiamo per esempio il concorso per comandante dei Vigili Urbani. Ti trovi di fronte un comandante in ruolo o un saccente Segretario comunale che ti chiede risposte sul codice degli appalti.
Loro ogni giorno usano il codice della strada, come si usano le stesse posate per mangiare. Ed è un modo per rendere truccato l’esame. Se vuole ti mette in difficoltà. E in difficoltà mette i candidati che a lui sono antipatici e non piacciono. Chiede ai candidati numero e contenuto di un articolo in particolare, estrapolato tra milioni di articoli. Pretende che i candidati conoscano a memoria tutti gli articoli del codice. Non interessa la sostanza, ma la forma. Prendiamo ad esempio l’art. 186 CdS: guida in stato di ebbrezza: è un articolo complesso, sclerotico, confusionario e sottoposto all’evoluzione ideologica del legislatore del tempo che condanna il conducente dei veicoli (anche senza motore come bici e monopattini) a vittima sacrificale da condannare e spennare. Sanzioni principali ed accessorie sull’auto e sul guidatore in base ai vari limiti alcolemici, recidiva e danno. L’art. 186 contiene il comma 7 in cui si prevede la sanzione più grave in casi di rifiuto di sottoporsi all’esame alcolemico o sostanze psicotrope. Tale articolo limita il diritto di difesa e non approfondisce la legittimità delle richieste della prova e l’evoluzione della giurisprudenza.
Ergo: il comandante dovrebbe essere preparato anche in diritto penale e di procedura penale, per evitare i numerosi ricorsi in opposizione, criminologia per l’esame dei luoghi e responsabilità dei sinistri e psicologia per la relazione con l’utenza, la telematica per la formazione dei verbali e l’evoluzione della materia, sul diritto amministrativo per quanto riguarda la trasparenza e la collaborazione con l’utenza per la pronta autotutela in caso di errori, la sociologia per studiare l’impatto di certi comportamenti con l’utenza.
Su questo, anche, si dovrebbe interrogare.
Invece ti chiedono a memoria l’art. 186 CdS e certo si trova qualcuno che te lo snoccioli. Però poi ci ritroveremo qualcuno che saprà recitare a memoria il codice della strada ed eleverà sanzioni a raffica, però poi si troverà sommerso da verbali annullati dalle autorità competenti per incapacità professionale e relazionale.
Solleva qualche dubbio se poi le domande sono poste tutte su una materia spuria, della quale solo uno dei candidati è informato.
Per esempio. Comune di Anacapri, aspiranti Comandanti della Polizia Locale, interpellanti 249. Preceduto. A tutti sono poste due domande secche: una obbligatoria sugli appalti pubblici. Nessuno ha saputo rispondere in modo esauriente, meno che uno...
Oppure, per esempio. Comune di Vigliano Biellese, aspiranti Comandanti della Polizia Locale, interpellanti 53. Preceduto. Commissione: non idonea. I nomi dovrebbero essere omessi per l’oblio meritato.
Prima domanda. Il sindaco comunica al comandante che l'acqua è inquinata.
Risposta articolata qui riassunta: ordinanza contingente e necessaria a tutela dei cittadini impedendone l'uso. Ordinanza-ingiunzione contro il responsabile che cessi e relative sanzioni.
Il comandante avvisa il pm del reato che persegue il responsabile.
Seconda domanda. La pattuglia interviene per un sinistro con lesioni e un fuggitivo ed avvisano il comandante.
Risposta: l'ufficio verifica la fondatezza della segnalazione e chiama i soccorsi, facendo intervenire la pattuglia. La pattuglia dà assistenza al ferito e verifica le circostanze del fatto e assicura i mezzi di prova per l’individuazione del fuggitivo. Svolge le indagini per omissione di soccorso e per accertare la responsabilità delle lesioni e cerca di trarre identità dagli elementi raccolti. Inoltre verifica la responsabilità attraverso l'analisi degli elementi atmosferici, dell'auto, della strada e del l'alcol test del ferito, possibile responsabile. Si chiama il comandante perché è Pubblico Ufficiale che tiene i rapporti con l’autorità Giudiziaria. Gli agenti diventano Pubblici Ufficiali solo per espressa delega particolare del Comandante.
Terza domanda. Un medico redige referto più grave di quello del collega del primo intervenuto in seguito ad un sinistro con lesioni, ma non comunica al pm.
Sono tracce da esame di abilitazione di avvocato, non sono domande secche. Per cui io ho risposto in base alla mia esperienza e preparazione professionale di ex agente assicurativo ed ex avvocato. Rispondo in base alla sentenza della Cass. Pen., Sez. VI, 2 novembre 2020, n. 30456 in tema di omissione di referto. Quindi si va oltre le materie indicate in esame e si va oltre la competenza degli esaminatori.
Uno risponde per quel poco o tanto sa, non per quel tanto o poco che i commissari sanno e vogliono sentire.
Per me è omissione di atti di ufficio o di Referto perché le parole sono importanti nell’interpretazione dei fatti.
Il medico non comunica. Significa che aveva l’obbligo di comunicare e non l’ha fatto. Obbligo nascente dalla richiesta del Pubblico Ministero o dalle leggi. Non si dice: ha dimenticato, o non conosceva la legge che lo obbligava. Non ha comunicato. E’ reato proprio doloso, in quanto non voleva farlo per coprire il collega per falso ideologico o il responsabile della lesione, o per altri suoi motivi. E comunque si risponde alle domande da collaboratori del Pubblico Ministero, quindi dell’accusa, e non da avvocato che cerca la scriminante.
Invece per chi si ergeva più esperto degli altri, mi costringeva a dire che fosse un reato colposo. Questo se ne viene fuori con la colpa. Basata su quale reato non so. Non c'è omissione e/o falso colposo.
Naturalmente le tre risposte condite con eloquente e corposa disamina. Ma loro non cercano l’esperto, cercano il burocrate. E’ una presa in giro dopo giorni di trasferta e nottate all’addiaccio a Napoli e Milano, con le stazioni dei treni chiuse, in attesa della coincidenza che ti porta in sede di esame.
D. Cosa intende per Commissione domestica?
R. I regolamenti degli Enti Locali sulle Commissioni esaminatrici dei concorsi pubblici dispongono in generale che la Commissione è composta da tre membri nel modo seguente.
a) il Funzionario Responsabile dell’Area/Settore nel cui ambito di assegnazione rientra il posto messo a concorso, con funzioni di Presidente;
b) da n.2 tecnici esperti nelle materie oggetto del concorso, scelti possibilmente e preferibilmente tra i dipendenti e/o Funzionari dell’Ente e/o di altre delle Pubbliche Amministrazioni, oppure scelti tra docenti ed esperti in possesso di specifica competenza nelle materie oggetto del concorso. La vera domanda è: chi certifica la competenza e l’imparzialità: loro stessi!
D. Comunque anche per qualcuno rimane sempre un fallito.
R. Sarà, ma come per l’esame di avvocato anche qui il legislatore mi dà ragione. Riforma Concorsi Pubblici 2023: niente più Prove Orali. Il governo ha recentemente adottato una decisione che avrà un impatto significativo sui concorsi pubblici: la sospensione delle prove orali fino al 2026, sostituendole esclusivamente con prove scritte. Così è per il concorso dei Funzionari Tributari dell’Agenzia delle Entrate, oppure per i Funzionari dei Servizi Pubblicità Immobiliare, oppure per i Funzionari dell’Ufficio per il Processo, ecc. Vediamo senza prove orali che si aiutano gli amichetti, se rimarrò ancora un fallito.
Le prove orali da eliminare nei concorsi pubblici.
Spesso l’esito delle prove scritte a risposta multipla (veritiere ed oggettive), si scontrano e contrastano con i giudizi personali resi in sede di orale da commissari pregiudiziali e limitati nella preparazione.
Mi trovo ad affrontare le prove orali nei concorsi pubblici. Mi trovo di fronte commissari che ogni giorno usano gli stessi articoli dei codici di pertinenza alla competenza rivestita.
Prendiamo per esempio il concorso per comandante dei Vigili Urbani. Ti trovi di fronte un comandante in ruolo o un saccente Segretario comunale che ti chiede risposte sul codice degli appalti.
Lui ogni giorno usa il codice della strada, come si usano le stesse posate per mangiare. Ed è un modo per rendere truccato l’esame. Se vuole ti mette in difficoltà. E in difficoltà mette i candidati che a lui sono antipatici e non piacciono. Chiede ai candidati numero e contenuto di un articolo in particolare. Pretende che i candidati conoscano a memoria tutti gli articoli del codice. Non interessa la sostanza, ma la forma. Prendiamo ad esempio l’art. 186 CdS: guida in stato di ebbrezza: è un articolo complesso, sclerotico, confusionario e sottoposto all’evoluzione ideologica del legislatore del tempo che condanna il conducente dei veicoli (anche senza motore come bici e monopattini) a vittima sacrificale da condannare e spennare. Sanzioni principali ed accessorie sull’auto e sul guidatore in base ai vari limiti alcolemici, recidiva e danno. L’art. 186 contiene il comma 7 in cui si prevede la sanzione più grave in casi di rifiuto di sottoporsi all’esame alcolemico o sostanze psicotrope. Tale articolo limita il diritto di difesa e non approfondisce la legittimità delle richieste della prova e l’evoluzione della giurisprudenza.
Ergo: il comandante dovrebbe essere preparato anche in diritto penale e di procedura penale, per evitare i numerosi ricorsi in opposizione, criminologia per l’esame dei luoghi e responsabilità dei sinistri e psicologia per la relazione con l’utenza, la telematica per la formazione dei verbali e l’evoluzione della materia, sul diritto amministrativo per quanto riguarda la trasparenza e la collaborazione con l’utenza per la pronta autotutela in caso di errori, la sociologia per studiare l’impatto di certi comportamenti con l’utenza.
Su questo, anche, si dovrebbe interrogare.
Invece ti chiedono a memoria l’art. 186 CdS e certo si trova qualcuno che te lo snoccioli. Però poi ci ritroveremo qualcuno che saprà recitare a memoria il codice della strada ed eleverà sanzioni a raffica, però poi si troverà sommerso da verbali annullati dalle autorità competenti per incapacità professionale e relazionale.
Riforma Concorsi Pubblici 2023: niente più Prove Orali. Da posizioniaperte.com il 19 Luglio 2023
Il governo ha recentemente adottato una decisione che avrà un impatto significativo sui concorsi pubblici: la sospensione delle prove orali fino al 2026, sostituendole esclusivamente con prove scritte.
Indice dei contenuti
Niente più Orali nei Concorsi Pubblici
Concorsi Pubblici: via libera alla digitalizzazione e solo prove scritte
Niente Prove Orali fino al 2026
Niente più Orali nei Concorsi Pubblici
Questa notizia è accolta positivamente in quanto si prevede che accelererà il processo di assunzione nella pubblica amministrazione, semplificherà le procedure burocratiche e faciliterà la partecipazione ai concorsi pubblici.
L’eliminazione temporanea delle prove orali rappresenta una svolta importante che garantirà un’ulteriore rapidità nel processo di selezione. Le sole prove scritte consentiranno una valutazione oggettiva delle competenze dei candidati e ridurranno i tempi complessivi delle procedure di assunzione. Questa decisione è in linea con gli sforzi del governo per rendere la pubblica amministrazione più efficiente e responsiva alle esigenze dei cittadini.
Lo stop alle prove orali non solo velocizzerà il processo di assunzione, ma contribuirà anche a snellire la burocrazia. Senza la necessità di organizzare e gestire le prove orali, le procedure amministrative saranno semplificate, consentendo una maggiore efficienza e riducendo gli oneri burocratici sia per gli enti pubblici che per i candidati.
Inoltre, questa decisione renderà più accessibile la partecipazione ai concorsi pubblici. Le prove scritte offrono un’opportunità paritaria per i candidati di dimostrare le proprie competenze, indipendentemente dalle loro capacità di esposizione orale. Ciò favorirà un’ampia partecipazione e permetterà a una gamma più ampia di talenti di accedere alle opportunità di lavoro nel settore pubblico.
Concorsi Pubblici: via libera alla digitalizzazione e solo prove scritte
Nell’ambito delle riforme della pubblica amministrazione, il governo italiano ha introdotto un emendamento al Decreto Pubblica Amministrazione che segna una svolta radicale nei concorsi pubblici. Questo nuovo provvedimento, approvato con voto di fiducia alla Camera, mira a modernizzare e snellire il processo di selezione per l’ingresso nella pubblica amministrazione.
Una delle novità più significative è l’accelerazione verso la completa digitalizzazione dei concorsi pubblici. L’emendamento prevede che l’intero iter concorsuale avvenga in modalità digitale, consentendo ai candidati di presentare la propria candidatura e sostenere le prove attraverso piattaforme online. Questo passaggio verso la digitalizzazione renderà il processo più efficiente, riducendo i tempi di selezione e semplificando le pratiche burocratiche.
Niente Prove Orali fino al 2026
Un’altra importante modifica riguarda la sospensione delle prove orali per le posizioni “non apicali” fino al 31 dicembre 2026. Questa decisione mira ad accelerare ulteriormente le fasi di selezione, focalizzandosi principalmente sulle prove scritte. L’eliminazione temporanea delle prove orali consentirà una maggiore velocità nell’assunzione dei candidati e semplificherà il percorso di partecipazione ai concorsi pubblici.
Inoltre, il nuovo decreto introduce una clausola di equilibrio di genere. Ciò significa che nelle commissioni di valutazione dei concorsi pubblici, dovrà essere garantita una rappresentanza equilibrata tra uomini e donne. Questa misura mira a promuovere la parità di opportunità di genere e a garantire un processo di selezione più inclusivo.
L’emendamento approvato dalla Camera sarà presto seguito dall’approvazione di un Decreto del Presidente della Repubblica (DPR) da parte del Consiglio dei Ministri, che completerà la ridefinizione dei concorsi pubblici. Queste riforme rappresentano un passo importante verso una pubblica amministrazione più moderna, snella ed equa, consentendo un accesso semplificato e tempi più rapidi per i candidati interessati a lavorare nel settore pubblico.
Per chi fosse interessato alla preparazione ai Concorsi Pubblici, esistono diversi corsi e video, ma il metodo migliore rimane sempre quello di utilizzare i Manuali con le domande, che consentono di simulare l’esame con la stessa tipologia di approccio che poi si ritroverà durante la prova di esame del Concorso a cui si partecipa.
Concorsi pubblici: modalità e tempistica nella redazione delle domande della prova orale. Pubblicato il 8 novembre 2018 su Self-entilocali.it
Le domande da sottoporre ai candidati nella prova orale devono essere definite (inderogabilmente) dalla commissione esaminatrice il giorno stesso dell’esame orale.
Tale modalità garantisce l’impossibilità di circolazione della conoscenza extra-commissione delle domande.
L’inosservanza di siffatta regola procedimentale rende viziate le attività successivamente poste in essere dalla Commissione.
Questo il principio espresso dal Tar Sardegna con la sentenza n. 921 del 29 ottobre 2018.
Nel caso di specie, dalla lettura del verbale era emerso che la Commissione aveva predisposto i quesiti da sottoporre ai concorrenti per l’interrogazione il giorno antecedente alla prova orale.
L’articolo 12 del d.P.R. n. 487/1994, rubricato “Trasparenza amministrativa nei procedimenti concorsuali” stabilisce che “Le commissioni esaminatrici, alla prima riunione, stabiliscono i criteri e le modalità di valutazione delle prove concorsuali, da formalizzare nei relativi verbali, al fine di assegnare i punteggi attribuiti alle singole prove. Esse, immediatamente prima dell’inizio di ciascuna prova orale, determinano i quesiti da porre ai singoli candidati per ciascuna delle materie di esame. Tali quesiti sono proposti a ciascun candidato previa estrazione a sorte”.
La norma adotta una dizione ben precisa in relazione al “quando” la commissione è tenuta a definire i quesiti da sottoporre candidati nell’ambito delle materie contemplate dal bando, ovvero “immediatamente prima dell’inizio di ciascuna prova orale”.
Tale norma persegue una finalità di trasparenza dell’azione amministrativa per scongiurare il rischio che i quesiti possano essere portati a conoscenza di alcuni candidati prima dell’espletamento della prova con violazione del principio della par condicio (Consiglio di Stato, sent. n. 1567/2016; sent. n. 160/2008 e 4/2007).
Trattandosi di una regola procedimentale finalizzata alla tutela di inderogabili esigenze di trasparenza ed imparzialità, la sua mancata osservanza non costituisce una irregolarità meramente formale, bensì un vizio che incide sulla legittimità della fase concorsuale svolta successivamente alla fase colpita dal vizio (prova orale che si è svolta con quesiti illegittimamente predisposti il giorno prima), con teorica possibilità di rinnovazione dei segmenti procedimentali successivi. Self-entilocali.it/2018/11/08
Concorsi pubblici, in vigore il nuovo regolamento. Da lentepubblica.it 17 Luglio 2023
Il nuovo regolamento, che stabilisce nuove misure destinate alle procedure nei concorsi pubblici, è entrato in vigore: ecco cosa cambia.
Sono già a regime le nuove norme sull’accesso agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni e le modalità di svolgimento dei concorsi, dei concorsi unici e delle altre forme di assunzione nel pubblico impiego.
Scopriamo dunque quali sono tutte le novità.
Indice dei contenuti
Concorsi pubblici, in vigore il nuovo regolamento
Concorsi su base territoriale
Tetto agli idonei
Pubblicazione bandi
Rappresentatività di genere
Prova orale
I manuali Simone per tutti i concorsi pubblici
Il testo completo del nuovo regolamento
Concorsi pubblici, in vigore il nuovo regolamento
Le nuove misure sono entrate ufficialmente in vigore il 14 luglio. Il testo contiene la disciplina regolamentare che le amministrazioni sono tenute ad applicare nell’espletamento delle procedure concorsuali.
L’intervento si inquadra nell’ambito di una riforma di sistema che interessa la pubblica amministrazione, con l’obiettivo di realizzare un ampio disegno volto alla riforma della capacità amministrativa della pubblica amministrazione e al raggiungimento degli obiettivi negoziati con la Commissione Europea nell’ambito del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR).
Concorsi su base territoriale
In primo luogo i concorsi unici potranno essere organizzati su base territoriale.
In sostanza, chi partecipa a un concorso pubblico, anche se bandito su base nazionale, potrà scegliere la Regione per cui partecipare e potrà concorrere solo per quella.
Potranno esserci degli slittamenti da un ambito territoriale all’altro, solo se in una non vi saranno abbastanza candidati idonei. Però, il trasferimento potrà avvenire solo tra Regioni confinanti.
Tetto agli idonei
Ed ancora, l’amministrazione potrà coprire i posti non assegnati mediante scorrimento delle graduatorie degli idonei non vincitori dello stesso profilo in altri ambiti territoriali confinanti con il maggior numero di idonei.
Nei concorsi pubblici saranno considerati idonei i candidati collocatisi, nella graduatoria finale, entro il 20% dei posti successivi all’ultimo di quelli banditi.
In caso di rinuncia all’assunzione o di dimissioni del lavoratore entro 6 mesi dall’assunzione, l’amministrazione potrà procedere allo scorrimento della graduatoria.
Pubblicazione bandi
I bandi per i concorsi pubblici saranno pubblicati sul Portale inPA, il portale per il reclutamento del personale della Pubblica Amministrazione e sul sito dell’ente che organizzerà il concorso.
Rappresentatività di genere
In una nota della Funzione Pubblica, si evidenzia che sarà data una particolare attenzione alla rappresentatività di genere, con l’obiettivo di eliminare qualsiasi forma di discriminazione.
Sono previste anche delle speciali tutele per le donne in stato di gravidanza o di allattamento.
Prova orale
Fino al 31 dicembre 2026, i bandi di concorso, per profili non apicali, potranno prevedere solo lo svolgimento della prova scritta, eliminando il colloquio orale.
Prova orale nei concorsi pubblici. Sorteggio delle domande e svolgimento della prova orale in un’aula aperta al pubblico. Studio Legale Gallone & Urso il 13 Marzo 2019
In questo periodo si stanno svolgendo le prove selettive di diverse procedure concorsuali, tra cui quelle per la selezione di docenti nella scuola pubblica e quelle per dirigenti medici ed infermieri. In diverse occasioni le commissioni esaminatrici hanno proceduto allo svolgimento delle prove orali, o colloqui, in palese violazione della specifica normativa sullo svolgimento dei concorsi pubblici. In particolare si fa riferimento al D.P.R. 487/1994 e, per quanto concerne il personale sanitario, anche ai D.P.R. 483/1997 e D.P.R. 220/2001, i quali sanciscono il principio inderogabile ed immodificabile secondo cui la commissione esaminatrice, prima della prova orale, formula i quesiti da sottoporre ai candidati, che dovranno essere somministrati ai candidati mediante estrazione a sorte. In nessun caso, quindi, la commissione esaminatrice di un pubblico concorso può evitare il sorteggio delle domande da porre ai candidati, e ciò, a prescindere da qualsiasi motivazione addotta dalla stessa. La giurisprudenza amministrativa ha più volte chiarito che la regola del sorteggio delle domande è una regola generale ed inderogabile a garanzia della trasparenza delle prove concorsuali. Al fine di invalidare le prove orali, quindi, non occorre provare altro. In caso di mancato sorteggio delle domande la prova orale è radicalmente viziata e deve sempre essere annullata e ripetuta.
Sempre con riferimento alla prova orale, il problema ha investito anche la possibilità per la commissione esaminatrice di far svolgere le prove in aule non aperte al pubblico. Anche questo contrasta nettamente con quanto previsto dalla suindicata normativa, e pertanto, la giurisprudenza amministrativa ha chiarito che anche in tale ipotesi le prove orali siano irrimediabilmente viziate, e come tali vadano annullate e ripetute. E’ accaduto più volte che la commissione esaminatrice impedisse ai candidati in attesa di sostenere la prova orale di assistere alle prove dei colleghi, con la motivazione di voler impedire che gli stessi potessero essere avvantaggiati dal fatto di ascoltare in anticipo domande poi ripetute. Il Consiglio di Stato, confermando una pronuncia di primo grado, ha ribadito che le prove orali di qualsiasi procedura concorsuale debbano sempre svolgersi in un’aula aperta al pubblico in modo che chiunque possa assistervi. Di conseguenza, nel caso in cui la commissione esaminatrice chieda ai candidati in attesa di essere esaminati di attendere il loro turno in una stanza separata, pone in essere un comportamento certamente illegittimo e, in caso di bocciatura, il candidato potrà senza dubbio ottenere l’annullamento di tale bocciatura dinnanzi al tribunale amministrativo competente.
Se avete un problema simile o che comunque concerne la tematica dei concorsi pubblici, non esitate a contattarci per una consulenza personalizzata.
Diritto del candidato assistere alle prove orali di concorsi. Il Consiglio di Stato, con sentenza n°1626 del 27/03/2015, ha chiarito che è diritto del candidato e di terzi estranei accedere alle aule di concorso durante le prove orali.
Il candidato che ha già sostenuto la prova o deve ancora sostenere il colloquio, ha il diritto di presenziare alle prove degli altri candidati sia per assicurarsi dello svolgimento della prova, sia per verificare il corretto operare della Commissione.
Antonio Giangrande: la prova orale, madre si tutte le arroganze e presunzioni. In sede di esame orale ti trovi di fronte una schiera di Commissari di esame che fanno sfoggio della loro sapienza rispetto a te e rispetto a loro stessi. L’oggetto dell’esame non verte sulla tua perizia rispetto alle materie esaminandi, ma sulla capacità di metterti in difficoltà rispetto alla loro presunzione di saperne più di te e del loro collega. Tu che hai superato a pieni voti lo scritto ti trovi di fronte una barriera di contestazioni, di approssimazioni, di fuorvianze, che ti inceppano i ricordi e che minano il tuo stato psicologico. Se invece sei un amico o conoscente, o meglio, un raccomandato, tutto cambia. Le domande sono benevole, o i voti sono in contrasto con la scena muta. Meglio allora se non si fanno più le prove orali.
Antonio Giangrande: Dove si sentono alti anche i nani e dove anche i marescialli si sentono generali, non conta quanti passi fai e quali scarpe indossi, ma conta quante tracce lasci del tuo percorso.
Antonio Giangrande: Diritto del candidato assistere alle prove orali di concorsi. Il Consiglio di Stato, con sentenza n°1626 del 27/03/2015, ha chiarito che è diritto del candidato e di terzi estranei accedere alle aule di concorso durante le prove orali.
Il candidato che ha già sostenuto la prova o deve ancora sostenere il colloquio, ha il diritto di presenziare alle prove degli altri candidati sia per assicurarsi dello svolgimento della prova, sia per verificare il corretto operare della Commissione.
Antonio Giangrande: la prova orale, madre si tutte le arroganze e presunzioni. In sede di esame orale ti trovi di fronte una schiera di Commissari di esame che fanno sfoggio della loro sapienza rispetto a te e rispetto a loro stessi. L’oggetto dell’esame non verte sulla tua perizia rispetto alle materie esaminandi, ma sulla capacità di metterti in difficoltà rispetto alla loro presunzione di saperne più di te e del loro collega. Tu che hai superato a pieni voti lo scritto ti trovi di fronte una barriera di contestazioni, di approssimazioni, di fuorvianze, che ti inceppano i ricordi e che minano il tuo stato psicologico. Se invece sei un amico o conoscente, o meglio, un raccomandato, tutto cambia. Le domande sono benevole, o i voti sono in contrasto con la scena muta. Meglio allora se non si fanno più le prove orali.
I miei concorsi come Comandante dei Vigili Urbani.
18/11/1999. Concorso di Comandante del Corpo di Polizia Municipale di Manduria. Candidati oltre 300. 5° allo scritto, all’orale preceduto da chi aveva indetto e regolato il concorso.
22/05/2023. Iscritto nell’elenco Asmelab degli aspiranti Comandanti della Polizia Locale, dopo aver superato l’esame scritto per presentare interpello all’orale delle Pubbliche Amministrazioni richiedenti, o scritto se troppi interpellanti.
10/07/2023. Comune di Venosa, aspiranti Comandanti della Polizia Locale, interpellanti 229, partecipanti alla prova scritta 120, posizionato 5°, esame orale pubblico a Venosa il 14/07/2023. Preceduto.
06/09/2023. Comune di Gattinara, aspiranti Comandanti della Polizia Locale, interpellanti 76, posizionato 5° IDONEO, esame orale pubblico a Gattinara il 18/09/2023. Preceduto ingiustamente.
02/10/2023. Comune di Anacapri, aspiranti Comandanti della Polizia Locale, interpellanti 249. Preceduto. A tutti sono poste due domande secche: una obbligatoria sugli appalti pubblici. Nessuno ha saputo rispondere in modo esauriente, meno che uno...
10/10/2023. Comune di Vigliano Biellese, aspiranti Comandanti della Polizia Locale, interpellanti 53. Preceduto. Commissione: non idonea.10/10/2023. Comune di Vigliano Biellese, aspiranti Comandanti della Polizia Locale, interpellanti 53. Preceduto. Commissione: non idonea. I nomi dovrebbero essere omessi per l’oblio meritato.
COMUNE DI VIGLIANO BIELLESE
Determinazione N. 474 del
Data di registrazione 5/10/2023
Oggetto: Bando di interpello “elenco Idonei” di A.S.M.E.L. per la copertura di un posto a tempo pieno e indeterminato di Funzionario di Vigilanza (ex cat. D) – Nomina Commissione Giudicatrice.
Il Titolare della posizione organizzativa.
Il Sottoscritto dott. Francesco Cammarano – Segretario Comunale – Responsabile del Servizio Personale
Determina
Di nominare membri della Commissione di interpello pubblico, per la copertura di n. 1 posto a tempo pieno e indeterminato di Funzionario di Vigilanza (ex cat. D) le persone sotto indicate e con la funzione a fianco specificata.
– Dott. Francesco Cammarano – Presidente
Segretario Comunale – Responsabile del Personale
Comm. Emanuela Scarpa – membro esperto
Comandante della Polizia Locale del Comune di Vigliano Biellese
Dott. Palmino Camerlo – membro esperto
Avvocato ed ex Comandante di Polizia Locale
….
Di corrispondere ai membri esterni il compenso di euro 500,00 ciascuno.
Prima domanda. Il sindaco comunica al comandante che l'acqua è inquinata.
Risposta articolata qui riassunta: ordinanza contingente e necessaria a tutela dei cittadini impedendone l'uso. Ordinanza-ingiunzione contro il responsabile che cessi e relative sanzioni.
Il comandante avvisa il pm del reato che persegue il responsabile.
Seconda domanda. La pattuglia interviene per un sinistro con lesioni e un fuggitivo ed avvisano il comandante.
Risposta: l'ufficio verifica la fondatezza della segnalazione e chiama i soccorsi, facendo intervenire la pattuglia. La pattuglia dà assistenza al ferito e verifica le circostanze del fatto e assicura i mezzi di prova per l’individuazione del fuggitivo. Svolge le indagini per omissione di soccorso, e da accertare la responsabilità delle lesioni, e cerca di trarre identità dagli elementi raccolti. Inoltre verifica la responsabilità attraverso l'analisi degli elementi atmosferici, dell'auto, della strada e del l'alcol test del ferito, possibile responsabile. Si chiama il comandante perché è Pubblico Ufficiale che tiene i rapporti con l’autorità Giudiziaria. Gli agenti diventano Pubblici Ufficiali solo per espressa delega particolare del Comandante.
Terza domanda. Un medico redige referto più grave di quello del collega del primo intervenuto in seguito ad un sinistro con lesioni, ma non comunica al pm.
Sono tracce da esame di abilitazione di avvocato, non sono domande secche. Per cui io ho risposto in base alla mia esperienza e preparazione professionale di ex agente assicurativo ed ex avvocato. Quindi si va oltre le materie indicate in esame e si va oltre la competenza degli esaminatori.
Uno risponde per quel poco o tanto sa, non per quel tanto o poco che i commissari sanno e vogliono sentire.
Per me è omissione di atti di ufficio o di Referto perché le parole sono importanti nell’interpretazione dei fatti.
Il medico non comunica. Significa che aveva l’obbligo di comunicare e non l’ha fatto. Obbligo nascente dalla richiesta del Pubblico Ministero o dalle leggi. Non si dice: ha dimenticato, o non conosceva la legge che lo obbligava. Non ha comunicato. E’ reato proprio doloso, in quanto non voleva farlo per coprire il collega per falso ideologico o il responsabile della lesione, o per altri suoi motivi. E comunque si risponde alle domande da collaboratori del Pubblico Ministero, quindi dell’accusa, e non da avvocato che cerca la scriminante.
Invece per chi si ergeva più esperto degli altri, mi costringeva a dire che fosse un reato colposo. Questo se ne viene fuori con la colpa. Basata su quale reato non so. Non c'è omissione e/o falso colposo.
Naturalmente le tre risposte condite con eloquente e corposa disamina. Ma loro non cercano l’esperto, cercano il burocrate.
Cass. Pen., Sez. VI, 2 novembre 2020, n. 30456 in tema di omissione di referto
DI AVV. MARIA VITTORIA MAGGI · PUBBLICATO 10/01/2021 · AGGIORNATO 04/01/2021
La massima.
“In tema di omissione di referto, l’esercente una professione sanitaria che accerti l’aggravamento delle lesioni personali conseguenti ad un incidente stradale, tali da integrare il reato procedibile d’ufficio ai sensi dell’art. 590-bis cod. pen., ha l’obbligo di informarne l’autorità giudiziaria, a nulla rilevando che, sulla base di una precedente diagnosi, effettuata da un medico diverso, fosse stata indicata una prognosi meno grave, rispetto alla quale il reato sarebbe stato procedibile a querela” (Cass. Pen., Sez. VI, 2 novembre 2020, n. 30456).
Il caso.
Con sentenza del 4 luglio 2019, il Tribunale di Grosseto assolveva l’imputato dal reato di cui all’art. 365 c.p., perché il fatto non costituisce reato. Il Tribunale, in particolare, rilevava che, con riguardo alle lesioni stradali, il sanitario non ha l’obbligo di referto quanto alla prognosi secondaria, rispetto ad una prima prognosi da altri espressa. Il Tribunale evidenziava che quanto sostenuto valeva anche nel caso in cui la somma dei giorni facesse pervenire ad un periodo di malattia superiore a 40 giorni.
Il P.M. presso il Tribunale di Grosseto presentava ricorso avverso la sentenza del Giudice di Prime Cure, deducendo la violazione dell’art. 365 c.p.. L’assunto che l’obbligo di referto debba essere riferito solo alla notizia di reato, perseguibile d’ufficio ed appresa originariamente, e non al sopravvenuto regime di procedibilità, deve ritenersi erroneo. Secondo il ricorrente, infatti, rispetto al delitto di lesioni stradali l’obbligo sorgeva in capo al medico che aveva rilasciato il certificato con cui si superava la prognosi di quaranta giorni, venendo in rilievo un reato diverso, perseguibile d’ufficio.
Ad avviso della Corte di Cassazione, il ricorso presentato dal P.M. è fondato.
La motivazione.
La Corte di Cassazione ha precisato in motivazione che “il delitto di omissione di referto, che ha natura di reato di pericolo, in quanto volto ad assicurare il corretto andamento dell’amministrazione della giustizia attraverso l’invio alla A.G. competente della notizia qualificata di un reato, includente elementi tecnici essenziali ai fini dello svolgimento delle indagini e
dell’esercizio dell’azione penale, è ravvisabile con riguardo ad una condotta omissiva, che risulta apprezzabile nel momento in cui il sanitario viene a trovarsi di fronte ad un caso che può presentare i connotati di un reato perseguibile d’ufficio, dovendosi inoltre valutare se il sanitario abbia avuto conoscenza di elementi di fatto dai quali desumere in termini di astratta possibilità la configurabilità di un simile delitto e abbia avuto la coscienza e volontà di omettere o ritardare il referto”.
Orbene, nel caso di specie la Corte constatava che l’imputato avesse avuto effettivamente contezza di un periodo di guarigione superiore a quaranta giorni, tale da rendere configurabile il delitto di lesioni stradali gravi, di cui all’art. 590-bis c.p..
Per questo motivo, la valutazione del Giudice di primo grado doveva ritenersi erronea. Il primo approccio alla notizia di reato, infatti, non esonera dall’obbligo sopraggiunto di referto. Al contrario, ciò che rileva – ai fini della configurabilità del delitto di cui all’art. 365 c.p. – è che la prestazione sanitaria abbia messo l’esercente nella posizione di avvedersi di un reato procedibile d’ufficio, tale da imporre la redazione del referto.
La Corte di Cassazione, nondimeno, ha osservato che nel caso di specie non si trattava di mero mutamento del regime di procedibilità, bensì della cognizione di un reato diverso, cioè l’autonomo reato di lesioni stradali gravi, in relazione al quale l’obbligo di referto era specificamente insorto al manifestarsi di un diverso periodo di guarigione.
Sulla base di quanto sostenuto è disceso l’annullamento della sentenza impugnata, con rinvio alla Corte di appello di Firenze ai sensi dell’art. 569, co. 4, c.p.p..
Avv. Maria Vittoria Maggi
Avvocato penalista, esperta in Scienze Forensi, Vice Responsible dell’area di Criminologia di Ius in Itinere.
Che delusione i colleghi che come iene tifano per la tua bocciatura, anche se ingiusta.
Poi ci sono loro. Gli occupati che per sfizio o per ambizione, cercano di vincere questo concorso. Non capisco come si possa lasciare un incarico sicuro della stessa mansione per un altro che ha la spada della prova dei 6 mesi.
Antonio Giangrande: Nei Concorsi Pubblici ci sono due tipi di prove scritte:
Quella con risposte uniche e motivate, la cui correzione è, spesso, lunga, farraginosa e fatta da commissioni clientelari, familistici e incompetenti che non correggono o correggono male non avendo il tempo necessario o la preparazione specifica e che promuovono secondo fortuna o raccomandazione.
Quella con domande multiple, spesso, incoerenti con la competenza richiesta, ma che garantiscono velocità di correzione e uniformità di giudizio.
Chi è abituato all’aiutino disdegna i quiz, in cui non si può intervenire, se non conoscendoli in anticipo.
ANTONIO GIANGRANDE: VI SPIEGO COME IN ITALIA SI TRUCCANO I CONCORSI PUBBLICI.
In Italia tutti sanno che i concorsi pubblici sono truccati e nessuno fa niente, tantomeno i magistrati. Gli effetti sono che non è la meritocrazia a condurre le sorti del sistema Italia, ma l'incompetenza e l'imperizia. Non ci credete o vi pare un’eresia? Basta dire che proprio il Consiglio Superiore della Magistratura, dopo anni di giudizi amministrativi, è stato costretto ad annullare un concorso già effettuato per l’accesso alla magistratura. Ed i candidati ritenuti idonei? Sono lì a giudicare indefessi ed ad archiviare le denunce contro i concorsi truccati. E badate, tra i beneficiari del sistema, vi sono nomi illustri.
IL VADEMECUM DEL CONCORSO PUBBLICO TRUCCATO.
INDIZIONE DEL CONCORSO: spesso si indice un concorso quando i tempi sono maturi per soddisfare da parte dei prescelti i requisiti stabiliti (acquisizione di anzianità, titoli di studio, ecc.). A volte chi indice il concorso lo fa a sua immagine e somiglianza (perché vi partecipa personalmente come candidato). Spesso si indice il concorso quando non vi sono candidati (per volontà o per induzione), salvo il prescelto. Queste anomalie sono state riscontrate nei concorsi pubblici tenuti presso le Università e gli enti pubblici locali.
COMMISSIONE D’ESAME: spesso a presiedere la commissione d’esame sono personalità che hanno una palese incompatibilità. Per esempio nella commissione d’esame centrale presso il Ministero della Giustizia del concorso di avvocato è stato nominato presidente colui il quale non poteva, addirittura, presiedere la commissione locale di Corte d’Appello. Cacciato in virtù della riforma (decreto-legge 21 maggio 2003, n. 112, coordinato con la legge di conversione 18 luglio 2003, n. 180). Spesso le commissioni d'esame sono mancanti delle componenti necessarie per la valutazione tecnica della materia d'esame. Le Commissioni d’esame hanno sempre e comunque interessi amicali, familistiche e clientelari. Seguendo una crescente letteratura negli ultimi anni abbiamo messo in relazione l'età di iscrizione all'albo degli avvocati con un indice di frequenza del cognome nello stesso albo. In particolare, per ogni avvocato abbiamo calcolato la frequenza del cognome nell'albo, ovvero il rapporto tra quante volte quel cognome vi appare sul totale degli iscritti, in relazione alla frequenza dello stesso cognome nella popolazione. In media, il cognome di un avvocato appare nell'albo 50 volte di più che nella popolazione. Chi ha un cognome sovra-rappresentato nell'albo della sua provincia diventa avvocato prima. Infine vi sono commissioni che, quando il concorso è a numero aperto, hanno tutto l’interesse a limitare il numero di idonei per limitare la concorrenza: a detta dell’economista Tito Boeri: «Nelle commissioni ci sono persone che hanno tutto da perderci dall'entrata di professionisti più bravi e più competenti».
I CONCORSI FARSA: spesso i concorsi vengono indetti per sanare delle mansioni già in essere, come il concorso truffa a 1.940 posti presso l'INPS, bandito per sistemare i lavoratori socialmente utili già operanti presso l'Ente.
LE PROVE D’ESAME: spesso sono conosciute in anticipo. A volte sono pubblicate su internet giorni prima, come è successo per il concorso degli avvocati, dei dirigenti scolastici, o per l’accesso alle Università a numero chiuso (medicina), ovvero, come succede all’esame con più sedi (per esempio all’esame forense o per l’Agenzia delle Entrate, le tracce sono conosciute tramite cellulari o palmari in virtù del tardivo inizio delle prove in una sede rispetto ad altre. Si parla di ore di ritardo tra una sede ed un’altra). A volte le tracce sono già state elaborate in precedenza in appositi corsi, così come è successo all’esame di notaio. A volte le prove sono impossibili, come è successo al concorsone pubblico per insegnanti all'estero: 40 quesiti a risposta multipla dopo averli cercati, uno ad uno, in un volume di oltre 4mila che i partecipanti alla selezione hanno visto per la prima volta, leggere quattro testi in lingua straniera e rispondere alle relative domande. Il tutto nel tempo record di 45 minuti, comprese parti di testo da tradurre. Quasi 1 minuto a quesito.
MATERIALE CONSULTABILE: spesso, come al concorso di magistrato o di avvocato dello Stato ed in tutto gli altri concorsi, ad alcuni è permessa la consultazione di materiale vietato (codici commentati, fogliettini, fin anche compiti elaborati dagli stessi commissari) fino a che non scoppia la bagarre. Spesso, come succede al concorso di avvocato, sono proprio i commissari a dettare il parere da scrivere sull’elaborato, tale da rendere le prove dei candidati uniformi e nonostante ciò discriminati in sede di correzione.
IL MATERIALE CONSEGNATO: il compito dovrebbe essere inserito in una busta da sigillare contenente un’altra busta chiusa con inserito il nome del candidato. Non ci dovrebbero essere segni di riconoscimento. Non è così come insegna il concorso di notaio. Oltre ai segni di riconoscimento posti all’interno (nastri), i commissari firmano in modo diverso i lembi di chiusura della busta grande consegnata.
LA CORREZIONE DEGLI ELABORATI. Quanto già indicato sono i trucchi che i candidati possono vedere ed eventualmente denunciare. Quanto avviene in sede di correzione è lì la madre di tutte le manomissioni. Proprio perchè nessuno vede. La norma prevede che la commissione d’esame (tutti i componenti) partecipi alle fasi di:
• apertura della busta grande contenente gli elaborati;
• lettura del tema da parte del relatore ed audizione degli altri membri;
• correzione degli errori di ortografia, sintassi e grammatica;
• richiesta di chiarimenti, valutazione dell'elaborato affinchè le prove d’esame del ricorrente evidenzino un contesto caratterizzato dalla correttezza formale della forma espressiva e dalla sicura padronanza del lessico giuridico, anche sotto il profilo più strettamente tecnico-giuridico, e che anche la soluzione delle problematiche giuridiche poste a base delle prove d’esame evidenzino un corretto approccio a problematiche complesse;
• consultazione collettiva, interpello e giudizio dei singoli commissari, giudizio numerico complessivo, motivazione, sottoscrizione;
• apertura della busta piccola contenete il nome del candidato da abbinare agli elaborati corretti;
• redazione del verbale.
Queste sono solo fandonie normative. Di fatto si apre prima la busta piccola, si legge il nome, se è un prescelto si dà agli elaborati un giudizio positivo, senza nemmeno leggerli. Quando i prescelti sono pochi rispetto al numero limite di idonei stabilito illegalmente, nonostante il numero aperto, si aggiungono altri idonei diventati tali “a fortuna”.
In effetti, con migliaia di ricorsi al TAR si è dimostrato che i giudizi resi sono inaffidabili. La carenza, ovvero la contraddittorietà e la illogicità del giudizio negativo reso in contrapposizione ad una evidente assenza o rilevanza di segni grafici sugli elaborati, quali glosse, correzioni, note, commenti, ecc., o comunque la infondatezza dei giudizi assunti, tale da suffragare e giustificare la corrispondente motivazione indotta al voto numerico. Tutto ciò denota l’assoluta discrasia tra giudizio e contenuto degli elaborati, specie se la correzione degli elaborati è avvenuta in tempi insufficienti, tali da rendere un giudizio composito. Tempi risibili, tanto da offendere l’umana intelligenza. Dai Verbali si contano 1 o 2 minuti per effettuare tutte le fasi di correzione, quando il Tar di Milano ha dichiarato che ci vogliono almeno 6 minuti solo per leggere l’elaborato. La mancanza di correzione degli elaborati ha reso invalido il concorso in magistratura. Per altri concorsi, anche nella stessa magistratura, il ministero della Giustizia ha fatto lo gnorri e si è sanato tutto, alla faccia degli esclusi. Già nel 2005 candidati notai ammessi agli orali nonostante errori da somari, atti nulli che vengono premiati con buoni voti, mancata verbalizzazione delle domande, elaborati di figli di professionisti ed europarlamentari prima considerati "non idonei" e poi promossi agli orali. Al Tg1 Rai delle 20.00 del 1 agosto 2010 il conduttore apre un servizio: esame di accesso in Magistratura, dichiarati idonei temi pieni zeppi di errori di ortografia. La denuncia è stata fatta da 60 candidati bocciati al concorso 2008, che hanno spulciato i compiti degli idonei e hanno presentato ricorso al TAR per manifesta parzialità dei commissari con abuso del pubblico ufficio. Riguardo la magistratura, l’avvocato astigiano Pierpaolo Berardi, classe 1964, per anni ha battagliato per far annullare il concorso per magistrati svolto nel maggio 1992. Secondo Berardi, infatti, in base ai verbali dei commissari, più di metà dei compiti vennero corretti in 3 minuti di media (comprendendo “apertura della busta, verbalizzazione e richiesta chiarimenti”) e quindi non “furono mai esaminati”. I giudici del tar gli hanno dato ragione nel 1996 e nel 2000 e il Csm, nel 2008, è stato costretto ad ammettere: “Ci fu una vera e propria mancanza di valutazione da parte della commissione”. Giudizio che vale anche per gli altri esaminati. In quell’esame divenne uditore giudiziario, tra gli altri, proprio Luigi de Magistris, giovane Pubblico Ministero che si occupò inutilmente del concorso farsa di abilitazione forense a Catanzaro: tutti i compiti identici e tutti abilitati. O ancora l'esame di ammissione all'albo dei giornalisti professionisti del 1991, audizione riscontrabile negli archivi di radio radicale, quando la presenza di un folto gruppo di raccomandati venne scoperta per caso da un computer lasciato acceso nella sala stampa del Senato proprio sul file nel quale il caposervizio di un'agenzia, commissario esaminatore, aveva preso nota delle prime righe dei temi di tutti quelli da promuovere. E ancora lo scandalo denunciato da un’inchiesta del 14 maggio 2009 apparsa su “La Stampa”. A finire sotto la lente d’ingrandimento del quotidiano torinese l’esito del concorso per allievi per il Corpo Forestale. Tra i 500 vincitori figli di comandanti, dirigenti, uomini di vertice. La casualità ha voluto, inoltre, che molti dei vincitori siano stati assegnati nelle stazioni dove comandano i loro genitori. Una singolare coincidenza che diventa ancor più strana nel momento in cui si butta un occhio ad alcuni “promemoria”, sotto forma di pizzini, ritrovati nei corridoi del Corpo forestale e in cui sono annotati nomi, cognomi, date di nascita e discendenze di alcuni candidati. «Per Alfonso, figlio di Rosetta», «Per Emidio, figlio di Cesarina di zio Antonio», «Per Maria, figlia di Raffaele di zia Maria». Piccole annotazioni, certo. Il destino, però, ha voluto che le tutte persone segnalate nei pizzini risultassero vincitrici al concorso.
GLI ESCLUSI, RIAMMESSI. Candidati che sono stati esclusi dalla prova per irregolarità, come è successo al concorso per Dirigenti scolastici, o giudicati non idonei, che poi si presentano regolarmente agli orali. L’incipit della confidenza di Elio Belcastro, parlamentare dell’Mpa di Raffaele Lombardo, pubblicata su "Il Giornale". Belcastro ci fa subito capire, scandendo bene le parole, che Tonino non era nemmeno riuscito a prenderlo quel voto, minimo. «Tempo fa l’ex procuratore capo di Roma, Felice Filocamo, che di quella commissione d’esami era il segretario, mi ha raccontato che quando Carnevale si accorse che i vari componenti avevano bocciato Di Pietro, lo chiamò e si arrabbiò molto. Filocamo fu costretto a tornare in ufficio, a strappare il compito del futuro paladino di Mani pulite e a far sì che, non saprei dire come, ottenesse il passaggio agli orali, seppur con il minimo dei voti». Bocciato e ripescato? Magistrato per un falso? Possibile? Non è l'unico caso. Era già stato giudicato non idoneo, ma in una seconda fase sarebbero saltati fuori degli strani fogli aggiuntivi che prima non c’erano. Ecco come sarebbe sorto il sospetto che qualcuno li avesse inseriti per “salvare” il candidato già bocciato, in modo da giustificare una valutazione diversa oppure da consentire un successivo ricorso al TAR. I maggiori quotidiani nazionali e molti locali, ed anche tanti periodici, si sono occupati di tale gravissimo fatto, e che è stato individuato con nome e cognome il magistrato (una donna) in servizio a Napoli quale autore del broglio accertato. Per tale episodio il CSM ha deciso di sospendere tale magistrato dalle funzioni e dallo stipendio. In quella sessione a fronte di 350 candidati ammessi alle prove orali pare che oltre 120 siano napoletani, i quali sembrano avere particolari attitudini naturali verso le scienze giuridiche e che sembrano essere particolarmente facilitati nel loro cammino anche dalla numerosa presenza nella commissione di esami di magistrati e professori napoletani.
TUTELA GIUDIZIARIA. Un ricorso al TAR non si nega a nessuno: basta pagare la tangente delle spese di giudizio. Per veder accolto il ricorso basta avere il principe del Foro amministrativo del posto; per gli altri non c’è trippa per gatti. Cavallo di battaglia: mancanza della motivazione ed illogicità dei giudizi. Nel primo caso, dovendo accertare un’ecatombe dei giudizi, la Corte Costituzionale, con sentenza 175 del 2011, ha legittimato l’abuso delle commissioni: “buon andamento, economicità ed efficacia dell’azione amministrativa rendono non esigibile una dettagliata esposizione, da parte delle commissioni esaminatrici, delle ragioni sottese ad un giudizio di non idoneità, sia per i tempi entro i quali le operazioni concorsuali o abilitative devono essere portate a compimento, sia per il numero dei partecipanti alle prove”. Così la Corte Costituzionale ha sancito, il 7 giugno 2011, la legittimità costituzionale del cd. “diritto vivente”, secondo cui sarebbe sufficiente motivare il giudizio negativo, negli esami di abilitazione, con il semplice voto numerico. La Corte Costituzionale per ragion di Stato (tempi ristretti ed elevato numero) afferma piena fiducia nelle commissioni di esame (nonostante la riforma e varie inchieste mediatiche e giudiziarie ne minano la credibilità), stabilendo una sorta d’infallibilità del loro operato e di insindacabilità dei giudizi resi, salvo che il sindacato non promani in sede giurisdizionale. I candidati, quindi, devono sperare nel Foro presso cui vi sia tutela della meritocrazia ed un certo orientamento giurisprudenziale a favore dei diritti inviolabili del candidato, che nella massa è ridimensionato ad un semplice numero, sia di elaborato, sia di giudizio. Giudizi rapidi e sommari, che spesso non valorizzano le capacità tecniche e umane che da un’attenta lettura dell’elaborato possono trasparire. Fatto assodato ed incontestabile il voto numerico, quale giudizio e motivazione sottesa. Esso deve, però, riferire ad elementi di fatto corrispondenti che supportino quel voto. Elementi di fatto che spesso mancano o sono insussistenti. All'improvvida sentenza della Corte Costituzionale viene in soccorso la Corte di Cassazione. Il sindacato giurisdizionale di legittimità del giudice amministrativo sulle valutazioni tecniche delle commissioni esaminatrici di esami o concorsi pubblici (valutazioni inserite in un procedimento amministrativo complesso nel quale viene ad iscriversi il momento valutativo tecnico della commissione esaminatrice quale organo straordinario della pubblica amministrazione), è legittimamente svolto quando il giudizio della commissione esaminatrice è affetto da illogicità manifesta o da travisamento del fatto in relazione ai presupposti stessi in base ai quali è stato dedotto il giudizio sull'elaborato sottoposto a valutazione. In sostanza il TAR può scendere sul terreno delle valutazioni tecniche delle commissioni esaminatrici per l’accesso a una professione o in un concorso pubblico, quando il giudizio è viziato da evidente illogicità e da travisamento del fatto. Ad affermare l’importante principio di diritto sono le Sezioni Unite della Cassazione con sentenza n. 8412, depositata il 28 maggio 2012. Insomma, la Cassazione afferma che le commissioni deviano il senso della norma concorsuale.
Certo che a qualcuno può venire in mente che comunque una certa tutela giuridica esiste. Sì, ma dove? Ma se già il concorso al TAR è truccato. Nel 2008 un consigliere del Tar trombato al concorso per entrare nel Consiglio di Stato, si è preso la briga di controllare gli atti del giorno in cui sono state corrette le sue prove, scoprendo che i cinque commissari avevano analizzato la bellezza di 690 pagine. "Senza considerare la pausa pranzo e quella della toilette, significa che hanno letto in media tre pagine e mezzo in 60 secondi. Un record da guinness, visto che la materia è complessa", ironizza Alessio Liberati. Che ha impugnato anche i concorsi del 2006 e del 2007: a suo parere i vincitori hanno proposto stranamente soluzioni completamente diverse per la stessa identica sentenza. Il magistrato, inoltre, ha sostenuto che uno dei vincitori, Roberto Giovagnoli, non aveva nemmeno i titoli per partecipare al concorso. Mentre il Governo rifiuta da mesi di rispondere alle varie interrogazioni parlamentari sul concorso delle mogli (il concorso per magistrati Tar vinto da Anna Corrado e Paola Palmarini, mogli di due membri dell’organo di autogoverno che ne nominò la commissione) si è svolto un altro – già discusso – concorso per l’accesso al Tar. Nonostante l’organo di autogoverno dei magistrati amministrativi (Consiglio di Presidenza – Cpga) si sia stretto in un imbarazzante riserbo, che davvero stride con il principio di trasparenza che i magistrati del Tar e del Consiglio di Stato sono preposti ad assicurare controllando l’operato delle altre amministrazioni, tra i magistrati amministrativi si vocifera che gli elaborati scritti del concorso sarebbero stati sequestrati per mesi dalla magistratura penale, dopo aver sorpreso un candidato entrato in aula con i compiti già svolti, il quale avrebbe già patteggiato la pena. Dopo il patteggiamento la commissione di concorso è stata sostituita completamente ed è ricominciata la correzione dei compiti. Si è già scritto della incredibile vicenda processuale del dott. Enrico Mattei, fratello di Fabio Mattei (oggi membro dell’organo di autogoverno), rimesso “in pista” nel precedente concorso c.d. delle mogli grazie ad una sentenza del presidente del Tar Lombardia, assolutamente incompetente per territorio, che, prima di andare in pensione coinvolto dallo scandalo della c.d. cricca, si era autoassegnato il ricorso ed aveva ammesso a partecipare al concorso il Mattei, redigendo addirittura una sentenza breve (utilizzabile solo in caso di manifesta fondatezza), poco dopo stroncata dal Consiglio di Stato (sentenza n. 6190/2008), che ha rilevato perfino l’appiattimento lessicale della motivazione della decisione rispetto alle memorie difensive presentate dal Mattei. Dopo il concorso delle mogli e il caso Mattei, un altro concorso presieduto da Pasquale De Lise è destinato a far parlare di sé. Si sono infatti concluse le prove scritte del concorso per 4 posti a consigliere di Stato, presieduto da una altisonante commissione di concorso: il presidente del Consiglio di Stato (Pasquale De Lise), il presidente aggiunto del Consiglio di Stato (Giancarlo Coraggio), il presidente del Consiglio di Giustizia Amministrativa per la regione Sicilia (Riccardo Virgilio), il preside della facoltà di giurisprudenza (Carlo Angelici) ed un presidente di sezione della Corte di Cassazione (Luigi Antonio Rovelli). Ma anche il concorso al Consiglio di Stato non è immune da irregolarità. Tantissime le violazioni di legge già denunciate all’organo di autogoverno: area toilettes non sigillata e accessibile anche da avvocati e magistrati durante le prove di concorso, ingresso a prove iniziate di pacchi non ispezionati e asseritamente contenenti cibi e bevande, ingresso di estranei nella sala durante le prove di concorso, uscita dei candidati dalla sala prima delle due ore prescritte dalla legge, mancanza di firma estesa dei commissari di concorso sui fogli destinati alle prove, presenza di un solo commissario in aula. Tutti vizi, questi, in grado di mettere a rischio la validità delle prove.
Qual è l’organo deputato a giudicare, in caso di ricorso, sulla regolarità del concorso per consigliere di Stato? Il Consiglio di Stato… naturalmente!
Ecco perché urge una riforma dei concorsi pubblici. Riforma dove le lobbies e le caste non ci devono mettere naso. Ed ho anche il rimedio. Niente esame di abilitazione. Esame di Stato con la laurea specialistica. Attività professionale libera con giudizio del mercato o assunzione per nomina del responsabile politico o amministrativo che ne risponde per lui.
E' da vent'anni che studio il fenomeno dei concorsi truccati. Anche la fortuna fa parte del trucco, in quanto non è tra i requisiti di idoneità. Qualcuno si scandalizzerà. Purtroppo non sono generalizzazioni, ma un dato di fatto. E da buon giurista, consapevole del fatto che le accuse vanno provate, pur in una imperante omertà e censura, l’ho fatto. Invitando ad informarsi tutti coloro che, ignoranti o in mala fede, contestano una verità incontrovertibile, non mi rimane altro che attendere: prima o poi anche loro si ricrederanno e ringrazieranno iddio che esiste qualcuno con le palle che non ha paura di mettersi contro Magistrati ed avvocati. E sappiate, in tanti modi questi cercano di tacitarmi, con l’assistenza dei media corrotti dalla politica e dall’economia e genuflessi al potere. Ho perso le speranze. I praticanti professionali sono una categoria incorreggibile: so tutto mi, e poi non sanno un cazzo, pensano che essere nel gota, ciò garantisca rispetto e benessere. Che provino a prendere in giro chi non li conosce. Ripeto. La quasi totalità è con le pezze al culo e genuflessi ai Magistrati. Come avvoltoi a buttarsi sulle carogne dei cittadini nei guai e pronti a vendersi al miglior offerente. Non è vero? Beh! Chi esercita veramente sa che nei Tribunali, per esempio, vince chi ha più forza dirompente, non chi è preparato ed ha ragione. Amicizie e corruttele sono la regola. Naturalmente per parlare di ciò, bisogna farlo con chi lavora veramente, non chi attraverso l’abito, cerca di fare il monaco. Ho costituito un gruppo facebook per “ABOLIZIONE DEI CONCORSI TRUCCATI E LA LIBERALIZZAZIONE DELLE PROFESSIONI", in quanto parlare di liberalizzazione e di purificazione dell’esame di abilitazione o di accesso alle carriere pubbliche solo con i praticanti non porta da nessuna parte. Come sempre.
Dr Antonio Giangrande
Cisia: "Nessuna domanda del genere". De Luca e i test “demenziali” di medicina: “Viennetta, grattachecca, ci vuole la cura Singapore con frustino di bambù”. Redazione su Il Riformista il 30 Settembre 2023
Prosegue senza sosta la battaglia del governatore campano Vincenzo De Luca contro i test a numero chiuso per l’accesso alla facoltà di medicina. Nella consueta diretta social del venerdì, il presidente della regione legge alcune segnalazioni inviategli dai cittadini, sottolineando l’assurdità di alcune domande presenti nei test. “Continueremo la nostra battaglia fino in fondo. Vi invito a esprimere la vostra protesta e il vostro disprezzo per tutte le forze politiche che non si impegnassero subito a cancellare questa vergogna. La selezione è indispensabile ma va fatta sulle materie sanitarie e non su argomenti demenziali” attacca De Luca che ribadisce: “Col numero chiuso si relegano ai margini ragazzi che provengono da famiglie povere. E questa è una vergogna nella vergogna. Si costringono migliaia di giovani ad andare in depressione perché non si superano questi test. Se il governo e le forze politiche non cancelleranno il numero chiuso – continua – meriteranno il disprezzo dei cittadini italiani, avendo dimostrato di essere complici dell’affarismo. Dobbiamo assediare tutte le forze politiche e costringere tutti i politici a vergognarsi se non cancellano da subito il numero chiuso a Medicina. Fare la selezione su queste idiozie è un atto di infamia”.
Tornando alle domande “demenziali”, De Luca legge in diretta alcune segnalazioni inviate da cittadini: “Mia figlia ha trovato la domanda ‘Chi ha inventato la Viennetta Algida?'”. E, ancora: “E’ capitata la domanda ‘Che cos’è la grattachecca?'”. Infine la segnalazione arrivata dal papà di tre studenti che hanno provato il test a medicina nel corso degli ultimi anni: “Quale di queste parole non ha nulla in comune con le altre? Sfoggiare, depennare, castità, provare, cromare?’ Dice il concittadino: ‘avrei pensato a castità, perché le altre quattro sono verbi, castità è l’unico sostantivo. Ma sarebbe stata una risposta sbagliata. La risposta esatta era il verbo provare, perché è l’unica parola che non contiene il nome di una città’. Cioè, sfoggiare contiene Foggia, depennare Enna, castità la città di Asti, cromare Roma”.
Dura la reazione dello sceriffo campano: “Io darei vent’anni di carcere a chi ha preparato questo test. Subito, a prescindere. O, meglio ancora, lo sottoporrei al programma rieducativo che viene adoperato dalla polizia municipale di Singapore che, come noto, ha in dotazione una frusta di bambù e la utilizza – spiega – contro chi viola le regole stradali o getta a terra la gomma da masticare. C’è il frustino di bambù, quello sottile… chi ha fatto questo test dovrebbe essere sottoposto alla cura Singapore: venti frustate di bambù sul groppone: questo è un delinquente, a frustarlo si fa un’opera di bene davanti a nostro Signore”.
Poche ore dopo arriva la replica del Cisia (Consorzio interuniversitario sistemi integrati per l’accesso), organismo scientifico universitario, che definisce le denunce di De Luca come “notizie totalmente infondate diffuse su diversi canali di comunicazione”. “Nella produzione scientifica del Consorzio, nei test Cisia e in particolare nei Tolc, non vi sono quesiti “demenziali”. Ciò vale ovviamente anche per il Tolc-Med e il Tolc-Vet, i test per l’accesso ai corsi di laurea magistrale di Medicina e chirurgia, odontoiatria e protesi dentaria e Medicina veterinaria delle università statali, di cui Cisia ha la responsabilità scientifica da questo anno come stabilito dal dm 1107 del 30 settembre 2022″.
Il Consorzio sostiene che le prove Tolc-Med e Tolc-Vet “non contengono alcuna domanda di ‘cultura generale’ sulla Viennetta Algida e sul suo inventore, sulla grattachecca (peraltro quiz salito alla cronaca nel 2011 e presente in test diverso da Medicina) e tantomeno le altre domande di cui abbiamo letto del tipo “Quale di queste parole non ha nulla in comune con le altre? Sfoggiare, depennare, castità, provare, cromare”. Più in generale il Cisia precisa che i quesiti del Tolc-Med e del Tolc-Vet “vertono sugli argomenti elencati nella decretazione ministeriale e sono predisposti da specifiche commissioni disciplinari formate da esperti delle materie oggetto d’esame, che operano con massima attenzione e professionalità”.
Estratto dell’articolo di Andrea Ossino per “La Repubblica” il 7 Settembre 2023
Prima l’esposto con cui centinaia di aspiranti medici denunciano irregolarità nella selezione per essere ammessi alle facoltà di Medicina e Odontoiatria. Poi l’interrogazione depositata dalla senatrice M5S Dolores Bevilacqua, che chiede chiarimenti alla ministra dell’Università Anna Maria Bernini. Infine l’iniziativa intrapresa dallo stesso ministero: «Chiederemo a Cisia, il consorzio che si occupa della gestione dei test, ulteriori rassicurazioni e chiarimenti sul regolare svolgimento delle prove di ingresso».
È bufera sulla graduatoria pubblicata martedì scorso. […] secondo lo studio legale Leone- Fell & C., la selezione è lo «scandalo più grande che abbia mai colpito il sistema del numero chiuso, la graduatoria appena pubblicata è falsa».
Parole sostenute da un’indagine, commissionata dai legali, che rivela i vulnus della nuova modalità d’esame. A differenza degli scorsi anni, quando il test avveniva in un unico giorno, quest’anno le prove sono state sostenute in più giorni e in due diverse sessioni: una ad aprile e una a luglio.
«Sono nate chat, gruppi su Telegram delle scuole di preparazione che invitavano ragazzi usciti dall’esame a postare domande appena ricevute — spiega l’avvocato Francesco Leone — Quindi le domande sottoposte a migliaia di persone che sono state esaminate ad aprile sono state inserite in una banca dati. Poi sono state condivise, vendute e rese disponibili per luglio».
La tempesta è iniziata su Telegram […] Il 19 aprile 2023 un utente «ha riferito di essere in possesso della banca dati e di poterla vendere per 20 euro con pagamento PayPal». La chat è tanto breve quanto eloquente: «Manda in privato», scrive l’acquirente. «Si ma voglio 20 euro su PayPal», risponde il venditore.
«Ricerche su social di messaggistica e gruppi sui principali social network, hanno permesso di rilevare informazioni di rilevanza relativamente alla presenza di un documento contenente le risposte del Tolc di medicina della sessione 2023», dicono gli investigatori privati.
C’è il gruppo in cui si parla di «un file contenente le domande e risposte del Tolc di Medicina, sessione di aprile ». E le conversazioni in cui gli utenti riferiscono «di avere diverse prove e screenshot di questo documento » e di aver già avvisato il Cisia. «Abbiamo le prove che i rappresentanti del Cisia sono entrati nei gruppi social per controllare che questa condivisione di domande non avvenisse, ma era già fuori controllo», dicel’avvocato Leone.
Sulle chat si parla anche di un filmato «in cui uno elencava tutte le domande e risposte della sua prova pubblicato venerdì. E io avevo il Tolc lunedì con le stesse domande», ammette un utente. Inoltre il sistema è basato sul principio di equalizzazione, dove a ogni domanda viene attribuito un peso in base a quante persone abbiano risposto correttamente o meno. Ma «le domande equalizzate di aprile sono state ripetute a luglio», dicono gli avvocati. […]
Risultati dei quiz venduti. Test di medicina a rischio. Migliaia di domande inserite in una banca dati e offerte su Telegram a 20 euro. Esposto al Tar. Patricia Tagliaferri il 7 Settembre 2023 su Il Giornale.
È un test di ammissione all'università, quello di medicina, tra i più temuti. In pochi riescono ad entrare al primo colpo e chi non ci riesce spesso è costretto ad iscriversi ad altre facoltà scientifiche per poi ritentare l'anno successivo facendosi convalidare gli esami sostenuti.
Quest'anno doppia difficoltà. I quiz della prima edizione dei Tolc, la nuova modalità di accesso a medicina, odontoiatria e veterinaria, potrebbero infatti essere annullati. Almeno questo sostengono gli avvocati dello studio legale Leone-Fell&C. che, grazie ai suoi ricorsi, negli anni ha permesso l'immatricolazione di circa 4mila studenti. Come anticipato da Repubblica, dopo la pubblicazione delle graduatorie lo studio legale ha presentato un esposto alla Procura di Roma e al Tar denunciando presunte violazioni del bando e gravi irregolarità nel test. Molti candidati, infatti, iscritti ai corsi a pagamento di preparazione ai quiz, grazie ad una serie di espedienti avrebbero conosciuto in anticipo le domande e le relative soluzioni, così come altri avrebbero trovato le stesse domande cercando su appositi gruppi Telegram e sborsando appena 20 euro. Diversamente dal passato, quando il test veniva svolto da tutti lo stesso giorno, in tutt'Italia, ora i candidati possono prendere parte a due sessioni in un anno solare, in giorni differenti, rispondendo a test diversi ma con domande che si ripetono nelle varie sessioni. «Questo - secondo gli avvocati Francesco Leone e Simona Fell - ha permesso la creazione di una grande banca dati con un numero esorbitante di quiz su cui i più fortunati hanno potuto esercitarsi, imparando a memoria le risposte corrette». Ci sarebbero almeno 100 testimonianze audio di persone che hanno ottenuto la banca dati direttamente dalle scuole di preparazione. «Il nostro studio - spiegano ancora gli avvocati - è però entrato in possesso di ben tre file contenenti oltre 500 domande che si ripetevano in maniera identica e che conferma che da aprile tali file girano tra i vari gruppi, a vantaggio di alcuni e a danno di altri». Uno scandalo che avrebbe falsato l'esito della prova. Anche perché la notizia è rimbalzata nelle chat e sui gruppi Telegram e delle scuole di preparazione dove gli aspiranti medici che avevano già sostenuto l'esame ad aprile venivano invitati a postare i quesiti. Tutto il materiale raccolto è stato inserito in una banca dati, condiviso e messo a disposizione di chi era disposto a pagare per avere maggiori chance di passare il test a luglio.
Secondo gli avvocati la Cisia, l'organo che ha elaborato il sistema, si sarebbe accorto del problema quando era troppo tardi, non riuscendo ad impedire che avvenisse la condivisione dei dati. Al di là degli eventuali profili penali che verranno accertati dalla Procura, il Tar potrebbe decidere di annullare la prova, compromettendo l'avvio dell'anno accademico. Patricia Tagliaferri
"Il test va annullato": così il quiz per entrare a medicina si è trasformato in una farsa. Gli avvocati dello studio Leone-Fell & C. hanno raccolto decine di prove e testimonianze. Si attende il giudizio del Tar del Lazio. Redazione il 6 Settembre 2023 su Il Giornale.
“Questo è lo scandalo più grande da quando sono iniziati i test d’ammissione”. L’affondo dell’avvocato Franceso Leone è impietoso e difficile da criticare. Il Tolc-Med 2023 si sta rapidamente trasformando in una farsa. Oltre alle solite critiche al numero chiuso, il test di quest'anno rischia di far scoppiare una vera e propria bufera giudiziaria. La graduatoria per l’accesso a medicina, odontoiatria e veterinaria è uscita martedì 5 settembre. Lo studio legale Leone-Fell & C, che negli anni passati ha permesso l’immatricolazione di oltre 4mila studenti grazie ai ricorsi al Tar, ha già promesso una battaglia ad armi spianate. Ha comunicato le sue intenzioni in una conferenza stampa trasmessa su Facebook il 4 settembre, in cui sono state illustrate tutte le criticità rilevate nei test di aprile e luglio.
Due sessioni separate: la compravendita di domande
La novità di quest'anno è la decisione di dividere l’esame in due sessioni lunghe diversi giorni e distanti mesi l’una dall’altra, una rottura con l’impostazione classica del test in contemporanea in tutto il territorio nazionale. Questo cambiamento ha generato una serie di irregolarità, a cominciare dalle domande d’esame. “I quesiti della sessione di aprile sono stati selezionati e distribuiti in modo randomico ai vari candidati. Questa riserva di domande non è infinita, quindi esse si sono ripetute nei vari giorni e in istituti diversi”, ha spiegato l’avvocato Leone. “Il problema è che gli stessi quiz sono stati utilizzati nella sessione di luglio. E non è possibile pensare che, nel 2023, le domande somministrate a circa 80mila ragazzi e in una decina di giorni rimangano anonime”. Lo studio legale ha raccolto decine di testimonianze di gruppi e chat di Whatsapp e Telegram, in cui sono state raccolti e condivisi (o venduti) i quesiti della prima sessione, permettendo agli studenti di prepararsi imparando le risposte a memoria.
Le falle nel sistema di punteggi e valutazione
La situazione è molto grave e, di fatto, compromette irrimediabilmente il sistema della graduatoria meritocratica. A peggiorala ulteriormente vi è la decisione di applicare solo per la sessione di aprile l’equalizzazione della prova. Questa consiste nella valutazione della difficoltà di una domanda e del suo punteggio in base al numero di studenti che hanno risposto correttamente. “Il bando pubblicato con il decreto ministeriale del 2022 prevedeva domande diverse tra aprile e luglio e l’equalizzazione dopo ogni sessione”, ha commentato Francesco Leone. “Un allegato successivo, il numero due, ha previsto una cosa completamente diversa e in violazione del bando stesso, ovvero che le domande equalizzate ad aprile sarebbero state utilizzate anche a luglio”. I candidati della sessione estiva, dunque, hanno avuto vantaggi notevoli: conoscevano i quesiti, il loro valore in punti e hanno studiato di conseguenza.
Anche il sistema di valutazione è finito sotto i colpi degli avvocati. La divisione del test in due sessioni e la sua apertura a studenti del quarto anno delle scuole superiori ha creato una discrepanza notevole tra le competenze dei candidati e, di conseguenza, nel loro punteggio in graduatoria. Studenti diplomati, laureati o ancora privi di tutte le conoscenze necessarie ad affrontare il quiz si sono trovati a dover rispondere alla medesima serie di domande, senza che fossero applicati metodi di valutazione diversi in base al loro livello.
Le scuole che preparano troppo
Le scuole di preparazione sono, come direbbero gli inglesi, the last nail in the coffin, l’ultimo chiodo nella bara del Tolc-Med 2023. Spesso sono stati proprio questi istituti a raccogliere e rivendere le domande della sessione di aprile, oppure hanno organizzato veri e propri corsi per spiegarle. “Pare che qualcuna abbia anche mandato i propri complici a svolgere il test ad aprile con il solo scopo di reperire le domande. È un comportamento inaudito”, ha sottolineato l’avvocato Leone. “Questa situazione per loro comporta un grande: una percentuale più alta dei propri studenti che supera il test, che si può utilizzare a livello di marketing”.
Visto il quantitativo di prove raccolte dallo studio, è difficile pensare che la graduatoria del Tolc-Med sopravviva al giudizio del Tar del Lazio. “Chiediamo al giudice amministrativo di esaminare il materiale probatorio in nostro possesso e, se lo riterrà opportuno, di trasmettere il fascicolo alla Procura della Repubblica di Roma per valutare la sussistenza di eventuali profili penali”, è quanto si legge nell’esposto dello studio Leone-Fell & C. “Siamo certi che il test verrà annullato, sconvolgendo l’inizio dell’anno accademico”.
GIUSTO ABOLIRE IL TEST D’INGRESSO A MEDICINA? Si & No
Il parere. Il numero chiuso a Medicina deve restare: solo così garantiamo agli studenti un percorso di laurea di qualità e sbocchi lavorativi dignitosi. Pietro Castellino (Presidente della Scuola di Medicina e Chirurgia dell’Università di Catania) su Il Riformista il 2 Agosto 2023
Nel Si&No del Riformista spazio al dibattito sull’abolizione del test d’ingresso alla facoltà di Medicina. Favorevole il Professore Ordinario Università di Genova Matteo Bassetti: “Siamo un Paese vecchio, abbiamo bisogno di medici, nei pronto soccorso non ci sono più infermieri”, il suo allarme. Contrario il Presidente della Scuola di Medicina e Chirurgia dell’Università di Catania Pietro Castellino: “Se il numero diventasse libero la nostra laurea perderebbe il riconoscimento europeo”.
Qui l’opinione di Pietro Castellino
Sono contrario all’abolizione del numero chiuso a medicina per una serie di motivi. Il primo è che negli ultimi anni il numero degli studenti che si possono iscrivere al primo anno di medicina è aumentato in modo significativo: a livello nazionale siamo passati, in cinque anni, da circa 12mila iscritti a 19mila (dato di quest’anno), c’è stato quindi un aumento quasi del 50%. A Catania, per esempio, siamo passati da 280 iscritti a 560 iscritti. Abbiamo quasi raddoppiato il numero degli studenti. Ma per formare bene gli studenti abbiamo bisogno di tutta un serie di cose.
Innanzitutto di docenti e il numero dei docenti non è aumentato. Abbiamo bisogno di aule dove tenere le lezioni, di reparti nei quali far lavorare questi ragazzi, abbiamo bisogno di aule studio e soprattutto servono degli spazi nei quali poter seguire i ragazzi durante il loro tirocinio pre-laurea. Quando parlo di spazi, parlo di spazi di qualità dove poter mettere in pratica delle procedure di insegnamento che siano all’altezza di uno standard europeo, perché la laurea italiana adesso è una laurea abilitante e quindi il laureato, mentre si laurea viene abilitato all’esercizio della professione e quindi noi dobbiamo ragionevolmente garantire che un laureato sia in grado di svolgere con dignità e serietà il suo lavoro. Il nostro neolaureato si iscriverà poi a una scuola di specializzazione, ciò vuol dire che il giorno dell’iscrizione sarà di fatto un assistente in formazione e noi dobbiamo, ancora una volta, garantire che questo ragazzo sia in grado di poter svolgere il proprio lavoro in modo adeguato e sufficiente.
Se noi aumentassimo a dismisura il numero degli iscritti al primo anno di medicina, per esempio abolendo il test d’ingresso e quindi il numero chiuso, a 60mila iscritti non potremmo assolutamente garantire agli studenti una laurea di qualità come invece è adesso. In altri paesi dove c’è l’iscrizione libera alla Facoltà di Medicina, per esempio in Francia, lo sbarramento avviene nel passaggio dal primo al secondo anno: i ragazzi devono fare due esami nazionali, uno alla fine del primo semestre e uno alla fine del secondo semestre, e la percentuale di bocciati supera il 90% perché di ogni mille iscritti al primo anno, solo cinquanta potranno avere accesso al secondo anno.
È forse meglio questo o il sistema italiano in cui la selezione viene fatta prima di iniziare? Oppure è meglio il sistema adottato in Germania dove ci si può iscrivere con una certa libertà, ma se si viene bocciati tre volte a un esame si viene automaticamente cancellati dal corso di laurea? Si è spesso detto che l’esame di ammissione a medicina era un esame troppo stressante, troppo difficile, che in sessanta minuti e con sessanta domande si decideva il destino di una persona.
Adesso non è più così perché i ragazzi possono sostenere, due volte, l’esame quando sono al quarto anno di liceo e poi lo possono sostenere altre due volte al quinto anno, oppure dopo essersi diplomati. Ogni quattro esami sostenuti, potranno scegliere il punteggio migliore per poter accedere alla graduatoria e quindi hanno tutto il tempo per studiare e sostenere, senza uno stress particolare, l’esame di ammissione all’università. Dobbiamo poi considerare un’altra cosa, adesso abbiamo circa 14mila borse di studio per le specializzazioni e circa 2.500 posizioni come medico di medicina generale, in tutto abbiamo più o meno 17mila posizioni disponibili per i neolaureati.
Quest’anno e l’anno scorso complessivamente sono rimaste vuote 5mila borse di specializzazione e circa 2mila specializzandi hanno poi abbandonato o cambiato indirizzo nel corso del primo anno, quindi avendo noi aumentato di circa il 20% le iscrizioni, quando i neoiscritti arriveranno alla laurea avremo raggiunto un ragionevole equilibrio tra quelli che sono i neolaureati e i numeri di posti disponibili per le specializzazioni. In questo modo garantiamo a chi si iscrive a medicina non solo un percorso di formazione, ma anche un percorso lavorativo che non li espone a nessuno stress.
La nostra laurea adesso è riconosciuta a livello europeo e se il numero diventasse un numero libero, perderebbe il riconoscimento europeo. L’Anvur, l’ente certificativo italiano, da due anni sta lavorando per avere un riconoscimento non solo europeo ma mondiale della laurea in medicina. Quindi il laureato in medicina potrà esercitare la professione in qualsiasi paese del mondo, ma questo deve passare attraverso uno standard e dei percorsi di qualità che non sono sicuramente compatibili con un numero aperto di iscritti a medicina.
Con l’abolizione del test d’ingresso invece di andare avanti e migliorare la qualità dei percorsi formativi, probabilmente gli daremmo meno opportunità e meno possibilità di lavoro. Il numero totale dei medici non è basso, anzi è nella media europea, quello che invece è carente è il numero dei medici che lavorano nel sistema sanitario nazionale. Mediamente un medico italiano è pagato la metà rispetto a un collega francese. Quindi se il problema è quello di cercare di avere degli organici più completi e qualificati negli ospedali italiani, dovremmo pensare non solo al numero degli iscritti a medicina e alla qualità della laurea, ma anche a quelle che sono le condizioni lavorative e la busta paga alla quale i nostri medici possono ambire. In conclusione, credo che non sia una buona idea cedere alle visioni populistiche e demagogiche secondo le quali permettiamo a tutti di iscriversi, più ragionevole è cercare di mantenere un equilibrio tra quelle che sono realmente le nostre capacità di formazione e quelle che sono poi le ambizioni dei ragazzi a voler avere una carriera brillante.
Pietro Castellino (Presidente della Scuola di Medicina e Chirurgia dell’Università di Catania)
Il parere. Giusto abolire il test di Medicina: non esiste meritocrazia e c’è un vero business sui corsi di preparazione. Il limite stona con l’urgenza di medici. Matteo Bassetti (Professore Ordinario Università di Genova) su Il Riformista il 2 Agosto 2023
Nel Si&No del Riformista spazio al dibattito sull’abolizione del test d’ingresso alla facoltà di Medicina. Favorevole il Professore Ordinario Università di Genova Matteo Bassetti: “Siamo un Paese vecchio, abbiamo bisogno di medici, nei pronto soccorso non ci sono più infermieri”, il suo allarme. Contrario il Presidente della Scuola di Medicina e Chirurgia dell’Università di Catania Pietro Castellino: “Se il numero diventasse libero la nostra laurea perderebbe il riconoscimento europeo”.
Qui l’opinione di Matteo Bassetti
Il numero chiuso aveva riguardato anche me. Nei primi due/tre anni c’era un numero di domande inferiore ai numeri posti in quel momento. Dall’inizio degli anni ’90 c’è stato un boom delle iscrizioni a Medicina perché c’era la convinzione che non ci fossero medici disoccupati. Ma soprattutto chi si laureava in Medicina poi faceva una scuola di specializzazione con la remunerazione. Questo ha portato molta gente a iscriversi alla facoltà. Tuttavia questo assioma ha portato a perdere per strada molti di coloro che erano mossi da un sentimento di passione.
Noi dobbiamo ripensare innanzitutto a quello che è il fabbisogno dei medici. Perché se è vero che c’è bisogno di medici, allora la riflessione è scontata: non si può mettere un limite di 15mila posti. Il motivo? Non è detto che dopo sei anni tutti escano riuscendo a laurearsi. C’è chi perde un esame, chi ne perde due, chi va fuori corso, chi si stufa, chi cambia idea. C’è un lordo e c’è un netto. Il modo in cui si fanno i conti è inappropriato.
È giusto che per entrare a Medicina – dove io devo insegnarti la biologia, la fisica, l’istologia – le domande vertano sugli insegnamenti del primo anno di Medicina? È come dire: se vuoi iscriverti a un corso di nuoto devi saper nuotare. Il test d’ammissione è fatto per una buona parte su materie che noi dovremo insegnare. E qual è l’unico modo per avere quei fondamentali? Siccome la scuola italiana superiore (qualunque essa sia) non è in grado di darti quel tipo di insegnamenti, inevitabilmente devi andare a versare migliaia di euro per fare dei corsi che ti preparino per i test. Quindi si è inscenato un business enorme sui corsi di preparazione per il test d’ammissione. Più paghi, più entri. Non è più un test meritocratico sulla base della propria mente, ma sulle singole disponibilità economiche.
Le altre domande, ad esempio sulla cultura generale, non hanno un grande senso: se vuoi fare un testo per misurare davvero le capacità del ragazzo devi fare un test d’intelligenza come fanno negli Stati Uniti. Un test di prontezza e di praticità per vedere se è effettivamente in grado di usare il cervello.
Quanto alla scarsa capacità delle aule di accogliere un numero elevato di studenti, sul tavolo vi sono diverse possibilità da prendere in considerazione per intervenire in tal senso. Un’idea potrebbe essere lo sbarramento al secondo anno: al primo anno – in cui ci sono insegnamenti fondamentalmente di tipo teorico, dove non c’è bisogno di pratica – si potrebbe far entrare tutti anche con dei corsi online e poi chi non ha sostenuto tutti gli esami vuol dire che non potrà iscriversi al secondo anno. Un sistema alla francese, una selezione di tipo progressivo: faccio entrare tutti quelli che hanno la passione, ma se poi non sei in linea non ti iscrivi all’anno successivo.
L’alternativa è un sistema all’americana o alla tedesca: lo studente vai a prenderlo tu. L’università deve avere l’interesse a portare a casa i più bravi, chi si laurea in tempo, chi esce con 110 e lode, chi fa la specializzazione, chi entra nel mondo del lavoro. Perché quell’università più prende gente di questo genere e più sale nel ranking.
Oggi, così com’è fatta, la selezione è veramente un salto nel buio: se togli chi arriva ai primi 50 o 100 posti, per gli altri è un terno al lotto perché con il test a crocette non è per nulla meritocratico. Da medico dico che c’è gran bisogno nei nostri ospedali di avere quelli che non avevano saputo rispondere nel 2006 a quando è stata combattuta la prima Guerra Punica, qual è il Teorema di Pitagora o qual è una determinata formula chimica. Avremo un gran bisogno di quelli che abbiamo fatto scappare.
A chi sostiene che tutto ciò sarebbe irrealizzabile rispondo in maniera chiara e semplice: è irrealizzabile soltanto qualcosa che non si vuole realizzare. Di certo non possiamo affermare che tutto sarebbe semplice e che si potrebbe partire già da domani. Ma non è più il tempo di rimandare un argomento così delicato e oggi dobbiamo aprire una riflessione seria e profonda sul tema. Magari si può guardare all’orizzonte dei prossimi anni, ma il progetto va messo in cantiere esattamente in questo momento. Dobbiamo trovare il modo di avere a disposizione i fondi. Siamo un Paese vecchio, abbiamo bisogno di medici, nei pronto soccorso non ci sono più infermieri. Non possiamo continuare con l’acqua alla gola seguendo la scia del sistema attualmente in vigore. È una cosa paradossale: in linea teorica ci affrettiamo tutti a sottolineare l’urgenza di medici, però nella realtà dei fatti ne facciamo entrare sempre di meno. Quest’anno il ministero dell’Università e della Ricerca ha proposto oltre 19.000 posti per i corsi di Medicina e Chirurgia. Un aumento che, se fosse confermato e dovesse diventare realtà, metterebbe a segno un incremento di circa 4mila posti rispetto allo scorso anno accademico. Questo rappresenta senza alcun dubbio un buon segnale, ma andrebbe inteso come un solo punto di partenza: prossimamente non ci si potrà sottrarre alla necessità sempre più impellente di ampliare ulteriormente il numero d’accesso.
Matteo Bassetti (Professore Ordinario Università di Genova)
De Luca: L’iscrizione a Medicina è un marchettificio, una porcheria. Angelo Vitolo su L'Identità il 24 Luglio 2023
“Oggi l’iscrizione alle facoltà di Medicina è diventata un marchettificio, è una porcheria. Non solo per i test, i quiz e le palle. Abbiamo ragazze e ragazzi che, per affrontare i test di accesso, vanno a fare i corsi di formazione a 5mila euro l’uno. E’ una vergogna. I figli della povera gente non possono più andare a Medicina, non va bene”. A dirlo il presidente della Regione Campania, Vincenzo De Luca, incontrando il personale dell’Asl Napoli 3.
Il governatore, ribadendo la sua idea che occorra abolire il numero chiuso per accedere al corso di laurea, ha aggiunto: “Preferisco ingolfare la facoltà di Medicina, poi la selezione si fa sul campo se il ragazzo ha voglia di studiare, ha passione, allora andrà avanti. Ogni volta abbiamo una motivazione demenziale. Ma come è possibile? Un povero cristo di ragazzo che viene da una famiglia di povera gente, ma dove li trova i 5mila euro per fare il corso per partecipare ai quiz? E poi ne facciamo due l’anno, ti dicono il risultato dopo sei mesi. Ma questo è un manicomio, non è un Paese civile”.
E ancora, con dichiarazioni che non mancheranno di sollevare polemiche: “Preferisco fare la selezione sul merito e non sulla condizione economica dei ragazzi perché, tra l’altro, avere migliaia di ragazze e di ragazzi che vanno a fare i test e non li superano sta determinando una valanga di ragazzi depressi, frustrati, in crisi perché quando vai a fare il test una volta, due volte e non lo superi, cominci ad avere problemi psicologici, senso di inferiorità e questo non è vero, non è così”, ha concluso De Luca.
Numero chiuso a Medicina: da quando e perché? Da numerochiuso.info
Perché esiste il numero chiuso
Da sempre riservata ai ceti più elevati, fino al 1923 la facoltà di Medicina era accessibile solo a chi avesse frequentato il liceo classico. Da quell’anno in poi le sue porte si aprirono anche per chi proveniva dal liceo scientifico. Così fu fino al il 1969, anno in cui la facoltà di Medicina venne aperta a tutti i possessori di un diploma di maturità, di qualunque tipo.
In breve tempo ci trovammo così con più medici rispetto al bisogno reale dei pazienti, senza contare che nella seconda metà degli anni ’80 l’Unione Europea chiese a tutti i Paesi membri di assicurare un certo standard qualitativo per l’istruzione universitaria.
Fu così che alcuni atenei introdussero spontaneamente un test di ammissione. Divenne legge per Medicina così come per gran parte delle facoltà a carattere scientifico, tramite apposito decreto, nel 1987. Numerosi furono però i ricorsi. Solo nel 1999 tale decreto divenne legge, dichiarata peraltro legittima dalla Corte Costituzionale nel 2013.
L’abolizione del numero chiuso
Ormai da anni è aperto il dibattito sull’effettiva utilità del numero chiuso a Medicina. Se da un lato garantisce un certo standard qualitativo per l’istruzione universitaria ed evita il sovraffollamento delle strutture, dall’altro è pur vero che in Italia c’è carenza di medici e mai come in questi anni, costretti a fronteggiare l’emergenza sanitaria da Covid-19, ce ne siamo resi tutti conto.
Dopo un intenso dibattito, che ha interessato anche il mondo politico, la richiesta di studenti e candidati è molto chiara. Non necessariamente l’abolizione totale del numero chiuso, ma anche un modello intermedio di programmazione degli accessi. Come, ad esempio, il modello francese che prevede l’iscrizione aperta a tutti e uno sbarramento alla fine del primo anno.
Ad innescare il primo vero cambiamento, anche se non nella direzione richiesta, è stata la ministra dell’Università Maria Cristina Messa. Dopo aver istituito una commissione per discuterne, a inizio 2022 ha annunciato l’arrivo dei TOLC Med (Test OnLine Cisia Medicina) a sostituzione del precedente test a numero chiuso.
Il 24 settembre 2022, con decreto ministeriale n. 1107, sono state promulgate le regole dei TOLC Med. Si tratta di un test di 90 minuti (non più 100) composto da domande a risposta multipla su comprensione del testo, biologia, chimica e fisica, matematica e ragionamento. La principale differenza con il test precedente è la possibilità di ripetere la prova due volte l’anno (sessioni di aprile e luglio) e selezionare il risultato migliore ottenuto da inviare per la graduatoria nazionale. Allargata, inoltre, la possibilità di partecipare al test anche ai ragazzi del penultimo anno di liceo.
Il 2023 sarà il primo anno di sperimentazione di questo test. Il numero chiuso resta ma, secondo i fautori, con il TOLC sarà più meritocratico. Restano alcuni punti oscuri: le differenze nei test proposti nelle varie sezioni, lo svantaggio per i maturandi che sosterranno le prove vicinissime all’esame, e ovviamente la consapevolezza che il numero chiuso resta.
Come entrare a Medicina senza test
Se il numero chiuso rappresenta il primo ostacolo per chi voglia domani indossare il camice bianco, non è detto però che tutti siano passati per questa dura selezione. È possibile infatti, per chi proviene da corsi di laurea di ambito sanitario come Biotecnologie, Farmacia, Scienze biologiche, Chimica e Veterinaria immatricolarsi a Medicina senza dover superare il test. Questo poiché la prova ha lo scopo di verificare la predisposizione degli aspiranti medici agli studi sanitari. Diventa quindi superflua se si sono già superati esami da corsi di laurea dello stesso ambito e si sono conseguiti crediti formativi utilizzabili nella nuova facoltà.
Tra coloro che possono effettuare il passaggio diretto a Medicina ci sono i laureandi, i laureati e gli iscritti almeno al terzo anno di un corso affine a Medicina, purché abbiano già maturato un minimo di 25 Cfu in materie convalidabili. Il test d’ingresso rimane insomma vincolante solo per l’accesso al primo anno di corso e non per le richieste di trasferimento agli anni successivi.
Un concetto questo già affermato dal Tar del Lazio e dal Tribunale amministrativo. Una volta verificati i bandi degli atenei nei quali sono disponibili posti liberi per i trasferimenti e/o le immatricolazioni ad anni successivi al primo, basterà contattare la segreteria studenti di Medicina dell’ateneo scelto e inviare il proprio piano di studi accompagnato dalla richiesta del riconoscimento del percorso universitario, presentando istanza di immatricolazione o trasferimento diretto.
Anas, tutte le strade portano al poltronificio. Con i nuovi dirigenti a chiamata diretta, l’organigramma di vertice cresce mentre i compartimenti territoriali sono in sofferenza. La società delle strade intanto paga milioni in consulenze per l’integrazione con il gruppo Fs. Che dopo cinque anni può dirsi fallita. Gianfrancesco Turano su L’Espresso l’8 marzo 2023.
La vocazione dell’Anas è duplice da sempre. Da un lato, la gestione delle strade. Dall’altro, il poltronificio. Sul primo aspetto, gli oltre seimila dipendenti faticano a coprire le esigenze di una rete di 32 mila chilometri, con gli uffici tecnici sotto pressione per mantenere in efficienza migliaia di ponti, viadotti e gallerie. Sul secondo non si conosce crisi anche dopo lo spostamento dell’ex ente pubblico sotto il controllo del gruppo Fs voluto da Matteo Renzi premier e perfezionato dal governo di Paolo Gentiloni nel dicembre del 2017 con l’obiettivo di un risparmio che non si è mai raggiunto.
Aress, salvo il concorso degli errori: ribaltata la decisione del Tar Bari. Il Consiglio di Stato: anche se il candidato sbaglia una risposta, il giudizio finale è complessivo. MASSIMILIANO SCAGLIARINI su La Gazzetta del Mezzogiorno il 09 Marzo 2023
Il fatto che un aspirante dirigente della sanità pubblica abbia sostenuto in un elaborato che un ricorso contro il silenzio-inadempimento va presentato alla Corte dei conti non è in sé motivo sufficiente per cancellarlo dalla graduatoria. Lo ha deciso il Consiglio di Stato, che ieri ha ribaltato la sentenza con cui nel maggio 2022 il Tar di Bari aveva mandato a casa i due vincitori interni della selezione bandita dall’agenzia Aress a luglio 2021.
I giudici baresi avevano infatti escluso dalla graduatoria i due vincitori, annullando le loro prove «in quanto il giudizio ad esse riferito non può che attestarsi al di sotto della sufficienza». Oltre a quello che voleva fare un ricorso alla Corte dei conti, ce n’era infatti un altro secondo cui l’articolo 118 della Costituzione parla delle «funzioni amministrative e normative delle Regioni» (parla dei Comuni).
Il ricorso era stato presentato dalla terza classificata, che alla fine aveva preso il minimo (la sufficienza). Da qui il ragionamento del Tar, corroborato da altre risposte sbagliate (il numero della legge cosiddetta «riforma Brunetta», l’operatività automatica del silenzio): chi mostra di avere certe lacune in diritto amministrativo non può essere valutato con la sufficienza.
Il Consiglio di Stato ha però ricordato che il giudice amministrativo non può entrare nel merito. Il Tar di Bari «non si è limitato a sindacare i punteggi assegnati dalla commissione esaminatrice alle prove scritte dei due vincitori, ma si è spinto fino al punto di dichiarare, direttamente, tali prove come insufficienti; in questo modo il Tar ha invaso l’ambito riservato alla pubblica amministrazione, avendo sostituito il suo giudizio a quello dell’organo competente (la commissione)». Secondo i giudici di Palazzo Spada, l’essere entrati nel merito degli esiti del concorso «ricade nelle ipotesi tipiche dell’eccesso di potere giurisdizionale, in quanto il Tar ha esercitato una inammissibile giurisdizione di merito, in luogo di quella di legittimità». Soprattutto perché l’aver disposto l’esclusione diretta dei due concorrenti equivale ad aver emesso «una sentenza “autoesecutiva”».
Nel merito, invece, il Tar non avrebbe tenuto conto del fatto «che il giudizio della commissione riguardava una pluralità di quesiti e la valutazione finale era di tipo complessivo: nel giudizio globale, taluni errori, potevano ritenersi non determinanti ai fini della valutazione di idoneità del concorrente, ma tali da giustificare il solo abbassamento del punteggio finale», visto che uno dei due vincitori ha preso 25 e l’altro 21 (il minimo). E dunque rispetto all’errore sulla disciplina del silenzio-inadempimento e a quello sulla Costituzione, il punteggio di 21 «non risulta - ictu oculi - palesemente irragionevole o sproporzionato». Stesso discorso per il 25 al candidato che voleva fare ricorso alla Corte dei conti: anche perché - secondo il Consiglio di Stato - l’errore sul decreto Brunetta sarebbe «un mero refuso». L’Aress, diretta da Giovanni Gorgoni, aveva già provveduto all’assunzione dei due dirigenti.
Estratto dell’articolo di Thomas Mackinson per “il Fatto Quotidiano” il 4 marzo 2023.
Presa la laurea, la Calderone s’è presa pure l’università. E ne ha fatto un’autostrada per i titoli dei consulenti del lavoro, dopo aver investito nell’ateneo 15 milioni della loro Cassa di previdenza. C’è voluta un’indagine approfondita per scoprire che studi abbia fatto la ministra del Lavoro. Il sito del governo cita una generica laurea in “Economia aziendale”, non dice dove, non dice quando.
Idem i cv che ha depositato per assumere tanti incarichi, compresi quelli per Finmeccanica. “Laureata a Cagliari”, scrivono giornali e agenzie l’indomani della nomina. Copiano tutti Wikipedia, ma quella laurea non esiste. “Non è laureata presso il nostro ateneo”, taglia corto l’università sarda dopo un accesso agli atti. […]
L’ufficio stampa del ministero chiarisce così l’arcano: Marina Calderone ha conseguito una triennale in Economia aziendale internazionale nel 2012 e la magistrale nel 2016. Dove? Entrambe alla Link Campus University di Roma. […] Meno noti sono invece i legami – anche di natura finanziaria – tra l’attuale ministra e l’ateneo.
A partire dal fondatore della Link Vincenzo Scotti, oggi alla sbarra insieme agli ex vertici dell’ateneo per una vicenda di “lauree facili” che avrebbe garantito ai poliziotti della Questura di Firenze convenzionati dal sindacato Siulp tra il 2016 e il 2018.
Docenti e studenti hanno evitato il processo, ma la procura ha fatto appello perché attestati di frequenza, esami e voti finivano pur sempre nei libretti. Anche i consulenti del lavoro hanno una convenzione con la Link.
Ed è stata proprio la Calderone, fresca di laurea ma da anni presidente del Consiglio nazionale dell’Ordine (Cno), a spalancare nel 2013 le porte dell’ateneo ai suoi 26 mila iscritti. Partendo dalle sue lauree “fantasma”, si scopre così che – oltre a quelle – il capo dei consulenti si è presa anche le cattedre e le mura della Link, utilizzando i contributi previdenziali degli iscritti.
A darle una mano è il marito Rosario De Luca, consigliere nel Cno guidato dalla moglie e presidente della Fondazione Studi che ne è emanazione diretta. La coppia vanta già forti legami con i vertici dell’università.
Tanto che nel 2015, De Luca entra perfino nel cda dell’ateneo, dove lei in quel momento studia, ed entra pure in quello della “Fondazione Link Campus”. Nessun imbarazzo. Neppure quando, da neo laureata, si ritrova presidente e docente del corso magistrale per i consulenti: a chi non capita? Lo inaugura nella primavera 2018 insieme a Scotti. […]
Ma si scopre che la cassa dei consulenti fa molto di più: investe 15 milioni direttamente nella sede della Link. In che modo? Il campus si trova a Roma nel cinquecentesco Casale di San Pio V, prestigiosa tenuta con 35 mila metri quadrati di verde e 5 edifici. Appartiene al centro regionale per i ciechi Sant’Alessio Margherita di Savoia che a dicembre 2015 lo dà in concessione all’ateneo per 25 anni.
Il complesso è però da ristrutturare ma farlo costa almeno 6 milioni di euro. Nel 2016 la Link tenta con l’art bonus, ma la raccolta di erogazioni liberali si ferma a 25 mila euro, mentre i suoi conti traballano sotto il peso dei debiti: tanto che è in ritardo con i pagamenti dell’affitto della sede.
Un problema anche per i bilanci del centro per i ciechi. Infatti, a dicembre 2017, l’ente conferisce tutto il Casale al Fondo immobiliare Sant’Alessio, insieme al resto dei suoi immobili. Cosa cambia? Adesso sulle proprietà dei ciechi si può investire. Ma il problema è la morosità degli inquilini, e la Link è in testa. Tanto che il gestore del fondo definisce l’investimento “a rischio medio-alto”. E infatti in soccorso arriva un solo investitore: l’Ordine di Calderone e De Luca.
I soldi li mette l’Enpacl, che gestisce le pensioni dei consulenti. A marzo 2018 acquista 300 quote del Fondo Sant’Alessio iniettando ben 15 milioni di euro. L’investimento è “rivolto alla formazione universitaria”, scrive l’Enpacl nei suoi bilanci. Più precisamente, dicono quelli del centro per i ciechi, la liquidity injection servirà per finanziare i lavori di ristrutturazione e riqualificazione del patrimonio”.
Con i loro 15 milioni i consulenti avrebbero potuto pagare 18 anni di affitto in una sede che ne vale 21. Poco di più e la compravano. Invece, per uscire dall’investimento, la Cassa dell’Ordine dovrà trovare chi compra le sue quote, posto che si trovi. […]
Estratto dell’articolo di Emiliano Fittipaldi per editorialedomani.it il 3 marzo 2023.
C’è un ente costituito tre anni fa dal governo Conte II dove hanno trovato lavoro e contratti politici trombati, pensionati di lusso, figli di importanti cariche istituzionali e parenti di ex premier. Si tratta della fondazione Milano-Cortina 2026, regno di Giovanni Malagò che la presiede. Un organismo a capo del comitato organizzatore dei prossimi giochi insieme al Comitato olimpico nazionale, alla Regione Lombardia, alla Regione Veneto e ai due comuni organizzatori.
Negli ultimi mesi il dossier Olimpiadi ha creato polemiche in merito al nuovo amministratore delegato della fondazione voluto dal nuovo ministro dello Sport Andrea Abodi (il meloniano ha scelto Andrea Varnier al posto dell’uscente Vincenzo Novari, voluto dai grillini), sui «gravi ritardi nei lavori» denunciati dal ministro Matteo Salvini.
Fino all’assenza di grandi sponsor domestici (a parte Eni) e sulla mancanza di piste adeguate per bob e slittino, tanto che si è ipotizzato di usare quelle di Innsbruck. Carenze e lentezze, va ricordato, dovute anche allo scoppio della pandemia a soli due mesi dalla nascita della fondazione.
Ora, però, ci sono altri mal di pancia che allignano fuori e dentro il comitato organizzatore. E riguardano una serie di assunzioni fatte nel tempo che non sono piaciute a tutti. «Abbiamo troppi paracadutati dalla politica e amici degli amici», la critica ricorrente. Domani ha visionato parte dell’elenco dei collaboratori dell’organismo, scoprendo in effetti cognomi famosi di rampolli ed ex politici che hanno avuto la fortuna di firmare di recente un contratto con l’ente di Malagò.
Partiamo dai Lorenzo Cochis La Russa, secondogenito del presidente del Senato Ignazio. Se Geronimo è da anni presidente dell’Aci di Milano, a ottobre 2021 Lorenzo (che è avvocato) è stato eletto alle ultime amministrative come consigliere del Municipio 1 di Milano centro, diventando capogruppo di Fratelli d’Italia.
Un anno prima, a 25 anni, aveva però già trovato un buon lavoro alla fondazione Milano-Cortina come «manager junior event». Unica esperienza precedente pubblicizzata sul Linkedin: uno stage di sei mesi all’ufficio legale della Serie A.
Non è l’unico assunto in fondazione che il presidente del Senato conosce assai bene: anche la sua ex segretaria, Lavinia Prono, lavora infatti «da tre anni a tempo pieno» nel comitato organizzatore delle Olimpiadi. Dopo essere stata addetta alla segreteria alla Difesa quando La Russa era ministro, la Prono è stata per anni anche capo della segreteria politica dell’allora coordinatore nazionale del Pdl.
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Altro nome celebre targato centrodestra è quello di Antonio Marano, ex sottosegretario di Berlusconi finito nel 2002 in Rai, dove ha lavorato per quasi vent’anni: due anni fa Novari e Malagò lo hanno voluto come direttore commerciale della fondazione, con l’obiettivo di trovare mezzo miliardo di sponsorizzazioni domestiche. Secondo i maligni Marano è lontanissimo dall’obiettivo, mentre Varnier dice che i ritardi «sono lievi» e che verranno recuperati.
Tra i cognomi famosi c’è poi la nipote di Mario Draghi, Livia, che è il capo dei «contenuti video» dell’ente. Assunta a tempo pieno nel maggio del 2020 (prima che l’ex presidente della Bce salisse a Palazzo Chigi), in passato ha lavorato con Michele Santoro, poi è stata autrice di X Factor e collaboratrice del Festival della visione. «Non ha affatto un contratto a cinque zeri come le hanno riferito» dicono a Domani dalla fondazione «ma un compenso del tutto congruo rispetto alla posizione che ricopre. La cifra precisa, come per gli altri, è soggetta a privacy».
Per la cronaca: è stato proprio il governo Draghi qualche mese fa a dare un dispiacere a tutti i lavoratori assunti dal comitato organizzatore, nipote compresa: nel 2020 l’esecutivo Conte aveva infatti decretato che i redditi dei dipendenti dovevano essere tassati dal 2021 «limitatamente» al 60 e 70 per cento del loro ammontare, fino al 2026. Ma il paradiso fiscale ha funzionato solo per l’anno 2021, poi un decreto del governo Draghi ha cancellato la norma e i relativi privilegi.
Nell’elenco dei contrattualizzati c’è anche la figlia dell’ex direttore di Enel Italia Carlo Tamburi (si occupa dal gennaio 2022 di «village management»), mentre come “manager legacy e sostenibilità” troviamo Iacopo Mazzetti, che prima di entrare nel comitato dei giochi era capo staff di Roberta Guaineri, al tempo assessore allo Sport del sindaco di Milano Beppe Sala.
Nome più celebre (almeno nei salotti romani) è certamente quello di Raimondo Astarita, diventato una decina di giorni fa capo delle relazioni istituzionali della Fondazione. Qualcuno crede che – viste le spiccate capacità relazionali di Malagò e di una pletora di responsabili media già assunti – la chiamata di Astarita sia stata un surplus.
Altri pensano al contrario che il lobbista sia un fuoriclasse di cui le Olimpiadi non possono fare a meno: vicepresidente di Ania, l’associazione delle assicurazioni, alle spalle decine di incarichi in società provate e partecipate pubbliche, ottimi rapporti al Quirinale (da poco è stato insignito del titolo di Ufficiale della Repubblica) Astarita è stimatissimo dal Malagò in persona.
I due si conoscono e si incontrano da lustri. Anche tra le dune di Sabaudia, dove fanno parte della giuria d’onore del progetto culturale “Racconti di Sabaudia”, insieme a Clemente Mimun, Simonetta Matone e il già citato Carlo Tamburi.
Tra i fortunati collaboratori della fondazione Milano-Cortina non ci sono solo simpatizzanti di Fratelli d’Italia o del Pd, ma di quasi tutti i partiti. Domenico De Maio, avvocato e musicista di sponda grillina, fu piazzato dall’allora sottosegretario allo Sport Vincenzo Spadafora come vice capo della sua segreteria, e nel 2018 come direttore dell’Agenzia nazionale per i giovani. Nel 2020 però De Maio finisce alla direzione delle «strategic partnerships» dell’ente di Malagò, con relativo stipendio che prende tutt’ora.
L’avvocato è collega di Marco Francia, ex manager di Publitalia vicinissimo a Stefano Parisi e al suo movimento Energie per l’Italia, candidato alle elezioni politiche del 2018 in quota Forza Italia. «Il mio modello? Fare una campagna porta a porta, molto british», disse ai giornali. Ha perso il suo collegio elettorale di dieci punti, ma due anni dopo si è consolato con la nomina a «head of special channel» della fondazione Milano-Cortina.
Altra reduce politica è Ursula Bassi, voluta dagli uomini di Malagò come «strategic partnerships manager» dell’ente olimpico. Toscana doc, ospite della Leopolda di Matteo Renzi nel 2018, social media manager della fondazione renziana Eyu e della gemella Open, nel 2019 si è candidata consigliere comunale a Firenze nella lista del Pd.
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DAGONEWS il 3 Febbraio 2023.
Siete sicuri che ci siano pochi candidati per tanti concorsi pubblici? Se da una parte è vero che molti posti nella PA rimangono vacanti e pur vero che, per certi versi, siamo di fronte a un corto circuito. Prendiamo a esempio il Concorso unico funzionari amministrativi (cufa), bandito nel 2019 e fatto nell’ottobre del 2021. A fronte di migliaia di persone che hanno partecipato al concorsone, ci sono state 21.141 idonei per i 27 enti che hanno aperto le loro porte a nuove assunzioni dopo 30 anni di blocco dei concorsi.
Al momento sono state assunte 5.509 persone e tantissime altre aspettano da mesi, anzi da più di un anno, uno scorrimento per riuscire a mettere le mani sull’agognato posto fisso dall’altra parte della penisola. Secondo i numeri del Cipa (il comitato idonei funzionari amministrativi) gli idonei non basteranno a coprire il fabbisogno di organico in diversi enti che si trovano a corto di personale da anni. Un peccato originale che affonda le radici nel blocco delle spese nella PA che ha impedito nuove assunzioni per oltre 30 anni. L’effetto è stato un inevitabile mancanza di personale che, come per un cane che si morde la coda, va a ripercuotersi sulle nuove assunzione.
Perché banalmente, all’interno degli enti, manca personale che si possa occupare di gestire le domande di ingresso di nuovo personale. A questo si aggiunge il farraginoso iter burocratico che non fa altro che rallentare i tempi di assunzione facendo diventare non poi così appetibile la volontà di fare concorsi per tentare di entrare nella pubblica amministrazione.
Altro dato: i posti alti in graduatoria sono spesso occupati da chi lavora già. Fanno fede i titoli di servizio che danno un grande booster al punteggio in graduatoria. Insomma c’è chi spera di migliorare la propria posizione lavorativa ma, conti alla mano, non trarrebbe alcuna convenienza dal dover lasciare la propria città per un lavoro retribuito poco di più in altra. Un dato che non può essere sottovalutato quando si parla di rinunce.
Estratto dell'articolo di Rosaria Amato per repubblica.it il 3 Febbraio 2023.
Un po' più di 1.300 candidati tra il 2021 e il 2022 si sono messi in fila per rispondere a più 15 bandi, e molti di loro ne hanno vinti tra i 4 e i 9. Sono la punta di diamante di un nutrito gruppo di quasi 265 mila candidati che nel biennio hanno partecipato ad almeno due concorsi, potendosi poi permettere di scegliere quello che preferivano. Quasi un candidato su cinque infatti (il 17%) è risultato idoneo a due concorsi, il 6% a 3 e oltre il 3% a più di 3.
I "pluricandidati" spiegano solo in parte le difficoltà recenti della Pubblica Amministrazione di coprire tutti i posti messi a concorso. Difficoltà che inizialmente sono state negate, o ridimensionate, ma che ormai sono diventate una forte incognita che pesa anche sul Pnrr, visto che in quel caso i posti da assegnare sono tutti a tempo determinato, e quindi ancora meno appetibili.
La scelta in molti casi avviene a monte, e così, se tra il 2019 e il 2020 c'era una media di 207 candidati per ogni posto, nel biennio successivo la media è crollata a 40. […]
Nel "Rapporto 2022" il Formez analizza tutti i colli di bottiglia dei concorsi pubblici, tra i quali, non ha difficoltà ad ammettere il presidente Alberto Bonisoli, c'è anche la questione della "reputazione" della Pubblica Amministrazione, sotto il profilo del salario e delle prospettive di carriera.
[…] a fronte delle difficoltà in cui si dibatte la Pubblica Amministrazione, potrebbe essere il caso di considerare con una maggiore flessibilità la questione della sede, soprattutto per i profili di difficile reperibilità che arrivano in prevalenza dal Sud. Se al Nord infatti i candidati sono distribuiti maggiormente nell'ambito giuridico, al Sud e al Centro c'è una quota maggiore di laureati STEM (economia, ingegneria, architettura).
Il tasso medio di mancata copertura dei posti messi a concorso è del 16,5%, ma le rinunce sono molte di più. Per il concorso "Mef 500" (contratti a tempo determinato) sono arrivate al 76,8% dei vincitori: i posti sono stati coperti lentamente, scorrendo la graduatoria fino alla fine. Dove è andato chi ha rinunciato ai posti offerti dal ministero dell'Economia? Oltre un terzo (38,7%) ha accettato il contratto legato al concorso "Unico funzionari", che metteva a disposizione 2133 posti da funzionario in varie amministrazioni con un contratto a tempo indeterminato. Ma anche il posto al Comune di Roma è risultato preferibile: anche in quel caso, era a tempo indeterminato.
[…] L'indagine smonta però decisamente l'ipotesi della "scarsa attrattività" della Pubblica Amministrazione: in realtà i candidati sono superpreparati, nella stragrande maggioranza si tratta di laureati. Però, soprattutto per i profili tecnici di difficile reperibilità, le prove vanno riviste, e va incentivata la formazione successiva all'entrata in servizio, osserva Bonisoli: "Se io faccio un concorso per 10 ingegneri, e se ne presentano 11, sarebbe meglio evitare le prove sulle competenze di tipo giuridico, e concentrarsi sulle competenze "core". Poi certo, un ingegnere deve conoscere il codice degli appalti. Ma può anche impararlo dopo, con un ciclo di formazione ad hoc".
Antonio Giangrande: Inchiesta. Ancora a parlare di concorsi truccati. Questa volta nelle Forze di Polizia.
Il metodo di correzione negli esami di Stato o nei concorsi pubblici è sempre lo stesso: si dichiarano corretti i compiti che non sono stati nemmeno visionati. Per attestare ciò detto non si abbisogna di microfoni o micro spie nelle segrete stanze delle commissioni e dei "Compari". Basta verificare i tempi di correzione se siano sufficienti e controllare le prove se e come sono state corrette, anche in relazione alle altre prove ritenute idonee. I Tar di tutta Italia ne scrivono di nefandezze commesse. Nel ribellarsi, però, non si caverà un ragno dal buco: perchè così fan tutti!! Giudicanti, ingiudicati.
L’inchiesta del dr. Antonio Giangrande. Scrittore, sociologo storico, blogger, youtuber, presidente dell’Associazione Contro Tutte le Mafie, destinatario delle denunce inascoltate di centinaia di migliaia di candidati estromessi di tutta Italia.
Parliamo della Magistratura. E’ da scuola l’esempio della correzione dei compiti in magistratura, così come dimostrato, primo tra tutti gli altri, dall’avv. Pierpaolo Berardi, candidato bocciato. Elaborati non visionati, ma dichiarati corretti. L’avvocato astigiano Pierpaolo Berardi, classe 1964, per anni ha battagliato per far annullare il concorso per magistrati svolto nel maggio 1992. Secondo Berardi, infatti, in base ai verbali dei commissari, più di metà dei compiti vennero corretti in 3 minuti di media (comprendendo “apertura della busta, verbalizzazione e richiesta chiarimenti”) e quindi non “furono mai esaminati”. I giudici del tar gli hanno dato ragione nel 1996 e nel 2000 e il Csm, nel 2008, è stato costretto ad ammettere: “Ci fu una vera e propria mancanza di valutazione da parte della commissione”. Giudizio che vale anche per gli altri esaminati. In quell’esame divenne uditore giudiziario, tra gli altri, proprio Luigi de Magistris, giovane Pubblico Ministero che si occupò inutilmente del concorso farsa di abilitazione forense a Catanzaro: tutti i compiti identici e tutti abilitati.Al Tg1 Rai delle 20.00 del 1 agosto 2010 il conduttore apre un servizio: esame di accesso in Magistratura, dichiarati idonei temi pieni zeppi di errori di ortografia. La denuncia è stata fatta da 60 candidati bocciati al concorso 2008, che hanno spulciato i compiti degli idonei e hanno presentato ricorso al TAR per manifesta parzialità dei commissari con abuso del pubblico ufficio. Risultato: un buco nell'acqua. Questi magistrati, nel frattempo diventati dei, esercitano.
Parliamo della Avvocatura. E’ da scuola l’esempio della correzione dei compiti in avvocatura, così come dimostrato, primo tra tutti gli altri, dal dr Antonio Giangrande, che ha provato sulla sua pelle per ben 17 anni l’ignominia e la gogna di non essere all’altezza per una funzione meritatissima. Elaborati non visionati, ma dichiarati corretti. Ha scritto dei saggi in base alla sua esperienza. Ha pubblicato dei video per chi non vuol leggere. Per questo gli hanno inibito la professione di avvocato e, addirittura, processato per aver denunciato e scritto cose che tutti sanno.
Potevano bastare questi esempi per dimostrare l’illibatezza dei nostri tutori della legalità? Certo che no!!
Parliamo della Guardia di Finanza: Lo dice il maresciallo capo della Finanza Antonio Izzo ai genitori di un aspirante finanziere, mentre davanti a un caffè illustra la proposta indecente: 1500 euro in cambio del superamento dei test attitudinali per il figlio. “Signora, questa è una cosa normale. Voi pensate che non ci siano persone corrotte? Qui tutto il sistema è corrotto”, scrive Vincenzo Iurillo su “Il Fatto Quotidiano” del 14 dicembre 2015. «Non si entra in Guardia di Finanza se non per queste vie». È la frase che il maresciallo della Gdf Bruno Corosu ha pronunciato, scrive “Il Corriere del Mezzogiorno" del 24 marzo 2015. Un finanziere romano e alcuni aspiranti marescialli avevano in casa copia dei test a risposta multipla del concorso svolto a Bari nell’aprile scorso. Lo hanno scoperto i militari del Nucleo di Polizia Tributaria della Guardia di Finanzi di Bari durante le perquisizioni disposte dalla magistratura barese nell’ambito dell’inchiesta della Procura di Bari dove si ipotizzano i reati di corruzione e rivelazione di segreti d’ufficio nei confronti di sette persone, tra finanzieri in servizio e ex militari, tutti romani, e partecipanti al concorso per 297 posti da allievo maresciallo nella Guardia di finanza, scrive “La Gazzetta del Mezzogiorno” il 2 dicembre 2013.
Parliamo della Polizia Penitenziaria. Concorso agenti polizia penitenziaria a Roma: scoperti dal servizio di sorveglianza durante i controlli. Tutto per un posto in carcere. Anche, magari, rischiando il carcere stesso. 88 persone tra gli undicimila uomini e le duemila donne partecipanti al concorso per agenti della polizia penitenziaria, tenutosi a Roma tra il 20 e il 22 aprile, sono state indagate e denunciate a piede libero: le operazioni di controllo effettuate dalla task force di vigilanza tra i banchi della Nuova Fiera di Roma hanno infatti portato a scoprire materiale con cui i presunti furbetti cercavano di passare il test a pieni voti. Ne scrive il 26 aprile 2016 il Messaggero con Michela Allegri.
E poi, non poteva mancare lo scandalo per la Polizia di Stato.
Parliamo della Polizia di Stato. Concorso Vice Ispettori: gli esclusi devono avere delle risposte, scrive Il Sap Nazionale il 21 marzo 2016. I candidati non idonei alla prova scritta del concorso per 1.400 posti da Vice Ispettore devono avere delle risposte e tanti dei loro elaborati risultano non essere inferiori di altri che hanno superato l’esame. E’ quanto emerge con chiarezza dalla lettera inviata il 18 marzo 2016 dal SAP al Capo della Polizia Alessandro Pansa e per conoscenza al Ministro dell’Interno Angelino Alfano. Secondo il SAP non è accettabile che i numerosi colleghi risultati non idonei alla prova scritta del concorso siano così bistrattati anche quando, dopo il difficilissimo accesso agli atti, hanno scoperto le carte e le hanno messe sul tavolo. Documenti che sono stati analizzati dallo stesso Sindacato, il quale condivide quanto è stato rappresentato da molti degli esclusi. Non c’è mai stata una manifestazione di dissenso così forte. Basti pensare che è stata costituita anche un’associazione chiamata “Tutela e Trasparenza” con l’obiettivo di tutelare i colleghi esclusi ingiustamente dalla prova scritta. La stessa associazione ha ricordato che la pubblica amministrazione deve assicurare il rispetto dei principi costituzionali del buon andamento e dell’imparzialità, senza dimenticare il principio di trasparenza che deve valere anche per gli appartenenti alla Polizia di Stato. Il SAP auspica che l’Amministrazione riveda i temi giudicati non idonei e rivaluti quelli che effettivamente risultano meritevoli di consentire l’accesso alle prove orali. Da ultimo, e forse la cosa più importante, l’Amministrazione deve valutare un allargamento dei posti previsti dall’attuale bando, che avrebbe costi esigui e non paragonabili con quelli abnormi che si dovranno affrontare con il concorso esterno.
L’incontro organizzato dall’associazione “Tutela & Trasparenza” che si è svolto lunedì 7 marzo 2016 a Milano presso Hotel Galles, relativa all’esito dell’accesso agli atti della prova scritta per 1400 v.isp, è stato un autentico successo di pubblico. Il Presidente Walter Massimiliani ha approfondito il discorso, ricostruendo per intero gli avvenimenti che hanno portato all’incontro e, dopo aver precisato che non si tratta di una guerra a coloro che sono stati ritenuti idonei alla prova scritta ma semplicemente di una richiesta di equità di giudizio, ha mostrato alcuni dei numerosi elaborati che sono stati analizzati e per i quali sono state rilevate evidenti criticità sotto vari punti di vista, in particolare:
presenza di elaborati con segni o frasi non inerenti lo svolgimento della traccia;
elaborati con ampi passi identici a testi o link presenti sulla rete;
elaborati con contenuti palesemente inadatti e scarsi dal punto di vista sintattico grammaticale e/o di concetti giuridici. L’Avvocato Leone il 28 gennaio 2016 ha preso parte all’importante incontro/dibattito svoltosi all’Hotel Holiday Inn di Cava de’ Tirreni (SA) in merito al ricorso per il Concorso Interno per 1400 Vice Ispettori della Polizia di Stato, organizzato dalla Associazione di agenti “Tutela e Trasparenza”. Tantissimi i presenti accorsi presso la sede designata, per cercare di approfondire dal punto di vista giuridico il bando di concorso, che presenta una serie di criticità degne di nota, nonché la fase di correzione e di valutazione degli elaborati che, in modo manifesto, appare illogico e illegittimo.
Al fine di consentire di capire di cosa stiamo parlando descrivo brevemente il concorso in argomento: nel mese di giugno 2014 si è svolta una prova preselettiva articolata con nr. 80 quiz a risposta multipla su 5 materie d’esame (diritto penale, procedura penale, diritto amministrativo, diritto civile, diritto costituzionale) cui hanno partecipato 22mila candidati ed alla quale sono risultati idonei 7032 candidati;
nel mese di gennaio 2015 si è svolta una prova scritta consistente nella stesura di un elaborato di diritto penale, conclusa da 6355 candidati ed alla quale sono risultati idonei 2127 candidati che hanno riportato una votazione superiore a 35/50.
Il 17 dicembre 2015, a distanza di 11 mesi dalla prova scritta, è stata diffusa una lista degli idonei che sin da subito a suscitato forti dubbi di correttezza per la distribuzione dei voti. Infatti oltre 2/3 degli idonei (più di 1400) hanno superato la prova con il voto di 35/50; nessun candidato ha conseguito 34/50 e solo in 73 hanno conseguito la sufficienza compresa tra 30/50 e 33/50. Inoltre una gran parte dei candidati sono stati valutati non idonei con il voto di 25/50 e 28/50. Si evidenzia che l’associazione “Tutela & Trasparenza”, ha effettuato un accesso agli atti straordinario e storico richiedendo ed ottenendo TUTTI i 2127 elaborati dei candidati idonei e TUTTI gli atti endoprocedimentali. L’analisi di tale materiale effettuata con una task force di colleghi poliziotti che in dieci giorni ha controllato tutti gli elaborati, ha permesso di scoprire delle considerevoli anomalie, in particolare:
numerosissimi elaborati con palesi errori sintattico grammaticali diffusi;
numerosissimi elaborati con palesi errori concettuali grossolani e confusione su elementi basilari di diritto penale tali da stravolgerne completamente le basi;
numerosi elaborati singolarmente identici a libri di testo e/o da documenti rinvenuti sulla rete internet;
alcuni elaborati con segni o con messaggi di testo rivolti alla commissione come: SI RINGRAZIA PER L’ATTENZIONE, NOTA PER IL FUNZIONARIO CHE CORREGGE, SCUSATE PER LA CALLIGRAFIA E GRAZIE et.
Il lavoro dell’associazione non si è comunque esaurito in tale fase, sono stati infatti presentati circa 400 ricorsi al TAR, circa 50 al Presidente della Repubblica e circa 150 istanze di ricorrezione al Dipartimento di P.S., tali numeri hanno di fatto bloccato le udienze in Camera di Consiglio al TAR Lazio al punto che ad oggi non risultano ancora calendarizzati la maggior parte dei ricorsi.
D'altronde di cosa parliamo: è tutta “Cosa nostra”. Si sa la famiglia in Italia è sacra.
Parliamo del Corpo Forestale. Amici e parenti la grande famiglia della Forestale. E’ sempre una notizia attuale e quindi utile leggere l’articolo de “La Stampa” del 13 maggio 2009 riguardo il Corpo Forestale. I figli di dirigenti e comandanti alla corte di papà. Bravi. Anzi, bravissimi. Ma non c’erano dubbi, visto che spesso la sapienza passa di padre in figlio. E così, da una parte il caso, dall’altro le conoscenze e le tante doti è accaduto che tra i 500 vincitori al concorso allievi per il Corpo forestale, molti tra questi sono figli di comandanti, dirigenti, uomini di stretta vicinanza del capo del Corpo, Cesare Patrone. Il fato, infatti, è stato così generoso nei loro confronti, che molti di costoro sono stati, addirittura, assegnati nelle stazioni dove comandano i loro capo famiglia. Non sfugge, infatti, che la sorte abbia riservato a Matteo Colleselli la stazione di Candaten proprio nell’area dove papà, comanda la regione Veneto; e così è accaduto a Stefano Piastrelli figlio del capo di Perugia, o a Massimiliano Giusti discendente diretto del numero due della regione Umbria. Ma le regalie della dea bendata non finiscono qui. Tanto che a trarne beneficio è toccato pure a Matteo Palmieri, «omonimo» del capo della segreteria del Corpo e destinato in Puglia, terra d’origine, a Francesco Polci (figlio del vice comandante d’Abruzzo assegnato a Chieti), a Massimo Priori (omonimo del caposervizio del personale assegnato a Livorno), a Vittorio Scarpelli (figlio del dirigente del servizio ispettivo assegnato nel vicino Abruzzo), nonché al figlio del comandante di Taranto, Pasquale Silletti, assegnato alla stazione di Cassano Murge a Bari, a Dante Stabile, parente del capo di Napoli finito alla stazione di Boscoreale in Campania. E’ chiaro, però, che la fortuna non poteva girare a tutti. Ma dove non osò la sorte, giunsero i «pizzini» del patronato: per Alfonso, figlio di Rosetta, per Emidio figlio di Cesarina di zio Antonio, o per Maria, figlia di Raffaele di zia Maria. E ancora, per Massimiliano, cugino di Rosetta, ma anche per Paolo che è nel cuore di zio Domenico e altri. Del resto si sa, in Italia le cose marciano spedite solo se stanno veramente a cuore a qualcuno. E tra le camicie verdi del Corpo Forestale la regola, stavolta, non fa eccezione. I capisaldi sembrano tre: l’ambiente e il soccorso, il rispetto della legge ma anche la famiglia. Non a caso, infatti, a capo del Corpo è finito Cesare Patrone, figlio dell’ex geometra della Forestale, Michele. Al suo fianco ci sono anche il fratello Amato (sovrintendente), la moglie di quest’ultimo Serena Pandolfini (sovrintendente), Domenico, zio del capo ma ora in quiescenza, dalla fulgida carriera e la figlia di quest’ultimo Rosa, primo dirigente del Corpo, la quale classificatasi quarta al concorso da primo dirigente (i posti erano tre) si è vista riconoscere dall’amministrazione il ruolo, ma senza arretrati per la decorrenza della nomina dal 1 gennaio 2002 (data del posto vacante), secondo quanto stabilito dall’ufficio centrale del bilancio del Ministero. Nomina sì, dunque, ma senza «indennizzo». Ma per la serie, la speranza è l’ultima a morire, ecco che in soccorso di Rosa Patrone, la Camera ha approvato un emendamentino ad hoc che si «applica anche agli idonei nominati, nell’anno 2008, nelle qualifiche dirigenziali» e che risarcisce e stabilisce anche le quantificazioni economiche: oltre 177mila euro per il 2008, 24mila per il 2009 e altri 24 mila per il 2010. Insomma, un indennizzo niente male, che desta non pochi malumori. Così come destano sorpresa i risultati del concorso per 182 posti da vice ispettore. Dopo la prova scritta tra i primi posti a piazzarsi ci sono i più stretti collaboratori del capo del Corpo. Uomini certamente brillanti e qualificati come il suo autista Domenico Zilli (voto 30 su 30), Marco Giurissich della segreteria (30/30), Amato Patrone, fratello del capo (30/30), Noemi La Motta, segretaria del capo (29,5/30), Serena Pandolfini, la cognata di Patrone (29,5/30), Claudio Bernardini, segreteria della cugina del capo del corpo (29/30), Cristiano De Michelis, assistente del capo (29/30), Quintilia Pomponi, segreteria della cugina del capo (29/30), Vania La Motta, sorella di Noemi, cognata di Zilli l’autista del capo. Tanta conoscenza e bravura, nelle prove scritte, ha stupito il parlamentare del Pdl, Marco Zacchera che in una interrogazione spiega «che dall’esame dei 50 concorrenti che hanno superato il punteggio di 28/30 appaiono alcune anomalie, ovvero che ben 32 di essi hanno sede di lavoro a Roma, molti negli uffici dell’ispettorato generale, mentre altri 8 hanno sede di lavoro in Calabria e solo 10 nel resto d’Italia», e quindi chiede «di accertare se i testi dei quiz siano stati resi pubblici a nicchie» e se non si ritenga di «dover sospendere il concorso». Niente da fare, ovviamente. Il concorso va avanti, così come procede spedita anche un’altra interrogazione. Stavolta, a siglarla è il parlamentare leghista, Maurizio Fugatti al quale non sfugge che «dei 29 candidati che hanno riportato voti tra il 29 e il 30, ben 21 provengono dal medesimo ispettorato generale». Attitudini spiccate? Chissà. Di certo, nemmeno Fugatti sembra capacitarsi di «un personale così altamente qualificato in servizio all’ispettorato - scrive - e che sarebbe consigliabile correggere tale squilibrio sul territorio nazionale, assegnando a compiti territoriali almeno parte delle migliori risorse ora collocate a mansioni amministrative». Ma nonostante ciò al Corpo si guarda avanti. L’attenzione nelle ultime ore è rivolta a tutta una serie di promozioni varate in una delle riunioni del cda della Forestale presieduto dal ministro Zaia. Anche qui, la fortuna ha lasciato il segno. Tangibile, ma solo per pochi, «posandosi» sui fascicoli di nove candidati, otto dei quali del nord Italia e Veneto, che così hanno ottenuto il punteggio massimo pur non avendo alcuni titolo speciale valutabile.
Dr Antonio Giangrande
Il posto fisso. Il grande, grosso e imbarazzante concorso per forestali in Sicilia. Giacomo Di Girolamo su L'Inkiesta il 6 Dicembre 2023
Ventimila persone hanno fatto un quiz per accedere a quarantanove posti a tempo indeterminato. Il primo classificato ha risposto correttamente a tutte le domande, anche a una che aveva tutte le risposte sbagliate: è il figlio dell’ex capo del Corpo Forestale, lo stesso che ha scelto i componenti della commissione esaminatrice
Per essere bravo, il candidato è bravo. Ha risposto esattamente a tutte le domande del quiz. Anzi, è più che bravo, bravissimo. Fin troppo. Ha risposto in maniera giusta pure a una domanda del quiz per il concorso che era sbagliata. E la risposta giusta era impossibile. Tranne la sua. La domanda era: «Quanti sono i deputati dell’Assemblea Regionale Siciliana?». Le tre opzioni erano: sessanta, centoventi, novanta. Ma erano tutte e tre sbagliate, perché sono settanta, dopo l’ultima riforma approvata qualche anno fa. C’è qualcosa di sospetto in questo candidato. Il concorso è quello per entrare nel Corpo Forestale della Regione Siciliana. Sono quarantanove posti. Lui, il primo classificato, quello che ha risposto correttamente a tutte le domande, sessanta su sessanta, anche a quella sbagliata, è il figlio, guarda caso proprio dell’ex capo della Forestale in Sicilia, Giovanni Salerno. Si chiama Alessio e ha ventidue anni.
È questo il momento topico di uno dei concorsi più farsa che la Sicilia ha visto negli ultimi anni. Un concorso bandito dalla Regione, dove per neanche cinquanta posti a tempo indeterminato, in una terra assetata di lavoro, si sono presentati ben in ventimila, a sostenere le prove scritte e i quiz tra Catania e Siracusa. E pensare che il presidente della Regione, Renato Schifani, aveva presentato questo concorso con grande enfasi, sia per comunicare che, dopo anni di vacche magre, la Regione tornava ad assumere, sia perché, tra tutti i settori della vasta pianta organica della Regione, quello dei Forestali è uno dei più sofferenti: età media alta, poca formazione, personale troppo spesso in malattia, incapacità ad affrontare le emergenze, come ricordano i tanti incendi che colpiscono l’isola ogni estate. Quindi: assumiamo, rinnoviamo, largo alle giovani guardie forestali.
Ma come, dirà qualcuno, non si scrive sempre che i forestali in Sicilia sono tantissimi? Si, è vero anche quello, in questa Regione che assomiglia sempre più al gatto di Schrodinger, quello che è vivo e morto insieme, i forestali sono pochi e allo stesso tempo tanti. Non è un gioco di prestigio. In Sicilia ci sono sedicimila forestali, ma sono tutti precari, cioè stagionali, assunti, ad esempio, per la campagna antincendio (da giugno a settembre). I forestali a tempo pieno e indeterminato, invece, sono pochissimi: cinquecento. Con un’età avanzata. Da qui il bando della Regione per assumerne un’altra cinquantina. Certo, si potrebbero assumere i precari, anziché farli lavorare tre mesi, e tenerli a casa con una misera indennità di disoccupazione per il resto dell’anno. Ma i politici poi come se la fanno la campagna elettorale?
La selezione si tiene dal 24 al 27 ottobre. Ventimila ragazzi si alternano nei palazzetti di Catania e Siracusa per tre giorni. «Lo specchio di una Sicilia affamata di lavoro» dicono i giornali, mentre le tv riprendono ragazzi e ragazze (qualcuno anche più avanti negli anni) che, in fila, con un documento di riconoscimento in una mano e la bottiglietta d’acqua nell’altra, raccontano la loro storia: ci sono laureati nelle materie più disparate, fisioterapisti e ingegneri, giovani che lavorano fuori e vogliono un’opportunità per tornare in Sicilia e magari mettere su famiglia grazie all’agognato posto fisso, che significa poter accendere un mutuo per la casa, magari sposarsi e avere figli, e una pensione.
A inizio novembre una manina, la classica manina siciliana, diffonde nei vari gruppi Whatsapp dei partecipanti la classifica parziale, prima dell’orale. Tra ammessi e bocciati, spicca un dato. Il primo arrivato ha due anomalie: ha risposto giusto pure alla domanda che molti candidati avevano fatto notare come sbagliata. E ha un cognome pesante. Anzi, è proprio il figlio dell’ex comandante del Corpo Forestale, Giovanni Salerno, che era quello che aveva anche nominato la commissione esaminatrice poco prima di andare in pensione lo scorso Febbraio. E la commissione, a sua volta, conosceva in anticipo la batteria di domande elaborate dal Formez (trecento quesiti, divisi in cinque buste).
La vicenda diventa subito pubblica, perché arrivano le denunce da parte dei sindacati, che scoprono via via tante anomalie: nessun componente esterno tra i membri della commissione stessa, nessuna banca dati per prepararsi, e poi la forzatura fatta dalla Regione. Il concorso, infatti, era stato finanziato con cinque milioni di euro, ma qualche giorno prima della scadenza dei termini per candidarsi, la Corte Costituzionale aveva bocciato la legge che ne finanziava la procedura. La Regione, anziché fare un bando nuovo, ha preferito trovare altri fondi e finanziare la procedura in corso (tra le tante conseguenze, sarebbe cambiata anche la commissione.
E poi c’è la chicca: facendo copia e incolla da qualche altro bando, viene inserita anche la norma che, a parità di punteggio, dà precedenza a mutilati e invalidi (per guerra o per servizio) dimenticando che siamo di fronte a una selezione per gente in divisa, che deve fronteggiare incendi e calamità, e che è prevista, alla fine, anche una prova di idoneità fisica. Insomma stranezze piccole e grandi, delle quali non si è accorto nessuno. E pensare che, nell’indizione del concorso, un anno fa, a settembre 2022, l’allora assessore al Territorio e Ambiente, Salvatore Cordaro, scrivendo proprio al mega dirigente Salerno, lo aveva diffidato, nel caso in cui avesse parenti partecipanti al concorso, ad astenersi dal nominare la commissione.
I partecipanti annunciano ricorsi. Avvocati e patronati cominciano a raccogliere adesioni per class action. Scende in campo anche la commissione antimafia dell’Ars, che, in mancanza di mafia, ormai, è diventata una specie di sportello del cittadino per piccole e grandi ingiustizie. Di polemica in polemica, si arriva a oggi. La Regione ritira il bando, annulla il concorso, manda le carte alla Procura della Repubblica e alla Corte dei Conti. Un’apposita commissione di ispettori nominata dal presidente Schifani ci ha messo, con calma, tre settimane, per arrivare a una conclusione: «Il dirigente generale del comando del Corpo forestale dell’epoca, avrebbe dovuto astenersi dal nominare il presidente della commissione di concorso, trovandosi in conflitto di interessi». Il condizionale è sempre elegante, ma in realtà non è un suggerimento: lo prevede proprio la legge, l’obbligo di astensione in casi come questo.
Ventimila giovani che si erano presentati per i test, che hanno affrontato spese, trasferte, giorni di studio, dovranno, se vogliono, rifare tutto. Pronti a fare di nuovo la fila, a farsi intervistare un’altra volta, e a scoprire magari qualche domanda sbagliata. Abbiamo scherzato, in pratica. Schifani cerca di ricaricarli: «Abbiamo ripristinato la legalità violata – dice – e in poco tempo torneremo a selezionare i migliori». Si, ma intanto, questa piccola farsa ha avuto un costo non indifferente, sottolineano i sindacati, ottocentomila euro. «La stagione dei concorsi non si ferma – aggiunge il presidente, incontrando i vincitori di un altro concorso infinito, quello per i Centri per l’impiego – perché la Regione in Sicilia ha bisogno di giovani e di professionalità».
Estratto dell’articolo di Manuela Modica per “Il Fatto Quotidiano” lunedì 6 novembre 2023.
Il padre, Giovanni Salerno, era il capo della Forestale siciliana fino allo scorso febbraio. Ora il figlio, Alessio Maria Salerno, è arrivato primo a un concorso per entrare nello stesso corpo, rispondendo correttamente a sessanta domande su sessanta. Una di queste, però, aveva tutte e tre le opzioni di risposta sbagliate.
Fa discutere l’esito della selezione di 46 nuove guardie forestali in Sicilia (assunzioni urgenti, visti i continui incendi sull’isola e il sottorganico), svolta dal 24 al 27 ottobre tra Catania e Siracusa e curata da Formez Pa, il centro servizi della presidenza del Consiglio che si occupa di modernizzare la pubblica amministrazione.
Una delle sessanta domande a cui rispondere in un’ora, per l’appunto, era impossibile: chiedeva quanti fossero i deputati dell’Assemblea regionale siciliana, fornendo come possibili risposte “60“, “120” o “90“. Ma i seggi, che prima erano novanta, dal 2017 sono diventati settanta.
La risposta corretta, dunque, non era tra le alternative, come ha dovuto ammettere la stessa commissione d’esame. Commissione nominata proprio dall’ex capo della Forestale, nonché papà del primo classificato: i componenti infatti, come risulta da un documento ufficiale, sono stati scelti dal dirigente generale del corpo il 13 luglio del 2022, quando la poltrona era ancora occupata da Salerno, che è andato in pensione solo a febbraio del 2023. Contattato da ilfattoquotidiano.it, l’ex dirigente ha risposto soltanto: “Sono impegnato, grazie”.
Non è tutto: nell’elenco dei vincitori c’è anche il nome di Giovanni Bruscia, nipote di Felice Bruscia, ex assessore comunale di Palermo nonché componente della segreteria particolare dell’ex assessore regionale al Territorio nella giunta Musumeci, Toto Cordaro. Bruscia risulta 15esimo in graduatoria col punteggio di 26.90. La classifica, però, al momento circola solo in alcune chat di Whatsapp: è stata vidimata da Formez e trasmessa all’assessorato regionale della Funzione pubblica, ma non ancora pubblicata a causa delle controversie. […]
Concorsi, domande e dubbi irrisolti. Gian Antonio Stella su Il Corriere della Sera il 31 gennaio 2023.
La selezione per scegliere dodici geologi per velocizzare le pratiche del Pnrr in Sicilia. I ricorsi e la a sentenza del Tar
«Grazie per l’intervento. Si prepari sugli appalti...», ridacchiò il presidente della commissione convocata per selezionare i dodici migliori geologi su piazza per velocizzare le pratiche rastrellando più soldi possibili del Pnrr, da sempre il tallone d’Achille della Regione Siciliana che nei decenni si è lasciata sfuggire decine di miliardi europei per totale insipienza della politica e della burocrazia. Preso per i fondelli dopo l’esame disastroso in cui aveva infilato scene mute e un enorme strafalcione, il candidato fece un sorriso un po’ ebete e rispose al presidente forzando una risatina pure lui: «Eh, sì, ne ho bisogno…» Dopo di che, convinto che il collegamento Web fosse caduto, sospirò con la moglie che gli chiedeva come fosse andata: «Di mer...». Una figuraccia catastrofica finita dritta (grazie al ricorso di uno degli aspiranti consulenti bocciati che aveva preteso d’avere tutta la documentazione) in un servizio micidiale de Le Iene di Marco Occhipinti e Filippo Roma.
Risultato? Mezza Italia, lo scorso ottobre, ne rise. Ma la sentenza del Tar? È appena arrivata. E dice che certo, alcune cose in quel concorso lasciavano molti dubbi. Come il video di un altro candidato che superò l’esame «sparendo» on-line nel momento delle domande specifiche: «Laddove un colloquio venga svolto in videoconferenza, è necessario garantire che il collegamento rimanga attivo per tutto il tempo di svolgimento della prova; si tratta dell’unico serio presidio che consente di mantenere un ragionevole livello di trasparenza della stessa…». Rileggiamo: «unico serio presidio».
Quindi «vi è stata un’evidente disparità di trattamento con il ricorrente, che ha tenuto sempre attivo il collegamento con la Commissione (come tutti gli altri candidati...)». Giustizia è fatta? Oddio, mica tanto: Francesco Cannavò, il geologo escluso dalla dozzina di «esperti», ha ottenuto di potersela rigiocare rifacendo l’esame. Il minimo. Una settimana prima della decisione del Tar però (carramba che «coincidenza»!) gli «espertissimi» promossi e assunti al concorsone l’anno prima si erano visti rinnovare la consulenza per altri due anni. Tranne coloro buttati fuori perché avevano firmato un’autocertificazione falsa sfuggita al setaccio dei controllori (!) e altri che, attratti dai 70.000 euro e passa di consulenze, si erano dimenticati di dire d’aver già un posto di lavoro altre parti. «Espertissimi» ma distratti...
Alla regione.
All’ASL LE.
All’Arpal.
All’Arif.
Puglia, il concorso fantasma per assumere sindaci e politici. Tra gli stabilizzati dell’Agricoltura anche il segretario Pd di Foggia. «I nomi? C’è la privacy». MASSIMILIANO SCAGLIARINI su La Gazzetta del Mezzogiorno il 16 ottobre 2023.
E così quando è stato portato a termine il concorso riservato per la stabilizzazione di 42 funzionari dell’assessorato all’Agricoltura si è scoperto che uno dei vincitori non può essere assunto perché, nel frattempo, ha maturato il diritto alla pensione. Ma non è questo l’aspetto più singolare della procedura che, il 29 settembre, ha stabilizzato in Regione gli agronomi presi con contratti di collaborazione a partire dal 2018, e che - utilizzando una legge - hanno guadagnato il diritto al posto a tempo indeterminato.
Tutto legittimo, naturalmente. Perché l’obbligo di concorso pubblico previsto dalla Costituzione è salvo, anche se il bando in realtà era riservato: hai fatto tre anni in Regione con contratto flessibile? Sì. Hai la laurea in materie agronomiche? Sì. Alla legge non importa che si tratti di requisiti sartoriali (in quelle condizioni erano in 42, e i posti a bando erano...). Alla fine gli idonei sono stati 37 (meno il pensionato), e la storia si fa interessante...
Regione Puglia, i portaborse assunti come archivisti o «scrivani». I gruppi politici provano ad aggirare i divieti. Ma interviene la Corte dei conti: «Spieghino cosa fanno davvero questi collaboratori». MASSIMILIANO SCAGLIARINI su La Gazzetta deal Mezzogiorno il 5 Aprile 2023
Nessun bilancio dei gruppi politici del Consiglio regionale ha passato il controllo della Corte dei conti. Il problema è, a parte le irregolarità formali, sempre quello che due anni fa ha portato alle condanne degli allora capigruppo: il costo delle consulenze per i cosiddetti esperti non può figurare tra le spese di personale (per le quali ciascun consigliere ha un budget di 53mila euro l’anno), ma deve andare tra le spese di funzionamento gruppo (dove invece ogni consigliere ha soltanto 5mila euro l’anno).
La scorsa settimana i magistrati del Controllo (presidente Enrico Torri) hanno notificato a tutti i capigruppo le delibere con cui vengono chiesti chiarimenti sui conti del 2022. Ci sono, appunto, le questioni formali più o meno serie (una potrebbe essere segnalata alla Procura ordinaria). Ma il nodo è ancora una volta il personale. A partire dalla Lega, che ha contrattualizzato 15 collaboratori (tra cui anche l’ex senatore e sindaco di Carovigno, Vittorio Zizza), 13 dei quali come addetti all’«attività di catalogazione e archiviazione di leggi e provvedimenti normativi». Molti di loro sono professionisti laureati. Una scelta singolare, se si pensa che il Consiglio è dotato di tutte le banche dati aggiornate in tempo reale. E infatti i giudici contabili hanno chiesto «di specificare nel dettaglio l’attività svolta da ciascun collaboratore», «di fornire prova documentale in ordine alla prestazione effettivamente svolta» e, per gli «archivisti», di presentare una relazione «con particolare riferimento al numero dei provvedimenti archiviati e catalogati, all’oggetto del contratto, ai risultati raggiunti e eventuali osservazioni, proposte e/o modifiche suggerite al consiglio regionale», descrivendo per ciascun collaboratore «l’effettivo contenuto delle prestazioni offerte per quei provvedimenti relativi a materie appartenenti alla competenza del Consiglio Regionale»...
Dopo i disastri all’ ASL Taranto Stefano Rossi ora dg dell’Asl Lecce, nomina la moglie e nell’atto scrive: “La dottoressa ha notevole esperienza”. Redazione CdG 1947 su Il Corriere del Giorno il 9 Febbraio 2023.
Dal palazzo della Presidenza della Regione Puglia sul lungomare di Bari fuoriesce uno stridente imbarazzante silenzio tombale. L' incompatibilità tra Rosanna Indiveri e il marito Stefano Rossi, suo attuale superiore gerarchico, già in passato aveva sollevato perplessità e polemiche.
La vicenda della conclamata incompatibilità tra Stefano Rossi, direttore generale della Asl di Lecce, e sua moglie Rossana Indiveri, dirigente in forza alla stessa azienda sanitaria, da lui nominata quale responsabile dell’Ufficio Gare territoriali con atto firmato da Rossi, ha fatto parecchio rumore negli ambienti della sanità pugliese.
Nonostante questa scandalosa vicenda corresse sulla bocca di tutti, dagli uffici e gli ambulatori e persino nelle corsie degli ospedali, la Regione Puglia si è chiusa in un silenzio assordante. Nessun commento è uscita dall’ufficio del presidente Michele Emiliano, dall’assessorato alla Sanità, dal Dipartimento Promozione della Salute, tutti rispettivamente invitati dai giornalisti a rilasciare dichiarazioni. La spiegazione è molto facile: Stefano Rossi è da tempo un “fedelissimo” dell’ex capo di gabinetto della presidenza regionale, Claudio Stefanazzi, recentemente entrato in parlamento, che la sempre protetto contribuendo alla sua discutibile carriera. Ma stranamente la stampa locale e regionale tace.
Ieri mattina, soprattutto al Dea – Vito Fazzi di Lecce, il più importante e moderno ospedale salentino, in particolare modo negli ambienti nell’area dei Servizi amministrativi distrettuali di cui Rossana Indiveri (mogli di Rossi) è responsabile per effetto della deliberazione 466 del 25 maggio 2022 a firma dell’allora direttore generale Rodolfo Rollo, tra i dipendenti c’era anche chi non ha esitato a mostrarsi indispettito.
Dal palazzo della Presidenza della Regione Puglia sul lungomare di Bari fuoriesce uno stridente imbarazzante silenzio tombale. L’ incompatibilità tra Rosanna Indiveri e il marito Stefano Rossi, suo attuale superiore gerarchico, già in passato aveva sollevato perplessità e polemiche. Sin dallo scorso mese di luglio 2022, quando Rossi venne inviato a Lecce per prendere il posto del dimissionario Rollo, a seguito del suo coinvolgimento nell’inchiesta “Re Artù” sul presunto intreccio tra politica e sanità che, secondo la Procura della Repubblica di Lecce, era orientato al malaffare.
La segreteria provinciale della Federazione Cisal Sanità, guidata da Giovanni D’Ambra, sollecitò in quell’occasione l’ Anac ed il Ministero della Salute ad accertare la regolarità della coesistenza nella stessa Asl di Rossi, nella sua funzione di commissario straordinario, e di sua moglie, da alcuni anni in servizio nel capoluogo salentino con il ruolo di dirigente. D’Ambra è tornato all’attacco nei giorni scorsi, inviando all’ Anac la disposizione di servizio a firma di Rossi con cui, il 30 dicembre 2022, veniva nominata Rossana Indiveri a responsabile dell’Ufficio gare. Ieri sera, come al solito con una lunga nota, Rossi ha risposto alla Cisal, confermando quanto detto ieri ai giornalisti: “La mia disposizione è legittima, è stata ritenuta erroneamente fonte di conflitto d’interessi“. Nulla di cui meravigliarsi per chi conosce la presunzione ed arroganza dell’ avvocato salentino Stefano Rossi che ha preferito intrufolarsi nei meandri della sanità pugliese invece di frequentare le aule di tribunale.
AD’Ambra non è sfuggito di segnalare la circostanza che l’allora commissario Rossi abbia firmato un atto contenete valutazioni positive sull’operato della propria consorte quale dirigente. Nel documento trasmesso all’attenzione e valutazione dell’ Anac si legge che la dottoressa Indiveri ha “maturato una notevole esperienza nella gestione e coordinamento delle procedure amministrative per l’approvvigionamento di beni e servizi, sia in qualità di Responsabile unico del procedimento in numerose procedure di gara, sia quale referente aziendale di specifiche schede di progetti di investimento“.
A parere del segretario Fp della Cgil di Lecce Floriano Polimeno, “fermo restando l’esigenza di creare un organismo per tenere a freno la spesa farmaceutica, la questione di incompatibilità si poteva probabilmente evitare affidando la responsabilità della attivazione dell’Ufficio gare a Cosimo Dimastrogiovanni, direttore dell’area Gestione del patrimonio ed a Vito Gigante, coordinatore per le unità operative afferenti al Dipartimento di Indirizzo, Gestione e Controllo».
Sempre la Cisal per voce del segretario Giovanni D’Ambra, ha censurato e criticato Stefano Rossi per l’accredito di somme irrisorie, anziché dell’intero stipendio del mese di gennaio “a numerosi dipendenti“. parlando di “situazioni paradossali” come quella di un medico dell’ospedale di Casarano “che si è visto accreditare sul conto corrente solo 93 euro, corrispondenti a poche ore di reperibilità, mentre sul cedolino, alla voce “stipendio”, risultavano versati zero euro”.
Rossi non è nuovo a clamorosi episodi legati alla politica, allorquando nel suo precedente incarico di direttore generale dell’ ASL Taranto, a seguito di un esposto di un politico di paese (in quel periodo assessore regionale) sospese Nazareno Di Noi un dipendente dell’ ASL Taranto, che nel suo tempo libero svolgeva legittimamente l’attività di giornalista regolarmente iscritto all’ albo. La decisione di Rossi poi venne revocata dal Tribunale competenti che annullò la decisione dittatoriale dell’ex dg dell’ ASL Taranto molto abituato alle denunce, come quella effettuata nei confronti di Eleonora Coletta un legale interna della stessa ASL che aveva denunciato ad un importante trasmissione tv nazionale condotta dal collega Mario Giordano un caso di malasanità nell’ospedale Moscati di Taranto durante il Covid che avrebbe comportato il decesso del padre e del marito della funzionaria dell’ ASL Taranto.
E se c’è un responsabile sui ritardi per il completamento del Nuovo Ospedale San Cataldo di Taranto, quella persona è proprio Stefano Rossi. Per non parlare poi di molte strane gare d’appalto revocate a seguito di denunce televisive.
“Mai citazione appare più azzeccata: la moglie di Cesare non deve essere solo onesta, ma deve sembrare onesta. Il senso è evidente: l’opportunità in certi contesti è più importante della verità stessa“. È il commento del gruppo regionale di Fratelli d’Italia (il capogruppo Francesco Ventola e i consiglieri Luigi Caroli, Giannicola De Leonardis, Antonio Gabellone, Renato Perrini e Michele Picaro) alla notizia della nomina, da parte del direttore generale Asl Stefano Rossi, della moglie quale responsabile del neo istituito Ufficio Gare territoriali.
“In virtù di questo principio – scrivono in una nota ufficiale i consiglieri – non entreremo nel merito della nomina che Rossi fa per sua moglie, “unica” dirigente della Asl di Lecce, Rosanna Indiveri, affidandole non solo un incarico, ma proprio un ufficio ad hoc, Ufficio Gare territoriali all’interno dell’Unità di Coordinamento servizi amministrativi. Certo, il fatto di essere “unica” dirigente della Asl a cui assegnare l’incarico fa porre tante domande. Il punto è l’opportunità che un marito direttore faccia fare carriera alla moglie dirigente in un ente pubblico. Il presidente Emiliano rispolveri ogni tanto anche la toga da pm che ha solo “congelato”, visto che è in aspettativa – proseguono i rappresentati di FdI – e si ponga la domanda, soprattutto, sul piano etico e deontologico: quanto è opportuno tutto questo. Chiaramente parliamo di un’opportunità politica, quella che come richiamava l’imperatore Cesare deve essere anche un elemento di “apparenza’”, non solo di sostanza. A meno che nel Salento dove l’imperatore non si chiama Cesare, ma Claudio (al secolo Stefanazzi) l’opportunità ha un sapore diverso da quello politico, ma è un’opportunità personale e di amicizia“. Redazione CdG 1947
Arpal, il concorso beffa: ai primi 3 posti due figli di politici e un parente dell’ex dg. La giunta dovrebbe provvedere a breve a nominare i nuovi vertici dell’agenzia per il lavoro e a lanciare il bando per la ricerca del nuovo direttore generale. Massimiliano Scagliarini su La Gazzetta del Mezzogiorno il 03 Gennaio 2023
BARI - Il vincitore del concorso è Mauro Battista, consigliere comunale di Triggiano. Dietro di lui, a pari merito, ci sono Mariangela Tesoro, figlia di un ex vicesindaco di Terlizzi alleato politico di Massimo Cassano, e Alessandro Francesco Lapenna, cugino della moglie dell’ex direttore generale dell’agenzia Arpal. All’antivigilia di Capodanno il dirigente del personale, Luigi Mazzei, ha approvato la graduatoria definitiva del concorso per 18 posti di istruttore amministrativo (impiegato) a tempo indeterminato. E ha attestato che le procedure si sono svolte regolarmente.
L’assenso finale alle assunzioni spetta al commissario dell’agenzia, Silvia Pellegrini, cui Mazzei ha inviato la graduatoria per la proclamazione dei vincitori. Cosa che, secondo fonti della Regione, per il momento non avverrà perché ogni decisione è demandata al futuro consiglio di amministrazione. Dopo che Palazzo Chigi non ha inteso impugnare la norma con cui a novembre il Consiglio regionale ha imposto la decadenza di Cassano (proprio per le assunzioni di politici), la giunta dovrebbe provvedere a breve a nominare i nuovi vertici dell’agenzia per il lavoro e a lanciare il bando per la ricerca del nuovo direttore generale...
Puglia, blitz della Finanza all’Arif: lo spettro di una parentopoli. Nel mirino l’auto di servizio del direttore generale Ferraro e 13 stabilizzazioni sospette: tra loro due assessori comunali. Massimiliano Scagliarini su La Gazzetta del Mezzogiorno il 27 Gennaio 2023
Potrebbe esserci una parentopoli anche all’interno dell’Arif, l’agenzia per le attività irrigue e forestali della Regione. Potrebbe essere stata messa in piedi attraverso una vecchia procedura, quella per l’assunzione degli ex operai Sma, nella quale sarebbero stati infilati altri 13 lavoratori che non appartenevano alla platea storica ma sembrano avere parentele importanti.
La vicenda è finita all’interno di un fascicolo della Procura di Bari, nato presumibilmente da una documentata lettera anonima che gira da tempo. Il pm Baldo Pisani ha mandato la Finanza nella sede dell’agenzia, allo scopo di acquisire sia i documenti relativi alla stabilizzazione degli ex Lsu (Lavoratori socialmente utili), una lunga e complessa partita che si è trascinata per molti anni. Ma i militari, sulla base della delega di indagine, hanno chiesto anche altri atti: quelli che riguardano l’utilizzo della macchina di servizio da parte del direttore generale dell’agenzia, Francesco Ferraro.
Il caso degli operai ex Sma è molto noto, perché si trascina da molti anni. Provengono da Sma, società creata nei primi anni 2000 dall’imprenditore nocese Enrico Intini per assorbire gli Lsu destinandoli alla sorveglianza antincendio: quando i fondi pubblici sono finiti, la società è fallita e il personale è stato preso in carico dalla Regione e passato all’Arif. Dei 290 dipendenti originari, 115 hanno messo la cravatta e sono diventati impiegati. Nel 2017 il Consiglio regionale stabilì che dovevano essere stabilizzati, tramite la Madia. Il punto oggetto di verifica da parte della Procura è che, in questo passaggio, l’elenco si sarebbe allungato inserendo 13 nomi che nulla avevano a che fare con la platea storica.
La coincidenza è che tra questi 13 ci sono persone vicine alla politica. Uno, Gianfranco Spizzico, è assessore al Comune di Modugno (eletto in una lista vicina al centrosinistra), un altro, Giuseppe Rampino, è assessore al Comune di Trepuzzi, dove è sindaco l’ex direttore generale dell’Agenzia, Giuseppe Taurino. Nell’elenco anche la figlia di un dipendente, il figlio di un ex dirigente dell’assessorato regionale all’Agricoltura, il figlio di un sindacalista. Coincidenze, appunto, che non consentono a nessuno di fare illazioni ma che ora saranno sottoposte al vaglio di chi indaga: le stabilizzazioni sono passate attraverso un corso-concorso, per il quale era necessario possedere i requisiti previsti. Ci sarebbero però alcuni dipendenti che, entrati attraverso un contratto interinale, sarebbero poi diventati dipendenti dell’agenzia e quindi inquadrati come «ex Sma».
L’altro tema è l’utilizzo di un’auto di rappresentanza dell’Arif, una Stelvio (notoriamente ottima per andare in campagna e sorvegliare gli incendi). L’auto sarebbe stata usata per il tragitto casa-lavoro del direttore generale Ferraro (che abita ad Acquarica, paese di cui è stato sindaco). I finanzieri hanno chiesto la documentazione sull’utilizzo del mezzo, per verificare se ci siano state violazioni: un dirigente pubblico non può avere quella che nel privato sarebbe l’auto aziendale.
Non è la prima volta che l’Arif finisce nel mirino di una indagine per la gestione del personale, né che ci sono polemiche per l’utilizzo dei mezzi aziendali. E - soprattutto - non è la prima volta che emergono certe coincidenze: in anni passati sono stati numerosi i consiglieri ed assessori del Comune di Trepuzzi (e qualcuno anche del Comune di Modugno) approdati nell’agenzia forestale come consulenti o dipendenti. Una recente inchiesta della Procura di Lecce (quella che ha portato ai domiciliari l’ex assessore al Welfare, Totò Ruggieri) ha peraltro dimostrato che la gestione del personale Arif fa molto gola alla politica, e che comunque ci sono collegamenti forti con la politica salentina. A febbraio 2020 il braccio destro dell’assessore, il commercialista Giantommaso Zacheo, viene intercettato mentre parla con un dipendente dell’agenzia, che insiste per ottenere l’assunzione del figlio. Il commercialista si rivolge a un funzionario dell’agenzia interinale Tempor di Lecce, probabilmente per effettuare una segnalazione che va a buon fine, come poi conferma il padre: «Lui è andato a pomeriggio a firmare sai... Ha detto alle 15 lo hanno chiamato».
Concorsopoli, l’infettivologo Massimo Galli rinviato a giudizio. Il Domani 03 ottobre 2023
Secondo l’accusa avrebbe favorito un suo pupillo per il posto da professore di seconda fascia. Lui si difende, dicendo che era tutto regolare. Il dibattimento si apre a metà dicembre
È stato rinviato a giudizio l’infettivologo Massimo Galli, ex primario dell’ospedale Luigi Sacco di Milano e fra i protagonisti delle fasi più drammatiche della pandemia. Il caso è quello che vi avevamo raccontato anche su Domani e riguarda uno dei filoni dell’inchiesta milanese sui presunti concorsi pilotati per posti da professore e ricercatore alla Facoltà di medicina alla Statale di Milano.
Per Galli l’accusa è di falso e per un’imputazione alternativa tra turbativa d’asta e abuso d’ufficio. Insieme a lui dovrà rispondere delle accuse anche Agostino Riva, suo ex collaboratore, poi risultato vincitore del concorso. Il dibattimento inizierà il 13 dicembre.
Due professori universitari hanno invece deciso di patteggiare una pena inferiore a sei mesi, convertita in una sanzione pecuniaria di poco più di 8mila euro. Per loro l’accusa era solo di falso perché avrebbero sottoscritto un verbale nell’ambito della procedura di selezione.
LA DIFESA
Il concorso sotto la lente degli inquirenti è del 2020 e si riferisce a un ruolo di professore di seconda fascia in malattie cutanee, infettive e dell’apparato dirigente. Secondo l’accusa, Galli sarebbe intervenuto sul verbale di valutazione dei candidati, facendosi guidare – sempre secondo l’accusa – dallo stesso Riva nell’indicazione dei punteggi.
Galli, che è innocente fino a prova contraria, ha rilasciato dichiarazioni davanti al giudice per rivendicare la correttezza del suo operato e per rivendicare la correttezza del suo operato. Anche la persona che era risultata penalizzata dal concorso aveva in passato espresso «massima stima» per Galli.
(ANSA il 26 aprile 2023) - Vanno a processo Elio Franzini ed Enrico Felice Gherlone, rettori rispettivamente dell'Università Statale di Milano e dell'Università Vita-Salute del San Raffaele, assieme a tre primari, tutti finiti sotto inchiesta nei mesi scorsi in una tranche dell'indagine milanese su presunti concorsi pilotati negli atenei, in particolare nelle facoltà di medicina.
Lo ha deciso stamani il gup di Milano Cristian Mariani, accogliendo la richiesta di rinvio a giudizio formulata dai pm Carlo Scalas e Bianca Baj Macario. Il giudice, che ha riconosciuto tutte le accuse contestate nell'indagine, ha fissato la prima udienza per il 5 luglio davanti alla decima sezione penale.
In particolare, i due rettori sono imputati per turbata libertà nel procedimento di scelta del contraente: Franzini in relazione a due concorsi per un posto da professore ordinario in urologia, uno al San Paolo e l'altro all'ospedale San Donato, mentre Gherlone, stando al capo di imputazione, solo in relazione al bando per il posto al San Paolo.
Per la vicenda, che risale al 2021, i pm hanno chiesto il processo anche per Francesco Montorsi, urologo e professore ordinario all'Università Vita-Salute del San Raffaele, per
Stefano Centanni, ordinario di malattie dell'apparato respiratorio all'Università degli Studi di Milano e per Marco Carini, urologo presso l'Università di Firenze. Franzini, da quanto era stato già riferito, è sempre stato convinto di poter dimostrare nel procedimento la sua estraneità ai fatti.
In un altro dei tanti capitoli, del tutto autonomo, delle indagini milanesi sulle presunte "concorsopoli" è finito indagato anche l'infettivologo Massimo Galli, nei cui confronti,
rispetto a quelle originarie, le contestazioni sono state, poi, ridimensionate dai pm ed è rimasto un episodio di turbativa d'asta e falso. Fatti per i quali Galli dovrà affrontare un'udienza preliminare dopo la richiesta di processo dei mesi scorsi.
Estratto dell'articolo di Monica Serra per “La Stampa” il 27 aprile 2023.
Quando lo stralcio di indagini è arrivato da Firenze, la procura di Milano aveva già aperto un fascicolo sulla presunta concorsopoli lombarda. Così, mettendo insieme i pezzi, i pm hanno compreso il senso delle chat sequestrate che erano sulla loro scrivania. «Due tuoi professori non si sono mica… Sono ancora ben presenti all'interno del concorso… Ecco, siccome c'è anche l'altro in ballo, cioè non vorrei interferenze spiacevoli sulle due procedure…», diceva intercettato il rettore della Statale di Milano, Elio Franzini al rettore dell'università San Raffaele, Felice Enrico Gherlone.
Al centro della discussione, un posto da professore di prima fascia in Urologia all'ospedale San Paolo, a tavolino destinato, per l'accusa, a Bernardo Maria Cesare Rocco. Così ieri, entrambi i rettori sono stati rinviati a giudizio dal giudice Cristian Mariani, assieme a Francesco Montorsi, ordinario di Urologia del San Raffaele, Marco Carini, ordinario di Urologia all'Università di Firenze, e al direttore del Dipartimento Scienze della Salute alla Statale, Stefano Centanni.
Nel processo, che si aprirà il 5 luglio, sono accusati a vario titolo di corruzione, turbativa d'asta e falso dai pm Carlo Scalas e Bianca Maria Baj Macario. «Ho sempre operato per difendere esclusivamente il bene dell'università e della sanità pubbliche – ha dichiarato Franzini – dimostrerò nelle opportune sedi istituzionali la correttezza delle mie azioni e la totale mancanza di interessi privati che le hanno guidate».
Il concorso da ordinario al San Paolo, per l'accusa nell'interesse del fiorentino Carini, era stato bandito dal rettore della Statale l'8 luglio del 2020, senza prima interpellare il Collegio dei professori ordinari di Urologia di Milano, scatenando la «rivolta» di una ventina dei suoi membri. Che avevano «deciso di fare ostruzionismo a questo modo di procedere, presentando tutti la domanda per quella posizione».
[…]
Alla fine, a risolvere la situazione, sarebbe stato per i pm un «accordo corruttivo», ricostruito tramite una delle chat sequestrate. Dopo una cena dell'ottobre del 2020, il presidente della commissione del concorso al San Paolo, Carini, e il direttore Centanni si sarebbero messi d'accordo con Montorsi, per far bandire entro sei mesi un posto «gemello» da ordinario di Urologia all'ospedale San Donato.
Una procedura che doveva essere gestita dalla stessa commissione giudicatrice presieduta da Carini, che avrebbe, questa volta, garantito la vittoria del candidato indicato dal professore Montorsi: Luca Carmignani. Solo dopo il nuovo bando al San Donato, Montorsi avrebbe ritirato la domanda presentata per il posto al San Paolo e convinto gli altri candidati a seguirlo.
Nascevano, però, alcuni problemi. A partire dal fatto che la legge vieta che la stessa commissione possa giudicare un nuovo bando se non sono passati sei mesi dal primo. Non solo. Al momento della pubblicazione del concorso per il San Donato, dieci dei candidati che si erano inizialmente presentati non avevano ancora ritirato la domanda per la procedura al San Paolo. E tra loro c'era proprio Montorsi.
[...]
Montorsi informa via sms Gherlone di aver rinunciato alla candidatura, così come farà anche Briganti. Nei giorni successivi Centanni e Franzini continuano a chattare: «A questo punto facciamo una grande festa». Centanni: «E poi diciamo di portare il Dom Pérignon ovviamente». «Dom Pérignon in calici». Fin qui le accuse, respinte dagli imputati. Che spiegheranno le loro ragioni a processo.
Concorsi truccati in università a Milano: rinviati a giudizio i rettori della Statale e del San Raffaele. Redazione CdG 1947 su Il Corriere del Giorno il 26 Aprile 2023
La procura milanese contesta l' accusa di aver condizionato due concorsi per altrettanti posti per la cattedra di Urologia agli ospedali San Paolo e San Donato. Il processo inizierà il prossimo 5 luglio
Il Gup del Tribunale di Milano Cristian Mariani non potendo escludere una ragionevole previsione di condanna ha mandato processo il rettore dell’Università Statale, Elio Franzini, ed il rettore dell’Università Vita-Salute del San Raffaele, Enrico Gherlone, a cui la procura di Milano contesta di aver condizionato, a vario titolo, due concorsi per altrettanti posti per la cattedra di Urologia agli ospedali San Paolo e San Donato, insieme ai docenti Francesco Montorsi (professore ordinario di Urologia al San Raffaele), Marco Carini (ordinario di Urologia all’Università di Firenze), e Stefano Centanni (direttore del Dipartimento Scienze della Salute alla Statale).
Il processo a loro carico inizierà il prossimo 5 luglio per vagliare le imputazioni di “corruzione” (per Montorsi, Carini e Centanni) e di “turbativa d’asta” (per i due rettori) e di “falso” (per il solo Franzini).
L’inchiesta condotta dai pm Carlo Scalas e Eugenia Bianca Maria Baj Macario della Procura di Milano nasce da uno stralcio di quella più ampia di Firenze su una presunta concorsopoli con 39 docenti indagati in tutta Italia. Al centro dei due bandi milanesi pilotati in particolare ci sarebbero Marco Carini, urologo dell’università fiorentina e componente delle due commissioni giudicatrici. È lui che si sarebbe impegnato per “condurre entrambe le procedure selettive in favore di vincitori predeterminati”.
L’impianto dell’accusa ha origine dall’incrocio tra un fascicolo di Firenze e uno di Milano, è che un primo concorso bandito dalla Statale per un posto all’ospedale San Paolo fosse nato dovendo già avere un vincitore predestinato (Bernardo Maria Cesare Rocco) nell’interesse del caposcuola fiorentino Carini: al punto che allora gli urologi milanesi (capitanati da Montorsi) erano insorti contro quello che ritenevano una intesa solo tra Carini e Franzini, e avevano preannunciato una sorta di ostruzionismo consistente nel presentare tutti domanda, in modo da battere il predestinato (dal profilo soccombente rispetto a loro) e poi però non accettare la chiamata per fare andare a vuoto il concorso, così tra l’altro evitando (altro piano di scontro degli interessi in gioco) che il potenziamento del San Paolo andasse a scapito del gruppo San Donato della famiglia Rotelli.
Al San Paolo il docente Bernardo Maria Cesare Rocco, sostenuto dallo stesso Carini e al San Donato Luca Carmignani “sponsorizzato” da Francesco Montorsi, professore ordinario dell’Università Vita-Salute San Raffaele. In questa doppia partita di nomine sarebbero poi entrati i rettori dei due atenei: Franzini – secondo l’accusa – venuto a conoscenza che Montorsi e un altro professore “non avevano ancora ritirato la loro candidatura” per la cattedra all’ospedale San Paolo, “contattava il rettore Gherlone perché quest’ultimo intervenisse per far rispettare i patti”. Un intervento che si sarebbe manifestato quando Gherlone “convocava Montorsi e determinava la revoca delle domande” dei due candidati “nel giro di qualche ora”.
“Ecco… perché… – diceva Franzini intercettato mentre parlava con Gherlone – due tuoi professori non si sono mica… Sono ben presenti all’interno del concorso“. “E chi sono?“, chiedeva il rettore del San Raffaele. “Montorsi – diceva Franzini – e quell’altro che si chiama… Briganti“. “Eh… sì, sì… va bene“, abbozzava Gherlone. “E siccome c’è l’altro (concorso, ndr) in ballo… Cioè, non vorrei interferenze spiacevoli sulle due procedure – continuava Franzini – (…) Perché no… non si è ritirato sostanzialmente come aveva promesso“. Redazione CdG 1947
Estratto dell’articolo di Luigi Ferrarella per il Corriere della Sera il 9 febbraio 2023.
A pensare che per tre anni presidente del Conservatorio di Milano era stato nel 2007-2010 proprio anche l’ex procuratore della Repubblica di Milano all’epoca di Mani pulite, Francesco Saverio Borrelli, suona bizzarro contrappasso il fatto che ora l’ammissione a una delle più importanti istituzioni musicali internazionali possa risultare barattata in cambio di tangenti in denaro, versate dagli aspiranti studenti ai professori componenti le terne delle commissioni esaminatrici.
«Corruzione» è infatti l’ipotesi di reato per la quale la Procura di Milano ha mandato la Guardia di Finanza a perquisire case e uffici di tre professori e di due studenti cinesi dei corsi di canto del Conservatorio di Milano «Giuseppe Verdi»: il più grande istituto di formazione musicale in Italia, affermato a livello internazionale al punto da essere appetita meta di 1.500 studenti di ogni Paese, per i quali 236 docenti curano più di 100 percorsi di studio in un ambiente che vanta anche una Biblioteca di mezzo milione di libri e ospita 200 concerti all’anno nella sala Verdi da 1.420 posti e nella sala Puccini da 400 posti.
(…) Scambio illecito che, in questa fase d’indagine, sembrerebbe avere come target di «mercato» soprattutto taluni giovani nella appassionata colonia di aspiranti studenti cinesi, per i quali dal 2009 esiste un apposito programma «Turandot» che nella musica, come nelle arti e nel design, consente — a molti di coloro che ambiscono a conseguire una specializzazione — di vivere in Italia per 11 mesi e preparare gli esami di ammissione alle Istituzioni di Alta formazione quali appunto il Conservatorio.
Estratto dell'articolo di Monica Serra per “la Stampa” il 10 febbraio 2023
Nell'esposto iniziale si parlava di un «tariffario» da almeno 10, 12 mila euro. Ma le indagini condotte fin qui dalla procura hanno permesso di ipotizzare che le presunte mazzette pagate da alcuni studenti per garantirsi un posto al Conservatorio Giuseppe Verdi di Milano sarebbero più alte. E non di poco. Uno scandalo che rischia di travolgere un'istituzione del panorama musicale italiano e internazionale con oltre due secoli di storia.
Che, però, già in passato, era stata colpita da un altro filone d'inchiesta, su presunte lezioni private pagate in nero dagli studenti, poi concluso in un nulla di fatto. Ma che, anche all'epoca, aveva scosso il Conservatorio e interessato il ministero dell'Istruzione, che per due volte aveva chiesto informazioni ai pm, per eventuali procedimenti disciplinari. Alla ricerca di soldi, contatti e altre tracce del presunto sistema di tangenti, mercoledì gli agenti della Squadra mobile, diretti da Marco Calì, hanno perquisito le case di sette docenti e anche gli armadietti di dieci studenti, tutti cinesi. Di questi tre insegnanti e due allievi risultano al momento indagati, ma il loro numero potrebbe crescere presto. Il bottino finito sotto sequestro è di 110 mila euro.
(...)
Conservatorio di Milano, l'indagine per corruzione: trovati 50 mila euro in casa di un professore. Luigi Ferrarella su Il Corriere della Sera il 10 Febbraio 2023.
L'inchiesta sulle tangenti per l'ammissione: in tutto sequestrati 110 mila euro. L'istituzione: «Noi parte lesa, pronti a collaborare»
Cinquantamila euro in contanti trovati a uno dei tre professori di canto indagati con l’accusa di aver «venduto» agli studenti cinesi paganti tangenti l’ammissione al Conservatorio «Giuseppe Verdi» di Milano, ventimila euro a casa di un altro dei docenti indagati insieme a due studenti, e complessivamente altri quaranta mila euro sempre in contanti trovati nelle perquisizioni svolte mercoledì dalla Squadra mobile di Milano ad altri undici tra docenti e studenti non indagati: già al secondo giorno di emersione dell’inchiesta della Procura di Milano si capisce che, anche sospendendo per ora il giudizio sull’ipotizzata matrice corruttiva della provenienza del denaro, a tutti questi contanti una qualche spiegazione dovrà pure essere data al pm Giovanni Polizzi. Il cui decreto di perquisizione già anticipava un altro segmento di vita quotidiana di alcuni dei docenti del più grande istituto di formazione musicale in Italia, affermato a livello internazionale al punto da essere ambita meta di 1.500 studenti di ogni Paese, per i quali 236 docenti curano più di 100 percorsi di studio: e cioè la pratica forse un po’ troppo disinvolta del fenomeno delle lezioni private a pagamento, presumibilmente «in nero» anche se sarà comunque ben difficile per i possessori di così tanti contanti giustificarli «solo» con il «nero» appunto delle lezioni private.
L’ipotesi che invece sta scandagliando l’inchiesta della polizia, a partire da alcune segnalazioni trasmesse mesi fa dalla questura di Lodi, è che alcuni docenti si facessero pagare, da studenti disposti a sganciare una bustarella nell’ordine delle migliaia di euro, per «garantire il superamento dell’esame di ammissione ai corsi accademici» nelle selezioni di giugno 2021.
«La mia assistita si dichiara totalmente estranea a queste accuse — fa sapere l’avvocato Carlo Fontana che difende una insegnante di canto fra i tre indagati —, ha consegnato subito i telefoni e i computer oggetto di sequestro, si è resa disponibile agli inquirenti». Ma è esatto che le sono state trovate e sequestrate decine di migliaia di euro in contanti? «Sì, ed è pronta a dare spiegazioni su questo». Anche l’avvocato Luca Di Edoardo, che difende un’altra dei tre docenti indagati, alla quale non sono stati trovati contanti in casa, si fa portavoce della posizione della insegnante di canto, che nega qualunque coinvolgimento e spiega di essere in forza al Conservatorio da non molto, il che a suo avviso le impedirebbe di poter far parte di un giro corruttivo quale quello ipotizzato dagli inquirenti.
Lo scambio illecito sinora sembrerebbe avere avuto come target di «mercato» soprattutto taluni giovani nella appassionata colonia di aspiranti studenti cinesi, per i quali dal 2009 esiste un apposito programma «Turandot» che consente — a molti di coloro che ambiscono a conseguire una specializzazione — di vivere in Italia per 11 mesi e preparare gli esami di ammissione alle Istituzioni di Alta formazione quali appunto il Conservatorio.
Questo bicentenario orgoglio della cultura milanese non nasconde lo sconcerto e prende subito una posizione netta: «Il Conservatorio di Milano è parte lesa in questa vicenda ed è al fianco della magistratura per appurare i fatti — spiegano il presidente Raffaello Vignali e il direttore Massimiliano Baggio — Abbiamo già fornito agli inquirenti i materiali relativi agli esami di ammissione e continueremo a fornire la più completa collaborazione», ma soprattutto «rafforzeremo in ogni caso da subito anche le procedure interne atte a prevenire tali fenomeni sia in fase di ammissione che di valutazione degli studenti delle discipline a rischio di comportamenti scorretti». E per quanto riguarda lo specifico dell’indagine, «valuteremo tutte le eventuali azioni a tutela della nostra Istituzione», con la conseguenza che, «se le indagini confermeranno le ipotesi degli inquirenti e si giungerà a processo, il Conservatorio intende costituirsi parte civile».
Ignoranti e Magistrati.
Concorsi truccati.
Estratto dell’articolo di Mic. All. per “il Messaggero” il 27 giugno 2023.
Voleva a tutti i costi diventare un magistrato, ma ha iniziato la carriera infrangendo la legge: si è presentato alla prova scritta del concorso in magistratura con dei temi, già svolti, nascosti dentro alcuni volumi. Quando il candidato è stato scoperto, non solo è stato escluso dall'esame, ma è stato anche denunciato.
Ora è finito a processo con l'accusa di avere tentato di presentare come propri testi di terzi, introducendoli abusivamente nel padiglione allestito dove si svolgeva il concorso. I magistrati di piazzale Clodio, per l'aspirante pubblico ministero, che ha 33 anni, hanno chiesto e ottenuto il giudizio immediato. I fatti risalgono allo scorso maggio. La prima udienza, invece, sarà l'8 aprile del 2025, davanti al tribunale monocratico. Nel procedimento è individuata come parte offesa il ministero di Giustizia.
Il trentatreenne è stato scoperto dal personale di vigilanza mentre cercava di nascondere alcune tracce già svolte di diritto civile, penale e amministrativo e copie di pubblicazioni. Gli elaborati erano stati infilati tra le pagine di un volume di diritto e all'interno della copertina di un altro testo. […]
Anche un altro candidato è stato pizzicato mentre tentava di truccare l'ultimo concorso in magistratura, ma con la complicità di un componente della commissione. Entrambi sono finiti sul banco degli imputati con l'accusa di tentato abuso d'ufficio e hanno ottenuto la messa alla prova con l'affidamento ai servizi sociali.
Si tratta del professore di Diritto amministrativo Francesco Astone, ex direttore del dipartimento di Giurisprudenza dell'Università di Messina, e di Roberto Castellano, dottorando nello stesso ateneo e che, secondo gli inquirenti, era legato al docente da un rapporto professionale e di amicizia.
A denunciarli, un altro componente della Commissione, al quale era stato inviato via mail l'elaborato dell'aspirante magistrato che, secondo l'accusa, contava di poter essere valutato con criteri più favorevoli. Ad Astone viene contestato di non essersi astenuto dai lavori nonostante il legame con Castellano, mai dichiarato nei documenti compilati e consegnati al Ministero. […]
Auricolari, soffiate e post-it: tutti i trucchi per diventare giudice (senza meritarselo). Luca Fazzo il 26 Maggio 2023 su Il Giornale.
Un florilegio di pasticci è la triste tradizione del concorso più delicato
Candidati che copiano, commissari d'esame che danno una mano agli amici, temi sballati, correzioni interminabili. È lunga e dolorosa la lista dei pasticci che da sempre avvengono nei concorsi per entrare in magistratura. Quello che è forse il concorso più delicato del paese, la soglia oltre la quale un laureato in legge diventa per tutta la vita arbitro della sorte dei suoi simili, lo si potrebbe immaginare come il tempio della trasparenza e dell'efficienza. Purtroppo non sempre è così.
Il caso più recente e vistoso riguarda il docente universitario colto in flagrante a inviare a un aspirante i codici identificativi, delle parole chiave da inserire nel testo, per renderlo riconoscibile: il messaggio ahilui finisce alla persona sbagliata, scatta la denuncia, il professore viene cacciato dalla commissione e l'aspirante magistrato bandito a vita dai concorsi per toghe. L'episodio racconta bene come la correzione dei temi e la promozione agli orali sia affidata all'arbitrio dei commissari, se bastano tre parole chiave per superare la prova. Va a finire che vengono presi per buoni anche elaborati ricolmi di errori: nel concorso del 2019 due candidati bocciati passarono al setaccio i temi dei promossi e saltò fuori di tutto, dagli apostrofi distribuiti a casaccio alle sentenze inventate.
Il vero finimondo era accaduto dieci anni prima, quando la sessione di esami era stata ospitata nei padiglioni della Fiera di Milano: situazione fuori controllo, candidati che nascondevano i post it con le risposte tra le pagine dei codice, altri con blackberry e auricolare per farsi dettare le risposte dall'esterno. Settanta aspiranti toghe vennero espulse e bannate a vita, trenta scatoloni di materiale illegale finirono in mano ai carabinieri.
Certo, garantire il rispetto delle regole nei palazzetti dove migliaia di laureati in legge provano a coronare il sogno del posto fisso più pagato d'Italia può essere problematico. Il fatto che i «furbetti» si annidino anche tra chi aspira a farsi custode della legalità può essere disarmante, ma va ricondotto alle fragilità dell'animo umano. Ad essere francamente incomprensibile è che a partecipare ai pasticci siano anche le controparti, ovvero i commissari di esame: magistrati di professione e professori universitari che dovrebbero essere lì anche in qualità di garanti e invece si prestano a dare una mano ai candidati amici. A venire incastrato il mese scorso a Roma è stato un cattedratico, ma prima di lui era toccato a un magistrato in servizio effettivo, Clotilde Renna, sostituto procuratore generale a Salerno, designata dal Csm a fare parte della commissione d'esame: si era fatta prestare le chiavi degli armadi blindati dove erano custoditi i temi, e aveva fotocopiato e arricchito gli elaborati di un candidato che le stava a cuore. Colta in flagrante si era dimessa dalla commissione accampando motivi di famiglia.
Anche quell'episodio conferma come la correzione dei temi (che è il vero ostacolo, visto che chi arriva agli orali viene promosso quasi sempre) sia affidata al caso o all'arbitrio, nonostante impieghi tempi biblici: i partecipanti allo scritto del luglio 2022 aspettano ancora il responso della commissione. E un ruolo decisivo nel rendere il voto aleatorio è la sciatteria dei temi proposti. Come quest'anno, anche l'anno scorso il tema di diritto penale venne accusato di essere pressocché incomprensibile anche da docenti universitari. Luca Fazzo
Gaffe, "latinorum" e strafalcioni. Il concorso per magistrati diventa una farsa Auricolari, soffiate e post-it: tutti i trucchi per diventare giudice (senza meritarselo). Gaffe, "latinorum" e strafalcioni. Il concorso per magistrati diventa una farsa. Tra le domande ai candidati una norma inesistente nei codici "Abolitio sine abrogazione". Tutti i dubbi sui criteri di selezione delle toghe. Luca Fazzo il 26 Maggio 2023 su Il Giornale.
È uno strafalcione, un errore da matita blu che in un esame universitario avrebbe portato senza rimedio alla bocciatura del candidato. Invece era contenuto in una delle tracce d'esame al concorso per entrare in magistratura. Le prove scritte si sono tenute la settimana scorsa a Roma. E in una delle buste chiuse preparate dalla commissione c'era il tema sbagliato. Non un refuso, si badi: proprio un'asinata. Siccome a scrivere quella asinata è stata una commissione nominata dal Consiglio superiore della magistratura il fattaccio porta inevitabilmente a chiedersi: come vengono selezionati i magistrati in questo paese? In base a quali criteri il Csm sceglie chi sceglierà i magistrati di domani?
Lo strafalcione era contenuto in uno dei tre temi di diritto penale preparati dalla commissione, come i tre temi di diritto civile e diritto amministrativo. Al momento delle prove scritte, il tema incriminato non è stato sorteggiato. Ma quando il contenuto di tutte le buste è stato reso noto, è saltato fuori anche lui. E sono iniziate polemiche a non finire, che continuano a agitare le chat sia degli aspiranti giudici che dei giudici in servizio.
Solo in apparenza lo strafalcione può apparire sottile. Il candidato viene invitato a dissertare sulla abolitio sine abrogazione di un reato. Visto che si parla in latino, andrebbe scritto abrogatione: ma pazienza. Il problema è che quel concetto semplicemente non esiste. Esiste il suo contrario: la abrogatio sine abolitione, una norma viene cancellata ma il reato continua a essere punito da altre norme. Ma quella che i commissari del Csm si sono inventati non sta scritta da nessuna parte.
È un problema di termini o di sostanza? «Purtroppo è un problema di sostanza - spiega Gianluigi Gatta, ordinario di diritto penale alla Statale di Milano - e il fatto che per puro caso la traccia non sia stata sorteggiata non riduce il pericolo che si è corso. Se un candidato ben preparato si fosse trovato davanti a quella domanda avrebbe pensato che si trattasse di un trabocchetto».
E invece era solo ignoranza, da parte di chi deve scegliere i giudici di domani. «Il problema - spiega ancora Gatta - è che il Csm i membri della commissione di esame li sorteggia tra tutti gli aspiranti. Ci sono regole che garantiscono la parità di genere e di provenienza geografica, nient'altro. Qualunque magistrato d'Italia se fa domanda e viene estratto a sorte diventa commissario d'esame, partecipa alla preparazione delle tracce e alla loro correzione».
Sui temi che le commissioni d'esame sottopongono agli aspiranti magistrati c'è polemica da tempo, e nel concorso della settimana scorsa anche il tema di diritto amministrativo è stato pesantemente contestato. Temi iperspecialistici, a volte fuori dalla realtà: «nella terza busta di diritto penale - racconta Gatta - c'era una ipotesi cervellotica, un caso sul quale le ultime sentenze risalgono agli anni Settanta del secolo scorso».
La conseguenza è che spesso a passare il concorso sono candidati che conoscono a memoria le sentenze, i secchioni usciti dalle scuole private di preparazione all'esame. «Invece - dice Gatta - i temi per il concorso di magistratura dovrebbero essere temi che facciano riferimento agli istituti generali del diritto, temi di ampio respiro tali da verificare la preparazione e la capacità di ragionare di un candidato sui fondamentali della materia. Invece si tende da anni a cercare temi di nicchia, si finisce a ragionare su una punta di spillo. Il bravo giudice non è quello che conosce tutte le sentenze, è quello che è in grado di fare un discorso ordinato. In facoltà ho degli assistenti bravissimi che al concorso non hanno neanche consegnato il tema».
A abbandonare l'aula d'esame senza neanche consegnare sono ormai valanghe di candidati, alla prova dei giorni scorsi su 7.374 candidati se ne sono ritirati oltre quattromila, e il rischio è che alla fine non si riescano a coprire i quattrocento posti a disposizione, messi a bando dal ministero per coprire i buchi d'organico della magistratura. In occasione di uno degli ultimi concorsi, un magistrato membro della commissione d'esame accusò i candidati di non sapere scrivere in italiano. Ora sono i candidati a ribattere: sono le vostre prove che sono sbagliate.
Estratto dell'articolo di Michela Allegri per “Il Messaggero” il 24 maggio 2023.
Avrebbero cercato di truccare l'ultimo concorso in magistratura, bandito il 10 dicembre 2021 per 500 posti. E adesso, dopo essere finiti sul banco degli imputati con l'accusa di tentato abuso d'ufficio, hanno ottenuto la messa alla prova con l'affidamento ai servizi sociali.
Durante la prossima udienza, il giudice dovrà approvare - o modificare - il programma presentato dai due imputati: il professore di Diritto amministrativo Francesco Astone, ex direttore del dipartimento di Giurisprudenza dell'Università di Messina e componente della Commissione esaminatrice del concorso, e il candidato Roberto Castellano, dottorando nello stesso ateneo e che, secondo gli inquirenti, era legato al docente da un rapporto professionale e di amicizia.
A smascherarli - e a denunciarli - un altro componente della Commissione, al quale era stato inviato via mail l'elaborato dell'aspirante magistrato che, secondo l'accusa, contava di poter essere valutato con criteri più favorevoli.
Ad Astone viene contestato di non essersi astenuto dai lavori nonostante il legame con Castellano, mai dichiarato nei documenti compilati e consegnati al Ministero. Avrebbe sminuito la loro conoscenza anche davanti al Csm, quando era stato convocato dopo la segnalazione.
[…] In particolare, il professore avrebbe affermato «l'assenza di ragioni di astensione in sede di dichiarazione al ministero della Giustizia», nel luglio 2022. Poi, anche dopo aver ricevuto i criteri di identificazione degli elaborati di Castellano - che deteneva nel suo computer e che aveva anche stampato e messo nel portafoglio - avrebbe dichiarato il falso davanti al Csm il 22 settembre 2022, «affermando che tra lui e Castellano esistevano i normali rapporti sussistenti tra un professore e dottorando di ricerca».
In realtà, secondo gli inquirenti, avrebbe intrattenuto con lui «rapporti di natura personale, in forza dei quali il medesimo svolgeva attività nell'interesse di Astone, esterne al rapporto professore-dottorando». E ancora: il commissario avrebbe ricevuto «da Castellano i criteri di riconoscimento degli elaborati scritti», in modo poterli individuare, «per adottare - secondo l'accusa - criteri di valutazione diversi e più favorevoli». Avrebbe anche omesso di chiedere «l'annullamento dell'esame».
E, con la collaborazione del candidato, avrebbe trasmesso gli identificativi degli elaborati a un altro componente della Commissione, «al fine di indurlo» a individuarli «perché li valutasse secondo criteri diversi», è sempre riportato nel capo di imputazione. In questo modo avrebbe cercato di garantire al giovane il superamento del concorso. [...]
Al di sotto della legge. Mario Giordano su Panorama il 27 Marzo 2023.
Gli aspiranti magistrati che barano alla prova d’esame (complici, gli stessi esaminatori). O gli «orrori» scritti ai concorsi. Poi uno perde fiducia nella giustizia...
Al di sotto della legge. Panorama il 27 Marzo 2023
Al di sotto della legge (Di lunedì 27 marzo 2023) Gli aspiranti magistrati che barano alla prova d’esame (complici, gli stessi esaminatori). O gli «orrori» scritti ai concorsi. Poi uno perde fiducia nella giustizia... Li ha traditi un errore banale. Hanno mandato la mail a un indirizzo sbagliato. E così s’è scoperto che stavano cercando di truccare il concorso per diventare magistrati. Uno dei commissari, Francesco Astone, professore a Messina, è ora indagato con l’accusa di abuso d’ufficio. Secondo la Procura di Roma era pronto ad agevolare la promozione di un candidato. Lo avrebbe riconosciuto da un segno particolare sulla prova d’esame. Le mail che si stavano scambiando dovevano, per l’appunto, definire il segno. E il resto dell’accordo. Non è la prima volta che succede, purtroppo. Qualche tempo fa il sostituto procuratore di Napoli, Clotilde Renna, era molto preoccupata per una sua pupilla. In effetti quest’ultima aveva ...
Estratto dell'articolo di Andrea Ossino e Giuseppe Scarpa per “la Repubblica” il 14 marzo 2023.
[…] Pur di realizzare il suo sogno l’aspirante toga avrebbe convinto un commissario d’esame a escogitare un sistema che gli consentisse di ottenere una valutazione favorevole. Le cose però sono andate diversamente. E sul ragazzo pende adesso una richiesta di giudizio immediato. Stessa sorte per il commissario Francesco Astone, professore dell’Università di Messina.
[…] Il sistema era banale: lasciare un segno nel compito da valorizzare per renderlo riconoscibile. Nessuno si sarebbe accorto del trucco, ma «per errore il messaggio con il segno identificativo è stato trasmesso sul telefono di un altro commissario — ha proseguito il procuratore Francesco Lo Voi — Quest’ultimo ha denunciato quanto avvenuto e nel giro di pochi giorni abbiamo identificato i protagonisti ».
I carabinieri del Nucleo investigativo di via In Selci hanno ricostruito ogni cosa e hanno scoperto chi era il reale destinatario di quel messaggio sospetto. A quel punto restava solo un dilemma: che reato contestare ai due. Se ci fosse stato uno scambio di denaro si sarebbe trattato di corruzione, ma gli investigatori non hanno trovato traccia di mazzette.
«Se non avessimo avuto il reato di tentato abuso d’ufficio un fatto come questo che a me appare grave, non avremmo potuto fare nulla», ha spiegato Lo Voi riferendosi al dibattito sui nuovi requisiti del reato in questione.
Estratto dell'articolo di Ilaria Sacchettoni per il “Corriere della Sera” il 14 marzo 2023.
Si prova a truccare anche il concorso in magistratura: all’ultima prova scritta un candidato che aspirava ad aggiudicarsi il posto si sarebbe accordato con uno dei commissari per superare il test attraverso un segno convenuto sull’elaborato.
[…] Oggi alla fine di una serie di verifiche, sentiti anche i due presunti manipolatori del concorso, l’inchiesta è conclusa. E il professore Francesco Astone, messinese, commissario all’ultimo esame per una serie di posti in magistratura ordinaria, è indagato per tentato abuso d’ufficio. Il tentativo, appunto, di condizionare l’esito dei test. Assieme a lui sotto accusa anche il candidato sbadato.
[…] L’uno e l’altro hanno dato già conto delle loro ragioni nel corso dell’interrogatorio fissato in Procura. E infatti il procuratore capo ha voluto sottolineare che la «vicenda non è più coperta da segreto investigativo».
C’è un lungo elenco di prestigiosi professionisti oggetto di indagini negli ultimi tempi. L’ultimo approfondimento emerso ha riguardato un giudice del Tar e un luminare del diritto amministrativo che si sarebbero messi d’accordo per pilotare sentenze e accrescere il portafoglio clienti del professore. Si tratta del giudice Silvestro Maria Russo e del professor Federico Tedeschini, sottoposti agli arresti domiciliari tre mesi fa.
La giudice per le indagini preliminari Emilia Conforti aveva stigmatizzato in quel caso una serie di manovre per interferire con «le unità di struttura per la realizzazione del Pnrr (Piano nazionale di ripresa e resilienza)».
Truffa al concorso per magistrati: il candidato “trucca” la prova. Ma sbaglia destinatario...A svelare il caso il procuratore capo di Roma Lo Voi. L’ex Csm Cavanna: «Provai a cambiare le cose». Gennaro Grimolizzi su Il Dubbio il 14 marzo 2023
Se non fosse per la gravità dei fatti, ci sarebbe anche da ridere visti alcuni contorni che potrebbero appartenere alla scena di un film di Checco Zalone. Nel concorso per entrare in magistratura, bandito sulla Gazzetta ufficiale del 10 dicembre 2021, un candidato si sarebbe accordato con uno dei componenti della commissione esaminatrice per superare l’ultima prova scritta.
La pastetta sarebbe consistita nel rendere riconoscibile, con l’apposizione di un segno, l’elaborato dell’aspirante magistrato. Ma l’imprevisto, come spesso succede, anche se si devono realizzare progetti tutt’altro che limpidi, è dietro l’angolo. Distrazione e sbadataggine fanno il resto. Il candidato in cerca di clemenza e sostegno, come racconta il Corriere delle Sera, invia ad un altro commissario la parola chiave utile a riconoscere l’elaborato da valutare positivamente. Il destinatario del messaggio però non ci pensa due volte e denuncia tutto. Di qui le indagini del Nucleo investigativo dei carabinieri, coordinati dal procuratore capo di Roma, Francesco Lo Voi. Un altro aspetto poco chiaro fa comunque pensare. Come mai un candidato al concorso in magistratura (un tempo definito uno dei più impegnativi, rigorosi e seri) ha a disposizione i numeri di alcuni esaminatori?
Dicevamo prima, distrazione e sbadataggine mettono nei guai l’aspirante magistrato e il professore di diritto amministrativo Francesco Astone, accusati di tentato abuso d’ufficio. Un velo di opacità che ha avvolto il concorso per entrare in magistratura e che ha fatto esprimere pubblicamente sulla vicenda, risalente allo scorso mese di settembre, proprio il capo della procura di Roma. «Abbiamo cercato i profili penali – ha detto Lo Voi, durante un convegno della Corte dei Conti due giorni fa - e se non avessimo avuto il reato di tentato abuso d’ufficio su un fatto come questo, che a me appare grave, non avremmo potuto fare nulla».
Le reazioni non sono mancate, prima di tutto sui social. Tanti si sono chiesti come avrebbe fatto il suo lavoro, superato l’ostico concorso, in un’aula di Tribunale e nelle vesti di pm o di giudicante, il candidato accordatosi con il componente della commissione d’esame. Sulla vicenda interviene anche Stefano Cavanna, avvocato del Foro di Genova, già componente del Csm dal settembre 2018 allo scorso mese di gennaio. «Il procuratore Lo Voi – dice al Dubbio -, ha evidenziato l’evento straordinario dell’errore nell’invio di sms, che ovviamente ha reso palese la situazione. Quando facevo parte del Csm, aprii una pratica in Terza Commissione. Avevo letto sulla stampa e poi ricevetti le segnalazioni di alcuni candidati al concorso in magistratura. Riguardavano diversi casi di elaborati che si presentavano in maniera molto singolare. Per esempio scritti saltando una pagina, scritti sulle pagine solo pari. Ma anche casi di elaborati scritti a mezza pagina. Tutte modalità di redazione che non sono consuete quando una persona scrive su un protocollo, sostenendo una prova d’esame. La mia iniziativa fece all’epoca un certo scalpore». Tutto però finì su un binario morto. «Con l’apertura della pratica – aggiunge Cavanna – ci si soffermò sui poteri in capo al Csm, considerato che la materia è di competenza prettamente ministeriale. I togati presenti a palazzo dei Marescialli apprezzarono la mia iniziativa. Riuscimmo a convocare il presidente della commissione esaminatrice dell’epoca, il quale fu ascoltato e mandò alcune memorie. Emerse poi una situazione che per un cittadino è molto curiosa, non così, però, per un giurista. Il presidente della commissione del concorso sostenne che vennero adottati alcuni criteri conformi alla giurisprudenza del Consiglio di Stato».
A questo punto l’analisi di Cavanna si fa più sconsolata: «Palazzo Spada ha rilevato che un compito, anche se scritto in maniera strana, non è riconoscibile, salvo che non abbia un contenuto e non abbia niente a che fare con l’oggetto dell’esame. Mi colpì un elaborato in cui venne annotata a margine una norma che non c’entrava niente. Quello fu ritenuto un segno di riconoscimento, perché esulava dalla traccia dell’esame. La giurisprudenza del Consiglio di Stato e del Tar mi sembra molto permissiva. È ovvio che se io scrivo un compito su una pagina sì e su una no, oppure a metà pagina o iniziando quattro righe dopo, posso indicare al commissario di turno certi riferimenti per il riconoscimento dell’elaborato. Quanto emerse dalle verifiche che feci avviare mi indussero successivamente a mollare la presa».
La vicenda svelata dal procuratore di Roma fa invece riferimento ad un “fattaccio”, come lo definisce Cavanna. «Il messaggio – conclude l’ex componente del Csm -, inviato a chi non doveva riceverlo, ha fatto emergere quanto abbiamo appreso in queste ore. Tutto il meccanismo, come possiamo ben notare, si trasferisce da un piano amministrativistico ad uno penalistico, con le discussioni che ne sono conseguite sull’abuso d’ufficio. Da ex consigliere del Csm, avendo già sollevato una questione analoga, purtroppo, non mi meraviglio di niente».
Altro che carriere, separiamo i carrieristi dalle toghe perbene. Alberto Cisterna su Il Riformista il 27 Dicembre 2022
L’anno che sta per chiudersi vede nubi addensarsi all’orizzonte. Un cielo cupo, segnato dall’attesa delle vere prime mosse del governo Meloni sul versante giustizia. Sinora si è praticamente scherzato. Tolto di mezzo un decreto rave di dubbia fattura e di ancor più dubbia efficacia e una semplificazione delle procedure di intercettazione di competenza dell’intelligence, ci sono solo dichiarazioni e annunci. Questa volta la pattuglia ministeriale di via Arenula vanta elementi di primo piano.
Carlo Nordio, malgrado il fuoco preventivo che lo ha investito, sta riempendo, una ad una, le caselle-chiave del dicastero (dal Legislativo al Dipartimento penitenziario) con gente di qualità e il pacchetto delle riforme non è prevedibile sortisca la fine di altre iniziative di precedenti governi finite sotto le randellate della Consulta. L’ultima bocciatura, di rilievo tra gli addetti ai lavori e poco nota ai più, è stata quella che dichiarava incostituzionale la norma del governo Renzi che centralizzava la comunicazione delle notizie di reato presso gli organi di vertice delle forze di polizia.
Gli avversari saggiano le reazioni altrui, cercano vie di dialogo più o meno visibili, intrecciano relazioni in vista del primo, importante appuntamento ossia l’elezione dei 10 componenti laici del Csm. Sembra passata un’era dallo scandalo Palamara; pandemia e guerra hanno segnato un solco nella vita collettiva. A tre anni quasi dall’inizio dell’emergenza pandemica, dopo svariati interventi del governo Draghi dalla prescrizione all’ordinamento giudiziario, dal processo civile alle indagini penali e su molte altre cose ancora, il nuovo governo è atteso a una prova complicata: innanzitutto deve portare a casa i risultati del Pnrr sul versante giustizia il che esige la massima collaborazione e un grande sacrificio delle toghe per smaltire gli arretrati e poi vuole mettere mano a una profonda riforma dell’assetto della giurisdizione che rischia di trovare barricate sulla propria strada da parte di settori non marginali della magistratura italiana. Il ministro Nordio lo ha ben capito che la via è stretta e non ha mancato di tenere la barra dritta su entrambi i fronti.
In verità perché sia possibile ipotizzare l’esito di questi progetti sarebbe necessaria una precisa rappresentazione dello stato, come dire, emotivo e psicologico della gran parte delle toghe italiane in questo difficile passaggio della società italiana. Rappresentazione che manca per colpa di una polarizzazione della pubblica opinione sul tema giustizia tanto fallace, quanto a dire il vero strumentale in favore di interessi poco commendevoli. La stragrande maggioranza dei magistrati italiani è totalmente estranea, nella quotidianità della propria opera (anzi del proprio servizio), alle preoccupazioni che agitano in questi giorni i fronti contrapposti. E’ chiaro da tempo – e l’affaire Palamara lo ha reso solo evidente ai più – che una ristretta cerchia di toghe ha tutto l’interesse a una contrapposizione al calor bianco con la politica, talvolta addirittura con le Istituzioni.
E’ in gioco non l’autonomia e l’indipendenza della magistratura, ma più prosaicamente un sistema di relazioni di potere che ha collocato un pugno di toghe al centro delle interlocuzioni con la politica, l’economia, le imprese, la stampa. Basterebbe scorrere in modo ravvicinato, laico e non elegiaco, carriere e successivi pensionamenti, nomine e cooptazioni elettorali, assunzioni familiari e collaborazioni giornalistiche, per cogliere almeno la superficie di quel Deep State in cui si è incistata una parte della magistratura italiana, ordinaria, contabile e amministrativa sia chiaro. Una élite, esigua ma potente, dell’intero pianeta giudiziario italiano è esondata dalla funzione costituzionalmente prevista per ergersi a soggetto quanto meno cooperante nell’esercizio del potere. Se questa realtà non viene percepita ancora, è chiaro che questo accade per l’interesse che v’è a coinvolgere l’intero corpo giurisdizionale nell’agone che si profila. Sia chiaro, questo non significa che tutti i progetti di riforma di cui si discute abbiano l’aura della legittimità costituzionale o siano ispirati tutti da nobili intenti.
Il tema vero è tentare di raggiungere una ragionevole mediazione tra le impellenti urgenze di una corporazione che, anche in ragione del Pnrr, si sente ancor più investita di responsabilità e vuole dare una risposta positiva alle legittime attese del paese e una politica che intende ricollocare la giurisdizione in un ambito meglio confacente all’originaria struttura costituzionale. Perché sia chiaro quella del cosiddetto “controllo di legalità” è una post verità che nulla ha a che vedere con la Costituzione repubblicana. I padri costituenti, massacrati e perseguitati dal fascismo e dalle sue fedeli toghe, avevano scarsa fiducia dei magistrati e li volevano certo autonomi, ma sicuramente separati da ogni altro potere e incapaci di ingerirsi nei gangli della società.
La presenza dei laici nel Csm, e la scelta tra essi del vicepresidente, doveva essere soprattutto lo strumento con cui il Parlamento vigilava per impedire abusi e deviazioni delle toghe e ha ragione il presidente Santalucia quando denuncia che questa missione non è stata sempre portata a termine tra le mura di Palazzo dei marescialli in questi decenni. L’unica vera separazione di cui la magistratura ha bisogno non è quella delle carriere, ma quella dei carrieristi dalle tantissime persone perbene e qui la cosa si complica di molto. Alberto Cisterna
ESAME DI AVVOCATO. LOBBY FORENSE, ABILITAZIONE TRUCCATA. (Ho scritto un saggio dedicato)
Ignoranti ed avvocati.
Antonio Giangrande: Il cafone è chiassoso, esibizionista, ignorante e prepotente. I suoi sinonimi: Se vuoi chiamali terroni o polentoni, bauscia o burini, ecc..
Antonio Giangrande: Un altro errore che commettiamo è dare molta importanza a chi non la merita.
Antonio Giangrande: E’ di Avetrana (TA) l’avvocato più giovane d’Italia. Il primato è stabilito sul regime dell’obbligo della doppia laurea.
25 anni. Mirko Giangrande, classe 1985.
Carriera scolastica iniziata direttamente con la seconda elementare; con voto 10 a tutte le materie al quarto superiore salta il quinto ed affronta direttamente la maturità.
Carriera universitaria nei tempi regolamentari: 3 anni per la laurea in scienze giuridiche; 2 anni per la laurea magistrale in giurisprudenza.
Praticantato di due anni e superamento dell’esame scritto ed orale di abilitazione al primo colpo, senza l’ausilio degli inutili ed onerosi corsi pre esame organizzati dal Consiglio dell’Ordine degli Avvocati.
Et Voilà, l’avvocato più giovane d’Italia, stante la formalità del giuramento.
Cosa straordinaria: non tanto per la giovane età, ma per il fatto che sia avvenuta contro ogni previsione, tenuto conto che Mirko è figlio di Antonio Giangrande, presidente nazionale dell’Associazione Contro Tutte le Mafie, noto antagonista del sistema giudiziario e forense del Foro di Taranto, che gli costa per 17 anni l’impedimento all’abilitazione forense. Dalle denunce penali e i ricorsi ministeriali da questo presentati, rimasti lettera morta, risulta che tutti i suoi temi all’esame di avvocato di Lecce non sono stati mai corretti dalle Commissioni presso le Corti d’Appello sorteggiate, ma dichiarati non idonei e sempre con voti e/o giudizi fotocopia. Nonostante ciò nessuno muove un dito. Inoltre il ricorso al Tar è inibito per l’indigenza procuratagli ed impedito dalla Commissione per l’accesso al gratuito patrocinio.
Tutte le sue denunce penali sono insabbiate senza conseguire accuse di calunnia.
E dire che Antonio Giangrande ha affrontato la maturità statale portando 5 anni in uno e si è laureato a Milano superando le 26 annualità in soli due anni. Buon sangue non mente.
Avv. Mirko Giangrande:
Avvocato - Mediatore Civile & Commerciale - Docente - Scrittore - Gestore Crisi da Sovraindebitamento - Funzionario Addetto all’Ufficio per il Processo
- 2002: diploma di Ragioniere, Perito commerciale e Programmatore presso l’Istituto Tecnico Commerciale e per Geometri "L. Einaudi" di Manduria (TA) a soli 17 anni;
- 2005: laurea in Scienze Giuridiche a soli 20 anni presso la Facoltà di Giurisprudenza dell'Università di Bari;
- 2007: laurea Magistrale in Giurisprudenza presso la Facoltà di Giurisprudenza dell'Università di Bari a soli 22 anni;
- 2010: abilitazione forense, diventato l’avvocato più giovane d’Italia a soli 25 anni. Titolare dello Studio Legale Giangrande;
- 2018: Autore della collana di libri “Corso di preparazione agli esami universitari, concorsi e per scuole superiori”;
- 2020: Master in "L'insegnamento delle materie giuridico - economiche negli istituti secondari di II grado: metodologie didattiche", presso l'Università E-Campus;
- 2021: Corso di alta formazione abilitante di Mediatore civile e commerciale;
- 2021: Corso di alta formazione abilitante di Gestore della crisi da sovraindebitamento.
VENI, VIDI, VICI. Parabiago 20/9/2022
Prova orale concorso cattedra A046
Finalmente Professore abilitato di Diritto ed Economia politica
Sono stravolto dalla stanchezza ma felicissimo.
Dedico questa soddisfazione alla mia famiglia (Antonio Giangrande Cosima Petarra, Tamara Giangrande), all’amore della mia vita Francesca Di Viggiano che mi ha sopportato in questi mesi di “agonia”, ma soprattutto lo dedico all’uomo che più mi è stato accanto, che mi ha sempre spronato, che ha creduto in me, che ogni mattina mi dava la forza di alzarmi per affrontare ore di studio post-lavoro, che mi ha fatto tirare dritto verso quest’alto obiettivo, che mi ha dato la pazienza di perdere l’intera estate dietro i libri: quell’uomo sono io…
Lettera di Antonio Giangrande, Presidente dell’Associazione Contro Tutte le Mafie e di Tele Web Italia, al Ministro della Giustizia per l’accusa di plagio a 100 candidati all’esame di avvocato.
INTERROGAZIONE A RISPOSTA SCRITTA
Al Ministro della Giustizia. — Per sapere – premesso che:
alla fine di giugno 2013 si apprendeva dalla stampa che a Lecce sarebbero solo 440 su 1258 i compiti ritenuti validi. Questo il responso della Commissione di esame di avvocato presso la Corte d’Appello di Catania, presieduta dall’Avvocato Antonio Vitale, addetta alla correzione degli elaborati dell’esame di avvocato sessione 2012 tenuta presso la Corte d’Appello di Lecce. Più di cento scritti sono finiti sul tavolo della Procura della Repubblica con l’accusa di plagio per poi, magari, scoprire che è tutta una bufala. Copioni a parte, sarebbe, comunque, il 65% a non superare l’esame: troppi per definirli asini, tenuto conto che alla fase di correzione non si dedicano oltre i 5 minuti, rispetto ai 15/20 minuti occorrenti. Troppo pochi per esprimere giudizi fondati.
Tenuto conto che le notizie sono diffamatorie e lesive della dignità e dell’onore non solo dei candidati accusati del plagio, ma anche di tutta la comunità giudiziaria di Taranto, Brindisi e Lecce coinvolta nello scandalo, si chiede di approfondire alcune questioni (in relazione alle quali l’interrogante ritiene opportuno siano comunicati con urgenza dati certi) per dimostrare se di estremo zelo si tratti per perseguire un malcostume illegale o ciò non nasconda un abbaglio o addirittura altre finalità –
Per ogni sede di esame di avvocato ogni anno qual è la media degli abilitati all’avvocatura ed a che cosa è dovuta la disparità di giudizio, tenuto conto che i compiti corretti annualmente presso ogni sede d’esame hanno diversa provenienza.
Se per l’esame di avvocato è permesso usare codici commentati con la giurisprudenza;
Se le tracce d’esame di avvocato indicate del 2012 erano riconducibili a massime giurisprudenziali prossimi alla data d’esame e quindi quasi impossibile reperirle dai codici recenti in uso i candidati e se, quindi, i commissari, per l’impossibilità acclamata riconducibile ad errori del Ministero, hanno dato l’indicazione della massima da menzionare nei compiti scritti;
Nella sessione di esame di avvocato 2012 a che ora è stabilita la dettatura delle tracce; presso la sede di esame di avvocato di Lecce a che ora sono state lette le tracce; se in tal caso la conoscenza delle stesse non sia stata conosciuta prima dell’apertura della sessione d’esame con il divieto imposto dell’uso di strumenti elettronici;
Quali sono le mansioni delle commissioni d’esame di avvocato: correggere i compiti e/o indagare se i compiti sono copiati e quanto tempo è dedicata ad una o all’altra funzione;
Quali sono i principi di correzione dei compiti, ed in base ai principi dettati, quali sono le competenze tecniche dei commissari e se corrispondono esattamente ai criteri di correzione: Chiarezza, logicità e metodologia dell’esposizione, con corretto uso di grammatica e sintassi; Capacità di soluzione di specifici problemi; Dimostrazione della conoscenza dei fondamenti teorici degli istituti giuridici trattati e della capacità di cogliere profili interdisciplinari; Padronanza delle tecniche di persuasione.
Tra i principi indicati qual è la figura professionale tra avvocati, magistrati e professori universitari che ha la perizia professionale adatta a correggere i compiti dal punto di vista lessicale, grammaticale, sintattico, persuasivo ed ogni altro criterio di correzione riconducibile alle materie letterarie, filosofiche e comunicative.
Quanti e quali sono le sottocommissioni in Italia che da sempre hanno scoperto compiti accusati di plagio e in base a quali prove è stata sostenuta l’accusa;
Quante e quali sono le sottocommissioni di Catania che hanno verificato il plagio de quo e quanti sono gli elaborati accusati di plagio ed in base a quali prove è sostenuta l’accusa.
Se le Sottocommissioni di Catania coinvolte erano composte da tutte le componenti necessarie alla validità della sottocommissione: avvocato, magistrato, professore.
Se tutti i compiti di tutte le sottocommissioni di esame di avvocato di Catania (contestati, dichiarati sufficienti, e dichiarati insufficienti) presentano segni di correzione (glosse, cancellature, segni, correzioni, note a margine);
Quanto tempo, in base ai verbali apertura-chiusura sessione, per ogni compito tutte le sottocommissioni di Catania (anche quelle che non hanno scoperto le plagiature) hanno dedicato alla fase di correzione (apertura della busta grande, lettura e correzione dell’elaborato, giudizio e motivazione, verbalizzazione e sottoscrizione);
Quanto tempo, in base ai verbali apertura-chiusura sessione, per ogni compito tutte le sottocommissioni di Catania (quelle che hanno scoperto le plagiature) hanno dedicato alla fase di correzione e quanto tempo alla fase di indagine con ricerca delle fonti di comparazione e quali sono stati i periodi di pausa (caffè o bisogni fisiologici).
Al Ministro si chiede se si intenda valutare l’opportunità di procedere ad un indagine imparziale ed ad un’ispezione Ministeriale presso le sedi d’esame coinvolte per stabilire se Lecce e solo Lecce sia un nido di copioni, oppure se la correzione era mirata, anzichè al dare retti giudizi, solo a fare opera inquisitoria e persecutoria con eccesso di potere per errore nei presupposti; difetto di istruttoria; illogicità, contraddittorietà, parzialità dei giudizi.
Dr Antonio Giangrande
Presidente dell’Associazione Contro Tutte le Mafie e di Tele Web Italia
Antonio Giangrande:
Da: Pacho Pedroche Lorena (venerdì 22 settembre 2018). Salve, sono Lorena Pacho, giornalista spagnola presso il giornale El País. Sto lavorando presso un servizio sugli avvocati italiani che chiedono l'omologazione del titolo di studio in Spagna. Sarebbe possibile parlare con il Dr. Giangrande, per favore, per fare qualche domanda sul processo e come funziona in Italia? in relazione con i sui libri L' Italia dei concorsi pubblici truccati ed esame di avvocato. La ringrazio cordiali saluti. La ringrazio tanto, gradisco molto questa soluzione e la ringrazio. Invio qua delle domante, si senta libero di rispondere a tutte oppure solo a una parte. Anche si senta libero per la lunghezza, ma non è necessario sia molto lungo. L'obiettivo di questo servizio è per una parte fare capire ai lettori spagnoli perchè in tanti vano in Spagna per diventare avvocato spiegando come è il processo in Italia, perchè è così lungo, difficile e tortuoso accedere alla abilitazione alla professione di avvocato e quale sono le ombre e difetti di questo processo:
- Quali sono le particolarità que definiscono meglio il processo per l'abilitazione alla professione di avvocato? (per fare capire ai lettori spagnoli perchè in tanti vano in Spagna per l'omologazione.
«In Italia per diventare avvocato bisogna laurearsi in Giurisprudenza (in legge). Poi si segue un periodo di praticantato con corsi obbligatori onerosi ed esosi e solo alla fine si affrontano gli esami di abilitazione organizzati dal Ministero della Giustizia. Le commissioni di esame di avvocato sono composte da avvocati, professori universitari e magistrati. La stessa composizione che abilita gli stessi magistrati ed i professori. Con scambio di ruoli e favori. Io ho partecipato per 17 anni all’esame di abilitazione, fino a che ho detto basta! In questi anni ho vissuto tutte le fasi delle riforme emanate per rendere, in effetti, impossibile l’iscrizione all’albo tenuto dagli avvocati più anziani. All’inizio della mia esperienza il praticantato era di due anni e poi affrontavi l’esame con le commissioni del proprio distretto, portando i codici annotati solo con la giurisprudenza. Allora non si sentiva parlare di migrazione verso la spagna di aspiranti avvocati. Se eri bocciato, bastava riprovare ed aspettare. Da sempre, però, vi era la litania che gli avvocati erano troppi. Ad oggi il praticantato si svolge con corsi di formazione obbligatori ed a pagamento per 18 mesi e l’esame sarà svolto con soli codici senza annotazioni della giurisprudenza. Inoltre, con l’avvento del cosiddetto governo “liberale” di Silvio Berlusconi, l’allora Ministro della Giustizia, Roberto Castelli, ha previsto la transumanza degli elaborati degli esami. Spiego meglio. Le commissioni di esame di avvocato del Nord Italia erano avare nell’abilitare, per limitare la concorrenza. Roberto Castelli era del partito di Matteo Salvini, attuale vice premier. La lega Nord, prima di essere anti immigrati è stata da sempre anti meridionale. Se il loro motto oggi è “prima gli italiani”, allora era “prima i settentrionali”. Nel Nord d’Italia vi era la convinzione che le commissioni del sud Italia erano prodighi, per questo vi erano più idonei all’esame di avvocato. La stessa Ministro Gelmini del Governo Berlusconi, lei impedita a Brescia, ha fatto l’esame in Calabria. A loro dire, poi, la massa di idonei emigrava al Nord, togliendo lavoro ai locali, che tanto avevano fatto illecitamente per tutelare se stessi. Secondo questa riforma di stampo razzista le prove scritte sono visionate da commissioni estratte a sorte, con spostamento dei plichi con gli elaborati da nord a sud e viceversa, con aggravio di tempo e di denaro. In questo modo sono avvantaggiati i candidati del nord Italia, i cui compiti sono corretti dalle commissioni del sud, rimaste benevoli. I partiti statalisti di sinistra non hanno fatto altro che confermare questo iniquo sistema».
- Secondo Lei, che senso ha rendere obbligatorio l'esame di Stato per gli avvocati?
«Non ha senso rendere obbligatorio un esame che non garantisce il merito, tenuto conto che i candidati, oltretutto, hanno sostenuto tantissimi esami all’università. Benissimamente a fine studio universitario potrebbero sostenere l’esame finale di abilitazione (come in altri paesi) avente valore di esame di Stato. Poi ci pensa il mercato: chi vale, lavora».
- Funziona il sistema dei concorsi di abilitazione alla professione forense in Italia?
«Il sistema di abilitazione forense in Italia non funziona perché non garantisce il merito, ma è stabilito solo per limitare l’accesso ai giovani aspiranti avvocati per la tutela di rendita di posizione o per garantire i propri protetti».
-Perchè è così alta la percentuale di concorrenti che non superano, che non passano gli esami di avvocato?
«La percentuale di idonei diventa di anno in anno sempre minore. Perché negli anni hanno limitato l’intervento degli avvocati nella tutela dei diritti (vedi ricorsi contro le sanzioni amministrative o per i sinistri stradali o per onerosità delle cause); ovvero hanno imposto delle tasse e dei contributi esosi. Questo porta la lobby degli avvocati a tutelare gli interessi corporativi sempre più ristretti, negando l’accesso ai nuovi. I giovani per aggirare l’ostacolo prendono altre strade: ossia, la migrazione per ottenere la meritata professione per la quale hanno studiato per anni e che per questo non possono fare altro. Inoltre il fatto di diventare avvocato non dà sicurezza di reddito, perché comunque ai giovani avvocati è impedito entrare in un certo sistema di potere che assicura lavoro. Per lavorare come avvocato devi essere protetto ed omologato».
-Si può parlare di qualche irregolarità, anomalie nella fase di correzione ed in che modo? Possiamo parlare di altre anomalie?
«Il mio parere è per cognizione di causa diretta e per aver studiato e cercato prove (in testi ed in video da visionare sul mio canale su Dailymotion) per oltre venti anni per dimostrare che l’esame di avvocato in particolare, ma ogni esame di abilitazione o concorso pubblico in Italia è truccato (irregolare). Il frutto del mio lavoro sono i saggi “ESAME DI AVVOCATO. ABILITAZIONE TRUCCATA”, in particolare. E “CONCORSOPOLI ED ESAMOPOLI” per quanto riguarda tutti i concorsi pubblici e gli esami di Stato.
Nei miei saggi si dimostra con prove inoppugnabili dove si annida il trucco:
Nelle fasi preliminari (tracce conosciute);
Durante le prove (copiature e dettature);
Durante le correzioni (commissioni irregolari e compiti non corretti, ma dichiarati tali);
Durante la tutela giudiziaria (disparità di giudizio rispetto a ricorsi simili o uguali).
Da tener conto che i commissari sono professionisti diventati tali in virtù di concorsi analoghi, quindi truccati».
- Quale sarebbe l'obiettivo di truccare questi esami di avvocati?
«Si truccano gli esami per garantire un proprio familiare o un proprio amico o conoscente. O per tutelare l’interesse corporativo».
- Lei vuole aggiungere qual cosa altro che pensa può essere utili per i lettori spagnole oppure importante per capire la situazione e questo fenomeno.
«Io sin dalla prima volta ho denunciato le anomalie. Sin dal principio mi hanno minacciato che non sarei diventato avvocato. Pensavo che valesse la forza della legge e non, come è, la legge del più forte. Per 17 anni mi hanno sempre dato voti identici per tutte le tre prove annuali, senza che il compito sia stato corretto (mancanza di tempo calcolato dal verbale). Le mie denunce pubbliche hanno provocato la reazione del potere con procedimenti penali a mio carico da cui sono uscito sempre assolto. I giornalisti, anche loro figli del sistema, mi oscurano, non impedendomi, però, di essere seguitissimo sul web, attraverso le mie opere pubblicate su Amazon. Si dà il caso che sia una giornalista spagnola a chiedere un mio parere e non una italiana. Il fatto che i giovani italiani vadano in Spagna o in Romania o in altre località molto più liberali che l’Italia, per poter realizzare i loro sogni, hanno la mia piena solidarietà. E’ solo un atto di puro stato di necessità che discrimina eventuali reati commessi. Se lo fanno violando le norme non sono meno colpevoli di chi nella loro patria illiberale, viola le norme impunemente. Perché negli esami di Stato e nei concorsi pubblici chi aiuta o favorisce o raccomanda qualcuno a scapito di altri viola una noma penale grave, costringendo gli esclusi a spendere tantissimi soldi che non hanno. E solo per poter lavorare».
Bocciato all’esame da avvocato: pesta a sangue il presidente di Commissione. Il legale è stato aggredito per strada con pugni e morsi. La solidarietà di Cnf e avvocatura: “Ferma condanna”. Giuseppe Bonaccorsi Il Dubbio il 27 giugno 2023
Un post sui social per esprimere tutta la sua amarezza per il grave episodio che lo ha visto protagonista e per denunciare anche tutta la sua delusione. L’avvocato Antonio Lanfranchi, aggredito e picchiato brutalmente tra il piazzale dell’Università di Messina e palazzo Piacentini, da un 35enne di Milazzo aspirante avvocato, non riesce a nascondere il suo stupore.
Il giovane era impegnato nelle selezioni per accedere alla professione, ma bocciato, si è avventato per strada contro l’avvocato, presidente della quarta sottocommissione per gli esami di abilitazione alla professione forense, prendendolo a pugni e morsi e provocandogli numerose fratture al naso, alle costole e alla mascella. “Non si è capaci - aggiunge l'avvocato aggredito- di fare autocritica, addossando agli altri la responsabilità dei propri insuccessi, in un contesto in cui fin dai banchi di scuola i ragazzi vengono difesi ad oltranza dai loro genitori anche di fronte a meritati giudizi negativi. Stiamo alimentando una società di persone deboli - prosegue il legale - inadeguate nell'affrontare anche i più semplici ostacoli e, nello stesso tempo, stiamo sempre più diffondendo la cultura della violenza, dell'odio, dello scontro personale”.
“Non sono solo le gravi ferite subite che mi addolorano - puntualizza l'avvocato messinese nel suo post - ma la deriva che interessa la nostra società e, in essa, la nostra professione. E mi addolorano i commenti, anche di qualche collega, che giudicando gli esami una farsa, quasi giustificano il gesto, biasimando chi si erge arbitrariamente a ‘professorone’. Non ritengo di potermi identificare in questa figura - conclude - avendo cercato sempre di svolgere il mio ruolo con modestia ed equilibrio e con grande rispetto per gli altri. Mi confortano, d'altra parte, gli attestati di solidarietà e di stima pervenutimi da tanti colleghi, magistrati, operatori…”.
La solidarietà dei colleghi a Lanfranchi è stata immediata e unanime. “Il Consiglio Nazionale Forense - si legge in una nota - desidera esprimere la sua più profonda solidarietà all’avvocato messinese Antonio Lanfranchi, presidente di una commissione d'esame per l'abilitazione forense di Messina, che, nei giorni scorsi, è stato aggredito brutalmente di fronte al Tribunale da un aspirante avvocato che è stato successivamente arrestato. Il Cnf biasima l’aggressione ed esorta a denunciare qualunque tipo di violenza in tutti i contesti. Il Consiglio Nazionale Forense si rivolge all'avvocato Lanfranchi con un messaggio di sostegno e solidarietà, augurandogli una pronta guarigione”.
Anche l'Ordine degli avvocati messinesi, presieduto da Paolo Vermiglio, ha subito espresso solidarietà al collega vittima dell'aggressione: “A nome dell'ordine degli Avvocati di Messina e mio personale esprimo ferma condanna per la vile aggressione subita dallo stimato collega del nostro Foro, al quale va la solidarietà dell'intera Avvocatura, che lo ringrazia per avere svolto con rigore e serietà l'incarico di presidente di una delle Commissioni per l'esame di abilitazione. Il Consiglio dell'Ordine assumerà ogni opportuna iniziativa a tutela della dignità e del decoro della professione forense, presidio di diritti e libertà ed incompatibile con simili episodi di violenza e di arbitrio”.
Solidarietà è stata manifestata anche dalla Camera civile di Messina. La presidente Rosaria Filloramo “fermamente condanna la prevaricazione, intimidazione e l’inaudita violenza cui è rimasto vittima il collega, stimato e integerrimo professionista cui ci si stringe in segno di massima solidarietà, brutalmente aggredito nell’esercizio delle proprie funzioni di commissario d’esami da un “aspirante” avvocato che così ha reagito alla valutazione negativa della propria prova abilitante alla professione forense. Dispiace davvero osservare come l’Avvocatura debba registrare attacchi come quello subito che oltraggiano l’onore, il decoro e il prestigio di una professione cui certi comportamenti sono e rimarranno sempre estranei”.
ESAME FORENSE. AVVOCATI COL TRUCCO. Hanno scoperto l’acqua calda. Facile prendersela con i poveri cristi. Non è durante le prove scritte che c’è la macagna. Tutti copiano o sono aiutati. Apriamo gli occhi nelle segrete stanze delle commissioni d’esame che non corregge i compiti tutti simili tra loro, ma dichiarano di averlo fatto, preferendo alcuni rispetto ad altri: perché non vi sono istallati gli strumenti di intercettazione ambientale? Non si può fare, ci sono i magistrati. I Tar dichiarano che non è possibile che sia stata effettuata la correzione nel tempo loro dedicato e comunque prova non vi è della correzione, tenuto conto che gli elaborati sono immacolati. E poi, come fanno a mettersi d’accordo sulle quote di idonei: non più del 30% presso tutte le Corti d’Appello? E’ un esame di Stato o un concorso pubblico a numero chiuso?
Antonio Giangrande: LA DENUNCIA SUI SOCIAL DEI CANDIDATI BRESCIANI. «Non possiamo promuoverli tutti»: il microfono rimasto aperto all’esame da avvocato. L’episodio, durante l’esame per l’abilitazione da avvocato con i candidati di Brescia esaminati dai commissari di Lecce, documentato in un audio è finito sui social. Verifiche del Ministero.
E' risaputo che, dati alla mano, le Commissioni d'esame di avvocato nordiste sono più malevoli nei confronti dei candidati meridionali (30% di ammessi all'orale). Ma fa notizia il fatto che i candidati padani non siano tutti promossi.
Antonio Giangrande: Esame di avvocato e lo scandalo ciclico delle copiature.
L’Opinione del dr Antonio Giangrande, scrittore, blogger e youtuber.
Bufera sul concorso di Napoli. Noi nel 2009 avevamo già documentato i controlli inesistenti su Roma, scrive Antonio Crispino e lo documenta su Corriere TV il 25 febbraio 2016. «Milano smaschera Napoli», «Trento smaschera Potenza», «Catania smaschera Lecce». Periodicamente sui giornali si leggono titoli di questo tipo. Si riferiscono alle prove d’esame che le commissioni di turno annullano agli aspiranti avvocati che si cimentano con l’esame di Stato. Perché risultano essere elaborati copiati dalla prima all’ultima parola. I candidati di una regione, infatti, sono esaminati da una commissione di provenienza territoriale diversa, scelta tramite sorteggio dal ministero della Giustizia. Basta prendersela con qualche candidato per giustificare l’incapacità di tutti. Da sempre si copia tra candidati o si detta da parte dei commissari. Certo che nè giornalisti, né magistrati osano verificare quello che di ignobile succede dentro le stanze buie e segrete dove si riuniscono le commissioni di esame. Da arrestare tutti. I compiti sono dichiarati falsamente letti e corretti: cosa non vera. Giornalisti e magistrati verifichino i tempi dedicati al singolo elaborato rispetto ai tempi di apertura e chiusura del verbale e verifichino sugli elaborati quanti errori sono stati corretti. Ho scritto un libro per dimostrare che da sempre l’esame forense è truccato ed ho scritto un altro libro per dimostra che tutti i concorsi pubblici sono truccati, anche quello per magistrati. In questo caso coloro che sono stati abilitati con tale sistema, commissioni di esame e magistrati inquirenti e giudicanti, hanno il coraggio di perseguire?
Da quanto analiticamente già espresso e motivato si denota che violazione di legge, eccesso di potere e motivi di opportunità viziano qualsiasi valutazione negativa adottata dalla commissione d’esame giudicante, ancorchè in presenza di una capacità espositiva pregna di corretta applicazione di sintassi, grammatica ed ampia conoscenza di norme e principi di diritto dimostrata dal candidato in tutti e tre i compiti resi.
1. Qui si evince un fatto, da sempre notorio su tutti gli organi di stampa, rilevato e rilevabile in ambito nazionale: ossia la disparità di trattamento tra i candidati rispetto alla sessione d’esame temporale e riguardo alla Corte d’Appello di competenza. Diverse percentuali di idoneità, (spesso fino al doppio) per tempo e luogo d’esame, fanno sperare i candidati nella buona sorte necessaria per l’assegnazione della commissione benevola sorteggiata. Nel Nord Italia le percentuali adottate dalle locali commissioni d’esame sono del 30%, nel sud fino al 60%. Le sottocommissioni di Palermo sono come le sottocommissioni del Nord Italia. I Candidati sperano nella buona sorte dell’assegnazione. La Fortuna: requisito questo non previsto dalle norme.
2. Qui si contesta la competenza dei commissari a poter svolgere dei controlli di conformità ai criteri indicati: capacità pedagogica propria di docenti di discipline didattiche non inseriti in commissione.
3. Qui si contesta la mancanza di motivazione alle correzioni, note, glosse, ecc., tanto da essere contestate dal punto di vista oggettivo da gente esperta nella materia di riferimento.
4. Qui si evince la carenza, ovvero la contraddittorietà e la illogicità del giudizio reso in contrapposizione ad una evidente assenza o rilevanza di segni grafici sugli elaborati, quali glosse, correzioni, note, commenti, ecc., o comunque si contesta la fondatezza dei rilievi assunti, tale da suffragare e giustificare la corrispondente motivazione indotta al voto numerico. Tutto ciò denota l’assoluta mancanza di motivazione al giudizio, didattica e propedeutica al fine di conoscere e correggere gli errori, per impedirne la reiterazione.
5. Altresì qui si contesta la mancanza del voto di ciascun commissario, ovvero il voto riferito a ciascun criterio individuato per la valutazione delle prove.
6. Altresì qui si contesta l’assenza ingiustificata del presidente della Commissione d’esame centrale e si contesta contestualmente l’assenza del presidente della Iª sottocommissione.
7. Altresì qui si contesta la correzione degli elaborati in tempi insufficienti, tali da rendere un giudizio composito.
Dr Antonio Giangrande
Antonio Giangrande: ESAME DI AVVOCATO: 17 ANNI PER DIRE BASTA!
La testimonianza, più unica che rara, di un candidato all’esame di avvocato, che dopo 17 anni di bocciature si arrende e dice basta.
E’ TUTTA QUESTIONE DI COSCIENZA.
Ognuno di noi è segnato nella sua esistenza da un evento importante. Chi ha visto il film si chiede: perché la scena finale de “L’attimo fuggente” , ogni volta, provoca commozione? Il professor John Keating (Robin Williams), cacciato dalla scuola, lascia l’aula per l’ultima volta. I suoi ragazzi, riabilitati da lui dalla corruzione culturale del sistema, non ci stanno, gli rendono omaggio. Uno dopo l’altro, salgono in piedi sul banco ed esclamano: «Capitano, mio capitano!». Perché quella scena è così potente ed incisiva? Quella scena ci colpisce perché tutti sentiamo d’aver bisogno di qualcuno che ci insegni a guardare la realtà senza filtri. Desideriamo, magari senza rendercene conto, una guida che indichi la strada: per di là. Senza spingerci: basta l’impulso e l’incoraggiamento.
Antonio Giangrande. Un capitano necessario. Perché in Italia non si conosce la verità. Gli italiani si scannano per la politica, per il calcio, ma non sprecano un minuto per conoscere la verità. Interi reportage che raccontano l’Italia di oggi “salendo sulla cattedra” come avrebbe detto il professore Keating dell’attimo fuggente e come ha cercato di fare lo scrittore avetranese Antonio Giangrande.
Chi sa: scrive, fa, insegna.
Chi non sa: parla e decide.
Chissà perché la tv ed i giornali gossippari e colpevolisti si tengono lontani da Antonio Giangrande. Da quale pulpito vien la predica, dott. Antonio Giangrande?
«Noi siamo quel che facciamo: quello che diciamo agli altri è tacciato di mitomania o pazzia. Quello che di noi gli altri dicono sono parole al vento, perchè son denigratorie. Colpire la libertà o l’altrui reputazione inficia gli affetti e fa morir l’anima. Il Merito: Valore disconosciuto ed osteggiato in vita, onorato ed osannato in morte. Alla fine di noi rimane il nostro operato, checché gli altri ne dicano. E quello bisogna giudicare. Nasco da una famiglia umile e povera. Una di quelle famiglie dove la sfortuna è di casa. Non puoi permetterti di studiare, né avere amici che contano. Per questo il povero è destinato a fare il manovale o il contadino. Mi sono ribellato e contro la sorte ho voluto studiare, per salire nel mondo non mio. Per 17 anni ho cercato di abilitarmi nell’avvocatura. Non mi hanno voluto. Il mondo di sotto mi tiene per i piedi; il mondo di sopra mi calca la testa. In un esame truccato come truccati sono tutti i concorsi pubblici in Italia: ti abilitano se non rompi le palle. Tutti uguali nella mediocrità. Dal 1998 ho partecipato all’esame forense annuale. Sempre bocciato. Ho rinunciato a proseguire nel 2014 con la commissione presieduta dall’avv. Francesco De Jaco. L’avvocato di Cosima Serrano condannata con la figlia Sabrina Misseri per il delitto di Sarah Scazzi avvenuto ad Avetrana. Tutte mie compaesane. La Commissione d’esame di avvocato di Lecce 2014. La più serena che io abbia trovato in tutti questi anni. Ho chiesto invano a De Jaco di tutelare me, dagli abusi in quell’esame, come tutti quelli come me che non hanno voce. Se per lui Cosima è innocente contro il sentire comune, indotti a pensarla così dai media e dai magistrati, perché non vale per me la verità che sia vittima di un sistema che mi vuol punire per essermi ribellato? Si nega l’evidenza. 1, 2, 3 anni, passi. 17 anni son troppi anche per il più deficiente dei candidati. Ma gli effetti sono sotto gli occhi di tutti. Compiti non corretti, ma ritenuti tali in tempi insufficienti e senza motivazione e con quote prestabilite di abilitati. Così per me, così per tutti. Gli avvocati abilitati negano l’evidenza. Logico: chi passa, non controlla. Ma 17 anni son troppi per credere alla casualità di essere uno sfigato, specialmente perché i nemici son noti, specie se sono nelle commissioni d’esame. In carcere o disoccupato. Tu puoi gridare a squarciagola le ingiustizie, ma nessuno ti ascolta, in un mondo di sordi. Nessuno ti crede. Fino a che non capiti a loro. E in questa Italia capita, eccome se capita! La tua verità contro la verità del potere. Un esempio da raccontare. Ai figli non bisogna chiedere cosa vogliono fare da grandi. Bisogna dir loro la verità. Chiedergli cosa vorrebbero che gli permettessero di fare da grandi. Sono nato in quelle famiglie che, se ti capita di incappare nelle maglie della giustizia, la galera te la fai, anche da innocente. A me non è successo di andare in galera, pur con reiterati tentativi vani da parte della magistratura di Taranto, ma sin dal caso Tortora ho capito che in questa Italia in fatto di giustizia qualcosa non va. Pensavo di essere di sinistra, perché la sinistra è garantismo, ma non mi ritrovo in un’area dove si tollerano gli abusi dei magistrati per garantirsi potere ed impunità. E di tutto questo bisogna tacere. A Taranto, tra i tanti processi farsa per tacitarmi sulle malefatte dei magistrati, uno si è chiuso, con sentenza del Tribunale n. 147/2014, con l’assoluzione perché il fatto non sussiste e per non doversi procedere. Bene: per lo stesso fatto si è riaperto un nuovo procedimento ed è stato emesso un decreto penale di condanna con decreto del Gip. n. 1090/2014: ossia una condanna senza processo. Tentativo stoppato dall’opposizione. Zittirmi sia mai. Pur isolato e perseguitato. Gli italiani son questi. Ognuno dia la sua definizione. Certo è che gli italiani non mi leggono, mi leggono i forestieri. Mi leggeranno i posteri. Tutto regolare: lo ha detto la tv, lo dicono i giudici. Per me, invece, è tutto un trucco. In un mondo di ladri nessuno vien da Marte. Tutti uguali: giudicanti e giudicati. E’ da decenni che studio il sistema Italia, a carattere locale come a livello nazionale. Da queste indagini ne sono scaturiti decine di saggi, raccolti in una collana editoriale "L'Italia del Trucco, l'Italia che siamo", letti in tutto il mondo, ma che mi sono valsi l’ostruzionismo dei media nazionali. Pennivendoli venduti ai magistrati, all’economia ed alla politica, ma che non impediscono il fatto che di me si parli su 200.000 siti web, come accertato dai motori di ricerca. Book ed E-Book che si possono trovare su Amazon.it, Lulu.com. CreateSpace.com e Google Libri, oltre che in forma di lettura gratuita e free vision video su www.controtuttelemafie.it , mentre la promozione del territorio è su www.telewebitalia.eu.»
Ha la preparazione professionale per poter dire la sua in questioni di giustizia?
«Non sono un giornalista, ma a quanto pare sono l’unico a raccontare tutti i fatti. Non sono un avvocato ma mi diletto ad evidenziare le manchevolezze di un sistema giudiziario a se stante. La mia emigrazione in piena adolescenza in Germania a 16 anni per lavorare; la mia laurea quadriennale in Giurisprudenza presa in soli due anni all’Università Statale di Milano, lavorando di notte e con moglie e due figli da mantenere, dopo aver conseguito il diploma da ragioniere in un solo anno da privatista presso un Istituto tecnico Statale e non privato, per non sminuirne l’importanza, portando tutti i 5 anni di corso; tutto ciò mi ha reso immune da ogni condizionamento culturale od ambientale. I miei 6 anni di esercizio del patrocinio legale mi hanno fatto conoscere le macagne di un sistema che non è riuscito a corrompermi. Per questo dal 1998 al 2014 non mi hanno abilitato alla professione di avvocato in un esame di Stato, che come tutti i concorsi pubblici ho provato, con le mie ricerche ed i miei libri, essere tutti truccati. Non mi abilitano. Perché non sono uguale agli altri, non perché son meno capace. Non mi abilitano perché vedo, sento e parlo. Ecco perché posso parlare di cose giuridiche in modo di assoluta libertà, senza condizionamento corporativistico, anche a certezza di ritorsione. E’ tutta questione di coscienza.»
E’ TUTTA QUESTIONE DI COSCIENZA.
A’ Cuscienza di Antonio de Curtis-Totò
La coscienza
Volevo sapere che cos'è questa coscienza
che spesso ho sentito nominare.
Voglio esserne a conoscenza,
spiegatemi, che cosa significa.
Ho chiesto ad un professore dell'università
il quale mi ha detto: Figlio mio, questa parola si usava, si,
ma tanto tempo fa.
Ora la coscienza si è disintegrata,
pochi sono rimasti quelli, che a questa parola erano attaccati,
vivendo con onore e dignità.
Adesso c'è l'assegno a vuoto, il peculato, la cambiale, queste cose qua.
Ladri, ce ne sono molti di tutti i tipi, il piccolo, il grande,
il gigante, quelli che sanno rubare.
Chi li denuncia a questi ?!? Chi si immischia in questa faccenda ?!?
Sono pezzi grossi, chi te lo fa fare.
L'olio lo fanno con il sapone di piazza, il burro fa rimettere,
la pasta, il pane, la carne, cose da pazzi, Si è aumentata la mortalità.
Le medicine poi, hanno ubriacato anche quelle,
se solo compri uno sciroppo, sei fortunato se continui a vivere.
E che vi posso dire di certe famiglie, che la pelle fanno accapponare,
mariti, mamme, sorelle, figlie fatemi stare zitto, non fatemi parlare.
Perciò questo maestro di scuola mi ha detto, questa conoscenza (della coscienza)
perchè la vuoi fare, nessuno la usa più questa parola,
adesso arrivi tu e la vuoi ripristinare.
Insomma tu vuoi andare contro corrente, ma questa pensata chi te l'ha fatta fare,
la gente di adesso solo così è contenta, senza coscienza,
vuole stentare a vivere. (Vol tirà a campà)
Dr Antonio Giangrande
SOLITO SPRECOPOLI. (Ho scritto un saggio dedicato)
Antonio Giangrande: SPRECOPOLI. L’ITALIA DEGLI SPRECHI
“Sprecopoli. L’Italia degli sprechi”. Il libro di Antonio Giangrande.
Ma quanto mi rubi? (Sprechi di Stato). Uno Stato che si fa rubare più di 565 miliardi di euro all’anno non è in crisi: è una nazione di deficienti!
Evasione fiscale, Corruzione, Sprechi, Disservizi, Speculazioni, Mafie, Estorsioni ed Usura, Contraffazione, Crac finanziari, Costo economico della burocrazia, Lentezza della giustizia.
Per un totale di 565 miliardi di euro all’anno.
Ed io pagooooo!!!......E’ la parafrasi di Totò. Frase detta nel film “47 morto che parla!” e ripresa da Striscia la Notizia. Ed è quello che ci diciamo ogni giorno quando ci rapportiamo con la vera faccia dello Stato. A fronte di un fabbisogno sempre crescente di risorse finanziarie che alimenta il debito pubblico e la pressione fiscale, di pari passo aumentano i tagli dei servizi pubblici ed i disservizi dei pochi rimasti, tanto da farci chiedere: dove cazzo vanno a finire i nostri soldi estorti in balzelli?
Ogni tanto qualcuno parla, a spizzichi e morsi, di quella o questa fonte di spreco, creando un momentaneo stato di indignazione e di rabbia, per poi ripiombare nell’indifferenza generale dell’italica ignavia. Salvo essere oggetto di strali dei buontemponi leghisti contro i soliti spreconi meridionali. Dicevo, questi qualcuno dalla penna facile scrivono dello spreco altrui, stando ben attenti, però, a non intaccare la propria fonte. Provate a pensare se tutte queste fonti di spreco fossero raccolte tutte insieme in un unico elenco. Tutte, veramente tutte. Farebbero accapponare la pelle. Ed è quello che si fa con il saggio “Sprecopoli. L’Italia degli sprechi”. Saggio che fa da contraltare all’altro saggio “Disserviziopoli. Disservizi a pagamento” ed ad un altro saggio “Speculopoli. Fisco e Monopoli”. E’ da venti anni che studio il sistema Italia, a carattere locale come a livello nazionale. Da queste indagini ne sono scaturiti decine di saggi, raccolti in una collana editoriale "L'Italia del Trucco, l'Italia che siamo", letti in tutto il mondo, ma che mi sono valsi l’ostruzionismo dei media nazionali. Pennivendoli venduti all’economia ed alla politica. Book ed E-Book che si possono trovare su Amazon.it.
Sprechi che non si esauriranno mai perché, tra stipendi da dare agli amici, clientele da alimentare, eredità da dare ai figli ed ai parenti, privilegi da difendere, è un cane che si morde la coda e fa comodo alla politica ed al sistema di potere. Alla faccia del povero fesso…Pantalone. Dr Antonio Giangrande
Sprechi Vari.
Caos sede, politici in fuga, serate di gala: il disastro Roma Expo 2030 è costato oltre 30 milioni di euro. Con documenti e testimonianze inedite, l'Espresso è in grado di ricostruire i tre anni di una candidatura nata male e finita peggio. E dopo l'umiliante sconfitta di Parigi con il trionfo di Riad, il direttore generale Scognamiglio spedisce una clamorosa lettera di protesta/denuncia al capo dell'Esposizione universale rivelando le vere spese dei sauditi. Carlo Tecce su L'Espresso il 7 dicembre 2023
Si potrebbe supporre che il Comitato Promotore di Roma Expo 2030 abbia frainteso qualcosa. C’era bisogno di «oliare il sistema» (si scherza!) per convincere i 182 votanti del “Bureau international des expositions” (Bie) a preferire l’Italia, perciò la Regione Lazio, per un ultimo evento di campagna elettorale lo scorso 21 novembre a Parigi, ha spedito un pacco di vero olio extravergine di oliva «simbolo di autenticità e tradizione italiana». I delegati Bie avranno apprezzato la bottiglia di olio e ne avranno utilizzato il nettare per condimenti di insalate, paste, sughi, carni, ma il giorno del voto – il 28 novembre – più di uno pare sia arrivato al seggio parigino a bordo di fiammanti Rolls-Royce gentilmente offerte dai sauditi che hanno stravinto con Riad umiliando i coreani di Busan e soprattutto la capitale d’Italia, giunta terza su tre finaliste. Troppa la differenza di ogni tipo di mezzo. In tre anni di competizione internazionale, è palese, Roma non ha gareggiato mai per vincere, ma per non perdere male. Allora c’è da chiedersi se quella sera del 21 novembre organizzata in un salone pieno di specchi, cristalli e velluti del Plaza Athénée, un albergo cinque stelle di lusso dove non dormi con meno di 2.000 euro a notte, avesse un senso. Anzi se la candidatura di Roma Expo 2030 avesse un senso. L’Espresso ne ricostruisce le tappe decisive con aneddoti, racconti, numeri inediti.
Gennaio 2021. La pandemia è ancora feroce, ma la ripresa promette occasioni uniche. La sindaca Virginia Raggi prepara la sua corsa al secondo mandato. Ha debuttato bloccando il progetto per le Olimpiadi di Roma 2024, vuole congedarsi (sperando di tornare subito) lanciando la capitale verso l’Esposizione universale del 2030 con la scontata intenzione di emulare il modello di Milano. Raggi assegna la sua idea al diplomatico Giuseppe Scognamiglio. Gli uffici comunali e Scognamiglio plasmano la candidatura (peraltro il diplomatico ha un passato al Bie). Il presidente del Consiglio è Giuseppe Conte. Il ministro degli Esteri è Luigi Di Maio. Per Raggi è semplice ottenere il sostegno del governo.
Settembre 2021. A febbraio è caduto il governo Conte, e vacilla l’intesa fra Conte e Di Maio, mentre a Palazzo Chigi c’è Mario Draghi che con prudenza affronta la questione Roma Expo 2030. Draghi firma la lettera per candidare ufficialmente Roma. La capitale è in campagna elettorale. Il dem Roberto Gualtieri diventa sindaco di Roma. La struttura comunale allestita da Scognamiglio viene smantellata, ma Scognamiglio resiste al cambio di bandiera politica al Campidoglio. Ci si sofferma settimane a riflettere sul Comitato Promotore. Prevale l’istinto italiano di infilarci più soggetti possibili per camuffare le tracce e annacquare le responsabilità: al nucleo Comune, Provincia, Regione, Camera di Commercio, si affiancano il ministero degli Esteri e la presidenza del Consiglio.
Maggio 2022. Nel giorno in cui il «Piave mormorava calmo e placido», il 24 maggio per l’appunto, il sindaco Gualtieri con un notaio proclama la nascita del Comitato Promotore (a quel punto a Riad stanno già spedendo gli inviti per la festa). Alla presidenza, trascorsi sei mesi dalla nomina, può insediarsi l’ambasciatore Giampiero Massolo, più libero dopo l’esperienza a Fincantieri. Il Comitato c’è. Il denaro c’è. La coesione pure. Bene, si scatta, veloci. Macché. Per spendere i fondi pubblici – a consuntivo 30,9 milioni di euro, ne parliamo in seguito – bisogna avviare una macchina infernale. Il ministero dell’Economia eroga i soldi al Comune di Roma che a sua volta li gira a Zetema, società interamente partecipata dal Comune di Roma, che a sua volta li utilizza in base alle raccomandazioni del direttore generale del Comitato, cioè sempre Scognamiglio. Non ci avete capito nulla? Non temete. È successo a molti. Basta un esempio. Il Comitato ha aspettato due mesi per affittare una decina di computer. Più facile rivolgersi alla Fondazione per Roma Expo 2030. E adesso cos’è la Fondazione? Siccome lo Stato e i suoi derivati sono lenti (a dir poco lenti) a pagare, imprenditori e industriali di Roma hanno creato una Fondazione per aiutare il Comitato e hanno raccolto un paio di milioni di euro. Nota bene: non c’era parecchio entusiasmo, le aziende di Stato hanno ignorato Roma Expo 2030.
Luglio 2022. Sopravvissuto alle recenti turbolenze politiche, su Scognamiglio se ne abbatte un’altra. Il governo Draghi saluta in anticipo, per il Comitato si spalanca una pericolosa campagna elettorale estiva. Ecco il centrodestra di Giorgia Meloni. Il contesto istituzionale è perfettamente capovolto. E mentre la famiglia al Saud assolda Cristiano Ronaldo e agguanta l’appoggio dei francesi, i nostri eroi di Roma Expo 2030 sono ancora alla ricerca di una sede. Il Campidoglio aveva individuato una palazzina alle spalle di piazza del Popolo. Varie perlustrazioni. Suggestiva. Comoda. Che bella figura. E no. Il ragioniere comunale, sconsolato, spiega che ci vogliono due anni a ristrutturarla. Nel frattempo il Comitato viene ospitato dalla Prefettura a Palazzo Valentini, vicino a piazza Venezia. Una soluzione provvisoria. Diverse ipotesi vengono scartate. Finché tra gennaio e febbraio si ordina di predisporre una sede a due piani in via della Stamperia dove ha abitato Sandro Pertini. I lavori partono con una fretta inusitata per Roma. A oggi non sono terminati. E il Comune ha stanziato 1,8 milioni di euro.
Gennaio 2023. Un trimestre di assestamento e il governo Meloni, non proprio euforico, conferma la candidatura di Roma per l’esposizione universale. L’unica richiesta: niente figuracce. Prima conseguenza: nessuno ci mette la faccia. Così l’Italia muove la sua rete, il Comitato pianifica ed effettua circa 500 missioni e in aprile un raduno al Colosseo per i delegati (costo quasi un milione di euro, non si ripeterà). Il governo ci ha creduto talmente tanto che ha impedito un concerto in diretta televisiva con un appello di Muhammad Yunus, l’economista bengalese premio Nobel per la pace. Già in primavera gli stessi che promuovono Roma fanno trapelare che Roma potrebbe ritirarsi. Salpato solo due anni fa, Scognamiglio è di nuovo solo.
Novembre 2023. Neanche ventiquattr’ore dopo la batosta di Parigi, il dg Scognamiglio scrive una clamorosa lettera di denuncia a Dimitri Kerkentzes, il segretario generale Bie: «Se un Paese del G7 perde in modo così drammatico, penso che tutta la comunità internazionale abbia un problema. Quale Paese parteciperà a una competizione quando un Paese ricco del Golfo/Asia è l’altro concorrente? (…) Se le ispezioni del Bie chiedono di vedere rappresentanti della società civile, per essere sicuri che il dibattito legato alle Expo li riguardi, dovreste premiare i pluralisti». Questa la segnalazione più interessante: «Considerate che la nostra campagna è costata 30 milioni di euro, quella coreana 150, quella saudita 300». Secondo il dg Scognamiglio, dunque, a Riad la promozione è costata molto di più dei 190 milioni di euro dichiarati e pure la stima di 300 potrebbe essere arrotondata per difetto. Restano i 30 milioni italiani. Che per l’esattezza sono 33: 30,9 pubblici e oltre 2 privati. I 30,9 milioni pubblici provengono in gran parte dal Tesoro, 2 da Regione Lazio, 1,9 da Comune di Roma, 1 da Provincia di Roma, 1 da Camera di Commercio. Milano ha investito grossomodo la stessa cifra per il 2015. È vero che stavolta gli elettori da raggiungere erano in 182 Paesi e non in 97, però Milano ha vinto. E qui a Roma troppi hanno giocato per finta. Peccato che quei 30,9 milioni sono veri.
Estratto dell’articolo di Domenico Affinito e Milena Gabanelli per il “Corriere della Sera” il 27 Novembre 2023
Nel 2014, dopo un anno di lavoro, il Commissario alla revisione della spesa Carlo Cottarelli presenta un piano: le partecipate pubbliche devono scendere da 8 mila a 1.000. Risparmio possibile: 3 miliardi di euro. Il governo Renzi, però, non fa partire il piano e Cottarelli se ne va.
Due anni dopo l’esecutivo vara il «Testo unico in materia di società a partecipazione pubblica» (d.lgs. 175 del 19 agosto 2016), modificato l’anno dopo dal Governo Gentiloni che interviene sui passaggi incostituzionali.
Cosa prevede la legge
Con la nuova legge una pubblica amministrazione può costituire, acquisire o mantenere una società partecipata solo se risponde a ragioni di interesse pubblico o alle proprie finalità istituzionali. Le amministrazioni hanno l’obbligo di vendere, chiudere o accorpare le proprie partecipazioni se sono in società: 1) prive di dipendenti; 2) che hanno più amministratori che dipendenti; 3) che svolgono attività analoghe a quelle di altre partecipate o enti pubblici; 4) che hanno meno di un milione di euro di fatturato medio nei 3 anni precedenti; 5) che hanno quattro degli ultimi cinque bilanci negativi.
Prima scadenza fine 2018 e poi verifica anno per anno, con comunicazione dei dati da parte di ogni pubblica amministrazione al ministero dell’Economia e delle Finanze, pena la liquidazione coatta della quota societaria. Questo in teoria, perché poi la pratica è diversa. A partire dalla scadenza che viene prorogata a fine 2021 e poi a fine 2022.
Il 18% degli enti non risponde
Con i dati in suo possesso ogni anno il Mef stila un rapporto. L’ultimo è pubblicato a gennaio 2023 e fotografa la situazione a fine 2020. Le amministrazioni pubbliche con partecipazioni e soggette alla nuova legge sono 12.877. Si tratta di Comuni, Province, Regioni, Città metropolitane, Camere di commercio, ministeri, ordini professionali, università, enti locali del servizio sanitario. Inviano i dati al Mef solo 10.592, il 18% ignora la richiesta.
I meno solerti sono i Comuni fino a 50 mila abitanti e gli ordini professionali. Tra gli inadempienti, incredibile a dirlo, c’è il ministero dell’Istruzione che detiene il 20% della Tecnoalimenti di Milano e il 40% della Next Technology Tecnotessile di Prato.
Le amministrazioni pubbliche oggi stanno dentro a 5.260 società, con 39.989 partecipazioni per la maggior parte dirette. C’è di tutto: dall’Aci agli aeroporti, da case editrici a società di servizi pubblici per l’acqua, gestione rifiuti, dalle case di cura alle associazioni culturali, enti di ricerca, società di sviluppo territoriale o di gestione di enti fieristici, fondazioni, cooperative, enti sportivi.
Di queste 1.201 risultano inattive o in liquidazione, e il 67% con procedure aperte da oltre 5 anni. Partecipazioni, il 44% fuorilegge Delle 39.989 partecipazioni il Mef ne analizza 26.821, quelle riconducibili alle 3.240 società costituite prima del 23 settembre 2016 e con 5 bilanci d’esercizio completi.
E di queste, il 44,3% non rispetta uno o più parametri previsti per il mantenimento in vita (11.872 partecipazioni). Vediamo ora in quali società hanno investito queste pubbliche amministrazioni. Ce ne sono 559 senza dipendenti. Fra cui la Boniter, che si occupa di gestione immobiliare e partecipata da diversi consorzi di bonifica veneti; oppure la Aeta, partecipata da alcuni comuni piemontesi, che coordina e gestisce altre tre società (Tecnoedil, Alpi Acque e Alse) che si occupano del ciclo idrico.
Poi altre 327 società hanno più amministratori che dipendenti, come la Massa Martana Carni al 100% del Comune umbro di Massa Martana; o la Navigo, che fornisce servizi alle imprese del settore nautico, partecipata al 20% dalla Provincia e Camera di commercio di Lucca, e Comune di Viareggio.
Le società in rosso
Ci sono partecipazioni in 287 società che hanno registrato 4 bilanci negativi negli ultimi 5 anni; e ben oltre la metà degli enti ha inspiegabilmente dichiarato di volerle mantenere attive. […]
La lista continua con partecipazioni dentro a 1.149 società che hanno un fatturato medio nell’ultimo triennio inferiore a 1 milione di euro. Come la Asp che si occupa di fornitura di energia elettrica e gas ed è partecipata all’80% dal comune di Polverigi (Marche).
[…]
Secondo la legge le società che gli enti controllano devono essere chiuse o accorpate, negli altri casi le partecipazioni dovrebbero essere vendute. Attenzione: i numeri non vanno sommati perché la stessa società potrebbe avere una o più criticità.
I casi limite
Infine il Comune di Gorizia controlla l’aeroporto Duca d’Aosta, tenuto aperto solo per qualche volo privato; la Regione Campania l’aeroporto di Salerno Costa d’Amalfi, completamente fermo e che in 4 anni ha perso 6 milioni; i Comuni di Verona e Vicenza controllano indirettamente la Agsm Holding Albania che fa anche smaltimento rifiuti a Tirana, che accumula 240 mila euro di passivo, ed è costata, tra capitalizzazioni e investimenti, altri 3,5 milioni.
Le mille deroghe della legge
Ma perché le amministrazioni possono mantenere le quote in queste società? Perché la legge prevede un’infinità di deroghe: per le quotate, per quelle che gestiscono un patrimonio immobiliare, fanno sperimentazione sanitaria, gestiscono fondi europei, progettano un’opera pubblica, producono energia rinnovabile o, semplicemente, perché l’amministrazione dice «mi serve per la mia attività istituzionale».
Forti anche di ciò che ha scritto nel 2020 la Corte dei Conti nel suo rapporto: le scelte «restano affidate all’autonomia e alla discrezionalità degli enti soci, in quanto coinvolgono profili gestionali/imprenditoriali rimessi alla loro responsabilità». Clientelismi In molti casi l’attività della partecipata potrebbe essere svolta dall’ente o andare avanti anche senza la presenza del pubblico.
E invece sono centinaia le amministrazioni che mantengono le quote e possono così aggirare il patto di stabilità o piazzare nei consigli di amministrazione le loro clientele ed ex politici. In molti casi non vengono erogati compensi, ma sono comunque incarichi utili a mantenere un sistema di relazioni da giocare sui tavoli della politica locale.
[...] Tirando le fila: con la nuova legge del 2016 dovevano chiudere almeno 3.000 società e invece sono solo 275 quelle messe in liquidazione o per le quali è stata avviata la procedura di chiusura. E riguardano 1.942 partecipazioni: le altre quasi 10 mila sono sempre vive anche se non vegete.
Le Multe UE.
MILENA GABANELLI E LE SANZIONI EUROPEE ALL'ITALIA. Estratto dell'articolo di Francesco Tortora, Luigi Offeddu, Milena Gabanelli per il “Corriere della Sera” lunedì 2 ottobre 2023.
Un miliardo e tre milioni di euro. È quanto l’Italia ha pagato finora in sanzioni all’Unione europea per non essersi adeguata alle regole comunitarie, nonostante i moniti di Bruxelles, ripetuti per anni.
[…] 27 Stati aderiscono alla Ue decidendo insieme le leggi, condividendone obblighi e benefici. Ogni Stato quindi è tenuto ad accogliere le direttive Ue fra le proprie leggi nazionali, entro due anni al massimo, e a rispettarle. Chi non lo fa finisce nel radar della Commissione, che può aprire una procedura di infrazione. […] il nostro Paese è tra quelli che contano più procedure d’infrazione in Europa.
Iter e tempi di una procedura
Fra i primi avvisi di Bruxelles e una condanna possono passare anche 20 anni. La pratica inizia con una lettera di messa in mora dove la Commissione concede due mesi per rispondere. Segue una lettera di «parere motivato», con cui si precisano altre richieste e si concede altro tempo; insomma Bruxelles collabora, perché ha tutto l’interesse ad evitare lo scontro.
Se lo Stato però continua a non seguire le indicazioni della Commissione, c’è un primo deferimento alla Corte di Giustizia Ue. A quel punto, se ancora non ti adegui, la Corte emette una seconda sentenza con la quale può decretare sanzioni economiche forfettarie e/o giornaliere finché il Paese non si mette in regola. Nel caso in cui lo Stato decida di non pagare, l’Unione si rifà riducendo gli importi dei fondi comunitari destinati al Paese in questione.
I casi in Italia e in Europa
L’ultimo aggiornamento è del 28 settembre 2023: le procedure aperte contro i Paesi membri sono 1.724. In testa la Spagna con 95, seguita da Belgio (94), Bulgaria (92), Grecia (90) e Polonia (83). I Paesi che ne hanno di meno sono Estonia (39), Lituania (40), Finlandia (45). L’Italia conta 80 infrazioni, e vanno dal mancato adeguamento dei livelli di sicurezza delle gallerie […] all’eccessivo ricorso ai contratti a termine nel settore pubblico (la procedura del 2018 condanna l’utilizzo abusivo per diverse categorie, tra le quali insegnanti e personale amministrativo), fino allo scorretto recepimento della direttiva antiriciclaggio.
Il primato italiano
Se consideriamo invece le procedure finite davanti alla Corte di Giustizia l’Italia è al primo posto con 23 procedure in contenzioso, davanti a Grecia (19), Polonia (17) e Ungheria (15). Tra le infrazioni italiane arrivate davanti alla Corte c’è di tutto: l’esenzione dalle accise sui carburanti degli yacht a noleggio […]; il ritardo dei pagamenti da parte della pubblica amministrazione verso i fornitori (la direttiva prevede un limite di 30 giorni per il saldo delle fatture, ma i nostri tempi medi si attestano ancora sui 70 nel 2022); il superamento dei valori limite di PM10 nell’aria delle città italiane, e il recupero dei prelievi arretrati sulle quote latte.
Per cosa stiamo pagando
Tra i Paesi che hanno ricevuto più condanne a pagare sanzioni dalla Corte Ue solo la Grecia con 12 infrazioni fa peggio dell’Italia. Noi siamo secondi insieme alla Spagna con 6 condanne, seguono Irlanda (4), Francia, Belgio e Portogallo (3).
[…] Tra le condanne definitive che hanno procurato all’Italia esborsi imponenti, 3 sono legate al settore dell’ambiente, 2 agli aiuti di Stato e una agli aiuti irregolari concessi alle aziende.
Quella più pesante riguarda i rifiuti della Campania. La procedura è stata aperta nel 2007, l’abbiamo ignorata, e nel 2015 è partita la sanzione per la quale l’Italia ha già pagato 311 milioni di euro. E ancora oggi, a 8 anni di distanza, la Regione non ha completato una rete integrata di impianti di smaltimento. La conseguenza è che il nostro Paese continua a sborsare 60 mila euro al giorno.
Restando in tema: è partita nel 2014 la condanna per 200 siti di discariche abusive disseminate su tutto il territorio nazionale (la procedura era stata aperta nel 2003): ad oggi sono già stati versati 261,8 milioni di euro. C’è da dire che la situazione è migliorata dopo la nomina, nel 2017, del commissario unico alle bonifiche: restano da risanare 18 siti e la multa semestrale è passata dagli iniziali 42,8 milioni di euro a 4 milioni.
Nel 2018 è la volta dei Comuni che hanno le fogne senza i depuratori: 123 mancati interventi in 81 agglomerati, prevalentemente dislocati in Sicilia, Calabria e Campania.
L’Italia è stata condannata al pagamento di 165 mila euro al giorno e sono stati già versati 142.867.997 euro.
Cosa abbiamo fatto in questi cinque anni? Sono stati resi conformi «solo» 15 agglomerati, è come se 4,5 milioni di abitanti scaricassero ogni giorno le loro fogne nei fiumi, nei canali, o in mare. Ma quanti sistemi di depurazione si mettevano a terra con 165 mila euro al giorno?
Le sanzioni per gli aiuti di Stato
Nel 2015 ci siamo beccati la condanna per il mancato recupero di 38 milioni di euro di benefici contributivi impropri concessi tra il 1995 e il 1997 a 1.800 imprese nel territorio di Venezia e Chioggia. La vertenza si è chiusa lo scorso marzo, ma intanto l’Italia ha dovuto pagare sanzioni per 158,9 milioni di euro. Poi ci sono gli 80 milioni di multa per gli sgravi contributivi concessi dall’Italia per favorire l’occupazione negli anni 1997-98.
Le regole comunitarie permettevano agevolazioni alle imprese che su tutto il territorio nazionale assumevano disoccupati under 25 e laureati under 29. Ma l’Italia ha differenziato gli sgravi a seconda delle zone del Paese e li ha concessi anche a chi ha assunto over 29.
[…]
Purtroppo non ci fermiamo qui perché l’Italia per almeno altre sei procedure sta rischiando condanne a breve, fra queste la violazione della direttiva europea 2004/18/CE per la proroga senza gara della concessione autostradale Civitavecchia-Livorno alla società SAT.
Il rischio balneari
Per scongiurare nuove multe il governo Meloni ha approvato a giugno il «decreto salva infrazioni», che ha come obiettivo la chiusura di 13 procedure e la prevenzione di altre 11. La norma interviene tra l’altro per mettere fine alla procedura sulle emissioni inquinanti dell’ILVA di Taranto, prevedendo progetti di decarbonizzazione necessari a ridurre l’impatto ambientale.
Nulla di fatto, invece, sull’eterna storia degli stabilimenti balneari, dove da sempre chi si aggiudica la concessione di una spiaggia se la passa di padre in figlio. Dal 2009 Bruxelles ci chiede di metterle a gara per rispettare il principio della libera concorrenza, sancito dalla direttiva Bolkestein del 2006. Dopo 11 anni di tira e molla, il 3 dicembre 2020 è partita la procedura d’infrazione.
Il Ddl Concorrenza approvato dal governo Draghi prevedeva di risolvere la questione entro quest’anno, ma il governo Meloni ha detto no: se ne parlerà a partire da gennaio 2025. Certo che se lo Stato, pur di continuare ad incassare pochissimo da queste concessioni, è disposto a far pagare a tutti noi pure le sanzioni, è davvero indigesto.
Le Auto: blu e grigie.
Estratto dell’articolo de “il Messaggero” il 22 maggio 2023.
Il parco auto in dotazione alle amministrazioni pubbliche italiane si è più che dimezzato rispetto al 2011: anno in cui questa voce finì sotto la scure della spending review per opera del governo guidato da Silvio Berlusconi. Stando a quanto emerso dai dati diffusi dal dipartimento della Funzione pubblica in collaborazione con Formez pa, analizzati dal Centro studi enti locali, al 31 dicembre 2022 le auto blu e grige in dotazione alle amministrazioni pubbliche erano 30.665 contro le 72 mila del 2011.
Sette auto su 10, tra quelle in dotazione, sono di proprietà (21.770). A queste si sommano 7.981 veicoli a noleggio, di cui solo 17 con conducente, e 533 auto in leasing. Ancora meno quelle in comodato (379). Diversamente da quanto avviene attualmente, l'adesione al monitoraggio delle auto di servizio nel 2011 era facoltativa.
Il dato che ne emerse fu di 72.000 auto di cui 2 mila auto blu destinati agli eletti (di rappresentanza politico-istituzionale a disposizione di autorità e alte cariche dello Stato e delle amministrazioni locali), 10.000 auto blu riservate ai vertici apicali delle amministrazioni (di servizio con autista a disposizione di dirigenti apicali) e 60.000 auto grigie (senza autista, a disposizione degli uffici per attività strettamente operative). Sono escluse da queste cifre le oltre 60mila auto adibite a scopi di sicurezza e difesa e in dotazione alla polizia municipale e provinciale. […]
Le Regioni.
I Comuni.
Le Regioni.
I Comuni.
Ma i Comuni quanto spendono davvero per tenere aperta l'anagrafe e le elezioni? Da veritaeaffari.it Mercoledì 30 agosto 2023
I dati messi nero su bianco da Openbilanci, la piattaforma online sui bilanci comunali della Fondazione Openpolis.
Messina, Torino e Padova sono le tre città con più di 200mila abitanti che spendono di più per i servizi dell’anagrafe e le consultazioni popolari. Sono uscite pari rispettivamente a 24,21 euro pro capite, 21,91 e 19,92. Si registrano invece valori minori a Trieste (13,73), Firenze (9,99) e Napoli (3,24). Dati messi nero su bianco da Openbilanci, la piattaforma online sui bilanci comunali della Fondazione Openpolis.
Tra le città italiane con più di 200mila abitanti – viene specificato – non sono disponibili i dati di Palermo perché alla data di pubblicazione non risulta accessibile il bilancio consuntivo 2021.
Generalmente- si legge – gli andamenti di spesa sono stati piuttosto stabili. Dal 2017, Messina è sempre la grande città che spende di più tra quelle considerate. Inoltre, il capoluogo siciliano registra nel 2018 il valore di spesa maggiore degli ultimi sei anni (35,22 euro pro capite). Tra il 2016 e il 2021, solo Padova riporta un incremento nelle uscite, che è pari al 29%. Gli altri comuni invece vedono un calo. Il più consistente è quello di Roma (-25%).
Prendendo in considerazione tutte le amministrazioni italiane, il valore medio di spesa è pari a 22,79 euro pro capite. I comuni che spendono di più sono quelli valdostani (83,22), trentini (43,71) e altoatesini (39,43) mentre uscite minori si registrano per quelli della Toscana (18,58), del Veneto (18,16) e della Puglia (13,80). (Teleborsa)
I consigli regionali sono la vera roccaforte degli sprechi della politica. Vitalizi, indennità speciali, nepotismo. I parlamentini locali hanno pochissimi poteri ma innumerevoli privilegi. E nessun controllo. E costano 1,4 miliardi all’anno, quanto la Camera. Sergio Rizzo su La Repubblica il 26 Aprile 2023
Voleva ricreare i cittadini laziali coniugando «sanità e cultura», dichiarò. Per questo si candidava alla Regione a sostegno di Francesco Rocca. Fallito il bersaglio, Lorenza Lei ha dovuto ridimensionare le aspirazioni. Appena insediato, Rocca l’ha nominata capo della struttura di diretta collaborazione «cinema» del presidente della Regione Lazio. Sempre meglio che niente.
E ci starebbe pure, facendo finta di non sapere che è un risarcimento per la débâcle elettorale: vicepresidente della e-Campus, Lorenza Lei è stata direttrice generale della Rai. Ma la ragione per cui il presidente della Regione Lazio dovrebbe avere nel proprio staff una “struttura autonoma” per il cinema è comunque un mistero.
Forse non c’è già un assessorato alla Cultura, affidato alla leghista Simona Baldassarre, che ha competenza sulle plurime iniziative locali in campo cinematografico? E una Fondazione film commission, con tanto di presidente, cda e budget di 9 milioni l’anno? E perfino la società in house Lazio Innova che foraggia il cinema tramite fondi europei? Ma non affannatevi a cercare spiegazioni. Qui tutto è possibile.
Vent’anni fa l’economista Vito Tanzi ammoniva i tifosi del federalismo straccione in salsa italiana circa il pericolo di consegnare il potere nelle mani di una classe dirigente locale ancora più modesta di quella nazionale. Già non proprio eccellente. E nemmeno gli scandali del 2012, con metà dei consiglieri regionali di tutta Italia indagati per l’uso personale o improprio dei denari pubblici destinati ai gruppi politici, hanno potuto dare una svolta.
Ecco tornati, sia pure in una forma diversa, i vitalizi. Gli aumenti nei rimborsi spese hanno in certe Regioni più che compensato il taglio delle indennità. Né sono stati intaccati privilegi previdenziali identici a quelli dei parlamentari.
Anche perché, al di là del profilo morale, non si è mai voluto mettere mano ai problemi di fondo. La verità è che tutto il potere è concentrato nelle mani dei presidenti di giunta e i consiglieri regionali hanno prerogative limitatissime. La loro principale funzione politica è portare voti al candidato presidente preservando il proprio bacino di consenso. Che poi si traduce nella difesa di piccoli spazi di manovra personale: banalmente, soldi e collaboratori. E tutto viene di conseguenza. A cominciare dalla polverizzazione delle liste.
Così si spiega la cosa più assurda. Ovvero la proliferazione di gruppi politici composti da una sola persona. Mentre per costituire un gruppo alle Camere è necessario un numero minimo di aderenti, non essendoci nessun vincolo del genere nelle Regioni è invece possibile che ogni consigliere si faccia il proprio. Per ragioni ovvie. Un gruppo consiliare ha diritto a spazi fisici dedicati e ad assumere collaboratori a tempo determinato. Tre, per esempio, nel Lazio. Un gruppo poi partecipa ai negoziati sui calendari delle sedute e alla spartizione di minuscoli ambiti di potere, tipo le presidenze di commissioni. Ce n’è per tutti: sempre nel Lazio ci sono 15 commissioni per 12 gruppi e 50 consiglieri.
È un meccanismo strisciante e infernale, capace di moltiplicare posti di lavoro inutili, costi e inefficienze. In quel 2012 della grande crisi delle Regioni anche per questo c’era chi pensava di vietare i monogruppi, con l’idea di dare una strigliata morale al sistema. Ma l’ipotesi tramontò ben presto. Nicola Zingaretti la bollò quasi fosse un’offesa alla democrazia. E allora i consiglieri erano ancora un migliaio e i monogruppi 62.
Adesso invece per 897 consiglieri i monogruppi sono 65, cioè quasi un terzo dei 214 gruppi in tutta Italia. Con aspetti a dir poco surreali. Il consiglio della Provincia autonoma di Trento ne conta 8 su 13. I 21 consiglieri del Molise, sono spartiti in 11 gruppi politici di cui 6 con una sola persona.
Nel Lazio i monogruppi sono 5. Uno di questi è appannaggio del candidato presidente del centrosinistra Alessio D’Amato: «Insieme per il Lazio». Curiosamente ce n’è anche un altro che porta il suo nome. È «Lista civica D’Amato», di cui è unica componente la dirigente del Pd Marta Bonafoni. Che però fa parte di un gruppo diverso da quello del suo partito, pur essendo coordinatrice della segreteria nazionale di Elly Schlein.
Anche nel consiglio regionale dell’Abruzzo c’è un monogruppo intitolato al portabandiera sconfitto del centrosinistra Giovanni Legnini. Si chiama «Legnini presidente», ma Legnini in Regione non c’è. Ha preferito dedicarsi alla più proficua attività di commissario per la ricostruzione delle zone terremotate.
Non l’unico candidato presidente che dopo aver perso alle regionali se n’è andato in altri lidi. Per il comprensibile disappunto di molti elettori che si sono sentiti traditi.
Era già successo a Emma Bonino, rimasta in Senato dopo la sconfitta nel 2010 alle regionali del Lazio. Ed è accaduto dieci anni dopo a Susanna Ceccardi, candidata senza fortuna della destra in Toscana, che ha scelto di mantenere il seggio all’Europarlamento. Come lei Lucia Borgonzoni, battuta in Emilia Romagna, non ha voluto lasciare la poltrona di palazzo Madama nonostante avesse promesso di tener fede all’impegno regionale anche in caso di una batosta.
Così anche Raffaele Fitto. Soccombere alle elezioni regionali pugliesi non gli ha fatto venire dubbi fra l’inutile opposizione a Bari e uno strapuntino a Strasburgo. Ha scelto la seconda opzione.
Se però alle elezioni regionali si vince, è tutta un’altra storia. Prendete Renato Schifani, ex presidente del Senato. Non ha certo perduto l’onore conquistando la presidenza della Regione siciliana. Anzi. Per certi versi è un upgrade. L’autonomia può fare miracoli. Non ci credete? Il nuovo corso è stato inaugurato con uno spettacolare aumento delle indennità dei consiglieri, che qui si chiamano “deputati”. Novecento euro al mese, con il pretesto di recuperare l’inflazione. Pure i deputati, quelli veri, se lo possono scordare.
Miracoli però si possono fare anche senza l’autonomia. Unica nel Paese, la Calabria ha due capoluoghi di Regione. È l’eredità dei moti del 1970 a Reggio Calabria quando i neofascisti di Ciccio Franco al grido di «boia chi molla!» misero a ferro e fuoco la città contro il trasferimento del capoluogo. Si risolse lasciando il consiglio regionale a Reggio, 160 chilometri dalla sede della giunta, collocata a Catanzaro. Per sedare poi le possibili ire dei cosentini, misero a Cosenza la sede della Rai.
Presidente della Regione è dal 2021 il deputato di Forza Italia Roberto Occhiuto, che ha completato in tal modo il bouquet politico familiare. Uscito lui dal parlamento, entra (in Senato) il fratello Mario, ex sindaco di Cosenza. Mentre la sua compagna Matilde Siracusano, figlia dell’ex assessore ai Lavori pubblici della Provincia di Messina, è sottosegretaria ai Rapporti con il Parlamento.
Gli affetti familiari sono una caratteristica tipica delle classi politiche locali. Parenti fanno capolino un po’ ovunque. Nel Lazio la figlia del potente ex onorevole Pd Pietro Tidei, Marietta. E Sara Battisti, la moglie di Albino Ruberti, già capo di gabinetto di Nicola Zingaretti e Roberto Gualtieri. In Sicilia il figlio dell’ex presidente della Regione Vincenzo Leanza, Calogero. In Molise il cognato dell’europarlamentare Aldo Patriciello, Vincenzo Cotugno. Solo per citarne alcuni.
Alle ultime regionali della Campania su 50 consiglieri sono stati eletti 8 parenti. Chissà se per compensare il divieto all’assunzione nelle segreterie politiche dei congiunti dei consiglieri fino al terzo grado introdotto nel 2013. Il vincolo veniva aggirato assumendo l’uno il parente dell’altro. Ma almeno era un paletto. Adesso non c’è neppure quello. Spazzato via nel 2021. E tutto è come prima.
Ha sempre funzionato così. Gli enti e le società pubbliche assumono direttamente le persone che poi vengono comandate nelle segreterie politiche dei consigli regionali. A bizzeffe. Nel consiglio della Campania ce ne sono un centinaio. La sola segreteria del presidente del consiglio regionale Gennaro Oliviero ne conta sette.
Prima dell’insediamento di Rocca i collaboratori esterni dei 50 consiglieri del Lazio risultavano 157. Fra questi molti sindaci e amministratori di comuni medi e piccoli. Tradizione destinata a continuare anche con il nuovo corso, se è vero che a collaborare con il presidente del consiglio regionale Antonio Aurigemma c’è la sindaca di Nerola Sabrina Granieri. In uno staff di 14 persone e due dirigenti.
Quanta gente lavora nei consigli regionali con esattezza non sappiamo. I dati spesso neppure ci sono. Ma i dipendenti fissi sono almeno 4 mila, e senza contare i 2 mila collaboratori dei politici. Il record è nel Lazio, che ha pianta organica di 495 dipendenti e 26 dirigenti. Per non parlare della Calabria, 15 addetti per ogni consigliere: 456 in tutto per 31 consiglieri. Il quintuplo del parlamento nazionale, dove però il lavoro è di ben altra importanza e intensità. Per fare un confronto, la Lombardia ha 282 dipendenti per 80 eletti.
Sorprenderà sapere che i consigli regionali costano tutti insieme come un altro parlamento: 1,4 miliardi l’anno. Ben più grande dovrebbe tuttavia essere la sorpresa per come questa politica fa funzionare le Regioni. Le condizioni spesso indecenti in cui versa la sanità pubblica sono il risultato.
Estratto dell'articolo di Federico Guiglia per “il Messaggero” il 26 aprile 2023.
In Italia l'autonomia differenziata c'è da cinquant'anni. Non occorre, perciò, indovinare che cosa potrà accadere, se e quando il potere di legiferare su un lungo elenco di importanti materie sarà esercitato nelle Regioni più ricche e popolate d'Italia: basta guardare che cosa sia già successo nei rapporti fra lo Stato e l'"autonoma" Provincia di Bolzano, che da oltre mezzo secolo gode della più speciale, cioè differenziatissima, autonomia fra le cinque Regioni speciali (Friuli, Val d'Aosta, Sicilia, Sardegna e Trentino-Alto Adige).
[…] Ma nella pratica succede che la Provincia di Bolzano sia il più affezionato cliente della Corte Costituzionale, tanti e tali sono i conflitti che sono sorti in mezzo secolo di litigi fra il Consiglio provinciale altoatesino e il Consiglio dei ministri nazionale.
Rivendicando il primo d'aver esercitato le sue autonome prerogative, e rispondendo il secondo che in realtà le ha oltrepassate, violando con ciò la Costituzione. Il braccio di ferro non risparmia alcuna materia: dall'annuale legge finanziaria, i cui rilievi del governo sono quasi d'abitudine, agli interventi nella sanità. Dall'edilizia e dall'urbanistica alle regole sulla sicurezza nel lavoro, al territorio e paesaggio.
Perfino alla toponomastica perché, oltre alle controversie consuetudinarie e cavillose, ogni tanto la Provincia ama pure il blitz. Come quella volta che il governo-Monti dovette impugnare di gran corsa un testo che cancellava gran parte della toponomastica italiana dalle costituzionalmente obbligatorie denominazioni bilingue italiano-tedesche. […]
Come fece l'allora ministro per gli Affari regionali, Francesco Boccia, a fronte di una legge che eliminava addirittura il nome "Alto Adige". Nell'eterna contesa c'è di tutto e a tutto si ricorre pur di evitare il verdetto della Corte Costituzionale continuamente chiamata in causa: dal ritiro o modifica della legge impugnata, alle mediazioni fra Palazzo Chigi e Provincia, fino alle promesse politiche d'avere un occhio ministeriale di riguardo per un'autonomia oggettivamente debordante.
[…]
Sempre nella pratica, e non nel Paese di Alice, succede che l'Alto Adige contribuisca con meno del 10 per cento delle risorse prodotte nella regione alle necessità generali di tutto il Paese. Una sorta di partecipazione economica stile Lep oggi tanto di moda (sono i Livelli essenziali di prestazioni da garantire in modo uniforme sull'intero territorio nazionale), del tutto irrisoria e quasi irrilevante.
Nella pratica avviene che a volte l'autonomia sia gestita bene e per tutti. Altre volte male e non proprio con la stessa attenzione per le tre comunità di lingua italiana, tedesca e ladina residenti nel territorio. Si veda il perdurante vigore della proporzionale etnica nel settore pubblico.
Una misura concepita come temporanea ed eccezionale, dati i suoi effetti di grave diseguaglianza. Invece, da oltre cinquant'anni penalizza la minoritaria comunità di lingua italiana oltre ogni ragionevole dubbio. Per trovare lavoro, fare carriera e vedere riconosciuti i propri diritti nel pubblico impiego, i criteri del merito e del bisogno fra cittadini alla pari - qualunque sia la loro lingua -, contano molto meno o non contano affatto rispetto al requisito dell'"appartenenza etnica".
Dunque, non nella Repubblica di Platone, ma in quella italiana dell'autonomia differenziata e sperimentata, possono esserci norme assurde che resistono al tempo, perché lo Stato, defenestrato e perciò disimpegnato, non ha più la vigile concentrazione per intervenire. Per evitare equivoci, nel testo-Calderoli il Parlamento dovrebbe introdurre i paletti di salvaguardia nazionale, che sono ben piantati persino nello statuto di ampia, blindata e cesellata fino all'ultima virgola autonomia a Bolzano.
Dove la Provincia ha sì la potestà di emanare norme legislative, ma «entro i limiti indicati dall'articolo 4», ossia «in armonia con la Costituzione e i principi dell'ordinamento giuridico dello Stato e con il rispetto degli obblighi internazionali e degli interessi nazionali». Ma pure «delle norme fondamentali delle riforme economico-sociali della Repubblica».
[…]
Provate a chiedere agli amministratori delle città di Bolzano, Merano o Laives, se lassù comandano loro oppure l'onnipotente Provincia. Senza una clausola di salvaguardia nazionale ben formulata e di un'autonomia nell'autonomia ben garantita anche per i Comuni, così da tutelarli dallo statalismo regionalista, il Parlamento rischia solo di accontentare la Lega di un tempo (Bossi e Miglio) più ancora di quella attuale di Salvini e Calderoli. Senza neppure aver imparato qualcosa dalla lezione altoatesina.
L’Alitalia.
L'ultimo volo. Report Rai PUNTATA DEL 19/06/2023
di Daniele Autieri
Collaborazione di Federico Marconi
Lufthansa, il gigante tedesco dei cieli, comprerà ITA Airways, la cenerentola nata dalle ceneri di Alitalia e controllata dal Ministero dell’Economia e delle Finanze.
L’accordo è stato siglato il 16 maggio scorso con una stretta di mano tra il ministro dell’Economia e delle Finanze, Giancarlo Giorgetti, e l’amministratore delegato di Lufthansa Carsten Spohr. A parte l’aumento di capitale interamente coperto dallo stato italiano, l’offerta prevede che Lufthansa verserà 325 milioni di euro per avere il 41% di ITA. Tutto questo con la prospettiva di arrivare al 2026 acquistando oltre il 90% della compagnia. Ma come si è giunti a questo epilogo? Lo Stato italiano e quindi il contribuente hanno guadagnato o perso dall’operazione Lufthansa? E soprattutto dall’inizio del 2022 qualcuno dall’interno di ITA ha favorito la compagnia tedesca a scapito di altri eventuali compratori? Report svelerà i dettagli di una spy story che inizia nel gennaio del 2022, quando Lufthansa insieme a MSC, la compagnia leader nel trasporto via nave, presentano la loro prima offerta, i cui dettagli sono rimasti fino a oggi inediti. A partire da quel momento esplode una battaglia industriale che nasconde uno scontro geopolitico tra la Francia del presidente Emmanuel Macron e la Germania del cancelliere Olaf Scholz per il controllo di un vettore strategico nel trasporto aereo europeo. Una serie di documenti interni e inediti rivelano i tentativi di pressione esercitati sulla presidente del Consiglio Giorgia Meloni e sulla sua maggioranza per sostenere la cordata tedesca, ma anche le spese pazze di ITA Airways per i consulenti finanziari e quelle dell’ex presidente Altavilla.
L’ULTIMO VOLO Di Daniele Autieri Collaborazione Di Federico Marconi Immagini di Giovanni De Faveri, Carlos Dias, Alfredo Farina, Paolo Palermo Montaggio di Andrea Masella Grafica di Michele Ventrone Ricerca Immagini di Paola Gottardi
14 OTTOBRE 2021 - MESSAGGIO DEL COMANDANTE GARY DE PIANTE Oggi mio malgrado dopo 35 anni di onorato servizio ho portato a termine il mio ultimo volo. Quindi con un groppo in gola e con un cuore in lacrime per l’ultima volta vi ringrazio per averci scelto.
DANIELE AUTIERI FUORI CAMPO Il 14 ottobre del 2021 gli aerei dell’Alitalia compiono il loro ultimo volo. Dopo 75 anni, il Paese dice addio alla sua compagnia di bandiera e migliaia di lavoratori restano a terra.
GARY DE PIANTE – EX COMANDANTE ALITALIA Il 14 alle 23,30 abbiamo ricevuto questa mail aziendale dove per noi il lavoro era terminato.
DANIELE AUTIERI Si congedò dai suoi passeggeri, no?
GARY DE PIANTE – EX COMANDANTE ALITALIA Sì, feci un annuncio che, inaspettatamente, il capo cabina registrò. E una passeggera scendendo mi ha detto: comandante, lei mi ha fatto piangere.
DANIELE AUTIERI FUORI CAMPO Il giorno seguente gli stessi aerei di Alitalia decollano senza l’ala tricolore. Dalle ceneri della compagnia di bandiera nasce ITA, una newco controllata al 100% dal ministero dell’Economia e delle Finanze.
GIANNI ROSSI – PROFESSORE DI ECONOMIA DEL TRASPORTO AEREO - UNIVERSITÀ DI MESSINA I trattati e poi i regolamenti prevedono che uno Stato e uno Stato membro non possa trasferire fondi a un’azienda, in questo caso una compagnia aerea, altrimenti altererebbe la concorrenza. I governi dell’epoca si inventano l’idea di partire from the scratch con una nuova compagnia aerea chiamata ITA Airways.
DANIELE AUTIERI FUORI CAMPO Per l’Europa lo Stato non può più mettere soldi nella vecchia Alitalia, ma può finanziare la nascita di una nuova compagnia. L’operazione viene ideata dal secondo governo Conte, con Roberto Gualtieri ministro dell’Economia, quindi sostenuta dal governo Draghi che indica come presidente di ITA Alfredo Altavilla, un manager proveniente da FCA, considerato il più duro tra i fedelissimi di Sergio Marchionne. L’amministratore delegato è invece Fabio Lazzerini, un dirigente esperto di trasporto aereo proveniente da Alitalia. A lui viene affidata l’operatività dell’azienda, mentre ad Altavilla spettano le relazioni industriali, la comunicazione e il complesso capitolo degli accordi sindacali, cominciato nel peggiore dei modi.
AUDIO DEL COMITATO DIRETTIVO DI ITA AIRWAYS – 1° OTTOBRE 2021 MANAGER ITA In questo momento tutte le assunzioni di ex-Alitalia sono state di fatto bloccate quindi coloro che sono entrati erano persone che erano state già.
ALFREDO ALTAVILLA – PRESIDENTE ITA AIRWAYS (GIUGNO 2021- NOVEMBRE 2022) Allora stabiliamo una regola: se tutti questi 1.077 hanno quattro mesi di prova, fra quattro mesi la metà li voglio fuori, semplice.
ANTONIO AMOROSO - SEGRETARIO NAZIONALE CUB TRASPORTI ITA parte con circa 2.500 persone. In realtà in nome di una discontinuità lascia fuori questi lavoratori e quelli che assume li assume senza nessun criterio.
DANIELE AUTIERI Il governo italiano quanti soldi mette in Ita? Anche questo è un paletto che è dato dalla comunità europea no?
GIANNI ROSSI – PROFESSORE DI ECONOMIA DEL TRASPORTO AEREO - UNIVERSITÀ DI MESSINA Allora, nel marzo 2020, mentre Germania e Francia deliberavano aiuti per, ti ho detto, 10-12 miliardi cadauno, l’Italia delibera aiuti per 3 miliardi ma poi di questo, in fase di negoziazione con l’Unione europea, questi 3 miliardi vengono ridotti a 1 miliardo e 350 milioni.
DANIELE AUTIERI FUORI CAMPO Un finanziamento che rende ITA fragile in partenza anche in prospettiva delle trattative per la futura cessione. L’acquisto di ITA da parte di Lufthansa inizia da lontano con il governo Draghi ma viene portata a termine dal governo Meloni. Proprio pochi giorni fa la presidente del Consiglio ne ha discusso gli ultimi dettagli con il cancelliere tedesco Scholz.
8 GIUGNO 2023- CONFERENZA STAMPA CONGIUNTA GIORGIA MELONI – OLAF SCHOLZ GIORGIA MELONI - PRESIDENTE DEL CONSIGLIO Credo che anche il recente accordo industriale tra ITA Airways e Lufthansa sia una testimonianza di quanto gli interessi delle nostre nazioni possano essere convergenti sul piano strategico.
DANIELE AUTIERI FUORI CAMPO Lufthansa entra nella compagnia italiana con 325 milioni di euro e il 41% del capitale, ma con la promessa di arrivare al 90% dopo il 2025. ITA diventa tedesca.
GARY DE PIANTE – EX COMANDANTE ALITALIA Eravamo la sesta compagnia al mondo. Questi passeggeri che poi erano nostri emigranti in Argentina, in Australia, e per loro già il fatto di vedere la coda tricolore, no, in aeroporto a Melbourne, per loro era già essere a casa nel momento in cui salivano a bordo.
SIGFRIDO RANUCCI IN STUDIO ITA è l’ultima versione della nostra compagnia di bandiera, quella nata dalle ceneri delle cure dei capitani coraggiosi al 2008, di quelle arabe di Etihad del 2014, tutte cure fallimentari, fallimenti imprenditoriali, manageriali e politici che hanno costretto il nostro governo a continui rabbocchi di denaro. L’ultimo, dal 2017 al 2021, 2 miliardi di euro, 1,4 miliardi per evitare il fallimento e il resto per la cassa integrazione per rimborsi Covid. Fino a quando poi il Governo ha detto basta era il 2020, il premier Conte, ministro dell’Economia Gualtieri, si decide di resettare, ricominciare da capo con una nuova compagnia, ITA, finanziata completamente dal ministero delle Finanze, il ministero dell’Economia. Ecco, il primo volo, il 15 ottobre del 2021, ma c’è già l’intenzione di venderla a un partner forte, industriale, e sul rapporto si presenta subito dall’inizio Lufthansa, il terzo operatore al mondo per numero di passeggeri e ha già esperienze di importanti acquisizioni: Air Dolomiti, Austrian Airlines, e anche Swissair. Vuole costituire il più importante polo di trasporti civili in Europa. Ora, però, durante il corso di questa acquisizione si è svolto un vero intrigo internazionale. Colpi bassi, offerte segrete, una di queste ve ne darà conto Report, avrebbe consentito di incassare al governo italiano la bellezza di un miliardo di euro, poi è saltata, poi ci sono stati i ritardi che hanno costretto invece il governo italiano a un nuovo esborso. Parleremo anche dei tentativi di far pressione indebita all’insaputa sul governo Meloni, proprio sulla premier Meloni, metterla in difficoltà, e poi di quei depistaggi che si sono svolti in silenzio per coprire una guerra internazionale tra la Francia di Macron e la Germania di Scholz. Mettere le mani su un vettore italiano considerato strategico nello scacchiere dei trasporti aerei europei. Il nostro Daniele Autieri è entrato in quelle stanze dove si è svolta l’ultima grande privatizzazione italiana e dove, secondo un audit, si sarebbe seduto e nascosto un silenzioso complice della compagnia tedesca.
DANIELE AUTIERI FUORI CAMPO Il 10 ottobre del 2022 una busta anonima viene indirizzata a un membro del consiglio di amministrazione di ITA. Al suo interno una serie di documenti riservati oltre a una lettera che contiene un messaggio indirizzato alla neopresidente del Consiglio, Giorgia Meloni. Le rivelazioni del plico convincono l’azienda ad aprire un’indagine interna incaricando una società informatica di passare al setaccio le e-mail del presidente Altavilla e di alcuni top manager. E vengono fuori i dettagli di una battaglia industriale che dura da mesi.
ADVISOR ITA AIRWAYS Era un plico chiuso e dentro c’era una bozza di una e-mail che si erano scambiati Altavilla e Filippo Corsi. DANIELE AUTIERI FUORI CAMPO Corsi è il capo dell’ufficio legale di ITA e l’8 ottobre, pochi giorni prima dell’insediamento di Giorgia Meloni a Palazzo Chigi, condivide con Altavilla il testo della velina da passare ai giornali. Attraverso la stampa, Altavilla e Corsi vogliono esercitare pressioni sul nuovo premier affinché la scelta del partner industriale cada su Lufthansa.
ADVISOR ITA AIRWAYS La nota che i giornali avrebbero dovuto riprendere puntava a sostenere i tedeschi e a screditare Certares, il fondo americano, quello voluto da Draghi, che prometteva la partnership con Delta e Air France.
DANIELE AUTIERI FUORI CAMPO Secondo il piano di Altavilla e Corsi, i giornali avrebbero dovuto pressare Giorgia Meloni e il suo ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, affinché intervenissero al più presto sulle fronde interne ad ITA contrarie a Lufthansa, che i due attribuiscono essere di matrice PD. L’obiettivo finale di Altavilla sarebbe quello di bloccare le attività del fondo Certares finalizzate ad acquisire la compagnia italiana.
22 NOVEMBRE 2022 - CONFERENZA STAMPA CONSIGLIO DEI MINISTRI GIANCARLO GIORGETTI - MINISTRO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE Per quanto ITA Airways, Lufthansa è sempre interessata, siamo aperti ovviamente a tutti coloro che in qualche modo vogliano partecipare a questa che, ribadisco, è un’operazione che confermo mira a trovare un partner solido, industriale, che garantisca un futuro certo per la compagnia aerea.
DANIELE AUTIERI FUORI CAMPO Al 22 novembre scorso il governo Meloni non è ancora sicuro che Lufthansa sia la scelta migliore, ma fin dall’inizio del 2022 i tedeschi hanno una carta vincente nella partita strategica della vendita: la carta Alfredo Altavilla.
25 GIUGNO 2022 ALFREDO ALTAVILLA – PRESIDENTE ITA AIRWAYS (GIUGNO 2021- NOVEMBRE 2022) Il problema vero è fare la scelta giusta. E fare la scelta giusta significa trovare per questa compagnia un partner industriale solido. DANIELE AUTIERI FUORI CAMPO Per Alfredo Altavilla la scelta giusta si chiama Lufthansa. Il 24 gennaio del 2022, in pieno governo Draghi, nelle mani del presidente di ITA arriva un’offerta di acquisto firmata da Lufthansa e MSC, il colosso italiano del trasporto via nave che fa capo alla famiglia dell’imprenditore e armatore italiano Gianluigi Aponte. I dettagli dell’offerta, rimasti fino a oggi inediti, vengono ricostruiti da un testimone di quel negoziato.
COLLABORATORE ITA AIRWAYS L’offerta era praticamente di ripagare l’investimento in capitale sociale che era stato fatto fino a quel momento, dall’azionista unico, quindi dal MEF, ed era pari a 720 milioni, in più veniva riconosciuto un premio del 30% su quell’ammontare.
DANIELE AUTIERI Quindi un miliardo di euro? COLLABORATORE ITA AIRWAYS Un po’ meno di un miliardo.
DANIELE AUTIERI Che sarebbero finiti nelle casse del ministero?
COLLABORATORE ITA AIRWAYS Come azionista certo, avrebbe ricevuto l’importo alla fine concordato.
DANIELE AUTIERI FUORI CAMPO Un miliardo di euro che sarebbero entrati nelle casse dello Stato italiano. Ma pochi giorni dopo il governo cambia idea e decide che per vendere ITA è necessaria una gara pubblica. L’11 febbraio del 2022 il presidente del Consiglio Mario Draghi firma un DPCM che dà il via al contest internazionale.
DANIELE AUTIERI Perché questo cambio di prospettiva, perché indire una gara internazionale?
COLLABORATORE ITA AIRWAYS Beh, per quanto mi risulta il governo agì da quel punto di vista, seppur non tempestivamente ma in modo corretto perché si trattava comunque della privatizzazione di un’azienda posseduta dallo Stato.
DANIELE AUTIERI FUORI CAMPO Altavilla e i suoi non ci stanno. Il 21 febbraio il presidente organizza una video call con Lufthansa e MSC per discutere con loro il Memorandum che sancisce l’alleanza tra le due aziende e pone le basi di una nuova offerta.
DANIELE AUTIERI È vero che da quel momento dall’interno di ITA, da parte del presidente, ci fu un’attività di sostegno a Lufthansa, cioè fu agevolata per presentare un’offerta vantaggiosa, un’offerta più competitiva delle altre? COLLABORATORE ITA AIRWAYS Per quanto a mia conoscenza, non è assolutamente vero.
DANIELE AUTIERI FUORI CAMPO Ma dall’audit emerge una versione diversa: su indicazione di Altavilla il capo del legale di ITA, Filippo Corsi corregge il memorandum che contiene i dettagli della partnership tra i due offerenti indicando alcuni cambiamenti affinché l’offerta di Lufthansa abbia maggiori possibilità di essere selezionata dal governo.
1° MARZO 2022 ALFREDO ALTAVILLA – PRESIDENTE ITA AIRWAYS (GIUGNO 2021- NOVEMBRE 2022) Io lo dico sempre, le trattative non si fanno sui giornali, si fanno nelle segrete stanze. La cosa importante è studiare un business plan che faccia senso e dia una logica di sviluppo sia alla compagnia dal punto di vista economico che soprattutto dal punto di vista occupazionale.
DANIELE AUTIERI FUORI CAMPO Lufthansa si può muovere con disinvoltura anche nelle segrete stanze di ITA, grazie alle informazioni che il presidente Altavilla mette a disposizione del colosso tedesco. Un audit interno all’azienda rivela che nel corso di un meeting del 9 marzo è stata proiettata una presentazione del business plan dettagliato e assolutamente riservato di ITA.
EX MEMBRO CONSIGLIO DI AMMINISTRAZIONE ITA AIRWAYS Loro hanno trovato una serie di atti, di scambi, di mail, nei quali sostanzialmente si predisponeva l’offerta di Lufthansa. Arriva Altavilla in consiglio di amministrazione dicendo che la privatizzazione si farà a marzo, sarà una cosa informale, io ho già parlato con Draghi, ce la caveremo in qualche giorno, la gestiamo noi, abbiamo bisogno di advisor qualificati.
DANIELE AUTIERI FUORI CAMPO L’operazione ITA diventa una festa per gli advisor nominati dal presidente. Boston Consulting firma un contratto da 370mila euro; allo studio di avvocati newyorkesi Sullivan & Cromwell viene riconosciuto un importo di 2,7 milioni di euro, mentre per lo studio Grande Stevens viene pattuito un compenso fisso di 550 mila euro e una success fee alla conclusione dell’operazione di 2,15 milioni.
ADVISOR ITA AIRWAYS A questo punto i tedeschi hanno in mano tutto per fare l’offerta migliore. È come se fossero già con un piede dentro ITA, però il 9 marzo arriva invece una seconda manifestazione di interesse da parte di Certares.
DANIELE AUTIERI FUORI CAMPO Della lotta tra Lufthansa e il fondo americano Certares per mettere le mani su Ita ci racconta uno stretto collaboratore del presidente Altavilla, e spunta una guerra geopolitica tra francesi e tedeschi per conquistare la compagnia aerea italiana, strategica nello scacchiere europeo dei trasporti.
COLLABORATORE DI ALFREDO ALTAVILLA MSC e Lufthansa avevano fatto un accordo, loro si presentavano come un’unica società, perché c’era piano industriale e finanziario in compartecipazione. Gli altri si presentavano come Certares più partnership solo commerciale con AirFrance e Delta, ma era un consorzio, non una cordata eh.
DANIELE AUTIERI FUORI CAMPO Altavilla mantiene un filo diretto con l’amministratore delegato di MSC Diego Aponte, e il 23 marzo del 2022 invia una mail ai suoi fedelissimi in cui racconta di un incontro tra Aponte e Ben Smith, l’amministratore delegato di Air France. Un incontro nel quale Air France avrebbe mostrato interesse a subentrare al posto di Lufthansa per acquistare ITA.
DANIELE AUTIERI Che partita gioca Air France in tutto questo?
COLLABORATORE ITA AIRWAYS Probabilmente il tentativo di approccio da parte dell’amministratore delegato di Air France nei confronti della famiglia Aponte era un modo per cercare di incrinare la cooperazione fra MSC e Lufthansa.
DANIELE AUTIERI FUORI CAMPO Alla luce delle mutate condizioni industriali e della gara indetta dal governo l’11 febbraio, Lufthansa presenta la sua seconda offerta, ben lontana dal miliardo di euro promesso pochi mesi prima.
COLLABORATORE ITA AIRWAYS La seconda offerta MSC Lufthansa sostanzialmente dice che i 400 milioni che inizialmente prevedevano di conferire loro li avrebbe dovuti conferire il ministero come azionista, mentre il secondo aumento di capitale sarebbe stato ancora a carico di MSC Lufthansa.
DANIELE AUTIERI Quindi in pochi mesi c’è già un costo aggiunto per il contribuente di 400 milioni?
COLLABORATORE ITA AIRWAYS È corretto perché poi il ministero ha prelevato 400 milioni e li ha versati nelle casse di Ita.
CONFERENZA STAMPA - 4 AGOSTO 2022 DANIELE FRANCO - MINISTRO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE (FEBBRAIO 2021 – OTTOBRE 2022) Le proposte pervenute non sono, nessuna delle due è pienamente coerente con quanto richiesto dal DPCM per cui in tempi molto brevi, credo in questi giorni, verrà chiesto loro di formulare ulteriori proposte coerenti con il DPCM chiedendo loro di rispondere in tempi brevissimi.
DANIELE AUTIERI FUORI CAMPO Il fondo americano Certares si lamenta con il ministero delle Finanze e il MEF invia una lettera a ITA chiedendo spiegazioni sul perché sia stato vietato ai membri del consorzio guidato dal fondo americano l’accesso ai dati essenziali per formulare un’offerta.
COLLABORATORE DI ALFREDO ALTAVILLA All’interno del PD, nel panorama politico però soprattutto nel PD, c’era un fortissimo asse italo-francese. Noi sappiamo molto, molto, molto che tutta la diplomazia francese, tutta, si era mossa per bloccare questa operazione.
DANIELE AUTIERI FUORI CAMPO La scontro industriale si trasforma in una battaglia di geopolitica. Da un lato dietro il fondo americano Certares, Air France e la Francia di Emmanuel Macron; dall’altro la Germania del Cancelliere Olaf Scholz. In mezzo un’Italia debole, con un Mario Draghi appena sfiduciato dal parlamento, mentre Giorgia Meloni, l’unica oppositrice al governo, compie la sua marcia trionfale verso Palazzo Chigi.
CONFERENZA STAMPA – 4 AGOSTO 2022 MARIO DRAGHI – PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI (FEBBRAIO 2021 – OTTOBRE 2022) Non è mia intenzione lasciare la questione al prossimo governo perché insomma dobbiamo fare il nostro dovere fino in fondo. Quindi la scelta del vincente in questa gara dovrà avvenire nei tempi che il MEF darà, che mi pare siano brevissimi. Quant’è? Dieci giorni? Dieci giorni.
DANIELE AUTIERI FUORI CAMPO Il 22 agosto Lufthansa presenta una nuova offerta, rivista al ribasso anche rispetto alla seconda. Stavolta il peso dell’aumento di capitale che graverebbe sulle spalle dello Stato non è più di 400 ma di 650 milioni di euro.
COLLABORATORE ITA AIRWAYS Da gennaio ad agosto sostanzialmente vi è stato un peggioramento di 650 milioni che il ministero ha dovuto in parte fino adesso versare nelle casse di ITA Airways.
DANIELE AUTIERI Perché Lufthansa e MSC a un certo punto capiscono che possono tirare la corda con il ministero dell’Economia e abbassare le condizioni di acquisto?
COLLABORATORE ITA AIRWAYS Penso ci sia stata anche un po’ di delusione da parte soprattutto di MSC per l’allungamento dei tempi rispetto al 24 gennaio, a quel punto erano passati otto mesi senza avere alcuna decisione.
DANIELE AUTIERI FUORI CAMPO Il 24 agosto del 2022 anche il capo delle relazioni istituzionali di ITA, Nicolò Mardegan, d’accordo con Alfredo Altavilla, invia agli onorevoli di Forza Italia, Ronzulli e Tajani, un appunto dal quale ancora una volta emerge la preferenza per MSC e Lufthansa. Ma le pressioni non danno i loro frutti perché il 31 agosto il governo Draghi scarica i tedeschi e sceglie Certares che però, dopo un paio di mesi, fa marcia indietro.
DANIELE AUTIERI dicono proprio perché avevano trovato ostruzionismo dentro l’azienda. È così secondo lei?
COLLABORATORE ITA AIRWAYS Nessun ostruzionismo, hanno avuto accesso a tutte le informazioni e hanno avuto risposta a tutte le domande poste.
DANIELE AUTIERI FUORI CAMPO Le risultanze emerse dal lavoro di intelligence convincono la compagnia ad avviare un audit sulle attività del Presidente, i rapporti con Lufthansa, la gestione delle consulenze, l’ostruzionismo verso Certares. E il 12 ottobre del 2022 il consiglio di amministrazione di ITA revoca tutte le deleghe ad Altavilla, una decisione sottoscritta pochi giorni dopo anche dal MEF.
EX MEMBRO CDA ITA AIRWAYS Lui è stato revocato da presidente e da consigliere per gravi atti compiuti contro la società. Poco dopo il socio, cioè il MEF, lo ha revocato da presidente, ormai senza deleghe, e da consigliere, una cosa che non è mai successa nella storia delle società pubbliche italiane.
DANIELE AUTIERI FUORI CAMPO Altavilla viene accompagnato alla porta. I membri del consiglio di amministrazione e l’amministratore delegato Fabio Lazzerini lo accusano di aver favorito la cordata guidata da Lufthansa ma soprattutto di una gestione privatistica dell’azienda. Alcuni documenti interni ad ITA rimasti fino ad oggi inediti ricostruiscono le note spese del presidente, dagli oltre 8mila euro al mese per l’autonoleggio con l’autista, ai duemila euro a settimana per gli hotel fino alle multe finite sul conto di ITA.
EX MEMBRO CDA ITA AIRWAYS Sprechi, sperperi. Lui secondo me non ha capito di essere in una società pubblica.
DANIELE AUTIERI FUORI CAMPO Altavilla respinge tutte le accuse. Si dice convinto che la sua operazione Lufthansa avrebbe creato molto più valore per lo stato italiano e fa causa all’azienda e ai membri del cda contro la revoca delle deleghe. La sua eredità industriale viene comunque raccolta dal ministro Giorgetti e dal governo Meloni e il controllo dei cieli italiani passa nelle mani di Lufthansa.
DANIELE AUTIERI Dall’offerta uno, quella del gennaio 2022, ad oggi, quanto valore si è perso per i contribuenti italiani?
COLLABORATORE ITA AIRWAYS I due aumenti di capitale, il primo è già stato fatto, il secondo sarà fatto; la grossa differenza è che Lufthansa inietterà capitale direttamente in Ita Airways mentre non verserà alcun pagamento al ministero.
SIGFRIDO RANUCCI IN STUDIO Sulla cessione di ITA a Lufthansa, insomma, sta indagando la Procura di Roma, vuole vedere se nell’ombra c’è stato qualcuno che ha favorito illegittimamente il gruppo tedesco. Quello che invece è certo è che il governo italiano avrebbe potuto incassare un miliardo dall’offerta di Lufthansa e Msc di Gianluigi Aponte, fatta nel gennaio del 2022, ma il governo Draghi ha optato per la gara internazionale, poi ci sono stati dei ritardi. Insomma, si è arrivati al 25 maggio scorso, quando il ministro dell’Economia Giorgetti, ha siglato l’accordo con l’amministratore delegato di Lufthansa, Spor. Ora il Governo italiano versa per intero l’aumento di capitale, 650 milioni di euro, quando avrebbe potuto incassare invece il miliardo di euro dell’offerta del gennaio del 2022. I tedeschi invece versano 325 milioni di euro per rilevare il 41% di Ita, con l’opzione di arrivare al 100% entro il 2026. Ma i 325 milioni di euro non li versano i tedeschi nelle casse dei contribuenti italiani, bensì in una società che già fa parte del suo gruppo, bel colpo. Poi c’è una sentenza di queste ore del tribunale di Roma che impone a ITA il reintegro di 77 vecchi dipendenti dell’Alitalia. Potrebbe esser una sentenza pilota e condizionare le altre vertenze che sono aperte, denunce che sono state fatte presso i tribunali di tutta Italia, circa mille dipendenti della vecchia Alitalia che potrebbero a questo punto essere riassunti, ecco questo potrebbe togliere il sono a Lufthansa e rivedere gli accordi? No, perché sono stati previdenti, hanno messo nel contratto, hanno imposto al governo italiano di assumere gli oneri dei risarcimenti o delle richieste di assunzione, circa 200 milioni di euro stimati i danni. Ecco, gli alleati tedeschi hanno trovato negli italiani brava gente.
Estratto dell'articolo di Lorenzo Giarelli per “il Fatto quotidiano” il 6 giugno 2023.
L’Italia stra-paga un aereo, si lega al fornitore per anni, si mette in casa un gigante dagli enormi costi di gestione e finisce che “i grillini hanno sprecato soldi pubblici”. Gli stessi grillini, ovviamente, che si sono liberati di parte di quei maxi-contratti, pur essendo ormai tardi per rimediare a tutte le sanguinose perdite.
La vicenda è quella dell’Airbus A340-500, molto più noto come Air Force Renzi perché voluto nel 2016 dall’allora premier Matteo Renzi per rinforzare la flotta di Stato a disposizione sua (ma non fece in tempo a utilizzarlo mai) e delle altre cariche istituzionali. Nei giorni scorsi, il Corriere ha rivelato come, a cinque anni di distanza dalla rinuncia al leasing per volontà del governo Conte-1, il velivolo sia ancora piazzato in un hangar a Fiumicino, abbandonato.
La notizia ha offerto al Riformista – incidentalmente diretto dallo stesso Renzi – l’occasione per ribaltare lo storytelling, per usare un concetto una volta tanto caro al senatore semplice di Rignano: non è lui ad aver approvato un’operazione faraonica, ma è il Movimento 5 Stelle ad aver mandato all’aria una sacrosanta trattativa in nome del populismo, buttando via un sacco di soldi e un aereo che sarebbe ancora un gioiellino. “Etihad ha fatto causa ad Alitalia e l’Italia continua a pagare la compagnia”, sostiene il quotidiano.
La versione di Renzi omette però qualche dettaglio fondamentale. Innanzitutto le cifre. All’epoca l’Italia si sobbarcò un leasing di 8 anni dal costo totale di 168 milioni, comprensivi dell’affitto dell’aereo e di diverse spese accessorie.
[…] due anni più tardi Gaetano Intrieri, consulente del ministro Danilo Toninelli ed esperto del settore dell’aeronautica, mise mano al dossier dell’Air Force Renzi per cessare il contratto in essere e rese noto che, durante la sua attività privata, aveva ricevuto tramite la società inglese Eal l’offerta di due Airbus A340-500 Ethiad – identico modello voluto dal nostro governo – tra cui uno in configurazione Vip. Il prezzo? Meno di 6,5 milioni di euro ciascuno, cioè circa 26 volte in meno di quello che Etihad avrebbe incassato dallo Stato per l’affitto dello stesso aereo.
Tra l’altro in quel periodo Etihad, colosso degli Emirati Arabi – aveva acquistato il 49 per cento di Alitalia, in una delle mille tappe della infinita crisi della compagnia di bandiera. Oggi Etihad è lontana da quel che resta di Alitalia, ma Renzi ha mantenuto ottimi rapporti con gli Emirati, dove spesso è in trasferta nella nuova vita da conferenziere e docente universitario. E soprattutto Renzi non rinnega nulla di quell’affare, elogiando sul suo giornale le performance tecniche del velivolo.
[…] un bestione valutato – tra l’altro – 81 milioni per l’affitto, 32 per i costi di manutenzione e altri 12 per il supporto a terra. Secondo il giornale di Renzi, gran parte di quei soldi l’Italia li ha dovuti comunque pagare, nonostante gli annunci dei 5 Stelle (a suo tempo Toninelli e Luigi Di Maio salirono a bordo dell’Airbus per festeggiare lo stop allo spreco pubblico). In realtà fonti vicine al dossier stimano il risparmio in un centinaio di milioni.
Nel frattempo, l’aereo resta lì perché l’Italia non lo vuole più e Etihad non ha alcun interesse a muoverlo da Fiumicino. Negli anni la vicenda ha occupato magistrati civili, amministrativi e penali, ma al Fatto non risulta alcuna condanna di Alitalia – né tantomeno dello Stato italiano – in merito. E dunque al momento resta valida l’interruzione del contratto, dopo che i primi anni di leasing erano costati più di 50 milioni.
Gli sprechi di Ita: 4 milioni di euro regalati a una società turistica in cambio di niente. Un audit interno smaschera l’accordo tra ex Alitalia e Tie, società turistica in cui compare Gianni Prandi, esperto di comunicazione della Cgil. Daniele Martini su L'Espresso il 3 maggio 2023.
Quale azienda al mondo darebbe più di 4 milioni di euro a un’altra azienda per avere niente in cambio? Non è una domanda retorica perché in Italia esiste davvero una società così spensierata e generosa da pagare un’altra senza contropartita. Questa azienda si chiama Ita Airways-Italia Trasporto Aereo, ed è la compagnia aerea pubblica che ha preso il posto di Alitalia il 15 ottobre di due anni fa. L’elargizione sarebbe addirittura continuata chissà fino a quando se la strana storia non fosse stata prima scovata dal giornale Il Domani e poi non fosse stato avviato un audit dal Consiglio di amministrazione che ha confermato in pieno le rivelazioni di stampa aggiungendo elementi inquietanti.
L’audit Ita è un documento molto dettagliato di oltre 50 pagine di cui L’Espresso ha potuto avere una copia. È stato preparato dal dipartimento interno dell’audit Ita coordinato da Elisa Tarantola su richiesta del Consiglio di amministrazione della compagnia e consegnato il 21 aprile allo stesso Consiglio. Le conclusioni a cui arriva sono molto gravi: «La società (Ita, ndr) ha corrisposto 4,2 milioni di euro a fronte di 0 euro di ricavi per Ita nel 2022. Tale risultato ha portato un impatto sull’ebit (utile di esercizio, ndr) peggiorativo di 4,4 milioni di euro». In pratica un pezzetto della perdita di Ita di 486 milioni di euro nel 2022, è dovuto all’anomala operazione prodigalità.
L’affare ha messo in allarme perfino il futuro partner-padrone della compagnia italiana, la tedesca Lufthansa, preoccupata dalla circostanza che un episodio del genere possa essere la spia di una gestione superficiale e opaca dell’azienda. Per capire meglio come stanno le cose è stato inviato in missione da Francoforte uno dei dirigenti più alti in grado, Joerg Eberhart, il capo delle strategie, un tedesco mezzo italiano che conosce bene il nostro Paese per aver guidato a lungo la compagnia Air Dolomiti e che ha continuato ad abitare in Italia anche dopo aver lasciato questo incarico. Eberhart ha parlato del prossimo impegno di Lufthansa in Ita a palazzo Chigi con esponenti del governo italiano e tra gli argomenti trattati c’è stata anche la strana storia del regalo milionario.
Beneficiaria del buon cuore di Ita è un’aziendina di San Polo d’Enza, un piccolo comune di 6 mila abitanti in provincia di Reggio Emilia.
Questa società si chiama Tie-True Italian Experience, è amministrata da Maurizio Rota ed è una piattaforma per la promozione dell’immagine turistica italiana nel mondo che secondo l’audit ha 5 dipendenti, quattro a tempo indeterminato e uno a tempo determinato. Proprietaria di Tie è Assist group, società posseduta da Gianni Prandi e Furia Rinaldi. Il cervello di tutta l’operazione con Ita è proprio Prandi, personaggio intraprendente e poliedrico, ben introdotto in ambienti anche distanti tra loro come il made in Italy alimentare, il comparto tessile o il calcio con la Figc, ma a suo agio soprattutto nell’area politica di sinistra e il sindacato, la Cgil di Maurizio Landini di cui è amico fin dall’infanzia. Con la società Assist Prandi fornisce la sua collaborazione a Landini per la comunicazione Cgil dopo che è stato allontanato il portavoce storico, Massimo Gibelli. Ora Prandi tiene a precisare a L’Espresso di non avere alcun ruolo operativo in Tie.
Nell’autunno 2021, nelle settimane convulse dell’avvio di Ita, la compagnia ha ritenuto necessario di dotarsi di un partner forte e affidabile nel settore del turismo, capace di attrarre viaggiatori in tutto il mondo e di convogliarli sugli aerei di Ita. La pratica viene curata da Emiliana Limosani, responsabile dell’attività commerciale Ita. La scelta di Ita cade su Tie, ma viene fatta alla buona, senza che vengano espletate le verifiche e i controlli necessari sull’affidabilità e la solidità dell’azienda individuata nonostante in ballo ci siano milioni di euro. Nell’audit questa anomalia viene sottolineata con chiarezza: «Non sono state svolte attività di benchmarking sul partner da parte di Ita… e non è stata svolta un’attività di due diligence sull’affidabilità, reputazione, solidità».
Se queste azioni di controllo fossero state eseguite a dovere, sarebbero emerse le criticità di Tie messe in evidenza dall’audit. Una in particolare: che Tie non era in grado di onorare gli impegni assunti. Gli estensori dell’audit Ita parlano di «inadeguata solidità del partner nel poter erogare il servizio contrattualizzato». Dall’audit emerge che Tie per farsi pagare da Ita cambia in pochi mesi tre volte l’iban e che Ita sembra «l’unico cliente con cui Tie intrattiene rapporti commerciali. Tale evidenza emerge dal fatto che la fatturazione verso Ita è essenzialmente consequenziale. I numeri fattura emessi da Tie verso Ita nell’anno 2022 sono progressivi da fattura numero 1 a fattura numero 16, saltando solo la 4 e la 12».
Il contratto viene firmato nei giorni tra Natale e Capodanno 2021, il 27 dicembre, ed è molto oneroso per Ita. Prevede il pagamento immediato di una tranche di 901 mila euro a compenso dell’impegno profuso da Tie nell’anno in corso, cioè nei 5 giorni dal 27 al 31 dicembre. Il contratto prevede poi il pagamento a Tie di una rata mensile di circa 300 mila euro per tutto il 2022 (3 milioni e 600 mila in base d’anno) e poi ancora altri 10 milioni e 250 mila euro per gli anni 2023-2024-2025 in 36 rate mensili di oltre 284 mila euro l’una. L’impegno totale di Ita nei confronti di Tie è di quasi 15 milioni di euro in 4 anni. In cambio di questa pioggia di soldi Tie avrebbe dovuto convogliare clienti a profusione sugli aerei di Ita da tutto il mondo grazie alla sua piattaforma turistica e alla sua attività di promozione. Il margine di profittabilità di tutta l’operazione viene stimato dalla direzione commerciale di Ita la bellezza di circa 70 milioni di euro. Ma i viaggiatori non si sono visti e dall’audit risulta che Tie ha procurato a Ita «zero vendite e zero ricavi».
Di fronte al disastro, invece di voltare pagina il più in fretta possibile, a Ita hanno cercato di tenere vivo fino all’ultimo il rapporto con Tie. Lo hanno fatto facendo finta di fare il contrario. Il 9 gennaio 2023 hanno comunicato la volontà di recedere dall’accordo con efficacia dal 31 dicembre 2022. Come ribadisce una nota inviata da Ita al nostro giornale «l’amministratore delegato Fabio Lazzerini ha deciso, insieme al team legale e commerciale, di terminare il contratto alla fine di dicembre 2022». Nello stesso tempo, però, hanno cercato, nei fatti, di proseguire la collaborazione con Tie, magari ritoccando un po’ i termini dell’intesa.
Dall’audit risulta che ci sono stati ben tre tentativi per aprire una nuova fase. La prima data per l’avvio di un nuovo accordo è stata il 31 gennaio 2023, poi hanno prorogato al 24 febbraio e infine al 31 marzo. Il 29 marzo il Comitato costi della compagnia aerea ha approvato i termini e le condizioni per proseguire l’intesa con Tie. Il 21 aprile il consiglio di amministrazione di Ita ha esaminato per ore la vicenda. C’è stato un acceso dibattito tra alcuni consiglieri e l’amministratore Lazzerini ed è volata pure la minaccia di sottoporre tutta la faccenda alla Corte dei Conti. Alla fine è stato definitivamente chiuso ogni rapporto con Tie.
La versione di Ita
Gentile Direttore, con riferimento all’articolo “Quattrini in volo. Ita paga e non pretende” (L’Espresso 30 aprile 2023) mi preme precisare quanto segue.
A) La decisione di avviare il rapporto di consulenza con True Italian Experience (“TIE”) nel dicembre 2021 non è stata presa dal sottoscritto. Questo per la semplice ragione che questo è un progetto strategico di sviluppo di nuovo business e che la delega non rientrava tra le mie competenze.
B) È invece mia la paternità di aver posto fine al contratto con TIE. Senza voler sminuire la rilevanza dell’articolo pubblicato su “Il Domani” il 26 gennaio 2023, desidero far notare che la procedura di recesso dal contratto con TIE è stata da me avviata il 22 dicembre 2022.
C) È ben vero che lo Steering Committee, organo che riunisce tutto il top Management della Società, aveva approvato all’unanimità (quindi anche con il mio voto) il progetto seguendo tutte le procedure aziendali al momento in vigore. In un momento in cui una start up poco nota come ITA Airways, nata in piena pandemia Covid, aveva l’assoluta necessità di posizionarsi in vista della ripresa dei flussi turistici anche nel più generale interesse del Paese, sfruttando nuovi canali come quello digitale non esclusivamente per la vendita di biglietti come ipotizzato erroneamente nell’articolo, ma soprattutto per la promozione del nuovo brand e dei territori del nostro stupendo Paese
Preme ricordare che altre importanti aziende italiane hanno investito in TIE proprio perché hanno ritenuto necessario supportare una piattaforma con centinaia di migliaia di contenuti e così contribuire al ritorno dei flussi turistici in Italia.
D) Nella riunione del 21 aprile scorso il consiglio di amministrazione di ITA Airways ha deliberato all’unanimità (compreso, quindi, il mio voto) di effettuare approfondimenti e ulteriori chiarimenti attraverso un audit esterno che meglio chiarisca punti controversi delle verifiche effettuate.
Restiamo aperti a ulteriori confronti con il Suo giornale.
Con immutata stima, Fabio Lazzerini
Estratto dell’articolo di Aldo Fontanarosa per repubblica.it il 18 aprile 2023.
I piloti devono sempre avere "un aspetto impeccabile, elegante, in linea con i valori di Ita Airways". Con queste motivazioni, la compagnia aerea di Stato (Ita), promessa sposa di Lufthansa, detta un Codice - alquanto severo - su come indossare la divisa, sui comportamenti pubblici più opportuni, finanche su barba e capelli.
Si tratta - precisa Ita - di un vero e proprio Galateo.
Barba e capelli
La barba - stabilisce Ita - "va tenuta rasata o va curata quotidianamente". Deve essere "ben pettinata, sagomata, non più lunga di 5 millimetri. Il pizzetto deve essere corto e ben curato. I baffi devono essere corti e di foggia classica".
Divieto assoluto per "il pizzetto senza baffi, la barba senza baffi, la mosca sotto il labbro".
Capelli
"Vanno tenuti sempre puliti, ben pettinati e non devono coprire il viso e gli occhi. La ricrescita dei capelli tinti non deve essere visibile. Il taglio degli uomini dovrà essere corto e ordinato"
(...)
Tatuaggi
"Non sono consentiti piercing visibili sulla lingua, alle sopracciglia, al naso e alle orecchie (eccetto il classico foro ai lobi)" e neppure "tatuaggi visibili o gioielli dentali".
Estratto dell’articolo di Assia Neumann Dayan per “La Stampa” il 19 aprile 2023.
Tempi bui per i malvestiti, i normalizzatori di cattivo gusto, gli impiegati sciatti, i procrastinatori della tinta sulla ricrescita. Ita Airways, la nostra compagnia di bandiera, ogni anno sull'orlo del fallimento, ma sempre ad un passo dall'essere acquisita da Lufthansa, ha pubblicato il proprio galateo e relative norme di abbigliamento. Loro lo chiamano "lookbook", che credo sia la traduzione del "fit check" di Instagram per hostess e steward, (...)
Le regole di Ita Airways proseguono per 42 slide, e a leggerle tutte ci si impiega comunque meno che a fare un volo da Linate a Fiumicino. Parliamo di orologi: sono consentiti solo se di dimensioni moderate, no colori sgargianti o bianchi, non devono essere «fuori misura o tempestati di gemme»: non so quanto prenda una hostess, ma non credo possa permettersi i brillocchi di Liz Taylor.
Spiace per il personale, ma dovranno lasciare i Rolex a casa. Queste regole ricordano molto quello che si dice quando si convoca qualcuno in televisione: niente bianco, niente viola per chi ci crede, niente righe né quadretti troppo fini: è la resa dell'immagine quello che conta.
Gioielli vietati agli uomini
Il reparto gioielli deve essere minimale: solo una collana a girocollo, sottile, in oro o argento, niente recrudescenze degli anni 90 con collane o bracciali di stoffa, cuoio, plastica o perle: insomma, se avete una passione per Tarina Tarantino, lasciate perdere. Un'altra norma di civiltà riguarda gli anelli: al massimo due, e sono vietati quelli al pollice, grande feticcio degli uomini che hanno passato i quaranta.
E, soprattutto, gli uomini non possono mettersi gli orecchini: quindi, aspiranti cantanti indie rock, nostalgici del grunge, ex calciatori che hanno dovuto smettere per la rottura del menisco ad un passo dalla convocazione in Nazionale, lasciate i pendenti nel portagioie dei bei tempi che furono. Per le donne grande apprezzamento per lo sfoggio di perle e "punti luce", come se fossero tutte delle Jackie Onassis costrette a lavorare. Banditi i piercing visibili e i tatuaggi visibili: credo che questo però possa essere un grave ostacolo nella ricerca dei dipendenti, perché oramai pure le nostre nonne hanno gli stessi tatuaggi in faccia di Lazza.
Attenti alla ricrescita
Non solo moda, non solo gioielli, non solo immagine dell'Italia nel mondo, ma anche l'aspetto deve essere sempre curato. I capelli devono essere sempre puliti, pettinati, niente ciuffi che coprano il viso, niente frange lunghe, e, soprattutto, "la ricrescita dei capelli tinti non deve essere visibile". Non mi è chiaro se avere la ricrescita è vietata, perché vietare la ricrescita forse è incostituzionale: quello che spero è che la compagnia si faccia carico del costo del parrucchiere per le signore, perché a fare un ritocco ogni 10 giorni tanto vale girare il bonifico al colorista.
Per gli uomini le regole si fanno più stringenti in merito a trucco e parrucco: la barba va curata quotidianamente, «deve essere ben pettinata, sagomata, non più lunga di ca. 5 mm2», non è consentito il pizzetto senza baffi, la barba senza baffi, la mosca sotto il labbro, le basette di taglio classico, «di lunghezza non superiore a metà orecchio». È forse Patrick Bateman il consulente d'immagine di Ita Airways?
Adesso ci aspetta una mezza giornata di polemiche, la gente dirà che questi non sono i problemi, che tutto questo non ha niente a che fare con la competenza, che siamo arretrati, che questa non è democrazia. Purtroppo, il lavoro non è democratico, però direi che se lo stipendio è buono si può anche rinunciare alla propria imprescindibile e feroce urgenza espressiva, e pure al concetto di lavoro democratico.
Nuova Alitalia, vecchie voragini di bilancio: già persi 486 milioni di euro. Stefano Baudino su L'Indipendente l’1 aprile 2023.
Non si chiama più Alitalia, ma nella sostanza poco cambia: ITA Airways, la nuova compagnia di bandiera italiana, al 100% di proprietà del Ministero dell’Economia e delle Finanze, ha chiuso malissimo il 2022, con una perdita netta di 468 milioni di euro. Sono così stati bruciati oltre 1,3 milioni al giorno, pari a 48 euro per ogni passeggero trasportato. Intanto, l’azienda tedesca Lufthansa è pronta a fare il grande salto, acquisendo un’importante quota di minoranza di ITA per cercare di risollevarne le sorti.
Nel 2022 la compagnia italiana ha ospitato complessivamente 10,1 milioni di passeggeri attraverso 97 mila voli di linea. I ricavi sono ammontati a 1,576 miliardi, di cui 1,272 miliardi proprio grazie al traffico passeggeri. Ad ogni modo, l’Ebitda (il margine operativo lordo) si è rivelato negativo di 338 milioni e l’Ebit (il risultato ante oneri finanziari) di oltre 500 milioni. Al 31 dicembre 2022, in cassa sono presenti 418 milioni; il patrimonio netto si attesta invece a 524 milioni.
ITA aveva debuttato nell’ottobre 2021, nel quadro di una stagione sfortunata tra bassa stagione turistica e restrizioni anti-Covid ancora in vigore. Il risultato dell’esercizio – ha scritto in un comunicato la compagnia commentando i dati – è “coerente con la fase di start-up della società in un contesto di mercato ancora debole nei primi mesi dell’esercizio per effetto del perdurare della pandemia Covid”. Secondo ITA, inoltre, tali esiti “sono stati significativamente impattati dall’aggravio del costo del carburante successivo allo scoppio del conflitto russo-ucraino”, nonché dal “rilevante deterioramento del tasso di cambio euro/dollaro, i cui impatti sono stati solo parzialmente tradotti in aumento dei ricavi e mitigati da un’attenta ed oculata gestione operativa, nonché da un’estrema attenzione al controllo dei costi”. Al netto di tali circostanze, la “performance operativa della società è risultata migliorativa rispetto alle previsioni del piano industriale e del budget aziendale”, si legge ancora nella nota della società, in cui si stima per l’esercizio 2023 “un’ulteriore consistente crescita del volume dei ricavi trainati dall’espansione del network delle destinazioni servite garantita dall’incremento della flotta”.
Eppure, tali giustificazioni non sembrano reggere, specie se si conduce una semplice analisi comparata: nello stesso anno, per esempio, la compagnia low cost Ryanair ha maturato utili netti per 1,465 miliardi in nove mesi, trasportando 133,5 milioni di passeggeri; Air France-Klm ha fatto utili per 728 milioni, ospitando 83,3 milioni di passeggeri; Lufthansa arriva a un utile di 791 milioni, con 102 milioni di passeggeri. Numeri molto diversi da quelli registrati da Ita.
Nel frattempo, però, qualcosa si muove. Ad essere protagonista di un passaggio potenzialmente decisivo è proprio Lufthansa, che sta trattando con il governo italiano per l’acquisizione del 40% della compagnia di bandiera italiana. Ieri il Ceo del colosso aereo tedesco ha incontrato al Mef il ministro dell’Economia e delle finanze Giancarlo Giorgetti: sul piatto ci sarebbe un’offerta da 300 milioni di euro. In un comunicato, il Ministero spiega che “nel corso del positivo colloquio è stato illustrato il piano industriale condiviso che determinerà in termini di flotta, network e obiettivi strategici lo sviluppo di ITA Airways”, evidenziando come si sia compiuto “un ulteriore progresso nella direzione della partnership industriale tra i due vettori“.
Gli attori in gioco puntano a concludere le operazioni entro la metà di aprile, dal momento che la trattativa sarà in esclusiva solo fino al 24 del prossimo mese. Lufthansa, ad oggi, ha già nel suo portafoglio una serie di operatori che agiscono nell’area nord dell’Europa: Austrian Airlines, Swissair, Brussels Airlines ed Eurowings. Se l’accordo con lo Stato italiano andasse in porto, dunque, ITA Airways entrerebbe a far parte del terzo gruppo al mondo (primo nel continente) di aviazione civile. [di Stefano Baudino]
Perché la nostra aviazione non riesce a fare utili. Sergio Barlocchetti su Panorama il 31 Marzo 2023
Difficoltà fiscali, scelte di gestione del traffico aereo europeo. Mentre all'estero le compagnie hanno chiuso il 2022 con utili importanti Ita e altre realtà europee fanno segnare il segno meno, inevitabilmente
Pare proprio che in fatto di aviazione commerciale l’Italia non riesca ad avere pace. Nonostante l’operazione ITA Airways, infatti, la vicenda Alitalia è lungi dal chiudersi per sempre e bisogna restituire i 400 milioni del prestito mentre il bilancio della nuova compagnia appare ben lontano da quello immaginato e previsto alla sua nascita. Si dice che la causa sia l’aumento dei costi del carburante, eppure in altre nazioni i vettori guadagnano sull’onda della ripresa post-pandemia, ma a ben guardare l’Italia ha un problema endemico che affligge da decenni la sua aviazione civile. La verità è che non abbiamo saputo prevedere le conseguenze del regime di Quinta libertà sul mercato italiano, che con le sentenze del 1999 prima, e con le decisioni UE 1110 e 339 del 2007, ci ha trasformati in terreno di conquista da parte delle compagnie estere, mentre noi non abbiamo invaso alcun altro mercato. Eppure, le potenzialità le avevamo, ed anche le occasioni. Ma posto che le regole aeronautiche sono le stesse in tutta l’Unione, perché a regolarle c’è l’autorità comunitaria EASA, per quanto l’Italia sia una destinazione ambita dai turisti di tutto il Pianeta rimaniamo una nazione piccola, con un mercato domestico invaso e uno intercontinentale da riconquistare, ed è inutile negare che a fare la differenza sia la fiscalità italiana che, applicata alle nostre compagnie aeree, favorisce poco la loro nascita e poi le rende zavorrate nel medio e lungo periodo. Hai voglia competere con irlandesi e olandesi, tant’è che questa situazione è il motivo per il quale d più parti si invoca la vendita di ITA a un gruppo internazionale come Lufthansa, in modo da mescolare i nostri guai con i loro e aumentare la massa critica con la (loro) già enorme quota di mercato.
Ci sarebbe un’altra soluzione, ma certamente contribuirebbe a metterci in una posizione antipatica in Europa: cambiare i nostri meccanismi perversi e dichiarare che l’aviazione civile, in quanto settore strategico per la Nazione, debba fruire di un regime fiscale differente ed espansivo. E a parte le compagnie, non è infatti un caso se la flotta di aeromobili registrati in Italia dal 1990 a oggi sia stata decimata e se anche i nostri aeroporti al di sotto del milione di passeggeri sono praticamente tutti in rosso. Ma in questo caso, oltre a normative soffocanti, a non essere sostenibili non sono gli aeroporti in quanto tali, bensì le costosissime società di gestione che li amministrano, quelle che i piccoli aeroplani li rifiutano o li scoraggiano ad atterrare perché non remunerativi, e poi per gestire sei voli settimanali assumono quaranta persone. Perché poi se non sei Il Caravaggio di Bergamo Orio al Serio, il Forlanini di Linate o il Leonardo da Vinci Fiumicino, i bilanci arrancano. Ed è incredibile come ripetiamo all’infinito sempre gli stessi errori, considerando gli aeroporti come centri commerciali, stipendifici, generatori di indotto a vario titolo ma mai con l’umiltà che servirebbe per farli funzionare: gli aeroporti sono porti, approdi, servono la comunità locali esattamente come le strade, devono essere aperti e accogliere tutti, dalle scuole di volo al jet privato e farlo con gli stessi costi della Francia e dell’Olanda. Allora anche la nostra aviazione potrà davvero ripartire.
Estratto dell’articolo di Leonard Berberi per corriere.it il 29 Marzo 2023
Ita Airways, la principale compagnia italiana, ha chiuso il 2022 con 1,58 miliardi di euro di ricavi, poco più di 10 milioni di passeggeri e una perdita netta di 486 milioni. I numeri — discussi e approvati dal consiglio di amministrazione del vettore al 100% del ministero dell’Economia — […] sottolineano l’urgenza di affidare l’azienda a un gruppo maggiormente in grado di garantirle un futuro.
E collocano Ita tra i primi posti nella classifica delle compagnie che hanno fatto peggio in Europa. Nei prossimi giorni, […] il Mef e Lufthansa dovrebbero siglare l’accordo per l’ingresso dei tedeschi in Ita in un primo tempo con il 40%.
Il bilancio
L’anno passato, spiega l’azienda in una nota, Ita «ha operato circa 97 mila voli di linea e trasportato circa 10,1 milioni di passeggeri». Quanto ai ricavi quelli complessivi ammontano a 1,576 miliardi di euro: di questi 1,272 miliardi derivanti dal trasporto dei passeggeri, mentre il resto è da dividere tra attività cargo e altro.
Se si guarda all’Ebitda (il margine operativo lordo) nel 2022 è stato pari a -338 milioni di euro, il patrimonio netto ammonta a 524 milioni mentre la cassa al 31 dicembre 2022 era di 418 milioni di euro. Quest’ultima cifra tiene conto dei 400 milioni di euro di secondo aumento di capitale da parte del Tesoro alla fine di novembre 2022, segno che l’aviolinea a gennaio avrebbe rischiato di restare senza liquidità.
L’anno prima
Nel 2021, secondo i bilanci depositati, Ita aveva chiuso con 90 milioni di euro di ricavi e una perdita di esercizio di 147,9 milioni nei due mesi e mezzo di operazioni: la compagnia, infatti, era decollata il 15 ottobre subentrando ad Alitalia. […]
Le prestazioni
Nella sua nota Ita ricorda di aver toccato «il 99% di regolarità delle operazioni e l’81% di puntualità». E sottolinea che «il risultato dell’esercizio risulta coerente con la fase di “start -up” della società in un contesto di mercato ancora debole nei primi mesi dell’esercizio per effetto del perdurare della pandemia Covid». Il rosso, sottolinea la società, è dovuto in particolare allo «scenario macroeconomico», a partire dall’invasione russa dell’Ucraina.
[…] I numeri vengono resi noti nei giorni in cui il ministero dell’Economia e Lufthansa provano a stringere per trovare l’accordo sull’ingresso (in minoranza) della compagnia tedesca in Ita. […] L’intesa è a un passo, confidano le fonti governative, e si è alla «limatura» dei dettagli.
L’annuncio dell’accordo preliminare […] dovrebbe essere fatto agli inizi di aprile […]. Subito dopo Mef e Lufthansa chiederanno i via libera alle autorità regolatorie italiane ed europee: l’Antitrust Ue potrebbe dare l’ok tra fine luglio e inizio agosto. Solo a quel punto i tedeschi potranno iniziare a gestire l’aviolinea tricolore.
Estratto dell’articolo di Marco Bresolin per “la Stampa” il 28 marzo 2023.
Con estrema calma, da Bruxelles è arrivato un nuovo verdetto: anche il secondo prestito-ponte che lo Stato italiano aveva concesso ad Alitalia nel 2019 rappresenta «un aiuto di Stato illegale».
Perché quei 400 milioni di euro sono stati prestati «senza aver valutato in anticipo la probabilità di rimborso». E infatti il rimborso non è mai avvenuto, esattamente come era successo con i 900 milioni di euro del primo «prestito» (concesso nel 2017 e anche questo definito illegittimo dall'Unione europea).
[…] Per questo motivo la Commissione, […] ieri ha […]«ordinato» al governo italiano di recuperare l'intera somma «più gli interessi». Un ordine piuttosto difficile da rispettare per il semplice fatto che Alitalia è volata in cielo. Questa volta definitivamente. Il governo e la Commissione hanno infatti creato le condizioni per trasformarla in una «nuova» compagnia che con la precedente non c'entra nulla. «Ita Airways - scrive la Commissione - non è il successore economico di Alitalia e pertanto non è tenuta a rimborsare gli aiuti di Stato illegittimi ricevuti da Alitalia».
[…] La Commissione era consapevole dell'illegittimità dei «prestiti», ma prima di chiudere l'indagine ha consentito l'operazione-maquillage di Alitalia. Una compagnia che dalla sua nascita ha ricevuto dallo Stato tra i 10 e i 12 miliardi di euro (le stime divergono): un "tassa" da circa 200 euro pro-capite per i cittadini italiani. Ai quali non basta un cambio di nome per sottrarsi ai debiti con il Fisco.
Estratto dell’articolo di Camilla Conti per “La Verità” il 28 marzo 2023.
Il «prestito» statale da 400 milioni del 2019 ad Alitalia è «illegale». […] Dal Mef è arrivato subito il commento del ministro Giancarlo Giorgetti: «L’esclusione di Ita dalle richieste di restituzione del prestito ponte ad Alitalia è la dimostrazione che siamo nel giusto e continueremo su questa strada. Le conclusioni della Commissione Ue erano attese e ampiamente previste», ha detto il leghista. Che teme possa emergere un profilo di continuità fra la cosiddetta bad company Alitalia sai e gli asset buoni di Ita minandone il rilancio proprio mentre si sta gestendo l’ingresso nel capitale dei tedeschi di Lufthansa.
[…] Il Codacons festeggia ma al danno si aggiunge la beffa che con i miliardi del contribuente per far nascere la nuova compagnia (sommando prestiti ad Alitalia, costi sugli esuberi e patrimonializzazione Ita) ci si poteva comprare Lufthansa e Air France insieme. Ma anche l’ennesima eurobeffa dei due pesi e delle due misure: a maggio 2020 i giornali titolavano: «Accordo fatto, salvataggio di Stato da nove miliardi per Lufthansa», ad aprile 2021: «Air France, salvataggio di Stato: dal governo quattro miliardi di aiuti». Un inno alla gioia per tedeschi e francesi. Mentre gli aiuti ad Alitalia, un requiem.
Estratto dell’articolo di Umberto Mancini per “il Messaggero” il 28 marzo 2023.
[…] La decisione della Ue, voluta dalla commissaria Margrethe Vestager, è «un mero pro forma - spiega Andrea Giuricin, uno tra i massimi esperti del trasporto aereo - perché anche questa somma non sarà recuperata dal governo italiano, come già i 900 milioni del 2017 o i 300 milioni del governo Prodi». La somma sarà solo iscritta nel passivo dell'amministrazione straordinaria così come i precedenti 900 milioni.
«La commissione europea - argomenta Giuricin - ci ha messo tre anni e mezzo per decidere e i contribuenti italiani non vedranno restituire il prestito, considerando il tasso di interesse annuo del 10% stiamo parlando di quasi 600 milioni».
Come si ricorderà a maggio del 2017 Alitalia, con il bilancio in profondo rosso, era stata commissariata E per mantenere l'ex compagnia di bandiera operativa, nel 2017 e nel 2019, vennero concessi dai governi italiani due prestiti, rispettivamente, da 900 milioni di euro (in due tranches) e da 400 milioni di euro.
Nel 2018 la Commissione avviò un'indagine per stabilire se il prestito del 2017 fosse conforme alle norme sugli aiuti di stato e nel febbraio 2020 mise nel mirino il prestito pubblico aggiuntivo di 400 milioni del 2019. A settembre 2021 Bruxelles ha concluso che il prestito di Stato da 900 milioni di euro ad Alitalia era illegale, ma anche questo finanziamento non è mai stato restituito. Adesso è arrivata la decisione sul prestito da 400 milioni. […]
A pagare non sarà "l'erede" ITA Airways. Alitalia è ancora un buco nero di soldi, la Commissione Ue: “Illegale prestito di Stato da 400 milioni nel 2019”. Redazione su Il Riformista 27 Marzo 2023
È una compagnia aerea che non esiste più, eppure Alitalia continua a costare milioni ai contribuenti italiani. Dall’ex compagnia aerea di bandiera il governo “ha il dovere di recuperare gli aiuti illegittimi e incompatibili” con le norme Ue “maggiorati degli interessi”.
Lo scrive la Commissione europea stabilendo che la compagnia dovrà restituire allo Stato italiano il prestito da 400 milioni di euro che le fu accordato nel 2019, all’epoca del primo governo Conte, nell’ennesimo tentativo di sollevare dalla crisi una società in perenne crisi e che nel corso degli anni si è “mangiata” oltre 10 miliardi di euro di risorse pubbliche.
Secondo la Commissione quel prestito era infatti in contrasto con le normative europee sugli aiuti di Stato e dunque illegale. In particolare i vertici di Bruxelles ritengono che, concedendo nel 2019 il prestito di 400 milioni di euro di aiuti di Stato, l’Italia non si è comportata come avrebbe fatto un operatore privato, non avendo valutato in anticipo la probabilità di rimborso dei prestiti, più gli interessi.
Alitalia, che nel 2017 era stata messa in amministrazione straordinaria e che da allora ha ricevuto più volte prestiti da parte dello Stato per restare operativa sul mercato, definiti “prestiti ponte”, aveva ricevuto in particolare due cospicue elargizioni di denaro pubblico: una prima volta proprio nel 2017, per un valore di 900 milioni di euro, la seconda due anni dopo con altri 400 milioni, mai restituiti.
Già nel 2021 la Commissione europea aveva stabilito che il “prestito ponte” da 900 milioni di euro del 2017 fosse illegale, e oggi ha fatto al stessa cosa con lo stesso aiuto governativo del 2019.
Il problema è che di quell’Italia non è rimasto praticamente nulla, la compagnia non è più operativa: al suo posto c’è invece ITA Airways, una società al 100 per cento dello Stato e che è in vendita, con trattative in fase piuttosto avanzate con i tedeschi di Lufthansa. La stessa Commissione nel comunicare la bocciatura del prestito del 2019 ha espressamente riferito che non sarà ITA Airways a doversi fare carico della restituzione per il presupposto di discontinuità economica con cui è stata creata.
MalAlitalia Panorama il 28 Marzo 2023
Da Panorama del 17 luglio 1988 - di Umberto Brindani. I due hanno i posti riservati sul volo Alitalia delle 9,05 per Roma. Alle 8,30 di mercoledì 6 luglio si presentano puntuali all'aeroporto di Milano Linate, che però, in piena estate, è chiuso per nebbia. Quando riapre i battenti l'aereo non può partire perché, spiegano cortesi i responsabili dello scalo, "l'equipaggio non si è ancora presentato". Un rapido consulto e poi la decisione. Chiedono un aerotaxi: l'appuntamento, alle 11,30, è di quelli importanti. Si sistemano su un costoso Falcon privato, arrivano lentamente fino in fondo alla pista e ricevono la notizia che sul cielo di Ciampino è prevista un' ora di attesa per traffico aereo. Rientrano inferociti in aerostazione (ormai sono le 11) e giocano l'asso di briscola: telefonano al dottor Giulio Martucci, direttore generale dell'azienda autonoma di assistenza al volo, e lo implorano "in via del tutto eccezionale " di dar loro la precedenza. Mezz'ora dopo, finalmente, riescono a partire. I due sono Giovanni Manzi, presidente della Sea (la società che gestisce Linate e Malpensa), e Gaetano Morazzoni, presidente dell'Assaeroporti (l'associazione tra tutte le aziende di gestione). L'appuntamento è con il ministro dei Trasporti Giorgio Santuz. Oggetto della riunione: i gravissimi problemi creati dalla congestione del traffico aereo. Riescono ad arrivare con sole due ore di ritardo, grazie a un velivolo privato, al gentile interessamento del dottor Martucci e a una montagna di privilegi che consente loro, se non altro, di non saltare la colazione. Agli altri, ai comuni cittadini che hanno scelto di spostarsi in aereo, in questi ultimi tempi è andata molto peggio. Ritardi abissali, cancellazioni di voli a ritmo industriale, atterraggi su scali non previsti, bivacchi in aeroporto, apparecchi occupati per protesta, assalti in massa ai cancelli d'imbarco. Il caos dei cieli è diventato il paradigma di quest'Italia dei trasporti che regolarmente all'inizio dell'estate va in tilt: ai disordini ciclici delle ferrovie, dei traghetti e delle autostrade adesso si aggiunge la paralisi degli aeroporti.
A Fiumicino i doganieri decidono lo sciopero bianco e l'indice di puntualità delle partenze, già dimezzato rispetto all'80 per cento della primavera 1987, crolla al 1415 per cento: il 6 luglio, su 200 voli, ben 172 sono decollati in ritardo. E cinque sono stati cancellati. Il calendario degli scioperi preannunciati dai piloti e dai controllori di volo è fitto come gli aeroplani in sosta forzata sui piazzali. E al viaggiatore inchiodato sulle scomode poltroncine di plastica dei saloni di attesa non resta che chiedersi: di chi è la colpa? L'imputato eccellente è già stato trovato. Si chiama Umberto Nordio e da nove anni è presidente della compagnia di bandiera. Il 26 maggio scorso, durante una riunione del comitato di presidenza dell'Iri, che controlla l' 82 per cento del capitale Alitalia, Nordio è stato messo pesantemente sotto accusa dal presidente dell'istituto Romano Prodi. " Gestione miope" , "politica di retroguardia " , " immagine perdente": Prodi in quell'occasione ci è andato giù pesante. Ne è nato un rovente scambio di lettere, accuse e repliche stizzite, al termine del quale il comitato di presidenza dell'Iri, giovedì 7 luglio, ha chiesto (4 voti a favore, un'astensione) la testa del presidente dell'Alitalia. Il tutto si può condire, ovviamente, con una buona dose di dietrologia politica. I socialisti sognano da tempo la poltrona di vertice della compagnia e in pista si sta scaldando per esempio Roberto D'Alessandro, presidente del porto di Genova. Nordio, democristiano non troppo amico di Ciriaco De Mita (che da quando è a palazzo Chigi non ha voluto riceverlo), e rimasto con pochi sponsor all'interno del partito, è alla soglia dei 70 anni, l' età del pensionamento per i presidenti delle società Iri: il suo mandato sarebbe comunque scaduto alla fine di quest'anno. A ben guardare, notano i più cinici, non si è fatto altro che accelerare l'operazione di ricambio. Ma forse il passeggero che si rigira sulla poltroncina di plastica, e magari fa parte di quel 22 per cento che paga la tariffa piena, si pone altre domande. E' sufficiente il siluramento del numero uno dell'Alitalia per far ripartire in orario gli aerei? Ha ragione Prodi nel voler imprimere una svolta al vertice? Oppure il golfista e pittore dilettante Nordio è soltanto un comodo capro espiatorio?
I capi d' accusa contro Nordio sono tre: l'Alitalia non ha previsto il boom del trasporto aereo; ha gestito male le proprie vicende sindacali; non si è attrezzata con alleanze internazionali per l' imminente deregulation delle rotte e delle attività commerciali. Vediamoli uno per uno. L' esplosione del traffico è un fenomeno in atto su scala europea e, come non si stancano di sottolineare all'Alitalia, anche all' estero hanno le loro belle gatte da pelare. Ma in Italia siamo al collasso. Ci si aspettava un incremento del traffico nell'ordine del 45 per cento: nell' ultimo anno è cresciuto più del triplo. Si sono raggiunti nel 1988 i volumi di traffico previsti per il 1995. Nelle ultime settimane Nordio ha condotto un'intensa campagna pubblica per mettere in luce tutti i pericoli della situazione: prima di fronte alla commissione Trasporti di Montecitorio, poi in interviste televisive a Giovanni Minoli e Gianni Letta. Probabilmente sentiva sul collo il fiato di Prodi. Ma già il 13 marzo dell'anno scorso, in una lettera al ministro dei Trasporti aveva parlato di "un sistema che già oggi appare inadeguato". Che cosa è stato fatto nel frattempo? Ben poco. La flotta è rimasta più o meno quella che era. Gli investimenti della compagnia nel 1987 sono addirittura calati sia rispetto al 1986 sia in rapporto al budget preparato all' inizio dell'anno. Manzi, socialista da sempre nemico di Nordio (Linate e Malpensa sono gli unici due scali importanti che l'Alitalia non controlla), rincara la dose: "Il presidente della compagnia di bandiera dice da anni che in America volano due persone su tre e da noi due su 30. Come non aspettarsi una crescita? Mi sembra che in questo caso l'accusa di miopia sia più che giustificata". Su questo tronco si innestano le accuse di contorno. Perché l'Alitalia non ha mai istituito sulla rotta Roma-Milano (sulle due città si svolge l' 85 per cento del traffico in Italia) una navetta, cioè un aereo che parte quando è interamente occupato senza essere legato a orari rigidi che vengono invariabilmente sovvertiti? Perché la compagnia non si è buttata nel redditizio business dei voli charter? C' è chi ha una teoria precisa: l'Alitalia non fa la di fatto, una compagnia di navette e charter, almeno sulle rotte nazionali. La cancellazione dei voli, tra Roma e Milano, è all'ordine del giorno. E' antieconomico far partire due apparecchi semivuoti: meglio farne decollare uno solo, pieno fino all'orlo. In barba ai passeggeri del volo cancellato, che vengono imbarcati su quelli successivi. Nei momenti di crisi, poi, la tecnica è ancora più sottile: si azzerano tutte le partenze previste e si creano dal nulla voli non previsti dall'orario ufficiale, contrassegnati dalla sigla con il doppio zero iniziale. Nessuno, così, può vantare una prenotazione. Sul banco degli imputati per quanto riguarda il caos del traffico, però, Nordio si trova in buona compagnia. I gestori aeroportuali hanno le loro responsabilità. E se la società Aeroporti di Roma è passata da pochi anni in mano all'Alitalia, la Sea resta di proprietà del Comune di Milano. Proprio Linate rappresenta il punto critico della circolazione aerea in Italia: una sola pista, nessuna possibilità di espansione, ogni giorno 350 tra arrivi e partenze, mentre lo scalo della Malpensa è deserto per molte ore al giorno. Risultato: almeno il 10 per cento dei ritardi in partenza dipende dalle difficoltà nelle operazioni di imbarco, di smistamento dei bagagli e di rifornimento e manutenzione degli apparecchi. Quanto al padrone dell'Alitalia, l'Iri, ha sempre approvato i programmi della compagnia. Chi conosce Prodi giura che ad aprirgli gli occhi sono state soprattutto due vicende: la caduta dell'Atr-42 dell' Ati a Conca di Crezzo e l' estenuante trattativa sindacale con i lavoratori di terra. Il giorno stesso della sciagura del Colibri, il 15 ottobre 1987, Prodi suggeri a Nordio di mettere a terra gli aerei di quel tipo immediatamente: meglio farlo volontariamente come misura precauzionale che doverlo fare più tardi obtorto collo. "Non ce n'é motivo" mandò a dire il presidente dell' Alitalia. Pochi giorni dopo, col fiorire delle indiscrezioni sui difetti strutturali dell'apparecchio, Nordio fu costretto a cambiare idea. Il colpo di grazia è arrivato poi con il referendum sul contratto collettivo tra i lavoratori di Fiumicino: dopo otto mesi di scioperi, scontri, disagi per i bocciare l'accordo. A conti fatti la durezza romitiana di Nordio, che qualcuno continua a dipingere come sano investimento in conflittualità, ha portato alla compagnia danni notevoli in termini finanziari e operativi, ha messo in crisi i sindacati confederali e non è riuscito ad accontentare i Cobas dell'aeroporto.
Quanto alle alleanze internazionali in vista del 1992, l'Alitalia ha messo in carniere un patto commerciale con l'americana United Airlines (la seconda nel mondo per passeggeri trasportati); ma, secondo i dirigenti dell'Iri, ha segnato il passo su tutto il resto del fronte. Perdendo anche quote di mercato in tutti i settori tranne che nel trasporto merci intercontinentale. Tutta colpa di Nordio, allora? Certo, di questi tempi prendersela con l'Alitalia è come rubare le caramelle ai bambini. La situazione è sotto gli occhi di tutti; e anche se il governo non ha mai fatto consistenti investimenti nelle strutture aeroportuali, anche se l'Iri si è accontentato per armi dei bilanci Alitalia in attivo, anche se i gestori degli se i gestori degli aeroporti milanesi sono stati forse più attenti a non farsi fagocitare che ad ampliare le strutture, non c'è dubbio che a fare e disfare la politica del trasporto aereo in Italia è stata soprattutto la compagnia di bandiera. A trarre vantaggi dal disastro del trasporto aereo sono in pochi. Forse soltanto le Ferrovie dello Stato. Per anni Cenerentola dei trasporti, oggi il treno si prende la sua rivincita. Con molto tempismo e un pizzico di cinismo manageriale (a essere privilegiata è sempre l' utenza alta) le Ferrovie hanno varato il cosiddetto Pendolino, super-rapido che da Milano a Roma impiega 3 ore e 58 minuti. Si viaggia come in aereo: quotidiani gratis, spumantino alla partenza, cena nel vassoietto. E anche se dopo un po' viene il mal di mare e ogni galleria è una martellata sui timpani, le hostess, queste hostess che qualcuno definisce di serie B, sorridono. Forse non solo perché glielo impone il dovere professionale.
Meglio tardi che mai. La Commissione Ue ha condannato l’Italia per gli aiuti di Stato ad Alitalia. Istituto Bruno Leoni su L’Inkiesta il 28 Marzo 2023
L’istituzione di Bruxelles ha rilevato che il prestito da quattrocento milioni concesso nel 2019 all’allora compagnia di bandiera non rispetta i vincoli europei. Nulla di strano, tranne la tempistica. L’editoriale dell’Istituto Bruno Leoni su Linkiesta
La Commissione europea ha condannato l’Italia per il prestito di quattrocento milioni concesso nel 2019 ad Alitalia. La decisione fa seguito a quelle analoghe già comunicate nel passato e relative ai novecento milioni erogati nel 2017 e mai rimborsati. Non c’è nulla di sorprendente in questa decisione tranne la tempistica.
Nel merito, infatti, Bruxelles rileva l’ovvio: l’aiuto concesso dal governo quattro anni fa non rispetta i vincoli europei (successivamente sospesi) in quanto «l’Italia non si è comportata come avrebbe fatto un operatore privato, non avendo valutato in anticipo la probabilità di rimborso dei prestiti». In tal modo, «l’aiuto ha conferito ad Alitalia è un ingiusto vantaggio economico rispetto ai suoi concorrenti sulle rotte nazionali, europee e mondiali». Era inevitabile che le cose andassero così, come del resto – pur senza avere particolari poteri divinatori – avevamo anticipato fin da subito.
In questa storia ci sono, però, due anomalie clamorose. La prima riguarda la natura puramente formale del procedimento. La Commissione ha accettato la tesi del governo secondo cui Ita Airways non sarebbe il «successore economico» di Alitalia (pur avendone rilevato gli asset e il personale). Di conseguenza il governo dovrà chiedere indietro le sovvenzioni illegittime (non ridete) ad Alitalia in Amministrazione straordinaria, cioè a sé stesso, visto che si tratta di una scatola vuota in liquidazione gestita da commissari che rispondono al ministero delle Imprese e del Made in Italy.
L’altra anomalia è più rilevante. La condanna non solo è di fatto improcedibile – proprio perché nessuno restituirà l’aiuto –, ma è anche priva di qualunque mordente politico. Le regole sugli aiuti di Stato sono pensate non solo per compire ex post le condotte illecite dei governi che favoriscono le imprese nazionali, ma anche per prevenirle ex ante. Ma se un governo sa che ci vorranno anni per chiudere perfino i procedimenti più scontati, allora questo secondo freno non può funzionare: gestire la sanzione sarà un problema di qualcun altro. Infatti, da quando Giuseppe Conte ha autorizzato l’aiuto, a Palazzo Chigi si sono avvicendati addirittura due premier (Mario Draghi e Giorgia Meloni, che eredita il dossier).
La questione è resa ancora più complicata – e l’efficacia del divieto di aiuti di Stato più fragile – dalle difficoltà che le istituzioni europee stanno riscontrando nel ripristino delle regole dopo la sospensione decisa prima per il Covid e poi per la crisi energetica. È un bene che finalmente la Commissione abbia detto una parola chiara sulla incredibile vicenda di Alitalia, ma un’attesa così lunga rischia di farne un manifesto di buone intenzioni, privo di qualunque conseguenza concreta.
SOLITA SPECULOPOLI. L’ITALIA DELLE SPECULAZIONI.
L’Oro.
Metallo dei cieli. Quando il ferro costava più dell’oro. Alessandro Giraudo su L'Inkiesta il 8 Maggio 2023
Quarantacinque secoli fa prezzo di una lega oggi considerata povera era alle stelle a causa della domanda religiosa, politica, militare e delle esigenze economiche quotidiane. Lo racconta Alessandro Giraudo nel suo ultimo libro, pubblicato per Add
Gli Assiri abitavano le terre comprese tra la Mesopotamia settentrionale, la Siria e l’Anatolia meridionale. Nei loro mercati, circa quarantacinque secoli fa, il ferro veniva venduto a un prezzo otto volte superiore a quello dell’oro, una condizione non molto diversa da quella dei mercati circostanti.
Quasi tutto il metallo usato aveva infatti origine meteoritica: i fabbri non erano ancora in grado di ottenere la temperatura necessaria per la fusione (1535 °C), anche se impiegavano una tecnica già relativamente sofisticata, servendosi del calore generato dal carbone vegetale (o carbone di legna).
Questo spiegava il prezzo esorbitante del legname, perché per ottenere quel tipo di carbone occorreva trovarsi in prossimità dei boschi, tagliare gli alberi e trasportarli nelle zone minerarie, rischiando la deforestazione di intere aree, come accadde in alcuni casi di cui abbiamo tracce storiche (Cipro, Efeso, Priene, Mileto e, molto tempo dopo, l’est londinese e alcune foreste dell’Europa centrale).
La capacità di produrre temperature elevate è stata – ed è ancora – uno dei criteri per valutare il livello tecnologico di una civiltà: spiega il passaggio dall’Età della Pietra, in cui si raggiungevano i 300-400 °C, a quella del Bronzo con circa 1100 °C, fino all’Età del Ferro in cui si arrivò a toccare i 1500- 1600 °C. Oggi la civiltà tecnologica ottiene temperature industriali elevatissime e temperature negative prossime allo zero assoluto, per non parlare della tecnologia scientifica, in grado di produrre un calore o un gelo intensissimo in pochi nanosecondi.
Il ferro celeste
In numerose lingue antiche, le espressioni per indicare il ferro fanno riferimento al cielo. I Sumeri lo chiamavano an-bar, fuoco del cielo, e gli Ittiti ku-an (stesso significato). Il geroglifico egizio bia-en-pet significava fulmine del cielo e la parola ebraica parzil, metallo di dio o dei cieli. Ancora oggi, in georgiano, per indicare un meteorite si usa l’espressione “frammento del cielo”.
In passato gli uomini si dedicavano alla ricerca di meteoriti, ancor più di quanto succeda oggi, e lo facevano soprattutto nei deserti: infatti era più facile trovarli in aree in cui non sprofondavano nel terreno; nelle foreste e sulle montagne, al contrario, la ricerca era resa difficile dal suolo umido e dalla struttura pietrosa delle cime. In alcuni casi la caduta di meteoriti provocò l’incendio di alcune foreste, come scrisse Esiodo riferendosi al monte Ida, incendiato da un meteorite, vicenda molto conosciuta nella storia di Creta.
Per molto tempo l’immaginario legato al ferro fu associato alla sfera del divino e del celeste. I meteoriti erano esposti accanto all’oro sugli altari dei templi, dove i fedeli li veneravano, meravigliati e al contempo intimoriti dalla misteriosa origine di quei “frammenti di cielo”. Il tempio di Diana a Efeso sarebbe stato edificato sul luogo in cui era caduto un meteorite, come riporta il Nuovo Testamento.
La pietra nera incastonata nella Kaaba, la costruzione a forma di cubo (il termine deriva da ka’b, cubo) che si trova nella Mecca, potrebbe essere un meteorite. Sovrani e condottieri volevano possedere oggetti e simboli dell’autorità in “ferro celeste”, fu il caso di condottieri come Attila e Tamerlano, e durante le cerimonie ufficiali numerosi califfi sfoggiavano scimitarre forgiate da meteoriti. Al loro arrivo in Messico, i conquistadores spagnoli rimasero molto colpiti dai coltelli e dalle daghe di ferro dei capi aztechi: le civiltà precolombiane non erano in grado di fondere il metallo, né nei territori occupati vi era traccia di fonderie.
Talete di Mileto (600 a.C.) fu il primo a parlare di magnetite, il minerale ferroso con il più alto contenuto di ferro e dalle grandi proprietà magnetiche (capace di attrarre ferro, nichel e cobalto), che alcuni marinai usavano per la navigazione. Il prezzo elevato del ferro era giustificato dalla domanda religiosa, politica, militare e dalle esigenze economiche quotidiane.
Nel 326 a.C., quando il re indiano Poro ricevette Alessandro Magno dopo la grave sconfitta subita durante la battaglia del fiume Idaspe (affluente dell’Indo, nell’attuale Pakistan), offrì al sovrano il proprio tesoro e trenta chili di ferro, probabilmente il famoso acciaio indiano Wootz, con il quale furono poi realizzate le spade di Damasco, «sciabole di un taglio cosi duro che troncano chiodi grossi un dito», come recita il Dizionario delle invenzioni origini e scoperte relative ad arti scienze geografia storia agricoltura commercio, compilato da Noël, Carpentier e Puissant figlio intorno al 1850. Altre fonti parlano di trenta talenti di ferro e in tal caso, visto che un talento pesava tra i 28 e i 30 chili, il bottino sarebbe stato decisamente più pesante.
Da “Quando il ferro costava più dell’oro. Storie per capire l’economia mondiale” (Add editore), Alessandro Giraudo, p. 328, 19€
Estratto dell’articolo di Massimo Gaggi per corriere.it il 24 aprile 2023.
Per la California i furiosi incendi boschivi degli ultimi anni sono stati una tragedia ambientale (desertificazione di intere foreste) e umana (decine di morti, interi villaggi distrutti dalle fiamme). Quest’anno, poi, il passaggio dalla siccità alle alluvioni e a un record di precipitazioni nevose sui monti della Sierra ha provocato inondazioni e cascate di fango: un dissesto idrogeologico che ancora non ha smesso di fare danni, visto che i metri di neve caduti sulle Montagne Rocciose devono ancora in gran parte sciogliersi.
Ma tutte queste devastazioni per qualcuno sono state una benedizione: i cercatori d’oro. La corsa all’oro, nella Central Valley californiana come nel Klondike canadese o in Alaska, risale a 175 anni fa. Arrivarono da tutta l’America, addirittura da tutto il mondo: qualcuno anche dall’Italia come il modenese Felice Pedroni, ribattezzato negli Usa Felix Pedro, che trovò l’oro vicino Fairbanks, in Alaska, lungo un fiume che oggi porta il suo nome.
(...)
Ma l’eccezionale maltempo degli ultimi mesi ha avuto lo stesso effetto delle tecniche di scavo: trascinando via gli strati superficiali di un terreno spaccato da anni di siccità, Madre Natura ha fatto affiorare pepite d’oro che erano rimaste in profondità. E così il popolo dei vecchi cercatori con la barbe bianche si è rimesso al lavoro e le riunioni della loro associazione, il Gold Country Treasure Seekers Club si sono trasformate da ritrovo di un circolo di anziani, nella rassegna di piccole grandi ricchezze accumulate in poche settimane.
Con l’oro che quota ormai quasi 2.000 dollari l’oncia (circa 28 grammi) c’è chi dall’inizio dell’anno ha incassato anche 200 mila dollari e chi si considera già fortunato perché riesce a integrare la pensione con qualche pepita o anche solo un pulviscolo che consente loro di incassare un centinaio di dollari al giorno.
C’è chi si dà da fare col metal detector e chi si immerge con tuta di gomma, maschera e guanti nelle acque ancora gelide dei ruscelli. Dove? «In qualche posto a nord di Los Angeles, a sud di Seattle e a ovest di Denver», risponde al New York Times Jim Eakin che una volta ha trovato una pepita che gli ha consentito di comprarsi un pickup nuovo di zecca e che, come tutti i cercatori che si rispettino, ha i suoi luoghi segreti dove andare a scandagliare il terreno.
Forse finirà tutto col disgelo primaverile, ma c’è anche chi pensa che questi smottamenti del terreno attireranno ancora a lungo nuovi cercatori: professionisti o turisti della domenica che anche solo fermandosi a mangiare e a dormire e comprando il kit del cercatore — secchio, setaccio, pala, rastrello e guanti — aiuta un’economia povera come quella della Central Valley. Ed Allen, storico della gold rush, alimenta le aspettative: «Fin qui è stato estratto solo il 10-15 per cento dell’oro di questa regione».
L’oro non è un investimento: è denaro. Giovanni Brussato su Panorama il 02 Gennaio 2023.
Con la crescita dei tassi e le crisi dei mercati anche il metallo pregiato sta vivendo una fase calante. Ma le banche centrali ne stanno accumulando tonnellate...
Le attività fisiche rispetto alle attività finanziarie hanno un valore intrinseco dovuto alla loro sostanza ed al loro possesso. Le materie prime forniscono una diversificazione del portafoglio di investimenti in quanto sovente si muovono nella direzione opposta rispetto all’andamento delle attività finanziarie quali azioni, obbligazioni o fondi comuni di investimento. In particolare l’oro, che è negativamente correlato rispetto ai prodotti finanziari: il valore relativo dell’oro aumenta durante i periodi di inflazione e guerra.
E in un periodo come quello attuale, in cui l'inflazione è cresciuta esponenzialmente, è lecito chiedersi come mai, il metallo giallo non abbia seguito il medesimo trend. La risposta più semplice è nei rialzi dei tassi di interesse da parte delle banche centrali, in particolare della Federal Reserve, Fed, la banca centrale americana, che si sono succeduti aggressivamente nel 2022. Di conseguenza visto che l’oro non offre interessi molti investitori spostano i propri risparmi verso titoli che offrano loro dei rendimenti. Questa tendenza indebolisce la domanda del metallo giallo che a sua volta trascina il prezzo verso il basso. Ma per comprendere come stiano effettivamente le cose è utile osservare ciò che hanno fatto, più che detto, le banche centrali nell’anno appena concluso. Perché la dice lunga su quale sia stata, quest’anno, la tendenza in atto a livello globale: le banche centrali hanno accumulato riserve auree a un ritmo mai visto dal 1967. Il mese scorso il World Gold Council, WGC, ha dichiarato che le banche centrali hanno acquistato 399 tonnellate di oro nel terzo trimestre: di gran lunga il massimo di sempre in un singolo trimestre. Secondo il WGC, le banche centrali di tutto il mondo hanno aggiunto altre 31 tonnellate di oro alle riserve ufficiali in ottobre, portandole al loro livello più alto dal 1974. La Cina, nota per l’opacità delle sue statistiche, riserve auree incluse, ha rivelato un aumento, per la prima volta da settembre 2019, di 32 tonnellate d’oro per un valore di circa 1,8 miliardi di dollari. Le sue scorte ora si trovano a 1.980 tonnellate, al sesto posto nella classifica dei paesi con le più grandi riserve auree nazionali ufficiali, che comprende anche il nostro Paese. Nel nuovo anno, quindi, è consigliabile seguire un vecchio detto: when you are in Rome do as the romans do. Poiché appena le banche centrali, e la Fed in particolare, si renderanno conto che non possono continuare ad aumentare aggressivamente i tassi d’interesse senza spingere l'economia in recessione, e sospenderanno le politiche di rialzo dei tassi, daranno il via alla prossima impennata del mercato dei metalli preziosi. E la Fed sarà probabilmente costretta ad allentare la sua politica monetaria restrittiva nel nuovo anno, poiché si trova di fronte ai segnali di un crollo della spesa dei consumatori e ad una spirale discendente dell'economia statunitense. Ci sono altri segnali che suggeriscono un prossimo rialzo dei metalli preziosi. Ma prima atteniamoci ad una regola base del mercato ed analizziamo la disponibilità della materia prima. Secondo il WGC, ad oggi sono state estratte circa 190.000 tonnellate d’oro e circa due terzi sono state estratte negli ultimi decenni. Questo trend di crescita esponenziale è in linea con molti altri minerali, il cui tasso di estrazione, in alcuni casi, è aumentato da tre fino anche a dieci volte in pochi decenni. Secondo il Servizio Geologico degli Stati Uniti, USGS, ci sono ancora circa 50.000 tonnellate di riserve auree a livello globale che possono essere estratte a livelli economicamente sostenibili. Perché la tendenza dei depositi d’oro, che coincide con quella dei metalli in genere, a cui stiamo assistendo da decenni, è quella di un progressivo calo della qualità delle riserve rimanenti. Il tenore medio delle riserve auree, secondo i dati delle prime dieci compagnie minerarie, è ormai in un declino secolare. Solo in questi ultimi vent’anni siamo passati da un equivalente oro di 2,3 grammi per tonnellata del 2003, al tenore medio attuale di circa 1,5 grammi per tonnellata. Inoltre ci sono state poche nuove scoperte di depositi d'oro, segnale evidente che la maggior parte del metallo facilmente estraibile è stato esaurito. I depositi rimanenti si trovano in località remote, privi di infrastrutture, che spesso richiedono spese in conto capitale straordinariamente elevate. Oppure si trovano in paesi ad alto rischio geopolitico con governi suscettibili di espropriare la miniera o imporre altre forme costose di nazionalismo delle risorse. Il risultato è che le riserve del metallo giallo delle prime dieci compagnie minerarie sono diminuite del 33% negli ultimi 15 anni. Inoltre estrarre il prossimo oro costerà di più perché la scarsità del tenore dei giacimenti richiede più energia per estrarre la stessa quantità di minerale di prima. E questo aspetto è destinato a riverberarsi sul prezzo del metallo giallo. Storicamente il declino della produzione è coinciso con significativi balzi in avanti del suo prezzo: negli anni ’70 un calo della produzione del 19% coincise con un aumento delle quotazioni di oltre il 1.500%, analogamente all’inizio di questo millennio un calo dell’11% innescò un aumento del 500%. Oggi veniamo da due anni di calo della produzione dovuto anche al fatto che le compagnie minerarie, che tradizionalmente si concentravano sui metalli preziosi, stanno reindirizzando parte del loro capitale verso i cosiddetti “metalli delle batterie” ed altri metalli legati all'economia green. Un ulteriore segnale viene dalle scorte fisiche. Per tutto l'anno c'è stata una domanda record di oro e argento fisici, che sta svuotando i caveau di New York e Londra dove i metalli sono immagazzinati dalla borsa Comex e dalla London Bullion Market Association. Analoga tendenza, per inciso, si sta manifestando per i metalli di base: il London Metal Exchange entrerà nel 2023 con le scorte più basse scorte degli ultimi 25 anni. Secondo molti analisti, nel mercato londinese si sta creando una situazione senza precedenti, con un’implacabile emorragia di una delle più grandi scorte di argento del mondo. Tanti contratti inadempiuti ed il calo di nuovi contratti sono un segnale inequivocabile: non c'è metallo disponibile. L'oro segue, con un leggero ritardo, le stesse dinamiche dell'argento ed è un mercato più vasto in cui stanno iniziando ad emergere le medesime tendenze. Da ultimo mentre governi e banche centrali sostengono che il passaggio a una società senza contanti aiuterà a prevenire il crimine e porterà benefici al cittadino medio, molti sono inclini a ritenere che la vera motivazione dietro la "guerra al contante" sia un maggiore controllo del governo sull'individuo. Una delle ragioni legate agli investimenti in oro e argento risiede anche nella scarsa considerazione nei confronti delle valute governative. Nel corso della storia, l'oro ha mantenuto il suo valore in termini generali con variazioni modeste. Al contrario le valute legali hanno perso potere d'acquisto: dal 1970 il dollaro ne ha perso il 98% rispetto al metallo giallo. Forse, per stimare le prospettive per l'oro nel nuovo anno, è più realistico non tanto prevedere quale sarà il prezzo dell'oro nel 2023, ma cosa accadrà all’euro, al dollaro, ed alle altre principali valute legali nel corso del nuovo anno
La Ricchezza.
Frosinone: trova titoli di Stato per un miliardo di vecchie lire, ma sono scaduti e non valgono più nulla. Aldo Simoni su Il Corriere della Sera l'11 Giugno 2023.
Il «tesoro» era stato murato dal nonno dell'uomo che l'ha trovato. Si tratta di titoli emessi nel 1937
Il tesoro era nascosto in una cassetta di ferro: un pacchetto arrotolato di Titoli di Stato, risalenti al 1937, il cui valore, alla scadenza, era di oltre un miliardo di vecchie lire. Peccato, però, che non essendo stati incassati entro 10 anni dalla scadenza, oggi sono solo carta straccia.
Il tesoro nascosto (ma ormai senza valore)
La gioia si è subito trasformata in amarezza per un operaio edile, 50 anni, di Ceccano (Frosinone). Stava eseguendo dei lavori di ristrutturazione della mansarda, nell'abitazione di famiglia, quando, rompendo un tramezzo con il martello, ha notato nell’intercapedine un pacchetto avvolto in fogli di giornale. Dentro, il tesoro nascosto del nonno (morto una trentina di anni fa) insieme ad alcuni documenti militari risalenti alla campagna dell’Eritrea. Lui, militare del Regno d’Italia, dopo la disastrosa spedizione in Africa, rientrò a Ceccano dove condusse una vita del tutto discreta e ritirata, nella sua campagna. Nel frattempo acquistò, un po’ per volta, i Titoli di Stato che poi nascose nel muro, senza dire nulla a nessuno. Né alla moglie, né al figlio. Così, nel 1937, acquistò un buono fruttifero di cinquecento lire con l’effige di Vittorio Emanuele III, poi altre cedole da 12 lire e 25 centesimi e un piano di ammortamento che, alla scadenza (1962), avrebbe fruttato un miliardo delle vecchie lire.
Il nonno risparmiatore
«Ero molto legato a mio nonno - racconta l’operaio - e mi piace pensare che, a guidarmi alla scoperta di quella cassetta nascosta, sia stato proprio lui. Come gli uomini del suo tempo, era un gran risparmiatore. È un peccato che il frutto dei suoi sacrifici sia venuto fuori solo ora e rischi di essere vanificato». In verità il nipote, assieme ai Titoli e ai documenti del nonno, ha trovato anche un diario, molto probabilmente un libro mastro sui risparmi, ma il contenuto è diventato illeggibile per l’inchiostro usurato, e con esso è svanita, probabilmente, anche la possibilità di capire la provenienza di quei soldi.
La prescrizione e i precedenti legali
«E’ vero – spiega l’avvocato Roberto Filardi, che oggi assiste lo sfortunato nipote – i 10 anni per procedere all’incasso sono scaduti. Ma noi stiamo preparando ugualmente tutti i documenti per avanzare alla Banca d’Italia la richiesta di poterli incassare. In caso di diniego, valuteremo se avviare una causa civile. Se queste cedole potessero essere ancora riscosse, con la rivalutazione e gli interessi, si arriverebbe a oltre due milioni di euro. Per il mio assistito è stato un trauma. Per lui era come una vincita al Superenalotto, e invece, ora è un’odissea. Tra l’altro tutte le ultime sentenze, in casi analoghi, sono sempre state favorevoli alla Banca d’Italia». I legali di palazzo Koch hanno infatti chiarito che il rifiuto a concedere di incassare questo tipo di titoli è «basato su tassative disposizioni di legge che non possono essere derogate»: la prescrizione per i titoli di Stato e per i buoni postali fruttiferi «decorre dalla data di scadenza e non dal giorno del loro ritrovamento».
Il giallo della provenienza dei soldi
L’avvocato Filardi conferma che «nessuno sa nulla della provenienza di quei titoli anche perché sono titoli al portatore e dunque era semplice monetizzarlo. Invece il nonno ha mantenuto il segreto tutto per sé. Poi, col sopraggiungere della vecchiaia, ha cominciato ad avere vuoti di memoria e, tra le tante cose, ha finito per dimenticarsi anche di quel tesoretto. E così il segreto di quel nascondiglio si è chiuso con lui nella tomba. Nella peggiore delle ipotesi quei Titoli potranno essere dei cimeli per appassionati da vendere su eBay a pochi euro. E uno lo terrò per me, da esporre nel mio studio».
Parole d’oro. Definire la ricchezza non è facile (e nemmeno misurarla). Maurizio Sgroi su L’Inkiesta il 27 febbraio 2023.
Come spiega Maurizio Sgroi nel suo libro “Storia della ricchezza”, nel 1923 in Germania erano tutti fantastiliardari eppure non riuscivano a comprare il pane. E quanto varrebbe il patrimonio di Paperone se improvvisamente la moneta che denomina il suo tesoro non valesse più nulla?
Che cos’è la ricchezza? Domanda non scontata. Il senso comune lo sa d’istinto, ma provate a spiegarlo. Essere ricchi significa avere tutto il denaro che si desidera per fare ciò che si vuole. Ecco: questa probabilmente è la risposta più comune. Chi è ricco ha tutto, chi è povero ha niente: eccone un’altra. Paperone è ricco, Paperino è povero. Tutto chiaro, che c’è da aggiungere?
Senonché ragionare per assoluti funziona nei fumetti, ma non nella realtà. La realtà è tremendamente complicata. Perché esistono sicuramente i Paperoni, senza contare i tanti Paperini, ma tutti gli altri sono più numerosi. Per questo nel tempo abbiamo dovuto imparare a misurarla, la ricchezza.
Se ne occupò, fra gli altri, sir William Petty, in pieno XVII secolo, chiamato a ragionare su come misurare il valore di alcuni terreni per fini squisitamente impositivi – le tasse del governo – finendo col contribuire alla nascita dell’aritmetica politica. Si comprese subito che misurare la ricchezza era una cosa terribilmente difficile. E perciò è difficile sapere anche quanto siamo ricchi. O, senza un termine di paragone, addirittura se lo siamo davvero.
Pensate a quanto varrebbero i fantastiliardi di Paperone se improvvisamente la moneta che li denomina non valesse più nulla. Durante la terribile inflazione del 1923 in Germania erano tutti fantastiliardari. Eppure non riuscivano a comprare il pane. Per fortuna c’è il mattone, direbbe sempre il caro vecchio senso comune. O la terra, meglio ancora. «Vedi la terra dove arriva il tuo occhio», si usava dire in certi romanzi popolari del XIX secolo, «quella è tutta mia». Bene: sei ricco di terra. Ma la terra, a meno di non essere coltivata, non sazia la fame. E se nessuno la lavora, la terra diventa il paradiso dei parassiti. Il mattone non è così diverso.
Inizia allora a sorgere il sospetto che la ricchezza non abbia a che fare solo con i soldi. E neanche con la terra, il mattone o i gioielli, i cosiddetti beni reali. Per dirla meglio: queste cose sono usualmente simboli della ricchezza. Ma anche questo è vero fino a un certo punto. Alcune società, ad esempio quelle nomadiche, misurano la ricchezza in greggi. Altre – l’antropologia è piena di esempi istruttivi – con altri beni ancora. Che dobbiamo dedurne?
Proviamo così: la ricchezza ha a che fare con l’abbondanza di alcuni beni ai quali un certo tipo di società assegna un’importanza primaria, perché dotati di potere di liberazione dai bisogni che quella stessa società esprime. Diciamolo meglio: sono tanto più ricco quanto più posso disporre di mezzi per assicurarmi il benessere. Su cosa sia il benessere, però, ne parliamo in un altro libro.
La definizione di questi mezzi ha a che fare con la struttura istituzionale di una società. Una società di pastori conta le pecore, una società di capitalisti conta i soldi. Noi occidentali siamo capitalisti da alcuni secoli, fra svariati alti e bassi; il resto del mondo più di recente, e forse per questo ha meno soldi di noi. Il che è sicuramente molto spiacevole, ma non è certo un destino. La ricchezza autentica ha sempre margini di miglioramento.
Oggi la ricchezza è quella che – per rimanere in casa nostra – Bankitalia e Istat misurano ogni anno attingendo ai conti nazionali e alle indagini campionarie (Banca d’Italia, 2022). La ricchezza degli italiani è una serie statistica ormai ultradecennale che dovrebbe appartenere al senso comune, almeno come accade al nostro famigerato debito pubblico, che ci accompagna da quando siamo neonati.
E invece non è così. Sappiamo tutti di avere più di due trilioni e mezzo di debito pubblico, ma tendiamo a ignorare che le famiglie italiane – e tralasciamo le imprese – hanno ricchezza per dieci trilioni fra attivi finanziari e beni reali, che al netto dei debiti privati – fra i più bassi d’Europa – ci classificano quantomeno fra i benestanti. Ma guai a dirlo: arriverà subito qualcuno che squadernerà l’ultima rilevazione Istat sulla povertà, dove emerge che il 17 per cento delle famiglie, 922 mila, vive in povertà assoluta (Istat, 2021). A seguire la storiella del pollo di Trilussa, a onta dell’uso spregiudicato delle medie semplici, e infine il grande convitato di pietra: la Diseguaglianza.
Le nostre cronache si somigliano tutte e servono poco a svelare l’enigma della ricchezza. Forse perché è una storia che parte da lontano. Perciò conviene riavvolgere il nastro. Tornare da dove tutto è cominciato.
Da “La Storia della ricchezza” di Maurizio Sgroi, Diarkos, pagine 432 Prezzo 22,00 euro
I Ricconi alle nostre spalle.
La Fiat.
Chi sono i manager più pagati d’Italia.
Danilo Coppola.
Pupi D’Angieri.
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I Benetton.
I Caprotti.
I Campari.
I Del Vecchio.
I Bagnoli.
Riccardo Illy.
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MSC.
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Ponti.
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Giovanni Ferrero.
Marco Benatti.
Luca De Meo.
I Banchieri.
Studi Legali d’Affari.
I più ricchi del mondo.
I magnati del settore tecnologico.
Bill Gates.
Elon Musk.
George Soros.
Rupert Murdoch.
Françoise Bettencourt Meyers.
Bernard Arnault.
Elisabeth Holmes.
I Nuovi Miliardari.
La parabola Fiat, soldi pubblici, utili privati. Il gruppo ha ricevuto 220 miliardi di contributi in 37 anni, ma posti e produzione sono in caduta libera. Lodovica Bulian il 25 Novembre 2023 su Il Giornale.
«Nella nostra storia non abbiamo mai avuto nessun bisogno di avere lo Stato nel nostro capitale», ha detto pochi mesi fa il presidente di Stellantis John Elkann, a proposito di un eventuale ingresso dello Stato italiano attraverso Cdp. «Gli Stati entrano nelle imprese quando vanno male e Stellantis va molto bene», ha aggiunto. Ma se lo Stato italiano è sempre rimasto fuori dal capitale, in compenso miliardi di soldi pubblici sono entrati nelle casse dell'azienda che oggi è il risultato della fusione tra Fca (ex Fiat) e la francese Psa. Decenni di incentivi, aiuti, linee di credito. Difficile fornire una cifra precisa. Nel 2012 Federcontribuenti ha fatto un calcolo complessivo: dal 1975 ad oggi la casa Torinese «ha ottenuto dallo Stato italiano l'incredibile somma di 220 miliardi di euro tra varie casse integrazioni, prepensionamenti, rottamazioni, nuovi stabilimenti in gran parte finanziati con risorse pubbliche e contributi statali sotto varia forma». Numeri mai smentiti dalla casa torinese. Del resto era stato il quotidiano Domani, di Carlo De Benedetti, a contestare le dichiarazioni di Elkann con un editoriale di Salvatore Bragantini: «Che non abbia mai dovuto far entrare lo stato in azienda è una mezza verità legale e, se non una reale balla, una sicura burla. Nella sua storia Fiat ha avuto più volte bisogno di una partecipazione statale ma, potendo scegliere, ha preferito incassare in modi meno vincolanti». E poi dentro Stellantis uno Stato c'è, ed è quello francese, che detiene il 6%. Una partecipazione attenzionata dal Copasir, che nel febbraio 2022 aveva avvertito del rischio di uno «spostamento del baricentro di controllo sul versante francese, con ricadute già evidenti nel settore dell'indotto connesso con le linee di produzione degli stabilimenti italiani», e aveva invitato il governo Draghi a valutare l'ipotesi di un ingresso di Cdp per «controbilanciare». Scenario respinto seccamente da Stellantis.
Ma torniamo ai supporti dello Stato. L'ultimo è stato la maxi linea di credito da 6,3 miliardi concessa dal secondo governo Conte tramite Intesa Sanpaolo con garanzia Sace a Fca Italy nel 2020, durante la pandemia, per «preservare e rafforzare la filiera automotive italiana». Il prestito è stato restituito in anticipo da Stellantis nel 2022, ma la produzione non è ancora tornata ai livelli pre-Covid, mentre dal 2021 il gruppo ha lasciato a casa quasi 8mila lavoratori. Una recente analisi del Sole 24 Ore rileva che dopo la fusione con i francesi, il nostro Paese è stato sempre meno centrale nei volumi di produzione. Secondo Milano Finanza «nel 2000 i dipendenti diretti del gruppo in Italia erano 112mila, nel 2017 solo 60mila». Eppure negli ultimi mesi l'ad di Stellantis, Carlos Tavares, non ha esitato a chiedere nuovi «sussidi diretti nelle tasche dei consumatori». Il ministro delle Imprese Adolfo Urso gli ha però ribattuto che gli incentivi stanziati finora «sono finiti in misura significativa alla grande azienda Stellantis in gran parte per auto realizzate dal gruppo automobilistico fuori dall'Italia».
Sia chiaro, che sostegni e incentivi pubblici vengano elargiti a realtà imprenditoriali che rappresentano posti di lavoro e producono Pil è più che ragionevole. Anzi doveroso in anni come questi, durante i quali l'aggressività della concorrenza estera è cresciuta in modo esponenziale soprattutto grazie agli aiuti di Stato elargiti da Paesi come Germania, Francia e Spagna. A maggior ragione se i contributi erano diretti a un gruppo come la Fiat che a un certo punto della sua storia dava lavoro a 190mila dipendenti (oltre a un indotto almeno doppio), produceva in 188 stabilimenti ed esportava made in Italy in almeno 50 paesi. Ma lo scopo non era certo arricchire l'azionista di controllo in un futuro che lo avrebbe visto rinunciatario di fronte alla sfida globale. Cosa che invece è avvenuto nel momento in cui si è trattato di stabilire la dinamica della fusione con la francese Psa. Per questo la richiesta di nuovi sostegni allo Stato italiano da parte di Stellantis suona come una beffa per molti contribuenti.
La classifica dei "Paperoni" di Piazza Affari: chi sono i 20 più ricchi. Storia di Roberta Damiata su Il Giornale 10 dicembre 2023.
Non ci sono "lacrime e sangue" per i manager più pagati e quotati di Piazza Affari, anzi per loro il 2022 è stato un anno d’oro, basta pensare che quelli dei primi dieci posti stilati in una apposita classifica elaborata dal Sole24Ore, hanno raggiunto i 231,2 milioni, +17%, rispetto ai 197,4 milioni del 2021, anno del Covid che aveva dimezzato i guadagni, seppur sempre sostanziosi.
Non si tratta solo di una quota fissa, a questa vanno aggiunti compensi monetari, plusvalenze da esercizio stock option, (ovvero quel particolare tipo di contratto che conferisce al possessore il diritto, ma non l'obbligo - quindi appunto "l'opzione" - di acquistare o vendere il titolo sul quale l'opzione stessa è iscritta, chiamato strumento sottostante (o semplicemente sottostante), ad un determinato prezzo prestabilito (strike price o semplicemente strike) entro una determinata data, a fronte di un premio pagato non recuperabile, ndr) e controvalore di azioni gratuite maturate nell’anno 2022. Il totale di ogni singolo manager della classifica, è in euro e al lordo delle tasse.
Sono quattordici quelli che nel 2022 hanno guadagnato più di dieci milioni, mentre sono 137 quelli che hanno raggiunto la vetta di almeno un milione. A dirlo è il pay watch, elaborato dal Sole24Ore a partire dai documenti pubblicati dalle società italiane quotate. Dal calcolo, come accennavamo "sono esclusi i benefici non monetari, i fringe benefit, come polizze di assicurazione sanitarie e previdenziali, utilizzo di automobili, case o aerei pagati dall’azienda".
Chi sono i manager più ricchi
Mike Manley è il manager più pagato tra le società italiane quotate in Borsa nel 2022, con 51,18 milioni di euro al lordo delle tasse, ricevuti da Stellantis che di fatto sono un indennizzo per la mancata conferma alla guida del gruppo nella fusione tra Fca e Psa. Manley è stato ad di Fca fino al 31 ottobre 2021. Al secondo posto Fulvio Montipò, presidente e ad di Interpump che è il maggior produttore mondiale di pompe a pistoni professionali ad alta pressione.
Carlo Cimbri al quinto posto, nel settore assicurazioni come presidente di Unipol, mentre al sesto il Ceo di Stellantis Carlos Tavares, la holding multinazionale con sede nei Paesi Bassi, produttrice di autoveicoli. Tavares è nato a Lisbona e ha tre figli, una laurea in ingegneria meccanica all’Ecole Centrale Paris. Tip (Tamburi Investment Partners S.P.A) è presente al settimo posto con Giovanni Tamburi, il banchiere milanese che ne ha disegnato l’architettura, facendola diventare una piattaforma di sviluppo per tante eccellenze dell’industria. Tamburi è anche vice presidente Ovs e Interpump.
Al nono c’è Scott Wine, ad di Cnh Industrial, il colosso delle macchine agricole e pesanti che da 2024 lascerà la Borsa di Milano per restare quotata solo sulla piazza di New York. John Elkann, presidente di Exor, fino a maggio 2022, la holding finanziaria olandese controllata dalla famiglia italiana Agnelli è all'undicesimo posto, ma le sue entrate derivano anche dalla presidenza di Ferrari e Stellantis.
Le assicurazioni con l'ad Philippe Donnet di Generali è al quattordicesimo posto, mentre gli immobili con Italmobiliare la holding di partecipazioni quotata dal 1980 alla Borsa di Milano, con l'ad e dg Carlo Pesenti è al quindicesimo posto. L'occhialeria di EssilorLuxottica ed il suo vice ad Paul du Saillant al sedicesimo. La moda, oltre a Prada. è presente con Roberto Eggs al diciassettesimo e Luciano Santel al diciannovesimo entrambi Moncler. A chiudere la classifica Claudio Berretti c e dg di Tip.
Poche le donne
Poche sono le donne in classifica, soltanto Miuccia Prada al quinto posto insieme al marito Patrizio Bertelli, entrambi alla guida del colosso della moda italiana, e al diciottesimo posto Alessandra Gritti, vice presidente e ad di Tip (Tamburi Investment Partners S.P.A.). Nel corso della sua carriera, la Gritti ha ricoperto la carica di amministratore di diverse società, quotate e non, tra le quali un istituto bancario.
La classifica
Mike Manley ad Fca fino al 31 ottobre 2021. 51.184.773
Fulvio Montipò, vp e ad Interpump. 49.120.360
Marco Tronchetti Provera, vp e ad Pirelli 19.966.260
Patrizio Bertelli, ad di Prada. 18.145.000
Miuccia Prada, ad di Prada. 18.145.000
Carlo Cimbri, ad e dg Unipol fino al 28 aprile 2022, p Unipol Sai. 16.440.845
Carlos Tavares, ceo di Stellantis. 14.924. 553
Giovanni Tamburi, p e ad di Tip 14.855.216
Scott Wine, ad Cnh Industrial 14.307.532
Marco Gobbetti, ad Ferragamo. 13.915.350
John Elkann, ad Exor e p fino al 24 maggio 2022. Presidente Ferrari e Stellantis. 13.677.477.
Dario Scaffardi ad e dg Saras fino al 30 ottobre 2022. 13.189.966.
Enrico Vita ad e dg Amplifon.10.604.624
Philippe Donnet ad Generali, 10.604.624
Carlo Pesenti ad e dg Italmobiliare, 9.416.877
Paul du Saillant vice ad EssilorLuxottica, 9.086.046
Roberto Eggs c esecutivo Moncler, 8.980.747.
Alessandra Gritti vp e ad Tip, c di Moncler e c Ovs, 8.911.666.
Luciano Santel c esecutivo Moncler 8.685.914.
Claudio Berretti c e dg Tip c Interpump e Monrif, 8.549.005.
LA CLASSIFICA. Da Mike Manley a Miuccia Prada: chi sono i manager più pagati delle società quotate in Borsa. Redazione Economia su Il Corriere della Sera domenica 10 dicembre 2023.
I guadagni dei manager nel 2022
Nel 2022 i guadagni dei manager delle società quotate hanno continuato a crescere recuperando quanto avevano perso durante la pandemia di Covid. I guadagni lordi dei primi dieci hanno raggiunto i 231,2 milioni, il 17% in più rispetto ai 197,4 milioni del 2021. I manager che hanno guadagnato più di dieci milioni nel 2022 sono 14. Mentre quelli che hanno guadagnato almeno un milione sono ben 137. A dirlo è il «pay watch», elaborato dal Sole 24 Ore a partire dai documenti pubblicati dalle società italiane quotate. Dal calcolo, spiega il quotidiano «sono esclusi i «benefici non monetari», i «fringe benefit», come polizze di assicurazione sanitarie e previdenziali, utilizzo di automobili, case o aerei pagati dall’azienda». E tutte le cifre sono al lordo di tasse e contributi. Vediamo la classifica.
Mike Manley è il più pagato
Il manager più pagato tra le società italiane quotate in Borsa nel 2022 è Mike Manley, con 51,18 milioni di euro al lordo delle tasse ricevuti da Stellantis, di fatto un indennizzo per la mancata conferma alla guida del gruppo nella fusione tra Fca e Psa. Manley è stato ad di Fca fino al 31 ottobre 2021.
Fulvio Montipò
Fulvio Montipò, presidente e ad di Interpump, è il secondo manager più pagato tra le società italiane quotate nel 2022, con 49,12 milioni. Interpump è il maggior produttore mondiale di pompe a pistoni professionali ad alta pressione.
Marco Tronchetti Provera
Al terzo posto della classifica dei manager più pagati elaborata dal Sole 24 Ore c’è un evergreen del mondo degli affari italiano e internazionale, Marco Tronchetti Provera, amministratore delegato di Pirelli, con 19,97 milioni dalla Pirelli, a cui si aggiungono oltre a 20.000 euro dal cda di Rcs.
Patrizio Bertelli e Miuccia Prada
Al quarto posto, pari merito, ci sono Miuccia Prada e il marito Patrizio Bertelli, alla guida del colosso della moda italiana: entrambi nel 2022 hanno guadagnato 18,14 milioni.
6/12
Carlo Cimbri
Nel settore banche e assicurazioni spicca il presidente di Unipol, Carlo Cimbri, quinto nella classifica generale con oltre 16,4 milioni di euro.
Carlos Tavares
Sesto in classifica Carlo Tavares, il ceo di Stellantis nel 2022 ha guadagnato 14,9 milioni. Nato a Lisbona, Tavares ha tre figli, una laurea in ingegneria meccanica all’Ecole Centrale Paris.
Giovanni Tamburi
Al settimo posto c’è invece Giovanni Tamburi, il banchiere milanese che ha disegnato l’architettura di Tip, quella Tamburi Investment Partners diventata una piattaforma di sviluppo per tante eccellenze dell’industria. Tamburi è anche vice presidente Ovs e Interpump, nel 2022 ha guadagnato oltre 15 milioni di euro.
Scott Wine
Al nono posto c’è Scott Wine, ad di Cnh Industrial, che nel 2022 ha superato i 14 milioni di euro di guadagni. Il colosso delle macchine agricole e pesanti, guidato da Wine, lascerà a partire dal 2024 la Borsa di Milano per restare quotata solo sulla piazza di New York.
Marco Gobbetti
Al decimo posto della classifica del Sole 24 ore sui manager più pagati tra le società quotate c’è Marco Gobbetti, ad e dg di Ferragamo. Gobbetti nel 2022 ha guadagnato 13,9 milioni di euro.
Poltrone d'oro: chi sono i più ricchi ai vertici delle società pubbliche. La graduatoria dei redditi vede tanti milionari, ma molti devono gran parte delle proprie fortune all’attività privata. Che però beneficia delle relazioni alimentate dalle nomine di Stato. Ecco i nomi. Carlo Tecce su L'espresso il 7 dicembre 2023
Lo Stato sono io. Non suona male. In francese per dirla con re Luigi XIV è ancora più suadente: «l’État c’est moi!». Va rimossa questa accezione negativa tipicamente italiana per lo Stato e in generale per il pubblico. Come se fossero luoghi sperduti di dispersioni morali. Macché. Allora conforta, a volte stupisce, spesso disorienta, scorrere il puntuale bollettino ufficiale che racchiude il reddito totale di presidenti, vicepresidenti, direttori generali, amministratori delegati di società a capitale pubblico oppure di organismi controllati dal pubblico sempre di nomina pubblica (governo, ministeri, Regioni, Province, Comuni). Insomma l’apoteosi del settore pubblico.
Il documento che L’Espresso ha esaminato è confezionato ogni anno con cura dal dipartimento per il Coordinamento Amministrativo di Palazzo Chigi: 148 pagine, oltre 390 nominativi, oltre 390 tabelle, cariche quasi sempre vincolate al tetto di 240.000 euro per i dirigenti pubblici (chiaramente i redditi da attività private non hanno limiti). Non abbiamo resistito alla tentazione di compilare una classifica e rispondere al solleticante quesito che suvvia, lo ammettiamo senza ipocrisia, pervade i giornalisti alle prese con questo bollettino e probabilmente voi lettori che ne apprendete i contenuti: chi è il più ricco? La risposta è valida da un paio di anni: il blasonato avvocato d’affari Michele Briamonte dell’altrettanto blasonato studio legale di Franzo Grande Stevens, cioè l’avvocato dell’avvocato per il suo profondo legame con Gianni Agnelli. Briamonte è presidente del Consorzio delle Residenze Reali Sabaude che – questa è l’etichetta corretta – gestisce giardini e Castello della Mandria e soprattutto la Venaria Reggia Reale: nel bollettino svetta con 5,639 milioni di euro percepiti. Neanche un euro, però, arriva da questa carica pubblica che richiede una procedura fra la Regione Piemonte e il ministero della Cultura e che fu assegnata ai tempi di Dario Franceschini. Briamonte, Grande Stevens, la reggia di Venaria: un contesto ad alto tasso di piemontesità e dunque sabaudo. La vil pecunia non serve. Le relazioni prestigiose sono inestimabili. Si suppone anche per Briamonte.
Al secondo posto, doppiato, resiste il salentino Angelo Sticchi Damiani con 2,199 milioni di euro. Sticchi Damiani, che è lo zio del patron del Lecce calcio, è presidente dell’Automobile Club d’Italia (Aci) da una dozzina di anni e l’ultimo rinnovo ha posposto la sua prossima scadenza al 2024. I guai sono più recenti. Ad agosto Sticchi Damiani ha ricevuto un avviso di chiusura di indagini preliminari con l’accusa di falso in atto pubblico proprio per alcune presunte irregolarità nelle autocertificazioni dei redditi fra il 2017 e il 2020. Il podio si chiude con Michaela Castelli che ha dichiarato compensi per 1,243 milioni di euro. Castelli siede e (pre)siede in molti consigli di amministrazione, nel bollettino viene menzionata perché presidente di gruppo Sea, l’azienda partecipata da Comune (maggioranza) e da Provincia che, tra le altre cose, ha in dote il sistema aeroportuale milanese. Il gettone per il gruppo Sea è di 120.000 euro.
Adesso una breve pausa per illustrare i dettagli tecnici del bollettino. La legge che lo istituisce è la 441 del 5 luglio del 1982 con il suo articolo 12. Riguarda i «titolari di cariche pubbliche». Prendete fiato. Ecco l’elenco: «Presidenti, vicepresidenti, amministratori delegati e direttori generali di istituti e di enti pubblici, anche economici, la cui nomina, proposta o designazione o approvazione di nomina sia demandata al presidente del Consiglio, al Consiglio dei ministri o a singoli ministri; presidenti, vicepresidenti, amministratori delegati e direttori generali delle società al cui capitale concorrano lo Stato o enti pubblici, nelle varie forme di intervento o di partecipazione, per un importo superiore al venti per cento; presidenti, vicepresidenti, amministratori delegati e direttori generali degli enti o istituti privati, al cui funzionamento concorrano lo Stato o enti pubblici in misura superiore al cinquanta per cento dell’ammontare complessivo delle spese di gestione esposte in bilancio e a condizione che queste superino la somma annua di lire cinquecento milioni; direttori generali delle aziende autonome dello Stato; direttori generali delle aziende speciali di cui al regio decreto 15 ottobre 1925, n. 2578».
Queste stratificazioni di norme che sono tramandate con poche correzioni – si cita addirittura un regio decreto che sta per fare un secolo di vita – portano a ritrovare negli elenchi pure gli imprenditori. Per esempio l’assai noto Lupo Rattazzi, figlio di Susanna Agnelli, la sorella di Gianni e Umberto. Rattazzi figura nel bollettino per la qualifica di vicepresidente di Seam, la società di riferimento dell’aeroporto civile di Grosseto (Maremma), ma ne è anche azionista con il 20 per cento. La vicepresidenza è insignificante, nulla, per la formazione del suo reddito di 1,142 milioni di euro. Oltre alle quote nella cassaforte di famiglia Giovanni Agnelli e di altre società di altri settori, Rattazzi è proprietario di un aeromobile monomotore di fabbricazione svizzera.
REDDITI COMPLESSIVI DEI TITOLARI DELLE CARICHE DI VERTICE DI SOCIETÀ A CAPITALE PUBBLICO E ORGANISMI DI NOMINA PUBBLICA. DATI DICHIARATI NEL 2022 RIFERITI AL 2021
Giovanni Malagò ha festeggiato appena un decennio alla guida del Coni e non intende smettere. Anzi è impegnato con la complessa organizzazione delle Olimpiadi invernali di Milano-Cortina, già orfane di genitori politici, e rafforza la sua presa nel Comitato olimpico internazionale. Auto di lusso (le vende) e bella gioventù (la raffigura), sempre a bordo di una Maserati, Malagò si è professato presidente del Coni «a gratis» a fronte di un reddito di circa un milione di euro. Dal primo giorno ha promesso che avrebbe devoluto il suo stipendio da 179.000 euro in beneficenza. Malagò è approdato al Coni sulla spinta delle sue relazioni e della sua indubbia abilità nel tesserle, tanto basta per soddisfarsi e perpetuarsi. Può sostenere che dallo sport non guadagni un euro o addirittura che ne perda qualcuno, ma se Malagò non fosse stato Malagò, per diritto di nascita, avrebbe faticato «a gratis»? E comunque soltanto al sesto posto, ormai da liberare, rintracciamo Ignazio Visco (745.000), il governatore uscente della Banca d’Italia e scendiamo sotto il milione.
Il tetto di 240.000 euro ai dirigenti pubblici, introdotto una decina di anni fa, ha subìto numerose variazioni e deroghe. Il tetto non si applica ai vertici di Bankitalia che, però, hanno varato un taglio. Il reddito di 745.000 di Visco non corrisponde alle retribuzioni di governatore di Bankitalia che sono inferiori, lo si apprende facilmente dal bilancio: «I compensi per organi collegiali centrali e periferici comprendono in particolare gli emolumenti attribuiti al Consiglio superiore, pari a 412.230 euro, ai membri effettivi del Collegio sindacale, pari a 137.430 euro, e al Direttorio. A partire dal 2014 le misure dei compensi spettanti ai membri del Direttorio ammontano a 450.000 euro per il governatore, a 400.000 euro per il Direttore generale e a 315.000 euro per ciascuno dei vicedirettori generali».
Appaiati in settima e ottava posizione, a distanza di poche centinaia di euro di differenza, ci sono Bernardo Mattarella (571.000) e Nicola Maccanico (569.000). Mattarella è il nipote del presidente della Repubblica, Nicola è il figlio di Antonio, raffinato politico irpino, repubblicano, che fu anche segretario generale del Quirinale. Mattarella è amministratore delegato di Invitalia, l’Agenzia nazionale per gli investimenti e lo sviluppo d’impresa, il reddito segnalato si riferiva al periodo al Mediocredito Centrale. Invece Maccanico era un dirigente Sky quando ha accettato, per spirito di servizio, la chiamata del governo di Mario Draghi a Cinecittà e l’inevitabile riduzione dei suoi introiti al tetto di 240.000 euro.
Sempre il ministro Franceschini, lo scorso anno, ha confermato l’architetto Stefano Boeri presidente della Triennale di Milano. Il ministero della Cultura precisava nel suo comunicato che i membri del consiglio non ricevono compensi, gettoni, rimborsi. Nonostante la Triennale non contribuisca al suo reddito, Boeri oltrepassa agevolmente la soglia di 500.000 euro, per l’esattezza 557.000. Il decimo, non più in concorso, è Primo Ceppellini con 542.000 euro, ex amministratore unico di Vicenza Fiera. Nota bene: tra le grosse aziende di Stato c’è soltanto Leonardo perché “dipende” dal ministero del Tesoro e di conseguenza ci sono i redditi del suo ex presidente Luciano Carta (753.000) e dell’ex amministratore delegato Alessandro Profumo (2 milioni), ma questi trattamenti economici andrebbero paragonati a quelli dei colleghi delle altre multinazionali di Stato.
Per questo motivo non li abbiamo considerati ai fini della classifica. La tendenza di affermati professionisti a farsi coinvolgere in uno spazio pubblico seppure poco (o per niente) remunerato e molto periglioso va apprezzata, ma non deve illudere: in una Repubblica democratica fondata sul lavoro mai il lavoro va reso senza corrispettivo. Altrimenti il guadagno può avere altre forme. Non sempre migliori. E meno costose.
Estratto dell’articolo di Alessia Conzonato per il “Corriere della Sera” l'1 agosto 2023.
Anche se un po’ meno ricchi, aumentano i paperoni in Italia. Secondo la classifica mondiale di Forbes , tra cambi generazionali e passaggi di eredità nelle grandi imprese familiari (il più recente è la suddivisione di Fininvest, ma anche Luxottica, Esselunga, Mediolanum e Benetton), il numero di persone con un patrimonio oltre il miliardo di dollari (circa 900 milioni di euro) è salito a 69, ben cinque in più rispetto ad aprile e altri 20 dai 49 del 2021.
Con la divisione del capitale di Delfin, eredità di Leonardo Del Vecchio, fondatore e presidente di Luxottica scomparso il 27 giugno 2022, tra otto eredi (sei figli, la moglie Nicoletta Zampillo e il figlio avuto dal suo precedente matrimonio), cinque sono diventati i giovani «under 35» più ricchi in Italia.
Primo in assoluto, anche nel mondo, è Clemente Del Vecchio, classe 2004 (19 anni), figlio di Sabrina Grossi, con un patrimonio di 4,2 miliardi di dollari. Le sue doti per gli affari si sono fatte notare già a 16 anni, quando ha presentato una proposta di rilancio della catena di negozi americana Sears.
È diventato, poi, investitore attivo in alcune attività innovative, tra cui FlixBus, Zoom e Udacity per l’apprendimento online. Oltre a occuparsi del futuro di EssilorLuxottica, il ragazzo ha fondato un venture capital, chiamato Ardian, con cui concentrarsi su investimenti di impatto sociale e ambientale positivo. Lo segue il fratello Luca, 21 anni (classe 2001), con una pari ricchezza di 4,2 miliardi di dollari. Oggi è iscritto all’università Bocconi di Milano.
Quota e patrimonio identici anche per Leonardo Maria Del Vecchio, figlio nato nel 1995 (28 anni) dal matrimonio con Nicoletta Zampillo. […] Laureato in Bocconi, […] è entrato nell’impresa di famiglia nel 2017 e oggi è Head of retail Italy, oltre che amministratore delegato della catena Salmoiraghi e Viganò.
Il quarto giovane italiano più ricco è Rocco Basilico, 34 anni, figlio di Nicoletta Zampillo, nato dal suo precedente matrimonio con Paolo Basilico (banchiere e fondatore del gruppo Kairos). Al pari dei figli di sangue di Del Vecchio, detiene il 12,5% del capitale Delfin, totalizzando un patrimonio di 4,2 miliardi di dollari. Laureato in Economia all’università Cattolica di Milano, è entrato nel gruppo nel 2013.
Tre anni dopo è diventato amministratore delegato di Oliver Peoples […]. Nel 2017, Forbes lo ha inserito tra i trenta «under 30» — Art & Style. Oggi è chief wearable officer del gruppo e vive a Los Angeles, dove ha affiancato Mark Zuckerberg nella collaborazione con Meta per il lancio degli smart glasses Ray-Ban Stories.
Con il testamento di Silvio Berlusconi, entrano per la prima volta nella classifica assoluta di Forbes i suoi cinque figli: Marina e Pier Silvio — nati dal matrimonio con Carla Elvira Lucia Dall’Oglio e detentori del 53% di Fininvest, hanno un patrimonio di 1,9 miliardi di dollari a testa; Barbara, Eleonora e Luigi, figli di Veronica Lario, vantano un miliardo ciascuno. Luigi, 34 anni, è anche tra i più giovani paperoni italiani. […]
Chi sono i più ricchi d’Italia, la classifica di Forbes: svetta Ferrero, tra le new entry gli eredi Del Vecchio e Berlusconi. Carmine Di Niro su L'Unità l'1 Agosto 2023
Una classifica che si allarga a causa soprattutto del capitalismo familiare. È quella stilata da Forbes e che tiene traccia dei miliardari d’Italia: sono 69 secondo la rivista le persone a vantare un patrimonio di almeno un miliardo di dollari, cinque in più rispetto alla primavera scorsa e venti in più rispetto al 2021.
Capitalismo familiare che fa rima con cambi generazionali e passaggi di eredità nelle grandi imprese italiane: caso esemplare e più recente è quello legato alla scomparsa di Silvio Berlusconi e alla conseguente divisione del gruppo Fininvest tra i cinque figli, ma casi simili hanno riguardato anche altri giganti come Luxottica, Esselunga, Mediolanum, Benetton.
I più ricchi
A svettare in testa alla classifica resta Giovanni Ferrero con un patrimonio di 40 miliardi grazie a Nutella e al suo impero dei dolciumi, al secondo posto lo stilista Giorgio Armani, con una ricchezza di 12,7 miliardi di dollari, mentre al terzo balza Sergio Stevanato, che prende il posto di Berlusconi. Stevanato è il presidente dell’omonimo gruppo imprenditoriale, quotato a Wall Street, trai principali produttori mondiali di fiale di vetro per medicinali: il suo patrimonio personale è pari a 7,6 miliardi di dollari.
Quarto posto, prima donna in classifica, è di Massimiliana Landini Aleotti, proprietaria dell’azienda farmaceutica Menarini con una ricchezza attestata a 6,9 miliardi di dollari, davanti a Piero Ferrari, figlio di Enzo e proprietario del 10,2% dell’omonima azienda fondata dal padre nonché presidente della Ferretti, colosso degli yacht di super lusso, con una ricchezza di 6,7 miliardi di dollari.
I “giovani”
Tra gli under 35, fascia d’età che può essere considerata il limite per la “gioventù”, impossibile non citare gli eredi di Leonardo Del Vecchio, ex numero uno di Luxottica scomparso lo scorso 27 giugno 2022. Il più giovane è Clemente, nato nel 2004 e quindi 19enne: vanta un patrimonio di 4,2 miliardi di dollari. Il secondo è Luca Del Vecchio, un altro dei sei figli del patron di Luxottica, classe 2001: come i suoi fratelli ha ereditato il 12,5% della holding lussemburghese Delfin del padre.
Quindi Leonardo Maria Del Vecchio, 28 anni, nato nel 1995 dall’unione di Leonardo Del Vecchio con Nicoletta Zampillo, e Rocco Basilico, 34 anni, figlio di Nicoletta Zampillo dal suo precedente matrimonio con Paolo Basilico (banchiere che ha fondato il gruppo Kairos), che ha ricevuto a sua volta il 12,5% della cassaforte lussemburghese Delfin.
In questa classifica dei “giovani” rientra anche Luigi Berlusconi, 34enne ultimo figlio del Cavaliere: assieme ai fratelli Barbara ed Eleonora, ha ricevuto quote minori della Fininvest sufficienti a raggiungere un miliardo di dollari di ricchezza. Carmine Di Niro 1 Agosto 2023
Estratto dell’articolo di Niccolò Carratelli per “La Stampa” il 15 aprile 2023
Cosa c'entra Gabriella Alemanno con la Consob? Nei corridoi della Commissione che controlla la Borsa, si respira un certo scetticismo rispetto alla designazione della sorella dell'ex sindaco di Roma a nuova commissaria.
C'è chi fa notare il curriculum non proprio aderente ai compiti previsti da ruolo: «È stata una dirigente di medio livello dell'Agenzia delle entrate, in passato al Demanio, con nessuna competenza in materia di mercati finanziari», è il ragionamento che provoca malumori. Accompagnati dai dubbi sulla sua effettiva indipendenza nello svolgimento del delicato incarico, «per il quale si è spesso oggetto di sollecitazioni esterne».
[…] Ma […] le alzate di sopracciglio sono provocate anche dal sospetto che la scelta di Gabriella Alemanno sia dettata da logiche politiche, vista la storica militanza a destra del fratello Gianni. Un sospetto simile a quello suscitato dal recente ingresso […] nel consiglio di amministrazione di Ita Airways […]. […]
La premier, comunque, ha puntato sul nome Alemanno per la Consob, avviando l'iter di nomina, che ora prevede il parere (obbligatorio, ma non vincolante) del Parlamento, con le commissioni Finanze di Camera e Senato che potrebbero anche decidere di convocare in audizione la commissaria designata. Poi, di solito nel giro di un paio di mesi, la proposta di nomina arriverà sul tavolo del presidente Mattarella, che deve firmarla, senza che in Consob abbiano alcuna voce in capitolo.
D'altra parte, non dovrebbero emergere incompatibilità, visto che Alemanno, 68 anni a luglio, dopo l'ultimo incarico da direttore regionale dell'Agenzia delle entrate in Campania, è andata in pensione. Per entrare in Consob, comunque, dovrà lasciare la poltrona nel cda di Ita.
Quanto alla presunta incompetenza, non è certo la prima polemica che affronta nella sua lunga carriera da funzionaria dello Stato. Dieci anni fa era stata anche indagata, e poi sotto processo, per abuso d'ufficio, accusata di aver fatto pressioni, in qualità di vicedirettrice dell'Agenzia delle entrate, per evitare a un'amica di pagare una quota di cartelle esattoriali da circa 80 mila euro. Una vicenda da cui è uscita assolta in tribunale.
In precedenza […], quando dirigeva la vecchia Agenzia del Territorio […], si era ritrovata nella bufera per aver esagerato con le spese di rappresentanza, strisciando la carta aziendale: oltre un milione e mezzo di euro tra pranzi, cene, regali e gioielli. Anche in quell'occasione, la signora Alemanno se l'era cavata senza conseguenze […].
Estratto dell’articolo di Alessandro Da Rold per “La Verità” il 15 aprile 2023
A gennaio era stata confermata, a sorpresa, come direttore dell’Agenzia del demanio. Perché Alessandra dal Verme, dirigente del ministero dell’Economia, era stata nominata nel 2021 dal governo Draghi, in quota Partito democratico.
Cognata dell’ex premier e attuale commissario all’economia Paolo Gentiloni, la dal Verme sta continuando indisturbata l’opera di occupazione delle cariche di maggiore importanza nell’agenzia che ormai guida da tre anni.
Nei mesi scorsi La Verità si era già occupata delle assunzioni di numerosi dirigenti provenienti dai Comuni di Milano e Firenze. Tra questi va segnalata una consulenza per Antonella Manzione, ex capo dei vigili urbani fiorentini ai tempi di Matteo Renzi […].
Era ottobre e il governo di Giorgia Meloni si era appena insediato. In tanti speravano in un cambio di passo, dato il nuovo vento politico. Ma anche nel nuovo mandato la dal Verme si sta dimostrando molto generosa nei confronti del mondo di centrosinistra […].
Così da qualche mese è stato assunto con qualifica dirigenziale l’avvocato Kostandin Peci che, oltre a essere molto legato alla famiglia Gentiloni, ha il merito di essere stato titolare di un contratto integrativo della docenza di diritto amministrativo del professore Giulio Napolitano, figlio del presidente emerito della Repubblica Giorgio. Sempre di recente, il ruolo di capo dell’Officina per la rigenerazione dell’immobile pubblico è stato affidato al Piero Pelizzaro, proveniente dal Comune di Bologna del piddino Matteo Lepore dopo una lunga militanza presso il Comune di Milano (dove era a capo della direzione Città resilienti). […]
La domanda nasce spontanea: possibile che per la copertura di queste posizioni non ci fosse nessuna risorsa qualificata all’interno dell’Agenzia del demanio? Secondo quanto ricostruito dalla Verità, poi, il marito della dal Verme (fratello di Gentiloni) si vede spesso in Agenzia. E forse non c’è da stupirsi se le attività della struttura per la progettazione di beni ed edifici pubblici siano spesso indirizzate verso enti locali amministrati dal centrosinistra (Milano, Bologna, Bari, Napoli e Torino).
La dal Verme dimostra anche una certa disinvoltura per quanto concerne il ricorso alle consulenze esterne. Nel corso della recente audizione alla Camera, la direttrice ha più volte fatto riferimento con toni entusiastici al Piano strategico industriale redatto sul finire dell’anno scorso. Ebbene, da una verifica sui documenti pubblicati sul sito istituzionale dell'Agenzia, si scopre che la dal Verme ha affidato il servizio di consulenza per un ammontare di circa 750.000 euro.
Infatti, per la redazione del Piano strategico, l’agenzia ha fatto ricorso al raggruppamento di imprese tra Accenture, Ernst & Young (dove Massimo D’Alema un tempo era consulente) e Luiss, vincitori dell’accordo quadro per l’affidamento di servizi per la digital transformation della Pa. L’agenzia ha poi affidato senza gara al medesimo raggruppamento il servizio di revisione dei processi in essere, per altri 321.300 euro. Chissà cosa ne pensa il commissario europeo all’Economia Gentiloni, così attento alla tutela della concorrenza quando si tratta delle concessioni balneari?
Nomine, raggiunto l’accordo: ecco tutti i nomi dei vertici delle piu importanti società pubbliche. PrimoPiano. Redazione CdG 1947 su Il Corriere del Giorno il 12 Aprile 2023.
Sono arrivate le nomine delle aziende statali: il generale Giuseppe Zafarana passa dalla guida della Guardia di Finanza per la presidenza di Eni. Rovere presidente di Poste, confermato Matteo Del Fante amministratore delegato. Alla presidenza Enel arriva Paolo Scaroni, l'ad è Flavio Cattaneo. Nuovo vertice per Leonardo: Roberto Cingolani amministratore delegato e Stefano Pontercorvo presidente. TUTTE LE LISTE DELLE NOMINE
Dopo una lunga serie di incontri, consultazioni e discussioni solo in parte ufficiali, l’accordo è stato raggiunto all’interno della maggioranza di governo e decisi i nominativi di coloro che guideranno le più importanti aziende pubbliche italiane nei prossimi anni, che verranno ufficializzati alla chiusura degli scambi azionari della Borsa italiana di piazza Affari a Milano. Questo il nuovo panorama dei vertici delle società pubbliche.
“Le nomine dei nuovi vertici di Eni, Enel, Leonardo e Poste sono frutto di un attento percorso di valutazione delle competenze e non delle appartenenze. – ha commentato il premier Giorgia Meloni – È un ottimo risultato del lavoro di squadra del governo. Ringrazio chi ha servito l’Italia con passione in queste aziende, auguro ai prossimi amministratori buon lavoro. Il loro compito è quello di ottenere risultati economici solidi e duraturi nell’interesse della Nazione che rappresentano in tutto il mondo“.
All’Eni, nessun ribaltone: confermato l’amministratore delegato Claudio Descalzi , nei cui confronti la premier Giorgia Meloni negli ultimi mesi ha riposto grande fiducia. Alla presidenza arriverà l’attuale comandante della Guardia di Finanza, il generale Giuseppe Zafarana, prossimo ad abbandonare la carriera militare per quiescenza (cioè pensione) ben visto anche della Lega.
Descalzi è al suo quarto mandato ha iniziato la carriera all’Eni nel 1981 come ingegnere di giacimento. Successivamente diventa Project Manager per lo sviluppo delle attività nel Mare del Nord, in Libia, Nigeria e Congo. Nel 1990 è nominato responsabile delle attività operative e di giacimento in Italia. Dal 2000 al 2001 ricopre la carica di direttore dell’area geografica Africa, Medio Oriente e Cina. Dal 2002 al 2005 è direttore dell’area geografica Italia, Africa e Medio Oriente, ricoprendo inoltre il ruolo di consigliere di amministrazione di diverse consociate Eni dell’area.
Alle Poste, il Governo ha confermato Matteo Del Fante come amministratore delegato e direttore generale . Le iniziali resistenze leghiste, erano più strategie tattiche che di sostanza . Alla presidenza arriva Silvia Rovere, presidente di Confindustria Assoimmobiliare, che accanto all’attività professionale ha svolto e svolge un’attività accademica e di ricerca per il dipartimento di Economia Politica e quello di Diritto Commerciale della Facoltà di Economia dell’ Università di Torino, il Centro Einaudi di Torino e l’Executive Master of Finance della Sda Bocconi.
Matteo Del Fante guida la società dal 2017. Nell’estate del 1991, alcuni mesi prima della laurea in Economia politica all’ Università Bocconi, Del Fante inizia a lavorare per JP Morgan. “Avevo 24 anni e otto anni dopo, nel 1999, sono stato nominato managing director a Londra. Nel frattempo avevo iniziato a lavorare anche sui dossier che il governo italiano, attraverso il Tesoro, sottoponeva a JP Morgan” ha raccontato. Nel 2004 è entrato in Cassa Depositi e Prestiti, poco dopo la privatizzazione, come responsabile Finanza e M&A. Nel 2009 diventa ad di Cdp. Da giugno 2010 a maggio 2014 è stato direttore generale di Cdp. Nel 2014 il governo Renzi lo nomina alla guida di Terna e nel 2017 il governo Gentiloni lo sceglie come nuovo amministratore delegato di Poste Italiane.
Il gigante della difesa e dell’aerospaziale italiana, la società Leonardo (ex Finmeccanica) sarà guidata dall’ex ministro draghiano Roberto Cingolani, nuovo amministratore delegato. Giorgia Meloni non ha mai avuto dubbi sul suo nome, che inizialmente non era molto gradito dalla Lega. La rappresentanza di Leonardo richiedeva un presidente che potesse essere suo agio sullo scenario internazionale identificato in Stefano Pontecorvo, ambasciatore di lunga e consolidata esperienza e rappresentante della Nato in Afghanistan, indicato con convinzione dal ministro della Difesa Guido Crosetto, dopo aver puntato inutilmente su un manager interno come Lorenzo Mariani .
Roberto Cingolani è stato il primo Innovation and technology officer della società dell’aerospazio. Laureato in Fisica nel 1985, Cingolani si è perfezionato alla Scuola Normale Superiore di Pisa. Nel 2005 è stato nominato direttore scientifico dell’Istituto italiano di tecnologia (IIT) di Genova, dove ha lanciato il programma interdisciplinare Humanoid Technologies, basato sull’idea che l’imitazione tecnologica della natura e delle sue dinamiche possa fornire soluzioni per migliorare la nostra vita. L’ex ministro è già “advisor per l’energia” del governo Meloni.
Alla guida dell’ Enel un’ accoppiata di vertice che accontenta la Lega e Forza Italia, che nella trattativa hanno battuto il territorio metro per metro, ottenendo la nomina di Flavio Cattaneo ad amministratore delegato , ex direttore generale R AI, poi amministratore delegato di Terna e sin qui vicepresidente operativo dei treni Italo. Alla presidenza è stato nominato Paolo Scaroni, sostenuto con ostinazione e determinazione da Silvio Berlusconi, attuale presidente della squadra di calcio del Milan, dopo essere stato per anni già alla guida dell’ Eni e Enel.
Flavio Cattaneo, laureato in Architettura al Politecnico di Milano e dal 2003 al 2005 direttore generale della Rai. Dal 2005 al 2014 è stato amministratore delegato di Terna e dal 2016 al 2017 di Telecom Italia. In passato ha ricoperto diverse cariche in vari consigli di amministrazione tra cui: Generali Assicurazioni , Domus Italia Cementir Holding S.p.A.
Il vertice di Terna è quello che fino a domani potrebbe riservare sorprese , quando capogruppo controllante Cassa depositi e prestiti presenterà la lista . Nelle varie chat dei parlamentari si dà per scontata la conferma di Donnarumma e la nomina a presidente della numero due di Nokia Italia Giuseppina Di Foggia. Ma nei dintorni di Palazzo Chigi circola con insistenza una soluzione diversa, che vedrebbe la Di Foggia indicata come amministratore delegato, mentre alla presidenza potrebbe arrivare Igor De Biasio (in quota Lega), sinora consigliere di amministrazione in Rai.
La nuova ad di Terna, che dovrebbe subentra a Donnarumma, dovrebbe essere Giuseppina Di Foggia, che dal 2020 è amministratore delegato e vice presidente di Nokia Italia. Il condizionale è d’obbligo solo per la circostanza che le nomine di Terna, rispetto alle altre partecipate, è slittata. Di Foggia, comunque, sarebbe il nome indicato dalla premier Giorgia Meloni. Laureata in Ingegneria elettronica, Di Foggia nel 1998 entra in Lucent Technologies con il ruolo di direttore tecnico, azienda divenuta nel 2006 Alcatel-Lucent. Nel 2016 l’ingresso in Nokia dove ha lavorato nell’area tecnica per poi assumere ruoli di responsabilità in ambito marketing e vendita. Il premier Giorgia Meloni con questa nomina mantiene la promessa di portare una donna al vertice di una grande azienda pubblica.
LA LISTA COMPLETA DEL MEF
Il Ministero dell’economia e delle finanze ha depositato le liste per il rinnovo degli organi sociali di Enel, Eni, Leonardo e Poste Italiane.
Con riferimento all’assemblea degli azionisti di Enel convocata per 10 maggio, il Mef – titolare del 23,59% del capitale – ha depositato, di concerto con il Ministero delle imprese e del made in Italy (Mimit), la seguente lista per la nomina del nuovo consiglio di amministrazione:
1. Paolo Scaroni (presidente)
2. Flavio Cattaneo (amministratore delegato)
3. Alessandro Zehenter (consigliere)
4. Johanna Arbib Perugia (consigliere)
5. Fiammetta Salmoni (consigliere)
6. Olga Cuccurullo (consigliere)
Con riferimento all’assemblea degli azionisti di Eni convocata per il 10 maggio, il Mef – titolare del 4,34% del capitale e per il tramite della Cassa depositi e prestiti (partecipata all’82,77% dal Mef) di un ulteriore 25,76% – ha depositato, di concerto con il Mimit, la seguente lista per la nomina del nuovo consiglio di amministrazione:
1. Giuseppe Zafarana (presidente)
2. Claudio Descalzi (amministratore delegato)
3. Cristina Sgubin (consigliere)
4. Elisa Baroncini (consigliere)
5. Federica Seganti (consigliere)
6. Roberto Ciciani (consigliere)
Il nuovo collegio sindacale di Eni sarà invece composto dai seguenti nominativi:
1. Giulio Palazzo (effettivo)
2. Andrea Parolini (effettivo)
3. Marcella Caradonna (effettivo)
4. Giulia de Martino (supplente)
5. Riccardo Bonuccelli (supplente)
Con riferimento all’assemblea degli azionisti di Leonardo convocata per il 9 maggio, il Mef – titolare del 30,2% del capitale – ha depositato, di concerto con il Mimit, la seguente lista per la nomina del nuovo consiglio di amministrazione:
1. Stefano Pontecorvo (presidente)
2. Roberto Cingolani (amministratore delegato)
3. Elena Vasco (consigliere)
4. Enrica Giorgetti (consigliere)
5. Francesco Macrì (consigliere)
6. Trifone Altieri (consigliere)
7. Cristina Manara (consigliere)
8. Marcello Sala (consigliere)
All’assemblea degli azionisti di Poste italiane convocata per l’8 maggio, la lista consegnata dal Mef – titolare del 29,26% del capitale e per il tramite di Cassa depositi e prestiti di un ulteriore 35% – prevede un consiglio di amministrazione composto dai seguenti componenti:
1. Silvia Rovere (presidente)
2. Matteo del Fante (amministratore delegato)
3. Wanda Ternau (consigliere)
4. Matteo Petrella (consigliere)
5. Paolo Marchioni (consigliere)
6. Valentina Gemignani (consigliere)
Il Ministro dell’economia e delle finanze ringrazia i presidenti Lucia Calvosa, Michele Crisostomo, Luciano Carta, Bianca Maria Farina, gli amministratori delegati Francesco Starace e Alessandro Profumo e tutti i consiglieri di amministrazione uscenti per il lavoro svolto e i risultati ottenuti in questi anni dalle società
Redazione CdG 1947
La figlia di Milly Carlucci entra nel cda di Terna: chi è Angelica Krystle Donati. Valentina Iorio su Il Corriere della Sera il 14 Aprile 2023.
Angelica Krystle Donati entra nel cda di Terna, a 37 anni, con il giro di nomine ordinato dal governo Meloni. La giovane imprenditrice collaborerà con Giuseppina Di Foggia, nuova amministratrice delegata della società che gestisce la rete nazionale di trasmissione dell’energia elettrica. Nata a Los Angeles e laureata in Management alla London School of Economics (LSE), Donati è imprenditrice e manager nel settore Real Estate e delle costruzioni ed è figlia della presentatrice Milly Carlucci e dell’imprenditore Angelo Donati, e nipote di Gabriella Carlucci, ex showgirl e deputata di Forza Italia dal 2001 al 2013.
Come si legge sul suo sito «inizia il percorso professionale nel settore del marketing e della finanza, lavorando per tre anni nel team di Foreign Exchange Sales in Goldman Sachs a Londra e occupandosi del mercato del Sud Europa. Dopo l’MBA, passa in Ralph Lauren, dove ricopre il ruolo di Retail Marketing Manager». Nel 2012 è entrata in qualità di Head of Business Development in Donati spa, la società fondata dal padre Angelo, che si occupa di lavori residenziali, commerciali, infrastrutturali e di restauro in Italia e all’estero. «Per gestire le operazioni di sviluppo immobiliare della società ed espanderne le attività all’estero, Angelica Donati decide di costituire la Donati Immobiliare Group, un property developer internazionale con base a Roma», riporta il suo sito. Attualmente è ceo della Donati Immobiliare Group.
La presidenza di Ance giovani
La giovane imprenditrice fa parte dell’Associazione nazionale costruttori edili (Ance), e a dicembre 2021 è stata eletta presidente nazionale di Ance Giovani. In precedenza ha fatto parte del consiglio di presidenza del gruppo giovani con delega all’internazionalizzazione, ed è stata presidente di Ance giovani Lazio.
La startup a Londra
Donati sul suo sito si definisce una «convinta sostenitrice della crescente importanza della trasformazione digitale anche nel settore immobiliare». Nel 2016 ha co-fondato Houzen, startup con base a Londra che ha «l’obiettivo di abbinare le proprietà immobiliari ai giusti inquilini, riducendo tempi e costi delle operazioni». Donati è anche investitrice nel proptech come venture partner di Concrete VC, e collabora come editorialista con Forbes, Agi e Property Week.
Chi è Flavio Cattaneo, il manager nominato ad di Enel: dalla Rai alle nozze con Sabrina Ferilli. Redazione Economia su Il Corriere della Sera il 13 Aprile 2023.
Flavio Cattaneo torna al mondo dell’energia. Dopo essere stato ad di Terna tra il 2005 e il 2014, ora l’attuale vicepresidente esecutivo di Italo-Ntv è stato nominato dal governo Meloni amministratore delegato dell’Enel. Cattaneo è un nome di spicco tra i dirigenti d’azienda e pubblici, anche se per la gente comune è noto anche per essere il marito, già da 13 anni, dell’attrice Sabrina Ferilli. Nato a Rho, nell’hinterland milanese, il 27 giugno 1963, Cattaneo si è laureato in Architettura al Politecnico di Milano, per poi specializzarsi in Finanza applicata al Real Estate alla Bocconi, trampolino di lancio per la sua carriera nella gestione di grandi società industriali – sia nel settore privato che in quello pubblico – operanti nelle costruzioni, comunicazioni, energia, infrastrutture, trasporti e telecomunicazioni.
Da presidente di Fiera Milano a direttore Rai
Dal 1998 al 2001, Cattaneo è stato vicepresidente di Aem (attuale A2A) di cui ha curato le attività di distribuzione gas come amministratore di Triveneta Gas S.p.A. e Seneca Gas S.p.A.. Dal 1999 al 2003 è stato presidente e ad di Fiera Milano (di cui ha curato la quotazione nel 2001). Durante la sua gestione si è assistito a una forte espansione internazionale con un aumento della presenza della società in una trentina di Paesi esteri. Dal 2007 al 2011 è stato presidente di Terna Partecipacoes (di cui tra l’altro cura la quotazione al Bovespa). La società, in quel periodo, è diventata il primo operatore di rete privato in Brasile. Nel 2003 Berlusconi lo nomina direttore generale della Rai, incarico che tiene fino al 2005. In quel periodo cura la fusione con Rai Holding e l’azienda raggiunge il più alto utile netto della sua storia.
L’approdo prima a Terna e poi a Italo
Ma è nel 2005 che Cattaneo approda a Terna, l’azienda proprietaria della rete di trasmissione elettrica italiana, dove resta come amministratore delegato fino al 2014. Piuttosto importante la sua nomina, nel 2016, ad amministratore delegato di Telecom Italia, una carica che ricopre anche in Italo dal 2017 al 2018, anno in cui ne diventa vice presidente esecutivo.
Vita privata e patrimonio
Sposato una prima volta con Cristina Goi, da cui ha avuto due figli, Flavio Cattaneo ha conosciuto Sabrina Ferilli nel 2005, alla fine del suo mandato come direttore generale della Rai. La coppia si era unita in matrimonio nel 2011 a Parigi. Una cerimonia in gran segreto, dato che la notizia era trapelata solo nel 2014. La coppia non se la passa male: Essecieffe Investment (EI), il family office di Flavio Cattaneo, ha chiuso il 2022 con buoni risultati. Nella società il manager-imprenditore ha riversato gran parte degli incassi derivanti da stipendi e liquidazioni nei suoi diversi incarichi, oltre alla plusvalenza maturata vendendo al fondo Gip la sua quota del 5% in Italo. Il bilancio 2021 di EI si era chiuso con un utile di oltre 9,9 milioni di euro rispetto a quello di 3,6 milioni del precedente esercizio che interamente accantonato ha fatto salire il patrimonio netto a 102 milioni.
Chi sono i manager più pagati d’Italia. Vittorio Malagutti su L’Espresso il 13 aprile 2023
In testa alla classifica l’ad di Stellantis, Carlos Tavares. Il suo compenso di 23 milioni di euro ha ricevuto proprio oggi il via libera degli azionisti del gruppo. Sul podio della graduatoria elaborata dell’Espresso, anche Marco Gobbetti di Ferragamo e il banchiere Giovanni Tamburi
È Carlos Tavares il manager più pagato della Borsa italiana. Tra stipendio e bonus vari, l’amministratore delegato di Stellantis l’anno scorso ha ricevuto un compenso di 11,8 milioni di euro, quanto basta per scalare la vetta della classifica elaborata dall’Espresso sulla base dei dati pubblicati in questi giorni dalle società quotate sul listino milanese.
La somma attribuita a Tavares, dal 2021 a capo del gruppo nato dalla fusione tra Fca e la francese Psa, non comprende gli incentivi sotto forma di azioni. Se si considerano anche questi premi, maturati ma non ancora incassati, la retribuzione complessiva del numero uno della multinazionale dell’auto arriva a 23,4 milioni di euro, pari a 365 volte lo stipendio medio della forza lavoro del gruppo. Come dire che l’amministratore delegato guadagna in un giorno quello che, in media, i 268 mila dipendenti di Stellantis ricevono in un anno.
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Nome |
Carica |
Società |
Compenso 2022 (€) |
Carlos Tavares |
AD |
Stellantis |
11.865.000,00 |
Marco Gobbetti |
AD |
Ferragamo |
11.839.000,00 |
Giovanni Tamburi |
Presidente e AD |
Tamburi Inv. partners |
10.620.000,00 |
Scott Wine |
AD |
Cnh industrial |
10.458.000,00 |
Paolo Rocca |
AD |
Tenaris |
9.500.000,00 |
Pietro Salini |
AD |
Webuild |
6.384.000,00 |
Carlo Cimbri |
Presidente e AD |
Unipol |
6.087.000,00 |
Claudio Descalzi |
AD - DG |
Eni |
5.824.000,00 |
Philippe Donnet |
AD |
Generali |
5.510.000,00 |
Jean Marc Chery |
Presidente e AD |
StMicroelectronics |
5.233.000,00 |
Francesco Caltagirone |
Presidente e AD |
Cementir |
5.213.000,00 |
Carlo Messina |
AD - DG |
Intesa |
4.555.000,00 |
Dario Scaffardi |
AD |
Saras |
4.366.000,00 |
Enrico Vita |
AD |
Amplifon |
4.178.000,00 |
Benedetto Vigna |
AD |
Ferrari |
3.985.000,00 |
Robert Kunze |
AD |
Campari |
3.828.000,00 |
Andrea Orcel |
AD |
Unicredit |
3.541.000,00 |
Alberto Nagel |
AD |
Mediobanca |
3.524.000,00 |
Daniele Schillaci |
AD |
Brembo |
3.500.000,00 |
Pietro.Labriola |
AD - DG |
Tim |
3.382.000,00 |
Remo Ruffini |
Presidente e AD |
Moncler |
2.755.000,00 |
Fulvio Montipò |
Presidente |
Interpump |
2.731.000,00 |
Gerrit Marx |
AD |
Iveco group |
2.317.000,00 |
Fabrizio Di Amato |
Presidente |
Maire |
2.083.000,00 |
John Elkann |
Presidente |
Stellantis |
2.076.000,00 |
Diego Della Valle |
Presidente e AD |
Tod's |
2.030.000,00 |
Paolo Gallo |
AD |
Italgas |
1.920.000,00 |
Giuseppe Castagna |
AD |
BancoBpm |
1.832.000,00 |
Robert Koremans |
AD |
Recordati |
1.806.000,00 |
Gianmario Tondato |
AD |
Autogrill |
1.773.000,00 |
Carlo Rosa |
AD - DG |
Diasorin |
1.754.000,00 |
Massimo Doris |
AD |
Banca Mediolanum |
1.731.000,00 |
Piero Montani |
AD - DG |
Bper Banca |
1.711.000,00 |
Alessandro Profumo |
AD |
Leonardo |
1.681.000,00 |
Paolo Merli |
AD |
Erg |
1.677.000,00 |
Roberto Colaninno |
Presidente |
Piaggio |
1.665.000,00 |
Giuseppe De Longhi |
Presidente |
De Longhi |
1.603.000,00 |
Carlo Pesenti |
Presidente |
Italmobiliare |
1.529.000,00 |
Massimo Guiati |
AD |
Azimut |
1.500.000,00 |
Giorgio Medda |
AD |
Azimut |
1.500.000,00 |
Stefano Venier |
AD |
Snam |
1.414.000,00 |
Alesandro Foti |
AD - DG |
Fineco |
1.383.000,00 |
Mario Alberto Pedranzini |
AD - DG |
Pop. Sondrio |
1.356.000,00 |
Mario Rizzante |
Presidente e AD |
Reply |
1.330.000,00 |
John Elkann |
Presidente |
Ferrari |
1.206.000,00 |
Valerio Battista |
AD |
Prysmian |
1.100.000,00 |
Gian Maria Mossa |
AD - DG |
Banca Generali |
1.053.000,00 |
Renato Mazzoncini |
AD - DG |
A2A |
999.000,00 |
Luca Lisandroni |
AD |
Cucinelli |
968.000,00 |
Tomaso Tommasi |
Presidente |
Hera |
773.000,00 |
Fonte: Elaborazione dell'Espresso su relazioni sulle remunerazioni delle società Creato con Datawrapper
Proprio oggi, il gruppo presieduto da John Elkann (per lui 2 milioni di compensi più 3,7 milioni di bonus in azioni) ha riunito l’assemblea dei soci per l’approvazione dei conti del 2022. Com’era prevedibile, l’entità della retribuzione di Tavares ha attirato le critiche di numerosi investitori internazionali. L’anno scorso, gli azionisti avevano già bocciato i compensi elargiti al manager (19,1 milioni) con un voto, contrario per il 52 per cento del capitale, che comunque era solo consultivo.
Sulla questione era all’epoca intervenuto anche il presidente francese Emmanuel Macron, che aveva definito «scioccante ed eccessivo» lo stipendio di Tavares. Lo Stato francese, tramite la banca pubblica Bpifrance, è azionista di rilievo del gruppo, con una quota del 6 per cento. Stellantis ha chiuso il 2022 con profitti in forte crescita (16,8 miliardi, +26 per cento sul 2021) e si prepara a distribuire ai soci un ricco dividendo. Le buone notizie non sono bastate ad ammorbidire alcuni fondi d’investimento che sono tornati alla carica sui compensi. Al momento del voto, però, una maggioranza schiacciante, pari all’80 per cento del capitale, ha comunque dato via libera alle decisioni del consiglio di amministrazione.
Tavares, a lungo a capo di Peugeot prima della fusione con Fca, si conferma quindi al vertice della speciale classifica degli stipendi, una classifica che prende in esame tutte le principali società quotate, a parte alcune, come Enel e Poste Italiane, che ancora devono pubblicare i documenti obbligatori per legge. Staccato da Tavares di poche decine di migliaia di euro, troviamo un nome molto noto dell’industria della moda come Marco Gobbetti, nominato l’anno scorso al vertice di Ferragamo. Nel 2022 Gobbetti ha ricevuto, tra l’altro, 4,4 milioni a titolo di «welcome bonus», un compenso extra legato, secondo quanto si legge nelle carte aziendali, «all’impegno del manager a mantenere il rapporto di lavoro con l’azienda per un periodo di tempo determinato».
Marco Gobbetti
Il gradino più basso del podio nella classifica dell’Espresso è invece occupato da Giovanni Tamburi, banchiere d’affari di lungo corso molto noto nel mondo della finanza nostrana. Tamburi ha fondato una banca d’affari di cui è presidente e importante azionista, la Tamburi investment partners, e il suo compenso è frutto in gran parte di bonus calcolati in percentuale su due voci di bilancio: il 7 per cento dei ricavi dell’attività di advisory, pari l’anno scorso a 1,8 milioni, e il 6,2 per cento degli utili consolidati della società al lordo delle tasse, 137 milioni nel 2022. Si arriva così a circa 10 milioni di compensi variabili che si sommano allo stipendio fisso di 550 mila euro.
Giovanni Tamburi
Dopo il terzetto di testa, con retribuzioni comprese tra 5 e 10 milioni di euro, troviamo tra gli altri i big delle assicurazioni, con Carlo Cimbri di Unipol davanti a Philippe Donnet di Generali. Del gruppo fa parte anche il capo di Eni, Claudio Descalzi appena riconfermato dal governo. E poi Paolo Rocca di Tenaris e Pietro Salini di Webuild.
Premi e incentivi di varia natura valgono quasi sempre ben oltre la metà delle retribuzioni dei top manager e sono calcolati sulla base di complessi parametri che tengono conto dei risultati aziendali e, da qualche anno, anche dei cosiddetti criteri ESG, acronimo di gran moda che sta per environmental, social and governance. Le aziende cercano così di segnalare la loro attenzione alla sostenibilità degli investimenti e al rispetto, per esempio, della parità di genere. Capita sempre più spesso, però, che le valutazioni dei consigli di amministrazione finiscano sotto il fuoco delle critiche degli azionisti, in particolare dei fondi internazionali cosiddetti attivisti.
Prima ancora di Tavares, il mese scorso era toccato a Unicredit vincere la resistenza di una pattuglia di investitori contrari all’aumento di stipendio dell’amministratore delegato Andrea Orcel, che è comunque stato approvato il 31 marzo con il voto favorevole del 69 per cento del capitale presente in assemblea. In Telecom Italia, alle critiche di una parte degli investitori istituzionali si è aggiunto anche il gruppo francese Vivendi, primo azionista da tempo su posizioni critiche nel merito della gestione e delle prospettive dell’azienda di tlc. La resa dei conti è prevista per il prossimo 20 aprile, quando è in programma l’assemblea dei soci chiamata ad approvare i conti del 2022 in perdita per 2,93 miliardi e a esprimere un parere sui compensi dei manager.
Tra questi, anche quello dell’amministratore delegato Pietro Labriola a cui sono state assegnate, sulla base dei risultati di bilancio, azioni Telecom Italia per un valore massimo di 25,8 milioni di euro.
Estratto dell’articolo di Alessandro Barbera per “La Stampa” il 13 aprile 2023.
Nonostante la resistenza tenace della premier, l’intramontabile legame fra Silvio Berlusconi e Paolo Scaroni ha avuto la meglio. A 76 anni il capo del Milan cinese torna in pista da presidente dell’Enel, di cui era stato amministratore delegato dal 2002 al 2005.
[…] Berlusconi e Salvini ne rivendicavano il gran rientro all’Eni, e molti si sono chiesti la ragione per la quale sponsorizzassero colui che nel 2006 aveva trasformato la multinazionale nel primo partner mondiale della russa Gazprom.
[…] Meloni era poco convinta di sceglierlo per qualunque poltrona: reputa Scaroni un manager troppo vicino al faccendiere Luigi Bisignani e protagonista di un sodalizio (quello con Mosca) preceduto da un mai chiarito affare che coinvolse un imprenditore amico di Berlusconi – Bruno Mentasti – e altri soci russi.
Scaroni è stato rincorso dalle inchieste giudiziarie per tutta la carriera. Nel 1992 fu arrestato dai magistrati di Mani Pulite per tangenti al Partito socialista. Allora era a capo del colosso italo-argentino Techint, e i soldi servivano a vincere commesse di Enel.
Patteggiò una pena di un anno e quattro mesi rivelando il sistema corruttivo. Da manager pubblico fu inquisito tre volte, ma uscì dalle inchieste sempre assolto. La prima volta nel 2006 da capo dell’Enel per reati ambientali a Porto Tolle. Una seconda e una terza volta da amministratore delegato dell’Eni per presunte tangenti in Algeria e Nigeria.
I giudici di Milano accusarono lui e il successore Claudio Descalzi di corruzione nell’acquisto di un giacimento. Verranno entrambi scagionati per insussistenza del fatto. Di recente […] è stato accusato dalla stampa maltese per i rapporti con il premier Joseph Muscat, il quale gli presentò un imprenditore accusato di omicidio, Yorgen Fenech.
[…] I ben informati sostengono che i legami con il mondo della finanza saranno utili a gestire il prossimo aumento di capitale di Enel. Nonostante il sodalizio negli anni all’Eni, nessuno crede che oggi Scaroni si intesterebbe una riapertura dei rapporti con Mosca, e lo testimoniano le dichiarazioni pubbliche più recenti. Dopo l’esplosione del conflitto il manager sostenne che il tetto al prezzo del gas era «irrealizzabile», che «la chiusura dei rubinetti russi» sarebbe stata «preoccupante» e che avremmo avuto bisogno di quel metano «per altri dieci anni». Lo scorso gennaio la svolta: sui tagli al gas russo «non si tornerà indietro» per dieci anni.
Finisce ad Abu Dhabi la latitanza di Coppola. Il furbetto non fugge più. Condannato a 7 anni per bancarotta: si proclamava innocente. Era ricercato da quasi un anno e mezzo. Stefano Zurlo il 7 Dicembre 2023 su Il Giornale.
Era diventato il ventunesimo uomo più ricco d'Italia. Altri tempi. La latitanza di Danilo Coppola, l'immobiliarista che ballava con i furbetti del quartierino, finisce ad Abu Dhabi. Il vento da quelle parti è cambiato e le catture eccellenti si susseguono. Coppola era ricercato da quasi un anno e mezzo, dopo la condanna definitiva per bancarotta. Lui continuava a proclamarsi innocente, in una interminabile battaglia con la giustizia italiana, e postava video, fra la Svizzera e Dubai, in cui rivendicava le proprie ragioni.
Ma non era semplice districarsi in quella successione di fallimenti e colpi di scena, andati avanti per quasi vent'anni, sempre sotto il tiro delle procure e in particolare di quella di Milano. Coppola nasce nel 1967 e arriva sotto i riflettori nel 1995, quando muore il padre ed eredita i beni di famiglia: case, ville, terreni. Il suo quartiere generale è la borgata Finocchio, alle porte di Roma: da lì inizia la conquista di un piccolo impero. Nel 2005 i pm di Milano accendono i riflettori su di lui: si convincono che sia il socio occulto di Gianpiero Fiorani, il concertista come si dice in gergo, nella scalata ad Antonveneta. È la stagione dei furbetti del quartierino, i Ricucci, i Coppola, gli Statuto.
Ma affari e guai vanno a braccetto. Fino a una nuova raffica di crac: il Gruppo immobiliare 2004, nel 2013, Mib Prima nel 2014, Porta Vittoria nel 2015. Porta Vittoria dovrebbe riqualificare l'area in cui sorgeva la stazione ferroviaria e dove era prevista la Biblioteca Europea, sbandierata per anni come uno dei fiori all'occhiello della metropoli proiettata nel ventunesimo secolo e ancora da realizzare. Come se non bastasse, c'è pure un altro capitolo disastroso: la bancarotta degli Editori per la Finanza, insomma anche il Coppola padrone di giornali, ambizioso collezionista di fogli economici, va a rotoli. E la procura di Milano ritiene che abbia saccheggiato il gruppo, trasferendo capitali a Lussemburgo.
Lui va avanti alla sua maniera fra processi, ricorsi, sfoghi sui social. Nel luglio 2022 la Cassazione rende definitiva la condanna a 7 anni che scende sotto i sei anni e mezzo per il cosiddetto presofferto, insomma i mesi già trascorsi dietro le sbarre. L'epoca dei furbetti del quartierino, espressione inventata dal più estroso della squadra, Stefano Ricucci, già marito di Anna Falchi, è ormai tramontata. «Non so se mi costituirò», spiega Coppola che prende il largo e si trasferisce a Dubai. Ma gli Emirati non sono più uno scrigno impenetrabile a prova di rogatorie per latitanti carichi di banconote e carte di credito. Nel 2021 viene bloccato Raffaele Imperiale, un narcotrafficante di peso che pensava di aver trovato in quelle terre un rifugio a prova di bomba e invece l'ormai pentito boss annuncia ora di voler regalare all'Italia un'isola che possiede nel mare di Dubai.
Negli ultimi giorni Coppola si sposta ad Abu Dhabi, pare per una gita turistica. È qui che scatta la trappola delle autorità. La procura di Milano aveva emesso un mandato di cattura internazionale, ora comincia la battaglia per l'estradizione. Intanto, va avanti un altro procedimento per tentata estorsione a Prelios, la società di gestione del risparmio proprietaria di Porta Vittoria. Della passata grandeur rimangono oggi solo macerie.
Michele Masneri per il Foglio – Estratti venerdì 8 dicembre 2023.
Esiste un razzismo finanziario? Prima di essere arrestato ieri ad Abu Dhabi, il finanziere romano Danilo Coppola postava all’impazzata su Instagram storie in cui accusava giudici “deviati” e pezzi del Csm, ma tutti erano colpiti piuttosto dalla parlata. “Penzate che io nella vita voglia fa’ er latitante?”
(...) Il problema di Coppola, già soprannominato “er Cash”, lasciando da parte la vicenda giudiziaria, è che è romano. Certo anche l’estetica non aiuta.
Occhiali scuri azzurrati sotto lampadari dorati, una via di mezzo tra Wanna Marchi a Durazzo e un Gianluca Vacchi però capitolino, Coppola potrebbe avere un futuro come influencer, del resto il latitante influencer non si era ancora visto. Quando esplose, Coppola, negli anni Duemila, il paese restò attonito per la capigliatura, un gran carré misto tra Venditti e Hillary Clinton prima maniera, e non si era ancora abituati al fantasismo tricologico, non c’erano stati i Trump e i Milei. Per l’Italia la finanza era Enrico Cuccia, completi gessati, profilo basso, attaccatura alta (l’omonimia di Coppola con un famoso parrucchiere faceva il resto).
Coppola impersona una specie di controstoria della finanza italiana, uno specchio deformante del self made man mediterraneo. Arrestato varie volte, a un certo punto sembrava però che si prendesse tutto, o almeno tutto quello che un buon capitalista italiano sognava negli anni Duemila. Lui, nato alla Borgata Finocchio, periferia est di Roma, figlio e nipote di palazzinari siciliani, sogna giornali, barche, Mediobanca, tutti i miti che la rivista Capital metteva in copertina. E quasi ci riesce: il 5 per cento di Mediobanca, la Bnl, l’Antonveneta, poi un giornale. Non il Corriere della Sera, che pure era stato il sogno di un altro compagno di giochi e di capelli, quello Stefano Ricucci che ne era una versione ancora più frizzante.
Se Ricucci si era preso la villa ex Feltrinelli all’Argentario, Coppola si era fatto il villone a Grottaferrata (da pronunciarsi con una sola “r”). Il sogno del Corriere, poi, che tenerezza, un periodo in cui i giornali contavano ancora qualcosa e qualcuno ancora li leggeva: Coppola divenne a un certo punto azionista invece di “Editori Per La Finanza”, gruppo col logo che era una preziosa perla, gran trovata, poi andò tutto a scatafascio e il giornale fallì. Ma Coppola si regalò quello che sognavan tutti in quegli anni, aveva l’aereo privato, identico a quello di Diego Della Valle, un Falcon metallizzato (ma non gli piaceva, e gli portò sfiga, ne derivarono altri drammi legali. Il non ancora direttore Claudio Cerasa raccontò in un gran ritratto qui sul Foglio che Coppola a un certo punto incontrò Della Valle e si domandò se “quel signore fosse davvero più ricco di me”. Senza capire che il problema non sono mai stati i soldi). A un certo punto Gad Lerner su Vanity Fair scrisse che “l’economia italiana” era affetta “da gracilità congenita, da fisiognomica lombrosiana”. Ecco il razzismo. L’Italia è un paese che ha sempre odiato il successo, i soldi van bene se il casato è antico o lo sarà presto, ma con stile, diamine, siamo o non siamo il paese del made in Italy?
L’imprenditore trucido non è ammesso. (...)
Coppola e i suoi, invece, i “furbetti del quartierino”, secondo la celebre autodefinizione di Ricucci intercettato, vennero forse ostacolati anche per un fattore estetico. Loro sono sempre rimasti i romani di “Yuppies” che al ristorante “El Camineto” di Cortina in alta stagione cercano un tavolo, e stranamente lo trovano, gli danno addirittura quello del conte Nuvoletti (che dirà: non vengo oggi, ci sono troppi romani). Loro vagheggiano di essere come l’Avvocato che li sorvola in elicottero, ma poi si scannano sul conto del ristorante (“ahò, te piace l’avocado”). Erano davvero un gruppetto curioso, i furbetti, capitanato dai due romani, Coppola e Ricucci.
Da romano Coppola si era comprato non solo la villa a Grottaferrata e una quota della Roma, ma anche i grandi magazzini Mas. Lo accusarono di esser amico della banda della Magliana ma poi si rivelò tutto falso. Perché a Roma scade tutto sempre in “Suburra” e coi ricchi a forma di ricco, blazer coi bottoni d’oro tipo Ruggero De Ceglie dei “Soliti idioti”.
Certo, quella compagine non era rappresentativa solo della capitale. C’era anche il bresciano Chicco Gnutti che dette delle soddisfazioni. Gli Gnutti a Brescia sono come i Rothschild, ricchissimi e ramificatissimi, lui trascinò una città da sempre a economia vorticosa ma catto-pauperistica (Paolo VI, Bazoli ecc.) in un vortice di finanza e avventurismo, e quando finì, male, al ristorante La Sosta, il Bolognese bresciano, un azionista gabbato lo riconobbe e gli diede un gran manrovescio.
Però oggi vista la profusione di documentari o docufiction a tema soldi e “sòla”, da “Inventing Anna” a Liliane Bettencourt coi suoi parassiti, a Bernard Tapie ai vari siliconvallici-bidone, ci si chiede come mai i furbetti coi loro capelli, macchinoni, barche e ragazze non abbiano ancora prodotto né documentari né fiction. Loro son rimasti quei ragazzi lì, tra “Vacanze di Natale” e “Yuppies”, ma intanto sono arrivati i social.
Così ecco Coppola che negli ultimi tempi postava reel dove sulle note di Adele esibiva ritagli di giornali quando era grande (“Coppola sale al 98 per cento del Lingotto di Torino”, “Coppola arriva al 10 per cento della Roma”; “Effetto Coppola”). Occhiali da sole azzurrati alla Renato Zero, “vivo come il Fuggitivo di Harrison Ford”, dice, “per colpa di un giudice che non ammette un errore” e magari ci ha pure ragione, chissà; il romanesco comunque non aiuta, il romanesco fa subito “a me m’ha rovinato ’a guera”. Però forse Coppola una volta sistemate le sue beghe legali potrebbe riciclarsi come finanziere-influencer, in quota underdog. Del resto i tempi sono cambiati, l’Avvocato è morto da vent’anni, i suoi eredi si vendono tutto e soprattutto, notizia proprio di ieri, il ristorante El Camineto di Cortina è passato di mano: dagli storici gestori a Flavio Briatore.
[…]
Attesa per l'estradizione. Danilo Coppola torna libero a Dubai, rilasciato dopo l’arresto: su Instagram grida alla persecuzione. Redazione su L'Unità l'11 Dicembre 2023
Arrestato la scorsa settimana a Dubai, negli Emirati Arabi Uniti, l’ex immobiliarista romano Danilo Coppola è tornato in libertà. Lo ha annunciato il suo legale, l’avvocato Gaetano De Perna, chiarendo che le autorità degli Emirati Arabi Uniti hanno stabilito che “non è necessaria” per lui la custodia cautelare in attesa dell’eventuale procedimento di estradizione dell’Italia.
La nostra giustizia lo ha infatti condannato in via definitiva per bancarotta a 7 anni di reclusione, poi ridotti a sei anni e due mesi considerando il periodo già trascorso tra carcere e domiciliari in fase cautelare. A questi si sono poi aggiunti tre mesi di reclusione per una condanna per diffamazione.
Il rilascio dell’immobiliarista 56enne, protagonista della stagione dei cosiddetti “furbetti del quartierino”, è avvenuto sabato 9 dicembre, tre giorni dopo l’arresto. Nella stessa giornata Coppola aveva diffuso un video su Instagram, social che in questi anni ha utilizzato per le sue invettive mentre era in fuga dalla giustizia italiana, attaccando i magistrati milanesi e romani che negli anni si sono occupati di lui e proclamandosi vittima di malagiustizia.
Nel video Coppola si rivolgeva anche al Guardasigilli, il ministro della Giustizia Carlo Nordio, con un appello in favore di una rapida riforma della giustizia: “La riforma della giustizia serve – le parole di Coppola – mi rivolgo al ministro, la maggior parte dei nostri magistrati sono persone perbene che svolgono il loro lavoro delicato con cura e dedizione, altre purtroppo, una minoranza, sfruttano il loro ruolo da intoccabili per fare operazioni politiche o di classe sociale”.
L’arresto nel centro commerciale
Coppola era stato arrestato mercoledì scorso sulla base di un mandato d’arresto internazionale emesso dal pm della Procura di Milano Adriana Blasco: un provvedimento scaturito dalla condanna definitiva a sette anni di reclusione per il crack di tre società riconducibili all’immobiliarista, la Gruppo Immobiliare 2004, la Mib Prima spa e Porta Vittoria spa.
Coppola era stato fermato dagli agenti del Servizio per la cooperazione internazionale di polizia e dell’Interpol ad Abu Dhabi, capitale degli Emirati Arabi, dove si trovava in “gita turistica” e precisamente in un centro commerciale.
L’estradizione in Italia
L’avvocato di Coppola sottolinea che “tutti sapevano che era là, andavano a trovarlo i figli e gli amici, non è scappato e non scapperà”.
Ora, ha chiarito il legale, bisognerà vedere quando arriverà la richiesta di estradizione del Ministero della Giustizia e “quando eventualmente sarà fissata udienza per decidere se estradarlo o meno”.
I processi di Coppola
Ma per l’immobiliarista i guai non sono finiti. In corso contro di lui ci sono ancora due processi: uno per nuove ipotesi di bancarotta e un altro per tentata estorsione sul caso Prelios. “Continuano a perseguitarlo con processi fondati sul nulla, solo su ipotesi”, spiega però il legale De Perna. Redazione - 11 Dicembre 2023
Erica Dellapasqua per corriere.it - Estratti lunedì 11 dicembre 2023.
Danilo Coppola, arrestato mercoledì 6 dicembre ad Abu Dhabi su mandato d'arresto internazionale per una condanna definitiva per bancarotta, «è stato rilasciato ed è tornato libero». (…)
Da tempo Coppola posta sui suoi social video in cui si proclama vittima di errori giudiziari attaccando i magistrati milanesi e romani che negli anni si sono occupati di lui. E così anche ieri, dopo l'arresto e il rilascio, è tornato in diretta per dire la sua versione: «Ringrazio le persone che mi hanno dimostrato solidarietà anche in questa ultima follia che mi è successa - dice Coppola, tramonto sullo sfondo e camicia bianca col tono di chi si ritiene "perseguitato" -. La giustizia funziona, dove non funziona è solo in Italia, ma non funziona non per colpa dei magistrati, ma per colpa di alcuni magistrati che nel tempo hanno montato decine di processi sulla mia persona che si sono conclusi con un nulla di fatto, e poi sempre gli stessi pm...»
E ancora: «In altri Paesi c'è giustizia perché si leggono le carte, la Svizzera ha negato l'estradizione, come mai una persona che è arrivata a 41 anni senza prendere nemmeno una multa è diventato il 21esimo uomo più ricco d'Italia e sono cominciati trenta processi?» Infine l'appello al ministro della Giustizia Nordio: «La riforma della giustizia serve - insiste Coppola -: mi rivolgo al ministro, la maggior parte dei nostri magistrati sono persone perbene che svolgono il loro lavoro delicato con cura e dedizione, altre purtroppo, una minoranza, sfruttano il loro ruolo da intoccabili per fare operazioni politiche o di classe sociale».
(...)
I processi a Milano
In corso per lui ci sono altri due processi a Milano: uno per nuove ipotesi di bancarotta e un altro per tentata estorsione sul caso Prelios. «Continuano a perseguitarlo con processi fondati sul nulla, solo su ipotesi», ha detto il legale De Perna.
Parla l’immobiliarista Danilo Coppola: “La maxioperazione organizzata attraverso pressioni a servizi e Interpol dai signori che mi perseguitano da anni”. Edoardo Sirignano su L'Identità l'11 Dicembre 2023
“La maxioperazione è stata organizzata attraverso raccomandazioni e pressioni ai servizi segreti e all’Interpol dai soliti signori che mi perseguitano da anni. È confermato da fonti sicure”. A dirlo Danilo Coppola, l’immobiliarista romano arrestato una settimana fa ad Abu Dhabi.
Dov’è adesso e come sta, considerando i problemi di salute di cui aveva parlato in passato?
Sono usciti almeno 150 articoli, che hanno inondato il web su questo fatto, dando addirittura la mia persona estradata a Roma. Questo è sempre il solito modus operandi di come alcune procure divulghino le notizie in maniera costruita. Avevo fatto chiarezza già sabato con un mio video su Instagram. Non sto molto bene. Ho dei problemi di salute importanti, ma la mia è una crociata e non posso fermarmi. Tutti devono sapere come alcuni magistrati inquirenti italiani si siano comportati per decenni, e continuino a farlo ancora oggi nei miei confronti.
Le sue accuse nei confronti dei magistrati sono durissime. Come è cambiata, intanto, la sua esistenza?
La mia esistenza è cambiata da quasi 20 anni. Non mi sono mai nascosto. Sto conducendo una battaglia che è di tutti gli italiani, contro un sistema di potere consolidato all’interno della magistratura, che permette a una piccola minoranza di magistrati inquirenti, non di applicare la legge, ma di fabbricare inchieste su persone che si trovano agli antipodi delle loro ideologie politiche o sociali. La verità di quanto mi è accaduto è documentale. Scusi ma le sembra possibile che un uomo come me, partito da zero ed arrivato a creare il 21esimo gruppo in Italia, all’apice della sua carriera, avendo sempre rispettato le leggi diventi poi ciò che Giuseppe Cascini ha voluto creare? Fabbricando decine di processi, direttamente o indirettamente, e pilotandoli quando era impossibilitato a seguirli essendo divenuto incompatibile, a causa di una denuncia fatta alla mia persona per diffamazione.
Cosa si sente, dunque, di dire a quei pm di Milano, che a suo parere, la stanno perseguitando?
Non voglio rivolgermi a loro, ma a quei magistrati che i pm stanno cercando di influenzare, facendomi apparire per quello che non sono ed esorto quei giudici ad affrontare la mia vicenda con lo spirito della nostra costituzione che prevede il principio di non colpevolezza, spazzando via tutti i pregiudizi. Purtroppo i pm di Milano, Baggio e Clerici, sono stati usati da Greco per fermare un’operazione di mercato a favore di una banca che aveva commesso una serie di fatti illeciti da noi denunciati proprio a Greco anni prima, il quale ci fece aspettare molti mesi per presentare la denuncia contro il banco per poterla avocare a sé e poi cestinarla a modello 45 “fatti privi di rilevanza penale”. Fatto inquietante è che il Tribunale Fallimentare, dopo anni, a “frittata fatta”, condannò il Banco pesantemente e duramente per tutti quei fatti che erano presenti nella denuncia che Greco cestinò per appoggiare il Banco Popolare.
L’eventuale errore di un magistrato vale la vita di una persona, anzi di una famiglia?
La vita di una persona, e della sua famiglia, è sacra, e nessuno ha il diritto di distruggerla. Quando si condanna non ci deve essere nessun ragionevole dubbio, poi se c’è anche il dolo è gravissimo.
Adesso toccherà al ministro della Giustizia inoltrare la richiesta di estradizione. Cosa si sente di dire a Nordio e al governo Meloni, per cui in passato aveva speso belle parole?
Il ministro Nordio, oltre a fare la riforma della giustizia urgentemente, dovrebbe fare pulizia di tutti quei magistrati, sia inquirenti che giudicanti, che negli ultimi decenni hanno condotto operazioni ideologiche o politiche mettendo in cattiva luce tutta la magistratura. Solo così gli italiani riacquisteranno fiducia nella magistratura e nelle istituzioni.
Se si riuscirà nella riforma della giustizia, potrà cambiare qualcosa per chi ha una storia simile alla sua?
Se il ministro Nordio e la presidente Meloni, oltre alla riforma della giustizia, avranno la forza di fare ciò da me esposto in precedenza. saremo di fronte a una svolta epocale e molte altre persone, in futuro, non dovranno più patire quello che da vent’anni subisco.
Per concludere, come fermare quei pochi Pm, che secondo lei, frenano lo sviluppo e mettono in cattiva luce non solo tutta la magistratura, ma un’intera nazione?
Basterebbe assicurarsi che i PM facciano il loro lavoro, accertino la verità su fatti e circostanze anche in favore dell’indagato così come prevede il nostro codice di procedura penale. Creiamo uno Stato che faccia rispondere chi deve davvero rispondere di un errore. È davvero un peccato che l’onore di tanti Magistrati onesti debba essere macchiato dalla cattiveria e dalla tracotanza di pochi.
A chi si riferisce? Le sue sono parole molto pesanti…
Scusi sarò diretto, le faccio un nome. Tutti sappiamo chi è Giuseppe Cascini, quello che ha svolto, come lo ha svolto e la sua sistematica mancanza di equilibrio, dovuta alle sue ideologie sociali e politiche oltreché ai suoi pregiudizi che purtroppo non gli hanno permesso di essere una persona equilibrata e imparziale. Come è possibile che con lo scandalo emerso di Palamara e con le note intercettazioni telefoniche che abbiamo letto in questi anni, che un personaggio del genere rimanga al suo posto? O che addirittura possa essere entrato nel Csm? Lui, ad esempio, è uno di quelli che mette in cattiva luce tutta la Magistratura. Andatevi a vedere come mi ha arrestato nel 2007, è tutto documentato, per farlo ha commesso una dozzina di reati.
Pupi D’Angieri, l’ultimo dandy d’Italia: «Lavoravo per Castro e Arafat, ma ho 101 fra Rolls e Bentley». Storia di Stefano Lorenzetto su Il Corriere della Sera martedì 22 agosto 2023.
Con Nunzio Alfredo D’Angieri, l’ultimo dandy d’Italia, ambasciatore per gli Affari europei del Belize, non si sa da dove cominciare. Dal patrimonio? Un fondo di famiglia valutato 21 miliardi di dollari, gestito da Warren Buffett, l’«oracolo di Omaha». Dai due sovrani nell’albero genealogico? Secondo la Nuova cronica di Giovanni Villani, stampata nel 1537, i baroni di Francia, deposto Carlo il Grosso, fecero re il figlio di Ruberto conte d’Angieri, Oddo, e in seguito misero sul trono un secondo Ruberto, fratello dello stesso Oddo d’Angieri. Dalle amicizie? Dà del tu a papa Francesco; è stato per 22 anni consigliere, negoziatore e banchiere di Yasser Arafat; era sodale di Fidel Castro; è in corrispondenza con Carlo III del Regno Unito. Dalle residenze? Ne ha a Milano, Londra e New York, più un isolotto privato nei Caraibi. Dal jet personale? Un Gulfstream G450 che brucia 2.114 litri di carburante per ogni ora di volo, 12 posti con letto a una piazza e mezzo. Dal garage? Possiede 101 fra Rolls-Royce e Bentley d’epoca. Dal guardaroba? Allinea 2.302 abiti sartoriali, 2.787 paia di scarpe, 6.700 cravatte.
Dura la vita del nababbo, eh.
«Nababbo io? Chiedo i 20 centesimi di sconto anche al panettiere, così guadagno. Sono appena tornato da Anguilla in classe super economica con Air France».
Ma come? Non ha un aereo suo?
«Usato solo all’andata. Al ritorno l’ho noleggiato ad Angelina Jolie, che volava in Provenza. Quindi ho viaggiato gratis».
Deve aver avuto un’ottima scuola.
«Quella del nonno materno, Nunzio Lonardo. Per lui ero Pupi, da pupo: trovava eccessivi i miei due nomi. Emigrò a Torino da Palermo. Sposò Miriam Levi, ebrea. Nel 1942 la tabaccaia di corso Vittorio lo denunciò ai fascisti. Finì nel carcere di via Asti, da dove riuscì a fuggire. Con moglie e figlia s’imbarcò da Genova verso gli Stati Uniti. La madre di Gianluigi Gabetti, futuro braccio destro di Gianni Agnelli, diede a mia nonna un passaporto falso intestato a Rosa Varesio».
E furono salvi.
«A New York la nonna finì nel ghetto, il nonno a Brooklyn. Poi partì per l’Honduras britannico, l’attuale Belize. Vendeva mogano. Amico degli eredi di Pierre-Gabriel Chandon, nel 1952 portò in Brasile l’omonimo champagne. È il motivo per cui oggi abbiamo in portafoglio lo 0,89 per cento della Lvhm di Bernard Arnault, proprietaria del Moët & Chandon».
Che altro?
«Vari interessi. Stimo molto Carlo Messina, consigliere delegato e ceo di Intesa Sanpaolo. Buffett sostiene che è il miglior banchiere d’Europa. Ha ragione».
«Vari interessi» suona generico.
«Ho rilevato la cineteca della Lantern entertainment che apparteneva al produttore Harvey Weinstein, condannato per reati sessuali. Comprende 277 film, fra cui Bastardi senza gloria, Django Unchained e The Hateful Eight di Quentin Tarantino. Ho comprato per conto di Francis Ford Coppola il Palazzo Margherita di Bernalda, in Basilicata. Sua figlia Sofia mi ha fatto recitare in Somewhere».
Quanti passaporti diplomatici ha?
«Negli anni passati al fianco di Arafat ero arrivato ad averne sei».
Suo nonno tornò a vivere in Italia?
«Mai, benché da New York vi avesse mandato in piroscafo mia madre, affinché mi partorisse a Torino, in piazza San Carlo 2. Una volta dall’aereo gli indicai le coste italiane: girò lo sguardo dall’altra parte. Non dimenticava il tradimento».
È cresciuto nella città piemontese?
«Sì. Dalla prima elementare alla terza media ho frequentato l’Istituto Sociale, che è dei gesuiti. Ecco spiegata la confidenza con papa Francesco. Quando fu incoronato pontefice, il premier anglicano del Belize mandò me. Gli dissi: padre Jorge, Santità, ho davanti un miracolo. Si stupì: “Perché?”. Risposi: Dio è arrivato prima dei cardinali, altrimenti non ti avrebbero mai eletto. Scoppiò a ridere».
E dopo le scuole dai gesuiti?
«Collegio Rosenberg a San Gallo, in Svizzera. Fui messo in camera con Mustafa S., un arabo. Mi laureai in legge alla Boston University. La nonna mi trovò un posto a New York, nello studio Pavia, che aveva 150 avvocati. Un giorno mi spedirono in Libia a concludere un contratto per la Texaco. E chi trovai ad attendermi all’aeroporto di Tripoli? Mustafa. Baci e abbracci. “Devi venire con me”. Con un jet privato mi portò in Libano. A Beirut, in un bunker, mi presentò Arafat. Il leader dell’Olp portava sulla testa un colbacco, anziché la kefiah. “Benvenuto, figlio”, mi accolse. Il mio amico era diventato il suo capo di gabinetto».
Che cosa voleva da lei Arafat?
«Mandarmi a Riad da re Fahd perché sostenesse la causa palestinese con il petrolio. “Da oggi puoi caricare 1 milione di barili al mese, sconto del 25 per cento”, mi annunciò il re d’Arabia. Erano 160 milioni di litri. Per 22 anni ho riempito una petroliera al mese. Vendevo il greggio perfino alla Saras dei Moratti. L’avrebbe voluto anche Saddam Hussein».
Come mai non glielo forniva?
«Gli americani mi avrebbero incenerito. Il dittatore iracheno la prese malissimo. Si tolse dal polso l’orologio e me lo scagliò addosso: “Ti ricorderai di me!”. Lo conservo. È un Breitling che sul fondello reca inciso “Iraqi air force”. Lo dava in dotazione all’Aeronautica militare».
Che altro fece per Arafat?
«Trattai con Yitzhak Rabin e Shimon Peres le modalità del premio Nobel per la pace, concesso a tutt’e tre nel 1994. Ero con Arafat in albergo a Stoccolma prima della consegna. Scendemmo con 22 minuti di ritardo perché non voleva rinunciare alla pistola. Gliela tolsi dalla fondina, me ne feci dare altre due dalla scorta, gliele nascosi sotto la divisa e consegnai la sua arma agli uomini del cerimoniale. “Resti il solito ebreo”, ridacchiò».
Lei ebbe un ruolo anche a Sigonella.
«Mediai con Giulio Andreotti e Bettino Craxi nella crisi innescata dal dirottamento dell’Achille Lauro a opera di Abu Abbas, costato la vita a Leon Klinghoffer. E portai Arafat da Gaza in Vaticano a congedarsi da papa Wojtyla. “Vengo a salutarla per l’ultima volta”, esordì. “Ariel Sharon mi farà uccidere”. E così fu. Giovanni Paolo II aveva gli occhi lucidi».
Quando ha avuto per la prima volta la netta percezione di essere ricco?
«Sono gli altri a pensarlo, io no».
Senta, ma a che le servono tutte quelle auto da mezzo milione di euro l’una?
«Valgono molto di più. Ho comprato una sessantina di Rolls-Royce e una quarantina di Bentley e le ho fatte restaurare. È un mercato in crescita. Il pezzo forte è una Rolls Silver Wraith del 1957, con minibar in radica e interni personalizzati da Hermès, la maison preferita di mia moglie Wendy, console generale del Belize a Milano. Riprende il colore giallo della boutique di via Montenapoleone. Avevo anche la Jaguar del dittatore cubano Fulgencio Batista, ma l’ho donata al Museo de la Revolución dell’Avana».
Dove l’aveva scovata?
«Me la regalò Fidel Castro, il più magnetico capopopolo che abbia mai conosciuto. Mi concesse il monopolio su sigari e vaccini cubani in Sudamerica, tranne l’Argentina, dove l’esclusivista era Juan Martín Guevara, il fratello minore del “Che” detenuto per otto anni durante la dittatura del generale Jorge Videla».
Conosce Carlo III del Regno Unito.
«Ovvio, è il sovrano del Belize. La prima volta lo incontrai nel 1986, grazie a una partita di polo in Inghilterra: la regola impone che lì si possa disputarla solo se hai in squadra almeno un britannico. Intrattenevo rapporti con Ronald Ferguson, padre della principessa Sarah. “Ci penso io”, mi tranquillizzò. E ci trovò il compagno di gioco: il prince of Wales».
Adesso lei e Carlo vi scrivete.
«Mi sono scusato per lettera quando gli ho regalato un ombrello con il manico di bambù uguale al mio, fatto a mano da Mario Talarico, artigiano di Napoli».
Scusato perché?
«È in tessuto blu. Colore poco reale. Ma detesto il nero. Ho 20 smoking, tutti blu, o al massimo bianchi, verdi, marron, viola. E cinque frac blu navy. Non voglio essere scambiato per un cameriere».
Evita anche le calze di colore blu?
«Certo. Sono fucsia. A Parigi le produce per me Charvet di place Vendôme».
Posso sapere quanto pesa?
«Sui 100 chili. Da campione di polo ero 57. Quindi ho abiti di tutte le taglie».
Chi è il suo sarto?
«Mi vesto a Torino. Un tempo era il siciliano Salvatore Collura, purtroppo scomparso. Oggi è Daniel Robu, un fuoriclasse romeno. Ho promesso a re Carlo III di presentarglielo. Ha una sartoria sociale, dove lavorano molti stranieri. Dà un futuro agli immigrati».
Noto che tiene slacciato l’ultimo bottone sulla manica della giacca.
«Obbligatorio, direi».
Chiesi a Giovanni Nuvoletti, marito di Clara Agnelli, un giudizio su coloro che hanno questo vezzo. Mi rispose: «Meschinetti. Se il sarto ha sbagliato le misure, si facciano allargare la manica».
«Frequentavo Gianni Agnelli. Sul polso teneva slacciati due bottoni su tre».
Sa dirmi che cos’è l’eleganza?
«Cultura».
E il lusso?
«Trovarsi bene con sé stessi. Il maggiordomo la mattina mi stira i giornali, sennò l’inchiostro sporca le lenzuola».
Destina qualcosa in beneficenza?
«Molto. Ogni anno organizzo un pranzo per 300 poveri e servo in tavola. Papa Francesco mi ha detto: “Guarda che hanno già le mense. Tu devi dargli da mangiare bene!”. Perciò chiamo a cucinare Filippo La Mantia e altri chef famosi».
Ma lei è felice, almeno?
«Super felice. Però ho sempre davanti agli occhi una scena vista a Gaza: una palestinese costretta a partorire sull’asfalto a 50 metri dall’ospedale. Gli israeliani le avevano impedito di raggiungerlo».
Guerra anche tra Procure. Patatine San Carlo, l’impero diviso dalla faida familiare: la denuncia del fratello alla sorella per il “sequestro” del padre. Redazione su L'Unità il 3 Ottobre 2023
Una battaglia tra fratello e sorella, ma anche tra magistrati di due diverse Procure. È lo scontro senza precedenti che vede coinvolto Alberto Vitaloni, l’ex patron dell’impero delle patatine San Carlo, società che nel solo 2022 ha avuto un fatturato di 323,8 milioni di euro, con un incremento del 16,3% rispetto ai 278,2 milioni del 2021, con utile netto di 15,8 milioni, in crescita del 193%.
Ma dietro questi numeri c’è una storia complicata di rapporti familiari. Tutto nasce dai problemi di salute di Vitaloni, 88 anni, che nel recente passato ha avuto ripetuti ictus cerebrali ischemici: per questo alla guida del gruppo c’è di fatto la figlia Susanna, denunciata dal fratello Francesco.
Quest’ultimo la accusa di “violenza privata, circonvenzione di incapace, sequestro di persona e maltrattamenti nei confronti di un familiare”, come racconta oggi l’edizione milanese del Corriere di Milano. Questo perché Alberto Vitaloni, che secondo il neurologo Giuseppe Lauria Pinter da otto anni a questa parte a causa dei ripetuti ictus “ragiona come un bimbo di 5-6 anni”: nonostante questa situazione clinica, l’anziano patron della San Carlo non riceverebbe alcuna visita medica e verserebbe oggi in uno stato di “demenza vascolare”.
Sempre secondo Francesco Vitaloni, il padre continua a valutare le operazioni societarie, alcune milionarie, anche a vantaggio della sorella. È il caso di alcune operazioni immobiliari, come l’acquisto di due case e due posti auto in via Corridoni per la spesa di quasi cinque milioni di euro. E quello di una villa con i terreni circostanti in provincia di Olbia per altri due. Vitaloni avrebbe “comprato e poi donato la nuda proprietà a Susanna, che nulla ha pagato”.
Gli avvocati Mario Marino e Carlo Taormina, legali di Francesco Vitaloni, sostengono inoltre che il patron ha espresso il desiderio di vedere il figlio durante una delle udienze del tribunale, ma gli sarebbe stato impedito. “L’unica risposta plausibile – spiegano al Corriere – è che ad Alberto Vitaloni gli accertamenti clinici non arrecherebbero nessun danno, mentre ci sarebbero problemi seri solo per Susanna Vitaloni e i suoi famosi professionisti (medici, avvocati, notai, manager) che fingono che Alberto Vitaloni stia bene, facendogli sottoscrivere atti di Consiglio d’amministrazione che non comprende, facendogli firmare email scritte dai professionisti della figlia, insomma facendogli compiere ogni tipo di atto necessario a Susanna per mezzo di firme e sottoscrizioni varie, vergate flebilmente da mano tremolante e da soggetto totalmente incapace”.
Una situazione complicata, una faida familiare a cui si aggiunge anche un conflitto tra Procure. Quella di Brescia, competente territorialmente, sta indagando sull’esposto-denuncia presentata dai due avvocati di Francesco Vitaloni su Rossana Guareschi: quest’ultima è la pm competente sul caso Vitaloni, ma a cui il capo della Procura di Milano Marcello Viola ha voluto affiancare in maniera poco comune il procuratore aggiunto Letizia Mannella “trattandosi di delicato procedimento penale che necessita di solerte trattazione”. Procura di Brescia che ha in corso accertamenti anche sul giudice istruttore Giovanni Rollero, che da presidente della sezione Tutele “avrebbe dovuto necessariamente disporre una consulenza tecnica medica con il solo scopo di verificare, in modo oggettivo, se Alberto Vitaloni fosse o meno in grado di intendere e volere”. Redazione - 3 Ottobre 2023
Andrea Galli per il “Corriere della Sera” - Estratti il 3 ottobre 2023.
Da otto anni ormai, nonostante ripetuti ictus cerebrali ischemici che l’hanno regredito «a ragionare come un bimbo di 5-6 anni» — secondo il parere di Giuseppe Lauria Pinter, eccellenza mondiale della Neurologia, che aveva esaminato le cartelle cliniche degli ospedali dei ricoveri —, nessun medico ha mai visitato Alberto Vitaloni, l’ex patron dell’impero delle patatine «San Carlo», accertando l’eventuale antitesi tra le stesse condizioni di salute dell’anziano, che versa in uno stato di «demenza vascolare», e le operazioni societarie da lui valutate, decise, firmate.
Specie quelle milionarie a vantaggio della figlia Susanna, a capo dell’azienda e denunciata dal fratello Francesco per i reati di «violenza privata, circonvenzione di incapace, sequestro di persona e maltrattamenti nei confronti di un familiare». Ovvero il medesimo genitore di cui, a oggi, non esisterebbe traccia fisica ignorando Francesco dove egli sia, in quali condizioni versi, chi e come lo assista. Gli viene perfino impedito il dialogo dal personale di servizio della magione della sorella, il presumibile ma non accertato luogo di residenza del papà.
(...) Dapprima la dottoressa Rossana Guareschi, competente sul caso Vitaloni, cui il capo della Procura Marcello Viola, con un’azione non certo frequente ma assai significativa, ha appena deciso di affiancare il procuratore aggiunto Letizia Mannella «trattandosi di delicato procedimento penale che necessita di solerte trattazione».
Altresì la Procura di Brescia, dopo aver iniziato a elaborare l’esposto-denuncia dei due legali di Francesco Vitaloni, ha in corso accertamenti sui colleghi milanesi: la stessa Guareschi nonché il giudice istruttore Giovanni Rollero, che da presidente della sezione Tutele «avrebbe dovuto necessariamente disporre una consulenza tecnica medica con il solo scopo di verificare, in modo oggettivo, se Alberto Vitaloni fosse o meno in grado di intendere e volere».
La coppia dei legali, Mario Marino e Carlo Taormina, insiste sul desiderio, espresso dall’anziano in un’udienza, di «rivedere il figlio Francesco», evento però appunto mai verificatosi; legali che, nel riassumere la faida e rispondere alle numerose domande che si generano, sostengono questo: «L’unica risposta plausibile è che ad Alberto Vitaloni gli accertamenti clinici non arrecherebbero nessun danno, mentre ci sarebbero problemi seri solo per Susanna Vitaloni e i suoi famosi professionisti (medici, avvocati, notai, manager) che fingono che Alberto Vitaloni stia bene, facendogli sottoscrivere atti di Consiglio d’amministrazione che non comprende, facendogli firmare email scritte dai professionisti della figlia, insomma facendogli compiere ogni tipo di atto necessario a Susanna per mezzo di firme e sottoscrizioni varie, vergate flebilmente da mano tremolante e da soggetto totalmente incapace».
Il fratello disabile Fermo restando lo scontato diritto di replica degli interessati, non meno centrali risulterebbero però le operazioni immobiliari: ad esempio l’acquisto dell’anziano di due unità abitative e due posti auto nell’elitaria via Corridoni per un importo di quasi 5 milioni, e di una villa e circostanti terreni in provincia di Olbia per oltre 2 milioni e mezzo. Ebbene, Vitaloni avrebbe «comprato e poi donato la nuda proprietà a Susanna, che nulla ha pagato».
Si intende che l’inchiesta, anzi la duplice inchiesta tra Milano e Brescia, potrebbe ridisegnare gli assetti di «Unichips Finanziaria», la holding di controllo delle partecipazioni del gruppo oggi governata da Susanna. E laddove servissero ulteriori dati per gli inquirenti, permane il mistero relativo a uno dei due fratelli di Susanna e Francesco, disabile: Francesco giura d’ignorare dove si trovi, se abiti a Milano o altrove. Forse anche per quest’uomo, come pare per il genitore, il personale incaricato di seguirlo potrebbe aver firmato, in fase di assunzione e pena sanzioni, massimi giuramenti al silenzio. A cominciare da quello con il resto della famiglia.
Aldo Grasso per il Corriere della Sera - Estratti domenica 3 dicembre 2023.
La legge del caso e della casa. I Benetton di Ponzano Veneto hanno deciso di spartire il patrimonio fra i quattro rami della dinastia: tutti hanno avuto la stessa quota. C’era però un piccolo problema. Con i soldi è facile dividere, con il mattone un po’ meno. Così la famiglia ha dato mandato ai consulenti di assegnare il cospicuo patrimonio immobiliare in modo casuale e trasparente. Non sappiamo se con un sorteggio tipo Champions League, se con i dadi (...)
Non è nostra intenzione mettere il naso negli affari altrui ma è difficile poter dimenticare che il nome dei Benetton è ancora associato al crollo del ponte Morandi di Genova, quali gestori di Autostrade: un’acquisizione vantaggiosa che consentiva loro di ricavare una tombola di circa 300 milioni di euro l’anno in contanti. La loro fortuna non sono stati solo i maglioncini colorati ma i pedaggi autostradali.
I Benetton si sono sempre vantati di saper comunicare (le famose campagne di Oliviero Toscani, quelle sui temi sociali) ma ci sono occasioni in cui la discrezione, il riserbo, il silenzio su certe lotterie rappresenterebbero un segno di rispetto verso chi, quel tragico 14 agosto 2018, ha perso la vita o ha perso la casa.
Succession, scansati. I panni sporchi di Kendall Caprotti e la mia rinuncia all’eredità. Guia Soncini su L'Inkiesta il 27 Novembre 2023
Il figlio del fondatore di Esselunga ha raccontato più o meno ogni due pagine del suo memoir quanto il padre fosse miserabile, invidioso, stronzo, meschino, anaffettivo. Bisogna presentarlo a Jesse Armstrong
Non molto tempo fa, una conoscente m’ha detto che le avevano detto una cosa di me. Ero, mi ha detto, così etica che, quando era morto mio padre col quale non ero – eufemismo – in buoni rapporti, avevo rinunciato all’eredità. Me l’ha detto, povera, molto convinta e un po’ ammirata.
A volte ci vuole meno d’un minuto per perdere la stima degli interlocutori, ma c’è da chiedersi se valga qualcosa la stima di interlocutori che ti hanno capita così poco. Ma come ti viene in mente, le ho detto. Ma chi te le racconta queste cazzate, le ho detto. Ma secondo te, le ho detto.
Ti pare che io, che penso solo ai soldi, se in quell’eredità ci fossero stati altro che debiti ci avrei rinunciato? Ti pare che io, che penso solo ai soldi, non avrei perdonato a mio padre ogni sua pecca se avessi avuto dei beni da ereditare? Ti pare che io, che penso solo ai soldi, spenda seicento euro di notaio per una questione morale e non pratica?
Ho ripensato a quella mia conoscente per tutta la parte finale della lettura di “Le ossa dei Caprotti – Una storia italiana”, la parte che tutti conosciamo, quella dei settantacinque milioni (euro, no lire, se come me ancora dovete convertire la valuta nel cervello) alla segretaria, quella dei tre testamenti, quella della disputa tra i figli di primo letto e la seconda moglie.
Prima di allora, leggendo, pensavo: Jesse Armstrong, dove sei. Jesse Armstrong, vieni qui, ho trovato la soluzione alla tua scellerata decisione di terminare “Succession”. Jesse Armstrong, lo so che non avevi mai pensato di far diventare la tua storia di miliardario fattosi da sé con figli imbecilli un “The Affair”, quello sceneggiato in cui la storia veniva raccontata da più punti di vista.
Ma, Jesse, non ci avevi pensato solo perché io non ti avevo ancora presentato Giuseppe Caprotti, il cui memoir sostituto della psicanalisi mi ha fatto pensare tutto il tempo: oddio, e se la storia che abbiamo visto in tv fosse sbilanciata in favore di Logan Roy? Se raccontata dal punto di vista di Kendall (o, molto meglio, di Roman) fosse completamente diversa?
Se prendessimo tutti quei dettagli filiali recriminatori, Roman che il fratello una volta l’ha chiuso in una gabbia, Kendall che non sa se il suo nome nel testamento è sottolineato o cancellato, e li facessimo diventare la volta che non ho potuto portare la sorellastra a vedere “La carica dei 101”, o quando papà mi ha sgridato per certe tovaglie ma avevo ragione io.
Solo, Jesse, scansati un attimo, perché prima di presentarti il Kendall Roy di Lombardia, devo presentare lui allo scrittore più scarso che abbia mai conosciuto, e di cui generosamente non farò il nome. Colui che, undici anni fa, lesse il manoscritto di “I mariti delle altre” e mi disse: eh ma però non puoi sputtanare così la tua famiglia.
L’innominato scrittore scarso ha un padre che se io avessi avuto un padre così malvivente a quest’ora farei invidia a Balzac, ma è afflitto dalla patologia di tutti gli scrittori scarsi: la determinazione a fare bella figura. Nessun libro interessante è mai stato scritto cercando di uscirne bene, in proprio o per sangue riflesso.
Giuseppe Caprotti questa lezione deve avercela chiara, perché più o meno ogni due pagine ci ribadisce quanto il padre fosse miserabile, invidioso, stronzo, meschino, sleale, vanitoso, mitomane, vile, privo di buon gusto, anaffettivo. Non tutti gli aggettivi sono esplicitati dall’autore; alcuni sono dedotti da me da comportamenti quali mandare la madre a minacciare l’uomo con cui lo tradisce la moglie, o regalare un certo set di valigie.
“Le ossa dei Caprotti” è una specie di rivalsa di tutti noialtri con famiglie impresentabili ai quali qualcuno, mentre elencavamo delitti e manchevolezze dei nostri consaguinei, opponeva frasi imbecilli quali «Eh, ma è sempre il tuo papà».
Sotto un annuncio di presentazione del libro su Facebook, il primo commento che mi appare dice: «Sinceramente mi chiedo, come mai le è venuto in mente di raccontare tutti i fatti vostri di famiglia!». Puoi mettere tutte le ragioni del tuo rancore in quattrocento pagine di prosa, ma non potrai mai togliere i punti esclamativi alle lettrici sinceramente convinte che i panni sporchi si lavino a pagamento (da uno psicanalista), mica facendoci un libro e incassandone diritti d’autore.
“Le ossa dei Caprotti” mescola almeno due libri. Il secondo libro, quello meno pieno di panni sporchi e che piace ai lettori di saggistica che vogliono dire agli amici che dal tomo che stanno leggendo imparano proprio tante cose, è un trattato sul commercio.
Dal quale scoprire come funziona la rivalità tra la Pepsi e la Coca per gli espositori nei supermercati, perché è bene avere una linea bio se scoppia qualche magagna negli allevamenti non altrettanto controllati, e soprattutto la frase che mi ha reso chiaro perché nel centro di Roma, quando ci andai a vivere più di trent’anni fa, non ci fossero supermercati, costringendomi a fare la spesa in negozi dove sei uova e una scatoletta di tonno costavano ventimila lire, una cifra all’epoca vertiginosa.
Era colpa di Richard Boogaart, e del suo «Milan is everything Rome is not», Milano è tutto ciò che non è Roma, motto veritiero quant’altri mai ma che convinse Bernardo Caprotti a non aprire supermercati sotto Arezzo.
In realtà in centro a Roma non c’erano neanche supermercati non Esselunga, credo dipendesse dal fatto che all’epoca i supermercati erano ancora considerati posti dove trovare parecchio assortimento e che quindi dovevano avere metratura ampia, e nessuno pensava di aprire quei supermercati grandi come monolocali che adesso infestano tutti i centri storici di tutte le città.
Ma questo dato di realtà non m’impedirà di dare la colpa a Boogaart e al suo studio sulla fattibilità realizzato negli anni Cinquanta – anni Cinquanta rispetto ai quali Roma non si è peraltro minimamente evoluta.
Il primo libro, quello per valorizzare il quale devo procurarmi il numero di Jesse Armstrong, è una faida familiare lunga un secolo, con personaggi diversi e nomi uguali (nelle generazioni dei Caprotti si alternano un Bernardo e un Giuseppe), e con tutto il Novecento a far da comparsa: Giorgio Bocca che fa assaggiare al bambino Giuseppe la bagna cauda, Audrey Hepburn che ha il figlio in collegio assieme agli eredi Caprotti, Rudolf Nureyev che rompe i bicchieri raggelando papà Bernardo, mamma Giorgina che ha in casa il busto di Lenin.
(C’è anche uno scorcio di secolo successivo, con Kendall Caprotti che subisce l’ennesima ingiustizia – deve pagare ventiquattro milioni di tasse di successione, e papà non ha pensato a lasciarglieli – e allora affitta ville e si ritrova a ospitare il set d’uno spot con Amber Heard, la cui vera fama dovuta alle cause contro l’ex marito Johnny Depp ancora non è giunta).
Ma, nel primo libro, ci sono soprattutto casini legali che in confronto nella famiglia Roy si volevan bene. Per darvi un’idea: Caprotti (il Caprotti che scrive) dice che non si possono dire le cifre dell’accordo finale con cui vengono liquidate le quote sue e della sorella, giacché c’è un accordo di confidenzialità. Riferisce valutazioni del totale dell’azienda di quattro miliardi di euro, di otto, ha l’aria di chi le pensa comunque al ribasso, precisa che solo l’e-commerce, nel 2020, era valutato un miliardo e duecento milioni.
Poi – mentre noialtri normali petuliamo da qualche notaio su chi abbia più diritti sul trumeau della nonna e quella borsetta l’aveva promessa a me e come si è permessa mia cugina di fregarsela – butta lì che l’esecutore testamentario di Caprotti (del Caprotti padre) per l’incomodo prende un milione di euro. Sono due miliardi di lire, se fate la conversione come me. Lasciatemi dire una cosa dei molto ricchi, diceva uno scrittore d’un secolo fa: sono diversi da voi e da me.
Io, per dire, leggendo pensavo sì a Jesse Armstrong, e al doppio binario della figlitudine (Violetta, la sorella dell’autore, veniva secondo il fratello considerata dal padre una più promettente businesswoman, mentre lui disprezzato in quanto umanista: è o non è questa la storia di rivalsa femminista ma anche di rivalsa su Benedetto Croce che aspettavamo?).
Ma, soprattutto, mentre gli eredi Caprotti si spartivano miliardi di euro (mentre a me fanno ancora impressione i miliardi di lire) per risarcire il trauma di quando papà non faceva salire a casa il cane; mentre l’esecutore testamentario aveva un gettone di presenza a forma del milione di Bonaventura; mentre accadeva tutto questo, io soprattutto pensavo all’unica cosa alla quale pensi a parte i soldi: sì, ma manca un capitolo che mi sveli come fare ad aumentare i punti fragola.
Estratto dell’articolo di Francesco Bertolino per “il Corriere della Sera” il 24 giugno 2023.
La saga Campari si arricchisce di un nuovo capitolo. Che narra di un accordo da 50 milioni di euro stipulato fra i tre fratelli Garavoglia: Luca, Alessandra e Maddalena. I primi due, riuniti nella holding Lagfin, controllano il 54% della multinazionale titolare di uno dei marchi italiani più noti al mondo.
La terza, Maddalena, fece causa nel 2000 ai fratelli e alla madre, accusando di essere stata estromessa dall’azionariato della Campari con un aumento di capitale. Nel 2006 vinse il processo ottenendo 100 milioni di risarcimento; poi una transazione chiuse la vicenda giudiziaria.
Ma non i dissidi in famiglia, destinati a ripresentarsi, dieci anni più tardi, alla morte della madre Rosa Anna Magno che ha nominato Luca e Alessandra suoi eredi universali. Maddalena, venuta a sapere che l’inventario dei beni della madre era stato fatto nel 2017 in sua assenza dal notaio, dallo zio (esecutore testamentario della sorella Rosa Anna) e dal procuratore che agiva per conto dei fratelli (che erano assenti) presentò una querela nei loro confronti.
Il processo penale si è concluso nel 2022 con l’assoluzione di tutti gli imputati con la formula più ampia: «Perché il fatto non sussiste». All’epoca della denuncia, però , il legale di Luca e Alessandra Garavoglia aveva ammesso l’esistenza di altre cause civili promosse da Maddalena riguardo alla successione dei beni della madre.
Ebbene, in questo contesto si inserisce una seconda transazione che emerge dal bilancio appena depositato dalla cassaforte lussemburghese Lagfin. «Il 30 marzo del 2023 la compagnia insieme ad altri convenuti ha definito un contenzioso per il quale l’attore aveva inizialmente preteso un importo superiore ai 400 milioni», si legge nel documento della holding di Luca e Alessandra Garavoglia.
Il ricorrente anonimo altri non è che la sorella Maddalena. «Lagfin corrisponderà all’attore un importo complessivo di 50 milioni in più tranche: una prima di 10 milioni nel 2023 e 10 tranche annuali consecutive a partire dal 2024 di 4 milioni ciascuna», prosegue la nota della società che, contattata, ha preferito non rilasciare commenti, così come l’avvocato di Maddalena.
L’importo è significativo, ma non certo tale da incidere sugli equilibri della holding. Basti pensare che ad aprile Lagfin ha incassato dalla controllata Campari 37 milioni di dividendi a valere sul bilancio del 2022, chiuso dal gruppo con 2,7 miliardi di ricavi e 333 milioni di utile. […]
Capitalismo familiare. Cosa insegna la dynasty Del Vecchio sul capitalismo italiano. Sei figli da tre donne diverse. Nelle scelte del fondatore scomparso un anno fa hanno prevalso le ragioni sentimentali su quelle aziendali. Così la successione si è arenata nel conflitto tra eredi. Luigi Balestra su L'Espresso il 23 novembre 2023
A distanza da poco più di un anno dalla morte si ritorna a parlare dell’eredità di Leonardo Del Vecchio, imprenditore tra i più eclettici e lungimiranti che il Paese abbia avuto. La capacità di farsi da sé, divenendo artefice del proprio successo, nonché di costruire rapporti improntati a una particolare sintonia con i propri lavoratori, valorizzandone ruoli e prerogative attraverso una serie di riconoscimenti in termini di welfare, sono alcuni dei meriti che gli vanno senz’altro riconosciuti.
All’indomani del decesso, Paolo Chissalè, dipendente e storico componente Rsu, ricordava che Del Vecchio donò azioni ai dipendenti, adottando una rilevante serie di misure assistenziali. Concepì, di fatto, un patto generazionale in cui si percepiva una chiara attenzione alla persona e alle sue prerogative esistenziali.
L’azienda per Del Vecchio, così come per gran parte degli imprenditori che hanno costruito il proprio successo all’indomani del secondo grande conflitto, ha rappresentato una creatura, un figlio, dal quale è stato impossibile distaccarsi fino al momento della morte. Del Vecchio, ancorché avesse superato abbondantemente gli ottant’anni, ha continuato a tenere in mano il timone fino all’ultimo.
Non si è curato – e qui veniamo a una nota dolente – di dar vita per tempo a un concreto ed effettivo passaggio generazionale che, in modo graduale, potesse innescare un cambio progressivo, condiviso e idoneo a scongiurare, all’indomani della morte, il pericolo di fratture familiari.
È ben vero che Del Vecchio – a quel che trapelò all’epoca della morte – si diede carico di redigere un testamento analitico, da un lato lasciando saldamente il timone a persone di comprovate qualità, contemplando cariche manageriali a vita (salva la possibilità di dimissioni); dall’altro, prevedendo una suddivisione delle quote della finanziaria Delfin – cui facevano capo gli asset dell’imprenditore – nella misura del 25% alla vedova e del rimanente 75% ai sei figli – avuti da tre donne – per quote uguali. Inoltre, stabilendo che le decisioni di maggior rilievo venissero assunte almeno dall’88% del capitale sociale, quindi – di fatto – all’unanimità.
Orbene, tralasciando ogni considerazione di natura prettamente giuridica in merito alle scelte compiute, merita di essere posto in evidenza come Del Vecchio, statuendo nel senso prima descritto, abbia manifestato un marcato sentimentalismo, dando prevalenza e rilievo agli affetti rispetto alle esigenze di governance dell’impresa.
Ha inteso perseguire un preciso obiettivo: tenere unite tutte le persone a cui era legato sentimentalmente – tra l’altro appartenenti a «gruppi familiari» differenti – con il rischio, quanto mai evidente per chi si dia carico di osservare le vicende della vita con occhi disincantati, della verificazione di situazioni di impasse difficilmente districabili.
Il difficile gioco dei sentimenti, ancor più quando si combina con gli interessi economici, rischia di generare un paludoso groviglio di tensioni, di rivendicazioni, di conflitti e di richieste. Rispetto a tutto ciò l’interesse aziendale, nella sua oggettività, è destinato irrimediabilmente a passare in secondo piano.
Le vicende venute alla ribalta di recente, con il conflitto insorto tra gli eredi in ordine alla gestione delle questioni successorie, delineano con lampante evidenza uno scenario che, già al momento della morte di Del Vecchio, non era difficilmente preconizzabile. La circostanza che gli eredi – a fronte dell’immenso valore del patrimonio ereditario – stiano litigando sul pagamento delle imposte di successione e sull’adempimento di alcuni legati, la dice lunga sulle difficoltà di realizzare il disegno (sentimentalmente) perseguito dal defunto. Ben può comprendersi l’amaro sfogo di Leonardo Maria Del Vecchio, il quale ha dichiarato di vergognarsi per non essere ancora riusciti a chiudere la successione.
È la riprova dell’esistenza di una precipua esigenza nell’attuale contesto socioeconomico, di cui nondimeno gli imprenditori fanno difficoltà a darsi carico: disciplinare tempestivamente le sorti future dell’azienda guardando alle oggettive necessità future della medesima e, al contempo, lasciando da parte i sentimenti e quell’irrealizzabile desiderio di accontentare tutti i familiari.
Il passaggio generazionale, anche tenuto conto dell’età media dei nostri imprenditori, costituisce una fase cruciale per tantissime imprese, ancor più nella delicata fase di ripartenza che stiamo tentando di innescare all’indomani della pandemia e al cospetto di guerre dagli effetti devastanti nello scenario globale e dagli esiti, allo stato, non facilmente prevedibili. Occorre darsi carico di promuovere un’adeguata cultura e sensibilizzazione rispetto al tema della sopravvivenza delle aziende oltre la vita del fondatore, concentrando ogni sforzo affinché – senza in alcun modo disconoscere i meriti dell’artefice del successo e di tutti coloro i quali vi abbiano contribuito – a prevalere sia l’oggettiva realtà economico imprenditoriale rispetto alle persone fisiche che l’abbiano creata e gestita per un determinato periodo di tempo.
Luigi Balestra è avvocato e ordinario di Diritto civile all’Università di Bologna
Estratto dell'articolo di Mario Gerevini per corriere.it il 3 ottobre 2023.
Lo yacht e il jet. Un pezzo dell’eredità di Leonardo Del Vecchio è ormeggiato al porto di Monaco-Montecarlo ed è in vendita da novembre ma la cifra è stata appena ritoccata al ribasso, per la seconda volta, dal broker: 27.890.000 euro («prezzo imbattibile») contro una richiesta iniziale di 38 milioni.
Un altro pezzo del valore (da nuovo) di circa 70 milioni vola da un continente all’altro sotto il controllo della società lussemburghese (ex Isole Vergini) Vast Gain Group. Lo yacht Moneikos e il jet Gulfstream G650, sono due lussuosi e costosi “benefit” dell’ex Martinitt, una piccola porzione del patrimonio miliardario lasciato agli eredi.
Lo yacht era nel portafoglio personale del fondatore di Luxottica mentre il jet fa capo, indirettamente, alla holding di famiglia Delfin. Il panfilo di 62 metri è tra i beni dell’attivo ereditario da liquidare e dunque la somma andrà ad alimentare i conti ereditari presso Unicredit Luxembourg. Intanto però i costi di mantenimento sono enormi.
Per dare un’idea: 180 mila euro è la cifra pagata solo di premi assicurativi per le auto e le imbarcazioni ereditarie. Altre centinaia di migliaia partono per manutenzione, stipendi dell’equipaggio, spese di ormeggio (Monaco non è low cost), connessione, servizio satellitare ecc. Gli esperti stimano un costo di gestione annuale di circa 3 milioni. […]
L’altro mezzo di locomozione per benestanti è un business jet che fa capo alla Vast Gain Group Ltd, creata nel 2007 alle British Virgin Islands e traslocata in Lussemburgo nel 2015 . Si tratta di un Gulfstream G650, uno dei modelli top del mercato per il suo mix di autonomia, velocità (oltre 1.100 km/h) e spazio. […] Nuovo costa circa 70 milioni di dollari.
Nella società degli eredi Del Vecchio è a bilancio per un valore di 32 milioni. Sarà venduto? A differenza dello yacht non risultano mandati e per ora è noleggiato a una compagnia lussemburghese […]
Estratto dell’articolo di Candida Morvillo per il “Corriere della Sera” domenica 16 luglio 2023.
Leonardo Maria Del Vecchio […] è il quarto dei sei figli del fondatore della Luxottica degli occhiali, l’unico avuto da Nicoletta Zampillo che è stata seconda e terza moglie e, che da un anno, da quando Leonardo Del Vecchio è mancato, ottantasettenne, ne è la vedova. Soprattutto, Leonardo Maria è l’unico figlio che lavora in EssilorLuxottica, colosso da 80 miliardi di capitalizzazione, 25 miliardi di fatturato, 200mila dipendenti. A soli 28 anni, è chief strategy officer.
[…] Leonardo Maria ha scarpe con la suola di gomma comode per camminare e i capelli lunghi di chi va dal barbiere quando proprio non può farne a meno. Siamo arrivati in questa sterminata sala riunioni attraversando corridoi, hall che sembrano d’aeroporto, costeggiando pareti di vetro che guardano Milano dall’alto. Fino a un anno fa, questo era il quartier generale dell’uomo che, cresciuto in orfanotrofio, fondò un impero.
Oggi, qui, c’è il figlio che più gli è stato vicino negli ultimi anni che rilascia la sua prima intervista. C’è una sola domanda a cui non risponderà e non è quella su cui s’interroga tutto il mondo della finanza. Ovvero, se la holding Delfin che riunisce gli otto eredi, fra cui quattro che hanno accettato l’eredità con beneficio d’inventario, tenterà ancora la scalata a Mediobanca e Generali sognata dal padre.
Invece, quando gli chiedo l’ultimo ricordo che ha di lui in ospedale, tace. Leonardo Maria ha mani dalle dita affusolate come quelle di suo papà, che principiò tutto questo assemblando astine e frontali di occhiali. E, ora, le sue mani tremano leggermente. Silenzio. E ancora silenzio. Infine, domando: e il ricordo più allegro di suo padre? «Quando giocavamo a burraco. Quando vinceva, rideva e mi prendeva in giro. Quando perdeva, si incavolava come una iena». E, ora, la sua risata fa vibrare ogni parola. Sorride. «È solo il primo ricordo che mi è venuto in mente».
Che spartiacque è stato, per lei, il 27 giugno 2022, giorno della morte di suo padre?
«Tutti noi della famiglia e, intendo la famiglia allargata all’azienda come la intendeva mio papà, abbiamo perso un padre, c’è chi ha perso un marito, chi un amico, chi un mentore. Io ho avuto la fortuna di stargli vicino sul lavoro anche mentre facevo l’università.
Stavo qui tutto il giorno e ho imparato tantissimo da lui e da Francesco Milleri, che oggi è il presidente e amministratore delegato di EssilorLuxottica e il presidente di Delfin. Poi, ovviamente, le ultime settimane prima dell’esame, studiavo. Se mi chiede se c’è un Leonardo Maria del prima e del dopo... La perdita di mio padre era il momento a cui avevo cercato di preparami per tutta la vita, ma quando succede davvero, non è come te lo aspetti. La cosa che è cambiata è che lui non c’è più».
E come sono cambiate le sue responsabilità, le aspettative nei suoi confronti?
«Sono aumentate. Prima, il centro dei miei sforzi era lui, era dimostrargli che poteva fidarsi di me. Adesso, sono altre sette persone, non meno esigenti di come era lui».
Sette non è un numero a caso.
«Sono i familiari che siedono in Delfin, i tre miei fratelli che papà ha avuto dal primo matrimonio, i due avuti da un’altra compagna, quindi mia madre e Rocco Basilico, figlio delle prime nozze di mamma e chief wearable officer dell’azienda e responsabile del marchio Oliver Peoples a Los Angeles».
E lei come dimostra che possono fidarsi?
«Con i risultati. Cercando di fare ogni giorno meglio del precedente».
[…] Che rapporto ha con Milleri?
«Francesco è il mio punto di riferimento. Da quando papà non c’è, mi è stato molto vicino sul lavoro, dandomi fiducia, e anche fuori dal lavoro: è stato un ultimo regalo di mio padre».
E com’è il rapporto coi suoi fratelli?
«Siamo tre famiglie diverse, tre generazioni diverse. I due piccoli devono ancora finire uno la scuola, l’altro l’università, mentre Claudio, il maggiore, ha più di 60 anni. Conciliare idee e visioni non è semplice, però il dialogo deve essere costruttivo e io ci metto tutto l’impegno.
Ai funerali di papà, davanti a decine di migliaia di dipendenti ad Agordo o collegati nel mondo, ho promesso di curare il suo lascito dando fino all’ultima goccia di sangue. Mai da solo, ma col management di EssilorLuxottica e di Delfin».
Suo padre ha stabilito per l’assemblea di Delfin una maggioranza dell’88 per cento nelle decisioni straordinarie. Questo come si concilia con quattro fratelli che hanno accettato l’eredità con beneficio d’inventario?
«Io, e non solo io, ho accettato senza riserva. Ovviamente, il meccanismo di beneficio d’inventario ha allungato i tempi del processo di successione, che si sarebbe altrimenti chiuso in poco tempo, dato che noi figli e mia madre avevamo già la nuda proprietà delle quote di Delfin.
Rimaneva solo da seguire la volontà di nostro padre: premiare i manager che hanno reso l’azienda quello che è, in particolare Francesco. Con lui, l’azienda ha più che raddoppiato il fatturato e triplicato l’utile. I circa 300 milioni di euro in azioni che gli sono stati destinati possono sembrare tanti, ma non lo sono, se paragonati a un’eredità di quattro miliardi per ciascuno. Per cui, se penso che non siamo ancora riusciti a chiudere la successione, sinceramente, me ne vergogno».
All’inizio, ci si chiedeva, piuttosto, se la famiglia avrebbe pagato anche le tasse di successione di Milleri, invece, è in discussione il suo stesso lascito. Pensa che vi ricompatterete?
«Lo spero e lotterò affinché questo avvenga secondo le volontà di mio padre. Di Francesco posso dire che non ha parlato di tasse o non tasse e che ha dato priorità non alla sua posizione, ma alla chiusura della successione, cercando non dico di metterci d’accordo, ma di non intralciare e, anzi, di agevolare Delfin».
Se il disaccordo persiste, si butta a mare famiglia o azienda?
(Di nuovo, quella risata. La sua) «L’azienda non si butterà mai a mare».
Suo padre combatteva una battaglia per salire in Mediobanca e Generali, da molti definita «patriottica». Lei, idealmente, si sente di raccogliere questa eredità?
«Innanzitutto, non userei la parola “combattere”. Penso invece che sia l’Italia sia Generali che Mediobanca, dovrebbero essere contente che ci sia stato un investimento da parte di mio padre: l’investimento di un italiano, perché le quote di Mediobanca le abbiamo prese da Vincent Bolloré, che è francese.
Papà è stato accusato di aver portato le aziende in Francia, ma quando ha investito in quelle italiane è stato ugualmente accusato. Per rispondere alla sua domanda, su queste operazioni, mio padre ha lasciato compiti precisi a Francesco e al management di Delfin e io, come azionista, le condivido e, naturalmente, supporto al cento per cento le decisioni che sono espressione della visione di mio padre».
Suo padre ha espresso queste volontà per iscritto o come?
«Chi ha lavorato con lui sa quello che voleva fare, perché voleva farlo e qual era la sua visione: non ha mai fatto investimenti per ribaltare un’azienda o per mandare a casa qualcuno, li ha fatti per far andare meglio le aziende e valorizzare le persone».
Il giovane Del Vecchio si alleerà nelle scalate, come fece suo padre, col vecchio Francesco Gaetano Caltagirone?
«Franco era amico di mio padre, è una persona di grande lealtà e spessore ed è anche mio amico».
[…] Davvero ora sposa l’attrice Jessica Michel?
«Sono ufficialmente fidanzato e molto felice di esserlo. Ma non mi sono già sposato, come alcuni hanno scritto, si parlerà di matrimonio non prima di un anno. Ho conosciuto Jessica a Cannes nel 2017, prima di laurearmi.
Festeggiavamo i cento anni degli occhiali Persol, l’evento era uno dei primi compiti che mi era stato affidato. Ci siamo scambiati poche parole, ma da quella prima volta è nata... Come descriverla? Un’elettricità che non ci ha davvero mai divisi e che ora ci ha portati a dire sì. Lei in particolare» (rieccola, la risata).
Però, non si era fatto avanti?
«Io avevo 22 anni, lei 26 e aveva già un figlio, l’ho percepita subito come una donna, mi sono piaciuti la sua maturità, il suo senso del dovere, ma quando sei così giovane, la differenza d’età conta più di quanto conti oggi a 28 e 32 anni. L’ho rivista due anni dopo in Sardegna a un evento Unicef, con cui collaboro. Abbiamo passato del tempo con amici, ci siamo conosciuti meglio, ma lei era fidanzata. Negli anni, ci è capitato di rivederci per caso. Verso febbraio, marzo di quest’anno, ci siamo sentiti ed eravamo entrambi single. Il resto, è storia».
È l’enorme diamante giallo che Jessica porta all’anulare sinistro.
«Le ho chiesto la mano a Conca Del sogno, un posto incantevole a Massa Lubrense. Non era programmato per quella sera e, quindi, non avevo l’anello. Appena lei mi ha detto sì, mi sono precipitato a Capri a comprarlo».
[…] Perché il suo matrimonio con Anna Castellina Baldissera è finito così presto?
«Io ero già molto focalizzato sull’azienda, lei era molto giovane, aveva solo 21 anni, ma conservo bei ricordi. Comunque, non che faccia differenza, il matrimonio è durato 14 mesi, non sei, come tanti hanno scritto».
Già che ci siamo, smentiamo anche che il divorzio le è costato 40 milioni?
«Ancora questa storia? Ne abbiamo concordati tre in beneficenza». […]
Per Forbes l’età media dei miliardari è 65 anni. Chi è Clemente del Vecchio, a18 anni è il miliardario più giovane del mondo. Elena Del Mastro su Il riformista il 17 Aprile 2023
Non corrisponde esattamente a quanto l’immaginario collettivo potrebbe far pensare pensando a un paperone. Eppure Clemente DeL Vecchio è il più giovane miliardario del mondo secondo Forbes: ha 18 anni appena compiuti. Nella versione italiana di Forbes si legge che l’età media dei miliardari è 65 anni ma ci sono casi in cui giovanissimi rampolli ereditano dai genitori una fortuna. Come è successo a Clemente, figlio di Leonardo Del Vecchio, fondatore di Luxottica, l’impero degli occhiali e delle lenti da vista che ha il suo quartier generale ad Agordo, in provincia di Belluno. Clemente aveva appena 18 anni quando ha perso il suo papà il 27 giugno scorso. Il capitale in suo possesso varrebbe circa 3,5 miliardi di dollari.
Di Clemente si sa pochissimo. Secondo quanto riportato dal Corriere della Sera, la sua ricchezza deriva dalla ripartizione stabilita dal padre della società di famiglia. Ha cinque fratelli. Con Luca condivide madre e padre. Poi ci sono i figli avuti da altre due mogli di Del Vecchio: Claudio, Marisa e Paola, i figli avuti con Luciana Nervo. Infine Leonardo Maria, avuto con Nicoletta Zampillo. Ognuno ha avuto la sua fetta di eredità e tanto è bastato per portare Clemente in cima alla classifica dei paperoni più giovani del mondo.
Tra gli altri giovani e ricchissimi rampolli della classifica mondiale c’è anche Kim Jung-youn, 19enne figlia di Kim Jung-ju il defunto titolare della società giapponese e coreana di giochi online, Nexon, e sua sorella 21enne.
Elena Del Mastro. Laureata in Filosofia, classe 1990, è appassionata di politica e tecnologia. È innamorata di Napoli di cui cerca di raccontare le mille sfaccettature, raccontando le storie delle persone, cercando di rimanere distante dagli stereotipi.
Da ilmessaggero.it l’8 aprile 2023.
Clemente Del Vecchio, a soli 18 anni, è il miliardario più giovane del mondo. Il giovane, fratello di Luca del Vecchio, è l'ultimo figlio del fondatore di Luxottica, avuto dalla compagna Sabina Grossi. Alla morte del padre Leonardo, avvenuta nel giugno del 2022, Clemente ha ereditato un patrimonio netto di 3,5 miliardi di dollari, come spiega Forbes presentando la classifica delle persone più ricche del pianeta. Una ricchezza di famiglia, dunque.
Leonardo Del Vecchio, nato a Milano il 22 maggio 1935 e cresciuto dai Martinitt dopo essere rimasto orfano del padre, ha sei figli avuti da tre mogli. Claudio, Marisa e Paola, nati dal primo matrimonio con Luciana Nervo. Leonardo Maria, avuto dalla seconda moglie Nicoletta Zampillo (che ha sposato nel 1997 e, dopo un divorzio del 2000, ha risposato nel 2010) e Luca e Clemente, nati dalla relazione con Sabina Grossi, ex manager di Luxottica, che però non ha mai sposato.
Sammontana: dal retrobottega di un piccolo bar di provincia a re dei gelati. La storia della famiglia Bagnoli, che da una piccola realtà della provincia toscana, è riuscita a creare un impero con la Sammontana, i gelati all'italiana. Tommaso Giacomelli il 16 Luglio 2023 su Il Giornale.
Tabella dei contenuti
I gelati all'italiana
La Sammontana acquista una vocazione internazionale
L'Italia è una nazione in ginocchio. Da nord a sud, lo Stivale è pieno di cicatrici che devono ancora rimarginarsi. La guerra è stata un'apocalisse che ha mandato le famiglie italiane in grande difficoltà, tra disgrazie personali e città da ricostruire dalle macerie. Empoli è una piccola realtà della provincia di Firenze, una cittadina orgogliosa e operosa, che attinge dalle colline e dalle campagne circostanti i mezzi per sopravvivere, grazie a un tessuto contadino che non ha mai smesso di darsi da fare. Romeo Bagnoli è un ex casellante che, per offrire alla sua numerosa famiglia un futuro migliore, ha impegnato tutto ciò possedeva per rilevare una latteria in via del Giglio. I sei figli prendono presto confidenza con la nuova attività familiare e iniziano a lavorare volentieri dietro al bancone. Il locale si chiama Sammontana e deriva dal nome di una fattoria di Montelupo Fiorentino, dal quale la famiglia Bagnoli reperisce il latte fresco. Un giorno qualunque del 1946, Renzo, il figlio maggiore di Romeo, comincia ad avvicinarsi alle prime nozioni sul gelato e, piano piano, prende confidenza. Le sue creazioni sono buone, a tal punto che nella mente comincia a balenargli un'idea: trasformare la latteria in una gelateria.
I gelati all'italiana
Renzo coinvolge nella sua iniziativa i fratelli Sergio e Loriano. La famiglia Bagnoli si rivela una perfetta squadra di artisti del palato. La fama dei gelati Sammontana arriva sulla bocca di tutti. A Empoli, una fiumana di gente si mette in coda per assaggiare una palettata di questo finisimmo nettare fresco, che costringe il retrobottega del bar di via Giglio a fare gli straordinari. Quell'angusto laboratorio ben presto diventa troppo piccolo per rispondere a una domanda nettamente crescente. La nomea dei gelati empolesi accresce sempre più, superando di gran lunga i confini cittadini. È necessario ampliare l'attività, così nel 1948 viene firmato l'atto di nascita della società Sammontana. Viene coniato, poi, lo slogan "Gelati all'italiana", perché i prodotti della famiglia Bagnoli sono ben diversi dall'Ice Cream che ha proliferato in Italia grazie ai soldati americani, giunti nel Bel Paese durante la Seconda Guerra Mondiale.
Grazie ai primi strumenti di meccanizzazione della produzione, la Sammontana può far fronte a tutta la folta schiera di richieste di gelato, anche al di fuori di Empoli. Nel 1955, per trasportare il gelato a grandi distanze, viene congegnato un contenitore di alluminio da 6 litri. Tre anni più tardi viene costruito il nuovo stabilimento in via Tosco-Romagnola, sempre a Empoli, dove l'azienda fissa la propria sede. Poco più tardi arriva anche il mitico "Barattolino", ancora oggi prodotto icona di Sammontana. Un gelato mantecato di carattere tradizionale preconfezionato, nella quantità ideale per un consumo familiare. Ormai l'ascesa è inarrestabile.
La Sammontana acquista una vocazione internazionale
Negli anni Settanta e Ottanta la Sammontana entra di prepotenza in tutti i bar d'Italia, nessuno escluso, e nei punti di grande distribuzione. Nei congelatori emerge con curiosità l’inconfondibile “cono che fa slurp’’ con la linguetta rossa, che diventa una vera icona popolare. L'autore di questo logo è il graphic designer statunitense Milton Glaser, che lo disegna nel 1980 e lo ristilizza in tempi recenti. La crescita prosegue inesorabile e finiscono sotto l'egida della Sammontana altre realtà come "Sanson" e "Tre Marie". Oggi, l'azienda toscana ha una vocazione internazionale, infatti i suoi gelati vengono venduti in tutto il mondo, ma persevera nel rispetto della tradizione italiana e familiare.
Il presidente è Loriano Bagnoli, mentre Marco Bagnoli, figlio di Renzo, è vicepresidente e, Leonardo Bagnoli, l'amministratore delegato. Gli stabilimenti sono gioielli di tecnologia e dalla catena di produzione custodita in modo geloso e segreto, escono 150.000 pezzi al giorno del leggendario Barattolino. Con oltre 1.100 dipendenti la Sammontana non è soltanto "i gelati all'italiana", ma una delle più floride realtà del campo agroalimentare. In fondo, basta una cucchiata per innamorarsi di uno dei loro prodotti, come se la magia di ottant'anni fa non avesse ancora esaurito i suoi effetti benefici.
Riccardo Illy: «Le nozze in scarpe da tennis senza dirlo ai miei genitori. Feci il facchino, da sindaco niente scorta: giravo armato». Storia di Stefano Lorenzetto su Il Corriere della Sera domenica 16 luglio 2023.
Scritto in Arial, il carattere più banale del pc, il cognome Illy assomiglia a un triplice muro, dal quale l’ultima lettera tenta di sgusciare via. L’imprenditore Riccardo Illy incarna quella ipsilon finale. A 18 anni si fece assumere come facchino da una cooperativa. A 19 se ne andò di casa, senza dire nulla ai suoi, per sposarsi in jeans e scarpe da tennis con Rossana Bettini, che dopo quasi mezzo secolo resta sua moglie. Da sindaco si sottrasse alla scorta che il prefetto di Trieste voleva imporgli e continuò a girare in moto, nonostante l’ordigno zeppo di chiodi esploso davanti alla sua casa: «Però circolavo armato». Nel 2016 lasciò Illycaffè, che ora vede al comando il fratello Andrea, per dedicarsi al Polo del Gusto, la holding familiare dei prodotti di nicchia: Domori (cioccolato), Dammann Frères (tè), Pintaudi (biscotti), Achillea (succhi e confetture bio), Agrimontana (frutta conservata). La mattina appena sveglio beve un tè invece del caffè.
L’uomo è ciò che mangia. «Sì, aveva ragione Ludwig Feuerbach. Un’industria universale. L’uomo mangia da sempre e continuerà a farlo».
Si vocifera che lei consumi gli yogurt scaduti. «Sono ancora vivo».
Ha la tendenza a svicolare. «Non sono un anarchico. È che da ragazzo mal sopportavo gli eccessi di disciplina».
Esemplifichi. «In casa si parlava italiano e tedesco. Per farmi imparare il francese, a 16 anni mio padre Ernesto m’incentivò a tradurre in italiano L’agressivité détournée di Henri Laborit».
L’autore dell’«Elogio della fuga», guarda caso. «Ci ricavai i soldi per passare dalla Vespa 50 al Ktm 125».
È sfuggente ma rigoroso. «Merito di mia madre Anna, convertitasi al valdismo: reputava il cattolicesimo poco rigido. Mi fece battezzare in chiesa solo per non arrecare un dispiacere al nonno Francesco, fervente cattolico, che stava morendo di tumore».
Questo che cosa comportò? «I valdesi non hanno la confessione. Quindi è meglio non peccare».
Il nonno fondò la «Giusto 90 anni fa. Era nato nel 1892 a Timisoara, in Ungheria, oggi Romania. Ma aveva ascendenze francesi. Nelle Ardenne c’è Illy, un paesino».
La concorrenza di Nespresso si fa sentire? «Beh, non c’è confronto fra Nestlè, che nel 2022 ha fatturato 94,6 miliardi di euro, e noi, arrivati a 500 milioni e rotti. Però il primo brevetto delle cialde di carta lo portò in Italia mio padre negli anni Settanta dagli Usa. Lo ebbe da Cyrus Melikian, un armeno».
Perché scese in politica?» «Me lo chiesero cittadini, amici, industriali, scienziati. Arrivarono a me per disperazione, dopo che Giacomo Borruso, rettore dell’università, aveva rifiutato la candidatura a sindaco di Trieste».
La famosa «società civile». «Esatto. Vado orgoglioso di aver portato in consiglio comunale nel 1993 l’astrofisica Margherita Hack e Paolo Budinich, cui Trieste deve il titolo di Città della Scienza».
Ma prese tante pernacchie. «Quella era la specialità dell’indipendentista Giorgio Marchesich, centralinista del Piccolo, il quotidiano locale. Chiudeva i suoi interventi con il versaccio. Siccome aveva il record delle preferenze, divenne presidente dei consiglieri. “Soprintendo i lavori contro la mia volontà”, esordì. Molto simpatico».
Alla Camera andò meglio? «Due anni sprecati a schiacciare bottoni. Il deputato parla mentre un rappresentante del governo finge di ascoltarlo. Il dibattito parlamentare va abolito. È solo una farsa».
Gli imprenditori non devono fare solo gli imprenditori? «No. Troppo facile criticare e basta».
Quindi che differenza c’era fra lei e Berlusconi? «Io agivo per spirito di servizio, lui perché si sentiva minacciato dai comunisti. Lo disse nel 1993, invitandomi a un incontro il cui scopo mi fu chiaro solo l’anno seguente».
Ma lei non era comunista? «Mi considero un liberale».
Come il Cavaliere. «Per me era un oligopolista, benché abbia avuto il merito di circondarsi di gente valida. Penso ad Antonio Martino, per esempio».
È contento di Elly Schlein? «No, credo che sia una iattura per il Pd, per il centrosinistra e pure per Giorgia Meloni, che ancora non lo sa».
La sta avvertendo. Spieghi. «Al leader della maggioranza serve un’opposizione forte, non debole e frammentata, altrimenti si rafforzano i rivali interni. Schlein farà perdere molti voti al Pd. Trovo surreale che l’abbiano eletta i passanti. Il segretario giusto era Stefano Bonaccini».
Quando Matteo Renzi perse il referendum, lei predisse che sarebbe risorto come l’araba fenice. Più che altro è diventato mezzo arabo. «Vero. Una delle mie previsioni sbagliate, non l’unica».
Trieste non era di destra? Le ha fatto un incantesimo? «Semplicemente dissi che avrei accettato la candidatura a sindaco da qualunque partito a patto che non ponesse condizioni e non pretendesse esclusioni. Fui eletto».
La sua famiglia non ebbe mai a che fare con i titini? «Evitammo le foibe, per fortuna. Però il nonno aveva un’azienda agricola in Istria, vicino a Buie, che fu requisita dopo la guerra dal governo socialista jugoslavo: essendo un imprenditore, era considerato nemico del popolo».
Lei chiese «più libertà di licenziare». Poco di sinistra. «Proposi la flexsecurity, che in Belgio ha funzionato benissimo, e due soli sussidi: uno per chi è inabile, l’altro per chi resta senza lavoro».
Che cosa cerca nei candidati all’assunzione? «Intelligenza. E intraprendenza: con gli ordini dall’alto le aziende non ingranano».
Favorevole alla Via della Seta con approdo a Trieste? «Vista la deriva totalitarista di Xi Jinping, che ha cambiato la costituzione cinese per garantirsi il terzo mandato, oggi sarei contrario».
Provi a definire la sua città. «Integratrice di sistemi. La vedeva così il ministro Tiziano Treu e io ero d’accordo».
Un pregio di Trieste? «La qualità della vita elevatissima, per natura, clima, cultura, organizzazione. Supera la media nazionale».
Un difetto? «Il rovescio della medaglia. Conosco dirigenti che hanno rifiutato importanti promozioni per non doversi trasferire in città meno edoniste».
Ricorda la Bologna bollata dal cardinale Giacomo Biffi come «sazia e disperata». «Trieste è sazia ma non disperata».
«Piuttosto che niente, meglio piuttosto», è così? «Era la mia frase preferita. Ma ora ne ho adottata un’altra. L’ho rubata a Vittorio Vannucchi, bolognese, che era mio direttore vendite in Illycaffè ma fu anche arbitro di serie A. Il 13 aprile 1975, durante Inter-Fiorentina, espulse dal campo Giacinto Facchetti. Fu l’unico cartellino rosso in 634 partite del difensore nerazzurro».
Sentiamola. «Meglio arrossire prima, che impallidire dopo».
Estratto dell’articolo di Daniele Manca per il “Corriere della Sera” il 19 marzo 2023.
«Poteri forti in Italia? Ne vedo ben pochi. Eh sì che ne ho incontrati tanti in passato. Ma oggi, cosa si intende per poteri forti?».
Ce lo dica lei.
«Nella seconda metà del secolo scorso c’erano ancora i padroni del vapore, simili ai tycoon americani di frontiera a cavallo del ‘900. Oggi il mondo è del tutto cambiato. La ragione di tutti i guai odierni sta soprattutto nella crisi di classe dirigente degli ultimi decenni — Alitalia, Ilva, Mps, Anas e così via —. Inventarne una più efficiente richiede tempi generazionali.
La mediocrità strisciante riduce anche la credibilità di tante istituzioni, dalla magistratura ferita dalle contraddizioni interne a università lontane dai vertici internazionali: possibile che non ci sia un Premio Nobel dell’economia italiano?».
Ci si siede davanti a Francesco Micheli e il difficile è fissare i mille rivoli di una conversazione che sembra la raccolta dei titoli di giornale fin dagli anni Sessanta […]. […]
Classe 1937, ma non si direbbe. […] Il finanziere «privo di scrupoli» che non ha dimenticato le sue origini, come si sarebbe detto ai tempi delle lotte operaie negli anni Settanta, sembra voler dire che è l’Italia ad aver un problema con il proprio passato.
E si può diventare anche ricchi come nel suo caso.
«Sì, si può diventarlo. Ma poi è facile perdere la testa di fronte alle lusinghe del dio danaro. […] Ho fatto anche la comparsa alla Scala. In casa non mi mancava niente, ma allora come tutti quelli della mia generazione avevamo il sacro fuoco di darci da fare, ed essere indipendenti dalla famiglia».
Ma la Shenandoah, il trialbero a vela da 54 metri con uno Steinway a coda nella libreria esiste...
«A mezza coda, e se per questo anche nella barca precedente, un ketch di 30 metri, avevo un piccolo Yamaha che faceva miracoli grazie ad Angelo Fabbrini […]. […] Sono piaceri. Passioni. Divertimento. Se si ha il gusto di divertirsi è molto più facile realizzare operazioni imprenditoriali positive, come ho fatto inventando tante nuove iniziative […]».
Iniziata però con uno dei signori della Borsa, Ravelli...
«Di sconti non ne faceva. Era riuscito a sopravvivere nel campo di concentramento di Mauthausen promettendo una montagna di soldi a un kapò per salvarsi e salvare i suoi amici ebrei diventati poi grandi clienti. Pensi che l’ho conosciuto quel kapò negli anni ‘60 quando veniva due volte all’anno nell’ufficio di via Dogana, a prendere la paghetta».
Ma il salto arriva con Cefis.
«Formidabile, mi trovai da una parte Eugenio Cefis e dall’altra Gianni Agnelli, i due veri padroni d’Italia conflittuali tra di loro con in mezzo Cuccia che faceva la spola tra di loro, Arlecchino tra i due padroni, un capolavoro. Per i primi sei mesi non avevo un ufficio, stavo seduto su una pila di bilanci nel sancta santorum di Montedison, la segreteria. Da lì ho vinto, assieme a Vincenzo Maranghi braccio destro di Cuccia, la guerra contro Sindona per il controllo della Bastogi e ho portato in Borsa una marea di società del Gruppo».
E si accorgono di lei qualche anno dopo, nel 1985. […] La scalata Bi Invest ai Bonomi, a una delle famiglie che sembravano intoccabili a Milano, fece epoca.
«Ok, otto anni dopo essermi messo in proprio, sembrava una pazzia affrontare una delle famiglie che sembravano intoccabili a Milano. Ma i poteri forti comunque cambiano sempre, in parallelo con operazioni che trasformano un Paese.
Pensi alla nazionalizzazione dell’energia elettrica del 1961. Non ricordo, ma saranno stati 1.500 miliardi di lire, una cifra incredibile per allora, oggi quasi un nonnulla. Purtroppo finirono tutti ai vertici delle società elettriche che ne fecero scempio, mentre agli azionisti […] furono dati titoli obbligazionari sulla base dei valori depressi delle azioni. I titoli elettrici erano allora il massimo dell’affidabilità, l’investimento preferito dalle grandi famiglie della borghesia che così di potere ne persero molto».
Bè anche con Bi Invest qualcuno si è impoverito...
«Tutt’altro […]. Però creò panico al sistema, ai padroni del vapore che possedevano solo piccole percentuali delle società quotate, mentre la maggioranza era diffusa sul mercato. Mi ricordo la mamma di Leopoldo Pirelli, Lodovica Zambeletti, […] che mi diceva quanta apprensione la scalata Bi Invest aveva provocato a suo figlio Leopoldo».
«[…] Le racconto un piccolo segreto. La scalata fu facilitata da Cuccia, perché offeso da Carlo Bonomi che si era rivolto a Efibanca, concorrente di Mediobanca (di cui era anche in Consiglio) per emettere un prestito convertibile: uno sgarbo inaccettabile, il figlio che tradisce il padre, che lo spinge a vendere i titoli sul mercato, il che mi aiutò non poco. Lo stesso fece il dr. Giardina, ad della Finanziaria Milanese che aveva proprio i titoli Bi Invest in garanzie dei debiti di Bonomi, i riporti staccati di allora, che finirono sul mercato. Un secondo regalo del Padreterno per me».
Siamo alla preistoria della finanza attuale. Quella Gemina là?
«Sì quella Gemina al cui tavolo sedevano Fiat, Orlando il re del rame, Arvedi quello dell’acciaio e naturalmente i Bonomi. La Gemina di fatto controllava, tanto per dire, Montedison e Rizzoli. Carlo Bonomi non si accorse dell’operazione attribuendo il rialzo di Bi Invest al rialzo generale del mercato […]».
Ma come anche Enrico Cuccia, il mago della finanza.
«Certo, ma eravamo sulla stessa sponda, poi ci fu un’incomprensione che gli fece dire che “appartenevamo a giardini zoologici differenti”. Non gli risposi che per me era un vanto».
E cioè?
«Lui si ritrovò a difendere le grandi famiglie. Raffaele Mattioli quando gli mise in mano Mediobanca se la immaginava come istituto che affiancasse le medie imprese per farle crescere. Ma Cuccia lo tradì facendo il contrario, il guardiano di alcune grandi famiglie».
Alla fine sempre una questione di soldi, di potere?
«Sì ma in modo diverso, perché oggi l’unico potere forte sta in America. Un Elon Musk o un Jeff Bezos oltre che arricchirsi e basta si assumono responsabilità ben più ampie di quello che fanno. Parlano alla pari col Presidente americano e sono in grado di lanciare un razzo in cielo al posto della Nasa». «[…] Vogliamo parlare delle diseguaglianze? La verità è che oggi pochi si prendono o vogliono prendersi responsabilità. I ricchi sempre più ricchi e i poveri il contrario. E in più il guaio per i giovani di affacciarsi al mondo operativo di oggi».
O forse anche pensare di contare. Per il gusto di scuotere l’albero lei dopo Bi Invest e la scossa ai Bonomi, si imbarca in Fondiaria, una scalata a una delle maggiori compagnie assicurative italiane. Altra scalata storica che spinge l’Avvocato Agnelli a definirla amabilmente un diavolo. Fece la famosa battuta: Bi Invest humanum, Fondiaria Diabolicum...
«L’Avvocato aveva una gran classe che gli consentiva di giocare sull’equivoco di quanto Fiat poteva dare ma soprattutto prendere dal Paese […] Per esempio, l’aver chiuso il Paese alla competizione, qualche danno l’ha fatto all’industria dell’auto italiana. O no? Vede, quando gli americani di Pacific Telesys volevano entrare in Italia, cioè soldi che arrivavano nel Paese, ci inventammo Pronto Italia. E da lì il filo si snoda arrivando fino ad Omnitel che diventa l’attuale Vodafone. Geronzi fu uno dei pochi che capì l’operazione che avevo lanciato assieme a Pellegrino Capaldo, Romano Prodi, Roberto Poli».
[…] Facciamo un passo indietro quando lei gestì l’operazione di Carlo De Benedetti con Calvi e il Banco Ambrosiano.
«Mi limiterei alla conclusione. Quando vengono a galla i buchi esteri del Banco, Calvi è all’angolo e per liberarsi dell’Ingegnere gli ricompra le azioni dell’Ambrosiano e altre attività. Io ero contrario alla cessione ma lui disse “non vorrei infarinarmi”. Un peccato, perché se non l’avesse fatto avrebbe sì avuto una sonora perdita ma oggi, con la sua abilità, sarebbe il padrone di Banca Intesa».
La cultura?
«Insieme a Pollini e Gae Aulenti lanciai il Festival Mito […] Nove anni fantastici, ma lottando contro vischiosità, burocrazie e primazie che la politica voleva avere. Vizio antico che non demorde, come Conte alla Scala».
Conte Paolo, giusto?
«Certo. Dobbiamo stare molto attenti. Sinora abbiamo parlato di eccellenze italiane che non siamo riusciti a preservare e rendere eccellenze mondiali. La Scala è eccellenza mondiale per definizione, come la Ferrari anche quando non vince. Ma per vent’anni l’abbiamo lasciata in mano a stranieri, noi che abbiamo inventato il melodramma».
Colpa della politica o di chi?
«Di un generale disinteresse. Incarnato da una classe dirigente anche politica che non ha avuto voglia di prendersi responsabilità. […]
Certe iniziative di gran moda oggi tipo criptovalute e Nft, Guido Rossi le chiamerebbe cag... La moneta è un’altra cosa, quanto l’arte non è uno scarabocchio, discrasie determinate dalla troppa liquidità in circolazione, tre volte quella necessaria all’economia globale. Ma ancora una volta, frutto di troppa sensibilità per il dio danaro. Così si finisce per vendere l’anima al diavolo facendo la fine di Faust».
Estratto dell’articolo di Giovanni Viafora per il “Corriere della Sera” il 13 marzo 2023.
A 97 anni […] ha appena fatto uscire un libro di memorie […] Francesco Merloni ha attraversato indenne una guerra, sette legislature, il ministero dei Lavori pubblici in piena Tangentopoli e quasi un secolo di impresa, con la sua Ariston […] le radici sempre ben salde nelle Marche, a Fabriano […] Tre Repubbliche, quasi. Da doroteo, sornione, tenacissimo.
Prima elezione: 1972.
«Avevo imparato da mio padre, tre volte senatore. Si era preso un tumore alla gola e non parlava: andavo con lui ai comizi, ma la voce ce la mettevo io».
[…] […] «Il passaggio generazionale fu molto difficile. Avevamo delle fatture pagate con cambiali firmate da Mattei. Tre giorni dopo l’incidente le portai in banca ma le rimandarono indietro: ci avevano chiuso i conti. Per fortuna gli altri istituti non fecero lo stesso».
E i fratelli?
«Con Vittorio (poi presidente di Confindustria, ndr ) litigai una volta sola, quando gli dissi che mio figlio Paolo doveva diventare amministratore delegato. Prima accettò, poi in consiglio votò contro. Era già malato, non lo sapevo. Mi confessò: “Ai miei figli avevo promesso che nella vita non sarebbero mai diventati amministratori delegati”. Con l’altro fratello, Antonio, invece non sono mai andato d’accordo».
Perché?
«Teneva per sé tutte le informazioni dell’azienda che gli era toccata, che però avevo creato io, nel 1953. Azienda di bombole: è con quella che avevamo fatto i soldi per gli elettrodomestici. Le avevo viste fare a Pisa dalla “Pignone”, che le produceva partendo dalle bombe della guerra. La “Pignone” se la comprò poi Mattei: un giorno mi confessò che a spingerlo era stato il sindaco di Firenze La Pira, glielo aveva detto in sogno la Madonna».
Mattei era di Matelica, a due passi da qui.
«Simpaticissimo, mai visto una persona determinata come lui. Quando tornava nelle Marche dalla madre, non avendo amici qui, chiamava a casa nostra. A tavola era uno di famiglia. Mi voleva da lui. A Bascapè lo buttarono giù: furono i servizi francesi. Non gli americani, con loro aveva già un accordo: doveva incontrare una delle sette sorelle».
[…] Lei diventa ministro nel 1992: governo Amato, stavano crollando i partiti.
«Fui scelto per caso; chiesero una terna a Gerardo Bianco. Sull’annuario videro che ero ingegnere e dissero: “Facciamo lui”. […] Con Amato ci trovammo subito: capiva tutto al volo, non aveva neppure una segretaria, gestiva da solo anche l’agenda degli appuntamenti».
Ai Lavori pubblici trova una situazione drammatica.
«Mi capitava di dover consolare le mogli dei dirigenti arrestati che venivano a chiedermi aiuto piangendo. C’era un clima tesissimo. Un giorno alcuni uomini della Guardia di Finanza vennero a chiedermi informazioni: quando uscirono, gli impiegati degli uffici erano tutti in corridoio per vedere se mi stessero portando via in manette. Al ministero si salvarono dall’arresto solo tre donne: una la feci presidente dell’Anas».
Un giorno «Il Giornale» di Berlusconi scrisse che lei era indagato. Non era vero?
«[…] Berlusconi […] Con lui il rapporto è stato sempre particolare». […] «Una volta comprammo un aereo insieme dall’imprenditore Borghi. Silvio mi disse: “Franco, questo aereo andrebbe valorizzato, verniciamolo. Ci penso io”. Qualche giorno dopo andai in aeroporto: l’aveva tappezzato con il simbolo del Biscione. Se lo tenne. […] ci incontravamo in Costa Smeralda sulle nostre barche: poi tutti da lui a Villa Certosa. C’erano sempre un po’ di soubrette di Colpo grosso».
E sua moglie?
«La mia veniva e si divertiva! Era quella di Berlusconi che stava sempre in disparte».
Letta […] «Gli ho detto che dev’essere più spregiudicato, più deciso. Invece aspetta sempre che siano tutti d’accordo».
Draghi le piaceva?
«Siamo amici da tempo. Per eleggere Ciampi al Colle organizzai un gruppetto di “influencer” con alcuni magistrati e generali. Ci riunivamo in una sala che ci dava Mario al ministero delle Finanze».
L’Italia si è vaccinata al populismo?
«Sono ancora tutti là: Salvini, Conte... Conte l’ho conosciuto, sa? Eravamo in Vietnam, nel 2019, ad un’assemblea Italia-Asia. Siamo stati insieme due, tre giorni. Alla fine gli ho chiesto: “Ma tu come intendi la politica, qual è il tuo progetto?”. Mi ha risposto: “Ah, seguo le orme di Moro!”. Si immagini... (ride)».
Lei fu tra i primi ad andare in Oriente.
«Portammo in Cina lo scaldacqua elettrico, non sapevano neanche cosa fosse: per vent’anni ce l’hanno copiato. A Saigon invece pranzai a casa di Giap: eroe nazionale, ma finito un po’ ai margini. Gli parlai della piccola-media impresa marchigiana».
Molti si ricordano del marchio Ariston sulle maglie della Juventus. C’era Platini...
«[…] Vittorio, mio fratello, era presidente di Confindustria: ce l’aveva messo Gianni Agnelli, che voleva liberarsi dei corteggiatori locali. Io, invece, ero amico di Umberto: facevamo le riunioni con Montezemolo nel mio ufficio. Andavo a vedere le partite. Poi ci fu l’Heysel».
Era là?
«Sì, arrivai allo stadio con il pullman della squadra assieme a Boniperti. Dalla tribuna ho visto tutto. Mi precipitai negli spogliatori: c’era anche De Michelis. Boniperti non voleva giocare, fui io a fargli da interprete in francese con la polizia belga. Ci dissero: “È stato mobilitato l’esercito, ma arriva tra due ore; se non giochiamo ci saranno migliaia di morti”. Fu terribile, non andai più allo stadio».
[…] E alla morte ci pensa?
«Ho avuto il Covid. Mi avevano dato per morto. E pensavo, veramente: sarà tra mezzora, tra due ore, domani mattina. Comunque la mia vita l’ho fatta. Cosa posso fare? Sono scampato a tanti incidenti. […] un paio di volte mi sono cappottato. Un’altra volta feci un frontale: in macchina con me c’era Formigoni, feci un mese in ospedale». […]
(ANSA il 24 gennaio 2023.) Rapina, ieri sera, nella villa di Saturnino De Cecco, membro della famiglia proprietaria del pastificio. In azione quattro o cinque malviventi con il volto travisato e probabilmente armati che, entrati nell'abitazione, nella zona collinare di Montesilvano, hanno chiuso moglie e figlia dell'imprenditore in cucina ed hanno costretto l'uomo ad aprire la cassaforte, per poi impossessarsi di gioielli e orologi di pregio. I rapinatori sono poi fuggiti con il bottino. I malviventi, secondo le testimonianze, sarebbero stranieri. Indagini in corso da parte dei Carabinieri.
Da lastampa.it il 24 gennaio 2023.
Colpo nella villa dell'imprenditore Saturnino De Cecco, il re della pasta, a Montesilvano, in provincia di Pescara. La moglie e la figlia di 5 anni stavano rientrando a casa, ieri sera verso le 21, quando sotto la minaccia delle armi sono state prese in ostaggio al cancello della villa da quattro banditi armati e con i volti mascherati. I malviventi, una volta entrati in casa, hanno chiuso la moglie e la bambina in cucina, sorvegliata da due dei rapinatori. L’imprenditore, che si trovava già nella villa sulle colline di Montesilvano, è stato costretto da altri due banditi ad aprire la cassaforte.
Sono stati momenti di puro terrore. La banda si è appropriata di un corposo bottino fatto di orologi e altri preziosi, più una pistola regolarmente detenuta dall'imprenditore abruzzese, poi sono fuggiti su un'Audi rubata e guidata da un quinto complice che era rimasto fuori ad attenderli. Tutto si è svolto in una manciata di minuti, senza usare violenza agli ostaggi, ma sono stati attimi di grande tensione e paura.
De Cecco: «Mezz'ora in balìa dei rapinatori, ho pensato a salvare la mia famiglia». Fulvio Fiano su Il Corriere della Sera il 24 gennaio 2023.
L'imprenditore del noto pastificio sequestrato nella sua casa di Pescara con la moglie e la figlia. Gli autori del colpo almeno quattro persone a volto coperto
Hanno rubato un’auto per arrivare sul posto. Si sono nascosti nell’oscurità attendendo che le vittime inconsapevoli aprissero loro il cancello della villa. Poi, una volta all’interno, con freddezza e coordinazione nel dividersi i compiti, hanno tenuto in ostaggio la moglie e la figlia di Saturnino «Nino» De Cecco, costringendo l’imprenditore ad aprire la cassaforte per ripulirla di gioielli, orologi e altro. È un colpo studiato nei dettagli quello compiuto nella villa del «re della pasta», 57 anni appena compiuti, domenica sera a Montesilvano (Pescara). Una banda di almeno quattro persone (un quinto sarebbe rimasto in auto) abile tanto nella preparazione quanto nella fuga.
Succede tutto intorno alle 21.30, quando Sheila D’Isidori, erede di una famiglia di costruttori marchigiani e moglie di De Cecco, rientra a casa con la figlia di 5 anni in strada comunale Pianacci. Una via isolata, in collina, dove non si arriva per caso e dove finora i passaggi periodici delle auto dei carabinieri avevano tenuto al sicuro le ville dalle incursioni dei ladri. Domenica sera, però, quattro uomini a volto coperto si lanciano nel cancello appena aperto e prendono alle spalle la donna con la bambina. Le spingono in casa dove c’è De Cecco e le tengono in cucina sotto la minaccia (forse solo verbale) delle armi. Altri due uomini, tutti con apparente accento dell’est Europa, costringono l’imprenditore ad aprire la cassaforte. «Un momento traumatico — ricorda De Cecco, che nel 2020 si è dimesso da vicepresidente dell’azienda di famiglia, restando come azionista di riferimento —. Quando ti entrano in casa e ti sequestrano la famiglia è grave. Bisogna mantenere la calma, seguire le indicazioni ed essere il più accondiscendente possibile. Che è quello che poi ho fatto. Sono stato molto calmo e per fortuna è andata bene. Gli ho dato qualsiasi cosa puntando a salvaguardare la famiglia. Il mio obiettivo più importante era quello».
Il sequestro con rapina sarebbe durato circa mezzora. «Abbiamo avuto la fortuna che quando la situazione stava precipitando è scattato l’allarme — ha raccontato D’Isidori ai carabinieri di Montesilvano, che indagano assieme ai colleghi del comando provinciale —. I banditi si sono spaventati e sono scappati. Ma non era quella l’intenzione. Sarebbero rimasti ancora. Avevano già preso tutto, ma volevano e chiedevano altro». De Cecco ha riferito anche di aver visto un coltello ma non le pistole che gli uomini dicevano di avere: «Quando qualcosa non gli piaceva mi colpivano al volto», per fortuna senza ferirlo. Le indagini partono dall’auto, probabilmente un’Audi rubata poco prima, e un aiuto alle indagini può arrivare dalle telecamere che costellano le mura perimetrali. Dalla cassaforte è stata prelevata anche una pistola che l’imprenditore deteneva regolarmente. Lasciate le cariche nella terza casa produttrice di pasta al mondo (500 milioni di euro di fatturato nel 2021), De Cecco oggi guida un’azienda di elicotteri.
Estratto dell’articolo di Paolo Mastri, Patrizia Pennella per “il Messaggero” il 25 Gennaio 2023.
Sulla collina vista mare tra Montesilvano e Pescara il luogo, appartato e panoramico, protegge da sempre la privacy delle famiglie più in vista. Lunedì sera ha consentito anche a un commando di almeno cinque banditi, fra i quali una donna, di agire indisturbati piombando a sorpresa nella residenza di Saturino De Cecco, erede della dinasty abruzzese della pasta, dopo aver preso in ostaggio la moglie Sheila D'Isidori e la figlia di soli 8 anni, che intorno alle 21.15 stavano rientrando in auto nella grande villa con piscina, eliporto e un vastissimo parco di palme, pitosfori e macchia mediterranea.[…]
È durato tutto quaranta minuti esatti. Fin quando un complice dei banditi, rimasto all'esterno della villa in funzione di copertura, muovendosi ha azionato uno dei sensori perimetrali, oppure urtato una telecamera, facendo scattare l'allarme e costringendo il commando alla fuga a bordo di un'Audi che si suppone rubata nei giorni precedenti.
Un tempo che alle vittime della rapina è sembrato interminabile, e che ai banditi ha dato modo di farsi aprire la cassaforte e prelevare un numero imprecisato di costosissimi orologi, oggetti preziosi, altri valori e persino una pistola regolarmente detenuta.
«Un momento traumatico - racconta il giorno dopo l'industriale, principale azionista dell'azienda di famiglia dal cui board si è dimesso tre anni fa -, quando ti entrano in casa con violenza e ti sequestrano la famiglia è grave, bisogna mantenere la calma, seguire le indicazioni, essere il più accondiscendenti possibile, che è quello che poi ho fatto. Mi hanno picchiato per incutere timore, mentre mia moglie e mia figlia erano rinchiuse in cucina ed ero ignaro delle loro condizioni. Sono stato molto calmo e attento a evitare reazioni, per fortuna è andata bene, detto col senno di poi».
Vi hanno picchiato?
«Sì, sono stato colpito. Ma soprattutto ci hanno intimorito mostrandoci i coltelli, ci hanno minacciato, hanno detto di avere la pistola e mi hanno fatto sentire che l'avevano - racconta Saturnino uscendo dalla caserma dei carabinieri di Montesilvano, subito dopo aver deposto per oltre tre ore, insieme alla moglie sui dettagli della rapina -. Io ho sempre cercato di mantenere la calma, di non cedere a nessuna provocazione».
[…]
Non vi hanno creduto quando avete detto di non tenere in casa ingenti somme di denaro?
«Sì - continua il racconto - avevano già preso tutto quello che avevamo ma chiedevano altro. In queste situazioni i banditi pensano di trovare più di quello che tu gli hai dato, ma io ovviamente gli avevo dato qualsiasi cosa. Sono situazioni in cui si pensa soltanto a salvaguardare la famiglia. L'obiettivo più importante è portare a casa la pelle. Siamo stati fortunati. Era partita molto male, davvero molto male. Quando qualcosa non gli piaceva mi hanno menato».
Che idea si è fatto dei banditi?
«Gente decisa, di sicuro dei professionisti. Erano quattro, tra di loro certamente una donna. Due si sono occupati delle donne richiuse in cucina, gli altri mi hanno costretto ad aprire la cassaforte. In giardino c'era sicuramente un quinto complice, in funzione di copertura. Avevano un forte accento dell'est Europa».
[…]
Report Rai. PUNTATA DEL 23/01/2023 Luca Chianca
Collaborazione di Alessia Marzi
MSC è la prima compagnia del settore marittimo al mondo.
MSC ha il cuore in Italia ma il portafoglio in Svizzera, dove ha sede la sua Holding. Il fondatore del gruppo è Gianluigi Aponte, nato a Sorrento nel 1940, in una famiglia che già all'inizio del '900 gestiva piccole imbarcazioni per il trasporto nel Golfo di Napoli. Vanta decine di navi che solcano i mari più belli del mondo. E anche noi di Report ci siamo imbarcati per quattro giorni tra la Florida e le Bahamas, raggiungendo una piccola isola esclusiva per i clienti di Msc: Ocean Cay. Ma qual è l'impatto ambientale di queste navi? Più o meno ogni settimana si consumano 30mila uova, 7 tonnellate di farina, 300 kg di caffè, mezza tonnellata di spaghetti, una tonnellata di petti di pollo, 5 tonnellate di patate, 7000 litri di latte. Il settore costituisce solo il 3% del trasporto navale, ma produce un quarto dei suoi rifiuti ed è estremamente impattante dal punto di vista ambientale e anche climatico. Nonostante sia una delle più grandi società al mondo nel trasporto marittimo, MSC ha una struttura finanziaria a dir poco opaca ma una forza contrattuale e un'influenza enorme perché il vero business di Msc è il trasporto delle merci in giro per il mondo. Nel nostro paese ha comprato terminal, è entrata nel settore del trasporto ferroviario e per mesi ha discusso la vendita di Ita Airways con il governo italiano. Per la gestione dei moli parla costantemente con le autorità portuali di mezza Italia, entrando da protagonista nella partita del porto di Genova, dove si deve costruire la nuova diga foranea, per consentire l'ingresso di navi sempre più grandi che hanno una portata di oltre 20 mila container, una lunghezza di circa 400 metri. Ma quale sarà l'impatto sul santuario dei cetacei, una vasta area che arriva fino in Francia e dove si stima la presenza di circa un migliaio di balene?
REPORT RAI 3 - Risposte Gruppo MSC 19/01/2023
Si prega di dare lettura integrale delle risposte.
1 Qual è stato l’investimento da parte di Msc per l'apertura al pubblico di Ocean Cay? Quale l’origine dell’iniziativa. Ocean Cay Marine Reserve è un progetto iniziato nel 2015 quando MSC chiesto alle autorità locali di poter realizzare un progetto ad alta valenza ambientale ottenendo pertanto una concessione per 99 anni. Nata negli anni ’70 come sito per lo sfruttamento dell’estrazione industriale disabbia, Ocean Cay è stata oggetto di una riqualificazione senza eguali che tra l'altro ha triplicato i posti di lavoro in loco. Un’isola che ha ripreso vita con un’iniziativa orientata alla sostenibilità e al ripristino di un ecosistema naturale, nonché un luogo pensato per la ricerca scientifica dove condurre ricerche sulla salute e sul restauro ecologico dei coralli in collaborazione con l'Università delle Bahamas e il supporto dei migliori esperti mondiali. Per questo oggi le autorità locali hanno riconosciuto attorno all’isola una Riserva Marina di 64 miglia quadrate, come testimonianza del grande lavoro svolto per la ricostruzione dell’habitat naturale. Ocean Cay è frutto di un investimento iniziale di Msc Crociere di oltre 300 milioni di dollari. L’area è stata oggetto di una minuziosa opera di bonifica durata tre anni che ha rivoluzionato l’isola e liberato il fondale inquinato da numerosi detriti, ricostruendo al contempo la barriera corallina con una specie di corallo super resistente. Oltre a questo, sono state intraprese azioni per favorire un ambiente a elevata biodiversità, tra cui la piantumazione di 75 mila piante di 5.000 alberi e palme e 22 differenti specie autoctone. Oggi Ocean Cay sta già assistendo ad un aumento della fauna marina nella zona, e sono state identificate 88 diverse specie di pesci autoctoni intorno all'isola così come aragoste, tartarughe marine e razze nonché conchiglie che stanno tornando a popolare la riserva naturale. Anche le strutture edificate sull’isola per ospitare i clienti di MSC, sono state progettate e realizzate con particolare attenzione all’ecocompatibilità. Tutte scelte che testimoniano l’impegno della compagnia per la sostenibilità e la ferrea volontà di non creare una semplice area di divertimento come avviene per altre isole gestite da altre compagnie, ma un vero paradiso naturale dove poter vivere le Bahamas come sono sempre state.
2 Qual è la tipologia della concessione contrattata con le autorità locali? Una normale concessione accordata dal Governo delle Bahamas, della durata di 99 anni.
3 Quante sono le navi da crociera attualmente in funzione e quante in costruzione/ordine? La flotta di MSC Crociere si compone di 21 navi. Attualmente, MSC ha 4 navi in costruzione di cui due in Francia (Chantier de l’Atlantique) e altre due in Italia (Fincantieri) e altre 4 navi in ordine sempre con Fincantieri.
4 Quale è stato il costo complessivo della MSC Meraviglia? Il costo complessivo è poco meno di 1 miliardo di euro.
5 Quale commento la società ha in merito alle classifiche stilate dalla ONG statunitense Friends of the Earth Vengono pubblicate molte classifiche a cura di ONG, oggi quello che osserviamo è che Friends of the Earth risulta essere imprecisa perché cambia metodologia ogni anno ed entra solo superficialmente nel dettaglio delle tecnologie ambientali installate a bordo delle navi e dei loro effetti positivi sulla riduzione dell’impatto ambientale. MSC Crociere dal 2018 ad oggi ha investito 5 miliardi per costruire alcune tra le navi più avanzate dal punto di vista ambientale dotandole delle migliori tecnologie disponibili sul mercato. MSC punta alla riduzione del 40% dell'intensità delle emissioni di carbonio entro il 2030 rispetto al 2008 e l'azzeramento delle emissioni di gas serra nelle nostre attività entro il 2050. Già oggi, grazie alle misure introdotte, abbiamo raggiunto una riduzione delle emissioni del 35% rispetto al 2008 e tra queste: la possibilità di ricevere l’energia elettrica da terra ove disponibile, le migliori tecnologie per rimuovere l'ossido di zolfo (SOX) e l'ossido di azoto (NOX) dai gas di scarico, scafistudiati per rendere le navi più efficienti e diverse tecnologie per il trattamento dei rifiuti e il risparmio energetico di bordo.
6 Quanti sono i dipendenti e i collaboratori italiani tra imbarcati e amministrativi a terra e quanti invece quelli stranieri sull'intero ammontare delle navi Msc, da crociera, passeggeri e cargo? Il Gruppo MSC ha 150.000 dipendenti in tutto il mondo (tra uffici, personale imbarcato e di terra e altri servizi), di questi circa 25.000 sono italiani che spesso ricorono posizioni di leadership o sono parte del management del gruppo e sono, se non la prima, una delle più numerose nazionalità rappresentate nel Gruppo.
7 Quali sono le tratte gestite dal gruppo che insistono sul Golfo di Napoli La stragrande maggioranza delle tratte gestite dalle società partecipate del Gruppo MSC sono tratte di libero mercato che non godono di alcuna sovvenzione pubblica.
8 – 9 – 10 Dall'indagine della Dda di Napoli Gianluigi Aponte risulta indagato per corruzione, falso e traffico d'influenze. L'ipotesi, per i magistrati, è la formazione di un cartello di imprese per azzerare la concorrenza e cruciale per Aponte sarebbe un’intercettazione nella quale il comandante dà consigli all'amministratore dell'Alilauro Gruson, teoricamente sua concorrente,sulla strategia da attuare nei porti di Sorrento e Massa Lubrense. Che tipo di rapporti aveva il comandante Aponte con Salvatore Di Leva? E perché si offre nel dispensare consigli su come battere la concorrenza? Perché vogliono portare delle motonavi nel piccolo porto di Massa Lubrense dove lavora la piccola cooperativa "Marina della Lobra"? Non possiamo rilasciare commenti. Tuttavia, il Sig. Aponte fiducioso sull’operato della magistratura,si ritiene completamente estraneo ai fatti, e lo stesso giudice per le indagini preliminari ha ritenuto che non ci siano indizi su un suo contributo. (Cfr. estratto dell’Ordinanza del GIP: “fortisono le perplessità circa un loro effettivo e soprattutto consapevole contributo”).
11 A quanto ammonta l’investimento di Msc nel Gnl in termini economici e in termini di unità (per quanto riguarda il settore croceristico e quello cargo) e quanti o quali tipi di contributi pubblici sta utilizzando in Italia e Francia per la costruzione di nuove navi nei cantieri di Fincantieri e St. Nazaire. Il Gruppo MSC ritiene che il gas naturale liquefatto sia un combustibile "di transizione" che contribuirà nel breve periodo a ridurre le emissioni di CO2, nel mentre si continuano a esplorare e sperimentare attivamente combustibili e tecnologie alternative a zero emissioni. Le navi alimentate a GNL sono infatti immediatamente pronte a ricevere carburanti a zero emissioni quando questi saranno disponibili. Ad oggi, la divisione crociere che ha già scelto di utilizzare il gas naturale liquefatto (GNL) nella sua flotta così come la divisione Cargo che, inoltre, ha 124 nuove navi in ordine e tutte prevedono la doppia alimentazione anche a GNL. Il Gruppo MSC non riceve alcun contributo pubblico in nessun paese. La costruzione delle navi viene garantita in Italia da Sace, e in altri paesi dalle rispettive ECA (Export Credit Agency), attraverso export credit ovvero finanziamenti garantiti alle imprese costruttrici (ad esempio Fincantieri) che vengono regolarmente ripagati e sono ideati per supportare l’export delle imprese.
12 In questo momento quale tipo di combustibile viene utilizzato sulle nuove navi con motori dual-fuel, Gnl o quello tradizionale? GNL, salvo casi in cui non sia possibile per qualche specifico motivo.
13 Quali altri combustibili il gruppo sta opzionando con l’obiettivo di affrontare la transizione energetica Stiamo continuando a studiare assieme ai centri di ricerca e aziende specializziate le diverse opzioni sul mercato che includono carburanti alternativi sintetici nel medio periodo e idrogeno verde nel lungo periodo. Tra le tecnologie alternative stiamo studiando anche la carbon capture. A bordo di MSC World America oggi in costruzione in Francia introdurremmo una nuova tecnologia “methane slip” che annulla completamente le emissioni in ormeggio in quanto consente di poter spegnere i motori a prescindere dalla disponibilità di ricevere l’elettrificazione da terra, grazie ad accumulatori di energia che si ricaricano in navigazione. La compagnia è anche una delle poche ad aver dichiarato di non voler utilizzare la rotta artica.
14 Presso l'Imo alcune nazioni del Pacifico hanno chiesto di votare una risoluzione per azzerare le emissioni di gasserra entro il 2050. Tre quarti dell'assemblea ha votato contro, compresa la Svizzera. Avremmo necessità di conoscere il punto di vista di Msc sulla questione posta dalle isole del Pacifico. Sia la divisione cargo che la divisione crociere ha espresso da tempo il proprio impegno al raggiungimento della completa decarbonizzazione (net-zero) entro il 2050.
15 In quanto osservatore del governo svizzero presso la sede dell'Imo qual è il grado di influenza che Msc può esercitare nelle decisioni prese dal paese che rappresenta e quanto ha inciso nel votare contro la richiesta avanzata? Nessuna compagnia di navigazione, MSC inclusa, ha un osservatore all'IMO. Come la maggior parte delle principali delegazioni nazionali, anche il governo svizzero a volte invita nella propria delegazione esperti del settore provenienti dall'associazione nazionale degli armatori, che in questo caso è la “Swiss Shipowners Association” di cui anche MSC fa parte. In ogni caso il processo decisionale su qualsiasi questione politica spetta in ultima analisi ai funzionari governativi svizzeri competenti.
16 Come il gruppo commenta le evidenze pubblicate dalla ONG Transport and Environemnt rispetto alle performance ambientali: transportenvironment.org/discover/shipping-company-climbsranking-of-europes-top-climate-polluters. La valutazione comparativa fatta dalla ONG Transport & Environment di settori industriali completamente diversi tra loro non può produrre una classifica pertinente. È infatti fuorviante confrontare le emissioni delle industrie senza valutare anche l'impatto economico e sociale positivo che esse generano attraverso i loro prodotti e servizi. Nel confrontare le società di shipping, è chiaro che la presenza capillare di MSC e i volumi trasportati essendo leader di mercato generino una quantità maggiore di emissioni dichiarate rispetto ai suoi competitor, come dimostrano anche i dati di settore di terze parti. Come già detto, più o meno tutte le compagnie di navigazione producono emissioni di CO2 in relazione alle dimensioni della loro flotta. La variazione di CO2 emessa da una specifica compagnia può dipendere dall'area di interesse e dalle dimensioni della flotta impiegata per servire una determinata area. MSC è la più grande compagnia di navigazione che opera in acque europee, serve molti porti europei e trasporta volumi di merci notevolmente superiori a quelli dei suoi competitor. Inoltre, MSC gestisce una propria rete di navi "feeder" - navi più piccole impiegate su rotte locali - mentre altre compagnie di navigazione utilizzano per lo più compagnie di feederaggio terze e, di conseguenza, non riportano le emissioni di queste ultime nel sistema MRV.
17 Il 1 e il 2 gennaio 2019 la nave container Msc Zoe, 400 metri di lunghezza, 60 di larghezza, ha riversato 340 container in mare. I residui del carico sono arrivati sulle coste olandesi e tedesche in una riserva protetta dall'Unesco. Ci risulta che Msc abbia pagato danni per 3,4 milioni di euro. A tal proposito avremmo necessità di sapere se la cifra è corretta e capire di chi sia la Msc Zoe, perché a noi risulta che il proprietario è la XIANGXING international ship, una società di Hong Kong, che ha l'indirizzo presso la sede di MSC a Ginevra, ma poi la nave ha bandiera panamense. Le circostanze in cui si è trovata la MSC ZOE sulla TSS Terschelling nel gennaio 2019 sono state uniche e senza precedenti, nel mezzo di una tempesta la nave è infatti stata colpita da un'onda anomala. L'incidente della MSC ZOE ha richiesto un'importante operazione di recupero, supervisionata e finanziata da MSC, in pieno coordinamento con le autorità olandesi e tedesche. I governi olandese e tedesco non hanno imposto a MSC multe o misure punitive. L’operazione di recupero avviata da MSC ha visto un contributo di 3,4 milioni di euro ed è stato reciprocamente concordato con i due governi durante le fasi di coordinamento. Abbiamo infatti avviato rapidamente un'importante operazione di recupero, ingaggiando squadre di intervento e salvataggio di fama mondiale e una serie di fornitori locali. L'operazione di MSC ha garantito la pulizia delle spiagge, in alcuni casi effettuate a più riprese, e un intervento a mare che ha riguardato tutte le aree in cui eravamo autorizzati ad operare, seguendo ogni singolo rilevamento sonar dei materiali affondati o a pelo d’acqua. Subito dopo l'evento, MSC ha intrapreso un'ulteriore iniziativa scegliendo di percorrere una rotta ufficiale e alternativa più lontana dalle coste belghe e olandesi. La Compagnia continua ad implementare direttive sulle rotte designate per la navigazione dei container nel Mare del Nord e abbiamo continuato a investire in tecnologia,software e attrezzature per aiutare a gestire e prevenire il rischio di incidenti in mare durante condizioni meteomarine avverse. La sicurezza e la protezione dell'ambiente marino sono priorità assolute per MSC. È pratica comune nelsettore marittimo o acquistare direttamente la nave o tramite leasing, la società "XIANGXING international ship" è quella che ha concesso il leasing di MSC Zoe.
18 Quali bandiere batte la flotta MSC. Perché Msc utilizza anche bandiere di comodo per le sue navi? La flotta di MSC naviga sotto una serie di bandiere riconosciute a livello internazionale di Stati con una lunga tradizione di registri navali commerciali. Questo include un numero rilevante di navi registrate negli Stati membri dell'UE, tra cui Malta e Portogallo attraverso i loro registri aperti. Ad esempio, 9 delle 21 navi della flotta di MSC Crociere sono registrate nello Stato di Malta, membro dell'UE. Il gruppo peraltro controlla o partecipa molte compagnie di navigazione che battono bandiera italiana. Inoltre, la bandiera battuta dalle navi in genere non influisce sul quadro giuridico sostanziale in base al quale la navigazione è regolamentata, poiché tali norme sono il più delle volte stabilite attraverso trattati internazionali che vengono applicati e fatti rispettare in tutto il mondo indipendentemente dalla bandiera battuta da una determinata nave, ed è in definitiva l'armatore ad essere responsabile della conformità alle norme ovunque la nave stia navigando.
19 Quante navi di proprietà di Msc battono bandiera svizzera? Nessuna, in quanto la Svizzera ha solo poche decine di bandiere disponibili da poter concedere e sono perlopiù state già assegnate.
20 A partire dal 2002, quante navi da crociera sono state costruite nei cantieri di St. Nazaire e quante in quelli italiani di Fincantieri? Quanto MSC Crociere ha iniziato a costruire le proprie navi all’inizio degli anni 2000 solamente i cantieri francesi (Chantier de l’Atlantique) avevano slot disponibili. Quando, dal 2014, c’è stata disponibilità anche nei cantieri italiani di Fincantieri, MSC ha spostato subito il suo baricentro in Italia. Gli ordini di Fincantieri rappresentano un investimento totale di 3,5 miliardi nel cantiere con un impatto complessivo sull'economia italiana di circa 16 miliardi. L'investimento complessivo di MSC Crociere per la costruzione di 10 navi con Fincantieri, a partire dal 2014, ha un valore di circa 7 miliardi di euro (4 navi di classe Seaside: 3,5 miliardi + 6 navi Explora Journeys per 3,5 miliardi). L'impatto economico complessivo di questi investimenti sull'economia italiana è stimato in circa 31,5 miliardi di euro, secondo i multipli (4,5) forniti da Fincantieri.
21 Msc ha ottenuto dal governo francese prestiti agevolati e finanziamenti pubblici per costruire le proprie navi da crociera in Francia? E dal governo Italiano? Il Gruppo MSC non riceve alcun contributo pubblico in nessun paese. La costruzione delle navi viene garantita in Italia da Sace, e in altri paesi dalle rispettive ECA (Export Credit Agency), attraverso export credit ovvero finanziamenti garantiti alle imprese costruttrici (ad esempio Fincantieri) che vengono regolarmente ripagati e sono ideati per supportare l’export delle imprese.
22 Per quanto riguarda la vicenda di Alexis Kohler (cugino della moglie di Gianluigi Aponte) a noi risulta che è stato capo dello staff di Macron quando era ministro dell'Economia. Poi è andato a lavorare a Ginevra per Msc, come direttore finanziario e al tempo stesso tempo era il responsabile della campagna elettorale di Macron per le presidenziali del 2017. Inoltre come riportato dalla giornalista francese di Mediapart Martine Orange Kohler in passato avrebbe seguito anche le vicende dei cantieri di St.Nazaire, dove sono state prese decisioni importanti a favore di Msc. A tal proposito avremmo necessità di sapere il suo ruolo nella nazionalizzazione dei cantieri di St. Nazaire del 2017. Non abbiamo evidenze ma è chiaro che la domanda andrebbe posta a Alexis Kohler. MSC non ha giocato nessun ruolo, diretto o indiretto, nella privatizzazione dei cantieri di St. Nazaire.
23 Ci risulta che nel 2017, Aldo Spinelli, il presidente del porto di Genova Signorini, il sindaco Bucci e il Presidente Giovanni Toti abbiamo raggiunto a Ginevra il comandante Gianluigi Aponte per un incontro. Durante l'incontro si è parlato anche della necessità di realizzare una nuova diga foranea per permettere l'ingresso in porto delle grandi navi? Si è trattato di un incontro nel quale sono state presentate le prospettive disviluppo del porto di Genova e in tale contesto si sarà sicuramente fatto cenno anche alla diga. La diga di Genova è in prima istanza un’opera di protezione a mare della città rispetto ai cambiamenti climatici e di sicurezza della navigazione del porto di Genova, che per il suo posizionamento geografico è destinato a incrementare ulteriormente i propri traffici a beneficio dell’intera catena logistica nazionale ed europea, contribuendo ad aumentare la competitività della portualità italiana rispetto agli scali del Nord Europa. A Genova il Gruppo MSC ha oggi un terminal di ridotte dimensioni – Calata Bettolo – che rispetto agli altri terminalisti presenti a Genova ha una minore rilevanza per il porto, quando verrà realizzata la diga questo consentirà al Gruppo così come agli altri terminalisti e ai loro clienti di favorire l’operatività del porto nel suo complesso consentendo l’attracco di navi di maggiori dimensioni. In questo contesto il progetto della diga foranea di Genova è un progetto di valenza strategica per la città e l’intera portualità genovese.
24 Riguardo i rapporti con il Presidente Toti ci risulta anche che il gruppo Aponte, tramite una società controllata, abbia finanziato il comitato Giovanni Toti con 10mila euro. Il dato è corretto? Si è trattato di un contributo trasparente di 10 mila euro versato dalla società Le Navi di Genova nel rispetto delle norme e ampiamente reso di pubblico dominio come previsto dalla normativa vigente.
25 Negli ultimi anni c'è stato un processo di progressiva concentrazione degli armatori autorizzato dall'Unione europea nel 2009 che ha dato vita a tre grandi alleanze. Quando nasce l’alleanza 2M e con quale spirito Le alleanze globali per la condivisione delle navi portacontainer sono state sviluppate e autorizzate in accordo con i governi e sono state essenziali in momenti molto difficili per il settore come, ad esempio, la crisi del 2008 quando molte compagnie armatoriali sono collassate e alcune fallite. Le alleanze hanno avuto un impatto positivo negli ultimi 8 anni in termini di flessibilità operativa e di contenimento dei costi, consentendo alle compagnie di offrire un servizio più ampio e competitivo ai loro clienti, pur mantenendo le proprie specifiche strategie commerciali e consentendo di trasferire un vantaggio anche ai caricatori. Le alleanze hanno anche permesso di creare importanti economie di scala che hanno consentito al trasporto marittimo di sopravvivere in tempi di eccesso di offerta e di tariffe molto basse.
26 Questa concentrazione quanto ha inciso sull'aumento dei noli, arrivati fino al 500% in più, anche dopo la fine della pandemia? No, non c’è nessuna correlazione. Da tempo peraltro assistiamo al crollo dei noli con il ritorno dei prezzi ai livelli pre-pandemia. Le restrizioni in continua evoluzione imposte dalla pandemia COVID-19 hanno portato a una congestione portuale senza precedenti, alla carenza di container e a una capacità limitata, che ha lasciato centinaia navi in attesa di ormeggio nel 2020-22. La carenza di container è stata anche dettata dalla generalizzata mancanza di manodopera, fermata dalla pandemia, tra cui lo stop alle squadre operative nei terminal, la mancanza di autisti per i camion e di personale di magazzino. Per mantenere i flussi commerciali e garantire le esigenze del mondo durante la pandemia, abbiamo rafforzato la nostra rete, immesso capacità di carico aggiuntivo per fornire tutta la capacità disponibile e abbiamo fatto navigare le nostre navi al meglio per cercare di consegnare le merci in tempo e mitigare l'impatto della congestione, il tutto nel contesto di una domanda estremamente elevata di servizi di trasporto. L'elevata domanda di beni da parte dei consumatori, soprattutto negli Stati Uniti, unita ai vincoli di congestione, ha fatto sì che le compagnie si contendessero lo spazio sulle navi portacontainer anche quando quasi tutta la capacità globale era dislocata in mare. Con la riduzione della domanda e l'allentamento delle restrizioni COVID dall'estate del 2022, il mercato del trasporto marittimo si è normalizzato tornando oggi ai livelli pre-pandemia dopo un periodo di tariffe relativamente elevate. Il mercato del trasporto merci rimane soggetto alla sfida dell'aumento e della diminuzione delle tariffe e dei ricavi. Il COVID ha, infatti, sollevato dubbi sulla capacità di resistenza delle catene di approvvigionamento globali ma ha anche sottolineato a tutto il mondo il ruolo essenziale del trasporto marittimo e della logistica e delle persone che lavorano con tenacia per gestire navi, camion, treni, depositi e terminali portuali mantenendo attivo il commercio globale.
26 e 27 Qual è l'ammontare dei profitti del gruppo Msc degli ultimi due anni? Perché non sono disponibili i bilanci della Holding del gruppo? Essendo una società privata, MSC non è tenuta né a divulgare né a commentare i propri risultati finanziari o altre questioni commerciali o finanziarie correlate.
28 Perché Msc è uscita dalla trattativa per l'acquisto di Airways? Come annunciato lo scorso novembre, il Gruppo MSC ha informato le autorità competenti di non essere più interessata a partecipare alla privatizzazione di ITA Airways, non ravvisando più le condizioni nella procedura in essere.
29 Quali sono le intenzioni del gruppo rispetto all’acquisizione della compagnia Italo Non c’è nessuna trattativa di acquisizione in atto per Italo ma, come abbiamo dichiarato in varie occasioni, l’Italia per noi è un paese importante e guardiamo sempre on attenzione ai dossier che possano essere interessanti per lo sviluppo del nostro Gruppo.
30 Quale è la posizione del gruppo rispetto al disegno di legge di tonnage tax attualmente in discussione in Svizzera? La tonnage tax è una direttiva europea, riconosciuta dall’OCSE e utilizzata anche in altre aree. Adottando un'imposta sul tonnellaggio, un Paese può sostenere il proprio settore marittimo fornendo un regime fiscale simile a quello degli altri Paesi limitrofi. MSC è quindi favorevole alla recente proposta della Svizzera di armonizzarsi con gli altri regimi di tassazione dei trasporti marittimi applicati nei Paesi dell'UE e non.
31 Come il gruppo commenta le critiche di alcune associazioni rispetto all’assenza di un limite per quanto riguarda il ricorso alle bandiere di comodo La flotta di MSC e delle sue controllate naviga sotto una serie di bandiere riconosciute a livello internazionale di Stati con una lunga tradizione di registri navali commerciali compresa. Questo include un numero rilevante di navi registrate negli Stati membri dell'UE, tra cui Malta e Portogallo attraverso i loro registri aperti e anche l’Italia.
32 Che rapporti i vertici del gruppo hanno avuto, negli anni, con il primo promotore del disegno, Guillaume Barazzone MSC è uno dei principali datori di lavoro a Ginevra. Così come fanno anche altre aziende locali di simili dimensioni, su Ginevra o ovunque siano basate, MSC interagisce talvolta con il governo locale. Il Signor Barazzone era a suo tempo il Sindaco di Ginevra, allo stesso modo MSC ha interagito sia con i suoi predecessori che con coloro che lo hanno succeduto.
Da: Baroni, Gabriele (Costa) Per conto di CostaPressOffice (Costa) Inviato: venerdì 20 gennaio 2023 16:31 A: [CG] Redazione Report Cc: 'Luca Chianca' Oggetto: R: [EXTERNAL] Richiesta informazioni_Report, Rai 3 Attenzione, la presente mail proviene da un mittente esterno alla rete aziendale
RAI Buonasera, qui di seguito la nostra nota relativa alla vostra gentile richiesta di informazioni. Vi chiederemmo, se possibile, di ricevere qualche ulteriore dettaglio rispetto al servizio per il quale ci avete richiesto queste informazioni. Cordiali saluti GB “Nella nostra flotta utilizziamo abitualmente un mix di differenti soluzioni di carburante, a seconda di una serie di fattori, che vanno dall'offerta e disponibilità nei mercati in cui operiamo, al costo del carburante e a una serie di altre considerazioni. Nell'ambito del nostro impegno per la decarbonizzazione, in tutti i casi rispettiamo pienamente tutte le normative globali applicabili, nonché i requisiti e le normative specifiche dei Paesi e delle regioni in cui operano le nostre navi. In considerazione della straordinaria situazione attuale dei mercati energetici globali – che comporta notevoli difficoltà nelle forniture di gas naturale liquefatto (GNL) - abbiamo modificato il nostro mix di combustibili su alcuni itinerari, per consentire alle nostre navi di continuare ad operare regolarmente e in sicurezza. Nel caso di Costa Smeralda, una delle nostre navi da crociera "dual fuel" (a doppia alimentazione, ossia in grado di utilizzare anche il GNL), stiamo temporaneamente utilizzando gasolio marino a basso contenuto di zolfo fino a quando il mercato energetico del GNL non si stabilizzerà. Il nostro impegno per la decarbonizzazione rimane invariato, come dimostra il fatto che il livello massimo delle nostre emissioni totali di carbonio risale ormai a oltre 10 anni fa. Continuiamo a lavorare per raggiungere il nostro obiettivo di riduzione entro il 2030 delle emissioni totali di carbonio del 20% rispetto al 2019 (che rappresenta una diminuzione complessiva del 44% rispetto al 2008), sostenendo la transizione verso carburanti e tecnologie alternative, come i biocarburanti, le batterie e le celle a combustibile. Riteniamo che il GNL continui a essere il combustibile più avanzato disponibile su larga scala nel settore delle crociere e che rimanga una parte essenziale del nostro mix di combustibili. Quando i prezzi e la disponibilità si normalizzeranno, prevediamo di riprendere a utilizzare il GNL sulle nostre navi in grado di essere alimentate con questo carburante, come Costa Smeralda.”
Da: [CG] Redazione Report Inviato: mercoledì 18 gennaio 2023 16:48 A: Baroni, Gabriele Cc: 'Luca Chianca' Oggetto: [EXTERNAL] Richiesta informazioni_Report, Rai 3 CAUTION: This email originated from outside of the organization. Report Via Teulada, 66 – 00195 Roma Roma, 18 gennaio 2021
All’attenzione cortese di Costa Crociere Dott. Gabriele Baroni – Communication Director
Gentile dott. Baroni, nella prossima puntata di Report ci occuperemo di trasporti via nave e al fine di dare una corretta informazione ai nostri telespettatori avremmo necessità di verificare una informazione. Ci risulta da nostra osservazione realizzata ai primi di novembre presso il porto di Civitavecchia che la Costa Smeralda, la prima nave del gruppo Costa ad avere il dual - fuel invece di utilizzare il gas naturale liquefatto, utilizzava il carburante tradizionale all'interno del porto. Volevamo capire quale fosse il motivo per cui, pur avendo una nave di fatto a Gnl, si è preferito non usarlo, e se questo può dipendere dal fatto che oggi il Gnl è più caro del carburante tradizionale. L’autore del servizio Luca Chianca è a vostra disposizione per tutti i dettagli Ringraziamo per la collaborazione e restiamo in attesa di un Vostro riscontro. Cordiali saluti, Alessia Marzi Redazione Report
GLI OLIGARCHI DEL MARE di Luca Chianca collaborazione di Alessia Marzi immagini di Alfredo Farina, Davide Fonda, Andrea Lilli, Alessandro Spinnato, Cristiano Forti montaggio Emanuele Redondi
LUCA CHIANCA FUORI CAMPO Inizia così, con queste foto di rito, la nostra crociera sulla Msc Meraviglia. Partenza da Port Canaveral Florida, destinazione finale Ocean Cay, un'isola unica nel suo genere nel bel mezzo delle Bahamas.
DONNA Italiani? Evviva anche io sono di origine italiana.
LUCA CHIANCA Da dove vieni?
DONNA Sicilia
DONNA Questa poi è una nave italiana!
LUCA CHIANCA Una nave italiana?
LUCA CHIANCA FUORI CAMPO In realtà di italiano ha il proprietario Gianluigi Aponte e il nome, Meraviglia, perché con le sue 171 mila tonnellate, è stata costruita in Francia nei cantieri di St. Nazaire mentre Msc, Mediterranean Shipping Company ha sede in Svizzera a Ginevra. Ci prepariamo per la prima tappa della nostra crociera.
LUCA CHIANCA Siamo a Nassau, Bahamas, siamo scesi insieme a centinaia di persone per visitare la città. Nel porto si sono oltre alla nostra nave altre 6 grandissime navi da crociera.
LUCA CHIANCA FUORI CAMPO Giganti del mare che rimangono nel porto tutto il giorno con i motori sempre accesi per alimentare queste città galleggianti che possono ospitare fino a 5mila persone. Verso sera le navi riprendono la navigazione. All'alba raggiungiamo l'isola privata di Msc, un paradiso per i croceristi della compagnia ginevrina.
LUCA CHIANCA Sono le 7 di mattina e siamo arrivati a Ocean Cay eccola qui sotto.
LUCA CHIANCA FUORI CAMPO L’isola era fino a qualche anno fa un insediamento industriale utilizzato solo per l’estrazione della sabbia. Msc l'ha ridisegnata solo per i suoi clienti trasformandola in una riserva marina artificiale con un investimento di centinaia di milioni di dollari. La bellezza della nuova isola deve conciliare con l'ingombrante impatto della nave.
LUCA CHIANCA 2 La presenza della nave è una costante in qualsiasi punto dell'isola svetta lì dietro alle nostre spalle
LUCA CHIANCA FUORI CAMPO E ovviamente ci sono le spiagge, ben sette dove i croceristi possono passare l'intera giornata in questo paradiso costruito dall'uomo.
SIGFRIDO RANUCCI IN STUDIO Allora MSC ha speso 300 milioni di dollari per creare questa riserva marina, dice di aver piantato anche 75.000 piante e che la fauna marina è in aumento. Ora non sappiamo come ha fatto a contarla, la fauna marina, però le crediamo. Tuttavia è innegabile che le navi da crociera abbiano un impatto su clima e ambiente. MSC è un impero: conta 21 navi da crociera, 730 navi che trasportano ogni anno 23 milioni di container pieni di merci e li trasportano in 520 porti di 155 paesi. È una storia che nasce nel Sud Italia e che vede come protagonista il comandante Gianluigi Aponte. Nato nel 1940 vicino Sorrento da una famiglia di piccoli spedizionieri del Golfo, il padre va in Africa, in Somalia, per cercare fortuna, ma muore per la malaria. Quando Gianluigi ha solo cinque anni, ma lui vuole diventare un marinaio, ha la passione per le navi, diventa anche ufficiale si imbarca sulla flotta Lauro e lungo un tragitto tra Napoli e Capri sul traghetto incontra la donna che gli cambierà la vita, Rafaela, figlia di un banchiere ginevrino. Ora Gianluigi Aponte farà per un po' il direttore finanziario, fino a quando poi troverà un imprenditore francese che gli presta 200.000 dollari per realizzare il suo sogno comprare una nave che nominerà Patricia, con la quale farà avanti e indietro tra Europa e Africa, trasportando cemento, legno e caffè. Nasce così la Mediterranean Shipping Company, MSC. Ma l'idea vincente è negli anni 80, quando trasforma le sue vecchie navi da carico in navi container, è la scintilla che fa esplodere un impero fatto, oltre che di navi, di traghetti, terminal portuali, ma anche di rimorchiatori, di treni, di un aereo cargo, di agenzie di viaggio, di cliniche private in Sud Africa. Tutto gestito dalla famiglia Aponte. Gianluigi, moglie, figli, generi e un impero stimato in circa 50 miliardi di dollari. Una stima approssimativa perché non si conoscono i bilanci, in Svizzera non è quotata la MSC, non c'è pubblicità dei bilanci. Sappiamo, analizzando il polmone finanziario in Lussemburgo, che negli ultimi dieci anni ha fatto profitti per 14,5 miliardi e ne ha distribuiti di dividendi, beati loro ben 4,5 miliardi. Complimenti mister Aponte, i nostri Luca Chianca e Alessia Marzi
LUCA CHIANCA FUORI CAMPO Per risalire all’origine dell’impero Msc, e del suo proprietario Gianluigi Aponte, bisogna approdare nella Penisola sorrentina. Aponte è nato 83 anni fa a Sant'Agnello, accanto a Sorrento.
LUCA CHIANCA Comandante così lo chiamate qua?
GAETANO MILANO – EX AMMINISTRATORE DELEGATO FONDAZIONE SORRENTO Comandante sì, io pure anche quando gli scrivo, per me, è comandante Aponte.
LUCA CHIANCA FUORI CAMPO L’Avvocato Milano è l’ex amministratore delegato della Fondazione Sorrento, un ente di riferimento del comandante Aponte
LUCA CHIANCA Lui ha sempre dato una mano anche qui sul territorio
GAETANO MILANO – EX AMMINISTRATORE DELEGATO FONDAZIONE SORRENTO Assolutamente sì. La Msc è come se fosse stata l'ufficio di collocamento.
LUCA CHIANCA FUORI CAMPO I numeri sono da capogiro, si parla di oltre 2mila impiegati tra i residenti, tra imbarcati sulle navi e gli amministrativi a terra. Ultimo regalo è l’Msc Sporting Club nel cuore della sua Sant'Agnello.
GAETANO MILANO – EX AMMINISTRATORE FONDAZIONE SORRENTO Se ti riesco a combinare l'intervista e andiamo a Ginevra te fai nu sacco de risate eh
LUCA CHIANCA Perché?
GAETANO MILANO – EX AMMINISTRATORE FONDAZIONE SORRENTO Perché tu arrivi in questo palazzo 14-15 piani lui sta sopra a tutto no? La gente che sta sotto lo vive come una specie di mito che sta la ‘ncoppa hai capito? Che magari non lo vedono neanche passare non lo so. Però teneva stu planning davanti che era quant'è sta parete con tutte le navi che si muovevano nell'emisfero, cioè lui in tempo reale sa dove stanno le navi.
LUCA CHIANCA FUORI CAMPO Nel Golfo di Napoli a dividersi le tratte tra le principali isole sono pochi armatori e tra questi c'è il gruppo Msc che qui possiede ben 3 compagnie Snav, Caremar e NLG.
PIETRO SPIRITO – ECONOMISTA DEI TRASPORTI Ed è un mercato importante perché tra l'altro è collegato anche come possiamo immaginare con il mondo delle crociere perché molti dei croceristi che sbarcano a Napoli poi vanno a visitare Capri o Ischia.
LUCA CHIANCA FUORI CAMPO Ai primi di novembre finiscono ai domiciliari 10 persone tra armatori locali e funzionari pubblici, 44 gli indagati tra cui il patron di Msc Gianluigi Aponte per corruzione, falso, e traffico d'influenze. L'ipotesi per i magistrati è la formazione di un cartello di imprese per azzerare la concorrenza e cruciale per Aponte sarebbe un’intercettazione nella quale il comandante dà consigli all'amministratore dell'Alilauro Gruson, teoricamente suo concorrente, sulla strategia da attuare nei porti di Sorrento e Massa Lubrense.
INTERCETTAZIONE TELEFONICA DEL 31/03/2019 GIANLUIGI APONTE - FONDATORE E PROPRIETARIO MEDITERRANEAN SHIPPING COMPANY Scusami, ma chiamare questo di Massa e dire, insomma, noi a Massa non ti disturbiamo, però noi qua abbiamo una flotta che non finisce mai
SALVATORE DI LEVA – AMMINISTRATORE DELEGATO ALILAURO GRUSON Questo ti giuro, lo faccio già
GIANLUIGI APONTE - FONDATORE E PROPRIETARIO MEDITERRANEAN SHIPPING COMPANY Secondo me lo dobbiamo fare e dire, guarda non voglio sembrarti mafioso però la verità...se tu rimani dove stai, noi rimaniamo dove stiamo.
VINCENZO IURILLO – GIORNALISTA IL FATTO QUOTIDIANO Ed è una conversazione abbastanza interessante sul modus operandi di questi imprenditori
LUCA CHIANCA Avere un consiglio di Aponte significa fare la differenza
VINCENZO IURILLO – GIORNALISTA IL FATTO QUOTIDIANO Sapere di avere l'appoggio di Aponte significa fare la differenza certo
LUCA CHIANCA FUORI CAMPO Il gip ha forti perplessità sull’effettivo e consapevole contributo di Aponte. Secondo i magistrati, era la piccola cooperativa Marina della Lobra di Massa Lubrense che dava fastidio perché aveva delle corse per Capri che partivano anche da Sorrento, da sempre territorio del gruppo Msc e Alilauro Gruson.
LUCA CHIANCA Quindi diciamo avete pestato i piedi a chi si sentiva il padrone del porto?
MICHELE GIUSTINIANI – SOCIO COOPERATIVA MARINA DELLA LOBRA Evidentemente sì
LUCA CHIANCA FUORI CAMPO Ai primi di novembre, in concomitanza con l'inizio dei mondiali, a Doha Msc lancia la nuovissima Msc World Europa. Dovevamo esserci anche noi ma non siamo stati invitati. Presente all'inaugurazione tutta la famiglia Aponte, il fondatore Gianluigi, la figlia Alexa con Pierfrancesco Vago e il figlio Diego.
DA ASKANEWS 15/11/2022 LEONDARDO MASSA – COUNTRY MANAGER MSC CROCIERE ITALIA Questa è la prima nave della flotta Msc a gas liquefatto naturale che oggi è il combustibile con il minor impatto ambientale
LUCA CHIANCA FUORI CAMPO Viene presentata al mondo come la nave da crociera del futuro, perché alimentata a Gnl, il gas naturale liquido.
NICOLA ARMAROLI – DIRIGENTE DI RICERCA CNR - BOLOGNA Investiamo facciamo i porti con i container del gnl, facciamo gli attracchi per le navi a gnl facciamo tutta l'infrastruttura
LUCA CHIANCA Rigassificatori NICOLA ARMAROLI – DIRIGENTE DI RICERCA CNR - BOLOGNA I rigassificatori che portano il metano e alla fine ci troviamo con un investimento pazzesco che nel giro di 10, 15, 20 anni dovremmo abbandonare. Cioè il metano è una strada verso il disastro perché è uno dei maggiori contributori dell'effetto serra.
LUCA CHIANCA FUORI CAMPO Perché il gas naturale è composto per il 90, 99 % da metano. Questo è l'impatto delle navi sul pianeta uscito su Nature qualche anno fa, dove si vede come la maggior parte 5 delle concentrazioni di Pm 2,5, emesse da olio combustibile, si trovino lungo le principali rotte marittime mondiali. Dai porti cinesi seguono tutta la costa asiatica, risalgono per lo stretto di Suez, Mediterraneo, fino al nord Europa e nel mezzo dei caraibi tra il golfo del Messico e la Florida.
LUCA CHIANCA FUORI CAMPO Genova di notte. nave Gnv di Msc e quella Tirrenia, di Msc e Moby, mentre questo è il porto di Civitavecchia. Da qui si parte principalmente per la Corsica e la Sardegna, è diventata tappa fissa anche per numerose crociere.
ERNESTO TEDESCO – SINDACO DI CIVITAVECCHIA (RM) Soltanto i vecchi traghetti che ha preso lei per andare in Sardegna, vedi la mattina che mi mandano le foto la mattina giustamente i cittadini: sindaco guardi un po' che esce da quella nave?
LUCA CHIANCA FUORI CAMPO E proprio a Civitavecchia grazie all’aiuto dell’Ong belga Transport & Environment abbiamo cercato di verificare con una termocamera quante navi andassero a Gnl all'interno del porto e quante con i vecchi carburanti a olio combustibile. Iniziamo con i traghetti di proprietà di Msc e Moby.
LUCA CHIANCA Questo che tipo di carburante è?
NICKY VAN DER HURK - COORDINATORE TP EUROPE Diesel o qualcosa di simile è difficile da dire, solitamente quando si vede la nuvola nera è olio combustibile pesante, peggio del diesel. Probabilmente quella lì più grande dovrebbe essere a olio combustibile pesante.
LUCA CHIANCA FUORI CAMPO Nel frattempo entra in porto la nave da crociera Msc Splendida, costruita in Francia nel 2009.
NICKY VAN DER HURK - COORDINATORE TP EUROPE Anche questa probabilmente sta andando a olio combustibile pesante e come livelli di emissioni e qualità dell'aria nei porti questi sono tra quelli più inquinanti in questo momento.
LUCA CHIANCA FUORI CAMPO Arriva un'altra nave da crociera. Questa volta è la Costa Smeralda. Costata circa 1 miliardo di dollari, è la prima nave del gruppo Costa ad andare a gas naturale liquefatto.
NICKY VAN DER HURK - COORDINATORE TP EUROPE Probabilmente stanno usando del diesel in questo momento. Non è gnl, sono idrocarburi.
CONSTANCE DIJKSTRA - RICERCATRICE ONG TRANSPORT&ENVIRONMENT Stanno andando a diesel perché i prezzi del gas sono troppo alti al momento. Quando le compagnie di navigazione hanno deciso di passare al Gnl, il gas aveva prezzi più bassi del diesel, mentre oggi hanno cambiato nuovamente perché è molto più economico andare a diesel.
LUCA CHIANCA FUORI CAMPO Eppure lo stato ha già stanziato centinaia di milioni euro per incentivare il passaggio al gas e abbandonare il diesel.
VERONICA ANERIS – DIRETTRICE TRANSPORT&ENVIRONMENT ITALIA Il che è una follia, gli stessi armatori ora non usano il gas, ritornano al diesel quindi questi soldi dei contribuenti sono più che sprecati.
LUCA CHIANCA FUORI CAMPO Lo scorso anno l'ex ministro delle infrastrutture Giovannini aveva chiesto uno studio sulla decarbonizzazione dei trasporti.
NICOLA ARMAROLI – DIRIGENTE DI RICERCA CNR - BOLOGNA La vera opzione che abbiamo è cercare di ridurre la massimo i consumi quindi ridurre il numero di navi, di merci che girano forsennatamente in giro per il mondo.
LUCA CHIANCA FUORI CAMPO Perché al momento non esiste una tecnologia pronta che non inquini per il trasporto delle navi. A Londra c'è la sede dell'Imo, l'Agenzia delle Nazioni Unite per la cooperazione marittima. Roberto Giangreco, fa parte della delegazione italiana, rappresenta il ministero dell'ambiente.
LUCA CHIANCA Armaroli dice l'unica soluzione è diminuire la circolazione delle navi e qui…
ROBERTO GIANGRECO - MINISTERO AMBIENTE E SICUREZZA ENERGETICA Sul tavolo la diminuzione dei traffici non ci può essere, perché la dimensione dei traffici è in funzione del sistema economico globale. Cioè se noi adesso dovessimo diminuire i traffici entra in crisi, collassa tutto il sistema.
LUCA CHIANCA FUORI CAMPO Una risposta però la chiedono a gran voce le isole del Pacifico che stanno già vivendo sulla propria pelle gli effetti del surriscaldamento climatico perché stanno già andando sott'acqua a causa dell'innalzamento dei mari.
ALBON ISHODA – AMBASCIATORE ISOLE MARSHALL Sì, basti pensare che tutte le emissioni prodotte dal sistema marittimo mondiale sono equivalenti a quelle della Germania, che è il sesto emettitore al mondo.
LUCA CHIANCA FUORI CAMPO Anche se oggi se la prendono con l’inquinamento delle navi, le isole Marshall negli anni hanno tratto enorme vantaggio dal sistema marittimo attraverso il rilascio della bandiera di comodo che ha consentito agli armatori di tutto il mondo pochi controlli e risparmi sulle tasse.
ALBON ISHODA – AMBASCIATORE ISOLE MARSHALL Pggi indipendentemente dalla bandiera che si ha, chi inquina dovrebbe pagare per finanziare tutte le misure necessarie a combattere il cambiamento climatico.
LUCA CHIANCA FUORI CAMPO Però loro vengono da voi perché pagano poche tasse, se uno gli chiede altre tasse perché inquinano probabilmente scapperebbero.
ALBON ISHODA – AMBASCIATORE ISOLE MARSHALL Ma è preferibile avere una bandiera su una nave di un paese che non esiste più o è meglio avere ancora quel paese?
LUCA CHIANCA FUORI CAMPO Le isole Marshall hanno già presentato una risoluzione lo scorso anno ma con scarso successo.
MARK PIETH - PROFESSORE DI DIRITTO PENALE UNIVERSITÀ DI BASILEA La domanda era: siamo d'accordo che tutte le nazioni marittime saranno a zero emissioni di gas serra al 2050? E tre quarti dell'assemblea ha votato contro, compresa la Svizzera.
LUCA CHIANCA FUORI CAMPO Ad organizzare il mondo dei trasporti navali è l'Imo, L’organizzazione marittima internazionale delle Nazioni Unite. È qui che le delegazioni dei 174 paesi membri possono portare anche i rappresentanti degli armatori. Per Msc c’è Claudio Abbate mandato a Londra come osservatore al seguito del governo svizzero, che non gradisce la nostra presenza.
LUCA CHIANCA Molto lieto, Luca Chianca lavoro per Rai3 per Report, posso sedermi?
CLAUDIO ABBATE - VICE PRESIDENTE POLITICHE AMBIENTALI E AFFARI GLOBALI MSC Eh è tutto gratis qua
LUCA CHIANCA Lei fa parte della delegazione svizzera no, cioé voi accompagnate la delegazione svizzera?
CLAUDIO ABBATE - VICE PRESIDENTE POLITICHE AMBIENTALI E AFFARI GLOBALI MSC Siamo degli osservatori
LUCA CHIANCA Osservatori che sarebbe?
CLAUDIO ABBATE - VICE PRESIDENTE POLITICHE AMBIENTALI E AFFARI GLOBALI MSC Osservatori sostanzialmente…scusi ma è un’intervista?
LUCA CHIANCA Faccio il giornalista…
CLAUDIO ABBATE - VICE PRESIDENTE POLITICHE AMBIENTALI E AFFARI GLOBALI MSC Devo prima chiedere il permesso ai colleghi mi manda un'email…
LUCA CHIANCA Mi faccia capire solo il ruolo vostro qui.
CLAUDIO ABBATE - VICE PRESIDENTE POLITICHE AMBIENTALI E AFFARI GLOBALI MSC No basta, chiuso
LUCA CHIANCA Dico voi come armatori, come primo armatore mondiale che siede qui al tavolo
CLAUDIO ABBATE - VICE PRESIDENTE POLITICHE AMBIENTALI E AFFARI GLOBALI MSC Lei faccia le domande al nostro…
LUCA CHIANCA Del governo svizzero poi, una delle poche nazioni che non ha il mare, è curioso no?
CLAUDIO ABBATE - VICE PRESIDENTE POLITICHE AMBIENTALI E AFFARI GLOBALI MSC È una battuta che non mi piace, dunque basta, la lascio. Io farmi prendere per il culo da lei, sinceramente…
LUCA CHIANCA Addirittura WILLIAM ATCHINSON – RICERCATORE ONG INFLUENCE MAP Secondo un nostro studio oltre un quarto dei soggetti che seguono i governi qui a Londra lavorano per le aziende del settore marittimo.
LUCA CHIANCA E riescono a incidere sulle decisioni prese da istituzioni come questa?
WILLIAM ATCHINSON – RICERCATORE ONG INFLUENCE MAP Assolutamente sì, intervengono, danno input, pareri. In sostanza convincono i responsabili politici a non avanzare proposte più rigorose che potrebbero danneggiare i loro affari.
SIGFRIDO RANUCCI IN STUDIO Quella che si sposta non è una nave, ma un intero quartiere con luna park annesso con parrucchieri, estetisti. Cibo e bevande per 24 ore su 24. Questo ovviamente richiede un grande consumo di acqua e di elettricità. Pensate che le navi da crociera sono solo il 3% dell'intero comparto navale, Tuttavia consumano e producono rifiuti per il 25% dell'intero comparto. E per mantenere queste attività, ovviamente, bisogna mantenere accesi i motori e bruciare combustibile. L'aria che si respira sui pontili in fatto di pm 10 e pm 2,5 equivale all'aria che si respira in una città come Pechino. Tuttavia, l'intero comparto navale è tra i dimenticati dai provvedimenti che tendono ad eliminare le emissioni climalteranti. Secondo una Ong che si occupa appunto di trasporti e ambiente, MSC si posizionerebbe addirittura al 6º posto delle attività commerciali più inquinanti d'Europa, dopo addirittura dietro le centrali a carbone di Polonia e quelle tedesche. Ora MSC ovviamente respinge questa classifica dice la comparazione di settori industriali completamente diversi tra loro non può produrre una classifica pertinente per l'impatto economico e sociale positivo del trasporto delle navi rispetto alla produzione di energia elettrica, insomma è una risposta un po' bizzarra. Perché, insomma, anche le centrali a carbone polacche e tedesche fanno muovere l'economia e hanno un senso nella socialità. Noi qui parliamo solamente di impatto ambientale e sul clima. Comunque, per quello che riguarda invece l'utilizzo del 9 Gnl, Gas naturale liquefatto, MSC ritiene che sia un combustibile di transizione e dice di continuare a esplorare delle alternative perché mira ad arrivare nel 2050 ad emissioni zero. Speriamo perché è l'obiettivo anche delle Isole Marshall. Però la loro proposta è stata sostenuta solo da otto Paesi. Ora l'Europa vuole invece far pagare tasse per ogni tonnellata di carbonio emessa nell'atmosfera. In bocca al lupo, visto che gli armatori sono abituati invece ai paesi della cuccagna che li accolgono a braccia aperte
PUBBLICITÀ LUCA CHIANCA FUORI CAMPO 41mila chilometri quadrati. Altipiani e montagne che superano i 4000m. Senza neanche uno sbocco sul mare la Svizzera è la sede ideali di società di armatori che complessivamente controllano 2000 navi che navigano negli oceani di tutto il mondo.
MARK PIETH - PROFESSORE DI DIRITTO PENALE UNIVERSITÀ DI BASILEA La Svizzera è la seconda nazione marittima più grande del mondo.
ALESSIA MARZI Perché la Svizzera è diventata una potenza marittima?
MARK PIETH - PROFESSORE DI DIRITTO PENALE UNIVERSITÀ DI BASILEA È diventata un riferimento per il trading di risorse naturali come petrolio, carbone, ferro. Qui ci sono le compagnie assicurative, le società di logistica. Se metti tutto insieme la Svizzera diventa il luogo perfetto, dove gestire tutti gli affari legati alle spedizioni.
ALESSIA MARZI Msc quante navi ha sotto bandiera Svizzera?
HOLGER SCHATZ - SEGRETARIO NAZIONALE SINDACATO NAUTILUS - SVIZZERA Msc non ha una sola nave che batte bandiera svizzera. Gli armatori usano una nazione come base, poi registrano le navi alle Bahamas, in Liberia, alle isole Marshall, nazioni dalle bandiere di comodo. Per noi è un problema perché anche sono delle convenzioni internazionali, l’esperienza ci dice che se vuoi difendere un marittimo devi andare in una corte alle Bahamas.
LUCA CHIANCA FUORI CAMPO Per MSC invece è l’armatore ad essere responsabile ovunque la nave stia navigando. Abbiamo però capito che per un paese un armatore vale un tesoro. Ma è fondamentale anche il ruolo dei cantieri navali LUCA CHIANCA FUORI CAMPO È il 7 maggio del 2017. Emmanuel Macron diventa Presidente della Repubblica. La sua prima visita ufficiale è nei cantieri navali più grandi d'Europa, quelli di St.Nazaire. Ad accoglierlo per l'inaugurazione della Msc Meraviglia, c'è Gianluigi Aponte. È lì perché a partire dal 2002 Msc si è fatta costruire oltre 10 navi da crociera dal costruttore sudcoreano Stx, però nel 2016 i coreani falliscono. Al loro posto cerca di subentrare la nostra Fincantieri con la quota di maggioranza. Sembra tutto fatto quando il neoeletto presidente Emmanuel Macron, blocca tutto.
31/05/2017 EMMANUEL MACRON – PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA FRANCESE Voglio anche dirvi che questa partnership industriale con gli italiani può continuare a consolidarsi, ma voglio anche dirvi che insieme ai nostri amici italiani, auspico che si possano rivedere gli accordi di base dell'aprile 2017
LUCA CHIANCA FUORI CAMPO L'annuncio di rivedere gli accordi con gli italiani viene fatto proprio davanti ad Aponte che pochi giorni dopo dichiara a Le Monde che avrebbe fatto di tutto per impedire a Fincantieri di saccheggiare St.Nazaire.
PIETRO SPIRITO – ECONOMISTA DEI TRASPORTI In Europa ci sono due grandi produttori di navi da crociera, Fincantieri a Montefalcone e i cantieri di St. Nazaire ora è chiaro che quando due soggetti importanti diventano uno chi deve comperare navi da crociera, chiaramente sta un po' più diciamo prigioniero.
LUCA CHIANCA FUORI CAMPO Il braccio di ferro tra Roma e Parigi lo vince Macron, che porta alla nazionalizzazione dei cantieri francesi e all'uscita di Fincantieri dall'accordo. Martine Orange, giornalista di Mediapart, incuriosita dai rapporti di Macron e Aponte, fa un incredibile scoperta. Il nuovo segretario generale di Macron all'Eliseo, Alexis Kohler, è il cugino della moglie di Aponte.
MARTINE ORANGE – GIORNALISTA MEDIAPART Ma scopro anche che era stato capo dello staff di Macron quando era ministro dell'Economia. Poi era andato a lavorare a Ginevra per Msc, come direttore finanziario e al tempo stesso tempo era il responsabile della campagna elettorale di Macron per le presidenziali del 2017.
LUCA CHIANCA Che dossier seguiva per il governo francesce?
MARTINE ORANGE – GIORNALISTA MEDIAPART Ufficialmente Alexis Kholer dice di non aver mai seguito dossier riguardanti Msc, ma la mia indagine ha dimostrato che questo non era vero. Ha seguito anche le vicende dei cantieri di St.Nazaire, dove sono state prese decisioni importanti a favore di Msc.
LUCA CHIANCA FUORI CAMPO Msc, cliente n. 1 dei cantieri di St.Nazaire, negli anni, ha ottenuto dal governo francese anche prestiti agevolati per costruire le proprie navi. Dopo gli articoli di Mediapart, l'associazione Anticor presenta denuncia e dopo un anno di indagini nel primo rapporto in cui si chiede di perseguire Alexis Kohler, ma poi un secondo rapporto ne chiede l’archiviazione. Cosa è successo nel mezzo?
LUCA CHIANCA Tra i due rapporti c'è di mezzo una lettera scritta da Macron
ELISE VAN BENEDEN – PRESIDENTE ASSOCIAZIONE ANTICOR Sì, che dice che Emmanuel Macron è al corrente delle relazioni familiari di Alexis Kohler con la famiglia Aponte, quindi con l'azienda Msc e che Alexis Kohler non si è mai preoccupato degli affari in rapporto con Msc.
LUCA CHIANCA La lettera di Macron aveva di fatto bloccato l’indagine?
MARTINE ORANGE – GIORNALISTA DI MEDIAPART Sì aveva seppellito il caso.
LUCA CHIANCA FUORI CAMPO Quando Orange pubblica anche questa lettera, l'associazione Anticor è tornata in tribunale ma questa volta facendo richiesta per avere un altro giudice e così l'indagine riparte e oggi è ancora in corso
LUCA CHIANCA Da quel momento però iniziano i problemi per voi?
ELISE VAN BENEDEN – PRESIDENTESSA ASSOCIAZIONE ANTICOR Sì il governo ci ha chiesto il nome delle persone che ci finanziano che ci sostengono.
LUCA CHIANCA FUORI CAMPO Non è andata meglio a Jean Baptiste Rivoire, giornalista da poco uscito da Canal Plus. Decide di realizzare una serie tv sul sistema di potere di Macron e quello dei rapporti del suo segretario generale con Msc doveva essere il primo episodio.
JEAN BAPTISTE RIVOIRE – GIORNALISTA OFF INVESTIGATION Tutti i canali TV si sono rifiutati e le risposte sono state piuttosto divertente. Ad esempio, un canale privato, ci ha detto che non fanno politica. Il primo canale francese, ci ha detto “Oh, abbiamo già un progetto, ma molto diverso”. Netflix ha detto che non possiamo fare lavori con politici in carica.
SIGFRIDO RANUCCI IN STUDIO L'inchiesta è stata pubblicata su YouTube, ha contato centinaia di migliaia di visualizzazioni e ha anche raccimolato qualche euro per contribuire alla realizzazione del prodotto giornalistico. Evviva il giornalismo d'inchiesta che ha avuto il merito di accendere un faro su Alexis Kohler, che è parente di Raffaella Aponte, azionista MSC, moglie di Gianluigi, e avrebbe Kolher avuto un ruolo in tutti i dossier che riguardavano i cantieri di St. Nazaire, dove MSC costruiva, costruisce le sue navi da crociera. Ora Kolher è stato prima come membro dello Stato francese nella società STX Coreana che gestiva i cantieri, poi nel 2014 diventa capo di gabinetto di Macron, Ministro dell'Economia allora, e secondo quello che avrebbero scoperto i giornalisti di inchiesta di Mediapart nei panni di direttore finanziario di MSC, avrebbe partecipato a un incontro avente come tema proprio la situazione di STX, che era in difficoltà economica per quello che riguardava la gestione dei cantieri di St. Nazaire. Poi è stato capo della campagna presidenziale di Macron e infine, quando Macron diventa presidente, lascia MSC. E ora Kolher è finito sotto inchiesta giudiziaria. Sospettato di conflitto di interessi, grazie al lavoro giornalistico. Però, MSC scrive di non aver giocato alcun ruolo diretto o indiretto nella privatizzazione dei cantieri di St. Nazaire. Qualche anno fa, è noto appunto, aveva rilasciato delle dichiarazioni ostili nei confronti dell'entrata possibile di Fincantieri dentro i cantieri di St. Nazaire che era un'entrata concordata con Hollande e che invece poi divenuto Macron presidente, è saltata del tutto. E poi, insomma, questo è un bene per Gianluigi Aponte, che può contrattare con due costruttori, Fincantieri e la Francia, per costruire le sue navi e scegliere l'offerta migliore. Ma il potere di MSC si esercita, oltre che con le navi, anche con i traghetti, con i rimorchiatori, con i terminal portuali
LUCA CHIANCA FUORI CAMPO Mauro fa parte della cooperativa dei pescatori di Boccadasse di Genova. 8 anni fa hanno iniziato con un piccolo gozzetto, oggi hanno 5 barche. Fanno ittiturismo e i primi di ottobre siamo usciti con lui per la pesca del pesce spada nel Golfo di Genova LUCA CHIANCA Questo quanto sarà?
MAURO GAMBARO – PESCATORE 25 kg
LUCA CHIANCA 25 kg?
MAURO GAMBARO – PESCATORE Sì più o meno sì.
LUCA CHIANCA FUORI CAMPO Intorno a noi navi da crociera, container e gas, vanno tutte verso il porto di Genova. Ma l’intenzione è quella di accogliere le grandi navi da 400 metri. Costruendo una nuova diga, 500 metri più al largo di quella esistente. Ma questo potrebbe cambiare gli equilibri di un ecosistema.
MAURIZIO WURTZ – BIOLOGO MARINO Questo punto è cruciale, qui ci sono due canyon che sono fondamentali per tutto il funzionamento del sistema che riguarda proprio questa zona
LUCA CHIANCA Fino in Francia
MAURIZIO WURTZ – BIOLOGO MARINO Perchè è qui che si ha la massima produzione di fitoplancton del mediterraneo.
LUCA CHIANCA FUORI CAMPO Lo specchio d'acqua di fronte la città di Genova fa parte del santuario dei cetacei, una vasta area che arriva fino in Francia e dove si stima la presenza di circa un migliaio di balene. Qui sotto, davanti al porto, si inabissano due enormi canyon a ben 2500 metri sotto il livello del mare. Vere e proprie autostrade marine in cui si incanala la corrente che sposta ben 14 milioni di metri cubi al secondo d'acqua.
LUCA CHIANCA Qualsiasi opera fatta a Genova ha implicazione su tutto il resto della costa questo è un fatto
MAURIZIO WURTZ – BIOLOGO MARINO Questo è un fatto. Ora con la crisi climatica dobbiamo ricordarci che il mare è quello che sequestra più C02 in assoluto. Un ecosistema marino sano ci può salvare.
LUCA CHIANCA FUORI CAMPO Il porto di Genova è storicamente uno dei principali scali del Mediterraneo. Oggi nel bacino del porto vecchio sono ormeggiate le numerose navi da crociera, accanto quelle per il trasporto passeggeri. Poco più in là ci sono i terminal pieni di contenitori. Tutto è difeso dalla vecchia diga. Ma per far arrivare navi sempre più grandi si è deciso di costruirne una nuova
LUCA CHIANCA Analisi costi benefici. In molti sono a dire che sono
MARCO BUCCI – SINDACO DI GENOVA Una grande perdita di tempo, sulle grandi infrastrutture non ha nessun senso. È la visione strategica, la visione strategica bisogna avercela
ANDREA MOIZO - GIORNALISTA Scommettere con i soldi altrui è facile, qui i soldi son tutti pubblici. Qundi il contribuente avrebbe ragione a chieder conto.
LUCA CHIANCA Che cosa dice l'analisi costi benefici?
ANDREA MOIZO – GIORNALISTA É molto discutibile, è davvero una scommessa.
LUCA CHIANCA FUORI CAMPO Una scommessa da 950 milioni di euro per la prima fase e di almeno altri 350 per completare tutta l'opera. Piero Silva è un ingegnere marittimo, vive in Francia dove insegna a Parigi e a Caen. All'attivo ha realizzato ben 22 opere portuali in giro per il mondo. Nel 2021 diventa direttore tecnico della nuova diga, studia il progetto e si dimette dopo qualche mese.
PIERO SILVA – EX DIRETTORE TECNICO PROJECT MANAGEMENT CONSULTING RINA PER LA DIGA FORANEA Quest'opera è un'opera colossale, un'opera che si sviluppa per più di 4 km su una profondità media superiore ai 40 metri e che arriva ai 50 metri. Questo cosa vuol dire? Che si costruisce davanti a Genova una diga a rischio di collasso geotecnico alla prima mareggiata. Questo secondo me non è accettabile.
LUCA CHIANCA Però nel caso di un cedimento perché il terreno sottostante è più complesso rispetto alle previsioni lì aumenta il costo dell'opera.
PAOLO EMILIO SIGNORINI - PRESIDENTE DELL'AUTORITÀ DI SISTEMA PORTUALE DEL MAR LIGURE OCCIDENTALE Qualora ci fosse un imprevisto geologico che è dettagliato è chiaro che questo porterebbe ad un incremento del costo dell'opera
LUCA CHIANCA Esiste un limite all'aumento dei costi?
PAOLO EMILIO SIGNORINI - PRESIDENTE DELL'AUTORITÀ DI SISTEMA PORTUALE DEL MAR LIGURE OCCIDENTALE Non esiste per definizione.
LUCA CHIANCA Ecco lei quanto pensa di spendere per l'opera intera?
PAOLO EMILIO SIGNORINI - PRESIDENTE DELL'AUTORITÀ DI SISTEMA PORTUALE DEL MAR LIGURE OCCIDENTALE È verosimile che staremo alla fine tra il miliardo e mezzo e i due miliardi
LUCA CHIANCA FUORI CAMPO Oggi il cerchio di evoluzione delle navi per fare manovra prima di attraccare avviene in questa zona al centro del porto. Con il nuovo progetto questa operazione verrebbe spostata poco più in là davanti Calata Bettolo grazie alla demolizione di una parte della vecchia diga.
LUCA CHIANCA Questa va tutta via
INGEGNERE AUTORITA' PORTUALE Questa va tutta via
LUCA CHIANCA E questa è calata Bettolo, quindi di fronte
INGEGNERE AUTORITA' PORTUALE Di fronte a questa banchina ci sarà un cerchio di evoluzione di 800 metri per poter fare evolvere bene le navi
LUCA CHIANCA Chi ne beneficia di più è Msc
INGEGNERE AUTORITA' PORTUALE Diciamo che questa banchina è già bene attrezzata per poter accogliere navi di un certo tipo.
LUCA CHIANCA FUORI CAMPO Accanto al terminal di Msc c'è quello dell'imprenditore genovese Aldo Spinelli. Quando arriviamo presso il suo terminal per fare un'intervista programmata il presidente non c'è.
LUCA CHIANCA Presidente io sono qui fuori il suo terminal
ALDO SPINELLI – FONDATORE E PRESIDENTE GRUPPO SPINELLI Eh lo so ma io sono in centro c'ho un po' da fare, ha capito? Con gli avvocati che mi hanno detto di non fare nessuna dichiarazione.
LUCA CHIANCA La diga dicono sia un piacere fatto a voi e a Msc
ALDO SPINELLI – FONDATORE E PRESIDENTE GRUPPO SPINELLI No, guardi la diga è un piacere fatto a tutta l'Italia. ringraziamo Toti, Signorini e Bucci Siamo riusciti finalmente a fare quello non aveva mai fatto nessuno.
LUCA CHIANCA FUORI CAMPO Spinelli, il presidente del porto di Genova Signorini, il sindaco Bucci e il Presidente Toti nel 2017 volano a Ginevra, da Gianluigi Aponte, patron di Msc, sull’aereo privato di Alessandro Garrone, noto imprenditore genovese.
GIOVANNI TOTI – PRESIDENTE REGIONE LIGURIA L'ho trovato francamente comodo e a costo zero per la pubblica amministrazione quindi…
LUCA CHIANCA C'è una targa all'autorità portuale di secoli fa in cui si dice non si accettano regali da nessuno
GIOVANNI TOTI – PRESIDENTE REGIONE LIGURIA Ma quello non è un regalo. Io con il comandante Aponte mi sento abbastanza costantemente
LUCA CHIANCA Avete discusso della diga in quell'incontro?
GIOVANNI TOTI – PRESIDENTE REGIONE LIGURIA No all'epoca a Ginevra della diga non si parlò, si parlò in prospettiva perché Aponte ha sempre chiesto che la diga di Genova fosse aggiornata come lo chiedeva Spinelli e come lo chiedevano tutti gli operatori del porto.
LUCA CHIANCA FUORI CAMPO Che hanno concessioni pubbliche rilasciate dall’autorità portuale di Signorini, voluto dal presidente Toti, e attraverso le società del gruppo, Aldo Spinelli tra il 2015 e il 2018 ha finanziato per 40mila euro le attività politiche di Toti.
ALDO SPINELLI – FONDATORE E PRESIDENTE GRUPPO SPINELLI Noi guardi non solo cerchiamo, nel nostro piccolo facciamo beneficienza da tutte le parti: è giusto che aiutiamo la chiesa, è giusto che aiutiamo il Gaslini, aiutiamo giornali, televisioni, cerchiamo di fare il nostro dovere
LUCA CHIANCA Però quando sia aiuta la politica no, ci si aspetta sempre qualcosa in cambio no?
ALDO SPINELLI – FONDATORE E PRESIDENTE GRUPPO SPINELLI Appunto guardi la politica, quello lì era un progetto come la gronda e come le ferrovie sono progetti fermi da 10,20 anni era una vergogna
LUCA CHIANCA FUORI CAMPO E poi c'è il gruppo Aponte che tramite una società controllata ha finanziato il comitato Giovanni Toti con 10mila euro.
GIOVANNI TOTI – PRESIDENTE REGIONE LIGURIA La diga è esattamente un'infrastruttura che serve delle concessioni che portano ricchezza al nostro territorio
LUCA CHIANCA E anche a loro anzi, maggiormente
GIOVANNI TOTI – PRESIDENTE REGIONE LIGURIA E anche a loro e ci mancherebbe altro, nel piano concessorio i terminal di Spinelli, di Gavio, di Msc non sono state scelte né di Toti, né di Signorini
LUCA CHIANCA FUORI CAMPO In realtà le ultime concessioni a Spinelli e Msc sono state assegnate proprio da Signorini, tra il 2018 e il 2022. In Italia Msc ha il suo quartier generale a Genova dove a ottobre ha comprato anche la storica società Rimorchiatori Mediterranei e la cosa è stata mal digerita anche dai vicini soci terminalisti come Aldo Spinelli.
LUCA CHIANCA Ma mi faccia capire un attimino che sta facendo Msc sul territorio
ALDO SPINELLI – FONDATORE E PRESIDENTE GRUPPO SPINELLI Compra quello che vuole comprare in questo momento gli armatori sono tutti pieni di soldi perché hanno guadagnato l'ira di dio
PIETRO SPIRITO – ECONOMISTA DEI TRASPORTI Quest'anno le prime dieci compagnie al mondo nel marittimo faranno 200 miliardi di dollari di utile.
SIGFRIDO RANUCCI IN STUDIO Allora centinaia di miliardi di euro di euro o di dollari da investire nel porto sicuro. Mentre sul futuro del porto più importante d'Italia si è parlato con un viaggio, un volo privato. MSC conferma ci dice che sono state presentate le prospettive di sviluppo del porto di Genova e in tale contesto si è sicuramente parlato anche della diga come un progetto di valenza strategica per la città e l'intera portualità genovese. Tutto vero. Ma a che prezzo? Perché potrebbe scombinare un intero ecosistema. Ora MSC in Italia, oltre i terminal di Genova, controlla anche quelli di Gioia Tauro. Poi, attraverso la società Marinvest, controlla il Terminal intermodale di Venezia, due dei principali terminal del porto di Napoli, La Spezia, i terminal di Civitavecchia, Catania e Brindisi. MSC, controlla 70, termina in 31 paesi dei cinque continenti attraverso il braccio logistico Medlog, presente in 70 paesi e anche tra i maggiori fornitori di servizi logistici al mondo marittimi di trasporto e anche quelli su terra. Possiede alcune delle principali agenzie di viaggio italiane tramite la Bluevacanze e controlla la Going, e la Cisalpina Tours che è quella che poi cura anche le trasferte di noi giornalisti Rai qualche problema ce l'ha creato anche dopo il covid. E poi noi non possiamo far altro che rallegrarci con Gianluigi Aponte per il suo successo imprenditoriale. Però, insomma, ha conquistato il mercato del commercio globale. L'alternativa è la Cina, che sta utilizzando come passepartout enormi container, le grandi navi. Insomma, ci troviamo in mezzo ad un oligopolio che significa che se vuoi avere la merce, cibo o medicinali con loro devi trattare. Stabiliscono il prezzo, i tempi e anche le modalità. Ora, se non vogliamo finire stritolati dall'uno o dall'altra, insomma, qualche regola forse bisognerà anche metterla.
Morto Mario Preve, ex patron di Riso Gallo: «Un leader con grande senso del dovere». Davide Maniaci su Il Corriere della Sera il 18 Febbraio 2023.
Aveva 81 anni. Da poco aveva passato la gestione dell'azienda ai quattro figli, assegnando a ognuno compiti diversi
La «sua» azienda, la Riso Gallo, ha 160 anni di storia e sei generazioni alle spalle, e lui è riuscito a traghettarla nel nuovo millennio aumentando la produzione. Un anno fa aveva passato la mano ai quattro figli, ognuno con compiti diversi, poco dopo aver compiuto 80 anni. Sabato 18 febbraio Mario Preve, proprietario e già presidente di una delle più grandi aziende risicole d’Europa, è morto. La notizia della scomparsa la dà la stessa Riso Gallo con un comunicato. Preve oltre ad essere stato presidente di Riso Gallo e vice nell’ultimo periodo, è stato anche presidente dell'Associazione Italiana Industrie Risiere (AIRI), membro del consiglio di amministrazione dell'Ente Nazionale Risi, primo italiano a essere eletto presidente dell'Unione delle Associazioni delle Riserie Europee (UARCEE) - federazione che ha preceduto la FERM, fondatore e membro attivo dell'esecutivo FERM. Per molti anni e ha ricoperto cariche a livello associativo e imprenditoriale.
Nato a Buenos Aires nel 1941 perché il padre Riccardo era lì per seguire il raccolto, Mario Preve si è laureato in Economia e Commercio in Italia, proseguendo poi gli studi alla Harvard Business School. Ha iniziato a lavorare nell'azienda dal 1965 e nel 1969 tornò di nuovo a Buenos Aires dove si alternò con i fratelli Alberto e Cesare alla guida dello stabilimento argentino.
«Un leader dal grande senso del dovere – lo ricorda la Riso Gallo – e dalla profonda umanità, da sempre impegnato nello sviluppo della sua azienda con l’obiettivo di creare valore per l’intero comparto e per il territorio nazionale. Un uomo che sarà ricordato anche per la sua sincera vicinanza alla comunità e per un profondo legame con la sua famiglia». Il sindaco di Robbio, Roberto Francese, lo definisce «un signore d’altri tempi, molto legato alla cittadina».
Ponti, Lara, Giacomo e la dinastia dell’aceto: «Per le aziende familiari è tempo di alleanze». Alessandra Puato su Il Corriere della Sera il 23 Gennaio 2023.
Può partire una fase di aggregazioni per le aziende familiari. Ma «serve una politica industriale nuova — dice Lara Ponti, consigliere delegato di Ponti con il cugino Giacomo — . Più che i sussidi a breve, in Italia sono necessari interventi strategici sulle infrastrutture, le tecnologie, la semplificazione. È questo che darebbe la svolta al made in Italy. Non i sussidi come quelli Usa, un doping del mercato». Il riferimento è al piano Inflaction reduction act, per sostenere le imprese su territorio americano. Quanto ai matrimoni fra imprese, «nei prossimi anni ci sarà più movimento, perché ci sarà qualche azienda da salvare e crescere per linee interne oggi non è così facile — dice Giacomo —. Un consolidamento fra le imprese familiari è auspicabile. Noi stessi siamo alla ricerca di aziende complementari da acquisire».
I conti
I cugini Lara e Giacomo Ponti, 54 e 50 anni, lei figlia di Cesare (82 anni, ancora nel board) e lui di Franco, sono alla guida dell’azienda dell’aceto di Ghemme, che ha chiuso il 2022 con ricavi in crescita a 130 milioni (dai 128 dichiarati nel 2021) e un margine operativo lordo del 5% (dall’8%). In novembre hanno concluso un accordo di scambio azionario con il Polo del Gusto: hanno venduto da Ponti spa alla società extra caffè del gruppo Illy l’azienda Achillea, succhi di frutta, e «anziché fare cassa», sottolinea Giacomo, hanno stretto un patto per entrare fino al 2,5% nell’azionariato del Polo. È atteso a breve l’aumento di capitale per la variazione.Quinta generazione di imprenditori («Nona se partiamo dall’inizio più lontano, nel 1787»), Lara e Giacomo sono l’esempio delle nuove aziende familiari italiane. Quelle raccontate dall’ultima indagine Aidaf Bocconi Unicredit: che investono e crescono anche durante la crisi senza perdere solidità. Il momento non è semplice per nessuno.
Fornitori e prezzi
«L’inflazione rende lo scenario estremamente complesso — dice Giacomo —. In novembre l’alimentare ha registrato un calo dei volumi del 6% rispetto a un anno prima. Il rischio di desertificazione delle imprese esiste, chi ha le spalle larghe può reggere fino a tre anni, le altre saltano». «Abbiamo problemi non solo sulle materie prime, a reperire gli imballaggi come plastica, vetro, carta, plastica, ma anche con i fornitori — dice Lara —. Non c’è la possibilità di trattare con loro né di scaricare del tutto a valle gli aumenti. Stiamo lavorando su più livelli, negoziamo i prezzi con la grande distribuzione e ottimizziamo i costi interni».
La regola nelle crisi: semplificare
Per superare questa fase, secondo Giacomo, vale una vecchia regola: semplify to amplify. «Bisogna semplificare, andare all’essenza del prodotto. Con il ritorno alle basi, nei periodi di crisi non sbagli». Significa in concreto, per esempio, non lanciare prodotti nuovi, bensì concentrarsi su quelli che ci sono. Ma non basta se non si guarda avanti, anche nelle circostanze complesse come questa. «Nei momenti di crisi bisogna avere uno sguardo sul futuro, un percorso possibile in mente — dice Lara — . E si deve mantenere attenzione alla qualità, a come vengono fatte le cose». Un punto fermo sono gli investimenti in asset industriali e tecnologia pianificati, le strategie per Industria 4.0. «Noi abbiamo usufruito prima del piano Calenda e ora dei fondi del Pnrr per l’innovazione tecnologica — dice Lara —. Ma quando sono arrivati gli strumenti d’investimento eravamo pronti perché il nostro piano strategico 2020-2025 era già incentrato su sostenibilità, digitalizzazione, efficienza energetica».
Obiettivo: non rallentare ora
Ora l’obiettivo della Ponti, come di altre imprese redditizie ma alle prese con l’impennata degli extracosti, è non fare retromarcia: «Non dobbiamo rallentare i piani di investimento di cinque-sei milioni all’anno, già previsti dal piano strategico 2020-2025», dice Giacomo. E l’ingresso di un socio esterno non è escluso, se c’è un piano serio: «Noi siamo laici — dice Giacomo —. Il capitale si aprirà quando ci saranno opportunità di crescita industriale importanti».
La svolta
Una cosa è certa: in questi dieci anni le aziende familiari sono cambiate davvero. «Bisogna tenere conto della crisi del 2011 che ha selezionato — dice Lara — ma, in generale, la reputazione delle imprese di famiglia è cambiata. C’è stata una valorizzazione del made in Italy che si è riflessa sui consumi. E c’è un nuovo clima culturale anche sulla cura del personale». «Che cos’hanno le imprese familiari di diverso? Sono radicate sul territorio, hanno obiettivi di lungo periodo e solidità per i momenti difficili», dice Giacomo.
L’esempio della legge Golfo Mosca
Resta un cruccio: il ritardo, rilevato dalla ricerca Aidaf Bocconi Unicredit, sull’allargamento dei board ai giovani e alle donne. «La cultura italiana attribuisce ancora rilevo all’autorità dell’esperienza più che al portato delle giovani generazioni — dice Lara —: la capacità d’innovazione, di essere in sintonia con i tempi, di creatività e accelerazione con le tecnologie di ultima generazione». La proposta, perciò, di una legge che introduca quote minime nei board per chi ha meno di 40 anni è vista con favore. «La legge Golfo Mosca sulla quota minima di donne nei consigli d’amministrazione ha dato buoni risultati — dice l’imprenditrice —. Le norme che tutelano le fasce svantaggiate sono funzionali perché accelerano i cambiamenti culturali».
Raul Gardini, il corsaro della Borsa: tra scalate e declivi pericolosi. Raul Gardini ha incarnato il sogno del capitalismo italiano, le sue epiche scalate di Borsa lo hanno portato in cima, prima della tempesta Mani Pulite. Tommaso Giacomelli il 22 Gennaio 2023 su Il Giornale.
Un trascinatore, un leader naturale e un uomo dalla visione illuminata. Raul Gardini non riusciva a fermarsi al presente, non metteva mai l'ancora, seguiva il flusso del mare, come quello del suo amato Adriatico, e si proiettava con energia instancabile verso obiettivi futuri, per i più imponderabili. Uno spirito da vero corsaro quello dell'imprenditore ravennate, classe 1933, che ebbe il suo momento di massimo fulgore negli anni '80, salendo agli onori della cronaca per le grandi scalate finanziarie dal sapore temerario, che lo proiettarono nelle stanze dei bottoni della politica italiana e tra il gotha degli industriali nostrani. Gardini era orgoglioso della sua origine romagnola, di essere nato in quella città che fu capitale dell'Impero romano d'Occidente prima e del Regno degli Ostrogoti poi, non dimenticando mai la bellezza delle cose semplici, dei profumi del mare e della terra, di quanto sia benefico il calore di una famiglia unita e l'importanza di una stretta di mano tra gentiluomini. Gardini ha vissuto la vita a modo suo, seguendo le sue regole, pagando a caro prezzo un orgoglio che lo ha spinto a togliersi la vita con un colpo di pistola la mattina del 23 luglio 1993, a Milano, nel suo appartamento di Palazzo Belgioioso. Nel mezzo, però, vale la pena raccontare la vicenda personale di un uomo che ha saputo stupire e scioccare, nel nome di un capitalismo rampante e senza freno come quello esploso in Italia nella seconda metà degli anni '80.
Alla guida della Ferruzzi
Nel 1948 Serafino Ferruzzi, romagnolo doc, fonda la sua azienda, la Ferruzzi, che in una prima fase commercializza legname e calce, poi diventa leader nel trattare le materie agricole. Negli anni '60 l'impresa ravennate si ritaglia spazio come primo importatore italiano di grano, soia, olio di semi e cemento, diventando uno dei principali operatori del settore in Europa e, di conseguenza, nel mondo. Raul Gardini nel 1957 sposa la figlia del patron della Ferruzzi, Idina, e quando il vecchio Serafino nel 1979 muore in un incidente aereo, la famiglia decide di affidare le deleghe operative del Gruppo proprio a Gardini. Quest'ultimo, a 46 anni, si ritrova investito del ruolo di capo di una realtà industriale, che lui guiderà a una vera rivoluzione d'assalto. Ravenna, dopo molti secoli, torna ad avere un imperatore, diverso da quelli del passato, ma animato dallo stesso spirito di conquista grazie a delle idee che hanno la forza di colpire il cuore delle persone. Lui è un visionario, ma concreto, non un sognatore, in più è animato dalla voglia di ottenere quello che desidera con un fare quasi da guascone. Alla gente piace, buca lo schermo e cattura le simpatie dei media. In breve tempo, Raul Gardini è un nome che fa strada all'interno della società italiana, arrivando ad avere una forte risonanza a livello nazionale. Tutti si accorgono di lui e nel frattempo il Gruppo Ferruzzi spicca il volo, passando dal trading all'industria, concentrando le proprie risorse nel business dello zucchero. Nel 1981 acquista la Eridania, prima azienda produttrice di idrato di carbonio in Italia, poi nel 1986 passa alla francese Béghin Say. A guidare Gardini in queste campagne finanziare c'è l'intuito e una capacità di prendere le decisioni in un breve lasso di tempo. In seguito alle numerose politiche di acquisizione, l'industriale ravennate capisce che ci sono tutte le carte in regola per entrare nell'alta finanza con un ruolo da protagonista assoluto.
La Borsa e il sogno di Raul Gardini
Dopo il lungo silenzio degli anni di piombo, nel 1985 l'Italia sembra essere rinata. Un'ondata di benessere cavalcato dal nascente rampantismo inebria gli italiani di una nuova euforia collettiva. L'arrivo dei fondi di investimento mobiliare fa quintuplicare gli incassi della Borsa, le quotazioni guadagnano il 20% a settimana e in un mese si ottengono qualcosa come 300 miliardi di lire. In questo scenario Raul Gardini mette la Ferruzzi finanziaria sul mercato, i soldi - dice lui - si trovano in Borsa e basta saperli prendere. Una scelta all'apparenza spregiudicata che si rivela quanto mai azzeccata, dato che in tre anni fa entrare nelle casse del Gruppo qualcosa come 3.000 miliardi di lire. Gli yuppies hanno un nuovo idolo da venerare, Milano diventa la capitale del sogno che passa attraverso le urla, gli strepitii e la frenesia imperante delle affollate sale di Piazza Affari. Il sogno nel cassetto di Gardini, però, è quello di riuscire a costituire un polo della chimica che si proponesse come baluardo dell'ecologia. Il suo più viscerale desiderio è quello di proporre sul mercato un carburante che avesse un legame con le materie agricole, il suo primo amore. A quel punto, il ravennate mette gli occhi sulla Montedison, grande gruppo industriale italiano attivo nella chimica e nell'agroalimentare.
La scalata a Montedison
Nel 1985 la Montedison è al centro di uno scontro molto violento tra gli azionisti, Gardini fiuta la situazione e intravede la possibilità di entrare in scena per diventare l'azionista di riferimento. Un'azione facile sulla carta, ma difficile da realizzare perché a guidare il gruppo industriale c'è un osso duro, Mario Schimberni. Quest'ultimo è un tipo riservato, enigmatico e impenetrabile, che non fuma e non beve, tanto che viene chiamato "l'uomo di ghiaccio". Schimberni è un manager di alto rango che ha come unico obiettivo quello di fare della Montedison la prima public company italiana. Nel frattempo Gemina, il salotto buono del capitalismo italiano, prende per la giacchetta Gardini cercando di spingerlo a tutti i costi a farne parte, ma lui non ne vuole sapere. Il ravennate è un romagnolo puro, un po' impulsivo, la partita per conquistare la Montedison la vuole giocare da solo. A lui la chimica serve per trasformare il prodotto agricolo e creare energia, per questo mettere le mani sulla quell'industria diventa di capitale importanza. Nessuno, però, immagina che il numero uno del Gruppo Ferruzzi ha in mente la più clamorosa operazione finanziaria del secondo dopoguerra.
La prima fase dell'assalto alla Montedison è rapida e si conclude quasi in un lampo: l'8 ottobre del 1986 Gardini convoca il suo agente di cambio e gli ordina di acquistare più azioni possibile della Montedison. In un paio d'ore la Ferruzzi sborsa 1.500 miliardi di lire; alla fine della giornata Gardini blocca l'OPA di Cuccia e De Benedetti, e ottiene il 10% del pacchetto azionario del Gruppo operante nella chimica. La seconda fase è intrisa di diplomazia, di tessitura di rapporti e di dolce seduzione verso quegli azionisti che possiedono pacchetti importanti della Montedison. L'11 marzo 1987 Gardini ha speso un complessivo di 2.000 miliardi di lire ma in cinque mesi ha ottenuto il 40% delle quote desiderate. A novembre dello stesso anno, Gardini si issa al comando della Montedison, subentrando a Schimberni non senza un'aspra disputa tra i due leader. In appena sette anni, il ravennate diventa il secondo industriale italiano, contro ogni pronostico.
Il fallimento di Enimont
Il progetto di Gardini è in continua evoluzione, un rincorrersi perpetuo di decisioni, vale a dire che ogni passo stimola il successivo. Quando si conquista un avamposto, bisogna andare avanti e procedere a passo spedito. Non c'è mai quiete nel suo spirito. Sul finire del 1987, Gardini è il presidente della Montedison ed è il leader privato della chimica in Italia. Alla sua porta bussa la controparte pubblica, l'ENI, che ha bisogno dell'appoggio del ravennate per sopravvivere e dar vita a un polo chimico in grado di competere coi grandi del settore. Gardini si convince che l'unione tra le due realtà si può fare, con l'obiettivo di entrare almeno nei primi dieci del mondo. In poco tempo nasce la Enimont, che alla Montedison costa la bellezza di 1.200 miliardi di lire di tasse. Una spesa enorme, ma la parte pubblica promette a Gardini delle garanzie sugli sgravi fiscali con dei decreti legge. L'accordo viene siglato alla maniera contadina, o dei sensali, tramite una stretta di mano tra il ravennate e Ciriaco De Mita, presidente del Consiglio. A fine 1988 la Enimont conta 55.000 dipendenti e 16.000 miliardi di lire di fatturato, con il 40% delle quote a ENI, l'altro 40% a Montedison e il restante 20% destinato al mercato azionario. La nuova realtà pubblica-privata è il leader mondiale della chimica, ma per Gardini arriverà presto la beffa.
La politica capisce che sta per perdere un ufficio acquisti da 15.000 miliardi di lire all'anno, così in Parlamento il decreto legge aspettato da Gardini viene bocciato per due volte fino a decadere definitivamente. Poi, dopo la caduta del Governo De Mita e il ritorno di Andreotti, grande oppositore dei Ferruzzi fin dai tempi di Serafino, si mette una pietra tombale sulla questione. La politica si dimostra per Gardini il più inaffidabile degli interlocutori, inoltre, le divergenti vedute imprenditoriali tra le due realtà, porta alla rottura della joint venture con Gardini che si appella alla violazione degli impegni. Si arriva al "patto del cowboy", con la Montedison che ricopre il ruolo della parte che fa il prezzo e l'ENI di quella che compra. Dopo un iniziale tentativo di scalata da parte di Gardini alla Enimont, stoppata dal guidice Curtò con il congelamento provvisorio delle sue quote da parte del Tribunale di Milano, alla fine di novembre 1990 l'industriale ravennate abbassa la testa e vende il suo 40% all'ENI per 2.805 miliardi di lire.
Il Moro di Venezia e la caduta
Dopo il fallimento di Enimont, la famiglia Ferruzzi - stanca di inseguire le imprese spericolate - si dissocia da Raul Gardini, luquidandolo da tutti i suoi incarichi pagando una cifra di 503 miliardi di lire in contanti. L'ultima romantica impresa del ravennate è quella del Moro di Venezia, l'innovativa barca a vela che affidata al geniale skipper americano, Paul Cayard, vince la Louis Vuitton Cup del 1992 battendo in finale New Zeland per 4 a 3 dopo una rimonta insperata. La barca italiana arriva, dunque, negli Stati Uniti, nella baia di San Diego, per contendere l'America's Cup all'imbarcazione statunitense America³. Purtroppo la sfida terminerà 4 a 1 a favore dei padroni di casa, mentre per il Moro di Venezia rimane il sogno di aver spinto la vela italiana fino a toccare quasi il cielo, anche se il boccone da digerire è amaro.
I trionfi in mare vengono oscurati dalle nubi di tempesta che si abbatono a Milano con le indagini di "Mani Pulite". Uno dopo l'altro politici e manager ricevono avvisi di garanzia o mandati di cattura. È un effetto domino che non risparmia nessuno e travolge tutti. Il pool di magistrati milanesi punta alla Enimont, l'inchiesta viene incuriosita da una falso in bilancio, tra il 1990 e 1991, di 150 miliardi di lire che sarebbe servito a Gardini, e alla Montedison, per corrompere funzionari di governo e uscire indenne dalla chiusura della joint venture. Al ravennate questa cifra non torna e decide di collaborare con la giustizia. Scosso da un mondo che stava crollando sotto ai suoi piedi, e impotente di fronte al flusso degli eventi, Raul Gardini la mattina del 23 luglio 1993 si spara alla testa con un colpo di pistola. Una scelta drammatica e di impeto, un ultimo atto di volontà per un uomo che ha sempre imposto la sua decisione. Con lui si chiude la pagina italiana di rampantismo e capitalismo sfrenato, del sogno della Borsa, delle luci e del divertimento. La sua morte apre un capitolo più cupo e torbido che ha condizionato il proseguo degli anni '90 fino a segnare persino i giorni nostri.
Daniele Autieri per repubblica.it l’1 febbraio 2023.
La travagliata storia recente dell'Università telematica Niccolò Cusano e del suo presidente Stefano Bandecchi, segnata dall'accusa di una maxi evasione fiscale da 20 milioni di euro e da una serie di segnalazioni mosse dall'interno sui comportamenti non proprio ortodossi dell'imprenditore, travalica i confini dell'ateneo e sfiora anche il ministero dello Sviluppo Economico.
Al centro, stavolta, un bando pubblico per il sostegno alle piccole emittenti radio universitarie il cui plafond da 1 milione di euro - teoricamente da distribuire tra i progetti migliori - è stato quasi interamente fagocitato dalla radio di Bandecchi che di quel milione si è aggiudicata più della metà e precisamente 607.997 euro.
Siamo al dicembre del 2021 e il ministero, allora guidato dall'attuale ministro dell'Economia Giancarlo Giorgetti, assegna il fondo Antonio Megalizzi, istituito in memoria del giovane giornalista vittima dell'attentato di Strasburgo dell'11 dicembre 2018. Bandecchi, coordinatore nazionale del partito di Angelino Alfano e finanziatore della campagna elettorale del candidato alla Regione Lazio di centrodestra, Francesco Rocca, riconosce nell'iniziativa un'opportunità per il suo ateneo e ci si butta.
Come si legge sul sito del ministero, il progetto nasce infatti per sostenere e finanziare nuovi piani presentati dalle emittenti radiofoniche in collaborazione con le università "al fine di garantire un servizio di informazione radiofonica universitaria", tanto che lo stesso ministero emana un provvedimento che individua i criteri e le modalità per l'erogazione del finanziamento.
A leggere però i dettagli del bando, e soprattutto le clausole previste per la selezione, emerge fin da subito che solo in pochi potranno accedere ai fondi messi a disposizione dal dicastero. E infatti tra i "criteri prioritari" indicati dagli estensori del bando vengono richiesti la fruizione di un contributo economico da parte dell'università, l'aggregazione di più emittenti, la rappresentatività sul territorio nazionale.
In sostanza, nell'iniziativa ideata per sostenere le piccole radio, sono proprio le piccole radio quelle che rischiano più di altre di essere tagliate fuori. […] E così l'iniziativa che avrebbe dovuto promuovere le giovani novità diventa una scommessa che solo un soggetto solido e dalle dimensioni adeguate può sostenere. La prova dei fatti è data dalla graduatoria finale dei punteggi e quindi dei contributi concessi.
Del milione di euro messo a disposizione dal ministero su scala nazionale, oltre 600mila euro vanno alla Radio Massolina srl, la società di Radio Cusano Campus. Al secondo posto, con una distanza già abissale, si piazza CN Media srl, la società che edita un'altra radio importante, ovvero Radio Kiss Kiss, con 95mila euro, mentre 80mila euro vengono assegnati a Prima Radio. […]
Estratto dell'articolo di Marco Carta per repubblica.it il 21 gennaio 2023.
Il calcio, la radio e le auto di lusso. Ma soprattutto la politica. Stefano Bandecchi, amministratore di fatto dell'Università Niccolò Cusano, finita sotto inchiesta per un'evasione da oltre 20 milioni di euro, è anche il coordinatore nazionale di Alternativa Popolare, il partito fondato nel 2017 da Angelino Alfano, che sostiene Francesco Rocca, candidato del centro destra alla presidenza della Regione Lazio alle prossime elezioni regionali.
Un passato con l'Msi e poi con Forza Italia. E un futuro tutto da costruire cercando, magari, di puntare il cavallo vincente. Bandecchi sperava di entrare in parlamento alle scorse elezioni tra le fila di Italia Viva. […] Ma la sua candidatura, prevista in Umbria, venne stoppata da Carlo Calenda. "Secondo lui io sono un fascista"
[…]. Già nel 2013, […] aveva fondato il Movimento unione Italiano per sostenere la seconda candidatura di Gianni Alemanno […]. A dicembre scorso, invece, l'imprenditore […] aveva annunciato la volontà di candidarsi a sindaco di Terni.
A gennaio, infine, diventa uno dei grandi sostenitori del candidato presidente per il centrodestra della Regione Lazio, Francesco Rocca. "Saremo la stampella liberale", aveva detto Bandecchi alla conferenza stampa dello scorso 10 gennaio presso la Sala Capranichetta dell'hotel Nazionale di Roma.
Rocca si era mostrato entusiasta del sostegno: "Con Bandecchi di Alternativa Popolare ci accomuna la concretezza e la voglia di fare". E per lui aveva speso parole al miele: "E' un imprenditore serio che a Roma ha realizzato un grande polo educativo e formativo importante per cui sono sicuro che faremo un bel cammino". A rovinare i piani […] ci ha pensato però la guardia di finanza di Roma […]
Estratto dell’articolo di François De Tonquédec per “La Verità” il 21 gennaio 2023.
La Procura di Roma ha disposto il sequestro preventivo finalizzato alla confisca, anche «per equivalente», di beni per un valore superiore a 20 milioni di euro, pari all’imposta evasa derivante dal reato di dichiarazione fiscale infedele, nei confronti di tre persone, tra cui gli ex vertici dell’Università Niccolò Cusano Telematica Roma.
Tra le persone finite nel registro degli indagati anche Stefano Bandecchi, amministratore di fatto dell’università dal 2016 al 30 giungo del 2021. Avrebbe utilizzato a fini personali i fondi dell’università […] Ad esempio, sarebbero stati saldati con i soldi dell’ateneo «plurimi contratti di viaggio verso località turistiche [...], nonché li pagamento» dei «viaggi aerei e dei soggiorni in hotel, di servizi di aerotaxi, goduti dal Bandecchi e, in alcune occasioni, anche dalla sua famiglia e dai suoi ospiti, per finalità esclusivamente ricreative».
[…] A Unicusano sono state sequestrate […] anche due supercar: una Ferrari Sf90 scuderia e una Rolls Royce Phantom VIII. Il bolide di Maranello risulta essere stato acquistato nel 2020, a un prezzo di 505.000 euro «con bonifici provenienti per almeno 200.000 euro dai conti correnti intestati all’Università», mentre la fuoriserie inglese è stata acquistata nel 2018 per 550.000 euro […]
Tra le spese extra anche quelle per seguire le trasferte della squadra di calcio controllata, la Ternana, acquisita dall’ateneo nel 2017. Per seguirla sarebbero stai scaricati sui conti dell’ente «costi per il noleggio di aeromobili ed altri veicoli che consentissero» all’indagato «di seguire le trasferte calcistiche della Ternana Calcio da lui presieduta».
Compresa una limousine, […] utilizzata da Bandecchi in occasione della partita disputata tra la Pro Vercelli e la Ternana calcio «per spostarsi dall’aeroporto di Torino allo stadio di Vercelli e ritorno». Unicusano era già finita sotto i riflettori in un’altra vicenda giudiziaria, quella sulla cosiddetta «lobby nera», dalla quale erano emersi due finanziamenti per la campagna elettorale delle europee del 2019.
All’eurodeputato leghista Angelo Ciocca erano andati 80.000 euro, mentre all’attuale ministro degli Esteri, Antonio Tajani erano arrivati 100.000 euro. Gli accertamenti sulle elargizioni ai due candidati (entrambi estranei alle indagini sull’ateneo) avevano stabilito che i fondi non erano quelli pubblici erogati dal Miur ed erano regolari.
Estratto dell'articolo di Marco Carta e Giuseppe Scarpa per roma.repubblica.it il 19 gennaio 2023.
Ferrari e Rolls Royce, ma anche viaggi a Miami per soddisfare i capricci dell'amministratore. E un elicottero preso in leasing. Tutte spese effettuate con il denaro con cui dovevano essere pagate le tasse. E' un'evasione fiscale da oltre 20 milioni di euro quella che viene contestata ai vertici dell'Università degli Studi Niccolò Cusano, sotto indagine per violazione delle leggi tributarie.
A svolgere le indagini è stato il nucleo di polizia economico della Guardia di Finanza di Roma, che, su disposizione del gip di Roma, ha notificato un decreto di sequestro preventivo nei confronti di Stefano Bandecchi, fondatore dell'istituto e amministratore di fatto dell'università, e Giovanni Puoti e Stefano Ranucci, che dal 2016 lo avevano sostituito come legale rappresentante dell'Istituto.
L'indagine, coordinata dal procuratore aggiunto Stefano Pesci e dalla pm Valentina Margi, ruota intorno a Stefano Bandecchi, che è anche presidente della Ternana Calcio e dal 2021 è tornato a essere presidente del cda dell'Istituto. Secondo la ricostruzione della finanza, che contesta i mancati tributi dal 2016 al 2020, l'università, pur essendo iscritta alla camera di commercio come "ente pubblico non economico e senza scopo di lucro", esercitava "prevalentemente attività commerciale".
In particolare aveva investito nel corso degli anni "ingenti risorse finanziarie per l'acquisizione ed il finanziamento di diverse società tutte rientranti nel cosiddetto Gruppo Bandecchi". Una delle società si occupava del commercio all'ingrosso di profumi e cosmetici. Un'altra, la New Sceal, di mediazione immobiliare. Le società venivano gestite con "personale dipendente dell'Ateneo".
(…)
Da corrieredellosport.it il 27 dicembre 2022.
"Voi non vi meritate un cazzo, siete solo esaltati nei momenti positivi e delle merde inutili in quelli negativi". E' il messaggio, via social, del presidente della Ternana Stefano Bandecchi, alla parte della tifoseria rossoverde che lo ha contestato a seguito della sconfitta delle Fere con il Frosinone. E' stata anche lanciata nei suoi confronti una bottiglietta: "Collegate il cervello che solo così sarete utili sennò smettete di rompermi i coglioni perché la bottiglia di oggi ve la rimetterò nel culo. Io non sopporto i dementi. Può anche pubblicare il mio pensiero perché io non ho bisogno di essere in mille". Contestazione costata anche 2.000 euro di multa alla Ternana. "Questa è a mia risposta al rispetto che meritano i tifosi. Buone vacanze", ha aggiunto il presidente in un secondo momento.
Estratto dell’articolo di Marco Carta e Marina de Ghantuz Cubbe per “la Repubblica – ed. Roma” il 21 gennaio 2023.
Non usa mezzi termini Stefano Bandecchi. Il presidente di Unicusano che sostiene il candidato di centrodestra ed è indagato per aver evaso 20 milioni di euro, rivela il nome di tutti i politici che ha finanziato e nel frattempo si dice sicuro di essere nel giusto: «Per quanto mi riguarda l’indagine è stata fatta male - dice a Repubblica - Noi siamo convinti di aver sempre rispettato le leggi. Ho finanziato con 10mila euro Rocca, per una cena insieme ai nostri candidati. Ma lo avrei finanziato con 60mila euro se non ci fosse stato il sequestro».
Bandecchi ne ha per tutti, anche economicamente parlando: «Avrei finanziato anche D’Amato che conosciamo bene perché come università siamo stati un polo vaccinale. Ho visto che ora mi usa per attaccare Rocca solo per fare la campagna elettorale, ma è inutile che tiri fuori queste porcate e visto che il Pd mi attacca in questo modo faccio bene ad appoggiare Rocca. Noi - aggiunge - abbiamo finanziato tanti partiti e tanti politici, legalmente e in modo legittimo: sempre alla luce del sole. Non solo Rocca ma anche Tajani e Di Maio». […]
Università Niccolò Cusano. Bandecchi: “Querelo Repubblica, i nostri soldi sono puliti”. AgenPress il 21 gennaio 2023.
“Repubblica oggi titola: “I soldi sporchi della Cusano”
Stefano Bandecchi, fondatore dell’Università, a Tag24.it risponde alle accuse delle ultime ore punto su punto. L’ateneo è al centro dell’inchiesta della Guardia di Finanza, su disposizione del gip di Roma, sulla presunta evasione fiscale che ha portato le fiamme gialle a confiscare preventivamente 20 milioni di euro ai vertici dell’Università. Bloccati non solo i conti dell’università ma anche tutti quelli del presidente con ripercussioni sull’operatività delle altre sue aziende tra cui la Ternana. La procura contesta che Unicusano abbia operato come ente commerciale, ma abbia usufruito del regime fiscale agevolato previsto dalla legge per le Università rendendosi così colpevole di dichiarazione infedele.
Stefano Bandecchi
Stefano Bandecchi respinge tutte le accuse e attacca duramente La Repubblica che questa mattina ha parlato di soldi sporchi utilizzati per finanziare partiti politici, partendo dall’annuncio di una querela al quotidiano, colpevole di aver titolato in modo avventato “Soldi sporchi della Cusano“. Una reazione decisa quella del presidente del CDA dell’Ateneo e patron della Ternana Calcio, che dopo le parole arrivate anche dal PD sui suoi finanziamenti a Francesco Rocca candidato del Centro Destra sostenuto dal suo partito Alternativa Popolare dice la sua verità.
“Repubblica oggi titola: “I soldi sporchi della Cusano” offendendo tutti i lavoratori della Cusano, i professori gli studenti e i dipendenti. I soldi sporchi lo potranno titolare dopo un terzo grado di giudizio.
Quereliamo Repubblica perché non possono permettersi di dire una cosa del genere, i soldi della Cusano sono pulitissimi e questo lo ha detto un magistrato. Nessuno può permettersi un titolo del genere dopo neppure un grado di giudizio. Spero che Repubblica abbia due spicci per ripagarci, così avremo messo altri soldi da parte”, sono le parole di Stefano Bandecchi contattato dalla nostra redazione. “Siamo di fronte ad un’ipotesi di reato e siamo di fronte ad un sequestro preventivo.
Sostengo come già dichiarato che l’Università Niccolò Cusano ha sempre rispettato le regole e la normativa vigente”.
“Io credo di non avere nulla di cui vergognarmi, anzi qualcuno dovrebbe dirmi grazie. Dopo due anni e mezzo non siamo mai stati ascoltati, nessuno del consiglio di amministrazione è stato mai ascoltato in tutto questo tempo“, afferma Bandecchi che allude ai veri motivi che, secondo lui, hanno portato a questo duro attacco nei confronti del suo gruppo:
“Io penso che quello che dà fastidio è la nostra capacità di gestire l’Università in maniera eccellente nel rispetto delle leggi.
Sopravviviamo senza alcun finanziamento pubblico, prendiamo solo 150 mila euro dallo stato. Noi gestiamo tutto con le rette e siamo i primi per ingegneria industriale. Credo che questo attacco prima che un fatto politico sia soprattutto un fatto d’invidia”.
“Io credo di non avere nulla di cui vergognarmi, anzi qualcuno dovrebbe dirmi grazie. Dopo due anni e mezzo non siamo mai stati ascoltati, nessuno del consiglio di amministrazione è stato mai ascoltato in tutto questo tempo“, afferma Bandecchi che allude ai veri motivi che, secondo lui, hanno portato a questo duro attacco nei confronti del suo gruppo:
“Io penso che quello che dà fastidio è la nostra capacità di gestire l’Università in maniera eccellente nel rispetto delle leggi.
Sopravviviamo senza alcun finanziamento pubblico, prendiamo solo 150 mila euro dallo stato. Noi gestiamo tutto con le rette e siamo i primi per ingegneria industriale. Credo che questo attacco prima che un fatto politico sia soprattutto un fatto d’invidia”.
Stefano Bandecchi è anche presidente della Ternana, la squadra dove ha destinato risorse economiche e molte energie negli ultimi tempi raggiungendo ottimi risultati sportivi “Sono contento che i tifosi della Ternana siano garantisti quantomeno, il tempo vedrà se hanno speso bene la loro fiducia”, ha sottolineato prima di imbarcarsi su un volo diretto a Reggio Calabria per stare vicino ai suoi ragazzi in questo momento “Li ringrazio tutti uno per uno per le parole nei miei confronti, voglio il bene della Ternana e cercherò di portare avanti i miei impegni nella maniera migliore”.
Stefano Bandecchi sottolinea che i conti sono stati messi a disposizione della magistratura, a cui i suoi legali hanno chiesto un pronto sblocco ai fini di garantire l’operatività delle aziende: “Abbiamo delle difficoltà oggettive che non dipendono da me sull’operatività, spero che i nostri avvocati possano risolvere rapidamente in modo tale da garantire di portare avanti le aziende in attesa che tutto venga chiarito e venga dimostrato l’assoluto rispetto delle regole da parte della Unicusano e del sottoscritto”.
L’imprenditore Stefano Bandecchi: biografia e curiosità. Da Stefanobandecchi.it
Stefano Bandecchi, classe ‘61, è fondatore dell’Università degli Studi Niccolò Cusano, istituita nel 2006, e attualmente ricopre la carica di Presidente del CdA presso l’Ateneo romano.
Livornese di nascita, romano di adozione. Ha svolto il servizio militare nei paracadutisti e, in tale veste, è stato anche in missione in Libano.
Oggi è un imprenditore a 360 gradi in diversi settori: formazione, ristorazione, benessere, editoria.
Molto impegnato anche nel settore della ricerca scientifica con la Fondazione Niccolò Cusano e in aiuti concreti ad ospedali, enti ed associazioni. Un esempio di impegno economico e solidale è Terni Col Cuore, l’associazione nata per sostenere, attraverso un ampio ventaglio di iniziative, i ternani in difficoltà, cittadini di un territorio di cui Stefano Bandecchi è ormai parte integrante.
Un uomo determinato e lungimirante, ideatore della prima talk radio universitaria di informazione, cultura e approfondimento (Radio Cusano Campus), fondatore di ben 2 Università all’estero (in UK e Francia), proprietario dal 2014 al 2017 dell’Unicusano Fondi Calcio e da giugno 2017 della Ternana Calcio di cui ne è il Presidente. Infine, nell’Ottobre del 2019 ha dato vita a Radio Cusano TV Italia, l’emittente televisiva di proprietà dell’Università Niccolò Cusano, in onda sul canale 264 del digitale terrestre.
Una personalità poliedrica che ritrae perfettamente il modo di essere e operare, sempre con grande integrità, di Stefano Bandecchi. Infatti, durante il lockdown dettato dal Covid-19, qualcuno lo ha definito l’uomo dai mille ruoli: imprenditore, ‘influencer’ su Instagram, conduttore televisivo del suo programma “L’Imprenditore e gli altri”, un salotto amichevole dove si sono alternati onorevoli, imprenditori e altri ospiti illustri.
Claudio Luti (Kartell): «Ogni mese Philippe Starck vola da noi per prendere un tè. I miei inizi? Con Versace». Daniele Manca su Il Corriere della Sera il 12 Gennaio 2023.
L’imprenditore: in Kartell do spazio ai miei figli, sono pronti
Il sorriso non inganni. Le parole sembrano lasciate cadere con noncuranza. Ma provate voi a decidere di mettere del talco nel polipropilene per far diventare la plastica qualcosa di morbido, elegante e pieno di calore. E se decidete di piegare qualcosa che normalmente si spezza, come il legno, devi aver voglia di rischiare. Certo ci deve essere anche un signore come Philippe Starck che si è messo in testa di vedere quanto il legno possa piegarsi, che di creatività e rigore ha fatto il suo credo. E che ogni mese arriva di buon grado alla periferia di Milano per prendere un tè. O bere un caffè. In quella Noviglio dove si concentra l’essenza del made in Italy. Quella capacità di rendere unico un prodotto industriale che dura nel tempo. In una parola la Kartell. Perché anche la plastica non è tutta uguale. Sembra scontato. Ma dietro quell’idea c’è studio, ci sono designer, c’è produzione, ci sono famiglie e persone. E mentre l’Italia è alle prese con nuove riforme e proposte si deve partire da quel sorriso di Claudio Luti, che significa oltre Kartell, Salone del Mobile, Triennale, Milano, design, creatività e crescita continua, per capire come le imprese continueranno a essere il motore del Paese. «C’è da tremare solo a ricordare le crisi che abbiamo superato in questo scorcio di millennio e quella nella quale ci troviamo coinvolti ora», racconta.
Ma non è sempre stato così, il mondo? Quando mai l’Italia ha vissuto epoche tranquille?
«Sì, è sempre stato così verrebbe da dire e soprattutto le imprese italiane hanno sempre dimostrato la capacità e la volontà di innovare e innovarsi per contrastare gli scenari più catastrofici. Anche se adesso serve un segnale forte che dia certezze alle imprese. Quelli della mia generazione hanno forse avuto più fortuna rispetto ai giovani di oggi . Negli anni ‘70/’80 tutto sembrava possibile. Avevamo meno soldi in tasca ma pensavamo di avere molte più sicurezze sul futuro, futuro che dipendeva dalla nostra volontà di impegnarci e di costruire il nostro successo. A me è capitato così. Oggi per i giovani è molto difficile e al tempo stesso molto stimolante».
Ed era la Milano del terrorismo...
«Sì quella Milano ma anche la Milano delle opportunità. Ad esempio al mio ritorno da militare che feci come ufficiale, trovai il mio primo lavoro dal papà di una mia amica. Era un commercialista e stava cercando un giovane per lo studio, a zero lire. Imparai moltissimo e appena possibile decisi di aprire il mio studiolo».
Ma poi arriva Versace.
«Vero, si apre un nuovo capitolo della mia vita e carriera. Conobbi Santo Versace quando ero ufficiale a Caserta e poi a Palmanova. Un giorno mi chiamò e mi disse: c’è mio fratello Gianni che fa lo stilista e si trasferisce a Milano, gli puoi dare una mano, prenderlo come cliente».
Bè, una bella fortuna segnare una storia di successo con una telefonata. «Oggi può sembrare strano questo approccio, ma fu proprio così. Ho iniziato a seguire Gianni e a immergermi nel mondo della moda milanese che stava nascendo. Alla fine del 1977 la scelta è stata quella di costituire una società con Gianni e Santo di cui io ero amministratore delegato e avevo una quota di minoranza. Fu l’inizio di quello che sarebbe poi diventato un brand di grande successo».
Allora com’è che Versace diventa Versace?
«Gianni era un genio impareggiabile, accanto a lui io ho costruito le fondamenta dell’impresa cercando di razionalizzare il lavoro completamente nuovo che metteva in relazione tutti gli attori di una grande filiera di eccellenza che ha aiutato lo sviluppo di quello che sarebbe diventato il sistema della moda».
Quella moda che oggi diamo per scontata...
«Milano negli anni Ottanta era diventata la capitale del pret à porter. Il mondo era molto più piccolo e tutto da conquistare. A Oriente esisteva solo il Giappone. C’era il muro di Berlino. Oggi non esistono barriere ma una competizione globale e una opportunità infinita di sviluppo».
Ma Milano è oggi ancora la Milano delle opportunità?
«Oggi Milano conserva quella sua capacità di essere motore, incubatore di energia, attrattore di creatività e innovazione. Qui si combinano il lavoro, gli amici, la famiglia, ci accomuna la voglia di lavorare, discutere, confrontarci e divertirci , stare insieme. Questo è Milano, almeno per me».
A un certo punto capisce che il suo cammino con Versace si sta concludendo...
«Dopo 11 anni decisi di uscire e di vendere le mie quote alla famiglia Versace. E mi ritrovai a ripensare al mio futuro con la serenità finanziaria che mi ero guadagnato e una famiglia che mi sosteneva nelle scelte. Mia moglie è cardiologa. Abbiamo due figli. Lorenza e Federico di cui, quando erano piccoli, si è occupata moltissimo la mia mamma che ha sempre abitato vicino a noi».
E arrivò Kartell, grazie a sua moglie.
«In realtà grazie all’avvocato e al commercialista di famiglia. I miei suoceri avevano fondato Kartell insieme a un socio e in quel momento volevano uscire così io colsi l’occasione. Anche se — e il sorriso si fa pronunciato — i miei amici consulenti mi obbligarono a non entrare in azienda fino a che il passaggio del 100% non fosse stato compiuto. E così facemmo».
Ma com’è che Kartell diventa Kartell ed entra nei musei?
«Il design industriale, è quella la svolta. La produzione industriale sui grandi numeri ma con qualità e creatività. È il coraggio di rischiare ogni giorno su ogni progetto, quel coraggio che deve essere il motore della nostra passione. È quello che ci distingue e che affascina i designer, al di là del materiale usato».
Designer che dovrà inseguire per il mondo, con voi lavorano da Lissoni a Patricia Urquiola, Philippe Starck, Citterio, Laviani e prima ci sono stati Magistretti e molti altri.
«È il contrario, sono loro che vengono qui. Ogni martedì abbiamo una riunione. Tutti arrivano almeno una volta al mese. Con ciascuno di loro spendo il tempo necessario non solo per parlare di progetto ma anche di temi generali per entrare in sintonia. Poi si inizia a discutere, verificare i prodotti e analizzare nuove idee. Io inseguo la loro creatività. Voglio che siano liberi di esprimere un pensiero creativo capace di trasformarsi in prodotto industriale. Portare la qualità estetica, i valori di cultura e bellezza nell’industria è la nostra missione strategica».
È così che siete riusciti a curvare il legno, a chi è venuta l’idea?
«A Starck. Voleva lavorare sul legno. Non è stato facile, ma mi viene da dire solo qui a Milano, in Italia ci si poteva riuscire. Combinando ingegno e industria, tecnologia e emozione. Quello del legno però non è l’unico esempio, ci sono stati tanti progetti molto più complessi a livello tecnologico sviluppati con diversi designer sul tema delle dimensioni, degli spessori, della ingegnerizzazione del prodotto, della luce. Dall’idea si passa alla ricerca di soluzioni magari utilizzando tecnologie di altri settori applicati ai nostri prodotti di design. Per tutti sempre ci vuole il cuore, non solo la testa. Bisogna creare prodotti che suscitino emozioni».
Magari a partire da scarti delle capsule di plastica del caffè Illy che diventano una sedia disegnata da Citterio...
«Un altro esempio del nostro impegno sulla ricerca di nuovi materiali e sui progetti di sostenibilità nel caso della sedia di Citterio nasce dall’amicizia con Andrea Illy con cui abbiamo pensato di lavorare sul riciclo delle capsule del caffè. Sul riciclato noi lavoriamo da molto tempo e ora è integrato nel nostro catalogo. Quando ancora non ne parlava nessuno nei primi anni Novanta noi creammo il primo gettacarta con il riciclo della plastica».
Parla spesso di amicizia come con Illy, della famiglia.
«Per me la relazione diretta umana viene al primo posto. Famiglia e amici sono il capitale più importante. Con gli amici con cui trascorro il mio tempo libero condivido le mie passioni come la barca a vela, che ora è un po’ vecchiotta ma che continua a darmi soddisfazioni e a portarmi nel mio adorato mare Mediterraneo, lo sci».
E adesso, che fa? Si ferma?
«Macché. Possiamo fare ancora tanto... Certo servono investimenti continui. I risultati ci sono. Siamo orgogliosi del nostro progetto Kartell Loves the Planet, che è un manifesto strategico su un concetto ampio di azienda etica e sostenibile. Ritengo che l’azienda sia qualcosa di sociale. Lo dico sempre ai miei due figli che lavorano in azienda».
Ma adesso ci sono i figli in azienda, sono d’accordo?
«Lorenza direttore marketing e retail e Federico direttore commerciale worldwide, sanno camminare da soli per quella strada tenendo fermo il concetto di etica aziendale e io cerco , con un po’ di fatica, ammetto, di lasciarli fare da soli».
Già, è tempo di ricambio generazionale. E non è mai facile.
«Non è facile no. Ma Lorenza e Federico, hanno avuto tempo, entrambi, di assimilare i contenuti della laurea in Bocconi con tesi proprio sul ricambio generazionale. Si sono preparati».
Che mondo sarebbe senza nutella? In cima la biografia di Ferrero. BEPPE COTTAFAVI, editor, su Il Domani il 29 aprile 2023
«Mio padre mi disse: “Ti do questa piccola automobile, una Topolino, un biglietto da visita con il tuo nome e il tuo titolo sopra: Michele Ferrero, venditore esclusivo per la città di Asti (l’ho guardato e mi sono detto, sono io, eh!) e trenta chili di Pasta Gianduja”.
E il libro che racconta per la prima volta la biografia e le intuizioni geniali dell’uomo visionario che ha inventato la Nutella (ma anche il Mon Chéri, il Kinder Cioccolato, le Tic Tac, i Kinder Sorpresa e il Ferrero Rocher), nato a Dogliani nel 1925 e morto nel 2015, Michele Ferrero, scritta da Salvatore Giannella per Salani, è primo pure in classifica.
Celebrata e omaggiata in canzoni, libri e film la crema riscosse tanto successo da divenire un’icona del made in Italy, influenzare l’immaginario di massa, diventare un vero e proprio fenomeno culturale e di costume.
«Mio padre mi disse: “Ti do questa piccola automobile, una Topolino, un biglietto da visita con il tuo nome e il tuo titolo sopra: Michele Ferrero, venditore esclusivo per la città di Asti (l’ho guardato e mi sono detto, sono io, eh!) e trenta chili di Pasta Gianduja”. Così sono partito da Alba per Asti pieno di speranza di fare.
Finalmente sono arrivato da una signora che sicuramente era una mamma, e a vedere questo povero figlioletto che veniva avanti… Le ho detto: “Guardi, ad Alba abbiamo fatto un prodotto molto buono che la Langa ha consumato molto e quindi se posso le lascio questo in prova e nel pomeriggio passo di nuovo, se lei me lo consente…”».
Giovane, timido e imbranato, Michele Ferrero va a mangiare i suoi due panini, beve l’acqua della fontana, torna in negozio con il cuore in gola, la signora prima gli fa uno scherzo — «il suo prodotto si è squagliato», — poi gli dice la verità: il profumo di nocciole aveva indotto le signore di Asti a comprarlo tutto, a fette. «Quindi, bel fanciot, voglio fare un ordine di acquisto di dieci chili di roba». Michele può così tornare a casa felice, con l’ordine, e annunciare: «Abbiamo vinto, papà!». La Ferrero era stata fondata. Che mondo sarebbe senza Nutella?
PRIMO IN CLASSIFICA
E il libro che racconta per la prima volta la biografia e le intuizioni geniali dell’uomo visionario che ha inventato la Nutella (ma anche il Mon Chéri, il Kinder Cioccolato, le Tic Tac, i Kinder Sorpresa e il Ferrero Rocher), nato a Dogliani nel 1925 e morto nel 2015, Michele Ferrero, scritta da Salvatore Giannella per Salani, è primo pure in classifica.
Un altro miracolo della Nutella. È la crema spalmabile più venduta al mondo, con una produzione di 365.000 tonnellate l’anno. Il 20 aprile 1964, dallo stabilimento Ferrero di Alba, entrò in commercio il primo vasetto.
Celebrata e omaggiata in canzoni, libri e film la crema riscosse tanto successo da divenire un’icona del made in Italy, influenzare l’immaginario di massa, diventare un vero e proprio fenomeno culturale e di costume. Mentre a Londra spopolava lo Swinging London e la guerra in Vietnam entrava nel vivo, nell’Italia del miracolo economico Ferrero lanciò sul mercato un prodotto commerciale che rivoluzionò i gusti, le aspettative e anche la felicità degli italiani.
Uscita dallo stabilimento piemontese il 20 aprile 1964, la Nutella conquistò ben presto i gusti di milioni di persone tanto da diventare la crema spalmabile cui è dedicata una giornata mondiale: il World Nutella Day celebrato il 5 febbraio.
Nanni Moretti nei panni di Michele Apicella per domare l’ansia spalma nutella da un pantagruelico barattolo alto un metro nel film Bianca del 1984. Poi Giorgio Gaber nella canzone manifesto, del 1994, Destra-Sinistra «Se la cioccolata svizzera è di destra, la Nutella è ancora di sinistra». Ma anche Ivan Graziani con La nutella di tua sorella trovò ispirazione dalla crema, consigliando i metodi su come abbinarla, inserendo anche una serie di divertenti doppi sensi a sfondo sessuale legati al legame tra il cibo e l’erotismo. Fino ai prima anni Novanta quando io stesso, da direttore di Comix, pubblicai Nutella Nutellae di Riccardo Cassini, un ragazzo destinato a diventare il più bravo autore dei testi dei comici e varietà italiani. Liber a mille lire che vendette un milione di copie, secondo solo alla Lettera sulla felicità di Epicuro.
Considerato la bibbia dei nutellomani, ovvero dei mangiatori compulsivi di Nutella. Con un linguaggio tra il maccheronico e il burlesco, Cassini rese protagonista la crema di rielaborazioni caricaturali e parodistiche di grandi classici, da Pinocchio a Don Chisciotte, passando per il De Bello Gallico e la Bibbia.
BEPPE COTTAFAVI, editor
Editor e semiologo. Si è formato con Umberto Eco e Paolo Fabbri – è consulente editoriale di Mondadori Libri, dirige la casa editrice digitale Il dondolo del Comune di Modena e il Festival della Satira di Forte dei Marmi. Ha diretto Comix. È responsabile della sezione Idee di Domani.
Michele Ferrero. Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
Michele Ferrero (Dogliani, 26 aprile 1925 – Monte Carlo, 14 febbraio 2015) è stato un imprenditore italiano, ex-amministratore delegato dell’omonimo Gruppo Ferrero.
Biografia
Nasce nel 1925 da Pietro Ferrero e Piera Cillario. Pietro ha diverse esperienze lavorative a Dogliani, ad Alba fino a Torino, con una pasticceria nella centrale via Berthollet. Lo scoppio della seconda guerra mondiale spinge Pietro e sua moglie Piera a tornare ad Alba, nel 1942, dove decide di aprire un laboratorio in via Rattazzi. Comincia così la storia della Ferrero.
Nei dieci anni successivi alla costituzione formale dell'azienda Ferrero, che avviene il 14 maggio del 1946, la crescita costante e veloce dell'industria continua anche grazie al lavoro di Michele, che collabora alla sua conduzione. Alla morte del padre avvenuta il 2 marzo 1949, la direzione passa a lui, allo zio Giovanni e alla vedova Piera. Dal padre Pietro impara le capacità artigiane, dallo zio Giovanni l'importanza dell'organizzazione commerciale e dalla madre Piera il senso della struttura aziendale. A 32 anni Michele si trova a guidare l'azienda in piena fase di sviluppo.
Sotto la sua guida l'azienda inizia a esportare oltre i confini nazionali: nel 1956 viene aperto il primo stabilimento in Germania, il perno del successo è sempre il Gianduijot, la pasta di cioccolato e nocciole spalmabile.[3] Proprio l'internazionalizzazione crea l'esigenza di trovare un nuovo nome al prodotto, facile da pronunciare anche al di fuori dell'Italia, nel 1964 Michele sceglie quindi il nome Nutella. Insieme al nome della crema al cioccolato cambia anche la formula, si presenta infatti più densa della prima versione, e viene registrata come formula segreta. Ferrero apre stabilimenti produttivi e di rappresentanza tra i quali Ferrero Germania e Ferrero Francia, e poi Olanda, Belgio, Svizzera, Danimarca e Regno Unito. Successivamente, esporta il marchio Ferrero fuori dall'Europa, ad esempio dall'Australia (1974) fino all'Ecuador (1975). Caratterizzato da una forte passione per il suo lavoro e una grande capacità creativa e visionaria, Michele è l'inventore di molti dei più famosi prodotti Ferrero: da Mon Chéri (1956) pensato per portare una sensazione di lusso alla portata di tutti, da Tic tac (1969) a Ferrero Rocher (1982), fino alla linea Kinder che rappresenta circa il 50% del fatturato Ferrero.
La strategia di Michele Ferrero è sempre stata quella di pensare a prodotti innovativi, diversi dagli altri in circolazione, e avere un'idea chiara del suo target: la casalinga, madre, zia, moglie che va a fare la spesa per tutta la famiglia e che Michele ha sempre chiamato affettuosamente "La Valeria".
Il 2 giugno 1971 viene nominato Cavaliere del Lavoro. Secondo Forbes, nel 2014 è stato l'uomo più ricco d'Italia (23,4 m di dollari) e il 30º al mondo.
In Italia nei primi anni settanta l'azienda investe molto in pubblicità televisiva nel primo spazio appositamente creato, il Carosello. Nel medesimo periodo firma un accordo con la C.P.C. per la diffusione in Italia della Knorr. Per volontà di Ferrero nel 1983 nasce la Fondazione Ferrero, con sede ad Alba, dedicata agli ex-dipendenti Ferrero e alla promozione di iniziative culturali e artistiche, che è un vero e proprio ente sociale.
Nel 2005 ha creato le Imprese Sociali Ferrero, finalizzate a creare posti di lavoro nei paesi emergenti, e a realizzare progetti per promuovere l'educazione e la salute dei bambini nelle aree in cui sono situati gli stabilimenti. Ferrero è uno dei principali gruppi dolciari a livello mondiale: con oltre 34.000 collaboratori è presente in 53 Paesi, ha 20 stabilimenti produttivi, di cui 3 operanti nell'ambito delle imprese sociali in Africa e Asia e 9 aziende agricole.
Quando Michele Ferrero lascia la carica di amministratore delegato, va a vivere a Montecarlo, dove ha sede un'altra società del Gruppo Ferrero, Soremartec (Société de recherche de marketing et technique), i cui compiti vanno dall'innovazione del prodotto al rinnovamento dei sistemi di produzione, fino ai test di mercato. Dal 2008 alla morte è risultato, secondo la rivista Forbes, la persona più ricca d'Italia. Dopo una lunga malattia, Ferrero muore nel pomeriggio del 14 febbraio 2015 a Montecarlo all'età di 90 anni. Il 29 settembre 2015 gli è stata intitolata una piazza della città di Alba, fino ad allora denominata "piazza Savona".
Vita privata
Insegna di piazza Michele Ferrero (ex piazza Savona) ad Alba, in Italia
Michele Ferrero ha sposato Maria Franca Fissolo, che era da poco stata assunta come interprete in Ferrero dal 1961. La coppia avrà due figli: Giovanni e Pietro. La coppia ha donato cinque milioni di euro per la costruzione del nuovo ospedale di Alba
Onorificenze
Cavaliere del lavoro
«Amministratore Delegato della P. Ferrero & C. S.p.A. con sede legale in Alba (Cuneo) e direzione generale a Pino Torinese, della quale è stato fondatore nel 1946, unitamente ai genitori ed allo zio, Cavaliere del Lavoro Giovanni Ferrero. L'impulso personale dato da Michele Ferrero, dopo la morte dei fondatori Pietro e Giovanni, da quando egli aveva appena 24 anni, ha fatto sì che l'azienda ricopra un posto preminente in Italia per la quantità di produzione e di notevole importanza all'estero per la diffusione sempre crescente dei suoi prodotti. Il Gruppo Ferrero dimostra la sua vitalità e la sua importanza con i seguenti dati: 8 miliardi di capitale sociale circa 120 miliardi di fatturato di Gruppo circa 9.000 dipendenti, 4 stabilimenti di produzione in Italia: Alba, Pozzuolo Martesana, Balvano e Sant'Angelo dei lombardi, 2 stabilimenti di produzione all'estero: Stadt Allendorf in Germania e Viller Ecalles in Francia, 7 consociate estere per la vendita dei prodotti e precisamente: Ferrero GmbH (sede Francoforte), Ferrero France (sede Parigi), Ferrero Benelux (sede Bruxelles), Ferrero Ltd. (sede Londra), Ferrero Scandinavia A.B. (sede Malmö) Miralbana A.S. (sede Rapperswill, Svizzera) Ferrero USA-Canadà (sede Toronto). Dal 1955 è Consigliere dell'Associazione Industriali Dolciari Italiani. Nel 1969 gli fu assegnata la massima onorificenza tedesca del settore alimentare-dolciario e precisamente il "Goldener Zuckerhut"»
— 2 giugno 1971
Cavaliere di Gran Croce dell'Ordine al Merito della Repubblica Italiana
— 26 maggio 2005
Michele Ferrero, il timido che partì con 30 chili di Pasta Gianduja e ingolosì il mondo. Aldo Cazzullo su Il Corriere della Sera il 17 Aprile 2023.
La biografia di Michele, fondatore di un impero. «Era tempo di guerra e lo zucchero scarseggiava, mio papà trovò il modo di estrarlo dalla melassa»
«Dislu a niun», non dirlo a nessuno, era una delle sue frasi ricorrenti. Michele Ferrero — per tutti ad Alba «il signor Michele», o anche monsù Michele — ha fondato la seconda azienda dolciaria al mondo partendo dal nulla, e senza dire mai una parola sui giornali, men che meno in tv. La sua riservatezza è sempre stata proverbiale. Per questo i suoi dipendenti si stupirono, quando alla vigilia del Natale 2013 intervenne, nella Fondazione dedicata ai suoi genitori Piera e Pietro e a suo zio Giovanni, per raccontare una storia.
«Noi eravamo una famiglia che dalle Langhe s’era trasferita a Torino. Mio padre Pietro decise di trasferirsi ad Alba durante la Seconda guerra mondiale perché Torino era bersaglio di bombardamenti aerei. Ad Alba, mio padre aveva comprato un piccolo hangar, un laboratorio di venti, trenta metri in tutto, su cui aveva messo la scritta Cioccolateria Ferrero e aveva cominciato a fare cioccolatini. Io lo aiutavo un po’, ma non ero quasi mai lì, in fabbrica, perché con tre operai non c’era molto da fare. Era tempo di guerra e lo zucchero scarseggiava, lo si vendeva alla borsa nera e costava carissimo. Ma mio papà, che era geniale, trovò il modo per estrarlo dalla melassa, un sottoprodotto della birra. Comprò una centrifuga e ottenne da quella melassa il sette per cento di cristalli di zucchero. E con quello zucchero e un po’ di pasta densa di nocciole inventò la Pasta Gianduja, che mio zio Giovanni, che era un grossista che sapeva commerciare, iniziò a vendere in tutte le Langhe. Per molto tempo le persone erano a corto di tutto, e questo prodotto profumava di nocciole. Quando la guerra finì, mio padre cominciò a chiedersi perché io non ero mai stato lì. “Ma, scusa, tu dove vai tutto il giorno? Ma cosa ne faccio di te, che tu sei sempre a bighellonare, quando c’è una partita di football o di pallone elastico vai a vederle, quando c’è un film vai al cinema… Sei sempre in giro e quindi non sei mai nel tuo ufficio, al lavoro. E allora ti dico una cosa, ti voglio offrire una nuova opportunità. Ti nomino rappresentante di Asti!” E Asti era già una conquista, come se dovessi conquistare un nuovo continente. Così ho abbracciato mio padre perché era un grandissimo onore. Io ero così giovane…».
Basterebbe già il capitolo con il resoconto di quella conferenza, che era sì un evento pubblico ma destinato alla comunità della Ferrero e non ai media, per rendere importante questo libro, «Michele Ferrero. Condividere valori per creare valore», che Salani manda domani in libreria. È un lavoro certosino, quello dell’autore, Salvatore Giannella, ex direttore dell’Europeo, che ha condotto una lunga inchiesta intervistando decine di persone che hanno conosciuto bene Michele Ferrero e lavorato con lui. Una storia di espansione internazionale, di marketing, di gestione aziendale. Ma soprattutto una storia umana: la nascita e la crescita appunto di una comunità. Il signor Michele che inventa prodotti, il signor Michele che non spopola le Langhe mandando ogni giorno a prendere i contadini per portarli in fabbrica e riportarli alla loro terra, il signor Michele che non fa il cioccolato solido ma cremoso, il signor Michele che non fa il tè caldo con la bustina ma freddo senza bustina, il signor Michele che fa l’uovo di Pasqua tutti i giorni ma più piccolo e lo chiama ovetto, il signor Michele che vende il cioccolato ai tedeschi… Ma anche l’uomo che passa tutta la vita con la stessa donna, Maria Franca, che mette gli stivali per spalare il fango dell’alluvione del 1994 (ma sulle Langhe c’è ancora chi si ricorda quella del 1948), che perde il primogenito, Pietro, che passa il testimone all’altro figlio, Giovanni. Ecco, tutto questo comincia con quella storia lontana del dopoguerra.
«Mio padre mi disse: “Ti do questa piccola automobile, una Topolino, un biglietto da visita con il tuo nome e il tuo titolo sopra: Michele Ferrero, venditore esclusivo per la città di Asti (l’ho guardato e mi sono detto, sono io, eh!) e trenta chili di Pasta Gianduja”. Così sono partito da Alba per Asti pieno di speranza di fare. Man mano che arrivavo, perdevo il mio coraggio perché ero tanto, tanto, tanto timido, veramente un super-timido. Quando sono arrivato in città, vado subito alla prima panetteria che trovo, c’erano tre gradini da salire e io sono inciampato. Quando sono arrivato ho visto un signore con la barba incolta e gli occhietti terribili che mi scrutavano. «Che cosa vuoi, bel fanciot?». Io non ero capace di mettere in ordine le mie parole, inciampavo sempre, e lui mi spronava: “Mi dica, ragazzo, mi dica…” Io ho balbettato: “Due biove, due panini, per favore”. E andai via. Ma non devo arrendermi, mi dissi, nonostante la mia timidezza infinita. Ho trovato un altro panettiere, sono entrato nel negozio e, oh Madonna, era di nuovo un uomo! Con due dita di barba, occhi spalancati… “Ma che cosa vuole?” Ho balbettato di nuovo: “Mi dia due biove, per favore”. Poi, finalmente sono andato da una signora che sicuramente era una mamma, e vedere questo povero figlioletto che veniva avanti… Io le ho detto: “Grazie, signora, sono qui” e le ho fatto vedere il mio biglietto da visita. Lei mi dice: “Non l’ho mai vista. Ma dov’è la cioccolateria ad Alba? Non sapevo che lì ci fosse un’azienda di cioccolata”. E io: “Guardi, ad Alba abbiamo fatto un prodotto molto buono che la Langa ha consumato molto e quindi se posso le lascio questo in prova e nel pomeriggio passo di nuovo, se lei me lo consente…”».
Poi il giovane Michele Ferrero va a mangiare i suoi quattro panini, beve l’acqua della fontana, torna in negozio con il cuore in gola, la signora prima gli fa uno scherzo — «il suo prodotto si è squagliato», — poi gli dice la verità: il profumo di nocciole aveva indotto le signore a comprarlo tutto, a fette. «Quindi, bel fanciot, voglio fare un ordine di acquisto di dieci chili di roba». Michele può così tornare a casa felice, con l’ordine, e annunciare: «Abbiamo vinto, papà!». La Ferrero era stata fondata.
Quando Michele Ferrero donò ad Agnelli il progetto della «Cittadina», l'auto studiata per essere parcheggiata facilmente in città. Marcello Pasquero su Il Corriere della Sera il 17 Aprile 2023
Quello della «Cittadina» è solamente uno dei tanti aneddoti raccolti dal giornalista e scrittore Salvatore Giannella nelle 288 pagine del volume «Michele Ferrero-Condividere valori per creare valore»
Tutti lo conoscono come l’inventore di prodotti come il Mon Cheri, l’Esta Thè e ovviamente la Nutella, ma pochi sanno che dal genio di Michele Ferrero nacque persino una macchina che chiamò “Cittadina”. Una piccola vettura urbana progettata nella fabbrica del cioccolato di Alba, capace di spostarsi lateralmente in fase di parcheggio grazie a ruotini che fuoriuscivano durante la manovra. L’imprenditore langhetto la brevettò e nel 2004 donò il progetto a Umberto Agnelli con la promessa di acquistare i primi mille esemplari: «Perché siamo entrambi imprenditori piemontesi e perché tutta la flotta della Ferrero è marchiata Fiat, una flotta seconda soltanto a quella dell’esercito italiano».
Umberto Agnelli si commosse e abbracciò Michele Ferrero per quel dono inaspettato, ma la “Cittadina” alla fine non convinse gli ingegneri della Fiat che la ritenevano troppo cara da produrre e rimase nell’immaginazione di Michele Ferrero. Quello della “Cittadina” è solamente uno dei tanti aneddoti raccolti dal giornalista e scrittore Salvatore Giannella nelle 288 pagine del volume Michele Ferrero-Condividere valori per creare valore, edito Salani, nelle librerie da martedì 18 aprile, la prima biografia autorizzata dell’imprenditore nato nel 1925 a Dogliani.
Nessuno era riuscito a intervistarlo in vita, nemmeno l’immenso Enzo Biagi, che tentò più volte l’approccio spingendosi ripetutamente ad Alba. Nessuno era riuscito, fino a oggi, a scrivere una biografia autorizzata, tanto che il libro in pubblicazione, se non ci fosse di mezzo la proverbiale riservatezza della famiglia Ferrero, potrebbe essere definito un vero e proprio evento. «La riservatezza, oserei quasi dire il pudore, che ha sempre caratterizzato Michele Ferrero di certo ha reso arduo il mestiere del biografo- spiega l’autore che aggiunge – Potendo contare su pochissime testimonianze dirette e su non più di una manciata di minuti di racconti registrati, per tre anni ho cercato di ricostruire la lunga e geniale vita di uno dei più grandi imprenditori che il mondo abbia mai conosciuto attraverso i racconti, quelli più che mai vividi, delle persone che hanno conosciuto e lo hanno frequentato, a partire dalla compagna di lavoro e di vita, la signora Maria Franca e dal figlio Giovanni per arrivare a decine di collaboratori».
Giannella, nel libro, sceglie di mettere in fila cronologicamente le testimonianze partendo addirittura dal 1637, dalle prime notizie della famiglia Ferrero, scovate a Farigliano, dove nascerà Pietro, il padre di Michele. Già in tenera età Michele divenne celebre tra i compagni di collegio a Mondovì per la sua passione nel mescolare nocciole e castagne per creare dolci usando proprio i compagni come cavie. Una attitudine di cui l’imprenditore langhetto fece virtù in anni di miseria e carenza di cacao, che sostituì con la "Tonda gentile di Langa” ancora lontana dal diventare uno dei tesori dell’agricoltura piemontese. Michele sviluppò giorno dopo giorno capacità imprenditoriali intrise di un’umanità paragonabili a quelle di Adriano Olivetti, fino ad arrivare alle ormai celeberrime 17 regole per il personale promosse negli anni Sessanta, anni in cui la Ferrero sviluppò la propria vocazione internazionale grazie all’invenzione di prodotti come il Mon Cheri e la Nutella.
«La famiglia sarà sempre il rifugio, fino alla tragedia della morte prematura di Pietro, il primogenito, a soli 47 anni. Una tragedia che non sarà mai superata, ma che sarà accettata da Michele e dalla moglie Maria Franca grazie a una devozione incrollabile nella Madonna. La fede con la ricerca maniacale della qualità saranno sempre la cifra di questo gigante dell’imprenditoria italiana», aggiunge Giannella che per concludere il proprio libro ha scelto le uniche parole pronunciate in pubblico da Michele Ferrero di fronte ai propri collaboratori: «Ecco cosa significa fare diverso da tutti gli altri. Tutti facevano il cioccolato solido e io l'ho fatto cremoso ed è nata la Nutella; tutti facevano le scatole di cioccolatini e noi cominciammo a venderli uno per uno, ma incartati da festa; tutti pensavano che noi italiani non potessimo pensare di andare in Germania a vendere cioccolato e oggi quello è il nostro primo mercato; tutti facevano l'uovo per Pasqua e io ho pensato che si potesse fare l'ovetto piccolo ma tutti i giorni; tutti volevano il cioccolato scuro e io ho detto che c'era più latte e meno cacao; tutti pensavano che il tè potesse essere solo quello con la bustina e caldo e io l'ho fatto freddo e senza bustina».
Mario Gerevini per il “Corriere della Sera” l’11 gennaio 2023.
Schenkenberg. È la holding delle holding, la società più ricca che un italiano possieda.
Poco conosciuta eppure è la "mamma" della Nutella. La Schenkenberg è la vera cassaforte di Giovanni Ferrero (76% circa) e del resto della famiglia (24%). Tre giorni fa in Lussemburgo è stato depositato negli uffici del registro di commercio l'ultimo bilancio, chiuso al 31 agosto 2022. I numeri sono impressionanti: nel 2022 è stato distribuito un dividendo di 765 milioni.
Quindi 575 milioni sono andati a Giovanni Ferrero, 58 anni, il leader del gruppo dolciario e l'italiano più ricco secondo Forbes con un patrimonio di 34,7 miliardi. Poi nell'esercizio 2021-2022 è stato realizzato un utile di 686 milioni che servirà a pagare quest' anno un'altra, presumibilmente ricchissima, cedola.
Anche perché c'è ampio margine. Tra capitale e riserve la finanziaria ha un patrimonio di 7,1 miliardi. Quindi spalle larghissime per sostenere e supportare le eventuali esigenze di finanza delle controllate. L'unica paragonabile tra le holding familiari, pur con caratteristiche diverse, è la Delfin degli eredi Del Vecchio, con 4,2 miliardi di patrimonio e 377 milioni di utile 2021 (ma dividendi relativamente più modesti).
Molto distante invece Bernard Arnault con la sua accomandita Financière Agache, destinata ai 5 figli (20% ciascuno): controlla un conglomerato (Lvmh, Dior, Fendi, Bulgari, Vuitton, Dom Perignon ecc) con un giro d'affari di oltre 64 miliardi, un utile netto di 12 miliardi e un patrimonio di quasi 50 miliardi e lui stesso viene accreditato di una ricchezza di circa 180 miliardi.
La Schenkenberg è un anello societario strategico nel "sistema" Ferrero: sotto di essa c'è la Ferrero International, capofila del gruppo industriale (39mila dipendenti, 107 società, 32 stabilimenti in 170 Paesi con 12,7 miliardi di fatturato nel 2021); sopra ci sono Giovanni Ferrero (tramite le sue società personali Bermic e Gmbf) e il ramo familiare minoritario.
È uno snodo talmente importante e delicato che a regolarlo è una meticolosissima impalcatura di regole che si riflette in un corposo statuto, assai dettagliato soprattutto nell'indirizzare i trasferimenti delle azioni. Comunque il controllo è saldamente in mano a Giovanni Ferrero, la cui liquidità sarebbe in parte gestita dal fondo lussemburghese Teseo Capital Sicav, presieduto dalla moglie Paola Rossi, impegnata anche in diverse organizzazioni benefiche e umanitarie.
In tre anni la Schenkenberg ha "girato" ai soci la cifra record di 2,3 miliardi in dividendi. Ma non è il risultato contingente di trading o speculazioni finanziarie, sono sani utili "industriali" dalla vendita di Nutella, Rocher, Tic Tac, Kinder, Estathé ecc. Giovanni è a capo del gruppo dal 1997, all'inizio insieme al fratello, poi quando Pietro nel 2011 morì improvvisamente, assunse tutte le deleghe.
Oggi è presidente operativo della Ferrero International (con Lapo Civiletti ceo) che proprio ieri ha depositato il bilancio civilistico al 31 agosto 2022 (il consolidato con i conti economici del gruppo e quindi anche il fatturato non è ancora disponibile). Gli asset totali superano i 9 miliardi e l'utile è balzato a 951 milioni dai 677 precedenti.
Riservato e discreto, Giovanni Ferrero potrebbe comprarsi "la" Ferrari e non "una"Ferrari e grandi yacht o super jet, ma - come disse anni fa in un'intervista- «non ho la passione per le macchine, le moto, le barche... Il mio lusso è prendermi del tempo per viaggiare e per scrivere». Viaggiare in Africa soprattutto e scrivere romanzi (sette pubblicati). Una moglie e due figli: uno come tanti se non fosse che incassa un milione e mezzo di euro al giorno
Marco Benatti: «Cento aziende e tre mogli, l’ultima era in classe con uno dei miei figli. Ho tradito e mi vergogno». Stefano Lorenzetto su Il Corriere della Sera il 7 Gennaio 2023.
L’imprenditore che creò «Virgilio»: «Brando Benetton mi chiama ancora papà. Il matrimonio con Marina Salamon finì dopo dieci anni. Lei voleva diventare il mio capo»
Ha 10 figli. Ma è anche padre di 100 aziende. Il veronese Marco Benatti è un moltiplicatore inesausto. Al suo terzo matrimonio (lasciata Marina Salamon ha sposato Ilaria Filippi, 39 anni meno di lui), è già arrivato al quarto figlio: Leone, 5; Luce, 4; Lampo, 2; Luna, 1 il 4 marzo.
Ha due nipoti più grandi dell’ultima nata. Nel frattempo coccola anche un’altra creatura, Virtual Land, «una start up che porta l’intelligenza artificiale nella formazione e nel gioco, innovazione pura, una rivoluzione cognitiva», spiega. Come imprenditore, nacque nel 1975. Comprò una Nikon e s’improvvisò fotografo. Vendeva agli espositori gli scatti dei politici in visita agli stand della Fiera di Verona. Finché il concittadino Luciano Dal Falco, ministro della Sanità, non s’inalberò: «Senta, giovanotto, lei è molto simpatico, però se mi dice a chi devo stringere la mano, io gliela stringo senza bisogno che mi strattoni la giacca».
È l’inventore di Virgilio.
«Un affarone. Vendetti la mia quota nel portale per 140 miliardi di lire, 40 se ne andarono in tasse, 20 vennero suddivisi fra i soci che avevo. Ma la new economy e le 35 start up create con il mio fondo d’investimento Onetone furono un disastro».
Controllava il 40 per cento della pubblicità nazionale.
«Vent’anni fa Martin Sorrell mi scelse come country manager del colosso Wpp. Disse ai suoi 30 amministratori delegati italiani: “Benatti non è il vostro capo, però io ascolto i suoi consigli. Fatelo anche voi”. Insieme Fondammo Fullsix, quotata in Borsa».
Ma poi litigaste di brutto.
«Una guerra legale durata 15 anni, che mi è costata milioni di euro e soprattutto un melanoma, tre bypass coronarici e gli acufeni che mi obbligano a portare due auricolari, perché l’ho somatizzata. L’abbiamo chiusa con un armistizio. Non sarei mai riuscito a vincerla davanti ai giudici inglesi».
È vero che all’origine della vostra lite c’era una donna?
«Sì, ma senza alcuna contesa sentimentale. È che la mia interprete diventò la sua amante. Questo legame provocò la crisi. Era lei che teneva i rapporti fra me e Sorrell. Io non parlo l’inglese».
Potrebbe studiarlo.
«Fatto. Full immersion a Londra, corsi notturni. Niente, non mi entra in testa».
Con i suoi centri media a chi dava spot e inserzioni?
«A tutti, a cominciare da Silvio Berlusconi. Valutava a forfait, non entrava nei dettagli. Grandi sistemi, grandi accordi. E grandi promesse. A volte mi toccava ricordargliele. Come venditore è il più bravo che abbia conosciuto. Da lui puoi solo imparare».
Lei era un broker, giusto?
«Suggerivo ai grandi gruppi industriali quando comprare, che cosa comprare, a che prezzi comprare. Stringevo accordi quadro con i media a tariffe vantaggiose».
Nient’altro?
«All’uscita del film d’animazione Shrek 2 costrinsi La Gazzetta dello Sport a uscire su carta verde, anziché rosa, in omaggio al colore del personaggio della Dreamworks, alias Steven Spielberg».
Guadagnava intorno al milione di euro l’anno.
«Da lavoro dipendente. Aggiunga rendite e dividendi».
Abitava in un villone con vista su Verona, tenuta e piscina da 25 metri per 5.
«Quella è rimasta a Marina. Ho ancora il panorama e una piscina con le stesse misure».
E il mega attico di Milano, 500 metri quadrati più 300 di terrazza che dava sulla piazza del Duomo?
«Venduto tre anni fa. Il ricavato è servito per chiudere il mutuo con la banca e tornare a Verona senza debiti».
Oggi qual è il suo reddito?
«Diciamo il 70 per cento in meno. Crescono solo i figli».
Sta pensando al quinto?
«Sarebbe l’undicesimo. No, basta, mi fermo. Se penso che devo portarne quattro all’università... Avrò 90 anni».
Perché fallì il primo matrimonio, con Marilù Verzé?
«Ero giovane e ambizioso. Mia moglie non volle seguirmi a Milano. Dopo 14 anni, eravamo due estranei».
Quello con Marina Salamon durò anche meno.
«Un decennio. Lei voleva cambiarmi e io altrettanto».
Cioè che voleva Marina?
«Diventare il mio capo».
Brando, il figlio che Salamon ha avuto da Luciano Benetton, la chiama papà?
«Certo, anche se è l’unico che non ho abbracciato in sala parto. È nato a Parigi, l’ho conosciuto dopo sei mesi. Ci sentiamo regolarmente. Fa il regista a Hollywood».
Ha avuto altre donne?
«Tra un matrimonio e l’altro. Alcune anche sul finire, quando il rapporto era già incrinato. Una macchia che mi porto dietro con vergogna».
Come ha conosciuto Ilaria?
«Era compagna di classe di Brando all’istituto salesiano. Avevo già divorziato da Marina. Venne a trovarmi con mio figlio e scoccò la scintilla».
Roba da Me Too.
«Calma, aveva già 19 anni».
Che cos’ha di speciale?
«Tutto, come donna, come mamma, come ingegnera specializzata in architettura, fotografa e art director. Ignora che cosa siano le bugie, dice solo ciò che pensa. Ilaria mi ha insegnato un modo di amare che non conoscevo: mettere l’altro al primo posto. Io per lei sono al primo posto e lo stesso lei per me».
Leone, Luce, Lampo, Luna. Troppo strani Maria e Giuseppe come nomi per i figli?
«Ilaria voleva qualcosa di memorabile. Il primo figlio avuto con Marina si chiama Lupo, nome diffuso in Toscana, terra dei miei nonni. Papa Leone I fermò Attila qui vicino, a Salionze, sul Mincio».
In affari la bellezza aiuta?
«Quale bellezza?».
Il suo fascino, intendo.
«Ammesso che ne abbia, non l’ho mai usato. Mi è di sicuro servito il sorriso, che ho ereditato da mio padre».
Si riconosceva nell’Ulivo, alla fine s’è buttato a destra.
«Ero di destra da giovane. Poi ho assimilato i concetti sociali della sinistra. Ora sono quasi anarchico: Michail Bakunin fu un genio. Nel 2005, con Giulio Santagata, preparai un progetto che piacque a Romano Prodi, per mettere in rete i circoli a lui intitolati. Ma Arturo Parisi lo sabotò. Poi lavorai per Gianfranco Fini. Alla fine i partiti s’impaurivano, perché il mio metodo aboliva favori e parrocchie, in pratica distruggeva il loro ecosistema».
Oggi come lavorerebbe sul marketing politico del Pd?
«Oh mamma! Sicuramente non gli cambierei nome: sarebbe una foglia di fico. Il suo vero guaio è la totale assenza di contenuti distintivi».
Fra Stefano Bonaccini ed Elly Schlein con chi sta?
«Sto con Giorgio Gori, che sta con Bonaccini».
Alla premier Giorgia Meloni che consigli darebbe?
«Ma perché, ha bisogno di consigli?».
De Meo, primo non francese a capo della Renault: «Da bambino disegnavo macchinine. Il monopattino? Non tutti hanno il lavoro sotto casa». Stefano Montefiori su Il Corriere della Sera l’11 Gennaio 2023.
Luca de Meo è a capo del colosso francese. «Sul bavero porto l’onorificenza di Mattarella. A trent’anni siamo arrivati qui io e la mia ex compagna di università che poi è diventata mia moglie»
Il patron di Renault Group riceve il Corriere nell’edificio Pierre Dreyfus, il palazzo di mattoni beige a Boulogne Billancourt dove è nato il marchio della Losanga, uno dei simboli dell’industria francese. A guidare la casa automobilistica e i suoi 111 mila collaboratori in 38 Paesi è — per la prima volta nella storia — un non francese, il milanese di origini pugliesi Luca de Meo, 55 anni, laurea in Bocconi e car guy (appassionato di auto) da quando era bambino e disegnava macchine. Davanti all’ufficio di de Meo, in giardino, c’è ancora la capanna dove nel 1898 il meccanico Louis Renault aggiunse la quarta ruota a un triciclo a motore e fabbricò la prima vettura Renault (nel 2021 ne sono state vendute due milioni e 700 mila nel mondo).
«La mia vita parigina? Non ho una vita», scherza de Meo. Troppo lavoro. «Mi piace la zona di rue du Temple, nel Marais, ma non ho mai tempo di fare una passeggiata, e comunque sarebbe con la scorta». De Meo ha un rapporto speciale con Parigi e la lingua francese: «Sono arrivato qui per la prima volta all’inizio degli anni Novanta con la mia fidanzata ed ex compagna di università che poi è diventata mia moglie. Eravamo neanche trentenni a Parigi, un sogno». All’epoca il primo incarico in Renault, poi Toyota, Fiat, Volkswagen, Audi, Seat e infine il ritorno a Boulogne Billancourt nel 2020 per prendere in mano l’azienda.
De Meo guida un colosso globale il cui primo azionista è lo Stato francese, che di solito non fa sconti sugli aspetti nazional-simbolici. L’essere italiano è un tema? «No, Renault è ormai un gruppo internazionale che fa parte di un’alleanza con Nissan e la lingua di lavoro è soprattutto l’inglese. Io poi parlo anche francese». Un francese in effetti perfetto, «perché mio padre progettava infrastrutture in tanti continenti, abbiamo girato una dozzina di Paesi e fino all’adolescenza ho studiato nella rete delle scuole francesi e poi inglesi». Il patron di Renault è sicuramente cosmopolita, ma all’occhiello della giacca esibisce la rosetta tricolore di Cavaliere del lavoro, l’onorificenza che il presidente Sergio Mattarella gli ha conferito nel maggio scorso, unico non residente in Italia. «La porto con orgoglio perché è un segno del legame con il mio Paese. Noi “expat” rischiamo di perdere le radici, alle quali io invece tengo molto». Il 29 dicembre poi è arrivata anche la Legion d’onore per decreto del presidente Macron.
De Meo vive, come negli anni Novanta, a Passy, quartiere tranquillo dell’Ovest parigino. «Ovunque vada per ambientarmi ci metto 15 giorni: il periodo necessario per trovare il bar che fa il caffè buono e un ristorante che mi piace». Tutto il tempo o quasi è dedicato al lavoro, anzi, all’industria. È una precisazione importante, perché «io sono un’industriale e l’industria è dura, una fatica di ogni giorno». Negli ultimi decenni l’Occidente ha conosciuto il passaggio verso un’economia finanziaria, immateriale. E lo scrittore francese vivente più conosciuto, Michel Houellebecq, ha dedicato il romanzo La carta e il territorio all’idea di una Francia e di un’Europa ormai prive di fabbriche, ridotte a parco giochi per ricchi stranieri in cerca di gastronomia e savoir vivre. Gli sforzi di de Meo sono invece diretti a smentire questa profezia. «Non esiste un Paese forte senza un’industria forte, a meno che tu non sia una piattaforma finanziaria come Singapore. L’economia dematerializzata è un’illusione, i problemi non si risolvono solo a colpi di clic. Durante la pandemia servivano le mascherine, ma in Europa non eravamo più in grado di produrle».
Qui viene fuori il de Meo car guy, appassionato di automobili per motivi sentimentali ma anche e soprattutto razionali. Dal primo gennaio 2023 è il presidente dell’Associazione europea dei costruttori di auto (Acea), un decennio dopo Sergio Marchionne e al posto del tedesco Oliver Zipse (Bmw). «Sono convinto che l’industria resti fondamentale per l’Europa. E il 30 per cento di tutti gli investimenti in ricerca e sviluppo dipendono dall’industria automobilistica. Poi, per ogni posto di lavoro che creo all’interno dell’azienda, ne nascono sei o sette fuori, come indotto. Il contributo dell’auto è decisivo in termini di innovazione e valore aggiunto, e noi europei possiamo eccellere nel settore premium, il più importante».
La centralità dell’auto è un tema delicato, in tempi di crisi climatica ed energetica. «Per questo bisogna essere realistici. Non può esserci un solo “piano A” deciso dai governi, le soluzioni tecniche possono essere tante e noi industriali dobbiamo essere lasciati liberi di esplorarle». C’è chi, soprattutto fra i giovani, pensa a un superamento dell’auto. «Lo capisco e in certi contesti va benissimo, ottimo il monopattino se vivi in boulevard Saint-Germain e devi andare a lavorare in place de la Concorde, qualche centinaio di metri più in là. Il discorso cambia per chi deve spostarsi tra Piacenza e Milano, per esempio». La soluzione è l’auto elettrica? «Sì, ma bisogna procedere con pragmatismo. Quando ero ancora a Barcellona alla Seat provocai una polemica perché dissi che l’auto elettrica era una rivoluzione di destra, cioè riservata a chi ha i soldi. Il fatto è che le auto elettriche per adesso costano molto, e non tutti possono permettersele. Comunque noi industriali dell’auto stiamo investendo tantissimo, i governi dovrebbero stare al nostro passo ma mi pare siano indietro: siamo più avanti con le auto elettriche che con le colonnine di ricarica».
L’industriale globale de Meo è anche l’anima del festival di musica elettronica «Viva!» di Locorotondo, in provincia di Bari. «La musica è l’altra mia grande passione, ora non ho più tempo ma per una certa fase posso dire di essere stato un esperto». Che cosa pensa dei parigini? Antipatici come vuole il luogo comune? «No, non direi. Direi però che, rispetto agli anni Novanta, Parigi è diventata una città più dura, più affollata, più nervosa». E alla finale dei Mondiali, per chi ha tifato? Francia o Argentina? «Avevo una leggera preferenza per l’Argentina, seguo Messi da quando vivevo a Barcellona. Ma non sono certo tra quelli che tifano per principio contro la Francia. E Mbappé è davvero un fenomeno».
Vale milioni il bonus dei banchieri. Ecco chi guadagna di più. Vittorio Malagutti su L’Espresso il 2 Marzo 2023
Le azioni degli istituti di credito sono in rialzo da mesi. E così i già ricchi premi dei manager prendono il volo. Sono arrivati a 12,6 milioni per Andrea Orcel di Unicredit, a 31 per Alberto Nagel di Mediobanca, a 7,4 per Carlo Messina di Intesa
Saranno i soci di Unicredit, convocati in assemblea il prossimo 31 marzo, a dire l’ultima parola sullo stipendio dell’amministratore delegato Andrea Orcel. Il consiglio di amministrazione dell’istituto milanese vorrebbe aumentare del 30 per cento il compenso del banchiere, che con i suoi 7,5 milioni di è già il banchiere più pagato d’Italia. Tra retribuzione base, bonus e benefit vari Orcel potrebbe quindi ricevere 9,75, milioni in totale, per due terzi sotto forma di titoli Unicredit.
Il fuoco di sbarramento degli azionisti, guidati dai grandi fondi internazionali, potrebbe però bocciare la proposta. Poco male, per Orcel. Il valore del suo tesoretto personale in azioni della banca milanese è già passato dai 5 milioni previsti al momento della nomina, nell’aprile del 2021, agli attuali 12,6 milioni circa. La corsa dei titoli Unicredit ha trainato anche il compenso dell’amministratore delegato della banca, agganciato per contratto alla quotazione.
Il caso Orcel non è isolato. Come L’Espresso ricostruisce in un’inchiesta pubblicata nel numero in edicola domenica 5 marzo e già online, il boom di Borsa ha garantito lauti guadagni supplementari anche ad altri banchieri. Due nomi su tutti: Alberto Nagel, a capo di Mediobanca e Carlo Messina, consigliere delegato di Intesa Sanpaolo. Il valore di questi bonus varia in base ai risultati di bilancio. E visto che nel 2022 il mondo del credito ha fatto segnare profitti record, c’è da aspettarsi che i manager di vertice verranno premiati con nuovi pacchetti di azioni, destinati ad aggiungersi a quelli assegnati negli anni scorsi.
Nel novembre scorso, Nagel ha ricevuto circa 65 mila azioni Mediobanca. Tenendo conto di quest’ultimo bonus, il manager milanese, da 15 anni al vertice della banca d’affari, adesso possiede circa 3,1 milioni di titoli, che adesso valgono 30 milioni di euro, circa 6 milioni in più rispetto all’autunno scorso.
Bonus in arrivo anche per Carlo Messina. Nel 2022, l’amministratore delegato di Intesa ha ricevuto come compenso extra quasi un milione di titoli, da sommare ad altri 1,9 milioni accumulati negli anni precedenti. Ai prezzi di questi giorni, dopo un rialzo del titolo Intesa di circa il 50 per cento in sei mesi, il valore del pacchetto di Messina supera i 7,4 milioni di euro. A fine aprile l’assemblea dei soci darà via libera ai conti del 2022, con profitti in crescita del 4 per cento rispetto al 2021. La performance degli utili, insieme al miglioramento di altri parametri di bilancio, dovrebbe garantire a Messina un nuovo bonus in azioni.
Va precisato che questi guadagni sono virtuali, destinati a restare sulla carta fino a quando le azioni non verranno vendute. Il valore del premio è di solito legato ai risultati aziendali, ma può anche capitare che la gratifica sia svincolata dall’andamento dei conti. Orcel, per esempio, è riuscito a spuntare un bonus d’entrata di 5 milioni di euro, presentato dalla banca come «sign on award». In pratica, due anni fa, l’amministratore delegato di Unicredit ha ricevuto un pacchetto 673 mila azioni in regalo per il semplice fatto di aver accettato l’incarico. Come valore di riferimento per l’accordo è stato presa la quotazione di 7,42 euro del 25 gennaio. Da allora il prezzo di Borsa della banca milanese è quasi triplicato e questa settimana ha anche superato i 19 euro.
Il boom del titolo si spiega anche con i conti della banca. Il bilancio del 2022 è il migliore degli ultimi dieci anni e i soci incasseranno una ricca cedola. Sulla base di questi risultati, adesso Orcel chiede un aumento del suo compenso, sfidando il mercato.
Guadagni congelati fino alla vendita delle azioni. Piovono milioni di euro sui banchieri, ecco quanto valgono i superbonus dei manager. Redazione su Il Riformista il 2 Marzo 2023
Piovono milioni di euro sui banchieri. Arrivano i super bonus grazie al boom in borsa. I manager al vertice dei grandi istituti di credito ricevono- così come riporta L’Espresso – gran parte dello stipendio sotto forma di azioni e così con il rialzo dei titoli bancari sono aumentati anche i loro compensi. Andrea Orcel di Unicredit, per esempio, supera 12 milioni e il tesoretto di Alberto Nagel (Mediobanca) ora vale più di 30 milioni.
Cifre da capogiro. Saranno i soci di Unicredit, convocati in assemblea il prossimo 31 marzo, a dire l’ultima parola sullo stipendio dell’amministratore delegato Andrea Orcel. Il consiglio di amministrazione dell’istituto milanese vorrebbe aumentare del 30 per cento il compenso del banchiere, che con i suoi 7,5 milioni è già il banchiere più pagato d’Italia. Tra retribuzione base, bonus e benefit vari Orcel potrebbe quindi ricevere 9,75, milioni in totale, per due terzi sotto forma di titoli Unicredit. Il caso Orcel non è isolato.
Come ricostruisce L’Espresso in un’inchiesta pubblicata nel numero in edicola domenica 5 marzo e già online, il boom di Borsa ha garantito lauti guadagni supplementari anche ad altri banchieri. Due nomi su tutti: Alberto Nagel, a capo di Mediobanca e Carlo Messina, consigliere delegato di Intesa Sanpaolo. Il valore di questi bonus varia in base ai risultati di bilancio.
E visto che nel 2022 il mondo del credito ha fatto segnare profitti record, c’è da aspettarsi che i manager di vertice verranno premiati con nuovi pacchetti di azioni, destinati ad aggiungersi a quelli assegnati negli anni scorsi. L’Espresso precisa, però, che questi guadagni sono virtuali e cioè destinati a restare “congelati” sulla carta fino a quando le azioni non verranno vendute. Il valore del premio è di solito legato ai risultati aziendali, ma può anche capitare che la gratifica sia svincolata dall’andamento dei conti.
STUDI LEGALI. Avvocati d’affari e studi legali: ecco i magnifici 10, la top ten. Isidoro Trovato su Il Corriere della Sera il 29 Dicembre 2022.
Per la prima volta c’è un italiano alla guida di una law firm a livello mondiale. Si tratta di Charles Adams che dallo scorso mese di maggio, è il nuovo global managing partner di Clifford Chance, primo avvocato italiano a riuscire nell’impresa. Probabilmente questo il fattore che ne ha determinato la nomina ad «Avvocato dell’anno», lo speciale in cui la rivista online Mag e il sito d’informazione Legalcommunity.it, diretti da Nicola Di Molfetta, raccontano i protagonisti del mercato dei servizi legali d’affari in Italia.
Il podio quest’anno è composto proprio da Charles Adams (Clifford Chance), Filippo Troisi (Legance) e Stefano Simontacchi (BonelliErede). Charles Adams (madre italiana e iscritto all’albo degli avvocati di Milano) è considerato uno dei «signori» della consulenza in ambito banking & finance. Lo scorso anno, per esempio, ha assistito le istituzioni in relazione al primo finanziamento sustainability-linked di Fs italiane da 2,5 miliardi di euro. Il secondo posto se lo aggiudica Filippo Troisi, senior partner e co-fondatore di Legance, che si è confermato uno degli avvocati più attivi sul fronte del mercato dell’m&a, lavorando a dossier di grande importanza. Non a caso, sotto la sua guida, nell’ultimo esercizio, Legance è stata tra i best performer del mercato realizzando una crescita del 20,6% sull’anno precedente e raggiungendo quota 123 milioni di euro in termini di ricavi.
La medaglia di bronzo se la aggiudica Stefano Simontacchi, presidente di BonelliErede, che ha portato avanti le politiche di innovazione strategica dello studio, spingendo su internazionalizzazione, gestione delle persone e tecnologia. Scelte apprezzate dal mercato, considerato che lo studio BonelliErede nell’ultimo anno ha raggiunto uno storico traguardo: il superamento dei 200 milioni di fatturato. Non era mai accaduto, fino a questo momento, a uno studio legale italiano.
Il mercato
Ma che anno è stato questo 2022 per il mercato italiano dei servizi legali d’affari? Molto positivo quasi al di sopra di ogni più rosea aspettativa. È riuscito a cavalcare l’onda lunga della crescita registrata nel 2021 (+10%, per un giro d’affari di quasi 2,9 miliardi di euro). I primi nove mesi dell’anno sono stati ricchi di operazioni importanti (basti pensare ai dossier Atlantia, Autogrill, Mps, Ita, Milan, Irca, per non parlare di Diasorin, Cdp e Roma calcio). Quello che si sta per concludere, quindi, è stato un anno di crescita che consolida un trend che, nonostante l’emergenza Covid, non ha avuto battute d’arresto nell’ultimo quinquennio.
Ma la preoccupazione dei principali esponenti dell’avvocatura d’affari per il 2023 non è poca. Il rallentamento del business negli Usa, che si sta riscontrando già adesso, è un anticipatore di tendenza. Crisi energetica e scenari recessivi sono le incognite che spaventano di più. Intanto, le grandi organizzazioni legali attive nel Paese lavorano sui loro modelli di business investendo su managerialità, internazionalizzazione ed Esg. Altro fattore che alimenta speranze per l’anno prossimo è quello di acquisizioni all’orizzonte che verranno verosimilmente accelerate dalle turbolenze causate dalla geopolitica.
L’età della maturità
Sotto la lente di Mag e Legalcommunity, in questa edizione, sono finiti 50 profili che raccontano meglio una generazione di business lawyer giunta alla sua piena maturità. L’età media è di 56 anni. Il più senior (70 anni) tra i professionisti nella lista 2022 è il decano dei fiscalisti italiani, Guglielmo Maisto. Mentre, il più giovane in elenco è Francesco Lombardo (40 anni), che nei mesi scorsi è diventato managing partner di Freshfields. Completano il quadro degli under 50, Michele Briamonte, managing partner di Grande Stevens, Gregorio Consoli co-managing partner di Chiomenti, Carlo Gagliardi, alla guida di Deloitte Legal, Carloandrea Meacci, socio di riferimento in Ashurst, Laura Orlando ed Eugenio Tranchino, nell’ordine managing partner di Herbert Smith Freehills e Watson Farley & Williams.
Cresce, sia pure lentamente, il numero delle donne in classifica che passano dal 10% al 12%. Tra queste, Gabriella Covino, co-head del dipartimento di restructuring di Gianni & Origoni; Stefania Radoccia, numero uno di EY tax & law in Italia; e Sara Biglieri, head del litigation di Dentons a livello europeo.
Interessante anche l’analisi della radice nazionale di provenienza degli studi legali rappresentati in questa fotografia dell’avvocatura d’affari italiana. Balza subito all’occhio che il 58% dei professionisti citati lavora in studi legali di matrice italiana, il 38% opera in strutture di origine internazionale e la restante parte nelle branch legali e tributarie delle cosiddette Big Four della consulenza.
Uno schieramento, quest’ultimo, che sta conquistando terreno e ampie fette di mercato.
Diana Cavalcoli per corriere.it il 30 dicembre 2022.
Miliardario a 87 anni. Tra i nuovi paperoni della classifica 2022 c’è anche l’imprenditore lombardo Giuseppe Crippa che è diventato miliardario grazie alla sua Technoprobe, azienda di semiconduttori di Merate definita «un angolo di Silicon Valley alle porte di Milano». Il salto nell’olimpo dei più ricchi è la conseguenza della quotazione a febbraio scorso dell’azienda che vanta clienti come Apple e Samsung, 2300 dipendenti nel mondo e 3 centri di ricerca e sviluppo. Una realtà innovativa che ha registrato ricavi consolidati al 30 settembre 2022 a 428 milioni, in crescita del 57,4% sull’anno precedente.
Il 15 febbraio scorso la quotazione di successo (il prezzo per azione iniziale è salito subito da 5,7 euro a 7,3 euro e il titolo è stato sospeso per eccesso di ribasso) ha reso Crippa, che ha lasciato la carica di ceo nel 2017 e la guida dell’azienda ai tre figli, una delle persone più ricche d’Italia. Ad oggi ha un patrimonio stimato di 3,7 miliardi di dollari, grazie alla sua quota del 75% della società. Un’azienda nata nel 1996 e oggi specializzata nella progettazione e realizzazione di interfacce elettro-meccaniche denominate Probe Card.
Gli inizi
Giuseppe Crippa deve la sua fortuna al suo spirito imprenditoriale e alla passione per l’innovazione. Nel 1995 a 60 anni riceve, dopo anni da dipendente, una proposta di liquidazione dall’azienda STMicroelectronics. Non intende però fare il pensionato e decide di avviare una sua società a Cernusco Lombardone dedicata al testing dei microchip.
Al Corriere Milano raccontava: «Ho sempre avuto molta fantasia e amo la tecnologia. Mia mamma era una maestra, mio padre impiegato. Io l’ultimo di tre figli. Zio Giovanni faceva il falegname e mi coinvolgeva. Lo aiutavo a costruire mensole e mobili. Sono cresciuto durante la guerra. Ricordo quando cercavamo riparo dalle bombe in una buca nel terreno accanto a casa. Diplomato perito ho iniziato a lavorare nella società ingegneristica Breda».
Competenze che tornano utili per gli anni in Stm e soprattutto quando si mette in proprio. Già negli anni 2000 Technoprobe si espande in Francia, a Singapore e negli Stati Uniti arrivando in vent’anni ad avere 11 sedi. Crippa ad oggi non è più coinvolto direttamente nell’azienda.
I tre figli, Cristiano, Roberto e Monica, fanno parte del consiglio di amministrazione e suo nipote Stefano Felici è amministratore delegato. Ma il fondatore in sede va spesso. Dice: «Lavoro su alcuni progetti per il miglioramento della qualità diminuendo i costi di produzione. E poi c’è l’orto sociale che abbiamo creato con la cooperativa Paso». Il segreto del successo secondo Crippa? «Il personale. Trovare i professionisti adatti. Con le persone giuste hai già vinto la tua battaglia».
I più ricchi del mondo, storie di famiglie e fortune (in due casi, partendo da zero). Rinehart: «Volete i soldi? Lavorate di più». Matteo Persivale su Il Corriere della Sera il 03 Giugno 2023.
C’è chi ha cominciato con una stanzetta in affitto (in India) e chi ha «inventato» il concetto di supermercato (in America): come vivono i pluri miliardari in 5 continenti. In vetta c’è il magnate del lusso francese Arnault, che supera sia Musk sia Bezos
Una volta, per imparare la storia europea, c’era un trucco: bastava studiare gli alberi genealogici delle famiglie reali e le loro ramificazioni per capire quasi tutto. Poi venne l’epoca dei primi ministri britannici, seguita da quella dell’allargamento a ovest - studiare l’elenco dei presidenti americani aiutava a inquadrare storicamente quel periodo. Tra qualche decennio per studiare la storia di questo strano inizio di terzo millennio, forse nei licei e nelle università - se non saranno state rottamate dall’intelligenza artificiale - si studieranno le famiglie industriali, quelle che danno forma all’economia (e alla società) del nostro tempo. Gli Arnault (l’Europa), i Walton (le Americhe), gli Ambani (Asia), i Rupert in Africa, i Rinehart in Oceania, rispettivamente le famiglie più ricche del loro continente: i problemi di Elon Musk con la costosa acquisizione di Twitter e il titolo Tesla l’hanno scalzato dal trono di più ricco del mondo sul quale siede ora Bernard Arnault, 74 anni compiuti da poco, presidente e ceo di LVMH Moët Hennessy Louis Vuitton, il più grande gruppo mondiale di prodotti di lusso che ha appena raggiunto, il 24 aprile, la capitalizzazione record di 500 miliardi di dollari.
BERNARD ARNAULT, 74 ANNI
L’INGEGNERE DELLA MODA
Nato da una famiglia di industriali a Roubaix, in Francia, Arnault si è laureato all’Ecole Polytechnique (in passato, tenendo un discorso all’ateneo, ha ricordato quanto ritenga essenziale la formazione da ingegnere per la sua vita e la sua carriera di imprenditore). Quando nel 1984 mette mano alla riorganizzazione della holding Agache-Willot-Boussac (contenitore del department store Bon Marché e soprattutto di Christian Dior), la rinomina Financière Agache e da lì comincia l’ascesa irresistibile: riporta la maison di Christian Dior al successo globale, e cinque anni dopo diventa l’azionista di maggioranza di LVMH Moët Hennessy Louis Vuitton, del quale rimane anche oggi presidente e amministratore delegato (è anche Presidente del Consiglio di amministrazione di Groupe Arnault S.E., la sua holding di famiglia).
GIOIELLI, CHAMPAGNE E MAISON DI ALTA MODA: ARNAULT, PATRON DEL COLOSSO LVMH, HA PUNTATO TUTTO SULLA CREATIVITÀ EUROPEA. RESTERÀ IN CARICA FINO A 80 ANNI
Sposato due volte, ha cinque figli (quella della successione è una questione ancora aperta ma Arnault ha ancora 6 anni di tempo prima di raggiungere il limite d’età per la sua carica, di recente innalzato da 75 a 80 anni): la primogenita e unica femmina Delphine (ceo Dior), Antoine (ceo di Christian Dior SE, la holding che la famiglia utilizza per controllare LVMH, ed è anche amministratore delegato di Berluti e presidente non esecutivo di Loro Piana), Alexandre (executive VP Tiffany & Co), Frédéric (ceo Tag Heuer) e Jean, il più giovane (direttore dell’orologeria di Louis Vuitton). I numeri di LVMH si spiegano con la scelta di diversificare grazie a acquisizioni mirate (nel corso degli anni sono entrati nel gruppo, tra gli altri, Celine, Bulgari, Fendi, Rimowa, Tiffany), di mantenere il controllo completo sulla distribuzione, la disciplina dei prezzi retail (100% a prezzo pieno), e la scalabilità.
La filosofia, invece, è quella molto europea - molto francese - di puntare tutto sulla creatività, il gusto, capace di creare marginalità spaventosa come solo il mercato del lusso sa fare. D’altronde nel 17 secolo Jean-Baptiste Colbert, primo ministro di Luigi XIV, inventò l’industria del lusso per far fronte alla superiorità navale spagnola - come diceva Mark Twain, la Storia non si ripete esattamente ma tende a fare la rima. È significativo che la famiglia più ricca delle Americhe non abbia accumulato il suo enorme patrimonio con la tecnologia, o la finanza, ma con il commercio. Non produzione e vendita del lusso, come gli Arnault, ma vendita della grande distribuzione popolare. Quella dei supermercati Walmart della famiglia Walton.
LA TOP TEN
- 1 BERNARD ARNAULT E FAMIGLIA
Patrimonio: 211 miliardi Paese: Francia
- 2 ELON MUSK Patrimonio: 180 miliardi Paese: USA
- 3 JEFF BEZOS Patrimonio: 114 miliardi Paese: USA
- 4 LARRY ELLISON Patrimonio: 107 miliardi Paese: USA
- 5 WARREN BUFFETT Patrimonio: 106 miliardi Paese: USA
- 6 BILL GATES Patrimonio: 104 miliardi Paese: USA
- 7 MICHAEL BLOOMBERG Patrimonio: 94,5 miliardi Paese: USA
- CARLOS SLIM HELU E FAMIGLIA Patrimonio: 93 miliardi Paese: Messico
- 9 MUKESH AMBANI Patrimonio: 83,4 miliardi Paese: India
- 10 STEVE BALLMER Patrimonio: 80,7 miliardi Paese: USA
Sam Walton (America), fondatore della dinastia americana che ha creato i Walmart. il gruppo è il più grande datore di lavoro privato degli Usa (foto Mingasson/Getty)
I CUGINI WALTON E IL COLOSSO DEL RETAIL
PREZZI (E STIPENDI) BASSI
I Walton sono la famiglia più ricca d’America (234 miliardi di patrimonio secondo Bloomberg): circa metà delle azioni di Walmart è detenuta da sette eredi dei fondatori Sam Walton (morto nel 1992) e suo fratello James “Bud” (morto nel 1995). Gli eredi includono i tre figli viventi di Sam - Rob, Jim e Alice - sua nuora Christy e suo figlio Lukas, più le due figlie di Bud, Ann e Nancy. Rob Walton è stato presidente per più di due decenni e rimane nel consiglio, insieme all’attuale presidente Greg Penner, suo genero (la famiglia possiede anche Arvest Bank, che gestisce 16 banche in Arkansas, Oklahoma, Missouri e Kansas). Quello dei Walton è un ethos ben preciso, molto americano, della provincia, che non potrebbe essere più lontano dalla Parigi cosmopolita degli Arnault: prezzi al dettaglio bassi, sconti continui, negoziati molto ostici con i fornitori, costi del personale contenutissimi (prima della pandemia, la paga oraria media di 14,26 dollari equivalente a circa 25.200 all’anno dei dipendenti Walmart a tempo pieno era al di sotto della soglia nazionale di povertà per una famiglia di quattro persone). E almeno in pubblico, i Walton vivono uno stile di vita piuttosto modesto nonostante la loro enorme ricchezza (la ricchezza dei Walton è di circa 234 miliardi di dollari secondo il Billionaire Index di Bloomberg: peraltro non tutti i Walton lavorano nell’azienda di famiglia: c’è chi ha scelto di «perseguire aree di passione personale»).
Le origini in Arkansas, nel 1962
Sam Walton, il fondatore, ha aperto il primo negozio Walmart in Arkansas nel 1962 e con Helen Robson ha avuto quattro figli: Rob, John, Jim e Alice. Quando Sam morì nel 1992, la proprietà delle azioni di Walmart era in una cassaforte di famiglia: ciascuno dei suoi figli deteneva il 20% di Walton Enterprises, mentre lui ed Helen detenevano il 10% a testa. Helen ha ereditato il 10% (esentasse, grazie a una sagace operazione dei suoi consulenti) di Sam quando è morto. Il basso profilo waltoniano, molto sudista, ha fatto sì che quando Samuel Robson Walton detto “Rob”, il figlio maggiore di Walton, ceo fino al 2015, ha distrutto la sua Daytona Coupe da 15 milioni di dollari, la notizia sia stata ripresa con clamore dalla stampa americana.
John, secondogenito, che aveva prestato servizio in Vietnam tra i Berretti Verdi, morì in un incidente aereo nel 2005 lasciando la vedova e un figlio. James Walton detto Jim è il figlio più giovane del fondatore, presidente della Arvest Bank di famiglia. Ha anche fatto parte del consiglio di amministrazione di Walmart prima di essere sostituito da suo figlio Steuart nel 2016. Ora presiede la Walton Enterprises - la società privata che si occupa solo degli investimenti e delle finanze della famiglia Walton - dai modesti uffici di Bentonville, Arkansas.
La passione per l’arte della ‘piccola’ Alice
La sorella più giovane, Alice Walton, che non ha figli, non ha mai avuto un ruolo attivo nella gestione dell’azienda di famiglia: possiede un’enorme collezione d’arte. Alla base del patrimonio c’è l’idea portante del fondatore: attenzione ossessiva alla logistica, pieno controllo del proprio servizio di autotrasporto da e verso i magazzini regionali di Walmart. Questa razionalizzazione della logistica voluta da Walton ha portato a una crescita esponenziale, dai 190 negozi del 1977 agli 800 del 1985. La posizione dominante di Walmart (4634 negozi in tutti gli Stati Uniti) ha portato al cosiddetto “Walmart Effect” dal titolo del libro del 2006 di Charles Fishman, l’effetto Walmart che si riferisce all’impatto economico sulle piccole imprese locali quando un gigante come Walmart apre una sede nella loro area. L’effetto Walmart di solito si manifesta costringendo le piccole imprese di vendita al dettaglio a chiudere l’attività, riducendo i salari per i dipendenti dei concorrenti. Il meccanismo è semplice, nella sua brutalità: Walmart è il più grande datore di lavoro privato degli Stati Uniti, e grazie alle sue dimensioni può di fatto dettare il prezzo desiderato ai fornitori. Così Walmart vende la propria merce a prezzi inferiori rispetto ad altre aziende più piccole: quando apre una nuova sede Walmart, i prezzi più bassi e l’enorme selezione di merce nei suoi negozi tendono ad allontanare i consumatori dai rivenditori locali. Con le vendite in calo, i negozi locali, più piccoli, vedono diminuire i loro profitti, e tagliano i costi. A volte chiudono. Nei casi in cui Walmart ha abbandonato una location, si è visto come l’effetto negativo sulla concorrenza è continuato anche dopo l’uscita di scena del gigante.
Gli Ambani: da sinistra il capofamiglia Mukesh, Rachida, fidanzata del figlio Anant (al suo fianco), la moglie Nita, la nipote (dietro il marito), a fianco la madre Shloka e a destra il padre Akash, secondo figlio del magnate (Sujit Jaiswal/Afp via Getty)
I NUOVI MAHARAJA DELL’INDIA: GLI AMBANI
E QUELLA STANZETTA IN AFFITTO
La famiglia più ricca d’Asia può sorprendere perché non è cinese né giapponese, ma indiana. Sono gli Ambani, capitanati da Mukesh Ambani (nato il 19 aprile 1957), erede della fortuna di Reliance Industries, gigante dell’energia, dei media e del tessile, impresa con la maggior capitalizzazione dell’India. È il figlio maggiore del patriarca Dhirubhai Ambani (1932-2002), self-made man che fondò Reliance da una sola stanzetta presa in affitto con un cugino. Mukesh Ambani è attualmente presidente e amministratore delegato di Reliance Industries. Se il verbo dei Walton è la discrezione (fuoriserie sfasciata a parte), gli Ambani amano lo sfarzo: la famiglia vive dal 2012 a Antilia, palazzo di 27 piani a Mumbai la cui costruzione è costata due miliardi di euro e che impiega uno staff di 600 persone (a Buckingham Palace sono soltanto 400, tutto è relativo). Una superficie di oltre 37.000 metri quadrati con un garage di 168 auto, un sala da ballo, 9 ascensori ad alta velocità, teatro, giardini pensili, piscine, centro benessere. È la residenza privata più costosa del mondo.
DIECI ANNI DI DISPUTA PER LA SUCCESSIONE. GLI AMBANI (TESSILE, MEDIA, ENERGIA) POSSIEDONO LA CASA PIÙ COSTOSA DEL MONDO: 27 PIANI E UNO STAFF DI OLTRE 600 PERSONE
E pensare che quando Dhirubhai Ambani è morto nel 2002, senza lasciare alcun testamento, i due figli, Mukesh e Anil, hanno dato il via a una disputa per la successione durata più di dieci anni. La madre, Kokilaben, è dovuta intervenire per risolvere la controversia e dividere l’azienda di famiglia tra i fratelli: a Anil le telecomunicazioni e i servizi finanziari, Mukesh ha mantenuto il controllo su tessuti, petrolio e gas, prodotti petrolchimici e raffinazione (alla divisione dei beni si accompagnava anche una clausola di non concorrenza della durata di dieci anni). Fa sorridere la recente notizia secondo la quale Mukesh Ambani insieme con James Murdoch ha ottenuto i diritti per mostrare Succession- la serie tv che secondo molti sarebbe ispirata proprio ai Murdoch - in streaming in India. Perché Ambani possiede anche Viacom18, e con Succession ha deciso di intensificare la concorrenza con Disney in uno dei mercati in più rapida crescita al mondo per lo streaming, l’India (la società di ricerca Media Partners Asia, scrive il Financial Times , prevede che l’industria dei video online in India raddoppierà i ricavi annuali a 6,5 miliardi di dollari entro il 2027 e si stima che il Paese abbia un pubblico in streaming di oltre mezzo miliardo di persone). Viacom18 è una partnership tra il conglomerato Reliance Industries di Ambani, Paramount e un gruppo di investitori sostenuto da un fondo sovrano del Qatar gestito da Murdoch e Uday Shankar, un ex dirigente della Disney.
I Rupert (Africa): da sinistra Johann Rupert, a destra il figlio Anton, l’erede, al Salone mondiale dell’orologeria di Ginevra
ANTON E HUBERTE RUPERT
IL LUSSO AFRICANO
È sudafricana la famiglia più ricca d’Africa, i Rupert, di Stellenbosch. Il patriarca è Anton Rupert (1916-2006) che con la moglie Huberte Rupert (1919-2005) ha creato il Rembrandt Group che dal tabacco si è espanso nel settore del lusso fondando nel 1988 Richemont (appartengono a Richemont, tra gli altri: Cartier, Dunhill, Sulka, Seeger, Piaget, Vacheron Constantin e Montblanc). Anton e Huberte ebbero tre figli: Johann (presidente di Richemont), Antonij e Hanneli.
IL SUCCESSO DEI RUPERT È INCOMINCIATO CON IL TABACCO, POI HANNO INVESTITO NEL LUSSO. ORA SONO I NUMERI UNO DELL’ OROLOGERIA
Al centro Gina Hope Rinehart (Oceania), che guida il gruppo minerario creato dal padre Lang Hancok, che scoprì il più grande giacimento di ferro del mondo (foto Camera press/Philip Gostelow/Contrasto)
LA RICCHEZZA PIU’ GRANDE D’OCEANIA
E L’ETICA DI GINA RINEHART
La famiglia più ricca dell’Oceania, gli australiani Rinehart dell’industria mineraria, sono capitanati dalla 69enne Gina, figlia del fondatore della Hancock Prospecting, Lang Hancock morto nel 1992. Sempre in materia di trame familiari, Gina Rinehart e i figli si sono trovati al centro di una disputa legale molto complicata - la gestione di un trust familiare multimiliardario che ha bloccato nel 2019 i pagamenti di dividendi per almeno 2 miliardi di dollari. In una rara intervista (con risposte scritte) rilasciata a The Australian Financial Review per celebrare tre decenni al timone di Hancock Prospecting, Rinehart afferma che non ha intenzione di rallentare, alla soglia dei settant’anni, e continuerà a investire in ferro, rame, litio, oro e terre rare.
REINHART È LA REGINA DELL’INDUSTRIA MINERARIA. ANNI FA DISSE: «VOLETE I SOLDI? SMETTETE DI BERE E FUMARE E LAVORATE DI PIÙ»
Rimane inoltre aperta all’acquisizione di altre aziende. Trumpiana di ferro, già nel 2012 aveva scatenato polemiche chiedendo al governo australiano l’abbassamento del salario minimo - «Potrebbe aiutare i datori di lavoro ad assumere più personale» - criticando nel contempo l’etica del lavoro degli australiani: «Se sei geloso di chi ha più soldi, non startene seduto lì a lamentarti; fai qualcosa per guadagnare di più. Non perdere tempo a bere, fumare e a socializzare. Lavora di più, e basta».
Musk sfida Zuckerberg a un incontro sul ring. Martina Melli su L'Identità il 23 Giugno 2023
Elon Musk, il multimiliardario del tech che ha recentemente acquistato e rivoluzionato Twitter, ha sfidato Mark Zuckerberg, Ceo di Meta e originale fondatore di Facebook, a singolar tenzone. Niente spade e appuntamenti in piazza, ma un combattimento moderno in un ring di Las Vegas. Non è uno scherzo, è tutto vero. Forse sono solo “leoni da tastiera” come direbbe la Lucarelli, gli saranno sfuggiti tweet e storie sui rispettivi social. Quel che è certo è che due degli uomini (di mezza età) più potenti al mondo fanno a gara a chi ce l’ha…indovinate come.
Tutto ha avuto inizio quando, un paio di settimane fa, Meta ha mostrato piani per lo sviluppo di un nuovo social competitor di Twitter. L’imminente app, che Chris Cox, chief product officer di Meta, ha definito “la nostra risposta a Twitter”, è già stata presentata a personaggi come Oprah e il Dalai Lama per convincerli ad essere i primi utenti. All’interno dell’azienda la nuova piattaforma viene chiamata “Project 92” ma al pubblico potrebbe venire lanciata come “Threads”. “Sviluppatori e personaggi pubblici sono interessati ad avere una piattaforma gestita in modo sano, di cui potersi fidare e su cui fare affidamento per la distribuzione”, ha detto Cox, lanciando una freccia infuocata a Musk e alla sua controversa gestione di Twitter. L’obiettivo dell’azienda per l’app, ha continuato Cox, è “sicurezza, facilità d’uso, affidabilità” e la certezza che i creatori abbiano un “posto stabile per costruire e far crescere il proprio pubblico”. La codifica è iniziata a gennaio e l’app sarà disponibile “al più presto”.
Questo lo scenario che ha infastidito Musk, il quale, famoso per i suoi modi eccentrici, ha twittato che era “pronto per una rissa in gabbia” contro Zuckerberg. Zuckerberg ha subito risposto alla provocazione pubblicato una storia Instagram con lo screenshot del tweet di Musk e la didascalia “inviami la posizione”. Musk laconico e implacabile ha scritto: “Vegas Octagon”, ovvero il ring utilizzato per gli incontri dell’Ultimate Fighting Championship (UFC) con sede abituale a Las Vegas. Musk, che, a differenza dei 39 anni di Zuckerberg, ne compie 52 anni alla fine di questo mese, e che, a differenza del Ceo di Facebook (praticante di jujitsu e MMA) non dedica particolare tempo allo sport, ha subito mangiato la foglia e modificato i toni: “Ho questa grande mossa che chiamo ‘Il tricheco’ , dove mi sdraio semplicemente sopra il mio avversario e non faccio nulla”. Poi, dopo quel tweet, ha iniziato a postare meme e brevi video di trichechi, facendo riferimento al fatto che forse la faccenda del combattimento in gabbia era solo uno scherzo.
Estratto dell'articolo di Domenico Quirico per “la Stampa” sabato 12 agosto 2023.
Leggo sempre con tenerezza, con affettuosa indulgenza, senza superbia iraconda, le notizie attinenti i miliardari. Gli ebdomadari che se ne occupano son meglio della Pravda buonanima. Svolgono funzione politica. Sparpagliano a piene mani il comunismo, la lotta di classe, preparano le barricate. […]
A tal proposito in questi giorni si pispiglia che potrebbe accadere in Italia, sì in Italia! qualcosa di potente e di meraviglioso. Ovvero la riapertura ufficiale dei cruenti giochi gladiatori, delle sfide senza esclusione di colpi nella arena del circo. Sta per essere riparato uno di quei colpevoli e gravi atti di ingiustizia, dovuta ai fegatosi cristiani usciti dalle catacombe del secondo secolo P.C, che ha portato presso di noi alla sfioritura del mondo classico, retrocesso miseramente ai finti centurioni e al sudato latinorum degli esami di maturità. Merito appunto di due epuloni giunti dal Nuovo Mondo, Musk e Zuckerberg.
Hanno chiesto come arena per spaccarsi gli occhi e battersi fuori quattro denti proprio il Colosseo. Torna dunque Spartaco e con il portafoglio pieno! La notizia sconfortante è che il ministro della cultura italiano ha detto no. Anzi: si aggiungono nei commenti espressioni ironiche, sprezzanti quasi fossimo di fronte a un reato di vilipendio. Oh i ministri! O non capiscono una goccia o son sospettosi come topi frugati. Vorrei sommessamente dissentire dal diniego.
Se c'è una occasione per far riemergere dagli inferi i colli fatali di Roma, con annesso e connesso sollievo del Pil, non lasciamoci sfuggire questo momento. Stiamo da anni a stantuffare, destra e sinistra unita, che i monumenti devono pagarsi la sopravvivenza e non vivere ad ufo delle sovvenzioni stataliste, e rifiutiamo questa riconversione miliardaria dell'anfiteatro Flavio? Musk, uno che vuol portarci tutti in gita su Marte, intende restaurare, direi con cura filologica, il vetusto pietrame nel suo scopo originario e si risponde no grazie?
Pensate: due star petulanti di freschezza miliardaria e di avversione reciproca che si scalmanano in un "peplum'' ultrarealistico in quell'ammuffito monumento e metton in fuga i topi e le tarme! E forse anche i turisti allemanni affezionati all'incidere sul marmo: grethel ti amo! Ma se il Circo Massimo è stato retrocesso senza scandalo a concertone permanente perché il Colosseo non dovrebbe ospitare questo ritorno di Spartaco? Marx Lenin e Stalin adoravano questo rivoluzionario.
Khacaturjan scrisse un balletto su di lui che vinse il premio Lenin. Così politicamente, a Gauche, saremmo a posto. Per non spaventare i due gladiatori miliardari e le attuali maggioranze italiche ricorderei che uno come Reagan, al di sopra di ogni sospetto, lo citava spesso, il trace, come esempio di sacrificio. Dovrebbe essere proprio il signor ministro a suggerire ai due illustri gladiatori scenari più accattivanti di un banale match con i guantoni. […[
«Venite da me», «no, qui è meglio»: la ridicola corsa dei politici italiani per ospitare il duello tra Zuckerberg e Musk. Le frasi raccolte da Wil Nonleggerlo su L'Espresso il 16 Agosto 2023
Il possibile scontro tra i due miliardari alimenta la sfida tra sindaci e amministratori di tutto il Paese. Spesso con dichiarazioni sopra le righe
Ministri, sottosegretari, sindaci, governatori e chi più ne ha più ne metta. Il (possibile) incontro di arti marziali tra i due miliardari Elon Musk e Mark Zuckerberg poteva essere una semplice boutade da social, settore di riferimento per entrambi i contendenti, e finire nello spazio di un tweet. Ma l’intenzione di ambientarlo in Italia ha trasformato il passatempo di due miliardari in un caso politico nazionale. Ed ecco allora che, nel giro di qualche giorno, è scattata la corsa a candidare il proprio comune o la propria regione a ring dello show, elevando una scazzottata a grande occasione di rilancio turistico. Al momento non è ancora certo che lo scontro si terrà, ma una cosa è certa: a finire KO è stata la credibilità della politica.
#MuskZuck
Il combattimento di arti marziali miste (Mma) tra Elon Musk e il fondatore di Facebook Mark Zuckerberg si farà, e sarà in Italia. A rivelarlo è il proprietario di X in un messaggio sul social, in cui scrive che “ho parlato con la premier italiana e il ministro della Cultura. Hanno concordato una location epica”
(Il Sole 24 Ore – 11 agosto)
Il vero protagonista
“Ho avuto una lunga e amichevole conversazione con Elon Musk, abbiamo parlato della comune passione per la storia dell'antica Roma. Stiamo ragionando sul modo in cui organizzare un grande evento benefico e di evocazione storica, nel rispetto e nella piena tutela dei luoghi. Non si terrà a Roma”
(Gennaro Sangiuliano, ministro della Cultura – 11 agosto)
Ecco l'altro
“Sono favorevole a concedere il Colosseo. Visto che il Circo Massimo lo diamo anche a chi lo devasta, come Travis Scott, non vedo perché il Colosseo non debba essere dato a Musk e Zuckerberg”, ha detto il sottosegretario alla Cultura Vittorio Sgarbi interpellato da LaPresse
(Il Tempo – 11 agosto)
Signore e Signori, Clemente Mastella
“Gemella di Roma Imperiale e straordinario scrigno di storia, Benevento può a buon diritto candidarsi per ospitare la super-sfida tra Musk e Zuckerberg: un evento di richiamo mondiale per cui il nostro meraviglioso Teatro Romano potrebbe essere una location perfetta”. Così il sindaco di Benevento Clemente Mastella lancia la candidatura della città di Benevento per ospitare il match tra i due magnati del web. “Il nostro Teatro Romano è un gioiello che ha già incantato i protagonisti del Premio Strega. Diventerebbe l'arena naturale per questo evento planetario. Per bellezza, fascino millenario e suggestioni storiche il nostro Teatro non teme confronti. Sono sicuro che i due re dell'universo social non avrebbero dubbi, se lo visitassero, a mettere un bel like. Invito il ministro Sangiuliano a riflettere su questa incredibile possibilità di valorizzare le aree interne campane”, prosegue Mastella. “In caso l'evento si svolga in un altro sito storico italiano, invito uno dei due contendenti a venire da noi per l'allenamento che - come da cultura dei gladiatori - aveva importanza cruciale in vista della disfida”, conclude il sindaco di Benevento
(Ansa – 14 agosto)
Sfida Musk - Zuckerberg, Cateno De Luca offre Taormina: “Se cercate una location epica, suggestiva e incantevole, Taormina c'è!”
(NuovoSud.it – 12 agosto)
Nardella e la sfida Musk-Zuckerberg: “Li invito a Firenze. Niente botte, ma una sfida tra geni come Leonardo e Michelangelo”
(La Repubblica Firenze – 13 agosto)
“A me l'idea di un 'combattimento' tra Elon Musk e Mark Zuckerberg, da svolgersi in Italia in una location epica, piace davvero tanto. Potrebbe essere una bella occasione, alternativa e fuori dai soliti schemi, per rievocare la storia millenaria delle civiltà più antiche, per fare beneficenza, e per promuovere il territorio. Questa mattina ho sentito il ministro della Cultura, Gennaro Sangiuliano, ed ho ufficialmente candidato la Calabria ad ospitare questo evento mondiale”. Lo afferma, in una nota, il presidente della Regione Calabria Roberto Occhiuto
(Ansa – 12 agosto)
“L'Anfiteatro di Pompei sarebbe proprio il luogo più adatto a questo evento straordinariamente originale, che mai avrei immaginato. È la prova che qui si sta lavorando bene e continueremo così”
(Carmine Lo Sapio, sindaco di Pompei, all'Ansa – 11 agosto)
Estratto dell'articolo di Pierangelo Sapegno per “La Stampa” il 16 Agosto 2023
Se il Colosseo non va bene, ecco che appare Cinecittà. «Il set di Ben Hur è la sua location ideale, l'impero sullo sfondo e non si rischiano i monumenti». Che vuoi di più? Il bello è che Cinecittà non è da sola perché è partita una vera e propria gara, come se questa disfida la volessero improvvisamente tutti.
La sceneggiata quasi un po' irriverente per portare «nell'antica Roma» la scazzottata del secolo fra Elon Musk e Mark Zuckerberg prosegue così, come si conviene nelle sfide di questo genere, con qualche offesa reciproca e grandi manifestazioni di entusiasmo sparse per il suolo della Serva Italia effigiata da Dante, dal Nord al Sud, dal Veneto asburgico giù fino alle borboniche Calabria e Sicilia.
[...] nel frattempo il ceo di Meta, Zuckerberg, ha cominciato a frenare, addossando tutte le colpe al rivale, il patron di Tesla: «Elon non conferma la data, poi dice che ha bisogno di un intervento chirurgico e ora chiede di fare un round di pratica nel mio cortile - ha scritto in un post su Thread -. Penso che possiamo essere tutti d'accordo che Elon non è serio. Se Elon volesse davvero una data reale, sa come contattarmi». E ancora: «Sono pronto a combattere dal giorno in cui Elon mi ha sfidato. Se mai sarò d'accordo su un vero appuntamento, lo saprete da me. Fino ad allora, presumete che tutto ciò che dice non sia stato concordato».
[...] Dopo il no del Colosseo, l'arena ideale per i novelli gladiatori, Cinecittà World, il parco tematico del cinema nostro, ha deciso di candidare ufficialmente per la sfida il set cinematografico di Ben Hur, «che più testimonia la grandezza dell'Impero Romano, con le infrastrutture pronte a ospitare decine di migliaia di persone, evitando nel contempo qualsiasi rischio legato ai monumenti storici», come ha detto l'ad Stefano Cigarini.
Dietro Cinecittà tutti gli altri. Tra le location l'Arena di Verona, che fa già da cornice a decine di concerti e eventi con una capienza di ventimila spettatori. Così come Ostia Antica, il porto del litorale romano. Altri invocano Firenze. Mentre salgono le quotazioni di Pompei, soprattutto, antica città romana ai piedi del Vesuvio che ospita un parco archeologico adatto a creare l'atmosfera vagheggiata dai due rivali nella loro megalomania.
Altra location indicata è quella di Taormina, con il suo suggestivo Teatro antico che potrebbe essere un palcoscenico gradito per la disfida. Poi ci sono quelli che si candidano a gran voce. Dalla Regione Calabria, il presidente Roberto Occhiuto s'è fatto avanti con decisione: «La terra culla dei Bronzi di Riace ha tutte le carte in regola per accogliere questo avvenimento».
Seguito a ruota dalla Basilicata, che nella persona del sindaco di Grumento Nova, Potenza, Antonio Imperatrice, ha segnalato il parco archeologico di Grumentum, con tanto di anfiteatro e teatro. «Sarebbe un bel segnale per valorizzare l'entroterra lucano e il suo patrimonio archeologico». Proprio in quelle bande, nel 207 avanti Cristo, Annibale si scontrò con l'esercito romano in un'epica battaglia. [...]
Estratto dell’articolo di Lorenzo Nicolao per corriere.it il 9 maggio 2023.
L’anno scorso Zuckerberg aveva parlato nel podcast di Joe Rogan, voce della stessa Ufc, di quanto le arti marziali fossero per lui utili per rendere il massimo a lavoro e nel trovare la concentrazione ideale. «Le adoro – aveva detto – le ho fatte conoscere a diversi amici e ora ci alleniamo tutti insieme». Da allora è stato anche più volte ospite di importanti tornei nazionali e internazionali, amico stretto anche del presidente Ufc Dana White. […]
Tra i fan ci sono quelli che sognano un combattimento tra Zuckerberg e altri praticanti del «suo rango», dal momento che tanto il proprietario di Twitter Elon Musk (ex praticante di judo, taekwondo e karate), quanto lo youtuber Jake Paul (pugilato) sono dei fervidi appassionati. Tutti chiedono un incontro tra gli imprenditori dei giganti di internet, o magari con una star di Hollywood. Ci sono Christian Bale, Jessica Alba, Jennifer Aniston, Ashton Kutcher e Robert Downey Junior, tutti entusiasti del benessere psicofisico che deriva da queste discipline.
DAGONEWS il 27 dicembre 2022.
I magnati del settore tecnologico hanno perso miliardi di dollari quest'anno a causa del calo delle azioni e di molte aziende che hanno rallentato la scalata dopo anni di crescita costante.
È stato un anno triste per i titoli tecnologici. Il fondatore di Facebook Mark Zuckerberg, che una volta si classificava tra le 10 persone più ricche del mondo, quest'anno ha perso quasi 81 miliardi di dollari di patrimonio netto.
Ma i miliardari sono tutt'altro che indigenti. Il patrimonio di Zuckerberg, ad esempio, vale ancora quasi 45 miliardi di dollari, ovvero più del PIL dell'Islanda. E molti dei miliardari valgono effettivamente più di quanto valessero nel 2019, poiché la crescita accelerata del mercato durante la prima fase della pandemia ha riempito i loro portafogli prima che la loro ricchezza precipitasse quest'anno.
I titoli tecnologici sono diminuiti drasticamente nel 2022 dopo l’impennata nel periodo della pandemia. Un cambio di passo che si è tradotto in massicci licenziamenti.
Non tutti i dirigenti tecnologici hanno avvertito la crisi finanziaria quest'anno. L'imprenditore cinese di Internet Zhang Yiming, fondatore della società madre di TikTok, ByteDance, ha visto la sua fortuna aumentare di oltre 10 miliardi di dollari fino a raggiungere un patrimonio netto di quasi 55 miliardi. Alcuni magnati della tecnologia negli Stati Uniti hanno subito perdite finanziarie, ma in misura minore: Larry Ellison, il co-fondatore di Oracle, ha perso 16 miliardi di dollari quest'anno, ma rimane la settima persona più ricca del mondo; Michael Dell di Dell Technologies ha visto il suo patrimonio netto ridursi di circa 7 miliardi, rimanendo appena davanti a Zuckerberg nella lista delle 25 persone più ricche.
Elon Musk
Elon Musk ha perso 132 miliardi di dollari di patrimonio netto quest'anno, una perdita che supera le fortune di ciascuno degli altri uomini ricchi in questa lista.
Il CEO di Tesla, SpaceX e Twitter è stato la persona più ricca del mondo per gran parte di quest'anno. Ma Musk, che detiene gran parte della sua ricchezza in azioni Tesla, ha perso la corona quando le azioni Tesla sono scese vertiginosamente verso il basso, precipitando di quasi il 70% durante l'anno.
Le azioni Tesla hanno risentito della preoccupazione che la domanda di veicoli elettrici si stia indebolendo in Cina, un mercato importante per l'azienda. Tesla ha anche dovuto affrontare sfide legate all'aumento del costo delle forniture per realizzare i veicoli.
Non solo: le turbolenze portate dall’acquisizione di Twitter hanno messo a disagio alcuni investitori di Tesla che hanno esortato Musk a concentrarsi ancora una volta sulla casa automobilistica.
Jeff Bezos
Jeff Bezos ha perso 84,1 miliardi di dollari quest'anno dopo che le azioni Amazon sono crollate di quasi il 50%, segnando uno dei suoi anni peggiori di sempre sul mercato.
Il fondatore e presidente di Amazon si è dimesso dal suo ruolo di CEO lo scorso anno, ma rimane il maggiore azionista.
Amazon ha dovuto affrontare un rallentamento della crescita, poiché l'enorme aumento delle vendite registrato durante la pandemia di coronavirus è diminuito quest'anno. La società non è stata immune dai licenziamenti che hanno colpito il settore tecnologico e sta tagliando circa 10.000 persone dalle sue divisioni aziendali.
Marc Zuckerberg
Il patrimonio netto di Mark Zuckerberg è precipitato di quasi 81 miliardi di dollari quest'anno. Il fondatore di Facebook è scivolato dalla sesta posizione della classifica degli uomini più ricchi al 25esimo posto, secondo il Bloomberg Billionaires Index.
È stato un anno difficile per Facebook, che ha annunciato che l'anno scorso avrebbe cambiato il nome della società madre in Meta. Zuckerberg, che guida ancora l'azienda che ha fondato da studente universitario, ha orchestrato il passaggio dell'azienda per concentrarsi maggiormente sul metaverso.
Meta ha registrato due cali trimestrali quest'anno poiché la società deve affrontare la concorrenza di TikTok e altre app di social media più piccole. Meta ha annunciato che prevede di licenziare 11.000 lavoratori nel tentativo di tagliare le spese.
Larry Page e Sergej Brin
Quest'anno Sergey Brin e Larry Page hanno perso collettivamente 88 miliardi di dollari. I fondatori di Google e gli attuali membri del consiglio di amministrazione della società madre Alphabet si sono allontanati dai loro ruoli esecutivi nel 2019, ma detengono ancora un'influenza importante sull'attività.
Alphabet ha rallentato le sue assunzioni e ha chiuso il suo servizio di cloud streaming per i videogiochi (Stadia).
Bill Gates
L'imprenditore, filantropo e co-fondatore di Microsoft ha perso quasi 29 miliardi di dollari nel 2022.
Gli investimenti di Gates sono diversificati, con grandi partecipazioni in più società, immobili e vaste distese di terreni agricoli. Ma la partecipazione più preziosa rimane nelle azioni di Microsoft, che quest'anno sono diminuite di quasi il 30 percento. Mentre le entrate per i servizi cloud di Microsoft sono aumentate del 24% durante l'ultimo trimestre dell'azienda, le vendite per del sistema operativo Windows sono diminuite del 15%. E Microsoft ha detto che si aspetta un rallentamento della crescita per le sue entrate dal cloud il prossimo anno.
Steve Ballmer
L'ex amministratore delegato di Microsoft e proprietario dei Los Angeles Clippers ha perso più di 20 miliardi di dollari quest'anno a causa della scivolata del gigante tecnologico che ha intaccato il suo patrimonio netto.
La maggior parte della ricchezza di Ballmer è legata alle azioni di Microsoft, dove ha ricoperto il ruolo di CEO dal 2000 al 2014. Sebbene la società sia andata meglio di altri titani della tecnologia che si affidano maggiormente alla pubblicità e alla spesa dei consumatori, Windows ha comunque perso più di un quarto del suo valore quest'anno. Oltre a prevedere una crescita del cloud più lenta, Microsoft ha avvertito gli investitori che si aspetta che le deboli vendite di PC continueranno fino al prossimo anno.
Dopo essersi ritirato da Microsoft nel 2014, ha acquistato i Clippers per 2 miliardi di dollari.
Francesco Semprini per “La Stampa” il 9 gennaio 2023.
Il vento siberiano batte sulle vetrate del 440 Terry Ave N, il quartier generale di Amazon a Seattle da dove vengono promulgati i bollettini dei nuovi tagli al personale. Il lungo inverno del settore hi-tech parte dallo Stato di Washington, appendice settentrionale del distretto tecnologico a stelle e strisce, per "gelare" le prospettive occupazionali di tutta la Silicon Valley.
«Abbiamo navigato in un'economia incerta e difficile in passato e continueremo a farlo - spiega l'amministratore delegato Andy Jassy - Questi cambi ci aiuteranno a perseguire opportunità di lungo termine con una struttura di costi più solida. A chi perde il lavoro offriremo pagamenti e benefit sanitari».
Le riduzioni, iniziate dalla creatura di Jeff Bezos in novembre, per la gran parte focalizzate negli Usa, mentre per l'Italia non sono previste riduzioni di organico, non sono le sole varate dal comparto hi-tech all'alba del nuovo anno: anche Salesforce, Vimeo e Stitch Fix licenziano sul timore di recessione economica e vendite stagnanti.
E i ridimensionamenti fanno seguito a quelli attuati da altri giganti del settore nell'anno appena concluso: Meta ha annunciato il taglio di oltre undicimila posti ed Elon Musk ha dimezzato il personale di Twitter con tremila esuberi. Un'ondata di gelo occupazionale che tiene in scacco tutta la Silicon Valley, comprese Apple e Google, che per ora sembrano limitarsi al congelamento delle assunzioni, sebbene non si escludano manovre più muscolari.
L'emorragia di dipendenti dalle aziende tecnologiche è stata pari a più di 150 mila posizioni, rispetto alle 80 mila del 2020 e le 15 mila del 2021, che - afferma il sito Layoffs.fyi - eleggono di diritto il 2022 annus horribilis dell'industria hi-tech. E più in generale per i mercati.
Il comparto azionario è crollato, le obbligazioni sono state colpite da una pioggia di vendite che hanno fatto balzare i rendimenti a dieci anni (barometro del credito) al 3,826%, dall'1,496% della fine del 2021. E le criptovalute sono state vittime di un terremoto che ha portato al crollo di giganti del settore, a partire da FTX.
Tutto ciò è il risultato di diversi fattori ma soprattutto dalla convinzione tradita che l'aumento dell'inflazione del 2021 sarebbe stato solo transitorio. Al contrario, le pressioni sui prezzi sono state esacerbate dall'invasione russa dell'Ucraina, che ha fatto impennare i costi di gas e petrolio.
Così, nel tentativo di riportare i prezzi verso il basso, la Federal Reserve ha proceduto agli aumenti dei tassi di interesse più aggressivi dagli anni Ottanta.
Il tumulto nei mercati globali ha contagiato Wall Street dove lo S&P 500 è sceso del 19% durante l'anno, il Dow Jones ha ceduto l'8,8%, mentre il Nasdaq è precipitato del 33%, indebolito da un ripido calo delle azioni tecnologiche. I tre indici hanno registrato i ribassi più pronunciati dal 2008, l'anno in cui è fallita Lehman Brothers apogeo della crisi finanziaria, ma è senza dubbio il comparto hi tech che ne esce più malconcio. Secondo il settimanale The Economist, i cinque giganti della tecnologia Apple, Alphabet, Meta, Amazon, Microsoft hanno perso nel 2022 circa tre mila miliardi di dollari di valore di mercato. Sebbene il colosso di Redmond abbia registrato la minore incidenza sulla riduzione della forza lavoro.
La politica monetaria più restrittiva ha portato gli investitori a uscire dal comparto: quando i tassi di interesse erano estremamente bassi, come lo sono stati per più di un decennio dopo la crisi finanziaria del 2008, costava meno agli investitori scommettere su società spesso non redditizie che promettevano di realizzare crescita nel medio-lungo termine.
Per la maggior parte del decennio scorso, gli investitori hanno preso d'assalto società tecnologiche in rapida crescita facendo registrare l'impennata dei prezzi di titoli come Meta, società madre di Facebook, Amazon, Apple, Netflix e Alphabet, proprietaria di Google. Tanto che è stato coniato l'acronimo FAANG per descrivere l'olimpo del comparto hi-tech.
Da più di un anno a questa parte i gestori Usa sono riluttanti a scommettere su investimenti rischiosi con guadagni incerti, posizionandosi invece su comparti più maturi, come sanità, servizi pubblici ed energia. Così Meta è crollata del 64% nel 2022, Netflix è scesa del 51% e gli altri tre titoli sono scesi di almeno il 27%.
Dopo aver toccato esattamente un anno fa i tremila miliardi di dollari di capitalizzazione, il gigante guidato di Tim Cook vede invece scivolare il suo valore di mercato sotto i duemila miliardi affondata dalle incertezze sulla domanda e sulla nuova ondata pandemica in Cina.
Le FAANG nel complesso hanno bruciato più di tremila miliardi di dollari di valore di mercato, contribuendo a trascinare verso il basso il mercato azionario più ampio. E prosegue il trend negativo di Tesla che nel 2022 ha segnato il peggiore anno in assoluto con un calo del 65% e oltre 700 miliardi di dollari di capitalizzazione di mercato bruciati.
«Per i mercati la chiave di lettura è che durante la pandemia le hi-tech hanno assunto a valanga per stare al passo col boom della domanda e ora si trovano a dovere fare i conti con un'economia che rallenta e spese diventate insostenibili anche per effetto dell'inflazione, quindi devono tagliare», spiegano sul Floor di Wall Street.
Quindi se una società risparmia da un punto di vista finanziario è meglio, sebbene sul piano economico non sia un buon segnale. «Il punto è che questa fase è caratterizzata da un'equazione perversa, le cattive notizie sono viste come buone, se la disoccupazione sale i mercati si rassicurano perché significa che il compito della Fed sul piano della politica monetaria sarà meno severo, ovvero ci sarà un rallentamento nel rialzo dei tassi di interesse e un'eventuale fine».
Un'altra tessera del mosaico è la pubblicità: «Meta sta facendo i conti con la stretta di Apple sulla privacy che non gli permette di fare pubblicità mirata e quindi guadagna di meno».
C'è inoltre la competizione di TikTok sempre più crescente, oltre agli inserzionisti che spendono meno, e questo è un fenomeno ampio e trasversale. Twitter è un caso a parte che dipende anche dalla questione manageriale interna. Il 90% degli oltre cinque miliardi di dollari di ricavi della piattaforma di microblogging deriva dalla pubblicità ma da quando è arrivato Musk (con l'acquisto del social per 44 miliardi) alcuni dei principali inserzionisti hanno sospeso le inserzioni.
Segnali sul cambio del quadro di riferimento erano giunti dallo stesso Mark Zuckerberg assieme all'annuncio dei tagli: «All'inizio del Covid, il mondo si è spostato rapidamente online e l'ondata di e-commerce ha portato a una crescita dei ricavi fuori misura. Molte persone hanno previsto che sarebbe stata un'accelerazione permanente che sarebbe continuata anche dopo la pandemia.
Compreso me. Sfortunatamente, non solo il commercio online è tornato alle tendenze precedenti, ma la recessione macroeconomica, l'aumento della concorrenza e la perdita di tenuta pubblicitaria hanno fatto in modo che le nostre entrate fossero inferiori alle aspettative. Ho sbagliato e me ne assumo la responsabilità». Da qui la scure dei tagli che si è abbattuta sul personale anche per ridare ossigeno al titolo. Guardando al futuro sono tre le considerazioni che emergono.
La prima, più rassicurante nel breve, è che i licenziati del comparto tecnologico trovano agevolmente impiego. Secondo un sondaggio ZipRecruiter, circa il 79% trova nuova occupazione entro tre mesi, quasi quattro su dieci lo trovano in meno di un mese. La seconda, di impronta strategica, arriva da Ashley Llorens, responsabile di Microsoft Research Outreach.
«Occorre riportare il discorso al tema dell'innovazione - spiega il guru di Redmond durante un recente simposio a cui La Stampa è stata invitata - Di solito l'innovazione ha impatto sulla forza lavoro, c'è sempre una rottura iniziale in termini di riduzione di posizioni e bisogna ragionarci assieme a governo e operatori creando ammortizzatori. Ma la collaborazione tra uomo e macchina nel medio-lungo termine ha l'obiettivo di creare circuiti virtuosi anche per la forza lavoro».
La terza e ultima indicazione, di più ampio respiro, giunge da Eric Sterner, responsabile degli investimenti di Apollon Wealth Management, che al Wall Street Journal spiega come la tecnologia tornerà ad essere leader del mercato quando la Fed inizierà a tagliare i tassi, probabilmente nel 2024. «Una volta che ci saremo preparati alla ripresa - chiosa Sterner -, mi aspetto che le aziende hi-tech tornino ad assumere la loro posizione di leadership, perché si tratta delle realtà più innovative che i mercati conoscano».
Estratto dell'articolo di Marco Valsania per “Il Sole 24 Ore” il 29 gennaio 2023.
Bill il contadino. Ma Bill, qui, non è sinonimo di americano qualunque. Farmer Bill è Bill Gates, fondatore di Microsoft. E del colosso che ha rivoluzionato la filantropia mondiale, la Bill & Melinda Gates Foundation.
[…]in pochi anni al titolo di protagonista di tech e new economy Gates ha aggiunto quello di re del più tradizionale tra gli asset, la terra. È diventato il maggior proprietario individuale di terreni agricoli, di farmland, negli Usa: quasi 300mila acri – 120mila ettari – in 19 stati. La sua fame non è sopita.
«Nei mesi scorsi abbiamo identificato altri 6.016 acri in North Dakota che fanno salire i suoi possedimenti agricoli ad almeno 248.000 acri e il totale a 275.000, compresi lotti cosiddetti transitional ideali per sviluppo immobiliare o ricreativo», racconta Eric O’Keefe, il direttore di Land Report che ha portato alla luce l’avanzata di Gates e segue l’evoluzione di holding private e familiari di terreni. […]
Gates ha solo in parte dissipato i misteri. «Possiedo meno di un quattromillesimo della farmland negli Stati Uniti. Ho investito in queste fattorie e aziende agricole affinchè diventino più produttive e creino lavoro, senza grandi disegni», ha detto in un botta e risposta l’11 gennaio sulla chat Reddit.
Le acquisizioni, ha aggiunto, sono affidate a gestori professionali. Cascade non ha risposto a richieste di commenti, ma O’Keefe conferma: «La holding, con controllate quali Red River Trust e Cottonwood Ag Management, rileva per conto di Gates terreni agricoli di alta qualità, investment-grade». Dove, cioè, i frutti della terra «generano liquidità e le proprietà aumentano di valore».
L’obiettivo di mettere in sicurezza la propria cassaforte personale, e con questa comunque le chance di continuare a foraggiare inedite scommesse, è dimostrabile. Ha radici in una diversificazione degli asset che rende omaggio a dimensioni e cultura rurale del Paese e, soprattutto, a raccomandazioni di gestori di portafoglio impegnati in hedging per proteggere i patrimoni da rovesci economici e inflazione. […]
La strategia è corroborata dai dati: la Fed di Kansas City stima che i prezzi dei terreni agricoli messi all’asta tra il 2021 e il 2022 siano aumentati tra il 20% e il 34% nel granaio americano, la Corn Belt del Midwest. Su scala nazionale, cifre del Dipartimento dell’Agricoltura, in un ventennio sono lievitati in media del 4,4% l’anno e sono reduci da impennate del 12,4% a 3.800 dollari l’acro in dodici mesi - un record dal 1970 che attira ondate di neo-investitori. […]
A far testo, quando in gioco sono aspirazioni agri-tech o comunità del domani, sono invece più delle logiche di portafoglio le passioni di Gates. Ha sottolineato che «il settore agricolo è essenziale», per la produzione alimentare e non solo. «Semi più produttivi possono evitare la deforestazione, aiutare l’Africa davanti alle sfide climatiche. Se i biofuel saranno meno cari, potrebbero risolvere il problema delle emissioni» nei trasporti. Ad oggi difettano grandi annunci di Gates o di suoi collaboratori su specifici progetti legati alle farmland.
[…] Certo, ancor più, è che Gates in vetta alla classifica dei proprietari agricoli è giunto con poca fanfara quanto con rapidità e determinazione rivelatrici di ambizioni.
Nel 2018 ha indossato lo scettro di re dei terreni con l’acquisto di 14.500 acri nello stato di Washington per 171 milioni. Coronamento d’una vasta acquisizione scattata solo l’anno precedente, quando aveva rilevato vasti asset del fondo pensione Canada Pension Plan Investment Board. Gates dispone ora, in ordine di dimensioni, di 69.000 acri in Louisiana, 48.000 in Arkansas, 20.000 in Nebraska e 25.000 in Arizona.
Sono appezzamenti che collettivamente rappresentano una minuscola frazione dei terreni agricoli nazionali, lo 0,027% di 900 milioni di acri. Né Gates è tra i primi proprietari terrieri in assoluto, dove pure abbondano altri magnati di tech e media: sommando ranch, allevamenti e foreste, quella graduatoria è capitanata da John Malone, con 2,2 milioni di acri dal Maine al New Mexico. Quasi a pari merito è Ted Turner, che annovera la più numerosa mandria privata di bisonti al mondo con 45.000 capi in 14 ranch dal Nebraska al New Mexico. Jeff Bezos di Amazon non sfigura con 420.000 acri concentrati in Texas. […]
Ancora: Microsoft, la sua ex azienda, è leader in tecnologie per il settore, dal sostegno a startup al precision farming e ricorso a Big Data e intelligenza artificiale. Il suo programma FarmBeats, di data-driven farming, è stato sperimentato a pochi chilometri sia dalla sede del gruppo che di Cascade - nella fattoria Dancing Crow, visitata da Gates mentre lanciava le sue acquisizioni di farmland.
Le città del futuro Gates proprietario terriero non è tutto finanza e agricoltura. Sui alcuni dei suoi possedimenti potrebbe sorgere un’intera Smart City. Il sito: un terreno desertico nei pressi di Phoenix, Arizona. Il progetto, in partnership con costruttori locali, ha nome, Belmont, e descrizione – «comunità lungimirante con comunicazioni e infrastruttura che sposano la tecnologia più sofisticata».
Sulla carta avrà 80.000 abitazioni, scuole, strade per veicoli autonomi, attività economiche hi-tech. Anche se, suggerito nel 2017, rimane da realizzare. E se sulle città intelligenti fa i conti con la previsione di 88 comunità del futuro nel mondo entro metà secolo e con rivali agguerriti: dall’imprenditore seriale Marc Lore, che immagina la sua Telosa in un’imprecisata località del Far West, a Elon Musk con Starbase nel Texas meridionale. Una cosa però è certa: Farmer Bill continuerà a lavorare le terre d’America.
Bill Gates ora fa...il latifondista. Ma è bufera sui suoi investimenti. Storia di Roberto Vivaldelli su Il Giornale il 29 gennaio 2023.
Bill Gates non è mai stato un agricoltore ne é famoso per avere un grande pollice verde. Ha deciso di cambiare mestiere? No, ma allora perché, anche quest'anno, la rivista specializzata Land Report lo ha soprannominato "Farmer Bill"? Il fondatore di Microsoft e "filantropo" possiede circa 275.000 acri di terreno agricolo negli Stati Uniti, secondo l'edizione 2022 del Land Report, un'indagine annuale sui maggiori proprietari terrieri del paese. Una proprietà grande quasi come Hong Kong. Si conferma, dunque, uno dei maggiori proprietari terrieri negli Stati Uniti, in crescita rispetto all'anno precedente, tenendo conto che, complessivamente ci sono 895,3 milioni di acri di terreno agricolo in America, secondo un rapporto del Dipartimento dell'Agricoltura. Sorge un dubio spontaneo: è lo stesso Gates che l'anno scorso ha promesso di donare "praticamente tutta" la sua fortuna alla sua fondazione filantropica?
Quando gli è stato chiesto di spiegare questi suoi investimenti in una recente sessione di "ask me something" su Reddit, ha risposto così: "Possiedo meno di 1/4000 dei terreni agricoli negli Stati Uniti. Ho investito in queste aziende agricole per renderle più produttive e creare più posti di lavoro. Non è coinvolto alcun grande progetto, infatti tutte queste decisioni vengono prese da un team di investimento professionale". Per quanto riguarda i molto ricchi, ha aggiunto, "penso che dovrebbero pagare molte più tasse e dovrebbero dare via la loro ricchezza nel tempo. È stato molto appagante per me ed è il mio lavoro a tempo pieno", ha continuato Gates, come riporta Business Insider. Le sue parole, tuttavia, non bastano a smorzare le polemiche contro i suoi investimenti.
Come spiega il National Formers Union, i terreni agricoli tendono ad accumulare continuamente valore a un ritmo più veloce rispetto agli immobili o alle azioni in borsa, rendendolo un investimento intelligente per coloro che possono permetterselo, anche se non hanno intenzione di fare attivamente gli agricoltori. Come risultato di questi investimenti, quasi il 40% dei terreni agricoli statunitensi è ora di proprietà di non agricoltori, che li affittano a loro volta ai produttori agricoli. Il trasferimento della proprietà delle aziende agricole a soggetti non agricoli e stranieri ha implicazioni molto negative per gli agricoltori, le comunità rurali e l'ambiente, con buona pace di Gates. Innanzitutto, ha fatto salire il prezzo dei terreni agricoli. Nel 1970, l'acro medio di terreno agricolo americano costava circa 1.000 dollari (adeguato all'inflazione). Nei successivi 5 decenni, il prezzo è più che triplicato, arrivando a 3.160 dollari per acro. Ciò significa che la fattoria media di 444 acri che sarebbe costata 444.000 dollari nel 1970 ora vale 1,4 milioni di dolari.
"Le grandi crisi del nostro tempo richiedono a tutti noi di fare di più". Parola di Bill Gates, che nei mesi scorsi ha annunciato via Twitter che trasferirà 20 miliardi di dollari della sua ricchezza alla sua Fondazione, la Bill & Melinda Gates Foundation, e che "guardando al futuro" prevede di donare quasi tutta la sua ricchezza all'ente. Obiettivo del fondatore di Microsoft è quello di "uscire dalla lista delle persone più ricche del mondo". "Ho l'obbligo di restituire le mie risorse alla società nei modi che hanno il maggiore impatto per ridurre la sofferenza e migliorare la vita- scrive su Twitter -.E spero che anche altri in posizioni di grande ricchezza e privilegio si facciano avanti in questo momento". Belle parole, ma i suoi investimenti personali, al momento, sembrano andare in una direzione molto diversa. Un po' come quando si fa paladino della lotta ai cambiamenti climatici e poi decide di spostarsi, non in treno, ma con un lussuoso jet privato.
Federico Rampini per il “Corriere della Sera” il 9 gennaio 2023.
«Nel 1960 morivano ogni anno 20 milioni di bambini sotto l'età di cinque anni. Nel 2012 ne sono morti 6,6 milioni, e in percentuale sulla popolazione l'ecatombe si è ridotta a un quinto. Sono ancora troppi. Abbiamo gli strumenti per scendere sotto i tre milioni in 15 anni.
I costi per il trattamento dell'Hiv-Aids sono stati ridotti del 99%, da più di 10.000 dollari a meno di 200 dollari all'anno. In molti paesi l'incidenza dell'Hiv-Aids è scesa oltre il 50%, e il regresso riguarda anche l'Africa sub-sahariana. Le morti per malaria in Africa sono diminuite del 33%.
Questa battaglia va fatta, con più risorse di prima, anzitutto per ragioni umanitarie. Ma è un investimento intelligente perché è la risposta migliore ai flussi migratori: un miglioramento delle condizioni di salute, delle opportunità di sviluppo umano, contribuisce a far restare le persone nei loro Paesi d'origine. Rallenta anche l'esplosione demografica, perché l'eccesso di natalità purtroppo è una risposta perversa alle decimazioni inflitte dalle epidemie».
Così Bill Gates mi esponeva il suo «ottimismo lucido e razionale», in una camera del Willard Hotel di Washington: quello dove nell'Ottocento nacque l'attività del lobbismo.
Era il 2 dicembre 2013. Pochi minuti prima Gates era uscito dalla Casa Bianca al termine di un lungo e proficuo incontro con Barack Obama, uno dei leader con cui ha creato un solido rapporto di collaborazione.
Ma nel lungo colloquio con Gates la parte che mi colpì come più innovativa non era il suo discorso umanitario, per quanto importante.
Il co-fondatore della Microsoft, protagonista della rivoluzione informatica degli anni Settanta e Ottanta, per 22 anni consecutivi l'uomo più ricco del mondo, aveva da poco lanciato con la moglie Melinda e con l'amico Warren Buffett The Giving Pledge , l'impegno a donare: una dichiarazione d'intenti che i tre avrebbero proposto a tutti i miliardari del mondo per diffondere le nuove regole della filantropia.
Da un altro punto di vista era una solenne promessa di diseredare i propri figli e nipoti. Quel giorno di dieci anni fa lui mi spiegò così la sua filosofia: «Penso che dal punto di vista dell'uso delle risorse di una nazione, non sia ideale lasciare i grandi patrimoni in eredità. Quando vuoi vincere le prossime Olimpiadi, non selezioni per la tua squadra nazionale i figli dei vecchi campioni olimpici.
Dal punto di vista della società, è sbagliato che una minoranza di privilegiati abbiano tanti mezzi senza dovere lavorare per meritarseli. Non si fa un favore ai propri figli lasciandogli tanto, è demotivante». Coerente con l'annuncio di allora, oggi all'età di 67 anni Gates ha già versato in beneficienza 50 miliardi di dollari, e continuerà a devolvere così la stragrande maggioranza del suo patrimonio.
Quel capitalista che mi spiegava un decennio fa la sua decisione di diseredare i tre figli, mi riconciliava con l'etica protestante del capitalismo.
Non ci sarà mai un Gates junior alla guida di Microsoft dopo il fondatore Bill, così come non c'è un Jobs junior alla guida di Apple dopo la scomparsa di Steve. Per essere sicuri di non affidare l'azienda in mani sbagliate, i più iconici capitalisti americani diseredano i figli alla nascita. Mi ha sempre colpito la distanza con i nostri capitalisti: parlano di meritocrazia ai convegni della Confindustria, poi guardi i loro cognomi e le loro storie, molti sono rampolli ereditari, figli di papà o nipoti del nonno fondatore.
L'immagine pubblica di Gates è passata attraverso cicli estremi, alternando trionfi e controversie. Per me e per due o tre generazioni di occidentali, così come per tanti Baby-Boomer e Millennial cinesi indiani russi, lui era stato in gara con Steve Jobs per l'Oscar dell'imprenditore più autorevole e carismatico dell'era digitale. La mia prima traversata coast-to-coast degli Stati Uniti, nel 1979, aveva coinciso con l'avvio della primissima transizione verso un'era digitale.
All'epoca avevo appena cominciato a lavorare come giornalista del Partito comunista italiano, guidato da Enrico Berlinguer: scrivevo sul settimanale Rinascita . Quell'America aveva due facce per noi ventenni della sinistra europea: da un lato ci spalancava la visione di un'economia post industriale, una visione di modernità e integrazione, di ecologia, di rispetto delle diversità.
Gates, allora ventenne, era il pioniere di una rivoluzione tecnologica democratica: mettere un personal computer su ogni scrivania.
Oggi sembra banale e il computer è già stato sostituito da tablet e smartphone - ma allora non lo era affatto.
Poi subentrò la disillusione. Su Gates e non solo. I ragazzi rivoluzionari, una volta create delle imprese straordinariamente avanzate e competitive, si trasformavano in aspiranti monopolisti, ostacolavano la concorrenza, fino a costruire dei colossi dominanti. Erano stati hippy, figli dei fiori, o comunque idealisti e sovversivi da giovani. Per poi diventare dei Robber Baron («baroni ladri») trasferendo nell'era digitale il modello che i Rockefeller avevano incarnato nel capitalismo delle banche e del petrolio. Dopo Gates, anche Jobs con Apple, i fondatori di Google Larry Page e Sergei Brin, Mark Zuckerberg con Facebook, avrebbero vissuto la stessa metamorfosi.
Gates fu il primo in ordine cronologico, come dimostrò la causa antitrust lanciata contro Microsoft da Mario Monti commissario europeo.
Nel nostro incontro di un decennio fa Gates si era messo alle spalle la prima battaglia antitrust contro Bruxelles. Era impegnato in una sua transizione personale: una dopo l'altra abbandonava le cariche societarie, nella Microsoft e in altre aziende, indirizzandosi verso l'impegno a tempo pieno come filantropo (la Bill & Melinda Gates Foundation divenne la sua unica attività dal 2020). Non era un percorso tranquillo. Al nuovo traguardo lo attendevano altre polemiche.
Come paladino delle campagne di vaccinazioni in Africa e in tutto il mondo, e della lotta al cambiamento climatico, Bill si è attirato sospetti e accuse, in particolare dal mondo della destra sovranista. Almeno quanto George Soros - altro miliardario filantropo e progressista - Gates è diventato protagonista designato delle teorie del complotto. Lo si è accusato di esercitare uno strapotere nel business dei vaccini, tema che ha acquistato una visibilità enorme durante la pandemia. È diventato il globalista per antonomasia, grande capo di tutte le cospirazioni ordite da un'élite finanziaria onnipotente, un establishment determinato a calpestare gli interessi dei popoli.
Poi c'è stato il divorzio da Melinda French. Dopo 27 anni di matrimonio e 34 anni vissuti insieme, la separazione ebbe inizio in modo soft, consensuale e amichevole. Fino a quando la stampa americana rivelò che la causa scatenante era l'amicizia passata di Bill con Jeffrey Epstein, condannato per stupri e pedofilia, morto suicida in carcere.
Un'altra discesa agli inferi per Gates.
Più di recente, un riscatto è venuto sul fronte geopolitico: Microsoft è stata applaudita per il ruolo determinante che svolge nel difendere l'Ucraina dai cyber-attacchi della Russia. Un esperto come Ian Bremmer ha stilato questa classifica peculiare delle potenze che aiutano di più la resistenza di Kiev: al primo posto gli Stati Uniti, al secondo l'Inghilterra, al terzo Microsoft, al quarto la Polonia. Può aver pesato l'eredità dell'atteggiamento «filo-governativo» di Gates su molti dossier del passato, e fors' anche un suo ruolo personale dietro le quinte.
Una rivincita di fatto se la prende anche contro i no-vax, in questi giorni in cui l'Occidente segue con apprensione l'arrivo di viaggiatori cinesi, positivi al Covid, vaccinati poco e male. Le accuse contro il Grande Vecchio che trama per vaccinare l'intero pianeta forse appaiono finalmente assurde?
X vale meno della metà di Twitter: da 44 a 19 miliardi in un anno di Musk. Storia di Francesco Bertolino su Il Corriere della Sera martedì 31 ottobre 2023.
X vale meno della metà di Twitter. Il social network ha distribuito azioni ai dipendenti a un prezzo di 45 dollari, il che implica una valutazione di 19 miliardi per la piattaforma. E pensare che solo un anno fa Elon Musk aveva riconosciuto una valutazione di 44 miliardi all’ex Twitter, poi ribattezzata X al termine di una rocambolesca scalata finanziaria.
I problemi dell’ex Twitter
Non si può dire che sinora l’operazione Twitter sia stata un successo per Musk, perlomeno dal punto di vista economico. L’aumento dei tassi d’interesse ha fatto esplodere il costo del debito utilizzato dall’imprenditore per conquistare Twitter. Gli introiti da pubblicità si sono poi dimezzati, a causa non solo della riduzione del 7% degli utenti quotidiani del social, ma anche delle controverse posizioni politiche del fondatore di Tesla. Nonostante i risparmi consentiti da un drastico taglio dell’80% dell’organico, così, X prevede di chiudere l’anno ancora in negativo e di non tornare profittevole prima dell’inizio del 2024.
I rischi per le banche
Il crollo della valutazione e dei suoi ricavi potrebbe non essere un problema per Musk, che ha in Tesla la sua macchina da profitti e in X la sua tribuna personale. Rischia però di diventare un macigno per le banche che hanno finanziato la scalata con prestiti per 25 miliardi di dollari - Morgan Stanley, Bank of America, Barclays, Mufg, Bnp Paribas, Mizuho e Société Générale. E anche per gli investitori che hanno preso parte all’operazione fra cui figurano Larry Ellison, il co-fondatore della società di software Oracle, il fondo sovrano del Qatar, la cripto-borsa Binance e, in misura minore, la compagnia assicurativa italiana Unipol.
La garanzia di Tesla
A ben vedere, nel lungo termine le difficoltà finanziarie dell’ex Twitter potrebbero diventare un problema anche per Musk. Circa metà del debito contratto per l’acquisto di X è infatti garantito da azioni di Tesla: ciò significa che, in caso di mancato rimborso dei prestiti, le banche potrebbero diventare soci del costruttore elettrico, escutendo la garanzia. Un problema in più per il vulcanico imprenditore che ha tuttavia diverse frecce al suo arco: di recente, per esempio, la sua SpaceX ha raggiunto una valutazione di 150 miliardi di dollari, raccogliendo investimenti anche dalla banca italiana Intesa Sanpaolo.
Estratto dell’articolo di Pier Luigi Pisa per “la Repubblica” martedì 12 settembre 2023
[…] le parole Walter Isaacson evocano un inferno. Quello che il Ceo di Tesla e SpaceX intende vivere ogni giorno.
E che Isaacson ha visto con i suoi occhi negli ultimi due anni: «Quando ho iniziato a lavorare alla sua biografia ( Elon Musk, Mondadori), Tesla aveva evitato il fallimento ed era diventata l’azienda automobilistica con il più alto valore di mercato al mondo. SpaceX stava inviando nello Spazio il doppio dei materiali rispetto a qualsiasi altro Paese e azienda messi insieme. Musk era diventato la persona più ricca del mondo. Gli ho chiesto se aveva intenzione di gustarsi il successo e lui ha risposto di no. Quando le cose vanno bene, si sente a disagio».
Lei sembra aver capito chi è veramente Elon Musk.
«È nato per lavorare con un’intensità spaventosa e per correre rischi, spesso per puro divertimento. Questa mentalità gli consente di essere l’innovatore che lancia razzi e crea auto elettriche. Ma lo fa sembrare anche un po’ pazzo” […]».
Musk e Jobs: quanto si somigliano?
«Hanno in comune un po’ di scortesia. Quando si incontrarono per la prima volta, a una festa, Steve non si interessò a Elon e anzi lo ignorò. Tuttavia, credo che Musk fosse ispirato da Jobs: ne ammirava il senso del design».
Fino a che punto Musk può essere scontroso?
«I suoi amici e familiari usano l’espressione “Modalità Demone”. A volte Musk può essere brutale. È come Dr. Jekyll e Mr. Hyde. Può trasformarsi in un demone per un’ora e oltre. Altrettanto velocemente, dopo la sfuriata, può scherzare in modo euforico e sciocco. E ha pochi ricordi di ciò che ha fatto».
A cosa si deve questa furia improvvisa?
«Ai demoni che si trascina dalla sua infanzia. Elon Musk è nato e cresciuto in un Sudafrica violento. Lui e suo fratello andavano ai concerti contro l’apartheid: spesso, quando scendevano dal treno, si imbattevano in pozze di sangue. E poi Elon fu picchiato a scuola così tanto da finire in ospedale».
Ma le cicatrici peggiori, si legge nel suo libro, le ha lasciate il padre.
«Errol Musk era un ingegnere burbero, rimproverava Elon per essere stato pestato. Prendeva le parti dei bulli».
Che rapporto ha Elon Musk con i suoi figli?
«Li ama molto. Ma non parla più con il figlio che ha intrapreso un percorso di transizione per diventare donna. Questa situazione per lui dolorosa ha spinto Musk verso la politica di destra e il populismo, e a detestare l’ideologia progressista».
[…]
È possibile che Musk l’abbia usata per certificare la sua figura di innovatore visionario?
«So solo che è interessato alla storia, in particolare a Napoleone, e che ha letto le mie biografie. Adora le vicende di persone che ritiene epiche. E naturalmente si ritiene una di loro […] ».
Musk vive a Boca Chica, accanto allo spazioporto di SpaceX. Si accontenta di un piccolo prefabbricato.
«Elon possedeva cinque case molto grandi. Le ha vendute tutte. Non ha yacht, non ama il lusso. Non perché sia virtuoso. Il comfort e le cose piacevoli potrebbero distoglierlo dal lavoro».
[…]
Il Wsj e il New Yorker sostengono che Musk assume ketamina.
«A me ha detto che la ketamina è efficace per trattare la depressione molto più dei farmaci prescritti solitamente. Ma la ketamina non influisce sulla sua personalità. Lui è sempre stato così».
[…]
Se non fosse nato in Sudafrica, probabilmente Musk avrebbe puntato la Casa Bianca.
«E sarebbe stato un candidato orribile e un pessimo presidente. Lui ama infrangere le regole. Non è diplomatico e ama essere controverso».
Lei sta dipingendo un altro Trump.
«Sa una cosa? A Elon Musk non piace Trump».
Estratto del Prologo del libro “Elon Musk” di Walter Isaacson (Mondadori) - pubblicato da corriere.it martedì 12 settembre 2023
Il libro esce oggi, 12 settembre, ed è il risultato di due anni di conversazioni tra l'autore e lo stesso imprenditore, proprietario - tra le altre - di società come Tesla, SpaceX e Twitter. Questo brano racconta la difficile infanzia di Musk in Sud Africa. Come ha raccontato lo stesso Isaacson al New York Times: «Tutti noi abbiamo dei demoni nella testa che derivano dall'infanzia, e lui ne ha due ordini di grandezza in più rispetto alla maggior parte di noi. È stato in grado di trasformare questi demoni in un motore.
"Devo fare in modo che gli esseri umani arrivino su Marte, devo portarci nell'era dei veicoli elettrici e devo assicurarmi che l'intelligenza artificiale sia sicura". Si tratta di tre grandi missioni che pensavo fossero solo chiacchiere, ma che lo motivano davvero. Inoltre, desidera così tanto l'eccitazione, il dramma e il rischio che, quando le cose vanno bene, non riesce a lasciar perdere o ad assaporarle. Deve rimettere sul tavolo tutte le sue fiches, il che significa che si può andare in orbita o che ci si può sciogliere».
Il Parco Giochi
Da bambino, crescendo in Sudafrica, Elon Musk conobbe la sofferenza e imparò a superarla. A dodici anni fu mandato in pullman in una colonia chiamata in afrikaans veldskool, scuola di sopravvivenza. «Era un campo paramilitare, tipo Il signore delle mosche» ricorda. I ragazzini ricevevano solo modeste razioni di acqua e cibo, ed erano autorizzati, anzi incoraggiati, a lottare per accaparrarsele.
«Bullizzare era ritenuta una virtù» dice Kimbal Musk, fratello minore di Elon. I ragazzi più grandi impararono subito a prendere a pugni i più piccoli e rubare loro le razioni. Elon, che era basso ed emotivamente impacciato, per due volte fu riempito di botte. Alla fine dimagrì di oltre quattro chili.
Al termine della prima settimana i ragazzi furono divisi in due gruppi ed esortati ad aggredirsi a vicenda. «Fu una mostruosa follia, un’esperienza scioccante» ricorda oggi Musk. Ogni due o tre anni un bambino moriva, e i capigruppo della veldskool raccontavano queste storie a mo’ di monito. «Non siate stupidi come quel coglione che è morto l’anno scorso» dicevano. «Non siate dei coglioni smidollati.»
La seconda volta che Elon andò alla veldskool, stava per compiere sedici anni. Era diventato molto più alto. In un breve arco di tempo aveva superato il metro e ottanta, era grosso come un orso e aveva anche imparato qualche mossa di judo. Così, per lui, la colonia non fu più tanto trauma: «Avevo capito che, se qualcuno mi avesse bullizzato, avrei avuto la forza di sferrargli un bel pugno sul naso, mettendo fine alle provocazioni. Mi avrebbero anche potuto massacrare di botte, ma se gli avessi tirato un gran pugno in faccia, mi avrebbero lasciato perdere.»
Il Sudafrica degli anni Ottanta era un paese violento, dove c’erano assalti con il mitra e spesso la gente moriva accoltellata. Una volta, scendendo dal treno per recarsi a un concerto contro l’apartheid, Elon e Kimbal dovettero scavalcare un cadavere e calpestare la pozza di sangue che gli si era allargata intorno. Il morto aveva ancora il coltello conficcato in testa. Per il resto della serata i due giovani, camminando, produssero un suono sinistro sul selciato con le suole delle scarpe da ginnastica intrise di sangue raggrumato.
La famiglia Musk aveva dei cani lupo addestrati ad attaccare chiunque si aggirasse con cattive intenzioni lungo il perimetro della casa. A sei anni Elon stava correndo nel vialetto d’ingresso dell’abitazione quando uno dei cani lo aggredì, dandogli un gran morso sul sedere. Al pronto soccorso, mentre il personale medico si accingeva a ricucirgli la ferita, non volle essere curato finché non gli promisero che il cane non sarebbe stato punito. «Non lo ucciderete, vero?» si raccomandò. Loro giurarono di no. Rievocando l’avvenimento, Musk fa una pausa e fissa a lungo un punto nel vuoto. «Invece lo uccisero eccome, con un colpo di pistola.»
L’esperienza più straziante fu quella scolastica. Elon rimase per molto tempo il bambino più piccolo di età e più basso di statura della classe. Stentava a cogliere le sfumature sociali. L’empatia non era una sua dote innata e non aveva né il desiderio né l’istinto di ingraziarsi gli altri. Di conseguenza, i bulli lo tormentavano, standogli alle calcagna e prendendolo a pugni. «Se non si è mai ricevuto un pugno in faccia, non si può capire quanto questa esperienza ti lasci per tutta la vita un segno indelebile» afferma.
Una mattina, all’assemblea scolastica, uno studente che giocava in modo sfrenato con un gruppo di amici andò a sbattergli contro. Elon reagì dandogli una spinta. Vi fu uno scambio di insulti. Durante la ricreazione il ragazzino e i suoi amici andarono a cercarlo e lo trovarono intento a mangiare un panino. Gli si avvicinarono da dietro, gli sferrarono un calcio in testa e lo gettarono giù da una scala di cemento. «Poi gli si sedettero sopra e lo massacrarono di botte, continuando a dargli calci in testa» racconta Kimbal, che quando il gruppo era arrivato stava seduto accanto al fratello. «Appena ebbero finito, Elon era irriconoscibile: il viso era come una palla di carne gonfia dove non si distinguevano quasi più gli occhi.» Fu portato all’ospedale e non poté andare a scuola per una settimana. A distanza di decenni, Elon sarebbe stato ancora costretto a ricorrere alla chirurgia plastica per cercare di riparare i tessuti lesi all’interno del naso.
Le ferite fisiche, però, non furono niente in confronto a quelle psicologiche infertegli dal padre, Errol Musk, un ingegnere visionario dalla forte personalità e dai comportamenti discutibili che ancora oggi è fonte di tormento per Elon. Dopo l’aggressione a scuola, Errol si schierò con il ragazzo che aveva preso a pugni in faccia suo figlio. «Aveva appena perso il padre, che si era suicidato, ed Elon gli aveva dato dello stupido» spiega. «Elon tendeva a dare dello stupido a tutti. Come potrei mai biasimare quel bambino?» Quando finalmente il figlio tornò dall’ospedale, suo padre lo sgridò. «Per un’ora mi toccò sopportare che mi urlasse addosso che ero un idiota e non valevo niente» ricorda oggi Musk. Kimbal, che assistette all’invettiva, confessa che è il peggior ricordo della sua vita. «Mio padre perse il controllo e, come accadeva spesso, diede fuori di matto. Era un uomo del tutto privo di compassione.»
Secondo sia Elon sia Kimbal, che hanno troncato i rapporti con il padre, l’accusa di Errol secondo cui sarebbe stato suo figlio a provocare la scazzottata era del tutto assurda e l’aggressore alla fine fu mandato in riformatorio. I due fratelli concordano nel definire il padre una persona volubile e bugiarda, che racconta continuamente storie infarcite di particolari inventati, dettati a volte dal calcolo, altre dal puro delirio. Ha una personalità alla Jekyll e Hyde, aggiungono. Se in certi momenti mostrava un atteggiamento amichevole, in altri vomitava per un’ora o più un fiume di insulti. Terminava ogni filippica dicendo a Elon che faceva pena. E lui era costretto a starsene lì in piedi a sorbirsi la ramanzina, senza potersene andare. «Era una tortura psicologica» dice, facendo una lunga pausa per dominare un lieve groppo in gola. «Aveva la rara facoltà di rendere terribile qualsiasi cosa.»
Quando telefonai per la prima volta a Errol, mi parlò per quasi tre ore. Poi, nei successivi due anni, continuò a chiamarmi regolarmente e a inviarmi messaggi. Sembrava ansioso di descrivere le cose belle che aveva offerto ai figli nei periodi in cui la sua società andava bene, e mi mandò foto a corredo. A un certo punto della vita aveva viaggiato in Rolls-Royce, costruito un capanno nel bosco con i suoi figli e ricavato smeraldi grezzi da una miniera nello Zambia in cui aveva una partecipazione, prima che la sua azienda fallisse.
Ammette, tuttavia, di avere incoraggiato la durezza sotto il profilo sia fisico sia emozionale. «In confronto alle esperienze che [i miei figli] avevano avuto con me, i corsi di sopravvivenza erano una passeggiata» dice, aggiungendo che in Sudafrica la violenza era parte integrante dell’esperienza di apprendimento. «Era più che normale che due ti tenessero fermo mentre un terzo ti picchiava in faccia con un bastone o roba del genere. I bambini che facevano per la prima volta il loro ingresso in una nuova scuola erano costretti ad azzuffarsi con il delinquente dell’istituto.» Dichiara con orgoglio di avere sottoposto i suoi figli a «una disciplina assai severa» per tutto quanto riguardava il cavarsela da soli in queste situazioni. Si premura di aggiungere che «in seguito Elon avrebbe applicato la stessa disciplina severa a se stesso e agli altri».
«Le avversità mi hanno forgiato»
«Qualcuno una volta ha detto che ogni uomo cerca o di essere all’altezza delle aspettative paterne o di rimediare agli errori di suo padre, e credo che questo possa spiegare la mia particolare malattia» ha scritto Barack Obama nelle sue memorie, intendendo con «malattia» la sua ambizione. Nel caso di Elon Musk, l’influenza del padre sulla sua psiche sarebbe durata a lungo, nonostante i molti tentativi di escluderlo sia fisicamente sia psicologicamente dalla propria vita. L’umore di Elon passa ciclicamente dalla luce alle tenebre, dal melodramma alla stravaganza, dalla freddezza all’emotività, con saltuari tuffi in quella che le persone intorno a lui temono di più, la «modalità diabolica». Diversamente da suo padre, si è dimostrato affettuoso con i propri figli, ma sotto altri profili il suo comportamento ha lasciato più volte intravedere un rischio sotterraneo che andava costantemente neutralizzato: quello, come osserva sua madre, «che possa diventare uguale a suo padre». È questo uno dei tropi più suggestivi della mitologia. In che misura l’epica ricerca di Luke Skywalker, l’eroe di Guerre stellari, comporta anche il bisogno di esorcizzare i demoni che sono retaggio di Darth Vader e di misurarsi con il lato oscuro della Forza?
«Con un’infanzia come quella che ha avuto lui in Sudafrica, credo che in un certo modo sia quasi una necessità blindarsi emotivamente» osserva la sua prima moglie Justine, madre di cinque dei suoi dieci figli. «Se tuo padre ti ripete in continuazione che sei un cretino e un idiota, forse l’unica reazione possibile è di reprimere dentro di te qualunque cosa rischi di aprire le porte a una dimensione emozionale che non hai gli strumenti per affrontare.» Questa valvola di chiusura affettiva lo ha reso spesso insensibile, ma lo ha anche trasformato in un innovatore disposto a rischiare. «Ha imparato a escludere dai suoi orizzonti la paura» dice Justine. «Se metti a tacere la paura, forse devi mettere a tacere anche altre cose, come la gioia e l’empatia.»
Il disagio vissuto nell’infanzia ha inoltre istillato in lui una sorta di avversione al piacere. «Credo che non sappia assolutamente assaporare il successo e godersi il profumo di un fiore» dice la musicista Claire Boucher, che è nota con il nome d’arte di Grimes ed è la madre di tre degli altri figli di Musk. «Penso che i condizionamenti dell’infanzia lo abbiano indotto a considerare la vita sofferenza.» Musk è d’accordo. «Le avversità mi hanno forgiato» conferma. «La mia soglia del dolore è diventata molto alta.»
Nel 2008, quando i primi tre lanci dei razzi progettati da SpaceX erano finiti con un’esplosione e la Tesla stava per fallire, Musk attraversò un periodo difficile. Si svegliava agitando le mani e raccontava a Talulah Riley, che sarebbe diventata la sua seconda moglie, le cose orribili che suo padre gli aveva detto in passato. «Ho sentito con le mie orecchie pronunciare lui stesso quelle frasi» osserva la Riley. «Hanno avuto un effetto profondo sulla psicologia di Elon.» Quando gli tornavano in mente quei ricordi, Musk si estraniava, e sembrava sparire dietro i suoi occhi color acciaio. «Trattandosi di cose che relegava all’infanzia, credo non si rendesse conto di quanto quell’esperienza influisse ancora su di lui» riflette Riley. «Ma Elon ha mantenuto un lato infantile, come non fosse mai cresciuto. Dentro l’uomo c’è ancora il bambino, un bambino costretto a stare in piedi davanti a suo padre.»
Questa congerie di elementi ha creato intorno a lui un’aura che a volte lo fa apparire come un alieno: sembra quasi che la missione su Marte esprima la sua aspirazione a tornare sul pianeta d’origine e che il suo desiderio di costruire robot umanoidi sia in fondo una ricerca di creature affini. Non ci stupiremmo troppo se si strappasse la camicia e scoprissimo, dall’assenza di ombelico, che non è nato su questo pianeta. Ma le difficoltà dell’infanzia lo hanno anche reso del tutto umano, un bambino duro e tuttavia vulnerabile, che ha deciso di imbarcarsi in imprese epiche.
Si coglie in lui una passione che maschera la stravaganza, e una stravaganza che maschera la passione. Vagamente a disagio nel suo stesso corpo, come capita a uomini grandi e grossi che non sono mai stati atleti, cammina con il passo di un orso che abbia un preciso obiettivo in testa e balla gighe che paiono essergli state insegnate da un robot. L’ho sentito parlare con la convinzione di un profeta della necessità di alimentare la fiamma della coscienza umana, decifrare l’universo e salvare il pianeta.
All’inizio ho avuto soprattutto l’impressione che recitasse una parte e che i suoi fossero i tipici discorsi motivazionali e le classiche chiacchiere da podcast di un uomo-bambino che aveva letto troppe volte la Guida galattica per gli autostoppisti. Ma, incontrandolo molte altre volte, mi sono convinto che il senso di una missione da compiere sia parte integrante delle sue motivazioni. Mentre altri imprenditori hanno maturato a poco a poco una visione del mondo, lui ha maturato una visione del cosmo. [...]
Estratto dell'articolo di leggo.it domenica 10 settembre 2023.
Elon Musk ha 11 figli. Il magnate di Space X, Tesla e X, infatti, ha in segreto un terzo figlio con la cantante canadese Grimes, pseudonimo di Claire Elise Boucher, chiamato Techno Mechanicus. A rivelarlo è una recensione esclusiva del New York Times sul libro autobiografico in uscita di Elon Musk.
L'amore tra Elon Musk e Grimes
Elon Musk, 52 anni, e Grimes, 35, hanno già altri due figli: la figlia di un anno Exa Dark Sideræl, soprannominata "Y", e il figlio di tre anni X Æ A-12. I due si erano iniziati a frequentare nel maggio del 2018. [...]
La coppia ha avuto il primo figlio, X, due anni dopo, nel maggio 2020.
Il miliardario e la cantante canadese hanno poi dato il benvenuto a Exa Dark Sideræl nel dicembre 2021. Si sono lasciati solo pochi mesi dopo la nascita della figlia.
[...] Grimes e Musk, di recente, sono stati avvistati a Portofino a luglio. [...]
All'inizio di questa settimana, però, i rapporti tra i due sembrano essersi nuovamente incrinati. Grimes, via X con un tweet subito cancellato, aveva implorato Musk di vedere suo figlio. «Elon fammi vedere mio figlio o per favore rispondi al mio avvocato», aveva scritto sul social dell'ex.
Quanti figli ha Elon Musk
Il proprietario di X, quindi, ha 11 figli con tre diverse donne. Musk con la prima moglie Justin Wilson ha avuto un figlio, Nevada, morto dopo sole dieci settimane a causa della sindrome della morte improvvisa infantile (SIDS). Wilson e Musk nel 2004 hanno avuto due gemelli, Griffin e Vivian. Di recente, sua figlia Vivian Jenna, ha annunciato di essere transgender e di non voler avere alcun rapporto col padre.
Nel gennaio 2006, Musk e Wilson hanno avuto tre gemelli Kai, Saxon e Damian. I due divorziarono due anni dopo. Nel novembre 2021, in segreto, poi, il miliardario ha avuto due gemelli con la direttrice delle operazioni e dei progetti speciali di Neuralink, Shivon Zilis. Questo poco prima che Grimes desse alla luce il suo secondo figlio con Musk. Al momento, indiscreazione a parte, si sa molto poco del piccolo Techno Mechanicus o di quando potrebbe essere nato.
Dinastia 'X'. Chi sono gli 11 figli di Elon Musk. Il magnate sud africano che guida uno dei colossi tecnologici a livello mondiale, ha annunciato di essere diventato padre ancora una volta. E il nome dell'ultimo arrivato in famiglia è tutto un programma. Sul percorso del patron di Space X e Tesla quattro donne: due moglie e due compagne. Redazione Web su L'Unità l'11 Settembre 2023
Prima l’annuncio di Elon Musk, poi la conferma da parte della Cnn: è nato l’undicesimo figlio, il terzo con la ex compagna Grimes, del patron di Space X. Il piccolo si chiama Tau Techno Mechanicus. Una vera e propria dinastia quella targata Musk, un numero di eredi pari a una squadra titolare di calcio, con tre madri: la prima moglie e due ex compagne. Non sono mancate le tragedie, la morte del primogenito nel 2002 e la rottura delle relazioni con la figlia Vivian Jenna che ha dichiarato di essere transgender, comunista e di non volere alcun rapporto con il papà.
Chi sono gli 11 figli di Elon Musk
Il patron di Tesla, ha avuto sei figli dalla prima moglie Justine Wilson (nati grazie alla fecondazione in vitro), due figli dalla cantante Grimes (nome d’arte di Claire Boucher) e altri due figli in segreto da Shivon Zilis. Nessun bambino è nato, invece, dalle relazioni avute con Talulah Riley (la seconda moglie) e dall’attrice Amber Heard. Il matrimonio tra Musk e Wilson (che si sono conosciuti ai tempi dell’università) è stato celebrato nel 2000. Due anni dopo è deceduto, a dieci settimane dalla nascita, il figlio Nevada Alexander. La scomparsa del piccolo pare sia stata dovuta alla ‘sindrome della morte improvvisa infantile‘.
Due moglie e due compagne
Quando nell’aprile del 2004 la coppia ha fatto ricorso alla fecondazione in vitro, sono nati i gemelli Griffin e Xavier Alexander. I due hanno attualmente 19 anni. Xavier a partire dal 2022 ha iniziato il cambiamento di genere, assumendo il nome di Vivian Jenna, prendendo il cognome della madre. Nel 2006 Musk e la moglie, sempre con la fecondazione, hanno avuto altri tre gemelli: Kai, Saxon e Damian. Oggi hanno 17 anni. Terminato il matrimonio con la Wilson, nel 2008, Mr. Tesla è diventato padre di nuovo nel 2020: lui e la compagna Grimes hanno messo al mondo il piccolo X Æ A-12, poi cambiato in X Æ A-XII.
Il significato
La modifica è stata resa necessaria dalla legge prevista in California che non permette l’introduzione di numeri indo-arabi nei nomi. Tale nome ha scatenato curiosità e polemiche. Pare che il motivo sia il seguente: si tratterebbe di un anagramma nel quale la ‘x‘ sarebbe la variabile sconosciuta, ‘Æ‘ la pronuncia elfica per ‘Ai‘ (amore e/o intelligenza artificiale), A-12 il precursore di SR-17 (l’aereo amato dalla coppia) e infine con A la coppia ha voluto rappresentare Arcangelo, la loro canzone preferita. Nel 2022 la famiglia Musk – Grimes si è allargata: è venuta al mondo Exa Darl Sideræl, detta ‘Y‘. Stesso la madre ha spiegato che, “La materia oscura è il meraviglioso mistero del nostro Universo“. Infatti, ‘Exa‘ è un termine informatico, riferito a exaFlops, il termine Dark è legato all’oscuro. Redazione Web 11 Settembre 2023
(ANSA venerdì 1 settembre 2023) - Chiamate video e audio da X. Elon Musk lancia la sua sfida ai social rivali, in primis Thread di Mark Zuckerberg, e annuncia l'ennesima novità per la sua piattaforma che sempre di più, e passo dopo passo, si muove per diventare un''app per tutto' come nei sogni del miliardario. L'annuncio arriva mentre il Dipartimento di Giustizia e la Sec indagano sull'uso da parte di Tesla di fondi della società per la realizzazione di un progetto segreto, una casa di vetro per Musk a Austin, Texas. E mentre emergono nuovi dettagli sull'acquisizione di Twitter da parte del miliardario.
A svelarli è 'Elon Musk', la biografia di Walter Isaacson di cui alcuni estratti sono stati riportati dal Wall Street Journal. Il racconto entra nel dettaglio e descrive un Musk "impulsivo e irriverente" nell'assumere decisioni così come nel guidare le sue società. Fin dall'inizio Twitter era per il patron di Tesla una modalità per realizzare il suo sogno di X.com, ma almeno nei primi tempi Musk riteneva di poter agire dall'esterno come azionista. Poi l'ipotesi di ingresso nel consiglio di amministrazione del social e infine l'acquisizione.
"Quello di cui ha bisogno è un drago sputafuoco e Parag Agrawal", che nel 2022 durante le grandi manovre del miliardario era l'amministratore delegato del Twitter, "non lo è disse", disse Musk il 31 marzo dello scorso anno. Pochi giorni passò all'azione e decise un'azione drastica, l'acquisizione perché "non c'era modo" di risollevare e rilanciare la piattaforma "come azionista con il 9%". Nel mettere insieme i fondi per l'operazione, Musk è stato contattato da Sam Bankman-Fried, l'ex numero uno della piattaforma di scambio di criptovalute Ftx. Nel maggio dello scorso anno i due si sono parlati telefonicamente ma Musk non ne è rimasto colpito.
"Parlava velocemente. Pensavo che mi facesse domande sull'accordo invece continuava a dirmi cosa stava facendo", raccontò Musk. La telefonata durata mezz'ora non produsse alcun risultato. Mentre le trattative procedevano l'antipatia di Musk per il nome Twitter e il logo dell'uccellino crescevano. "Tutti questi maledetti uccellini devono andare", disse a uno dei suoi uomini. A pochi mesi di distanza Musk è riuscito a farli volare via e a lanciare la X che insegue da decenni.
Estratto dell'articolo di Fosca Bincher per open.online.it venerdì 1 settembre 2023.
La spinta decisiva a comprare Twitter e cambiarne regole e contenuti è stata data ad Elon Musk dalla vicenda del figlio maggiore Xavier, che a 16 anni ha deciso di effettuare la transizione rompendo duramente con il padre. Lo svela Walter Isaacson nella biografia Elon Musk in uscita sul mercato americano il prossimo 12 settembre, edita da Simon & Schuster.
[…]
Non è stato il cambio di genere del figlio ad avere turbato particolarmente Musk. Ma il figlio trasformato in Vivian è diventato marxista, interrompendo ogni rapporto con il padre. È lo stesso Elon a raccontarlo al suo biografo: «È andata oltre il socialismo, diventando una comunista a tutti gli effetti e pensando che chiunque sia ricco sia malvagio», racconta.
E Isaacson annota: «La rottura lo ha addolorato più di ogni altra cosa nella sua vita dopo la morte infantile del suo primogenito Nevada (…) In parte ha attribuito la colpa all’ideologia che Vivian ha assimilato alla Crossroads, la scuola progressista che ha frequentato a Los Angeles. Twitter, secondo lui, era stato infettato da una mentalità simile che reprimeva le voci di destra e anti-establishment». Così Musk decise: «Twitter ha bisogno di un drago sputafuoco».
E il 31 marzo 2022 invitò in segreto a cena il CEO di Twitter, Parag Agrawal, insieme al presidente della società, Bret Taylor facendo il primo passo verso quella acquisizione. I due lo invitarono ad entrare nel cda della società, ed Elon accettò. Ma poi confidò ai suoi amici cofondatori di PayPal che lo avevano seguito in Tesla che i manager di Twitter non gli erano piaciuti per nulla: erano simpatici, sì.
Ma un Ceo non deve essere simpatico. Ne uscì un giudizio tagliente anche sui dipendenti di Twitter: «È chiaro che i detenuti stanno gestendo un manicomio». Agli amici spiegò poi che con Twitter avrebbe potuto realizzare il progetto che aveva immaginato per PayPal, con il nome che allora aveva pensato per la società: “X.com”: una piattaforma di pagamenti in cui si può discutere senza censure e in piena libertà.
Qualche giorno dopo Musk è volato a Lanai, l’isola hawaiana di Larry Elison per riflettere sulla acquisizione. […] alle 3:32 del mattino, ora delle Hawaii, ha pubblicato un tweet: “La maggior parte di questi account ‘top’ twitta raramente e pubblica pochi contenuti. Twitter sta morendo?”. Novanta minuti dopo, il CEO di Twitter Agrawal ha inviato a Musk un messaggio di testo: “Sei libero di twittare ‘Twitter sta morendo?’ o qualsiasi altra cosa su Twitter, ma è mia responsabilità dirti che non mi aiuta a migliorare Twitter nel contesto attuale”. […] Musk […] Ha risposto in modo sprezzante: “Cosa hai fatto questa settimana?”. È stata l’ultima stroncatura di Musk».
Sabato 9 aprile Musk è volato a Vancouver per incontrare la fidanzata Claire Boucher, una artista performativa che aveva come nome d’arte Grimes. Doveva presentare il figlio avuto da lei “X” (è il suo nome) a nonni e bisnonni. Ma non ci è andato, «era sotto stress». […] ha fatto un tweet, il più famoso di questa vicenda: «Ho fatto un’offerta».
[…]
Dopo avere conosciuto meglio la società, Elon si è convinto di non potere pagare i 44 miliardi dollari promessi per Twitter, sostenendo che i venditori avevano barato sugli utenti reali. «I suoi avvocati lo hanno infine convinto che avrebbe perso la causa se l’avessero portata in tribunale. Era meglio chiudere l’accordo alle condizioni originali. A quel punto Musk aveva persino ritrovato un po’ di entusiasmo nel voler rilevare l’azienda.
“Probabilmente dovrei pagare il prezzo pieno, perché queste persone che gestiscono Twitter sono delle teste di legno e degli idioti’” mi ha detto a fine settembre. “Il potenziale è così grande. Ci sono così tante cose che potrei sistemare”. Ha accettato di chiudere ufficialmente l’affare in ottobre. Dicendo però: “Tutti questi dannati uccelli devono andarsene”».
[…]
Estratti della biografia "Elon Musk" di Walter Isaacson che uscirà il 12 settembre per Simon & Schuster, pubblicati dal “Wall Street Journal”, e da “La Stampa” venerdì 1 settembre 2023.
Nell'aprile 2022 le cose stavano andando bene per Elon Musk. Il valore delle azioni Tesla si era moltiplicato di 15 volte in 5 anni. Nel primo trimestre dell'anno, SpaceX aveva lanciato in orbita quanto tutte le altre società e gli altri Paesi messi insieme. I satelliti Starlink erano riusciti a creare una sorta di Internet privato, fornendo connessione a mezzo milione di utenti sparsi in 40 Paesi, Ucraina inclusa. Sembrava un anno fantastico, insomma. Se solo Musk non avesse fatto niente...
Ma non fare niente non fa parte della sua natura. Shivon Zilis, che dirige Neuralink (l'azienda di Musk che progetta neurotecnologie come interfaccia tra computer e cervello da impiantare), è la madre di due suoi figli e all'inizio di aprile si è accorta che il marito stava dando prova della frenesia tipica di chi dipende dai videogiochi, vince, eppure non riesce a smettere di giocare. «Non devi per forza sentirti sempre in guerra», gli disse. «O forse ti senti più a tuo agio quando ti trovi in guerra?». «Fa parte delle mie impostazioni predefinite», risposte lui.
Quel periodo di successi ininterrotti ha coinciso, fatidicamente, con una fase in cui alcune stock option gli hanno messo a disposizione 10 miliardi di dollari. «Non volevo lasciarli in banca, e così mi sono chiesto di quale prodotto mi sarebbe piaciuto occuparmi». La risposta è stata Twitter. A partire da gennaio, Musk aveva comunicato in modo riservato al suo business manager di iniziare ad acquistarne le azioni.
Il modo con il quale Musk si è avventato sulle azioni di Twitter e la sua decisione di ribattezzarlo X la dicono lunga su come gestisce le sue aziende: in modo impulsivo. Per lui, in fondo, è un gioco che non riesce a interrompere. La situazione richiama alla mente molto di ciò che si vive nel cortile di una scuola: provocazioni e bullismo. Nel caso di Twitter, però, chi è in gamba si aggiudica follower, non viene spinto giù dalle scale e non viene picchiato, come accadde a Musk da bambino. Possedere Twitter gli permette di essere il re incontrastato del cortile di scuola.
Quando ha iniziato a comperare azioni Twitter, Musk ha pensato che quel nome fosse troppo di nicchia. Ad aprile mi ha detto che avrebbe potuto trasformare «Twitter in quello che avrebbe dovuto essere X.com» salvando «la libertà di parola: la civiltà non diventerà mai multi-planetaria, a meno di fermare il virus Woke Mind», mi ha detto. Quel nuovo ingrediente andava ad aggiungersi all'insieme delle sue caratteristiche: Musk nutriva una preoccupazione crescente per i pericoli di quello che ha denominato il Woke Mind Virus, che a suo dire stava infettando l'America.
Le sue opinioni anti-woke sono state innescate in parte dalla decisione del suo primogenito di effettuare una transizione di genere e in parte dall'ideologia che secondo lui prevale nelle scuole di Los Angeles. Secondo Musk, Twitter era contagiata da una mentalità dello stesso tipo: quella che calpesta la destra e le voci anti-establishment.
Musk pensava che per la democrazia sarebbe stato meglio se Twitter avesse smesso di cercare di porre limiti a quello che gli utenti possono esprimere. «Forse si dovrebbe dare maggiore libertà ai tweet, e lo si potrebbe fare con un algoritmo open-source su GitHub». Tra le altre idee di Musk c'era quella di «far pagare agli utenti una cifra modesta, per esempio due dollari al mese, per avere la spunta blu».
Durante quella che avrebbe dovuto essere una vacanza alle Hawaii, invece di rilassarsi Musk ha trascorso quattro giorni a riflettere su cosa fare di Twitter. Consultando un elenco di utenti con un gran numero di follower, si è accorto che molti non erano più attivi sulla piattaforma e alle tre e mezza di notte ha postato questo tweet: «La maggior parte di questi account "top" twitta di rado e posta pochi contenuti. Twitter sta morendo?».
Quando ha comunicato di non voler entrare nel cda da azionista, ha detto: «Si tratta di una perdita di tempo. Farò un'offerta per acquistare Twitter». Musk dice che, quando era alle Hawaii, ha capito che entrare nel cda di Twitter, come gli era stato proposto, non gli avrebbe permesso di trasformare la piattaforma in X.com. Ma c'è di più: Musk per abitudine agisce d'impeto. Le sue idee cambiano rapidissimamente.
Dopo aver preso un volo per Vancouver, Musk ha comunicato che «dopo aver riflettuto per giorni ho deciso di procedere all'acquisto di Twitter». Poi, dopo aver trascorso una notte intera giocando a "Elden Ring", un videogioco che richiede molta concentrazione, alle 5.30 ha scritto il seguente tweet: «Ho fatto un'offerta».
A quel punto, Musk ha deciso di cercare investitori che lo aiutassero a finanziare l'acquisto di Twitter. Nel giro di poco è riuscito a trovare i capitali necessari e alla fine di aprile il cda di Twitter ha accettato il suo piano. Invece di festeggiare, quella sera Musk ha preso un aereo per il Texas, dove si trova la sua rampa di lancio Starbase. Lì ha partecipato a un meeting notturno per trovare il modo di riconfigurare il motore Raptor. Per più di un'ora ha discusso di come porre rimedio alle inspiegabili perdite di metano del motore. In tutto il mondo la notizia più scottante era l'acquisto di Twitter, non si faceva altro che parlare di questo. Ma a SpaceX tutti gli ingegneri e Musk sono rimasti concentrati su altro.
Tra il primo accordo per l'acquisto e la chiusura dello stesso, l'umore di Musk è cambiato più volte e drasticamente. Una notte, alle 3.30, mi ha scritto: «Sono entusiasta di poter finalmente creare X.com come avrebbe dovuto essere fin dal principio, usando Twitter come acceleratore e aiutando al contempo la democrazia».
Pochi giorni dopo, invece, è apparso più cupo: «Dovrò vivere nella sede centrale di Twitter. La situazione è seria. C'è moltissimo da fare. Non riesco a dormire». Gli erano venuti dubbi sul fatto di intraprendere una sfida così complessa. «Ho l'abitudine di addentare più di quello che mi potrei permettere di digerire», mi ha confidato.
Le rivelazioni di un informatore, nel frattempo, hanno rafforzato in lui la convinzione che Twitter mentisse sul numero di utenti reali e che la sua offerta originaria di 44 miliardi di dollari fosse sproporzionata. Voleva cambiare i termini dell'accordo. Per tutto il mese di settembre ha chiamato i suoi avvocati tre o quattro volte al giorno. Spesso era aggressivo. Alla fine, i suoi legali lo hanno convinto: era meglio chiudere l'accordo secondo quanto aveva già pattuito. A quel punto Musk ha ritrovato parte del suo entusiasmo iniziale. «Quelli che dirigono Twitter sono degli idioti», mi ha detto alla fine di settembre. «Il potenziale di Twitter è enorme. Ci sono molte cose che potrei migliorare». A ottobre l'accordo è stato chiuso ufficialmente.
Musk ha fissato un sopralluogo nel quartiere generale di Twitter a San Francisco il 26 ottobre, ed è rimasto colpito aggirandosi nella sede di dieci piani di un edificio Art Deco costruito nel 1937 e ristrutturato in stile tech-hip con bar, palestre, sale yoga e sale giochi. Nella caffetteria del nono piano ha visto servire pasti gratuiti con hamburger e piatti vegani. Sulle porte dei bagni ha visto affisso il cartello "La diversità di genere è benvenuta", e in magazzino ha trovato vari prodotti con il marchio Twitter, tra cui una maglietta con la scritta "Stay woke", che ha mostrato a riprova del fatto che l'azienda era contagiata da quella mentalità.
Tra Twitterland e Muskverse c'era una incompatibilità totale di opinioni. Twitter si vantava di essere un luogo accogliente e cordiale, dove coccolare le persone è considerata una virtù. «Da noi si dava peso all'inclusione e alla diversità», ha detto Leslie Berland, chief marketing fino a quando non è stata licenziata da Musk. Twitter aveva istituito la possibilità per tutti di lavorare da casa permanentemente e permetteva un «giorno di riposo mentale» ogni mese. Una delle parole d'ordine più comuni era «serenità mentale».
Quando ha sentito l'espressione «serenità mentale», Musk è scoppiato a ridere. Per lui si tratta di qualcosa che ostacola il progresso. La sua parola d'ordine preferita è «hardcore», «ostinazione». «Vacanze», «equilibrio vita-lavoro» e «giorno di riposo mentale» sono termini che non rientrano nel suo vocabolario.
Durante la sua visita, Musk ha guardato prima divertito e poi infastidito l'iconico logo dell'uccellino blu di Twitter. Musk non è una persona cinguettante. Preferisce tutto ciò che è cupo e burrascoso. «Tutti questi fottuti uccellini devono sparire», ha detto.
Estratto dell'articolo di Claudia De Lillo per “la Repubblica - Affari & Finanza” l'11 giugno 2023.
Intorno ai sei anni pensava di essere pazzo. «Mi fu chiaro che la mente delle altre persone non scoppiava di idee come la mia». Elon Musk non era come gli altri bambini. E non lo è neppure oggi, a cinquant'anni. «Non credo sia auspicabile essere come me: non è piacevole. È molto difficile spegnermi. È come un'esplosione infinita».
L'uomo più ricco del mondo è nato a Pretoria, da Errol Musk, ingegnere e imprenditore sudafricano, e da Maye Haldeman Musk, canadese, top model e paradigma di bellezza ancora oggi a 74 anni, nonché affermata nutrizionista.
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Talento precoce, a 12 anni creò un videogioco e riuscì a venderlo per 500 dollari, a 16 lasciò il Sudafrica perché non voleva sostenere l'apartheid con il servizio militare obbligatorio ed era convinto che avrebbe avuto maggiori opportunità in Canada e negli Usa, dove si è laureato in Economia e in Fisica e si è sposato tre volte.
È co-fondatore di PayPal, il sistema di pagamenti elettronici, di Tesla che produce e vende il maggior numero di auto elettriche al mondo, di Neurolink che fa impianti cerebrali, di The Boring Co che fa tunnel per aggirare il traffico.
È convinto che, per sopravvivere, l'umanità debba diventare una specie multiplanetaria. Così, per ridurre i costi di accesso allo spazio e permettere la colonizzazione di Marte, ha creato SpaceX [...]
Affetto da sindrome di Asperger, Elon Musk è un po' guru e un po' nerd, enigmatico, spietato, freddo e apparentemente disarmato, nelle interviste piange, ride, intimidisce l'avversario, se ne fa beffe per poi aprirsi con il candore di un bambino, di un folle o di un genio. Descrive il padre come «un essere umano terribile e un uomo malvagio».
Si narra che Errol Musk chiamasse il figlio idiota. «Tornerai da me strisciando come un fallito», gli diceva. Elon ha comunque accolto il padre negli Stati Uniti, gli ha comprato una barca, delle automobili e una casa a Malibù. Tutto inutile: pare che i due non si parlino.
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Ai suoi oltre 90 milioni di follower annuncia decisioni epocali e facezie estemporanee («La luce del sole è il miglior disinfettante»), fa dichiarazioni programmatiche («Twitter sarà sempre gratis per gli utenti occasionali ma ci potrebbe essere un piccolo costo per aziende e governi»), apodittiche («Più amore meno odio»).
Oppure lancia messaggi lugubri: «Se muoio in circostanze misteriose, è stato bello conoscervi», [...]
Dal 2018, quando aveva twittato di volersi comprare l'intero capitale di Tesla senza poi trovare i fondi, i suoi cinguettii sono controllati da una "Twitter sitter" e, per il Tribunale di New York, continueranno a esserlo [...]
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Il tesoro di Twitter risiede della sua capacità di plasmare la narrazione del mondo grazie alla presenza di leader politici, manager e celebrities. Elon Musk ne vuole fare una piazza libera e libertaria, refrattaria a ogni ingerenza, trasparente e un po' corsara.
[...]
Come padrone d'azienda, Musk non gode di gran fama. Nei primi mesi di pandemia ha costretto i lavoratori Tesla a rientrare al lavoro contro le misure sanitaria in vigore. Le sue società sono accusate di razzismo e molestie sessuali.
A SpaceX viene contestata una politica molto lassista nei confronti delle molestie. Gli organi di vigilanza della California hanno sporto denuncia per discriminazione razziale contro centinaia di lavoratori.
[...] Elon Musk, [...] ha avuto sette figli, di cui il primogenito è morto in culla a dieci settimane.
L'ultimo ha due anni e si chiama X Æ A-12, detto baby X, dove X è la variabile ignota. Ritiene che i figli siano fantastici e sostiene che bisognerebbe farne di più. Per loro vede un mondo digitale.
[...]
Traduzione dell’articolo di Perkin Amalaraj per dailymail.co.uk sabato 2 settembre 2023.
Negli ultimi anni il rapporto tra Elon Musk e la figlia transgender è stato molto teso. L'ultimo sfogo, in cui ha definito Vivian Jenna Wilson, 19 anni, una "comunista" che pensa che "chiunque sia ricco è malvagio", ha fatto pensare che il loro rapporto abbia toccato un nuovo fondo.
L'anno scorso la diciannovenne ha cambiato legalmente il suo sesso in femminile e il suo nome da "Xavier" a Vivian Jenna Wilson, e ha rivelato nei documenti del tribunale che "non vuole più essere imparentata" con Musk "in alcun modo". Sebbene il miliardario sudafricano fosse "generalmente ottimista" riguardo alla transizione della figlia, da allora l'ha criticata, definendola "comunista" e attribuendo le sue idee politiche alla costosa scuola superiore privata che ha frequentato.
Ma secondo un’anticipazione della biografia di Musk, pubblicata questa settimana dal Wall Street Journal, si sostiene che la rottura tra l'amministratore delegato di Tesla e Vivian lo abbia “addolorato più di ogni altra cosa nella sua vita dopo la morte infantile del suo primogenito Nevada", morto a sole 10 settimane per la sindrome della morte improvvisa del lattante.
Per confondere ulteriormente le cose, nel 2020 ha twittato: "Sono assolutamente favorevole ai trans, ma tutti questi pronomi sono un incubo estetico". E: "I pronomi fanno schifo". Ma chi è esattamente Vivian Jenna Wilson? MailOnline fa un'immersione nella sua vita per scoprire chi è e perché il rapporto tra lei e il padre è così teso.
Chi è Vivian Jenna Wilson, la figlia di Elon Musk?
Vivian, che alla nascita è stata chiamata Xavier, è nata con il fratello gemello, Griffin, nel 2004 in California, tre anni prima dei suoi fratelli minori, Kai, Saxon e Damian, che hanno tutti 17 anni. Tutti i figli di Musk hanno frequentato la costosissima scuola Crossroads K-12 di Santa Monica, dove la retta annuale costa fino a 50.000 dollari.
Sebbene abbia speso centinaia di migliaia di dollari per l'istruzione di lei e dei suoi fratelli, i due non sono vicini, e i messaggi di testo rivelano che lei ha cercato di nascondere la sua vera identità di genere al padre per diversi anni. Inoltre, lui ha pubblicamente criticato lei e le sue idee politiche, sostenendo che lei crede che tutte le persone ricche siano malvagie.
Perché Vivian Jenna Wilson ha cambiato nome?
Vivian, che alla nascita si chiamava Xavier, ha adottato ufficialmente il cognome da nubile della madre Justine all'età di 18 anni nel 2022, secondo quanto riportato dai documenti del tribunale. Ha presentato una petizione per cambiare sia il suo nome che il suo sesso legale e ha dichiarato di "non voler più essere legata" al padre "in alcun modo".
Un giudice di Santa Monica ha rilasciato un nuovo certificato di nascita che rifletteva il suo nome e il suo sesso, mentre la sentenza diceva semplicemente: Xavier Alexander Musk a Vivian Jenna Wilson. Il sesso del firmatario è cambiato da maschio a femmina". Vivian ha presentato la petizione solo tre giorni dopo il suo 18° compleanno, anche se i documenti del tribunale sono stati resi pubblici solo il giorno dopo la festa del papà. In un tweet la sera in cui la petizione della figlia è stata accolta, la madre Justine ha dichiarato: "Ho avuto un'infanzia strana", mi ha detto la mia diciottenne".
“Non riesco a credere di essere così normale". Ho detto: "Sono molto orgogliosa di te". Sono orgogliosa di me stesso!". Nel frattempo, nel giorno della festa del papà, Musk ha twittato, prima della rivelazione dei suoi documenti: "Voglio tanto bene a tutti i miei figli". Donna riservata, non è stata avvistata in pubblico fino a diversi mesi dopo la concessione della petizione.
È stata vista durante un breve giro di shopping a Santa Monica, indossando una maglietta marrone con un motivo giallo, pantaloni neri e un paio di scarpe da ginnastica. Indossava una maschera facciale e aveva i lunghi capelli biondi sciolti.
Perché Elon Musk ha dato della comunista a Vivian Jenna Wilson?
Elon Musk l'ha spedita in una costosissima scuola K-12 di Santa Monica chiamata Crossroads, che costa ai genitori 50.000 dollari all'anno. Lui ha in parte incolpato la sua educazione nella scuola progressista californiana come la ragione delle sue idee politiche, dicendo al suo biografo: "È andata oltre il socialismo, diventando una comunista a tutti gli effetti e pensando che chiunque sia ricco sia malvagio".
Ha anche incolpato i college "neo-marxisti" per la frattura tra lui e Vivian, dicendo una volta al Financial Times, nel 2022, che lei si rifiutava di far parte della sua vita a causa della presunta acquisizione delle istituzioni d'élite da parte di accademici di sinistra.
Qual è il rapporto tra Elon Musk e Vivian Jenna Wilson?
Sebbene non abbia parlato molto sul suo rapporto con la figlia, ciò che ha detto dipinge un quadro doloroso di allontanamento. Secondo quanto riferito, Vivian si è dichiarata transgender via sms alla zia quando aveva 16 anni, ma l'ha implorata di tenere nascosta la sua identità di genere al padre: "Ehi, sono transgender e ora mi chiamo Jenna. Non dirlo a mio padre".
Nel corso di un'intervista rilasciata al FT nel 2020, Musk ha dichiarato che mentre il suo rapporto con la figlia "potrebbe cambiare... ho ottimi rapporti con tutti gli altri [figli]". Non si possono conquistare tutti", ha aggiunto. Più recentemente, ha dichiarato al suo biografo che i suoi tentativi di conquistarla non hanno avuto successo. “Le ho fatto molte avances, ma lei non vuole passare del tempo con me", ha detto.
Estratto dell’articolo di Paolo Mastrolilli per “la Repubblica” il 6 giugno 2023.
Elon Musk torna al centro della bufera politica, stavolta per un documentario contro il cambio di sesso fra i transgender. Una nuova polemica che dimostra come il proprietario di Twitter sia ormai diventato un agente della propaganda conservatrice […].
Il documentario si intitola “What is a Woman” ed è stato girato un anno fa da Matt Walsh, commentatore e attivista di destra, che collabora in particolare col sito The Daily Wire . Denuncia l’abuso da parte della sinistra delle politiche a sostegno dei transgender, puntando il dito soprattutto sui minorenni che vengono spinti a cambiare sesso […].
Walsh si schiera nella “guerra culturale” contro le tendenze “woke”, che è al cuore del programma politico con cui i repubblicani, e in particolare il governatore della Florida De-Santis, sperano di riconquistare la Casa Bianca. Infatti va anche oltre il tema dei trans, quando nell’ultima scena del documentario chiede a sua moglie cosa sia una donna. Lei sta preparando un panino in cucina, e gli risponde così: «Un essere umano adulto femminile, che ha bisogno di aiuto per aprire questo». Quindi porge al marito un barattolo, che Matt apre felice e soddisfatto.
Il messaggio dunque […] si allarga in generale al ruolo delle donne della nostra società, che a quanto si capisce dal sorriso di Walsh è cucinare e chiedere aiuto ai maschi per le attività che il sesso debole non è in grado di compiere.
Il documentario doveva essere rilanciato il primo giugno su Twitter, ma poco dopo i responsabili della sicurezza sulla piattaforma ne hanno limitato la visione, aggiungendo un tag che lo descriveva come “hateful conduct” perché promuoveva il “misgendering”, ossia la pratica di rifiutare o denigrare le persone per il modo in cui si identificano come genere.
Jeremy Boreing, direttore del Daily Wire , si è lamentato pubblicamente con Musk, che poco dopo è intervenuto. All’inizio ha detto che si era trattato di un errore: «Che tu sia d’accordo o meno ad usare il pronome preferito da una persona, non farlo può essere al massimo maleducato, ma non viola alcuna legge».
Elon aveva aggiunto che lui lo fa, per rispetto delle buone maniere, ma «per la stessa ragione, mi oppongo all’ostracismo o le minacce violente se viene usato il pronome sbagliato ». […] Poi però […] è andato oltre, rilanciando il tweet del documentario e incoraggiando «ogni genitore a guardarlo».
Perché «gli adulti consenzienti dovrebbero poter fare qualsiasi cosa li renda felici, purché non facciano del male agli altri, ma un bambino non è capace del consenso, che è il motivo per cui abbiamo leggi per proteggere i minorenni ». Subito si è scatenata la polemica social, a favore o contro, ma il punto va oltre il legittimo dibattito sul tema del documentario.
Questa nuova uscita infatti conferma come il proprietario di Tesla, Space X, Neuralink, Starlink e ora anche Twitter, nonché uomo più ricco al mondo, sia diventato un operativo politico del campo conservatore.
Ha detto che voterà repubblicano; ha ospitato il lancio della candidatura presidenziale di De-Santis […]; consentirà a Tucker Carlson, anchorman cacciato dalla Fox, di resuscitare la propria carriera sul social […]
L'ascesa di Esther Crawford a Twitter: dalla foto mentre dorme in ufficio a collaboratrice stretta di Elon Musk. Michela Rovelli su Il Corriere della Sera il 25 Gennaio 2023.
La donna aveva condiviso a novembre una foto che la ritraeva in sacco a pelo mentre dormiva per terra nel suo ufficio. Oggi è tra i nuovi leader di Twitter, responsabile del lancio della piattaforma per i pagamenti sul social
Di lei si era già parlato quando aveva condiviso una foto che la ritraeva avvolta in un sacco a pelo mentre dormiva sul pavimento del suo ufficio, nella sede di Twitter a San Francisco. «Quando il tuo team sta spingendo sulle lancette dell'orologio per non mancare la deadline, dormi dove lavori», aveva scritto. Era il 2 novembre: Twitter era appena stata acquisita da Elon Musk ed era al centro di un ciclone. Tra conti finanziari che non tornavano e tagli spietati al numero di dipendenti. Da quel momento Esther Crawford ha fatto carriera ed è entrata nel ristrettissimo gruppo di leader della nuova vita del social network.
È il Financial Times a dedicare un articolo alla donna 39enne, che oggi può vantare la carica di Director of Product Managament a Twitter. «Attualmente dirigo gli sforzi per diversificare le entrate dell'azienda al di là delle pubblicità», si legge sul suo sito personale. Significa che Esther Crawford è la manager - e di donne leader nell'entourage di Musk ce ne sono ben poche - che ha contribuito al lancio di Twitter Blue (l'abbonamento per ottenere la spunta blu, che certifica un profilo) e che sta seguendo l'avvio della piattaforma di pagamenti digitali sul social. Pare, secondo alcune fonti sentite dal giornale americano, che sia vicinissima a Musk e che abbia ottenuto la sua fiducia totale.
Di carriera, dall'epoca pre-Musk, ne ha fatta molta. Esther Crawford è entrata a Twitter nel 2020, quando la società ha acquisito la sua startup, Squad, una piattaforma di video-chat. Prima ancora, era una Youtuber che si occupava di metodi di perdita di peso e aveva anche ricoperto ruoli nel marketing in diverse startup della Silicon Valley. Era molto attiva anche su Twitter. Mesi fa, prima della foto in sacco a pelo diventata virale, era però solo una dipendente di medio livello che si occupava di aiutare gli influencer a guadagnare dalla propria presenza sul social. Sempre il Financial Times racconta come Esther Crawford si sia presentata al Perch, la caffetteria di Twitter, nel tentativo di incontrare Elon Musk proprio nel giorno del suo primo ingresso in azienda (ed era entrato con una mossa di grande spettacolo, munito di un lavandino). Si è presentata al nuovo proprietario e le ha subito sottoposto le sue idee su come sfruttare i pagamenti digitali sulla piattaforma e come offrire nuovi servizi ai creator. Sembra che Musk - che tra l'altro è uno di quei creator, o influencer, con i suoi oltre 127 milioni di follower - abbia ammirato molto il suo spirito d'iniziativa. Mentre altri colleghi non sono stati altrettanto colpiti: uno dei suoi capi l'avrebbe rimproverata per essersi rivolta direttamente a Musk.
Ma, alla fine, è lui a comandare. E dunque Esther Crawford, grazie alle sue idee e al suo assiduo impegno (come dimostra il pernottamento in ufficio), in pochi mesi ha fatto carriera. Diventando uno dei più importanti leader di Twitter e uno dei manager più vicini a Musk. Tanto che sarebbe stata proprio lei ad aiutarlo a gestire le tensioni con Apple (e il successivo incontro con Tim Cook per appianare le divergenze) sulla diatriba riguardante il pagamento di commissioni pari al 30 per cento sullo Store di Cupertino.
Dai colleghi, sentiti dal giornale britannico, viene descritta come «empatica e diplomatica. Compra tazze personalizzate per i membri del team. Il suo fascino, unito a una mentalità da startup, le ha fatto guadagnare la fiducia di Musk». Ci sono anche però molti dipendenti che non apprezzano la sua popolarità. C'è chi l'ha descritta come una «leccapiedi. Era una nullità che è diventata qualcuno perché era disposta a vendere l'anima per i suoi 15 minuti di fama. È disgustoso».
Il suo profilo Twitter oggi conta oltre 52 mila follower. Esther Crawford non ha commentato la sua recente celebrità sui giornali, ma sul social ha lanciato un sondaggio: «Immaginate di apparire sui media. Preferireste: che le informazioni siano accurate e che voi sembriate fantastici, ma che ci sia una vostra foto davvero terribile oppure che le informazioni siano imprecise e che voi appariate in modo negativo, ma che abbiate un aspetto fantastico nella foto? Sceglietene una: non potete averle entrambe». Nel sondaggio ha vinto la prima opzione ma, per sicurezza, sul suo sito ha creato una galleria di suoi ritratti per la stampa.
Un ritratto di Elon Musk: genio, folle o entrambe le cose? Di Aldo Grasso su Il Corriere della Sera il 25 Gennaio 2023.
Le descrizioni sono discordanti: è un visionario utopista o un miliardario spregiudicato che ci trascinerà in un mondo da incubo. Lo spiega il documentario « Elon Musk, il mondo ai miei piedi»
Tutte le volte che guardo un documentario su Elon Musk mi chiedo se sia un genio o un folle, o entrambe le cose. Le descrizioni sono discordanti: è un visionario utopista, un imprenditore che si è fatto da solo fino a creare imprese di importanza mondiale, un abile industriale che ha saputo approfittare del sistema dei finanziamenti statali, un miliardario spregiudicato che ci trascinerà in un mondo da incubo. Una cosa è certa: è l’uomo più ricco del mondo con 190 miliardi di dollari di patrimonio. Elon Musk, il mondo ai miei piedi è un docufilm prodotto da 72 Films e distribuito da Fremantle che racconta come Musk sia arrivato dal Sud Africa fino alla Silicon Valley correndo dei rischi incredibili. Una storia enigmatica, avvincente e controversa, che ripercorre i momenti chiave della sua carriera, dalle sue prime start-up tecnologiche fino a Tesla, Space X e, più recentemente, Twitter (Nove e Discovery +).
Le immagini dicono qualcosa: ha uno sguardo intimidatorio, un sorriso più sarcastico che enigmatico, un eloquio assertivo. Di sé dice: «È difficile essere come me, io non vorrei esserlo». Però non sappiamo com’è. Il racconto si sviluppa attraverso filmati d’archivio, inediti, interviste alla madre, la sua più grande fan, a familiari, a colleghi, ad amici intimi ma anche a nemici. È tra i fondatori di Paypal ma, quando decise di cambiare i server, la decisione non piacque al CdA; dopo un suo viaggio di due settimane, scoprì che era stato detronizzato con un golpe. Non è lui ad aver fondato Tesla, la casa automobilistica, ma è solo il quarto Ceo di un’azienda che ha ricevuto molti incentivi dal governo Usa. Ha fondato SpaceX che costruisce razzi per voli spaziali e nel 2020 SpaceX è diventata la prima compagnia privata a mandare degli astronauti sulla Stazione Spaziale Internazionale. Adesso il suo sogno è andare su Marte. Ci vada lui.
Gli aneddoti sul magnate americano da piccolo. Chi è la madre di Elon Musk, la modella influencer Maye: “Mio figlio da bambino era timido, da grande non ama il lusso”. Elena Del Mastro su Il Riformista il 13 Gennaio 2023
Il nome di suo figlio balza alle cronache mondiali un giorno sì e anche l’altro. Lei è Maye Haldeman Musk, la mamma di Elon Musk, l’uomo più ricco del mondo. O meglio, di quello che era l’uomo più ricco del mondo, entrato nel Guinness dei primati per la perdita di patrimonio più grande di sempre: secondo Forbes sarebbe passato da 320 miliardi di dollari nel novembre 2021 agli attuali 138. Lei, Maye, 75 anni ad aprile, resta la madre del magnate, da qualcuno considerato geniale da altri folle. Modella, influencer e dietologa, sfoggia i suoi capelli bianchissimi e un sorriso enorme.
Cresciuta in Sudafrica, adottata da Canada e Stati Uniti, ha lo stesso spirito irriverente del figlio che descrive “brillante, ma timido” da bambino. Ha raccontato la sua vita nel libro in uscita anche in Italia per Giunti dal titolo “Una donna deve avere un piano”. “Le posso assicurare che mio figlio non vive affatto nel lusso, anzi. Non possiede una casa di proprietà e abita in appartamenti modesti”, racconta intervistata dal Corriere della Sera. Racconta un inedito Elon Musk da bambino: Era “molto timido. Era un ragazzino chiuso, al mattino faticavo a tirarlo giù dal letto per farlo andare a scuola. Come potevo presagire che avrebbe avuto un simile successo?”. E racconta di quando veniva bullizzato dai compagni di scuola.
Ma non era questo il motivo per cui a scuola non ci voleva andare. “Una volta mi sono alzata all’alba e ho visto la luce accesa nella sua stanza. Mi sono accorta che aveva trascorso tutta la notte a leggere e non aveva chiuso occhio. Penso che dormisse una trentina di minuti per notte”. Ancora oggi, secondo sua mamma, il magnate non ha bisogno di tante ore di sonno. Una stranezza di suo figlio? “I geni sono capaci di inventare cose meravigliose nei loro scantinati, ma non hanno istinto di sopravvivenza”.
Chi è la compagna di Elon Musk, Grimes la musicista dalle “cicatrici aliene”: la storia del nome del figlio
E racconta di quella volta che andò a trovare il figlio e lui la fece dormire in garage. “Be’, se vai a trovare tuo figlio nella sua base spaziale (SpaceX, ndr) hai due alternative: o prendi una stanza in albergo a 45 minuti di distanza o dormi nel suo garage. Ma per me non è un problema. Quando andavo a trovare mia madre in Canada dormivo in garage”. Racconta degli esordi del figlio Elon. Lei si era da poco separata dal marito e il figlio voleva andare in Canada perché convinto che lì avrebbe avuto più possibilità. “Lo feci partire con duemila dollari in traveler’s cheque”, continua la mamma.
“Ricevette il suo primo computer a dodici anni. Imparò a usarlo e creò BLASTAR, un videogioco. Gli suggerii di inviarlo a una rivista di settore, lui lo fece e lo pagarono 500 dollari. Secondo me non hanno mai saputo che l’inventore non aveva nemmeno tredici anni”. E ancora un altro aneddoto: “Da piccolo Elon leggeva di tutto. E teneva a mente ogni cosa. Lo chiamavamo ‘Elon l’Enciclopedia’, perché aveva letto l’Encyclopaedia Britannica e la Colliers, ma soprattutto si ricordava tutto a memoria! Era impressionante”. E ancora: “Quando vendette PayPal era già diventato molto ricco. Io ero preoccupata per la sua salute, volevo che si fermasse un po’. Lui mi chiese: ‘Secondo te dovrei dedicarmi ai razzi, alle auto elettriche o all’energia solare?’. Gli suggerii di scegliere una cosa e di concentrarsi su quella. Non mi ha dato retta”. Come tutte le mamme orgogliose dei figli probabilmente non smetterebbe mai di raccontare aneddoti sul figlio: “Quello che ha fatto è incredibile, siamo fieri di lui”.
Ma la vita di Maye non è sempre stata rose e fiori. Nel suo libro racconta di quando a 31 anni scappò dal marito e si trasferì a Durban. “Ero una ragazza madre, non potevo più permettermi nemmeno il parrucchiere. Ma sono ripartita. Poco per volta mi sono specializzata in dietologia, poi la mia carriera di modella ha preso una piega inaspettata”, quella di icona, donna senza età e libera nella sua bellezza senza ritocchi. Racconta delle violenze subite dal marito geloso e di come, a poco a poco, ripresa in mano la vita diventando un’esperta dietologa, influecer e da modella conquistando le copertine dei giornali. “Proprio così, perché le riviste hanno cominciato a cercarmi per le copertine e perché so coltivare i social. Ma io sono prima di tutto una dietologa (Musk ha due lauree in materia, ndr.) e tengo conferenze. Alle donne dico: se subite violenze cominciate a parlarne subito, agli amici ai familiari. E poi cercate di avere un piano, non arrendetevi. Nel mio libro ci sono consigli anche su come prendersi cura di sé. In tutti i sensi”.
Elena Del Mastro. Laureata in Filosofia, classe 1990, è appassionata di politica e tecnologia. È innamorata di Napoli di cui cerca di raccontare le mille sfaccettature, raccontando le storie delle persone, cercando di rimanere distante dagli stereotipi.
Maye Musk, mamma di Elon: «Era un ragazzo timido. Non pensavo che sarebbe diventato un genio». Roberta Scorranese su Il Corriere della Sera il 12 Gennaio 2023.
La modella-dietologa, 75 anni ad aprile, racconta l'infanzia del magnate: «Da piccolo leggeva di tutto, aveva imparato a memoria l’enciclopedia. Non ama il lusso, è capace di inventare cose meravigliose ma non ha istinto di sopravvivenza»
Signora Maye Musk, lei è la madre dell’uomo più ricco del mondo...
«Alt. Non sono sicura che, almeno questa settimana, Elon sia proprio l’uomo più ricco del mondo».
In effetti è da poco entrato nel Guinness dei primati per la perdita di patrimonio più grande di sempre, passando dai 320 miliardi di dollari nel novembre 2021 agli attuali 138, secondo Forbes. Però resta sempre Elon Musk. E Maye Haldeman Musk, 75 anni ad aprile, modella, influencer e dietologa, è sua mamma. Capelli orgogliosamente bianchi, sorriso impertinente, in questa donna cresciuta in Sudafrica e poi adottata da Canada e Stati Uniti si rintraccia lo stesso spirito dissacrante del figlio, che lei definisce «brillante, ma timido» da bambino. Eppure, nella sua autobiografia in uscita oggi in Italia per Giunti («Una donna deve avere un piano»), Maye Musk divide equamente attenzioni e spazi tra Elon e gli altri due figli minori, Kimbal e Tosca. E in questa intervista esclusiva con il Corriere della Sera parla anche di sé stessa, delle violenze subite dall’ex marito Errol e imbastisce un album con i ricordi di famiglia.
Il patrimonio di Elon Musk resta comunque enorme.
«Ma le posso assicurare che mio figlio non vive affatto nel lusso, anzi. Non possiede una casa di proprietà e abita in appartamenti modesti».
Com’era il fondatore di Tesla da bambino?
«Molto timido. Era un ragazzino chiuso, al mattino faticavo a tirarlo giù dal letto per farlo andare a scuola. Come potevo presagire che avrebbe avuto un simile successo?».
È vero che è stato bullizzato da ragazzo, malmenato da un gruppo di coetanei?
«Sì, è vero, confermo».
Era per questo che non voleva andare a scuola?
«Il motivo l’ho scoperto dopo. Una volta mi sono alzata all’alba e ho visto la luce accesa nella sua stanza. Mi sono accorta che aveva trascorso tutta la notte a leggere e non aveva chiuso occhio. Penso che dormisse una trentina di minuti per notte».
Lei sostiene che anche oggi Elon non dorma mai.
«È vero, non ha bisogno di tanto sonno».
Una delle sue stranezze?
«I geni sono capaci di inventare cose meravigliose nei loro scantinati, ma non hanno istinto di sopravvivenza».
A proposito di scantinati, ma è vero che una volta lei è andata a trovarlo e lui l’ha fatta dormire in garage?
«Sì, è vero. Be’, se vai a trovare tuo figlio nella sua base spaziale (SpaceX, ndr) hai due alternative: o prendi una stanza in albergo a 45 minuti di distanza o dormi nel suo garage. Ma per me non è un problema. Quando andavo a trovare mia madre in Canada dormivo in garage».
Dal libro si capisce che il suo aiuto a Elon, ai suoi esordi, è stato importante.
«Mi ero separata, vivevamo a Johannesburg, ma lui voleva trasferirsi in Canada, perché convinto che lì avrebbe avuto più possibilità. Lo feci partire con duemila dollari in traveler’s cheque».
Ma lui è sempre stato un piccolo mago dell’informatica?
«Ricevette il suo primo computer a dodici anni. Imparò a usarlo e creò BLASTAR, un videogioco. Gli suggerii di inviarlo a una rivista di settore, lui lo fece e lo pagarono 500 dollari. Secondo me non hanno mai saputo che l’inventore non aveva nemmeno tredici anni».
Un genietto?
«Le racconto un’altra cosa. Da piccolo Elon leggeva di tutto. E teneva a mente ogni cosa. Lo chiamavamo “Elon l’Enciclopedia”, perché aveva letto l’Encyclopaedia Britannica e la Colliers, ma soprattutto si ricordava tutto a memoria! Era impressionante».
Ha sempre ascoltato i suoi consigli?
«Senta questa. Quando vendette PayPal era già diventato molto ricco. Io ero preoccupata per la sua salute, volevo che si fermasse un po’. Lui mi chiese: “Secondo te dovrei dedicarmi ai razzi, alle auto elettriche o all’energia solare?”. Gli suggerii di scegliere una cosa e di concentrarsi su quella. Non mi ha dato retta».
Però ha avuto successo.
«Quello che ha fatto è incredibile, siamo fieri di lui».
Maye, dal suo libro si capisce che la sua vita non è stata sempre facile, anzi.
«A 31 anni scappai da mio marito e mi trasferii a Durban. Ero una ragazza madre, non potevo più permettermi nemmeno il parrucchiere. Ma sono ripartita. Poco per volta mi sono specializzata in dietologia, poi la mia carriera di modella ha preso una piega inaspettata (Maye Musk sulle copertine oggi incarna un’icona di donna senza età e libera nella sua bellezza senza ritocchi, ndr.)».
Lei parla apertamente del suo divorzio e del matrimonio difficile con Errol Musk.
«Farò un esempio. Andavo a fare la spesa e quando tornavo mio marito guardava quante cose avevo comprato, stimando un minuto per ogni articolo preso. Se c’erano trenta cose e il tragitto per andare e tornare dal negozio era, poniamo, di dieci minuti e io “avevo sforato”, allora lui mi picchiava perché diceva che in quello spazio di tempo avevo incontrato un uomo».
Modella e dietologa, dicevamo. Ma la vera popolarità lei l’ha raggiunta a settant’anni.
«Proprio così, perché le riviste hanno cominciato a cercarmi per le copertine e perché so coltivare i social. Ma io sono prima di tutto una dietologa (Musk ha due lauree in materia, ndr.) e tengo conferenze. Alle donne dico: se subite violenze cominciate a parlarne subito, agli amici ai familiari. E poi cercate di avere un piano, non arrendetevi. Nel mio libro ci sono consigli anche su come prendersi cura di sé. In tutti i sensi».
Cercasi introiti: Elon Musk apre alla comunicazione politica su Twitter. Redazione L'Identità il 6 Gennaio 2023
Twitter si riallinea a Facebook e riapre alla comunicazione politica a pagamento. La piattaforma dell’Uccellino Blu tornerà ad accettare spot da parte di partiti e organizzazioni così come fanno già, e non hanno mai smesso di fare, gli altri social e gli altri media, a cominciare dalla tv. Si tratta di una delle innovazioni, o se preferite, di ritorni al passato decretati da Elon Musk. Il neo proprietario del social che fu di Jack Dorsay tenta, disperatamente, di trovare il modo di trasformare Twitter, che sembra in profondo rosso di prospettive più che di bilancio, in un asset redditizio.
La scelta di frenare sulle pubblicità di matrice politica era stata assunta proprio da Dorsay. Una decisione che era arrivata nel mese di novembre del 2019, poco più di un anno prima dello scontro elettorale Usa tra Donald Trump e Joe Biden per la Casa Bianca. Dorsay, sempre meno Ceo e sempre più “guru” aveva tuonato: “Crediamo che la portata dei messaggi politici debba essere guadagnata e non comprata”. Insomma, Dorsay sacrificò una piccola parte di introiti per dare una spolverata all’immagine dell’azienda. Elon Musk, che ha tutt’altre mire e strategie, ha deciso di fare marcia indietro. La sua decisione è stata accolta con favore dalle organizzazioni dei pubblicitari che però sottolineano come sia necessario stabilire e far rispettare delle regole per il rispetto del pubblico e dell’elettorato. Marianna Ghirlanda, presidente dell’International Advertising Association per l’Italia, ha spiegato: “In linea di principio non siamo contrari alla comunicazione politica anche perché l’informazione in questo ambito è molto importante, ma altrettanto importante è che sia normata in maniera corretta, se così non fosse sarebbe un enorme rischio. È quindi necessario mettere in atto delle regole che ne garantiscano la riconoscibilità e l’equità verso le diverse parti politiche”. Ghirlanda ha concluso: “È fondamentale proprio per questo che Twitter, così come qualsiasi altra piattaforma social, si dia delle linee guida precise per garantire trasparenza, equità di spazi e visibilità e che queste linee guida siano condivise e approvate da autorità competenti in materia nei vari paesi dove la piattaforma opera”.
L’inizio della fine. Il crollo delle azioni di Tesla è (anche) colpa delle pagliacciate di Elon Musk. Pietro Minto su L’Inkiesta il 9 Gennaio 2023
Nell’ultimo mese il titolo dell’automobile elettrica ha perso poco meno del quaranta per cento in Borsa. Nonostante i buoni numeri di vendita, l’azienda sembra sempre più vittima degli inciampi del suo presidente e il futuro è sempre più un’incognita
Nell’ultimo mese il titolo di Tesla in borsa ha perso poco meno del quaranta per cento del suo valore. Il calo più interessante risale però al 3 gennaio, quando l’azienda ha presentato i risultati delle vendite totali nel corso del 2022, con il numero di consegne annuali salito del quaranta per cento rispetto a quello dell’anno scorso (per un totale di 1,31 milioni di veicoli). Ciò nonostante, il titolo è sceso ulteriormente, confermando i timori di alcuni analisti. Com’è possibile?
A preoccupare è soprattutto l’ultimo trimestre dell’anno, in cui sia il titolo che il brand stesso di Tesla ha subito pesanti colpi, soprattutto a causa dell’affaire Twitter, social network acquistato da Elon Musk per quarantaquattro miliardi di dollari. Negli ultimi mesi il ceo di Tesla è sembrato sempre più impegnato a gestire e reinventare Twitter – con risultati non proprio gloriosi – e a svendere le azioni di Tesla per un valore di 3,6 miliardi di dollari. Il tutto ha creato una congiuntura economica esplosiva, portando al crollo di Tesla e facendo di Musk la prima persona a perdere in un baleno una fortuna da duecento miliardi di dollari. Sono soddisfazioni, certo, ma non per l’azienda.
A rendere tutto ancora più strano è il fatto che, poche settimane fa, Musk aveva indetto un sondaggio su Twitter per decidere il suo futuro all’interno del social, chiedendo ai suoi follower se dovesse dimettersi. La vox populi disse di sì e fu opportunamente dimenticato, ma forse la domanda da porsi sarebbe un’altra: e se l’azienda dalla quale Musk dovrebbe dimettersi fosse proprio Tesla? Viene da chiederselo guardando al crescente numero di problemi legali che il produttore ha, anche negli Stati Uniti, soprattutto a causa del cosiddetto “FSD”, il servizio di guida assistita dell’azienda. E poi c’è la concorrenza degli storici brand dell’automotive, ormai lanciati verso l’elettrificazione, mentre i nuovi modelli promessi da Musk (il Tesla Semi, un tir, o il Cybertruck, uno strano pick-up squadrato) rimangono poco più che prototipi.
La congiuntura non è per niente positiva per tutto il mercato, ma Tesla sembra un caso a parte. Il cuore della questione è, come sempre, l’incredibile quotazione raggiunta negli ultimi anni dall’azienda, che alla fine del 2021 era arrivata a valere più di Toyota, Ford, Daimler, Volkswagen e General Motors messe assieme. Una valutazione spropositata che ha sempre faticato a reggere il confronto con la realtà ma che i più zelanti investitori di Tesla giustificavano sostenendo che Tesla era molto, molto di più di un semplice produttore di auto. Tesla – dicevano questi – è una “tech company”. Anzi, una “IA company”. In quanto tale, era in competizione con i giganti della Silicon Valley, non con quelli delle quattro ruote.
Come suggerisce Business Insider, però, «è sempre più evidente che Tesla sia un’azienda automobilistica come le altre», e che il valore delle sue azioni si stia quindi adattando a questa idea. Un’azione Ford vale circa dodici dollari, poco meno di una Toyota; un’azione Tesla, nonostante i mesi di lacrime e sangue, si aggira ancora sopra ai cento dollari (103 nel momento in cui scriviamo). È evidente che sia un ampio margine di ridimensionamento.
La fine del mito di Tesla, che è poi la fine del mito di Elon Musk, corroso dagli inciampi di Twitter, non deve per forza significare la fine dell’azienda stessa; forse Tesla deve semplicemente diventare un’azienda come le altre, e cercare di resistere così. Certo, si preannuncia un processo doloroso. Per arrivare a valere quanto un’azione di Ford, le azioni Tesla dovrebbero perdere un ulteriore ottantacinque per cento (dopo il cinquantasei per cento perso negli ultimi sei mesi).
Insomma, è questo il quadro nel quale la borsa ha reagito negativamente a dei risultati in apparenza positivi, anzi “da record”, della società. Non è nemmeno passata inosservata la notizia dei continui sconti proposti da Tesla sia negli Stati Uniti che in Cina; proprio in Cina, il principale mercato di auto del mondo, l’azienda ha preparato dei tagli alla produzione locale, come svelato da Reuters.
Anche se Tesla ha avuto una buona performance nel 2022, il sospetto è che il nuovo anno rappresenti un’incognita troppo grande per credere ancora all’hype di Musk. La domanda da porsi è quindi la seguente: riuscirà Tesla a sopravvivere ora che la maschera è caduta e si è rivelata un’azienda come le altre?
Federico Cella per corriere.it l’8 Gennaio 2023
I guai di Twitter non sono destinati a finire tanto presto, anzi si aggiornano con un furto di dati da record: più di 200 milioni di nomi utente ed email sottratti alla piattaforma e pubblicate online, sotto forma di database su un forum, al prezzo di soli due dollari. Mail, username e nomi reali degli utenti: un bottino su cui costruire una serie di attività illegali.
Fin dall’acquisizione da parte di Elon Musk, il social network ha faticato a rimettersi in pista: licenziamenti e polemiche hanno contraddistinto queste settimane. La fuga di dati, che pur non abbinati alle password costituisce un rischio per tutti gli utenti esposti, è solo l’ultimo capitolo, ma rischia di essere uno importante.
Il furto risale a una serie di violazioni dei protocolli di sicurezza di Twitter del 2021 ma la pubblicazione è di questi giorni. Con alcuni analisti che l’hanno definito una delle fughe di informazioni sensibili più clamorose degli ultimi tempi, ed è destinata «a portare a un gran numero di attacchi di phishing e di doxxing», riferendosi a mail false per raccogliere dati e alla pratica appunto di diffondere sul web dati sensibili delle persone.
Il creatore del sito Haveibeenpwned, Troy Hunt, dove verificare se la propria email è finita in una qualche fuga di dati, ha twittato di aver analizzato il database e di aver trovato 211.524.284 indirizzi e-mail univoci. Come scrive il Washington Post, si parla di una vulnerabilità del sistema risalente al 2021, un problema di sicurezza che Twitter avrebbe ignorato per diversi mesi, risolvendolo solo nel gennaio 2022 e annunciandolo nell’agosto dell’anno scorso.
Era non a caso lo stesso periodo in cui l'ex capo della sicurezza, Peiter Zatko, aveva denunciato Twitter, presentando una denuncia al governo degli Stati Uniti in cui affermava che l'azienda stava nascondendo «gravi carenze» nelle sue difese di sicurezza informatica.
Quella della sicurezza è con ogni evidenza un problema per la piattaforma. Al punto che con una mossa molto mediatica, Elon Musk aveva assunto in azienda George Hotz, un nome molto conosciuto: si tratta dell’hacker che aveva violato il sistema di sicurezza di Playstation 3 nel lontano 2010. Gli scambi via Twitter tra Geohot (il nome da battaglia dell’informatico) ed Elon Musk non sono più leggibili (vedi sopra), perché Hotz dopo un mese di lavoro ha lasciato il suo ruolo e cancellato ogni tweet presente sul suo account. Non un buon segno.
Soros cede l'impero al figlio Alexander. L'erede: "Sono più politico di mio padre". Francesco De Remigis il 12 Giugno 2023 su Il Giornale.
L'imprenditore lascerà il controllo dei fondi da 25 miliardi di dollari. E il rampollo di casa seguirà in tutto le sue orme
C'è da aspettarsi che il nome Soros continuerà a risuonare a lungo, e a influenzare la politica occidentale (e l'informazione) anche più di quanto non sia accaduto finora. Anzi, quasi certamente l'eco di un «nome» abituato ad agire dietro le quinte di partiti e finanza diventerà più esplicito e prolungato nel tempo. Secondo il Wsj, l'uomo più detestato dai conservatori e dai nazionalisti di buona parte del mondo occidentale, George Soros, cederà il controllo dei suoi fondi azionari da 25 miliardi di dollari al figlio Alexander. E il rampante 37enne mette subito le cose in chiaro: «Sono più politico rispetto a papà, e con lui la pensiamo allo stesso modo...».
Nei giorni scorsi, Alexander - fan dell'hip-hop con solidi studi nelle migliori scuole del globo - ha già incontrato funzionari dell'Amministrazione Biden, oltre al leader della maggioranza al Senato Usa, Chuck Schumer. Ma pure svariati capi di Stato e di governo: dal presidente brasiliano Lula al premier canadese Justin Trudeau (quello «preoccupato per alcune posizioni che l'Italia sta assumendo in termini di diritti Lgbt», per intenderci). Insomma, quello di Alex sarà con ragionevole certezza un pronto intervento per difendere al meglio le «istanze» della fondazione di famiglia; anzitutto, in vista delle presidenziali americane. Alex ha già detto d'essere preoccupato per la prospettiva del ritorno di Trump alla Casa Bianca, proiettando la Open Society Foundation verso un ruolo finanziario forte nella corsa 2024. E c'è d'attendersi pure qualche takle in vista del voto Ue.
Dar contro al «potenziale dittatore» in nome delle democrazie da salvare (come il padre definì Trump a Davos sei anni fa), elargendo milioni a movimenti e Ong, è sport di famiglia. Ma la sua tela di relazioni è più raffinata, variopinta e da anni più internazionale di quella già ampia di George. Dall'Ucraina ai Balcani occidentali, fino all'Asia meridionale al Congo o al Sudafrica, le tappe di Alex «giramondo», come l'avrebbe soprannominato il fratellastro Jonathan (a cui molti avevano pensato per la successione), lo hanno reso quasi più famoso all'estero che in patria. Al Financial Times, Alex riassume così il suo programma: «Sostenere la causa della democrazia all'estero e difendere i diritti di voto e la libertà personale in patria».
In Senegal, lo scorso anno, ha discusso con il presidente Macky Sall «diversi temi di interesse comune». A Dakar è una star, un benefattore a cui mezzo governo ha steso il tappeto rosso. Ma cosa fa, a parte stringere mani e partecipare a cocktail di beneficenza? Dito nella piaga (destra); e tra poco penna sugli assegni. Un ruolo da comprimario degli eventi.
D'altronde dagli Anni '90, papà George - nato György, a Budapest, prima di realizzarsi come cameriere-studente a Londra fino a darsi alla finanza nella Grande Mela, facendo fortuna scommettendo sul crollo della sterlina - è l'uomo che più di ogni altro ha messo la filantropia al servizio delle pulsioni culturali progressiste. Per questo è la bestia nera di chi lo accusa di preparare il terreno al famigerato processo di sostituzione etnica, o di pagare campagne per l'uso indiscriminato di marijuana, fino all'ultimo fantasma: l'ideologia gender. George si accasò alla London School of Economics, frequentando Karl Popper. Alex è cresciuto nella bambagia neworkese tra eventi di beneficenza e party con la «Pussy Riot» Nadya Tolokonnikova (famosa per aver filmato una preghiera anti-Putin prima di dedicarsi alle feste chic d'America); ha amicizie da Hillary Clinton a Barack Obama, stilisti e musicisti, vanta feste in pigiama con modelle e giocatori di football e una strada segnata da strette di mano ai democratici Usa, attivisti di Ong e dall'hashtag #BlackLivesMatter. Francesco De Remigis
Estratto dell’articolo di Enrico Franceschini per “la Repubblica – D” sabato 4 novembre 2023.
Quando Rupert Murdoch ha annunciato le dimissioni da presidente della Fox e News Corporation, nel settembre scorso, è sembrata la fine di un'epoca: a 92 anni, il più grande magnate dei media della Terra si era finalmente deciso a farsi da parte, designando come successore il maggiore dei figli maschi, il 52enne Lachlan, quello più vicino ai suoi gusti giornalistici e alle sue opinioni politiche.
Ma è davvero l'ultimo atto? Pur affermando che «è il momento giusto» per un passo indietro, il tycoon di origine australiana e passaporto americano ha aggiunto di volere assumere «un ruolo differente», come presidente emerito della compagnia da lui fondata, […]
Il vero epilogo, tuttavia, non sarà probabilmente lui a scriverlo, perché diventerà chiaro dopo la sua morte, quando i quattro figli maggiori, Prudence nata dal primo matrimonio con l'ex hostess Patricia Booker, Elizabeth, Lachlan e James nati dal secondo con Anna Torv, redattrice di uno dei suoi tabloid, divideranno in parti uguali l'impero di giornali e reti televisive associato al suo nome.
Soltanto allora si vedrà se Lachlan manterrà il controllo, se gli altri tre si coalizzeranno contro di lui appoggiando James, più progressista, ambientalista e diverso da Rupert, o se, nell'impossibilità di raggiungere un accordo, venderanno tutto a un investitore esterno.
[…] la storia di Rupert Murdoch è un film che merita di essere ricapitolato dall'inizio. Nasce a Melbourne nel 1931, figlio di un giornalista di origini irlandesi e scozzesi: […] Alla morte precoce del padre, Murdoch viene richiamato dall'Inghilterra, dove si era laureato a Oxford e aveva fama di progressista (all'università è soprannominato "Rupert il Rosso" perché tiene un busto di Lenin in camera), per prendere il comando delle operazioni in Australia. Ha appena 21 anni, ma si dimostra in fretta non solo un bravo cronista, bensì pure ottimo editore: vende le testate che non vanno, ne acquista altre in crisi purché con potenziale, fonda il primo quotidiano nazionale, The Australian.
A tutti predica la stessa formula, appresa dalla stampa popolare inglese: gossip, glamour, sensazionalismo, scandali, sport e sesso. […] A questo punto è pronto per allargare gli orizzonti: compra un giornale in Nuova Zelanda, poi fa il passo grosso, nel 1968 acquista in Gran Bretagna tre testate storiche, il Sun, il Times e il Sunday Times, […]
Trasforma anche quelli, mettendo foto di donne in topless a pagina 3 del Sun, cambiando formato e rendendo più disinvolto il Times, pur mantenendone l'autorevolezza. Sposta le redazioni da Fleet Street, la "via dell'inchiostro" […] trasferendo la sede in periferia per risparmiare […]
Nel frattempo, dimostra altrettanta spregiudicatezza in politica: aveva cominciato nel Paese natio, passando dal sostegno ai laburisti a quello ai conservatori, continua a Londra dove i suoi giornali appoggiano prima la conservatrice Margaret Thatcher, poi il laburista Tony Blair, che vince, anzi stravince le sue prime elezioni anche grazie all'inatteso endorsement del Sun, fino ad allora quotidiano di destra. La verità è che Rupert sta sempre con chi vince, o che per vincere bisogna stare con lui.
In cambio ottiene favori per il suo gruppo, che intanto cresce: acquista una grossa fetta di Sky, […] che rilancia grazie al contratto per trasmettere le partite della Premier League di calcio, e si sente ormai abbastanza forte da puntare al mercato più grande, ricco e importante, l'America.
Dopo avere preso nella sua scuderia un giornale di San Antonio e un tabloid da supermarket, nel 1976 compra il New York Post, facendone il quotidiano popolare più aggressivo e irriverente della metropoli. Nel 1984 compra la Twenty Century Fox, espandendo. la con una rete di tv locali Usa e scommettendo su programmi come i cartoni animati dei Simpson e il serial X-Files che gli danno enorme successo.
Dalla Fox, nel 1996, fa sbocciare la costola Fox News, […]. Nel 2007 acquista un altro gioiello di prestigio, il Wall Street Journal, il più importante quotidiano finanziario del pianeta. Con media sparsi in quattro continenti, può dire che sul suo impero non tramonta mai il sole. Ma chi di tabloid ferisce, di tabloid perisce: per procurarsi scoop e pettegolezzi piccanti, i suoi quotidiani popolari inglesi mettono illegalmente i microfoni a personaggi dello show business, politici, parenti di vittime di crimini efferati, perfino a membri della famiglia reale.
Quando viene fuori lo scandalo, ribattezzato Tabloidgate, Murdoch è costretto a chiudere il settimanale News of the World, […] Durante un interrogatorio alla Camera dei comuni, uno spettatore gli tira una torta in faccia: para il colpo Wendi Deng, terza moglie (e madre di altri due figli), di 30 anni più giovane.
Divorzia anche da lei, geloso di Blair che per una notte è ospite di Wendi nel loro ranch in California senza che lui ne venga informato. I suoi amori non sono finiti: si sposa una quarta volta, con Jerry Hall, ex top model ed ex compagna di Mick Jagger, dopo sei anni è lei a lasciarlo per "differenze inconciliabili'. A 91 anni Murdoch annuncia un ennesimo matrimonio, con Ann Lesley Smith, 68enne ex moglie di un predicatore religioso, ma annulla le nozze due settimane più tardi, non è chiaro se per eccessiva religiosità di lei o eccessiva gelosia di lui.
Si consuma anche un divorzio politico, quello con Donald Trump, che Murdoch prima sostiene nella campagna presidenziale 2016, anche perché il candidato repubblicano alla Casa Bianca gli porta audience e soldi a palate con le sue apparizioni su Fox News, poi giudica pericoloso per la democrazia dopo l'assalto al Congresso dei sostenitori trumpiani del 6 gennaio 2021 e dopo una causa per diffamazione contro Fox News sullo sfondo delle elezioni 2020 che gli costa 780 milioni di dollari. […] E Murdoch lascia al figlio Lachlan un'eredità dai due volti: da un lato un impero mediatico che vale 22 miliardi di dollari, dall'altro la responsabilità di avere contribuito a creare il mostro che minaccia la democrazia americana.
A.O. Scott per “The New York Times”, tradotto e pubblicato da “la Repubblica – D Maxi” sabato 4 novembre 2023.
Il nuovo libro di Michael Wolff, The Fall, è una cronaca di eventi molto recenti che inizia con qualcosa che non è ancora successo: la morte di Rupert Murdoch, che al momento ha 92 anni ed è vivo e vegeto.
Un prologo in forma di un falso e ironico necrologio, il passaggio di gran lunga più sobrio, che anticipa una caduta a capofitto attraverso 18 mesi di incertezza e sconvolgimenti a Fox News e tra i custodi della famiglia Murdoch. […] Wolff sa quello che potreste pensare: «Sì, sì, c'è un po' di Succession, quella serie su voi-sapete chi, la sua famiglia e il loro impero».
Ma nonostante i parallelismi ovvi tra i Roys e i Murdoch, Wolff presenta il suo libro, edito da Henry Holt and Co, come una "sitcom su una redazione televisiva" piuttosto che una tragedia familiare. Secondo Wolff rappresentare la saga con toni comici è stata una scelta rischiosa. «Trattare il fenomeno Fox e la famiglia Murdoch come una creazione culturale matura per la commedia può essere un sacrilegio liberal».
[…]
In ogni caso, non è che Wolff pensi che Fox (o Trump) sia una barzelletta; piuttosto, la sua consumata abilità nel rimanere politicamente neutrale fa sì che i meccanismi interni del potere più che inorridirlo lo divertano. Non gli interessa tanto la "posizione pubblica" di Fox News quanto la sua "vita privata"; o come dice lui, «ciò che c'è nel cuore o si agita nello stomaco».
Questo metodo psicoanatomico - scrutare il cervello e frugare nelle viscere - è più o meno il modo in cui ha affrontato l'amministrazione Trump in Fuoco e Furia (Rizzoli, 2018), Assedio (Rizzoli 2019) e Landslide (2021). […] The Fall aggiorna The Man Who Owns the News, il ritratto di Murdoch realizzato da Wolff nel 2008, e riflette ciò che è pubblico attraverso una lente di gossip, maldicenze e chiacchiere trash. […]
Se avete seguito le news, conoscete già la storia raccontata in The Fall e sapete anche come va a finire. Non c'è abbastanza dramma per movimentare la narrazione di un anno e mezzo mese per mese, quindi Wolff ripropone episodi precedenti di intrighi di palazzo e disfunzioni familiari, e offre una storia tascabile della Fox nell'era Trump. Oltre all'ascesa dello stesso Trump, quegli anni hanno visto l'estromissione di Ailes e la vendita delle partecipazioni cinematografiche e televisive non giornalistiche di Murdoch alla Disney.
Nel racconto di Wolff, Ailes, che aveva gestito Fox come un feudo personale tossico e altamente redditizio all'interno dell'impero di Murdoch, è stato fatto cadere non dalle donne che aveva molestato e avvilito, ma dai figli di Rupert che, insieme agli altri fratelli, hanno intascato 2 miliardi di dollari ciascuno nell'affare Disney.
Il motivo della vendetta era la discrepanza tra i loro garbati valori liberal e il conservatorismo bellicoso della Fox. James, qui ritratto come un idealista sbruffone, viene descritto come desideroso di rendere il canale "una forza per il bene". Wolff tratta questo sentimento quasi come la battuta alla fine di una barzelletta, la prova che i figli di Murdoch sono "comicamente in disaccordo con il marchio Fox"
[…] In tutte queste pagine, Murdoch viene citato mentre disprezza Trump ("un idiota", "uno stupido", "palesemente pazzo"); il vero soggetto di The Fall è lo scisma tra l'ex presidente e la rete che gli era servita come arma di propaganda.
"Chi era più grande? Il monopolio della Fox, sostenuto dalla volontà (e dal denaro) dell'uomo più potente nella storia dei media, o l'ex presidente e personaggio televisivo che era diventato l'uomo più famoso del pianeta?". Non si tratta solo di un confronto tra due. Uno dei motivi ricorrenti di Wolff è il disprezzo reciproco tra Ailes e i Murdoch. Ailes li considerava "snob" e non "veri americani". Loro - compreso Rupert - consideravano il network sempre più imbarazzante, anche se redditizio. "I soldi arrivavano a vagonate mentre la Fox continuava ad avvelenare ogni aspetto della presenza della famiglia Murdoch nel mondo", Rivoltandosi contro Trump, Murdoch si è scagliato contro la stessa Fox. […]
Spargere fango e gossip è divertente e lo scontro tra grandi personalità spassoso, ma in confronto al circo sgargiante del mondo di Trump, questo spettacolo sembra un po' più addomesticato. Non è Shakespeare, né Succession, e nemmeno una sitcom. Si tratta solo di business.
Estratto dell’articolo di Paolo Mastrolilli per “la Repubblica” venerdì 22 settembre 2023.
«Questo è solo l’inizio della successione. Il vero momento in cui si deciderà il futuro dell’impero Murdoch è quando lui morirà, e i quattro figli erediteranno il controllo della compagnia in parti uguali. A quel punto, siccome non vanno d’accordo su nulla, venderanno». È la scommessa di Michael Wolff, autore del libro The Fall, che anticipa «la fine di Fox News e della Dinastia Murdoch».
Perché le dimissioni di Rupert sono arrivate ora?
«Erano attese, ma con modestia, sento dire che il mio libro in uscita martedì sia stato l’ultima spinta, perché descrive un uomo di 92 anni non più in grado di guidare una grande compagnia. Non c’è nulla di personale, è semplicemente troppo anziano. Negli ultimi anni è stato difficile comunicare con lui e capire cosa voleva, la sua capacità decisionale è diventata chiaramente un problema. L’esempio principale è stata la causa Dominion, che poteva chiudere pagando 50 milioni, ma gliene è costati 787 perché non ha deciso cosa fare. Tutti riconoscono che era tempo. Il libro descrive le sue infermità, dimostrando che il re è nudo».
Il passaggio del controllo al figlio Lachlan era scontato?
«Per ora tutto continuerà allo stesso modo, perché Lachlan era già il ceo. Però, e questo è importante, quando Rupert morirà il controllo della compagnia passerà ai 4 figli, con poteri di voto uguali, e Lachlan non sarà più il leader. A quel punto decideranno il futuro, non ora. Ma non vanno d’accordo su nulla».
Perciò prevede la fine di Fox e della dinastia?
«Esatto, non saranno capaci di accordarsi. Gli scenari plausibili sono due: danno il controllo a James, o vendono».
Nella serie “Succession”, ispirata ai Murdoch, i figli perdono il controllo della società. Finirà così?
«Sì. La fiction in questo caso anticipa la realtà».
[...]
Lei scrive che vorrebbe Trump morto: perché tanto disprezzo?
«Murdoch prende la politica seriamente, Trump no. Rupert pensa che il 6 gennaio Donald abbia violato una linea rossa invalicabile. È un uomo d’affari conservatore tradizionale, non un social conservative . È un moderato, non estremista, appoggia l’immigrazione e disprezza chi la usa come arma politica. Poi crede che Trump sia riprovevole come persona».
Lachlan è d’accordo?
«Ha sempre e solo fatto quello che il padre diceva».
Perché Rupert ha puntato su DeSantis?
«Errore di giudizio, e desiderio che battesse Trump».
Disprezza anche i conduttori di Fox Hannity e Carlson, perché ha continuato a lavorarci?
«Soldi. La Fox è una macchina incredibile di soldi, più di ogni altro media nella storia Usa. A Murdoch piacciono i soldi ed è stato incapace di barcamenarsi tra questo desiderio e quello di avere l’influenza politica per bloccare Trump».
Fox può ancora fermare la rielezione di Donald?
«Non lo so. Finora la Fox e Murdoch sono stati impegnati in una guerra fredda con Trump. Lachlan cambierà, perché pensa di fare più soldi con Donald? È possibile, ma per lui accontentare il padre è più importante dei soldi». [...]
Pensionato. A 92 anni Rupert Murdoch lascia al figlio Lachlan la gestione dell’impero Fox. Linkiesta il 22 Settembre 2023.
Lo «Squalo» aveva giurato di essere «immortale», favorito la Brexit e il trionfo di Trump. Ma i guai di salute lo costringono al ritiro. A prendere le redini della compagnia sarà il terzogenito, 52 anni, tra i figli i più a destra e conservatore convinto
Il magnate Rupert Murdoch ha aspettato 92 anni per annunciare, ieri, che lascerà la presidenza di Fox News e di News Corp a novembre. Il figlio Lachlan Murdoch prenderà il suo posto. Ma, ha scritto lo «Squalo» ai suoi dipendenti, «non scomparirò, rimarrò da presidente emerito e parteciperò al processo decisionale».
Eppure, per una volta, il moloch australiano che iniziò la leggenda da un giornaletto di Adelaide ereditato dal padre, annuncia uno storico passo indietro: dimissioni da padrone di Fox & News Corp. Deciso da tempo il suo erede: il terzogenito Lachlan, 52 anni, già presidente esecutivo di Nova, Fox Corporation e co-presidente di News Corp.
Rupert Murdoch, australiano naturalizzato americano, è «L’uomo che possiede le notizie», come da titolo di una biografia. Il gruppo possiede The Sun e The Times, il Wall Street Journal e il New York Post, più una galassia di centinaia di giornali e tabloid sparsi per il mondo. Ma soprattutto Fox News, il canale televisivo più visto e potente degli Stati Uniti., lanciato nel 1996.
Ma più che possederle, Murdoch le notizie le ha sempre create. È stato abile a dare in pasto ai lettori le notizie più trash, tramite i suoi tabloid, non fermandosi davanti a niente. Nel 2011 in Inghilterra scoppiò il caso delle intercettazioni telefoniche. I suoi giornalisti pagavano la polizia per avere notizie sui vip e News of the Word fu chiuso dalla sera alla mattina per aver intercettato addirittura il telefonino di una ragazza assassinata.
Non è esagerato dire che dietro la Brexit e l’elezione di Trump ci sia la mano dello Squalo, grazie all’appoggio incondizionato delle sue corazzate mediatiche. Sia Farage che Trump, prima di scendere in campo, incontrarono Murdoch. E il fiume di fake news che la Fox ha riversato sulla campagna elettorale e sul post elezioni sono costate alla compagnia un risarcimento di 787,5 milioni di dollari alla compagnia di voti telematici Dominion. E c’è in ballo una causa analoga da parte di un’altra azienda di voti telematici, la Smartmatic, che chiede 2,7 miliardi di dollari.
Ora, a un anno dalle elezioni americane del 2024, l’impero dei Murdoch sembra avviarsi verso il viale del tramonto, nonostante lui abbia scritto nel comunicato del ritiro: «NewsCorp e Fox godono di ottima salute, come me».
Ma le sue condizioni di salute sono tutt’altro che rosee. Non restava quindi che lasciare a uno dei figli. E non a uno qualsiasi. Lachlan, mezzo americano, mezzo britannico nato a Wimbledon, è quello più conservatore, perfetto neo-capitano di Fox. Era da tempo l’erede predestinato, appassionato al giornalismo. Indosserà per il momento l’aureola di “commander in chief”. Ma quando Rupert non ci sarà più, potrebbe scatenarsi una faida familiare: col fratello liberal e progressista James, per esempio, ma anche le sorelle Prudence ed Elizabeth. A parte le sorellastre Grace e Chloe, tutti i figli avranno pari diritto di voto.
Il giornalista Michael Wolff pubblicherà tra pochi giorni un libro molto atteso sulla famiglia, intitolato “The Fall: The End of Fox News and the Murdoch Dynasty”. Un secondo libro su Murdoch, del giornalista della Cnn Brian Stelter, sarà pubblicato il 14 novembre.
Estratto dell'articolo di Massimo Gaggi per corriere.it il 21 Settembre 2023.
Prima detestato e preso sottogamba, considerato quasi un clown della politica da liquidare con un semplice «fottiamolo», quando Donald Trump , nel 2016, si candidò alla Casa Bianca. Poi appoggiato in un rapporto di convenienza simbiotico: la vecchia ruggine non è mai andata via, ma è stata coperta dai miliardi che la Fox e gli altri giornali e tv del suo impero hanno guadagnato facendo da megafono al presidente populista che ha rischiato di scardinare la democrazia americana.
Ora, arrivato ai titoli di coda della sua straordinaria e controversa carriera, il 92enne Rupert Murdoch, il tycoon che ha avuto più potere nella storia dell’editoria mondiale, è di nuovo scatenato contro l’ex presidente repubblicano che sta tentando di riconquistare la Casa Bianca. La sua è addirittura l’ossessione di un uomo «con la bava alla bocca» che si augura la morte di Trump e, in privato, continua a ripetere «senza di lui tutto questo non sarebbe successo» e «come fa a essere ancora vivo? Avete visto l’aspetto che ha? Quello che mangia?».
I virgolettati vengono da The Fall , (la caduta): il libro col quale, come si legge nel sottotitolo, Michael Wolff descrive «la fine di Fox News e della dinastia Murdoch». […]
Con The Fall Wolff — lo dice lui stesso — mette fine alla sua «ossessione per la balena bianca Murdoch». 15 anni fa Wolff […] il suo racconto della straordinaria avventura editoriale, politica e umana di Murdoch: australiano naturalizzato americano, proprietario di giornali in tutti i continenti […] avventura che Wolff aveva condensato in un libro, The Man Who Owns the News.
Opera che, benché basata su 150 ore di interviste dell’autore a Murdoch, fece infuriare l’editore per il ritratto irriverente che ne venne fuori: uomo di enorme potere ma despota e con una famiglia disfunzionale. Dal libro uscivano male la moglie Wendi e i figli Lachlan e James in lotta fra loro.
Da allora Rupert ha rotto i rapporti col suo biografo e quindi anche le ricostruzioni del nuovo libro vanno prese con qualche cautela: Wolff si è affidato a fonti indirette e a volte nei suoi libri sono state registrate inesattezze. Ma sui Murdoch aveva ragione lui: qualche anno dopo il suo libro, Rupert divorziò da Wendi accusata di tradimento mentre lo scontro tra i due figli impegnati nell’editoria è sfociato nell’abbandono di James di ogni incarico nel gruppo editoriale del quale era stato amministratore delegato.
Insomma, la storia dei Murdoch somiglia davvero a quella del serial televisivo Succession. Wolff ci aggiunge il racconto di come Rupert ha vissuto gli anni in cui la sua Fox ha appoggiato Trump e condiviso le sue menzogne: un editore che detestava i suoi conduttori di maggior successo (ha cacciato Tucker Carlson e ha rischiato di mandar via anche Sean Hannity) e sotto choc per la condanna a versare 787 milioni di dollari alla società Dominion come indennizzo per averla ingiustamente accusata di aver truccato le elezioni: la prima di una serie di cause che potrebbero accelerare il disfacimento di un impero editoriale che Wolff giudica avviato alla sua «fine naturale». […]
(ANSA il 19 aprile 2023) - Rupert Murdoch evita il processo con un accordo in extremis. Fox infatti ha patteggiato con Dominion Voting Systems, evitando così uno show pubblico che avrebbe rischiato di portare sul banco degli imputati il tycoon australiano e molti volti noti del suo network televisivo.
In base all'intesa raggiunta Fox pagherà 787,5 milioni di dollari, hanno detto i legali di Dominion fuori dal tribunale del Delaware dove tutto era pronto per il processo. "Fox ha ammesso di aver detto bugie su Dominion che hanno causato enormi danni alla mia società", ha poi spiegato l'amministratore delegato della società John Poulos, definendo il patteggiamento storico.
Dominion nel 2021 aveva fatto causa a Fox per diffamazione chiedendo danni per 1,6 miliardi di dollari. Al centro del contenzioso le teorie della cospirazione sulle elezioni del 2020 truccate cavalcate da Fox che, in onda, ha definito più volte truccati a favore di Joe Biden i dispositivi di voto di Dominion e ha accusato i dipendenti della società di aver pagato mazzette ai funzionari elettorali.
Alcuni in casa Fox hanno anche detto in diretta che Dominion aveva lavorato in passato per il leader del Venezuela Hugo Chavez. L'intesa è arrivata dopo che l'apertura del processo era slittata di un giorno e i 12 giurati che avrebbero dovuto decidere le sorti dell'azione legale per diffamazione erano stati scelti. In mattinata il giudice aveva dato istruzioni ai giurati e concesso loro una pausa pranzo: i lavori sarebbero dovuti iniziare ufficialmente alle 13.30 ora locale con le arringhe iniziali.
Ma in aula i giurati sono tornati solo alle 16.00, quando il giudice ha annunciato che le "parti avevano risolto il caso". Un annuncio in contemporanea con la chiusura di Wall Street, dove Fox è quotata e dove, nelle contrattazioni after hours perde l'1%. Il patteggiamento riflette l'"impegno ad alti standard di giornalismo. Siamo lieti della decisione di risolvere la disputa con Dominion in modo amichevole, così da consentire al paese di guardare avanti", ha commentato Fox.
Per il network il patteggiamento evita un processo potenzialmente imbarazzante che avrebbe potuto creare difficoltà a Rupert Murdoch e al figlio Lachlan, esponendoli a critiche per la loro supervisione della copertura giornalistica.
Estratto dell’articolo di Enrico Franceschini per “la Repubblica” il 22 marzo 2023.
E cinque. A 92 anni Rupert Murdoch si sposa per la quinta volta. La promessa sposa del magnate dell’editoria mondiale è Ann Lesley Smith, 66enne ex cappellana della polizia Usa. Anche lei ha una certa esperienza in materia: due matrimoni precedenti, entrambi con uomini piuttosto ricchi, anche se non quanto Murdoch, la cui fortuna è stimata in 17 miliardi di dollari. Le nozze avranno luogo in una località non ancora resa nota verso la fine dell’estate.
Il tycoon aveva divorziato lo scorso anno da Jerry Hall, la sua quarta moglie, sposata nel 2016 quando lui aveva 85 anni, ex-modella e a lungo consorte di Mick Jagger, il cantante dei Rolling Stones. [...]
Più noto invece il motivo del divorzio di Murdoch dalla terza moglie, Wendi Deng, una giovane cinese conosciuta nella redazione dei suoi media a Hong Kong e portata all’altare pochi mesi dopo nel 1999: la gelosia suscitata dal fatto che l’ex premier britannico Tony Blair avesse trascorso una notte nel ranch di Murdoch in California, invitato da lei in assenza di lui. Un’indiscrezione che spinse Rupert a lasciarla immediatamente, sebbene non ci siano mai state conferme di una relazione fra Wendi e Blair (il cui matrimonio con l’avvocata ed ex first lady britannica Cherie ha retto alla tempesta scatenata dalla vicenda).
Tra il divorzio con Wendi (dopo quattordici anni di matrimonio e due figli) e le nozze con Jerry sono passati tre anni. Fra il divorzio con Jerry e le nozze annunciate ieri con Ann soltanto un anno e mezzo. [...]
Prima ancora, Murdoch aveva avuto altri due matrimoni, da cui sono nati quattro figli, tra cui quelli che si disputano da anni l’eredità del suo impero di giornali e televisioni [...]
Estratto dell'articolo di Vittorio Sabadin per “il Messaggero” il 17 gennaio 2022.
Rupert Murdoch, l'editore più importante del mondo, compirà 92 anni a marzo ed è di nuovo innamorato. Si è sposato e ha divorziato già per quattro volte, ma evidentemente non sopporta la solitudine e le esperienze del passato non gli hanno insegnato niente.
A novembre, solo due mesi dopo il divorzio da Jerry Hall, ha conosciuto la musicista Ann-Lesley Smith, 66 anni, vedova del cantante country americano Chester Smith, e l'ha invitata per Natale nella sua casa di Mayfair a Londra. Qualche giorno fa, ha rivelato il Daily Mail, la coppia si trovava in vacanza a Barbados. [...]
[…] I due non hanno fatto nulla per nascondere il loro legame, che probabilmente diventerà presto ufficiale. Ann-Lesley indossava un bikini giallo coperto da un sarong e portava al collo una collanina con qualche diamante e un crocefisso, perché è molto religiosa.
In un'intervista rilasciata tempo fa aveva detto di avere vissuto nel peccato della convivenza con un uomo per lungo tempo, ma di avere poi «incontrato Dio» che le indicò la via per diventare un cappellano della polizia volontario nella contea di Marin, in California. «Da quando ho cominciato a camminare con Dio ha aggiunto le cose del mondo mi sono sembrate prive di senso». […]
Murdoch si è sposato la prima volta a 25 anni con Patricia Booker, un'assistente di volo, che ha lasciato 11 anni dopo. È poi arrivata Anna Torv, una giornalista che è rimasta con lui per 31 anni, scalzata solo dalla prorompente irruzione sulla scena di Wendi Deng, una ragazza cinese di 38 anni più giovane, nata come Confucio in uno sperduto paesino dello Shandong.
Dopo il divorzio nel 2013, lo stesso Wall Street Journal ha avanzato il sospetto che Wendi fosse una spia della Cina, addestrata a entrare nelle confidenze delle persone che contano: tra le altre anche Ivanka Trump, Nicole Kidman e Bono.
Si disse pure che era diventata l'amante di Tony Blair, che avrebbe clandestinamente incontrato proprio nelle abitazioni di Murdoch […] All'epoca il Daily Telegraph diede per certa la relazione, che metteva in grande imbarazzo Blair non solo perché era anche lui sposato, ma anche perché era molto amico di Murdoch ed era stato padrino di una delle sue figlie. […]
Fox News, processo e succession(e): la resa dei conti di Rupert Murdoch. Massimo Gaggi su Il Corriere della Sera il 18 Aprile 2023
La causa da 1,6 miliardi intentata da Dominion contro «Fox News» per le bugie sui brogli elettorali di Trump è considerata dai giuristi il più importante procedimento sulla libertà d’informazione del Ventunesimo secolo. Durerà sei settimane e si aprirà proprio con la testimonianza di Murdoch, 92 anni, che ha appena annullato il fidanzamento. Intanto i figli si lanciano accuse, fra cui quella di suggerire battute ai produttori della serie «Succession»
Un anno tempestoso, l’ultimo, per Rupert Murdoch: il divorzio da Jerry Hall (liquidata con una mail: «abbiamo passato dei bei momenti insieme ma adesso ho altro da fare»), il fidanzamento con Ann Lesley Smith rotto dopo appena due settimane, la sua Fox News trascinata in tribunale dalla Dominion, un produttore di macchine per scrutini elettorali che chiede 1,6 miliardi di dollari di indennizzo per i danni arrecati alla sua reputazione e i contratti persi a causa delle calunnie (voto delle presidenziali 2020 truccato manipolando i sistemi informatici) delle quali si è fatta megafono la rete ultraconservatrice dell’editore venuto dall’Australia.
La famiglia è sempre più spaccata anche per colpa del patriarca: per molto tempo ha alimentato le rivalità tra i figli, convinto che il suo successore dovesse venir fuori da una feroce selezione darwiniana. James, ormai non più al timone dell’azienda di famiglia, esprime apertamente il suo sdegno per una linea editoriale che definisce un attentato alla democrazia e ha disertato la festa di compleanno del padre. Intanto suo fratello Lachlan, ora al timone di Fox Corp, la holding di controllo, lo accusa di raccontare agli autori di Succession discussioni accese, scontri, retroscena familiari che poi finiscono puntualmente nella sceneggiatura del serial televisivo ispirato proprio ai Murdoch.
In questo clima avvelenato, al 92enne Rupert è stato recapitato proprio la domenica di Pasqua un uovo fatto di cioccolato amarissimo: incalzati dai legali della Dominion che sono riusciti a scovare i relativi documenti, gli avvocati di Murdoch hanno dovuto ammettere che il fondatore di un impero editoriale esteso su tre continenti non ha in Fox News cariche solo onorifiche, come avevano sempre sostenuto davanti al giudice per mettere il loro cliente al riparo da citazioni e chiamate di correità, ma èaddirittura presidente esecutivo della società: così è registrato dal 2019 presso la Sec, l’authority che vigila sulle borse Usa.
La cosa ha fatto infuriare Eric Davies, il giudice che presiederà il processo che inizia martedì — dopo il rinvio di un giorno, in un estremo tentativo di trovare un accordo dell’ultimo minuto — in Delaware: durante l’istruttoria ha ascoltato ben 75 testimoni, compresi i Murdoch, ma non è andato a fondo con loro proprio perché non sembravano aver avuto un ruolo diretto nella vicenda Dominion. Ora Davies che, selezionata nei giorni scorsi la giuria, martedì aprirà il processo contro la Fox chiamando subito alla sbarra Rupert, subito dopo un giurista che illustrerà i limiti del Primo emendamento della Costituzione americana, quello che garantisce piena libertà di espressione. Poi toccherà a Lachlan.
LA SFILATA DELLE STAR DEL NETWORK
Sarà un processo di sei settimane molto spettacolare: oltre ai Murdoch verranno chiamati a testimoniare esponenti politici e avvocati di Trump che hanno costruito e diffuso la tesi della truffa elettronica e tutti i più popolari conduttori televisivi della destra, da Tucker Carlson a Sean Hannity, a Maria Bartiromo, che hanno ripreso e accreditato questa teoria cospirativa pur sapendo che non aveva fondamento, come hanno scritto loro stessi in email e messaggi che la Dominion ha recuperato e portato come prova della sua innocenza.
Processo spettacolare ma anche anomalo. I giuristi sono sorpresi, casi simili vengono risolti quasi sempre con una transazione prima del processo: quando le prove sono schiaccianti è interesse degli imputati evitare la condanna. Nel caso Dominion, le prove contro Fox sono talmente solide che il giudice ha già sentenziato che la rete televisiva ha diffuso notizie false: il processo serve solo a far stabilire dai giurati se la Fox ha agito con «actual malice», cioè vera e propria malafede. Ma la chiave è proprio qui, perché per la legge americana chi pubblica il falso può essere condannato solo se si dimostra che lo ha fatto di proposito per danneggiare qualcuno.
E provare la malafede della stampa è molto difficile: non è successo quasi mai nei 60 anni che ci separano dalla storica sentenza New York Times v. Sullivan del 1964, nella quale la Corte Suprema degli Stati Uniti riconobbe all’unanimità che il quotidiano non era punibile perché, pur avendo pubblicato (in una pagina di pubblicità) notizie su eccessi della polizia di Montgomery, in Alabama, contro il movimento per i diritti civili degli afroamericani che si erano rivelate false, non aveva agito in malafede.Meritava, quindi, la protezione del Primo emendamento della Costituzione americana, quello che garantisce l’assoluta libertà d’espressione.
E I GRANDI MEDIA STANNO A GUARDARE
Questo è il motivo per cui il processo Dominion v. Fox, oltre che spettacolare e anomalo, è considerato dai giuristi anche il più importante procedimento sulla libertà d’informazione del Ventunesimo secolo. La stessa stampa della sinistra liberal è combattuta: da un lato vorrebbe veder stabilito una volta per tutte che i loro rivali delle reti di estrema destra non hanno semplicemente sostenuto tesi molto diverse dalle loro, ma hanno consapevolmente avvelenato la democrazia americana. Dall’altra temono che, sotto il peso di prove schiaccianti, venga emessa una condanna destinata a diventare un precedente che un domani potrà essere usato anche contro la stampa progressista: la caduta di una diga giuridica che protegge i giornalisti da oltre mezzo secolo. Ieri il New York Times ha pubblicato un editoriale scritto da un giurista dal titolo: «Provare che la Fox è colpevole sarà molto difficile, ed è bene che sia così».
Di certo, comunque, i materiali per provare la malafede della Fox non mancano: dalle conversazioni nelle quali gli stessi conduttori delle trasmissioni riconoscevano l’infondatezza delle notizie sulle «elezioni rubate» che loro stessi diffondevano, arrivando fino a mettere in dubbio la sanità di mente di Sidney Powell, avvocato di Trump e principale architetto di teorie cospirative costruite a tavolino, alle testimonianze degli stessi Murdoch. Lachlan, disposto a diffondere le teorie cospirative di Trump temendo, in caso contrario, di veder crollare gli indici d’ascolto, visto che il pubblico della Fox è composto in gran parte di fedelissimi di «The Donald». E Rupert che chiede a Suzanne Scott, amministratore delegato della sua rete televisiva, di far dichiarare dai conduttori delle trasmissioni che le elezioni sono finite e ha vinto Biden. Sentendosi rispondere dalla Scott: «In privato siamo tutti d’accordo su questo, ma dobbiamo stare attenti a non metterci contro i nostri telespettatori». In una testimonianza durante l’istruttoria, Rupert ha riconosciuto di aver accettato questa tesi: «Avrei potuto bloccare i nostri conduttori ma non l’ho fatto».
IL MEGAFONO DELLA DESTRA
In fondo il processo Dominion, che sarà essenziale per la libertà d’informazione negli Usa, si riduce a questo: fino a che punto la libertà assoluta d’informare si estende a tesi cospirative, a informazioni false, addirittura a calunnie. Fino a che punto ragioni di business — il timore di perdere spettatori che dalla Fox si stavano già trasferendo su reti ancor più radicali come Newsmax — giustificano forzature o, addirittura, un travisamento consapevole della realtà. Una condanna della Fox sarebbe una mazzata pesantissima per il principale megafono della destra che potrebbe veder messa in discussione la sua stessa esistenza. E la condanna potrebbe innescare raffiche di denunce anche contro i media della sinistra.
L’assoluzione suonerebbe come una sorta di certificazione del diritto alla calunnia: anche questo uno scenario inquietante per il mondo dell’informazione e la sua credibilità. Basti pensare che ancor oggi, con la falsità delle accuse già sancita dal tribunale e i fari accesi del processo, molti esponenti trumpiani come l’industriale Mike Lindell continuano a sostenere che Dominion ha truccato le elezioni, convinti di essere protetti dal Primo emendamento.
Sentimenti contrastati che non sembrano toccare il giudice Davis: ha già certificato i falsi della Fox ed è furioso perché i suoi avvocati gli hanno mentito su Murdoch. E ha respinto, addirittura con sarcasmo, il loro ultimo tentativo di evitare la convocazione di Rupert in tribunale a causa della fragile salute di un 92enne: «Ma come, poche settimane fa, annunciando il suo fidanzamento, non aveva detto che cominciava la sua seconda vita nella quale si sarebbe spostato continuamente tra le sue residente di New York, Londra, Los Angeles e il ranch nel Montana?».
Estratto dell'articolo di Claudia de Lillo per “la Repubblica – Affari & Finanza” il 23 aprile 2023.
Digitando il suo nome nella libreria di Amazon, risulta autrice di due articoli in vendita: un cofanetto in cinque volumi intitolato “Uno sguardo sulla Bibbia (capirsi meglio tra Ebrei e Cattolici)” e un saggio divulgativo sull’udito.
La sua produzione contempla anche un testo sugli dei dell’Antica Grecia. Perché Françoise Bettencourt Meyers, nipote del fondatore de L’Oréal e sua unica erede, ha provato ad affrancarsi da un destino scritto prima ancora di nascere e da una famiglia ingombrante, ma il suo patrimonio (attualmente stimato a 82 miliardi) sta lì a ricordarle chi è e a incoronarla, anche quest’anno, la donna più ricca del pianeta, l’undicesima persona nella classifica generale di Forbes.
Suo nonno materno si chiamava Eugène Schueller e faceva il chimico. Sviluppò una ricetta per la tintura dei capelli che vendeva ai parrucchieri parigini. Nel luglio 1919 registrò la sua impresa chiamandola “Società francese di tinture per capelli inoffensive”, ribattezzata poi, per amore di brevità e di marketing, L’Oréal, oggi leader mondiale nella cosmetica, cui fanno capo 35 marchi tra cui Maybelline, Lancôme, Garnier, Urban Decay e Khiel’s.
[…]
Figlia unica, Françoise Bettencourt è nata il 10 luglio del 1953 a Neuilly-sur-Seine, a Ovest di Parigi, ma è cresciuta sulla costa bretone dove, bambina introversa e contemplativa, ha coltivato l’amore per la letteratura, la storia e la musica («È il mio ossigeno. Quando inizio la giornata suonando Bach mi sento meglio», dichiarerà anni dopo). […]
A casa non si parlava di soldi. «A partire da una certa cifra le persone deragliano» diceva sua madre a cui la piccola Françoise era legatissima tanto da essere stata ribattezzata «la cozza aggrappata allo scoglio».
Suo padre, André Bettencourt, politico e vicepresidente de L’Oréal, negli anni 40 scrisse testi antisemiti per la stampa tedesca, poi, per redenzione o convenienza, si convertì unendosi alla resistenza francese. Agli eventi glamour a cui partecipavano i genitori, Françoise preferiva la lettura e il pianoforte. Sua madre, sfrenata donna di mondo, la considerava «una bambina fredda».
[…] Come sua madre, entrata in azienda a 15 anni da apprendista, anche Françoise, tra gli studi musicali e la carriera universitaria, ha fatto uno stage a L’Oréal, di cui oggi è consigliera e azionista con il 33% del capitale.
«Ma, più di me, è stato mio marito Jean-Pierre a interessarsi veramente alla società, su richiesta di mio padre», racconta. In discontinuità con lo strisciante antisemitismo familiare, Françoise nel 1984 ha sposato Jean-Pierre Meyers, ebreo praticante, nipote di un rabbino morto ad Auschwitz, oggi a capo di Théthys, holding della famiglia Bettencourt. «Forse i miei genitori avrebbero preferito che sposassi un cattolico, ma la mia felicità era la loro e la religione non è mai stata un problema».
Nel 2007 la morte di André Bettencourt, marito e padre molto amato, ha rotto il delicato equilibrio dei rapporti tra la madre e la figlia che, nel dicembre dello stesso anno, ha avviato una feroce causa legale contro il fotografo François-Marie Barnier, accusato di circonvenzione di incapace ai danni di Liliane, affetta da demenza.
In quello che fu ribattezzato l’affaire Bettencourt, Barnier avrebbe usato «il suo amore platonico» con madame Bettencourt, incontrata nel 1987 per un servizio fotografico, per manipolarla, sottraendole, in vent’anni, soldi, opere d’arte e immobili per un miliardo di euro. […]
Il caso in cui, secondo le parole di un avvocato, «la madre massacrò la figlia e la figlia massacrò la madre», si protrasse per anni ed espose al pubblico i segreti oscuri della famiglia Bettencourt, scatenò le speculazioni di un takeover su L’Oréal e coinvolse anche l’ex presidente Sarkozy in quello che fu ribattezzato il Watergate francese. Barnier nel 2015 fu condannato in primo grado insieme ad altri sette per circonvenzione di incapace e condannato al carcere e a una multa milionaria.
Ci fu una sentenza d’appello a lui più favorevole e nel 2017 firmò con Françoise un accordo segreto in cui rinunciavano a tutte le cause pendenti. Liliane Bettencourt nel 2011 fu dichiarata affetta da demenza degenerativa e da problemi cognitivi evidenti e fu affidata alla tutela della figlia, un destino che aveva a lungo temuto. Visse nella sua sontuosa residenza a Neuilly-sur-Seine, isolata, fino alla morte, a 94 anni, nel 2017, quando Françoise ereditò la sua fortuna.
Oggi la donna più ricca del mondo vive a Parigi, in un appartamento con due pianoforti a coda ma senza altri sfarzi. Non indossa gioielli ma un paio di grandi occhialoni scuri. È presidente della Fondazione Bettencourt Schueller per il progresso nelle scienze e nelle arti, si occupa di sordità e dei tabù intorno a essa. Siede del Cda de L’Oréal insieme ai suoi due figli, Jean-Victor e Nicolas Meyers […]
La francese Lvmh di Bernard Arnault, prima società in Europa a superare i 500 miliardi di dollari di capitalizzazione. Redazione CdG 1947 su Il Corriere della Sera il 26 Aprile 2023
A livello mondiale la società è undicesima in classifica per valore di Borsa. I titoli hanno reso il 242% in cinque anni. Secondo i calcoli della rivista FORBES , il presidente del gruppo Lvmh nelle scorse settimane aveva un patrimonio personale di circa 211 miliardi di dollari,
Lvmh gruppo specializzato nella moda e nel lusso è diventata la prima società europea a superare la soglia di 500 miliardi di dollari di capitalizzazione di Borsa a distanza di meno di due settimane dal suo ingresso nella classifica delle 10 più grandi società al mondo, grazie al rialzo odierno delle azioni, che hanno aggiornato nuovi massimi storici sopra i 905 euro. Dallo scorso 15 marzo, i titoli hanno inanellato un rialzo dietro l’altro, guadagnando complessivamente il 16% e allungando il passo dopo il 12 aprile, giorno in cui il gruppo ha annunciato l’andamento dei ricavi del primo trimestre, nettamente superiore alle attese degli analisti: sono infatti aumentati del 17% a oltre 21 miliardi di euro.
L’imprenditore francese Bernard Arnault, sta diventando sempre più ricco detiene con la sua famiglia il 48,2% del capitale di LVMH . Che Arnault fosse l’uomo più liquido del mondo si sapeva già dallo scorso 2 febbraio, quando il magazine americano Forbes ha pubblicato la classifica dei miliardari nel mondo. A sorpresa era infatti emerso il sorpasso dell’imprenditore francese sui ricconi americani, complice la frenata delle azioni tecnologiche penalizzate dal rialzo del tassi. Secondo i calcoli della rivista, il presidente del gruppo Lvmh nelle scorse settimane aveva un patrimonio personale di circa 211 miliardi di dollari, superiore a quello di Elon Musk, secondo in classifica con 180 miliardi di dollari, e quasi il doppio rispetto al terzo in classifica, Jeff Bezos, il fondatore di Amazon, con una ricchezza stimata attorno ai 107 miliardi.
Fatto sta che dall’indagine di Forbes il patrimonio di Bernard Arnault è ulteriormente lievitato, considerando l’andamento in Borsa delle azioni di Lvmh, che oggi hanno aggiornato nuovi massimi storici. Considerando che la famiglia Arnault possiede il 48% circa del capitale azionario di Lvmh, numeri alla mano significa che la quota degli Arnault vale oltre 218 miliardi e che solamente da inizio anno a oggi il loro patrimonio si è rivalutato della bellezza di oltre 52 miliardi di euro. Da inizio febbraio, quando è uscito l’articolo di Forbes, le azioni Lvmh sono passate da circa 809 euro a agli odierni 905 euro, spingendo nel giro di poche settimane il patrimonio della famiglia francese di oltre 24 miliardi.
L’ascesa delle quotazioni in Borsa cementa la posizione di Bernard Arnault quale uomo più ricco del mondo, con un patrimonio che Bloomberg stima in 212 miliardi di dollari. Al superamento della soglia dei 500 miliardi di dollari, ricorda Bloomberg, contribuisce anche il rafforzamento dell’euro, che scambia a 1,1 sul biglietto verde consentendo ai 454 miliardi di euro di capitalizzazione del gruppo francese di tradursi in 500 miliardi di dollari. Redazione CdG 1947
L’avventura di Elisabeth Holmes finisce in carcere: la fama e la truffa. Massimo Gaggi su Il Corriere della Sera il 18 Maggio 2023
Doveva essere la Steve Jobs della Sanità: dieci anni fa aveva 4 miliardi di dollari e un’azienda che prometteva una rivoluzione nella diagnostica. Nei prossimi giorni va in carcere: condannata a 11 anni
Dieci anni fa Elizabeth Holmes era sulle copertine di tutti i magazine americani, acclamata da Forbes come la più giovane miliardaria «self made woman» con un patrimonio personale stimato 4 miliardi di dollari.
Con lei anche Kissinger
Fondatrice e capo di un’azienda, la Theranos, che stava rivoluzionando il modo di fare test clinici sul sangue. E nella quale la Holmes era riuscita a creare il consiglio d’amministrazione più blasonato d’America: due ex segretari di Stato (Henry Kissinger e George Schultz), due ex ministri della Difesa (Jim Mattis e William Perry) e poi ancora industriali, banchieri ed ex senatori. Mentre tra i finanziatori che avevano pompato quasi un miliardo di dollari nelle casse di Theranos figuravano big del capitalismo americano come Rupert Murdoch, Larry Ellison di Oracle, le famiglie dei miliardari Cox, Walton (quelli di Wal mart) e DeVos.
Richiesta respinta
Oggi, con la sua azienda svanita nel nulla e lei condannata a oltre 11 anni di carcere per frode nel processo del 2021, Holmes ha perso la sua ultima battaglia per cercare di evitare, o almeno di rinviare, la detenzione: la sua richiesta di restare in libertà fino a quando non verrà valutata la richiesta di revisione del processo, formulata dai suoi avvocati, è stata respinta dalla Corte d’Appello.
Subito dopo Edward Davila, il giudice che ha presieduto il tribunale che l’ha condannata, le ha ordinato di consegnarsi per iniziare la sua vita da detenuta entro il 30 maggio. Nelle stesse ore Elizabeth si è vista piovere addosso anche la condanna a risarcire gli investitori frodati restituendo loro 452 milioni (denaro che, ovviamente, non ha). Maggior creditore, Rupert Murdoch: solo lui dovrebbe avere 125 milioni.
I cattivi consiglieri e la figlia Invicta
Holmes le ha tentate tutte per non finire dietro le sbarre: ha ammesso le sue colpe cercando di derubricarle a errori. Ha attribuito le frodi a cattivi consiglieri, si è presentata come una giovanissima imprenditrice plagiata (e anche brutalizzata) dal suo partner nella vita e in azienda Ramesh Balwani (già in carcere, condannato in un processo separato a 13 anni). Secondo molti anche la decisione di avere figli col suo nuovo partner ha a che fare coi tentativi di evitare il carcere: William è nato mentre Liz, da tempo incriminata, stava andando a processo. E la seconda figlia, Invicta, è venuta alla luce tre mesi fa con la madre già condannata a una lunga detenzione.
Nei tanti film, documentari e podcast che sono stati dedicati alla sua vicenda, alcuni autori avevano previsto un tentativo di intenerire i giudici con la maternità. E pochi giorni fa, dopo un lungo silenzio, la Holmes si è fatta intervistare dal New York Times mentre portava i figli allo zoo di San Diego, facendosi ritrarre coi bimbi in braccio. In mezzo, qualche mese fa, dopo la condanna, lo strano acquisto del biglietto per un volo di sola andata verso il Messico. Scoperto il tentativo di lasciare il Paese, la Holmes ha rinunciato al viaggio e ha ridotto la questione a un equivoco. Il tribunale l’ha severamente redarguita, ma non ha considerato quell’acquisto un tentativo di fuga.
Estratto dell’articolo di Sara Bennewitz per repubblica.it Il 6 marzo 2023.
Cresce il numero delle miliardarie nel mondo, e sale l'Italia nelle classifiche globali. Per la prima volta il Belpaese è in quarta posizione, con 16 donne imprenditrici con una fortuna superiore al miliardo di dollari, la metà di quelle che vivono in Germania (32), poco più di un terzo di quelle che abitano in Cina (46) e circa un sesto rispetto agli Stati Uniti, che con 92 donne oltre un miliardo di dollari si confermano in testa alla classifica. Questi dati, elaborati e aggiornati a fine febbraio, dall'International Women's Day Study, basandosi anche sulle classifiche di Forbes.
[…] Tra le italiane la prima in classifica è Massimiliana Landini Aleotti (56 posizione con 6,57 miliardi) delle industrie farmaceutiche Menarini, segue Miuccia Prada (5,24 miliardi di patrimonio) in settantesima posizione e Alessandria Garavoglia (108 posto con 3,4 miliardi) della famiglia che controlla Campari, poi Giuliana Benetton (113 posto con una ricchezza di 3,19 miliardi) dell'omonimo gruppo veneto. S subito dopo Isabella Seragnoli (114 posto con 318) con il packaging della Coesia, e Susan Carol Holland (2,81 in 131 posizione) azionista di controllo di Amplifon.
Ferrero, Armani ma anche Crippa e Denegri: chi sono i nuovi miliardari italiani, la classifica completa. Alessia Conzonato su Il Corriere della Sera il 25 Dicembre 2022.
La classifica mondiale dei «paperoni» di Forbes
Rispetto ai primi mesi del 2022, la situazione patrimoniale delle persone più ricche in Italia, rispetto alla classifica generale mondiale di Forbes, è radicalmente cambiata. Su un totale di 2.668 super miliardari, gli italiani in classifica sono 51, all’incirca la stessa quantità di inizio anno. I veri cambiamenti, però, si notano soprattutto nei patrimoni dei «paperoni» nazionali, che per lo più sono scesi forse per l’effetto dell’inflazione, della crisi energetica e di tutte le conseguenze socio-economiche legate al conflitto in Ucraina. Il calo di ricchezza ha portato a un vero e proprio capovolgimento delle posizioni. A partire dal podio globale: Elon Musk, ceo di Tesla e di recente nuovo proprietario di Twitter, ha ceduto il primo posto a Bernard Arnault, chairman e ceo di Lvmh, con un patrimonio pari a 180,5 miliardi di dollari. Musk si trova esattamente dietro, in seconda posizione, accumulando una ricchezza personale di 162,9 miliardi di dollari. Al terzo posto, a sorpresa, non si trova Jeff Bezos (che, invece, scende al quarto con 109,6 miliardi di dollari) ma Gautam Adani, chairman del gruppo Adani, società per il commercio di materie prime.
Nella classifica degli uomini e delle donne italiani più ricchi rimane stabile al primo posto Giovanni Ferrero, amministratore unico dell’industria dolciaria di famiglia Ferrero, nonostante abbia perso circa 10 posizioni. Al secondo posto si attesta lo stilista Giorgio Armani (anche se con un netto calo di patrimonio), mentre al terzo si trova il leader di Forza Italia, Silvio Berlusconi.
Vediamo chi sono gli altri italiani presenti nella classifica mondiale di Forbes.
Giovanni Ferrero (Nutella)
L’italiano più ricco in assoluto è Giovanni Ferrero, classe 1964, dal 2011 è amministratore unico dell’industria dolciaria di famiglia Ferrero, la casa della Nutella e di molti altri marchi di dolciumi nel mondo intero. Il gruppo piemontese di Alba è nato da una piccola pasticceria che deve il suo successo storico e mondiale all’intuizione di utilizzare la pasta di nocciole come succedaneo del cacao, che in tempi di guerra scarseggiava. Rispetto alla classifica annunciata da Forbes a inizio anno, Ferrero ha guadagnato 10 posizioni, passando dalla 40esima alla 30esima. Il suo patrimonio è stato valutato a 35,3 miliardi di dollari.
Giorgio Armani (gruppo Armani)
Nell’elenco mondiale dei paperoni, prima di trovare un altro italiano si deve scendere di oltre 300 posizioni. Il secondo è Giorgio Armani, noto stilista e fondatore dell’omonimo gruppo di moda. Già a fine 2021 il suo patrimonio era calato a 7,7 miliardi di dollari (dagli 8,9 del 2020). A fine 2022, la sua ricchezza è pari a 6,6 miliardi, con cui si aggiudica la posizione 356 nella classifica di Forbes (rispetto alla 323esima dell’inizio dell’anno).
Silvio Berlusconi (Mediaset)
Al terzo posto italiano si trova Silvio Berlusconi, leader di Forza Italia e a lungo numero uno di Mediaset e Mondadori. Il suo patrimonio era cresciuto a 7,6 miliardi di dollari (rispetto ai 5,3 di due anni fa), per scendere nuovamente e attestarsi a 6,5 miliardi. Motivo per cui nella lista dei «paperoni» del mondo di Forbes ha perso alcune posizioni rispetto a inizio 2022, passando dalla 327esima alla 385esima.
Massimiliana Landini Aleotti (Menarini)
Massimiliana Landini Aleotti, proprietaria dell’azienda farmaceutica Menarini, mantiene la quarta posizione tra i più ricchi in Italia oltre al ruolo della prima donna nella classifica. Però, rispetto ai dati raccolti da Forbes, il suo patrimonio è vertiginosamente crollato: a inizio anno era stato registrato a 9,4 miliardi di dollari (in crescita rispetto ai 6,6 del 2020), occupando la 256esima posizione tra i «paperoni» del mondo, mentre a fine 2022 con una ricchezza di 5,3 miliardi di dollari scenda alla posizione 479.
Piero Ferrari (Ferrari e Ferretti)
Quinto posto per Piero Ferrari, figlio di Enzo, vice presidente e proprietario del 10,2% dell’azienda fondata dal padre, nonché presidente del gruppo Ferretti, colosso degli yacht di super lusso. Il suo patrimonio è leggermente sceso da 5,5 a 4,8 miliardi di dollari, ma salendo di posizione da 705 a 558 nella classifica mondiale di Forbes.
Patrizio Bertelli e Miuccia Prada
Patrizio Bertelli, co-ceo dell’impero della moda di Prada insieme alla moglie Miuccia Prada (il cui nonno fondò l’azienda nel 1913) è il sesto tra le persone più ricche in Italia e occupa la posizione 601 nell’elenco mondiale. Due posizioni più in basso, quindi alla 603 - e alla settima italiana, si trova proprio la moglie Miuccia. I due hanno un patrimonio di 4,5 miliardi di dollari ciascuno.
Sergio Stevanato (Stevanato fiale di vetro)
Sergio Stevanato è uno delle new entry italiana per il 2022 nella classifica dei nomi più ricchi. È il presidente del gruppo Stevanato che si è quotata a Wall Street ed è uno dei principali produttori mondiali di fiale di vetro per medicinali (anche e sopratutto quelle utilizzate per i vaccini, che negli ultimi due anni hanno, chiaramente, fatto registrare un boom di richieste). A inizio anno il suo patrimonio era di 1,9 miliardi di dollari ed era il 29esimo italiano. A fine 2022, è salito fino a 4,4 miliardi diventando ottavo in Italia e 626esimo al mondo.
Giuseppe De’Longhi (De’Longhi)
Al nono posto nella classifica degli uomini più ricchi in Italia, e alla posizione 683 nel mondo, si trova Giuseppe De’Longhi, presidente dell’omonima società De’Longhi, che produce elettrodomestici per la casa, termoventilatori, condizionatori e macchinette da caffè. Avviata nel 1902, oggi il suo fatturato si aggira intorno ai 2 miliardi di dollari all’anno e i suoi prodotti sono venduti in oltre 100 Paesi. Fabio De’Longhi, figlio di Giuseppe, è l’amministratore delegato. Secondo Forbes, il patrimonio personale di Giuseppe De’Longhi si attesta intorno ai 4 milioni di dollari.
Augusto e Giorgio Perfetti (Golia)
A chiudere la top 10 italiana si trovano i fratelli Augusto e Giorgio Perfetti (con 3,9 miliardi di dollari di patrimonio). Proprietari di Perfetti Van Melle, il gigante italo-olandese delle caramelle che controlla marchi celebri come Mentos, Chupa Chups e Golia. Il gruppo ha fatturato nel 2019 più di 2,65 miliardi di euro. Augusto e Giorgio hanno ereditato dal padre Ambrogio e dallo zio Egidio l’impresa dolciaria di Lainate (alle porte di Milano). Inizialmente l’azienda produceva esclusivamente chewing gum, di cui oggi controlla i principali brand come Brooklyn, Vigorsol e Happydent. Nel 2001 i due fratelli hanno acquisito la compagnia olandese Van Melle, mentre alcuni anni dopo - nel 2006 - hanno concluso l’acquisizione anche della spagnola Chupa Chups. Da anni Augusto e Giorgio vivono in Svizzera e non sono più coinvolti nella gestione diretta del gruppo, ma la loro ricchezza gli fa guadagnare la posizione 704 nella classifica di Forbes.
Luca Garavoglia (Campari)
Undicesima posizione italiana (ma a pari ricchezza dei fratelli Perfetti) e 719esima nel mondo tra i «paperoni» per Luca Garavoglia, presidente di Campari. L’azienda nel 2020 ha registrato un fatturato di 1,8 miliardi di euro, dovuto al successo mondiale e crescente degli aperitivi e dello «Spritz», mentre il suo patrimonio personale si attesta, secondo Forbes, a 3,9 miliardi di dollari.
Giuseppe Crippa (Technoprobe)
A seguire, posizione numero 12 in Italia e 746 nel mondo, si trova Giuseppe Crippa, fondatore Technoprobe, azienda leader nella produzione di semiconduttori e dispositivi di microelettronica, di recente quotata in Borsa il 15 febbraio scorso. Insieme al figlio Cristiano, ha avviato l’impresa nel 1989 mentre ancora era impiegato a STMicroelectronics e si occupava di realizzare sonde destinate al mercato delle probe cards, le schede sonda utilizzate per il test dei chip (allora tecnologicamente molto acerbe e prodotte solo negli Stati Uniti). Ben presto l’attività si è intensificata e sei anni dopo è stata formalmente costituita l’azienda Technoprobe S.r.l. Il suo patrimonio ha un valore di 3,7 miliardi di dollari.
Gustavo Denegri
Gustavo Denegri, presidente di DiaSorin, biotech che produce kit di reagenti molto utilizzati nei due anni della pandemia Covid, a fine 2022 registra un patrimonio di 3,7 miliardi di dollari, decisamente meno rispetto ai 5,4 miliardi di inizio anno. Scende in 13esima posizione in Italia, rispetto alla nona di gennaio, mentre nel mondo si attesta il 761esimo tra i super-ricchi.
Francesco Gaetano Caltagirone
Francesco Gaetano Caltagirone, rispetto allo scorso aprile, perde tre posizioni e si attesta il 14esimo uomo più ricco in Italia e occupa la posizione 801 nel mondo. È presidente dell’omonima holding Caltagirone, che ha interessi nei settori immobiliare, delle costruzioni, del cemento, della finanza e dell’editoria. Nel 1999, dopo aver acquistato diversi giornali, ha creato il gruppo di media Caltagirone Editore, sesto editore di giornali in Italia. La maggior parte della sua ricchezza oggi è costituita dalle partecipazioni in due società quotate, la compagnia assicurativa Assicurazioni Generali e il colosso del cemento Cementir, e si attesta a 3,5 miliardi di dollari.
Le altre posizioni
Gli italiani nella classifica mondiale non sono finiti qua, vediamo chi si attesta nelle altre posizioni. Vediamo chi sono gli altri.
15) Alessandra Garavoglia - 3,2 miliardi di dollari
Consigliere di amministrazione del gruppo Campari; 890esima nel mondo
16) Paolo e Gianfelice Mario Rocca - 3,2 miliardi di dollari
A capo del gruppo Techint, multinazionale che comprende 100 società operativo nel mondo dell’impiantistica, siderurgia, ingegneria e sanità; 913 nel mondo
17) Giuliana Benetton - 3 miliardi di dollari
Insieme ai tre fratelli Luciano, Gilberto e Carlo ah fondato l’azienda tessile Benetton nel 1965; 952esima nella classifica mondiale
18) Luciano Benetton- 3 miliardi di dollari
Occupa la posizione 954 nel mondo
19) Remo Ruffini - 2,9 miliardi di dollari
Amministratore delegato del gruppo di moda di lusso Moncler; 993esimo nel mondo
20) Brunello Cucinelli - 2,8 miliardi di dollari
Stilista e fondatore del suo brand Brunello Cucinelli; posizione 1.030 nel mondo
21) Susan Carol Holland - 2,8 miliardi di dollari
Presidente del gruppo Amplifon; posizione 1.057 nel mondo
22) Renzo Rosso - 2,7 miliardi di dollari
Stilista e fondatore dell’azienda di abbigliamento Diesel; posizione 1.066 nel mondo
23) Isabella Seragnoli - 2,7 miliardi di dollari
A capo di Coesia, leader globale nelle soluzioni industriali e di packaging; posizione 1.097 nel mondo
24) Alberto Bombassei - 2,2 miliardi di dollari
Presidente del consiglio di amministrazione del gruppo Brembo; 1.321 nel mondo
25) John Elkann - 2 miliardi di dollari
Amministratore delegato di Exor; posizione 1.452 nel mondo
26) Maria Franca Fissolo - 2 miliardi di dollari
Vedova di Michele Ferrero e proprietaria di Ferrero spa; 1.491 nel mondo
27) Nicola Bulgari - 21,9 miliardi di dollari
Vice presidente del marchio di lusso Bulgari, fondato dal suo bisnonno; 1.497 nel mondo
28) Alberto e Marina Prada - 1,9 miliardi di dollari
I due fratelli hanno ereditato, insieme alla sorella Miuccia, alcune quote di Prada, azienda della moda fondata dal nonno nel 1913
29) Mario Moretti Polegato - 1,7 miliardi di dollari
Fondatore dell’azienda di calzature Geox; posizione 1.677 nella classifica mondiale
30) Massimo Moratti - 1,6 miliardi di dollari
Presidente di Saras, ex presidente dell’Inter; posizione numero 1.781 al mondo
31) Paolo Bulgari - 1,5 miliardi di dollari
Presidente di Bulgari; posizione 1.853 nel mondo
32) Federico De Nora - 1,5 miliardi di dollari
Presidente di Federico De Nora spa; posizione 1.888 nella classifica globale
33) Giuliana e Marina Caprotti - 1,5 miliardi di dollari
Moglie e figlia del patron di Esselunga, Bernardo Caprotti; posizione 1.897 nel mondo
34) Lina Tombolato - 1,5 miliardi di dollari
Vedova di Ennio Doris; posizione 1.914 nella classifica mondiale
35) Nerio Alessandri - 1,4 miliardi di dollari
Presidente di Technogym; posizione numero 1.940 al mondo
36) Romano Minozzi - 1,4 miliardi di dollari
Fondatore, presidente e ceo del gruppo Iris Ceramica; posizione 1.952 nel mondo
37) Antonio Percassi - 1,4 miliardi di dollari
A capo della holding Odissea srl e presidente dell’Atalanta; posizione 1.985 al mondo
38) Barbara Benetton - 1,4 miliardi di dollari
Figlia di Gilberto Benetton, fondatore dell’omonimo gruppo; 1.988esima posizione nella classifica mondiale
39) Manfredi Lefebvre d’Ovidio - 1,4 miliardi di dollari
Presidente ed ex proprietario di Silversea Cruises; posizione 1.992 nell’elenco globale
40) Simona Giorgetta - 1,3 miliardi di dollari
imprenditrice del settore chimico e costruzioni nell’azienda Mapei; posizione 2.110
41) Sandro Veronesi - 1,2 miliardi di dollari
Fondatore del gruppo Calzedonia; posizione 2.159 nella classifica mondiale
42) Marco e Veronica Squinzi - 1,2 miliardi di dollari
A capo di Mapei; posizione 2.198 nella lista internazionale di Forbes
43) Diego della Valle - 1,2 miliardi di dollari
Amministratore delegato di Tod’s; posizione 2.219 al mondo
44) Stefania Triva - 1,2 miliardi di dollari
Alla guida di Copan, azienda bresciana di diagnostica; posizione 2.278 nel mondo
34) Domenico Dolce e Stefano Gabbana - 1,1 miliardi di dollari
Stilisti e fondatori del brand Dolce&Gabbana; posizione 2.303 al mondo.
I Bonus.
Il bonus è finito. Report Rai PUNTATA DEL 03/12/2023
di Luca Bertazzoni
Collaborazione di Marzia Amico
Il prossimo 31 dicembre finirà l’era del Superbonus 110%.
In questi anni è costato quasi 100 miliardi di euro alle casse dello Stato per 440mila interventi di ristrutturazione. L’inchiesta traccia un bilancio della misura voluta dal Governo Conte II. L’iniziale cessione multipla dei crediti fiscali ha avuto come effetto un enorme numero di presunte truffe ai danni dello Stato: Report racconta la presunta truffa di Mister Miliardo, un imprenditore di San Severo finito sotto indagine per presunta emissione di fatture inesistenti. L'inchiesta si occupa anche dei materiali che sono utilizzati per costruire i cappotti termici in Italia, partendo dall’incendio dello scorso giugno in un palazzo di Colli Aniene a Roma, dove ha perso la vita una persona.
Il bonus è finito Di Luca Bertazzoni Collaborazione Marzia Amico Immagini Carlos Dias – Davide Fonda – Andrea Lilli – Fabio Martinelli – Paolo Palermo Montaggio Igor Ceselli Grafica Giorgio Vallati
SANNE DE WIT - HEAD OF IDEAS ENERGIESPRONG Insieme al governo abbiamo deciso di privilegiare l’edilizia popolare, anche perché per queste persone sarebbe stato più difficile ristrutturare casa a proprie spese.
LUCA BERTAZZONI Qual è il peso dello Stato in questa partnership?
SANNE DE WIT - HEAD OF IDEAS ENERGIESPRONG Lo Stato ha speso pochissimo, di fatto ha garantito i prestiti necessari alle cooperative per fare i lavori di ristrutturazione che si ripagheranno nel tempo con i soldi che prima gli inquilini pagavano per le bollette di luce e gas.
LUCA BERTAZZONI FUORI CAMPO Risparmio energetico e riqualificazione: nella periferia di Utrecht i quartieri popolari stanno cambiando volto.
LUCA BERTAZZONI Quanto ci avete messo a ristrutturare questo palazzo?
AART VERKAIK - DIRETTORE VIOS BOUW L’edificio ha 48 appartamenti, i lavori sono durati pochi mesi. Comprendono l’isolamento dei muri esterni, del tetto e dei pavimenti, l’installazione di pompe di calore. In questo modo i pannelli solari garantiscono l’autosufficienza dell’intero palazzo.
LUCA BERTAZZONI FUORI CAMPO Questo nuovo mercato dell’edilizia ha generato importanti investimenti in tecnologia e innovazione. Sono nati così stabilimenti concepiti solo per questo tipo di interventi di efficientamento energetico, che hanno abbattuto i costi e fatto aumentare la produzione.
LINDA SJERPS – RESPONSABILE SVILUPPO AZIENDALE RC PANELS Per prima cosa costruiamo quello che io chiamo “sandwich”, lo puoi vedere qui: uniamo queste lastre di polistirene e di legno-cemento. Le due estremità sono resistenti a fuoco, aria e acqua, quindi garantiscono un perfetto isolamento.
LUCA BERTAZZONI E cosa fa questo macchinario italiano?
LINDA SJERPS – RESPONSABILE SVILUPPO AZIENDALE RC PANELS Utilizza una tecnologia nuova che permette di tagliare insieme tutti i materiali che compongono il “sandwich”, anche se sono molto diversi fra loro: è incredibile!
LUCA BERTAZZONI Quali sono i passaggi successivi?
LINDA SJERPS – RESPONSABILE SVILUPPO AZIENDALE RC PANELS Il pannello esce dal macchinario, viene levigato ed è pronto per la verniciatura. Una volta asciutto possiamo incollarci qualsiasi rifinitura. Ecco, hanno montato la porta e le finestre, il pannello è pronto per il trasporto.
LUCA BERTAZZONI FUORI CAMPO In Olanda non solo la produzione, ma anche il trasporto e la messa in opera di tutto il materiale prefabbricato rispondono a rigidi criteri di efficienza che garantiscono ristrutturazioni in tempi record.
LINDA SJERPS – RESPONSABILE SVILUPPO AZIENDALE RC PANELS Per montare ogni pannello ci vogliono circa 15 minuti, è come un puzzle, in poco tempo tutto si incastra. Ma la vera novità è che i proprietari di casa non devono lasciare l’abitazione durante i lavori.
LUCA BERTAZZONI Buongiorno, ma lei non va via?
PROPRIETARIO DI CASA E perché dovrei? Ho messo i teli di plastica sui mobili perché potrebbe cadere un po’ di polvere, ma resto qui a guardarmi lo spettacolo: è incredibile!
LUCA BERTAZZONI Quando sono iniziati i lavori?
PROPRIETARIO DI CASA Due mesi fa sono venuti a fare i rilievi, l’altro ieri hanno montato le impalcature, oggi installano i pannelli solari e domani vanno via: meraviglioso, non pagherò più bollette!
LINDA SJERPS – RESPONSABILE SVILUPPO AZIENDALE RC PANELS Se ci pensi è come mettere la giacca alla casa.
LUCA BERTAZZONI FUORI CAMPO Una giacca calda ed ecologica che allo stesso tempo regala, anche a chi abita in periferia, un abito da gran gala. SIGFRIDO RANUCCI IN STUDIO Mentre nelle periferie italiane tardavano ad arrivare i finanziamenti e il Superbonus, ecco, in quelle delle città olandesi fiorivano delle palazzine meravigliose, anche se si trattava di residenza popolare. Ecco, perché? Perché è stato possibile grazie a una filiera industriale che ha consentito un risparmio anche dei costi del 40% e a questa filiera oltre che al controllo dello Stato ha contribuito anche l’esistenza di macchinari di ideazione italiana. Ecco, c’è da chiedersi perché fuori sì e qua non è possibile. Tornando al nostro invece di Superbonus, è un fatto che dal 31 dicembre la musica cambia. Non sarà più possibile avere una detrazione del 110% ma del 70%, anche se ci sono i cantieri aperti. Finisce così l’epoca del Superbonus inteso dal secondo governo Conte. In tre anni sono stati investiti 94 miliardi, è stato indubbiamente un volano per l’economia, e sono stati resi più efficienti 438mila edifici. Ecco, però, parliamo solamente del 3% del patrimonio immobiliare italiano. Per renderlo più efficiente, sono stati messi dei pannelli, dei pannelli isolanti. Ora, si abbassa sicuramente la spesa della bolletta elettrica ma insieme all’efficientamento abbiamo anche reso più sicure le nostre abitazioni? Il nostro Luca Bertazzoni
LUCA BERTAZZONI FUORI CAMPO Il 2 giugno scorso un incendio ha colpito questo palazzo a Colli Aniene, nella periferia di Roma. Una persona è morta e 17 sono rimaste ferite.
MONICA ERRICO - RESIDENTE Ho aperto la porta di casa e la mia vicina strillava. C’erano 1000 gradi, non si vedeva assolutamente niente: come stare dentro un forno, quando apri la porta del forno e senti quel calore. Alla fine, non so neanche io come, sono arrivata all’ultima rampa, mi hanno presa e io mi ricordo di essere salita sopra l’ambulanza seduta così sempre con queste mani, che vedevo le vescicole che si, cominciavano a venire. Io per due giorni sono stata intubata.
LUCA BERTAZZONI Quanto è stata ricoverata?
MONICA ERRICO - RESIDENTE Io sono stata 20 giorni, di cui cinque in terapia intensiva e gli altri in sub-terapia intensiva aspettando che la pelle fosse in grado di essere operata. Così si vede meglio, tanto l’altra mano è più o meno uguale. Poi ho una bruciatura qua sul braccio che, vabè, adesso non si può vedere, però questo è il collo: non posso girarmi più di tanto perché mi ha preso la corda vocale qui. E poi mi ha bruciato un lobo completamente dell’orecchio e parte di quest’altro. Il calore, poi eh… Solo il calore.
LUCA BERTAZZONI FUORI CAMPO Nel condominio erano in corso i lavori di ristrutturazione con il Superbonus 110%.
IVO SANGIORGIO - AVVOCATO RESIDENTI PALAZZO COLLI ANIENE Il cappotto era stato messo in questa zona.
LUCA BERTAZZONI Che è quella più danneggiata.
IVO SANGIORGIO - AVVOCATO RESIDENTI PALAZZO COLLI ANIENE Che è quella più danneggiata, e avevano incominciato ad applicarlo sulle pareti. Sono dei quadrati di plastica che vengono attaccati al soffitto.
LUCA BERTAZZONI FUORI CAMPO Il cantiere di Colli Aniene è sotto sequestro dal 2 giugno perché sono in corso delle indagini per capire cosa sia successo e che materiali sono stati utilizzati per costruire il cappotto termico.
FONTE INVESTIGATIVA Polistirolo espanso. Ma già la parola polistirolo…
LUCA BERTAZZONI Esatto. Ti fa capire.
FONTE INVESTIGATIVA Quale è il concetto della reazione al fuoco? Solo A1 e A2 sono incombustibili, come questo pavimento o questa parete qua. Il resto…
LUCA BERTAZZONI È combustibile. LUCA BERTAZZONI FUORI CAMPO La reazione al fuoco viene misurata con una scala che va da A ad F a seconda del grado di combustibilità del materiale usato. Più ci si allontana dalla classe A, più facilmente prende fuoco.
FONTE INVESTIGATIVA Classe E vuol dire che quello ha superato la prima delle prove, quindi la prova più bassa, che sarebbe una fiammella di 15 centimetri per 11 secondi. Se tu gli metti un qualcosa di più di una fiammella, quello… Ma si è visto dal filmato.
IVO SANGIORGIO - AVVOCATO RESIDENTI PALAZZO COLLI ANIENE Qui erano stati depositati i pannelli che dovevano essere montati per il famoso cappotto termico.
LUCA BERTAZZONI Erano tutti qui, no? IVO
SANGIORGIO - AVVOCATO INQUILINI PALAZZO COLLI ANIENE Erano tutti qui. Nel momento in cui è scoppiato questo incendio, tutto questo materiale ha preso fuoco.
FONTE INVESTIGATIVA Se stai gestendo cumuli e metri cubi di materiale combustibile, come lo gestisci? Come lo depositi? Dove lo hai messo? Lo hai messo sotto al palazzo. E calcola che tutto il pacchetto era finito. Che è rimasto?
LUCA BERTAZZONI E non c’è una normativa che dice di non metterli lì sotto?
FONTE INVESTIGATIVA Ma certo che c’è.
LUCA BERTAZZONI Però non controlla nessuno con tutto questo boom di cantieri?
FONTE INVESTIGATIVA Non lo so, c’è il direttore dei lavori.
LUCA BERTAZZONI FUORI CAMPO Eppure, qualcosa è andato storto e a farne le spese sono stati gli abitanti del palazzo incendiato.
ABITANTE 1 PALAZZO COLLI ANIENE Non ho abbigliamento invernale, io sono entrata a casa dieci minuti per prendere pochissime cose. Non ho coperte, non ho scarpe, non ho maglioni. Sono riuscita a prendere questo in dieci minuti.
LUCA BERTAZZONI Quante famiglie siete?
ABITANTE 2 PALAZZO COLLI ANIENE 24.
LUCA BERTAZZONI 24 famiglie, siete fuori casa da sei mesi ormai.
ABITANTE 2 PALAZZO COLLI ANIENE Sì, dal 2 giugno.
LUCA BERTAZZONI E pagate tutti quindi un affitto…
ABITANTE 2 PALAZZO COLLI ANIENE Un affitto per forza, chi te la regala casa?
LUCA BERTAZZONI Quanto paga?
ABITANTE 3 PALAZZO COLLI ANIENE 650.
LUCA BERTAZZONI I lavori qui sono fermi.
ABITANTE 3 PALAZZO COLLI ANIENE I lavori sono fermi.
LUCA BERTAZZONI E che succede?
ABITANTE 3 PALAZZO COLLI ANIENE Finisce il 110%
LUCA BERTAZZONI E quindi?
ABITANTE 3 PALAZZO COLLI ANIENE E quindi non sappiamo, non sappiamo se ci sarà una proroga.
LUCA BERTAZZONI Se non ci dovesse essere la proroga, con questi cantieri fermi che non finiranno mai entro il 31 dicembre…
ABITANTE 4 PALAZZO COLLI ANIENE Chiederemo lo stop ai lavori, riusciamo a dare a ripulire quello che possiamo e…
LUCA BERTAZZONI …E la finiamo così.
ABITANTE 4 PALAZZO COLLI ANIENE E alla fine la ditta ci dirà: “vabbè ma a questo punto i soldi a noi chi ce li dà? Voi!”.
LUCA BERTAZZONI FUORI CAMPO E infatti pochi giorni fa la Comat, impresa affidataria dei lavori di ristrutturazione, ha mandato il conto salato ai condomini di Colli Aniene che, se vorranno terminare i lavori, dovranno sborsare una cifra fra un milione e 100mila euro e due milioni e mezzo.
ABITANTE 2 PALAZZO COLLI ANIENE Dopo il danno pure la beffa, dobbiamo anche pagare? No.
ABITANTE 5 PALAZZO COLLI ANIENE Non abbiamo la possibilità di pagare, assolutamente.
ABITANTE 6 PALAZZO COLLI ANIENE Io non pagherò un euro, lo dico proprio chiaro.
MONICA ERRICO - RESIDENTE Noi di questo appartamento qua stiamo ancora pagando il mutuo fra le altre cose. Voglio tornarci perché comunque è casa mia, ci sono le mie cose: cioè, la mia vita era qua.
LUCA BERTAZZONI FUORI CAMPO L’incendio di Colli Aniene ha però aperto un grande punto interrogativo sul materiale utilizzato per costruire i cappotti termici. Dei pannelli depositati al piano terra del palazzo ecco quello che è rimasto. Ma a bruciare sono stati anche quelli già installati sui primi piani del condominio.
IVO SANGIORGIO - AVVOCATO RESIDENTI PALAZZO COLLI ANIENE E infatti qua vediamo che non ci sono più perché sono andati bruciati e si sono…
LUCA BERTAZZONI Squagliati proprio
IVO SANGIORGIO - AVVOCATO RESIDENTI PALAZZO COLLI ANIENE …praticamente squagliati.
LUCA BERTAZZONI E che sono quelli lì, no?
IVO SANGIORGIO - AVVOCATO RESIDENTI PALAZZO COLLI ANIENE In parte sono quelli lì. L’incendio che si è sviluppato all’esterno poi è entrato nelle scale dalle finestre ed è penetrato negli appartamenti.
LUCA BERTAZZONI Il problema è sia il materiale che hanno installato sia quello che avevano sotto?
FONTE INVESTIGATIVA Bravo, entrambi. Il primo strato che appiccichi a parete è questo, è polistirolo. Questo prende e prende tutto. Quando finisci di installarlo diventa classe B, che è combustibile. Che vuol dire? Che se tu prendi il pannello e lo metti nel camino quello brucia.
LUCA BERTAZZONI FUORI CAMPO Dieci anni fa in Spagna hanno eseguito dei test di resistenza al fuoco per mostrare il differente comportamento durante un incendio fra materiali non combustibili e quelli combustibili. Il risultato è impressionante.
FONTE INVESTIGATIVA Gli italiani sanno che stanno mettendo materiale combustibile sulle proprie pareti? E le ditte sanno che cosa è la classe E veramente? O la classe B?
LUCA BERTAZZONI FUORI CAMPO La ditta subappaltatrice che gestiva i lavori nel condominio di Colli Aniene si chiama Ombikroi, 10mila euro di capitale sociale, 39mila euro di utili e come sede l’abitazione dei titolari.
LUCA BERTAZZONI Dottoressa Pompei?
LAURA POMPEI - RESPONSABILE AMMINISTRATIVO OMBRIKOI Sì.
LUCA BERTAZZONI La chiamo per la vicenda del palazzo incendiato di Colli Aniene per cui siete indagati.
LAURA POMPEI - RESPONSABILE AMMINISTRATIVO OMBRIKOI Non intendo rilasciare nessun tipo di comunicazione a riguardo, sono in corso delle indagini.
LUCA BERTAZZONI Volevo soltanto capire una cosa: di che classe erano i pannelli che stavate installando?
LAURA POMPEI - RESPONSABILE AMMINISTRATIVO OMBRIKOI Hanno tutte le caratteristiche che prevede la norma.
LUCA BERTAZZONI Sì, ma sono classe E?
LAURA POMPEI - RESPONSABILE AMMINISTRATIVO OMBRIKOI Risultano essere ignifughi, autoestinguenti.
LUCA BERTAZZONI Però ci sono diverse classi, lo sa meglio di me lei, no: si va dalla A alla F. A me risulta che voi abbiate utilizzato quelli di classe E.
LAURA POMPEI - RESPONSABILE AMMINISTRATIVO OMBRIKOI Questo lo dice lei.
LUCA BERTAZZONI FUORI CAMPO Eppure, basta vedere i pannelli ancora presenti sul cantiere di Colli Aniene e cercare la loro scheda tecnica per verificare che il materiale è di classe E.
LUCA BERTAZZONI Il caso dell’incendio scoppiato a Roma è un unicum oppure c’è un rischio concreto?
DAVIDE LURASCHI - PRESIDENTE COLLEGIO INGEGNERI E ARCHITETTI DI MILANO Sarà uno dei primi incidenti che vedremo.
LUCA BERTAZZONI FUORI CAMPO Davide Luraschi è presidente del Collegio ingegneri e architetti di Milano e perito per l’incendio che ha colpito due anni fa la Torre dei Moro a Milano.
DAVIDE LURASCHI - PRESIDENTE COLLEGIO INGEGNERI E ARCHITETTI DI MILANO Il 70% del materiale isolante venduto è combustibile perché sono sostanzialmente come l’Eps, polistirene espanso sintetizzato, che sono di origine organico sintetica che evidentemente quindi bruciano.
LUCA BERTAZZONI Più venduto immagino anche perché più economico.
DAVIDE LURASCHI - PRESIDENTE COLLEGIO INGEGNERI E ARCHITETTI DI MILANO Sì, più economico, sì. L’incendio si sviluppa alla base dell’edificio, c’è un rilascio di fumi tossici. Ma quello che è impressionante, forse, è la velocità con la quale si propaga.
LUCA BERTAZZONI Guarda come sale. Un minuto e ha preso fuoco tutto.
DAVIDE LURASCHI - PRESIDENTE COLLEGIO INGEGNERI E ARCHITETTI DI MILANO 37 secondi. Poi c’è l’effetto pira e quindi i materiali accatastati uno sopra l’altro aumentano la velocità dell’incendio.
LUCA BERTAZZONI Qual è la normativa che regola i cappotti termici?
DAVIDE LURASCHI - PRESIDENTE COLLEGIO INGEGNERI E ARCHITETTI DI MILANO Se parliamo del superbonus era la lettera circolare del 2010 che spiegava quali materiali è opportuno mettere. Ma era sostanzialmente un suggerimento, un qualcosa di volontario che andava applicato. Si delega il progettista e il professionista a scegliere la tipologia più corretta.
LUCA BERTAZZONI Quindi la normativa secondo lei dovrebbe essere più stringente sotto questo punto di vista?
DAVIDE LURASCHI - PRESIDENTE COLLEGIO INGEGNERI E ARCHITETTI DI MILANO Sarebbe opportuno limitare l’uso di materiali, qualsiasi essi siano, combustibili.
LUCA BERTAZZONI Sono 440mila, no, ad oggi le ristrutturazioni fatte con i bonus edilizi. Cioè, possiamo dire con certezza che i cappotti termici montati sono tutti sicuri oppure no?
DAVIDE LURASCHI - PRESIDENTE COLLEGIO INGEGNERI E ARCHITETTI DI MILANO Se si sviluppa un incendio all’interno di un appartamento, di una casa il cui rivestimento è in gres porcellanato, in materiale lapideo, quindi pietra o mattoni, rimane confinato a quello che è l’incendio. Se, viceversa, questo incendio si sviluppa in un edificio dove all’esterno ci sono materiali più combustibili, è solo questione di tempo perché si sviluppi potenzialmente anche all’esterno, e quindi si propaghi in tutto l’edificio.
LUCA BERTAZZONI E quindi mi sta rispondendo alla domanda di prima, cioè non sono tanto sicuri?
DAVIDE LURASCHI - PRESIDENTE COLLEGIO INGEGNERI E ARCHITETTI DI MILANO Assolutamente. Questa norma sul superbonus avrebbe dovuto attenzionare di più il tema della sicurezza.
SIGFRIDO RANUCCI IN STUDIO Insomma, la Procura di Roma sta indagando su quello che è accaduto nell’incendio dello scorso giugno a Colli Aniene, il palazzo, ecco, un incendio dove è morta una persona, 17 sono rimaste ferite. Insomma, però, è un fatto, al di là di quello che appurerà la magistratura, che il nostro Luca ha visto con i suoi occhi, i pannelli isolanti stoccati, quelli che sono stati utilizzati per rendere più efficiente dal punto di vista energetico il palazzo, che sono appartenenti alla classe E, cioè quella più facilmente combustibile. Ecco, è tutto lecito per carità, è previsto dalla legge, ma il problema è proprio questo: perché la legge prevede anche l’utilizzo di questi pannelli che sono così facilmente incendiabili, forse è il caso di metterci una pezza. Potrebbe metterla anche il governo adesso che ha cambiato la formulazione del bonus per l’efficientamento energetico e le ristrutturazioni. Ora, proprio quel governo che durante la campagna elettorale giudicava il Superbonus una risorsa. Infatti, la Meloni, il 17 settembre 2022, in piena campagna elettorale, diceva: “Pronti a tutelare i diritti del Superbonus e a migliorare le agevolazioni edilizie”. Mentre Salvini si definiva “un tifoso dei bonus in edilizia e dei lavori: il Superbonus è fondamentale”, ha detto Salvini il 18 febbraio 2022. Poi, finita la campagna elettorale, insomma, hanno operato dei tagli. E chi ci ha rimesso?
PAOLA FANTONI Nel 2020 ho acquistato questa palazzina: io e mio marito l’appartamento giù al pian terreno e i miei due figli hanno acquistato un appartamento Alessio e un appartamento Sara, loro hanno un mutuo di 100mila e 100mila l’altro. La ditta è venuta e ha iniziato a spaccare nel gennaio 2022.
LUCA BERTAZZONI Quale è stato il problema, perché siamo ancora con questo cantiere?
PAOLA FANTONI Perché non aveva più soldi per andare avanti, si è fermata perché grazie allo Stato ha chiuso i crediti.
LUCA BERTAZZONI Non potevano più vendere i crediti.
PAOLA FANTONI Non potevano più cederli e così si è fermata la ditta, i tecnici, noi committenti e da lì è iniziato lo sfascio della palazzina. Filtrava l’acqua, la muffa, un anno e mezzo di acquate in questa casa, i mobili, i vestiti, io ho dovuto buttare via tutto. Questa è la mia casa, eh, questa è la mia casa che non era così: la devastazione anche in questo bagno. Cioè, io come faccio? Così… Sono ferma da un anno e mezzo.
LUCA BERTAZZONI In questa situazione.
PAOLA FANTONI Era impossibile trovare le ditte. Venivano a vedere il cantiere in che stato era e poi mi dicevano: “Paola, io non ti posso prendere, non ti posso prendere a meno che tu non abbia i soldi per pagare”.
LUCA BERTAZZONI E lei non li ha.
PAOLA FANTONI Mio marito è un operaio, io sono casalinga: io come facevo a tirare fuori i soldi per portare a termine i lavori?
LUCA BERTAZZONI FUORI CAMPO Per finire almeno i lavori del tetto la signora Paola Fantoni ha preso un mutuo di 150mila euro e ora non ha più i soldi per pagare l’affitto.
PAOLA FANTONI Laggiù ci si dorme noi, accampati. Mi vado a lavare da mia suocera.
LUCA BERTAZZONI Siete qui da quanto?
PAOLA FANTONI Da agosto agosto.
LUCA BERTAZZONI Posso vedere…
PAOLA FANTONI Sì, vieni, accomodati: qui ci si mangia. Io non ero così, credetemi avevo una casa, era stupenda. Ci si sente male in una situazione del genere, mi creda. Siamo rovinati, tutti rovinati. Guardi, venga… Accampati. Questa me l’hanno regalata, quello me l’hanno regalato perché non ci si aveva più mobili, non ci si aveva più niente. Qui ci si dorme in quattro: uno qui, uno qui, e questo è il nostro letto, l’armadio e ci stiamo in quattro.
LUCA BERTAZZONI Lei, suo marito e i suoi figli.
PAOLA FANTONI Sì, quelli che c’hanno l’appartamento lì, uno di 23 anni e una di 27.
LUCA BERTAZZONI FUORI CAMPO La signora Paola paga il conto salato di una legge che già a ottobre del 2022 aveva causato un buco di 37 miliardi di euro per le casse dello Stato.
GIAN GAETANO BELLAVIA - ESPERTO DI DIRITTO PENALE DELL’ECONOMIA Quando poi si sono accorti al governo o chi per esso che questa normativa folle devo dire…
LUCA BERTAZZONI …Aveva delle falle.
GIAN GAETANO BELLAVIA - ESPERTO DI DIRITTO PENALE DELL’ECONOMIA Aveva delle falle? Altro che falle. Sono corsi ai ripari e in prima battuta hanno modificato la normativa, restringendola pesantemente, in seconda battuta hanno bloccato la cessione dei crediti.
LUCA BERTAZZONI E questo cosa ha comportato?
GIAN GAETANO BELLAVIA - ESPERTO DI DIRITTO PENALE DELL’ECONOMIA Chi faceva i lavori veri, si è trovato chi con la casa rotta, chi con la facciata abbattuta, chi con il ponteggio abbandonato: un casino.
LUCA BERTAZZONI FUORI CAMPO A ritrovarsi in mezzo al guado sono stati anche gli imprenditori che avevano iniziato i lavori anticipando i soldi, ma con il blocco della cessione dei crediti hanno dovuto fermare i cantieri.
IGOR DI IULIO - IMPRENDITORE Io ho 60 famiglie in mezzo alla strada con case sventrate, case che a dicembre dobbiamo finire
LUCA BERTAZZONI E se non le finisci, ci stiamo…
IGOR DI IULIO - IMPRENDITORE ...ma senza soldi. Io sto andando avanti con i lavori, ma senza soldi, facendo i ritagli: cioè ho un lavoro grande, prendo gli spicci da una parte e ci pago qualcosa dall’altra parte. Mi sono beccato cause, denunce, mi sono beccato di tutto. A gennaio ho licenziato 30 persone e ho mandato a casa 120 operai in subappalto.
LUCA BERTAZZONI È impressionante come numero.
IGOR DI IULIO - IMPRENDITORE Se ti dico che ho pianto fino a febbraio mi credi? Questo qui è tutto il cappotto termico che io ho acquistato per fare i lavori.
LUCA BERTAZZONI Fermo qui da quanto?
IGOR DI IULIO - IMPRENDITORE Aprile 2022.
LUCA BERTAZZONI Quanto vale più o meno?
IGOR DI IULIO - IMPRENDITORE Sono circa 400mila euro.
LUCA BERTAZZONI Solo di cappotto?
IGOR DI IULIO - IMPRENDITORE Sì. Il direttore della banca mi fece il bonifico relativo alle fatture di marzo 2022 dicendomi: “Questa è l’ultima”. E quindi mi sono trovato con i debiti, con i crediti e senza una lira. Lì ci sono i mobili di nove famiglie che stanno in mezzo alla strada da aprile 2021, li tengo io perché ho detto: “Non sapete dove metterli”…
LUCA BERTAZZONI Reti di materasso, tutto.
IGOR DI IULIO - IMPRENDITORE Ci sono mobili, vestiti, tutto. Hanno fatto il cambio di stagione qui quest’anno i ragazzi e ci sono i bambini, eh? Se tutto avesse funzionato come era da programma, loro sarebbero rientrati sei mesi fa e invece siamo stati un anno fermi. Queste sono pompe di calore, guarda. Lì ci saranno 100mila euro di fotovoltaico, ma forse anche di più.
LUCA BERTAZZONI Prima del superbonus quanto fatturava?
IGOR DI IULIO - IMPRENDITORE Mediamente un milione e 800, un milione e 700, un milione e 800.
LUCA BERTAZZONI Quindi una ditta che…
IGOR DI IULIO - IMPRENDITORE Una ditta sana, senza debiti.
LUCA BERTAZZONI Lei è passato da un milione e 800 a?
IGOR DI IULIO - IMPRENDITORE L’ultimo anno con il superbonus a 5 milioni. E il business plan prevedeva 12 milioni nel 2022 e 25 nel 2023 perché avevamo firmato 37 milioni di contratti che poi abbiamo strappato.
LUCA BERTAZZONI Come si fa a strappare 35 milioni di contratti?
IGOR DI IULIO - IMPRENDITORE Come si fa? Tanto non si possono fare.
LUCA BERTAZZONI Il 31 dicembre finisce l’era del superbonus, che bilancio si può fare?
GIUSEPPE PISAURO - PRESIDENTE UFFICIO PARLAMENTARE DI BILANCIO 2014-2022 In realtà non lo sappiamo benissimo.
LUCA BERTAZZONI Perché non lo sappiamo?
GIUSEPPE PISAURO - PRESIDENTE UFFICIO PARLAMENTARE DI BILANCIO 2014-2022 Noi ci basiamo solo sulle asseverazioni di singoli professionisti. È abbastanza sorprendente che i controlli siano solo fatti sulla carta. Prendendo per buoni quei dati il costo è molto alto, oltre 100 miliardi, che ha portato a intervenire per migliorare l’efficienza energetica di una percentuale molto bassa del patrimonio immobiliare residenziale.
LUCA BERTAZZONI 440mila edifici.
GIUSEPPE PISAURO - PRESIDENTE UFFICIO PARLAMENTARE DI BILANCIO 2014-2022 Esatto, intorno al 3-4% del totale. Qualche migliaio di miliardi servirebbero per estendere l’intervento a tutto il patrimonio quindi diciamo nel gergo di un economista “Molto alto il costo rispetto all’efficacia”.
LUCA BERTAZZONI FUORI CAMPO Preso atto dell’insostenibilità della misura, il governo Meloni ha chiuso drasticamente i rubinetti: tutti i lavori non terminati entro il 31 dicembre avranno un bonus del 70% e il resto sarà a carico dei condomini.
IGOR DI IULIO - IMPRENDITORE Qua come mai vi siete fermati?
OPERAIO CANTIERE Ci siamo fermati qua perché hanno dovuto fare le rampe per fare l’accesso ai macchinari per accedere agli altri appartamenti. Lo scavo è quasi finito, sto aspettando solo che finiscano di sfasciare le altre parti.
IGOR DI IULIO - IMPRENDITORE Sopra li hanno montati tutti i piatti doccia?
OPERAIO CANTIERE I piatti doccia sono stati montati tutti, poi dopo iniziamo a vedere le condizioni delle scale, sia l’intonaco che tutto quanto.
IGOR DI IULIO - IMPRENDITORE Senti, in quanto tempo finiamo?
OPERAIO CANTIERE Obiettivamente cinque mesi lavorativi.
LUCA BERTAZZONI Avete questa scadenza del 31 dicembre, ma non ce la farete mi pare di capire.
IGOR DI IULIO - IMPRENDITORE No, ovviamente no. Almeno non a fare tutto.
LUCA BERTAZZONI Però questo vuol dire che i condomini, che già stanno fuori casa da…
IGOR DI IULIO - IMPRENDITORE Due anni.
LUCA BERTAZZONI …quindi presumo che paghino l’affitto.
IGOR DI IULIO - IMPRENDITORE E il mutuo…
LUCA BERTAZZONI …e il mutuo, debbano pagare e accollarsi il 30% di questi lavori.
IGOR DI IULIO - IMPRENDITORE Lo so, questa è l’Italia. Io non so che fare.
LUCA BERTAZZONI E se non dovessero avere i soldi, ad esempio…
IGOR DI IULIO - IMPRENDITORE Mi faranno causa.
LUCA BERTAZZONI Le fanno causa perché lei non ha terminato i lavori nei tempi previsti. Lei non li ha terminati perché, perché si è fermato perché non aveva più i soldi…
IGOR DI IULIO - IMPRENDITORE È il cosiddetto cane che si morde la coda. Tutti abbiamo ragione. Perché il condomino che colpa ha? Il tecnico che colpa ha? L’impresa che colpa ha? Qui siamo tutti vittime della stessa situazione.
LUCA BERTAZZONI Lei fu fra i primi, no, sostanzialmente a denunciare il pericolo di questi bonus.
GIUSEPPE PISAURO - PRESIDENTE UFFICIO PARLAMENTARE DI BILANCIO 2014-2022 Non io, l’ufficio parlamentare di bilancio che allora presiedevo, sì. E quando ci sono stati dei tentativi con il governo Draghi di ridimensionare, c’è stata un’opposizione trasversale di tutte le forze politiche.
LUCA BERTAZZONI Dopodiché, però, conti alla mano è difficile tenerlo in piedi.
GIUSEPPE PISAURO - PRESIDENTE UFFICIO PARLAMENTARE DI BILANCIO 2014-2022 La cosa un po’ più triste di tutta questa storia è che fosse una lotteria doveva essere chiaro fin dall’inizio perché non potevano usufruirne tutti. PAOLA FANTONI Questa è la mia roba, guarda: padelle, teglie, cosa ci faccio, addobbi di Natale, cosa ci faccio? Non ho più nulla. Guarda, di qui si accede all’appartamento della ragazza. Questo è come mi rimarrà a me la casa, perché io, finiti quei soldi, di mettere questo, di finire il tetto, basta. Io gli ho detto “fermatevi” perché io non ho i soldi, quello che c’ho, è qui. Come faccio io a finire entro il 31 dicembre? Guarda, cola eh.
LUCA BERTAZZONI Sì, gocciola.
PAOLA FANTONI Cola sempre, non ti dico bugie, eh. Io è un anno e mezzo che non dormo, io non ce la faccio più. Io chiedo allo Stato che ci aiuti. Io ho perso tutto, mi credi? Tutto. Soldi, vestiti, mobili, casa per aver creduto in una legge dello Stato. È una cosa indescrivibile perché non possono capire, non lo possono capire le nottate che abbiamo fatto, venivo qui e i teloni così, no, guarda io dico sempre che devo avere la forza di… Magari di… Piano piano, piano piano.
SIGFRIDO RANUCCI IN STUDIO La signora Paola ha perso tutto semplicemente perché ha creduto in una legge dello Stato che è stata cambiata ben 35 volte nel momento che è stata approvata nel maggio del 2020. L’articolo 119, che disciplinava l’erogazione del Superbonus, è stato modificato per venti volte, 15 l’articolo 121, che disciplinava la cessione del credito. L’ultima volta, a febbraio scorso, quando di fatto è stato messo un blocco allo sconto in fattura, e di fatto è stata terminata la possibilità di cedere il credito. Ecco, insomma, ma c’è qualcuno che sta pensando alle condizioni in cui sta vivendo la signora Paola e tutti colori che sono nella stessa identica situazione e anche a quegli imprenditori onesti?
Perché sono stati sbagliati i conti e le previsioni dei costi sul Superbonus. Giorgia Pacione Di Bello su Panorama il 05 Settembre 2023
Com'è stato possibile che le previsioni di spesa siano state clamorosamente smentite dai fatti
Il superbonus continua ad essere un problema per il governo Meloni. La stretta decisa a gennaio non è infatti riuscita a frenare del tutto la spesa del 110% che continua a crescere di circa 3,5 miliardi ogni mese. Secondo gli ultimi dati Enea disponibili, al 31 luglio 2023 erano stati aperti 422 mila cantieri legati al superbonus per un costo a carico dello stato di quasi 75 miliardi di euro ai quali si aggiungono i 20 miliardi già spesi. Somma che continuerà a crescere e che andrà ad incidere sul debito pubblico italiano e sulle possibilità di spesa del governo nei prossimi mesi. A spiegare meglio la situazione è intervenuto il sottosegretario all’economia, Federico Freni: “Nei cassetti dell'Agenzia delle Entrate ci sono ad oggi 142 miliardi di crediti ceduti, non tutti utilizzati. Di questi, 12 sono frodi. Ne rimangono 130: ad oggi ne sono stati portati in compensazione 21. Ne rimangono 109 da portare in compensazione. Questi 109 aumentano di 3,5 miliardi al mese”. Giovanbattista Fazzolari, sottosegretario alla presidenza del Consiglio ha poi evidenziato come le stime fatte si sono rivelate essere totalmente inesatte: "Erano previsti 36 miliardi di spesa e considerando il complesso dei bonus edilizi introdotti dal governo Conte II siamo ad oltre 140 miliardi, senza contare le molte irregolarità che sono state trovate". Che la situazione fosse complessa e che si dovesse cercare una soluzione era già chiaro a inizio anno, quando il governo ha cercato di intervenire sul superbonus, la platea dei beneficiari e la gestione della cessione del credito.
Stando alle stime fatte a febbraio da Unimpresa si era evidenziato come l’insieme dei bonus casa stava realizzando costi eccessivi rispetto alle previsioni iniziali. I dati sottolineavano infatti come il volume d’affari di tutti i bonus per l’edilizia ammontava ad inizio anno a 110 miliardi di euro, 38 miliardi in più (+53%) rispetto ai 72 miliardi stimati in partenza. Il solo superbonus 110% aveva generato fatturazioni per 61 miliardi, 25 miliardi in più rispetto ai 36 miliardi stimati in partenza, con una forbice tra previsioni e dato finale che sfiora il 70%. La situazione non era migliore per gli altri bonus edilizi (facciata, infissi, ecc) che già a febbraio avevano generato un business per 49 miliardi, ben 13 miliardi in più (+36%) rispetto ai 36 miliardi stimati. Somme che negli ultimi sei mesi hanno continuato a crescere fino ad arrivare agli attuali 148 miliardi di euro, +76 miliardi rispetto alle previsioni iniziali. La maggior parte ovviamente a carico del superbonus. La situazione, e le previsioni del tutto errate sono legate alla modifica dello strumento del credito di imposta. Quando infatti il M5S ha introdotto il superbonus 110% ha apportato dei cambiamenti anche a questo istituto che esisteva già da anni, senza creare distorsioni, introducendo di fatto un’anomalia che ha messo in moto la macchina dei crediti incagliati e dell’enorme spesa a carico dello Stato. Spesa che non si rifletterà solo sul 2023 ma andrà avanti per diversi anni. Secondo le ultime tabelle presentate dal Tesoro alle Camere, l’eredità dei bonus edilizi ricadrà sui conti pubblici e dunque sul debito dell’Italia tra il 2023 e il 2027, anni in cui si concentra questa legislatura. Si renderanno dunque difficili mettere in atto interventi di una certa entità, a partire dalla legge di Bilancio: “faremo una legge di bilancio prudente e che tenga conto delle regole di finanza pubblica. A proposito di superbonus e dei 100 miliardi, questo governo ne ha pagati 20 e altri 80 sono da pagare, ma tutti hanno mangiato e poi si sono alzati dal tavolo", sottolinea Giancarlo Giorgetti, ministro dell’Economia.
Estratto dell’articolo di Raffaele Ricciardi per “la Repubblica” il 18 agosto 2023.
Sono molte, costose e talmente complicate che è difficile ricostruire i singoli oneri, a chi vadano e per quali importi pro-capite. L’Ufficio valutazione impatto del Senato riprende in mano la matassa delle cosiddette spese fiscali italiane. Sono 740 voci, di cui 626 centrali e 114 locali, di “agevolazioni”: bonus, esenzioni, regimi di favore che solo sull’Erario pesano il 4% del Pil.
I tecnici di Palazzo Madama recuperano i dati dei rapporti annuali delle Finanze, dal 2016 al 2022. Periodo che ha visto le agevolazioni crescere, solo a livello centrale, del 40% con effetti negativi di bilancio di 82 miliardi (+72%), mangiati in gran parte (34 miliardi) dalla voce della casa. A sorprendere è la bandiera bianca alzata di fronte all’impresa di mettervi ordine.
Le informazioni sul numero dei beneficiari sono «limitate» a poco più di un quinto delle spese fiscali. E ancora: «Per quasi l’80% delle misure è difficile svolgere analisi complete».
[…] Da questo mare il viceministro Maurizio Leo vuole attingere risorse per finanziare la riforma fiscale. Navigherà con una mappa molto confusa.
L'Istat: l'effetto Superbonus porta il deficit all'8% nel 2022. Giorgia Pacione Di Bello su Panorama l’01 Marzo 2023
I bonus edilizi pesano come spesa pubblica direttamente nel primo anno di avvio, senza essere invece spalmati nell'arco degli anni previsti dalla detrazione
I crediti d’imposta legati ai bonus edilizi devono essere contabilizzati come spese nell’anno in cui vengono generati. La decisione di Eurostat e Istat ha dunque cambiato il trattamento contabile dei crediti fiscali derivanti dal Superbonus 110% e dal bonus facciate che devono essere considerati come indebitamento netto a carico del bilancio dello Stato per il 2020 e il 2021. Modifiche metodologiche che hanno portato ad un aumento dell’indebitamento di 2.738 milioni per il 2020 e di 32.308 milioni per il 2021. Conseguenze anche nel rapporto deficit/Pil che è passato dal 9,5 al 9,7% nel 2020 e dal 7,2 al 9% nel 2021. Cambiamento che rappresenta dunque un’importante novità dato che nelle precedenti stime entrambe le agevolazioni erano state registrate come minor gettito nell’anno di utilizzo del credito, il che coinvolgeva anche l’anno in corso e dunque la capacità di spesa dell’attuale governo. Motivazione che ha spinto l’Esecutivo ha bloccare, da un giorno all’altro la cessione dei crediti e lo sconto in fattura. Decisione, che nonostante il contesto dipinto in precedenza da Istat ed Eurostat, non rappresenta una motivazione sufficiente, secondo a dg di Confindustria, Francesca Mariotti, per “validare le modalità con cui è stato attuato il repentino blocco delle operazioni di sconto in fattura e cessione”. Far venir meno “in poche ore una disciplina, già in parte depotenziata nelle aliquote agevolative e su cui facevano affidamento numerose famiglie, prima ancora che numerose imprese, non è una buona prassi”. Sicuramente precisa Confindustria l’urgenza dell'intervento normativo è stata motivata da una preoccupazione per la dimensione economica assunta dai bonus. Alla data del 31 dicembre 2022, i crediti di imposta derivanti dalle opzioni di sconto in fattura e cessione del credito ammontano già a circa 105 miliardi di euro e si prefigura un loro possibile incremento. I dati, sottolinea, Mariotti vanno però esaminati nella loro complessità. “Questi crediti d'imposta hanno agevolato lavori che in larga parte non sarebbero stati eseguiti e hanno portato nelle casse pubbliche entrate fiscali derivanti da queste attività”. Risvolti positivi ci sono poi stati, secondo la relazione di Mariotti, sia “in termini di occupazione nel settore edilizio che sull'occupazione in generale: +213 mila occupati in più nel 3 trimestre 2022 rispetto a fine 2019”. Dati importanti che fanno capire il peso del settore dell’edilizia sulla crescita complessiva dell’Italia e su cui il governo sta ragionando. Le ultime due settimane sono infatti state caratterizzate dai primi incontri tra Mef e associazioni del settore per cercare di risolvere, come primo step, il problema dei crediti incagliati pari a 19 miliardi che, sottolinea l’Ance, se non pagati mettono a rischio 115.000 cantieri di ristrutturazione, oltre 32.000 imprese e 170.000 lavoratori. Attenzione la si sta dando anche ai nuclei familiari con redditi bassi (15.000 euro l’anno) e per la ricostruzione post terremoto. Categorie per la quale si sta pensando di reintrodurre la cessione del credito. Spazio infine, precisa il Mef, sarà dato anche ai bonus edilizi minori (bonus mobili, ecobonus, sisma bonus, bonus acqua e verde): “L’idea è quella di andare a riformare in modo sistematico tutti i bonus edilizi in modo da dare certezza e sicurezza alle imprese”. Lavori su cui il governo non ha intenzione di tornare indietro. Il Mef ha infatti fatto sapere di prendere atto delle decisioni di Istat ed Eurostat ma di non voler ritornare sui propri passi in merito allo stop alla cessione del credito e lo sconto in fattura. “Il governo con trasparenza, coerenza e responsabilità è impegnato ad assicurare un’uscita sostenibile da misure non replicabili nelle medesime forme”. La correzione delle norme sui bonus edilizi “è stato l’indispensabile presupposto a tutela dei conti pubblici per il 2023, invertendo una tendenza negativa certificata oggi dall'Istat". Parimenti il governo è al lavoro con tutti i soggetti interessati per risolvere il grave problema di liquidità finanziaria delle imprese ereditato da imprudenti misure di cessione del credito non adeguatamente valutate nei loro impatti al momento della loro introduzione” , conclude la nota. ©Riproduzione Riservata
Estratto dell'articolo di Giuliano Foschini per “la Repubblica” il 23 marzo 2023.
I lavori per il Superbonus, l’ecobonus, il bonus facciate che venivano cantierizzati avevano progetti reali, capitolati e preventivi reali. Ma per il resto tutto era finto, mai una pietra è stata spostata. Anche perché nella maggior parte dei casi anche gli immobili erano inventati: come si potevano realizzare ristrutturazioni su case che dovevano esistere in Comuni inventati?
Di immaginato c’era anche altro: i proprietari. In alcuni casi erano ignari, in altri nullatenenti disperati, in altri ancora si trattava di pregiudicati con precedenti penali importanti. «Tra i beneficiati c’erano anche morti», annota il gip del tribunale di Asti, Federico Belli, a corredo di una delle due operazioni che ieri hanno dato un colpo a quello che resta del tempo dei bonus di Stato.
In una sola giornata la Finanza ha sequestrato crediti per la cifra «inimmaginabile», le parole sono ancora una volta del giudice, di tre miliardi e duecento milioni di falsi crediti di imposta. Dieci gli arresti, una quarantina gli indagati tra Avellino e Asti […]
[…] Grazie a un software vengono infatti incrociati i dati fiscali di aziende e persone con i crediti che hanno in pancia o che hanno recentemente ceduto in modo da far emergere eventuali incongruenze. Di più: sono stati messi a sistema le informazioni dell’Enea (che ha una sorta di banca dati egli efficientamenti energetici) e dell’Inail, che invece dovrebbe avere il conto degli operai impiegati nei cantieri edili. […]
[…] Il primo punto sono le individuazioni degli immobili: nella maggior parte di casi si tratta di particelle fasulle, di case inesistenti. In altri — un solo soggetto ha presentato, per esempio, domande per qualche centinaia di case — sono invece stalle, depositi agricoli sui quali esistono progetti di ristrutturazione con preventivi milionari. Esempio: immobile dal valore di mercato di 2mila euro con un progetto di ristrutturazione da 2 milioni. Tutto era possibile perché il sistema non prevedeva controllo.
E, in questo modo, le aziende hanno caricato sui propri cassetti fiscali crediti per centinai di milioni di euro. Qualche decina sono riusciti a incassarlo: dall’indagine di Asti emerge che diverse banche e le Poste sono stati i più colpiti. E che i soldi sono spariti nel nulla. Due i metodi utilizzati: in alcuni casi gli imprendit ori si presentavano allo sportello per prelevare, in più tranche, i soldi in contanti.
In altre situazioni, invece, i soldi venivano spostati tramite bonifici, per lo più su istituti di credito cinesi. Gli stessi truffatori spesso non ricordavano qual era l’azienda per cui spostavano i soldi. «Questo credito a quale azienda va intestato?», chiedevano al telefono. Per dire nella truffa pensata ad Avellino erano 2.411 gli immobili finti immaginati in comuni inesistenti, 203 gli acquirenti, 26 i finti cessionari.
Un sistema complesso in cui tutti però avevano un guadagno: chi incassava alla fine il credito, chi emetteva le fatture false. «Io mi tengo — diceva al telefono uno degli imprenditori con le aziende “cartiere” — il 5% dell’importato del lavoro e poi mi piglio l’Iva dei lavori delle fatture che faccio, perché io posso fatturare sia arredi che attrezzature che lavori edili». […]
OPERAZIONE VERITÀ, 90 MILIARDI BUTTATI. I DATI DELL'ISTAT SULL'EFFETTO DI SUPERBONUS E INCENTIVI ALL'EDILIZIA SUI CONTI PUBBLICI ITALIANI. ROBERTO NAPOLETANO su Il Quotidiano del Sud l’1 marzo 2023.
In due anni (2021-2022) su 10,9 punti di Pil di crescita il contributo da superbonus e incentivi fiscali all’edilizia è di 1,5 punti nel 2021 e di 0,5 nel 2022. Lo Stato spende 90miliardi per una spinta che è pari a meno di un quinto della crescita con una stima sovrastimata perché ipotizza che tutta l’edilizia sia sussidiata e tiene dentro l’effetto degli incentivi ordinari. Nel 2022 il contributo alla crescita degli investimenti da incentivi industriali 4.0 è lo 0,6% contro lo 0,5% di tutti i bonus residenziali. Quindi spendendo molto meno si ha di più. Questi dati certificano comportamenti di spesa pubblica da Stato sudamericano incompatibili con un Paese che ha nei consumatori, nelle imprese e nell’attrazione di capitali e turismo internazionale i motori di una crescita con tassi da miracolo economico fondata su un capitale di fiducia riconquistato dal governo Draghi. Questa è la pura realtà, il resto menzogne grilline
L’operazione verità è avvenuta con il timbro dell’Istat ed è sotto gli occhi di tutti. In due anni (2021-2022) su 10,9 punti di prodotto interno lordo di crescita da miracolo economico italiano, locomotiva d’Europa, il contributo da superbonus e filiera completa di bonus e incentivi fiscali all’edilizia è di 1,5 punti nel 2021 e di 0,5 punti nel 2022.
Lo Stato italiano ha speso 90miliardi di tutti noi (72 Superbonus, 19 bonus facciate) per garantire una spinta che è pari a meno di un quinto della crescita complessiva che è una stima comunque sovrastimata. Perché prevede che in questo Paese tutta l’edilizia sia stata solo edilizia finanziata interamente dal bilancio pubblico e perché nel computo ci sono 30 miliardi di altri incentivi che riteniamo ordinari e, quindi, non spreco. C’è ancora di più. Nel 2022 il contributo alla crescita degli investimenti in macchinari e impianti legati agli incentivi industriali 4.0 è stato pari allo 0,6% contro lo 0,5% dei bonus residenziali. Quindi spendendo molto, molto, molto meno si è avuto di più.
Morale della favola: la crescita vera di una grande economia occidentale la fa l’innovazione nell’industria non la ristrutturazione delle villette pagata per intero dallo Stato finanziando una rendita bancaria e le frodi miliardarie anche della criminalità organizzata che la guardia di finanza ha per ora solo cominciato a scoprire.
Il contributo alla crescita dell’edilizia al miracolo economico nascosto dell’Italia di Draghi è maggiore nel 2021 rispetto al 2022 quando però le detrazioni autorizzate dal superbonus valgono 51 miliardi contro i 18 scarsi dell’anno precedente. Anche qui, dunque, si è speso molto, molto di più, e si è avuto un contributo piccolo piccolo alla crescita.
Questi dati certificano comportamenti di spesa pubblica da Stato sudamericano o da piani di sviluppo a sostegno di Paesi del terzo mondo. Sono incompatibili con il futuro di questo Paese che ha dimostrato invece di investire sul capitale di fiducia internazionale che il governo di unità nazionale guidato da Draghi ha saputo costruire rimuovendo vincoli alla crescita interna. Un Paese che è stato capace di recuperare la sua socialità e di riaprire la sua economia prima degli altri e che, anche per queste ragioni, ha avuto nei consumatori, nelle imprese e nell’attrazione di capitali e turismo internazionale i motori di una crescita sana con tassi da miracolo economico. Questa è la pura realtà. Tutto il resto sono menzogne.
In questo miracolo che ha consentito la nascita di un milione di posti di lavoro in più a tempo indeterminato e ha visto scendere di 10,2 punti percentuali rispetto al 2020 il debito pubblico in rapporto al Pil l’unica nota stonata sono stati gli extra costi imposti alla collettività di un Paese super indebitato da un populismo di marca grillina ma sottoscritto, avallato e a tratti rivendicato dalle componenti verdi e rosse dei due governi Conte.
Questa scomoda verità che fa strame delle bugie grilline da campagna elettorale e da supertalk a reti più o meno unificate è oggi certificata dalla revisione peggiorativa operata dall’Istat sui rapporti deficit/Pil del 2020 e del 2021 passati rispettivamente al 9,7% e al 9,0% invece dei 9,5 e 7,2% stimati a settembre. Per il 2022 il rapporto deficit/Pil italiano si attesta all’8% contro le stime della Nadef del 5,6%. Come ha precisato l’Istat sul calcolo ha pesato l’impatto dei crediti di imposta, in particolare del Superbonus.
Siamo di fronte ad uscite in conto capitale di decine e decine di miliardi l’anno a copertura di spese delle imprese edili in cui ci sono dentro anche un bel po’ di truffe. La cosa giusta da fare per l’edilizia residenziale allora come oggi è quella di strumenti come i bonus ristrutturazione già esistenti con un 50% di crediti di imposta spalmabili in dieci anni con un tetto di spesa fino a 100 mila euro. Che sono ovviamente modificabili e estendibili ma dentro una logica di assoluta convenienza e non di immoralità dichiarata mettendo peraltro sullo stesso piano chi è ricco e chi non lo è.
Con il superbonus del 110% non dovevi avere nemmeno i soldi. Facevi l’investimento che pagava la banca al 100% che, a sua volta, scontava un interesse del 10% salvo che il primo (l’investimento) e il secondo (l’interesse) li pagava tutti lo Stato Pantalone compresi gli indebiti profitti della criminalità organizzata. Quello Stato Pantalone, non ce lo dimentichiamo mai, siamo tutti noi. Oggi bisogna fare per la casa come per il piano industria 4.0 con contributi più bassi e spalmati. Ne beneficiano l’etica pubblica, la sostenibilità del bilancio nazionale e la crescita reale di un Paese che vuole essere meno diseguale e guardare lontano.
Lavori finti, soldi all’estero, stalle di lusso: ecco le truffe milionarie col Superbonus. Decine di inchieste aperte in tutta Italia con la Guardia di Finanza che ha sequestrato 3,7 miliardi di euro in 15 mesi, denaro pubblico che si aggiunge a indebiti profitti tributari per altri 3,8 miliardi nel biennio. Carlo Tecce su L’Espresso il 27 Febbraio 2023
I bonus edilizi sono eccezionali. Ogni cosa è eccezionale. La spesa per lo Stato di circa 120 miliardi di euro in due anni e mezzo. Il risibile impatto del cosiddetto Superbonus sugli immobili residenziali, appena tre su cento non più energivori. La mole di denaro incagliato o disperso, bloccato o perduto. E pure le frodi sono eccezionali: complesse, raffinate, ripetute. La Guardia di Finanza (Gdf) ne ha scovate decine e ovunque in Italia dal varo del “decreto rilancio” approvato dal governo giallorosso di Giuseppe Conte per un valore di 3,7 miliardi di euro in 15 mesi. E il dato è parziale.
Lo “sconto in fattura” e il “credito di imposta”, nonostante l’intervento riparatorio del governo di Mario Draghi, sono i due incentivi che hanno creato meccanismi di facile utilizzo per i truffatori. Ne è uno sconcertante manifesto l’inchiesta della procura di Rimini condotta dalle Fiamme Gialle che, lo scorso anno, ha portato al sequestro di 440 milioni di crediti di imposta fasulli perché legati a lavori non effettuati.
Va ricordato che i crediti di imposta, a differenza delle detrazioni fiscali, possono essere monetizzati per intero e subito e dunque a Rimini è stato scoperto un sodalizio criminale specializzato nel «commercio» dei crediti di imposta, un sistema che ha allargato le indagini in Abruzzo, Basilicata, Campania, Lombardia, Marche, Puglia, Sicilia, Toscana, Trentino, Veneto e Lazio. Un appello regionale quasi completo. Il capo del ramo pugliese e la mente tecnica, un commercialista, all’estero in vacanza al momento delle misure cautelari, sono stati arrestati a Santo Domingo e in Colombia.
I finanzieri e i magistrati di Parma hanno seguito due segnalazioni di operazione finanziarie sospette e così hanno ricostruito altri 110 milioni di euro di crediti di imposta illeciti. Una società avrebbe trasferito da un conto lituano, riconducibile a un trust svizzero, una provvista di denaro di 13,9 milioni di euro di crediti di imposta che in parte erano già stati monetizzati attraverso la cessione a Poste Italiane.
Secondo gli accertamenti giudiziari, i crediti di imposta erano riferiti a interventi anche a 281 immobili di fantasia e 23 immobili ubicati in comuni soppressi un secolo fa. I crediti di imposta spesso vengono «frammentati» e dispersi con passaggi a «catena». Nell’inchiesta di Parma sono molto esaustive le figure di due inquisiti capaci di aprire nello stesso giorno dieci società a responsabilità limitata e semplificata con sedi a Genova, La Spezia, Imperia, Rovigo, Padova, Treviso, Verona, Belluno, Venezia, Vicenza.
A Roma hanno beccato crediti di imposta falsi per un miliardo di euro. Un imprenditore titolare di due società, in due settimane, è riuscito a emettere fatture per un imponibile di diverse centinaia di milioni di euro per lavori non realizzati e comunque su immobili di basso valore catastale come le stalle.
Il colonnello Marco Thione, capo ufficio Tutela Entrate Gdf, in audizione davanti ai senatori della commissione Finanze e Tesoro, ha illustrato le principali tipologie di illeciti: «Lavori edilizi necessari a conferire il diritto alla detrazione mai avviati. Crediti oggetto di plurime cessioni a catena che coinvolgono imprese con la medesima sede e/o gli stessi legali rappresentanti, costituite in un breve arco temporale, che hanno ripreso a operare dopo un periodo di inattività o che da poco si sono formalmente riconvertite all’edilizia, i cui soci amministratori sono nullatenenti, irreperibili e/o gravati da precedenti penali. Immobili sui quali sarebbero stati eseguiti gli interventi agevolati non riconducibili a beneficiari originari delle detrazioni. Lavori edilizi incompatibili con le dimensioni imprenditoriali dei soggetti che li avrebbero effettuati e che avrebbero praticato lo sconto in fattura. Provviste ottenute con la monetizzazione dei crediti trasferite all’estero o reinvestite in attività economica, finanziarie, imprenditoriali o speculative». Ai 3,7 miliardi di euro di sequestri preventivi di crediti di imposta, già citati, vanno aggiunti altri 3,8 miliardi di indebiti profitti tributari nell’ultimo biennio: 7,5 miliardi. Non è la somma definitiva. Quella è sempre energivora. Crescerà.
Estratto dell'articolo di Felice Manti per “il Giornale” il 21 febbraio 2023.
Supermalus. La voragine da 9 miliardi nei conti pubblici che i bonus edilizi rischiano di creare hanno un beneficiario di tutto rispetto: la criminalità. Basta spulciare i corposi dossier della Guardia di Finanza per scoprire come le modalità delle agevolazioni create dalle misure grilline – che M5s si ostinano a difendere, nonostante le truffe conclamate – abbiano arricchito le tasche di organizzazioni spregiudicate, molto più di quando non dicano i 3,6 miliardi di crediti d’imposta inesistenti sequestrati negli ultimi dodici mesi dalle Fiamme gialle.
I modus operandi che riguardano Superbonus ma anche bonus facciate, bonus ristrutturazione, ecobonus e sismabonus sono abbastanza comuni: crediti che diventano moneta fiscale grazie a ignari condomini vittime di aziende nate in poche ore e intestate a immigrati, nullatenenti, persone irreperibili o con precedenti penali o già condannati per reati gravi, a volte beneficiari indebiti del reddito grillino, che trasferivano i crediti (persino in tranche da 500mila euro) a una serie di prestanome incaricati di rivenderli agli istituti di credito che, inconsapevoli del business illegale, erano pronti a monetizzarli.
A volte la truffa è costruita attraverso società dormienti, formalmente riconvertite all’edilizia, spesso incompatibili per dimensioni e importi con le fatture portate a sconto, rendendo impossibile per le banche la necessaria verifica. […]
C’è chi sul sito dell’Agenzia delle Entrate ha certificato di aver svolto lavori edilizi per 34 milioni di euro: peccato fosse detenuto nel carcere di Santa Maria Capua Vetere. I crediti tributari generati spesso finiscono all’estero (Germania ma anche Est Europa e Albania) dopo essere stati vorticosamente ceduti a catena - in maniera illimitata, senza limiti nei passaggi né nella tipologia, e senza alcun presidio di garanzia - da società satellite fittizie o persone fisiche con redditi nulli o modesti.
[…] Intanto c’è già una sentenza della Corte di Cassazione che legittima il sequestro preventivo a carico della banca (parte offesa del reato) dei crediti fittizi. La terza sezione penale, con sentenza n°40867 del 28 ottobre 2022 ha stabilito che nelle truffe Superbonus 110% i crediti d’imposta fraudolenti vanno bloccati, perché il credito deriva dall’originario diritto alla detrazione e non è sempre «garantito».
Come è stato possibile che una misura del genere abbia avuto la bollinatura della Ragioneria dello Stato e della Corte dei Conti senza che sia stato fissato un tetto, un plafond, per non andare in difficoltà in termini di equilibri di bilancio? Se l’è chiesto anche un recente studio della Fondazione nazionale dei Commercialisti dal titolo L’impatto economico del superbonus 110%, secondo cui «il costo lordo per lo Stato della spesa indotta dal superbonus 110% nel 2021 sarebbe di 28,126 miliardi anziché 6,788». […]
Estratto dell’articolo di Giuliano Foschini per “la Repubblica” il 21 febbraio 2023.
C’è un numero – 7,5 miliardi di euro – che ha convinto definitivamente il governo a intervenire nella partita dei bonus edilizi. Il numero è la somma dei crediti fiscali illecitamente intascati (3,7) e dei profitti illecitamente guadagnati (3,8) che la Guardia di Finanza ha sequestrato negli ultimi mesi nelle indagini sulle grandi truffe dei crediti di imposta legati, principalmente, ai bonus edilizi.
Il dato emerge dalla relazione che la Fiamme gialle hanno depositato la scorsa settimana al Senato […]. Indagini che hanno portato a centinaia di denunce ma soprattutto a una consapevolezza: nonostante le migliorie apportate alle norme che regolamentano il sistema, ogni qual volta che la polizia giudiziaria mette il naso in questa vicenda dei crediti, trova davanti a sé truffe e sofisticati sistemi di riciclaggio. Che stanno consentendo, anche a esponenti di primo piano della criminalità organizzata, di far girare e ripulire denaro sporco.
«Le attività investigative — si legge nell’informativa — hanno messo in luce grandi rischi di frode e di riciclaggio derivanti dalla circolazione illimitata e non adeguatamente presidiata dei crediti d’imposta. Questo è avvenuto soprattutto con riferimento a quelle agevolazioni (ad esempio il “bonus facciate”) per le quali, in origine non esistevano particolari limitazioni in ordine all’ammontare delle spese ammissibili ovvero alla congruità dei prezzi praticati e non era necessario acquisire uno specifico set documentale ».
Le norme intervenute successivamente — volute dal governo Draghi che aveva chiesto e ottenuto una nuova discussione sui sistemi di erogazione del bonus — che hanno imposto che le spesse fossero vidimate da un tecnico e soprattutto hanno limitato la vendita dei crediti, hanno avuto un effetto deterrente. Ma ormai era troppo tardi. I buoi erano già scappati. […]
La cronaca ha raccontato di nullatenenti con milioni di euro di crediti nel cassetto fiscale o di somme reinvestite immediatamente in paradisi fiscali esteri. Scoperti grazie a un lavoro fatto su due binari: da un lato l’Antiriciclaggio ha segnalato operazioni finanziarie sospette, dall’altro sono stati incrociati i dati con l’Agenzia delle entrate. […]
Superbonus, qual è la fregatura (spiegata facile). Il bonus 110 voluto dal governo Conte (e proseguito da Draghi) ci è costato 2mila euro a testa. Claudio Romiti su nicolaprro.it il 19 Febbraio 2023,
Quando conobbi Giulio Savelli, il cui lucido pragmatismo è stato ampiamente sottovalutato, rimasi folgorato da alcune sue lapidarie osservazioni. Tra queste, ancora molto attuale, vi è quella relativa ai tanti dilettanti allo sbaraglio che tentano l’avventura in politica, presentando tutta una serie di sistemi infallibili per rilanciare a costo zero la nostra sempre asfittica economia. Qualcosa di simile alla chimera del moto perpetuo o al mito della famosa pietra filosofale, con cui trasformare il piombo in oro. Ebbene, la follia del Superbonus, in merito al quale solo uno sprovveduto non avrebbe potuto prevedere la colossale eterogenesi del fine che esso portava in dono, per così dire, è stata per l’appunto partorita dalla mente geniale dei dilettanti politici per antonomasia: gli epigoni a 5 Stelle di un comico tutta demagogia e niente arrosto.
In realtà quella del Superbonus si tratta di una delle tante idiozie keynesiote che, da osservatore liberale non schierato mi permetto di sottolineare, spesso attecchiscono anche a destra. A questo proposito qualcuno ricorderà il leghista Antonio Maria Rinaldi che, durante la campagna elettorale del 2018, faceva il giro delle 4 chiese televisive a sostenere la causa della cosiddetta moneta fiscale. Una valanga di pezzi di carta per un valore di 100 miliardi di euro che, secondo i suoi inventori, avrebbe rilanciato i consumi e la produzione senza generare alcuna inflazione.
Di fatto, che lo si chiami Superbonus del 110% con cessione del credito, o moneta fiscale, o titoli di Stato magici che sfuggano alla mannaia dello spread, o, per finire, ulteriore emissione di moneta a corso legale, nella fattispecie in euro, in tutti i casi si tratta di nuovo debito; nuovo dannatissimo debito che qualcuno dovrà prima o poi onorare.
In quest’ultimo esempio, ovvero la valanga di liquidità stampata e distribuita dalla Banca centrale europea a seguito della pandemia di follia virale, tale debito lo stanno pagando a carissimo prezzo soprattutto le fasce più deboli della società, alle prese con una inflazione che in Italia non si vedeva da decenni. Stessa cosa nei riguardi del citato Superbonus, la cui spinta all’azzardo morale era insita nel suo meccanismo demenziale, che secondo il ministro dell’Economia Giorgetti è stato il frutto di “una politica scellerata, che ha prodotto sicuramente un beneficio ad alcuni cittadini, ma che ha posto in carico a ciascun italiano, dalla culla in su, circa 2.000 euro a testa”.
In quanto, poi, ai sempre mitici effetti moltiplicatori di codesti sistemi basati sull’illusione dei pasti gratis, essi non si sono ancora visti, analogamente a molte altre strampalate iniziative di stampo keynesiano che nella nostra politica raccolgono sempre parecchie simpatie trasversali, dal momento che l’idea di dare a costo zero è una attrattiva elettoralistica quasi irresistibile.
Una attrattiva che, per chi come Giorgia Meloni si pone l’obiettivo di governare in modo stabile al di là di una legislatura, rappresenta qualcosa da evitare come la peste. Claudio Romiti, 19 febbraio 2023
«Gratuitamente» è il mantra di Giuseppe Conte. Andrea Soglio su Panorama il 20 Febbraio 2023.
E oggi siamo qui a pagare (noi) il conto tra Superbonus e Reddito di Cittadinanza.
Superbonus e RdC; la politica gratuita dei grillini come una televendita anni '80 21/02/23,
Chi non è più un ragazzino si ricorderà benissimo come per decenni ogni tipo di televendita per risultare credibile e ancor più vantaggiosa proponeva «gratis», una bici cambio Shimano ed un videoregistratore. Gratis, parola magica che nel mondo del commercio funziona sempre. Ma che, alla fine, nasconde una trappola. Perché gratis, nella vita, negli affari, nella politica, non c’è mai nulla. Lo ha spiegato il Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, nel suo video in cui motivava lo stop al Superbonus: «È costato 2000 euro ad ogni italiano». Eppure c’è chi proprio sul superbonus ed il concetto di gratuito ci ha basato tutta la passata campagna elettorale e lo ha fatto diventare il credo della propria linea politica, attualmente all’opposizione. Erano giorni in cui in ogni paese, ad ogni comparata tv, in ogni intervista sui giornali Giuseppe Conte ricordava al popolo: «Grazie a noi avete ristrutturato la vostra casa gratuitamente», scandendo l’ultimo termine per sottolineare ancora di più il suo fuori all’occhiello, ma che oggi scopriamo essere l’ennesima italica fregatura.
Draghi alla Camera: «Il Superbonus è una cosa buona, ma se non funziona è una cosa cattiva. Il problema sono i meccanismi di cessione che sono stati disegnati. Chi li ha disegnati senza discrimine, senza discernimento, sono loro i colpevoli di questa situazione in cui migliaia di imprese stanno aspettando i crediti. Ora bisogna riparare al malfatto…». Però cosa credete che preferiscano gli italiani? Chi dice loro che hanno esagerato o chi promette cose gratis? In realtà le ultime elezioni dimostrano come la maggioranza si stia dimostrando più matura e conscia dei limiti (soprattutto nei conti) del nostro paese. Però la cultura del Gratis grillina sembra essere senza fine. Se al Superbonus infatti ci aggiungete il Reddito di Cittadinanza ecco che la vita a costo zero è bella che garantita: casa nuova, più green, e frigo pieno. Senza fatica, senza spese. Oggi il Governo fa semplicemente quello che andava fatto da tempo: spiegarci che nulla è gratis, che c’è sempre qualcuno che paga. E siamo noi, non dovremmo dimenticarlo. Quanto a Giuseppe Conte e ai suoi che anche in queste ore difendono lo sprofondo rosso del Superbonus attendiamo con ansia il rilancio: alle prime 100 telefonate in omaggio una bici con cambio Shimano.
I raggiri sui bonus per la casa. "Lo Stato vuole essere fottuto". Luca Fazzo il 21 Febbraio 2023 su Il Giornale.
L'inchiesta della Gdf su una banda che ha intascato 440 milioni di crediti, rifilati anche a Poste. Le intercettazioni
Erano crediti fasulli, gigantesche truffe allo Stato grazie al sistema dell'Ecobonus, passate di mano in mano tra i membri di una associazione a delinquere: una delle tante che in questi anni hanno sfruttato per arricchirsi i vari bonus del governo Conte. Alla fine a chi arrivano in mano i crediti sporchi? Alle Poste Italiane. Che li comprano quasi al 100% del valore, una percentuale incredibile.
È uno dei dettagli che emerge dalle carte dell'inchiesta sulla banda sgominata l'anno scorso dalla Guardia di finanza di Rimini. Una truffa da 440 milioni, realizzata passando da una società fasulla all'altra i crediti alla base del bonus. L'inventore del sistema è un commercialista, Stefano Francioni: che, scrive il giudice, «non può affermare di essere all'oscuro dell'origine illecita dei crediti, posto che li ha pagati solo al 40% del valore nominale e in molti casi li ha immediatamente ceduti a Poste Italiane per il 98% del valore nominale».
Perché Poste si mette in affari con personaggi simili? A chiedere, anzi pretendere, che l'azienda pubblica compri crediti di seconda mano - e quindi di provenienza oscura - sono con una interpellanza i deputati del Movimento 5 Stelle, Emiliano Fenu e Giovanni Currò. Ottengono vittoria. E per i truffatori riparte il business.
É illuminante, la lettura dell'ordinanza del tribunale di Rimini che ha incriminato 81 persone per associazione a delinquere, truffa allo Stato e autoriciclaggio. Non c'è solo il curioso ruolo di Poste Italiane. C'è anche la descrizione dettagliata della facilità con cui la banda ha potuto approfittarsi delle falle contenute in tutti i decreti sugli aiuti di Stato varati in questi anni: dal bonus facciate, al bonus locazioni, fino al bonus sisma. Non c'è ancora, nell'inchiesta, un capitolo sul superbonus 110, quello stoppato ora dal governo Meloni. Ma anche lì di truffe ce ne sono state. Perché, come dice il 19 luglio 2021 uno dei sodali, tale Matteo Bonfrate: «Cioè lo Stato italiano è pazzesco, è una cosa... vogliono essere inculati, praticamente».
Ora una parte del processo è approdata a Milano, assegnata al pm Monia Di Marco, due capi della banda sono riparati in Sudamerica ma sono stati catturati e estradati. Una parte degli indagati ha già scelto di rito abbreviato per limitare i danni, davanti a intercettazioni inequivocabili: sia sulla facilità della truffa, sia sulla quantità di soldi accumulabili inventando spese inesistenti. Come dice il commercialista Franzoni: «Su 'sti crediti non ne capisce un c* nessuno e faccio un po' come mi pare, ho comprato e venduto crediti fiscali, ho 400mila euro sui conti correnti che non so cosa farmene». «Cominciamo già a maciullare soldi», festeggia Bonfrate.
Nell'indagine del Nucleo di polizia economica e finanziaria delle «fiamme gialle» riminesi, coordinate dal pm Paolo Gengarelli, sono state analizzate in dettaglio le falle in cui si sono incuneati i cervelli dell'organizzazione. Le più clamorose sono apparse subito nel decreto sul bonus locazioni, che doveva aiutare gli imprenditori a pagare l'affitto durante il lockdown: nel sistema dell'Agenzia delle entrate si potevano indicare senza controlli importi a piacimento, e che nell'inchiesta di Rimini sono arrivati a 42 milioni all'anno, generando crediti astronomici ceduti poi di mano in mano fino ad arrivare a Poste Italiane. Nel frattempo, gli uomini della banda festeggiavano: «Il coronavirus ha portato bene. Ho approfittato, ti dico la verità. Sono diventato uno squalo».
Meloni: "Il superbonus è costato 2000 euro a ogni italiano". Le imprese lunedì a palazzo Chigi. "Ora dobbiamo cercare soluzioni per evitare il tracollo di migliaia di aziende". Redazione ANSAROMA il 19 febbraio 2023
"Se lasciassimo il superbonus così com'è, non avremmo i soldi per fare la finanziaria". Giorgia Meloni riemerge dalla "fastidiosa influenza" e usa la sua consueta rubrica social 'Gli appunti di Giorgia' per difendere l'intervento del governo sui bonus edilizi, che negli ultimi giorni ha mandato in subbuglio il mondo dell'edilizia, creando anche significative fibrillazioni nel centrodestra.
Tensioni per ora contenute dall'intervento di Silvio Berlusconi, che ha definito "giustificato e forse inevitabile il percorso del governo per evitare danni al bilancio dello Stato, che potrebbero addirittura portarci ad una situazione di default".
Pur aggiungendo che "il Parlamento sovrano discuterà il decreto, e, nei tempi richiesti, ove lo ritenesse opportuno, potrà apportare utili modifiche".
Cambiamenti sono "indispensabili", in Forza Italia lo dicono chiaro e tondo: gli azzurri hanno anche chiesto l'apertura di un tavolo di maggioranza prima che il decreto legge, varato all'unanimità giovedì dal Consiglio dei ministri, inizi l'iter di esame parlamentare in commissione alla Camera. L'ipotesi, è il ragionamento che si fa in FdI, sarà approfondita dopo il confronto in programma domani a Palazzo Chigi fra il governo e le parti interessate. A nessuno conviene uno scontro interno come sulle accise.
"Vogliamo spingere - ha chiarito Meloni - le banche e tutti gli attori che possiamo coinvolgere ad assorbire i crediti che sono incagliati, che nessuno vuole prendere. E abbiamo definito meglio la responsabilità di chi deve prendere quel credito". Negli incontri con l'Associazione delle banche, Cdp, Sace e le varie categorie del mondo dell'edilizia saranno probabilmente messe sul tavolo due strade, la cartolarizzazione o le compensazioni tramite i modelli F24 presentati in banca. La prima, al momento, sembra più complicata della seconda. Con alle spalle lo sfondo domestico di un salotto, e indosso un informale maglione blu Tiffany, dopo aver annullato per la febbre tutti gli impegni settimanali, Meloni intanto ha riaperto il quaderno degli appunti partendo dal successo alle Regionali in Lazio e Lombardia.
"Un segnale sul consenso attorno lavoro del governo", ha sottolineato senza sorvolare sull'astensionismo: "Ogni cittadino che decide di non partecipare al voto è una sconfitta per la politica". C'è chi collega questo trend a una politica che dà sempre meno certezze, anche sul fronte del superbonus, modificato almeno una dozzina di volte negli ultimi anni. Nel suo monologo social, per la premier era fondamentale spiegare all'opinione pubblica che la nuova stretta sulla cessione dei crediti, "che attualmente hanno un costo totale di 105 miliardi", era necessaria "per sanare una situazione fuori controllo" e non certo per danneggiare imprese e cittadini.
Perché il sistema era "scritto male", concetto su cui insisteva anche Mario Draghi. Meloni ha puntato su alcuni numeri per rendere l'idea: "Il Superbonus è costato a ogni singolo italiano circa 2mila euro, anche a un neonato o a chi una casa non ce l'ha. Non era gratuito, il debitore è il contribuente italiano". A inizio febbraio in audizione in commissione, il direttore generale delle Finanze del Mef, Giovanni Spalletta, aveva indicato in 110 miliardi il costo dei bonus, 37,7 miliardi più delle previsioni. Stima che salirebbe a 120 miliardi con gli ultimi dati. Da qui il costo medio pro-capite citato da Meloni, che attacca pure sulle "moltissime truffe, per circa 9 miliardi di euro". In questo contesto, la premier ha sottolineato che "il superbonus continua a generare 3 miliardi di crediti al mese: se lo lasciassimo fino a fine anno, non avremmo i soldi per fare la finanziaria. Altro che taglio del cuneo fiscale, scordiamoci tutto". Queste sono le basi su cui Meloni e il ministro dell'Economia Giancarlo Giorgetti hanno puntato sul decreto per vietare il ricorso alla cessione dei crediti o allo sconto in fattura per i nuovi interventi e bloccare l'acquisto da parte degli enti pubblici dei crediti incagliati. Ora, per "mettere tutto su un binario sensato ed evitare il tracollo delle aziende" si apre il confronto con le parti: Palazzo Chigi e Mef, è la linea, vaglieranno tutte le proposte. Per il leghista Alberto Bagnai l'obiettivo è "una copertura all'acquisto dei crediti delle famiglie e delle imprese, consentendo il completamento dei lavori avviati. È presto per dire con quale strumento specifico".
La Partita Iva.
Dichiarazione dei redditi: 128 metri di guida e modelli. Una follia tutta italiana. Milena Gabanelli su Il Corriere della Sera il 25 Aprile 2023
Perfino i commercialisti si lamentano. Proprio loro che hanno tutto da guadagnare: più è complessa la dichiarazione dei redditi e più i cittadini sono costretti a transitare dai loro uffici e pagare parcelle. Eppure da anni si dice: «Stiamo semplificando». Che non è vero si capisce guardando le istruzioni del 2023 relative alla dichiarazione dei redditi del 2022. Partiamo dal 730, che dovrebbe essere il più semplice perché riguarda i dipendenti e i pensionati: sono 144 pagine di istruzioni e 16 di modello, in totale 160 pagine. Quello delle persone fisiche (modello che possono utilizzare i professionisti e i lavoratori autonomi): sono 383 pagine di istruzioni (divise in tre fascicoli) e 51 di modelli. In totale 434 pagine. Provando a misurarli sono rispettivamente 47 metri per il 730 e 128 metri per le persone fisiche. Nel 2013 si chiamava «Unico», ed erano 277 pagine totali. Quasi un raddoppio in 10 anni.
La giungla delle detrazioni
Il quadro più pesante del modello redditi persone fisiche (ma vale anche per il 730) è quello degli oneri e delle spese deducibili, che da anni ogni legge di bilancio sforna a getto continuo. Sulle 167 pagine totali di istruzioni del primo fascicolo, ben 54 sono costituite dal quadro RP (oneri e spese).
Nei nostri modelli non ci sono guide, bisogna fare riferimento alla normativa, che è enormemente complessa. Per esempio le spese sanitarie sono divise per patologie, per familiari a carico, per disabilità, per i cani guida, e spese veterinarie. E poi il Caf o commercialista devono conservarle per la verifica per 5 anni. Per spiegare come interpretare ogni singola casistica relativa a oneri e spese deducibili delle persone fisiche, l’Agenzia delle Entrate ha inviato a luglio 2022 due megacircolari (la n. 28 e la n. 24) per un totale di 549 pagine.
Il problema (che la riforma fiscale dice di voler risolvere) è proprio questa giungla di deduzioni e detrazioni, e se non si procede con un’opera di razionalizzazione e semplificazione non ne usciamo più.
Francia e Germania
In Francia le spese mediche stanno in una riga, e riguardano anche il coniuge più 2 familiari. Il contribuente deve indicare solo l’importo. In Italia invece il modello «redditi persone fisiche» è solo per singoli. La congiunta non si può fare. In Germania si compila online. Il contribuente (o chi per esso se autorizzato) entra nel sito dell’agenzia tedesca, si identifica fornendo le credenziali, e trova la compilazione guidata.
Nessuno di questi due Paesi produce una quantità di pagine di istruzioni e modelli lontanamente paragonabile a quella italiana
In Francia la dichiarazione dei redditi delle persone fisiche è decisamente semplificata, in Germania un po’ meno. Per questa ragione le spese del commercialista o del Caf si possono detrarre.
La precompilata? Siamo al 4%
In Italia (come pure in Francia) abbiamo la «precompilata» per il 730, ed esiste dal 2015. Ogni anno l’Agenzia ne sforna 23, 2 milioni (che è il totale dei contribuenti che può utilizzarla). Funziona così: il contribuente la controlla, se i conti gli tornano, la rispedisce al mittente (senza passare dal Caf o dal commercialista).
Nel 2022 ne sono state accettate e rispedite senza modifiche 967.000. Vuol dire che il fisco ha fatto correttamente il suo dovere e il cittadino ha detto ok nel 4% dei casi (e quindi non è più richiesto conservare per 5 anni gli scontrini per le spese sanitarie). Su tutte le altre precompilate invece il contribuente, il suo commercialista o il Caf hanno dovuto metterci mano.
Giampiero Mughini per Dagospia il 19 luglio 2023.
Caro Dago, leggo in continuazione che quanti di noi lavorano a partita Iva, ossia che fanno un lavoro e se quel lavoro è accettato emettono una fattura elettronica con annessa percentuale Iva nella speranza di essere pagati, sono nella gran parte degli evasori fiscali.
Non so come facciano così in tanti a evadere, dato che io o faccio la fattura in tempo oppure non ho alcuna speranza di essere pagato a due tre o anche quattro mesi, con l'eccezione di Dagospia che previa emissione di fattura paga a fine mese.
Ecco perché mi imbestialisco a leggere che le partite Iva in quanto tali non fanno altro che evadere le tasse. Sono difatti uno dei poco più che 400mila italiani che dichiarano un reddito annuo lordo superiore ai 100mila euro, un dato che da solo indica la tragedia fiscale del nostro Paese.
In questa tua rubrica ho suggerito una volta a Maurizio Landini, il segretario della Cgil che ogni due per tre denuncia che solo i lavoratori dipendenti e i pensionati pagano le tasse, di aprirla anche lui una partita Iva in modo da scansare un bel po' di carico fiscale. Si accorgerebbe di come stanno le cose se uno è una persona per bene. Ebbene per gli adempimenti fiscali relativi al mio essere una partita Iva, io impiego abbondantemente un mese all'anno oltre che pagare il mio bravissimo commercialista.
Un mese all'anno in mezzo alle scartoffie. Esempi. Ti chiama la Rai e ti offre un lavoro che in media viene pagato la metà di dieci anni fa. Per l'occasione, e ogni volta, ti manda un contratto di 30 pagine - sempre lo stesso - in cui ti chiede come ti chiami, se sei uomo o donna, se hai parenti che lavorano in Ra, e altre amenità di questo genere.
Ogni volta 30 pagine, sempre le stesse, e ogni volta le devi restituire controfirmate. ossia devi scansionare alla copiatrice ciascuna di quelle pagine, controfirmarle e mandarle a una a una, una mezz'ora abbondante di lavoro. Una volta che per scansare questa mezz'ora di dedizione alle scartoffie ho restituito le 30 cartelle per via postale, dal quartiere romano di Monteverde dove le ho imbucate ad arrivare alla Rai di Piazza Mazzini a Roma ci hanno messo tre settimane. Per fortuna le cose vanno un po' meglio con Mediaset, il cui contratto di 3 pagine. 3 pagine contro 30, eppure si tratta dello stesso lavoro. Mah.
A proposito di fatture sto combattendo da poco meno di un mese con l'amministrazione di un quotidiano sul quale ho pubblicato per la prima volta un articolo. Scriverlo mi sarà costato sì e no 20 minuti. Ho già passato abbondantemente una mezz'ora a duellare con l'amministrazione di quel giornale. Scartoffie, altre scartoffie, ma no, non ha rimandato quelle giuste, e il telefono che non funziona, e la signora dell'amministrazione che è in quel momento fuori sede. Landini, Landini, che devo fare?
Beninteso le amministrazioni sono regine nell'arte di tirarla per le lunghe, più lo fanno e più tardi pagano. Fai un lavoro, lo consegni, lo fatturi. Ma no, ti rispondono, doveva mettere in fattura l'importo della ritenuta Enpals. Ah sì?, e perché non me lo dicevate prima.
A questo punto devi cancellare la fattura elettronica che hai fatto e farne una nuova, sempre che in quel momento ti funzioni la connessione internet, il che non è detto. Non è detto affatto.
Così come non è detto che quando tu hai firmato un contratto nel quale c'è scritto che ti pagheranno a tre mesi salvo prendersi altri 15 giorni di ragionevole ritardo, non è affatto detto che dopo 195 giorni pagheranno davvero. Devi incazzarti, fare un'altra telefonata, contare che la signora dell'amministrazione non sia fuori sede, e a quel punto dopo una decina di giorni sarai pagato davvero. Landini, Landini, no, non la apra una partita Iva. E' un supplizio.
Giampiero Mughini per Dagospia il 31 marzo 2023.
Caro Dago, e siccome il segretario della Cgil Maurizio Landini lo ripete continuamente che a pagare le tasse sono soltanto i lavoratori dipendenti e i pensionati, ogni volta io me ne sento punto sul vivo. Meglio ancora offeso.
Sono anch’io un pensionato, ma da oltre quarant’anni la più parte del mio reddito viene dal lavoro da partita Iva.
E dunque mi sento offeso dal sentir pronunciare che per il fatto di essere una partita Iva sono senz’altro uno che evade le tasse. Non che io ci tenga particolarmente a essere identificato come uno di sinistra, come uno particolarmente attento agli “ultimi”, a quelli che hanno di meno e che dunque vanno aiutati per la via fiscale da chi ha di più. Il fatto è che io tengo immensamente a essere una brava persona, e che ai miei occhi l’eventuale mancato pagamento delle tasse dovute è peggio che l’essere un adepto di Casa Pound.
Vorrei spiegare un tantino a Landini com’è il vivere e il lavorare da partita Iva, ossia da uno che di volta in volta fa un lavoro che gli viene chiesto, che di volta in volta gli viene accettato o magari no, che di volta in volta gli viene pagato ma non sempre, che di volta in volta deve aspettare tra i tre e i quattro mesi per intascare il pattuito, un lavoro che di volta in volta comporta spese per la produzione del reddito anche ingenti. Una condizione che si fa rovente alla fine di ogni mese, ad esempio questo fine marzo/avvio di aprile dove io mi aspetto di incassare il lavoro fatto in gennaio o magari in dicembre 2022 e prego Iddio di riuscirci.
A Landini evidentemente non lo hanno mai spiegato com’è il lavoro e dunque la vita di una partita Iva, glielo spiego io volentieri. In quello che è il mio settore professionale specifico, dove è puramente cialtronesco il detto dell’ex capo del governo Giuseppe Conte (per come lo ha riferito l’ottimo Francesco Merlo), e cioè che un giornalista arriva agevolmente a guadagnare 200/300 euro l’ora, le cose stanno così.
Quindici anni fa a uno come me bastava scrivere un articolo per pagarci due bollette della luce, oggi ce ne vogliono tre di articoli per pagarne una, e fermo restando che sono rilevanti le spese necessarie alla produzione di quel reddito: devi avere uno studio professionale attrezzato al meglio, devi pagare libri e giornali a iosa, devi essere abbonato a tutti i canali televisivi e streaming possibili e immaginabili, devi portare degli interlocutori a cena e a pranzo, se uno come me va in uno studio televisivo è meglio non essere vestito da impiegato delle pompe funebri com’è il caso ad esempio dei parlamentari italiani.
Ebbene a partire da un reddito dichiarato di 50mila euro lordi l’anno, corrispondenti più o meno a 3500 euro netti al mese, tutto compreso tu paghi il 50 per cento di tasse e senza contare l’Imu sulla casa che funge da studio professionale. Ho detto paghi perché nel mio ramo professionale dove non c’è una bell’e tonda fattura elettronica su cui l’Agenzia delle entrate può puntare il suo mirino, i tempi di pagamento non scattano.
Non fatturi? Nessuno paga. E’ molto semplice, caro Landini. Beninteso, in questi ultimi cinque anni confesso che due o tre volte mi hanno pagato in nero. Due o tre volte contro 150-180 fatture circa fatte in cinque anni. Tanto che rientro nell’1 per cento di italiani che svelano un reddito lordo superiore ai 100mila euro annui. Tanto che non so se ridere o piangere.
Ma non è finita. Ciascun lavoro a partita Iva è pagato con un contratto che determina i tempi di pagamento, 90 volte su cento 60 giorni fine mese. Lavori in gennaio? Ti pagheranno a fine marzo. O per meglio dire ti pagheranno nel corso del mese di marzo perché il contratto menziona esplicitamente un ulteriore lasso di tempo di 10-15 giorni dovuto al fatto che il pagamento è “telematico”, ossia al fatto - lasciano intendere i pagatori - che i soldi a te destinati se la fanno a piedi, lemme lemme per tutto lo stivale italiano.
Dicevo che ogni fine mese è un tempo rovente. Tu hai i tuoi pagamenti da fare, e non puoi ritardarli neppure di un’ora. I tuoi introiti arriveranno quando e se Dio vuole. Lei non crede a quanto le sto raccontando, caro Landini? Lei è convinto che la situazione fiscale delle partite Iva sia paradisiaca, che siamo tutti degli evasori allo stato puro? E allora perché non la apre anche lei una partita Iva al fine di spassarsela fiscalmente? Chi glielo impedisce?
L'IMMONDA IDEA DI UN REDDITO PER CHI LAVORA IN NERO. Così scrive Maurizio Tortorella il 31 marzo 2020 su Panorama.
La Germania non ha fiducia nell’Italia nell’onorare i suoi debiti. L’Italia è reputata indebitata, inaffidabile e senza garanzie. E tutti gli italiani contro i tedeschi.
La stessa cosa, però, pensano i padani di noi meridionali: lavativi e approfittatori.
Mi devono spiegare e farmi capire, questo tipo di scienziati, in termini di PIL a quanto ammonta il “Lavoro Nero”, se per definizione il “Lavoro Nero” e la relativa evasione fiscale è di per sé invisibile. Ergo: incalcolabile.
Questi scienziati considerano "Nero" anche quella fascia di contribuenti che per legge fiscale sono esonerati dal presentare la dichiarazione dei Redditi.
E comunque il cosiddetto “Nero” vero è che non paga l’Irpef, ma vive e consuma Padano, facendoli ricchi, e, quindi, spende, e spendendo paga, comunque, tasse ed imposte (Iva, accise, ecc), che servono ai parassiti per sostenersi e per avere l’aria di parlare.
In tempo di Coronavirus si cerca di aiutarsi tutti quanti. Così dicono.
Chi lavora è sostenuto con i bonus.
Chi è dipendente e non lavora gli viene riconosciuta la Cassa Integrazione Guadagni o la disoccupazione.
Gli autonomi ed i professionisti che si sono fermati vengono pagati con una indennità (600-800 euro).
Chi non lavora e non rientra nelle categorie suddette ha il reddito di cittadinanza.
Poi ci sono gli sfigati. Quelli che per 10 euro in più nel conto in banca o nel valore immobiliare non rientrano nel reddito di cittadinanza, o quelli che, lavorando sottopagati, o pagati parzialmente in nero al Nord, con questa crisi sono stati licenziati a paga dimezzata e senza diritti, o quelli che comunque sono stati licenziati, o che sono disoccupati da lunga data, ma non maturano i requisiti di alcun beneficio.
Questi non sono “nero”, ma semplici sfigati. Per gli scienziati dall’accusa e dalla condanna facile, hanno un peccato: essere meridionali. Come se al Nord non ci fossero i morti di fame, anzi, di più. Perché non hanno una famiglia dietro che li sostiene. Però i media padani la menano sul pericolo Sud e le rivolte per la fame, aiutati in questo da certi sindaci meridionali senza dignità ed orgoglio, che sono sempre lì a lamentarsi..
Se al Nord guardassero meno la pagliuzza negli occhi del Sud, e si facessero solo i cazzi propri, forse scriverei meno nei miei libri sulle loro nefandezze.
Otto cose da sapere prima di aprire una partita Iva nel 2023. Giuditta Mosca il 21 Gennaio 2023 su Il Giornale.
Il governo ha alzato a 85mila euro il limite che rientra nei canoni della flat tax al 15%, introducendo anche novità per le Partite Iva che superano i 100mila euro di ricavi. Ecco cosa sapere
Tabella dei contenuti
1) Le novità per le partite Iva
2) Che cos’è la partiva Iva
3) Quanto costa aprire una partita Iva
4) Come aprire una partita Iva
5) Quale regime scegliere
6) Quanto fatturato si deve avere per la partita Iva
7) Come richiedere il bonus partite Iva
8) Quando paga le tasse chi ha una partita Iva
Con la legge di Bilancio 2023 il governo ha introdotto alcune novità per le partite Iva al fine anche di facilitarne la crescita. La pandemia ne ha falcidiate oltre 320mila, portandole a circa 4,8 milioni di unità rispetto agli oltre 5,1 milioni del 2019.
Tant’è che la prima e più corposa modifica relativa al regime fiscale prevede che possano usufruire della flat tax al 15% le partite Iva i cui ricavi sono inferiori agli 85mila euro, ovvero 20mila euro in più rispetto ai 65mila euro precedenti.
1) Le novità per le partite Iva
La soglia dei ricavi di 85mila euro è stata ritoccata verso l’alto anche per fare fronte alla crescente inflazione (11,6% a dicembre, secondo i dati Istat) e, a fronte di una maggiore elasticità, l’esecutivo ha introdotto anche strumenti per evitare gli abusi nel regime forfettario. I ricavi che superano i 100mila euro fanno decadere immediatamente la flat tax e, oltre alla pressione fiscale più alta, viene sommata l’Iva per le operazioni effettuate al di là dello sforamento del tetto.
Va ricordato che nel regime forfettario non addebitano l’Iva ai rispettivi clienti né la detraggono dagli acquisti effettuati. Ciò significa che non sono obbligati a presentare la dichiarazione Iva.
Le nuove norme sono in vigore dal primo gennaio 2023 e si applicano ai ricavi del 2022, questo perché la documentazione fiscale che dovrà essere esibita durante l’anno in corso fa riferimento a quello precedente. Partendo da questo presupposto, ecco una guida sul tema delle partite Iva.
2) Che cos’è la partiva Iva
Dal punto di vista prettamente tecnico, la partita Iva è un codice univoco di 11 cifre che identifica una società o un lavoratore autonomo. Ha l’obiettivo di rendere nota e registrare un’attività commerciale presso l’Agenzia delle entrate.
È quindi uno strumento di primaria importanza tanto per le aziende quanto per i lavoratori autonomi e i liberi professionisti.
Mediante la partita Iva si interpreta la posizione fiscale del titolare e permette il versamento di diversi tributi oltre alla stessa Iva, tra questi:
Irap (Imposta regionale sulle attività produttive)
Irpef (Imposta sul reddito delle persone fisiche)
Contributi Inps
Assicurazione Inail
Iscrizione alla Camera di commercio
Chi sta pensando di avviare un’azienda o di lavorare in proprio in modo continuativo ha quindi bisogno di aprire una partita Iva. Le attività autonome non abituali non prevedono l’obbligo di aprire una partita Iva.
3) Quanto costa aprire una partita Iva
Aprire una partita Iva non ha costi, a meno che non ci si rivolga a uno specialista come, per esempio, un commercialista o un Caf.
Allo stesso modo, anche la chiusura di una partita Iva è esente da costi, fermo restando che non ci si avvalga della consulenza di un esperto.
4) Come aprire una partita Iva
L’apertura di una partita Iva prevede la compilazione di un apposito modello e la scelta di un codice Ateco che identifica il servizio offerto.
Quest’ultimo va individuato tra i tanti esistenti ed è di vitale importanza perché, tra le altre cose, determina i limiti di fatturato per potere aderire al regime forfettario. Lo si può ottenere sull’apposito sito che instrada l’utente verso il codice Ateco pertinente.
Inoltre, chi vuole aprire una partita Iva, deve compilare:
Il Modello AA9/12 (per le persone fisiche)
Il Modello AA7/10 (per i soggetti diversi dalle persone fisiche)
Il Modello ANR/3 (per i soggetti non residenti in Italia).
A prescindere dalla forma giuridica scelta, nel caso di società o ditte individuali, tutti gli imprenditori devono iscriversi al Registro delle imprese – così come stabilito dall’articolo 2195 del Codice civile – e questo può comportare la necessità di iscriversi al Repertorio economico amministrativo (Rea), che aggiunge informazioni di carattere amministrativo ed economico. In particolare, la registrazione Rea è obbligatoria per:
Tutti i soggetti iscritti al Registro delle imprese (incluse le sezioni speciali)
I soggetti che esercitano un’attività economica anche se non sottostanno all’obbligo di iscrizione al Registro delle imprese, gli enti pubblici, le associazioni e altri soggetti che esercitano attività economiche
Gli imprenditori che hanno sede principale all’estero e che aprono una succursale sul territorio italiano.
Per aprire una partita Iva ci si può recare presso l’Agenzia delle entrate oppure si può scegliere la via telematica usando gli appositi software (qui quello per le persone fisiche, mentre qui si può trovare quello per i soggetti diversi dalle persone fisiche).
La richiesta di apertura di una partita Iva deve essere inoltrata entro 30 giorni dall’inizio dell’attività.
5) Quale regime scegliere
Occorre adottare un regime fiscale, scegliendo tra due alternative, ossia il regime forfettario e quello ordinario.
Il regime forfettario offre agevolazioni ed è indicato soprattutto per le nuove attività. Per poterlo scegliere occorre rientrare in determinati requisiti di forma e di sostanza. Il regime ordinario prevede invece il calcolo delle imposte per scaglioni di reddito e l’applicazione dell’Iva.
I due regimi si differenziano soprattutto in relazione alla possibilità di detrarre le spese legate alle attività del business, cosa prevista nel regime ordinario ed esclusa per principio in quello forfettario.
6) Quanto fatturato si deve avere per la partita Iva
È opinione diffusa che, superando un fatturato di 5.000 euro annui sia necessario aprire una partita Iva. In realtà questa soglia impone soltanto la dichiarazione dei redditi.
Come scritto sopra, l’apertura di una partita Iva è subordinata alla continuità dell’attività professionale che viene svolta in modo abituale. Pertanto, a titolo di esempio, chi svolge in modo abituale un’attività che gli rende una cifra di 3.500 euro è tenuto ad aprire una partita Iva. I ricavi non determinano l’occasionalità di un’attività. Non è quindi il fatturato o il ricavo, sono l’abitudinarietà e la continuità nel tempo a renderle necessaria una partita Iva.
7) Come richiedere il bonus partite Iva
Il bonus 200 euro per le partite Iva è stato introdotto con il decreto Aiuti del 17 maggio 2022. Può essere richiesto da chi:
Il 18 maggio 2022 aveva una partita Iva aperta e attiva
È iscritto all’Inps o a una Cassa privata di previdenza
Ha percepito un reddito 2021 inferiore ai 35.000 euro
Ha effettuato almeno un versamento contributivo (anche parziale) a partire dal 2020
Le domande vanno inoltrate all’Inps o alla Cassa previdenziale di competenza.
8) Quando paga le tasse chi ha una partita Iva
Ci sono due modalità di versamento delle imposte, ovvero a saldo oppure in acconto. Il versamento a saldo riguarda le imposte dell’anno precedente rispetto a quello durante il quale si presenta la dichiarazione, mentre i versamenti in acconto sono relativi all’anno in corso.
Di norma – salvo proroghe – il versamento del saldo o del primo acconto avviene entro il 30 giugno, mentre il versamento del secondo acconto va effettuato al più tardi il 30 novembre.
Nel caso in cui tali date cadessero in un giorno festivo, farà riferimento il primo giorno feriale successivo.
Quelli che…Evasori Fiscali: Il Pizzo di Stato.
I Numeri.
Concordato preventivo.
Sotto inchiesta.
Le vittime del Fisco.
Lo Scudo Penale.
Flat tax.
I Parassiti.
Rapace sul volontariato.
Rapace sui terremotati.
Gli italiani devono al fisco oltre 1000 miliardi di euro. Cristina Colli su Panorama il 10 Novembre 2023
Gli italiani devono al fisco oltre 1000 miliardi di euro Sono più di 7 milioni i cittadini che da anni ricevono cartelle esattoriali per debiti pregressi non pagati. Una somma importante che lo Stato sa che non vedrà mai Gli italiani devono al fisco una montagna di soldi: 1.153 miliardi di euro a fine 2022, a fronte dei ruoli esattoriali emessi. È chiamato il “magazzino” della riscossione e il 90% è considerato dalla stessa Agenzia delle Entrate di recupero difficile, se non impossibile. Tradotto: si sa che c’è, ma è dato per perso. Lo Stato sa che non lo vedrà mai. Sono più di 7milioni gli italiani che ogni anno (da anni) ricevono una cartella esattoriale per debiti pregressi non pagati. Da recuperare c’è una somma esorbitante, accumulata dal 2000, in oltre vent’anni. Perché tutto quello che non si riesce a riscuotere nell’immediato finisce nel “magazzino”, dove oggi ci sono oltre mille miliardi di euro, per oltre 170 milioni di cartelle di pagamento che contengono circa 290 milioni di singoli crediti affidatidagli enti creditori all'Agenzia delle entrateRiscossione per recuperarli da quasi 23 milioni di soggetti debitori. Dal 2000 il sistema di riscossione ha avuto in affidamento (da riscuotere) 1650 miliardi di euro e ne ha incassati solo 150 miliardi. L’arretrato (quel 1153 miliardi di euro) resta e il cumulo continua a crescere. Anche perché in 9 casi su 10 si tratta di riscossioni impossibili. Perché? Perché in quel “magazzino” ci sono 156 miliardi di debiti di società e ditte individuali fallite, 168 miliardi di cartelle esattoriali per soggetti deceduti e ditte cessate, 136 miliardi di debito di soggetti nullatenenti. Quindi è molto difficile pensare di arrivare a recuperare anche solo una parte degli euro dovuti. E la riscossione, 7 volte su 10 riguarda i cosiddettigrandi debiti, sopra i 500mila euro, quindi grandi evasori (da loro dovrebbero arrivare 328 miliardi di euro). Solo il 3,3% riguarda pacchetti di debiti sotto i 10mila euro. E nel 64% si tratta di persone giuridiche. Di 1.153 miliardi di euro si prevede l’incasso realistico di solo di 114 miliardi, cioè il solo 10%. E così il “magazzino” cresce costantemente, di anno in anno, tanto che il direttore dell’agenzia delle Entrate Enrico Maria Ruffini ha definito qualche mese fa la situazione come “ingestibile”. Con un indice di riscossione medio negli ultimi vent’anni del 12/13% vuol dire che ogni 100 euro accertati (dovuti dai debitori), lo Stato ne incassa 12/13.Dopodieci anni, in media, si riesce a recuperare il 15%, dopo vent’anni il 30%.Ovvio che il magazzino cresce a dismisura e nelle casse dello Stato non rientra molto. Perché non si riescono a recuperare i soldi? La Corte dei Conti ha spiegato che per riavere il dovuto, per esempio,da 13 milioni di contribuenti debitori servirebbero: 5 milioni di fermi amministrativi sui veicoli, 5 milioni di ipoteche sugli immobili, 6 milioni di pignoramenti presso i datori di lavoro o di pensione, 850 mila pignoramenti presso terzi, 13 milioni di analisi sull’anagrafe dei rapporti finanziari. Trenta milioni di atti. Impossibile. A occuparsi del recupero è l’Agenzia delle Entrate-Riscossione. Quando ci sono mancati pagamenti di imposte e tasse si attiva edopo le azioni extra giudiziarie fallite, passa al pignoramento dei beni .Ma il Fisco, a differenza dei creditori privati come banche, condomini o soggetti privati, ha dei limiti.Ad esempio, non puòpignorare la casa, se il debito è inferiore ai 120mila euro e la somma degli immobili di proprietà è sotto tale soglia. E anche se il debito supera questo limite non può mai pignorare la casa seè l’unico immobile di proprietà del debitore (anche per quote), a patto che si tratti di un immobile di residenza, accatastato a civile abitazione e non di lusso. Ilpignoramento diretto sul conto correnteè in parte previsto, ma le procedure necessarie per richiederlo e attivarlo sono lente e complesse. L’Agenzia riscossione può accedere all’Archivio dei rapporti bancari e finanziari del contribuente e vedere quali sono gli intermediari che hanno rapporti con lui. E può chiedere agli intermediari un elenco dei beni e delle cose da loro dovute al debitore e ordinare di versare le somme dovute dal debitore. Per avere questo elenco però servono mesi e personale. La riscossione delle tasse non pagate arranca ed è necessario da una parte eliminare nel “magazzino” le somme considerate ormai impossibili e velocizzare e semplificare il recupero corrente, evitando la crescita costante dello stesso “magazzino”. Nella riforma fiscale del governo c’è un capitolo che riguarda la riforma della riscossione. È saltata la idea del pignoramento sprint(cioè la possibilità di bloccare sul conto corrente dei debitori quanto dovuto), ma serve una rivoluzione della riscossione, per fare fronte a una situazione sempre più insostenibile. Come fanno i nostri vicini? In Spagna (dati Fabi) l’agente della riscossione può accedere direttamente ai conti correnti dei debitori e può prelevare gli importi dovuti e bloccare i conti fino al saldo del debito. In Francia l’agenzia di riscossione manda l’avviso alla banca che è obbligata a dichiarare immediatamente il saldo dei conti correnti e a trasferire il dovuto al Fisco. In Inghilterra il Fisco può accedere direttamente ai conti correnti bancari dei cittadini debitori. Unico limite: se l’importo dovuto è minore di mille sterline.
Evasione fiscale, dopo Calabria e Campania la Puglia è tra le peggiori regioni italiane. Redazione CdG 1947 su Il Corriere del Giorno il 29 Settembre 2023
Per ogni 100 euro di tasse pagate, gli evasori pugliesi ne fanno sparire 19,2. Un dato alto, altissimo, che porta la Puglia nella poco invidiata terza posizione tra le regioni con la maggior evasione fiscale. Peggio dei pugliesi, solo campani e calabresi. La Puglia sta messa male anche per quanto riguarda l'abusivismo edilizio
L’Ufficio studi Cgia di Mestre (Venezia), ha pubblicato un rapporto secondo il quale, in base ai dati Istat, nonostante i circa 148 miliardi di euro incassati negli ultimi 50 anni grazie ai condoni, l’evasione fiscale resta una piaga in Italia, che vale quasi 90miliardi all’anno. Gli ultimi numeri disponibili, indicano come l’evasione fiscale e contributiva in Italia raggiunge circa i 90 miliardi, di cui 78,9 imputabili all’evasione tributaria e 10,8 a quella contributiva. Il territorio fiscalmente più “corretto” è la Provincia di Bolzano che presenta un’evasione di soli 9,3 euro ogni 100 incassati, a fronte di una media italiana di 13,2 euro.
La situazione più critica si registra al Sud: ogni 100 euro incassati, gli evasori pugliesi non ne dichiarano 19,2, mentre si tocca quota 16,5 in Basilicata. Fanno peggio solo la Calabria (21,3) e la Campania (20). Dallo studio emerge un’ulteriore piaga che colpisce il Mezzogiorno, legata all’abusivismo edilizio. Sebbene negli ultimi in anni il dato sia in leggero calo, nel 2022 ha registrato il suo picco massimo in Basilicata e in Calabria, entrambe con una percentuale del 54,1%. Seguono la Campania con il 50,4%, la Sicilia con il 48,2% e la Puglia con il 34,8%. Le regioni, infine, meno interessate al fenomeno sono state il Piemonte e la Valle d’Aosta, entrambe con il 4,2%, e, in particolar modo, il Trentino Alto Adige e il Friuli Venezia Giulia, ambedue con un livello del 3,3 %. Il dato medio nazionale si attesta al 15.1 %.
Per ogni 100 euro di tasse pagate, gli evasori pugliesi ne fanno sparire 19,2. Un dato alto, altissimo, che porta la Puglia nella poco invidiata terza posizione tra le regioni con la maggior evasione fiscale. Peggio dei pugliesi, solo campani e calabresi. La Puglia sta messa male anche per quanto riguarda l’abusivismo edilizio. Secondo gli ultimi dati del Cresme, il fenomeno, nelle regioni meridionali, supera di gran lunga la media nazionale, che è del 15%. In Basilicata e in Calabria, il dato sale fino al 54,1%. Seguono la Campania con il 50,4%, la Sicilia con il 48,2% e la Puglia, quinta con il 34,8%. Anche in questo caso, fanno da contraltare Friuli Venezia Giulia, Trentino Alto Adige, Valle d’Aosta e Piemonte, tutte sotto il 5%. Redazione CdG 1947
«Basta classifiche sulla corruzione fatte coi sondaggi». L’Italia si ribella. Vera o percepita? A Vienna la prima Conferenza globale dell’Onu sui fenomeni legati al malaffare: per la Farnesina è intervenuto Giovanni Tartaglia Polcini, che ha spiegato come gli attuali indici di misurazione producano «risultati distorti». Gennaro Grimolizzi su Il Dubbio l'1 settembre 2023
La prima conferenza globale dell’Onu sulla misurazione della corruzione, svoltasi a Vienna ieri e giovedì, ha consentito di fare il punto su un fenomeno comune a tutti gli Stati ma che nel corso del tempo ha portato alla creazione di non pochi luoghi comuni, spuntando le armi di un effettivo contrasto. Nella capitale austriaca è stato indicato un obiettivo molto chiaro: sviluppare indicatori e dati affidabili e comparabili per migliorare la trasparenza, la responsabilità e l’elaborazione di politiche basate su dati concreti nella lotta alla corruzione. Senza trascurare il superamento degli indici percettivi che tanto hanno penalizzato l’Italia negli anni sul piano reputazionale e che sono stati messi discussione sul piano globale.
La conferenza è stata organizzata dall'Ufficio delle Nazioni Unite contro la droga e il crimine (UNODC), dall'Accademia internazionale anticorruzione (IACA) e dall'Organizzazione per la Cooperazione e lo sviluppo economico. A Vienna anche una delegazione italiana con Giovanni Tartaglia Polcini (magistrato e consigliere giuridico presso il ministero degli Affari esteri e della Cooperazione internazionale), Giuseppe Busia (presidente dell’Anac), Giuseppe Abbatino (relazioni internazionali Anac) e Maria Giuseppina Muratore (Istat).
Tartaglia Polcini è uno dei massimi esperti mondiali della materia. Nel suo intervento si è soffermato sugli approcci percettivi dei fenomeni legati alla corruzione. Punto di partenza dell’analisi del magistrato il cosiddetto “paradosso del Trocadero”, secondo il quale «più si combatte la corruzione, più viene percepita». Una teoria messa al centro anche delle indagini dell’Eurispes. «Gli indici di misurazione – ha spiegato Tartaglia Polcini -, basati sulla percezione del livello di corruzione, hanno progressivamente mostrato alcuni limiti intrinseci dovuti a un'analisi soggettiva del fenomeno, che può portare a risultati distorti e parziali. Un'altra questione relativa agli indici di percezione è legata al loro uso improprio, come evidenziato durante la Conferenza di Vienna, con potenziali conseguenze negative in termini di fiducia nei mercati e nelle imprese, e in termini di investimenti esteri».
Il consigliere giuridico della Farnesina ha presentato una proposta. «La creazione – ha detto - di nuovi strumenti di misurazione basati su dati oggettivi, trasparenti e affidabili è un prerequisito essenziale per lo Stato di diritto e per il principio di legalità. Una migliore conoscenza del fenomeno della corruzione e una misurazione oggettiva consentono di meglio orientare le politiche adottate dai paesi per prevenire la corruzione e per l’emanazione di efficaci politiche pubbliche. La misurazione oggettiva e multidimensionale permette anche una migliore comprensione dell'impatto delle politiche, strategie e azioni di lotta alla corruzione e dei risultati raggiunti in termini di integrità».
È stato inoltre sottolineato il contributo italiano su scala internazionale. «Noi italiani - ha aggiunto -Tartaglia Polcini - abbiamo, per unanime riconoscimento sul piano globale, impresso al tema della conoscenza del fenomeno corruttivo un’accelerazione decisiva, culminata nella nostra presidenza del G20 nel 2021. Anche a difesa dell’interesse nazionale abbiamo denunciato che la misurazione della corruzione, rispetto alle origini, ha erroneamente mutato la propria natura».
Da qui l’esigenza di mutare approccio e metodo di indagine. «L’indice percettivo più famoso – ha commentato Tartaglia Polcini -, il Corruption Perception Index di Transparency International, è divenuto, infatti, uno strumento di ranking posto alla base di un sistema di comparazione tra Paesi. Esso, più che finalizzato a conoscere la corruzione, si è sempre più manifestato come funzionale all’attribuzione di rating e punteggi di affidabilità ai sistemi nazionali. Ritengo che questo sia uno dei principali problemi collegati agli indici meramente percettivi, per l’uso che si può fare degli stessi e per gli effetti distorsivi che ne possono derivare. Attribuire, invero, un punteggio sulla base di un indice percettivo, che poi viene usato come parametro di affidabilità di un sistema nazionale, può infatti prestarsi, in astratto, a vere e proprie operazioni di ingegneria reputazionale».
La Conferenza della Nazioni Unite di Vienna ha aperto un nuovo corso e fatto emergere il carattere fondamentale della misurazione dei fenomeni corruttivi che dovrà avere nella ricerca un punto di riferimento imprescindibile. «Occorre guardare – ha concluso Giovanni Tartaglia Polcini - alla vera essenza delle nuove forme di corruzione dove esse si manifestano: quella liquida-infiltrativa, quella strategica-aziendale, quella simbiotica, quella geopolitica ed infine la grand corruption e ogni forma di legame tra corruzione e criminalità organizzata, tra corruzione e crimini economici, tra corruzione e riciclaggio di capitali illeciti. Lo scopo della ricerca è creare strumenti, non classifiche. Strumenti per ricostruire e conoscere, non solo per nominare e sminuire, declassare o migliorare. Il multilateralismo anticorruzione è efficace ed efficiente, e sempre più necessario. Abbiamo bisogno di esperienza, di strumenti, non di classifiche tecnicamente e scientificamente non verificabili, con rischio di grande ed immeritato impatto reputazionale. Dobbiamo investire su strumenti e metodologie realmente utili e efficaci per misurare, conoscere e quindi meglio combattere la corruzione. Il multilateralismo e l’apprendimento mutuo sono certo che continueranno a illuminare il nostro cammino».
Fisco, Leo: "Dichiarazioni redditi di 1.000 pagine, Guerra e pace 1.400". Da adnkronos.com venerdì 4 agosto 2023.
''Abbiamo un sistema di dichiarazioni che è assolutamente pesante: abbiamo circa 1.000 pagine di istruzioni per la dichiarazione dei redditi. In particolare 140 pagine per il modello 730, 350 pagine per il modello persone fisiche, 250 pagine per le società di persone e 300 per le società di capitale. Pensate che Guerra e pace, nell'edizione Mondadori, ha 1.400 pagine''. Il viceministro dell'Economia, Maurizio Leo, intervenendo all'assemblea di Assonime sottolinea l'importanza della semplificazione nel sistema fiscale. Il paragone, spiega Leo, serve per dare ''l'idea di come è necessario intervenire per fare chiarezza''.
Il viceministro rileva inoltre che ''oggi il sistema delle norme è assolutamente abnorme: 1.200 interventi in materia di imposte sui redditi e 500 interventi in materia di Iva''. ''Il sistema ormai non è più gestibile'' quindi, afferma Leo, serve una ''riforma seria''.
Estratto dell’articolo di Edoardo Izzo per la Stampa il 21 giugno 2023.
Un milione e mezzo di interventi, 99mila indagini, 83 mila controlli doganali sulle merci in entrata in Italia, oltre 177mila giornate/ uomo in servizi di ordine pubblico. E ancora: quasi 20 mila denunce per reati tributari e sequestri di beni per frodi fiscali per quasi 5 miliardi. Sono solo alcuni dei numeri con cui la Guardia di Finanza si presenta all’appuntamento del 21 giugno con il proprio 249° anniversario dalla fondazione. All’epoca si chiamava “Legione Truppe Leggere”: era stata pensata come uno speciale Corpo militare che già prima dell’unità d’Italia aveva compiti complessi, dal vigilare sui diritti doganali al difendere i confini del Regno. Dopo quasi duecentocinquant’anni, quello che non è cambiato per le Fiamme Gialle è l’impegno “a tutto campo” nel contrastare gli illeciti economico-finanziari e le infiltrazioni della criminalità nell’economia, a tutela di famiglie e imprese.
Frodi ed evasioni fiscali
Stanati 8.924 evasori totali, completamente sconosciuti al fisco (molti attivi su piattaforme di commercio elettronico) e 45.041 lavoratori in “nero” o irregolari, scoperti 1.246 casi di evasione fiscale internazionale, denunciate 19.712 persone per reati tributari. E ancora: contrasto al contrabbando e al gioco illegale. Ma quel che spicca di più, in epoca di bonus, è il sequestro di crediti inesistenti per un ammontare di circa 5,4 miliardi nell’ambito delle indagini su crediti d’imposta agevolativi in materia edilizia ed energetica
(ANSA il 23 giugno 2023) - Ammonta a circa 777 milioni di euro il patrimonio sequestrato nei confronti di grandi evasori in Lombardia mentre le proposte di sequestro avanzate alle diverse Procure della Repubblica ammontano a oltre 2,5 miliardi di euro. E' uno dei dati del bilancio operativo dei reparti della Guardia di Finanza lombarda resi noti oggi in occasione delle celebrazioni per il 249mo anniversario della fondazione del corpo.
Tra gennaio 2022 e maggio 2023, le Fiamme Gialle hanno proseguito e rafforzato l'azione di contrasto sia all'utilizzo distorto dei finanziamenti pubblici nazionali e comunitari finalizzati a sostenere la ripresa economica, sia ai tentativi di infiltrazione della criminalità organizzata nell'economia legale nonché ai fenomeni di evasione fiscale più pericolosi, che sottraggono risorse alla crescita e allo sviluppo.
Infatti, si legge in una nota, sono stati 2.471 i reati fiscali scoperti a carico di 3.568 soggetti denunciati, di cui 167 arrestati. Nel contrasto alle frodi Iva organizzate, basate su fatture false, società "fantasma" e di comodo, sono stati scoperti 2.530 casi, con un'imposta evasa per circa 2,1 miliardi di euro.
In considerevole aumento i casi di frodi fiscali basate sulla compensazione di crediti fiscali inesistenti o non spettanti con debiti fiscali reali: denunciati 479 responsabili, di cui 39 arrestati, con il sequestro di beni e disponibilità finanziarie illecitamente accumulati per circa 1,2 miliardi di euro.
Nel contrasto all'economia sommersa sono stati individuati 1.053 soggetti sconosciuti al Fisco (evasori totali), nonché 778 datori di lavoro che hanno impiegato 5.908 lavoratori in "nero" o irregolari. Inoltre riguardo alle indebite percezioni del "reddito di cittadinanza", sono stati eseguiti 2.042 interventi, di cui 1.821 sono risultati irregolari, consentendo di accertare una frode per le casse dello Stato di circa 15,3 milioni di euro tra contributi indebitamente percepiti e richiesti, con la denuncia di 1.553 persone. Infine ci sono le denunce nei confronti di 354 persone per reati in materia di appalti, corruzione e altri delitti contro la Pubblica Amministrazione e, di queste, 40 sono state arrestate.
IL COSTO DELL'EVASIONE FISCALE
Estratto dell'articolo di Fabrizio Goria per la Stampa il 21 giugno 2023.
Quasi 1.700 euro per persona. Questo è quanto costa l’evasione in Italia ogni anno: poco più di uno stipendio medio a testa. Numeri che rischiano anche di aumentare, visto che si tratta dei 99,2 miliardi di euro delle statistiche ufficiali relative al 2020. A mordere quell’anno fu solo la pandemia, a cui si è aggiunta la guerra in Ucraina e poi ancora l’inflazione. Le fiammate dei prezzi, dopo essersi trasferite dalla componente energetica alla manifattura e infine ai servizi, sono destinate a durare per molto. Famiglie e imprese saranno le più colpite.
C’è una doppia Italia che contrasta l’evasione. Da un lato, quella che paga in modo regolare. Dall’altra, quella dei controllori erariali, che solo lo scorso anno hanno recuperato oltre 20 miliardi di euro. Il problema, fanno notare imprenditori e associazioni di consumatori, è la sperequazione. A rimarcarlo a più riprese è stato anche il Fondo monetario internazionale (Fmi), secondo cui il carico fiscale italiano è troppo elevato. Una riforma fiscale sostenibile nel lungo periodo è attesa da decenni. In un periodo storico colmo di diseguaglianze, anche questo elemento potrebbe aiutare a ridurle.
(…)
LA LEGGE DI BILANCIO
Finanziaria con poche coperture
L’Ufficio parlamentare di bilancio bacchetta il governo sulle coperture della riforma del fisco. Secondo il rapporto dell’Authority dei conti pubblici, presentato ieri in Parlamento, «vanno risolte le incertezze riguardanti l'individuazione di adeguate coperture finanziarie degli interventi che si prospettano: il rinnovo dei contratti del pubblico impiego, le pensioni, la riduzione della pressione fiscale».
(...)
LE IMPOSTE
Il 68% degli autonomi evade l’Irpef
Sebbene sia in costante calo, l’evasione fiscale resta elevata in Italia. E, in modo ciclico, aumenta nelle fasi di difficoltà economico-finanziaria. A oggi la più evasa d’Italia è l’Irpef, l’imposta sul reddito delle persone fisiche. Il gettito mancante, secondo il Tesoro, è stato di circa 32 miliardi di euro. Segmentando per attività e agente economico, emerge che allo Stato manca il 68,3% dell’Irpef dovuta dagli autonomi e dalle imprese. Di contro, manca soltanto il 2,8% dell’Irpef dovuta dal lavoro dipendente irregolare.
EVASIONE FISCALE 2
Non va meglio sul fronte dell’Iva. L’Imposta sul valore aggiunto ha generato un tax gap del 19,3% nel 2020, circa 7 punti percentuali in meno rispetto al 2015. Una buona performance, ma che non è ancora sufficiente ad adeguare l’Italia agli standard comunitari. A livello europeo, l’Italia è il primo Paese in termini assoluti per perdita di gettito, con 30 miliardi di euro di Iva evasa secondo i calcoli della Commissione europea, 7 miliardi in più della Germania, che risulta essere il secondo Paese peggiore su scala europea.
Un ruolo determinante potrebbe, e dovrebbe, giocarlo il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), che al suo interno ha ambiziosi obiettivi di riduzione dell’evasione fiscale. La propensione all’evasione deve ridursi del 5% entro il 2023 e del 15% entro il 2024 rispetto al livello del 2019 pre Covid-19.
IL SOMMERSO
Un fardello da quasi 175 miliardi
La crisi del 2020 ha colpito anche l’economia non osservata, il cosiddetto sommerso. Che, secondo l’ultimo rapporto Istat dello scorso ottobre, è calata del 14,1% a quota 174,6 miliardi di euro, il 10,5% del Pil. Nello specifico, il sommerso in senso stretto è stato pari a 157 miliardi di euro, mentre le attività illegali sono state pari a 17 miliardi di euro. Rispetto al 2019, il valore dell’economia non osservata si è ridotto complessivamente di quasi 30 miliardi. Nel 2020, ultimo anno di osservazione statistica, sono state 2 milioni 926 mila le unità di lavoro irregolari nel 2020, in calo di circa 660 mila rispetto al 2019. Numeri che però non riflettono la crisi energetica che ha dovuto sopportare l’eurozona dall’inizio dell’invasione russa in Ucraina.
Il discorso cambia se si guarda alle possibilità dell’Italia di ridurre l’esposizione al sommerso in ottica strutturale. Più volte il Fondo monetario internazionale (Fmi), così come agenzie di rating e di consulenza, hanno suggerito al governo italiano di spingere sull’acceleratore delle riforme per limare le divergenze con gli altri Paesi europei. Eppure, i passi da fare restano ancora numerosi. Anche fra le missioni del Pnrr ci sono strumenti ad hoc per ridurre l’economia non osservata, ma come rimarcato dall’Ocse, «sarebbe necessario un progetto strutturale di lungo periodo».
I colossi del web vanno tassati: l’indagine italiana su Facebook e soci fa scuola in Europa. Guardia di Finanza e Procura di Milano chiedono a Meta 870 milioni di Iva. E ora altri Stati della Ue sollecitano documenti alle nostre autorità per allargare e replicare. Mentre le multinazionali digitali continuano a spostare miliardi nei paradisi tributari. Paolo Biondani e Gloria Riva su L'Espresso il 16 Giugno 2023
Sorpresa: l'Italia è in prima linea nella lotta contro le grandi iniquità fiscali su scala mondiale. Tra Milano e Roma sono in corso diverse indagini collegate, giudiziarie e tributarie, che mirano a tassare quei colossi mondiali di Internet che finora sono riusciti a minimizzare le imposte. Sono giganti multinazionali che riescono ogni anno a trasferire nei paradisi fiscali decine di miliardi di profitti, sfuggendo legalmente ai sistemi impositivi previsti dagli Stati nazionali per finanziare sanità, istruzione, pensioni, giustizia e altre spese pubbliche.
L'importanza delle indagini italiane ha spinto diversi Paesi dell'Unione europea, negli ultimi mesi, a chiedere informazioni e documenti agli inquirenti di casa nostra, con l'obiettivo di replicare in altre nazioni il modello di istruttoria che finora ha preso di mira, in particolare, il gruppo Meta, che controlla social media come Facebook e Instagram. Il fisco italiano ha già contestato alla multinazionale statunitense il mancato pagamento dell'Iva, dal 2016 al 2021, per 870 milioni di euro. L'accusa è strutturata in modo da potersi allargare ad altre società di Internet. E non solo in Italia, perché l'Iva è una tassa di livello europeo.
Il colosso californiano guidato da Mark Zuckerberg nega alla radice di essere tenuto a versare questa imposta e aveva già contestato, anche in Italia, i presupposti legali della sua applicazione. Ma le prime sentenze si sono rovesciate come un boomerang contro Meta, ponendo le basi per il nuovo attacco del fisco. Tutto nasce da una multa applicata nel 2018 dall'autorità italiana per la concorrenza, su proposta del giurista Michele Ainis, per due accuse che a prima vista sembravano assimilabili a banali casi di pubblicità ingannevole. Secondo l'Antitrust, l'accesso ai social network viene presentato come gratuito, ma in realtà è pagato dagli utenti con la cessione dei propri dati personali, che il colosso di Internet poi rivende ad altre aziende con lauti guadagni.
Su questo presupposto Facebook si vede infliggere due sanzioni amministrative, da cinque milioni ciascuna, per non aver fornito informazioni adeguate, prima sull'acquisizione dei dati, poi sulla loro trasmissione e cessione. Il gruppo americano fa ricorso al Tar, che conferma solo la prima multa. Quel verdetto viene riconfermato nel 2021 dal Consiglio di Stato, che rende esecutiva la sanzione di cinque milioni e ne cristallizza la motivazione: l'iscrizione al social network non si può considerare gratuita, appunto perché comporta lo scambio dei dati personali, che hanno un valore economico. Quindi è una «operazione commerciale» paragonabile a una «permuta», cioè a un baratto.
La Guardia di Finanza di Milano, a quel punto, apre un'indagine fiscale fondata proprio su quella sentenza definitiva: l'Iva, infatti, si applica anche sulle permute. Il problema, però, è calcolarne il valore: a quanto ammontano i ricavi accumulati dal gruppo di Facebook vendendo i dati degli italiani? Gli investigatori del nucleo di polizia finanziaria li quantificano con una stima prudenziale: per logica economica, devono almeno pareggiare i costi affrontati da Meta per operare nel nostro Paese. Il conto totale, dal 2016 al 2021, è di oltre quattro miliardi di euro. Accertata così la «base imponibile», diventa possibile applicare la normale aliquota Iva del 22 per cento. Il risultato finale è proprio la cifra che fu anticipata in febbraio da un articolo del Fatto Quotidiano: 870 milioni.
Il gruppo Meta, interpellato dal Sole24Ore, ha replicato di essere «fortemente in disaccordo con l’idea che l’accesso degli utenti alle piattaforme online debba essere soggetto al pagamento dell’Iva». Per il resto, ha aggiunto un portavoce, «rispettiamo tutti gli obblighi derivanti dalla legislazione italiana ed europea» e «paghiamo tutte le imposte richieste in ciascuno dei Paesi in cui operiamo». Secondo gli avvocati della multinazionale, l'applicazione dell'Iva sarebbe stata esclusa già nel 2018 a livello europeo, con un parere favorevole fornito da un apposito comitato alla Commissione di Bruxelles. La sentenza dei giudici amministrativi però è successiva ed è diventata inoppugnabile proprio per l'attività di Facebook in Italia. Ma altri avvocati e giuristi, anche italiani, difendono ancora oggi la multinazionale con una tesi che si può riassumere così: l'utente offre dati grezzi, mentre Meta li lavora e riaggrega, quindi vende un prodotto diverso. Dunque lo scambio «non integra una permuta», per cui addio Iva. Come molte altre norme fiscali, anche queste sembrano scritte su tessuti di lana caprina.
La premessa fondamentale sull'applicabilità dell'Iva condiziona anche l'indagine penale, che era stata aperta dai magistrati italiani della Procura europea e ora è gestita dai pubblici ministeri di Milano. Il reato ipotizzato, infatti, è «omessa dichiarazione dell'Iva». A livello fiscale, il caso è affidato all'Agenzia delle Entrate, che ha avviato altre istruttorie dello stesso tipo: se le accuse a Meta dovessero reggere, insomma, l'indagine potrebbe essere replicata per altre società che allo stesso modo offrono servizi in apparenza gratuiti, in cambio dei dati. Alcuni big digitali, come Google e Spotify, sono corsi ai ripari da tempo, organizzando accessi a pagamento e formule «premium». È un problema di portata europea: non a caso Guardia di Finanza, Agenzia delle Entrate e Procura di Milano sono state contattate dalle agenzie fiscali dei più importanti Paesi della Ue.
La questione è anche politica. L'Unione europea ha approvato da anni una direttiva per tassare i ricavi lordi ottenuti dai giganti del web in ogni nazione. L'Italia aveva varato un'apposita «imposta sui servizi digitali» con una legge del 2017, come altri Paesi europei, ma la sua applicazione è stata rinviata. Applicare l'Iva potrebbe essere una soluzione semplice e immediata. Per questo tutti guardano alle indagini italiane. La questione si interseca con la super multa da oltre un miliardo contestata a Facebook per la trasmissione dei dati europei negli Stati Uniti. Dove la sfida politica tra il presidente democratico Joe Biden e gli avversari repubblicani si gioca anche sui finanziamenti elettorali e sul potere di lobby delle multinazionali.
In attesa di sapere chi vincerà questa grande partita legale e politica sulle tasse ai big di Internet, in Italia la pressione fiscale resta superiore al 43 per cento. Significa che per ogni 100 euro di redditi lordi, l'italiano medio ne versa più di 43 in tasse. A queste si aggiungono i contributi per le pensioni e la previdenza. Ogni italiano onesto deve quindi sborsare più di metà dei ricavi del proprio lavoro, anche per coprire le ruberie degli evasori, che secondo la Banca d'Italia sottraggono ogni anno circa cento miliardi di entrate statali. Con i soldi rimasti, il cittadino può finalmente fare acquisti, ma anche sulle spese deve pagare l'Iva, che è una tassa sui consumi: viene anticipata da imprenditori e commercianti, ma si scarica sul prezzo finale dei prodotti.
Il confronto con i giganti di Internet è sconfortante. Fino a pochi anni fa, i colossi del web non pagavano nessuna imposta all'Italia. Una decina di anni fa la Procura di Milano, sotto la guida dell'ex pm di Mani Pulite Francesco Greco, ha cominciato ad aprire robuste indagini fiscali, accusando le maggiori multinazionali di tenere nascosta la loro filiale italiana (chiamata in gergo «stabile organizzazione») per non dichiarare alcun reddito e azzerare così le tasse. Per evitare i rischi di un processo penale, anche i colossi di Internet hanno deciso di patteggiare, siglando un accordo («accertamento con adesione») con l'Agenzia delle Entrate. Apple, alla fine del 2015, ha versato al fisco italiano 318 milioni di euro. Google, nel 2017, ne ha pagati 306, Amazon 100. Facebook, nel 2018, ha sborsato più di cento milioni. Nel 2022 anche Netflix ha risarcito oltre 55 milioni.
Siglando quegli accordi fiscali, le multinazionali si erano impegnate a regolarizzare le filiali italiane e a pagare tutte le tasse future. L'ufficio studi di Mediobanca, l'anno scorso, ha pubblicato un rapporto che mostra com'è andata a finire. Nel 2021, in Italia, Meta ha dichiarato ricavi per oltre 343 milioni e ne ha pagati meno di 3 di tasse. Le dieci maggiori società italiane controllate da Amazon nel nostro Paese, secondo lo studio di Mediobanca, hanno incassato oltre 2,8 miliardi e versato imposte sui profitti per circa 35 milioni. Microsoft ha fatturato 925 milioni e ne ha sborsati 22 di imposte dirette. Google-Alphabet ha avuto ricavi per 728 milioni e ne ha pagati otto di tasse.
Un portavoce di Amazon ha precisato a L’Espresso che il gruppo paga regolarmente l’Iva e che nel 2021 ha versato al fisco italiano in totale, tra imposte dirette e indirette, oltre 751 milioni di euro: più del doppio dei 345 milioni pagati nel 2020. Sempre nel 2021, i ricavi complessivi delle attività di tutte le società di Amazon in Italia sono stati di oltre 8,75 miliardi, il 21 per cento in più dei 7,25 miliardi incassati del 2020. Nello stesso anno gli investimenti totali hanno raggiunto i quattro miliardi, con 609 milioni di euro di spese in conto capitale, cioè per infrastrutture di distribuzione, uffici e centri dati.
Dopo e nonostante i patteggiamenti fiscali con l'Italia e altri Stati della Ue, come Francia e Germania, diversi giganti di Internet hanno anche continuato a spostare somme enormi nei paradisi fiscali, spesso attraverso nazioni europee conniventi come Irlanda e Lussemburgo. Solo dal 2019 al 2021, come si legge nel rapporto di Mediobanca, il gruppo Microsoft ha evitato di pagare tasse per 6,9 miliardi di euro, Google-Alphabet per 5,2, Meta-Facebook per 3,6 miliardi, approfittando legalmente di regimi a bassa tassazione. I più furbi del pianeta sono i cinesi di Tencent, il colosso dei videogiochi e dei social asiatici, che nello stesso triennio ha trasferito più di 13,4 miliardi tra le Isole Vergini Britanniche e le Cayman, dove le società e i loro azionisti non pagano alcuna imposta: tassazione zero.
Concordato preventivo: ecco come cambia il fisco per i contribuenti. Marianna Baroli su Panorama il 02 Novembre 2023
Da aprile 2024 a luglio 2024 si potrà aderire all'iniziativa che consentirà ai piccoli imprenditori italiani muniti di partita Iva di stabilire accordi preventivi con l'Agenzia delle Entrate riguardo ai propri redditi per un periodo di due anni In un importante passo verso una maggiore interazione tra il Fisco e i contribuenti, il Consiglio dei Ministri si prepara ad esaminare uno dei decreti legislativi di attuazione della delega fiscale che prevede l'introduzione di un concordato preventivo biennale. Questa innovativa iniziativa consentirà ai contribuenti di stabilire accordi preventivi con l'Agenzia delle Entrate riguardo ai propri redditi per un periodo di due anni. La proposta di adesione sarà resa disponibile ai contribuenti entro aprile 2024, con la scadenza a regime fissata al 15 marzo. I contribuenti avranno il tempo di aderire fino a luglio 2024 e, negli anni successivi, entro il mese di giugno.
Il concordato preventivo biennale è mirato a coloro che posseggono la partita Iva e sono considerati "esercenti attività d'impresa, arti o professioni ai quali si rendono applicabili gli indici sintetici di affidabilità". L'Agenzia delle Entrate fornirà strumenti informatici appositi per acquisire i dati necessari per elaborare il concordato preventivo biennale. Tuttavia, è importante notare che l'adesione non sarà possibile se nella dichiarazione dei redditi vengono indicati dati non corrispondenti a quelli comunicati. Il concordato preventivo Si prevede che l'Agenzia delle Entrate, entro il 15 marzo di ciascun anno, metta a disposizione dei contribuenti o dei loro intermediari, anche mediante l'utilizzo delle reti telematiche, appositi programmi informatici per l'acquisizione dei dati necessari per l'elaborazione del concordato preventivo biennale. Per l'applicazione del concordato, l'Agenzia formulerà una proposta che prevede "la definizione biennale del reddito derivante dall'esercizio d'impresa o dall'esercizio di arti e professioni e del valore della produzione netta, rilevanti, rispettivamente, ai fini delle imposte sui redditi e dell'imposta regionale sulle attività produttive". Il contribuente - spiega la norma - può aderire alla proposta di concordato entro il termine previsto dall'articolo 17, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica del 7 dicembre 2001 n. 435 (cioè il 30 giugno). Per il primo anno di applicazione, il termine è posticipato di un mese. L'indicazione nella dichiarazione dei redditi di dati non corrispondenti a quelli comunicati, ai fini della definizione della proposta di concordato, impedisce l'accesso al concordato stesso. Adesione preventiva e riduzione delle sanzioni Una delle principali novità di questo decreto riguarda il dialogo preventivo tra l'Agenzia delle Entrate e i contribuenti, soprattutto in fase di accertamento fiscale. In caso di accertamento e verbale, l'Agenzia delle Entrate avrà l'obbligo di dialogare con il contribuente. Quest'ultimo avrà la possibilità di aderire e avviare un dialogo immediato anche dopo l'emissione del verbale. Nel caso in cui il contribuente aderisca, le sanzioni previste saranno ridotte del 50%. Tuttavia, se le somme dovute non vengono pagate, l'Agenzia delle Entrate provvederà all'iscrizione a ruolo. Il ruolo dell'Intelligenza Artificiale nella lotta all'evasione fiscale Nello stesso decreto, è prevista una revisione delle norme relative all'attività di analisi del rischio fiscale, con un particolare riferimento all'utilizzo dell'intelligenza artificiale. Questa innovazione consentirà all'Agenzia delle Entrate di identificare in modo preventivo i potenziali evasori, nel rispetto delle leggi sulla privacy. Le informazioni saranno condivise tra l'Agenzia delle Entrate e altre istituzioni, attraverso interconnessioni tra banche dati e registri pubblici. Comunicazioni anche via Pec Le notifiche fiscali, comprese le contestazioni e quindi le cartelle, potranno essere spedite al contribuente anche sul domicilio digitale, prevedendo se la cartella risultasse satura anche un secondo invio. Ma la decorrenza dei termini, per i pagamenti ed anche la decadenza o la prescrizione, scatterà praticamente da subito, non appena il gestore della posta certificata o del domicilio digitale comunicherà l'avvenuta consegna. Lo prevede la bozza dello schema di decreto legislativo che attua una parte della delega fiscale su controlli e accertamenti.
Estratto dell’articolo di Milena Gabanelli e Simona Ravizza per il “Corriere della Sera” lunedì 13 novembre 2023.
Un patto con gli evasori in un’Italia dove i dati accertati dal Mef fanno impressione: 41,45 miliardi di evasione da lavoro autonomo o reddito di impresa per 4,1 milioni di contribuenti. Sono così suddivisi: ci sono quasi 3 milioni di autonomi (di cui 1,7 in regime di flat tax al 15%) e 453.429 società di persone che complessivamente evadono il 69,2% dei redditi Irpef per 32,4 miliardi, e altre 674.551 società di capitali che evadono il 23,8% di Ires per 8,98 miliardi.
Il governo Meloni ritiene che la causa dell’evasione sia un fisco «troppo poco amico» e quindi nella legge di delega fiscale (n. 111 del 9 agosto 2023, art. 17 comma 1, lettera g) propone un concordato preventivo per i prossimi 2 anni, estendibili ad altri 2. Vediamo che cos’è e come funziona.
Proposta dell’Agenzia delle Entrate
L’Agenzia delle Entrate presenta a ciascun contribuente con un volume d’affari sotto i 5 milioni di euro una proposta che vale per la tassazione nel 2024 e nel 2025 con una stima del reddito imponibile. Il calcolo avviene sulla base delle informazioni presenti nella banca dati dell’Anagrafe tributaria e nei modelli Isa che sono una sorta di pagella (con voto da 1 a 10) sul livello di affidabilità fiscale di ciascuno.
Il contribuente si confronta con l’Agenzia delle Entrate in un contraddittorio semplificato e, se accetta, per due anni paga le imposte in base alla proposta che gli viene fatta. Esempio: l’offerta dell’ Agenzia delle Entrate alla mia società di persone definisce per gli anni 2024 e 2025 un reddito imponibile di 75 mila euro al posto dei 52 mila di solito dichiarati. Qualora nel 2024 la mia società consegua un reddito imponibile di 100 mila e nel 2025 di 120 mila le mie imposte e contributi saranno sempre calcolati su 75 mila euro.
L’accordo però mette come condizione che venga dichiarato tutto quello che guadagno, e se sgarro, o comunque dichiaro meno, non perdo il beneficio del concordato solo se i ricavi nascosti non superano il 30% di quelli dichiarati.
I vantaggi
Per il contribuente o la società che evade le tasse ci sono, dunque, due vantaggi su tutti: 1) paga meno del dovuto, anche perché difficilmente i dati e le informazioni che utilizzerà il Fisco per calcolare l’imponibile sono completi; 2) non subirà accertamenti dall’Agenzia delle Entrate nei 2 anni successivi (a meno che non decadano i presupposti). I controlli, semmai ci saranno, si concentreranno su chi non aderirà al concordato. In sintesi: il Fisco amico non mi chiede tutto, mi concede un margine di errore, e poi non mi controlla. […]
I requisiti
Strada aperta anche a quel 1,7 milioni di autonomi con redditi fino a 85 mila euro che pagano la flat tax al 15%, ai quali l’Agenzia delle Entrate ricalcolerà l’imponibile un po’ al rialzo: chi aderirà potrà comunque mantenere il regime forfettario. I requisiti di adesione prevedono che non ci siano pendenze con il fisco (o non superiori a 5.000 euro) e la qualifica di soggetto «fiscalmente affidabile», ossia con un punteggio Isa almeno di 8 (come previsto dal decreto legislativo approvato dal Consiglio dei ministri il 3 novembre).
Su 4,1 milioni di contribuenti al momento la pagella fiscale in ordine ce l’hanno in poco più di 1,1 milioni, cioè il 28% del totale. Una percentuale che sale al 47% se si esclude quel 1,7 milioni di contribuenti in regime forfettario che aderisce alla Flat tax, perché l’Isa non ce l’ha, e pertanto non è possibile sapere se sono o meno fiscalmente affidabili.
Chi ha la pagella fiscale attendibile
Il prof. Marco Leonardi della Statale di Milano e il prof. Leonzio Rizzo dell’Università di Ferrara hanno spacchettato i dati. Prendiamo come esempio la categoria dei commercianti di dimensioni medio-grandi. Quelli che possono essere considerati più affidabili (Isa sopra 8) sono il 43%, dichiarano in media un fatturato di 575.690 euro e un reddito imponibile lordo di 61 mila.
Perché dovrebbero aderire pagando in più visto che, rientrando nella categoria di quelli presumibilmente in regola, non sono nel mirino dei controlli? Potrebbe convenire a chi in realtà non ha proprio tutti i conti a posto, ma ha solo ingannato l’algoritmo, e aderendo si porta a casa proprio la garanzia della sospensione degli accertamenti per due anni.
Chi ce l’ha inattendibile
È poco affidabile invece, il 57% dei commercianti di dimensioni medio-grandi (Isa sotto 8): il fatturato medio dichiarato è di 434 mila euro e il reddito imponibile di 19.150 euro lordi. I soldi di questa probabile evasione come il governo intende recuperarli?
La speranza di Meloni & C. è che dichiarino spontaneamente un po’ di più per prendersi il voto 8, e quindi poter aderire al concordato preventivo con i suoi vantaggi. Una scommessa difficile da vincere perché legata completamente al comportamento spontaneo dell’evasore, in cambio di «minori oneri connessi alla gestione, da parte del contribuente, delle attività di controllo dell’Amministrazione finanziaria e, quindi, alla riduzione delle occasioni di conflitto e dei conseguenti contenziosi».
La prova che è poco più di un’illusione recuperare in questo modo un po’ di evasione è nelle stime che fa il governo stesso: dalle previsioni risulta che da chi dichiarerà un po’ di più per prendersi il voto 8 saranno recuperati solo 605 milioni di euro.
Secondo il professor Leonardi e il professor Rizzo avrebbe avuto più senso prevedere che l’Agenzia delle Entrate facesse una proposta a chi è poco affidabile, andandoli davvero a stanare, e proponendo poi un accordo tarato sul reddito imponibile simile in tutto e per tutto a quello del contribuente che sta sopra 8. I professionisti […]
Affinché il provvedimento possa avere più probabilità di successo in termini di recupero di evasione, anche in questo caso il vantaggio per lo Stato sarebbe quello di fare una proposta a questi ultimi.
Chi non aderisce al concordato
In ogni caso il patto con gli evasori può funzionare solo se c’è una minaccia credibile di controlli in caso di rifiuto del concordato preventivo. Vuol dire che, chi non accetta la proposta dell’Agenzia delle Entrate sarà sottoposto a controlli puntuali ed inesorabili.
L’articolo 34 comma 2 del decreto legislativo dice: «L’Agenzia delle Entrate e il Corpo della Guardia di finanza programmano l’impiego di maggiore capacità operativa per intensificare l’attività di controllo nei confronti dei soggetti che non aderiscono al concordato preventivo biennale». Per fare più controlli serve più personale: resta da capire come il proposito sarà attuato nella pratica visto la cronica carenza di risorse.
Il precedente
In questo provvedimento non c’è nulla di nuovo: è del tutto simile a quello messo in campo dal ministro Giulio Tremonti nel 2003. Si rivolgeva a 3 milioni di contribuenti: le adesioni sono state 250 mila e in 2 anni lo Stato ha incassato 57,5 milioni contro i 3,58 miliardi stimati. In questo caso le stime complessive sono ben al di sotto: nella relazione tecnica è indicata la cifra di 760,5 milioni di euro. Con un’aggiunta che dice tutto: «Nonostante le quantificazioni sopra sviluppate, alla presente disposizione non si ascrivono cautelativamente effetti positivi di gettito». Tradotto: sono pochi soldi e non è detto che si riesca ad incassarli.
Affitti brevi, il codice anti evasione diventa obbligatorio: ecco come funzionerà. Storia di Massimiliano Jattoni Dall’Asén su Il Corriere della Sera giovedì 16 novembre 2023
Cos’è il Cin? Il Cin, il Codice identificativo nazionale da attribuire agli appartamenti da affittare ai turisti non è una novità di questa Manovra. In realtà, è uno strumento previsto per legge già nel 2019, «la cui attuazione era a buon punto, prima di arenarsi negli avvicendamenti al ministero del turismo», come ha ricordato nei giorni scorsi anche Giorgio Spaziani Testa, presidente di Confedilizia. In realtà, in autonomia molte Regioni lo hanno già introdotto, ma dal prossimo anno dovrà vedra la luce senza eccezioni e con l’obiettivo dichiarato di combattere l’abusivismo di chi fa business con i B&B senza dichiararlo correttamente al Fisco. «Va fatto subito e fatto bene», dice Marco Celani, presidente dell’Associazione gestori affitti brevi (Aigab). Ma su come verrà realizzato è ancora tutto in alto mare. Lo stesso ministro Antonio Tajani ha spiegato che bisogna attendere un emendamento al decreto legge collegato alla legge di Bilancio. Il ministero competente dovrebbe essere quello del Turismo, ma anche se pure questo aspetto non vi è certezza. Secondo le ipotesi più accreditate, le piattaforme dove si mettono in affitto stanze o appartamenti per previ periodi, come Airbnb e Booking, non potranno pubblicare gli annunci di immobili privi di Cin.Per quanto riguarda le sanzioni, al momento si può fare riferimento per ipotizzare come si sta orientando il governo sul disegno di legge (non approvato) a firma della ministra del Turismo Daniela Santanché, che indicava nei Comuni i soggetti preposti ai controlli e a comminare le sanzioni. L’altra novità, che ha acceso molte polemiche riguarda l’innalzamento della cedolare secca dal 21% al 26% per chi affitta ai turisti sotto i 30 giorni. Questo vale per gli appartamenti in affitto breve, quando ce ne siano almeno due. Quindi, chi affitta un solo immobile non avrà l’aumento, mentre chi ne affitta da due in su, vedrà l’incremento di cinque punti su tutti gli immobili. Le ultime novità sulla Manovra
Maxi sequestro da 779 milioni della procura di Milano a AirBnB per evasione fiscale. Redazione CdG 1947 su Il Corriere del Giorno il 6 Novembre 2023
Il gip di Milano ha disposto il sequestro nei confronti del colosso americano degli affitti brevi nell'ambito di un'inchiesta della Procura di Milano e la GdF sulla presunta evasione fiscale commessa dalla società nel periodo tra il 2017 e 2021. Indagati tre manager irlandesi
Il gip di Milano Angela Minerva ha disposto il sequestro di 779 milioni di euro eseguito dal nucleo di polizia economico-finanziaria della Guardia di Finanza nei confronti di AirBnB Ireland Unlimited Company nell’ambito di un’inchiesta dei pm Giovanni Polizzi, Cristiana Roveda e Giancarla Serafini, coordinati dal procuratore Marcello Viola e dal procuratore aggiunto Tiziana Siciliano della Procura di Milano, sulla contestata evasione fiscale commessa dalla società nel periodo tra il 2017 e 2021.
Il colosso americano degli affitti brevi AirBnb con la sua società europea bassta in Irlanda “non ha ottemperato agli obblighi introdotti dall’articolo 4 del decreto legge 50 del 2017, sottraendosi alla dichiarazione e al versamento (in qualità di sostituto d’imposta) di ritenute di ammontare pari alla somma di oltre 779 milioni di euro, calcolate in misura del 21 per cento (cd. “cedolare secca“) su canoni di locazione breve per euro 3.711.685.297 corrisposti nel periodo 2017-2021 dagli ospiti aelle strutture ricettive pubblicizzate dalla piattaforma, a fronte delle prenotazioni effettuate, importi successivamente retrocessi ai proprietari degli immobili (host), al netto della commissione addebitata per l’utilizzo della relativa infrastruttura digitale“.
È quanto sostiene la Procura di Milano che ha ottenuto dal gip Minerva un maxi decreto di sequestro nell’ambito di un’inchiesta condotta dal nucleo di polizia economico-finanziaria della GdF. Nell’inchiesta della Procura di Milano nei confronti di AirBnb Irlanda per omessa dichiarazione fiscale risultano indagati anche tre manager irlandesi, che hanno rivestito cariche di amministrazione, negli anni dal 2017 al 2021.
I pm Giovanni Polizzi, Cristiana Roveda e Giancarla Serafini, coordinati dal procuratore capo Marcello Viola e dall’aggiunta Tiziana Siciliano, affermano che “Nella piena consapevolezza degli oneri dichiarativi e contributivi introdotti dal legislatore italiano fin dal 2017″, Airbnb “ormai da anni ha assunto la deliberata opzione aziendale di non conformarvisi, con il fine precipuo di non rischiare la perdita di fette di mercato in favore della concorrenza, tenendo un comportamento apertamente ostruzionistico verso l’amministrazione finanziaria italiana e omettendo sino ad oggi di eseguire alcuna dichiarazione di alcun versamento erariale“.
Viene contestata alla piattaforma irlandese la “stabile organizzazione” nel nostro Paese. In pratica si ipotizza che la società non abbia versato la cosiddetta “cedolare secca” sui canoni di locazione breve per 3.711.685.297 euro, corrisposti tra il 2017 e il 2021 dagli ospiti delle strutture ricettive. L’iniziativa penale arriva dopo i pronunciamenti della Corte di Giustizia Ue e del Consiglio di Stato.
Per la piattaforma irlandese degli affitti brevi Airbnb i veri problemi erano arrivati dopo il deposito dello scorso 24 ottobre delle motivazioni della sentenza 9188/2023, con la quale la IV sezione del Consiglio di Stato aveva stabilito l’obbligo per Airbnb di riscuotere e versare all’Erario la ritenuta sugli affitti brevi: una decisione che Federalberghi confidava “mettesse la parola fine a una telenovela che si trascina da più di sei anni, durante i quali Airbnb si è appigliato a ogni cavillo pur di non rispettare le leggi dello Stato“. Redazione CdG 1947
Estratto dell’articolo di Luigi Ferrarella per corriere.it mercoledì 8 novembre 2023.
È un decreto di sequestro preventivo da 780 milioni di euro, ma la differenza — tra che resti un foglio di carta o che diventi invece un salvadanaio vero per lo Stato — sta paradossalmente nelle mani di Airbnb, cioè proprio della piattaforma americana degli affitti brevi la cui filiale irlandese è bersaglio del provvedimento della gip Angela Minerva per il mancato versamento nel 2017-2021 come sostituto d’imposta della cedolare secca del 21% sugli affitti intermediati.
La multinazionale non ha infatti beni aggredibili in Italia, e cercare di eseguire il sequestro in Irlanda sarebbe non semplice e sicuramente non breve perché l’Irlanda, insieme alla Danimarca, è l’unico Paese che non applica il regolamento del 2018 per il riconoscimento reciproco dei sequestri nei Paesi dell’Unione europea.
Dunque o Airbnb […] assumerà spontaneamente un approccio collaborativo […] e […] metterà a garanzia conti correnti o beni all’estero […]; oppure, se cercherà di evitare quell’«effetto valanga» a livello europeo che i manager temevano nelle loro mail interne, i magistrati milanesi dovranno provare a eseguire il sequestro con l’arma non proprio puntuta della vecchia decisione-quadro del 2003. Che non solo è più farraginosa, ma lascia anche a Dublino parecchi margini in più per meline.
Sinora da Airbnb hanno fatto solo sapere lunedì sera di essere «sorpresi e amareggiati dall’azione annunciata dal procuratore della Repubblica», «fiduciosi di aver agito nel pieno rispetto della legge», e «intenzionati a esercitare i nostri diritti». Non è quindi forse un caso che, nel motivare la richiesta al gip di sequestro, i pm Polizzi-Roveda-Serafini paventino il pericolo che i 780 milioni, oltre a poter «essere reimpiegati nella medesima attività commerciale e generare quindi ulteriori ipotesi di reato per le annualità successive, siano destinati ad altri investimenti finanziari, che renderebbero più difficile l’identificazione della provenienza delittuosa del denaro e potrebbero integrare riciclaggio e autoriciclaggio».
Estratto dell'articolo di Paolo Russo per La Stampa mercoledì 8 novembre 2023.
[…] Come annota l'economista e studioso delle diseguaglianze Thomas Piketty, stiamo tornando al mondo di Balzac, fatto di ereditieri. E in Italia i lasciti sono soprattutto sotto forma di mattone. Che messo a reddito sotto forma di camere in affitto per turisti è così un affare da aver fatto crescere da noi una "Generazione Airbnb".
Secondo l'ultimo rapporto dell'associazione che li rappresenta i B&B in Italia sarebbero 35mila. Ma l'Istat ha recentemente censito 188mila "esercizi extra alberghieri, che ricomprendono quelli che mettono a disposizione con affitti anche di pochi giorni interi appartamenti con uso cucina. I letti messi in locazione sono passati da 2,2 milioni nel 2004 a quasi 3 nel 2021. Ma il fenomeno è più esteso perché non è facile stanare il sommerso, come sa il governo, non più intenzionato ad alzare la cedolare secca dal 21 al 26% sugli affitti brevi se non dalla seconda abitazione in su.
Che in questo campo la fa da padrona come dimostra il sequestro da 779 milioni della GdF a Airbnb per non avere versato per 5 anni le ritenute sugli affitti: un sommerso da 3,7 miliardi di euro solo per B&B e case vacanze presenti sulla piattaforma. Solo a Roma il Comune andando a spulciare gli annunci online ho scovato 12mila locazioni in nero. Il che proiettando il dato su scala nazionale porta a stimare tra B&B e affitti brevi un giro d'affari sommerso da 3 miliardi. Che per il 70% è a gestione "non imprenditoriale", ossia condotta da chi non ha nemmeno la partita Iva. […]
Venezia, bar chiuso per 4 scontrini evasi in 5 anni: non è pizzo di Stato? Sandro Iacometti su Libero Quotidiano il 10 settembre 2023
«Pizzo di Stato»? Apriti cielo. Quando Giorgia Meloni si è permessa lo scorso giugno durante un comizio a Catania di definire così l’accanimento degli esattori sui piccoli commercianti si è scatenato il finimondo. Parole indegne, offesa vergognosa nei confronti delle istituzioni e delle vittime della mafia, insulto alla memoria di Libero Grassi, che proprio in quella città fu ucciso dalla criminalità organizzata per aver denunciato i suoi estorsori. Bene, critiche accolte.
Cancelliamo la parola “pizzo”. Epperò toccherà trovare un’espressione adatta ed altrettanto efficace per spiegare quello che è successo alla gelateria Nico, alle Zattere, uno dei luoghi simbolo di Venezia, che si è inventato il bicchiere con la stecca di gianduia affogata nella panna montata, che proprio mentre la città lagunare è zeppa di gente attirata dai vip della mostra del cinema è stato costretto ad abbassare le saracinesche. Potrà riaprire oggi, a festa finita, dopo 4 giorni di sospensione della licenza disposta dalla Guardia di Finanza. Motivo? Mancata emissione di 4 scontrini. E già qui ci sarebbe da discutere. Possibile che per pochi euro non dichiarati un commerciante, oltre a pagare la giusta sanzione, sia costretto anche a perdere intere giornate di incasso in una fase di altissima stagione?
Non è finita. Eh no, perché l’intervento dell’Agenzia delle entrate non ha nulla a che fare con quei blitz che una decina di anni fa hanno occupato le cronache dei giornali. Ricordate? Era il 2012 e l’ex premier Mario Monti per mostrare il pugno duro contro gli evasori aveva deciso di mandare le Fiamme gialle nei luoghi di villeggiatura più conosciuti, da Cortina a Courmayer, per mettere alla gogna i furbetti dello scontrino. Massicci spiegamenti di forze, operazioni lampo, grande clamore mediatico e tante polemiche sulla reale utilità di questi interventi “spettacolari”.
Tutt’altra la situazione di Nico. Niente blitz ad effetto per solleticare un po’ di sempreverde invidia sociale e riprovazione contro i ricconi che se la spassano alla faccia dei poveracci (che magari manco loro chiedono la fattura all’idraulico). In questo caso gli ispettori del fisco hanno effettuato meticolosi controlli non per qualche settimana. E e neanche per qualche mese. Bensì per cinque anni. Avete capito bene, gli scontrini non emessi non riguardano il conto di una famigliola che si è comprata quattro coni, ma quattro transazioni separate nel corso di 60 (sessanta!) mesi. Praticamente il povero gelataio è stato punito per meno di un illecito all’anno.
QUALCOSA NON TORNA
Le regole sono regole, per carità. E le tasse si devono pagare. Detto questo, i conti non tornano. E non solo quelli che riguardano la proporzione delle sanzioni per piccole violazioni commesse da piccoli imprenditori. Sul totale di 106.238 verifiche eseguite nel 2022 dall’amministrazione finanziaria, ad esempio, solo 1.469 hanno avuto ad oggetto aziende di dimensioni rilevanti, appena 18 si riferiscono ad accertamenti di imposta superiori a 25 milioni di euro. Ben diversa è la situazione dei professionisti e delle partite Iva, che hanno subìto ben 18.328 controlli (il 17,3%) del totale), ma soprattutto delle piccole imprese a cui il fisco “amico” ha dedicato addirittura 75.930 ispezioni (il 71,5%).
Qualcuno la chiama pesca a strascico, la Meloni ha parlato di caccia al gettito. La sostanza è che invece di andare ad aggredire l’evasore totale o la multinazionale che ha i conti alle Cayman e fior di scatole cinesi per coprire i fondi neri spesso il fisco preferisce lanciare la sua rete nel mucchio di piccoli contribuenti sperando che qualcosa resti impigliato. I risultati non sono un granché, visto che il tax gap (il nero) continua ad essere inchiodato da decenni tra gli 80 e i 100 miliardi di euro, che nel contenzioso l’erario perde una volta su due e che anche quel poco che si rastrella con questi metodi poi non viene incassato. Come ha più volte ricordato il direttore dell’Agenzia delle entrate, Ernesto Maria Ruffini, sui circa 70 miliardi di euro di ruoli emessi ogni anno se ne incassano più o meno 10. Risultato: ci sono oltre 1.100 miliardi di cartelle non riscosse dal 2000 ad oggi. Ecco, di fronte a questi numeri bisognerebbe trovare un’espressione che non sia irriverente, ma che ci spieghi cosa diavolo c’entri la chiusura della gelateria di Venezia con una seria ed efficace lotta all’evasione.
Indagine Sticchi Damiani, il legale: "Chiarirà tutto in tempi rapidi". Il Tempo il 23 agosto 2023.
Il presidente dell’Aci Angelo Sticchi Damiani “chiarirà alla Autorità giudiziaria, in tempi rapidissimi, l’insussistenza di ogni addebito”, e “la vicenda sarà presto positivamente definita”. A dirlo è l’avvocato Roberto Eustachio Sisto in relazione all’inchiesta in cui il presidente dell’Aci risulta indagato per falso dalla Procura di Roma. Il difensore di Damiani, risponde “‘al singolare’ spazio giornalistico dedicato ad un mero avviso di conclusione delle indagini preliminari”. La procura di Roma – in base a quanto riportato da alcuni giornali – ha proceduto alla chiusura dell’indagine in cui viene contestato all’indagato di aver “dichiarato falsamente i dati relativi ai propri redditi”, aggirando così – secondo l’impianto accusatorio relativo agli anni compresi tra il 2017 e il 2020 – il tetto annuale di 240mila euro previsto per i manager della pubblica amministrazione.
“Peraltro – continua in una nota l’avvocato Sisto – gli stessi, identici fatti contestati nel predetto avviso sono già stati oggetto di una recentissima archiviazione da parte del Gip dello stesso Tribunale di Roma, su richiesta della stessa Procura territoriale, per infondatezza della notizia di reato, anche in virtù della corretta presentazione, con annessa pubblicazione, della dichiarazione recante tutte le fonti di reddito: sicché la duplicazione dell’addebito, in presenza di tale decisione di proscioglimento, risulta allo stato inspiegabile”. Per il difensore di Sticchi Damiani “resta il convincimento, in linea con quanto già accaduto, che anche la vicenda in questione sarà presto positivamente definita”.
Falso su dichiarazioni redditi: indagato presidente Aci, il leccese Angelo Sticchi Damiani. Avrebbe omesso di comunicare emolumenti percepiti da diversi enti, aggirando così, secondo l’accusa, il tetto annuale di 240mila euro previsto per i manager pubblici. REDAZIONE ONLINE su La Gazzetta del Mezzogiorno il 22 Agosto 2023.
Il leccese Angelo Sticchi Damiani, presidente dell’Aci (Automobile Club Italia), è indagato per aver omesso di comunicare emolumenti percepiti da diversi enti, aggirando così, secondo l’accusa, il tetto annuale di 240mila euro previsto per i manager pubblici.
Secondo il sostituto procuratore Carlo Villani, tra il 2017 e il 2020 Sticchi Damiani non avrebbe dichiarato alla segreteria dell’Ente da lui presieduto centinaia di migliaia di euro. Da qui l’accusa di falso. Nel 2017, secondo le accuse, avrebbe dichiarato 246.696 euro a fronte di una retribuzione reale che si aggirerebbe intorno ai 665mila euro, considerando anche le cifre ricevute grazie all’incarico come consigliere del Coni e come presidente del Cda di Sara Vita spa (un’azienda che l’Aci controlla all’80 per cento).
Nel 2018 avrebbe omesso di dichiarare circa 443mila euro. L’anno seguente, avendo ricoperto ruoli anche all’interno dell’Inarcassa, la cassa nazionale di previdenza ed assistenza per gli ingegneri ed architetti liberi professionisti, avrebbe guadagnato un milione e mezzo di euro, una cifra simile a quella che secondo la procura avrebbe percepito l’anno seguente. Accuse che hanno portato la procura a chiudere le indagini.
Sticchi Damiani presidente dell’ACI accusato di falso: “Ha nascosto centinaia di migliaia di euro”.
Redazione CdG 1947 su il Corriere del Giorno il 22 Agosto 2023
Sticchi Damiani, nel 2023, si è classificato al secondo posto per reddito dei manager pubblici italiani grazie a compensi dichiarati di circa 2milioni, guadagnati anche attraverso impegni nel settore privato. Con la notifica dell' avviso di conclusione delle indagini, il presidente dell’ACI ha a disposizione venti giorni per esporre le proprie eventuali ragioni ai magistrati.
Secondo la procura di Roma le omissioni del presidente dell’ACI sarebbero uno stratagemma ideato per aggirare il tetto annuale di 240 mila euro previsto per i manager pubblici, contestate dai pm, che rischiano di far finire a processo per falso il 78enne Angelo Sticchi Damiani. L’inchiesta è partita da una denuncia interna all’Aci i cui funzionari hanno assistito, nel tempo, a una sorta di escalation economica del loro presidente. L’ipotesi accusatoria nei confronti del presidente dell’ Automobile Club d’ Italia avanzata dal pubblico ministero Carlo Villani, Sticchi Damiani avrebbe omesso di dichiarare alla segreteria dell’ACI le altre entrate che incassava da altri enti, o in alcuni casi avrebbe ridimensionato, contrariamente al vero, la retribuzione ricevuta dall’ente da egli stesso presieduto, cosi rimanendo entro la soglia stabilita dalla legge.
Un comportamento che gli investigatori, al termine delle indagini appena concluse, hanno etichettato senza esitazioni come un “falso”. Adesso l’indagato Angelo Sticchi Damiani dovrà spiegare alla procura di Roma come sia stato possibile “dimenticare” ( o meglio, omettere) di dichiarare centinaia di migliaia di euro alla segreteria dell’azienda pubblica da egli presieduta. Per esempio, avrebbe dichiarato di aver percepito nell’anno 2017, un totale di 246.698 euro: 120.000 come presidente dell’ACI Informatica Srl, 125 mila come presidente ACI e poco più di 1.000 euro “quale consigliere nazionale del Coni”, come riportato negli atti dell’indagine.
Ma agli investigatori è bastato utilizzare una normale calcolatrice per rendersi conto che i conti non quadravano. Infatti come presidente dell’ACI nazionale, risulta che Angelo Sticchi Damiani ha percepito circa 100 mila euro in più rispetto a quanto ha dichiarato., sommea cui vanno aggiunte anche le somme guadagnate grazie all’incarico al vertice del consiglio di amministrazione di Sara Vita spa (una sociteà assicurativa previdenziale controllata all’80 per cento dall’ ACI ed a quello ricoperto presso Anas spa. e calcolando tutte le retribuzioni ricevute, sostiene la procura di Roma, si arriva ad oltre 665 mila euro.
Analogo comportamento nel 2018, in cui ha omesso di dichiarare oltre 443 mila euro percepite ”quale presidente del cda di Sara assicurazione spa e quelli quale presidente del cda Sara Vita per 223.779 euro”, secondo quanto riporta il capo d’imputazione. Ma le anomali continuano anche nel 2019 in cui Sticchi Damiani ha dichiarato di aver percepito un reddito di 246.679,17 euro grazie ai diversi incarichi in ACI, ma secondo gli accertamenti ed i calcoli effettuati dal pm Carlo Villani ne aveva percepiti, solo dall’Automobile Club Italia, per oltre 365 mila euro. E in quell’anno avrebbe guadagnato un milione e mezzo di euro grazie anche ai ruoli ricoperti nel cda di Sara Assicurazione spa, di Sara vita spa e dell’Inarcassa, la cassa nazionale di previdenza ed assistenza per gli ingegneri ed architetti liberi professionisti. Vale a dire un’ importo superiore cinque volte al tetto massimo consentito dalla legge.
Comportamenti che si ripetevano di anno in anno: stessi incarichi, più o meno le stesse retribuzioni percepite e stesse dichiarazioni contenenti una serie di omissioni che si sono protratte per 4 anni e che adesso Angelo Sticchi Damiani dovrà spiegate alla Procura per evitare il processo. Sticchi Damiani, nel 2023, si è classificato al secondo posto per reddito dei manager pubblici italiani grazie a compensi dichiarati di circa 2milioni, guadagnati anche attraverso impegni nel settore privato. Adesso con la notifica dell’ avviso di conclusione delle indagini, il presidente dell’ACI ha a disposizione venti giorni per esporre le proprie eventuali ragioni ai magistrati.
Chi è il presidente dell’Aci sotto accusa
Angelo Sticchi Damiani è nato a Lecce 78 anni fa, e da sempre la passione per i motori ha caratterizzato la sua carriera e la sua vita. Oltre alla laurea in ingeneria civile e alla carriera come progettista di strade, infatti, Angelo Sticchi Damiani si è fatto conoscere negli anni Settanta come pilota di rally, per poi entrare nella Commissione Sportiva Automobilistica Italiana nel 1975.
Dal 1984 fino al 2000, Angelo Sticchi Damiani è inoltre stato direttore di gara internazionale, e dal 1973 è stato organizzato del Rally del Salento, “classica” del Campionato italiano Rally, valevole per la Coppa Europea Fia Rallies a coefficiente 10. Dal 1990 è Presidente dell’Automobile Club Lecce. Grande appassionato di auto d’epoca, ha partecipato a tre edizioni della Mille miglia storica (1997-1999), oltre a possedere una collezione personale.
Oltre ad essere stato consigliere nazionale del CONI, quest’ultimo gli ha conferito nel 2010 una Stella d’Oro al merito sportivo. Dal 2011 è presidente dell’ACI, e nel 2020 ha ottenuto la riconferma della posizione fino al 2024, con il 94% dei voti. A livello internazionale, si ricorda infine la sua vicepresidenza della FIA, la sua presenza nel Consiglio Mondiale dello sport Fia e dell’Euroboard FIA.
La vita privata di Angelo Sticchi Damiani
Angelo Sticchi Damiani è sempre stato molto riservato in merito alla sua vita privata. Tuttavia, è noto che sia sposato con Rosa Palma, dalla quale ha avuto due figli, Alessia Maria e Francesco Saverio. Quest’ultimo sembra avere ereditato la passione del padre, in quanto presidente dell’Automobile Club di Lecce dal 2022, dopo la laurea in ingegneria civile all’Università Tor Vergata di Roma. Redazione CdG 1947
Antonio Giangrande: “SPECULOPOLI. FISCO E MONOPOLI”. Il libro di Antonio Giangrande.
COME SI COMBATTE LA CRISI E L’EVASIONE FISCALE? UCCIDENDO LAVORO ED IMPRESA E SPOLPANDO I POVERI CRISTI.
Quale è la nazione dove di permette ai professionisti, come per esempio gli avvocati, di sfruttare i praticanti, non pagandoli o pagandoli poco od a nero, ed omettendo di pagare loro i contributi, mentre si rastrellano i poveri coltivatori, artigiani, commercianti, al fine di estorcere loro quel poco che hanno ed inibendo il proseguo dell’attività, costringendoli al suicidio economico e spesso anche fisico? Come si chiama quella nazione dove i giornali vanno dietro alle veline dei magistrati ed al gossip ed ignorano le richieste di aiuto dei poveri contribuenti per far cessare la mattanza?
In Italia naturalmente. Basta denunciare il fatto. Ed è quello che si fa con il saggio “Speculopoli. Fisco e Monopoli”. E’ da venti anni che studio il sistema Italia, a carattere locale come a livello nazionale. Da queste indagini ne sono scaturiti decine di saggi, raccolti in una collana editoriale "L'Italia del Trucco, l'Italia che siamo", letti in tutto il mondo, ma che mi sono valsi l’ostruzionismo dei media nazionali. Pennivendoli venduti all’economia ed alla politica. Book ed E-Book che si possono trovare su Amazon.it.
Siamo basiti, scrive Vittorio Feltri su “Il Giornale”. «Ieri (20 agosto 2014) apriamo il Corriere della Sera a pagina 17 e leggiamo il seguente titolo: “Due uomini dai pm: siamo stati amanti di Marita Bossetti”. Chi è costei? La moglie di Massimo Giuseppe Bossetti, sospettato di essere l'assassino di Yara Gambirasio, l'adolescente di Brembate (Bergamo), in galera da un paio di mesi per via del suo Dna rilevato sul corpo della vittima. Non riassumiamo la vicenda perché è stata raccontata mille volte e supponiamo che il lettore ne sia a conoscenza. Ci limitiamo a esprimere stupore e indignazione davanti a questa ennesima incursione nella vita privata di una famiglia - quella dei Bossetti, appunto - che avrebbe diritto a essere lasciata in pace, ammesso che possa trovarne, avendo il proprio capo chiuso in una cella senza che esista la minima probabilità che questi reiteri il reato attribuitogli, inquini le prove (che non ci sono) e si appresti a fuggire, visto che in quattro anni non ha mai provato a farlo. Stando a Giuliana Ubbiali, la cronista che ha rivelato quest'ultimo particolare piccante sui coniugi, due gentiluomini si sono presentati (spontaneamente? ne dubito) in Procura e hanno confidato agli inquirenti di avere avuto rapporti intimi con la signora Marita. Hanno detto la verità o no? Non è questo il punto. La suddetta signora ha facoltà di fare ciò che vuole con chi vuole e quando vuole senza l'obbligo di giustificarsi con nessuno, tranne il marito. Perché le toghe ficcano il naso nelle mutande di una sposa già distrutta dagli eventi? A quale scopo? Sarebbe interessante che qualcuno ci spiegasse che c'entrano due supposte (non accertate) relazioni avute dalla donna in questione con il delitto di Yara commesso - forse - dal coniuge. Il gossip non ha alcuna importanza - fondato o infondato che sia - ai fini di accertare la verità. Questo lo capisce chiunque. Nonostante ciò, gli investigatori hanno infilato negli atti processuali che due linguacciuti asseriscono di essersi divertiti, sessualmente parlando, con la consorte di Bossetti. Cosicché questi, oltre a essere inguaiato per un omicidio, nonché detenuto, adesso è anche formalmente cornuto agli occhi di chi si pasce di pettegolezzi. Non solo. Marita ha il suo uomo agli arresti, tre figli da mantenere (in assenza di un reddito), un futuro nebuloso, gli avvocati da pagare e, dulcis in fundo, ci ha smenato pure la reputazione passando ufficialmente (zero prove) per puttana».
A fronte di uno stillicidio mediatico rispetto ad una notizia con valore zero, dall’altra parte troviamo uno dei tanti, troppi casi, di ordinaria pazzia, che non meritano l’attenzione dei media.
La storia di Salvatore Lo Cascio di Monte Porzio Catone, in provincia di Roma.
Roma. Italia. “Dopo una vita di fatica, costretto alla fame ed al freddo. E nessuno mi dà retta”.
Questa lettera mi è arrivata da un signore che scrive dal Lazio, ma che può pervenire da qualsiasi località italiana.
«Dr Antonio Giangrande, da semplice ed onesto cittadino sto vivendo la più assurda situazione:
1° -Servizi idrici totalmente chiusi da 33 mesi.
2° -Lavoro bloccato, il Comune mi ha tolto la licenza di vendita di ciò che produco da 33 mesi.
3° -L’Inps mi ha cancellato da coltivatore diretto iscrivendomi alla categoria commercianti e, tassandomi per tale, ha ipotecato tutto ciò che ho e per gli effetti Equitalia minaccia espropriazioni. Ho denunciato ogni casa a Carabinieri, Guardia di Finanza, Polizia di Stato, tribunali. Tutto giace archiviato, ne letto ne ascoltato, messo a tacere. Ho inviato denuncia al C.S.M. per occultamento della denuncia nel Tribunale di Velletri, ho inviato messaggi scritti al Capo dello Stato, messaggi email a Matteo Renzi, a Pietro Grasso. Una lettera è stata inviata alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea. Tutte le richieste alle testate giornalistiche e televisive non hanno avuto risposta. Non posso cercare soluzione tramite un bravo avvocato perchè non ho alcun mezzo economico. Io non chiedo aiuti economici, me li hanno offerti dalla Calabria dopo la mia esternazione in TV su Rete 4 a “5ª Colonna.” Chiedo esclusivamente di non essere messo a tacere. Ho inviato email e lettere alla Merkel, all'ambasciatore Germanico a Roma, al Tribunale Diritti Umani di Strasburgo. Ho cercato sostegno agli avvocati delle associazioni dei consumatori e dei sindacati. Nulla.»
Dopo questa richiesta di aiuto ho fatto delle ricerche per conferma ed approfondimento, rinunciando alla marea di carte inutili che in casi simili le vittime son pronte ad inondarti. In effetti solo un giornale locale ne ha parlato. E’ stata la giornalista Lucrezia La Gatta su “La fiera dell’est” del 21 dicembre 2013. Essa parla di come il sistema spolpa i poveri cristi ed io le do rilevanza nazionale. Non gliene fregherà niente a nessuno e non si caverà un ragno dal buco. Intanto io il mio dovere l’ho fatto, altri chissà…..
“La storia di Salvatore Lo Cascio, residente a Monte Porzio Catone, è una storia di privazioni ed ingiustizie. Con una casa ipotecata e la licenza agricola revocata a 62 anni. La sua vita avanti tra una battaglia e l’altra. «Lavoro come agricoltore da quando ero ragazzo - spiega Salvatore - ho iniziato vendendo i prodotti del mio terreno all'ingrosso poi, a seguito delle nuove leggi, ho dovuto optare per la Convenzione di Tipo A per l'occupazione di suolo pubblico presso la Piazza del Mercato di Monte Porzio Catone». Ci viene mostrata una fotocopia della licenza nella quale si legge che la Convenzione di Tipo A permette la vendita dei prodotti agricoli quotidianamente. Il 25 novembre 2011 è arrivata, però, una lettera da parte del Comune dove si fa presente che l'accordo con Salvatore Lo Cascio prevede che la vendita dei suoi prodotti avvenga esclusivamente di martedì. Il 1 dicembre 2011, inoltre, arriva una lettera da parte del Comune dove si annuncia la revoca dell'occupazione del suolo pubblico. Quello che viene detto, dunque, è che la sua licenza fosse stata di tipo B, la quale prevede la vendita dei prodotti per uno o più giorni a settimana, in base agli accordi. «Ho mandato lettere al Comune di Monte Porzio Catone, ho sporto denuncia al Tribunale di Velletri, ho protestato davanti Montecitorio, ma nessuno mi ha mai risposto» continua a spiegarci mostrandoci tutte le lettere e le denunce sporte negli ultimi anni. Il periodo in cui viene revocata la Licenza Agricola al sig. Lo Cascio coincide con la fondazione di un'Associazione Commercianti di Monte Porzio, la quale utilizza proprio la Piazza del Mercato. Da quel giorno Salvatore ha smesso di lavorare all'età di 62 anni: «Dopo anni di sacrifici mi sarei aspettato una pensione ed una vita tranquilla, invece ora mi ritrovo senza un lavoro e con una casa ed il terreno ipotecati». Negli anni, il signor Lo Cascio ha accumulato 120.000 euro di arretrati: una cifra che l'INPS, tempo fa, aveva richiesto di riunire nel giro di soli cinque giorni. Non avendo le disponibilità economiche per coprire il debito, Equitalia ha proceduto con l'ipoteca. Neanche le lettere inviate all'Agenzia Delle Entrate, alla Regione Lazio, alla Federconsumatori ed alla Confesercenti hanno saputo porre rimedio al danno subìto. «Mi hanno distrutto la vita e la famiglia - ci racconta - mia moglie è costretta a lavorare come badante e donna delle pulizie per guadagnare quel poco che ci fa andare avanti». Salvatore ha sempre portato avanti le sue battaglie personalmente, non avendo le disponibilità economiche per assumere un legale. Dopo l'ennesima opposizione alla richiesta di archiviazione della sua pratica, risalente al 9 ottobre 2013, il 20 novembre arriva finalmente una lettera protocollata 796/13 PM e 5914/13 GIP dove si annuncia la prima seduta del 13 marzo 2014, al Tribunale di Velletri, dove verrà analizzata la revoca della licenza agricola del sig. Lo Cascio. Un piccola soddisfazione per l'agricoltore, dopo anni di silenzi e di indifferenza totale. Nonostante la bella notizia, non si può affermare che ora Lo Cascio possa vivere in tranquillità: tra il terreno ipotecato e la mancanza di lavoro, i sacrifici e le sofferenze non terminano qui. In lacrime, conclude: «Il problema di un singolo non fa notizia».
Dr Antonio Giangrande
Presidente dell’Associazione Contro Tutte le Mafie e di Tele Web Italia
Antonio Giangrande: ITALIA DA ROTTAMARE. GIUGNO. LA FARSA DEL PAGAMENTO DELLE TASSE
Giugno tempo di tasse e di prese per il culo. Imu, Tari, Tasi, Tares, Redditi, ecc. Chi più ne ha, più ne mette. Non si capisce cosa pagare a chi? Però alla fine nulla si può pagare. Perché i burocrati sono sempre in ritardo. E poi dicono che i cittadini evadono….
Se ne occupa Antonio Giangrande, noto autore di saggi pubblicati su Amazon, tra cui “Speculopoli. L'Italia delle speculazioni. Fisco e monopoli”. Libri che raccontano questa Italia alla rovescia. Giangrande per una scelta di libertà si pone al di fuori del circuito editoriale. Libri dettagliati che fanno la storia, non la cronaca, perché fanno parlare i testimoni del loro tempo.
«Sono orgoglioso di essere diverso. In un mondo caposotto (sottosopra od alla rovescia) gli ultimi diventano i primi ed i primi sono gli ultimi. L’Italia è un Paese caposotto. Io, in questo mondo alla rovescia, sono l’ultimo e non subisco tacendo, per questo sono ignorato o perseguitato. I nostri destini in mano ai primi di un mondo sottosopra. Che cazzo di vita è? Già ho rinunciato a chiedere l’iscrizione all’elenco dei beneficiari del 5X1000, in qualità di presidente di una associazione antimafia ONLUS, per i disservizi dell’Agenzia delle Entrate. Cosa che ha già promosso una interrogazione parlamentare. Tra ladrocini a go go, (vedi Expo e Mose) e puttanizi vari, dove ognuno si prostituisce per un favore indebito - dice Giangrande - con la regola da rispettare degli appalti pubblici taroccati ed i concorsi ed esami pubblici truccati, ci tocca pure pagare i boiardi di Stato. Ci fanno una testa così a proposito dell’evasione fiscale. Si sono inventati gli studi di settore e cazzate varie. Ciononostante, anche se non hai incassato un euro, ti tocca addossarti l’onere di farlo sapere all’agenzia delle entrate che, guarda caso, ti complica la vita. Da buon cittadino onesto, cerco di far da me la dichiarazione Unico Persone Fisiche 2014. Il primo di giugno mi metto di buona lena, consapevole del fatto che, mai sia, si superi i termini di presentazione ed allora son cavoli amari. Mi metto a scaricare tutta la massa di software che l’agenzia indica nelle pagine più disparate. E’ come cercare il tesoro. Bene. Una volta che pensi di aver fatto tutto quanto precede la benedetta dichiarazione on line, cominci a compilarla, con in allegato lo studio di Settore, pensato da lunatici burocrati. Arrivati alla fine di Unico, al modello RX, la schermata mi informa che è impossibile completare l’operazione, in quanto non si può effettuare il controllo. Provo e riprovo per giorni e notti. Riscarico i programmi, casomai ci sono errori nel mio PC. Niente. Sono depresso e stanco. A quel punto mi chiedo: ma son veramente un coglione? Sbaracco tutto e vado da un Caf o un commercialista, pago la tangente di Stato per la compilazione di Unico e così sto a posto? Ma mi viene un dubbio: vuoi vedere che i coglioni sono altri? E mi metto a cercare i forum dei disgraziati come me. E cerca, che trovi, sul forum di fisco e tasse mi ritrovo qualcuno con lo stesso mio problema.
Scrive Re Artù. “Ciao. Sono un artigiano ex minimo, in contabilità supersemplificata ma soggetto agli studi di settore. Ho elaborato il mio Unico PF - il mio quadro " G " - elaborato con Gerico2014 il tutto risultato congruo e coerente - allego il relativo file all'Unico2014, vado in RN e RX per stampare in miei bravi mod. F24 ed andare in banca a pagare, cosa mi dice il programma di UNICO: "Il modulo di controllo dei record relativi agli studi di settore non è ancora disponibile, non è pertanto possibile eseguire il controllo completo della dichiarazione". Ma possibile che ogni anno si debbano mettere in difficoltà una intera categoria di artigiani che vogliono fare il loro dovere, cioè pagare onestamente le tasse e nel giusto termine imposto dalla legge, senza arrivare col fiatone ad eventuali proroghe (che ci saranno vedrete). Cosa fanno i programmatori dell'ADE, perché non perfezionano in tempo questi programmi messi in rete ogni anno sempre più in ritardo. Sapete se debbo essere io a scaricarmi questo modulo di controllo e se sì dove debbo andare a ricercarlo, oppure l'aggiornamento avviene automaticamente nel pacchetto di UNICO2014? Scusate ma non se ne può più. Ciao a tutti.”
Risponde Rocco, un buon samaritano. “Stai calmo, non ti arrabbiare. Innanzitutto è in arrivo la proroga dei versamenti di UNICO per i contribuenti che applicano gli studi di settore. Il modulo di controllo degli studi di settore non è ancora disponibile; trattasi di modulo superato da quello di controllo di UNICO. Pertanto, in presenza di mod. UNICO con allegato il modello sds, non potrai trasmettere la dichiarazione se il modulo di controllo non viene reso disponibile. Devi pazientare ancora un po', considerando che la scadenza per l'invio telematico è il 30/09/2014. Saluti.”
“E' la solita "farsa" di ogni anno. Grazie Rocco. Saluti.” Risponde rassegnato Re Artù. Allora mi chiedo. Ma per quanto tempo ancora ci devono prendere per il cu…….e non perdere la pazienza?»
Dr Antonio Giangrande
Presidente dell’Associazione Contro Tutte le Mafie e di Tele Web Italia
Un mostro in cattive mani. Ieri il direttore dell'Agenzia delle Entrate, Ernesto Maria Ruffini, recentemente riconfermato da questo governo, ha detto che il fisco non deve mai essere amico dei contribuenti. Non c'è dubbio che su questo aspetto l'attuale amministrazione pubblica stia ottenendo dei risultati ragguardevoli: in pochi lo ritengono amico. Nicola Porro il 22 agosto 2023 su Il Giornale.
Ieri il direttore dell'Agenzia delle Entrate, Ernesto Maria Ruffini, recentemente riconfermato da questo governo, ha detto che il fisco non deve mai essere amico dei contribuenti. Non c'è dubbio che su questo aspetto l'attuale amministrazione pubblica stia ottenendo dei risultati ragguardevoli: in pochi lo ritengono amico. È complicato, ci viene a trovare troppo spesso, con le sue pretese è fuori mercato, non ammette repliche e sanziona con inflessibilità. Anche dai secondini si pretende umanità e garbo nei confronti dei detenuti, ma non dal direttore del fisco verso i contribuenti. Siamo tutti presunti colpevoli, fino a prova contraria. Senza che ci sia un'indignazione generale. Perché?
C'è un motivo psicanalitico, innanzitutto. Ognuno di noi fa i conti con i propri scontrini, o meglio con quelli che non ha richiesto o non ha battuto. Ci sentiamo tutti in fondo e vagamente colpevoli. Ma talmente in fondo, che riteniamo che i veri colpevoli siano altrove: le multinazionali, le banche, gli stranieri con i Suv, i villeggianti nei resort, il vicino di ombrellone. Ma la ragione fondamentale è un'altra. Siamo sottomessi allo Stato e alle sue leggi tributarie, con una sorta di sindrome di Stoccolma. Abbiamo scambiato il rapitore per il benefattore. I funzionari pubblici, dagli esattori delle tasse ai magistrati, dai politici ai manager di Stato, sono al nostro servizio e non il contrario.
Ruffini, ma anche il magistrato come il vigile urbano, dovrebbero, in uno Stato liberale, comprendere che non sono lì per volontà divina, ma popolare. Abbiamo perso il nesso per cui il civil servant (avete capito bene, gli anglosassoni lo chiamano servant) è al nostro servizio, e loro si sono dimenticati di lavorare per noi.
Sarebbe troppo pretendere, come teorizzavano i grandi fiscalisti italiani alla fine dell'800, che l'origine dell'imposizione sia legata alla tariffa che la collettività paga per stare insieme nel proprio condominio. Oggi il fisco è diventato un mostro, completamente scollegato dalla spesa che alimenta. Sarebbe molto salutare che un direttore dell'Agenzia delle Entrate per qualche tempo si mettesse a fare l'imprenditore, il negoziante, l'artigiano, il dipendente con un lavoretto autonomo, o l'impiegato che non riesce a pagare una multa per aver superato di 8 chilometri il limite di velocità cittadino, con la sua auto diesel semi-paralizzata delle aree ecologiche. Non a fini punitivi, per carità. Ma perché si rendesse conto di cosa ha detto. E di come il fisco, oltre a ridursi nelle sue pretese, dovrebbe proprio riuscire ad essere più vicino, più amico dei contribuenti. Siamo convinti che sia l'intento della legge delega realizzata dal viceministro delle Finanze Maurizio Leo. Ma in che mani l'affida?
Al governo, che ha scelto Ruffini e che maneggia i pericolosi argomenti dell'extraprofitto, converrebbe rileggere Luigi Einaudi (testo del 1907) per non farsi scrupoli: «Che i contribuenti combattano una diuturna, incessante battaglia contro il fisco è cosa risaputa, ed è nella coscienza di tutti che la frode fiscale non potrà essere davvero considerata alla stregua degli altri reati finché le leggi tributarie rimarranno, quali sono, vessatorie e pesantissime e finché le sottili arti della frode rimarranno l'unica arma di difesa del contribuente contro le esorbitanze del fisco».
Ruffini, il commis di Stato grande ufficiale di Mattarella. Renzi lo chiamò alla Leopolda, le sue tesi piacciono molto a Gentiloni e Draghi. Domenico Ferrara il 22 agosto 2023 su Il Giornale.
Il guardiano del fisco ha lo sguardo algido e implacabile. Per Ernesto Maria Ruffini, nato a Palermo nel primo giorno dell'estate del 1969, la lotta all'evasione è sempre stata una questione di giustizia. Lui le stagioni politiche le ha conosciute tutte e si può dire che sia rimasto in sella durante i governi di ogni colore. E dal 2015 a oggi di esecutivi ce ne sono stati parecchi.
Ma c'è una data che segna l'inizio e da cui parte il declivio pubblico: 5 novembre 2010, stazione Leopolda di Firenze. Ruffini, all'epoca più civatiano che renziano, partecipa per presentare la ricetta del Fisco 2.0. Digitalizzazione dei servizi, snellimento dei processi, ausilio della tecnologia con strumenti come la dichiarazione dei redditi precompilata, la fatturazione elettronica e la lotteria degli scontrini. I temi folgorano presto Renzi e finiscono compendiati in un libro dal titolo «L'evasione spiegata a un evasore: anche a quello dentro di noi», pubblicato nel 2013 con prefazione di Romano Prodi e postfazione di Vincenzo Visco. Nomi di peso. Dicono che Mr. Fisco sia una delle poche persone che è riuscita a mettere d'accordo il Pd renziano e quello non renziano. Di sicuro c'è che a sinistra è sempre stato considerato un civil servant, un servitore dello Stato ligio al dovere a tal punto da non prendere neanche un'ora di malattia e di far le chemioterapie per sconfiggere un tumore durante le videoconferenze di lavoro.
Cattolico, figlio del politico democristiano e ministro Attilio Ruffini (nipote del cardinale Ernesto Ruffini), fratello minore del giornalista Paolo, Ruffini si laurea in giurisprudenza a Roma e dal 1998 comincia a lavorare come avvocato tributarista nell'importante studio dell'ex ministro delle Finanze nel governo Dini Augusto Fantozzi dove rimane fino alla nomina - fortemente voluta da Renzi, al vertice di Equitalia nel 2015. Un anno prima il rottamatore lo aveva chiamato a far parte del Tavolo permanente per l'innovazione e l'agenda digitale italiana della Presidenza del Consiglio dei Ministri. Da lì la carriera va avanti all'insegna della continuità.
Nel 2017, su proposta del ministro dell'Economia Padoan, il governo Gentiloni lo nomina direttore dell'Agenzia delle entrate. Nel 2018 l'unica battuta d'arresto, quando viene cacciato dal governo Conte I per poi tornare in carica due anni dopo durante il governo Conte II su proposta del ministro dell'Economia dem Gualtieri. Confermato poi nel 2021 da Draghi e nel gennaio 2023 dal governo Meloni. Nel 2022, Ruffini è tornato in libreria con «Uguali per Costituzione» con prefazione di Sergio Mattarella, uno dei suoi principali sponsor. Non per nulla, l'8 agosto 2022 è stato proprio Mattarella, di sua iniziativa, a conferire a Ruffini l'onorificenza di Grande Ufficiale Ordine al Merito della Repubblica Italiana. Sul sito dell'Espresso è ancora visibile il blog che ha inaugurato nell'aprile del 2012 e nel quale scriveva: «Le tasse, belle o brutte che siano, sono il mezzo più onesto e trasparente che abbiamo per contribuire bene comune del nostro paese, di tutti noi. Ed è per questo che è arrivato il momento di stipulare un nuovo patto fiscale». Appassionato di disegno e di pittura, se avesse scelto il liceo artistico a quest'ora avremmo scritto un'altra storia. Con buona pace o meno dei contribuenti.
Estratto dell’articolo di Lodovica Bulian per “il Giornale” martedì 22 agosto 2023.
Tra le due facce del Fisco, quella intollerante verso gli evasori, e quella «amica» dei contribuenti onesti in difficoltà costretti al «pizzo di Stato», ieri, alla vigilia della settimana che conta ben 147 scadenze fiscali, Ernesto Maria Ruffini ha scelto di mostrare la prima. Il direttore dell’Agenzia delle Entrate, con in un’intervista al Corriere della Sera, ha annunciato l’imminente entrata in funzione del meccanismo di incrocio dei dati dei conti correnti con quelli delle banche dati dello Stato per stanare gli evasori, nell’ambito della convenzione triennale appena siglata col Mef.
Nell’annunciare l’introduzione di strumenti innovativi e processi di digitalizzazione per accelerare i controlli incrociati delle Entrate, il tono è quello della giusta intransigenza verso i contribuenti infedeli. Con l’aggiunta però di una netta presa di distanza dalle politiche attentamente comunicate sin qui dal governo Meloni.
Il Fisco amico del contribuente? «Mai, gli amici ce li scegliamo, non me li può dare la legge, gli amici stanno altrove. Il Fisco non può essere amico. Ma invece può essere un corretto ed equo interlocutore, deve essere questo. Io non vorrei avere un fisco amico ma un Fisco con cui interloquire in modo corretto», ha corretto il tiro il direttore, ospite alla Versiliana. Agli antipodi rispetto a quanto sin qui rivendicato dall'esecutivo. […]
Estratto dell’articolo di Domenico Ferrara per “il Giornale” martedì 22 agosto 2023.
Il guardiano del fisco ha lo sguardo algido e implacabile. Per Ernesto Maria Ruffini, nato a Palermo nel primo giorno dell’estate del 1969, la lotta all’evasione è sempre stata una questione di giustizia. Lui le stagioni politiche le ha conosciute tutte e si può dire che sia rimasto in sella durante i governi di ogni colore. E dal 2015 a oggi di esecutivi ce ne sono stati parecchi.
Ma c’è una data che segna l’inizio e da cui parte il declivio pubblico: 5 novembre 2010, stazione Leopolda di Firenze. Ruffini, all’epoca più civatiano che renziano, partecipa per presentare la ricetta del Fisco 2.0. Digitalizzazione dei servizi, snellimento dei processi, ausilio della tecnologia con strumenti come la dichiarazione dei redditi precompilata, la fatturazione elettronica e la lotteria degli scontrini. I temi folgorano presto Renzi e finiscono compendiati in un libro dal titolo «L’evasione spiegata a un evasore: anche a quello dentro di noi», pubblicato nel 2013 con prefazione di Romano Prodi e postfazione di Vincenzo Visco.
[…] Dicono che Mr. Fisco sia una delle poche persone che è riuscita a mettere d’accordo il Pd renziano e quello non renziano. Di sicuro c’è che a sinistra è sempre stato considerato un civil servant, un servitore dello Stato ligio al dovere a tal punto da non prendere neanche un’ora di malattia e di far le chemioterapie per sconfiggere un tumore durante le videoconferenze di lavoro.
Cattolico, figlio del politico democristiano e ministro Attilio Ruffini (nipote del cardinale Ernesto Ruffini), fratello minore del giornalista Paolo, Ruffini si laurea in giurisprudenza a Roma e dal 1998 comincia a lavorare come avvocato tributarista nell’importante studio dell’ex ministro delle Finanze nel governo Dini Augusto Fantozzi dove rimane fino alla nomina - fortemente voluta da Renzi, al vertice di Equitalia nel 2015.
[…] Nel 2017, su proposta del ministro dell’Economia Padoan, il governo Gentiloni lo nomina direttore dell’Agenzia delle entrate. Nel 2018 l’unica battuta d’arresto, quando viene cacciato dal governo Conte I per poi tornare in carica due anni dopo durante il governo Conte II su proposta del ministro dell’Economia dem Gualtieri. Confermato poi nel 2021 da Draghi e nel gennaio 2023 dal governo Meloni.
Nel 2022, Ruffini è tornato in libreria con «Uguali per Costituzione» con prefazione di Sergio Mattarella, uno dei suoi principali sponsor. Non per nulla, l’8 agosto 2022 è stato proprio Mattarella, di sua iniziativa, a conferire a Ruffini l’onorificenza di Grande Ufficiale Ordine al Merito della Repubblica Italiana.
Sul sito dell’Espresso è ancora visibile il blog che ha inaugurato nell’aprile del 2012 e nel quale scriveva: «Le tasse, belle o brutte che siano, sono il mezzo più onesto e trasparente che abbiamo per contribuire bene comune del nostro paese, di tutti noi. Ed è per questo che è arrivato il momento di stipulare un nuovo patto fiscale». […]
Estratto dell’articolo di Claudio Antonelli per “La Verità” martedì 22 agosto 2023.
Che triennio di promesse quello tra il 2014 e il 2017. I tempi d’oro di Matteo Renzi quando da premier prometteva di smaltire con il semplice utilizzo degli sms un milione di contenziosi fiscali. È stato sempre Renzi a coniare il termine «Fisco amico». L’uovo di Colombo politico. L’amministrazione finanziaria si sarebbe dovuta evolvere sul modello anglosassone.
Meno burocrazia, risposte anticipate per agevolare o evitare i contenziosi e poi massima disponibilità a fronte della massima severità di fronte agli evasori. Il tutto preceduto da sanatorie e condoni, per tirare una linea. Al di là del fatto che le promesse nel 90% dei casi sono rimaste tali.
Nel 2014, Ernesto Maria Ruffini viene chiamato a far parte del tavolo permanente per l’innovazione, nel 2015 è nominato ad di Equitalia e nel 2017 diventa per la prima volta direttore dell’Agenzia delle entrate. Renzi lo vuole proprio per lanciare lo slogan «Fisco amico». Quando si insedia, Ruffini manda una lunga lettera ai dipendenti per annunciare: «Meno burocrazia, carta e timbri, meno adempimenti, ingiustizie, meno distacco dalla vita reale di chi produce, meno distanza dalla lingua italiana e, se saremo bravi, anche meno balzelli».
Il direttore dell’Ade e Renzi diventano la coppia perfetta, d’altronde si frequentavano già dalla prima Leopolda. Anche se tra i due è il primo che riesce a superare il governo Gentiloni intatto e a farsi riconfermare dall’attuale esecutivo a guida centrodestra. Fino allo scorso anno, lo slogan «Fisco amico» è passato un po’ in cavalleria. Sostituito da quello degli algoritmi e dell’Intelligenza artificiale. Le Entrate ne hanno fatto un punto d’orgoglio.
Peccato che, al momento, l’uso dei software non sembra aver risolto i problemi della burocrazia. Anzi. Il grande progetto dei documenti precompilati non è quel successo che sarebbe dovuto essere.
L’Agenzia punta a usare l’Intelligenza artificiale per scovare gli evasori ma fa fatica a dialogare correttamente con i software informatici di base per inviare le comunicazioni di irregolarità ai contribuenti. Dopo la rivelazione che il 95% dei 730 precompilati presenta errori, sempre prima dell’estate è arrivato un altro allarme. Secondo fonti legate al mondo dei commercialisti di Milano, Roma e Pistoia anche gli avvisi bonari inviati dal Fisco presentano un altissimo livello di errori; fatte dieci le irregolarità inviate, sette risultano essere sbagliate. […]
[…] Ruffini dovrebbe conoscere la situazione dell’Agenzia ma sembra sfuggirgli che, ormai da molti mesi, gli uffici sono praticamente chiusi al pubblico, prendere un appuntamento è una chimera e, ovviamente ottenere risposte spesso impossibile.
Le Pec - sostengono decine di commercialisti - sono sistematicamente ignorate. Sulle difficoltà di trattare alla pari con la Pubblica amministrazione delle Entrate potremmo scrivere dei libri e, quindi, non ci sorprende che domenica, parlando alla Versiliana, il direttore abbia pubblicamente ammesso che «il Fisco non può mai essere amico del contribuente.
Gli amici ce li scegliamo, non me li può dare una legge, il Fisco deve essere un equo e corretto interlocutore», ha detto, aggiungendo: «Io non vorrei avere un Fisco amico ma un fisco con cui interloquire in modo corretto».
È chiaro che le parole di per sé non sono sbagliate. Il problema è che oltre a rinnegare quanto di buono aveva promesso Renzi ai tempi, esse rinnegano anche la colonna portante della legge di delega fiscale che mira a riformare proprio i rapporti con il Fisco. Nessuno pensa né vuole che le Entrate si mettano a fare differenze o chiudano un occhio di fronte agli evasori per cui la frase di Ruffini è un pleonasmo.
Ci preoccupa invece che diventi la scusa per sostenere una digitalizzazione che invece di risolvere i problemi aggiungerà errori e soprusi spersonalizzando ancora di più la controparte pubblica. Bene che partano i controlli incrociati con i conti correnti e pure che sia facile bloccare i soldi di chi fa il furbo. Ma a quel punto lo Stato non potrà permettersi di sbagliare un colpo. Questo è il «Fisco amico» che ci aspettiamo. E non ci interessa il parere di Ruffini, ma del governo che l’ha appena riconfermato.
Burocrazia e cartelle pazze: tutti i "buchi" del sistema. Pressione fiscale monstre al 43,8%. Aziende e autonomi sacrificano un mese all'anno per gli adempimenti. Marcello Astorri il 22 Agosto 2023 su Il Giornale.
Se il Fisco non può essere un «amico», per lo meno ci si aspetterebbe che non fosse un nemico invincibile. E invece, in Italia, è un mastodonte burocratico che richiede una media di 238 ore l'anno per dare corso a tutti gli adempimenti fiscali. Il dato, citato da una nota di Federcontribuenti, arriva dalle rilevazioni della Banca mondiale e si confronta con le 82 richieste dall'Irlanda e le 139 della Francia. In pratica, in ore lavorative, è come se un imprenditore o un professionista dovesse smettere di lavorare per un mese solo per pagare le tasse. Una macchina che ha generato oltre 1.100 miliardi di crediti per il Fisco, di cui soltanto una piccola parte ormai è realmente esigibile. Si tratta di un stock di crediti non riscossi di oltre vent'anni.
Ma alle difficoltà di un sistema farraginoso, si aggiunge anche la tenaglia di una pressione fiscale elevatissima che, secondo il Centro studi della Cgia di Mestre, ha raggiunto 43,8% del Pil nel corso del 2022. Di quasi dieci punti superiore al 34,1 della media tra i Paesi Ocse, in base ai dati 2021.
Un elefante difficile da sfamare che, tuttavia, quando si tratta di riscuotere le cartelle diventa una tigre. «Quando scatta il recupero coatto uno degli aspetti più devastanti è il blocco del conto corrente», spiega a Il Giornale Vincenzo Tagliareni, direttore generale di Federcontribuenti, «Se a un imprenditore blocchi il conto corrente non gli permetti di lavorare». In pratica, se il contribuente non adempie al saldo del suo debito fiscale entro 60 giorni dalla notifica della cartella esattoriale può andare incontro al blocco del conto corrente per una somma pari all'ammontare del debito. E questo, soprattutto per chi deve pagare le cifre più grandi, può voler dire il blocco totale dell'attività. Secondo Tagliareni, l'ultima rottamazione delle cartelle non andava sufficientemente incontro alle esigenze dei contribuenti: «Sarebbe stato meglio avere la possibilità di pagare il dovuto non in 18 rate, ma perlomeno in 72, e non richiedere il 20% della somma subito nelle prime due rate».
Chi lotta ogni giorno con il Fisco italiano sono i commercialisti: «Il nostro Fisco è complicato e non dà tempi certi», spiega il presidente dell'associazione nazionale commercialisti, Marco Cuchel, «senza queste condizioni non si riesce a dare una consulenza efficace al contribuente. Noi da tempo chiediamo di avere circolari e istruzioni dall'Agenzia delle Entrate entro il 31 gennaio, per poi avere fino al 30 giugno per chiudere i bilanci e valutare le imposte». Quest'anno, denunciano i commercialisti, le ultime istruzioni che riguardano gli indicatori sintetici di affidabilità fiscali, su cui si basano il 90% delle dichiarazioni delle partite Iva, sono state pubblicate in Gazzetta Ufficiale il 18 maggio. E il 18 giugno «l'Agenzia delle Entrate ha fatto uscire tre circolari di 572 pagine dove dava indicazioni su come operare deduzioni e detrazioni» da leggere «entro il termine del 30 giugno», osserva Cuchel.
Un sistema così rende più facile commettere errori. E la stessa Agenzia delle Entrate non ne è esente con milioni di cartelle pazze - con richieste di pagamento per tributi già pagati o prescritti o già sgravati da provvedimenti del giudice. «Molte sono frutto degli studi di settore (oggi Isa, ndr) e sono tutti debiti presunti», spiega Tagliereni, «Sentenze alla mano, però, i casi che abbiamo seguito come Federcontribuenti si concludono nell'80-90% dei casi con una vittoria nei ricorsi mossi dal contribuente».
Far valere le proprie ragioni, però, per il contribuente non è gratis e la Pa non paga mai le sue inefficienze: «Arrivano avvisi bonari e rate che creano un disagio al contribuente, che poi deve appoggiarsi a un commercialista per ricostruire la cosa e sanare la pratica», dice Cuchel, «La Pa deve rispettare i tempi per istruzioni e circolari e, se sbaglia, deve farsi carico degli oneri».
"Autonomi maxi-evasori". Ma la gogna per le partite Iva è solo una grande bufala. Non ci sta Confcommercio. L'associazione respinge la narrazione degli "autonomi evasori", rilanciata da Repubblica sulla base dei dati dell'ultima Relazione sull'economia. Lodovica Bulian il 25 Luglio 2023 su Il Giornale.
Non ci sta Confcommercio. L'associazione respinge la narrazione degli «autonomi evasori», rilanciata da Repubblica sulla base dei dati dell'ultima Relazione sull'economia non osservata, firmata dalla commissione del Mef guidata dall'economista Alessandro Santoro. Vengono citati i dati del documento per denunciare come il 70 per cento degli autonomi evada, e come non lo faccia «per necessità» come sostenuto nelle scorse settimane dal vice premier Matteo Salvini. Il direttore dell'Ufficio studi di Confcommercio Mariano Bella mette in fila alcuni elementi, pur ribadendo che si tratta di «numeri seri e ufficiali» e di una «relazione importante», fa notare che è anche un'analisi «molto complessa e proprio per la sua complessità può talvolta essere usata in modo strumentale come una clava e non come strumento di conoscenza». Si parla del 70 per cento di autonomi evasori, che è il dato del gap contributivo Ipref del 2020, «ma poi si citano le unità irregolari prendendo un dato del 2019, senza vedere che nel 2020 invece sono crollate di oltre 700mila», dice Bella. Che ricorda che si tratta comunque di dati del 2020, «confidiamo che il trend del 2023 ci sorprenderà in positivo. Bisogna apprezzare lo sforzo e i risultati ottenuti nella lotta all'evasione fiscale di questi ultimi anni, sono state recuperate decine di miliardi e centinaia di migliaia di posizioni che erano irregolari non lo sono più. Abbiamo innovato il contrasto all'evasione attraverso strumenti tecnologici, come lo split payment e la fatturazione elettronica».
Tornando al 69,7 per cento di evasione Irpef, è giusto notare, dice Bella, un «errore dovuto alla complessità, non voglio pensare che si tratti di malizia: si scambia e si confonde l'evasione del reddito da lavoro autonomo con l'evasione degli autonomi, sono due cose distinte. Quando si traduce, come in questo caso è stato fatto dai commentatori, il dato del gap delle entrate Irpef con l'evasione degli autonomi si commette uno sbaglio. Non c'è scritto questo nella relazione del Mef. Che si riferisce al reddito da lavoro autonomo e non ai lavoratori autonomi. Il pensionato che fa il consulente o il muratore nel tempo libero, o quello che vende i profumi porta a porta e non dichiara, sta in quelle statistiche. Poi è chiaro che il grosso del lavoro autonomo è fatto dagli autonomi, ma i dati vanno citati per quello che sono».
Emerge dai numeri del Mef anche come il 20 per cento degli evasori dichiari e poi non versi le tasse. «Deve essere chiaro - precisa il direttore dell'Ufficio studi di Confcommercio - che l'evasione fiscale è un comportamento volontario. Ho dei dubbi che, e infatti non lo ha fatto il Mef, ma i commentatori, che si possa definire evasione fiscale l'imposta non pagata da uno che ha fatto la dichiarazione dei redditi. È vero poi che abbiamo un problema di evasione fiscale in generale, ma non capisco queste polemiche, questi attacchi, cosa si vuole sostenere? Che gli italiani siano un popolo di evasori? Che lo siano gli autonomi? Che ci sia il gene della disonestà? Questo gene non esiste», dice Bella. Bisognerebbe invece «domandarci quali siano le cause economiche dell'evasione. Almeno quattro: l'eccesso di imposta, il costo degli adempimenti fiscali troppo elevato, servizi pubblici non adeguati e i controlli. Confcommercio non ha mai detto di non farli, anzi, li ha sempre sollecitati. Se non li fanno c'è qualcosa che non funziona».
L'evasione è una «tassa occulta sugli onesti», aveva detto il direttore dell'Agenzia delle Entrare Ernesto Ruffini, rispondendo a Salvini che parlava degli italiani come ostaggio del Fisco: «È vero che l'evasione è una tassa occulta sui contribuenti in regola - conclude l'Ufficio studi - ma è anche una tassa esplicita sui lavoratori autonomi che sono imprenditori onesti. Che pagano anche per i disonesti».
(ANSA il 17 Luglio 2023) - "Il contrasto all'evasione non è volontà di perseguitare qualcuno". Lo dichiara il direttore dell'Agenzia delle entrate, Ernesto Maria Ruffini, intervenendo al convegno "Facciamo l'Italia semplice".
"E' un fatto di giustizia nei confronti di tutti coloro che, e sono la stragrande maggioranza, le tasse anno dopo anno le pagano", ha sottolineato. "Il nostro è un lavoro essenziale per il funzionamento di tutta la macchina pubblica - ha detto Ruffini - perché se vogliamo garantire i diritti fondamentali della persona indicati e tutelati nella nostra Costituzione, servono risorse".
"L'Agenzia è una amministrazione dello Stato, non un'entità belligerante", ha sottolineato Ruffini, spiegando che la lotta all'evasione è "un fatto di giustizia nei confronti di tutti coloro che, e sono la stragrande maggioranza, le tasse anno dopo anno le pagano e le hanno pagate, sempre fino all'ultimo centesimo, anche a costo di sacrifici e nonostante l'innegabile elevata pressione fiscale; di coloro che hanno bisogno del sostegno dello Stato, erogato attraverso i servizi pubblici con le risorse finanziarie recuperate".
"Il nostro - ha detto - è un lavoro essenziale per il funzionamento di tutta la macchina pubblica, perché se vogliamo garantire i diritti fondamentali della persona indicati e tutelati nella nostra Costituzione, come la salute dei cittadini, l'istruzione dei nostri figli, la sicurezza di tutti noi, servono risorse e noi siamo chiamati a raccoglierle a vantaggio di tutti. Anche di chi si sottrae al loro pagamento. E siamo tutti noi chiamati a farlo nelle forme, nei modi e nei tempi che sono stabiliti sempre e soltanto dal legislatore, non dall'Agenzia delle entrate".
(ANSA il 17 Luglio 2023) - Nell'Agenzia delle entrate "Il totale dei dipendenti salirà nel 2025 a circa 37mila unità, al netto dei pensionamenti" ma al momento "se consideriamo che la pianta organica dell'Agenzia è di circa 44 mila unità, la scopertura sfiora il 40%".
Lo dichiara il direttore dell'Agenzia delle entrate, Ernesto Maria Ruffini, intervenendo al convegno "Facciamo l'Italia semplice". "Possiamo - ha spiegato - iniziare a guardare al futuro con la prospettiva di un organico rafforzato, grazie al piano straordinario autorizzato dalla legge di Bilancio che ci consentirà di contare, entro la fine del 2024, su circa 11mila nuove risorse. Di queste 2.303 sono state assunte nel primo semestre 2023 e altri colleghi arriveranno nei prossimi mesi".
(ANSA il 17 Luglio 2023) - "Nel 2022 abbiamo recuperato nel complesso la cifra record di oltre 20 miliardi di evasione. Il più importante risultato di sempre". Lo ha dichiarato il direttore dell'Agenzia delle entrate, Ernesto Maria Ruffini, intervenendo al convegno "Facciamo l'Italia semplice". Attraverso le lettere di compliance, ha spiegato, "abbiamo restituito al bilancio dello Stato 3,2 miliardi di euro", mentre tramite l'attività antifrode "siamo riusciti a intercettare o a bloccare 9,5 miliardi di euro".
Ma quale pace fiscale. L’Agenzia delle Entrate ha perso 13mila funzionari in dieci anni. Linkiesta il 18 Luglio 2023
Il «magazzino della riscossione» vale ancora 1.153 miliardi. Quasi un italiano due è presente con una cifra inferiore ai mille euro, ma rappresentano meno dell’un per cento. In compenso c’è una piccolissima percentuale di contribuenti – l’1,3 per cento – che ha lasciato inevase tasse e imposte per cifre superiori al mezzo milione di euro. Questa voce ha un valore di più di settecento miliardi
Il leader della Lega Matteo Salvini è tornato a cavalcare uno dei suoi cavalli di battaglia, invocando «una grande e definitiva pace fiscale». Gli ha indirettamente risposto a stretto giro il direttore dell’Agenzia delle Entrate, Ernesto Maria Ruffini, che ha ricordato quali sono stati i risultati ottenuti lo scorso anno nella lotta all’evasione: «Nel 2022 abbiamo recuperato nel complesso la cifra record di oltre 20 miliardi di evasione», restituendo «al bilancio dello Stato 3,2 miliardi di euro».
Ernesto Maria Ruffini è stato confermato alla guida dell’Agenzia lo scorso gennaio. Lo nominò Paolo Gentiloni nel 2017, e da allora – come ha raccontato ieri in un discorso pubblico – i funzionari per gli accertamenti fiscali non hanno fatto che diminuire. «Lo scorso 31 dicembre erano 28mila, il 30 per cento in meno di dieci anni fa», ha detto. Il governo ora gli ha promesso di recuperare la gran parte di quelle persone con un piano di assunzioni straordinarie da undicimila unità entro il 2025.
Nel 2012 la macchina fiscale contava 41 mila dipendenti – ricorda La Stampa. In poco più di dieci anni ne ha persi 13 mila. Nel frattempo era stata creata Equitalia, la società dedicata alla riscossione dei tributi, di cui Ruffini era stato nominato amministratore delegato. Quando nel 2017 lo stesso Ruffini viene scelto per guidare l’Agenzia delle entrate, è lui che si occupa di riunificare i due grandi rami dell’amministrazione tributaria. Ma complice anche l’informatizzazione dei processi, la presenza sul territorio non ha fatto però che diradarsi.
Da quest’anno potrebbe esserci l’inversione di tendenza: nei primi sei mesi del 2023 sono state assunte 2.303 persone. Per altre novecento si stanno svolgendo gli esami orali. Il piano impostato dall’Agenzia prevede a breve nuovi concorsi per quattromila funzionari addetti all’attività tributaria, ai quali se ne aggiungeranno altri tremila entro la fine del 2024. L’obiettivo del piano è tornare a 37mila dipendenti entro il 2025.
Ma non è solo un problema di personale. Il più grande problema del fisco italiano – su cui Ruffini chiede da anni l’intervento del legislatore – è il cosiddetto «magazzino della riscossione», dentro quella voce ci sono tutte le tasse che lo Stato non riesce a riscuotere: imposte non pagate da aziende fallite, defunti, nullatenenti.
Dai dati più recenti diffusi in Parlamento dall’Agenzia, emergono dettagli interessanti. A fine anno, il totale di quella voce vale ancora 1.153 miliardi di euro. Circa l’85 per cento è dovuto da persone fisiche, solo il 15 per cento è attribuibile ad aziende. Il dettaglio fin qui rimasto nell’ombra e messo in evidenza da una delle tabelle consegnate ai parlamentari è la distribuzione per fascia di debito: quasi un italiano due – il 47,5 per cento degli italiani – è presente nel magazzino della riscossione con una cifra inferiore ai mille euro. Ma quella voce vale meno dell’un per cento (per la precisione lo 0,9) di quei 1.153 miliardi. In compenso c’è una piccolissima percentuale di contribuenti – l’1,3 per cento – che ha lasciato inevase tasse e imposte per cifre superiori al mezzo milione di euro. Questa voce vale il 69 per cento dell’intero magazzino, ovvero più di settecento miliardi.
E ora si torna a parlare di «condoni». In realtà, tutte le operazioni di «rottamazione» fatte fin qui hanno garantito un gettito nettamente più basso di quello promesso. Le tre avviate fra il 2016 e il 2018 hanno permesso di incassare meno di venti miliardi di euro, una frazione dei 53 promessi e dei quasi cento di mancate entrate.
All’inizio della legislatura, il viceministro Maurizio Leo mise a punto un provvedimento che avrebbe permesso un colpo di spugna su tutti i reati di natura tributaria, civili e penali in cambio del dovuto. Poi, anche in seguito all’intervento del Quirinale, l’ipotesi è stata circoscritta. Dall’arrivo del governo Meloni sono state varate ben dodici sanatorie, seppure diverse fra loro. Si va dall’allargamento di quella voluta da Draghi (alle cartelle del 2015) al salvataggio delle società calcistiche i cui bilanci erano stati appesantiti dalla pandemia. C’è stata anche una sanatoria per il «possesso non dichiarato di criptovalute». L’ultima proposta di Salvini – fin qui generica – è una sanatoria generalizzata su tutte le imposte non versate fino a trentamila euro.
Con l’aumento dei tassi di interesse e il ritorno al Patto di stabilità europeo, però, è sempre più probabile che il governo sia costretto a evitare nuovi condoni e semmai tentare di abbassare la propensione all’evasione attraverso strumenti di semplificazione.
Feltri: «Basta dire balle ai contribuenti». Panorama il 17 Luglio 2023 L
a Rubrica - Come Eravamo Redazione Dalla rubrica "Diciamoci Tutto" di Vittorio Feltri per Panorama del 10 aprile 1997
Vorrei fare un paio di considerazioni sull'evasione fiscale. Duecentomilamiliardi di evasione ogni anno: ma chi lo dice? Accurati studi? Di chi? Se vogliamo "fare i conti" mi piacerebbe vedere delle tabelle di raffronto tra i bilanci di previsione dello Stato (che poi generano le famigerate "Finanziarie") e quelli consuntivi degli ultimi 5 anni: ci scommetto che le entrate sono sempre superiori a quelle preventivate, mentre invece sono le spese che superano di gran lunga quelle preventivate. Se i nostri governanti non sanno "fare i conti" e far conto di ciò che prevedono di incassare, è inutile e stupido che ci dicano che c'è evasione, presentandola come l'unico capro espiatorio di tutti i nostri mali. Seconda considerazione: ammesso che l'evasione ci sia, pur con la nostra pressione fiscale reale da primato, immagino che chi evade spenda ciò che non versa allo Stato in case, auto, barche, ovvero prestando soldi allo Stato o creando lavoro e quindi imposte. Se ne deduce che, se venissero versati anche quei 200 mila miliardi in più, lo Stato incasserebbe meno in imposte di altro genere e dovrebbe pagare più interessi per i Bot. Se invece la pressione fiscale diminuisse (a livello Stati Uniti per esempio), ci sarebbero più risorse per fare investimenti e creare lavoro. Daniela Cosano, Quinto di Treviso Forse l'ho già scritto, ma lo ripeto volentieri: l'ammontare dell'evasione fiscale si calcola sulla base di alcuni indicatori. Ma è sempre una valutazione aleatoria. Meglio non fidarsi. In ogni caso, la lotta contro gli evasori è semplicemente uno slogan che funziona in campagna elettorale. Quando Bertinotti non sa come rispondere a chi gli domanda "come finanziare lo stato sociale che lei pretende di tenere in piedi?" dice che basterebbe recuperare l'evasione. Lo dice, ma non lo fa, lui che sostiene il governo coi suoi voti decisivi. E se non lo fa, si vede che non è facile. D'altronde, se fosse facile non saremmo qui a parlarne. La mia impressione è che sia impossibile estrarre sangue dalle rape. Bisogna dire la verità a chi sgancia. Pagate, altrimenti non abbiamo una lira per gli stipendi dei postini e dei ferrovieri. Pagate, altrimenti questo mese niente pensioni. Così va bene. Anzi, non va bene affatto, ma almeno è onesto. Se invece l' ordine è: sborsate l'eurotassa, occorre per andare in Europa, mentre occorre solo per tappare una falla, allora la protesta dei contribuenti è legittima. Con le bugie non si acquisisce il diritto a entrare nella moneta unica. Si fa soltanto imbufalire la gente.
Non solo i furbetti: tra debiti e rate un italiano su tre vive soffocato dalle cartelle. "Appello eversivo", "Messaggio devastante", "Danno alla democrazia". L'opposizione sparare a zero sulla pace fiscale proposta da Matteo Salvini. Felice Manti il 18 Luglio 2023 su Il Giornale.
«Appello eversivo», «Messaggio devastante», «Danno alla democrazia». L'opposizione sparare a zero sulla pace fiscale proposta da Matteo Salvini, senza spendere neanche una parola a difesa di chi oggi si trova in difficoltà nel pagare tasse, imposte e cartelle esattoriali. Chi invoca la galera per i 19 milioni di italiani inguaiati dalle cartelle confonde volutamente un debito col fisco con il reato di evasione fiscale. Nel magico mondo della sinistra «pagare è bello», nel mondo reale c'è una crisi di liquidità che strangola anche gli imprenditori più onesti, ostaggio di un meccanismo spietato di cui nessuno spiega né la genesi né le storture.
«Combattere l'evasione fiscale non vuol dire perseguitare i contribuenti, ma è un atto di giustizia», è la difesa di Ernesto Maria Ruffini, direttore generale delle Entrate, secondo cui «non c'è alcuna volontà di perseguitare qualcuno». Chiunque abbia avuto una cartella esattoriale sa che non è così. È colpa di «norme complesse, difficili, spesso incomprensibili» come dice il viceministro dell'Economia Maurizio Leo, sbugiardando Ruffini.
Ma il problema è un altro: come siamo arrivati ad avere cartelle per 1.153 miliardi di cartelle, al 95% inesigibili quindi carta straccia? Perché un italiano su tre ha un problema con il fisco? «Non ce l'hanno fatta a pagare tutto, dovrebbero essere aiutati, non condannati», spiega Salvini. Pensare che chi contrae un debito con fisco è un furbetto è da folli. Perché quando il fisco agisce, il contribuente - noto al fisco, non evasore - perde la capacità creditizia con chiunque. Perde la possibilità di avere fidi, finanziamenti, mutui. E può finire nelle mani dei cravattari o della 'ndrangheta, a caccia di attività da utilizzare come lavatrici, come è successo a molti durante il Covid.
Il debito contratto con il fisco può arrivare per ragioni diverse: una fattura insoluta, un lavoro perso, l'azienda che fallisce. Quando il debito diventa una cartella la cifra è quasi raddoppiata. Se si rateizza arriva a due volte e mezzo. Ci sono gli interessi, l'aggio, le sanzioni. A volte vengono contestate le spese postali anche se la cartella viene notificata via Pec. Ma il reddito è sempre lo stesso, anzi viene mangiato da inflazione e aumento del costo del denaro. Dunque, il contribuente per pagare le cartelle deve per forza non pagare altre spese, o fare altri debiti fiscali, infilandosi così in una spirale senza fine, di cui non parla mai nessuno.
E quando il debito diventa troppo alto, il contribuente chiede una rateizzazione lunga, fino a 120 mesi. Ma questa facoltà viene concessa solo con Isee sotto una certa soglia, che però non tiene conto dei finanziamenti. Chi è disperato perché la rata è incompatibile con il proprio reddito chiede l'adesione alla legge 3 del 2012 sul sovraindebitamento, con sentenze che hanno portato anche alla cancellazione del 95% delle cifre richieste dal fisco, come tante volte ha documentato il Giornale. Ma è una facoltà che varia da tribunale a tribunale, tanto che se l'avvocato non è all'altezza la legge viene disapplicata. Spesso la privacy di chi aderisce finisce sui giornali perché i tribunali non vanno troppo per il sottile (e il Garante ogni tanto si distrae), la reputazione dell'azienda o del contribuente viene devastata e di conseguenza in molti preferiscono altre strade.
Poi c'è la rottamazione. Siamo alla quarta, ma la lezione è rimasta inascoltata. Delle 19 milioni di cartelle, circa quattro potrebbero venire cancellate. Ma torneranno non appena non verranno pagate. Basterebbe fare mini rate e periodi più lunghi, come da tempo chiede la presidente dell'Ordine dei commercialisti di Milano Marcella Caradonna. Il gettito sarebbe certo, anche se diluito nel tempo. Quando invece si fa in tempi così brevi (la Quater finita a giugno si pagherà già a ottobre, con maxirate del 20% pena la cancellazione) si costringe il contribuente ad accumulare nuovi ruoli. Se poi si salta una rata, tutto torna come prima. I soldi eventualmente versati vengono solo considerati un anticipo e il debito torna integrale e sanzionato. E chi non paga si sente dannato e beffato. Ecco perché serve la pace fiscale.
Fisco? Solo gli amici della sinistra possono evadere. Gianluigi Paragone su Libero Quotidiano il 18 luglio 2023
Cominciamo col dire che non ci sarà mai un punto di caduta o di accordo: per la sinistra chi non paga le tasse è di per sé un evasore, un reietto, un farabutto, a meno che si tratti di una multinazionale o uno di quegli imprenditori del club progressista che può spostare le sedi fiscali nei paesi dell’eurozona tipo Lussemburgo e Irlanda e poi fare pure il predicozzo ai cumenda in difficoltà ma che restano in Italia coi loro capannoni.
Quindi è persino inutile leggere i commenti di chi ha già liquidato la pace fiscale di Salvini come l’ennesimo condono o salvafurbetti e via dicendo. In Italia abbiamo un grande problema legato agli incagli fiscali, dovuti per lo più alle fatiche e agli affanni degli anni pregressi, incagli che si sommano ai rincari in corso, alle richieste delle banche e magari anche a clienti che non pagano. La fortunata rottamazione non ha risolto il problema. Il vicepremier ha ragione da vendere quando individua in Agenzia delle Entrate una macchina dove ormai non si capisce più nulla, perché al di là delle belle dichiarazioni gli uffici non riescono ad andare oltre la burocrazia con il suo gran carico di incertezze e oltre agli interessi del dipendente che ovviamente non si fa scrupoli a raggiungere l’obiettivo di recupero che gli hanno fissato come target.
CARTELLE AI MORTI
Ecco, in un periodo come quello che stiamo vivendo, imprenditori, professionisti e famiglie non riescono a venirne a capo. Conosco situazioni dove si mandano cartelle esattoriali intestate ai morti, in cui si lamenta il mancato pagamento e scattano pure le more. «Lei ha ragione, ma...», ti dicono agli sport e l l i quando li riesci a raggiungere. C’è sempre quel maledetto “ m a ” che si trasforma in un incubo perché non sai mai quale diavolo di avviso ti piomberà sul capo. Ci sono casi - tanti - dove si parla pure di ingiunzioni accompagnate da provvedimenti che interessano i capannoni, i macchinari se non addirittura le abitazioni. Ora, mi domando, come si può affrontare la programmazione del futuro immediato con tali affanni. E allora ti affidi agli avvocati. E arriviamo così al capitolo giustizia, dove il bubbone non intacca il concorso esterno in associazione mafiosa (questione dove anche lì non mancano le testimonianze dirette di persone accusate e bollate con questa infamia salvo poi uscirne, dopo anni di processo, completamente prosciolti ma con la vita spaccata e il conto in banca prosciugato dalle spese legali) quanto un disservizio profondo, di cui la magistratura non si rende nemmeno più conto.
COMPLICAZIONI FISCALI
La pace fiscale proposta da Salvini è la sola via d’uscita possibile, drastica ma l’unica possibile se si vuole in un colpo solo dare maggiore liquidità alle imprese e sollevarle dagli affanni. Qui, non siamo in presenza di evasori o furbi della peggior risma: chi vuole evadere non si è mai fatto prendere dai radar del fisco o ha scelto, avendone le possibilità, soluzioni di elusioni legali attraverso scatole societarie magiche. Qui siamo in presenza di gente che per la somma di complicazioni fiscali burocratiche e di difficoltà oggettive non può più pagare e si trascinerà le sofferenze più avanti possibile. Questa situazione va bonificata. L’idea di Salvini è il tasto reset che dobbiamo azionare per tenere in vita non aziende decotte ma aziende di per sé sane in affanno. Ha ragione, è così e basterebbe mettere il naso nei capannoni dell’Italia che produce per rendersi conto quanto lo Stato finisca con l’appiattirsi con una architettura disallineata alla vita reale delle imprese. Agenzia delle Entrate non fa abbastanza per capire l’esigenza del mondo reale, un po’ per forma mentis un po’ perché ormai tutto è inserito nei data base e quindi i dipendenti non osano - pur conoscendo le ragioni del contribuente in difficoltà- scomporre i file al fine di non finire nei guai. Così nei guai ci finisce l’imprenditore, cui non resta che arrendersi e affidare a quello stesso Stato lo strascico della chiusura. Con tutto quel che segue quando si chiude un’attività; ma questa è un’altra anomalia italiana. Salvini e il governo vadano avanti, questo reset è imprescindibile.
Meloni? Se la bufala delle "tasse pizzo di Stato" a furia di ripeterla diventa realtà. Alberto Busacca su Libero Quotidiano il 23 giugno 2023
«Ripetete una bugia mille volte e diventerà una verità». La frase è attribuita a Joseph Goebbels, ministro della Propaganda di Hitler. In realtà pare che non l’abbia mai detto, ma ormai per tutti sono parole sue, a conferma che in effetti il giochino funziona proprio così... «Ripetete una bugia mille volte e diventerà una verità». Non è sempre malafede o disinformazione studiata a tavolino. A volte è semplicemente pigrizia, approssimazione. Se lo dicono tutti sarà così... e invece a volte no, non è così proprio per niente... «Ripetete una bugia mille volte e diventerà una verità». Volete un esempio preso dalla cronaca di questi giorni? Eccolo qui: «La Meloni ha detto che le tasse sono un pizzo di Stato».
Ieri Repubblica ha aperto il giornale con un titolo dedicato proprio a questa polemica: «Il Colle contro gli evasori». Catenaccio: «Dopo le dichiarazioni della premier sul “pizzo di Stato”, le parole di Mattarella: “le tasse dovere costituzionale”». Secondo Repubblica, in pratica, abbiamo un premier che ritiene che le imposte siano un’estorsione, e il Quirinale è dovuto intervenire per spiegare che le cose non stanno così... Passiamo al Fatto quotidiano, dove il direttore, Marco Travaglio, ha scritto che il ministro della Giustizia, Carlo Nordio, ha lodato «gli “onesti imprenditori” che non pagano le tasse (definite “pizzo di Stato” dalla premier)». Infine, sempre ieri, ha detto la sua anche Antonio Decaro, sindaco di Bari e presidente dell’Anci: la definizione delle tasse come pizzo di Stato «è inadeguata, le tasse servono a offrire servizi ai cittadini». Insomma, la Meloni sbaglia. Tanto che anche qualche sostenitore del centrodestra ammette: certo che Giorgia quella frase sulle tasse pizzo di Stato poteva evitarla... già... peccato solo che in realtà non l’abbia mai detta...
Estratto da repubblica.it il 19 Giugno 2023.
"La nostra legislazione tributaria è piena di ossimori, se un imprenditore onesto decidesse di assoldare un esercito di commercialisti per pagare fino all'ultimo centesimo di imposte non ci riuscirebbe perché comunque qualche violazione verrebbe trovata, le norme si contraddicono". A parlare è il ministro della Guistizia Carlo Nordio.
Il tema è quello della legislazione tributaria che - secondo il Guardasigilli - "è schizofrenica e piena di ossimori"; per questo - aggiunge - bisogna puntare alla "semplificazione normativa" e "a una giustizia conciliativa, quella preventiva, dove c'è un accordo tra il cittadino e lo Stato creditore sull'imposta da pagare".
Il ministro parla da Milano, dove è in corso il convegno 'Il sistema sanzionatorio nella riforma tributaria' organizzato dalla vice presidente della Luiss Paola Severino. Presenti anche il vice ministro dell'Economia, Maurizio Leo, e il Procuratore capo di Milano, Marcello Viola.
(...)
Parlando di corruzione il ministro ha detto che si tratta di un sistema che "si annida nella incertezza della normativa, nella incertezza delle competenze e nella complessità della procedure".
(...)
Carlo Nordio: "Tasse? impossibile anche per un imprenditore onesto". Libero Quotidiano il 19 giugno 2023
Carlo Nordio, intervenendo al convegno "Il sistema sanzionatorio nella riforma tributaria" organizzato al Milano Luiss Hub, torna su uno dei problemi tutto italiano: le tasse. "La nostra legislazione tributaria è piena di ossimori - premette il ministro della Giustizia - se un imprenditore onesto decidesse di assoldare un esercito di commercialisti per pagare fino all'ultimo centesimo di imposte non ci riuscirebbe perché comunque qualche violazione verrebbe trovata, le norme si contraddicono".
E lo dimostra il Guardasigilli proprio con un esempio: "Sono stato in magistratura fino al 2017 e non ho mai visto un evasore in manette. Il che significa che o qualcosa non ha funzionato o si parte da un principio sbagliato". Per l'esponente di Fratelli d'Italia, dunque, la legge penale ha "un effetto dissuasivo repressivo". Tuttavia "il criminale quando decide di delinquere non va a spulciare il codice penale per vedere la pena, pensa sempre di farla franca" fa presente concludendo che "tutto questo ha provocato però una serie di processi penali assolutamente inutili, dannosi per tutti".
Parole che subito trovano sostegno nel Terzo Polo. "Le anticipazioni della riforma sulla giustizia proposta dal ministro Nordio - non attende a dire Ettore Rosato - sono per noi condivisibili: se non verranno snaturate, ci sono tutti i presupposti per un nostro voto favorevole". E ancora: "I vari punti del nostro programma elettorale e le richieste avanzate durante l'elaborazione della riforma si ritrovano tutte nei testi anticipati dal ministro Nordio. È evidente che una condivisione dei contenuti non può portare che a una condivisione del voto. Non è che perché la proposta arriva da un governo di centro-destra, noi non siamo più d'accordo. Il ruolo dell'opposizione in Parlamento è quello di trovare sinergie, non di scontrarsi a prescindere. È lì perché il governo faccia cose utili. Capita spesso che maggioranza e opposizione votino insieme. Non dovrebbe essere un'eccezione ma un modo per costruire insieme risposte adeguate". Capito Pd?
Caro Sansonetti, non sono i dipendenti le vere vittime del Fisco. Il direttore de L’Unità se la prende con la frase della premier a Catania sul “pizzo di Stato”. Claudio Romiti su Nicolaporro.it il 2 Giugno 2023.
Nel corso di Quarta Repubblica, ho assistito ad un dibattito molto interessante sulla infinita questione dell’evasione fiscale. Un dibattito che ha preso spunto dalle parole espresse in quel di Catania dalla premier Meloni, la quale ha definito “pizzo di Stato” un certo qual accanimento del fisco nei confronti dei piccoli commercianti, includendo implicitamente il vasto mondo del lavoro autonomo.
A questa eretica e coraggiosa presa di posizione, che andrebbe contestualizzata nell’ambito della campagna elettorale per le comunali catanesi, ha ribattuto con veemenza Piero Sansonetti, sostenendo un argomento che, soprattutto a sinistra, da decenni viene utilizzato come una clava. Secondo il direttore de l’Unità, “di fronte ad un Paese in cui le tasse vengono pagate all’87% dai lavoratori dipendenti, che il presidente del Consiglio dica che se un lavoratore autonomo che evade non è grave, perché quello è un pizzo di Stato, è una cosa inaudita.”
Ora, personalmente ho trovato normale che un uomo di sinistra tutto d’un pezzo come il bravo Sansonetti quasi saltasse dalla sedia, ascoltando la demolizione del dogma secondo cui le imposte sarebbero sempre eque operato dall’attuale capo del governo. Tuttavia, ciò che mi sento di contestare in radice, al di là dell’esattezza o meno della cifra sottolineata dal giornalista, è l’uso assai distorto che da decenni si fa di tale questione, ovvero della presunta sperequazione tributaria che esisterebbe tra lavoratori autonomi e lavoratori dipendenti, a totale detrimento di questi ultimi.
In estrema sintesi, questo trito paragone tra categorie di produttori di reddito non considera le evidenti diversità che caratterizza chi rischia in proprio, sottoposto com’è ad una serie di angoscianti problematiche – tra cui proprio quella fiscale, a cui è strettamente connessa una montagna di inutili e spesso vessatori obblighi burocratici (i famosi lacci e laccioli) – che non gravano sul dipendente. In tal senso voler raffrontare queste due fondamentali categorie economiche equivale alla assurda pretesa di sommare le pere con le mele.
Quanto poi a chi paga realmente più tasse tra costoro, ritengo che la questione sia ancora una volta mal posta. In realtà, a mio avviso, l’eclatante disparità richiamata da Sansonetti si basa da sempre su una attribuzione puramente nominale del carico tributario. Nei fatti sul piano delle singole imprese sono le aziende medesime nel loro complesso – intendendo con ciò datori di lavoro, salariati e collaboratori – che debbono produrre sufficienti risorse per coprire tutti i costi, tasse dei dipendenti comprese. Mentre sul piano sistemico più generale chi paga realmente le tasse, generando le risorse necessarie a sostenere una spesa pubblica colossale, è solo ed esclusivamente la struttura economica privata, composta per l’appunto dalle piccole e grandi imprese, dai relativi dipendenti e dagli odiati bottegai, evasori fiscali per definizione.
Il mio compianto amico Luigi De Marchi, che conobbi quando entrambi collaboravamo con L’Indipendente di Vittorio Feltri e di Pialuisa Bianco (che per la cronaca è stata la prima donna nel dopoguerra ad assumere la direzione di un giornale, guarda caso non di sinistra), sosteneva che la contrapposizione tra imprenditori, dipendenti e autonomi fosse tanto strumentale quanto fittizia. A suo parere il vero contrasto sul piano economico generale, includendo la complessa questione fiscale, semmai esistesse, andrebbe individuato tra produttori privati di reddito nel loro complesso e tutti coloro i quali, a qualunque titolo, vivono ed operano sotto l’ombrello dello Stato. Ancora oggi, dopo circa trent’anni, mi sento di sottoscrivere questa acuta osservazione. Claudio Romiti, 2 giugno 2023
Il governo approva con decreto d’urgenza lo scudo penale per gli evasori. Salvatore Toscano su L'Indipendente il 29 Marzo 2023
Dopo il mancato blitz nella legge di bilancio, causa levata di scudi delle opposizioni, il governo Meloni è ritornato alla carica usando la decretazione d’urgenza per approvare lo scudo penale a favore degli evasori che decidono di pagare il dovuto una volta scoperti. “Si prevedono cause speciali di non punibilità di alcuni reati tributari (omesso versamento di ritenute dovute o certificate per importo superiore a 150.000 euro per annualità, omesso versamento di IVA di importo superiore a 250.000 euro per annualità, indebita compensazione di crediti non spettanti superiore a 50.000 euro)”, si legge nel comunicato di Palazzo Chigi. Somme che vanno ben oltre la cosiddetta evasione di necessità, andando a coprire legalmente di fatto evasori seriali e non in crisi e rendendo presumibilmente più conveniente provare a non pagare le tasse piuttosto che farlo regolarmente. Una questione a cui si aggiungono anche dubbi di legittimità procedurale dovuti all’inserimento di misure su energia, salute e fisco in un unico decreto-legge.
Il governo Meloni ha strizzato l’occhio al suo elettorato mantenendo la promessa sull’alleggerimento in materia di fisco. Lo ha fatto con un blitz in tarda serata, visto che lo scudo penale a favore degli evasori non era presente nelle bozze uscite qualche ora prima dal pre-Consiglio. Sempre in materia fiscale, il governo Meloni ha deciso di prolungare i termini dei condoni previsti dalla legge di bilancio. È slittata così dal 31 marzo al 31 ottobre 2023 la scadenza di pagamento della prima rata per regolarizzare le violazioni di natura formale commesse fino al 31 ottobre 2022. Nel decreto-calderone è stato poi inserito, con buona pace della coerenza e della progettualità delle leggi, anche il nuovo Codice degli Appalti: una sorta di ultimo treno agguantato in extremis dalla maggioranza che doveva approvare la norma, nel quadro delle riforme “abilitanti” previste dal PNRR, entro il 30 marzo. Spazio poi al divieto di produzione e commercializzazione di alimenti e mangimi sintetici, fortemente voluto dal ministro Francesco Lollobrigida. Dal dicastero della Salute è invece arrivata la spinta per rendere più severe le pene relative alle aggressioni al personale sanitario e aumentare la paga agli specializzandi volontari in Pronto Soccorso a 40 euro l’ora (fino a un massimo di 100€/h). Chiudono il provvedimento alcune misure contro il caro vita, come l’IVA al 5% per il gas nel prossimo trimestre o lo sconto sulle bollette energetiche per i nuclei familiari con ISEE fino a 15mila euro.
Lo scudo penale inserito a sorpresa nell’ultimo decreto-legge rappresenta una sorta di estensione del disegno di legge di delega al governo per la riforma fiscale, approvato lo scorso 16 marzo dal Consiglio dei Ministri. Tale continuità ha sollevato non pochi dubbi sulla legittimità del ricorso al decreto-legge (che risponde alle clausole di necessità e di urgenza) da parte del governo Meloni, non nuovo ad ambiguità istituzionali. Ad ogni modo, dopo il via libera da parte del Parlamento, l’esecutivo avrà 24 mesi di tempo per emanare uno o più decreti legislativi “di organica e complessiva revisione del sistema fiscale”. È prevista la revisione dell’IRPEF, “in modo da attuare gradualmente l’obiettivo della equità orizzontale” (leggasi flat tax), nonché una diminuzione dell’IRES secondo lo slogan “più assumi, meno paghi”. Si aggiunge poi la possibilità dell’evasione per necessità, uno dei cavalli di battaglia del governo su cui si è già infiammato il dibattito giuridico. Da un lato quello che si va ad intercettare è una esigenza reale per cittadini e imprenditori alle prese con la crisi, dall’altro non sarà facile separare i casi legati al dolo da quelli legati invece alla necessità, un concetto con ampia portata discrezionale. [di Salvatore Toscano]
“Macché italiani evasori, così le tasse uccidono le imprese”. Giovanni Vasso su L'identità il 5 Maggio 2023
“Oggi, un italiano spende quello che guadagna in tasse. Così non si vive”. L’avvocato tributarista Mariateresa Arcadi, vicepresidente della Rete nazionale forense, invita a riflettere prima di puntare il dito: “Dove c’è una cartella non vuol dire che ci sia un evasore fiscale. Oggi le imprese sono in difficoltà, si chiude anche per colpa del Fisco”.
Il premier Giorgia Meloni ha detto che il Fisco deve tornare amico dei cittadini. Oggi com’è il rapporto tra l’Erario e gli italiani?
Il governo ha iniziato con il piede giusto. A suo tempo, l’esecutivo Meloni ha avviato, dal nostro punto di vista, una pace fiscale delle migliori. Una manovra agevolata che, oltre al discorso della rottamazione per le mini-cartelle sotto i mille euro, ha previsto altre misure molto interessanti per il contribuente che ha intenzione di mettersi in regola. Specialmente per quanto riguarda la possibilità di non dover pagare anche sanzioni e interessi sugli importi accertati.
Che riscontro avete avuto con questa normativa?
Abbiamo avuto un ottimo riscontro. La scadenza per le rottamazioni, originariamente prevista per il 30 aprile, è stata prorogata fino al 30 giugno prossimo. Gli ultimi ritardatari possono ancora oggi mettersi in pista. È importante sottolineare che va valutato, comunque, il piano informativo di ogni contribuente. é fondamentale farsi consigliare da un professionista, Posso dire con sicurezza che questa pace fiscale è voluta dal governo Meloni è sicuramente tra le migliori che siano mai state avviate.
Il dibattito politico, quando di mezzo c’è il Fisco, si tira sempre in ballo l’evasione fiscale…
Io non penso che dove c’è una cartella ci sia un evasore fiscale. Assolutamente. Credo, invece, che molti imprenditori siano in grosse difficoltà. E che ciò dipenda dal fatto che, come purtroppo sappiamo benissimo, fare impresa in Italia costa, solo di tasse, ben oltre il 50% di quanto si ricava. Qualcuno ipotizza il 59%, io temo che la pressione fiscale che grava sulle imprese sia ancora più pesante. Il problema è legato alla tassazione. Ma non basta. Perché l’esperienza ci insegna che anche l’Agenzia delle Entrate può sbagliare, eccome. E infatti molti accertamenti vengono impugnati e ridimensionati. È capitato, e non poche volte, che si sia riusciti ad eliminare addirittura del tutto gli accertamenti recapitati.
Per il governo è necessario riportare serenità nel confronto tra i cittadini e l’Erario. Come si può fare?
È necessaria una pace fiscale, ampia, che agevoli il contribuente che va messo in condizione di poter pagare i debiti che ha. La questione è più complessa di come appaia. Prendiamo il Covid, che è costata la chiusura a tante aziende. Il Fisco, però, non ha aiutato molti di quegli imprenditori a restare in piedi. La conseguenza delle chiusure è una sola: si perdono posti di lavoro. In Calabria, per fare un esempio, il tasso di chi non lavora è del 40%. Le imprese hanno difficoltà, oggi, ad assumere. Anche perché ogni dipendente diventa una “tassa” in più da pagare, basti pensare ai contributi. Reputo, pertanto, che sia necessario che il governo immagini aiuti alle imprese che agiscano, magari, anche in chiave preventiva: per evitare che le aziende si ritrovino, poi, a dover affrontare problemi legati al Fisco. Ma c’è di più…
Prego…
Io mi farei qualche domanda prima di parlare, con tanta semplicità, di evasione. Bisognerebbe farsi un po’ di domande. Chiedersi perché c’è chi non riesce a pagare le tasse. Veniamo da un periodo durissimo. La crisi energetica ha pesato, e molto, sulle aziende. Qualcuno, nonostante i divieti messi nero su bianco dai decreti del governo, non si è attenuto alle regole e ha cambiato, nonostante le leggi dicessero il contrario, le cosiddette condizioni unilaterali dei contratti di fornitura. Con il risultato che famiglie e aziende si sono ritrovate a dover pagare bollette salatissime. E, dopo di queste, a dover saldare le imposte. Oggi, quello che un italiano guadagna lo spende in tasse. Non si vive più così…
La digitalizzazione potrà aiutare?
Bisogna prima immaginare un intervento su Irpef e Ires, per esempio. Per la digitalizzazione, sì: credo che possa rappresentare un cambiamento e che possa aiutare le amministrazioni pubbliche. Può diventare un vantaggio.
Flat tax: quanto risparmia l’autonomo sul dipendente? Come cambia il reddito finale. Milena Gabanelli e Simona Ravizza su Il Corriere della Sera il 27 Febbraio 2023.
La flat tax, ovvero la tassa piatta al 15%, viene introdotta dalla legge di Bilancio 2015 del governo Renzi (articolo 1, comma 64) per lavoratori autonomi con ricavi fino a 25 mila euro, e fino a 50 mila per chi, ad esempio, fornisce servizi di alloggio o ristorazione. Con la legge di Bilancio 2019 il Conte I estende il regime forfettario di flat tax fino a 65 mila euro di ricavi (articolo 1, comma 9): al 2020 la platea di beneficiari arriva a 1 milione e 721 mila, con un reddito medio stimato intorno ai 21 mila euro.
(…) una volta a regime, l’estensione del forfettario tra 65 e 85 mila euro produrrà minori entrate per 404 milioni l’anno.
L’ultimo dato aggiornato al 2022 lo fornisce Massimo Bitonci (Lega), sottosegretario al Ministero delle imprese e del Made in Italy: «Il regime forfettario per gli autonomi attrae ben 2,1 milioni di partite Iva». Con la legge di Bilancio 2023 del governo Meloni (art. 1 comma 54) la misura viene alzata fino agli 85 mila euro di ricavi: potenzialmente interessati almeno 170 mila contribuenti (vedi il documento dell’Ufficio parlamentare di Bilancio, pag. 52).
Come funziona il meccanismo
Punto uno: la flat tax conviene a chi ha spese basse, perché i costi si detraggono in via forfettaria in base al tipo di attività (il cosiddetto «coefficiente di redditività» previsto per il codice Ateco). Non sono quindi possibili detrazioni Irpef per figli, spese mediche, contributi previdenziali facoltativi, eccetera.
Punto due: sul reddito imponibile non si pagano le addizionali regionali e comunali, che variano da Regione a Regione e da Comune a Comune. Per chi vive a Roma l’aliquota dell’addizionale regionale è pari all’1,73% fino a 15 mila euro di reddito e al 3,33% sull’eccedenza; mentre l’addizionale comunale è lo 0,9%. Per chi vive a Milano l’addizionale regionale è dell’1,23% fino a 15 mila euro, dell’1,58% tra i 15 e i 28 mila euro e dell’1,72% sull’eccedenza; mentre l’addizionale comunale è dello 0,8% per tutti i livelli di reddito.
Punto tre: le fatture vengono emesse senza Iva e, di conseguenza, non si scarica.
Punto quattro: con l’adesione al regime forfettario anche l’aliquota contributiva è applicata al reddito determinato forfettariamente.
Punto cinque: il contribuente che supera la soglia degli 85 mila euro di ricavi o compensi (ma non i 100 mila) può rimanere nel regime forfettario per l’anno in corso. Uscirà a partire dall’anno successivo.
Autonomi e dipendenti
Combinate queste varianti ogni partita Iva fa i propri calcoli per sapere se le conviene o meno la tassa piatta. La stima è che, una volta a regime, l’estensione del forfettario tra 65 e 85 mila euro produrrà minori entrate per 404 milioni l’anno (vedi documento Ufficio parlamentare di Bilancio, pag. 50). Intanto monta la rabbia dei dipendenti che invece le tasse le pagano per intero. Ma qual è la reale differenza di trattamento fiscale tra un autonomo che aderisce alla flat tax e un dipendente? Partiamo dallo stesso importo per entrambi. Per il lavoratore autonomo occorre considerare i ricavi meno le spese stabilite forfettariamente dal ministero sulla base del codice Ateco; per il dipendente invece si parte dal suo costo azienda, dal momento che i contributi versati dal datore di lavoro fanno parte della retribuzione lorda (il lavoratore acconsente a un salario più basso perché l’azienda versa una parte dei contributi). Ecco cosa risulta dai calcoli fatti per Dataroom da Massimo Bordignon e Davide Cipullo dell’Osservatorio sui Conti Pubblici Italiani (Ocpi) dell’Università Cattolica di Milano.
Esempio 1: l’idraulico
L’idraulico con partiva Iva e ricavi per 65 mila euro che decide di aderire alla flat tax si mette in tasca 35.052 euro, e tra contributi e tasse ne paga 20.848 (37,3%). I passaggi sono quelli che seguono (e sono schematizzati nei grafici su Corriere.it). Dai 65 mila euro vengono tolti i costi forfettari previsti per la sua categoria che ammontano al 14% (9.100 euro), e arriviamo a 55.900. Poi si sottrae il 26,23% di contributi previdenziali previsti dalla gestione separata Inps (14.663 euro), per arrivare al reddito imponibile di 41.237 euro su cui si applica la flat tax del 15% (6.186 euro).
Guardate cosa succede, invece, se l’idraulico è un dipendente: il reddito netto è di 27.710 euro, e tra contributi e tasse ne paga 28.190 (50,4%). Partiamo dal costo all’azienda di 55.900 euro. L’impresa paga il 23,81% di contributi previdenziali IVS (invalidità, vecchiaia, superstiti) e il 7,77% per malattia, disoccupazione, ecc., pari a 13.416 (per le complicazioni del Fisco la percentuale è calcolata con una formula matematica sull’imponibile previdenziale). Fatta la sottrazione sono 42.484 euro, che è l’imponibile previdenziale su cui il lavoratore versa un’aliquota del 9,19% per i contributi IVS a suo carico, e un’aliquota dello 0,30% per cassa integrazione, cioè 4.031 euro. Il reddito imponibile per fini fiscali è di 38.452 euro: con un’aliquota media effettiva del 24,33%, l’Irpef dovuta è di 9.355 euro. Bisogna poi aggiungere le imposte regionali e comunali: 1.387 euro se il dipendente è residente a Roma. Alla fine, a parità di guadagno il dipendente paga tra contributi e tasse 7.342 euro in più rispetto alla partita Iva in regime forfettario.
Esempio 2: il consulente informatico
Un consulente informatico con 85 mila euro di ricavi si mette in tasca 35.710 euro, e tra contributi e tasse ne paga 21.240 (37,3%). Per la sua categoria i costi forfettari detraibili sono particolarmente elevati, il 33%, cioè 28.050 euro. L’imponibile previdenziale, dunque, è di 56.950 su cui bisogna togliere il 26,23% di contributi previdenziali (14.938 euro). Sul reddito imponibile di 42.012 euro si applica la flat tax del 15% che è pari a 6.302 euro.
Un consulente informatico assunto, invece, che costa all’azienda 56.950 ha un reddito netto di 28.436 e paga per contributi e tasse 28.514 euro (50,1%). I calcoli sono gli stessi dell’idraulico dipendente, con la differenza che il contributo previdenziale a carico dell’azienda per malattia e disoccupazione è un po’ più basso (5,5%), e la sua aliquota media effettiva è del 25,01% (pari a 9.965). Alla fine, il consulente informatico assunto paga tra contributi e tasse 7.274 euro in più rispetto alla partita Iva.
Dove pende la bilancia
A conti fatti il lavoratore autonomo paga meno tasse, ma non ha le tutele del lavoratore dipendente (ferie, malattia, disoccupazione), però non ha nemmeno versato i contributi relativi. In più ha tutta l’incertezza legata all’andamento del lavoro. Sono differenze innegabili, ma il meccanismo veicola anche altre iniquità e distorsioni. Nel caso in cui un lavoratore abbia un reddito da lavoro dipendente sopra i 30 mila euro e una partita Iva, ai ricavi di quest’ultima non può essere applicata la flat tax. Secondo i calcoli dell’Ufficio parlamentare di bilancio (organo indipendente) tre contribuenti su 4 (77%) che aderiranno all’estensione della flat tax fino a 85 mila euro appartengono al 10% di contribuenti con reddito da lavoro più elevato (vedi il documento Upb, pag. 63). Non solo, in via generale e rispetto al regime ordinario, più crescono i ricavi e maggiore è il risparmio: oltre i 50 mila euro di ricavi è di 4.000, oltre i 60 mila di 6.000, oltre i 70 mila di 8.000, oltre gli 80 mila di 9.000 (vedi il documento fig. 1). Non applicando l’Iva e non scaricandola, chi aderisce alla flat tax non ha interesse a richiedere la fattura sugli acquisti. Per stare dentro alla soglia degli 85 mila euro non c’è l’incentivo a crescere, e per non sforare c’è l’incentivo a fare un po’ di nero. Già ora i lavoratori autonomi non dichiarano al fisco il 69% dei redditi, pari a 32 miliardi di euro nel 2019 (qui il documento).
E infine quando si va in pensione un lavoratore autonomo su 4 non ha versato abbastanza per incassare il minimo, cioè 571 euro mensili. Quel che manca ce lo sta mettendo lo Stato: 2,6 miliardi l’anno.
I più ricchi sono sempre più abili ad evadere le tasse. Gioele Falsini su L'Indipendente domenica 26 novembre 2023.
Primo: le disuguaglianze economiche all’interno dei Paesi parte del sistema neoliberista non sono causate da un’inevitabile legge naturale, ma sono chiara espressione di una volontà politica. Secondo: mentre sui media dominanti si parla di artigiani, piccoli imprenditori e tassisti come degli evasori sistematici che danneggiano il sistema Paese, la realtà ci racconta come il problema stia decisamente più in alto, in quella fascia numericamente esigua di ricchi e grandi aziende multinazionali che detengono ormai gran parte della ricchezza. Sono due verità chiave sancite dal primo Global Tax Evasion Report, uno degli studi più aggiornati, completi e innovativi sull’evasione fiscale globale, pubblicato dall’UE Tax Observatory e presentato a Roma. Secondo il fondatore dell’Osservatorio, Gabriel Zucman, «se osserviamo i dati, vediamo che l’evasione fiscale è uno sport praticato principalmente dai ricchi e dalle grandi multinazionali. Questo aggrava le disuguaglianze e mina la democrazia».
Secondo lo studio, le multinazionali e i miliardari, avendo la capacità economica, strategica e informativa, riescono a spostare i loro patrimoni in conti offshore o in holding finanziarie, creati spesso nei paradisi fiscali, per poter così eludere le tassazioni attraverso pratiche che si trovano ai limiti della legalità.
Come infatti spiega Annette Alstadsater, coordinatrice del gruppo di ricerca, la creazione di varie holding permette a questi gruppi finanziari di risultare direttamente proprietari delle azioni al posto dei singoli individui, sostanzialmente schermando e nascondendo i reali proprietari ed i loro patrimoni. Così facendo il profitto generato non è direttamente riconducibile a una persona e quindi non viene tassato.
Su scala globale, lo stock di ricchezza finanziaria offshore è cresciuto in termini nominali e reali negli ultimi vent’anni, raggiungendo nel 2022 una cifra pari a 12.000 miliardi di dollari (il 12% del PIL planetario), ed il 27% di tale ammontare evade oggi la tassazione, una percentuale comunque 3 volte più bassa rispetto a 10 anni fa.
Ma nonostante l’evasione fiscale tramite conti offshore sia diminuita negli ultimi dieci anni grazie soprattutto al Common Reporting Standard del 2017, che impone lo scambio di informazioni finanziarie tra banche e autorità di controllo, i ricercatori mettono in guardia riguardo nuove frontiere dell’evasione che si realizzano soprattutto attraverso gli investimenti immobiliari. I beni reali, infatti, non sono soggetti all’obbligo sullo scambio di informazioni come avviene, invece, dal 2017, per i beni finanziari. Pertanto, il denaro che un tempo era presente nei conti offshore viene oggi investito in immobili tramite strutture segrete, come società di comodo e trust. “Si pensi alle proprietà a Dubai come ai nuovi conti bancari svizzeri”, dicono gli studiosi nel rapporto. Il problema principale è che della maggior parte di questi casi non si riesce a risalire al vero proprietario.
Tuttavia, secondo i ricercatori, anche l’evasione fiscale offshore continua e permanere perché è ancora “possibile detenere attività finanziarie che sfuggono agli obblighi dichiarativi, sia a causa della mancata conformità da parte delle istituzioni finanziarie offshore, sia a causa delle limitazioni nella concezione del sistema di scambio automatico di informazioni bancarie”. In pratica, recenti ricerche hanno messo in evidenza come alcuni individui, che erano soliti nascondere attività finanziarie in banche offshore, abbiano sfruttato delle scappatoie spostando le loro attività su asset non coperti dallo scambio automatico di informazioni, in particolare immobili.
Un altro dato rilevante che emerge dalla ricerca è che rimane ancora molto alto l’ammontare di profitto che viene spostato dalle multinazionali nei paradisi fiscali: la stima è di 1.000 miliardi di dollari per il 2022. Si tratta dell’equivalente del 35% di tutti gli utili contabilizzati dalle multinazionali al di fuori del Paese in cui hanno sede. Secondo il rapporto, nonostante negli ultimi anni siano state adottate delle misure per cercare di arginare questo fenomeno, il profit shifting globale è rimasto praticamente invariato. Queste pratiche elusive delle multinazionali privano, su scala globale, gli erari degli Stati di risorse equivalenti al 10% del gettito complessivo dell’imposta sul reddito delle società. Questo fenomeno danneggia particolarmente il continente europeo.
Inoltre, attraverso un metodo pionieristico, gli studiosi dell’UE Tax Observatory, hanno evidenziato come l’imposta sul reddito non è progressiva per tutti. Infatti, per i miliardari è regressiva, ovvero più guadagnano meno tasse pagano, mentre per il resto della popolazione è progressiva, ovvero più si guadagna e più è alta la tassazione. Questa ricerca dimostra che i miliardari globali beneficiano di aliquote fiscali sulla persona molto basse, comprese tra lo 0% e lo 0,5% della loro ricchezza, mentre i redditi delle persone normali vengono tassati tra il 20% ed il 50%.
Come afferma in un’intervista Gabriel Zucman, «i livelli di disuguaglianza sono alimentati dalle politiche fiscali. Negli ultimi 40 anni, in tutto il mondo, quando i governi hanno ridotto le imposte sulle imprese e sui ricchi per rimanere competitivi, hanno compensato la perdita di gettito aumentando i prelievi sul lavoro e sui consumi». Le tasse sul lavoro e sui consumi, però, ricadono proporzionalmente molto di più sulle classi basse e medie, e questo ha esacerbato la disparità fiscale, la quale, secondo l’economista Joseph Stiglitz, «mina il corretto funzionamento della nostra democrazia, approfondisce la disuguaglianza, indebolisce la fiducia nelle nostre istituzioni ed erode il contratto sociale».
In pratica, ci troviamo in un sistema finanziario e legislativo strutturato per portare benefici solo alle multinazionali e ai super ricchi, mentre a farne le spese sono soprattutto i normali cittadini, massacrati da un regime fiscale a loro totalmente sfavorevole. [di Gioele Falsini]
Estratto dell’articolo di Paolo Varetto per “la Stampa” l'8 agosto 2023.
Il canovaccio dell'italica furberia è quello del marito residente in città, della moglie o del figlio nella seconda casa al mare o in montagna e di un intero nucleo famigliare che così sfugge alle maglie del fisco senza versare un solo centesimo di Imu allo Stato e ai Comuni.
Un malcostume che per Marco Bussone, presidente nazionale dell'Uncem, l'Unione nazionale Comuni, comunità e enti montani, merita una riflessione quanto mai urgente, proprio ora che il governo sta mettendo mano alla riforma del Fisco.
«Anche perché – è la stima di Bussone – le mistificazioni e le truffe sulle residenze fittizie per non pagare le imposte oscillano tra il 15 e il 25% a seconda delle località. Un danno da milioni di euro per il quale si sarebbero dovute trovare delle contromisure proprio nella delega fiscale. Esecutivo e Parlamento devono approvare regole più dure, e devono farlo adesso».
Nel luglio di due anni fa la tenenza della Guardia di finanza di Bardonecchia, comandata dal luogotenente Marco Bargagli, scovò 160 falsi residenti nei Comuni della Via Lattea in Alta Val Susa – da Sestriere a Oulx, da Cesana a Pragelato fino a Claviere e Sauze – con più di mezzo milione di Imu recuperato e una percentuale di evasione addirittura del 90% rispetto ai controllati. […]
A Bordighera, la polizia locale aveva condotto una serie di accertamenti incrociati che in pochi mesi avevano portato alla cancellazione di 150 persone dall'elenco dei residenti per dichiarazioni mendaci per eludere il pagamento dell'imposta sulla seconda casa. Addirittura due coppie avevano inscenato altrettante finte separazioni pur continuando a vivere sotto lo stesso tetto.
[…]
Il problema è che l'evoluzione della giurisprudenza non sempre aiuta forze dell'ordine ed enti locali nel già non semplice compito dell'accertamento di eventuali abusi. Dopo il pronunciamento della Corte Costituzionale del 31 ottobre del 2022, ai fini dell'ottenimento della residenza non si fa più riferimento al nucleo famigliare.
Una sentenza che appunto consente a due coniugi, anche se separati di fatto, di vivere uno in città e l'altro nella seconda casa in una località di villeggiatura, senza pagare l'imposta municipale unica per alcuno dei due immobili.
[…]
L'onere della prova e dei controlli è comunque scaricato sempre sui municipi o le forze dell'ordine, «ma tutti conosciamo le difficoltà di organico e di bilancio di amministrazioni dove spesso è il sindaco ad assolvere alle funzioni di un personale che semplicemente non c'è» ricorda Bussone.
Per questo, secondo il presidente nazionale dell'Uncem bisognerebbe procedere prima con una radicale riforma della fiscalità locale per garantire ai Comuni le risorse necessarie per un'attività accertativa che non è più rinviabile, anche per dimostrare al governo quanto sia necessaria una stretta sul malcostume delle residenze fittizie.
«Ad esempio – suggerisce – lasciandoci il gettito sulle seconde case o dell'Imu categoria D sui fabbricati agricoli. Con le risorse adeguate allora sì che i sindaci potrebbero fare la propria parte, potendo contare sull'azione di un vero ufficio tributi e assumendo vigili che possano procedere con azioni a domicilio per assicurarsi che le abitazioni siano abitate in maniera continuativa, o incrociando i dati dei contatori dell'acqua e dell'energia elettrica o ancora calcolando la produzione dei rifiuti». […]
A chi finisce l’otto per mille di chi non sceglie nessuna opzione? di Gloria Ferrari - L’Indipendente - giovedì 3 agosto 2023.
Quello della dichiarazione dei redditi e della compilazione del modello 730 è un appuntamento annuale per milioni di italiani. Un momento che non si esaurisce, però, con la comunicazione al fisco delle proprie entrate. Il cittadino, oltre alla rendicontazione del reddito, è infatti chiamato a compiere delle scelte importanti per sé e per il resto della comunità. Ma non tutti, al momento della compilazione dei documenti, ne sono consapevoli. La legge prevede che ogni individuo dichiarante possa decidere di destinare altrove una quota delle proprie tasse, ma la cosa più importante da sapere è che anche chi non prende una posizione in realtà sta compiendo una scelta ben precisa.
Prendiamo il caso dell’8 per mille, cioè quegli 8 euro su ogni mille versati che lo Stato distribuisce in base alle scelte dei contribuenti, a partire dal 1985: in sede di dichiarazione ogni individuo può scegliere di destinare tale somma al sostentamento di enti religiosi – alla Chiesa cattolica o a una delle dodici confessioni religiose che detengono accordi con il Paese – o allo Stato stesso – che la utilizza per scopi di interesse sociale, come l’edilizia scolastica, o di carattere umanitario. Oppure può non esprimersi.
Per il 2023, fra i 41,5 milioni di dichiaranti italiani totali, ha espresso la propria preferenza il 40,5 per cento dei contribuenti. Di questi, la maggioranza (11,5 milioni) ha optato per sostenere la Chiesa cattolica. Significa che significa la restante parte ha lasciato la casella vuota. Una ‘non scelta ‘ che finisce per ricadere su tutta la comunità, principalmente per un motivo: secondo il regolamento, la parte di denaro prelevata dal gruppo che non mostra preferenza deve essere distribuita in maniera proporzionale in base alla decisione del resto dei contribuenti. In pratica, anche se solo tre persone su dieci scelgono chi finanziare con la propria tassa, la quota delle altre sette persone viene comunque divisa in base alla preferenza degli altri.
Motivo per cui, nonostante negli ultimi dieci anni il numero di cittadini che si è espresso a favore della Chiesa cattolica sia diminuito (di circa il 9%), l’8 per mille finisce per esserle sempre assegnato in larga parte. Nel 2023 alla sua comunità sono stati destinati 1,41 miliardi di euro, cioè il 71 per cento dell’intero ammontare, impiegati principalmente per il sostentamento del clero e per altre pratiche definite “esigenze di culto”. Al contrario, invece, la Chiesa Valdese, terza beneficiaria di quest’anno in ordine di entrate economiche, con 42 milioni di euro, ha per esempio scelto con la propria quota di finanziare progetti di assistenza sociale e sanitaria, di integrazione e ambientali. Prima di lei, al secondo posto, compare lo Stato, con 331 milioni di euro.
Nonostante esistano altre forme contributive – come il 5 per mille, destinato a enti di ricerca, università, ospedali e organizzazioni no-profit e il 2 per mille, in favore di un partito politico – quello dell’8 per mille è uno dei temi più caldi quando si parla di imposte e contributi.
Se da una parte alcuni sostengono l’importanza della sua esistenza, che garantisce la sopravvivenza delle diverse confessioni religiose, dall’altra c’è chi mette in dubbio la validità del meccanismo proporzionale regolato dalla normativa e la laicità dell’intero sistema – un principio sancito dalla Costituzione -. Molte persone, quindi, ritengono che quel denaro – che finisce per essere impiegato in maniera discriminatoria se si tiene conto delle persone non credenti o di chi professa altri culti non riconosciuti – dovrebbe essere totalmente destinato allo Stato, così da essere impiegato per finalità di pubblica utilità: come l’ammodernamento degli ospedali, la ristrutturazione delle scuole e il rafforzamento delle infrastrutture. Tutti settori su cui attualmente il nostro Paese si trova piuttosto in difficoltà. [di Gloria Ferrari]
I redditi di tassisti, ristoratori e dentisti. Ecco quante tasse pagano davvero. Milena Gabanelli e Simona Ravizza su Il Corriere della Sera il 10 luglio 2023
La curiosità di guardare nel portafoglio altrui per sapere quanto guadagna ce l’abbiamo tutti, soprattutto per sapere se paga meno tasse di noi. Un dato ovviamente blindato dalla legge sulla privacy. Ci accontenteremmo di conoscere almeno i redditi per categoria professionale. Ma anche qui è complicato perché quelli tratti dalle dichiarazioni dei redditi non sono pubblicati sul sito internet del Dipartimento delle finanze. È una scelta che il Mef fa per prudenza: siccome i dati a disposizione del ministero sono riferiti ai settori di attività per codice Ateco, il rischio è che le informazioni siano parziali. L’attività svolta potrebbe avere un perimetro maggiore di quello rilevato e difficile da circoscrivere (società di diversa natura o associazioni di professionisti). Ciò detto, Dataroom è riuscito a ottenere in tutta trasparenza i redditi medi dichiarati dalle categorie di professionisti e lavoratori autonomi più diffuse, dai tassisti ai ristoratori fino ai dentisti. È importante conoscerli perché, incrociandoli poi con le ultime dichiarazioni dei redditi Irpef di tutta la popolazione, si capisce chi paga le tasse in Italia e quanto.
Chi paga cosa
Partiamo dalla dichiarazione dei redditi Irpef 2022 (anno d’imposta 2021), aggiornata al 26 maggio 2023, e consideriamo chi ha pagato almeno 1 euro di tasse: sono 31,3 milioni di italiani che in totale hanno versato 156,9 miliardi di euro . Nel dettaglio: 78,6 miliardi sono stati pagati da 17,5 milioni di dipendenti (al netto delle detrazioni d’imposta dell’ex bonus Renzi che vale 14 miliardi); 50 da 10,7 milioni di pensionati; 23,3 da 1,6 milioni di autonomi; 5 da 1,5 milioni classificati come «altri». Se facciamo una proporzione tra le somme versate e il numero di teste, capiamo che c’è una correlazione: il 56% dei dipendenti paga il 50% di tasse; il 34% dei pensionati il 32%; il 5% della categoria «altri» il 3%. Gli unici a discostarsi sono gli autonomi che versano più tasse rispetto al loro peso come popolazione: il 5% paga il 15%.
Un risultato che può sorprendere: anche gli ultimi dati del «Rapporto annuale sull’evasione fiscale» firmato dalla premier Giorgia Meloni e dal ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti mostrano che la propensione a non pagare l’imposta sui redditi delle persone fisiche per il lavoro autonomo e d’impresa è al 68,3% (qui il documento sul tax gap, pag. 24). Vuol dire che ogni 3 euro da pagare ne vengono evasi 2, pari a 32 miliardi di euro l’anno (2019). Com’è possibile?
Le tasse versate dagli autonomi
Approfondiamo. Degli 1,6 milioni di autonomi, 173.657 dichiarano un reddito sopra i 100 mila euro e versano 12,3 miliardi; 516.564 fra i 35 e 100 mila euro e versano 8 miliardi; 954.702 stanno sotto i 35 mila euro e versano 2,85 miliardi. Anche qui, per capire meglio è utile rapportare il numero di teste ai 23,2 miliardi versati dall’intera categoria: l’11% paga il 53% delle imposte, il 31% paga il 35%, mentre il 58% paga il 12%.
Scopriamo così che all’interno degli autonomi i più ricchi contribuiscono molto, mentre sotto i 35 mila euro c’è un buco nero
È previsto dalla Costituzione (art. 53), ed è un principio sacrosanto, che le imposte siano progressive rispetto al reddito, ma sotto i 35 mila euro la differenza tra il numero dei contribuenti e la somma versata è troppo ampia per non pensare che in questa fascia si concentri una fetta importante di reddito non dichiarato.
Chi dichiara meno di 35 mila euro
Chi sono gli autonomi che dichiarano meno di 35 mila euro? Il 9% sono professionisti con Partita Iva, il 41% imprenditori con ditte individuali e il 50% soggetti che partecipano a società (srl, snc). Dunque il 91% sono artigiani e commercianti iscritti alla Camera di commercio come i tassisti, gli idraulici, gli elettricisti, gli edili, i falegnami, i baristi e i ristoratori. Vediamo allora quanto dichiarano per residenza anagrafica in alcune città capoluogo. L’anno di riferimento considerato è il 2019, perché è quello più pulito, senza strascichi da pandemia Covid. Sono redditi lordi, tolte le spese (acquisto dei materiali per svolgere l’attività, oppure l’ ammortamento dell’auto e della licenza, il carburante ecc.).
Le dichiarazioni dei redditi per categoria
I tassisti dichiarano a Milano 20.107 euro, a Bologna 14.461, a Roma 15.809 e a Napoli 9.833.
I ristoratori: a Milano 20.268, a Bologna 20.666, a Roma 18.366 e a Napoli 19.286.
Gli elettricisti: a Milano 32.521, a Bologna 24.794, a Roma 31.869 e a Napoli 22.692.
I geometri: a Milano 52.067, a Bologna 31.678, a Roma 39.063 e a Napoli 27.858.
I dentisti: a Milano 77.820, a Bologna 49.812, a Roma 71.164 e a Napoli 40.368.
Gli ingegneri: a Milano 78.833, a Bologna 59.097, a Roma 59.977 e a Napoli 56.625.
Gli avvocati: a Milano 112.040, a Bologna 91.318, a Roma 75.031 e a Napoli 62.232.
I commercialisti: a Milano 111.186, a Bologna 70.852, a Roma 79.031 e a Napoli 46.018.
A Flourish chart
Alle cifre dichiarate vanno tolti i contributi previdenziali (circa 5.000 euro), le detrazioni da lavoro, il 19% di spese mediche, interessi sul mutuo per la prima casa, la scuola dei figli, la ristrutturazione dell’abitazione, ecc. Se, come i tassisti e i ristoratori a Milano, si parte da 20 mila euro, calcolando che sui primi 8.174 euro nessuna tassa è dovuta, alla fine al fisco viene versato poco più di mille euro, ma anche niente se uno è titolare di una previdenza integrativa.
Chi fa la dichiarazione ma non versa nulla
A conti fatti i contribuenti che fanno la dichiarazione dei redditi, ma non versano nulla sono 10,5 milioni, proprio perché le deduzioni abbattono l’imponibile, mentre le detrazioni abbattono l’imposta. Divisi per categoria vediamo che il 26,3% sono autonomi, contro il 19% dei dipendenti e il 20,6% dei pensionati. Da questi calcoli sono fuori 2,1 milioni autonomi che l’Irpef non la pagano perché avendo spese basse gli conviene il regime forfettario di Flat tax al 15%. Il dato complessivo di quanto hanno versato nell’ultima dichiarazione però non è disponibile.
Gli esentati per legge
Infine c’è un intero settore che, indipendentemente dal reddito, dal 2017 è esentato per legge dal pagamento dell’Irpef, ed è quello degli imprenditori agricoli, viticoltori, allevatori, pescatori. Sono escluse le società per azioni. L’esenzione, inizialmente giustificata come misura di sostegno temporaneo a fronte di un momento di crisi congiunturale del settore, è stata poi di anno in anno prorogata, fino al 2023, con l’ultima Legge di bilancio. L’andamento della produzione negli anni in esame non risulta però particolarmente negativa, o quanto meno non peggiore rispetto ad altri settori dell’economia» (come da relazione Cnel di settembre 2022), e va inoltre considerato che l’azienda agricola percepisce ogni anno i contributi europei.
Il danno provocato dagli evasori
In conclusione: l’85% dell’Irpef oggi in Italia la pagano i dipendenti e i pensionati. Questi risultati vanno di pari passo con l’inchiesta di Dataroom del dicembre 2021, svolta insieme con il Centro studi «Itinerari previdenziali» di Alberto Brambilla (qui), che mostra come in sostanza, poco più del 13% dei contribuenti compensa anche le spese primarie del resto della popolazione.
Nessuno intende puntare il dito contro gli autonomi e tantomeno generalizzare: fra chi dichiara redditi bassi ci sono persone che sono effettivamente con l’acqua alla gola, ma è fuori discussione che dentro a quelle categorie si nascondono troppi evasori fiscali che non pagano le imposte in base alla loro reale capacità contributiva, ma beneficiano dei servizi di assistenza sanitaria, sociale, e scolastica senza aver contribuito a pagarli. Sono loro a mettere le mani nel portafoglio dei contribuenti onesti, e con la protezione politica, che di fatto impedisce all’Agenzia delle Entrate di utilizzare strumenti automatici di controllo.
Cari Dem i più deboli si proteggono con la crescita. I vampiri delle tasse, la battaglia del Pd di Elly Schlein: cittadini trattati come bancomat. Andrea Ruggieri su Il Riformista l'11 Maggio 2023
“Siete sudditi da tassare, mica cittadini contributori. Bancomat, mica protagonisti dello sviluppo”. Eccolo il grido di battaglia del Partito Democratico, ormai partito delle tasse. Che prima propone un semi-esproprio proletario delle proprietà immobiliari sfitte in Italia, poi, con un emendamento a una pur giusta risoluzione di ieri, la patrimoniale europea, non potendo votarne una qui per chissà quanto.
Non è bastata una pandemia in cui lo Stato più caro del mondo occidentale, mantenuto da noi contribuenti e ai tempi guidato da Conte e Speranza, non sapendo organizzare nulla di distanziato, e non dandosi dei suoi cittadini, ha chiuso tutto o quasi, per la disperazione di milioni di partite iva cui nemmeno riusciva a far avere ristori, peraltro inferiori a quelli di un percettore spesso indebito di reddito di cittadinanza (il click day di Inps fu un fallimento, e ancora qualcuno protesta sulla sostituzione di Tridico, eccome no); non basta il caro energia, glio anche di qualche retrogrado contro sviluppo e produzione energetica italiana, né la guerra russa contro l’Ucraina.
No. Servono altre tasse, stavolta una patrimoniale europea, per punire chi ha colpa di aver avuto un briciolo di successo economico. Fa niente che gli italiani, ad esempio, per accumulare patrimoni piccoli o grandi che siano, abbiano già pagato un diluvio di tasse (mai provata l’ebbrezza di parlare con un commerciante che paga la ‘tassa sull’ombra’?), in cambio di troppo poco.
È vero: la tassazione di “patrimoni eccessivi” è una fissa antica del Pd, ma quello a guida Schlein sembra assetato di risorse altrui, private, e snobbare quanto invece ognuno di noi viva sulla propria pelle: che si sia dipendenti, con una busta paga netta minima e una lorda pesantissima, o partite iva, cui rimane il 45 per cento netto in mano, l’unico a ingrassare costantemente dagli anni ‘Settanta è uno Stato che vuol fare tutto senza saper fare nulla.
Caro Pd, i più deboli si proteggono con la crescita, (negli anni ‘60 fissa al sei per cento con tasse al 31 e spesa pubblica contenuta; dopo, con aumento di spesa e tasse, solo più debito e crescita fragile, anche al netto di un continuo recupero di evasione scale). Ma chi stabilisce se e quando un reddito è eccessivo? La Schlein, a suo gusto? Roba da comunisti, inutile sottilizzare.
Col Pd italiano che si candida a capofila dell’Internazionale delle tasse. Solo un consiglio: non spingete gli italiani a cercare libertà dallo Stato, anziché nello Stato. Già 110 anni fa Luigi Einaudi ammoniva sul Corriere: “La frode fiscale a volte è strumento di difesa contro lo Stato vorace e spendaccione”. Parlava dell’Italia, prima di diventare Governatore di Bankitalia e Presidente della Repubblica. Evitiamo di dover esportare in Europa l’affermazione (perché si fatica a dargli torto) e far nascere l’Internazionale della legittima difesa scale. Altro che quella delle Tasse Pd. Andrea Ruggieri
La burocrazia che ingolfa lo Stato. Il contribuente italiano è vessato da un'imposizione fiscale abnorme. Per giunta, la complessità dell'ordinamento è tale da costringere ogni cittadino a destinare una parte rilevante del proprio tempo all'assolvimento degli innumerevoli adempimenti. Carlo Lottieri il 9 Aprile 2023 su Il Giornale.
Il contribuente italiano è vessato da un'imposizione fiscale abnorme. Per giunta, la complessità dell'ordinamento è tale da costringere ogni cittadino a destinare una parte rilevante del proprio tempo all'assolvimento degli innumerevoli adempimenti. Oltre a sottrarci una parte rilevante di quanto produciamo, lo Stato ci priva insomma anche di tantissimo tempo.
Come ha evidenziato Federcontribuenti in una nota a firma di Marco Paccagnella, «il tempo che si richiede per dare corso agli adempimenti fiscali in Italia è in media di 238 ore l'anno, contro le 82 che si impiegano in Irlanda». In aggiunta alla pressione fiscale elevatissima (i soldi da consegnare allo Stato), abbiamo a che fare con una soffocante pressione fiscal-burocratica (il tempo da destinare alla compilazione dei moduli e di tutto il resto). Sempre Paccagnella rileva che è come se un imprenditore o un professionista dovessero dare allo Stato un altro mese del loro lavoro.
Il carattere quanto mai caotico e farraginoso del sistema ha origini ben precise. Nel corso del Novecento, in effetti, l'espansione della mano pubblica è stata resa possibile dal moltiplicarsi di micro-interventi che giorno dopo giorno hanno alzato l'asticella. L'assommarsi delle accise sulla benzina, in questo senso, è illuminante; e purtroppo l'Europa, come mostra la vicenda dei progetti per il Pnrr, sembra essere andata a scuola dai burocrati italiani.
Per giunta, il dilatarsi dei poteri pubblici è stato accompagnato da un proliferare di norme e imposte che non soltanto ha reso sempre più opaco l'ordinamento, ma che ha finito per mettere il cittadino comune in una posizione sempre più scomoda: perché grazie a questa complessità, in Italia non c'è nessuno che possa essere certo al mille per mille di essere del tutto in regola. E da tempo i nostri concittadini sembrano rassegnati di fronte a ciò: persuasi che non vi siano alternative.
In verità, altrove le cose vanno diversamente. Giovedì scorso l'intervento a Villa Tretti dell'ex vice-governatore della Banca centrale ceca, Mojmir Hampl, ha mostrato come l'esperienza della Cechia sia quella di un Paese che non soltanto ha quadruplicato il reddito pro capite negli ultimi tre decenni, ma che soprattutto ha fatto ciò scegliendo la strada di una limitata ingerenza dello Stato (a Praga il bollo-auto non esiste, le tasse sulle società sono del 19% e gli idrocarburi costano tra i 20 e i 30 centesimi in meno che da noi). E anche in Svizzera, in Irlanda e in molti altri Paesi il rapporto tra l'amministrazione e il cittadino è impostato secondo logiche ben poco italiane
La giungla italiana di leggi, obblighi e adempimenti ha per giunta generato negli anni un contenzioso mastodontico, che per il bilancio dello Stato rappresenta un credito (del tutto fittizio) di mille miliardi, ma che per cittadini e imprese è soltanto un'ulteriore vessazione.
Per uscire dal tunnel la strada è una sola: ridurre le spese, abbassare la pressione fiscale e semplificare il sistema. Questo può creare scontento e contrarietà nei beneficiari dello status quo, ma altre strade non ve ne sono.
Fisco. Rapine in corso ed estorsione legalizzata.
Fisco. Rapine in corso ed estorsione legalizzata. Inchiesta sulla mafia di Stato di Nicola Porro su Virus della Rai del 31 marzo 2016. Intervista all’ex Ministro Vincenzo Visco, all’ex dirigente delle Agenzie delle Entrate, Luciano Dissegna, a Serena Sileoni vice direttore dell’Istituto Bruno Leoni.
Solo audio perché in nome del copyright si cela la censura.
Art. 416 bis c.p.: “L'associazione è di tipo mafioso quando coloro che ne fanno parte si avvalgano della forza di intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e di omertà che ne deriva per commettere delitti, per acquisire in modo diretto o indiretto la gestione o comunque il controllo di attività economiche, di concessioni, di autorizzazioni, appalti e servizi pubblici o per realizzare profitti o vantaggi ingiusti per sé o per altri, ovvero al fine di impedire od ostacolare il libero esercizio del voto o di procurare voti a sé o ad altri in occasione di consultazioni elettorali.” INTIMIDAZIONE ED ASSOGGETTAMENTO. L'Agenzia delle Entrate "condanna con fermezza i toni e le modalità con cui è stato esercitato il diritto di cronaca da parte di giornalisti e autori" del servizio 'Rapine in corso', andato in onda all’interno del programma Striscia la Notizia su Canale 5. Lo rende noto l'Agenzia delle Entrate annunciando che sta "valutando la possibilità di intraprendere azioni legali a tutela della propria immagine e della sicurezza dei propri dipendenti".
IN UN PAESE NORMALE CON QUESTA INCHIESTA SAREBBE NATA UNA RIVOLUZIONE. IN ITALIA NULLA. PERCHE’ UN POPOLO DI COGLIONI SARA’ SEMPRE GOVERNATO, AMMINISTRATO, GIUDICATO DA COGLIONI.
Nella giungla del fisco: ecco le lobby che si spartiscono sconti miliardari sulle tasse. Camionisti, agricoltori, dipendenti di enti religiosi: decine di gruppi d’interesse e corporazioni si dividono decine di miliardi di agevolazioni. Che si sono moltiplicate nel corso degli anni. Adesso il governo promette una riforma, annunciata già da Renzi nel 2015 ma mai andata in porto. Vittorio Malagutti su L’Espresso il 7 Febbraio 2023.
I produttori di tartufi? Presenti. E i dipendenti di enti e società controllati dalla Santa Sede? Eccoli. C’è posto anche per camionisti e sportivi dilettanti, armatori e lavoratori frontalieri. Tutti sulla stessa barca, un’arca di Noè affollata di viaggiatori a cui il Fisco di Roma ha cucito un abito su misura. Tra detrazioni e deduzioni, crediti d’imposta e regimi sostitutivi, sono milioni gli italiani che ogni anno, grazie a specifiche misure di legge, riescono a dare un taglio alle imposte da pagare.
Da “Striscia la Notizia” il 2 maggio 2023.
Dopo il clamore e l’indignazione suscitata dal servizio di Jimmy Ghione sul bar dell’Agenzia delle Entrate di Roma 6- Eur Torrino, che non faceva gli scontrini, c’è ancora qualcuno che si dimentica di emettere il documento fiscale. E anche in questo caso non si tratta di un bar qualunque, ma di quello all’interno di un “tempio della legalità”: il Tribunale Civile di Roma, come documentato dall’inviato di Striscia la notizia nel servizio in onda questa sera (Canale 5, ore 20.35).
Dopo aver ricevuto alcune segnalazioni, le telecamere di Striscia entrano nella caffetteria del Tribunale Civile e mostrano il viavai di clienti a cui viene consegnato il resto, ma spesso non lo scontrino. Tra questi, addirittura un Carabiniere in divisa. «Dopo tutto quello che è successo, proprio in Tribunale ci dimentichiamo di fare gli scontrini?», chiede Ghione al cassiere, che risponde con una bella risata. Intanto, arrivano le Forze dell’ordine che scortano l’inviato del tg satirico fuori dal Tribunale.
DA Striscia la Notizia il 3 aprile 2023.
Niente (o quasi) scontrini e, dal 2016, nessun bilancio depositato da parte della società controllante. È questo il risultato delle indagini realizzate da Moreno Morello sull’ormai celebre bar dell’Agenzia delle Entrate di Roma 6 – Eur, in cui oltre una settimana fa il collega Jimmy Ghione è stato aggredito e minacciato (“Vado a prendere il coltello e vi ammazzo”) dal barista “possibile stragista” (vedi servizio), che spesso non emetteva scontrini fiscali.
Dalla visura camerale realizzata dall’inviato di Striscia, infatti, risulterebbe che il bar sia formalmente gestito da una S.a.s. che, a sua volta, è composta da quattro soci: il barista con il 4%, altri due soci con il 2% a testa e il restante 92% detenuto da una S.r.l. di cui il barista stesso è amministratore unico e socio al 98%. «Una S.r.l. ha l’obbligo previsto dal Codice civile di depositare ogni anno il proprio bilancio presso l'ufficio del Registro delle Imprese, peccato che quella amministrata dal barista, che gestisce il bar dell’Agenzia delle Entrate, non lo faccia dal 2016 (quello relativo al 2015)», rivela l’inviato di Striscia.
In questi casi sarebbero previste delle sanzioni, ma non è dato sapere se la S.r.l. le abbia ricevute e, nel caso, pagate. «Piuttosto ci chiediamo se l’Agenzia delle Entrate, tra i pochi soggetti autorizzati a verificare, sappia di avere al suo interno un bar controllato da una società che, contrariamente a quanto previsto dalla legge, non deposita il bilancio da anni. Ora, finalmente, verranno presi provvedimenti?», conclude Morello.
Dagospia il 23 marzo 2023. Comunicato stampa da “Striscia la Notizia”
A distanza di giorni dall’aggressione con minacce a Jimmy Ghione e nonostante i provvedimenti promessi dal capo settore Comunicazione dell’Agenzia delle Entrate Sergio Mazzei, il bar che non fa gli scontrini all’interno dell’Agenzia Eur 6 – Roma (zona Torrino) sembrerebbe ancora aperto.
Di sicuro è “regolarmente” al suo posto il barista-aggressore, che stavolta chiude con violenza una finestra in faccia all’inviato di Striscia. Questa sera a Striscia la notizia (Canale 5, ore 20.35), Jimmy Ghione torna a Roma per cercare risposte ai molti interrogativi ancora in sospeso: quanti soldi sono stati evasi dal 2018, anno in cui il tg satirico ha realizzato il primo servizio sul caso? Come è possibile che un bar dentro l’Agenzia delle Entrate non emetta scontrino e che alcuni dipendenti nemmeno lo chiedano?
«Evidentemente c’è qualcuno che lo permette…», la risposta di uno degli unici dipendenti che ha voluto fermarsi con Ghione, mentre la maggior parte ha preferito anche stavolta tirare dritto ed entrare nella palazzina, il cui ingresso è stato nuovamente vietato all’inviato di Striscia. Ghione continuerà a indagare sulla vicenda.
Da “Striscia la Notizia” il 28 marzo 2023.
Questa sera a Striscia la notizia (Canale 5, ore 20.35) saranno riproposte le immagini della violenta aggressione subita da Jimmy Ghione e al suo cameraman da parte del barista “possibile stragista” dell’Agenzia delle Entrate di Roma 6 – Eur (Torrino).
L’inviato del tg satirico, dopo aver ricevuto diverse segnalazioni, si era recato al bar all’interno dell’agenzia per chiedere come mai non sempre facesse gli scontrini.
Ai telespettatori di Striscia, però, non è sfuggito un dettaglio: quando il barista “possibile stragista” spinge e minaccia (“Vado a prendere il coltello e vi ammazzo”) Ghione e il suo cameraman, cosa fa la guardia giurata? Anziché intervenire per calmare l’aggressore, scappa via di corsa verso l’uscita.
Estratto dell’articolo da “Il Messaggero – Edizione Roma” il 22 aprile 2023.
Chiude il bar che non emetteva scontrini all'interno dell'Agenzia delle Entrate di Roma 6 Eur (Torrino). «Prendo il coltello e vi ammazzo» era stata la frase detta dal titolare del bar nei confronti dell'inviato di Striscia la Notizia, Jimmy Ghione, e il suo cameraman. I due erano stati aggrediti e minacciati di morte.
Nella puntata di ieri sera Ghione e le telecamere del tg satirico, superati i rigidi controlli all'ingresso dell'Agenzia, sono entrati per mostrare il bar chiuso, con le luci spente, il frigo vuoto e il barista «possibile stragista» intento a riempire gli scatoloni.
[…] mentre una guardia giurata, quando gli viene chiesto come fosse possibile che all'Agenzia nessuno sapesse che il bar non faceva gli scontrini, commenta sibillino: «Ci andavano tutti i dipendenti è con loro che io me la prendo maggiormente: qui, dal semplice usciere al dirigente, sono tutti Polizia Tributaria».
[…] il bar che si trova presso la sede Eur 6 Torrino, pur trovandosi all'interno dell'ente che si occupa di tasse, era già stato sorpreso a non fare scontrini nel 2018. Ghione era tornato recentemente per vedere se qualcosa fosse cambiato ma questa volta è andata pure peggio: scontrini zero, o quasi, e in compenso botte, spintoni e minacce. «Prendo il coltello e vi ammazzo» aveva urlato il barista contro l'inviato e la troupe dopo averli scaraventati a terra e presi a botte. Dopo quell'episodio, a quanto pare, ora il bar sembra avere definitivamente chiuso battenti
Antonio Giangrande: Imu e Tasi. Quando il Volontariato “va a farsi fottere”.
Gennaio, tempo di notifica delle cartelle esattoriali inviate il 31 dicembre, per impedirne la prescrizione quinquennale. Gennaio tempo di scoperte e di sorprese.
Il “No Profit” paga Imu e Tasi dei locali dove svolge la sua attività.
Intervento del Sociologo storico, dr Antonio Giangrande, autore, tra gli altri, anche del saggio UGUAGLIANZIOPOLI e relativi aggiornamenti annuali.
L’Italia è il Paese del foraggiamento a pioggia, dove tutti chiedono e dove tutti ottengono. Eppure si trascura quel mondo fatto di centinaia di migliaia di associazioni di volontariato: il cosiddetto “No Profit”.
Mondo che supplisce a tutte quelle mancanze statali a sostegno dei diritti inalienabili dei cittadini.
La Costituzione, appunto, prevede la tutela del Principio di solidarietà e di Uguaglianza, ma, come sempre in questa Italia, tutti i principi costituzionali vengono sempre calpestati. Per inciso con l’intercalare: vanno a farsi fottere.
Il “No Profit”, proprio per sua stessa definizione, non produce reddito. La sua attività si basa sull’opera di milioni di volontari che, gratuitamente, prestano la loro opera materiale ed intellettuale.
Il Volontariato, non producendo reddito, va da sé, logicamente, non può acquistare nulla per sé, né essere proprietario di alcunché.
La sede legale è spesso sita presso un locale messo a disposizione gratuitamente dal presidente dell’associazione, o da un suo componente, o da terzi benefattori.
Quindi di quel locale con il COMODATO si ha l’UTILIZZO e non il POSSESSO.
Il Dlgs 504/1992 (Riordino della finanza degli enti territoriali), al Titolo I, Capo I (Imposta Comunale sugli Immobili), art. 7 comma 1 lett. I (Esenzioni), in ossequio alla Costituzione prevedeva la dicotomia Utilizzo e Possesso, prevedendo l’esenzione dell’Imu/Tasi sia per i possessori sia per gli utilizzatori, se diversi dai proprietari. In questo caso viene premiato il COMODATO D’USO a fini solidaristici.
Invece, i Comuni hanno pensato bene di non distinguere i possessori dagli utilizzatori, inquadrando l’esentato in una sola figura: ossia il proprietario deve essere l’utilizzatore.
A tal riguardo si riporta, a titolo esemplare, la Deliberazione del Consiglio Comunale di Avetrana con oggetto l'approvazione del Regolamento per l’applicazione dell’Imposta municipale propria IMU del 15/06/2012, nell'art. 5(Immobili utilizzati dagli enti non commerciali), discostandosi dai principi previsti dal legislatore, che recita “L'esenzione prevista dall'art. 7, comma 1, lettera i) del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, si applica soltanto ai fabbricati ed a condizione che gli stessi, oltre che utilizzati, siano anche posseduti dall’ente non commerciale utilizzatore”. Regolamento adottato dai Consiglieri Mario De Marco, sindaco, Enzo Tarantini, assessore al ramo, Antonio Minò, Daniele Petarra, Antonio Baldari, Vito Maggiore, Pietro Giangrande e Cosimo Derinaldis, presidente del Consiglio. Il Funzionario del servizio ragioneria, Antonio Mazza, esprimeva parere favorevole.
La casistica riporta i casi in cui vi sia l’utilizzo indiretto di un beneficiario. Prendendo in esame solo i casi in cui i beni ecclesiastici, di per sé esentati, vengono utilizzati da terzi, con le stesse finalità solidaristiche. Non si parla di possessori privati che prestano i loro beni gratuitamente alle associazioni di Volontariato.
Si denota con stupore che, se da una parte le commissioni tributarie ed il Ministero dell’Economia e Finanze si esprimono in ossequio ai principi del legislatore del 1992, prevedendone la dicotomia POSSESSO ED UTILIZZO, la Corte Costituzionale e la Corte di Cassazione se ne discostano, riconoscendo l’esenzione solo a quei “No Profit” che oltre ad essere utilizzatori siano anche possessori.
Va da se che termine più aleatorio nel diritto civile è quello del POSSESSO, ma in questo caso si intende PROPRIETA’ O USUFRUTTO, e non COMODATO.
Il Legislatore, con la sua profonda saggezza, ha insistito sul punto, in ossequio ai fini solidaristici costituzionali.
Con riferimento agli Enti non commerciali, la Legge di Bilancio 2020 non modifica la precedente agevolazione prevista dall’art. 7 co. 1 lett. i) del D.Lgs. 504/1992, ovvero per tali enti prevista l’esenzione dal pagamento dell’Imu qualora ricorrano i seguenti requisiti:
· L’immobile sia posseduto e/o utilizzato da enti non commerciali di cui all’art. 73 co 1 lettera c) del TUIR;
· Lo stesso sia destinato, in via esclusiva, allo svolgimento, con modalità non commerciali, di una o più delle attività elencate all’art. 7, co1 lett. a) del D.lgs. 504/1992 (assistenziali, previdenziali, sanitarie, di ricerca scientifica, didattiche, ricettive, culturali, ricreative e sportive).
Per la legge di bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2020 e bilancio pluriennale per il triennio 2020-2022, n. 160/2019, nell'art. 1 comma 759 “Sono esenti dall'imposta, per il periodo dell'anno durante il quale sussistono le condizioni prescritte: g) gli immobili posseduti e utilizzati dai soggetti di cui alla lettera i) del comma 1 dell'articolo 7 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504, e destinati esclusivamente allo svolgimento con modalità' non commerciali delle attività' previste nella medesima”. Con questa enunciazione la legge di Bilancio 2020 sembra discostarsi dai principi previsti dal legislatore del 1992.Ma la vera novità è introdotta dalla Legge di Bilancio 2020 nell'art. 1 comma 777 che prevede la possibilità per i Comuni di prevedere l’esenzione del pagamento IMU sugli immobili dati in comodato d’uso gratuito alle associazioni, a prescindere dall’attività svolta dall’ente.
Art. 1 comma 777. “Ferme restando le facoltà di regolamentazione del tributo di cui all'articolo 52 del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, i comuni possono con proprio regolamento: (…)
e) stabilire l'esenzione dell'immobile dato in comodato gratuito al comune o ad altro ente territoriale, o ad ente non commerciale, esclusivamente per l'esercizio dei rispettivi scopi istituzionali o statutari”.
Questo significa la possibilità di un’esenzione del pagamento IMU sugli immobili che spesso il presidente e / o altri dirigenti cedono a titolo gratuito. Ricordiamo che la scelta in merito a questa esenzione viene rimandata ai comuni, quindi sarà fondamentale verificare i regolamenti comunali e, se ce ne sono le condizioni, fare pressione affinché il Comune si muova in tal senso.
Degna di nota è la citazione del Comune di Falconara, in nome del vice sindaco Raimondo Mondaini, con delega al Bilancio. Comune che tra i primi, con merito, ha previsto l’esenzione IMU per quegli immobili ceduti gratuitamente alle associazioni di volontariato.
Quando il Legislatore ha configurato l’ipotesi di esenzione da Imu e Tasi per la platea degli enti non commerciali lo ha fatto con riferimento agli immobili che vengono direttamente utilizzati nella loro attività “istituzionale”.
In particolare, è l’articolo 9, comma 8, D.Lgs. 23/2011 a disporre che si applica all’Imu l’esenzione prevista dall’articolo 7, comma 1, lett. i), D.Lgs. 504/1992 recante disposizioni in materia di imposta comunale sugli immobili “destinati esclusivamente allo svolgimento con modalità non commerciali di attività assistenziali, previdenziali, sanitarie, di ricerca scientifica, didattiche, ricettive, culturali, ricreative e sportive, nonché delle attività di cui all’articolo 16, lettera a), della legge 20 maggio 1985, n. 222”.
Con il D.L. 16/2014, invece, al fine di assimilare il trattamento della Tasi a quello dell’Imu, l’articolo 1, comma 3 del citato decreto rende applicabili alla Tasi quasi tutte le esenzioni applicabili all’Imu, tra le quali certamente spicca quella riservata agli enti non commerciali, stabilendo che “Sono esenti dal tributo per i servizi indivisibili (Tasi) gli immobili posseduti dallo Stato, nonché gli immobili posseduti, nel proprio territorio, dalle regioni, dalle province, dai comuni, dalle comunità montane, dai consorzi fra detti enti, ove non soppressi, dagli enti del servizio sanitario nazionale, destinati esclusivamente ai compiti istituzionali. Sono altresì esenti i rifugi alpini non custoditi, i punti d’appoggio e i bivacchi. Si applicano, inoltre, le esenzioni previste dall’articolo 7, comma 1, lettere b), c), d), e), f), ed i) del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504; ai fini dell’applicazione della lettera i) resta ferma l’applicazione delle disposizioni di cui all’articolo 91-bis del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27 e successive modificazioni”. E nel richiamo alla lett. i) dell’articolo 7 D.Lgs. 504/1992 c’è proprio la citata esenzione prevista per gli enti non commerciali ai fini Imu. Dr Antonio Giangrande
Antonio Giangrande: IMU e ONLUS ad Avetrana. Comodato e Proprietà del Volontariato.
Disuguaglianza ed Estorsione tra i No Profit più deboli presso tutte le Avetrana d’Italia.
Il Possesso e l’Ipocrisia della Politica. La Violazione dei principi costituzionali nel silenzio dei media e del Volontariato d’Elite. Una questione non di poco conto.
La denuncia pubblica del saggista Antonio Giangrande, presidente della Associazione Contro Tutte Le Mafie ONLUS, già iscritto presso la Prefettura di Taranto nell'elenco delle Associazioni Antiracket ed Antiusura. Associazione che non riceve sovvenzionamenti pubblici o privati.
Ed a quanto pare nemmeno risposte dagli Uffici preposti dei Ministeri interpellati del Walfare e delle Finanze.
Oggetto: chiarimento ed interpretazione.
Riferimento: Il presidente di una associazione di volontariato - onlus – ente non commerciale deve pagare l’Imu-Tasi, essendo usufruttuario di un immobile dato in comodato gratuito, presso il quale si è eletta sede legale dell’associazione e per il quale locale l’associazione se ne fa uso gratuito?
La legge stabilisce il no. L’alta giurisprudenza e la burocrazia impone il sì.
Di questo si fa forte il Comune di Avetrana, nella persona del Dr Mazza, che ha voluto precisare: “difenderemo gli interessi comunali in ogni stato e grado del giudizio. L’eventuale costituzione in giudizio comporta il pagamento del contributo unificato. Inoltre, la parte che perde in giudizio può essere condannata al rimborso delle spese sostenute dalla controparte, maggiorate del 50% a titolo di spese del procedimento di mediazione".
Cosa è l’Imu? L'IMU, Imposta Municipale Propria, è il tributo istituito dal governo Monti nella manovra Salva-Italia del 2011 e si paga a livello comunale sul possesso dei beni immobiliari. È operativa a decorrere dal gennaio 2012, e fino al 2013 è stata valida anche sull'abitazione principale. L'ICI (Imposta comunale sugli immobili) era la vecchia tassa applicata al possesso dei beni immobiliari prima dell'arrivo dell'IMU, a partire dal gennaio 2012. L'IMU in buona sostanza ne ha replicato i regolamenti e i sistemi di calcolo. La tassa sulla proprietà della prima casa:
prima del 2012: non si pagava più dal 2007, quando si chiamava ICI
2012: IMU con 0,4% di aliquota standard. Detrazione di 200 euro + 50 euro per ogni figlio
2013: mini IMU di gennaio, la differenza fra l’IMU calcolata con aliquota allo 0,4% e con quella del comune. Niente detrazioni. In discussione l’eliminazione di questo conguaglio.
Dal 2014: Tasi con aliquota standard allo 0,1%, detrazioni 200 euro + 50 euro per ogni figlio.
Cos’è il Volontariato? Il Volontariato è quell’insieme di sodalizi che operano sussidiariamente nei vari campi dei servizi pubblici, laddove lo Stato non vuole o non può operare. A favore del Volontariato sono previste delle agevolazioni fiscali e dei sostegni economici a ristoro di progetti inclusivi ed accoglibili. Da questo quadro d’insieme, però, sono osteggiate le piccole realtà solidaristiche, spesso non incluse nel grande sistema della solidarietà partigiana, foraggiata dalla politica amica. I grandi nomi, sponsorizzati con partigianeria dai media e sostenuti economicamente dalla politica, non hanno difficoltà ad acquistare gli immobili dove hanno la sede locale o dove operano. Le miriadi piccole realtà, distribuite sul territorio e con maggior valore per l’intervento di prossimità, non hanno sostentamento e quindi si sorreggono con le liberalità degli associati. Gli immobili dove operano sono dati in comodato dagli stessi membri del sodalizio.
Qual è il sostegno al Volontariato? 5XMille; Finanziamento pubblico di progetti per ogni ramo di intervento; donazioni private
Quali sono e agevolazioni ed esenzioni fiscali al Volontariato? I benefici fiscali per le organizzazioni di volontariato e le onlus (Da ipfonlus.it). Oltre che dalla legge istitutiva, sono stati riconosciuti, a favore delle organizzazioni di volontariato, numerosi vantaggi anche da parte di una serie di altri provvedimenti legislativi, fra i quali assume particolare rilievo il decreto legislativo 460/97, relativo al riordino ed alla disciplina tributaria degli enti non commerciali e delle organizzazioni non lucrative di utilità sociale (Onlus). Tali vantaggi sono estesi alle organizzazioni di volontariato, in forza di esplicito rinvio con il quale vengono considerate Onlus le organizzazioni di volontariato, purché iscritte nei registri regionali. I benefici riconosciuti con il suddetto decreto possono essere suddivisi in due parti: agevolazioni ed esenzioni.
Agevolazioni. Le agevolazioni riguardano:
le imposte sui redditi;
le erogazioni liberali;
l’imposta sul valore aggiunto;
le ritenute alla fonte;
l’imposta di registro;
le lotterie, le tombole, le pesche e i banchi di beneficenza.
È il caso di fare qualche accenno su ognuna di esse. Le agevolazioni ai fini delle imposte sui redditi riguardano il solo reddito di impresa e non si riferiscono ad altre categorie reddituali che concorrono alla formazione del reddito complessivo.
Per le erogazioni liberali, il decreto legislativo pone, da una parte, le persone fisiche e gli enti non commerciali e, dall’altra, le imprese. I primi possono detrarre dall’imposta lorda le erogazioni liberali in denaro, fatte a favore delle organizzazioni di volontariato, per un importo fino a quattro milioni di lire.
Per le imprese è prevista una serie di deduzioni che riguardano:
– le erogazioni liberali in denaro per un importo non superiore a quattro milioni di lire o al due per cento del reddito di impresa dichiarato;
– le spese relative all’impiego dei lavoratori dipendenti assunti a tempo indeterminato, utilizzati per prestazioni di servizi a favore delle organizzazioni di volontariato, nel limite del cinque per mille dell’ammontare complessivo delle spese per prestazioni di lavoro dipendente;
– la cessione gratuita alle organizzazioni di volontariato, in alternativa alla usuale eliminazione dal circuito commerciale, di derrate alimentari, di prodotti farmaceutici e di beni alla cui produzione o al cui scambio è diretta l’attività dell’impresa.
Le disposizioni relative all’imposta sul valore aggiunto (Iva) prevedono una serie di agevolazioni per prestazioni effettuate da organizzazioni di volontariato o a favore delle stesse organizzazioni. Esse attengono a:
– divulgazione pubblicitaria;
– cessioni di beni-merce;
– trasporto di malati o feriti con veicoli all’uopo equipaggiati;
– educazione dell’infanzia e della gioventù e didattica di ogni genere anche per la formazione, l’aggiornamento, la riqualificazione e la riconversione professionale. In esse sono comprese anche le prestazioni relative all’alloggio, al vitto ed alla fornitura di libri e materiali didattici come pure le lezioni relativi a materie scolastiche e universitarie impartite da insegnanti a titolo personale;
– attività socio sanitarie, di assistenza domiciliare o ambulatoriale, in comunità, in favore di persone svantaggiate, rese dalle organizzazioni di volontariato sia direttamente sia in esecuzione di appalti,
convenzioni e contratti in genere.
Le organizzazioni di volontariato inoltre, non sono soggette all’obbligo di certificazione dei corrispettivi mediante ricevuta o scontrino fiscale.
Per quanto riguarda la ritenuta alla fonte, non viene applicata la ritenuta del quattro per cento a titolo di acconto sui contributi corrisposti alle organizzazioni di volontariato dagli enti pubblici. Inoltre, la ritenuta sui redditi di capitale corrisposti alle organizzazioni di volontariato viene considerata a titolo di imposta anziché di acconto.
Relativamente all’imposta di registro, occorre distinguere fra Onlus e organizzazioni di volontariato. Per quanto riguarda le prime, è da sottolineare che tutti gli atti traslativi a titolo oneroso della proprietà di beni immobili in genere e gli atti traslativi o contributi di diritti reali immobiliari di godimento, compresa la rinuncia ad essi, destinati ad essere utilizzati nell’ambito delle attività statutarie, deve essere corrisposta, per la registrazione, la cifra fissa di lire 250 mila.
Per quanto concerne le organizzazioni di volontariato, occorre fare riferimento alla legge-quadro la quale prevede la totale esenzione dall’imposta di registro. Con l’autorizzazione dell’Intendenza di finanza e previo nulla osta delle prefetture, le organizzazioni di volontariato possono effettuare lotterie, tombole, pesche e banchi di beneficenza, con le seguenti limitazioni:
per le lotterie è previsto che la vendita di biglietti deve riguardare il solo territorio della provincia. I biglietti vanno staccati da registri a matrice in numero determinato. L’importo complessivo di ogni lotteria non può superare i 100 milioni di lire;
per le pesche e i banchi di beneficenza, le operazioni sono limitate al territorio del comune in cui esse hanno luogo. Il ricavato complessivo non può superare i 100 milioni di lire.
Esenzioni. Le esenzioni riguardano:
l’imposta di bollo;
le tasse sulle concessioni governative;
l’imposta sulle successioni e sulle donazioni;
l’imposta sostitutiva;
l’imposta sull’incremento di valore degli immobili e della relativa imposta sostitutiva;
l’imposta sugli spettacoli;
le raccolte pubbliche occasionali di fondi;
i contributi per lo svolgimento convenzionato dell’attività.
Anche su ognuna di esse si ritiene utile fare qualche accenno.
Sono esenti dall’imposta di bollo:
gli atti, i documenti, le istanze, i contratti, le copie anche se dichiarate conformi, gli estratti, le certificazioni, le dichiarazioni e le attestazioni poste in essere oppure richieste dalle organizzazioni di volontariato.
Sono esenti dalle tasse sulle concessioni governative
tutti gli atti ed i provvedimenti concernenti le organizzazioni di volontariato.
Sono pure esenti dall’imposta sulle successioni e sulle donazioni i trasferimenti a favore delle organizzazioni di volontariato.
Agli immobili acquistati a titolo gratuito, anche per causa di morte, non si applica l’imposta sull’incremento di valore. Lo stesso trattamento è riservato all’imposta sostitutiva di quella comunale sull’incremento di valore degli immobili.
L’imposta sugli spettacoli non è dovuta per le attività spettacolistiche svolte occasionalmente dalle organizzazioni di volontariato in concomitanza di celebrazioni, ricorrenze o campagne di sensibilizzazione. Per ottenere l’esenzione è necessario dare comunicazione, prima dell’inizio della manifestazione, all’ufficio accertatore territorialmente competente.
Sono da considerarsi attività spettacolistiche:
– gli spettacoli cinematografici e misti di cinema e avanspettacolo, comunque ed ovunque dati, anche se in circoli e sale private;
– gli spettacoli sportivi di ogni genere, ovunque si svolgano, nei quali si tengano o meno scommesse;
– gli spettacoli teatrali; le esecuzioni musicali di qualsiasi genere, escluse quelle effettuate a mezzo di elettrogrammofoni a gettone o a moneta; i balli, le lezioni di ballo collettive, i veglioni e altri trattenimenti di ogni natura ovunque si svolgano e da chiunque organizzati; i corsi mascherati e in costume, le rievocazioni storiche, le giostre e tutte le manifestazioni similari;
– gli spettacoli teatrali di opere liriche, balletto, prosa, operetta, commedia musicale, rivista, concerti vocali e strumentali; le attività circensi e dello spettacolo viaggiante;
– gli spettacoli di burattini e marionette ovunque tenuti;
– le mostre e le fiere campionarie;
– le esposizioni scientifiche, artistiche e industriali, rassegne cinematografiche riconosciute con decreto del Ministero per le finanze e altre manifestazioni similari di qualunque specie.
Il Ministro delle finanze può stabilire, con proprio decreto, quando le suddette attività sono da considerarsi occasionali.
Le raccolte pubbliche occasionali di fondi non concorrono alla formazione del reddito delle organizzazioni di volontariato anche se esse avvengono mediante offerte di beni di modico valore o di servizi ai sovventori in concomitanza di celebrazioni, ricorrenze o campagne di sensibilizzazione.
Anche in questo caso, il Ministero delle finanze può stabilire, con proprio decreto, condizioni e limiti atti a definire occasionali le predette attività.
Non concorrono alla formazione del reddito i contributi corrisposti alle organizzazioni di volontario da amministrazioni pubbliche per lo svolgimento convenzionato di attività aventi finalità sociali esercitate in conformità ai fini istituzionali.
Altre agevolazioni
Tutti i vantaggi e le esenzioni finora segnalati sono riconosciuti dalla normativa nazionale. Ci sono, però, alcuni tributi che sono di pertinenza di comuni, provincia, regioni e province autonome. Per essi, i predetti enti possono prevedere la riduzione oppure, addirittura, l’esenzione. (Da ipfonlus.it)
IMU e ONLUS. Qual è la discrepanza tra Norme, Principi Costituzionali e pratica burocratica?
Il Dlgs 504/1992 (Riordino della finanza degli enti territoriali), al Titolo I, Capo I (Imposta Comunale sugli Immobili), art. 7 comma 1 lett. I (Esenzioni), recita: “Sono esenti dall'imposta:
a) gli immobili posseduti dallo Stato, dalle regioni, dalle province, nonchè dai comuni, se diversi da quelli indicati nell'ultimo periodo del comma 1 dell'articolo 4, dalle comunità montane, dai consorzi fra detti enti, dalle unità sanitarie locali, dalle istituzioni sanitarie pubbliche autonome di cui all'articolo 41 della legge 23 dicembre 1978, n. 833, dalle camere di commercio, industria, artigianato ed agricoltura, destinati esclusivamente ai compiti istituzionali;
(…)
i) gli immobili utilizzati dai soggetti di cui all'articolo 73, comma 1, lettera c), del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917,e successive modificazioni, fatta eccezione per gli immobili posseduti da partiti politici, che restano comunque assoggettati all'imposta indipendentemente dalla destinazione d'uso dell'immobile, destinati esclusivamente allo svolgimento con modalità non commerciali di attività assistenziali, previdenziali, sanitarie, di ricerca scientifica, didattiche, ricettive, culturali, ricreative e sportive, nonché delle attività di cui all'articolo 16, lettera a), della legge 20 maggio 1985, n. 222”. L'esenzione spetta per il periodo dell'anno durante il quale sussistono le condizioni prescritte (art. 7, comma 2 Dlgs 504/1992).
Per la legge di bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2020 e bilancio pluriennale per il triennio 2020-2022, n. 160/2019, nell'art. 1, comma 777. “Ferme restando le facoltà di regolamentazione del tributo di cui all'articolo 52 del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, i comuni possono con proprio regolamento: (…)
e) stabilire l'esenzione dell'immobile dato in comodato gratuito al comune o ad altro ente territoriale, o ad ente non commerciale, esclusivamente per l'esercizio dei rispettivi scopi istituzionali o statutari”.
Questa è una Interpretazione autentica: Proviene dallo stesso soggetto che ha emanato la norma, al fine di eliminare incertezze e dubbi. Essendo contenuta in un atto avente forza di legge è vincolante per tutti; alla norma in questione non sarà più attribuibile un significato diverso da quello fissato dalla legge interpretativa.
Questa è una interpretazione EVOLUTIVA E’ necessario interpretare una disposizione normativa non solo facendo riferimento al contesto passato in cui è stata emanata ma anche a quello attuale in cui è in vigore.
Cassazione civile, sezione lavoro, sentenza del 10.03.2020, n. 6752. E' bene al riguardo rammentare che l'attività ermeneutica, in consonanza con i criteri legislativi di interpretazione dettati dall'art. 12 preleggi, deve essere condotta innanzitutto e principalmente, mediante il ricorso al criterio letterale; il primato dell'interpretazione letterale è, infatti, costantemente ribadito dalla giurisprudenza di legittimità (vedi ex multis, Cass. 4/10/2018 n. 241651 , Cass. 21/5/2004 n. 97002 , Cass. 13/4/2001 n. 3495) secondo cui all'intenzione del legislatore, secondo un'interpretazione logica, può darsi rilievo nell'ipotesi che tale significato non sia già tanto chiaro ed univoco da rifiutare una diversa e contraria interpretazione. Alla stregua del ricordato insegnamento, l'interpretazione da seguire deve essere, dunque, quella che risulti il più possibile aderente al senso letterale delle parole, nella loro formulazione tecnico giuridica.
L’Intenzione del legislatore è chiara, ma racchiusa in quella deleteria delega agli enti locali, che sistematicamente disapplicano lo scopo ed i principi della legge.
Inoltre la mancata applicazione dell’art. 1, comma 777, della legge 160/2019 comporta la violazione dell’art. 3 della Costituzione. L’ampia discrezionalità concessa ai singoli Comuni circa la possibilità di esentare da IMU – o meno – gli immobili concessi in comodato unita all’assenza di criteri univoci utili a garantire un trattamento di eguaglianza nei confronti degli enti interessati, potrebbe portare disparità di trattamento - verso gli immobili concessi in comodato - per i diversi contribuenti che risiedono all’interno di un raggio territoriale limitato a pochi km di distanza l’un l’altro, ovvero ad eventuali calcoli di convenienza tra le parti nello svolgere le proprie attività in territori comunali con immobili ad “esenzione garantita” a favore del comodante, verso il quale sarebbe auspicabile un chiarimento sia a livello legislativo, oltre che di prassi, al fine di evitare il proliferarsi di eventuali contenziosi nei confronti dei Comuni interessati a non concedere il beneficio agevolativo di esenzione in parola.
Si denota con stupore che, se da una parte le commissioni tributarie ed il Ministero dell'Economia e Finanze si esprimono in ossequio ai principi del legislatore del 1992, prevedendone la dicotomia POSSESSO ED UTILIZZO, la Corte Costituzionale e la Corte di Cassazione se ne discostano, riconoscendo l'esenzione solo a quei "No Profit" che oltre ad essere utilizzatori siano anche possessori.
Va da sè che termine più aleatorio nel diritto civile è quello del POSSESSO, ma in questo caso si intende PROPRIETA' O USUFRUTTO, e non COMODATO. Il Legislatore, con la sua profonda saggezza, ha insistito sul punto, in ossequio ai fini solidaristici costituzionali.
A tal riguardo, di contro, la Deliberazione del Consiglio Comunale di Avetrana con oggetto l'approvazione del Regolamento per l’applicazione dell’Imposta municipale propria IMU del 15/06/2012, nell'art. 5 (Immobili utilizzati dagli enti non commerciali), discostandosi dai principi previsti dal legislatore, recita “L'esenzione prevista dall'art. 7, comma 1, lettera i) del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, si applica soltanto ai fabbricati ed a condizione che gli stessi, oltre che utilizzati, siano anche posseduti dall’ente non commerciale utilizzatore”.
Giunte di destra e di sinistra si sono succedute. Ma ad Oggi le Avetrana di tutta Italia non hanno nessuna intenzione di allargare le magie dell’esenzione.
Sul tema è intervenuta anche la giurisprudenza che, discostandosi dai principi previsti dal legislatore, ha circoscritto l’ambito applicativo dell’esenzione ai soli immobili che risultano posseduti ed utilizzati allo stesso tempo dall’ente non commerciale.
Con le ordinanze 19.12.2006 n. 429 e 26.1.2007 n. 19, la Corte costituzionale ha dichiarato manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 59 co. 1 lett. c) del DLgs. 15.12.97 n. 446, in relazione all’art. 7 co. 1 lett. i) del DLgs. 30.12.92 n. 504. Secondo la Consulta, tale disposizione non innova la disciplina dei requisiti soggettivi richiesti dalla richiamata lett. i), in quanto “l’esenzione deve essere riconosciuta solo all’ente non commerciale che, oltre a possedere l’immobile, lo utilizza direttamente per lo svolgimento delle attività ivi elencate”.
La Corte di Cassazione, in più sentenze, ha espressamente subordinato il riconoscimento del diritto all’esenzione alla duplice condizione soggettiva che l’ente non commerciale possieda ed utilizzi l’immobile; e tale orientamento troverebbe fondamento nella “costante giurisprudenza di questa Corte” che in materia duplice condizione “dell’utilizzazione diretta degli immobili da parte dell’ente possessore e dell’esclusiva loro destinazione ad attività peculiari che non siano produttive di reddito”.
Chiarimenti sono pervenuti anche dall’Amministrazione finanziaria. La circolare Min. Economia e Finanze 26.1.2009 n. 2/DF si è limitata a richiamare le ordinanze della Corte Cost. 19.12.2006 n. 429 e 26.1.2007 n. 19, ravvisandovi elementi atti a sostenere che l’esenzione “deve essere riconosciuta solo all’ente non commerciale che, oltre a possedere l’immobile, lo utilizza direttamente per lo svolgimento delle attività … elencate” alla lett. i) dell’art. 7 co. 1 del DLgs. 504/92. Nello stesso senso si è espressa anche la ris. Min. Economia e Finanze 4.3.2013 n. 4/DF che ha ritenuto applicabili all’IMU le sopra richiamate sentenze della Corte costituzionale, oltre alla Cass. 30.5.2005 n. 11427.
Di senso opposto ed in ossequio ai principi previsti dal legislatore, si è conformata la giurisprudenza prevalente successiva. Si sta formando in giurisprudenza un indirizzo per cui l’esenzione da Imu e Tasi non spetta solamente ai soggetti che utilizzano direttamente l’immobile per il soddisfacimento dei propri fini istituzionali, ma anche a coloro che concedono in uso gratuito lo stesso immobile a realtà che lo utilizzano nel perseguono delle medesime finalità istituzionali del soggetto concedente.
Con riferimento al vincolo dell’utilizzo “diretto” dell’immobile, quale requisito inderogabile per riconoscere l’esenzione, recente giurisprudenza sta mettendo in crisi tale concetto, riconoscendo il beneficio anche nei casi in cui lo stesso immobile sia stato concesso in comodato a soggetti che, a loro volta, lo utilizzano per il perseguimento dei propri fini istituzionali, anch’essi meritevoli di tutela. L’esenzione spetta anche per gli immobili in comodato.
La gratuità del comodato giustifica l'esenzione dal pagamento dell'Imu per gli enti non commerciali che svolgono attività meritevole. Questa la conclusione "progressista" cui giunge il Mef nella risoluzione 4DF del 4.3.2013. Nella risoluzione 4/DF del 4.3.2013, il Mef tratta il caso di un ente non commerciale che concede in comodato gratuito un immobile di sua proprietà ad un altro ente non commerciale, per lo svolgimento di attività meritevoli. Il Mef stravolge l'orientamento prevalente della Corte di Cassazione e della Corte costituzionale, che hanno da sempre richiesto la coincidenza soggettiva tra proprietario e utilizzatore dell'immobile, sostenendo che ciò che conta è la gratuità della concessione, e quindi la non formazione di reddito in capo all'ente. Secondo alcune pronunce della Corte Costituzionale e della Corte di Cassazione, l'esenzione per gli enti non commerciali si applica a condizione che l'immobile sia posseduto e utilizzato per attività meritevoli (articolo 7 comma 1 letera i del D.lgs. 504/1992) direttamente dallo stesso ente non commerciale, circostanza che non avviene in caso di concessione in comodato ad un altro ente non commerciale. Per attività meritevoli si intendono quelle assistenziali, previdenziali, sanitarie, didattiche, ricettive, culturali, ricreativi, sportive, di religione e di culto.
In netto contrasto con questa soluzione il Ministero, nella risoluzione 4/DF, conclude affermando che l'esenzione Imu si applica nel caso di immobili concessi in comodato a titolo gratuito ad altri enti dello stesso tipo. Secondo il Mef, infatti, l'elemento decisivo per l'applicazione o meno dell'Imu è la presenza di un reddito determinato dall'immobile, che nel caso del comodato a titolo gratuito non sussiste.
A sostegno di questa tesi, nella risoluzione si richiama la sentenza n. 11427/2007 della Corte di Cassazione che ha trattato il caso di un immobile dato in locazione. Anche in questo caso si verificava la non coincidenza tra soggetto proprietario e soggetto utilizzatore dell'immobile, che secondo il principale orientamento della giurisprudenza escludeva l'applicabilità dell'esenzione. In tale sentenza però la Corte di Cassazione, esclude l'applicabilità dell'esenzione per il fatto che la locazione determinava un reddito in capo all'ente, indice di una determinata capacità contributiva, non idonea a giustificare l'agevolazione.
Nel caso del comodato gratuito, invece, a differenza della locazione non si genera alcun reddito in capo all'ente, e pertanto l'esenzione si applica.
Ovviamente l'ente utilizzatore non deve pagare l'Imu perché non è soggetto passivo, ma deve fornire all'ente non commerciale che gli ha concesso l'immobile, tutti gli elementi necessari per consentirgli l'esatto adempimento degli obblighi tributari sia di carattere formale che sostanziale.
D'altra parte l'orientamento "elastico" del Mef è da apprezzare, considerando che ha voluto cogliere la ratio più profonda della norma. L'esenzione, infatti, è il giusto riconoscimento del valore sociale apportato dagli enti no profit attivi in settori particolarmente delicati della vita dei cittadini. È proprio il carattere non lucrativo l'elemento che giustifica l'esenzione, e che tra l'altro, esprimendosi in termini di umanizzazione, costituisce un "ritorno" nelle tasche dei cittadini. E' pertanto la natura del contratto di comodato e la sua non onerosità a consentire al ministero di giustificare l'esenzione Imu. Restano ovviamente soggetti a tassazione gli immobili locati in quanto l'affitto rappresenta un reddito e una fonte di ricchezza che è oggettivamente incompatibile con gli obiettivi che le norme sull'esenzione dall'Imu tutelano.
Peraltro l’Amministrazione Finanziaria, contrariamente a quanto affermato dalla su indicata giurisprudenza, con le Risoluzioni n. 3 e 4 del 4 marzo 2013 ha chiarito che un ente commerciale che conceda in comodato un immobile ad un altro ente non commerciale per l’esercizio di attività non commerciale gode ugualmente dell’esenzione IMU.
È infatti con la sentenza n. 3528/2018 che la suprema Corte di Cassazione ha stabilito che gli enti non commerciali non sono esonerati dal pagamento delle imposte locali per il fatto di essere accreditati o convenzionati con la pubblica amministrazione. La sottoscrizione di una convenzione con l’ente pubblico, quindi, non garantisce che l’attività venga svolta in forma non commerciale e che i compensi richiesti siano sottratti alla logica del profitto. In tutte queste situazioni, pertanto, al fine di valutare l’esenzione, si dovranno verificare con molta attenzione le caratteristiche dell’attività svolta dall’ente non commerciale, non essendo sufficiente limitarsi alla verifica dell’esistenza di una convenzione con la pubblica amministrazione. In sintonia con l’ultima sentenza citata anche l’ordinanza n. 10754/2017 con la quale, sempre la Cassazione, ha affermato che le scuole paritarie sono soggette al pagamento dei tributi locali, e quindi non godono dell’esenzione, se l’attività non viene svolta a titolo gratuito o dietro richiesta di una somma simbolica.
In condizioni normali, dopo l’istanza in autotutela, rigettato, e dopo il reclamo-ricorso, rigettato, si potrebbe agire in giudizio presso la Commissione Tributaria Provinciale, ove si ponesse fiducia nel giudice illuminato e preparato sicuri della vittoria. Però il Comune di Avetrana, nella persona del Dr Mazza ha voluto precisare: “difenderemo gli interessi comunali in ogni stato e grado del giudizio. L’eventuale costituzione in giudizio comporta il pagamento del contributo unificato. Inoltre, la parte che perde in giudizio può essere condannata al rimborso delle spese sostenute dalla controparte, maggiorate del 50% a titolo di spese del procedimento di mediazione".
Ciò significa che trovato il giudice illuminato a Taranto, ritrovato un ulteriore giudice illuminato a Bari, per forza di cose ci ritroviamo a Roma dove gli ermellini si guarderebbero bene a rinnegare i loro precedenti.
Quindi il novello Davide “Antonio Giangrande”, pur in una famiglia di avvocati e con pochezza di risorse, contro il Golia “Comune di Avetrana”, con risorse comunali illimitate, pur nella ragione, soccomberebbe.
Gli avversari troppo forti, quali sono la burocrazia e la giurisprudenza.
Il legislatore inane, che in assenza di una politica rappresentativa degli interessi diffusi, che non afferma i suoi principi e metta fine a questa sperequazione, favorisce l’intimazione, l’oppressione e l’omertà.
Ergo: Dr Antonio Giangrande, paga, subisci e taci!
Dr Antonio Giangrande
Erario e Inps spietate: Amatrice paghi 90mila euro. Felice Manti il 19 Dicembre 2022 su Il Giornale.
Maxi cartella esattoriale, il sindaco: contributi in ritardo, ma non c'era neanche la carta
La lotta (sbagliata) contro i contribuenti lascia solo macerie. Lo Stato batte cassa ad Amatrice, vuole qualche spiccio (90mila euro con gli interessi) e minaccia di fermare la ricostruzione del paese devastato dal terremoto del 24 agosto 2016. L'accanimento di Agenzia delle Entrate e Inps impavidamente denunciato dal sindaco del comune laziale Giorgio Cortellesi ieri sul Messaggero lascia senza parole. Con una raccomandata l'Erario ha chiesto ad Amatrice di versare 43mila euro per sanzioni e interessi per il ritardato pagamento delle ritenute Irpef del 2016 che l'amministrazione aveva versato solo nel settembre del 2018, in ritardo di un annetto. Chiariamo bene: l'amministrazione allora in carica era riuscita con mille acrobazie a pagare regolarmente gli stipendi ma non era riuscita a pagare i cosiddetti contributi Cpdel e Inadel dei propri dipendenti per due mesi: agosto e settembre 2016. «Non avevamo carta e penna, neanche il telefono, abbiamo pagato tutti i contributi ma in ritardo». Ma le sanzioni no. Lo scorso 3 febbraio anche l'Inps era arrivata a battere cassa: 50mila euro, il conto salatissimo della condanna definitiva, di cui almeno 40mila tra sanzioni e interessi per una «inadempienza contributiva» che risale al periodo del sisma. «Un'ingiustizia perpetrata a nostri danni», dice Cortellesi, che rivela come Inps e Entrate abbiano ulteriormente sollecitato il pagamento, per evitare sanzioni più alte di un terzo.
Inutile il fittissimo scambio epistolare tra il Comune di Amatrice e l'Inps diretta dal grillino Pasquale Tridico per chiarire alcuni aspetti interpretativi della norma. L'istituto di previdenza «incurante delle nostre osservazioni e delle nostre criticità (una comunità in difficoltà economica e strutturale), ha continuato a pretendere anche gli interessi (circa 40mila euro)», dice la nota del Comune. Anzi, urla Cortellesi: «Nell'ultima lettera dell'Istituto del 19 novembre dello scorso anno, a firma del dirigente Filippo Pagano, si ribadiva il diktat, col ricatto della concessione del Durc (che vincola le attività amministrative alla regolarità dei versamenti, pena il blocco delle attività)». Una sorta di ricatto, quello di Inps ed Erario: pagate o i lavori della ricostruzione si fermano. Un diktat in nome di una spietata interpretazione del Decreto legislativo numero 165 del 2001 e soprattutto del decreto Mef del 2016, che prevede l'esenzione degli interessi unicamente ai privati, i quali «a differenza delle amministrazioni pubbliche, non dispongono di sufficienti risorse per fronteggiare le emergenze originate dall'evento sismico». Una motivazione cieca, burocratica e paradossale che - guarda caso - hanno sollevato sia l'Agenzia delle Entrate che l'Inps. E che discrimina città come Amatrice che fa ancora fatica a rialzarsi in piedi. «Un incubo, una vergogna e una persecuzione», dice il sindaco. Servirebbe un terremoto per cacciare chi si è reso responsabile di questa cieca riscossione.
Il POS.
Danimarca, rapinatori di banca (e cassieri) senza lavoro: sono spariti i contanti. Michele Farinadi su Il Corriere della Sera il 4 Gennaio 2023.
Nel 2022 neanche un assalto (erano oltre 200 vent’anni fa). «Il motivo? Quasi il 90% delle transazioni avviene con carte o con bonifico». Invece i furti in casa sono migliaia
Zero rapine in banca (ma tanti furti in casa): fa il giro del mondo la notizia sul nuovo record della Danimarca, dove nel 2022 neanche uno straccio di rapinatore si è presentato agli sportelli delle 800 filiali del Paese per reclamare un pur misero malloppo. Non c’è più la volontà di rubare? No, sono scomparsi i soldi.
Sportelli
Vero è che le agenzie con personale addetto alle operazioni di deposito e prelievo sono ormai una ventina in tutto il Paese (a fronte di duemila sportelli automatici). E che i sistemi di sicurezza (telecamere etc) sono migliorati rispetto al passato. Ma la ragione principale di questa scomparsa progressiva (nel 2021 soltanto una banca lassù era stata violata) è a monte: la scomparsa del denaro contante. Lo ha confermato a Usa Today Michael Busk-Jepsen responsabile digitalizzazione di Finance Denmark, l’agenzia che ha diffuso i dati sulle (non)rapine. Se non ci sono più i cassieri (e i rapinatori sono disoccupati) «è perché gran parte dei pagamenti avviene con carte o altri mezzi elettronici».
Un Paese con 6 milioni di abitanti e un Pil di 400 miliardi di dollari (circa un quinto di quello italiano) vive senza soldi in tasca: secondo i dati della Banca Centrale danese, soltanto il 12% delle transazioni è in contanti (nel 2017 era il 23%).
Chi festeggia
Festeggia l’associazione dei bancari e (naturalmente) i loro clienti: nel 2000 le rapine erano state 221. Discesa costante: dal 2017 meno di dieci all’anno, fino allo zero di oggi. Plaudono ammirati i sostenitori di un mondo senza cash, con Beppe Grillo che nel suo blog invita l’Italia a fare come la Danimarca. Da noi soltanto il 28% dei cittadini dichiara di non usare mai o quasi mai il contante (in Gran Bretagna il popolo cashless è il 57%, negli Usa il 47%, in Francia il 44%).
E i colpi in banca? In Italia nel 2021 sono calati a 87 rispetto ai 119 dell’anno precedente. Nello stesso periodo negli Usa sono aumentati, per un totale di 1.724 rapine (più 224 sul 2020).
Topi di appartamento
Banche sicure, ma ancora tanti topi di appartamento. La Danimarca è all’ottavo posto nel mondo (e terza in Europa, dopo Grecia e Svezia) per furti nelle case: 694 ogni 100 mila abitanti (in Italia 274, in Scozia solo 8) secondo il rapporto mondiale stilato dalla compagnia Budget Direct e riferito al 2021. Anche qui i danesi registrano un calo costante: da 93.000 furti nel 2011 a 30 mila nel 2021. Soltanto nel 15% dei casi i ladri sono stati beccati: qualche maligno a Copenaghen sostiene che là le forze dell’ordine si occupano più di evasori fiscali che di (altri) ladri.
Pos e commissioni: quali sono i veri costi per gli esercenti. Milena Gabanelli e Francesco Tortora su Il Corriere della Sera il 19 Dicembre 2022.
Il Pos è diventato un problema. Chi lo avrebbe mai detto! Parliamo del dispositivo che permette di accettare pagamenti elettronici reso obbligatorio dal governo Monti nel 2012. Da allora la lamentela degli esercenti è sempre la stessa: commissioni troppo care! Ed era vero, soprattutto per i piccoli commercianti, ma negli ultimi 5 anni sono entrati nel mercato tanti nuovi operatori e i costi si sono più che dimezzati. Inoltre l’obbligatorietà non impone agli esercenti di accettare tutte le carte in circolazione, basta anche solo il bancomat, che ha le commissioni più basse, più una carta di credito. Allora vediamo i costi imposti dalla filiera di pagamento e quanto incidono sull’incasso di un piccolo esercente.
Chi si spartisce le commissioni
I pagamenti con moneta digitale sono un servizio e come tale hanno dei costi che l’intera filiera scarica sull’esercente. Ogni singola transazione viene spartita fra tre soggetti:
1) la banca che emette la carta di credito o di debito trattiene lo 0,2% per le transazioni con carta di debito o bancomat e lo 0,3% per quelle su carta di credito;
2) il circuito su cui si appoggia la carta (PagoBancomat, Maestro, Visa, MasterCard, American Express), cioè il gestore dell’infrastruttura che mette in comunicazione il Pos con la banca, si prende una commissione che va dallo 0,2% per la carta di debito o bancomat (in questo caso il circuito deve verificare che quei soldi sul conto ci siano e che non sia stato superato il plafond ) fino allo 0,5% per la carta di credito perché il circuito si assume il rischio che a tempo debito i soldi sul conto non ci siano;
3) il Pos, cioè la macchinetta che legge quella carta, e se è tutto a posto dà l’ok. La banca o l’operatore che gestisce il pagamento per l’esercente applica una commissione che va dallo 0,3 allo 0,4%.
Tirando le somme: la media per i pagamenti con carta di debito o bancomat è dello 0,7%. Fino alla fine del 2023 PagoBancomat ha azzerato tutte le commissioni sotto i 5 euro. Vuol dire che la colazione al bar pagata con bancomat non ha nessun costo per il barista. Invece le commissioni delle carte di credito viaggiano mediamente sull’1,2%. Significa che su un conto di 20 euro in pizzeria il margine per l’esercente viene eroso di 24 centesimi. A tutto questo bisogna poi aggiungere il canone per l’uso del Pos, in media 14 euro al mese. In realtà può essere ben più basso o ben più alto, dipende da quanto è tecnologica la macchinetta.
Il Pos si può acquistare o noleggiare: secondo uno studio presentato nel 2022 dall’Osservatorio «ConfrontaConti.it e Sostariffe.it» negli ultimi 5 anni i costi per acquistare un Pos sono crollati del 66,5%. Oggi la spesa media è di 22,82 euro contro i 61,74 del 2017. La differenza fra l’acquisto e il noleggio non è di poco conto: se è di tua proprietà devi farti carico degli interventi di manutenzione, se è noleggiato ci pensa l’operatore e di solito in tempi più rapidi.
Le offerte delle banche
Quello dei pagamenti digitali è un mercato dove c’è molta concorrenza e dove proliferano le offerte: dipende dal business che fai e da quanti clienti ti vuoi tenere. Banca Intesa propone zero commissioni per i micropagamenti sotto i 15 euro e offre una percentuale media dell’1% per pagamenti sui circuiti Bancomat, Maestro, Visa, MasterCard e American Express, con canone mensile per il Pos fisso a partire da 8 euro (canone gratis per il Pos mobile). UniCredit fa pagare una commissione unica dello 0,9%, ma sotto i 10 euro le commissioni sono zero e il canone mensile è di 2,90 euro. Banca Sella propone commissioni dello 0,45% su circuito PagoBancomat e dello 0,95% sui principali circuiti internazionali e canone di 6 euro a seconda del terminale installato. Commissioni identiche le applica Banca Popolare di Milano, mentre il canone mensile parte da 10 euro ed è gratis il primo mese. Poi c’è Nexi, la più grande piattaforma italiana di gestione dei pagamenti digitali: fornisce servizi a quasi tutte le banche, ma anche offerte per gli esercenti. Con la «Nexi Start» non si pagano commissioni per i micropagamenti sotto i 10 euro e fino a 1.000 euro di transato al mese (superata la soglia si passa ad una percentuale fissa dell’1,2%).
Se una piccola panetteria con un incasso annuo di 70 mila euro volesse per esempio utilizzare questa offerta a fine anno pagherebbe di commissioni e noleggio Pos circa 254 euro.
Piattaforme e applicazioni
Tra le piattaforme digitali c’è il servizio Pos di Axerve, che propone un’offerta senza commissione con canone mensile tra 17 e 22 euro fino a 30 mila euro d’incassi all’anno, oppure una promozione senza canone con tutte le commissioni all’1%, e per l’attivazione del servizio è prevista un’imposta di bollo di 16 euro. Poi c’è la app di pagamento Satispay: offre commissioni zero sotto i 10 euro e per tutti gli altri importi 20 centesimi a transazione che incassa un solo soggetto perché viaggia su un suo circuito privato che l’esercente deve avere, e comunica via smartphone e non via Pos. Lo stesso discorso vale per Tinaba: si appoggia a un conto corrente di Banca Profilo, zero commissioni e zero canone per l’esercente che condivide l’applicazione.
La riluttanza dei tassisti
È la categoria che si lamenta di più, e non è raro incappare nel tassista che senza remore ti dice subito «non prendo carte». Chi tende a fare poche transazioni sceglie le offerte senza canone mensile, però poi le commissioni possono arrivare anche al 2,5%. Tuttavia, nella maggior parte dei casi le loro cooperative riescono a contrattare buone commissioni. A Milano il più grande consorzio di tassisti che con «Taxi Blu 024040» gestisce circa 1.900 auto offre ai propri associati in comodato d’uso un Pos per 15 euro al mese. Mentre l’accordo con Axepta (gruppo Bnp Paribas) prevede commissioni dello 0,37% su circuito PagoBancomat e lo 0,7% per le carte di credito Visa e MasterCard. Per American Express la percentuale sale a 1,5%. A Roma il presidente della Cooperativa RadioTaxi 3570, che conta 3.600 tassisti, dichiara di aver sottoscritto un accordo con la piattaforma di pagamenti elettronici londinese MyPOS: le commissioni vanno dallo 0,5% per i bancomat all’1,5% per le carte di credito europee.
Tradotto: su una corsa da 20 euro con carta di credito Ue sono 30 centesimi, con bancomat sono 10 centesimi
Certo poi ci sono quelle collegate a carte aziendali o extraeuropee, e i rarissimi casi raggiungono anche il 3%, ma sono solo l’1% del totale, e nel tragitto dall’aeroporto dove la tariffa fissa è di 60 euro.
Gli incentivi dei governi
Per incentivare l’uso dei Pos e di conseguenza abbassare le commissioni, nella finanziaria del 2018 il governo Gentiloni ha introdotto un credito d’imposta del 50% per i benzinai, categoria che ha scarsi margini di guadagno (3,5 centesimi a litro). A ottobre 2019, il governo Conte II ha esteso il credito d’imposta al 30% su tutte le transazioni cashless per gli esercenti con ricavi annui sotto i 400 mila euro. Ed è tuttora in vigore. Draghi, con il decreto fiscale 99/2021, ha portato il credito d’imposta al 100% per le transazioni effettuate tra il primo luglio 2021 e il 30 giugno 2022, ed ha lanciato il bonus Pos, credito d’imposta fino a 320 euro per i commercianti che acquistavano «smart POS» con memorizzazione e trasmissione telematica dei pagamenti elettronici. Il governo Meloni, a parte il bonus 50 euro destinato agli esercenti che acquistano registratori di cassa telematici a partire dal 2023 (Decreto Aiuti Quater), ha invece tentato un ritorno al cash inserendo nella bozza della legge di bilancio (art.69) la possibilità di rifiutare pagamenti con carta sotto i 60 euro. Tanto rumore per nulla: ora la norma è saltata. Anche perché l’esercente non ha alcun interesse a perdere clienti che non hanno contanti in tasca.
Europa: dove si paga di più
Strano ma vero: in Norvegia dove il 56% degli acquisti si fa con carta le commissioni sono le più alte d’Europa, l’1,5%. Nel Regno Unito è usata nel 66% dei casi, e le commissioni sono allo 0,8%. Dall’analisi di Bankitalia e Prometeia, su dati relativi al 2021, emerge che Italia, Francia e Spagna hanno le commissioni medie più basse e rispettivamente dello 0,7% (Italia) e 0,4%.
La spiegazione sta nel fatto che in questi tre Paesi è più elevata la presenza della grande distribuzione: facendo enormi volumi, il circuito di gestione dei pagamenti applica commissioni molto basse, che vanno poi ad incidere sulle medie nazionali
Eppure le transazioni cashless in Francia sono il 48%, in Spagna il 34%, in Italia il 32%. Dopo di noi la Germania, con il 23% e un costo medio in commissioni dell’1,3%, proprio perché la grande distribuzione è meno radicata, ma anche l’uso dei pagamenti digitali.
Il costo del contante
Per un commerciante che non voglia evadere è più conveniente incassare contanti o moneta elettronica? Da un punto di vista della sicurezza è noto che meno cash c’è in cassa, più basso è il rischio rapina. Poi c’è il tempo, quello che serve per preparare la distinta dei contanti da andare a depositare nelle casse continue della banca (gli sportelli automatici sono sempre meno). Un’operazione che la banca ogni volta ti fa pagare. Quel contante la banca lo deve rendicontare, e poi sostenere i costi del trasporto valori e assicurazione per mandarlo alla sua sede centrale, da dove verrà trasportato al caveau di Banca d’Italia. Il costo finale che la banca scarica sul proprio cliente è dell’1%.
Inoltre la normativa antiriciclaggio prevede che se in un mese superi i 10 mila euro di deposito in contanti puoi aspettarti una visita della guardia di finanza. A conti fatti i vantaggi per l’esercente stanno a zero. Gli svantaggi invece per il sistema Paese sono devastanti: il cash è il motore dell’economia sommersa che secondo l’ultimo rapporto Istat supera i 157 miliardi di euro.
La babele delle commissioni sui pagamenti digitali. Ogni istituto bancario pone condizioni differenti: dallo 0,9 all'1,8%. L'opzione delle app. Gian Maria De Francesco il 19 Dicembre 2022 su Il Giornale.
«Se non ci sono i margini» di trattativa con la Commissione Ue per togliere l'obbligo di accettare il Pos sotto i 60 euro, «ci inventeremo un altro modo per non far pagare agli esercenti le commissioni bancarie sui piccoli pagamenti». Il premier Giorgia Meloni intende, comunque, trovare un modo di alleviare i costi delle transazioni telematiche.
Ma a quanto ammontano queste spese? Il costo applicato agli esercenti dai principali operatori tradizionali in Italia si aggira attorno all'1 per cento (0,8% medio per il bancomat). La grande distribuzione organizzata, per via della natura del business, ottiene condizioni molto migliori. Secondo un'analisi dell'Osservatorio Innovative Payments del Politecnico di Milano, le commissioni variano a seconda delle banche e «si attestano tra lo 0,9% e l'1,8%». In base ai dati raccolti dal Politecnico e tarati su una commissione media dell'1,5%, per un acquisto di 30 euro pagato con moneta elettronica l'esercente versa alla banca 45 centesimi. I 60 euro ipotizzati inizialmente dal governo come soglia di non punibilità per il mancato utilizzo del Pos sarebbero costati 90 centesimi. Bisogna considerare che, sempre secondo il Politecnico, il costo di gestione del contante è di circa l'1,1% a transazione, dunque i «famosi» 60 euro pagati cash finiscono con il comportare una spesa per l'esercente di 66 centesimi.
Le banche potrebbero fare qualcosa di più? Nel 2021, secondo i dati della Banca d'Italia, i Pos installati e attivi erano 4,2 milioni a fronte di 106 milioni di carte di credito e debito. Il 38% del totale dei pagamenti dell'anno scorso (pari a 806 miliardi di euro) è stato regolato con un pagamento elettronico. L'Ue ha tagliato le commissioni interbancarie allo 0,2% quando si usa il bancomat e allo 0,3% per le carte di credito o debito. Ma, considerati i costi commissionali medi e tenuto conto che i circuiti internazionali Visa e Mastercard prelevano lo 0,54%, la differenza è appannaggio degli intermediari finanziari che, tuttavia, devono sostenere i costi di gestione del circuito dei pagamenti elettronici. Né si può accusare le nostre banche di essere «avide» giacché le commissioni applicate sono inferiori alla media europea (1,1-1,2%) e addirittura la metà di quelle statunitensi (2%) dove gli e-payment sono una tradizione consolidata. È chiaro che la differenza la fa il carico fiscale che in Italia si subisce e che rende prezioso anche il risparmio di un centesimo. Va detto che molti commercianti si lamentano per lo sfasamento temporale tra transazione e incasso che richiede in genere 1-2 giorni lavorativi anche se le nuove tecnologie (come Satispay che collega all'App il conto corrente) rendono il bonifico quasi immediato.
Cosa potrà fare il governo Meloni? Sostanzialmente connettere l'obbligo di utilizzo del Pos alla possibilità di detrarre le commissioni alzando la soglia di detraibilità che da luglio scorso è passata dal 100% al 30 per cento. Nel frattempo ci si potrà «attrezzare» aderendo alle offerte dei principali istituti bancari del Paese che per incentivare la clientela business in molti casi hanno abbassato significativamente sia i canoni di noleggio dei Pos che i costi di attivazione. Ci sono poi i dispositivi che si acquistano e non hanno canone anche se il livello commissionale è più elevato.
Il Patto di Stabilità.
Patto di stabilità: cos'è e cosa contiene. La Commissione Ue ha deciso di sospendere il Patto di stabilità e crescita: tra i pilastri della politica di bilancio Ue, ecco a cosa serve. Marianna Piacente su Notizie.it il 26 Aprile 2023
Tra i pilastri su cui si regge la politica di bilancio dei Paesi dell’Unione europea c’è il Patto di stabilità e crescita. La Commissione Ue ha deciso di sospenderlo: si tratta di una decisione senza precedenti.
Patto di stabilità, cos’è?
Il Patto di stabilità e crescita (Stability and Growth Pact) è un accordo tra i Paesi membri dell’Unione europea. I suoi parametri di bilancio si basano principalmente su due cardini: il deficit pubblico – la differenza tra entrate e uscite, comprese le spese per interessi – non deve superare il 3% del Pil e il debito pubblico non deve superare il 60% dello stesso. La maggior parte degli Stati membri è molto lontana da questo secondo punto. Per questo il Patto prevede, diversamente, la necessità di dimostrare «un calo a un ritmo soddisfacente», ovvero che «il divario tra il livello del debito di un Paese e il riferimento del 60% deve essere ridotto di un ventesimo all’anno» (come media triennale).
Patto di stabilità, a cosa serve?
Come spiegato dalla Commissione europea, le norme del Patto di stabilità e crescita «mirano a evitare che le politiche di bilancio vadano in direzioni potenzialmente problematiche e a correggere disavanzi di bilancio o livelli del debito pubblico eccessivi». In altri termini, si tratta di un piano pensato per evitare che gli squilibri interni e la mancanza di rigore di un singolo Paese possano mettere a rischio la tenuta sua e dell’Ue. La Commissione europea ha il potere di avviare una procedura di infrazione se i limiti del Patto di stabilità non vengono rispettati: quando il deficit si avvicina al 3% al Paese membro viene inviato un primo avvertimento. Quando il tetto viene sforato, all’avviso segue una serie di raccomandazioni che mirano a far calare il rapporto deficit/Pil. Se poi le misure intraprese dal Paese sotto esame sono considerate soddisfacenti, la procedura di infrazione viene sospesa nell’attesa di un rientro sotto il tetto. Altrimenti lo Stato si espone a rischio sanzione.
Estratto dell’articolo di Lorenzo Bini Smaghi per il “Corriere della Sera” il 28 gennaio 2023.
La discussione sulla riforma del Patto di Stabilità, avviata nei giorni scorsi in ambito europeo, rischia di mettere l’Italia in una posizione difficile. Sebbene vi sia un certo consenso sulla necessità di modificare il sistema vigente, che è stato temporaneamente sospeso con la pandemia, le proposte di riforma […] suscitano notevoli perplessità, dal punto di vista sia tecnico sia politico. […] ci sono almeno quattro motivi di preoccupazione.
Il primo riguarda l’ambito di applicazione della nuova procedura. La sorveglianza viene d’ora in poi esercitata principalmente nei confronti dei paesi con debito ritenuto «ad alto rischio». Non vi sono dubbi che l’Italia, con un debito pari a circa il 145% del Pil, faccia parte di questo gruppo, insieme alla Grecia. Non è invece chiaro quale altro paese verrà considerato nella stessa categoria. […] se venisse recepita la proposta di cambiamento, il nuovo Patto di Stabilità rischia di essere applicato soprattutto all’Italia.
[…] Il secondo motivo di preoccupazione riguarda il tacito spostamento di poteri e di competenze all’interno dell’Unione europea. Alla Commissione europea viene infatti attribuito il potere di definire, in base ad un algoritmo, i confini del percorso di riduzione del debito pubblico per un periodo di 4-7 anni. Di fatto, la Commissione acquisisce un potere di co-decisione di alcuni parametri fondamentali di politica economica per alcuni stati membri, tra cui l’Italia.
Una tale evoluzione rischia di ampliare ulteriormente il deficit democratico dell’Unione, rafforzando gli argomenti dei sovranisti antieuropei. Se si vuole aumentare i poteri di alcune istituzioni europee, sarebbe meglio farlo in modo esplicito e trasparente, con modifiche del trattato e rispettando i relativi pesi e contrappesi democratici.
Il terzo motivo di preoccupazione riguarda l’imposizione di un tetto pluriannuale alla spesa pubblica. Vengono escluse dal vincolo solo gli interessi sul debito e i sussidi alla disoccupazione. Questo sistema rischia di penalizzare paesi come l’Italia, che non hanno adeguati ammortizzatori sociali e tendono a contrastare gli effetti negativi del ciclo con misure di bilancio discrezionali. Ad esempio, misure di sostegno alle famiglie, simili a quelle adottate dai recenti governi per far fronte al caro energia, non sarebbero più consentite senza un pari aumenti di tasse.
L’ultimo motivo di preoccupazione riguarda il rafforzamento del sistema di sanzioni, nel caso in cui un paese ad alto debito non si allineasse alle richieste della Commissione. Si prevede infatti la possibilità di bloccare l’erogazione dei fondi del Next Generation EU, che interessa principalmente l’Italia, che è il maggior beneficiario di tali fondi. […] la proposta della Commissione […] Rischia […] di creare ulteriori distorsioni e di rafforzare le posizioni di chi critica l’Unione europea per indebita ingerenza […]
la necessità di ridurre ogni anno il debito di 1/20mo dell’eccesso rispetto alla soglia del 60% iscritta nel trattato – che per l’Italia significa un calo di oltre 4 punti percentuali annui – appare irrealistico e non giustificato. Basterebbe tuttavia modificare quel parametro, ad esempio dimezzandolo, per correggere l’eccesso senza stravolgere l’intero impianto. […]
Il MES.
(ANSA il 22 giugno 2023) Matteo Salvini ribadisce il suo no al Mes, definendo la lettera del capo di gabinetto del ministro del Tesoro Giorgetti "un parere tecnico". "Ma gli italiani - ha affermato a Porta a Porta - hanno scelto un governo politico. Questo non è il governo Monti o il governo Draghi. Questo è un governo politico che ha idee politiche. E politicamente continuo a ritenere che il Mes non è uno strumento utile al Paese".
Il vicepremier ha quindi aggiunto che "qualunque sia l'esito della votazione in Parlamento io da democratico rispetterò questa votazione. Ma personalmente ritengo che le strade per finanziare il nostro Paese siano altre". "Con le emissioni dei buoni del Tesoro - ha proseguito quindi Salvini - il mio debito è in mano agli italiani. Il Mes è un meccanismo straniero, e non vorrei che i soldi dei risparmiatori italiani andassero a sostenere buchi da altre parti".
Estratto dell’articolo di Serena Riformato per “la Stampa” il 23 giugno 2023.
Sulla ratifica della riforma del Mes, un auspicio: «Non ideologizziamo», dice Massimiliano Fedriga, presidente leghista della regione Friuli-Venezia Giulia […]
Qual è la sua valutazione?
«Penso sia stato corretto trasmettere una comunicazione dal punto di vista tecnico dal governo alla commissione Bilancio. Adesso è il momento della valutazione politica, che sarà il Parlamento a fare. […] Spero che la valutazione […] venga fatta scevra di connotazioni ideologiche. […] alcune scelte europee le ho condivise moltissimo, su altre sono dubbioso».
[…] Mi sembra che se lei fosse a Palazzo Chigi, lo ratificherebbe domani il Mes.
«No, le giuro, non ho le competenze per dirlo. Però è importante fare una distinzione: ratificare la riforma del Mes non significa utilizzare il Mes, non sono la stessa cosa».
Restiamo sul rapporto con l'Europa. C'è preoccupazione sui ritardi italiani sul Pnrr. Non stiamo rischiando di perdere un treno che non passerà più?
«Il Pnrr è finanziato da risorse a debito: indiretto – nel caso del debito europeo che pagheremo pro quota – o diretto. Quindi dev'essere un investimento che può fare crescere il Paese. Su certe scelte l'obiettivo mi pare centrato, credo che invece su altre sia necessaria una seria riprogrammazione. L'Europa dovrebbe mettere in discussione alcune regole. Per esempio, l'obbligo di escludere progetti strategici europei perché non possono essere conclusi nel 2026».
A quali si riferisce?
«Parlo della mia terra: il collegamento Venezia Trieste, parte del Corridoio 5, la linea europea che dovrà congiungere Lisbona a Kiev. Non possiamo finanziarlo con i soldi del Pnrr perché è tecnicamente impossibile concluderlo nel 2026. E contemporaneamente vengono dati 500 milioni di euro a Cinecittà».
Cosa si dovrebbe fare?
«Se uno individua tre, quattro, dieci progetti da negoziare dicendo "su questi non finisco nel 2026, ma finisco nel 2030", sono convinto che Bruxelles potrebbe essere ragionevole. Bisogna avere il coraggio di chiederlo e riprogrammare. Serve forza politica per farlo e spero che il governo ce l'abbia».
Il segretario del suo partito, Matteo Salvini, è innamorato del ponte sullo Stretto. Anche lei?
«Penso possa essere un'opportunità per la Sicilia e per il Paese. […] Ci si deve chiedere: qual è il piano di sviluppo di tutto il territorio? Se il ponte può essere importante per il collegamento dell'isola non ho contrarietà».
Un altro fronte caldo è quello delle riforme istituzionali. C'è l'idea che possa esserci una sorta di scambio: alla premier interessa la riforma in senso presidenziale, alla Lega l'autonomia differenziata. È così?
«Io tengo molto a entrambe le riforme, sia all'autonomia differenziata, sia al premierato, di cui sono strenue difensore. […] noi presidenti di regione abbiamo una visione prospettica di 5 anni. Ho visto quattro governi diversi da quando sono governatore».
[…] Le farete queste riforme?
«Spero di sì. Sarà un metro che giudicherà l'azione di questo governo». […]
La scomparsa di Silvio Berlusconi ha già determinato fibrillazioni nella maggioranza. Non è che quest'estate il Papeete lo fa Forza Italia?
«[…] il presidente Silvio Berlusconi mancherà perché era un uomo di grande mediazione. Spero che ci sarà la responsabilità di continuare secondo la volontà data dagli elettori a settembre. Su questo Berlusconi era una garanzia, non possiamo negarlo».
DAGOREPORT il 23 giugno 2023.
Giorgia e Matteo stanno giocando la loro partita più rischiosa. Con la Ducetta che sprofonda in una crisi di nervi, al punto di rischiare il crollo, e minaccia direttamente il Capitone: “Ci metto due minuti a portarvi tutti alle elezioni”.
A differenza di tutti i giornaloni (noi compresi), Salvini non è cascato nella gabola del Mes: ha capito al volo che era stata architettata da Giorgetti in duplex con la Meloni.
Non sapendo come uscire dal vicolo cieco della ratifica del Fondo Salvastati, col rischio di perdere faccia e identità politica dopo aver tuonato in tutte le salse ”Mes, mai e poi mai”, la Regina della Garbatella ha cogitato che il parere tecnico-politico del capo di gabinetto del ministro leghista dell’Economia avrebbe fatto ragionare la Lega: la firma del trattato è giocoforza obbligatoria. Dal Mes non si scappa!
A scompaginare il piano Giorgetti-Meloni, è arrivato dirompente come un caterpillar Salvini. Ospite a Porta a Porta, il leader della Lega ha bollato quel documento del Mef come un “parere tecnico”, spiegando poi come “gli italiani hanno scelto un governo politico. Questo non è il governo Monti o il governo Draghi – ha aggiunto Salvini – Questo è un governo politico che ha idee politiche. E politicamente continuo a ritenere che il Mes non è uno strumento utile al Paese”.
L’eventuale ratifica del Mes dovrà passare dal voto del Parlamento, a quel punto spiega Salvini “qualunque sia l’esito, io da democratico rispetterò questa votazione. Ma personalmente ritengo che le strade per finanziare il nostro Paese siano altre”.
L’attacco di Salvini è nient’altro che una reazione alla strategia quotidiana di Giorgia di occupare il centro spingendo a destra la Lega. Tant’è che, come presidente del gruppo dei conservatori europei (Ecr), ha chiuso la porta all’ingresso della Lega, lasciandola così nel gruppo di Marine Le Pen e degli euro-nazi tedeschi di Afd.
Insomma, per recuperare consensi, Matteo vuole che Giorgia faccia una bella figura di merda davanti al suo partito e all’elettorato di Fratelli d’Italia firmando il vituperato Mes.
Non solo. Lei che sogna di diventare la Merkel del terzo millennio, si trova ora davanti a uno scenario molto lontano dai suoi sogni: in Spagna l’alleanza tra Vox e Popolari è saltata e il socialista Sanchez ha ripreso quota; al voto politico in Polonia il suo alleato pare che non abbia granché probabilità; in Grecia poi non se ne parla di allearsi con Fratelli d’Italia.
Così, fra un anno, alle europee, la premier rischia di essere l’unica del gruppo conservatore ad allearsi con il PPE. Ed essendo presidente del gruppo è facile immaginare la sua uscita da Ecr e finire isolata in un limbo a portare i voti a Ursula e Weber.
Tornando al Mes, il voto in Parlamento ha altissime probabilità che venga rinviato a settembre-ottobre, ultima data utile. Visto che la Lega, M5S e parte di Fratelli d’Italia sono contrari, quello che è certo è che la ratifica del Mes passerà solo se i gruppi parlamentari decideranno per il voto segreto. Auguri!
Estratto dell’articolo Francesca Basso per il “Corriere della Sera” il 23 giugno 2023.
1 - In cosa consiste la riforma del Mes?
La riforma attribuisce al Meccanismo europeo di stabilità la funzione aggiuntiva di paracadute finale (backstop) del fondo unico di risoluzione delle banche: una linea di credito da 68 miliardi a cui i Paesi potranno accedere se i fondi nazionali per le risoluzioni bancarie non bastassero. Questo per consentire un fallimento ordinato (mantenendo l’operatività dei clienti) in caso di crisi bancarie.
2 - Perché serve la ratifica ora del nuovo Mes?
La riforma del Mes deve entrare in vigore nel 2024. [...] Perché le nuove funzioni entrino in vigore tutti i Paesi lo devono ratificare.
3 - Ratificare il Mes vuol dire automaticamente decidere di usarlo?
L’Italia è l’unico Paese a non avere ancora ratificato il trattato, ma ratificarlo non significa usare poi il Mes.
4 - La riforma implica una ristrutturazione automatica del debito?
Il Mes avrà un ruolo più forte nella progettazione, negoziazione e monitoraggio della condizionalità nei futuri programmi di assistenza finanziaria. Ma non c’è un automatismo tra richiesta di assistenza finanziaria e ristrutturazione del debito, come spiega anche la Banca d’Italia.
5 - Perché è stato creato?
Il Meccanismo europeo di stabilità (Mes) è stato creato nel 2012 in sostituzione del Fondo europeo di stabilità finanziaria, uno strumento temporaneo ideato nel 2010 per far fronte alla crisi del debito sovrano. È stato istituito per fornire assistenza finanziaria ai Paesi dell’Eurozona che non sono più in grado di attingere ai mercati. È un fondo salva-Stati.
6 - Perché il Meccanismo europeo di stabilità viene visto con così tanti dubbi?
Il programma di aggiustamento macroeconomico è stato usato per aiutare Irlanda, Portogallo, Grecia e Cipro. La Spagna ha beneficiato di un prestito Esm per ricapitalizzare le banche. L’aiuto fu offerto sulla base di una rigorosa condizionalità politica nell’ambito di un programma di aggiustamento macroeconomico [...] Ai Paesi che ne hanno usufruito sono state richieste riforme draconiane. Di qui lo stigma.
Mes, che cos’è e a chi serve. Perché l’Italia non lo ratifica e la Germania si vendica. Domenico Affinito e Milena Gabanelli su Il Corriere della Sera il 10 Maggio 2023.
Si parla moltissimo di Mes, pochi lettori sanno cos’è, quindi partiamo dall’inizio. Mes vuol dire «Meccanismo Europeo di Stabilità», detto anche «Fondo salva stati», è stato approvato dal Consiglio europeo il 25 marzo 2011 per aiutare i Paesi dell’eurozona in difficoltà a causa della crisi finanziaria. Fortemente voluto dall’Italia (a Palazzo Chigi c’era Silvio Berlusconi) che rischiava di non essere in grado di ripagare il proprio debito pubblico dopo l’esplosione dello spread. Ci è voluto più di un anno perché entrasse in vigore, l’8 ottobre 2012, per un’iniziale contrarietà della Germania. All’epoca coinvolgeva 19 Stati che sono diventati 20 dal 1 gennaio 2023 con l’ingresso della Croazia.
Parte tutto dalla crisi del 2007-2008, scatenata dallo scoppio della bolla immobiliare e dai mutui subprime.
Mes, la genesi
Parte tutto dalla crisi del 2007-2008, scatenata dallo scoppio della bolla immobiliare e dai mutui subprime. Nel giro di poco la crisi finanziaria riduce la liquidità delle banche e la possibilità di credito alle imprese, di conseguenza si abbatte sull’economia reale, aggredisce i debiti sovrani e la capacità di solvibilità di alcuni Stati europei. Quelli più in difficoltà sono Portogallo, Italia, Irlanda, Grecia, Spagna che, con la bassa inflazione di allora (in media 2,3% tra il 2000 e il 2008) non hanno sentito la necessità di fare riforme e investimenti per spronare la crescita e arginare la perdita di competitività. Nel 2008 il tasso di interesse medio sui titoli governativi a 10 anni di Italia, Portogallo, Irlanda, Grecia e Spagna era il 10,4%, mentre quello di Francia e Germania viaggiava attorno al 4%. L’Europa cerca soluzioni per evitare che la crisi si propaghi anche alle economie sane e dà vita nel 2010 al Fondo europeo di stabilità finanziaria, rimpiazzato due anni dopo dal Mes.
Come funziona
Il Mes ha un capitale di 80,5 miliardi di euro versato dagli Stati membri in proporzione alle rispettive quote di capitale della Bce, ma è autorizzato a raccogliere oltre 700 miliardi sul mercato con apposite obbligazioni, grazie alla garanzia del capitale sottoscritto sempre dagli Stati membri. L’Italia partecipa con 14,28 miliardi versati e 125 miliardi sottoscritti a garanzia. La decisione di aiutare un Paese che ne fa richiesta viene presa all’unanimità dal Consiglio dei governatori, formato dai ministri delle Finanze dell’area Euro.
Il Consiglio può anche prendere decisioni con una maggioranza dell’85%, ma solo se è a rischio la stabilità finanziaria ed economica dell’area dell’euro. I diritti di voto sono proporzionali al capitale sottoscritto: Germania, Francia e Italia hanno diritti di voto superiori al 15% e possono porre quindi il loro veto anche sulle decisioni urgenti. Una volta dato il via libera, il Mes corre in aiuto al Paese in difficoltà con: 1) prestiti economici, 2) acquisti di titoli di Stato, 3) linee di credito precauzionali, 4) prestiti per la ricapitalizzazione delle banche in crisi. Le condizioni dei prestiti variano a seconda del tipo di aiuto. Le linee di credito precauzionale non prevedono misure correttive dello Stato e sono riservate ai Paesi che rispettano le prescrizioni del Patto di stabilità, non presentano eccessivi squilibri, non hanno problemi di stabilità finanziaria, ma si trovano in un momento di difficoltà. Le linee di credito a «condizionalità rafforzata» sono destinate ai Paesi in difficoltà strutturale e in questo caso è obbligatorio un programma di riforme strutturali, negoziato con il Paese che chiede l’aiuto e vigilato dalla Troika, ovvero da Commissione europea, Banca centrale europea e Fondo monetario internazionale.
Chi lo ha usato
Il caso scuola è quello della Grecia. Per dieci anni, tra il 2001 e il 2010, il costante aumento della spesa pubblica, la diminuzione delle entrate fiscali e il calo di competitività gonfiano il debito greco a tal punto che Atene non è più in grado di rifinanziarlo e rischia di uscire dall’eurozona. Chiede aiuto e Bruxelles glielo concede a tre riprese 2010-2013, 2012-2014 e 2015-2018, varando il più grande pacchetto di assistenza finanziaria nella sua storia: 203,8 miliardi da restituire entro il 2060. Il 40% degli aiuti viene assorbito dal debito pubblico e il resto va ricapitalizzare le banche e ridurre i crediti deteriorati. La condizione è quella di approvare riforme per rafforzare crescita, garantire la sostenibilità fiscale; incrementare l’efficienza di pubblica amministrazione e sistema giudiziario. Che si traducono in misure durissime: riduzione dei salari del 22%, aumento dell’età pensionabile (solo il 58% dei lavoratori andava in pensione fra i 58 e i 61 anni, gli altri molto prima). Taglio di benefit e tredicesime, aumento dell’imposizione fiscale, taglio del 30% della spesa pubblica. E poi un imponente piano di privatizzazione: il porto del Pireo è ora in mani cinesi e 20 aeroporti in mani tedesche. Sta di fatto che dopo la cura da cavallo, dal 2017 la Grecia è tornata a crescere. Il Mes oggi detiene il 50% del debito pubblico greco. Fra il 2010 e 2013 anche l’Irlanda riceve 40,2 miliardi di euro per sostenere il sistema bancario colpito da gravi perdine dopo il crollo del mercato immobiliare nel 2007. Fra il 2011-2014 al Portogallo vanno 50,3 miliardi, la maggior parte a finanziare il bilancio e a ricapitalizzare le banche. La Spagna accede al Mes per 18 mesi tra il 2012 e il 2013 per 41,3 miliardi di euro per ristrutturare il settore bancario in crisi dopo lo scoppio della bolla immobiliare e la recessione economica del 2011. Cipro riceve 6,3 miliardi tra il 2013 e il 2016, per far fronte alla crisi e alle perdite finanziarie. Il Paese avvia riforme per risolvere le debolezze strutturali della propria economia, legata a quella greca, e alla fine del periodo si avvia una solida ripresa. Dal 2016 nessuno dei Paesi aderenti al Mes ha più chiesto prestiti.
L’anno della riforma
Il 27 gennaio 2021 i Paesi dell’eurozona firmano un’intesa per riformare il Mes. Previste quattro novità: 1) la verifica preliminare della capacità di ripagare il prestito; 2) un ruolo attivo del Mes nell’erogazione dell’assistenza finanziaria e nel successivo monitoraggio. 3) Diventano più stringenti i criteri per la concessione delle linee di credito precauzionali, in sostanza possono essere utilizzate solo dai Paesi con i conti a posto, ma in momentanea difficoltà. 4) Può fare da paracadute al Fondo di risoluzione unico, quello che corre in soccorso alle banche in difficoltà, per aiutarlo ad assorbire le perdite in modo che non ricadano su tutti i contribuenti. Il Fondo è alimentato dai contributi versati da tutte le banche dell’area dell’euro e, secondo un programma che andrà a pieno regime nel 2024, raggiungerà i 60 miliardi di euro. Lo scopo è proprio quello di contenere i rischi di contagio di eventuali crisi bancarie (ed evitare che i correntisti in massa vadano a ritirare i soldi). Quello che la riforma non cambia è la responsabilità della Commissione Europea nella valutazione complessiva della situazione economica dei Paesi e la loro posizione rispetto alle regole del Patto di stabilità.
Perché l’Italia non ratifica
L’intesa è firmata anche l’Italia. A Palazzo Chigi c’è Giuseppe Conte e un mese dopo arriva Mario Draghi, ma la ratifica non giungerà mai in Parlamento perché i parlamentari dei Cinque Stelle, che sono la maggioranza e da sempre contrari al Mes, fanno muro. A ottobre 2022 diventa Presidente del Consiglio Giorgia Meloni che, quando era all’opposizione, si diceva pronta, insieme a Fratelli d’Italia, «a respingere con tutte le forze questo ennesimo tentativo di riforma di un Trattato che non fa gli interessi dell’Italia». A novembre il neo ministro leghista dell’economia Giancarlo Giorgetti, invece, assicura il sì alla riforma del Mes: «Mi attesto sulle posizioni del precedente governo di cui facevo parte». Ma passano sette mesi e non succede nulla, mentre due proposte di legge per la ratifica della riforma (a firma Pd e Italia Viva) rimangono ferme in commissione Esteri della Camera.
A novembre il neo ministro leghista dell’economia Giancarlo Giorgetti (...) assicura il sì alla riforma del Mes: «Mi attesto sulle posizioni del precedente governo di cui facevo parte». Ma passano sette mesi e non succede nulla (...)
Meloni: la carta del Mes giocata su altri tavoli
L’Italia è l’unico fra i 20 Paesi dell’Eurozona (a gennaio è entrata anche la Croazia) a non aver ratificato le modifiche e finché non lo fa, il Mes non può diventare operativo. Bruxelles preme: le crisi bancarie negli Usa e in Svizzera hanno alzato la soglia d’allarme anche in Europa. Il tira e molla d’Italia non piace certamente alla Germani, il primo Paese che potrebbe aver fretta di chiedere l’utilizzo del Mes, visto che Deutsche Bank è esposta per 42 miliardi di prodotti finanziari quasi tutti rischiosi. La posizione del governo Meloni però non cambia: la richiesta è quella di subordinare la modifica del Mes alla revisione di altre norme europee. Nell’agenda del governo italiano, lo ha detto il ministro Giorgetti, ci sono «il completamento dell’Unione bancaria e l’Unione dei Mercati dei Capitali». La prima è il trasferimento della vigilanza sulle banche dalle autorità nazionali a quelle europee e l’Italia vorrebbe un sistema europeo di assicurazione dei depositi. La seconda la creazione di un mercato unico europeo dei capitali, superando le normative nazionali, in modo che a livello europeo si semplifichi la circolazione dei capitali. E poi, dice sempre Giorgetti, «l’Italia vuole una semplificazione della normativa europea in materia di aiuti di Stato» e anche norme più flessibili sul patto di stabilità che, dopo una sospensione di 3 anni causa pandemia, a gennaio 2024 sarà ripristinato. Il governo italiano punta rivedere le regole per gli Stati con un debito alto (e qui noi siamo i sorvegliati speciali). E sul patto di stabilità, in zona Cesarini, entra a gamba tesa la Germania: vuole che il rapporto debito-pil si riduca ridursi dell1% ogni anno. E questo crea un problema all’Italia. Una materia infiammabile che entrerà nel vivo in autunno.
Estratto dell'articolo di fed. cap. per “La Stampa” il 16 marzo 2023.
[…] Giorgia Meloni ha voluto tutti i suoi ministri in Aula, in occasione del suo esordio al «premier question time» a Montecitorio. Voleva un segnale di compattezza, nelle due settimane più difficili del suo mandato. Tanto che sono stati recapitati messaggi chiari sui telefonini dei ministri negli scorsi giorni: «La presenza in Aula sarebbe cosa gradita». E così eccoli lì, in sedici, i banchi del governo stracolmi con sottosegretari e viceministri a infoltire le file […]
[…] L'Europa, con le sue «iniziative legislative che rischiano di danneggiare il nostro tessuto economico e sociale», per tre volte finisce nel mirino di Meloni. L'indurimento più evidente è sul Mes. Dopo aver preso tempo negli ultimi cinque mesi e aver aperto uno spiraglio sulla ratifica, adesso Meloni si mostra decisa a mettersi di traverso: «Finché ci sarà un governo guidato da me, l'Italia non potrà mai accedere al Mes. E temo che non potranno accedere neanche gli altri».
"Accedere" al fondo salva-Stati e "ratificarlo" sono due cose diverse, ma anche sul semplice via libera alla riforma la premier si mostra refrattaria, perché - dice - le condizioni generali sono cambiate. La premier vuole vedere come andrà a finire la discussione a Bruxelles sul Patto di Stabilità e sull'Unione bancaria.
L'autore dell'interrogazione sul Mes, Luigi Marattin, appare sconsolato: «Dire che si vuole attendere la conclusione delle negoziazioni sull'unione bancaria, che sono aperte dal 2014, non lascia molte speranze». Ma per Meloni l'importante, in questo momento, è la difesa della propria identità. È il caso della proposta di direttiva europea sulle case green, «che consideriamo irragionevole e mossa da un approccio ideologico. Impone al governo di continuare a battersi per difendere gli interessi dei cittadini e della Nazione». […]
Estratti dell'articolo di Gabriele Rosana per “Il Messaggero” il 16 marzo 2023.
[…] con le diplomazie tornate al lavoro, in Europa adesso c'è chi spera che, dopo i pressing Ue andati a vuoto, il crac della Silicon Valley Bank possa essere l'asso nella manica in grado di convincere il governo italiano a ratificare la riforma del Meccanismo europeo di stabilità. Il nostro è l'ultimo Paese a mancare all'appello perché il trattato di revisione del funzionamento del fondo salva-Stati possa entrare in vigore per tutti.
Da qualche giorno, dopo la luce verde della Croazia, l'Italia è rimasta la sola, tra i 20 Paesi dell'Eurozona, a non aver ancora dato via libera al Mes, l'organismo che, nato con la crisi del debito sovrano, eroga prestiti fino a 500 miliardi di euro agli Stati in (temporanea) difficoltà a tassi vantaggiosi.
Finora è intervenuto a sostegno di Irlanda, Portogallo, Cipro, Spagna e Grecia. Roma sta bloccando una riforma che, secondo le intenzioni Ue, doveva essere portata a compimento ormai più di un anno fa. [...]
In autunno, il Parlamento aveva puntato i piedi sul via libera in mancanza di un quadro di regole più ampio che tenga conto sia della nuova disciplina del Patto di stabilità sia del pacchetto normativo in materia bancaria. Tra i punti più controversi per l'Italia, c'è il passaggio alla maggioranza semplice (che rimpiazza l'odierna doppia votazione) perché i creditori possano chiedere la ristrutturazione del debito nel caso in cui lo Stato non riesca più a pagare.
Al di là dei profili tecnici, il timore espresso dai partiti è che la tempesta perfetta abbattutasi in passato sulla Grecia nei mesi più bui della crisi dell'Eurozona, pur in tutt'altre circostanze, possa ripetersi di nuovo nel caso in cui un Paese dell'Eurozona decida di chiedere l'assistenza finanziaria al fondo salva-Stati.
Nello scenario in cui, un giorno, l'Italia dovesse necessitare di un soccorso del Meccanismo europeo di stabilità - è la tesi -, questo certificherebbe di fatto l'incapacità di collocare i propri titoli sul mercato. Scatenando una reazione a catena. […]
La verità sul Mes. Redazione L'Identità il 20 Gennaio 2023
di FRANCESCO CARRARO
A volte vien da chiedersi se, in ultima analisi, il problema del MES sia davvero il MES. Da un lato, ci sono le pressioni affinché il Governo (buon ultimo, tra tutti gli esecutivi della UE) ratifichi la riforma del “meccanismo” entrato in vigore nel luglio del 2012 e modificato nell’estate del 2019. Dall’altro, c’è la riluttanza a farlo, esibita o malcelata, di alcune componenti della maggioranza. Entrambe le istanze, in realtà, sono motivate più da pulsioni astratte ed emotive che da argomentazioni concrete e razionali: per molti entusiasti, aderire al MES significa innanzitutto “sentirsi” ancor più europeisti, e dimostrarlo ai nostri partner; come dire che dell’Unione non si butta via niente. Nel contempo, per non pochi scettici, rifiutare il MES vuol dire rinverdire le proprie (presunte) ascendenze sovraniste. Sul piano pratico, la funzione del cosiddetto “Fondo salvastati” è quella di accordare prestiti agli Stati se e quando questi ultimi si trovino in difficoltà nell’accesso ai Mercati.
Non è per Paesi “normali”
Vero che aderire al trattato non significa accedere agli “aiuti”. Ma è altrettanto vero che le due linee di credito di cui dispone il Mes (soprattutto la seconda, la c.d. ECCL: Enhanced Conditions Credit Line) contemplano pesanti condizionalità e occhiute attività di sorveglianza “post-programma” a carico dei paesi eventualmente “bisognosi”. E l’Italia, purtroppo, a causa del suo debito monstre, sembra la candidata ideale alla linea di credito ECCL. Ma a ben vedere, il Mes non è roba da paesi “normali”, per così dire, sul piano della sovranità monetaria. Esso è uno scudo concepibile solo in uno Stato (o in un insieme di Stati) “depotenziato”, come il nostro, in due prerogative cruciali: la politica finanziaria e di indebitamento (libera da paletti esogeni, quali sono i parametri di Maastricht e il pareggio di bilancio) e la disponibilità di una moneta “domestica” creata da una Banca Centrale (possibilmente alle dipendenze del Ministero del Tesoro). Di più: il MES è un’arma di cui non si sentirebbe la necessità neppure nella Ue, se alla BCE non fosse stato tassativamente inibito senza se e senza ma (dall’articolo 123 del Trattato di Lisbona) di svolgere le funzioni classiche di una Banca centrale prestatrice di ultima istanza.
Vizi antichi
Che il format fosse intrinsecamente viziato, lo sapevano benissimo, fin da principio, gli “architetti” del sistema Ue-euro come perfettamente spiegato da Giuliano Amato in una memorabile intervista: «Molti economisti, specie americani, ci hanno detto: guardate che non ci riuscirete, non vi funzionerà, se vi succede qualche problema che investe anche uno solo dei vostri Paesi non avrete gli strumenti centrali che per esempio noi negli Stati Uniti abbiamo che può intervenire il governo centrale, riequilibrare con la finanza nazionale le difficoltà delle finanze locali. La vostra banca centrale se non è una banca centrale di uno Stato non può assolvere alla stessa funzione che assolve una banca centrale di uno Stato che, quando lo Stato lo decide, diventa il pagatore senza limiti di ultima istanza. In realtà, noi non abbiamo voluto credere a questi argomenti, abbiamo avuto fiducia nella nostra capacità di auto coordinarci e abbiamo addirittura stabilito dei vincoli nei nostri trattati che impedissero di aiutare chi era in difficoltà e abbiamo previsto che l’UE non assuma la responsabilità degli impegni degli Stati, che la banca centrale non possa comprare direttamente i titoli pubblici dei singoli Stati, che non ci possano essere facilitazioni creditizie o finanziarie per i singoli Stati. Insomma moneta unica dell’euro zona, ma ciascuno deve essere in grado di provvedere a se stesso. Era davvero difficile che funzionasse e ne abbiamo visto tutti i problemi».
Perché non si sono fermati?
Una domanda, a questo punto, sorge spontanea: perché non si sono fermati? E la risposta è semplice, per quanto avvilente: proprio perché sapevano che ciò avrebbe portato a un punto in cui una “cosa” come il Mes sarebbe stata non solo proponibile, ma giustificabile e giustificata; nonché accettabile e accettata. There is no alternative, avrebbe detto Margaret Thatcher. Un proverbiale stratagemma dell’antichissima strategia militare cinese potrebbe riassumere così l’esperimento in questione: far salire qualcuno sul tetto, e poi togliere la scala. In conclusione, rifiutarsi di ratificare il trattato del Mes può rappresentare una comprensibile battaglia di principio. L’importante, però, è sapere che la relativa guerra è già stata perduta da tempo. Magari pure con la parziale connivenza di chi oggi si intesta la battaglia contro il Mes.
GUERRA ALLA BCE. Giovanni Vasso su L’Identità il 5 Gennaio 2023
Quando il gioco si fa duro, Guido Crosetto inizia a giocare. Il ministro alla Difesa, nei giorni scorsi, aveva già annunciato il repulisti meloniano nelle stanze dei bottoni dell’alta burocrazia di Stato. Adesso torna sulla battaglia più importante di tutte, quella europea. Non c’entra il sovranismo e nemmeno le tentazioni di “exit” che pure sono state solleticate, negli anni scorsi, dalla destra italiana. Il tema è molto più serio. E riguarda le strategie della Bce che, nei prossimi mesi, non solo continuerà ad alzare i tassi ma non rinnoverà e non acquisterà più titoli di Stato (tra cui quelli italiani), lasciando i Paesi membri senza quell’ombrello, aperto a suo tempo dall’ex governatore Mario Draghi, che pure era servito a sostenere gli Stati della Ue durante la fase durissima del Covid. Ma c’è di più. I mercati vivono di segnali. La lezione del price cap al prezzo del gas è proprio questa. È bastato trovare un’intesa su una soglia credibile per far deprimere la speculazione al Ttif di Amsterdam e tornare ai prezzi (già alti…) pre-guerra in Ucraina. Passare dal Quantitative Easing al Quantative Tightening sarà come passare dal giorno alla notte. E i mercati, che vivono di segnali, potrebbero reagire in maniera fragorosa, scatenando un’altra impennata dello spread. Con effetti devastanti sulle economie nazionali. Quella italiana in primis.
Guido Crosetto ha rilasciato un’intervista a Repubblica in cui ha tuonato contro il cambio di politica adottato dalla Bce e annunciato, con insolita tonitruanza, dalla presidente Christine Lagarde. “Le condizioni economiche del Paese rischiano di peggiorare se verranno a mancare le tutele esterne che hanno aiutato negli ultimi anni. Per questo fatico a comprendere le ragioni che hanno spinto la Bce a cambiare politica sugli acquisti dei titoli di Stato europei, in un momento già economicamente molto complesso, per certi versi drammatico, come quello che sta attraversando il mondo e l’Ue in particolare”. Quindi ha aggiunto: “Il giudizio degli economisti è lo stesso da anni perché l’Italia ha un debito pubblico altissimo, solo che questo fattore non ha pesato negli ultimi anni perché c’è stato il whatever it takes di Draghi. Le condizioni esterne, tassi, inflazione, allentamento dei parametri, sono state fantastiche, con la Bce che ha costruito un grandissimo ombrello sulle emissioni dei titoli. Ora il cambio repentino di politiche della Banca centrale rischia di avere un effetto particolarmente negativo su di noi”. Per evitare il tracollo italiano, secondo Crosetto, occorre riportare il primato della politica sull’economia o, quantomeno, restituire un interlocutore a organismi che, al momento, sembrano non avere a chi rispondere: “L’Europa deve porsi il tema di come coniugare le rilevanti decisioni politiche, assunte in modo indipendente dalla Bce e dall’Eba, con quelle che prendono la Commissione europea e i governi nazionali. Abbiamo lasciato a organismi indipendenti e che rispondono solo a sé stessi, la possibilità di incidere sulla vita dei cittadini e sull’economia, in modo superiore alla Commissione europea e soprattutto ai governi nazionali. È legittimo chiedersi quanto sia giusto”.
Le parole del ministro alla Difesa hanno scatenato un putiferio politico. Il M5s ha liquidato l’intervista come un tentativo di sottrarre Meloni alle sue responsabilità, scaricandole sulla Bce. Carlo Calenda ha bollato le parole di Crosetto come “demenziali e pericolose” mentre Maurizio Gasparri ha replicato alle accuse della minoranza assicurando che Lagarde “non ha il dogma dell’infallibilità”. Oltre le schermaglie della politica, ci sono i numeri. Quelli dell’inflazione. In Spagna (-1%), in Germania (in calo dello 0,8%) e anche in Francia (dal +6,2% al +5%, con una flessione superiore a un punto), dalle primissime rilevazioni, il costo della vita risulta in discesa e in contenimento. Certo, occorreranno delle conferme nei prossimi mesi ma, sia in Francia che in Germania, il rallentamento dell’inflazione non pare dovuto alle strette sui tassi Bce ma alle misure riguardanti il caro energia. Berlino ha pagato la bolletta di Natale ai tedeschi, Parigi registra flessioni nei costi energetici. Se ciò fosse confermato, dimostrerebbe la teoria delle colombe (oggi in minoranza) della Bce secondo cui, a sintomo uguale (cioè inflazione altissima) non corrisponderebbe la stessa diagnosi tra Ue e Usa. E, pertanto, seguire la Fed sulla strada dei rialzi al costo del denaro e delle restrizioni sugli acquisti dei titoli di Stato potrebbe risultare, quantomeno, un azzardo. Anche perché tali misure hanno degli effetti depressivi sul tessuto produttivo continentale, dal momento che (per dirne una) risulta più difficile l’accesso al credito alle imprese. E lo spettro della recessione aleggia sull’Europa. Lo dicono già da tempo le agenzie di rating e gli osservatori. Alle sirene d’allarme si è aggiunta la voce di Kristalina Georgieva, direttrice generale del Fmi secondo cui, nel 2023, almeno mezza Ue dovrà fare i conti con la recessione.
Meloni: “L’Italia non chiederà mai il Fondo Salva Stati, lo posso firmare con il sangue”. Elena Del Mastro su Il Riformista il 23 Dicembre 2022
No secco ad accedere ai fondi europei del Mes, stretta al reddito di cittadinanza, ristori per i commercianti che pagano commissioni sul Pos, no all’immigrazione incontrollata. E infine pieno sostegno all’Ucraina e rendersi indipendenti dall’aiuto internazionale dei partner stranieri, per non diventarne dipendenti, che sia dal gas russo o dall’elettricità cinese. Giorgia Meloni ha fatto il punto della situazione e un bilancio su questi suoi primi due mesi di governo nel salotto di Porta a Porta.
“Finché io conto qualcosa, che l’Italia non acceda al Mes lo posso firmare con il sangue”, ha detto brandendo l’agenda con su scritto “Giorgia”. Ha confermato che l’Italia non accederà all’ex fondo salva-Stati ma apre sulla riforma del meccanismo di assistenza finanziaria. L’Italia è il solo Paese dell’Ue a non averlo ratificato. Per Meloni non è questo “il grande tema”, “però, certo, se rimaniamo gli unici che non la approvano – ammette – blocchiamo anche gli altri. Ne discuterà eventualmente il Parlamento”. Un’affermazione che apre a un via libera a gennaio della ratifica.
“Ma la domanda è: prima di entrare sul dibattito sulla ratifica, possiamo rendere questo strumento utile? Il direttore del Mes – afferma Meloni – ha detto che sono aperti alla posizione dell’Italia, vorrei parlare con lui per capire se c’è un modo di prendere un fondo a cui nessuno accederà, sicuramente non l’Italia, e farne un fondo utile per qualcuno, con minori condizionalità, priorità diverse. Una cosa che non rischi di metterti un cappio al collo“.
Nella sua prima intervista televisiva da quando è premier non si è soffermata sulla manovra. Lo aveva fatto in mattinata quando ai parlamentari ha detto: “Si può migliorare, siamo in rodaggio, ma le parole di chi pensava alla partenza del governo come a una catastrofe stanno tornando indietro come un boomerang“. “Sono cresciuta nella conflittualità, figuriamoci se mi spaventano le manifestazioni. L’unica cosa che mi spaventa è deludere”, continua la presidente del Consiglio spiegando che il suo obiettivo è quello di avere, a fine legislatura, un Paese più “ottimista, che si fidi delle sue istituzioni”. Sa bene “a cosa vado incontro, so quali sono i poteri con i quali hai a che fare, le incrostazioni, so che è un lavoro difficile, so che incontreremo trappole, ma penso che sia alla nostra portata ed è una priorità. Per me se una cosa è giusta, si fa”.
E questo vale per tutti i temi che Meloni ha portato avanti durante la campagna elettorale e che ha ribadito nel salotto di Bruno Vespa, a partire dal Mes. Sul Reddito di Cittadinanza ribadisce che saranno protetti i fragili, gli ultra sessantenni e chi ha figli minori, ma per tutti gli altri si cambia: “Lavori dignitosi ci sono e si trovano. Si vorrebbe creare un mondo perfetto dove tutti trovano il lavoro dei loro sogni ma se ti rifiuti di lavorare con lavoro dignitoso perché accetti solo il lavoro dei tuoi sogni non puoi pretendere che ti mantenga lo Stato con le tasse pagate da chi ha accettato un lavoro che spesso non era il lavoro dei sogni”, scandisce.
Sul Pos, dove il governo alla fine ha mantenuto l’obbligo per gli esercenti di accettare pagamenti non in contante, la premier ribadisce che il peso delle commissioni non può andare sui commercianti e conferma che farà “moral suasion” perché si azzerino le commissioni, altrimenti “posso considerare la commissione come un extragettito, tassarla e utilizzare quei soldi per aiutare gli esercenti che hanno difficoltà”. E infine i migranti. “Sì, tra Italia e Francia c’è stata una frizione sui migranti – ha detto – E lo rivendico. In Francia hanno ricevuto una sola nave ong e si sono arrabbiati. Il problema non sono i profughi. Sono le migliaia di migranti irregolari. Abbiamo ricollocato in Francia e Germania solo 117 migranti su 94 mila”. E accusa: “Quelli che accogliamo noi sono banalmente quelli che hanno i soldi da dare agli scafisti. Non è un modo intelligente di gestire l’immigrazione”.
Elena Del Mastro. Laureata in Filosofia, classe 1990, è appassionata di politica e tecnologia. È innamorata di Napoli di cui cerca di raccontare le mille sfaccettature, raccontando le storie delle persone, cercando di rimanere distante dagli stereotipi.
Estratto dell'articolo di Valerio Valentini per “il Foglio” il 24 dicembre 2022.
Ora dice che "il tema della riforma del Mes non è il grande tema". E quanto però sia temerario, il candore con cui Giorgia Meloni afferma questa apparente banalità, lo rivela un deputato leghista che nel cortile di Montecitorio mostra un video d'antan. Eccola, l'allora capa di FdI, prendere, furente, la parola in Parlamento: "Sottoscrivo le parole del collega Claudio Borghi. Con questa riforma, una nazione come l'Italia accetta di versare miliardi per salvare le banche tedesche in vista della Brexit". Era il 28 novembre del 2019.
Tre anni dopo, la svolta, per la premier, è obbligata. Troppo alto il rischio di compromettere, con una cocciuta opera di sabotaggio sul Mes, il resto delle partite europee, a partire dal Pnrr. Ma è talmente rocambolesca, la capriola, che rischia di non essere indolore. Dallo staff di Matteo Salvini, ieri, dispensavano serenità: "Siamo come sempre d'accordo con la presidente!". Uno zelo che tradisce i timori per il montare del risentimento nell'ala barricadera del partito.
Quella che appunto, con Borghi e Bagnai, ha già fatto sapere di non aver cambiato idea, che in Parlamento "occorrerà votare no alla ratifica".
All'opposto di chi, in FI, rivendica invece il merito di aver indicato per tempo la strada. "Non ho mai dubitato che, da premier, Meloni avrebbe detto che la ratifica del Mes non è un problema: questo non può che farmi felice", sorride Giorgio Mulè. "E' la conferma che avevamo ragione a dire che si poteva procedere senza correre i rischi della troika. Perché ratificare non significa pigliare". E l'imbarazzo della Meloni starà proprio in questo, ora. Nel suo dover condividere il buon senso di Mulè, ma nell'essere idealmente assai più vicina a Borghi.
Perché, negli anni, la leader di FdI ha sempre condannato la riforma del trattato di per sé. "Ci sono rischi enormi che l'Italia corre solamente per il fatto di sottoscrivere questo trattato, indipendentemente dalla possibilità che vi si acceda", diceva il 9 dicembre del 2019, durante una manifestazione convocata davanti al Parlamento europeo per "dire ai signori di Bruxelles che l'Italia non è il bancomat d'Europa". Perché, insisteva Meloni, "qui si credono che siamo cretini". E invece a le non la si faceva mica: "E' chiaro che con questa modifica - quella, cioè, che ora andrebbe ratificata - il Mes diventa un meccanismo perverso: una resa incondizionata dell'Italia agli interessi della Germania". [...]
Mes, come funziona il fondo salva Stati, chi lo ha usato e perché l’Italia deve approvarlo: le cose che dovete sapere. Valentina Iorio su Il Corriere della Sera il 23 Dicembre 2022.
La riforma del Meccanismo Europeo di Stabilità (Mes) «non è il grande tema», ha dichiarato la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni. «Finchè io conto qualcosa l’Italia non accederà al Mes, lo posso firmare col sangue», ha aggiunto. Per quel che riguarda la ratifica «ne discuterà eventualmente il Parlamento», ha spiegato la premier, intervenendo a Porta a Porta giovedì 22 dicembre. ««Prima però - ha premesso Meloni - voglio provare a fare un altro ragionamento: che si approvi la riforma o no, il Mes non è stato mai utilizzato da nessuno. Per due ragioni, perché le condizionalità sono troppo stringenti e perché il Mes è un creditore privilegiato, ovvero quando io prendo i soldi dal Mes è il primo a cui li devo restituire e questo comporta un problema sui titoli di stato, fa alzare i tassi. La domanda, prima di entrare sul dibattito sulla ratifica, di una cosa che secondo me rimane poco utile,è: possiamo renderlo utile?». L’Italia rischia di rimanere la sola a non aver ancora ratificato la riforma del Mes. Dopo la sentenza della Corte Costituzionale tedesca, che ha dichiarato irricevibile il ricorso presentato in Germania da alcuni deputati liberali, infatti anche Berlino si appresta a firmare.
Cos’è il Mes?
Il Meccanismo europeo di stabilità (MES - European Stability Mechanism, ESM) è stato istituito attraverso un trattato intergovernativo nel 2012, in sostituzione del Fondo europeo di stabilità (Fesf), il cosiddetto fondo salva–Stati e il Meccanismo Europeo di Stabilizzazione Finanziaria (EFSM), istituito nel 2010 per far fronte alla crisi del debito sovrano. La sua funzione fondamentale è concedere assistenza finanziaria ai Paesi membri che - pur avendo un debito pubblico sostenibile - abbiano difficoltà nel finanziarsi sul mercato.
Come funziona?
L’accesso all’assistenza viene concesso sulla base di una rigorosa condizionalità nell’ambito di un programma di aggiustamento macroeconomico e di un’analisi della sostenibilità del debito pubblico effettuata dalla Commissione insieme al Fondo monetario internazionale (Fmi) e di concerto con la Banca centrale europea (Bce). Gli strumenti previsti dallo statuto del Mes sono diversi: prestiti economici, acquisti di titoli di Stato sul mercato primario e secondario, linee di credito precauzionali, prestiti per la ricapitalizzazione indiretta delle banche, ricapitalizzazioni dirette delle banche. Inoltre durante la pandemia è stata prevista la possibilità di accedere al cosiddetto «Mes sanitario», per l’Italia sarebbero circa 37 miliardi. Il Mes viene finanziato dai singoli Stati membri con una ripartizione percentuale che rispecchia la loro importanza economica. La Germania, contribuisce per il 27,1 %, seguita dalla Francia con il 20,3% e dall’Italia con il 17,9%. Il Mes ha un capitale sottoscritto pari a 704,8 miliardi e la sua capacità di prestito ammonta a 500 miliardi. Il Paese che ha bisogno di aiuto presenta la richiesta al Consiglio dei governatori, formato dai ministri delle Finanze dell’Eurozona. Per il via libera serve una maggioranza qualificata dell’85% del capitale sottoscritto. I Paesi principali, con quote oltre il 15%, tra cui l’Italia, hanno diritto di veto.
Cosa prevede la riforma?
La riforma prevede che il Mes assuma la funzione di «backstop» (paracadute finale) del fondo di risoluzione unico delle banche: una linea di credito da 70 miliardi, a cui i Paesi potranno accedere se i loro fondi nazionali per le risoluzioni bancarie non sono sufficienti. La riforma inoltre mira a rafforzare il ruolo del Meccanismo europeo di stabilità nei confronti della Commissione Ue, in caso di assistenza agli Stati in difficoltà e anche gli strumenti a sua disposizione. Il Mes potrà fare da mediatore tra Stati e investitori privati qualora fosse necessaria la ristrutturazione di un debito pubblico.
Il Mes è mai stato usato? Da chi?
In passato Grecia, Spagna e Cipro hanno ricevuto sostegno dal Mes, ma non per quanto riguarda la linea di credito per le spese sanitarie, che non è ancora mai stata utilizzata da nessuno. Prima della nascita del Mes, Portogallo, Irlanda e Grecia erano stati aiutati anche dal Fondo europeo di stabilità finanziaria. L’accesso all’assistenza finanziaria del Mes nella forma tradizionale, pre-riforma, applicata al salvataggio della Grecia dopo la crisi del debito, viene offerta sulla base di una rigorosa condizionalità politica nell’ambito di un programma di aggiustamento macroeconomico e di un’analisi della sostenibilità del debito pubblico effettuata dalla Commissione insieme al Fondo monetario internazionale (Fmi) e di concerto con la Banca centrale europea (Bce). La cosiddetta «Troika» è il termine con il quale nel gergo giornalistico si fa riferimento al controllo di queste tre istituzioni.
Quali sono i timori di chi si oppone al Mes?
I timori di chi si oppone in Italia alla nuova linea di credito messa a disposizione dal Mes è che aderirvi presupponga l’arrivo della Troika come accaduto per il salvataggio della Grecia. Ma le regole del nuovo Mes sono diverse. Ad esempio il fatto che sia disponibile per tutti i Paesi con termini standardizzati concordati in precedenza è una differenza importante rispetto a quanto accaduto allora. In merito al timore che la riforma del Mes possa aumentare la probabilità di un default sovrano la Banca d’Italia chiarisce: «Non è vero». Inoltre, aggiunge Bankitalia, «va in ogni caso ricordato che la probabilità di un default dipende in primo luogo dalle politiche economiche messe in atto dai paesi».
La riforma del Mes prevede l’automatica ristrutturazione del debito?
Alcuni inoltre temono che con la riforma del Mes, in caso di crisi, si possa più facilmente richiedere all’Italia di ristrutturare il proprio debito, come ha ricordato Gianluca Mercuri nella newsletter del Corriere della Sera Il punto (per iscriversi cliccare qui). Cosa che si tradurrebbe in una perdita per famiglie, imprese e banche italiane. Ma, come ha spiegato più volte Bankitalia, la riforma non prevede alcun «meccanismo automatico di ristrutturazione dei debiti sovrani». «La riforma ribadisce che la ristrutturazione del debito sovrano con il coinvolgimento del settore privato rimane strettamente circoscritta a casi eccezionali - aggiunge la Banca d’Italia. È alla luce di questa confermata eccezionalità che va interpretata la modifica delle clausole di azione collettiva (collective action clauses, CACs). In base a tale modifica, se un paese decidesse di procedere alla ristrutturazione del proprio debito, sarebbe sufficiente un’unica deliberazione dei possessori dei titoli pubblici al fine di modificare i termini e le condizioni di tutte le obbligazioni, anziché richiedere una doppia deliberazione».
Cosa farà l’Italia?
La presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, ha detto che sulla ratifica si esprimerà il Parlamento. È molto probabile che l’Italia firmi come farà anche la Germania, ma che il governo decida di affiancare alla ratifica una risoluzione per affermare che l’Italia non ricorrerà mai al Mes, come di fatto già anticipato dalla premier. Come ha sottolineato, Mario Monti, nel suo ultimo editoriale sul Corriere, «consentire che un trattato, firmato da tutti i governi, sia ratificato, non comporta il minimo obbligo di avvalersi degli strumenti che esso prevede, se un Paese non lo vuole».
Cos’è il Mes, come funziona il Fondo europeo salva-Stati e perché l’Italia non ha approvato la riforma del Meccanismo. Redazione su Il Riformista il 20 Dicembre 2022
L’unico Paese a non aver approvato la riforma è l’Italia. Si tratta della riforma del cosiddetto Fondo salva-Stati, il Meccanismo Europeo di Stabilità (Mes) – o European Stability Mechanism, ESM -, un’istituzione intergovernativa. A osteggiare il via libera alla riforma Fratelli d’Italia e Lega, due forze della maggioranza. Forza Italia invece è favorevole. La proposta interviene sui compiti del Mes e sulle condizioni per la concessione di assistenza finanziaria, una riforma divisa in tre parti.
All’inizio fu la “crisi dei debiti sovrani” scatenata dalla crisi finanziaria esplosa tra il 2008 e il 2009. Crisi che in Europa mise in ginocchio Grecia, Cipro, Irlanda e Portogallo. Il Mes venne creato per concedere assistenza a paesi membri dell’Unione che avrebbero incontrato difficoltà a finanziarsi sul mercato. A condizioni precise. Le condizionalità variano a seconda degli strumenti di assistenza. Il Meccanismo Europeo di Stabilità venne istituito nel 2012 tramite un trattato intergovernativo.
L’istituzione ha sede in Lussemburgo e non è sottoposta alla legislazione dell’Unione Europea ma a quella internazionale, creata in sostituzione del Fondo europeo di stabilità finanziaria (Fesf), istituito in maniera temporanea per soccorrere Grecia, Irlanda e Portogallo. Ha un capitale sottoscritto pari a 704,8 miliardi di euro di cui 80,5 versati. La sua capacità di prestito ammonta a 500 miliardi. Ogni Paese ha sottoscritto una propria quota, versando un contributo. L’Italia ha sottoscritto il capitale del Mes per 125,3 miliardi di euro, versandone oltre 14.
I diritti di voto dei membri del Consiglio sono proporzionali al capitale sottoscritto dai rispettivi paesi. Germania, Francia e Italia hanno diritti di voto superiori al 15 per cento e possono quindi porre il loro veto anche sulle decisioni prese in condizioni di urgenza. Il Mes è guidato dal Consiglio dei Governatori composto dai 19 ministri delle Finanze dell’area euro che prende all’unanimità tutte le principali decisioni. C’è poi un Consiglio dei Direttori, i cui membri vengono scelti tra i ministri, e un direttore generale che presiede il Consiglio dei Direttori. Del Mes fanno parte in qualità di osservatori il presidente della Banca Centrale Europea e il commissario europei agli Affari Economici.
Il Mes può offrire assistenza tramite la concessione di prestiti, ricapitalizzazione, acquisto di titoli sul mercato e apertura di linee di credito precauzionali. Ogni intervento è di solito accompagnato da promesse di riforme economiche e fiscali da parte dei Paesi richiedenti: si chiama “cash-for-reform”. Quando si accede agli aiuti la politica economica nazionale è posta sotto la supervisione dell’organizzazione e di altre istituzioni internazionali come l’Fmi, la Bce e la Commissione Europea: la cosiddetta Troika.
L’accesso alle linee di credito avviene tramite la Precautionary Conditioned Credit Line (Pccl) e la Enhanced Conditions Credit Line (Eccl). La prima per i Paesi considerati virtuosi, la seconda per quelli che non riescono a rispettare tutte le condizioni necessarie per accedere alla Pccl e che quindi devono mettere in atto politiche mirate a migliorare il bilancio nazionale. E in questo caso si parla di austerity e spending review. Quando è stato utilizzato, il Mes, è stato aspramente criticato proprio per i netti tagli alla spesa pubblica e gli incrementi della pressione fiscale. A causa della pandemia da covid-19 il Mes ha garantito una linea di credito da 240 miliardi di euro per sostenere spese sanitarie dirette e indirette dell’emergenza degli Stati. Nei casi di minaccia per la stabilità finanziaria ed economica dell’Eurozona Il Mes può operare a maggioranza qualificata (85% del capitale) dietro la richiesta di decisioni urgenti da parte di Commissione Europea e Banca Centrale Europea.
La riforma pensata a seguito della pandemia è articolata principalmente in tre parti che intervengono su governance e compiti del Mes nell’assistenza finanziaria ai paesi membri, con un ampliamento dei compiti del direttore generale; sulle condizioni per concedere l’assistenza finanziaria che contemplano una stretta per la Pccl e una valutazione della sostenibilità del debito; sulle garanzie degli interventi del Fondi di risoluzione unico. Si chiama “backstop” una delle principali novità della riforma: una specie di paracadute per il Fondo di risoluzione unico (SRF) che potrebbe prevenire e contenere i rischi di contagio connessi con eventuali crisi bancarie. Il coinvolgimento dei privati nella ristrutturazione del debito resterebbe circoscritta a casi eccezionali.
Banca d’Italia ha dedicato sul suo sito ufficiale un lungo approfondimento con tanto di Faq in cui si legge che la riforma “precisa, rendendoli più stringenti, i criteri attualmente in vigore per l’accesso alla PCCL”, che “non accresce i poteri del MES ma prevede un suo ruolo attivo nella gestione delle crisi e nel processo che conduce all’erogazione dell’assistenza finanziaria, così come nel successivo monitoraggio”, che non è vero che l’Italia dovrà versare al MES ulteriori fondi.
(ANSA il 15 Dicembre 2022) - "Speriamo che l'Italia ratifichi velocemente la riforma del Mes", trattandosi di una parte integrante del completamento dell'unione bancaria. Lo ha detto la presidente della Bce Christine Lagarde, riferendosi all'eventualità che il Paese si trovi ad essere l'unico a non aver ratificato la riforma dopo il via libera della Corte costituzionale tedesca.
Lagarde ha spiegato che, quanto alla relazione fra il Mes e l'Omt, il programma di acquisto di bond della Bce ideato sotto la presidenza di Mario Draghi che richiede la sottoscrizione di un protocollo d'intesa con il Mes, una mancata ratifica non avrebbe impatto sulla possibilità di attivare l'Omt qualora fosse necessario.
Estratto dell’articolo di Giuseppe Colombo per repubblica.it il 15 Dicembre 2022.
"Le parole di Giorgetti equivalgono all'annuncio della volontà del governo di non ratificare il Trattato", dice Luigi Marattin, deputato di Italia Viva che ha presentato un'interrogazione al ministro dell'Economia sulla ratifica della riforma del Mes. Parole che arrivano all'indomani della risposta del titolare del Tesoro durante il question time alla Camera, dove Giorgetti ha sottolineato la necessità di un dibattito in Parlamento prima di decidere se procedere o meno alla ratifica.
Marattin, il ministro Giorgetti dice che la decisione sulla ratifica del Mes deve essere preceduta da "un adeguato e ampio dibattito in Parlamento". Non è una procedura corretta coinvolgere le Camere?
"Correttissima. Il disegno di legge di ratifica del Trattato, che il governo deve predisporre, deve essere approvato dal Parlamento, e ci mancherebbe altro. Ma Giorgetti ha aggiunto che il Parlamento deve essere coinvolto anche prima che il governo presenti il disegno di legge di ratifica, una sorta di autorizzazione preventiva. Questa cosa non sta scritta proprio da nessuna parte".
Come legge l'orientamento del governo?
"In Parlamento tre quarti delle forze politiche vedono il Mes come fumo negli occhi, senza tra l'altro riuscire a spiegare il perché. Le parole del ministro equivalgono all'annuncio della volontà di non ratificare il Trattato".
L'aula della Camera ha approvato anche una mozione in cui impegna il governo a non procedere in attesa della ratifica dei Paesi che ancora non l'hanno fatto. L'adesione della Germania, formalmente, ancora non c'è.
"Non penso sia utile né dignitoso fare melina in questo modo. Il governo e Giorgetti stesso hanno più volte dichiarato che il vero ostacolo era la pronuncia della Corte Costituzionale tedesca e hanno dichiarato di attendere quella decisione, contraddicendo in quel caso il loro spirito sovranista. Ora la decisione è arrivata ed è favorevole. Ecco perché abbiamo chiesto al ministro se intende mantenere l'impegno preso e in pratica ci ha risposto di no".
[…] "Sul Mes, un giorno forse capiremo il perché, si è scaricato il peggior cialtronismo populista di questi anni, ed è un bel record visto quante ne abbiamo vissute. Ratificare il Trattato non significa accedere al Mes, ma semplicemente far entrare in vigore una riforma migliorativa di quello strumento, per essere in grado di aiutare i Paesi dell'area euro che malauguratamente dovessero incorrere in crisi bancarie o fiscali. Era un impegno preso dal governo in cui Salvini era vicepremier e tutti gli altri Stati lo hanno già fatto. Impedirne l'entrata in vigore non ha alcun senso, economico, politico o diplomatico".
Nella risposta del ministro alla sua interrogazione il Mes è definito "un'istituzione in crisi e per il momento in cerca di vocazione". È d'accordo?
"Mah, forse era un po' confuso e si riferiva al suo partito, non saprei".
[…]
Per il governo il Mes deve trasformarsi da strumento di protezione dalle crisi del debito sovrano e delle banche a uno strumento di finanziamento per gli investimenti e contro il caro energia. Non sarebbe meglio utilizzarlo per questi obiettivi?
"Il governo confonde le cose. La creazione di una capacità fiscale e di una capacità comune di emissioni di passività finanziaria a livello europeo, con l'obiettivo di finanziare beni pubblici europei, è un passo fondamentale del futuro dell'integrazione europea e deve realizzarsi rendendo il Next Generation EU uno strumento stabile. Ovviamente a condizione che questo esperimento sia un successo e che i Paesi membri, in primis noi, dimostrino di saper spendere bene le risorse dei contribuenti europei".
Fabrizio Goria per “La Stampa” il 16 dicembre 2022.
«Ci auguriamo che l'Italia ratifichi presto il Mes, è un'anomalia». Un messaggio, quello della presidente della Banca centrale europea Christine Lagarde, che irrompe nel dibattito politico italiano. Nel giorno del quarto rialzo dei tassi del 2022, con un altro mezzo punto in più, e dell'annuncio dello stop al riacquisto di titoli da marzo 2023, la Bce fa il punto sul Meccanismo europeo di stabilità. E in Italia si riaccende lo scontro sulla ratifica della riforma del trattato del Mes.
Manca solo Roma, dopo il via libera della Corte costituzionale tedesca. Il ministro del Tesoro, Giancarlo Giorgetti, risponde a tono: «C'è anche il Parlamento, no? Ha dato un indirizzo, non è che io posso andare contro il Parlamento. Adesso si esprimerà ancora e faremo quello che dobbiamo fare».
L'opposizione s' infiamma. E in serata Matteo Salvini attacca Lagarde su tutta la linea: «È incredibile, sconcertante e preoccupante che mentre c'è un governo che sta facendo di tutto per aumentare stipendi e pensioni e tagliare le tasse, la Bce, in un pomeriggio di metà dicembre, approvi una norma che brucia miliardi di euro di risparmi in Italia e in tutta Europa facendo schizzare lo spread».
Il riferimento è all'aumento dei tassi di interesse che ieri ha fatto cedere le Borse.
Il botta e risposta fra Roma e Francoforte sul fondo Salva-Stati è netto. Due giorni fa il titolare del Tesoro aveva detto che «il Mes appare un'istituzione in crisi e per il momento in cerca di una vocazione. In parte per colpa sua, in parte no, è un'istituzione impopolare.
Nessuno fra i Paesi europei ha voluto chiedere la sua linea di credito sanitaria».
Lagarde ieri ha spiegato che l'Italia è «l'anomalia (fra gli Stati membri, ndr) che non ha ancora ratificato». Questione cruciale, dice la numero uno di Francoforte, per il completamento dell'unione bancaria. Dalla Bce spiegano che nel messaggio «non ci sono connotazioni politiche» e «nessuna indicazione», bensì la presa d'atto di un fatto, ovvero che uno dei sei Paesi fondatori dell'Ue è l'ultimo ad affrontare la questione.
Tanto è bastato per scatenare un putiferio a Roma. A senso unico la reazione dell'opposizione contro l'esecutivo. «Lagarde ha dato la sveglia al governo e in particolare al ministro Giorgetti, che ieri (mercoledì, ndr) alla Camera sul Mes - per usare una delle metafore calcistiche così care al titolare del Mef - aveva buttato la palla in tribuna. Il tempo della melina è finito. È ora che il governo si assuma le proprie responsabilità», ha tuonato Antonio Misiani, responsabile economico del Pd. Gli ha fatto eco Luigi Marattin, capogruppo Azione-Iv in commissione Bilancio alla Camera: «Ratificare il trattato non significa aderire al Mes, significa rispettare un impegno internazionale preso da un Governo, il Conte I, del quale Salvini era vicepremier».
Reagisce il Movimento 5 Stelle con una nota: «Il governo non ha più alibi: smetta di nascondersi e abbia il coraggio di dire qual è il suo orientamento, se ne ha uno».
Critiche verso Francoforte sono arrivate dal centrodestra. Secca la posizione di Fdi, secondo il capogruppo alla Camera, Tommaso Foti: «Siamo impegnati sulla legge di Bilancio. Gli auspici sono legittimi, le scelte, ancora più legittime, saranno del Parlamento italiano». Rilancia Alessandro Cattaneo, corrispettivo di Foti per Forza Italia: «Il Parlamento sta facendo una riflessione da tempo e la nostra posizione è stata già chiarita in una mozione parlamentare contraria ad alcuni aspetti del regolamento del Mes. Manteniamo la nostra posizione e lavoriamo ad una soluzione».
Rincara la dose il ministro della Difesa Guido Crosetto, che critica la presidente della Bce per la politica monetaria: «Non ho capito il regalo di Natale che Lagarde ha voluto fare all'Italia», ha twittato, pubblicando la foto del rendimento dei Btp italiani a dieci anni, con la sua curva al rialzo. E ancora, sempre con un grafico sul valore dei Btp in declino: «Per chi non avesse capito l'effetto di decisioni prese e comunicate con leggerezza e distacco».
Altra benzina sul fuoco da uno dei ministri più vicini a Meloni. Sotto un profilo più tecnico, la mancata approvazione della riforma del Mes non pregiudica il poter contare sull'ombrello di protezione della Bce. Come nel caso delle Outright monetary transaction (Omt), le speciali operazioni di acquisto di titoli lanciate da Mario Draghi nel 2012 al tempo del "Whatever it takes".
Le Omt, spiegano fonti della Bce, necessitano di una condizionalità che è legata al Mes, ma la ratifica è una questione indipendente e «non pregiudicante» la possibilità di richiedere un supporto qualora necessario. A sé stante è anche il Transmission protection instrument (Tpi), lo scudo anti-spread.
Alessandro Barbera per “la Stampa” il 15 Dicembre 2022.«Noi giochiamo in Champions League! Magari non vinciamo ma è una bella soddisfazione». Transatlantico di Montecitorio, Roma, ieri. Mentre Giorgia Meloni parte per il primo Consiglio europeo da premier, a Giancarlo Giorgetti tocca tenere a bada il Parlamento. Dipendesse dai partiti, al ministro calciofilo occorrerebbero altri miliardi.
Basti qui citare le richieste più costose: per i pensionati al minimo, quelli costretti al taglio della rivalutazione, la proroga dei sussidi all'edilizia, nonostante quasi cento miliardi spesi. Coi cronisti il leghista si lascia andare all'euforia per essere riuscito fin qui a quadrare il cerchio: di qua Matteo Salvini, di là l'Europa matrigna.
Nonostante le molte osservazioni la Finanziaria del governo Meloni - la prima del centrodestra dal 2011 - non ha fatto la fine di quella Lega-Cinque Stelle nel 2019, riscritta da Giuseppe Conte dopo un durissimo negoziato con Bruxelles. Eppure per far calare di nuovo il gelo con la Commissione europea è bastato pochissimo. Accade quando in aula Giorgetti risponde ad un'interrogazione scritta del centrista Luigi Marattin.
Oggetto: la ratifica alla riforma del Fondo salva-Stati. «L'impianto attuale del Trattato appare non tenere conto del diverso contesto di riferimento e appare opportuno che siano valutate modifiche». Il ministro legge un testo preparato dai tecnici, vagheggia la necessità di «un ampio dibattito parlamentare», la sintesi è chiara: l'Italia non è intenzionata a firmare.
La notizia rimbalza a Bruxelles con un certo sconcerto. Una fonte comunitaria, sotto la garanzia dell'anonimato, la mette così: «Tutti conosciamo le difficoltà politiche in cui opera il governo. Ma questo è un affronto verso chi quella riforma l'ha approvata. Sarà un grosso problema». Che l'era dell'austerity sia lontana, e con essa le istituzioni che la rappresentano, è un fatto.
Ciò che la fonte europea contesta a Giorgetti è la leggerezza con cui il governo Meloni ha deciso di venir meno a un impegno sottoscritto da tutti e diciannove i Paesi della moneta unica. La vicenda non è nuova e si trascina da anni. Il primo a prender tempo sulla riforma dell'istituzione che dieci anni fa impose dure ristrutturazioni a Paesi come Grecia, Irlanda e Portogallo è il ministro del Tesoro del governo Pd-Cinque Stelle, Roberto Gualtieri. Ma l'opposizione ideologica di Lega e grillini ha costretto alla melina persino Mario Draghi.
Ma durante i venti mesi del governo di quasi unità nazionale e fino a pochi giorni fa l'Italia aveva una scusa che ora non c'è più: l'attesa per il giudizio della Corte costituzionale tedesca, alla quale si erano appellati i liberali tedeschi nel tentativo di fermare la ratifica di Berlino. Nel frattempo il giudizio (positivo) è arrivato, e l'Italia è l'unico Paese dell'area euro che non ha firmato quella riforma.
Se il vertice in corso a Bruxelles non fosse dedicato a temi diversi, la faccenda avrebbe creato imbarazzo a Giorgia Meloni. L'uscita del ministro leghista conferma però la determinazione della premier ad affrontare di petto le questioni che più di tutte possono far male agli interessi italiani, come i conti pubblici o la gestione dei migranti. Meloni è convinta che la legittimazione elettorale le permetterà di ottenere ciò che nemmeno riusciva al tecnico Draghi. Fin qui la linea prudente sui conti pubblici è stato il suo vero scudo dalle critiche.
Per l'aumento al tetto del contante, a quello per l'uso delle carte di pagamento, la tassa piatta concessa ai lavoratori autonomi e i ritardi sul Recovery plan. La scarsa disponibilità con cui ieri Giorgetti si è seduto al tavolo della maggioranza per discutere le modifiche alla Finanziaria conferma quella linea. Ma la mancata ratifica del fondo salva-Stati alimenterà i pregiudizi antitaliani che serpeggiano nei palazzi europei. Resta da capire se la Meloni li attenderà al varco o invece si troverà costretta ancora una volta a scendere a patti.
Scontro tra Roma e Bce. Lagarde chiede all’Italia di approvare il Mes, Crosetto la attacca. su L’Inkiesta il 17 Dicembre 2022.
«Ci auguriamo che l’Italia ratifichi presto il Mes, è un’anomalia», ha detto la presidente dell’Eurotower nel giorno del quarto rialzo dei tassi di interesse. «Non ho capito il regalo di Natale che Lagarde ha voluto fare all’Italia», ha twittato il ministro della Difesa, postato un grafico con il crollo dei mercati
«Ci auguriamo che l’Italia ratifichi presto il Mes, è un’anomalia». Il messaggio della presidente della Banca centrale europea Christine Lagarde irrompe nel dibattito politico italiano. Nel giorno del quarto rialzo dei tassi del 2022, con un altro mezzo punto in più, e dell’annuncio dello stop al riacquisto di titoli da marzo 2023, l’Eurotower fa il punto sul Meccanismo europeo di stabilità, anche detto Fondo Salva Stati. E in Italia si riaccende lo scontro sulla ratifica della riforma del trattato. Dopo il via libera della Corte costituzionale tedesca, il nostro Paese è l’unico a non averlo fatto.
Il ministro del Tesoro, Giancarlo Giorgetti, risponde: «C’è anche il Parlamento, no? Ha dato un indirizzo, non è che io posso andare contro il Parlamento. Adesso si esprimerà ancora e faremo quello che dobbiamo fare». Matteo Salvini attacca Lagarde: «È incredibile, sconcertante e preoccupante che mentre c’è un governo che sta facendo di tutto per aumentare stipendi e pensioni e tagliare le tasse, la Bce, in un pomeriggio di metà dicembre, approvi una norma che brucia miliardi di euro di risparmi in Italia e in tutta Europa facendo schizzare lo spread». Il riferimento è all’aumento dei tassi di interesse che ieri ha fatto cedere le Borse.
Rincara la dose il ministro della Difesa Guido Crosetto, che critica la presidente della Bce per la politica monetaria: «Non ho capito il regalo di Natale che Lagarde ha voluto fare all’Italia», ha twittato, pubblicando la foto del rendimento dei Btp italiani a dieci anni con la curva al rialzo. E ancora, sempre con un grafico sul valore dei Btp in declino: «Per chi non avesse capito l’effetto di decisioni prese e comunicate con leggerezza e distacco». Altra benzina sul fuoco da uno degli uomini più vicini a Meloni.
Interpellato da Repubblica, il cofondatore di Fratelli d’Italia specifica che l’errore di Lagarde è stato di non aver considerato che le sue parole arrivavano «a mercati aperti». L’errore della Bce «non è quello del rialzo» dei tassi, ha puntualizzato, «ma il fatto di preannunciarne altri. Cosa che poteva evitare. Poi, più di mille parole, vale la reazione dei mercati: se è così significa che qualcosa lo ha sbagliato. A meno che non volesse, ma allora sarebbe un altro discorso…». Insomma, per Crosetto il linguaggio di Lagarde è stato «una follia per tutta la Ue. E per l’Italia, ingiustamente negativo».
Lagarde ieri ha spiegato che l’Italia è «l’anomalia (fra gli Stati membri, ndr) che non ha ancora ratificato». Questione cruciale, dice la numero uno di Francoforte, per il completamento dell’unione bancaria. Dalla Bce spiegano che nel messaggio «non ci sono connotazioni politiche» e «nessuna indicazione», bensì la presa d’atto di un fatto, ovvero che uno dei sei Paesi fondatori dell’Ue è l’ultimo ad affrontare la questione.
Tanto è bastato per scatenare un putiferio a Roma. Secca la posizione di Fdi, secondo il capogruppo alla Camera, Tommaso Foti: «Siamo impegnati sulla legge di Bilancio. Gli auspici sono legittimi, le scelte, ancora più legittime, saranno del Parlamento italiano». Rilancia Alessandro Cattaneo per Forza Italia: «Il Parlamento sta facendo una riflessione da tempo e la nostra posizione è stata già chiarita in una mozione parlamentare contraria ad alcuni aspetti del regolamento del Mes. Manteniamo la nostra posizione e lavoriamo ad una soluzione».
In direzione contraria la linea dell’opposizione. Luigi Marattin, capogruppo Azione-Iv in commissione Bilancio alla Camera, ha detto: «Ratificare il trattato non significa aderire al Mes, significa rispettare un impegno internazionale preso da un governo, il Conte I, del quale Salvini era vicepremier». Secondo Antonio Misiani, responsabile economico del Pd, «Lagarde ha dato la sveglia al governo e in particolare al ministro Giorgetti, che ieri (mercoledì, ndr) alla Camera sul Mes – per usare una delle metafore calcistiche così care al titolare del Mef – aveva buttato la palla in tribuna. Il tempo della melina è finito. È ora che il governo si assuma le proprie responsabilità». Reagisce pure il Movimento Cinque Stelle con una nota: «Il governo non ha più alibi: smetta di nascondersi e abbia il coraggio di dire qual è il suo orientamento, se ne ha uno».
Due giorni fa Giorgetti aveva detto che «il Mes appare un’istituzione in crisi e per il momento in cerca di una vocazione. In parte per colpa sua, in parte no, è un’istituzione impopolare. Nessuno fra i Paesi europei ha voluto chiedere la sua linea di credito sanitaria».
(ANSA il 16 dicembre 2022) - "Non è una polemica con la Lagarde, è una constatazione: stiamo ntervenendo per un problema di inflazione che deriva dall'aumento del costo dell'energia e che ha un'origine diversa da quella americana.
Quindi è comprensibile un intervento dello 0,5%. Più incomprensibile è che, durante l'annuncio dell'aumento dello 0,5, si parli di altri aumenti dello 0,5, che di fatto hanno scatenato sul mercato reazioni che hanno coinvolto le Borse di Milano, Francoforte. Quindi più attenzione forse sarebbe stata opportuna". Così il ministro della Difesa, Guido Crosetto, sulle dichiarazioni della presidente della Bce, Christine Lagarde arrivando alla festa per il decennale di Fratelli d'Italia, in corso a Roma.
(ANSA il 16 dicembre 2022) - Lo spread tra Btp e Bund sale ancora e si attesta a 215 punti. In aumento anche il rendimento del decennale italiano al 4,33% (+19 punti base) che sale oltre quello della Grecia. L'aumento del tasso del Btp è in linea con quello dei Paesi 'periferici'. Il rendimento del titolo a dieci anni spagnolo si attesta al 3,27% (+13 punti) e quello greco al 4,29% (+17 punti).
La pacchia è finita. La Bce alza i tassi, compra meno titoli e l’Italia fa i conti con le sue illusioni sbagliate. Carmelo Palma su L’Inkiesta il 17 Dicembre 2022.
I partiti populisti pensano che la pandemia e la guerra abbiano cancellato il debito pubblico italiano. Non è così. La presidente della Banca centrale europea Christine Lagarde ha fatto capire che al governo Meloni servirà un’altra strategia
In un Paese di poeti, santi, navigatori, virologi negazionisti e generali pacifisti non c’è da sorprendersi che moltissimi si sentano anche banchieri centrali in pectore ed escano coraggiosamente allo scoperto quando occorre spiegare o contestare patriotticamente le scelte della Banca centrale europea. Ci sarebbe da discutere se quello patriottico, o meglio nazionalistico, sia un paradigma di giudizio coerente per un’istituzione che deve preoccuparsi della stabilità dell’euro e del controllo dei prezzi nell’eurozona, non di operare azioni redistributive tra i diversi Paesi attraverso lo strumento della politica monetaria.
Non ambendo peraltro a concorrere per il posto di CT dell’Eurotower e neppure della nazionale italiana anti-austerity, non so e non presumo di sapere se l’aumento dello spread e il tonfo delle borse dopo le parole della presidente Lagarde siano la dimostrazione di un suo errore, o semplicemente la conseguenza di un riallineamento inevitabile della BCE agli obiettivi del suo statuto.
Quel che invece mi sembra decisamente chiaro e che confermano anche le reazioni italiane, non solo di fonte governativa, alla decisione della banca centrale (meno dura del previsto nel contenuto) e alle parole della presidente Christine Lagarde (più dura del previsto nei toni) è che faremmo bene a ridestarci dal nostro nirvana artificiale.
In Italia, da alcuni anni, la politica nel suo complesso si balocca con l’illusione che prima il Covid e poi la guerra abbiano cambiato non solo le regole dell’eurozona, ma anche le leggi dell’economia e che quindi, ad esempio, debito e inflazione siano problemi che esistono solo in quanto sono considerati tali.
Nella realtà parallela che i politici della maggioranza e dell’opposizione bipopulista si sono abituati a frequentare e a rivendere politicamente come vera, la BCE dovrebbe tenere i tassi bassi con un’inflazione fuori controllo, anche al netto della componente energetica, e dovrebbe prorogare sine die politiche monetarie espansive per non innescare fenomeni di instabilità politica nei paesi più indebitati e ormai avvezzi a pensare, come in Italia, che il debito non è più un problema. Il tutto in nome di una crescita, che proprio la storia italiana dimostra né debito, né inflazione possono di per sé generare.
È poi particolarmente illuminante che si continui a considerare come problema minore proprio l’inflazione, che di tutte le tasse è la più iniqua e regressiva, colpendo i poveri più dei ricchi e i creditori a vantaggio dei debitori: infatti non dispiace, almeno nel breve periodo, agli stati più indebitati che così vedono evaporare parte del proprio gravame, man mano che si assottiglia il potere d’acquisto e la ricchezza di contribuenti e risparmiatori.
Come è noto Mario Draghi dai vertici della BCE e da Palazzo Chigi è stato tra i critici più decisi di quella che i suoi predecessori e successori chiamano spregiativamente «ortodossia monetarista». Ma è stato anche il più strenuo oppositore dell’idea, invece sottesa alle critiche politiche da destra e da sinistra contro Lagarde, che l’Italia possa campare, o addirittura prosperare, rimanendo semplicemente attaccata al respiratore della BCE. Serve un’altra strategia, whatever it takes.
Il PNRR.
Periferie d'autore. Report Rai PUNTATA DEL 12/11/2023
di Bernardo Iovene
Collaborazione di Lidia Galeazzo e Greta Orsi
Centinaia di milioni di euro dai fondi del Pnrr per riqualificare le periferie italiane, come verranno spesi tutti questi soldi?
Saranno demolite le ultime vele di Scampia. Anche le stecche del Bronx di San Giovanni a Teduccio e i Bipiani di amianto di Ponticelli saranno abbattuti per costruire nuovi quartieri con i finanziamenti del PNRR. A Roma invece il serpentone di Corviale e l’R5 di Tor Bella Monaca, quartieri simbolo del degrado della periferia romana, saranno ristrutturati. Sono progetti già avviati con i PUI, Piani Urbani Integrati, che rischiano il blocco perché il governo ha proposto lo stralcio alla Commissione Europea, promettendo ai comuni che hanno protestato finanziamenti da altri fondi nazionali con una scadenza più lunga. Complessivamente sono a rischio 13 dei 16 miliardi di euro previsti. Bernardo Iovene ha girato in ognuno di questi quartieri per documentare le condizioni di vita entrando nel merito dei singoli progetti che, oltre all’intervento edilizio, prevedono programmi di inclusione attraverso la creazione di servizi e spazi per le attività commerciali. Molte le analogie trovate con i progetti di oltre 40 anni fa che da Scampia a Corviale non hanno funzionato. Anche il comune di Venezia ha più di 2000 case pubbliche sfitte da ristrutturare, ma nel Piano Urbano Integrato ha richiesto 93 milioni di euro dai fondi PNRR per costruire il nuovo Palasport. Dopo la bocciatura della Commissione europea, a sorpresa il nostro governo, con un decreto, il 4 luglio è intervenuto con un finanziamento di 93,5 milioni di euro provenienti da fondi nazionali a favore del nuovo Palasport.
“PERIFERIE D’AUTORE” di Bernardo Iovene Collaborazione di Lidia Galeazzo e Greta Orsi Immagini di Paco Sannino, Andrea Lilli, Paolo Palermo e Fabio Martinelli
SIGFRIDO RANUCCI IN STUDIO A proposito di finanziamenti, il Ministro Fitto invece, cambiamo argomento, ha chiesto di rivedere all’ Europa come devono essere spesi i 16 miliardi per riqualificare le aree degradate nelle nostre città. Anche Venezia è un’area da riqualificare. Invece il sindaco Brugnaro dove ha chiesto che devono essere indirizzati i soldi? Il nostro immarcescibile Bernardo Iovene.
ORAZIO ALBERTI FONDATORE ASSOCIAZIONE OCIO OSSERVATORIO CIVICO SULLA CASA E LA RESIDENZA Sono due contatori a sinistra qui davanti ci sono… è il contatore dei posti letto turistici.
BERNARDO IOVENE Cioè Venezia ci sono
ORAZIO ALBERTI FONDATORE ASSOCIAZIONE OCIO OSSERVATORIO CIVICO SULLA CASA E LA RESIDENZA 49.474 posti letti turistici. Da questa parte, invece, a Venezia sono rimasti 49.196 abitanti. Questo è stato il momento del sorpasso. Posti letto turistici han superato i residenti nella città e che è stato, come dire, dal punto di vista psicologico, anche un colpo piuttosto duro.
BERNARDO IOVENE FUORI CAMPO Venezia continua a perdere case destinate agli abitanti, pochi mesi fa c’è stato il sorpasso: i posti letto per i turisti hanno superato i residenti che si trasferiscono sulla terraferma, Un fenomeno che a Venezia è sempre esistito, non a caso nel 1908 il Comune con la Cassa di Risparmio già provvedeva a costruire quartieri destinati ai ceti meno abbienti.
ORAZIO ALBERTI FONDATORE ASSOCIAZIONE OCIO OSSERVATORIO CIVICO SULLA CASA E LA RESIDENZA Qui siamo in via Garibaldi e alle mie spalle comincia un quartiere dell'edilizia popolare che è stato costruito nel 1908 dalla Commissione Sana ed Economica e poi ceduto allo IACP nel 1914.
BERNARDO IOVENE Oggi Ater.
ORAZIO ALBERTI FONDATORE ASSOCIAZIONE OCIO OSSERVATORIO CIVICO SULLA CASA E LA RESIDENZA La cosa che fa veramente male è trovare tutte queste abitazioni murate.
BERNARDO IOVENE Sono un senza tetto e sto cercando casa. Questo è il cancello che mettono qui quelli, quelli dell'Ater.
ORAZIO ALBERTI FONDATORE ASSOCIAZIONE OCIO OSSERVATORIO CIVICO SULLA CASA E LA RESIDENZA Sì, per evitare che ci siano, che ne so, occupazione abusiva. E guarda questo è veramente. Dovunque ti giri.
BERNARDO IOVENE C'è questo cancello, qui c'è sempre un altro cancello.
ORAZIO ALBERTI FONDATORE ASSOCIAZIONE OCIO OSSERVATORIO CIVICO SULLA CASA E LA RESIDENZA Eh, sì. Queste sono tutte chiuse.
BERNARDO IOVENE Qui c'è il solito cancello.
ORAZIO ALBERTI FONDATORE ASSOCIAZIONE OCIO OSSERVATORIO CIVICO SULLA CASA E LA RESIDENZA Si.
BERNARDO IOVENE Questo è chiuso.
ORAZIO ALBERTI FONDATORE ASSOCIAZIONE OCIO OSSERVATORIO CIVICO SULLA CASA E LA RESIDENZA Questa è chiusa. Questa anche.
BERNARDO IOVENE Qui sono tutte chiuse.
ORAZIO ALBERTI FONDATORE ASSOCIAZIONE OCIO OSSERVATORIO CIVICO SULLA CASA E LA RESIDENZA Esatto.
BERNARDO IOVENE Qui le case avrebbero bisogno di un po’ di manutenzione.
ORAZIO ALBERTI FONDATORE ASSOCIAZIONE OCIO OSSERVATORIO CIVICO SULLA CASA E LA RESIDENZA A Venezia se le lasci a sé stesse si deteriorano molto facilmente. L'umidità che sale sgretola praticamente gli intonaci, se tu lo tocchi… è proprio bagnato, è bagnato.
BERNARDO IOVENE FUORI CAMPO Fino al 2014 c'era un Osservatorio sulla casa del Comune di Venezia, poi le successive amministrazioni non l'hanno riproposto. E dal 2018 a monitorare il patrimonio pubblico di Comune e Ater c'è un Osservatorio civico indipendente, l'associazione 3 Ocio. Qui siamo a est della città, nel quartiere Quintavale. Sono case popolari costruite nel 1909 sempre da Comune e Cassa di Risparmio.
BERNARDO IOVENE Tutto Ater qua?
ORAZIO ALBERTI FONDATORE ASSOCIAZIONE OCIO OSSERVATORIO CIVICO SULLA CASA E LA RESIDENZA Sì, sì, questo ancora Quintavale.
BERNARDO IOVENE Là è chiuso?
ORAZIO ALBERTI FONDATORE ASSOCIAZIONE OCIO OSSERVATORIO CIVICO SULLA CASA E LA RESIDENZA Hai voglia. Qui di case pubbliche sono un'ottantina e tra 25, 30 case sono risultate sfitte.
BERNARDO IOVENE FUORI CAMPO All'altra estremità, a ovest c’è l'isola di Sacca Fisola, un quartiere di case del comune dell'Ater, abbastanza recenti. l'Osservatorio insieme alla Consulta della Casa ha censito tutti i 500 alloggi popolari.
ORAZIO ALBERTI FONDATORE ASSOCIAZIONE OCIO OSSERVATORIO CIVICO SULLA CASA E LA RESIDENZA E abbiamo trovato, tra Comune e Ater, 69 alloggi sfitti.
BERNARDO IOVENE FUORI CAMPO Tra cui alcuni recenti e completamente murati, sempre per evitare che siano occupati abusivamente.
ORAZIO ALBERTI FONDATORE ASSOCIAZIONE OCIO OSSERVATORIO CIVICO SULLA CASA E LA RESIDENZA Tra Comune e Ater abbiamo calcolato che Venezia e Mestre, il Comune, ha circa 2000 case non occupate, più di 2000 case.
BERNARDO IOVENE FUORI CAMPO Ristrutturarle tutte quanto costerebbe?
ORAZIO ALBERTI FONDATORE ASSOCIAZIONE OCIO OSSERVATORIO CIVICO SULLA CASA E LA RESIDENZA Ater ha fatto un conto che per ristrutturare a livello però provinciale ci vorrebbero, le case sfitte, 90 milioni di euro.
BERNARDO IOVENE 90 milioni.
BERNARDO IOVENE FUORI CAMPO 93 milioni di euro è la cifra che il Comune di Venezia ha chiesto ai fondi del PNRR, non per ristrutturare le case sfitte, ma per il progetto Bosco dello Sport, che costerà complessivamente 300 milioni. È stato previsto uno stadio, un palasport per 10.000 posti, una nuova viabilità e opere a verde. Ma la Commissione Europea ha bocciato il progetto e i 93 milioni si sono persi.
GIUSEPPE SACCA’ CONSIGLIERE COMUNALE VENEZIA - PARTITO DEMOCRATICO Sulla base di quelli che sono i criteri che si era data l'Europa di rigenerazione, è stato bocciato, che è un esempio più unico che raro. Insomma, all'interno di tutta la progettazione europea del PNRR.
BERNARDO IOVENE Se quel progetto è stato bocciato, se ne poteva presentare un altro perché?
GIUSEPPE SACCA’ CONSIGLIERE COMUNALE VENEZIA - PARTITO DEMOCRATICO Se ne doveva presentare un altro.
MICHELE BOATO PRESIDENTE ECOISTITUTO DEL VENETO ALEX LANGER L’Ater e il Comune Hanno migliaia di case vuote ma da sistemare. Ci vogliono dei soldi per sistemarli. Non li abbiamo. Ma sì che li avete. Avete 93 milioni che vi danno per questo scopo, per aree degradate, per edifici che esistenti, che bisogna sistemare, perché non li usate per questo scopo? Secondo me è immorale.
BERNARDO IOVENE FUORI CAMPO Eppure, lo stadio Penzo di Venezia è stato appena ampliato da 7000 a 11000 posti nel 2021, quando la squadra è stata promossa in serie A e anche il Palasport, c'è già il Taliercio, dove gioca nella Serie A la Reyer, la squadra di pallacanestro di cui è il proprietario proprio il sindaco della città, Luigi Brugnaro.
BERNARDO IOVENE Secondo lei il sindaco ha degli interessi diretti suoi?
MICHELE BOATO PRESIDENTE ECOISTITUTO DEL VENETO ALEX LANGER Certo è il padrone della Reyer, della società di pallacanestro che così avrebbe il suo regno, il suo castello lì.
BERNARDO IOVENE FUORI CAMPO Quest'estate proprio mentre il ministro Fitto metteva in discussione i finanziamenti del PNRR per la rigenerazione delle periferie delle città italiane, proponendo all'Europa di stralciare 16 miliardi di euro, dall'altro lato è arrivato il decreto che stanziava 93 milioni di fondi statali per il nuovo Palasport di Venezia.
GIANFRANCO BETTIN CONSIGLIERE COMUNALE - VENEZIA VERDE PROGRESSISTA Per rimediare al tuo errore che hai chiesto soldi, diciamo così, per una destinazione sbagliata all'Europa che non li aveva messi per quella, per rimediare chiedi i soldi per 5 la stessa destinazione sbagliata allo Stato e metti i soldi del Palasport dello stadio in diretta competizione, anche tra i fondi statali, con le opere strategiche e urgenti che hai. È un gigantesco errore che la città pagherà.
MICHELE BOATO PRESIDENTE ECOISTITUTO DEL VENETO ALEX LANGER Questo è stato il suo, la sua vendetta rispetto all'Europa. No, non me li avete dati. Me li faccio dare dei miei amici a Roma.
BERNARDO IOVENE FUORI CAMPO A chiedere i finanziamenti per il palasport direttamente al ministro Fitto è stato il senatore eletto nel collegio Veneto 1, Raffaele Speranzon.
RAFFAELE SPERANZON SENATORE FRATELLI D’ITALIA Mi sono fatto carico di portare un'istanza al ministro Fitto e quindi di spingere, tra virgolette, di dire, a supportare con il Ministero l'istanza del Comune di Venezia. Secondo me è una che era giusto fare, che rifarei. Se riguarda l'impiantistica sportiva del nostro territorio è assolutamente inadeguata.
BERNARDO IOVENE Però stiamo parlando comunque di 93 milioni di euro che potevano arrivare dall'Europa e utilizzati per le case popolari. Invece si sono persi.
RAFFAELE SPERANZON SENATORE FRATELLI D’ITALIA C'è sicuramente stato qualche errore. Bisognerebbe capire da parte di chi e in quale momento.
BERNARDO IOVENE FUORI CAMPO Il sindaco non è voluto intervenire scrive testualmente: la trasmissione Report viene da me giudicata troppo faziosa e perciò non ho alcun commento da rilasciarvi.
SIGFRIDO RANUCCI IN STUDIO Insomma, il Comune ci ha provato a farsi finanziare con i soldi con il PNRR il progetto, almeno in parte, il progetto del bosco dello sport dove è prevista la costruzione di uno stadio, di un palasport, arena e una piscina olimpionica. Però l’Europa a maggio scorso ha detto no, questo progetto non si può finanziare perché non risponde alle finalità del PNRR. Insomma, però, il palasport è una priorità almeno per la squadra di basket la Reyer, che è di proprietà del sindaco Brugnaro. Ora la proprietà il sindaco non ce l’ha, non ha la gestione materiale della squadra, come di altri beni perché dopo che è diventato sindaco, sono stati messi in un trust. Però il finanziamento è riuscito ad ottenerlo lo stesso. Tra le priorità c’è appunto la costruzione del palasport. E il governo ha preso i soldi dai fondi collaterali al PNRR. Sono quei fondi che lo Stato ha stanziato, il governo ha messo a disposizione per rafforzare proprio gli obiettivi del piano nazionale di ripresa e resilienza. Però è stata persa un’occasione perché se inizialmente il Comune di Venezia avesse chiesto quei fondi per ristrutturare e riqualificare gli alloggi dell’Ater e del Comune probabilmente li avrebbe ottenuti. A beneficio di quei residenti e avrebbe anche consentito di ripopolare Venezia perché oggi invece sono costretti, quei residenti, ad andare in terraferma. Venezia è popolata 6 per lo più da turisti. E a proposito di alloggi, andiamo a Scampia, le vele dopo 50 anni di Gomorra, gli abitanti stanno ancora aspettando l’abbattimento.
ROSARIO ANDREOZZI CONSIGLIERE COMUNALE NAPOLI - NAPOLI SOLIDALE EUROPA VERDE Dal primo giorno che le famiglie sono entrate, gli ascensori non hanno mai funzionato, non hanno mai funzionato i servizi, mai funzionato niente, attenzione gli scalini perché sennò ti fai male, cadi con la telecamera.
BERNARDO IOVENE Hai ragione.
ROSARIO ANDREOZZI CONSIGLIERE COMUNALE NAPOLI - NAPOLI SOLIDALE EUROPA VERDE Cadi con la telecamera ultima che avete comprato ed è un disastro. E questo è il vicolo.
BERNARDO IOVENE Il vicolo. È la riproduzione del vicolo.
BERNARDO IOVENE FUORI CAMPO L'idea dell'architetto delle Sette Vele di Scampia, Franz Di Salvo, era quello di riproporre in ogni edificio, attraverso questi ballatoi ormai famosi, la vita dei vicoli del centro antico di Napoli.
ROSARIO ANDREOZZI CONSIGLIERE COMUNALE NAPOLI - NAPOLI SOLIDALE EUROPA VERDE Qui non ci sono servizi, hai visto no, giù? Non c'è niente.
BERNARDO IOVENE Questi dopo dieci anni già erano messe così?
ROSARIO ANDREOZZI CONSIGLIERE COMUNALE NAPOLI - NAPOLI SOLIDALE EUROPA VERDE Queste dopo dieci anni avevano problemi da tutte le parti, ma questi sono tutte costruzioni di cemento amianto.
BERNARDO IOVENE FUORI CAMPO Anche per le ultime tre vele è previsto l'abbattimento da decenni. Con l'occasione del finanziamento del PNRR e dei fondi complementari si spenderanno, per la demolizione delle Vele e la costruzione di nuovi alloggi, oltre 152 milioni di euro. Ma qui complessivamente vivono ancora circa 500 famiglie.
BERNARDO IOVENE Il tuo indirizzo qual è?
ABITANTE Viale della Resistenza Lotto M, isolato B interno 302, Vela Celeste.
BERNARDO IOVENE Il postino impazzisce.
ABITANTE No, viene da me il postino perché io sono nato qua dentro.
BERNARDO IOVENE Queste case sono state sempre in queste condizioni, se tu come te lo ricordi?
ABITANTE Non hanno fatto mai la manutenzione. Perdite d'acqua, mancanza di corrente, non abbiamo il gas. Quando piove scorre l’acqua dentro e non fuori.
BERNARDO IOVENE Tu che lavoro fai?
ABITANTE Niente, attualmente niente.
BERNARDO IOVENE Ah, niente sei disoccupato.
ABITANTE Sì, percettore di reddito di cittadinanza. Sono invalido al 74%. Ho un problema alla spina dorsale.
BERNARDO IOVENE Maria quanti anni sono abiti qua?
ABITANTE 40 anni.
BERNARDO IOVENE Ti dispiace che adesso queste vele vadano giù?
ABITANTE Un po’ sì però per un'altra parte dare un mondo migliore ai tuoi figli, preferisco che vadano giù.
BERNARDO IOVENE Quanti figli hai?
MARIA MINCIONE ABITANTE Io ho tre figli.
BERNARDO IOVENE Sono nati tutti quanti qua?
ABITANTE E sono anche nonna.
BERNARDO IOVENE Hai mai lavorato.
ABITANTE Sempre nero, mo’ adesso in questo momento sto con il reddito.
BERNARDO IOVENE FUORI CAMPO C'è chi è nato nelle vele ma c'è anche chi senza casa e reddito è arrivato una decina d'anni fa, quando già si sapeva che le vele dovevano essere abbattute.
ABITANTE Quando sono entrata io, le vele dovevano essere abbattute.
BERNARDO IOVENE Perché è entrata se dovevano essere abbattute?
ABITANTE Perché io tenevo famiglia e stavo in mezzo alla via, non tenevo dove andare, ho visto la vela, mi sono buttata dentro.
BERNARDO IOVENE Quanti bambini ha?
ABITANTE Quattro. I pavimenti si stanno alzando da terra.
BERNARDO IOVENE Ah, ecco. ABITANTE Questa è casa mia.
BERNARDO IOVENE A che piano abita?
ABITANTE Decimo.
BERNARDO IOVENE Qua non c'è mai stata l'ascensore, no?
BERNARDO IOVENE Signora ha fatto la spesa.
ABITANTE Si.
BERNARDO IOVENE Quanti piani deve fare adesso?
ABITANTE Otto piani.
BERNARDO IOVENE Da quanti anni fa questi otto piani a piedi.
ABITANTE Da 18 anni.
BERNARDO IOVENE Perché ha deciso di venire qua nelle vele?
ABITANTE Perché non avevo casa.
BERNARDO IOVENE Quindi anche lei è un occupante come tutti gli altri, diciamo?
ABITANTE Occupante abusiva, speriamo che mi danno un alloggio che c'è una bambina disabile.
BERNARDO IOVENE Lei che lavoro fa?
ABITANTE No, io prendo il reddito, non faccio nessun lavoro.
BERNARDO IOVENE Ha famiglia? Marito?
ABITANTE Sì, ho cinque figli un marito non ce l'ho, una è sposata e ho quattro minori a casa e penso che ci dovranno dare delle case. Se mi danno un bel posto di lavoro. Penso di andare pure a lavorare perché sono giovane, sono ancora capace di lavorare.
BERNARDO IOVENE Quanti anni ha glielo posso chiedere?
ABITANTE Ho 41 anni.
BERNARDO IOVENE FUORI CAMPO 10 Sono tutti in attesa, la maggior parte disoccupati, con tanti figli e occupanti abusivi. Coloro che sono riusciti a dimostrare che abitavano nelle Vele prima del 2016 hanno acquisito un diritto ad avere un alloggio in seguito a una sanatoria della Regione Campania. Per gli altri, invece, si sta lavorando a una soluzione.
BERNARDO IOVENE Cioè, queste persone rientreranno?
GAETANO MANFREDI SINDACO DI NAPOLI Sicuramente tutti avranno un alloggio diciamo temporaneo. Laddove ci sono delle grandi fragilità noi non possiamo mettere le persone per strada. È chiaro che laddove invece ci sono legami con la malavita chiaramente in quel caso, ovviamente, noi saremo inflessibili.
BERNARDO IOVENE FUORI CAMPO Intanto dopo la proposta del ministro Fitto di stralciare i fondi destinati ai comuni e alle periferie dal PNRR, gli abitanti delle Vele sono arrivati a Roma e hanno occupato il Pantheon.
MANIFESTANTI Forza forza, vai vai vai...
MANIFESTANTI Giù le mani dai fondi delle vele. Giù le mani dai fondi delle vele.
ELENA FIORILLO COMITATO VELE SCAMPIA NAPOLI Siamo qua perché vogliamo che non tagliano i fondi, perché abbiamo bisogno di case
MANIFESTANTI Giù le mani dalle case.
GENNARO PICCIRILLO COMITATO VELE SCAMPIA NAPOLI Questo popolo sta dimostrando oggi, occupando il Pantheon, merita la casa, merita il lavoro e merita una vita dignitosa.
MANIFESTANTI Non c’è rassegnazione, ma solo tanta rebbia perché c’è dentro me.
OMERO BENFENATI COMITATO VELE SCAMPIA NAPOLI Oggi abbiamo portato a Roma il simbolo delle Vele, che non è la vela di Gomorra, ma è la vela di riscatto della lotta, della resistenza.
GIOVANNI BUONAIUTO COMITATO LOTTO P SCAMPIA NAPOLI Stiamo scherzando con la dignità della gente. Può scoppiare veramente una bomba sociale.
MANIFESTANTI 11 Vele, vele, carceri speciali, decidiamo noi. Decidiamo noi.
ROSARIO ANDREOZZI CONSIGLIERE COMUNE DI NAPOLI - NAPOLI SOLIDALE EUROPA VERDE L'eco quartiere di Scampia, il nuovo che dà dignità alle famiglie e ai cittadini non si toccano i soldi dei PNR dalle Vele di Scampia, dopo quarant'anni di lotte e sacrifici all'interno di quelle carceri speciali che sputano amianto sulle famiglie e sui ragazzi, da 40 anni non si toccano.
BERNARDO IOVENE FUORI CAMPO Queste risorse servono a portare a termine un progetto iniziato nel 1991, quando il Comitato delle Vele incontrò a Scampia il Presidente Cossiga. Dopo quella visita il Presidente della Repubblica riunì tutte le istituzioni locali e nazionali e lo stesso Comitato al Quirinale per decretarne l'abbattimento.
ANTONIO MEMOLI ARCHITETTO COMITATO VELE SCAMPIA NAPOLI Cossiga, con le sue battute, aveva detto che avrebbe fatto venire l'Aeronautica militare a distruggere le Vele, ovviamente però questa cosa fu un impulso per il quale riuscimmo poi ad avere i finanziamenti. Nella Finanziaria del 1993 sono stati stanziati 120 miliardi, più 40 miliardi stanziati dalla Regione e questi sono serviti per fare l'abbattimento di quelle vele.
BERNARDO IOVENE FUORI CAMPO 160 miliardi di vecchie lire furono utilizzati a partire dal 1997 con l'abbattimento della prima vela… che nello stupore di tutti, resistette alle cariche esplosive. DAL TG3 DEL 11/12/1997 Ci vorranno nuove cariche di esplosivo. Alle due infatti, come previsto, un gran botto. Ma la vela F non viene giù. BERNARDO IOVENE Allora Coppe, se bisogna far esplodere qualcosa in Italia bisogna rivolgersi a lei?
DANILO COPPE GEOMINERARIO ESPLOSIVISTA Ho fatto esplodere il più importante, forse il ponte Morandi…
BERNARDO IOVENE Ponte Morandi.
DANILO COPPE GEOMINERARIO ESPLOSIVISTA E poi le Vele di Secondigliano, poi gli otto grattacieli del Villaggio Coppola, l'ecomostro di Sori, le Farfalle di Saronno, altre 700 strutture.
BERNARDO IOVENE 700 strutture.
BERNARDO IOVENE FUORI CAMPO Danilo Coppe è un esplosivista, aveva previsto che le vele non sarebbero implose. A lui furono affidati gli abbattimenti delle vele successive e ci spiega con quale criterio erano state costruite.
DANILO COPPE GEOMINERARIO ESPLOSIVISTA Era una struttura che poi i calcoli del cemento armato vennero affidati, guarda caso, a Morandi. Il quale…
BERNARDO IOVENE Morandi del ponte Morandi nelle Vele di Secondigliano?
DANILO COPPE GEOMINERARIO ESPLOSIVISTA Assolutamente sì. Morandi cosa ha fatto? Ha preso tutti i coefficienti di sicurezza, come se…
BERNARDO IOVENE Un giorno tutte insieme…
DANILO COPPE GEOMINERARIO ESPLOSIVISTA Bravo, ci venisse un Terremoto, un tornado il bradisismo e il Vesuvio che eruttava. Lui le ha previste tutte e quattro insieme. E quindi il risultato è che questi edifici erano in grado di reggere a un terremoto del nono grado Richter, cioè praticamente erano acciaio intonacato e quindi ho concepito il ribaltamento e così è stato. Ribaltandole intere venivano giù, se noti questa è caduta da 52 metri di altezza, è rimasta intera. Anche i bagni avevano dei muri separatori da venti centimetri pieni di ferro perché dovevano reggere tutto. E quindi…
BERNARDO IOVENE È strano che queste Vele potevano reggere a tutto…
DANILO COPPE GEOMINERARIO ESPLOSIVISTA A tutto.
BERNARDO IOVENE Tranne che all'incuria dell'uomo.
BERNARDO IOVENE FUORI CAMPO È stata la mancanza di gestione e manutenzione che ha convinto da subito prima gli abitanti e poi le istituzioni che non era possibile ristrutturare gli unici edifici a prova di bomba e terremoti.
BERNARDO IOVENE Voi siete stati sempre convinti che queste Vele dovevano essere abbattute?
OMERO BENFENATI COMITATO VELE SCAMPIA NAPOLI Certo, sempre convinti perché posti diciamo evidenti a tutti Inabitabili posti di chi viveva a 14º piano magari era veramente carcerato in casa. Tra l’amianto e servizi che non funzionavano.
BERNARDO IOVENE FUORI CAMPO Omero è uno dei portavoce del comitato, abitava nella quarta vela abbattuta nel 2020. Oggi vive in uno dei 900 alloggi costruiti su quelle macerie.
BERNARDO IOVENE Questa è la vela rossa. E qua che c’erano?
OMERO BENFENATI COMITATO VELE SCAMPIA NAPOLI Qua c'era l’altra vela rossa. E sulle macerie delle vele nasce la normalità.
BERNARDO IOVENE Tu abiti qua adesso?
OMERO BENFENATI COMITATO VELE SCAMPIA NAPOLI Abito qua, al terzo piano, fortunatamente ci sono i citofoni, guarda.
BERNARDO IOVENE Ci sono i citofoni. E non ci stanno neanche i cancelletti che di solito ci sono.
OMERO BENFENATI COMITATO VELE SCAMPIA NAPOLI L’ascensore per noi è una cosa straordinaria, non l’avevamo mai vista. Oggi abbiamo anche l’ascensore vedi Bernà, ce lo prendiamo o vogliamo salire a piedi la usiamo?
BERNARDO IOVENE E prendiamolo, se ci sta usiamolo.
OMERO BENFENATI COMITATO VELE SCAMPIA NAPOLI Vieni Bernà. Vieni.
BERNARDO IOVENE Questa è casa tua?
OMERO BENFENATI COMITATO VELE SCAMPIA NAPOLI Questa è casa mia.
BERNARDO IOVENE Permesso?
OMERO BENFENATI COMITATO VELE SCAMPIA NAPOLI Prego, prego. Questo è il nuovo alloggio Bernà.
BERNARDO IOVENE Sei contento?
OMERO BENFENATI COMITATO VELE SCAMPIA NAPOLI Sono contento per me ma soprattutto diciamo per la mia famiglia, per i miei figli. Queste sono tutte nuove abitazioni delle ultime assegnazioni. 14 BERNARDO IOVENE Sembra un quartiere normale.
OMERO BENFENATI COMITATO VELE SCAMPIA NAPOLI Finalmente diciamo possiamo usufruire di una normalità in un alloggio dignitoso.
BERNARDO IOVENE Quanto paghi tu qui?
OMERO BENFENATI COMITATO VELE SCAMPIA NAPOLI Io pago 26€ al mese.
BERNARDO IOVENE 26€ al mese.
OMERO BENFENATI COMITATO VELE SCAMPIA NAPOLI Il panettiere, c’è il forno, la farmacia. Prima era un deserto.
BERNARDO IOVENE Prima era un deserto?
OMERO BENFENATI COMITATO VELE SCAMPIA NAPOLI Deserto. Viva la lotta! Viva la lotta.
BERNARDO IOVENE Senza casco, ah no se lo mette va.
BERNARDO IOVENE FUORI CAMPO Viva la lotta perché non è ancora finita. Si aspettano le ultime demolizioni. Attualmente solo una metà degli abitanti delle Vele ha iniziato a vivere e a provare la cosiddetta normalità.
ROSARIO ANDREOZZI CONSIGLIERE COMUNALE NAPOLI - NAPOLI SOLIDALE EUROPA VERDE Queste qua le abbiamo assegnate con i primi abbattimenti delle Vele, vedi come si vive? Ti faccio vedere. Massima organizzazione, tendoni tutti uguali. Cittadini normali.
BERNARDO IOVENE FUORI CAMPO Le case nuove, come le chiamano qui a Scampia, hanno cambiato la faccia al quartiere. Non più le Vele isolate da tutto, ma case basse, attività commerciali e addirittura un'università, realizzata su una Vela abbattuta.
OMERO BENFENATI COMITATO VELE SCAMPIA NAPOLI Questa è l'università, appena otto nove mesi fa abbiamo fatto l'inaugurazione e questa nasce sul Lotto L.
BERNARDO IOVENE 15 Quanti studenti ci sono qua dentro?
MATTEO LORITO RETTORE UNIVERSITA’ FEDERICO II NAPOLI Circa un migliaio. Oggi un ragazzo prende la metropolitana, se qualcuno gli chiede dove vai? Vado a studiare a Scampia, vado all'università, a Scampia.
BERNARDO IOVENE FUORI CAMPO Per fare in modo che non sia un'isola nel quartiere, all'interno dell'ateneo non ci sono punti di ristoro.
MATTEO LORITO RETTORE UNIVERSITA’ FEDERICO II NAPOLI Abbiamo realizzato tutta la struttura in piena interazione con tre soggetti che sono: la municipalità, naturalmente, le associazioni, il Comitato Vele e quindi l'idea è quella di far sviluppare il territorio. Intanto adesso intorno università stanno aprendo i bar.
BERNARDO IOVENE FUORI CAMPO Studenti e professori, per le loro pause, devono uscire e rapportarsi con il quartiere. Le demolizioni delle ultime tre vele sono previste una entro il 2024, l'altra nel 2025, la terza resterà in piedi per ricordo. Sarà ristrutturata e destinata ad un uso pubblico ancora da definire. Ma prima, nell'area a ridosso, ci spiega l'assessore Lieto, si costruiranno 200 alloggi dove trasferire parte degli abitanti.
LAURA LIETO VICENSINDACA E ASSESSORA ALL’URBANISTICA COMUNE DI NAPOLI Il progetto è congegnato in modo tale da alternare nuova edificazione, trasferimento delle famiglie e demolizioni. BERNARDO IOVENE Finisce il progetto quante famiglie avranno…
LAURA LIETO VICENSINDACA E ASSESSORA ALL’URBANISTICA COMUNE DI NAPOLI 433 nuovi alloggi più naturalmente tutti i servizi: c’è una scuola, ci sono tutta una serie di servizi di prossimità, oltre le aree verdi, sia condominiali che pubbliche.
SIGFRIDO RANUCCI IN STUDIO Ambire alla normalità è come se fosse un’eccezionalità. Invece è stato il primo requisito a mancare in un progetto di un architetto che voleva riportare là dentro la magia dell’atmosfera dei vicoli di Napoli. Riportare gli stessi suoni, gli stessi rumori. Per questo aveva concepito i negozi e i servizi all’interno dei palazzi. Invece quelle vele erano state costruite e concepite per resistere in eterno. Anche al bradisismo, all’eruzione, al terremoto. Sono state concepite da quell’ingegnere che aveva concepito il ponte di Genova, Morandi che però non aveva previsto i danni invece dell’architettura sociale. Quella che ha consentito che quei loghi diventassero un agglomerato di famiglie a basso reddito o disoccupate, quello che non aveva previsto è che il Comune poteva rimanere senza soldi per la manutenzione, così come l’agenzia partecipata. Se per primo lo Stato non dimostra di amare la cosa pubblica, ecco in quel vuoto si infila Gomorra. Già negli anni ’80, si parlava di un abbattimento 16 delle Vele. E quando è andato il presidente Cossiga gli abitanti lo avevano convinto che quei luoghi non si potevano riqualificare. Chiedevano dei quartieri nuovi, a misura d’uomo. Così nel 1997 sono stati stanziati 160 miliardi di vecchie lire per abbattere le Vele. Ne sono state abbattute 4, costruiti nuovi quartieri, dove però i negozi sono a fronte strada per favorire la socialità. Ne rimangono 3 di Vele, 500 nuclei familiari da sistemare. E i 152 milioni di euro stanziati rappresentano l’ultima spiaggia. Così questi nuclei familiari vedono i nuovi quartieri come la terra promessa. E ora andiamo in un altro quartiere dove si è recitato lo stesso copione.
BERNARDO IOVENE FUORI CAMPO Questo è il cosiddetto Bronx di San Giovanni a Teduccio, quartiere di Napoli. In ogni stecca lunga 300 metri vivono 180 nuclei familiari. Un progetto dell'architetto romano Pietro Barucci, famoso anche per aver progettato l’R5 di Tor Bella Monaca a Roma. Alle quattro teste c'è l'arte urbana di Jorit, tra i quali i murales più grandi al mondo di Che Guevara e Maradona.
BERNARDO IOVENE Queste sono due stecche?
ROSARIA CORDONE COMITATO TAVERNA DEL FERRO NAPOLI Sì.
BERNARDO IOVENE Come mai sono così vicine?
ROSARIA CORDONE COMITATO TAVERNA DEL FERRO NAPOLI Perché il brillante architetto che ha progettato queste palazzine ha pensato di introdurre, diciamo, una sorta di vicolo di Napoli.
BERNARDO IOVENE Anche qua?
ROSARIA CORDONE COMITATO TAVERNA DEL FERRO NAPOLI Sì, anche qua.
BERNARDO IOVENE FUORI CAMPO In totale sono 360 appartamenti di edilizia popolare costruiti dopo il terremoto del 1980. Anche qui si riproponeva il vicolo, negozi e servizi. Un'architettura d'autore che non ha funzionato. Ironia della sorte, qui arrivano i turisti per i murales di Jorit, ma purtroppo, dentro e sotto, c'è tutt'altro.
BERNARDO IOVENE Ma questi funzionano?
ABITANTE Si tutti funzionanti, questi sono tutti i contatori elettrici.
BERNARDO IOVENE 17 Con tutti questi fili così? No ma veramente? Qua può succedere una tragedia da un momento all'altro.
ROSARIA CORDONE COMITATO TAVERNA DEL FERRO NAPOLI Più volte hanno preso fuoco, i contatori.
BERNARDO IOVENE Quindi è già successo?
ROSARIA CORDONE COMITATO TAVERNA DEL FERRO NAPOLI Sì, qua sotto diciamo è sede dei contatori dell'acqua ma non ci si può accedere.
BERNARDO IOVENE Ma questo perché è dovuto al fatto che ce la buttate voi la spazzatura oppure?
ROSARIA CORDONE COMITATO TAVERNA DEL FERRO NAPOLI Ce la buttano la spazzatura salvando diciamo la pace di alcuni di noi.
BERNARDO IOVENE Questo, c'è l'acqua qua.
ROSARIA CORDONE COMITATO TAVERNA DEL FERRO NAPOLI C'è il passaggio di un canale.
BERNARDO IOVENE Questo è tutta acqua che va dentro?
ABITANTE Questa è tutta acqua che da qua dentro esce tutta fuori.
ROSARIA CORDONE COMITATO TAVERNA DEL FERRO NAPOLI L'infiltrazione di acqua genera poi la proliferazione di insetti, ratti e cose varie.
BERNARDO IOVENE Sotto tutta la stecca è così?
ABITANTE Tutto fino in fondo è tutto così pieno d’acqua pure in fondo è peggio, più avanti si va più peggio è.
BERNARDO IOVENE Questi dovevano essere tutti i negozi e lo erano all’inizio?
ROSARIA CORDONE COMITATO TAVERNA DEL FERRO NAPOLI Si all’inizio erano tutti negozi.
ROSARIA LICCARDI COMITATO TAVERNA DEL FERRO NAPOLI 18 Le attività sono state costrette a lasciare perché tu immagini che entri in una salumeria dove devi acquistare i generi alimentari, ti ritrovi con una puzza di fogna.
BERNARDO IOVENE FUORI CAMPO Il degrado del Bronx è dovuto a una concentrazione di famiglie a basso reddito, al vandalismo, negli ascensori bisogna perfino proteggere i pulsanti.
BERNARDO IOVENE Si rubano i pulsanti?
ROSARIA CORDONE COMITATO TAVERNA DEL FERRO Sì, perciò, abbiamo messo la griglia in mezzo.
ROSARIA COMITATO TAVERNA DEL FERRO NAPOLI San Giovanni a Teduccio e soprattutto il Bronx non è semplicemente diciamo criminalità. È normale che se io invece di prendere 1200 euro al mese ne prendessi 2000 io sono una ragazza madre, abito solo io e mia figlia, andrei ad affittare casa o andrei ad abitare altrove.
BERNARDO IOVENE FUORI CAMPO Il Comune aveva intenzione di ristrutturare almeno una di queste stecche, ma il comitato ha convinto la giunta a un abbattimento totale. Saranno costruiti prima i nuovi alloggi su quest'area e dopo il trasferimento degli abitanti saranno demolite le stecche e riqualificata l'area. Costo 106 milioni di euro con fondi PNRR e PON.
BERNARDO IOVENE Voi siete per l'abbattimento?
ROSARIA CORDONE COMITATO TAVERNA DEL FERRO NAPOLI Certo che siamo per l'abbattimento.
BERNARDO IOVENE Sempre stati per l’abbattimento.
ROSARIA CORDONE COMITATO TAVERNA DEL FERRO NAPOLI Sempre stati per l’abbattimento.
BERNARDO IOVENE FUORI CAMPO Anche in questi palazzi ci sono occupanti abusivi. La giunta Manfredi ha assicurato che troverà un accordo con la Regione per dare a tutti il diritto a un nuovo alloggio. Ma intanto proprio dal Comune, dieci giorni dopo, sono arrivate lettere di diffide e sfratto per gli occupanti.
BERNARDO IOVENE Quindi nel caso di sgombero gli occupanti non potrebbero entrare nelle nuove assegnazioni?
ROSARIA CORDONE COMITATO TAVERNA DEL FERRO NAPOLI Si, non verrebbero riconosciuti.
BERNARDO IOVENE Quanti ne sono più o meno?
ROSARIA CORDONE COMITATO TAVERNA DEL FERRO NAPOLI Siamo una sessantina di famiglie.
BERNARDO IOVENE Ma come mai si è trovato lì a occupare?
SALVATORE AUTIERO COMITATO TAVERNA DEL FERRO NAPOLI Non ho possibilità di affittare una casa a 5/600 euro al mese. Io avevo una macelleria non è andata bene l’ho chiusa, e mi trovo in mezzo a una strada dal 2014.
BERNARDO IOVENE FUORI CAMPO La Giunta così come per Scampia assicura che nessuno resterà senza alloggio e per gli abusivi si troverà una soluzione.
LAURA LIETO VICENSINDACA E ASSESSORA ALL’URBANISTICA COMUNE DI NAPOLI L'indicazione del sindaco dell'amministrazione è quella di garantire ovviamente al maggior numero di persone le abitazioni. Noi abbiamo costruito tecnicamente un processo circolare che prevede la costruzione, la nuova edificazione, la mobilità di parte delle famiglie, la demolizione di quello che lasciano.
BERNARDO IOVENE FUORI CAMPO Il problema è iniziare i lavori, l'incertezza della rimodulazione o definanziamento di questi progetti dal PNRR proposto dal Governo, sta creando ritardi, se poi bisogna rispettare i tempi imposti dal piano.
BERNARDO IOVENE Tecnicamente no, se non riusciamo a stare nei tempi, che succede?
LAURA LIETO VICENSINDACA E ASSESSORA ALL’URBANISTICA COMUNE DI NAPOLI Succede che i finanziamenti vanno restituiti.
BERNARDO IOVENE Avete protestato voi?
GAETANO MANFREDI SINDACO DI NAPOLI Abbiamo protestato, abbiamo incontrato varie volte il ministro.
BERNARDO IOVENE Quindi attualmente non si sa ancora nulla?
GAETANO MANFREDI SINDACO DI NAPOLI 20 La proposta diciamo di definanziamento è una proposta che il Governo italiano ha fatto alla Commissione Europea, ma non è stata né discussa né accettata.
BERNARDO IOVENE FUORI CAMPO A Napoli la soluzione per questi simboli del degrado sia a Scampia che a Taverna del Ferro, è stato abbattere per ricostruire e dopo oltre 40 anni anche questa architettura d'autore sarà demolita. E a proposito di arte, con loro si sbricioleranno anche i murales di Jorit.
ROSARIA CORDONE COMITATO TAVERNA DEL FERRO NAPOLI Diciamo che, tra virgolette, spiace anche che con l'abbattimento di queste due stecche questi murales andranno giù. Però purtroppo è dovuto.
BERNARDO IOVENE FUORI CAMPO L’abbattimento sia delle stecche che delle Vele è l’ammissione di un fallimento di quella impostazione architettonica che pure aveva previsto cinquant'anni fa negozi e servizi all'interno dei palazzi per creare occasioni di lavoro ed evitare i ghetti di periferia. Tra le cause c’è anche l’assenza di manutenzione che toccherebbe alle casse vuote dell’azienda comunale.
ANTONIO MEMOLI ARCHITETTO COMITATO VELE SCAMPIA NAPOLI L'architettura non è come un quadro, l’architettura è un vissuto in cui l'assenza di manutenzione incide sulla condizione di degrado. Secondo me ha inciso molto la concentrazione di 220, 230 nuclei familiari con una condizione di reddito molto bassa.
BERNARDO IOVENE FUORI CAMPO Per evitare un ritorno ai ghetti e al degrado bisogna creare occasioni di lavoro. Non è una novità. Il Comitato Vele sa bene che quello è il tassello mancante per una vera normalità.
OMERO BENFENATI COMITATO VELE SCAMPIA NAPOLI Sta scritto là: non ci accontentiamo più solo dell'alloggio. Siccome arrivano finanziamenti importanti, può portare lavoro vero.
BERNARDO IOVENE Come deve avvenire questo passaggio?
OMERO BENFENATI COMITATO VELE SCAMPIA NAPOLI Già abbiamo fatto un'esperienza con la vecchia amministrazione, è andata bene applicando una clausola sociale che permette diciamo perlomeno il 30% di manovalanza a Scampia. Se a Scampia servono dieci muratori e noi abbiamo le competenze, anche all'interno di questo spazio, attraverso anche i centri per l'impiego, si fa richiesta.
SIGFRIDO RANUCCI IN STUDIO Le due stecche famose per i murales di Jorit sono state concepite dall’architetto Pietro Barucci che è si è occupato anche di Roma, Spinaceto, Laurentino, Quartaccio, Tor Bella Monaca, e anche Torrevecchia. Insomma, fu incaricato dopo il terremoto del 21 1980 di costruire alla periferia est di Napoli, gli alloggi per 380 famiglie. L’impostazione era quella dell’architettura sociale per questo sono stati costruiti due agglomerati, uno difronte all’altro con dei negozi. Insomma, questo per favore la vita di periferia e anche la socialità. Però dopo poco tempo si sono trasformati nel Bronx. La storia è sempre stata la stessa. Insomma, sono stati trasformati in agglomerati abusivi, famiglie a basso reddito. E ora passiamo a un altro fallimento di architettura d’autore, quello a base di cartone e amianto. E meno male che dovevano essere alloggi provvisori.
BERNARDO IOVENE FUORI CAMPO 25 milioni di euro del PNRR sono previsti per mettere fine a un altro scandalo. Saranno destinati a chi vive ancora nei cosiddetti bipiani di Ponticelli, strutture provvisorie del dopo terremoto, costruite con amianto e abitate ancora oggi, dopo oltre 40 anni, da 380 persone.
PATRIZIO GRAGNANO CONSIGLIERE MUNICIPALITA’ 6 NAPOLI MOVIMENTO 5 STELLE Sopra sono tutte coperture di amianto.
BERNARDO IOVENE Questo è tutto amianto dappertutto. Ma non è stato mai rimosso? Perché?
PATRIZIO GRAGNANO CONSIGLIERE MUNICIPALITA’ 6 NAPOLI MOVIMENTO 5 STELLE Assolutamente no.
BERNARDO IOVENE Perché ormai sono tanti anni no?
PATRIZIO GRAGNANO CONSIGLIERE MUNICIPALITA’ 6 NAPOLI MOVIMENTO 5 STELLE Che è bandito dal 92 ma non è mai stato rimosso, anche perché non valeva la pena fare le opere di ristrutturazione. Che ristrutturi qua?
BERNARDO IOVENE Ma questi sono fili?
PATRIZIO GRAGNANO CONSIGLIERE MUNICIPALITA’ 6 NAPOLI MOVIMENTO 5 STELLE Sono fili elettrici che pigliano fuoco.
BERNARDO IOVENE No, veramente sono fili elettrici questi? Incredibile. E sono attaccati a questi contatori?
PATRIZIO GRAGNANO CONSIGLIERE MUNICIPALITA’ 6 NAPOLI MOVIMENTO 5 STELLE Si e ogni tanto vedi.
BERNARDO IOVENE Ogni tanto prendono fuoco.
PATRIZIO GRAGNANO CONSIGLIERE MUNICIPALITA’ 6 NAPOLI MOVIMENTO 5 STELLE Quando piove in particolare saltano.
BERNARDO IOVENE Come mai si trova a vivere qua lei?
ABITANTE Mi ha messo il Comune, la signora Guida. Un figlio disabile, la moglie malata.
BERNARDO IOVENE Lei che lavoro fa?
ABITANTE Io disoccupato. BERNARDO IOVENE Disoccupato.
BERNARDO IOVENE Da quanto tempo sta qua signora, lei? ABITANTE Diciannove anni.
BERNARDO IOVENE Lei lo sa che sopra la testa proprio ha l'amianto là?
ABITANTE Come non lo so, ci siamo ammalati abbiamo le patologie non ci potremmo stare qua.
ABITANTE Io vivo qua da 25 anni, sono arrivata qui all'età di un anno. Queste sono abitazioni che sono molto fredde d'inverno e molto, molto caldo d'estate, soprattutto quando sulle mura, diciamo, di cartone batte il sole.
BERNARDO IOVENE FUORI CAMPO I nuovi edifici saranno costruiti, con i criteri dell'efficientismo energetico, sull'area circostante per permettere il trasferimento diretto dai bipiani alle case nuove.
PATRIZIO GRAGNANO CONSIGLIERE MUNICIPALITA’ 6 NAPOLI MOVIMENTO 5 STELLE Dopo 15 anni di lotte i comitati, quattro giunte comunali, siamo riusciti con il PNRR a realizzare, avere uno stanziamento di 25 milioni di euro per realizzare 108 alloggi.
BERNARDO IOVENE FUORI CAMPO Sono destinati a loro, a chi vive qui da decenni, ma paradossalmente ancora non hanno un titolo riconosciuto dalla legge per l'assegnazione.
PATRIZIO GRAGNANO CONSIGLIERE MUNICIPALITA’ 6 NAPOLI MOVIMENTO 5 STELLE Loro non possono partecipare alla graduatoria per la sanatoria perché il prerequisito è essere occupanti di un alloggio. Questi non sono case, ma sono alloggi impropri.
LAURA LIETO VICENSINDACA E ASSESSORA ALL’URBANISTICA COMUNE DI NAPOLI Quegli oggetti non sono classificabili, cioè i bipiani non sono né edilizia residenziale pubblica, né case normali, sono una specie di foglio bianco sulla mappa diciamo della dell'amministrazione e abbiamo dovuto fare un lavoro, intanto a partire dal riconoscimento della dignità di abitanti, di queste di questa comunità.
BERNARDO IOVENE FUORI CAMPO Se tutto va bene queste 380 persone, grazie al PNRR, passeranno come si dice, dalle stalle alle stelle.
BERNARDO IOVENE Cioè quindi si passa dal cartone e dall'amianto, no?
PATRIZIO GRAGNANO CONSIGLIERE MUNICIPALITA’ 6 NAPOLI MOVIMENTO 5 STELLE Ai pannelli solari alle caldaie a condensazione, al cappotto termico, a delle abitazioni che avranno all'interno un auditorium per gli eventi culturali, dei giardini pertinenziali, un grande orto urbano, un altro mondo insomma.
SIGFRIDO RANUCCI IN STUDIO A Scampia e a San Giovanni a Teduccio c'è stata un'ottima interazione tra i comitati dei cittadini e le istituzioni. A San Giovanni a Teduccio hanno deciso, utilizzando i 106 milioni di euro del PNRR, di abbattere e ricostruire. Ma hanno capito soprattutto che il degrado non è solo colpa della scelta architettonica, ma soprattutto della disoccupazione. E così con la ricostruzione delle case pensano anche di offrire posti di lavoro. Offrire lavoro per ridare dignità a chi ci abita. Per questo la burocrazia non può permettersi di rallentare i tempi. Perché per accedere ai soldi del PNRR ci vogliono certezze.
BERNARDO IOVENE FUORI CAMPO Siamo a Tor Bella Monaca, nel quartiere R5. Qui convivono normalmente chi delinque e chi no, ma quasi tutti non vogliono telecamere.
PASSANTE Ma che fai mi hai ripreso?
MARIO CECCHETTI MAESTRO DI STREET ART 24 No, no è rai 3 Report
PASSANTE Ma dove va adesso in onda. Cancella questa cosa.
BERNARDO IOVENE No, ma non ti ha ripreso.
PASSANTE Ahó’ mi hai ripreso, cancella questa cosa.
BERNARDO IOVENE Stai tranquillo per favore.
PASSANTE Ti sto dicendo cancella questa cosa, fammi vedere che cancelli senza che facciamo casino, io devo andare in televisione perché sto stronzo mi ha ripreso.
SIGFRIDO RANUCCI IN STUDIO Allora, il quartiere di Torbella Monaca, R5, è periodicamente attenzionato dalle forze dell'ordine. Tra settembre e ottobre ci sono stati 30 arresti, il sequestro di 1.300 involucri di droghe varie. Ora, si tratta di alloggi appartenenti agli enti pubblici che vengono occupati abusivamente o assegnati dietro il pagamento di tangenti ad un racket. Il nostro Bernardo Iovane è entrato nel quartiere facendo lo slalom tra i ragazzini che sono per lo più le vedette degli spacciatori. Percepiscono 500 euro a settimana ed è il reddito, forse l'unico reddito di genitori che sono in carcere o agli arresti domiciliari. Ora stanno per arrivare 125 milioni dal PNRR. Come pensa lo Stato di raddrizzare questa situazione?
MARIO CECCHETTI MAESTRO DI STREET ART C’è nessuno? So’ Mario… ma son venuti quelli del Comune, sono passati e dire quello che vogliono fa dell’R5, dice che vogliono buttare rifare le case?
ABITANTE Sono passati sono venuti qua, e poi basta.
MARIO CECCHETTI MAESTRO DI STREET ART È Rai3 report, dop vieni da me e me meni a me.
MARIO CECCHETTI MAESTRO DI STREET ART È Report stanno a fare un servizio sulla questione del PNRR.
BERNARDO IOVENE Vabbè lascia stare. ABITANTE 25 Oh, leva questa telecamera, capo.
BERNARDO IOVENE Ve l’hanno detto cosa devono fare?
ABITANTE Dicono che vogliono togliere primo piano e pianterreno.
MARIO CECCHETTI MAESTRO DI STREET ART Non fare le riprese in lontananza se ci sono pischelli l.ì
BERNARDO IOVENE Ah, no no no.
MARIO CECCHETTI MAESTRO DI STREET ART Poi vi faccio vedere, dove passiamo adesso è tutto R5, arriva fino a giù in fondo.
BERNARDO IOVENE FUORI CAMPO Siamo a Tor Bella Monaca, nel quartiere R5. Giriamo tra i palazzi col maestro Mario Cecchetti. Qui convivono normalmente chi delinque e chi no, ma quasi tutti non vogliono telecamere.
PASSANTE Ma che fai mi hai ripreso?
MARIO CECCHETTI MAESTRO DI STREET ART No, no è rai tre Report
PASSANTE Ma dove va adesso in onda. Cancella questa cosa.
BERNARDO IOVENE No, ma non ti ha ripreso.
PASSANTE Ahó’ mi hai ripreso, cancella questa cosa.
BERNARDO IOVENE Stai tranquillo per favore.
PASSANTE Ti sto dicendo cancella questa cosa, fammi vedere che cancelli senza che facciamo casino, io devo andare in televisione perché sto stronzo mi ha ripreso.
MARIO CECCHETTI MAESTRO DI STREET ART È proprio una città, bello ciao.
RAGAZZI State riprendendo?
MARIO CECCHETTI MAESTRO DI STREET ART No, è rai3, è Report.
BERNARDO IOVENE Quanti appartamenti ci sono qua?
MARIO CECCHETTI MAESTRO DI STREET ART Sono 1500 appartamenti. Ti sei riscritto a scuola? Sì? ok.
RAGAZZO Mario stai a fa un film?
MARIO CECCHETTI MAESTRO DI STREET ART No, è Rai3.
BERNARDO IOVENE FUORI CAMPO Per la rigenerazione di Tor Bella Monaca dal PNRR sono previsti 125 milioni di euro. Ci sarà il cappotto esterno per tutti gli edifici, una nuova costruzione dove saranno trasferite 32 famiglie, a fronte delle 112 che saranno sgomberate dal piano terra e primo piano, dovranno far posto a negozi e servizi. Un progetto strategico per un maggior controllo del territorio, dicono. E chi abita al primo piano non sa nulla.
ABITANTE Quali lavori vengono a fare?
BERNARDO IOVENE Quelli del cappotto, del PNRR.
ABITANTE Io non ci credo.
BERNARDO IOVENE Lei non ci crede?
ABITANTE No, so cazzate per me a un posto del genere, cioè io che sto al primo piano che faccio devo andare ad abitare da un’altra parte, che sono 40 anni che sono qua.
BERNARDO IOVENE Ma vi hanno consultato, sono venuti chiedere?
ABITANTE No poi la stronzata che dici che ci mettono i negozi? Ma chi è quel deficiente che viene a investire i soldi a un primo piano? Chi è quel deficiente a Tor Bella Monaca? Cioè 27 sei fuori di capoccia. Cominciassero a sturare le fogne e i tubi che pisciano acqua, no, ste cazzate i negozi, sono stronzate.
BERNARDO IOVENE Prego, prego. Nicola Franco si chiama lei?
NICOLA FRANCO PRESIDENTE MUNICIPIO ROMA 6 LE TORRI Eh, sì così mi hanno chiamato.
BERNARDO IOVENE FUORI CAMPO Il nuovo presidente del municipio è di centrodestra. È nato qua e conosce bene sia il nuovo progetto che la situazione di degrado. In poco tempo ha già accumulato però una marea di riconoscimenti.
BERNARDO IOVENE In un anno e dieci mesi ha accumulato tutti questi riconoscimenti per Tor Bella Monaca?
NICOLA FRANCO PRESIDENTE MUNICIPIO ROMA 6 LE TORRI Me l’hanno dato i cittadini, delle associazioni di cittadini che riconoscono il lavoro che stiamo facendo.
BERNARDO IOVENE Dall'esterno però arriva poco, arrivano solo le brutte notizie.
NICOLA FRANCO PRESIDENTE MUNICIPIO ROMA 6 LE TORRI Qui abbiamo a che fare con 14 clan mafiosi quando perdi il posto di lavoro o ti arrestano papà, al ragazzino che ci ha 15 anni gli dicono queste sono 500€ a settimana e ci mangi tu e mamma, però mettiti qui e vieni a fare la vedetta.
BERNARDO IOVENE FUORI CAMPO Nell’R5 di Tor Bella Monca ci sono 1267 alloggi di cui solo il 20 per cento sono assegnati regolarmente, poi per gli appartamenti occupati abusivamente c’è stata una sanatoria, ma c’è un 20 per cento ancora di non censiti.
NICOLA FRANCO PRESIDENTE MUNICIPIO ROMA 6 LE TORRI Innanzitutto, i lavori dovevano iniziare, almeno dal cronoprogramma, a luglio del 2023, ancora si vede luce, siamo fermi ancora al censimento. Lì c'è una città sommersa cioè lì dentro ci vive gente, oltre locali dove ci fanno lo spaccio della droga e che parliamo della piazza di spaccio più grande d'Europa. Gli dicono ti faremo casa nuova però intanto tu occupante abusivo, senza titolo, che ha anche pagato per entrare, perché c'è un racket sopra queste cose, adesso esci che fra due anni io ti dirò casa nuova. Ma chi ci crede?
BERNARDO IOVENE FUORI CAMPO Il problema principale è il piano terra e il primo piano, saranno trasformati in negozi e servizi. Dovranno essere liberati, soltanto 32 famiglie andranno nella nuova costruzione, ne restano 80.
MAURIZIO VELOCCIA ASSESSORE ALL’URBANISTICA COMUNE DI ROMA E su queste 80 famiglie ci sarà una turnazione, per cui…
BERNARDO IOVENE In modo provvisorio saranno spostate?
MAURIZIO VELOCCIA ASSESSORE ALL’URBANISTICA COMUNE DI ROMA Saranno spostati e ricollocati all’interno di Tor Bella Monaca.
BERNARDO IOVENE Gli abitanti sanno pochissimo di quello che deve succedere e hanno anche paura di perdere la casa.
MAURIZIO VELOCCIA ASSESSORE ALL’URBANISTICA COMUNE DI ROMA Hanno paura ovviamente che queste siano le ennesime promesse che poi verranno tradite.
BERNARDO IOVENE FUORI CAMPO Tutti gli altri 1200 appartamenti avranno un cappotto, ma al loro interno resteranno dei colabrodo, come ci mostrano alcuni abitanti che ci hanno aperto la porta. Ci sono perdite, infiltrazioni, impianti vecchi che non saranno sostituiti. Siccome il problema non sarà solo quello dell’alloggio, il Comune ha affidato un monitoraggio alla Sapienza per mappare le esigenze di ogni singola famiglia e andare oltre l’intervento edilizio scandito dai tempi stretti del PNRR.
CARLO CELLAMARE DOCENTE DIURBANISTICA UNIVERSITA’ LA SAPIENZA ROMA Di fatto sono una concentrazione del disagio sociale su cui incombe fra tutti il problema della disoccupazione. C'è bisogno di politiche strutturali, non semplicemente la riqualificazione del quartiere
BERNARDO IOVENE Praticamente avete fatto delle proposte per creare situazioni di lavoro?
CARLO CELLAMARE DOCENTE DI URBANISTICA UNIVERSITA’ LA SAPIENZA ROMA Stiamo lavorando all'interno del percorso di co-programmazione che diciamo in questo momento mira a far emergere bisogni, competenze…
BERNARDO IOVENE Un processo lungo, diciamo…
CARLO CELLAMARE DOCENTE DI URBANISTICA UNIVERSITA’ LA SAPIENZA ROMA Un processo lungo che non è mai stato finora che non sarà solo nei tempi brevi del PNRR che si potranno risolvere i problemi di Tor Bella Monaca, ecco.
BERNARDO IOVENE FUORI CAMPO Degrado, disoccupazione, disagio sociale, spaccio e criminalità. A cercare di esorcizzare e contrastare questo contesto ci prova il maestro Mario Cecchetti, con il suo progetto Coloronda coinvolge, attraverso la scuola e il centro sociale, ragazzi di tutte le età nella street art.
MARIO CECCHETTI MAESTRO STREET ART Col gessetto no? Hanno fatto il cuore, lo fanno col gesso, non la fanno con le bombolette perché sanno che mi incazzo. Qua abbiamo fatto una galleria di street art a cielo aperto e partecipano tutti gli artisti di Tor Bella Monaca, qui abbiamo fatto Dante a Tor Bella Monaca e l’abbiamo corretta con: non lasciate ogni speranza voi che entrate.
BERNARDO IOVENE FUORI CAMPO Ci sono altre realtà che l'università cercherà di ascoltare con tavoli aperti su green economy, welfare, ambiente e cultura. Il maestro Mario, però è scettico. Per lui all'interno del quartiere non esiste un ceto medio che possa fare da collante. Il problema è come convincere i ragazzi a non scegliere di fare il palo per gli spacciatori.
MARIO CECCHETTI MAESTRO STREET ART Perché lo vedi quello che sta a far il palo, quello che spaccia, i ragazzini che giocano le mamme che parlano… come se fosse tutto normale. E tu pensi che culture col patrocinio di quartiere per questa situazione io son pischello dietro Bella monaca delle cinque sto lì io ti ascolto, tu vai a fare un lavoro precario e devo stare 8 ore, 7 ore a seguirti, 6, 700 e mi verrebbe il progettino, quello va lì fa il palo piglia 1000, 1200 senza fa niente. Anzi, culturalmente si sente pure il Padreterno. A me può pure tutta quanta la rassegna su Kandinskij, ma poi la gente dice: sì, ma come mangiamo?
SIGFRIDO RANUCCI IN STUDIO Un bel cappotto esterno, il degrado dentro. Ora per controllare meglio il territorio il progetto è quello di sgomberare piano terra e primo piano, 112 famiglie. Al loro posto mettere uffici, negozi e servizi. Ora bella idea però si è rivelata fallimentare, almeno nelle vecchie esperienze. Ma chi è che va ad aprire un negozio o un ufficio in un luogo dove c'è la più grande piazza di spaccio di droga d'Europa, che è controllato quel territorio da 14 clan, dove c'è un tasso di disoccupazione del 65% e poi le famiglie che sgomberi dove le metti? È prevista la costruzione di un nuovo edificio. Ci andranno 32 famiglie, le altre? Poi in base a quali criteri deciderai chi è dentro e chi è fuori? Insomma, sulle procedure in questo momento c'è silenzio. Non si capisce bene quale sarà l'iter. Mentre per attingere i soldi al PNRR ci vuole certezza. L'abbiamo detto. Gli abitanti sono spaesati, vivono un senso di precarietà. L'unica certezza è quella del maestro Cecchetti. Insegna l'arte di strada, ma soprattutto il senso della convivenza nella comunità. A lui va detto grazie. Poi c'è il progetto dell'università, che è il progetto territorio disoccupazione zero. Sono agli inizi, prevede di contattare, di avere un contatto stretto con gli abitanti, però vista la natura del luogo è molto complicato. Però insomma dal degrado non è che esci mettendo solo un cappotto esterno. Devi pensare anche alla riqualificazione delle anime. Ora passiamo ad un altro progetto, un altro grande esempio di architettura. Quello del maestro Fiorentino. Negli anni 70 aveva costruito un edificio lunghissimo, Corviale. 30 detto anche il serpentone. Un chilometro di agglomerati, nove piani con 1200 appartamenti. Anche là l'idea era quella di offrire servizi e negozi, però qui questa volta al quarto piano.
BERNARDO IOVENE FUORI CAMPO Questo è il serpentone di Corviale, un edificio lungo un chilometro di 1200 appartamenti. Anche qui l'architettura d'autore prevedeva, all'interno e precisamente al quarto piano, un chilometro di negozi uffici. Non furono mai realizzati. Furono invece occupati abusivamente da chi aveva bisogno di casa. Oggi questo quarto piano, il chilometro verde, viene liberato dagli occupanti, ristrutturato e riassegnato a chi ne ha diritto. L'Università di Roma Tre ha stabilito un laboratorio in zona per facilitare questo progetto.
MARIA ROCCO ARCHITETTA LABORATORIO CITTA’ CORVIALE UNIVERSITA’ ROMA TRE Come si vede appunto tutta la parte verde ci segnala che il cantiere è già passato, ha già trasformato gli alloggi occupati in nuovi alloggi.
BERNARDO IOVENE Pensare di mettere negozi e uffici all’interno di questi mostri di periferia diciamo no, è stato un fallimento?
ORAZIO CAMPO COMMISSARIO ATER ROMA Allora guardi io credo che commerciale ai piani sopraelevati non abbia funzionato in nessuna parte del mondo; quindi, se fossero stati fatti negozi sarebbe stato ancora peggio, non credo che avrebbe mai avuto la possibilità di attrarre utenti da altri luoghi: dice vado a far spesa al quarto piano di Corviale.
BERNARDO IOVENE FUORI CAMPO Oggi al quarto piano del vecchio progetto è sopravvissuta una piccola chiesa. La riqualificazione secondo l’architetto progettista sta contaminando gli abitanti anche degli altri piani.
GUENDALINA SALIMEI DOCENTE DI PROGETTAZIONE ARCHITETTONICA E URBANA UNIVERSITA’ LA SAPIENZA ROMA Il nostro intervento non arriva neanche a dieci milioni ed ha iniziato la riqualificazione di questo oggetto. È stato un seme che ha intrapreso, tanto è vero che loro dicono ma vorrei farlo pure io quello che avete fatto sotto; quindi, si rendono conto che questo spazio invece può essere riqualificato.
BERNARDO IOVENE FUORI CAMPO Al progetto del quarto piano si è aggiunto il PNRR con un duplice intervento: efficientismo energetico, praticamente infissi nuovi e cappotto termico per tutti i 1200 appartamenti, gestito da Ater, l'azienda per l'edilizia pubblica. Il costo sarà di 40 milioni e dall'altra parte il Comune con il PUI, il Piano urbano integrato, che non si occuperà dell'edificio ma di tutto quello che c'è intorno, spenderà 58 milioni di euro. Si comincia dal ripristino della piazzetta antistante il serpentone e del mercato sotto la gradinata, già progettato negli anni 70, ma oggi abbandonato.
MARIA ROCCO ARCHITETTA LABORATORIO CITTA’ CORVIALE UNIVERSITA’ ROMA TRE Questa cavea, che è la copertura del mercato rionale...
BERNARDO IOVENE Praticamente si sviluppa sotto la gradinata?
GIOVANNI CAUDO PRESIDENTE COMMISSIONE PNRR COMUNE DI ROMA Sotto le gradinate, sì esatto.
MARIA ROCCO ARCHITETTA LABORATORIO CITTA’ CORVIALE UNIVERSITA’ ROMA TRE Ormai è chiuso da una decina d'anni.
BERNARDO IOVENE FUORI CAMPO Insieme alla piazzetta verranno consolidate le attività di artigiani e artisti che occupano locali che erano abbandonati. Il Centro Mitreo è un riferimento culturale.
MONICA MELANI DIRETTRICE ARTISTICA PRESIDIO CULTURALE IL MITREO DI CORVIALE Quando noi siamo arrivati qui, proprio qui fuori all'entrata del Mitreo, c'era un luogo di spaccio. Crediamo che l'arte e la cultura possa aiutare i territori come il Corviale.
BERNARDO IOVENE FUORI CAMPO C’è speranza ma anche scetticismo dopo le notizie che questi interventi potrebbero essere tagliati dal PNRR. Dei 58 milioni del piano PUI è previsto in quest'area un palasport, il parco con percorsi ciclopedonali, la ristrutturazione di uno spazio abbandonato che sarà un incubatore di imprese, nuovi spazi per il co-working creati in struttura già esistente e poi verrà ristrutturata la trancia H. Questo segmento di abitazioni, quasi perpendicolare al serpentone.
BERNARDO IOVENE Ma riqualificato che vuol dire?
GIOVANNI CAUDO PRESIDENTE COMMISSIONE PNRR COMUNE DI ROMA Vedi queste porte? Queste qui erano spazi commerciali.
BERNARDO IOVENE E sono diventate abitazioni?
GIOVANNI CAUDO PRESIDENTE COMMISSIONE PNRR COMUNE DI ROMA Gli dà una sistemazione.
BERNARDO IOVENE Sono occupate o sono assegnate?
GIOVANNI CAUDO PRESIDENTE COMMISSIONE PNRR COMUNE DI ROMA 32 No no, sono occupate.
BERNARDO IOVENE Quindi si ristruttura questo qua, si fanno attività commerciali…
GIOVANNI CAUDO PRESIDENTE COMMISSIONE PNRR COMUNE DI ROMA E anche produttive.
BERNARDO IOVENE FUORI CAMPO Anche per Corviale si prevede una mappatura dei bisogni degli abitanti, una strategia occupazionale, formazione e percorsi di inserimento al lavoro.
MARIA ROCCO ARCHITETTA LABORATORIO CITTA’ CORVIALE UNIVERSITA’ ROMA TRE Quindi cosa serve, cosa manca, cosa le persone vogliono e delle competenze che ci sono. Quindi…
BERNARDO IOVENE Sì, ma sarà sempre un privato che deve aprire l'attività commerciale qua sotto.
MARIA ROCCO ARCHITETTA LABORATORIO CITTA’ CORVIALE UNIVERSITA’ ROMA TRE Molto spesso ci sono tantissime persone che sanno fare che ne so la fisioterapia, l'estetista, la parrucchiera...
BERNARDO IOVENE Torniamo a Le Corbousier qua.
GIOVANNI CAUDO PRESIDENTE COMMISSIONE PNRR COMUNE DI ROMA Quando ci saranno i lavori finiti tu avrai, nei tre anni di durata del PUI, avrai anche le persone che apriranno l'attività là dentro.
BERNARDO IOVENE FUORI CAMPO In pratica un abitante disoccupato, dopo la formazione, dovrebbe aprire un'attività commerciale in questo corridoio sono già cose pensate cinquant'anni fa e in Italia, almeno, fallite in tutti i palazzi di periferia, compreso al quarto piano di Corviale.
BERNARDO IOVENE Diciamo che sono cose che sono state sempre dette, non è che adesso voi vi state inventando qualcosa. Quando si parla di questi quartieri si parla sempre di integrazione di servizi, di socialità…
GIOVANNI CAUDO PRESIDENTE COMMISSIONE PNRR COMUNE DI ROMA La differenza è che oggi, come abbiamo visto prima, lo vedremo per le case noi parliamo di un cantiere che è in corso.
ERNARDO IOVENE Siamo avvantaggiati che non ancora c'è.
ABITANTE Andrei su una gestione e una manutenzione ordinaria, cioè controllare gli ascensori, le perdite d'acqua, gli allacci della luce… sentiamo parlare di roof garden, tetti green.
ADRIANO SIAS COMITATO INQUILINI CORVIALE ROMA Ti si rompe un tubo qua tu non sai che devi chiamare, noi riceviamo chiamate alle 10 di sera mi esce l'acqua del lavandino non sanno esattamente qual è il numero da chiamare. L'ascensore, il sabato e la domenica non c'è il pronto intervento. Cioè, senza il padrone di casa, è chiaro che questa cosa fallisce.
BERNARDO IOVENE FUORI CAMPO Il padrone di casa è l’Ater a cui spetta la manutenzione, Qui trovare un ascensore che funzioni è una fortuna. Ci sono perdite degli impianti idrici all'interno degli appartamenti. C’è vandalismo e sporcizia. L’ Azienda per l’edilizia residenziale pubblica da qualche mese ha un nuovo commissario che è un architetto romano.
BERNARDO IOVENE Lei c'è stato a Corviale, ci ha girato?
ORAZIO CAMPO COMMISSARIO ATER ROMA È un chilometro, ho girato.
BERNARDO IOVENE Ha visto la spazzatura, gli ascensori che non funzionano, i tubi che perdono?
ORAZIO CAMPO COMMISSARIO ATER ROMA Sugli ascensori spendiamo 300.000 euro l'anno.
BERNARDO IOVENE Sono quasi tutti rotti.
ORAZIO CAMPO COMMISSARIO ATER ROMA Sì. Gli atti vandalici che accadono con maggior frequenza sono proprio sugli ascensori. Lei tenga presente che il tasso di morosità arriva al 65%.
BERNARDO IOVENE È ottimista su questa ristrutturazione?
ORAZIO CAMPO COMMISSARIO ATER ROMA No, no perché non credo che, banalizzo, sostituendo gli infissi e mettendo degli infissi con delle ottime prestazioni che migliorerà la vita, della qualità della vita di chi abita lì.
BERNARDO IOVENE Senta quindi lei sarebbe stato per l'abbattimento?
ORAZIO CAMPO COMMISSARIO ATER ROMA Ma guardi su Corviale pioveranno 130 milioni di euro, 130 milioni e tra l'altro credo che si stia proseguendo su una sorta di accanimento terapeutico. Corviale non funziona.
BERNARDO IOVENE Quindi hanno fatto bene a Napoli ad abbattere le Vele?
ORAZIO CAMPO COMMISSARIO ATER ROMA Assolutamente sì, assolutamente sì. Tenga presente che il Piano regolatore di Roma nel 2003 considerava Corviale città storica quindi con lo stesso grado di tutela di un acquedotto romano e questa per me è ideologia non è guardare le cose realmente e concretamente per il bene della comunità.
SIGFRIDO RANUCCI IN STUDIO Beh, insomma, è una bella notizia sapere che i 130 milioni di euro destinati al Corviale saranno sprecati. Ecco, questo almeno è il parere del commissario dell’Ater, che ringraziamo per la sua franchezza. Non è da tutti. Il progetto del Corviale, del resto, si teneva in piedi giusto per il senso di comunità, che era l'unico modo per poter gestire un complesso edilizio. E tutto ruotava intorno al quarto piano, dove dovevano esserci negozi, uffici, servizi. Invece proprio per la mancanza poi di controllo, per il degrado, per la mancanza di manutenzione, alla fine sono stati occupati e sono diventati abitazioni. Ora il progetto di riqualificazione parte proprio da un quarto piano che è diventato anche famoso grazie all'interpretazione di Paola Cortellesi, “scusate se esisto”, nei panni dell'architetta che ha intervistato proprio il nostro Bernardo Iovene. Insomma, alla fine di tutto, qual è la fotografia drammatica che ci consegna il nostro Bernardo? È che i soldi investiti che arriveranno dal PNRR, insomma, dovranno essere compensati parallelamente con la ricostruzione dei cocci di un'umanità disgregata. Altrimenti a spreco, sommi spreco.
Risorse senza controllo. Report Rai PUNTATA DEL 03/07/2023
di Bernardo Iovene
Collaborazione Lidia Galeazzo e Greta Orsi
Dove finiscono i fondi PNRR dedicati ai braccianti?
Dei 200 milioni di euro stanziati dal PNRR per interventi speciali per la coesione sociale, 114 andranno in Puglia, gli altri 86 milioni sono ripartiti nelle varie regioni d’Italia. Una parte di questi fondi arriva anche in Calabria, dove, dopo le rivolte dei migranti dei ghetti di Rosarno, dal 2010 sono stati stanziati già decine di milioni di euro, ma con pochi risultati. Quindi sulle stesse tendopoli o baraccopoli ci sono più progetti ancora da realizzare o moduli abitativi pronti e mai utilizzati. A Taurianova, invece, la giunta leghista ha speso bene i precedenti finanziamenti e oggi ha un progetto di integrazione di braccianti stranieri dentro il paese che coinvolge le case abbandonate dagli emigranti italiani. Report è andata poi nelle Marche dove il comune di Porto Recanati ha ricevuto più soldi di tutta la Calabria grazie a un’autodichiarazione che la erge, all’insaputa dei suoi abitanti, a capitale del Caporalato del Centro Nord. Infine, nella zona simbolo del caporalato, il comune di Castel Volturno, a fronte di 20 mila irregolari che vivono nelle case del litorale abbandonate dagli stessi proprietari, dichiara la presenza soltanto di 130 braccianti.
RISORSE SENZA CONTROLLO Di Bernardo Iovene Collaborazione: Lidia Galeazzo e Greta Orsi Immagini: Paco Sannino Grafica: Federico Ajello
SIGFRIDO RANUCCI IN STUDIO Bentornati, allora torniamo sui nostri passi, su un tema che abbiamo trattato. Secondo un rapporto del ministero del lavoro sarebbero 500.000 i braccianti migranti, quelli che girano l’Italia per raccogliere pomodori, olive e arance. Vivono in condizioni poco dignitose, dentro delle baraccopoli. Per questo è stato previsto dal PNRR uno stanziamento di 200 milioni di euro. È stata incaricata la fondazione Cittalia, dall'Anci, dal Ministero del lavoro, per censire i ghetti dove vivono questi migranti e anche il numero di questi migranti. Sono stati incaricati i comuni fare sostanzialmente un’autocertificazione, identificare i ghetti, il numero di questi migranti e, in base a questi, viene dato il contributo, viene dato lo stanziamento. Bene, che cosa è successo? Intanto avevamo visto che su 200 milioni, 114 erano finiti in Puglia e avevamo dimostrato che difficilmente le amministrazioni riusciranno in tempo a realizzare il progetto e quindi a incassare i soldi. Poi avevamo visto che i soldi non erano andati solo a quelle amministrazioni che ne avevano realmente bisogno ma non erano finiti, per esempio, a quelli che avevano sul territorio la presenza di migranti e di ghetti perché non erano stati in grado di compilare la richiesta, il modulo. E invece c’erano anche delle amministrazioni che erano state talmente brave da raccogliere i finanziamenti anche quando non ne avevano diritto. Bene, il nostro Bernardo Iovene ha allargato lo sguardo nel resto d’Italia, insomma, e qui la situazione se volete peggiora anche perché troviamo delle dichiarazioni palesemente false, sprechi su sprechi e progetti già finanziati.
BERNARDO IOVENE FUORI CAMPO In Calabria il comune che riceverà più soldi per il superamento degli insediamenti abusivi è quello di San Ferdinando: 4milioni e 729 mila euro, per 250 persone dichiarate che vivono in questa tendopoli. Si sono spostate qui dopo lo smantellamento della baraccopoli di Rosarno
GIUSEPEPPE MARRA – RAPPRESENTANTE SINDACALE USB - REGGIO CALABRIA Questa era una tendopoli ministeriale, infatti, c'erano solo le tende del ministero, anche questo è diventato un insediamento informale e le condizioni sono quello che vedete.
BERNARDO IOVENE FUORI CAMPO Si è ricreato il ghetto, non più baracche ma tende. Per superare questo insediamento abusivo sono stati stanziati già 15 milioni di euro dei fondi Su.pre.me gestiti dalla regione per la costruzione di un eco villaggio che a oggi è solo previsto nel comune limitrofo di Gioia Tauro. Quindi 2 finanziamenti diversi per il superamento della stessa tendopoli
BERNARDO IOVENE Voi, intanto, con i soldi del superamento sempre di quella tendopoli, che sono altri soldi che vengono dall'Europa state facendo altri progetti
GIANLUCA GAETANO - SINDACO DI SAN FERDINANDO (RC) Sì. Allora noi sulla Regione le dico, noi siamo stati bloccati su iniziative di accoglienza residenziale abitativa.
BERNARDO IOVENE FUORI CAMPO Quindi in attesa che la regione realizzi il cosiddetto eco villaggio hanno deciso di spendere i soldi del PNRR per migliorare le condizioni di vita della tendopoli
GIANLUCA GAETANO - SINDACO DI SAN FERDINANDO (RC) Dotare tutte le tende di allaccio alla rete elettrica in modo che chi ci vive dentro, nonostante il degrado possa almeno avere la possibilità di riscaldarsi. Questa zona, è stata destinataria negli anni scorsi del più grande finanziamento mai erogato al mondo per queste cose, ha fatto una brutta fine.
BERNARDO IOVENE FUORI CAMPO Sono andati sprecati in opere inutilizzate o non sono stati spesi. Con i finanziamenti del PNRR è intenzione del sindaco ristrutturare anche alcuni piccoli immobili per i migranti stabili. Prenderanno a modello la Casa della Dignità che è finanziata dalla chiesa valdese e dalla vendita delle arance di SOS Rosarno.
FRANCESCO PIOBBICHI - COORDINATORE PROGETTO CASA DELLA DIGNITÀ DAMBE SO Abbiamo sei appartamenti e abbiamo 18-19 persone. Le camere sono per due persone.
BERNARDO IOVENE Quanto pagano qua?
FRANCESCO PIOBBICHI - COORDINATORE PROGETTO CASA DELLA DIGNITÀ DAMBE SO 90€ al mese? Con la quota delle arance e col turismo ci rende sostenibile il progetto.
BERNARDO IOVENE FUORI CAMPO Una piccola quota della vendita delle arance raccolte dalla cooperativa SOS Rosarno finanzia questi appartamenti. Le arance le vendono a gruppi di acquisto solidale che le comprano sapendo che sono raccolte da braccianti a cui sono riconosciuti sia i diritti dei lavoratori, sia che vivano in una situazione dignitosa. Tra l’altro gli agrumi costano la metà rispetto al supermercato
GIUSEPPE PUGLIESE - COFONDATORE PROGETTO SOS ROSARNO Abbiamo fatto dei calcoli quanto costa produrre la spedizione e abbiamo costruito un prezzo, a volte anche del 100% più basso rispetto…
BERNARDO IOVENE Della grande distribuzione
GIUSEPPE PUGLIESE - COFONDATORE PROGETTO SOS ROSARNO Della grande distribuzione nei negozi.
BERNARDO IOVENE FUORI CAMPO Anche il comune Taurianova, che ha una giunta e un sindaco della Lega in provincia di Reggio Calabria, ha già avuto finanziamenti dal progetto Supreme per gli insediamenti informali e sta costruendo questi moduli per i braccianti stagionali e poi per i lavoratori che lo richiedono ha fatto degli accordi con i proprietari di piccoli appartamenti nel centro storico anticipando la metà di un anno di affitto
ROCCO BIASI - SINDACO DI TAURIANOVA (RC) È stata data in affitto con il voucher dove l'amministrazione comunale partecipa in parte al pagamento diciamo dell'affitto. L'altra parte dell'affitto lo pagano i ragazzi migranti e loro stanno tranquillamente qua.
BERNARDO IOVENE Vivono qua insomma, in paese.
ROCCO BIASI - SINDACO DI TAURIANOVA (RC) Vivono qua in paese tranquillamente a contatto anche con le altre persone. Con le attività là c'è la posta, l'ufficio postale…
BERNARDO IOVENE FUORI CAMPO Sempre con i finanziamenti precedenti Su.pre.me hanno potenziato il polo sociale dove ci sono i servizi sanitari, una sala riunione che possono utilizzare anche i migranti, laboratori e poi l’agenzia per l’abitare dove si viene a richiedere la casa con il voucher.
IMPIEGATA COMUNALE Se questo è un incontro con sette migranti che hanno richiesto l'abitazione.
BERNARDO IOVENE FUORI CAMPO Hanno speso quindi dei finanziamenti Su.pre.me 2milioni e 200 mila euro. Adesso arrivano dal PNRR 3milioni e 560mila euro nel piano di azione il sindaco ha inserito l’acquisto di case ormai abbandonate nel centro del paese da destinare ai migranti con lo stesso metodo di affitto partecipato.
ROCCO BIASI - SINDACO DI TAURIANOVA (RC) Attraverso degli interventi. Riqualificare e ripopolare.
BERNARDO IOVENE Questo è uno, anche questo?
ROCCO BIASI - SINDACO DI TAURIANOVA (RC) Sì anche questi.
BERNARDO IOVENE Poi c’è quello là?
ROCCO BIASI - SINDACO DI TAURIANOVA (RC) E questo qua sì. Sono sostanzialmente degli immobili di persone che sono andati via da anni e li hanno abbandonati così
BERNARDO IOVENE Quindi voi state pensando a integrare il migrante diciamo insieme alla...
ROCCO BIASI - SINDACO DI TAURIANOVA (RC) insieme alla popolazione residente assolutamente sì.
BERNARDO IOVENE E siete una giunta?
ROCCO BIASI - SINDACO DI TAURIANOVA (RC) Leghista
BERNARDO IOVENE Leghista
ROCCO BIASI - SINDACO DI TAURIANOVA (RC) Diciamo così
BERNARDO IOVENE In provincia di Reggio Calabria
ROCCO BIASI - SINDACO DI TAURIANOVA (RC) In provincia di Reggio Calabria. E questo a dimostrazione del fatto che l'opinione della Lega sui migranti è un po’ distorta.
BERNARDO IOVENE Però voi siete nati su questo respingimento invece qua adesso state assorbendo. Dico, dico. Andate contro la linea
ROCCO BIASI - SINDACO DI TAURIANOVA (RC) No no no no no assolutamente è proprio la linea. Noi vogliamo assolutamente integrare e consideriamo veramente fratelli e sorelle quelle che vengono qui
BERNARDO IOVENE Abbiamo capito male fino adesso.
ROCCO BIASI - SINDACO DI TAURIANOVA (RC) No nel senso che le persone che vengono a stare devono avere la possibilità di poter stare in maniera dignitosa, integrarsi col territorio dal punto di vista economico, dal punto di vista sociale, essere in regola, rispettare le leggi del posto.
BERNARDO IOVENE FUORI CAMPO Il Comune che prende meno di tutti in Calabria, paradossalmente, è proprio Rosarno. Il PNRR gli ha assegnato 2.145.000€. Rosarno è stato il simbolo dei ghetti e delle rivolte dei braccianti che oggi vivono in questi containers e sono più di 200. Ma il comune, amministrato da commissari prefettizi nel questionario, stranamente ne ha dichiarati solo 50.
ANTONIO GIANNELLI - COMPONENTE COMMISSIONE STRAORDINARIA ROSARNO (RC) Ci chiedevano quante persone ci sono in quel momento, quindi non potevamo fare diversamente. Nel periodo estivo siamo un numero che appunto oscilla tra i 50 gli 80 ed è un numero che in questa fase, perché con i servizi sociali monitoriamo, arriva a più di 200
BERNARDO IOVENE Se voi mettevate 100 nessuno avrebbe detto nulla si raddoppiava la cifra questo voglio dire.
ANTONIO GIANNELLI - COMPONENTE COMMISSIONE STRAORDINARIA ROSARNO (RC) E però avremo messo un numero che non corrispondeva a ciò che ci chiedevano. Abbiamo il difetto di essere funzionari pubblici e quindi diciamo quello che è.
BERNARDO IOVENE FUORI CAMPO In realtà a Rosarno dopo la rivolta del 2010, 13 anni fa, furono già stanziati milioni di euro per il superamento del ghetto. Queste palazzine ad esempio, destinate ai migranti, furono costruite con i fondi PISU europei costate 3milioni e 80 mila euro ma non le hanno mai assegnate e non sono mai state abitate.
BERNARDO IOVENE Ma è già pronto praticamente
GIUSEPPE MARRA - USB REGGIO CALABRIA Tutto pronto sì
BERNARDO IOVENE È anche aperto
GIUSEPPE MARRA – RAPPRESENTANTE SINDACALE USB - REGGIO CALABRIA devono essere fatti degli adeguamenti prima del collaudo
BERNARDO IOVENE Cioè sono abbandonate però sono intatte.
GIUSEPPE MARRA – RAPPRESENTANTE SINDACALE USB - REGGIO CALABRIA Per l'estate dovrebbero essere riaperte.
BERNARDO IOVENE FUORI CAMPO L’idea dei commissari è di utilizzare i nuovi finanziamenti del PNRR per renderle finalmente agibili. Poi c’è questo villaggio detto della solidarietà costruito e mai utilizzato, è stato vandalizzato e poi di nuovo ristrutturato.
ANTONIO GIANNELLI - COMPONENTE COMMISSIONE STRAORDINARIA ROSARNO C'è anche un posto di prima assistenza medica.
BERNARDO IOVENE Quanti soldi sono stati spesi qua dentro?
EMILIO BUDDA - COMPONENTE COMMISSIONE STRAORDINARIA ROSARNO (RC) Un milione e mezzo adesso precedentemente non lo so perché non c'eravamo.
BERNARDO IOVENE FUORI CAMPO Questo villaggio dove non si riesce a stabilire nemmeno quanti soldi sono stati spesi sarà finalmente destinato ai migranti stagionali che devono essere però in regola con il permesso di soggiorno e avere un contratto di lavoro
ANTONIO GIANNELLI - COMPONENTE COMMISSIONE STRAORDINARIA ROSARNO (RC) La logica è quella di avere un luogo solidale dove poter vivere nel periodo in cui si lavora stagionalmente sul territorio.
SIGFRIDO RANUCCI IN STUDIO In Calabria negli ultimi 13 anni sono piovuti decine, decine di milioni per risolvere l’emergenza abitativa dei migranti ma non hanno risolto nulla. Solo sprechi. Adesso arriveranno altre decine di milioni dal PNRR. Il comune che ha usufruito del più importante finanziamento è il comune di San Ferdinando che ha ottenuto quattro milioni e 700 mila euro. Ecco, dovevano essere destinati per dare una sistemazione stabile ai migranti e invece verranno utilizzati per portare la corrente ad una tendopoli che è diventata di fatto un nuovo ghetto formato da coloro erano scappati dal vecchio ghetto di Rosarno. Già a Rosarno l’amministrazione aveva autorizzato i fondi europei per costruire delle residenze che però non sono mai state collaudate e quindi non sono mai state rese abitabili. Loro attendono i soldi del PNRR per trasformarle in abitabili solo che la residenza spetterà solo a quei migranti che sono a posto con le carte. Quindi non dobbiamo far altro che sperare nella capacità degli uffici della prefettura del comune di Rosarno. E poi, l’unico progetto che invece è andato in porto in Calabria è quello di Taurianova, giunta leghista, che ha applicato il sistema, l’impostazione dell’affitto condiviso con le famiglie del posto, un’impostazione che era quella del sindaco Mimmo Lucano, di Riace, tanto contestata da Salvini. Insomma, è la nemesi storica. Ora però allargando lo sguardo ai comuni del centro nord, ce ne è uno, Porto Recanati che è riuscito a ottenere il primato dei finanziamenti per liberarsi dai ghetti e dare una stabile sistemazione ai migranti braccianti solo che di ghetti non ne abbiamo trovati e neppure così tanti di migranti.
BERNARDO IOVENE FUORI CAMPO Porto Recanati vive essenzialmente di turismo. Le campagne sono nella valle del fiume Potenza, che comprende però quattro comuni. Noi abbiamo girato in lungo e in largo, ma a giugno di braccianti non ne abbiamo visti.
BERNARDO IOVENE Cioè voi avete detto qua, in modo alternato si alternano in tutto l’anno, nell'arco dell'anno 500 persone.
ANDREA MICHELINI - SINDACO DI PORTO RECANATI (MC) Esatto, ma non sono 500 persone fisse che stanno sono dentro Porto Recanati noi non abbiamo baraccopoli, tendopoli noi abbiamo un flusso
BERNARDO IOVENE Avete fatto la somma.
ANDREA MICHELINI - SINDACO DI PORTO RECANATI (MC) Esatto.
BERNARDO IOVENE Voi avete fatto semplicemente un monitoraggio nell'arco di un anno avete scritto una cifra diciamo generica, se non vogliamo dire a caso no, e avete avuto un finanziamento che non ha avuto nessuno nel Nord-Centro Italia 8 milioni di euro
ANDREA MICHELINI - SINDACO DI PORTO RECANATI (MC) Non è soltanto Porto Recanati ma coinvolge i Comuni dei vari di tutta la vallata del Potenza.
BERNARDO IOVENE FUORI CAMPO Nel piano di azione poi il Comune di Porto Recanati ha indicato che faranno, con quel finanziamento, invece di 500 solo 115 posti letto. E il Ministero a questo punto ha chiesto chiarimenti.
ALESSANDRO ROVAZZANI - CONSIGLIERE COMUNALE PORTO RECANATI (MC) Il ministero chiede di fornire indicazioni in merito a discrepanza tra il numero di abitanti censiti nella mappatura pari a 500 e il numero dei posti letto pari a 115 che vengono indicati nel progetto. Quindi…
BERNARDO IOVENE Il Ministero si è accorto di qualcosa che non va
ALESSANDRO ROVAZZANI - CONSIGLIERE COMUNALE PORTO RECANATI (MC) Probabilmente ma sì probabilmente sì.
BERNARDO IOVENE Loro vi chiedono ma voi avete scritto 500 invece fate un progetto per 115 dovete integrare no.
ANDREA MICHELINI - SINDACO DI PORTO RECANATI (MC) Noi stiamo lavorando su questo, è un fenomeno da noi piuttosto invisibile
BERNARDO IOVENE Cioè avete scritto un numero a caso.
ANDREA MICHELINI - SINDACO DI PORTO RECANATI (MC) No no no
BERNARDO IOVENE 500 persone ma dove stanno queste 500 persone?
ANDREA MICHELINI - SINDACO DI PORTO RECANATI (MC) Allora se questo, sono dati che del 2021. Noi abbiamo risposto che il nostro progetto potrebbe essere anche ridimensionato ma poi se il finanziamento da otto milioni diventa un'altra cifra noi questo possiamo garantire
BERNARDO IOVENE Vi siete capiti male, perché con 115 persone il finanziamento sarebbe la metà della metà della metà.
ANDREA MICHELINI - SINDACO DI PORTO RECANATI (MC) Allora chiamiamola una interpretazione, volendo, sbagliata.
BERNARDO IOVENE FUORI CAMPO La cosa che colpisce è che Porto Recanati ha ricevuto più soldi di tutti i comuni della Calabria, più soldi della Campania, del Lazio, Abruzzo, Toscana, Liguria, Piemonte e Veneto.
ALESSANDRO ROVAZZANI - CONSIGLIERE COMUNALE PORTO RECANATI (MC) Probabilmente sono ignorante io, negligente, non ho visto baraccopoli, non ho mai quindi percepito un problema di una dimensione tale che possa portare otto milioni di euro di investimento.
BERNARDO IOVENE Però non avete visto dove vivono queste persone?
ANDREA MICHELINI - SINDACO DI PORTO RECANATI (MC) Lo abbiamo visto, ci sono casolari abbandonati dove vivono queste persone, tante persone
BERNARDO IOVENE FUORI CAMPO I casolari abbandonati a richiesta, non ce li hanno indicati e noi girando non li abbiamo trovati. C’è invece questo palazzo che il comune ha comunicato essere “edificio occupato”, il cosiddetto Hotel House, 480 appartamenti privati nati come seconde case e oggi abitato da oltre 2000 persone, famiglie di migranti che sono proprietari o in affitto, e qualche italiano.
LUCA DAVIDE - ABITANTE HOTEL HOUSE – PORTO RECANATI (MC) Chi lavora nel mondo dell'agricoltura, chi lavora nel mondo della ristorazione, chi lavora in fabbrica, chi lavora nel mondo dell'edilizia, chi lavora nel mondo calzaturiero. Io dal 1977 che sono qui fenomeni di caporalato non ne ho mai vissuto.
BERNARDO IOVENE Lei è italiano.
LUCA DAVIDE - ABITANTE HOTEL HOUSE – PORTO RECANATI (MC) Bergamasco. I primi ragazzi stranieri che sono venuti in Italia si sono fatti il mutuo, se lo sono comprato, sono proprietari. Io sono proprietario di due appartamenti, uno ci vivo e uno l’ho affittato.
BERNARDO IOVENE Lei è bergamasco?
LUCA DAVIDE - ABITANTE HOTEL HOUSE – PORTO RECANATI (MC) Sì.
BERNARDO IOVENE Mi sembra che è anche un po’ filo Lega se non sbaglio no?
LUCA DAVIDE - ABITANTE HOTEL HOUSE – PORTO RECANATI (MC) Sì. Posso dire che io ho imparato molto da questi ragazzi. Perché un conto è sentir dire, un conto è toccare con mano la storia di questi ragazzi.
BERNARDO IOVENE Cioè lei ci vive bene qua?
LUCA DAVIDE - ABITANTE HOTEL HOUSE Io ci vivo bene qui perché ho imparato il modo di vivere asiatico, ho imparato il modo di vivere africano, nordafricano.
BERNARDO IOVENE FUORI CAMPO In questo palazzo dove problemi ce ne sono, in tanti non pagano il condominio, con insoluti per decine di migliaia di euro, e la manutenzione non si fa, gli ascensori nonostante i 16 piani non funzionano…
BERNARDO IOVENE A che piano deve arrivare.
ABITANTE HOTEL HOUSE Dieci.
BERNARDO IOVENE Dieci. Che lavoro fai?
ABITANTE HOTEL HOUSE Pubblicità lavoro 30€ al giorno.
BERNARDO IOVENE Trenta euro al giorno. Vive qua lei?
ABITANTE HOTEL HOUSE Sì.
BERNARDO IOVENE Con la famiglia?
ABITANTE HOTEL HOUSE Sì.
BERNARDO IOVENE Che lavoro fa lei?
ABITANTE HOTEL HOUSE Lavoro in un ristorante.
BERNARDO IOVENE Quanto paga di affitto?
ABITANTE HOTEL HOUSE 350.
BERNARDO IOVENE FUORI CAMPO Porto Recanati è famosa anche per questo Hotel House che è comunque una concentrazione di migranti in uno stabile privato che, inviso agli abitanti della zona, perché lo percepiscono come un ghetto di spaccio. Ma dall’altra parte è proprio grazie al fatto che è abitato da migranti che arrivano fondi pubblici al comune.
BERNARDO IOVENE Lo stabile privato, non c’entra niente con il Comune e comunque questi soldi non vanno a cambiare una situazione che c'è là dentro.
ALESSANDRO ROVAZZANI - CONSIGLIERE COMUNALE PORTO RECANATI (MC) Non credo proprio che possano essere utilizzati soldi pubblici per uno stabile privato, sarebbe una cosa comunque discriminante al contrario.
BERNARDO IOVENE Voi non potete intervenire perché…
ANDREA MICHELINI - SINDACO DI PORTO RECANATI (MC) È privato, è un condominio privato
BERNARDO IOVENE FUORI CAMPO Quello che abbiamo capito è che l’Hotel House è stato utilizzato solo come scudo, infatti con gli 8 milioni c’è intenzione di acquisire e ristrutturare dei casolari privati per poche persone, uno sarebbe questo nel comune di Monte Lupone.
ROLANDO PECORA - SINDACO DI MONTELUPONE (MC) Sì, è quello che secondo noi si presta meglio. Si potrebbe prestare meglio
BERNARDO IOVENE Si potrebbe? Quanti posti letti ci potrebbero stare?
ROLANDO PECORA - SINDACO DI MONTELUPONE (MC) 30, 40 posti letto.
BERNARDO IOVENE 30, 40 posti letto
SIGFRIDO RANUCCI IN STUDIO Allora, rispetto ai 200 milioni del PNRR Porto Recanati è il comune che ha ottenuto il finanziamento più alto, rispetto ai comuni della Calabria, della Campania, del Lazio, Abruzzo, Toscana, Liguria, Piemonte e Veneto. Otto milioni di euro, li ha ottenuti perché ha censito la presenza di 500 braccianti migranti. Ora, è una cifra gonfiata perché è ottenuta attraverso la somma di tutti quei migranti che a rotazione sono transitati nel comune durante l’anno. Però insomma il sindaco ha detto a Bernardo guardate che i migranti ci sono un po' nei casolari però non ha detto in quali casolari. Comunque, il nostro Bernardo non ne ha trovati. Poi c’è un altro paradosso, per ottenere vi finanziamenti il sindaco ha messo nel modulo la presenza di un palazzo, il cosiddetto Hotel House, 480 appartamenti abitati da circa 2000 migranti, sono appartamenti privati, viene pagato l’affitto e il paradosso è che i fondi ottenuti per sistemare i migranti non andranno a beneficio di quelli che abitano in quel ma per ristrutturare dei casolari privati, di proprietà della Chiesa, dove il comune intende infilare i migranti. Insomma, alla fine cercherà di sistemare 115 migranti in posti letto, cifra completamente diversa dai 500 indicati nella richiesta di finanziamento. Il ministero del lavoro si è accorto che c’è qualcosa che non va nei conti, e qui rischiamo che il finanziamento salti e di dover restituire la cifra con gli interessi all’Europa. Ora vediamo invece che cosa accade nella capitale simbolica del caporalato, Castelvolturno, che conta la presenza di circa 20mila migranti, braccianti solo che è complicato censirli. E allora?
BERNARDO IOVENE FUORI CAMPO Castelvolturno, simbolo del caporalato in agricoltura, riceve meno della metà di Porto Recanati: 3 milioni e 180mila euro circa. Anche qui non ci sono baraccopoli, ma migliaia di migranti che vivono in 27 chilometri di litorale, nelle seconde case costruite in buona parte, abusivamente, tra gli anni 60 e 70, poi requisite nel 1980 e destinate ai terremotati dei quartieri di Napoli. Oggi queste villette e case sono o abbandonate o affittate a basso prezzo ai migranti.
DANIELE MOSCHETTI – PADRE MISSIONARIO COMBONIANO CASTEL VOLTURNO (CE) Lo vedi qui? C'è una strada, qui c'è una strada, qui ma una strada che andava sotto più di un metro. Adesso il mare ha spazzato tutto, la potenza del mare. Diciamo la grande maggioranza dei migranti vive in questa zona qua.
BERNARDO IOVENE FUORI CAMPO Il Comune parla di 15 - 20.000 irregolari, ma non c'è un censimento. Tra l'altro, gran parte vivono in case costruite abusivamente dove non si può prendere la residenza.
MAMADOU KOUASSI – MOVIMENTO MIGRANTI E RIFUGIATI DI CASERTA Non riesci a fare un certificato di residenza, quindi la persona è obbligata a comprarsi una residenza altrove.
GIANLUCA CASTALDI – RESPONSABILE SERVIZIO IMMIGRAZIONE CARITAS DI CASERTA Chiaramente la mancanza di un documento di fatto ti porta ad una situazione di totale vulnerabilità socioeconomica. Allora sei alla mercè di tutti, sia a livello di sfruttamento abitativo che lavorativo.
BERNARDO IOVENE FUORI CAMPO Tutte le associazioni presenti sul territorio considerano prioritario e lavorano per ricostruire la documentazione dei migranti.
BERNARDO IOVENE Richieste maggiori quali sono?
ANTONIO CASALE - DIRETTORE CENTRO CARITAS FERNANDES CASTEL VOLTURNO (CE) Rinnovo del permesso di soggiorno, potere avere contratti d'affitto che ti consentono di avere la residenza.
BERNARDO IOVENE FUORI CAMPO Questo è uno sportello mobile, anch'esso un progetto finanziato con fondi Su.pre.me.
ANNA PISANI – OPERATORE LEGALE PROGETTO SU.PR.EME L'80% delle persone che intercettiamo è senza permesso di soggiorno, quindi è facilmente sfruttabile.
BERNARDO IOVENE FUORI CAMPO Al Comune sono stati assegnati 3.179.000 euro perché sono riusciti a individuare soltanto 130 braccianti regolari che vivono in insediamenti informali.
LUIGI PETRELLA - SINDACO DI CASTEL VOLTURNO (CE) Avevamo l'opportunità di magari di chiedere di più, abbiamo all'incirca 20.000 irregolari sul territorio di Castel Volturno e non sono censiti e non sono registrati. C’abbiamo tanta confusione sul territorio di cui poi è difficile dare realmente dei dati esatti.
BERNARDO IOVENE FUORI CAMPO Tanta la confusione che i soldi del PNRR verranno impiegati per la ristrutturazione di parte dell'antico borgo che è il nucleo originario della città.
GIUSEPPE SCIALLA - CONSIGLIERE COMUNALE CASTEL VOLTURNO (CE) In questo caso questi 3.170.000 euro dovevano essere utilizzati per superare il fenomeno della baraccopoli che non c'è a Castel Volturno, sono stati utilizzati invece per riqualificare una parte del borgo.
BERNARDO IOVENE Questo parte qua.
GIUSEPPE SCIALLA - CONSIGLIERE COMUNALE CASTEL VOLTURNO (CE) Sì, Il borgo è oggetto di finanziamento su tre progetti, due da 5 milioni ciascuno è 1 da 3 milione e 170.000€.
LUIGI PETRELLA - SINDACO DI CASTEL VOLTURNO (CE) Le posso dire che il Comune di Castel Volturno oggi beneficia, tra finanziamenti ministeriali, regionali e finanziamento del PNRR, più di 80 milioni di euro. Sono quasi 90 milioni di euro.
BERNARDO IOVENE Sono tanti.
LUIGI PETRELLA - SINDACO DI CASTEL VOLTURNO (CE) Sì sono tanti.
BERNARDO IOVENE Questo borgo lo state ristrutturando per la città?
LUIGI PETRELLA - SINDACO DI CASTEL VOLTURNO (CE) Si, sì per la nostra comunità.
BERNARDO IOVENE Vi hanno dato dei soldi per fare una cosa e voi ne fate un’altra.
LUIGI PETRELLA - SINDACO DI CASTEL VOLTURNO (CE) No, perché ne facciamo un’altra? In effetti noi comunque creiamo anche degli, degli alloggi all'interno del borgo medievale.
BERNARDO IOVENE Praticamente avete preso questi fondi e li avete aggiunti a un progetto che già avevate, dove non ci pensavate proprio di metterci braccianti agricoli, no? Qua c’è scritto 130 presenze no, non penso che ci metterete 130 persone, migranti braccianti agricoli là dentro.
LUIGI PETRELLA - SINDACO DI CASTEL VOLTURNO (CE) E perché no?
BERNARDO IOVENE Quindi saranno destinati a braccianti agricoli?
LUIGI PETRELLA - SINDACO DI CASTEL VOLTURNO (CE) Saranno utilizzati sicuramente con i numeri che abbiamo insomma.
BERNARDO IOVENE Cioè dico lei fa questa dichiarazione, prende questo impegno?
LUIGI PETRELLA - SINDACO DI CASTEL VOLTURNO (CE) Ma la delibera parla chiaro, scusate. BERNARDO IOVENE Talmente chiaro che dopo la nostra intervista ci hanno ripensato e hanno deciso di dirottare il finanziamento alla ristrutturazione di queste villette che sono beni confiscati.
GIUSEPPE SCIALLA - CONSIGLIERE COMUNALE CASTEL VOLTURNO (CE) Sono state dirottati dal centro storico al parco Allocca, ovviamente l’idea del borgo insomma sono stati sgamati, perché voglio dire, l’amministrazione intendeva fare questa cosa un po' sottobanco, le case che andrebbero riadattate sono quelle là diciamo a dente, a spigolo verso il lago. Quelle lì.
BERNARDO IOVENE FUORI CAMPO Intanto in Puglia gli abitanti del gran ghetto di Torretta Antonacci per sottrarsi allo sfruttamento e al caporalato, che è uno degli obiettivi del PNRR per cui sono stati stanziati circa 29 milioni di euro, hanno occupato delle terre incolte e abbandonate di proprietà del demanio.
FRANCESCO SAVERIO CARUSO – DELEGATO SINDACALE USB - FOGGIA È importante dare un segnale che ci siamo rotti le scatole e che non subiamo più passivamente le decisioni calate dall'alto in cui le terre vengono abbandonati, i lavoratori non gli vengono garantiti i diritti e noi dobbiamo subire in silenzio la tracotanza e l'arroganza dei caporali, di chi vuole sfruttare a basso costo. E invece adesso, se permettete, ci organizziamo e una risposta la possiamo dare anche noi.
SIGFRIDO RANUCCI IN STUDIO I diritti vanno conquistati. Quest’estate coltiveranno broccoletti, poi passeranno a ceci e fagioli. Chiedono solamente di essere allacciati alla rete idrica del Consorzio Capitanata, c’è sempre un problema d’acqua. Insomma, poi alla fine, tornando a Castelvolturno, abbiamo detto conta 20 mila presenze di braccianti migranti che sono nelle case pericolanti, abbandonate dopo il terremoto. Però l’amministrazione è riuscita a censirne solo 130 e, in base a questi ha ottenuto un finanziamento di 3,1 milioni. Ora però dovrebbero trovare delle sistemazioni stabili ma hanno le idee un po’ confuse. E devo dire che un po' ha contribuito anche il nostro Bernardo Iovene perché quando il sindaco gli ha detto che era sua intenzione sistemare, ristrutturare il centro storico, il borgo storico della sua città e infilarci i migranti, Bernardo gli ha detto scusi ma questo è un progetto che è già stato finanziato appositamente, finanziamento per i borghi storici. Insomma, si vede che gli ha messo la pulce nell’orecchio e il sindaco, dopo l’intervista, ha cambiato la destinazione dei finanziamenti. Adesso vuole ristrutturare le ville sequestrate, confiscate alla camorra. Insomma, quello che però spaventa è che un’amministrazione con queste idee, questa mancata chiarezza di idee, debba gestire cento milioni di euro di finanziamenti che ha già in pancia. Siamo sicuri che abbia gli strumenti adatti per migliorare la qualità della propria città? Ma questo vale anche per gli altri amministratori che abbiamo visto nel corso di queste puntate. Il rischio è quello di costruire delle cattedrali nel deserto, e lasciare i migranti, braccianti in mano al malaffare.
Estratto dell’articolo di Paolo Baroni per “La Stampa” il 15 aprile 2023
Il caro materie prime, ma non solo. Fatto sta che una bella fetta delle gare bandite negli ultimi otto mesi per far marciare i progetti finanziati coi fondi del Piano nazionale di ripresa e resilienza o attraverso il Piano nazionale complementare sono rimaste al palo.
Da agosto 2022 a marzo 2023, stando alle informazioni della Banca dati nazionale dei contratti pubblici dell’Autorità nazionale anticorruzione, sono state ben 517 le gare andate deserte, a cui si aggiungono poi altre 61 procedure che si sono concluse senza esito in seguito a offerte irregolari, inammissibili, non congrue o non appropriate. Si tratta, è vero, di una frazione rispetto alle oltre 60 mila gare bandite in questo lasso di tempo, quanto basta però per impedire di mettere a terra nei tempi previsti all’incirca 1,8 miliardi di euro di investimenti.
La maggior parte delle gare andate a vuoto, ben 356, riguarda il settore dei lavori, 162 i servizi, 60 riguardano appalti per forniture. Sono soltanto 83 le gare a procedura aperta, dove tutte le imprese sono libere di partecipare e presentare offerte, andate deserte. Per il resto si tratta per lo più di procedure negoziate per affidamenti sotto soglia - ben 223 gare con questa tipologia - seguite da 199 affidamenti diretti, 52 con procedura negoziata senza previa indizione di gara e 21 procedure ristrette che prevedono una selezione qualitativa preliminare degli operatori ammessi all’appalto.
Tra le tante voci spicca una gara di Trenitalia a procedura negoziata, importo base 1.176.550.000 euro relativa alla fornitura di carrozze «Notte» per il servizio Intercity. Sempre nel Gruppo Fs quattro le gare con procedura ristretta indette da Rete ferroviaria italiana (Rfi) andate deserte: la più consistente riguarda i lavori di potenziamento sulla linea Bari-Foggia (69,85 milioni), seguita dall’appalto per la progettazione e i lavori di realizzazione del nuovo apparato centrale computerizzato Milano Certosa (31,75 milioni) e da quello dello scalo di Torino Orbassano (due gare da 39,2 milioni totali). Deserta anche la gara dell’Anas da 29 milioni di euro per realizzare il monitoraggio strutturale di ponti, viadotti e gallerie in Piemonte, Valle d’Aosta, Lombardia, Veneto, Friuli-Venezia Giulia ed Emilia Romagna.
[...] Ma il record è dell’Istituto autonomo case popolari di Trapani: ben 18 procedure negoziate senza previa pubblicazione del bando per la riqualificazione di edifici in varie zone della città ed un controvalore complessivo di 16,8 milioni sono andate deserte.
Problemi anche per la ricostruzione all’Aquila dove la stessa sorte è toccata alla procedura negoziata per la ristrutturazione di un edificio dell'ospedale psichiatrico di Collemaggio (importo a base di gara 4.999,617 euro).
Niente da fare nemmeno per le 5 gare da 6 milioni di euro l’una indette dal ministero del Turismo con procedura ristretta per la fornitura di licenze d'uso di un software di traduzione automatica dalla lingua inglese alle lingue cinese, giapponese, araba, hindi e coreana e per servizi professionali di traduttori madrelingua. A Verona il Consorzio bonifica non è riuscito ad assegnare lavori per interventi idraulici per 28 milioni. Non è andata meglio a Open Fiber che non ha trovato una impresa per la posa di una rete in fibra in Emilia Romagna nell’ambito del «Piano Italia a 1 Giga», nonostante anche in questo caso una procedura negoziata per affidamenti sotto soglia (4,93 milioni).
Le ragioni di questa abnorme crescita di gare deserte? L’aumento considerevole dei prezzi (+26%), il rincaro dei costi dell’energia e la riduzione delle materie prime causa Covid (prima) e guerra in Ucraina (dopo), la mancanza di manodopera specializzata e la non convenienza alla partecipazione di gare pubbliche rispetto alla forte domanda di ristrutturazioni del privato.
Questione di metodo. Perché la Pubblica amministrazione è incapace di gestire i fondi del Pnrr. Nicola Patrizi, Francesco Verbaro su L’Inkiesta l’11 Aprile 2023
Da tempo la maggioranza dei dipendenti pubblici italiani non possiede le competenze tecniche qualificate per programmare gli investimenti derivanti dai finanziamenti Ue. A questa carenza strutturale si è aggiunto il problema di smistare oltre duecento miliardi di euro in pochi anni
L’intervento pubblico non richiede solo risorse finanziarie, ma capacità amministrativa che a sua volta prevede capacità di leggere i dati, valutazione tecnica, programmazione e capacità di spesa. Quest’ultima attiene alla realizzazione di progetti, di politiche e richiede competenze, spesso diverse da quelle giuridiche. Il conflitto perenne e la mancanza di fiducia tra una politica transeunte e una dirigenza intimorita portino spesso ad assumere decisioni senza avere a disposizione né dati né informazioni. I tempi della politica mediatica e l’atteggiamento della dirigenza, volto a non contrariare il policy maker, stanno portando a prendere molte decisioni alla cieca. E forse, è quello che è accaduto con il Pnrr.
A monte abbiamo innanzitutto un problema di pianificazione, dovuto alla difficoltà, in corso da un paio d’anni, su quali progetti mettere nell’N+3 della programmazione 2014-2020, quali nel Pnrr e quali invece nella programmazione 2021-2027. L’errore è stato che nessuno si è preoccupato del fatto che i duecento miliardi richiesti per il Pnrr si sarebbero aggiunti a quelli previsti da altri fondi dell’Unione europea, sui quali registriamo difficoltà storiche e strutturali, soprattutto a livello regionale, locale e al sud.
Aver aggiunto altre risorse da programmare e da spendere (bene) non poteva che mettere in crisi una struttura amministrativa storicamente debole, soprattutto sulla capacità di messa a terra delle politiche pubbliche. Sono tante ormai quelle politiche in cui riscontriamo difficoltà di attuazione e di gestione, si pensi a temi chiave quali sanità, lavoro, ambiente o infrastrutture: una debolezza connessa alla mancanza di competenze tecniche qualificate e a una visione dell’azione pubblica che ha al centro le procedure piuttosto che i risultati.
I concorsi veloci e semplificati degli ultimi due anni non hanno consentito di reclutare gli esperti necessari per il Pnrr (e non solo): si è puntato sui neolaureati e invece sarebbero stati necessari anni di esperienza.
La quarta area di inquadramento per remunerare adeguatamente le poche competenze specialistiche presenti nel mercato del lavoro, introdotta nel decreto-legge 80/2021, è rimasta sulla carta, in quanto poco incentivata. Le competenze tecniche mancano da decenni nelle Pubbliche amministrazioni e nel mercato del lavoro di oggi non si reclutano certamente con i concorsi a “strascico” (vedi concorso unico): procedure inutili e dannose perché riempiono le Pubbliche amministrazioni di personale non necessario, non corrispondente al fabbisogno reale, e che comportano un elevato turnover con costi importanti per le stesse.
Da decenni si supplisce alla mancanza di competenze specialistiche attraverso le assistenze tecniche, tanto vituperate e ignorate con manifestazioni di orgoglio infondate, quanto ormai essenziali in molte Pubbliche amministrazioni. Si tratta di saperle usare evitando atteggiamenti farisaici.
Parlare di duecentomila o trecentomila assunzioni nei prossimi cinque anni potrà risolvere altri problemi, ma non certamente quelli della spesa del Pnrr. Le assunzioni dovrebbero poggiare su fabbisogni ponderati, avendo una visione prospettica e moderna delle competenze necessarie nei diversi settori e non sui cessati assunti quaranta anni prima.
Le competenze, inoltre, si formano nel tempo con alcuni anni di esperienza e noi non solo oggi non abbiamo tempo, ma non riusciamo nemmeno a remunerarle adeguatamente per competere con il settore privato. Non basta più il fascino del posto fisso per attrarre le competenze, né la promessa di una veloce stabilizzazione dopo pochi mesi.
Evitiamo di sbagliare ancora il reclutamento: la Pubblica amministrazione l’ha sempre trascurato, preoccupandosi esclusivamente di evitare ricorsi nei bandi. Il tema della qualità del reclutamento e dei suoi obiettivi non si è posto per il ricorso tanto significativo quanto necessario alle assistenze tecniche e nemmeno per non aver mai valutato con rigore e serietà cosa è realmente accaduto nella gestione dei fondi dell’Unione europea. Il nostro personale doveva soprattutto verificare la compliance rispetto alle leggi e non tendere a un valore aggiunto.
Oggi la sfida non è costituita dal target finanziario formale, conseguito “a prescindere” per non dover restituire all’Unione europea le risorse inutilizzate nei tempi fissati (rischio disimpegno automatico), ma è quello sostanziale, con il quale siamo costretti a fare i conti con le risorse del Pnrr. Così dovrebbe essere sempre se puntiamo a far emergere il valore pubblico nell’azione amministrativa.
Veniamo da una gestione più semplice rispetto a quella del Pnrr, in quanto per i tradizionali fondi dell’Unione europea – per i quali sono stati ammessi diversi strumenti di flessibilità – si è sempre fatto ricorso ai cosiddetti “progetti retrospettivi” (o coerenti, sponda, ammissibili, ecc.), cioè alla rendicontazione per il rimborso dell’Unione europea di progetti spesso non avviati con risorse comunitarie, ma considerati, appunto, coerenti con gli obiettivi dei programmi operativi.
Rendicontati in aggiunta o in sostituzione di quelli inizialmente programmati, selezionati e finanziati con i Pon e i Por, ma in ritardo di attuazione. In generale, tale modus operandi, pur formalmente in linea con i Po, ha influito sulle politiche settoriali previste nei programmi, comportando una negazione o deviazione dalle intenzioni originarie, il tutto in barba al principio di addizionalità.
In questo modo abbiamo avuto un considerevole aumento di risorse e progetti da realizzare e monitorare, insieme alla dilatazione temporale degli investimenti, trovandoci a finanziare iniziative spesso isolate ed episodiche. Diversi, infine, gli artifizi finanziari tra i sussidi europei e cofinanziamento, che consentono di raggiungere i target formali, ma non di sapere se la scuola, l’ospedale, l’infrastruttura sono state realizzate.
La discontinuità amministrativa non aiuta. Come avviene dopo ogni cambio di governo, in questi mesi siamo alle prese con numerose riorganizzazioni ministeriali e regionali che certamente non favoriscono quella tempestività ed efficacia richiesta dal Pnrr.
Oggi, l’insieme delle risorse da gestire fa tremare i polsi se si considerano i fondi in arrivo sulla programmazione 2021-2027 che tra contributo europeo e fondi nazionali arrivano a 143,5 miliardi, il settanta per cento dei quali destinati al Mezzogiorno, e che si aggiungono alla coda delle risorse della programmazione 2014-2020 (altri centoquaranta miliardi complessivi, di cui 64,8 miliardi sui Fondi Strutturali). Le spese certificate al 31 dicembre 2022 della programmazione 2014-2020 hanno finora raggiunto i 35,02 miliardi, corrispondenti a circa il 58,4 per cento delle risorse programmate, con importanti e ormai consuete differenze sulla spesa tra le regioni meno sviluppate e quelle più sviluppate
L’Accordo di partenariato approvato il 19 luglio 2022, reca l’impianto strategico e la selezione degli obiettivi di policy su cui si concentrano gli interventi finanziati dai Fondi europei per la coesione per il ciclo di programmazione 2021-2027.
Si tratta, nel complesso, di circa 43,1 miliardi di risorse comunitarie assegnate all’Italia. Di queste, oltre 42,7 miliardi sono destinate specificamente a promuovere la politica di coesione economica, sociale e territoriale, in gran parte destinata alle regioni meno sviluppate (oltre trenta miliardi). Ai contributi europei si aggiungono le risorse derivanti dal cofinanziamento nazionale, per un totale di risorse finanziarie, programmate nell’Accordo di partenariato per il periodo di programmazione 2021-2027, pari a oltre settantacinque miliardi di euro complessivi, senza considerare i programmi nazionali complementari e della coesione con cui si va al raddoppio: più di dieci miliardi l’anno solo di fondi europei.
Un’operazione verità è necessaria per evitare di sbagliare in futuro. Questo non riguarda solo il Pnrr, ma anche il modo flessibile con il quale abbiamo utilizzato i fondi dell’Unione europea negli ultimi decenni, per capire qual è la nostra capacità amministrativa.
Ad avviso di chi scrive, sul Pnrr c’è stato un errore a monte, derivante dalla mancanza di informazioni sulle risorse complessivamente a disposizione ancora da spendere e su quelle che sarebbero ulteriormente arrivate. Ma soprattutto, è mancata una riflessione seria sulla capacità amministrativa e di spesa delle nostre amministrazioni. Questo ci avrebbe permesso, banalmente, di capire cosa siamo capaci di fare e cosa fare per aumentare la capacità amministrativa. Tutto questo prima di assumersi impegni importanti, tali da mettere in gioco la reputazione e il futuro del Paese.
I circoli degli amici. Report Rai PUNTATA DEL 08/05/2023
di Lorenzo Vendemiale
L’Europa ha bocciato gli investimenti all'interno del PNRR per quanto riguarda gli stadi di Firenze e Venezia.
Il governo Meloni è stato costretto a escludere i progetti degli stadi di Firenze e Venezia. Ma come c’è finito uno stadio di Serie A nel Pnrr? Un caso internazionale che ha visto scendere in campo anche Matteo Renzi, che sostiene la ristrutturazione privata pagata dalla Fiorentina. Quale partita sta giocando il senatore di Italia Viva? Report ha scoperto altri progetti controversi, ancora inediti, che riguardano il mondo dello sport e sono entrati nel Pnrr: diverse Federazioni sportive hanno indirizzato i finanziamenti proprio verso la città d’origine dei loro presidenti. Mentre altri 4 milioni di euro serviranno per realizzare un grande campo da golf in Toscana, che sta a cuore a un noto politico.
Le risposte di Human Company
Risponde Luca Belenghi, Amministratore Delegato Human Company 1. In cosa consiste il Parco dello sport, quali attività e spazi ricettivi offrirà, in che termini (diritto di superficie) sarà realizzato col Comune di Cavriglia, a quanto ammonterà l’investimento? Il progetto prevede la realizzazione di un villaggio di 170 ettari di cui 100 ettari saranno dedicati alle attività sportive e comprenderanno 1 campo da rugby, 4 campi da calcio, 1 Palazzetto dello Sport polifunzionale per nuoto, pallavolo, basket e calcio a 5, 1 piscina olimpionica, 3 campi da tennis, 5 campi da padel, 1 campo da beach volley, 1 skatepark e 1 area tiro con l’arco. Vi sarà poi un’area dedicata all’open air village con mobile home, piazzole e altri servizi dedicati agli ospiti L’investimento diretto, da parte di Human Company, è di 55 milioni di euro, somma alla quale si aggiungono altri 15 milioni di euro impegnati dai tour operator. Il parco sportivo fa parte di un importante intervento integrato di rigenerazione del territorio di Cavriglia, che vede l’intervento di realtà pubbliche e private in una collaborazione volta alla rigenerazione dell’area. Oltre alla realizzazione del parco sportivo da parte di Human Company, infatti, nei prossimi anni è previsto il recupero e la rinascita dell’Antico Borgo di Castelnuovo d’Avane, la riqualificazione dell’Area Mineraria portata avanti da Enel produzione e la realizzazione di due progetti focali che hanno beneficiato dell’arrivo di ulteriori fondi da PNRR (l’ampliamento del Campo da Golf e la nascita dell’Ospedale di Comunità). 2. Che relazione ci sarà fra il vostro Parco dello sport e il campo da golf comunale? Il campo da golf - che è stato anche scelto a livello nazionale dalla Federazione Italiana Golf per farne un centro federale nazionale per il potenziamento di questo sport - sarà esterno al parco sportivo ma ad esso contiguo. Il campo da golf si affiancherà alle infrastrutture dedicate alle attività sportive professionali e amatoriali che saranno realizzate dal Gruppo all’interno del parco dello sport. La loro presenza, insieme alle provate capacità del Gruppo nel settore dell’ospitalità all’aria aperta, saranno un sicuro volano per la valorizzazione del territorio e delle sue eccellenze. Gli eventi sportivi che verranno ospitati permetteranno anche il rilancio del turismo in momenti di bassa stagione. 3. Quale ruolo avrà il vostro gruppo nella gestione economica/manutenzione/fruizione del campo comunale? Human Company si è assunto gli oneri di progettazione della futura club house, oltre alla manutenzione ordinaria e straordinaria del campo. Gli ospiti del parco sportivo potranno accedere al campo da golf secondo le condizioni che verranno stabilite in un futuro accordo con chi gestirà il campo da golf. 4. Il campo da golf comunale rientra nell’ambito del progetto del parco dello Sport (di cui costituisce la UMI4, secondo la relazione istruttoria del progetto), e come specificato dalle deliberazioni del Comune e a noi confermato dallo stesso sindaco, la vostra società si farà carico della manutenzione del campo in cambio della possibilità di fruirne a condizioni agevolate. Quali sono queste condizioni? Tutte le effettive modalità della collaborazione saranno contenute in una convenzione che sarà stipulata con il soggetto che gestirà il campo da golf. Per questo motivo, al momento, non sono determinate né possono essere determinabili. Il Gruppo non avrà alcun ruolo nella gestione economica del campo da golf; la fruizione del campo da parte degli ospiti sarà da definire in un futuro accordo tra le parti. 5. Dalla deliberazione relativa all’approvvigionamento idrico del campo si evince che la società Elite Vacanze Srl ha dato la propria disponibilità a compartecipare alla realizzazione dell’intervento. A quali interventi sul campo parteciperà il vostro gruppo? La collaborazione riguarda anche lavori relativi all’intervento previsto dal Pnrr? Come gruppo Human Company abbiamo realizzato, anticipatamente rispetto al permesso a costruire per la nostra struttura ricettiva e in accordo e compartecipazione economica con l’amministrazione comunale, le opere di adduzione necessarie all’approvvigionamento idrico del futuro villaggio e del campo da golf. E’ stato realizzato il pompaggio dal bacino artificiale del Lago di Castelnuovo (un bacino artificiale che permette il recupero delle acque meteoriche che altrimenti andrebbero perdute) verso una stazione di pompaggio e centro di potabilizzazione “in quota”, che potrà fornire acqua sia al villaggio che al campo da golf. Proprio per questo motivo anche l’amministrazione ha sostenuto parte dei costi di questo intervento. L’opera di adduzione non è finanziata con importi provenienti dal PNRR. Il gruppo, infatti, non ha alcuna relazione con la realizzazione del campo a 18 buche e con ogni altro intervento previsto dal cluster 3 del PNRR. Anche la gestione del campo non ricade tra le competenze di Human Company. 6. Avete una stima (anche orientativa) di quanto ammonterà il costo della manutenzione del campo, e che impatto positivo potrebbe avere invece la sua gestione sul fatturato del Parco? I costi di manutenzione sono indicati negli allegati del bando e verranno circostanziati quando avremo attiva la convenzione con il nuovo gestore del campo. In questo momento, sulla scorta delle interlocuzioni preliminari che stiamo avendo con l’attuale gestore e con i migliori esperti in materia a livello italiano ed internazionale, riteniamo di poter essere in grado di realizzare una manutenzione ordinaria e straordinaria a regola d’arte impegnando una frazione dell’importo previsto e ipotizzato nel bando. Allo stato attuale può essere previsto un impatto marginale e non particolarmente rilevante sul fatturato del Parco.
Le risposte della Federazione Italiana Giuoco Squash
A seguito dell’invito a manifestare pubblicato dal governo in data 22.3.2022, in che maniera la vostra Federazione ha dato pubblicità del bando e ha raccolto le domande? Il bando non è stato da noi pubblicizzato in quanto lo stesso era rivolto ai Comuni e non alle Federazioni Sportive che avrebbero potuto/dovuto intervenire solo per manifestare il loro interesse alle richieste autonome dei Comuni; non volevamo nè sollecitare, né orientare alcuno verso lo squash. Ritenevamo, secondo noi correttamente, che così facendo avremmo ricevuto solo richieste motivate da vero e spontaneo interesse. In che data è stata aperta la vostra manifestazione di interesse e in che data è stata effettuata la scelta? In data 9 aprile 2022 in Consiglio Federale, in qualità, di Presidente ho svolto la seguente relazione (testo estratto dal Consiglio Federale): ……. la Presidente relaziona sui bandi per la realizzazione di impianti sportivi, previsti dal PNRR, informando che una serie di Comuni hanno manifestato il proprio interesse alla Figs. Il Consiglio Federale, dopo aver analizzato approfonditamente le diverse proposte ricevute, allegate al presente verbale, esprime, con il voto favorevole, unanime dei presenti, aventi diritto al voto (assenti le Consigliere Monica Menegozzi e Federica Rodella), la preferenza per il progetto pervenuto dal Comune di Cosenza, in quanto incentrato esclusivamente sulla costruzione di campi da squash e tenuto conto del bacino d’utenza potenziale della città calabrese; conseguentemente incarica, viste le imminenti scadenze, la Segreteria Generale di prendere contatti con il Comune di Cosenza. Quante domande avete ricevuto? Nell’allegato, qui di seguito, si evincono i dati richiesti: 1. arrivata il 28 marzo - Comune di Montelapiano (Chieti) - 77 abitanti; propongono la realizzazione di un impianto sportivo polivalente, puntando anche sulla pratica dello squash; 2. arrivata il 28 marzo - Comune di Ussaramanna (vicino Oristano) - 512 abitanti; terreno edificabile su cui realizzare campi da squash; 3. arrivata il 30 marzo - Comune di Roccasinibalda (Rieti) - 786 abitanti; realizzazione di campi da squash nell’ambito della riqualificazione di un’area sportiva; 4. arrivata il 6 aprile - Comune di Nicolosi (Catania) - 7.533 abitanti - 700 mt. di altitudine - 20 km da Catania; nell’ambito della rigenerazione e della rifunzionalizzazione della palestra comunale, si propone, genericamente, la realizzazione di un impianto di squash; 5. arrivata il 6 aprile - Comune di Sestriere (Torino) - 922 abitanti; nell’ambito della ristrutturazione di una palazzina che ospita 3 campi da squash, una palestra, un’area fitness e un centro benessere (zona umida), si propone la ristrutturazione e la valorizzazione dei campi da squash; 6. arrivata il 7 aprile - Comune di Laterza (Taranto) - 15.154 abitanti - 55 Km da Taranto; nell’ambito della ristrutturazione di una pista di atletica si propone di recuperare vari depositi sottostanti le tribune per fare campi da squash; 7. arrivata il 7 aprile - Comune di Cosenza - 64.070 abitanti; si propone di realizzare un Centro Federale con 8 campi da squash e con servizi vari; 8. arrivata il 9 aprile – Comune di Rende (CS) - 35.526 abitanti; all’interno di un centro sportivo, si propone la realizzazione di una palazzina comprendente un campo da basket, pallavolo, atletica leggera, lo squash e discipline paralimpiche come Goalball e Torball. Quali criteri tecnici (oltre alle indicazioni generali dell’invito a manifestare governativo), hanno determinato la scelta da parte del consiglio federale dell’impianto di Cosenza? La Federazione li aveva resi noti alle partecipanti e se sì, in che modo? Sulla base delle affermazioni, già precedentemente qui esposte, abbiamo potuto, facilmente, manifestare il nostro motivato e concreto interesse per la proposta del Comune di Cosenza, visto che le altre, pur con differenti caratteristiche tra loro, risultavano, ciascuna nella propria specificità, di difficile utilizzo federale o per dimensione territoriale e/o di abitanti, o per dislocazione, o per inadeguata vocazione agonistica, o per dimensioni inadeguate ad ospitare grandi ed internazionali eventi di squash, o per l’assenza di realtà organizzate in grado di gestire una corretta pratica di squash, o per la genericità delle finalità dichiarate, o per più di queste criticità presenti assieme. Esiste una graduatoria delle candidature? Sono stati pubblicati gli atti relativi alla vostra procedura? La graduatoria delle caratteristiche è risulta non necessaria in quanto troppa era la differenza tra gli aspetti positivi della proposta del Comune di Cosenza (per fare esempi, anche se non esaustivi: dimensione dell’impianto adatta anche ad eventi agonistici internazionali di alto livello – presenza di Società sportive di squash organizzate e con datata e positiva attività, anche di preparazione – bacino di utenza adeguatamente ampio – possibile utilizzo della struttura come centro tecnico federale giovanile e non solo) era evidente rispetto alle altre richieste, tutte, di per sé, apprezzabili, ma non paragonabili, in nessun modo, a quella scelta. Per esigenze di produzione, vi chiediamo di rispondere entro e non oltre le ore 12 di giovedì 4 maggio
Le risposte della Federazione Italiana Taekwondo
Risposte quesiti Report PNRR Domanda: a seguito dell’invito a manifestare pubblicato dal Governo in data 22/03/22, in che maniera la vostra Federazione ha dato pubblicità del bando e ha raccolto le domande? Risposta: Il bando essendo rivolto ai Comuni, era di competenza del Dipartimento per lo Sport diffonderlo attraverso il suo sito istituzionale, come di fatto è avvenuto. Non era previsto che tale procedura venisse affrontata da parte nostra. Domanda: In che data è stato aperto il vostro bando e in che data è stata effettuata la scelta? Risposta: La FITA si è attenuta a quanto veniva espresso dal bando del Dipartimento per lo Sport La manifestazione d’interesse è stata trasmessa il 7 aprile 2022 Domanda: Quante domande avete ricevuto? Risposta: La FITA ha ricevuto 9 domande Domanda: Quali criteri tecnici (oltre alle indicazioni generali dell’invito a manifestare governativo), hanno determinato la scelta da parte del Consiglio Federale dell’Impianto di San Vito dei Normanni? La Federazione li aveva resi noti alle partecipanti e se sì, in che modo? Risposta: A: è stato quello di verificare nel comune richiedente e aree limitrofe se vi fossero delle ASD affiliate a codesta Federazione . B: la verifica è stata fatta sulla base di quante ASD erano presenti nella Regione del Comune richiedente. C: si è considerato quanto formalmente espresso dal bando, ovvero che, almeno il 40% delle risorse di cui al comma 1, è destinato a candidature proposte da parte di enti locali appartenenti alle Regioni del Mezzogiorno. D: si è verificata l’accessibilità dell’impianto in riferimento alla vicinanza dell’aeroporto. E: Il Comune di San Vito dei Normanni, rispondeva ai primi quattro requisiti e ha espresso formalmente la volontà di destinare un palazzetto dello sport allo svolgimento dell’attività del Taekwondo, nel rispetto dei requisiti tecnici e di sicurezza richiesti dalla federazione per svolgere eventi nazionali e internazionali. F: Importanza e diffusione del Taekwondo nel territorio, con il raggiungimento di risultati nazionali ed internazionali tra i quali Due Campioni Olimpici, Titoli Mondiali ed Europei da parte di atleti pugliesi, facendo del Taekwondo uno degli sport più prestigiosi del Territorio, fa da contraltare da sempre una mancanza cronica di impianti idonei allo svolgimento della disciplina. G: La disponibilità del suddetto Comune a far si che l’impianto sia a disposizione dell’intera Regione al fine di poter organizzare eventi sportivi nazionali ed internazionali. Domanda: Esiste una graduatoria delle candidature? Risposta: si. Domanda: Sono stati pubblicati gli atti relativi alla vostra procedura? Risposta: Non sono stati pubblicati, perché non richiesto
Le risposte della Federazione Italiana Scherma
giovedì 4 maggio 2023 10:30 Oggetto: Re: richiesta informazioni FIS - Report Rai3 Attenzione, la presente mail proviene da un mittente esterno alla rete aziendale RAI Gentile Lorenzo, gentile redazione, in riscontro alle vostre cortesi richieste di delucidazioni, fornisco gli opportuni chiarimenti. La Federazione Italiana Scherma, presa visione del bando pubblicato sul sito del governo, in data 6 aprile 2022 ha diffuso a sua volta un avviso sul proprio sito web, dandone evidenza anche con una notizia nella “home page”. La selezione ad opera della FIS è stata effettuata in data 20 aprile 2022 ed è stata comunicata il 21 aprile 2022 al Comune di Modica, per il cui progetto la Federazione ha manifestato il proprio interesse. Sono pervenute in tutto 36 domande. Tutte le domande, pervenute nei termini indicati nell’avviso della Federazione, acquisito il parere da parte dei Comitati Regionali FIS, sono state inoltrate alla Commissione Impianti della Federazione Italiana Scherma, che ha espresso un parere di idoneità per 17 istanze. Il Consiglio federale, acquisiti tali pareri, ha a sua volta vagliato le istanze individuando, sulla base dei requisiti indicati nel bando governativo e tenendo in particolare considerazione quello riferito alla priorità da attribuire alle “aree svantaggiate del Paese”, 5 proposte risultate di pari interesse e, pertanto, non suscettibili di posizionamento in una ipotetica graduatoria. Poiché il bando prevedeva tassativamente che le Federazioni manifestassero interesse per una sola proposta d’intervento, il Consiglio, anche in considerazione delle tempistiche particolarmente stringenti fissate dal bando, con rammarico ha ritenuto inevitabile procedere a estrazione, eseguita a cura della Segreteria federale, il cui verbale, al pari della restante documentazione relativa alle procedure sopra descritte, è custodito presso gli uffici federali ed è disponibile per gli eventuali approfondimenti a cura delle autorità preposte. Infine, per ogni ulteriore esigenza, vi prego di consultare il Dipartimento governativo autore del bando, stante il ruolo marginale attribuito alle Federazioni che sono state chiamate unicamente a esprimere interesse, a seguito di iniziative dei Comuni conseguenti a un bando per la cui redazione le Federazioni non sono state preventivamente interpellate. Cordialmente, Dario Cioffi Addetto stampa FIS 2
Report Via Teulada, 66 00195 Roma Gentilissimi, come da accordi telefonici, vi scriviamo dalla redazione di Report, il programma di Rai3, perché in una delle prossime puntate ci occuperemo del filone sportivo del Pnrr, in particolare del Cluster 3, che prevede il coinvolgimento delle Federazioni nella scelta di un solo e unico intervento da finanziare con i fondi del piano. Tra gli impianti menzionati nel servizio c’è anche quello di Modica, destinatario di un finanziamento di 3,2 milioni di euro da parte del Dipartimento Sport a seguito dell’indicazione della Federscherma, e a questo proposito vorremmo avere alcune informazioni supplementari per cui vi chiediamo di rispondere alle seguenti domande: * A seguito dell’invito a manifestare pubblicato dal governo in data 22.3.2022, in che maniera la vostra Federazione ha dato pubblicità del bando e ha raccolto le domande? * In che data è stata aperta la vostra manifestazione di interesse e in che data è stata effettuata la scelta? * Quante domande avete ricevuto? * Da un’intervista realizzata col presidente onorario Giorgio Scarso, abbiamo preso che la Federazione ha effettuato un sorteggio fra 5 candidate che ha portato all’indicazione di Modica. Sulla base di quali criteri si è arrivati alla definizione di questa “short list”? Il sorteggio è stato certificato da notaio? Esiste un verbale/registrazione del sorteggio ed è possibile averlo? * Esiste una graduatoria delle candidature? Sono stati pubblicati gli atti relativi alla vostra procedura? Per esigenze di produzione, vi chiediamo di rispondere entro e non oltre le ore 12 di mercoledì 3 maggio. Per qualsiasi necessità potete contattare l’autore del servizio, Lorenzo Vendemiale. In attesa di un vostro riscontro, cordiali saluti, Redazione Report – Rai3
I CIRCOLI DEGLI AMICI di Lorenzo Vendemiale
SIGFRIDO RANUCCI IN STUDIO Bentornati. Il governo Draghi aveva destinato 700 milioni del Pnrr allo sport. Di questi, per 162, spinto un po’ anche dalla fretta, aveva detto alle Federazioni: “Ditemi un solo progetto che vale la pena finanziare, e io ve lo finanzio”. Le Federazioni hanno risposto: quali regole hanno osservato? Poi altri 150 milioni del Pnrr sono stati destinati agli stadi delle città d’arte, Venezia e Firenze. Però qui l'Europa c’ha stoppato. Ne è nato un caso internazionale, è sceso in campo il senatore Renzi che ha detto: lo stadio della Fiorentina si ristruttura con i soldi della proprietà della Fiorentina, con i soldi privati, quelli pubblici di fondi devono andare invece alle scuole e alle case popolari. Ora, se come crediamo è un gesto disinteressato, è un bel gesto d’amore, amore per la cosa pubblica, che ha trovato anche il plauso di altri politici. Ma lo stesso sguardo lo hanno messo sugli altri finanziamenti del Pnrr allo sport? Il nostro Lorenzo Vendemiale
MATTEO RENZI – SENATORE ITALIA VIVA Lo stadio coi soldi dell'Europa è una vergogna. Il Comune di Firenze indichi la destinazione dei 55 milioni che se no vanno persi. Noi abbiamo detto case popolari, scuole
LORENZO VENDEMIALE FUORI CAMPO Ma come ci era finito uno stadio di Serie A nel Pnrr? Sul Franchi c’è un vincolo della Sovrintendenza che blocca la ristrutturazione privata. Così nel 2021 il ministero di Dario Franceschini stanzia 95 milioni in un fondo complementare al Pnrr, destinato al patrimonio culturale Poi si aggiungono altri 55 milioni europei, per le aree degradate. E qui arriva lo stop della Ue
LORENZO VENDEMIALE una battuta sul Franchi
DARIO NARDELLA – SINDACO DI FIRENZE Ho già parlato. è il 25 aprile, è la festa della Liberazione
LORENZO VENDEMIALE Io sono a sua disposizione, quando vuole
DARIO NARDELLA – SINDACO DI FIRENZE Va bene
LORENZO VENDEMIALE Però è stata un po’ una furbata inserirlo nel Pnrr?
DARIO NARDELLA – SINDACO DI FIRENZE Grazie, quando vuole
MATTEO RENZI – SENATORE ITALIA VIVA per noi non c'è che una soluzione sullo stadio. Si buttino giù le curve e si faccia il progetto pagato dalla Fiorentina.
LORENZO VENDEMIALE FUORI CAMPO Autorevoli manager in Serie A ci hanno parlato di un interessamento del senatore Renzi in un possibile cambio di proprietà della Fiorentina, per favorire contatti con l’Arabia Saudita, uno dei maggiori investitori del calcio internazionale, che cerca di applicare il suo soft power per l’assegnazione dei Mondiali 2030, anche come rivalsa su quelli disputati in Qatar. Mentre l’attuale proprietario, Rocco Commisso, smentisce ogni intenzione di voler vendere
LORENZO VENDEMIALE Report, Rai3
MATTEO RENZI – SENATORE ITALIA VIVA Di solito vi vedo in autogrill, ma va bene anche così
LORENZO VENDEMIALE Siamo affezionati ormai
MATTEO RENZI – SENATORE ITALIA VIVA Vai
LORENZO VENDEMIALE La sua proposta quindi è: facciamo cadere il vincolo e lo facciamo fare ai privati. Ma quali privati? Non è che avviamo l'iter con una proprietà e poi ce ne ritroviamo un'altra?
MATTEO RENZI – SENATORE ITALIA VIVA Si vede che tu non sei di Firenze. No, non ti rispondo nemmeno, non è così. Ma la proprietà può essere chiunque ci sia, i Della Valle...
LORENZO VENDEMIALE Lei sa di cordate interessate? Le è mai stato chiesto, per esempio, di lavorare con le sue relazioni internazionali...
MATTEO RENZI – SENATORE ITALIA VIVA Senti che pensa questo! No, no, assolutamente no. No, ma vi capisco, dovete far giornata come Report, vi capisco. No, ho risposto: la risposta è, mi è stato chiesto? no, non mi è stato chiesto.
LORENZO VENDEMIALE FUORI CAMPO L’Europa si è accorta dello stadio di Firenze, ma non è l’unico progetto controverso del Pnrr
LORENZO VENDEMIALE diverse Federazioni hanno indicato proprio un progetto di un impianto vicino geograficamente o proprio personalmente al loro presidente
MATTEO RENZI – SENATORE ITALIA VIVA Io sto seguendo il Pnrr per la parte del Franchi, e di questo rispondo
LORENZO VENDEMIALE Sa che c’è anche un suo vecchio amico in mezzo a questa vicenda, Luca Lotti, che si è interessato di un campo in Toscana
MATTEO RENZI – SENATORE ITALIA VIVA io non so di cosa si sta parlando, ma se c’è uno che si preoccupa di portare i soldi per un campo sportivo non mi pare una cosa così drammatica, anzi tutt’altro…
MATTEO RENZI – SENATORE ITALIA VIVA Ci si vede all’autogrill. Un brindisino al Pnrr!
LORENZO VENDEMIALE FUORI CAMPO Cavriglia, provincia di Arezzo. Sulle campagne alle porte del Chianti, pioveranno quasi 4 milioni del Pnrr. Per realizzare un grande campo da golf a 18 buche. In questa ex area mineraria fino a pochi anni fa c’era solo un piccolo campo pratica
LORENZO VENDEMIALE Diventa un campo grande grande. Ma chi lo fa, perché è una roba enorme…
GOLFISTA Eh… LORENZO VENDEMIALE Perché ridi?
GOLFISTA Noooo, Un po’ tutti
LORENZO VENDEMIALE FUORI CAMPO Tutto o quasi con i soldi pubblici
LORENZO VENDEMIALE come avete fatto, o siete fortunati o siete bravissimi
LEONARDO DEGL’INNOCENTI – SINDACO DI CAVRIGLIA (AR) noi abbiamo un ufficio tecnico straordinario. Evidentemente, come in altri casi, il nostro progetto è stato meritevole di finanziamento
LORENZO VENDEMIALE FUORI CAMPO Cavriglia è entrata nel Pnrr su indicazione della FederGolf. Ma non è il primo contributo ricevuto: nel 2018 il Cipe aveva già stanziato altri 2 milioni di euro. La firma è dell’ex ministro dello Sport e segretario, Luca Lotti
LUCA LOTTI – MINISTRO DELLO SPORT 2016-2018 [video dell’8.4.2017] Per uno sport che porta ricchezza al territorio, che è attrattivo per il nostro territorio
PIERLUIGI GIORDANO CARDONE – GIORNALISTA ILFATTOQUOTIDIANO.IT Nel 2016 il governo Renzi stanzia 60 milioni di euro per l’organizzazione della Ryder Cup. A questo punto manca una garanzia di 97 milioni di euro. Luca Lotti si impegna personalmente da ministro dello sport e così la Ryder Cup è salva.
LORENZO VENDEMIALE Quindi possiamo dire che la Federazione golf ha un debito nei confronti di Lotti
PIERLUIGI GIORDANO CARDONE – GIORNALISTA ILFATTOQUOTIDIANO.IT Se non ci fosse stato Luca Lotti probabilmente in questo momento non staremmo a parlare di Ryder Cup in Italia
LORENZO VENDEMIALE FUORI CAMPO Lotti oggi è uscito dal parlament, lavora per l’Empoli calcio. Ma non ha dimenticato la sua passione per il golf, e nemmeno Cavriglia: come scoperto da Report, ha contattato la Federazione per il Pnrr
MARTA MAESTRONI – SEGRETARIO GENERALE FEDERAZIONE GOLF L'onorevole Lotti ha chiamato in Federazione successivamente al 22 aprile che era la scadenza. Lui ha chiesto di me come segretario generale e me l’hanno passato, anche perché non capita tutti i giorni che in Federazione chiami un onorevole.
LORENZO VENDEMIALE E lui ha chiesto sostanzialmente...
MARTA MAESTRONI – SEGRETARIO GENERALE FEDERAZIONE GOLF se la Federazione si fosse esposta
LORENZO VENDEMIALE E non gli ha chiesto, così per curiosità anche personale, perché gli interessava
MARTA MAESTRONI – SEGRETARIO GENERALE FEDERAZIONE GOLF No, non gliel’ho chiesto, questo non gliel'ho chiesto
LORENZO VENDEMIALE Perché le interessa il campo di Cavriglia? Perché lei ha chiamato la Federazione per il Pnrr per il campo da golf di Cavriglia?
LUCA LOTTI – MINISTRO DELLO SPORT 2016-2018 Non so di che cosa sta parlando
LORENZO VENDEMIALE Lei ha chiamato la Federazione golf..
LUCA LOTTI – MINISTRO DELLO SPORT 2016-2018 No, questo lo dice lei guardi
LORENZO VENDEMIALE No no, lo dice la Federazione golf. Non ha chiamato la Federazione golf?
LUCA LOTTI – MINISTRO DELLO SPORT 2016-2018 No, mi spiace
LORENZO VENDEMIALE No? LUCA LOTTI – MINISTRO DELLO SPORT 2016-2018 Mi dispiace, la deludo
LORENZO VENDEMIALE Quindi sta dicendo che non ha mai parlato del campo di Cavriglia con la Federazione… Buona giornata
LUCA LOTTI – MINISTRO DELLO SPORT 2016-2018 Grazie, anche a voi
LORENZO VENDEMIALE si può pensare che un intervento di un ex ministro possa essere poco opportuno
MARTA MAESTRONI – SEGRETARIO GENERALE FEDERAZIONE GOLF Assolutamente non ha inciso. Era il progetto che la Federazione ha ritenuto più interessante
LORENZO VENDEMIALE FUORI CAMPO Dall’altra parte dell’Appennino, però, c’è chi ci è rimasto male. Miglianico, in provincia di Chieti, è uno degli oltre 250 Comuni esclusi perché non avevano l’appoggio di una Federazione
FABIO ADEZIO – SINDACO MIGLIANICO (CH) Il bando aveva tendenzialmente tre regole: che la proprietà fosse pubblica, che ci fosse un favor per il Sud. E che fosse compatibile con i tempi del Pnrr.
LORENZO VENDEMIALE Voi non sapete perché è stato scelto quel campo piuttosto che il vostro?
FABIO ADEZIO – SINDACO MIGLIANICO (CH) Noi purtroppo non sappiamo nulla. siccome parliamo di soldi pubblici, magari scopriamo che il nostro progetto era carente in qualcosa, lo miglioriamo al prossimo giro, magari toccherà a noi.
LORENZO VENDEMIALE Essendo questo destinatario di un finanziamento statale, non lo so, immaginavo che ci fossero già delle attività in previsione…
MARTA MAESTRONI – SEGRETARIO GENERALE FEDERAZIONE GOLF No, no
LORENZO VENDEMIALE FUORI CAMPO Come per Firenze, a Cavriglia del Pnrr beneficeranno anche i privati. Lì vicino sorgerà un villaggio realizzato in diritto di superficie dal gruppo Human Company. Oltre 170 ettari, con attività di ogni tipo: nuoto, tennis, rugby, calcio. E golf, ovviamente. La società non c’entra nulla coi finanziamenti del Pnrr e con la gestione del campo, che però completerà il parco
LEONARDO DEGL’INNOCENTI – SINDACO DI CAVRIGLIA (AR) il Parco dello Sport, in prospettiva, ingloberà in qualche modo, tra virgolette, il campo da golf. Quindi il campo da golf sarà propedeutico ad attrarre turisti, possono essere ospitati in questa sorta di villaggio. Ma viceversa il gruppo privato si è assunto attraverso un bando la manutenzione del campo da golf
LORENZO VENDEMIALE ma secondo lei è giusto che un campo che costruiamo con soldi pubblici poi finisca di fatto all'interno del complesso di un'opera privata
LEONARDO DEGL’INNOCENTI – SINDACO DI CAVRIGLIA (AR) Allora, se noi abbiamo trovato un privato che trae benefici dall'ospitalità e una piccola parte la rilascia in una manutenzione che avrebbe dovuto fare un’amministrazione comunale, io credo che sia un'operazione strepitosa
LORENZO VENDEMIALE FUORI CAMPO (DA CAMBIARE) Strepitosa per chi, dipende dai punti di vista. Per una parte dei fondi del Pnrr l’ex governo Draghi ha chiesto alle Federazioni sportive di indicare un solo progetto da finanziare. In base a quali criteri hanno scelto? Cagliari è stata selezionata dalla FederTennis per lo splendido impianto di Monte Urpinu
LORENZO VENDEMIALE Cagliari con la Federazione tennis ha un rapporto di lunga data
PAOLO TRUZZU – SINDACO DI CAGLIARI sapete meglio di me che il presidente della Federazione ovviamente è un cittadino cagliaritano, e di questo siamo particolarmente orgogliosi
LORENZO VENDEMIALE FUORI CAMPO Grande capo del tennis italiano da oltre 20 anni, Angelo Binaghi non è solo originario di Cagliari: è anche socio onorario del circolo dove avverranno i lavori
ANGELO BINAGHI – PRESIDENTE FEDERAZIONE TENNIS E PADEL La vede quella foto là? Quello è Nicola Pietrangeli. Lo vede quel bambino là? Sono io che facevo il raccattapalle. 1968 Italia-Ungheria, primo incontro di Coppa Davis
LORENZO VENDEMIALE Qualche cortocircuito su questa scelta si può essere creato
ANGELO BINAGHI – PRESIDENTE FEDERAZIONE TENNIS E PADEL Cosa avrebbe voluto che potesse succedere? Che una città di un'isola non potesse partecipare a questo bando, perché io sono un loro cittadino?
LORENZO VENDEMIALE FUORI CAMPO Binaghi non ha partecipato al voto che lo riguardava. Gli atti sono stati pubblicati, solo su nostra richiesta, un anno dopo la gara
LORENZO VENDEMIALE perché Cagliari era la migliore?
ANGELO BINAGHI – PRESIDENTE FEDERAZIONE TENNIS E PADEL è evidente dalla struttura del nostro bilancio che l'interesse è un interesse relativo alle grandi manifestazioni agonistiche
LORENZO VENDEMIALE Il bando non dice scegliete l'impianto che vi faccia fare più soldi. Al fine di favorire l'inclusione e l'integrazione sociale, questo è lo spirito del bando
ANGELO BINAGHI – PRESIDENTE FEDERAZIONE TENNIS E PADEL Bellissimo. Credo che tutte le federazioni l'abbiano compreso, questi erano soldi destinati a creare un polo di eccellenza
LORENZO VENDEMIALE Che voi avete ritenuto di fare a Cagliari.
ANGELO BINAGHI – PRESIDENTE FEDERAZIONE TENNIS E PADEL Non era l'impianto più adatto. Quando lei leggerà, vedrà che era l'unico impianto
LORENZO VENDEMIALE FUORI CAMPO Anche qui l’impianto è comunale, ma gestito dal Tennis Club Cagliari. Infatti il circolo è diviso a metà: ci sono i campi più belli, in terra battuta, riservati ai soci. E poi quelli aperti ai cittadini, non proprio dello stesso livello…
ANGELO BINAGHI – PRESIDENTE FEDERAZIONE TENNIS E PADEL parte dell'intervento che va finanziato col Pnrr va proprio a rifare quei due campi e addirittura a coprirli. Succederà che quando lei tornerà questa volta a giocare con me, e vinco io, potrà parcheggiare.
LORENZO VENDEMIALE FUORI CAMPO A Modica, città del barocco siciliano, del cioccolato e del fioretto, verrà rifatto il Palazzetto della scherma. Proprio qui ha sede una rinomata scuola fondata dal maestro Giorgio Scarso, storico n.1 della scherma italiana, presidente onorario della Federazione. Grazie al Pnrr, questo capannone isolato nel cuore della Sicilia adesso dovrebbe diventare un centro all’avanguardia
LORENZO VENDEMIALE tre milioni di euro comunque sono tanti soldi
GIORGIO SCARSO – PRESIDENTE ONORARIO FEDERAZIONE SCHERMA Bè, sicuramente è una cifra importante
GIORGIO SCARSO – PRESIDENTE ONORARIO FEDERAZIONE SCHERMA La Federazione ha fatto un esame. Cinque, sei progetti che meritavano di essere finanziati. Dopodiché hanno adottato un sistema, direi, non dico di estrazione
LORENZO VENDEMIALE C'è stata, una specie di sorteggio
GIORGIO SCARSO – PRESIDENTE ONORARIO FEDERAZIONE SCHERMA Una specie di sorteggio che ha consentito…
LORENZO VENDEMIALE ed è uscita Modica
GIORGIO SCARSO – PRESIDENTE ONORARIO FEDERAZIONE SCHERMA è uscita Modica, sì
LORENZO VENDEMIALE FUORI CAMPO L’elenco delle coincidenze continua. La Federazione squash ha indicato Cosenza, di cui è originaria la presidente Antonella Granata. Il taekwondo ha scelto San Vito dei Normanni, piccola cittadina pugliese da cui viene il n.1, Angelo Cito
LORENZO VENDEMIALE non c'erano regole precise, non c'era probabilmente nemmeno programmazione. Ma il bando poteva essere fatto meglio?
ANDREA ABODI - MINISTRO DELLO SPORT non conoscendo dall'interno le circostanze che hanno portato a quel bando, lo prendo per come è. Faremo tesoro dell'esperienza. perché quello che è successo, anche nelle interpretazioni che non condividiamo, non si ripeta
SIGFRIDO RANUCCI IN STUDIO I buoi ormai sono andati. Per assegnare i progetti hanno aperto qualche volta una procedura interna, qualcuno ha mandato un messaggino al sindaco amico, qualcuno è ricorso al sorteggio. In alcuni casi non hanno neppure rispettato la scadenza naturale del bando, lo hanno assegnato prima: se qualcuno avesse presentato domanda dopo, chissà cosa sarebbe successo. Comunque la coincidenza vuole che i progetti finanziati sono andati a finire nelle città dei presidenti delle Federazioni. Non c’erano regole, non c’erano graduatorie, non hanno pubblicato nulla di nulla. L’impiantistica sportiva nazionale pubblica rimane la vera emergenza: una scuola su tre non ha ancora una vera palestra e i 300 milioni destinati del Pnrr agli interventi soddisferanno solo 444 richieste su 3mila. Per il resto bisognerà aspettare forse la prossima pandemia
Pnrr, "fondi europei per finanziare le partite a briscola": l'ultimo scandalo. Francesco Storace su Libero Quotidiano il 06 aprile 2023
Speriamo che l’Europa non richieda i rendiconti al dettaglio. Che rischiamo con questo Pnrr di farci davvero male se si comincia così. Tra le spese per cui magari ci indebiteremo con l’Unione europea anche i “giri di briscola” nel modenese, 220mila euro spesi così. Se poi alle ricevute alleghiamo anche le fotografie degli astanti, magari con un bel fiasco di vino a tavola e facce arrabbiate (di chi perde), immaginatevi che cosa potrà dire dei “soliti italiani” Ursula Von der Leyen.
Perché tra le eredità lasciate dai tecnici di Mario Draghi c’è anche roba del genere ed è quindi ovvio che nella maggioranza di governo attuale non ci sia la disponibilità a nascondere tutto sotto il tappeto. L’altra sera da Floris su La7 ne ha accennato anche, con l’indignazione del caso, il giornalista Fabio Dragoni. Noi siamo andati a cercare le carte e c’è da rimanere strabiliati (e di casi del genere ce ne sono molti altri che documenteremo non appena
Il finanziamento in questione riguarda l’unione dei comuni del distretto ceramico in provincia di Modena, in Emilia Romagna. C’è tanto di delibera, la numero 59 del 5 settembre 2022, con oggetto: Pnrr missione 5 Inclusione e coesione, componente 3 interventi speciali perla coesione territoriale, investimento 1 strategia nazionale per le aree interne. Linea di interventi 1.1.1. potenziamento dei servizi e delle infrastrutture sociali e di comunità: progetto “un giro di briscola – attività itineranti di socializzazione rivolte agli anziani del territorio montano.
Capito? I soldi dell’Europa li giochiamo a briscola. In un triennio oltre duecentomila euro attraverso varie voci di spesa che vanno dalle attività di socializzazione al trasporto degli anziani, dal rimborso delle spese materiali per attività e quelle per i locali, eccetera eccetera. Ci compreranno anche le carte piacentine o le napoletane? E i locali si rinnovano per questo? Sembra davvero una presa in giro.
Spese che rientrano semmai nei finanziamenti ordinari degli enti locali e di quelli comprensoriali o regionali che vanno invece a gravare sul Pnrr. E tutto questo pare normale a chi non vuole che si turbi l’equilibrio dei giganti che stazionano a Bruxelles. Il progetto ha come finalità – dice la scheda tecnica – il contrasto della “solitudine della popolazione anziana” con tantissime belle parole sulle modalità che si intendono seguire per sollevare la vita della terza età in montagna. E viene spontaneo chiedersi: senza il Pnrr quei soldi non si troverebbero nelle casse dei comuni o della regione Emilia Romagna? Solo con i fondi europei si trova qualche centinaio di migliaia di euro – in un triennio! – per offrire una sala e svariati mazzi di carte a quegli anziani? È uno dei tanti progetti che stiamo spulciando. Il fatto che sia stato finanziato dà l’idea di che razza di corsa abbiano intrapreso Draghi e i suoi tecnici per dire missione compiuta. Ma così non ci vuole molto, allora.
Pnrr, l’inganno degli alberi da piantare: interrati solo i semi. Milena Gabanelli e Gianni Santucci su Il Corriere della Sera il 6 Aprile 2023
L’Europa ci finanzia (tanto: 330 milioni) per piantare nuovi alberi intorno alle città (tantissimi: 6 milioni e 600 mila piante). L’Italia però, per ora, sta mettendo in terra soltanto dei semi. Secondo il collegio di controllo concomitante della Corte dei conti, l’equiparazione non sta in piedi. I carabinieri, incaricati delle verifiche, sostengono la stessa tesi: non possono «collaudare» progetti di forestazione urbana senza vedere gli alberi. E così, se l’equivalenza albero-seme ipotizzata dal Ministero dell’ambiente non verrà accettata dalla Commissione europea, l’Italia rischia di disperdere la possibilità offerta dal Piano nazionale di ripresa e resilienza: creare nuovi boschi intorno alle 14 Città metropolitane per combattere l’inquinamento (abbiamo tre procedure di infrazione aperte) e contrastare l’effetto «isola di calore» in estate.
I requisiti del bando
Il documento da cui partire è l’avviso pubblico per aderire ai bandi del Pnrr. Risale al 30 marzo 2022. Il piano riservato alle Città è articolato in 3 anni: 74 milioni nel 2022, per piantare almeno un milione e 650 mila alberi entro l’anno, ovvero 1.700 ettari di boschi. Stesse risorse, per lo stesso numero di alberi, nel 2023. La parte restante, nel 2024. Dalla primavera 2022 dunque, le Città iniziano a individuare le aree per i nuovi boschi (zone dismesse, abbandonate, ex cave) e i vivai pronti a piantare gli alberi. Il tempo non è molto. E c’è un problema, già segnalato da fine 2021: il rischio di non trovare, in meno di un anno, 1,65 milioni di alberi da «mettere a dimora». La siccità amplifica i problemi. Le difficoltà sono oggettive.
Pochi alberi e molti semi
La soluzione arriva il 18 maggio 2022. Il Ministero dell’ambiente pubblica un chiarimento per le Città metropolitane nel quale spiega che, per raggiungere l’obiettivo del 2022, prevede «l’uso di semi finalizzati al rimboschimento». E nei mesi successivi firma una convenzione con l’azienda vivaistica della Regione Umbria, Umbraflor: diventerà un macro serbatoio di semina, al quale tutte le Città potranno attingere. Sulla carta, tutto procede al meglio. Il Ministero infatti a fine anno riceve l’aggiornamento lavori dalle Città e conclude: «Entro il 31 dicembre 2022, l’obiettivo è stato conseguito con la messa a dimora di 2.025.170 semi e piantine, di cui 1.504.796 direttamente dalle Città metropolitane e 520.374 in adesione alla convenzione Umbraflor». Target non solo raggiunto, ma ampiamente superato. A questo punto, però, bisogna rispondere a due domande. La prima: la gran massa degli alberi, e cioè il milione e 650 mila che da fine 2022 dovrebbero già costituire i giovani nuovi boschi, almeno in parte li stiamo piantando o no? E l’interrogativo collegato: la Commissione europea accetterà l’equiparazione tra semi (che diventeranno piantine, che poi andranno spostate e trapiantate) e alberi già piantati? Ad oggi non si è ancora espressa. Ma andiamo con ordine.
Le verifiche
Nella seconda metà del 2022, il Collegio di controllo della Corte dei conti (che ne ha il compito istituzionale) inizia a verificare come procedono i lavori. E incarica i comandi provinciali dei carabinieri di fare accertamenti. Questi sono i risultati: nella maggior parte dei casi, spiegano i militari a fine 2022, le Città metropolitane sono ancora in «fase di progettazione.
Catania: «Non è stata messa a dimora alcuna essenza forestale». Messina: «Si presume che per la data del 10 dicembre 2022 non verranno messe a dimora piantine (444 mila, ndr)». Palermo: «Lavori sospesi». Bologna: «Le operazioni di messa a dimora sono state effettuate per complessive 1.100 piante». Genova: «Da un primo controllo delle ditte che hanno partecipato al bando... sono stati riscontrati già casi di denunce per turbativa d’asta o truffe nella percezione di pubbliche erogazioni». In conclusione: numero di nuovi alberi intorno alle città quasi nullo (comunque neppure stimabile). Al contrario, nei vivai sono stati interrati moltissimi semi.
I semi non sono alberi
I carabinieri si chiedono: «Cosa controlliamo?» E si arriva così all’equivalenza semi/alberi. Sarà valida? La Corte dei conti è scettica: secondo i magistrati, «emergono dubbi e perplessità sulla effettiva proponibilità di una tale equiparazione» (relazione del 14 marzo 2023). Anche perché «a tutt’oggi la Commissione europea non si è ancora espressa sulla correttezza dell’interpretazione» del Ministero. Il tema ha anche un’implicazione giuridica. Nella relazione del 29 novembre 2022, i carabinieri del Lazio spiegano: «La semina in vivaio non può essere assimilata alla forestazione urbana e, pertanto, neanche essere oggetto di collaudo ai fini del raggiungimento degli obbiettivi del Pnrr». La semina è «un’attività extra progettuale», quindi non è finanziabile; mentre «la forestazione urbana racchiude l’insieme degli interventi sul sito finale e si conclude con l’attestazione della regolare e corretta esecuzione dei lavori». In una formula più semplice: si può verificare se un progetto sia realizzato o no; ma dato che oggi i nuovi boschi non esistono, non si può certificare di fronte alla Commissione europea che in futuro (forse) quei boschi spunteranno. Sarebbe una sorta di mostro giuridico. La forza con cui la Corte dei conti appoggia questa posizione sta tutta in un avverbio: «Il Collegio condivide convintamente tali valutazioni, tecnicamente motivate». Conseguenza: se «la Commissione europea non dovesse considerare equivalente la semina in vivaio con la messa a dimora degli alberi, il target 2022 non sarà stato raggiunto».
Vecchi progetti
Una piccola parte dei fondi (fino a 30 milioni) prevede di finanziare anche «progetti già in essere». In pratica, se una Città ha un progetto approvato, o già partito, che corrisponde ai criteri del bando, può farlo rientrare sotto l’«ombrello» del Pnrr. A fine del 2021, il Ministero ne accoglie 34. Passano i mesi. E a fine 2022, sempre i carabinieri, verificano anche come stanno andando. Questo è l’esito dei verbali. Partiamo da Genova: «Le aree oggetto di riforestazione sono prevalentemente già boscate»; «Non è stata riscontrata la messa a dimora delle 868 piante dichiarate; quasi tutte si sono seccate».
Torino: «Numero elevato di piante morte, in alcuni casi anche il 100 per cento». Reggio Calabria: «L’area versa in stato di abbandono con gli alberi soffocati da piante infestanti». Nel complesso, i carabinieri «riscontrano significativi ritardi di esecuzione».
Il caso Milano
In questo quadro, il caso Milano è emblematico. La Commissione chiede che siano piantate solo specie autoctone, e che le aree minime per i nuovi boschi siano di almeno un ettaro. La Città metropolitana lombarda non ha aderito al bando perché questi spazi non ci sono. Il suolo è troppo sfruttato dal cemento, e dove c’è del verde è occupato da aree agricole. Col paradosso che, dove ce ne sarebbe più bisogno, la riforestazione del Pnrr non è possibile. In realtà, fra il 2018/2019 Città metropolitana, Comune, Regione e Fondazioni si sono messi insieme e hanno dato vita al progetto Forestami (un caso di studio a livello europeo che nulla ha a che fare con il Pnrr).
Le considerazioni del presidente del comitato scientifico, Stefano Boeri, indicano due aspetti decisivi: «Forestami in questi anni ha sempre piantato alberi, non semi...». E soprattutto: «Stiamo cercando di far cambiare i criteri con cui si finanzieranno le aree da forestare nel prossimo bando. Ora si insiste nel chiedere una dimensione minima di un ettaro, senza capire che la vera sfida è quella di piantare alberi ovunque sia utile e possibile, anche lungo i viali, nei cortili, nelle piazze». Seguendo questa logica in poco più di tre anni a Milano sono stati piantati 427 mila alberi.
La verità sul Pnrr e sui ritardi dell'Italia. La proroga all'Italia sulla terza tranche del Pnr "non è un fatto eccezionale", sottolinea il commissario Ue Gentiloni, assicurando flessibilità. Ecco quali altri Paesi hanno fatti i conti coi ritardi. Marco Leardi l’1 Aprile 2023 su Il Giornale.
Non c'è solo l'Italia. Ci sono state anche Austria, Danimarca, Spagna, Romania e Slovenia. Allargare l'orizzonte aiuta a comprendere e parametrare meglio lo stato dell'arte europeo (e dunque italiano) sul Recovery plan. La proroga di altri 30 giorni concessa dalla Commissione Ue al nostro Paese per valutare il raggiungimento di tre target del Pnrr (su 55) fissati per il 31 dicembre 2022, non è infatti un'eccezione nell'eurozona. E questo, di per sé, aiuta a spegnere certe speculazioni eccessive sull'argomento. "Ricordo che una decisione analoga è stata già presa per 7-8 paesi. Non credo che il senso di queste verifiche debba essere troppo esagerato", aveva osservato nelle scorse ore il commissario Ue agli affari economici, Paolo Gentiloni, di fatto spegnendo certi allarmismi polemici sorti in Italia anche e soprattutto in area dem.
Pnrr, le proroghe Ue agli altri Paesi
"Il punto è che la sfida per attuare un piano di queste dimensioni, ricordiamo che in Italia si tratta di un progetto da 191 miliardi ai quali si aggiungono ulteriori fondi, è una sfida molto seria", aveva aggiunto l'ex premier, sottolineando l'oculatezza richiesta anche al nostro Paese per centrare gli obiettivi previsti e ottenere i fondi europei. In questo senso, la proroga concessaci dall'Ue è da considerarsi "non inusuale", per utilizzare l'espressione da manuale di burocratese adottata dal portavoce della Commissione, Veerle Nyts, in merito al rinvio alla tranche di fondi per l'Italia da 19 miliardi. Analoghe proroghe hanno riguardato Paesi come l'Austria, la Danimarca, la Spagna e la Slovenia. La Romania aveva chiesto di "congelare" le verifiche europee di sette mesi. La Lituania, diversamente, non avendo completato tutti gli obiettivi previsti entro la prima rata, si era vista sforbiciare i fondi di un quinto.
Gentiloni: "Ritardo non è un fatto eccezionale"
Attualmente, ha ribadito Gentiloni stamani intervenendo al forum Ambrosetti a Cernobbio, "stiamo discutendo l'erogazione della richiesta a fine dicembre e il fatto che su questa richiesta ci sia qualche settimana di ritardo non è un fatto eccezionale, nel senso che credo che sia avvenuto per 6-7 paesi che, concordemente con la commissione, essendoci alcuni obiettivi da verificare più nel dettaglio, hanno accettato di prendersi 1-2 mesi in più". L'ex premier ha aggiunto che è stata approvata la revisione di piani per tre paesi, Lussemburgo Germania e Finlandia, ma "si trattava di piani in relazione all’economia di questi paesi meno importanti di quanto possa essere il piano dell’Italia, Spagna, Romania e Portogallo: Paesi in cui il piano è molto importante".
Recovery Plan, a che punto è l'Italia
Pertanto - ha aggiunto Gentiloni - "c'è un margine certamente" di revisione. Va altresì ricordato che il nostro Paese non è affatto messo male sul fronte delle sovvenzioni sinora erogate. Su 191 miliardi di euro chiesti, l'Italia ha già incassato 66,9 miliardi di euro, ovvero il 34,9% del totale. Solo Spagna (44,7%) e Grecia (36,4%) hanno finora ottenuto una fetta più grande del loro Pnrr. Al terzo posto segue per l'appunto il nostro Paese. "Quando arriveranno le proposte di emendamento da parte italiana la Commissione è pronta ad esaminarle con il massimo di collaborazione e di flessibilità", ha assicurato Gentiloni a Cernobbio.
Parole destinate a ridimensionare alcune polemiche sorte negli ultimi giorni e rivolte dalla sinistra al governo, sebbene i rilievi in corso siano su interventi adottati con Draghi premier.
Pnrr, l'eredità pesante del governo Draghi. Panorama il 31 Marzo 2023
Negli ultimi giorni il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) è stato messo sotto la lente di ingrandimento e il governo di Giorgia Meloni accusato dall’opposizione di essere troppo in ritardo, rispetto ai tempi dettati dall’Ue. Alcuni membri dell’Esecutivo, da parte loro, hanno invece puntato il dito contro il governo Draghi accusandolo di aver mal programmato la gestione del Pnrr e di aver collocato i soldi in progetti che non saranno mai pronti entro il 2026. Chi ha ragione? Per rispondere a questa domanda si devono guardare i numeri e i vari documenti pubblicati dal governo Draghi e dall’allora ministro dell’Economia, Daniele Franco. Partiamo con l’analizzare gli ultimi due documenti pubblicati ovvero la Nadef (nota di aggiornamento al Def) e la Relazione sullo stato di attuazione del Pnrr del 5 ottobre 2022. Dalla prima emerge come si sia attuata una significativa riduzione delle risorse, derivanti dal Pnrr, usate nel corso dell’anno. Queste sono infatti passate dall’essere pari a 33 miliardi (stima fatta nel Def 2022) a solo 20,5 miliardi (dato aggiornato Nadef). Si tratta dunque di una minore spesa di circa 13 miliardi di euro. Franco nel documento precisava inoltre come la riduzione fatta per il 2022 sarebbe stata compensata negli anni finali del Piano: “Sebbene la proiezione di spesa (relativa al Pnrr, ndr) per il 2023 venga anch’essa lievemente rivista al ribasso (mentre salgono quelle per il 2025- 2026)”. Quindi, i dati pubblicati sulla Nadef certificano come nel 2021 la spesa dei fondi legati al Pnrr è stata di 5,5 miliardi, nel 2022 di 15 miliardi e nel 2023 dovrebbe salire vertiginosamente a ben 40,9 miliardi. Cioè più del doppio, rispetto agli anni passati. “L’ammontare di risorse effettivamente spese per i progetti del Pnrr nel corso di quest’anno (2022, ndr) sarà inferiore alle proiezioni presentate nel Def per il ritardato di avvio di alcuni progetti che riflette, oltre ai tempi di adattamento alle innovative procedure del Pnrr, gli effetti dell’impennata dei costi delle opere pubbliche”, scriveva Franco. Altro punto interessante, che si trova all’interno della “Relazione sullo stato di attuazione del Pnrr” riguarda i progetti sui quali sono stati fatti gli investimenti. Viene infatti certificato come 11,7 miliardi di euro sono imputabili a “progetti in essere” che sono tutte quelle disposizioni antecedenti al Pnrr che poi successivamente sono state fagocitate nel programma. Si tratta dunque di misure che si trovano “in una fase attuativa più matura”, si legge dal documento. Di quali parliamo? “degli investimenti relativi alla realizzazione di opere e infrastrutture (come gli interventi connessi al potenziamento dei collegamenti ferroviari), gli investimenti legati all’ecobonus e al sisma-bonus e quelli finalizzati a sostenere la trasformazione tecnologica delle imprese (come le misure legate al Piano Transizione 4.0)”. Ovviamente, precisa il testo, “a partire dal 2023, si prevede invece un sostanziale incremento delle spese legate a nuovi interventi". Ma andiamo avanti e analizziamo goal conseguiti dal governo Draghi. Entro il 31 dicembre 2021 il Pnrr richiedeva il raggiungimento di 51 risultati (49 erano traguardi e 2 gli obiettivi) dei quali 27 riferibili a riforme e 24 ad investimenti. Obiettivo centrato. Al 30 giugno 2022 si richiedeva, per l’ottenimento del pagamento della seconda rata da parte dell’Ue, di raggiungere 44 traguardi e 1 obiettivo, relativo relativo alle assunzioni di personale nei tribunali amministrativi. Anche in questo caso quanto richiesto è stata fatto, e infatti abbiamo ottenuti i soldi della seconda tranche di finanziamenti. E dunque, tra il 2021 e il 2022 il governo Draghi ha realizzato 93 traguardi e solo 3 obiettivi (nel 2023 si dovranno invece raggiungere 43 traguardi e ben 53 obiettivi). L’aspetto interessante è “scoprire” che i traguardi altro non sono che risultati qualitativi (es: riforme, norme), mentre gli obiettivi sono i risultati quantitativi e concreti oggettivamente misurabili nell’ambito dell’attuazione di un determinato intervento. Quindi, sì, è vero che Draghi ha rispettato i termini del Pnrr ma grazie al fatto che la prima parte del cronoprogramma prevedeva principalmente l’approvazione di norme e l’avvio di bandi. Eredità, quella lasciata, non poi così brillante come ci si poteva aspettare.
Pnrr, le regole su proroghe e ritardi nell'attuazione dei progetti. Cristina Colli su Panorama il 31 Marzo 2023
Il piano italiano all'esame di Bruxelles tra difficoltà e polemiche. Ecco come viene giudicato l'avanzamento e la coerenza dei documenti presentati da Roma
Pnrr, le regole su proroghe e ritardi nell'attuazione dei progetti
Due le certezze: sul Pnrr l’Italia è in ritardo, ma l’Europa ci ha dato altri 30 giorni di tempo per mettere in salvo la tranche da 19 miliardi (terza rata semestrale per gli obiettivi del secondo semestre 2022). Complessivamente gli investimenti previsti dal PNRR e dal Fondo complementare (approvato dal governo italiano) sono 222,1 miliardi di euro tra sovvenzioni a fondo perduto e prestiti ultra agevolati. I fondi del Pnrr (191,5 miliardi di euro) sono ripartiti in sei missioni: digitalizzazione, innovazione, competitività e cultura (40,32 miliardi); rivoluzione verde e transizione ecologica (59,47 miliardi); infrastrutture per una mobilità sostenibile (25,40 miliardi); istruzione e ricerca (30,88 miliardi); inclusione e coesione (19,81 miliardi); salute (15,63 miliardi). La data di scadenza del piano di ripresa (quindi dei circa 200 miliardi di euro) è il 2026. I fondi arrivano e arriveranno in tranche. Ora siamo in attesa della terza rata semestrale da 19 miliardi. La Commissione europea valuta lo stato di avanzamento dei lavori prima di sbloccare i fondi, volta per volta. Ora sono 55 gli obiettivi da esaminare per avere la terza tranche dei fondi. E ci sono perplessità da parte della Commissione Europea. Nei giorni scorsi lo stesso governo italiano ha ammesso i ritardi e iniziato un negoziato con la Commissione, per rimodulare alcuni progetti.
Roma ha chiesto più tempo e sono stati concessi 30 giorni (fine aprile) per l’esame degli obiettivi che portano allo sblocco dei 19 miliardi. Una richiesta non allarmante e non grave secondo il commissario europeo all’Economia Paolo Gentiloni: “Decisione analoga è stata presa per altri 7-8 Paesi, non credo che il senso di queste verifiche debba essere troppo esagerato”. Non è un’anomalia la proroga, secondo la Commissione che aggiunge: “non pregiudica in alcun modo l’esito della richiesta italiana. È abbastanza usuale che avvenga”. Pare non si esclude neanche che all’Italia, a fine aprile, possa essere concessa un’ulteriore proroga. Il governo italiano infatti ha ormai scelto di dire in modo ufficiale (per voce del ministro degli Affari europei Raffaele Fitto), che il 2026 non è un obiettivo temporale realistico: “Se noi oggi capiamo che alcuni interventi da qui al 30 giugno 2026 non possono essere realizzati, ed è matematico, è scientifico che sia così, dobbiamo dirlo con chiarezza e non aspettare il 2025 per aprire il dibattito su di chi sia la colpa”, ha detto Fitto. Perché siamo in ritardo? Come è possibile non riuscire a usare i fondi? Il motivo, storico per l’Italia, è che sono gli stessi problemi che i fondi del Pnrr dovrebbe aiutare a risolvere che ostacolano l’attuazione dei lavori e l’uso quindi degli stanziamenti. Cioè: burocrazia, deficit di infrastrutture e mancanza di personale tecnico. La Corte dei Conti ha spiegato questa settimana che a fine 2022 l’Italia ha speso solo il 6% dei fondi. La Commissione europea ha sollevato obiezioni su tre punti per dare il via libera alla terza tranche: le concessioni portuali, le reti di teleriscaldamento e i Piani urbani integrati (riferimenti agli stadi di Firenze e Venezia). E poi ci sono i 27 obiettivi del primo semestre 2023 che vedono l’Italia in grande ritardo per riforme troppo lente in tema di giustizia e concorrenza. E da qui la proroga di 30 giorni concessa all’Italia e i segnali di negoziato tra Roma e Bruxelles. Ma quale può essere il prossimo passo per salvaguardare i fondi all’Italia? Il ministro Fitto ha parlato di una “rimodulazione” necessaria di pezzi del Piano. La soluzione che sembra chiedere il governo è “un coordinamento” tra Pnrr e Fondo di Coesione. La strada è di concordare con l’Unione Europea quali siano le opere che non possono essere realizzate nei tempi (2026) e, per non perdere i fondi, trasferirli nel Fondo di Coesione che scade nel 2029. Rimodulare i progetti o ottenere una proroga di uno o due anni (ipotesi non presa in considerazione dall’Ue). Le strade sono queste, al momento.
Scaricabarile sovranista. La destra annaspa nella sua incompetenza e dà le colpe al governo Draghi. Amedeo La Mattina su L’Inkiesta il 31 Marzo 2023
Le difficoltà a convincere Bruxelles sul Pnrr italiano mettono all’angolo l’esecutivo, che anziché essere trasparente e onesto (con gli elettori, con l’Ue, con sé stesso) preferisce buttarla in caciara e dire che i problemi di oggi sono un’eredità del passato
Il ministro Raffaele Fitto lamenta di avere ereditato da Mario Draghi un insieme di progetti difficili da realizzare e che i ritardi non possono essere imputati al governo Meloni. Insomma, non sarebbe colpa di questo centrodestra al potere se Bruxelles non sgancia la seconda rata di diciannove miliardi del 2022. Ora Palazzo Chigi ha ottenuto un mese di tempo per alleggerire il Recovery Plan e dire come intende procedere. Vedremo che coniglio bianco o nero tireranno fuori dal cilindro.
È però fin d’ora chiaro che i nuovi sovranisti annaspano, scaricano su chi ha governato prima di loro le proprie responsabilità. Domanda: in questi sei mesi in cui hanno avuto le redini del Paese in mano cosa hanno fatto? Il criticato Draghi ci mise un mese per riformulare il Pnrr scritto da Giuseppe Conte con i piedi. È vero che poi è successo di tutto, dall’aumento dei prezzi e dei costi che ha inciso sulla fattibilità dei progetti. Ma sono mesi che la realtà è sotto gli occhi di tutti e non è stato fatto nulla.
Anzi una cosa è stata fatta: si è pensato bene di trasferire la cabina di regia dal ministero dell’Economia a Palazzo Chigi. Idea giusta in via teorica, se non fosse che i tempi si sono allungati. E continuano ad allungarsi, visto che il decreto per mettere in moto questo trasferimento si è arenato in commissione Bilancio del Senato. Il motivo è che la maggioranza in Parlamento sta aspettando da settimane il parere del governo sugli emendamenti presentati. La colpa dei ritardi è del governo Draghi, quello che era sostenuto anche da Lega e Forza Italia? Che ci stavano a fare i leghisti e i forzisti nelle stanze del potere? Riscaldavano le poltrone?
Ora si aspetta che questo benedetto decreto venga convertito in legge per concentrare a Palazzo Chigi settanta funzionari e verticalizzare le procedure. Sempre che questi funzionari e altri assunti sappiamo sbloccare la farraginosa macchina amministrativa che si incaglia spesso e volentieri verso il basso nei Comuni. E sappiano avere un’interlocuzione, magari in inglese, verso l’alto con Bruxelles per evitare, come ha notato Federico Fubini sul Corsera, che Fitto continui a trattare direttamente con la direttrice generale del Recovery, Cèline Gauer. Ottima alta funzionaria europea, ma è come – giustamente viene fatto osservare da Fubini – se un commissario europeo venisse a Roma per discutere con «uno sconosciuto direttore generale di un ministero».
Quasi sei mesi di governo, decine di riunioni della cabina di regia e ancora non sappiamo se il nostro Paese potrà utilizzare da qui al 2026 la montagna di miliardi che sono stati promessi a un Paese in un momento unico. Per una contingenza miracolosa, i Paesi europei sono stati clementi con noi. Il Nord Europa delle formiche ha avuto un inusuale sussulto di solidarietà con le cicale mediterranee. Così nel 2021 venne approvato il Recovery Plan per rilanciare la nostra economia dopo la pandemia da Covid, con l’obiettivo di una svolta verde e digitale. Se adesso non saremo in grado di fare la nostra parte, indipendentemente dalle motivazioni, saremo giudicati come i soliti artisti della lagna.
È anche vero che una buona dose di questa incapacità a spendere è una tara antica (centinaia di miliardi di vecchi piani europei di sviluppo sono fermi nelle casse del Tesoro). Mancanza di personale, soprattutto di livello, fattori strutturali e burocratici che la nostra Pubblica Amministrazione non riesce mai a superare. Per esempio, quanti ministeri hanno comunicato a Palazzo Chigi l’esatto numero di bandi lanciati dagli enti locali relativi alle loro competenze?
Quello che si chiede al governo è di dire la verità sullo stato dell’arte, di essere trasparenti, non scaricare sul precedente esecutivo. Sarebbe un modo per chiedere una mano all’opposizione, ascoltare le loro proposte, non arroccarsi come sta facendo adesso, chiedendo e ottenendo un rinvio di un mese per poi magari chiederne un altro.
Prendere tempo e arroccarsi per rinviare la ratifica del Mes e per giustificare il cedimento alle lobby elettorali che trovano grande soddisfazione nel disegno di legge sulla concorrenza: non vengono messe in gara le concessioni balneari (tutto rinviato di un anno); salvi ancora una volta i tassisti che non vogliono aprire a nuove licenze e alle nuove app Uber; niente liberalizzazione dei saldi perché i commercianti non vogliono.
Tanti fronti aperti con l’Europa. La pratica sui migranti non è stata chiusa. Quella sui biocarburanti invece sì, ma a vantaggio dell’e-fuel della Germania. Ora veniamo redarguiti per il divieto sulla trascrizione dei figli delle coppie omosessuali. Tutte questioni rilevanti, ma mai quanto il pasticciaccio del Pnrr. Il commissario Paolo Gentiloni sta facendo di tutto per aiutarci, per accompagnare Fitto sulla strada delle soluzioni praticabili. Sempre che a Roma abbiano chiaro in testa cosa fare, come alleggerire il Piano: quali i progetti da travasare nel RePowerUe per la transizione energetica e nella programmazione ordinaria dei fondi destinati al nostro Sud per allungare i tempi di scadenza al 2029.
Tutti gli italiani devono augurarsi che il governo riesca a spendere le risorse europee, facendo crescere il nostro Pil e l’occupazione. Tifare contro è autoflagellazione. Il colore del governo non c’entra nulla. Tuttavia, Giorgia Meloni e i suoi ministri dovrebbero evitare di infastidire Draghi e lo stesso capo dello Stato, che pochi giorni fa ha sollecitato i governanti a mettersi “alla stanga”. E non fare la lagna per nascondere di non saper fare.
Pnrr, rete dei sindaci del Sud: «Fondi non spesi? Ci viene da piangere». «Non siamo mai stati ascoltati» rimproverano i sindaci divulgando una nota. REDAZIONE ONLINE su La Gazzetta del Mezzogiorno il 29 Marzo 2023
«Noi sindaci del Sud non siamo stati ascoltati. Quando due anni fa vi abbiamo detto di rafforzare il personale dei Comuni in vista del Pnrr, non siamo stati ascoltati. Quando vi abbiamo detto di far scorrere le graduatorie del Pnrr, per finanziare i progetti che con grande fatica e investimento di risorse avevamo già predisposto, non siamo stati ascoltati».
E’ quanto dichiara in una nota il sindaco di Acquaviva delle Fonti (Bari), Davide Carlucci, coordinatore della rete 'Recovery Sud’ alla quale hanno aderito centinaia di sindaci del Mezzogiorno d’Italia, in riferimento ai possibili ritardi sull'attuazione dei progetti legati al Piano nazionale di ripresa e resilienza.
«Quando a settembre e a novembre 2022 siamo andati a Bruxelles, presentando una petizione con l’europarlamentare Piernicola Pedicini in cui chiedevamo esattamente questo, non siamo stati ascoltati. Quando abbiamo chiesto di essere ricevuti dal ministro del Sud Raffaele Fitto, siamo stati chiamati ma poi non ci ha più ricevuti».
«Ora che leggiamo - afferma Carlucci - da una relazione della Corte dei conti che solo il 6% dei fondi del Pnrr sono stati spesi e che lo stesso ministro getta la spugna ammettendo che molti progetti sono irrealizzabili, non sappiamo se ridere o se piangere. E’ l’ennesima occasione persa per i nostri territori».
«Avremmo preferito - conclude - ottenere i fondi per realizzare centri di ricerca, campi sportivi, centri di distribuzione di idrogeno, nuove aree produttive e tutto ciò che può servire a evitare o ridurre l’emorragia di giovani dal Sud al Nord. E invece anche questa volta il treno è passato senza che i territori meridionali ci potessero salire».
Firenze, nel mirino dell’Ue la ristrutturazione dello stadio Franchi con i soldi del Pnrr: finanziamento poco coerente con la missione? Lorenzo Vendemiale su Il Fatto Quotidiano il 28 Marzo 2023
Che ristrutturare con i soldi del Pnrr uno stadio di calcio – uno solo in tutta Italia fra le grandi città, quasi 200 milioni di investimento – fosse un’idea bizzarra, era evidente da tempo. Adesso se ne sono accorti pure in Europa: la ristrutturazione dell’Artemio Franchi di Firenze finisce nel mirino della Commissione Ue, che l’ha inserita fra i principali rilievi all’Italia sull’attuazione del Piano. E rischia diventare un grosso problema, sia per il Comune, che per il governo. Quella del Franchi è una storia tipicamente italiana, che si fa più grottesca di capitolo in capitolo: un impianto vecchio (risale agli Anni Trenta), abbastanza malmesso, certamente storico ma senza particolare attrattiva, il cui restauro diventa un caso nazionale. La Fiorentina di Rocco Commisso sono anni che cerca di costruirsi una casa tutta sua, ma si è scontrata prima col parere della Sovrintendenza, che ha vincolato parti importanti della struttura firmata dal grande architetto Pierluigi Nervi, poi con l’ostruzionismo del Comune che temeva di ritrovarsi col cerino (cioè lo stadio vecchio) in mano se il club se ne fosse costruito uno nuovo. Così l’opera, che poteva essere a carico dei privati, è finita sulle spalle dello Stato.
E qui entra in gioco il Pnrr. Ad aprile 2021, il Franchi viene infilato a sorpresa nel Piano nazionale di ripresa e resilienza. Non nel capitolo dello sport – a cui vengono destinati pochissimi soldi, 700 milioni per l’impianti di base e 300 per le palestre scolastiche, appena lo 0,5% del totale – ma in quello della cultura, col pretesto del valore architettonico dell’opera. L’intervento prevede non solo la ristrutturazione dello stadio salvaguardando le strutture di Nervi, ma anche la rigenerazione dell’intera area di Campo di Marte, con parco, spazio commerciale, palestra, piscina, uffici. L’operazione è controversa. Matura di sponda fra gli uffici del sindaco di Firenze, Dario Nardella, e quelli dell’allora ministro, Dario Franceschini, compagni di partito e di corrente Pd, mentre il capo di gabinetto al Ministero è lo stesso Lorenzo Casini che poi diventerà presidente della Serie A. A destare perplessità è soprattutto il fatto che il Franchi sia l’unico stadio di una grande città ad essere rifatto con soldi pubblici, una disparità di trattamento che non viene motivata in modo trasparente. Ma il finanziamento passa, tant’è vero a gennaio era stata aperta la procedura per i lavori. Tra una polemica e l’altra, il progetto viaggiava più o meno spedito. Fino a oggi.
Il Franchi è finito al centro della trattativa con la task force Pnrr della Commissione Ue: come spiega la nota pubblicata da Palazzo Chigi, le parti si sono prese un altro mese per la valutazione degli impegni, ma proprio lo stadio di Firenze è uno degli interventi su cui sono state sollevate obiezioni (insieme al Parco dello Sport di Venezia). Per cosa nello specifico ancora non è chiaro, lo stesso Comune aspetta lumi (la trattativa è fra il governo e l’Ue). A quanto risulta a ilfattoquotidiano.it, la contestazione potrebbe riguardare l’ammissibilità del finanziamento perché poco coerente con la missione. Non tutto, in realtà, solo una parte. Dei 200 milioni totali, infatti, 125 il Comune di Firenze li prende dal Piano Nazionale Complementare, un fondo di risorse statali di cofinanziamento, dove è entrato grazie all’ex ministro Franceschini.
La Commissione punta il dito sulla parte europea, 55 milioni poi diventati 70 a seguito del caro prezzi, presi dalla Missione 5 componente 2 dedicata alla infrastrutture sociali e ai “Piani integrati urbani”. Con cui uno stadio di calcio in effetti ha poco a che fare. Persino Matteo Renzi, che in passato si era speso per favorire la ristrutturazione superando i vincoli della burocrazia, è contrario: “Comprendo le perplessità dell’Ue. Lo stadio va fatto coi soldi dei privati, non può essere pagato dal Comune o dall’Europa”. La posizione dell’Ue ha subito fatto scattare l’allarme. Il Comune di Firenze, sostenuto dall’Anci, si dice certo della validità dell’intervento. Il sindaco Dario Nardella si è sentito col ministro per gli Affari europei e il Pnrr Raffaele Fitto, il sindaco di Venezia Luigi Brugnaro (a cui è contestato un altro progetto) e il presidente dell’Anci Antonio Decaro registrando “un impegno condiviso” per “motivare la correttezza della procedura e l’ammissibilità del finanziamento”.
Nardella ha detto di aver “già espresso la richiesta di essere audito dai servizi della Commissione, in accordo col governo, nelle forme che si riterranno più utili, però riteniamo che sia giusto darci la possibilità di un’audizione e di un confronto diretto con gli uffici”. Il sindaco si riserva di leggere “nel dettaglio le osservazioni che ancora non conosciamo”, ma si è detto anche fiducioso “sul fatto che sapremo rispondere punto per punto”. E il Comune sottolinea che i rilievi comunque riguardano solo una parte del finanziamento. Ma anche così la bocciatura, se definitiva, rischia di aprire una voragine nel progetto. A gare già indette, con la Fiorentina che aspetta certezze sui tempi e intanto dovrà trovarsi una nuova casa per almeno due stagioni, visto che il piano di ristrutturazione non ha pensato a un’alternativa. Oltre al danno, c’è sempre la beffa.
Chi sbagliò il Pnrr. leonora Ciaffoloni su L’Identità il 30 Marzo 2023
La matematica non è un’opinione, come non lo è, di conseguenza, l’attuazione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. È forse fino ad ora uno dei più grossi problemi sul tavolo del governo Meloni, su cui il ministro per gli Affari Europei Raffaele Fitto ha parlato chiaro: “Alcuni interventi da qui al 30 giugno 2026 non possono essere realizzati”. Il motivo è da trovarsi nell’accumulo dei ritardi nella realizzazione dei progetti, di quelli già in corso – per cui il ministro ha chiesto un quadro completo ai colleghi – e di quelli che devono ancora partire. La scadenza del Pnrr – quella a lungo termine e definitiva – non è modificabile e l’obiettivo, per il ministro Fitto, è quello di guardare a tutto l’arco del piano e non solo alle scadenze intermedie. Ma il problema riguarda le prossime rate e quindi gli obiettivi da centrare nel 2023, che sono 96 (27 entro la fine di giugno e 69 entro la fine di dicembre) e che, attualmente, non sono prorogabili, nonostante gli sforzi di dialogo del governo con le istituzioni europee per una revisione del piano nel suo complesso. Sul tavolo del piano ci sono in totale 191,5 miliardi di euro di fondi europei, di questi il nostro Paese ne ha già ricevuti 67. La terza rata, quella da 19 miliardi di euro, era legata alle progettualità in scadenza a dicembre scorso ed è stata prorogata per le verifiche da parte della Commissione Europea. Il governo, sull’arrivo di questi fondi è fiducioso: arriveranno, non ci sono dubbi. Gli occhi ora però andranno puntati anche sulla quarta rata (da 16 miliardi) legata alle scadenze degli obiettivi di giugno, che sono dietro l’angolo, per cui questa sicurezza sembra vacillare un po’ di più. Eppure, dopo la cabina di regia sul Pnrr di martedì, un po’ di terremoto si è sentito e a rimettere insieme i pezzi del tavolo e – anche e soprattutto – a tranquillizzare cittadini e imprese ci hanno pensato i pezzi grossi del governo. Dal ministro per la Sicurezza energetica e l’Ambiente Gilberto Pichetto Fratin che predica massima attenzione ma che calma: “È chiaro che abbiamo tempistiche dettate dalla legge e vanno monitorate, ma non c’è un allarme”. In coda, anche il ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso che sbaraglia i dubbi sugli obiettivi di giugno che “saranno pienamente rispettati” seppur dovendo recuperare i “ritardi del passato”, e il vicepremier e ministro dei Trasporti e delle Infrastrutture Matteo Salvini che si dice “fiducioso e ottimista” nonostante il peso di aver ereditato “alcuni progetti che hanno obiettivi molto ambiziosi”. L’attrazione dello scarica barile è sempre dietro l’angolo, come la tendenza allo slogan del “governo precedente”, ma stavolta sul tavolo ci sono diversi miliardi per cui la polemica diventa solo controproducente. Tuttavia, questi manifesti di paventata calma, non hanno avuto effetto sulle opposizioni che si dicono preoccupate per il futuro dell’Italia e sul rischio di non ricevere le prossime tranches di fondi a causa dei ritardi. Il deputato del Pd Enzo Amendola, capogruppo in commissione Esteri, denuncia la mancanza di trasparenza e chiede una sessione in Parlamento perché è in gioco “il futuro dell’Italia non di qualche ministro”. Sempre da sinistra, Riccardo Magi, segretario di +Europa, è arrivata l’accusa diretta: “Cosa c’è di più anti-italiano che perdere le risorse del Pnrr fornite dall’Ue per rimettere in sesto l’Italia dopo il Covid, ammodernare il Paese e fare le riforme?”. Una situazione dice, che dimostra la totale incapacità del governo e del ministro Fitto. Accuse a cui si accoda la neo capogruppo del Pd alla Camera Chiara Braga che vuole portare alla luce del Parlamento la questione: “Il governo non si nasconda. Fitto venga a riferire”. Per ora, il governo è al lavoro e, notizia di ieri, il decreto sul Pnrr approderà nell’aula della Camera per la discussione generale il prossimo 17 aprile, dove il dibattito può ricominciare.
Ultima chiamata. Sul Pnrr non sono in gioco soltanto un sacco di soldi. Francesco Cundari Linkiesta il 31 Marzo 2023
Dal 2020 a oggi si sono alternati alla guida dell’Italia tutti i partiti, con tutte le maggioranze possibili: un passo falso su questo terreno sarebbe una sconfitta per tutti. E dopo tante accuse all’austerità europea, sarebbe una disfatta epocale
L’Europa è stata per anni il principale capro espiatorio del populismo italiano, ben al di là dei suoi limiti, emersi con particolare evidenza ai tempi della crisi greca, che per poco non divenne il default dell’intera zona euro: non a caso da allora la letteratura contro l’austerità, i difetti dell’architettura di Maastricht, lo strapotere di Berlino e la filosofia della Bundesbank si è fatta sterminata.
Quell’impostazione è stata però diametralmente rovesciata nel 2020, quando la Commissione ha deciso di promuovere un gigantesco sforzo comune per uscire dalla crisi causata dalla pandemia, consentendo ai paesi membri in maggiori difficoltà di rialzarsi e riprendere a crescere (prendere a crescere, nel nostro caso). Uno sforzo immenso, che ha mobilitato un’enorme quantità di risorse, destinate in larghissima parte proprio all’Italia – centonovanta miliardi, euro più euro meno – non per l’abilità oratoria dell’allora presidente del Consiglio, checché ne dica l’interessato, ma semplicemente perché eravamo quelli messi peggio e dunque più bisognosi di aiuto (il che, per carità, non era solo colpa dell’allora presidente del Consiglio, ma è non meno assurdo che sia divenuto per lui addirittura motivo di vanto).
Se adesso state pensando che l’ho presa molto alla larga, per venire alla polemica di questi giorni sui ritardi nell’applicazione del Pnrr, vi sbagliate: la questione è larghissima di per sé e come tale va considerata. L’errore peggiore sarebbe proprio restringerla a una polemica da quattro soldi tra il governo attuale e i governi precedenti, ridurla al solito rimpallo di responsabilità, condita magari dalla centesima replica della polemica sulle regole degli appalti tra chi dice che bisogna velocizzare, accusando gli altri di bloccare l’Italia, e chi dice che occorrono maggiori controlli, accusando i primi di spalancare le porte a mafia e corruzione. Per quanto ancora possiamo andare avanti così?
Dal 2020 a oggi si sono alternati alla guida dell’Italia tutti i partiti, con tutte le maggioranze, attraverso tutte le formule e tutte le combinazioni di governo possibili: abbiamo avuto primi ministri tecnici e politici, governi di coalizione, di larghe intese e di unità nazionale. Il fallimento del Pnrr sarebbe un fallimento collettivo, da cui nessuno potrebbe chiamarsi fuori.
Ben venga dunque il dibattito parlamentare chiesto dal Partito democratico, a condizione che non sia l’occasione per continuare questo gioco insensato, in cui peraltro resterebbero comunque insuperabili, sui due fronti, Matteo Salvini da un lato e Giuseppe Conte dall’altro: le due anime del peggiore governo della storia repubblicana, non a caso l’unico che sia andato veramente vicino a portarci fuori dall’euro.
Al di là delle chiacchiere e delle conversioni sempre reversibili buone per i creduloni, Salvini e Conte sono i veri campioni dell’antieuropeismo italiano. Il primo incalza costantemente il governo da posizioni populiste e anti-Ue, tanto che ancora tre giorni fa se la prendeva con l’Europa che «impone sacrifici» agli italiani (forse si riferiva al sacrificio di dover capire come spendere 190 miliardi, tra prestiti ultra-agevolati e vere e proprie donazioni); il secondo, invece, pure (dalla ratifica del Mes alla guerra in Ucraina).
Tutte le critiche a Giorgia Meloni e al suo governo per come sta gestendo il Piano nazionale di ripresa e resilienza sono dunque legittime e benvenute (tanto più se accompagnate da qualche autocritica). L’unica cosa che però la sinistra non può permettersi di fare è confondersi con i populisti, con il loro irresponsabile gioco allo sfascio, specialmente su un argomento tanto delicato, da cui dipende l’ultima possibilità di uscire dalla trentennale stagnazione italiana.
Dopo anni di proteste contro l’egoismo della Germania e dei cosiddetti paesi frugali, contro la miopia delle politiche di austerità e la rigidità dei parametri europei, non avremo seconde occasioni: se falliamo stavolta, proprio quando l’Europa si è finalmente convinta a seguire la strada opposta, non perderemo solo una montagna di soldi, ma anche ogni voce in capitolo, e il diritto di lamentarcene, almeno per i prossimi mille anni.
Gli errori e le cose impossibili del Pnrr che tutti vedevano e sapevano. Senza dirlo. Giorgia Pacione Di Bello su Panorama il 29 Marzo 2023
Opere irrealizzabili, tempistiche impossibili da seguire, problemi burocratici. Chi oggi attacca il Governo che chiede una rianalisi del Pnrr mente dato che certe lacune erano chiare a tutti, fin dal principio
Programmazione del Pnrr incentrata su progetti troppo ambiziosi, amministrazioni pubbliche con scarse competenze e problemi di reperimento di manodopera nel settore delle costruzioni stanno rallentando l’esecuzione dei progetti del Pnrr. Ma andiamo con ordine. Partiamo dal fatto che il governo ha fatto delle modifiche nella programmazione delle risorse destinate al Piano nazionale di ripresa e resilienza, nell’ultima nota di aggiornamento del Def, che dovrebbero portare ad un ritardo degli investimenti effettuati, rispetto al cronoprogramma iniziale, di circa 15 miliardi di euro a fine 2023. Il nuovo piano ''contempla una traslazione in avanti delle spese originariamente assegnate al triennio 2020-2022, per oltre 20 miliardi complessivi'' , sottolinea l’ultima relazione presentata ieri dalla Corte dei Conti.
Ritardo che il viceministro alle infrastrutture e mobilità, Edoardo Rixi, lega ad una programmazione sbagliata fatta dal governo Draghi. A Radio 24 ha infatti sottolineato come il precedente governo avrebbe dovuto indirizzare i fondi su “opere semplici e non sempre si è fatto”. Nel settore ferroviario, spiega Rixi, si sono messi dei soldi per la realizzazione di opere che non sono compatibili con le scadenze imposte dal Pnrr. Una riprogrammazione, secondo il viceministro, è dunque necessaria: “Si devono spostare alcune partite finanziarie in opere meno complesse. Vuol dire finanziarie opere che possono essere realizzate entro il 2026” , visto che precedentemente le risorse sono state allocate su opere, sicuramente necessarie per il miglioramento infrastrutturale dell’Italia, ma che risultano essere incompatibili con le tempistiche dettate dal Pnrr. Un’errore che sta ipotecando i futuri fondi dell’Ue e la realizzazione dei progetti previsti. La sbagliata programmazione non è però l’unico fattore di criticità. Un altro tassello che sta ostacolando la realizzazione dei progetti del Pnrr, secondo Rixi, è la macchina pubblica che non può essere fermata ma che risulta essere in affanno. Aspetto sottolineato anche dal report della Corte dei Conti che evidenzia come le Pa stanno trovando delle difficoltà nell’espletare tutte le pratiche necessarie per avere accesso ai fondi del Pnrr, con il consequenziale rischio che le complessità riscontrate, specie in campo infrastrutturale, “finiscano con lo spingere inevitabilmente la spesa prevista per il 2022 verso gli anni 2023-2026” , criticità quest’ultima evidenziata anche nella relazione di inizio 2022 a cui però il governo Draghi non ha prestato attenzione né cercato correttivi. Se infatti si guardano i dati forniti dal sistema ReGiS, si può capire come questa criticità hanno influito negativamente sui progetti del Pnrr. Osservando i numeri con riferimento agli investimenti risulta infatti che le risorse finanziarie del Pnrr messe a disposizione delle Amministrazioni nel periodo 2020/2022 ammontavano a 1.501.710.000 euro. La spesa che però è stata dichiarata, nello stesso periodo, è stata di solo 833.280.000 euro (55,49%). Stessa sorte nel rapporto fra risorse finanziarie messe a disposizione per l'intero Pnrr nel periodo 2020/2022, pari a 20.440.560.000 euro e quella che realmente è stata sostenuta pari invece a 12.854.210.000 euro (62,89%). Le difficoltà delle pubbliche amministrazioni centrali e locali sono legate a due fattori principalmente. Il primo è che la maggior parte dei dipendenti della Pa ha un’età media tra i 50 e i 60 anni e i giovani tra i 18 e i 34 anni hanno un peso minimo nell’organico. Questo ha conseguenze sul tema delle competenze. Attualmente all’interno delle pubbliche amministrazione c’è poco personale con una laurea tecnica o Stem. Professionalità, queste ultime, che sono molto richieste per effetto della necessità di governare i cambiamenti tecnologici, come la transizione digitale richiesta dal Pnrr. Per ovviare a questo problema è stata data la possibilità alla Pa di assumere del personale tecnico qualificato per seguire i lavori del Pnrr. Anche in questo caso le criticità sono due. La prima è che la pubblica amministrazione offre dei contratti a tempo determinato e poi che le professionalità tecniche ricercate per gestire i progetti del Pnrr sono molto richieste anche dal privato che nella maggior parte dei casi riesce ad accaparrarsi le figure prescelte. Criticità ci sono poi anche nella filiera delle costruzioni. La Corte dei Conti ha infatti evidenziato come “data l’enfasi sulla dotazione infrastrutturale, una parte significativa delle risorse mobilitate con il Pnrr e il Piano complementare andrà ad attivare la filiera delle costruzioni". Questo settore negli ultimi due anni ha visto importanti aumenti nella domanda, sia a seguito del recupero spontaneo degli investimenti privati, che per effetto dell’intensa attività di ristrutturazione legata agli incentivi dei superbonus 110%. “Si sono registrati significativi incrementi occupazionali, sfociati in problemi di reperimento di manodopera” , sottolinea la Corte dei Conti. Se a tali tensioni si aggiungono poi anche quelle legate alla dinamica dei prezzi, si ha un comparto vicino alla saturazione della capacità produttiva. Proprio per questo è necessario fare degli investimenti ad hoc per allargare la base produttiva e riuscire, di conseguenza, a tenere il passo con gli obiettivi del Pnrr. “Va inoltre tenuta presente la scarsa attrattività che alcuni settori, a elevata presenza di occupati con skill ridotte, hanno per i più giovani, dato anche il progressivo aumento del tasso di scolarizzazione delle generazioni all’ingresso nel mercato del lavoro. Non è un caso che da diversi anni le costruzioni abbiano visto un progressivo incremento della presenza di lavoratori stranieri.” sottolinea la Corte dei Conti. Nel settore delle costruzioni, sottolinea il report, c’è poi un cortocircuito legato al genere. Se infatti da una parte si deve investire per trovare la manodopera necessaria per portare a termine, entro i tempi previsti, i progetti del Pnrr, dall’altra parte la filiera delle costruzioni è composta in prevalenza da settori caratterizzati, anche per motivi fisiologici legati alle mansioni da svolgere, da uomini. E dunque, un aumento dell’attività nell’edilizia, e negli altri manifatturieri dell’indotto, rischia “di aumentare le distanze di genere, esito questo non coerente con gli obiettivi trasversali del Pnrr”. Gap che dovrà essere compensato in altri settori.
SUL PNRR LA DANZA MACABRA DELLO SCARICABARILE. IL POLLAIO ITALIANO MISURA LA IRRESPONSABILITÀ DELLE NOSTRE CLASSI DIRIGENTI E AIUTA I FALCHI DEL NORD A TOGLIERCI I SOLDI. ROBERTO NAPOLETANO su Il Quotidiano del Sud il 29 Marzo 2023
Non è morto, la terza rata arriva un mese dopo, ma arriva. Fa i conti con scelte non completate di impostazione esecutiva, storiche debolezze amministrative e la sacrosanta operazione verità voluta dal ministro Fitto. Il problema è che siamo alla guerra di tutti contro tutti. Il vice di Salvini alle Infrastrutture accusa il governo Draghi. Il sindaco di Milano incredibilmente dice: togliete i soldi al Sud e dateli al Nord. Le Regioni sono contro lo Stato. I Comuni sono contro le Regioni e contro lo Stato. Il Pd ormai parla come i grillini e aumenta il rumore. Uno scaricabarile con una sola certezza. Che si affonda tutti. Perché se salta il Pnrr affonda l’Italia e in Europa non si ottiene più niente. Farebbero bene tutti a dare una mano concreta a realizzare la regia unica messa in piedi da Fitto che piace alla Commissione europea. Questo è l’interesse italiano e chi va contro questo interesse perde ai nostri occhi ogni legittimazione.
NON esiste il cadavere del Piano nazionale di ripresa e di resilienza (Pnrr) ma se proprio in questo cupio dissolvi generale lo si vuole fabbricare, si abbia almeno l’intelligenza di capire che questo cadavere sarebbe il cadavere dell’Italia. La danza macabra dello scaricabarile cui stiamo assistendo con vecchi (indecorosi) siparietti tra chi presume di sapere spendere e chi si ritiene a priori che non lo sappia fare è la misura più evidente del tasso irredimibile di irresponsabilità delle classi dirigenti italiane. Il Pnrr italiano non è morto, la terza rata arriverà un mese dopo, ma arriverà. Vive una situazione di difficoltà che riflette scelte non completate di impostazione esecutiva, fa i conti con storiche debolezze amministrative e la ineludibile quanto sacrosanta operazione verità voluta dal ministro Fitto. Vive, quindi, un inevitabile momento di difficoltà e di chiarificazione, ma tutto è fuor che morto.
Il problema vero di oggi sul Pnrr è che si sta scatenando la guerra di tutti contro tutti. Il sindaco di Milano, Beppe Sala, dice in sostanza: date i soldi a noi che li sappiamo spendere e i problemi finiscono. Che è come se dicesse: togliete i soldi al Sud e dateli al Nord. Facendo finta di ignorare dalla prima all’ultima parola un dato di fatto incontrovertibile: i soldi arrivano dall’Europa per il Mezzogiorno al fine di risolvere il più grave squilibrio territoriale europeo, altrimenti per Milano e Lombardia arriverebbero zero euro spaccati. Il vice alle infrastrutture di Salvini, Edoardo Rixi, ha una sola impellente esigenza da soddisfare ed è quella di fare capire che è colpa del governo Draghi. Il presidente della Conferenza delle Regioni e capo del Friuli Venezia Giulia, Massimiliano Fedriga, di solito uomo mite, non sa fare di meglio che a suo modo “minacciare” l’esecutivo con queste parole: “Come sistema delle regioni chiediamo di essere coinvolti perché se questo non avviene, per noi è molto più comodo perché guardiamo tutto da lontano, ma sarà un problema per il Paese se le opere non si realizzano”.
Di sicuro le parole più sacrosante della giornata perché rappresentano un atto dovuto sono quelle di Roberto Occhiuto, presidente della Regione Calabria, che non le manda a dire al sindaco di Milano: “Sul Pnrr Sala sbaglia completamente approccio. Le sue dichiarazioni? Questa sì che sarebbe una secessione”. Ovviamente una parte delle opposizioni chiede subito di riferire in Parlamento e dà il suo attivo contributo ad alzare il polverone. Purtroppo anche il Pd usa linguaggi e argomenti simili a quelli dei grillini.
Riepiloghiamo. Il vice di Salvini alle Infrastrutture dice che è colpa del governo Draghi. Il sindaco di Milano dice: fatela finita, togliete i soldi al Sud e dateli al Nord così tutto si risolve. Le Regioni sono contro lo Stato. I Comuni sono contro le Regioni e contro lo Stato. Il governo nuovo, con modalità espressive differenti, è contro il governo vecchio. I partiti dell’opposizione chiedono al governo di venire a riferire in Parlamento e già dicono che ha sbagliato tutto. Siamo dentro uno scaricabarile a 360 gradi tipicamente italiano e abbiamo una sola certezza. Che, di questo passo, si affonda tutti. Perché se salta il Pnrr affonda l’Italia e la possibilità di ottenere qualcosa in Europa nei prossimi venti anni. Avevamo già paventato questo rischio, ma lo spettacolo indecente della danza macabra di ieri cambia in peggio il quadro. Anche perché, proprio come abbiamo scritto, i falchi del Nord vogliono tornare all’Europa senza eurobond e noi con questa commedia della delegittimazione reciproca stiamo offrendo loro su un piatto d’argento il cadavere dell’Italia e dell’Europa federale solidale.
Al posto di perdere tempo alzando il solito rumore italiano su questa mini costituente di Calderoli sull’autonomia differenziata che solo per mettere insieme le agende di 62 persone di quel livello il giorno della prima convocazione forse lo troverà in estate, faremmo bene tutti a dare una mano concreta a realizzare quella regia unica messa in piedi dal ministro Fitto e su cui la Commissione europea si è già espressa favorevolmente. Questo è l’interesse italiano e chi va contro questo interesse perde ai nostri occhi ogni legittimazione.
Noi dobbiamo fronteggiare un problema storico di incapacità di spendere i fondi comunitari e la regia unica è la sola opportunità che abbiamo per evitare che ce li revochino del tutto. Il pollaio dello scaricabarile italiano aiuta solo a toglierci i soldi il più in fretta possibile.
L'Altravoce dell'Italia
IL SISTEMA SCASSATO CHE NON SI È VOLUTO VEDERE. ROBERTO NAPOLETANO su Il Quotidiano del Sud il 27 Marzo 2023
Evitiamo i soliti allarmismi perché la rata arriverà. Prendiamo piuttosto atto che a furia di scassare da dentro e dalle opposizioni chiunque governi eredita un sistema burocratico e decisionale scassati. L’operazione verità riguarda un piano italiano che non tiene di fronte al quadro globale cambiato e investe la responsabilità della Commissione che diventa rigida a scoppio ritardato. Non si tratta più di stabilire chi ha torto e chi ha ragione, ma di costruire attraverso una interlocuzione costante una macchina esecutiva che è finalmente in grado di fare le cose e uno spazio politico che non blocchi il processo riformistico. Per porvi rimedio serve coesione sociale perché bisogna rivoluzionare il dna del nostro sistema che non si ottiene con lo sforzo di una parte e non di un’altra
A furia di scassare il sistema da dentro e dalle opposizioni il sistema rimane scassato per chiunque governi. Erediti sempre un sistema burocratico e decisionale scassati. Tutti più o meno quando sono all’opposizione e molti quando sono al governo ma dipendenti dalle lobby danno il loro contributo attivo perché il sistema resti quello che è e, quindi, inevitabilmente peggiori diventando un sistema sempre più scassato.
Chi è al governo, in particolare, accetta fin tanto che è possibile i pasticci, ci convive cercando di migliorare quasi sempre senza successo, fino a quando arriva poi il momento in cui quei pasticci non sono più accettabili ed esplode il bubbone. Di fatto da questa spirale infernale non se ne esce se non con un accordo nazionale trasversale, ma perché ciò avvenga e produca risultati effettivi bisognerebbe che prima tutti si mettessero d’accordo sul fatto che sono tutti responsabili del pastrocchio.
Compiere questo salto culturale che è tipico delle grandi democrazie, ma anche lì è oggi messo a dura prova dai crescenti rischi geopolitici che incidono sulla tenuta delle comunità nazionali, significa mettere nelle condizioni di governare chi è stato scelto dagli elettori. Siamo davanti alla necessità di cambiare un costume nazionale ed è venuto il momento di prendere atto che non esiste una parte del Paese che è capace di spendere i soldi del Pnrr e una parte che non ne è capace. La verità è che c’è una parte che è capace di spendere meno male e una parte che proprio non ce la fa. L’ipocrisia collettiva è che tutti fingono di essere sani sapendo di essere malati e, al massimo, dicendo che erano malati quelli di prima.
Sulla partita del Pnrr stiamo parlando di problemi derivanti dal precedente governo sulle fasi attuative dei processi di spesa, non delle riforme, e dalla Commissione europea che prima ha fatto finta di non vedere e ora è diventata improvvisamente rigida. Comportamento doppiamente sbagliato perché maggiore severità prima avrebbe contribuito a risolvere i problemi di oggi.
Sulla stessa partita del Pnrr stiamo parlando di problemi di questo governo su temi di impianto riformista che riguardano porti, balneari, codice degli appalti, assetto idrico. Nel primo genere di problemi come nel secondo siamo in presenza sempre di problemi che non metteranno a rischio la rata di aiuti – il tipico allarmismo politico mediatico italiano tocca anche le massime istituzioni tecniche e fa parte della crisi sistemica – ma non vanno sottovalutati perché sono segnali di quella malattia nazionale alla quale proprio l’operazione verità condotta dal ministro Fitto prova a mettere rimedio chiamando tutti alle proprie responsabilità.
Bisogna superare oggi tre tipi di esami distinti. Primo: gli obiettivi oggetto di verifica. Secondo: gli obiettivi intermedi al 30 marzo. Terzo: gli obiettivi a fine giugno. Sono in tutto 55 e ne sono in discussione sette che non sono ancora completati. Non esiste un caso Lituania per noi. Spiccano gli obiettivi non conseguiti dal ministero delle Infrastrutture a guida Giovannini che riguardano quasi integralmente gli investimenti sulla rete ferroviaria e, in massima parte, collocati nel Mezzogiorno tra alta velocità, riqualificazione della rete elettrica e potenziamento dei nodi ferroviari. Bisogna sciogliere con alcuni ritocchi il tema strategico del nuovo codice degli appalti e la messa in gara delle concessioni portuali.
Il punto di fondo, però, è un altro. Riguarda un piano italiano che non tiene di fronte al quadro globale cambiato e investe la responsabilità della Commissione che diventa rigida a scoppio ritardato. Non si tratta neppure più di stabilire chi ha torto e chi ha ragione, ma di costruire attraverso una interlocuzione costante una macchina esecutiva che è finalmente in grado di fare le cose e uno spazio politico che non blocchi il processo riformistico avviato.
Tenendo tutti presente che il futuro del Paese dipende dalla curva della crescita. Se questa non sale, cresce quella del debito e il Paese va gambe all’aria. Dieci punti di prodotto interno lordo (Pil) della crescita italiana possibile sono legati alla attuazione del Pnrr. I ritardi ci sono, è vero, ma la rata arriverà. Tutto possiamo permetterci tranne che perdere tempo con il solito allarmismo che fa solo male alla reputazione dell’Italia. Quello di cui tutti dovrebbero prendere atto è che non funziona come dovrebbe l’amministrazione pubblica centrale e territoriale.
Per porvi rimedio serve coesione sociale perché bisogna rivoluzionare il dna del nostro sistema che non si ottiene con lo sforzo di una parte e non di un’altra. Questo obiettivo è più facile conseguirlo con un governo tecnico quando gli azionisti politici non barano perché non ne beneficia nessuno più degli altri e diventa più difficile quando si passa a un governo politico perché le opposizioni hanno paura che vada a beneficio di una altra componente che si intesta il successo a scapito loro. Però, questo oggi è l’obiettivo irrinunciabile del Paese. Altrimenti sopravviveranno solo macerie e tutti ne pagheranno il conto.
Scioperi e accuse: l'asse tra sindacati e opposizione su opere e Pnrr. La Cgil convoca la mobilitazione di piazza per sabato. La Uil si accoda: "Siamo pronti". Critiche dall'Authority anticorruzione. Cattaneo (Fi): "Sblocchiamo il Paese o no?" Fabrizio De Feo Balsamo il 30 Marzo 2023 su Il Giornale.
«Il nuovo Codice degli appalti? Finalmente faremo ripartire il Paese e si potrà accelerare anche sul Pnrr». «No, così spalanchiamo le porte alla corruzione».
Il giorno dopo l'approvazione da parte del Consiglio dei ministri del Codice degli Appalti, centrosinistra e sindacati uniscono il fronte e sferrano il loro attacco contro l'eccessiva semplificazione delle procedure e il pericolo di possibili infiltrazioni esterne. Vecchia storia che si ripete nell'eterno dilemma tra la necessità di superare i lunghi iter autorizzativi e il timore di offrire mano libera alle stazioni appaltanti. Un dilemma, appunto, visto che anche l'eccesso di controlli può facilmente tramutarsi in un assist e in una occasione di corruzione di ritorno.
In ogni caso alla domanda se il nuovo Codice degli appalti sia la strada verso lavori più veloci, come asserisce Matteo Salvini, oppure uno scivolamento verso l'opacità se non addirittura l'illegalità, il centrosinistra ha già pronta la risposta (non senza qualche legittimo dubbio tra i suoi amministratori locali).
I fronti di attacco a cui si aggrappa l'opposizione sono due: il Codice degli Appalti, appunto, e i ritardi del Pnrr. Chi si schiera in prima linea e chiama a raccolta il suo popolo è la Cgil. Maurizio Landini (nella foto) ripete che «non si può intervenire sul codice, l'idea della logica del massimo ribasso, che adesso chiamano subappalto a cascata, non è per noi accettabile». E Alessandro Genovesi, segretario di Fillea Cgil, su Repubblica chiama tutti sabato in piazza contro un codice che «apre a riciclaggio e corruzione».
Come avviene da tempo, l'unità di intenti tra Cgil e Uil è molto forte e le posizioni sono quasi sovrapponibili. «Il Codice degli appalti ci fa tornare indietro di 40 anni» sostiene il segretario della Uil Pierpaolo Bombardieri. Una posizione rafforzata dalla segretaria confederale Tiziana Bocchi che adotta toni decisamente catastrofisti: «Il nuovo codice sarà un bagno di lacrime per le lavoratrici e i lavoratori, genererà una forte disoccupazione, disservizi nella fornitura elettrica e idrica e nei trasporti pubblici».
Matteo Salvini replica invitando tutti a non guardare alle novità attraverso le lenti del sospetto. «La Cgil fa sciopero e l'Autority anticorruzione dice che è un Codice che rischia di favorire gli amici degli amici. Sono parole gravissime. In uno Stato di diritto tutti siamo innocenti, fino a prova contraria e fino al terzo grado di giudizio. Non ci sono colpevoli presunti». E Alessandro Cattaneo si chiede: «Ma questo Paese lo vogliamo sbloccare oppure no? Gli imprenditori hanno voglia di fare non di rubare. Salvini ha fatto un ottimo lavoro con il sostegno di Forza Italia. Vogliamo tornare ad avere società di costruzioni composte da ingegneri piuttosto che da avvocati». Naturalmente non tutto il fronte sindacale vede spettri all'orizzonte. Il segretario generale della Filca-Cisl, Enzo Pelle, definisce il codice appalti «un passo in avanti importante per il settore» pur ritenendo utili correttivi e affinamenti.
L'altro fronte caldo è l'attuazione del Pnrr, con Repubblica che titola in maniera perentoria su «La resa del governo» enunciando i ritardi di attuazione del Piano. La replica di Raffaele Fitto riporta al dato di realtà, ovvero al fatto che il governo sta cercando di recuperare il ritardo accumulato dal precedente esecutivo. «Sono ottimista, l'unica cosa che non si può fare è il tentativo abbastanza ridicolo di attribuire a questo governo delle responsabilità», dice il ministro per gli Affari europei: «Quello che serve non è una radiografia, ma una vera e propria risonanza magnetica di tutti i progetti Pnrr da qui fino alla scadenza del Piano nel 2026. È necessario che ogni ministero evidenzi chiaramente le criticità, ne spieghi le ragioni e individui delle soluzioni percorribili».
Estratto dell’articolo di Gianni Trovati e Manuela Perrone per il Sole 24 Ore il 29 Marzo 2023
«È matematico, è scientifico, alcuni interventi da qui al 30 giugno 2026 non possono essere realizzati». La cornice è tra le più ufficiali, la Sala della Regina di Montecitorio dove la Corte dei conti ha presentato ieri pomeriggio la Relazione semestrale al Parlamento sullo stato di attuazione del Pnrr.
Raffaele Fitto, ministro che del Pnrr ha la delega, decide di abbandonare i toni cauti che gli sono abituali e va dritto al punto. «Siamo un Paese che oggi è ancora fermo al 34% dei pagamenti per i fondi di coesione 2014-2020», ha ricordato richiamando il dossier illustrato a metà febbraio in Consiglio dei ministri.
Pochi minuti prima i magistrati contabili avevano mostrato che nel 2020-2022 la spesa effettiva delle risorse Pnrr si era fermata al 12%, 6% senza i crediti d’imposta automatici, e che la riprogrammazione chiede di conseguenza di far schizzare le uscite reali a oltre 40,9 miliardi quest’anno per arrivare a 46,5 e 47,7 miliardi nei prossimi due anni. L’ipotesi è sostanzialmente impossibile, a giudizio dello stesso Fitto che chiede «una valutazione attenta» da realizzare subito, «senza aspettare il 2025 per aprire il dibattito su di chi sia la colpa».
È la prima volta che il ministro scopre le carte in modo così diretto, misurando la distanza tra la capacità di spesa chiesta dal Pnrr e quella permessa dalla struttura di pubblica amministrazione ed economia italiana.
Le parole di Fitto arrivano all’indomani del nuovo rinvio di un mese del verdetto europeo sui 55 obiettivi della seconda metà del 2022, che danno diritto alla terza rata da 19 miliardi. Sul tema il ministro non drammatizza («Sono ottimista», dice) e la stessa Commissione Ue spiega che lo slittamento «non è inusuale», tornando ad apprezzare «i significativi progressi compiuti nelle ultime settimane».
Peccato che però, nelle stesse ore, il vicepresidente della commissione Valdis Dombrovskis sia tornato a chiudere all’ipotesi di un’estensione temporale del Recovery. «La maggior parte degli obiettivi va realizzata quest’anno», ha aggiunto. Il punto cruciale, infatti, non sono le obiezioni mosse a Bruxelles su riforma delle concessioni portuali, sistemi di teleriscaldamento e Piani urbani integrati (tutti interventi che Fitto ha rimarcato essere stati approvati dal Governo Draghi), su cui il confronto tecnico continua.
Ad allarmare il Governo è il deciso aumento di severità degli esami comunitari, e il rischio concreto che gli inciampi di oggi siano solo un antipasto dei problemi che emergeranno nel tempo. Nasce da questo allarme la strategia che l’Esecutivo sta portando avanti nel complicato negoziato sulla revisione del Piano da proporre entro la fine di aprile. L’obiettivo è sempre quello di recuperare le risorse dei progetti irrealizzabili entro il 2026 «giocando sullo spostamento» sotto il cappello dei fondi di coesione, che hanno l’indiscutibile pregio di allungarsi fino al 31 dicembre 2029.
Alla traduzione pratica di questo schema si è dedicata anche la cabina di regia riunita da Fitto nella serata di ieri dopo il Consiglio dei ministri su decreto bollette e Codice appalti. Il vertice, durato meno di un’ora limitato alle amministrazioni centrali mentre il secondo tempo con gli enti territoriali si terrà nei prossimi giorni, è servito a Fitto per tornare a chiedere ai colleghi «in tempi rapidi un'analisi netta e chiara di tutte le criticità relative ai progetti di competenza di ciascun ministero elaborando proposte d’azione concrete e un’analisi a tutto il 2026».
Quel che serve, ha spiegato il titolare del Pnrr, è «una risonanza magnetica» di tutti i progetti. Su queste basi Fitto punta ad avere «ragioni forti» per rinegoziare il Piano a Bruxelles. Il tutto mentre si lavora anche all’integrazione con RepowerEu, a cui sarà dedicato un provvedimento specifico, mentre è atteso per la prossima settimana (il 6 aprile) l’arrivo in Consiglio dei ministri del decreto sulle assunzioni nei ministeri.
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Così Raffaele Fitto sta smantellando il lavoro di Mario Draghi. Per decidere tutto lui sul Pnrr. Il ministro ha subito eliminato le strutture messe in piedi dall’esecutivo precedente. Ora il potere è tutto nelle sue mani. Le probabilità di spendere in tempo i fondi europei, invece, non sono aumentate. Sergio Rizzo su L’Espresso il 7 marzo 2023
Demolire il primo pilastro piantato da Mario Draghi è toccato a lui: Raffaele Fitto da Maglie, il ministro senza portafoglio del governo Meloni con il portafoglio più gonfio di tutti gli altri ministri. A 53 anni, dopo aver girovagato in lungo e in largo nel centrodestra cambiando una dozzina di partiti, alcuni dei quali da lui fondati e affondati, è finalmente saltato sul carro giusto. Quello, ormai affollatissimo, di Fratelli d’Italia. Ha portato in dote un bel gruzzolo di voti ed è stato ben ricompensato.
La presidente del consiglio Giorgia Meloni, con la quale aveva già militato per anni nello stesso governo di Silvio Berlusconi, gli ha consegnato le chiavi dello scrigno più prezioso, che contiene miliardi del Piano nazionale di ripresa e resilienza. Ministro per gli Affari europei, le Politiche di coesione e il Pnrr, pure con delega per il Sud. Sta seduto su qualche centinaio di miliardi, il rampollo di Salvatore Fitto, il presidente democristiano della Regione Puglia scomparso nel 1988 in un tragico incidente d’auto. Il che ne fa l’uomo forse più potente del governo.
Occupando anche la casella di maggior peso politico per il partito di Giorgia Meloni nella maggioranza. Perché adesso sul Pnrr e quella montagna di denari gli alleati non toccano più palla: non la tocca Matteo Salvini, né la tocca Silvio Berlusconi.
Resta l’interrogativo del perché proprio lui, su quella poltrona così fondamentale per la spesa dei fondi europei. Proprio uno che aveva già rivestito il medesimo incarico in un precedente governo di centrodestra, senza peraltro risultati indimenticabili. E che quando era stato presidente della sua Regione, per cinque anni fra il 2000 e il 2005, la Puglia era risultata la penultima al Sud per l’impegno dei fondi europei.
Davanti, di un niente, alla sola Campania. Su 5,3 miliardi di contributi per i Programmi a titolarità regionale del piano 2000-2006, ne aveva impegnati al 31 dicembre 2005 secondo la Ragioneria generale dello Stato poco più di 3,3 miliardi. Ovvero il 64 per cento, contro il 63,3 della Campania. Ma anche il 64,1 della Sicilia, il 67,7 di Calabria e Sardegna, il 79,2 del Molise e l’83,1 della Basilicata.
Le abilità politiche, evidentemente, ne sopravanzano altre. E bisogna leggerlo con attenzione il decreto legge del 24 febbraio 2023 sulle «disposizioni urgenti per l’attuazione del Pnrr», per capire come viene smontato l’apparato messo in piedi dal predecessore di Giorgia Meloni mettendo tutto nelle mani di Fitto. Primo passo: il colpo di spugna sulla segreteria tecnica, lo snodo cruciale voluto da Draghi alla Presidenza del Consiglio per la gestione del piano. Al suo posto, l’ennesima struttura di missione, alle dirette dipendenze, però, del ministero di Fitto. Secondo passo: il colpo di spugna sul Tavolo permanente con i rappresentanti degli enti territoriali. A questi si aggiunge un terzo colpo di spugna, sull’Agenzia della coesione. È un organismo creato una decina d’anni fa con la speranza di far fronte alle incapacità delle Regioni nell’uso dei fondi europei, ma che purtroppo non è mai riuscito a svolgere quella funzione. Anziché farla funzionare si è preferito abolirla.
Una scelta coerente con la decisione di centralizzare ogni competenza sulle risorse europee nel ministero di FdI. Indovinate infatti a chi passeranno i 213 dipendenti dell’Agenzia? Ovviamente a Fitto. Insieme ad altri 59, di cui 9 dirigenti, che verranno assunti per decreto con la scusa della nuova struttura di missione. Con il risultato che il suo ministero, da semplice dipartimento di palazzo Chigi, si trasformerà in un ingombrante centro di potere.
Non si disperino, tuttavia, i colleghi ministri. Ce ne sarà anche per loro. Centinaia di persone assunte a tempo determinato dai ministeri per seguire le pratiche del Pnrr otterranno l’agognata stabilizzazione. «Previo colloquio selettivo», naturalmente. Un occhio di riguardo è rivolto soprattutto al ministero della Sovranità Alimentare del cognato di Giorgia Meloni. Francesco Lollobrigida avrà a disposizione un centinaio di nuove assunzioni metà delle quali per una nuova authority. Si chiamerà «Autorità di Gestione Nazionale del Piano Strategico della Politica Agricola Comune 2023-2027», e se ne sentiva proprio il bisogno.
Se poi questi cambiamenti metteranno il turbo al Pnrr, è un interrogativo senza risposta. Da noi è la regola che il nuovo governo per prima cosa butti all’aria ciò che ha fatto il governo precedente, e non è mai stato un buon viatico. Quasi sempre è solo una perdita di tempo. E qui il tempo è davvero denaro.
Che l’Italia non ce l’avrebbe fatta a spendere tutti quei soldi europei entro il 2026, come invece avevamo promesso, era del resto prevedibile già prima di questa nuova pensata. Riusciamo con difficoltà a usare i contributi ordinari di Bruxelles, come sa bene Fitto, figuriamoci quelli straordinari. Per non parlare dei costi, che fra inflazione e speculazione sono saliti alle stelle. Ecco allora il colpo di genio: chiedere a Ursula von der Leyen di poter completare con i fondi strutturali ordinari i progetti del Piano nazionale di ripresa e resilienza (ormai famoso come Pnrr) che resteranno incompiuti dopo il 2026. Immaginiamo le reazioni. Non soltanto quelle di Bruxelles, ma anche delle Regioni che sarebbero private di capacità di spesa.
Vedremo. Colpisce però che nemmeno quando c’è in ballo un pezzo rilevante del nostro prossimo destino si rinunci a scivolare nella caricatura.
Che cosa c’entra in un decreto «urgente» sul Pnrr una norma per cambiare nome all’Agenzia Nazionale Giovani ribattezzandola «Agenzia Italiana per la Gioventù», con tanto di presidente e consiglio di amministrazione nuovo di zecca? Gioventù italiana… Non vi ricorda forse qualcosa?
I ritardi sul Pnrr scatenano gare e liti tra governatori e sindaci. Fitto prepara una relazione. VANESSA RICCIARDI su Il Domani il 29 marzo 2023 Il ministro Raffaele Fitto ha detto che c’è il rischio che i progetti non vengano completati in tempo e il sindaco di Milano, Beppe Sala, si propone. Il sindaco di Roma Gualtieri manda una lettera per avere i soldi degli altri. In arrivo una relazione
È partita la gara tra presidenti di Regione e sindaci per avere più soldi del Piano nazionale di ripresa e resilienza. A scapito degli altri. La miccia è stata innescata dalle parole del ministro per gli Affari europei, le politiche di coesione e il Pnrr del governo Meloni, Raffaele Fitto, quando ha detto che è matematico che alcuni progetti non saranno pronti nel 2026 e rischiano perciò di perdere i fondi. Dopo ventiquattr’ore, il ministro ha cercato di mettere ordine promettendo che dopo aver ottenuto la nuova rata dei fondi, su cui il governo sta trattando con la Commissione europea, presenterà una relazione dettagliata. Ma a rendere ancora più concreto l’allarme e l’ipotesi che presto arriveranno modifiche è arrivato il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti: «Stiamo discutendo con la Commissione Ue di fare le cose in modo realistico. Questa è la verità».
L’ALLARME DI FITTO
Le parole di Fitto sono state chiarissime: «Alcuni interventi da qui a giugno del 2026 non possono essere realizzati: è matematico, è scientifico, dobbiamo dirlo con chiarezza». E già il giorno dopo il sindaco di Milano Beppe Sala si è fatto avanti dicendo «diamo i soldi a chi li spende». Il sindaco Roma Roberto Gualtieri, ha direttamente mandato una lettera al ministro per chiedere 300 milioni in più. A questo punto
il presidente della Calabria, Roberto Occhiuto, ha deciso di intervenire per paura che i soldi vengano sottratti al meridione. Il forzista ha accusato il primo cittadino del capoluogo lombardo di secessionismo: «Facile fare il figo governando Milano. Sala dovrebbe provare a governare qualche mese in Calabria, in Sicilia o in Campania».
ROMA E MILANO
Sala, in viaggio a Bruxelles, subito dopo una conferenza stampa sulle famiglie arcobaleno, ha detto che le parole di Fitto suonano «un po’ come una resa, ma siccome siamo ancora in tempo estendiamo a tutti l’operazione verità e diamo i fondi a chi li sa investire». E ha aggiunto: «A volte sembro un provocatore dicendo: “se ci sono dei fondi residui, dateli a Milano”», ma poi ha specificato: «Non sono un provocatore. Perché ci sono una serie di progetti che ho nel cassetto che, fossero finanziati, io ce la faccio entro metà giugno 2026».
Gualtieri si è spinto ancora oltre. Nella missiva ha ricordato che ha messo a gara tutti i fondi del Pnrr e, come riportato dal Messaggero, ha chiesto 300 milioni da finanziare esplicitamente con quelli non spesi da altre amministrazioni. Tra le priorità il patrimonio scolastico del territorio, 354 edifici di cui almeno 200 necessitano di interventi di messa in sicurezza per problemi di natura statici e i rischi sismici.
LA REPLICA DI OCCHIUTO
Attualmente, a quanto si legge nella relazione della Corte dei conti presentata martedì, al netto delle iniziative che non risultano divisibili in singoli ambiti regionali (poco più dell’1 per cento in termini numerici, ma oltre il 28 per cento in base al parametro del costo), il numero più elevato di interventi di spesa riguarda la Lombardia (15 per cento sul totale), la Campania e il Piemonte (entrambe poco meno del 10 per cento), nonché il Lazio, la Sicilia e il Veneto (ciascuna con il 7 per cento). In termini di onerosità dei progetti, Sicilia, Lazio e Lombardia superano l’11 per cento e la Campania si attesta al 10 per cento. Nello specifico, considerando le risorse destinate alle singole regioni, si evidenzia che dei 61,3 miliardi alla regione Lombardia sono stati assegnati 7,1 miliardi, alla regione Sicilia 7,1 miliardi, seguite dalla regione Campania 6,2 miliardi, che dai riparti ha ottenuto oltre il 10 per cento delle risorse complessive.
Quasi 6 miliardi sono destinati alla Puglia e circa 5,5 al Lazio; mentre le restanti risorse si dispiegano nei territori regionali con percentuali meno significative. La Calabria ha ottenuto 3,4 miliardi.
Occhiuto avverte: «Sul Pnrr Giuseppe Sala sbaglia completamente approccio. All’Italia sono stati assegnati oltre 191 miliardi di euro proprio perché il sud del paese è in difficoltà e merita, dunque, l’attenzione e i finanziamenti europei per potersi allineare alle regioni del nord. Senza il Mezzogiorno avremmo ricevuto molto, ma molto meno».
LE QUESTIONI
Di fronte alle repliche, gli esponenti dell’esecutivo sono stati interpellati dai giornalisti. Il viceministro delle Infrastrutture, Edoardo Rixi, ha dato la colpa di tutto al governo Draghi, e ha ipotizzato a Radio24 una cabina di regia mettendo tra gli obiettivi una riprogrammazione. Fitto, che ieri ha incontrato diversi commissari europei, ha risposto da Bruxelles.
Alla luce del rinvio di un mese da parte della Commissione europea della verifica degli obiettivi fissati dall’Italia per l’erogazione della terza rata del Pnrr, il ministro degli Affari europei dice comunque che il governo non ha timori: «C’è una consapevolezza della situazione sulla quale stiamo lavorando molto serenamente in collaborazione con la Commissione europea», ma ha ammesso che ci sono due questioni sul tavolo e la prima riguarda gli obiettivi per ottenere altri 19 miliardi. L’Italia sta facendo delle verifiche per tre target stabiliti dal precedente governo. Tra le misure rientrano le concessioni portuali, per la Commissione, allungate dal governo Draghi. Le reti di teleriscaldamento, e infine, i Piani urbani integrati. Fitto ha poi confermato che sono in corso ulteriori verifiche su alcuni progetti che non potranno essere realizzati: «Stiamo lavorando a una soluzione, tenendo conto del Repower Eu che l’Italia presenterà a breve», ha concluso. Il governo, ha anticipato, sta preparando da alcuni mesi una relazione complessiva, in cui entrerà nel dettaglio.
Il Pd ha chiesto al ministro Fitto di spiegare: «Abbiamo ribadito nuovamente la richiesta di avere una informativa urgente del ministro Fitto sui presunti ritardi e quali sono le modifiche di cui leggiamo quotidianamente sui giornali da giorni», ha detto Chiara Braga, capogruppo dem al suo primo giorno di servizio dopo l’elezione. «C’è il rischio concreto secondo noi di perdere una tranche importante di risorse e pensiamo che questa discussione vada fatta nella massima trasparenza in parlamento».
VANESSA RICCIARDI. Giornalista di Domani. Nasce a Patti in provincia di Messina nel 1988. Dopo la formazione umanistica e la gavetta giornalistica nella capitale, ha collaborato con Il Fatto Quotidiano e Roma Sette, e lavorato a Staffetta Quotidiana. Idealista.
DAGOREPORT il 28 Marzo 2023
Dimenticate di sognare i fantastici 209 miliardi del Pnrr destinati all’Italia. Sarà un miracolo se si riuscirà a incassarne la metà visto lo stato della macchina burocratica (un appalto de’ noantri va avanti per decenni), da una parte. Dall’altra, c’è l’incapacità a “mettere a terra” i progetti da parte del sistema industriale italiano.
Del resto il 40 per cento dei fondi settennali europei non siamo riusciti a spenderli. E l’impossibilità italica di gestire risorse e realizzare progetti è stato uno dei motivi di conforto per Mario Draghi nel lasciare Palazzo Chigi. Essì: una cosa è riempire un foglio di investimenti, un’altra è realizzarli.
Nel suo recente e disastroso viaggio a Bruxelles, Giorgia Meloni ha chiesto flessibilità nei tempi spostando alcune spese dal 2026 al 2029. “Ma il problema è molto più grosso: fra l'Italia e la Commissione europea c'è uno scontro in atto su investimenti già deliberati e riforme che avrebbero dovuto essere già completate”, sottolinea Alessandro Barbera su “La Stampa”..
Non solo. La dilazione richiesta dalla Ducetta verrà rimbalzata da una Unione europea che non ha per nulla digerito il ricatto italiano: io firmo il Mes in cambio di questo e quello. A Bruxelles si tratta con la vaselina, non col pugno sul tavolo. Vedi la sonora sconfitta del governo Meloni sullo stop alla vendita di auto a combustione interna dal 2035.
Dagospia il 29 Marzo 2023 FLASH! - "E' COLPA DI DRAGHI", E' IL TORMENTONE INTONATO DAL GOVERNO MELONI DAVANTI AL DISASTRO DEL PNRR, 209 MILIARDI CHE IN GRAN PARTE RISCHIANO DI RESTARE A DORMIRE NELLE CASSE DI BRUXELLES - BENE, AVVISATE GLI INQUILINI DI PALAZZO CHIGI: "MARIOPIO" NON CI STA PROPRIO DI DIVENTARE IL CAPRONE ESPIATORIO DI QUEI FENOMENI CHE HANNO BUTTATO GIU' IL SUO GOVERNO E ARRIVERA' MOLTO PRESTO IL MOMENTO CHE COMINCERA' A DIRE LA SUA...
La telefonata di Meloni a Draghi. Ecco come il governo ora vuole cambiare il Pnrr. L’Inkiesta il 30 Marzo 2023
La premier ha chiamato il suo predecessore spiegando che gli attacchi di Palazzo Chigi sul Piano non sono rivolti a lui ma all’Ue. L’esecutivo punta a prendersi due mesi in più per presentare la nuova proposta: l’idea è quella di dirottare più fondi sulla transizione energetica
(La Presse)
La presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha telefonato pochi giorni fa al suo predecessore Mario Draghi per spiegare la posizione del governo sul Pnrr. Il colloqui, raccontano i giornali, è stato precedente al comunicato di Palazzo Chigi sul Recovery Plan in cui il governo Meloni ha accusato il governo precedente di alcuni dei ritardi del piano. La premier avrebbe spiegato all’ex Bce che non è lui il bersaglio dell’esecutivo, ma un’Europa dal suo punto di vista ostile ai sovranisti e assai meno rigida con il governo precedente. Non sono attacchi rivolti a te, ma un tentativo di far intendere all’Unione europea che c’è bisogno di un atteggiamento meno rigido nei confronti del governo, è stato il senso della telefonata. Ma Draghi non ci avrebbe creduto più di tanto.
«Io so solo che Draghi ha lasciato le cose in ordine», dice a Repubblica Bruno Tabacci, sottosegretario a Palazzo Chigi con Draghi. «Ha promosso una transizione leale e ordinata. E loro adesso lo tirano in ballo. Difficile succeda, ma se Draghi dovesse seccarsi per davvero, ne vedremmo delle belle…».
Intanto, mentre il governo prova a ristabilire buoni rapporti con l’ex premier, prova anche a ottenere il via libera alla seconda rata del 2022, incagliata attorno ad alcuni obiettivi non congrui. secondo Bruxelles. Nel mirino sono finiti i finanziamenti deliberati per gli stadi di Firenze e Venezia. Due progetti deliberati quando a Palazzo Chigi c’era ancora Mario Draghi, appunto. «Conto che la Commissione europea non tratti questo governo diversamente da come ha trattato Draghi», ha detto ieri Matteo Salvini.
Se Bruxelles chiederà formalmente di toglierli dal capitolo del Pnrr, Giorgia Meloni dovrà farlo e scontare le lamentele dei sindaci Dario Nardella e Luigi Brugnaro. Sul piatto ci sono quasi venti miliardi di euro, ricorda La Stampa.
Il passaggio successivo è il cantiere per una completa revisione del Pnrr. Il ministro agli Affari comunitari e al Pnrr Raffaele Fitto sta preparando la relazione tecnica al Parlamento sullo stato dei progetti avviati. L’intenzione è quella di dimostrare che se ritardi ci sono non possono essere imputati a chi ha preso le redini del Piano da meno di sei mesi. La relazione arriverà entro la fine di aprile, a cavallo del Documento di economia e finanza. Il terzo passo sarà il «travaso» dei progetti più a rischio sotto l’ombrello dei fondi di Coesione in modo da liberare delle risorse che serviranno a finanziare il «RePowerEU».
Si tratta del fondo aggiuntivo per finanziare progetti relativi alla transizione energetica. L’Italia avrebbe a disposizione poco meno di tre miliardi, ma l’intenzione è di spostare su questa voce almeno una decina di miliardi dell’attuale piano, perché – secondo Fitto – quel canale permetterebbe di spendere le risorse più rapidamente, magari grazie al coinvolgimento di Eni ed Enel e alle semplificazioni normative per i nuovi impianti di rinnovabili già decise dal governo Draghi.
L’ultimo passo, il più complicato, sarà lo spostamento dei progetti dal Pnrr alla programmazione ordinaria dei fondi di coesione, quelli che l’Unione pianifica ogni sette anni per la crescita delle aree più deboli. Mentre il Pnrr deve essere completato entro la seconda metà del 2026, la spesa per i fondi dedicati alle politiche regionali si spinge fino al 2029.
Gli uffici della Commissione hanno fatto sapere al governo di aspettarsi l’intero piano di revisione entro fine aprile, ma su questo è in atto un braccio di ferro: il governo sostiene che la scadenza non sia giuridicamente vincolante e dunque cercherà di prendersi almeno un mese in più, se non due. L’obiettivo è trovare un accordo entro giugno.
Il problema è che molti programmi non potranno essere sostituiti, in particolare quelli che il governo pensava di finanziare con la quota parte dei prestiti, in tutto 120 miliardi sugli oltre duecento complessivi. Insomma, con molta probabilità il Pnrr italiano uscirà rimpicciolito.
Estratto dell’articolo di Mattia Feltri per “La Stampa” il 29 Marzo 2023
I primi giorni del dicembre 2020, la Börsen Zeitung, giornale di riferimento della Banca centrale tedesca, definì l'Italia di Giuseppe Conte una polveriera in grado di far saltare in aria l'intera Eurozona. Era uno dei tanti segnali, e tre mesi dopo a Palazzo Chigi c'era Mario Draghi.
Conte aveva avuto un ruolo importante nell'istituzione del Recovery Fund, ma i diffusi dubbi sulle sue capacità di impiegare oltre duecento miliardi […] stabilirono la sua fine. Ieri il ministro Raffaele Fitto ha confessato l'impossibilità di portare a termine alcuni progetti previsti entro il giugno '26. […] Rispetto a Conte, Giorgia Meloni ha due vantaggi. Primo, non c'è un altro Mario Draghi pronto per l'uso. Secondo […] ha una legittimazione popolare e una coalizione compatta […] l'ammissione di Fitto porta ora in capo all'attuale premier tutte le diffidenze allora riservate a Conte.
Intanto quasi sicuramente perdiamo un bel po' di denaro, poi sarà molto più difficile per il governo sovranista andare a Bruxelles a chiedere vincoli di bilancio un po' più laschi, o addirittura a portare avanti ipotesi di debito comune, cioè contratto dall'Unione europea anziché dagli Stati, per tenere in piedi le economie nazionali. […]
Estratto dell’articolo di Francesco Manacorda per “la Repubblica” il 29 Marzo 2023
È l’urlo del realismo preventivo o solo il gemito […] del disfattismo, quello che esce dalla bocca di Raffaele Fitto? Difficile pensare a un ministro che non con mesi, ma addirittura con anni di anticipo, getti la spugna sulle possibilità per il governo di effettuare tutti gli investimenti previsti dal Pnrr da qui al 2026. Difficile, ma intanto ieri è successo. C’è da capirlo, però, il povero Fitto.
Questi ultimi giorni sono stati un discreto calvario per il ministro degli Affari europei, che dovrebbe portare a casa oltre 200 miliardi di fondi Ue e si ritrova invece di fronte a una corsa a ostacoli tra piani in ritardo, moniti quirinaleschi con tanto di citazione di De Gasperi sulla necessità di «mettersi alla stanga», rimbrotti europei per bocca di commissari assortiti, docce gelate in arrivo da Bruxelles e infine – è storia di ieri – giudizi abrasivi della Corte dei Conti che sottolinea come nei prossimi due anni la spesa per il Pnrr dovrà aumentare sensibilmente per sfruttarne tutto il potenziale.
Dietro l’apparente precipitare degli eventi, c’è però un ampio e radicato pregresso che passa dall’amministrazione del sottopotere ministeriale alla sottovalutazione sistematica di alcune scadenze e procedure. Quando il nuovo governo è arrivato sulla pista del Pnrr non si è limitato a cambiare pilota della vettura in gara […] ma ha deciso che […] fino ai capi unità delle Missioni del Pnrr nei singoli ministeri fossero sottoposti a un rigoroso spoils system.
[…] Critica è stata anche la decisione di accorpare i denari del Pnrr con quelli del Fondo di Coesione, sebbene per definizione non abbiano le stesse modalità e obiettivi, visto che i secondi devono avere una ripartizione regionale. […] torna insistente la critica al lavoro del predecessore Draghi, che avrebbe fissato obiettivi irrealistici […] È sprovvedutezza di neo inquilini del potere o mossa meditata, l’inciampo continuo sul Pnrr? […] viene naturale inserire anche questo pasticcio in una più generale diffidenza della premier e del suo governo nei confronti dell’Europa.
[…] è la realtà politica di un’Unione a 27 con i suoi riti e anche le sue trappole, dove a battere i pugni sul tavolo si corre il rischio di ritrovarsi soli mentre i vicini distolgono lo sguardo. Dunque un più complesso gioco in cui si incrociano i flussi migratori e le responsabilità della prima accoglienza e della ricollocazione, la partita appunto dei fondi e quel Mes […]
[…] Chiedere un rinvio di un mese sui risultati a fine 2022 […] come ha fatto l’Italia non è in sé uno scandalo. Dal Lussemburgo alla Germania, altri Paesi hanno chiesto messe a punto dei loro piani nazionali, anche in funzione di un quadro economico diventato più complesso. Ma il rischio vero è quello di rinunciare ai fondi di quella che appare ancora come un’occasione unica per modernizzare l’Italia […]
Sebastiano Messina per “la Repubblica” il 29 Marzo 2023
Ce l’aspettavamo, che prima o poi l’Europa bloccasse i bonifici. Nessuno credeva davvero che saremmo riusciti a rispettare tutte le scadenze del Pnrr. Perché l’Italia ha un problema con i soldi. Siamo bravissimi a ottenerli in prestito, a distribuirli a pioggia, a prestarli, a regalarli e persino a farceli fregare dai truffatori. Ma se si tratta di spenderli bene, progettando qualcosa di utile, in un tempo ragionevole, qualcosa va subito storto. Le cose semplici non fanno per noi.
Valerio Valentini per “Il Foglio” – Estratto il 29 Marzo 2023
Lamentano un accanimento, un’ostilità “verso un governo che a qualcuno non piace, a Bruxelles”. Dicono, e lo dicono convinti di rivendicare una ragione, che “prima, quando c’era Draghi, non era mica così”. E forse non sanno di che sudore grondasse, di che sforzo diplomatico, quella supposta concordia tra la Commissione europea e Palazzo Chigi ai tempi del banchiere.
O forse lo sanno, ma preferiscono alimentare una narrazione diversa: che si sostanzia del solito vittimismo sovranista, della sindrome di accerchiamento così ricorrente, nelle impuntature patriottiche. Come che sia, Giorgia Meloni e i suoi collaboratori si preparano già a dover gestire una sorta di resa sul Pnrr: armano la contraerei.
C’è perfino una cartellina, già pronta. Raffaele Fitto l’è andata riempendo, nel corso di lunghi mesi di “monitoraggi”, con tutti i report che, a suo dire, certificano le storture presenti nel Pnrr elaborato da Draghi. Il più classico, insomma, degli alibi italici: l’eredità dei precedenti governi. È a questo che ieri una nota di Palazzo Chigi ha fatto esplicito riferimento per spiegare il perché di un ulteriore prolungamento della fase di assessment da parte della Commissione sugli obiettivi di dicembre. Ma non è che l’inizio.
E dunque ecco l’elenco dei programmi troppo ambiziosi o di bandi scritti male (le concessioni portuali, la costruzione degli stadi di Venezia e Firenze) di una mole di opere e di risorse attribuite a quei piccoli comuni del sud che “figuriamoci se di qui al 2026 riusciranno a mettere a terra tutti quei soldi”. E poi i conflitti irrisolti tra alti dirigenti del Mef e i vertici della cabina di regia a Palazzo Chigi (convocata per oggi per fare il punto anche sul RePowerEu), e poi i ritardi di spesa rispetto ai preventivi già certificati nella Nadef di ottobre.
Meloni lo aveva già detto, ai suoi colonnelli, ancora prima di ricevere l’incarico da Sergio Mattarella: “I ritardi del Pnrr sono evidenti e difficili da recuperare; sarà una mancanza che non dipende da noi, ma che a noi verrà attribuita anche da chi l’ha determinata”. Ma quella era una riunione privata, a Via della Scrofa. Ora l’idea della premier è di uscire allo scoperto.
Della serie: se a Bruxelles qualcuno si azzarda a incolparci, tiriamo fuori le carte. Ieri, il primo accenno. D’altronde già alla vigilia del Consiglio europeo, mentre Giuseppe Conte, alla Camera, rivendicava il suo successo di negoziatore europeo sul Recovery, Meloni non s’era trattenuta: “Se, se, er Pnrr: lo vedremo alla fine che successo”. Come a dire: è già scritto che vada tutto a ramengo. Venerdì, dopo il richiamo all’ordine da parte del capo dello stato, in FdI s’è accesa la paranoia: “Useranno il Pnrr per farci cadere”.
E dunque, dicono, se non alla luce di uno specifico sadismo antimeloniano, come spiegare la pignoleria con cui la Commissione insiste nell’opporre rilievi sui traguardi del dicembre scorso? I collaboratori del ministro dell’Ambiente, Gilberto Pichetto, di fronte all’ennesima contestazione su una minuzia che riguardai i target del teleriscaldamento (almeno 15 minuzie su 27 progetti, a ben vedere), hanno alzato le mani: “Ma è assurdo, così è impossibile lavorare”. Davvero, dunque, c’è una volontà d’infierire sull’Italia, da parte di Ursula von der Leyen?
E credibilità. “A noi certe cose non ce le lascerebbero passare mai”, è l’obiezione che già pare di percepire nei corridoi di Palazzo Chigi. La verità è, forse, che nel confronto tra Roma e Bruxelles, negli ultimi mesi qualcosa s’è guastato. Fitto gestisce le relazioni con la Commissione, sul Pnrr, con un’oculatezza maniacale, ma volendo tenere un controllo ferreo su ogni dispaccio, su ogni scambio di pareri.
Il rischio che il traffico s’intasi, così, è concreto. Il riassetto della governance – un riassetto su cui la Commissione si è riservata di approfondire, prima di dare il proprio nulla osta – crea inevitabilmente la necessità di aggiustamenti in corsa che complicano il lavoro.
Funzionari ministeriali che si occupavano dei progetti del Pnrr, ora destinati ad altro ruolo o scaricati in nome dello spoil system, ricevono ancora telefonate da chi gli è succeduto. E le domande sono talvolta di questo tenore: “Ma questa cosa che ci chiede la Commissione, cosa significa?”. Non proprio rassicurante, ecco.
Estratto dell’articolo di Simone Canettieri per Il Foglio il 29 Marzo 2023
(…) Dopo il Consiglio dei ministri Meloni preferisce non palesarsi. E’ preoccupata dal dossier Pnrr. Dietro ai dubbi della Commissione che congelano la seconda rata attesa dall’Italia (19 miliardi di euro) c’è una partita molto più ampia.
Riguarda il rapporto costruito in questi mesi dalla premier con l’Europa. Una tela diplomatica iniziata con il primo viaggio all’estero e continuata fino alla settimana scorsa. Visite, colloqui telefonici, Consigli europei, bilaterali (da ultimo quello con Emmanuel Macron giovedì notte) per scrollarsi di dosso il pregiudizio per “essere protagonisti e non subalterni con il cappello in mano”.
Ora però questa narrazione rischia di incrinarsi. Matteo Salvini di prima mattina sembra tornato ai tempi d’oro quando sparava a palle incatenate contro “i signori di Bruxelles”. Il vicepremier sulla vicenda dello stop ai motori a combustione a partire dal 2035 mette in mora l’“approccio ideologico della Commissione” informando tutti che l’anno prossimo “ci sarà il voto”. Il frontale dunque è servito.
Intanto, Raffaele Fitto, che è mister Pnrr, mette a verbale che sulla terza tranche congelata “il nostro approccio è assolutamente costruttivo e collaborativo, non si tratta di immaginare polemiche. Sarebbe singolare che gli obiettivi al 31 dicembre 2022 fossero in carico a chi si è insediato a ottobre”. L’ombra di Draghi si staglia sul dossier durante la relazione della Corte dei conti a cui partecipa il ministro per gli Affari europei.
“Se noi oggi capiamo, e lo possiamo capire anche da questa relazione, che alcuni interventi da qui al 30 giugno 2026 non possono essere realizzati, ed è matematico, è scientifico che sia così, dobbiamo dirlo con chiarezza e non aspettare il 2025 per aprire il dibattito su di chi sia la colpa”, spiega ancora Fitto. L’argomento è particolarmente delicato per Meloni: c’è in ballo la sua credibilità europea e sullo sfondo gli immancabili paragoni “con il mio predecessore”. Ecco perché alla fine di un Consiglio dei ministri ricco di provvedimenti anche molto rivendibili all’esterno preferisce non presentarsi. Fino all’altro giorno era pronta a illustrarli, ora c’è un cambio di strategia.
(…)
Il ricatto del gas.
I Carburanti.
Il Gas.
Carissimo petrolio: in un anno incentivi per 7mila miliardi di dollari. FABRIZIO GALIMBERTI su Il Quotidiano del Sud il 31 Agosto 2023
I sussidi ai combustibili fossili assorbono il 7% del Pil mondiale, per il petrolio predisposti incentivi per 7mila miliardi, sarebbe meglio cancellarli…
Se c’è un filo rosso che unisce questi anni di crisi è il prezzo dell’energia. La Russia aveva, già prima dell’invasione in Ucraina, tenuto a stecchetto le forniture del gas e del petrolio. Una sapiente regia dell’offerta, in vista dell’esplosione delle quotazioni che hanno seguito la cosiddetta ‘operazione militare speciale”. Da allora, anche se le quotazioni sono ridiscese, il mercato dell’energia si è fatto più fragile. Se è vero che, secondo le teorie del caos, il battito delle ali di una farfalla nell’Amazzonia può provocare un tifone a Tokyo, è anche vero che è bastata la notizia di un paventato sciopero degli operatori del gas liquido nel North West Shelf australiano per far impennare i prezzi europei del gas.
L’energia è un prodotto ubiquo, nel senso che si infiltra nei prezzi di tutti i prodotti, dalle pere ai tagli di capelli, dai sacchetti di plastica agli aeroplani, per non parlare delle bollette. Forse è venuto il momento di ripensare ai prezzi dell’energia, a come si determinano e a come dovrebbero essere determinati. Un contributo fondamentale in questo senso è venuto dal Fondo monetario. Uno studio, che forse un giorno sarà considerato seminale e rivoluzionario, ha fatto una diagnosi e proposto una terapia. («Fossil Fuel Subsidies Data: 2023 Update», di Simon Black, Antung A. Liu, Ian Parry, e Nate Vernon).
La diagnosi è semplice: i prezzi dell’energia vanno alzati, e di parecchio. Perché? Perché non riflettono i veri costi della produzione e del consumo di energia nel mondo. La terapia: togliere i sussidi ai combustibili fossili, e usare dei risparmi di spesa e/o delle maggiori entrate per ridurre le tasse e/o migliorare i servizi pubblici.
Cominciamo dalla diagnosi. La diagnosi dice che i prezzi dei combustibili fossili in giro per il mondo non tengono conto dei costi invisibili ma reali, in termini di inquinamento, di riscaldamento globale, di congestione, di danni all’ambiente, e chi più ne ha più ne metta. In un’economia ben temperata i prezzi devono essere eguali ai costi, più un ragionevole margine di profitto. Ma non tutti i costi sono riflessi dal mercato. Se l’Eni compera un barile di petrolio, quello che paga riflette i costi di estrazione del petrolio, più il trasporto, più il profitto del produttore. Ma non riflette quelle che in economia si chiamano le ‘esternalità’, cioè i costi esterni, non quantificati, legati alle conseguenze di cui sopra.
Come quantificare questi costi? Non è facile, ma gli economisti del Fondo lo hanno fatto, e sono così arrivati a stimare i ‘sussidi impliciti’ di cui beneficiano i prezzi dell’energia. Si chiamano ‘sussidi’ perché dovrebbero essere i governi, intervenendo là dove il mercato non opera, a correggere i prezzi per far loro riflettere il costo ‘vero’. Se non lo fanno, è come se dessero un sussidio. Poi ci sono i ‘sussidi espliciti’. Questi, che sono stati spesso usati di recente, si danno quando lo Stato interviene – esplicitamente, appunto – per sussidiare le bollette.
Ora, mettendo assieme i due tipi di sussidi, si arriva a conclusioni sorprendenti e preoccupanti. A livello mondiale, siamo a più di 7 trilioni (7mila miliardi) di dollari, il 7% del Pil mondiale. Insomma, mentre il mondo si affanna per limitare l’aumento delle temperature al famoso limite dell’1,5°, mentre quest’anno si avvia a essere il più caldo da secoli, mentre l’estate ci ha portato vampate di calore, morti e incendi, i Governi sussidiano i combustibili fossili al ritmo del 7% del prodotto mondiale. Per dare l’idea dell’insensatezza di questa politica, i Governi del mondo spendono il 4% del Pil per l’istruzione.
Gli autori dello studio stimano che la rimozione di tutti i sussidi eviterebbe 1,6 milioni di morti all’anno, aumenterebbe le entrate statali di 4,3 trilioni di dollari, e metterebbe l’economia del mondo sul sentiero giusto per realizzare gli obiettivi degli Accordi di Parigi.
Naturalmente, non è facile farlo. Gli aumenti considerevoli dei prezzi dell’energia sono necessari per spingere ai risparmi ma certo non sono popolari, anche se le misure raccomandate alla fine ridondano a beneficio della collettività: parte delle maggiori entrate possono essere usate per compensare le fasce più deboli, e il resto può essere usato per ridurre altre tasse sul reddito e/o per migliorare i servizi pubblici. Ma, difficile o no, è giunto il tempo di correggere una stortura nel sistema dei prezzi che ci fa molto più male che bene.
L’Iva sulle accise, la scandalosa tassa sulla tassa di cui la politica non parla. Si tratta di un sopruso fiscale che porta 5 miliardi l’anno nelle case dello Stato. Ma su cui vige il silenzio assoluto. Sergio Rizzo su L'Espresso il 29 Agosto 2023
Non contate sulle promesse elettorali. Sperare che vengano onorate è quasi sempre una pia illusione. Ed è successo così anche questa volta. Nessuno stupore, dunque, per il fatto che un governo guidato da chi aveva dichiarato guerra in campagna elettorale alle accise sui carburanti, promettendo di archiviarle definitivamente con un video da milioni di visualizzazioni, le abbia invece ripristinate nei loro valori massimi. Difendendole oltre ogni ragionevole dubbio. Ma se è perfino comprensibile che le difficoltà di bilancio costringano la politica a rivedere certe posizioni, qualcosa nelle dichiarazioni del ministro Adolfo «Urss» Urso comunque non torna. E ancora meno torna nel silenzio della presidente del Consiglio Giorgia Meloni e del suo vice Matteo Salvini.
Le accise non si toccano, dice Urso, perché i soldi servono per finanziare il taglio del cuneo fiscale. Se abbiamo capito bene, la benzina resta cara perché con quei soldi si alzano un poco gli stipendi, così magari i lavoratori possono anche pagare la benzina più cara. Il taglio del cuneo fiscale, insomma, viene finanziato pure dagli stessi lavoratori che ne dovrebbero beneficiare. C’è però un altro aspetto di questa vicenda decisamente più scandaloso dello scandalo delle accise che si sono accumulate nei decenni nel silenzio pressoché generale. Un aspetto sul quale colpevolmente si è sempre sorvolato. È il meccanismo assurdo per cui paghiamo una tassa sulla tassa. Un esempio rende bene il concetto. Un litro di carburante che costa alla pompa 1,812 euro incorpora il costo industriale di 0,757 euro, più le accise di 0,728 euro, più l’Iva di 0,327 euro. E proprio nell’ultima voce c’è una clamorosa stonatura. Perché l’Iva non viene applicata sul solo costo industriale, come sarebbe ovvio e giusto, bensì sulla somma del costo industriale più le accise. Ne consegue che oltre a pagare il 22 per cento di Iva sul carburante paghiamo anche il 22 per cento di Iva sulle accise. Che quindi non pesano per 0,728 euro al litro ma ben 0,888 euro. Se a questa cifra sommiamo anche la parte di Iva che grava sul prodotto industriale, si arriva alla conclusione che un litro di carburante per autotrazione non potrebbe in nessun caso costare meno di un euro: neppure se il petrolio fosse gratis
Basterebbe tuttavia eliminare questa tassazione impropria (e inaccettabile) sulle tasse per far scendere il costo del carburante da 1,812 a 1,652 euro al litro. Un taglio del 10 per cento circa e senza sfiorare le accise. Perché allora non si fa? Perché nessuno si indigna per una pratica moralmente riprovevole, che comunque viene applicata su una massa di beni di consumo, e perfino sulle bollette di luce e gas? Sono miliardi di euro che ogni anno lo Stato incassa di fatto in modo ingiustificato, tosando i contribuenti inconsapevoli. Ma che non sollevano alcuna reazione: nemmeno da parte delle forze politiche più ostili al fisco, a cominciare dalla Lega salviniana. Nessuno in Parlamento ha mai alzato davvero un dito per arginare questo inaudito sopruso fiscale. Solo la tassazione impropria sulle accise dei carburanti vale circa 5 miliardi l’anno. Fanno 85 euro per ogni italiano, e scusate se è poco.
Estratto dell’articolo di Fausta Chiesa per il “Corriere della Sera” il 18 agosto 2023.
Oltre un euro sulla benzina, per l’esattezza 1,061 euro, e 921 centesimi sul gasolio. Tra Iva al 22% e accise, la componente fiscale dei carburanti in Italia vale il 56,6% del prezzo della verde e il 51,8% del diesel ed è la più alta di tutta Europa: la più elevata in assoluto per il gasolio e la seconda per la Super, dove il nostro Paese è secondo dopo la Finlandia. Con le quotazioni di petrolio e prodotti raffinati che sono salite nelle prime due settimane di agosto anche i prezzi alla pompa sono aumentati.
Di quanto lo sanno bene gli italiani che si sono messi in viaggio e che ieri, in base ai dati diffusi dal ministero delle Imprese si sono ritrovati con la verde a 2,019 euro di media e il gasolio a 1.928 in autostrada, mentre nella rete stradale ordinaria si spende meno — 1.939 euro in media per la benzina e 1.827,7 euro per il diesel — ed è per questo che il primo consiglio per risparmiare è quello di fare il pieno in città, per quanto possibile.
In Europa Secondo l’associazione delle imprese di categoria (raffinazione, logistica, distribuzione) i rialzi recenti dipendono dall’aumento delle quotazioni internazionali. […]
Dunque il problema sono le tasse, quel combinato di accise e Iva che fa lievitare il prezzo. Anche ieri le associazioni dei consumatori sono tornate all’attacco. Il Codacons ha annunciato la volontà di fare una denuncia contro il ministero dell’Economia e delle Finanze con «diffida a congelare gli introiti delle accise, 2,2 miliardi, che rappresentano un’appropriazione indebita e una speculazione da aggiotaggio nei confronti dei consumatori». L’altro ieri l’associazione aveva annunciato denunce a 104 Procure e alla Guardia di Finanza. L’appello generale è tagliare subito le accise. […]
Le accise per lo Stato sono tasse fondamentali per far quadrare i conti. Tanto che nessun governo è intervenuto in maniera strutturale sulla questione. L’ultimo provvedimento è del governo Draghi, poco dopo lo scoppio del conflitto in Ucraina e la crisi con la Russia che è uno dei maggiori esportatori di greggio: da marzo a novembre 2022 ha introdotto uno sconto dell’accisa di 25 centesimi al litro, che valevano complessivamente 30,5 centesimi considerando l’Iva. Un provvedimento che il governo Meloni non ha rifinanziato e che è terminato a gennaio 2023. […] In Italia l’88% delle merci che arriva sugli scaffali viaggia su strada e l’aumento dei carburanti potrebbe avere un effetto sulla spesa. […]
Estratto dell’articolo di Antonella Baccaro per il “Corriere della Sera” il 18 agosto 2023.
Se potesse parlare, Benedetto Mineo, palermitano, classe 1961, amministratore delegato di Equitalia fino al 2013, poi passato a dirigere l’Agenzia delle Dogane sotto il governo giallo-rosso, dal 2021 nominato Mr Prezzi, forse renderebbe comprensibile il grosso equivoco in cui si è cacciato l’esecutivo Meloni.
L’equivoco di voler tornare, in un contesto che è completamente cambiato, ai tempi del Cip, il vecchio Comitato interministeriale prezzi, nato nel dopoguerra per dirigere un’economia a pezzi e resuscitato poi negli anni 70, per raffreddare l’aumento dei prezzi determinato dal rincaro del petrolio. […]
Se Mineo potesse parlare, forse spiegherebbe, come ha fatto a chi lo conosce bene, che negli altri Paesi europei (tranne la Svizzera, ndr ), la figura di Mr Prezzi praticamente non esiste. In Francia, ad esempio, si procede per protocolli, come quello anti-inflazione che dal primo ottobre, per un trimestre, coinvolgerà, su iniziativa di Urso, la grande distribuzione operante in Italia, in uno sforzo di calmierare i prezzi su alcuni articoli del carrello della spesa e di prima necessità. Anche qui, per ora, c’è una lettera d’intenti e molto scetticismo.
E che dire del caro-carburanti e dell’espediente del prezzo medio esposto? Secondo alcuni, la mossa avrebbe indotto chi finora era sotto quell’asticella a toccarla, sortendo l’effetto opposto. In questo caso Mr Prezzi ha introdotto un rigoroso monitoraggio giornaliero. Perché questo può fare il Garante dei prezzi: accendere i fari e relazionare al governo che poi prende le proprie decisioni. Oppure far giungere l’esito delle proprie osservazioni al Garante per la Concorrenza, che in questo tentativo di fermare la speculazione avrebbe un ruolo determinante.
Se Mineo potesse parlare, chiarirebbe che, in fondo, il suo potere è solo moral suasion e che, per esercitarlo su tutti gli attori in campo, questo governo lo ha dotato di strumenti straordinari, come quello di sanzionare chiunque ometta di trasmettergli i dati richiesti. Poteri che però finora non ha dovuto mai esercitare. […] se Mineo potesse parlare, probabilmente non si lamenterebbe del fatto che per «giocare» su tutti questi tavoli e altri ancora, la sua struttura è recentemente passata da una persona, lui stesso, a sei, compresi uno statista e un economista. […] il ruolo di Mr Prezzi non è retribuito, avendo già uno stipendio che gli deriva dall’incarico di segretario generale del ministero delle Imprese. Che è anche la ragione per cui molto probabilmente non lo sentiremo parlare.
Ora gli extraprofitti sono quelli dello Stato: 4 miliardi dall’aumento della benzina. Stefano Baudino su L'Indipendente il 18 agosto 2023.
Il governo, per bocca del ministro delle Imprese Adolfo Urso, l’ha detto chiaramente: nonostante il costo della benzina abbia toccato livelli record – raggiungendo ieri una media di 2,019 euro al litro e addirittura superando i 2,70 euro in alcune autostrade -, non si metterà mano al taglio delle accise sui carburanti. D’altra parte l’Esecutivo, nei primi 8 mesi dell’anno, grazie alle accise ha messo al sicuro un tesoretto di quasi 4 miliardi, un vero e proprio “extraprofitto”. Il tutto in barba alle promesse dei due principali partiti della maggioranza, Fratelli D’Italia e Lega, che quando si trovavano all’opposizione fomentavano le piazze al grido di “aboliremo le accise”.
In seguito alla decisione del governo di non prorogare il bonus dei 30 centesimi introdotto l’anno scorso dall’Esecutivo guidato da Mario Draghi per controllare l’impennata dei costi dei carburanti originata dallo scoppio del conflitto russo-ucraino, tra gennaio e giugno del 2023 l’accisa sui prodotti energetici ha prodotto 11 miliardi, con un incremento di oltre il 20% sul medesimo periodo dell’anno precedente. Il prezzo è infatti composto per il 58% dalla componente fiscale (che comprende Iva e accise) e per il rimanente 42% dal valore industriale. I vertiginosi aumenti delle ultime settimane hanno fatto volare l’Italia ai primi posti per i rincari nel continente europeo: tra luglio e la prima metà di agosto i ricavi derivanti dalle accise sarebbero cresciuti di altri 620 milioni rispetto all’annata precedente. In confronto al 2022, dunque, si assiste a un aumento del gettito pari a 2,47 miliardi, che, sommato all’Iva (1,25 miliardi), porta a 3,7 miliardi il valore delle entrate supplementari.
Sono sempre più lontani i tempi in cui Giorgia Meloni, da leader dell’opposizione, tuonava contro le accise: «Chiediamo che vengano progressivamente abolite, perché è uno scandalo che le tasse dello Stato italiano compromettano così la nostra economia», diceva solo nel 2019, mentre il suo programma politico prometteva una “sterilizzazione delle entrate dello Stato da imposte e su energia e carburanti e automatica riduzione di Iva e accise”. Ancora più recenti sono le parole del ministro delle Infrastrutture e leader leghista Matteo Salvini, che nel febbraio scorso forniva ampie rassicurazioni: «L’accordo è che qualora si arrivasse sopra i due euro, il governo interverrà, come è stato già fatto l’anno scorso. Adesso però siamo a 1,8 euro, e conto che il 2 davanti non lo si vedrà più». I cittadini, in realtà, quel numero lo stanno vedendo su moltissimi dei tabelloni che danno il “benvenuto” alle stazioni di servizio, mentre all’orizzonte non si scorge alcuna iniziativa mirata da parte del governo per cercare di raddrizzare la situazione.
A far discutere sono state, in particolare, le recenti dichiarazioni del Ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, il quale ha affermato che «il prezzo industriale è anche al di sotto di alcuni Paesi europei, Francia, Germania e Spagna», ma che «in Italia abbiamo una tassazione più elevata sui carburanti rispetto ad altri Paesi per contribuire al bilancio dello Stato, perché siamo più indebitati di altri». Urso ha giustificato la mancata riduzione delle accise sostenendo che le risorse incamerate dall’Erario verranno ben impiegate dall’Esecutivo: «Il costo della riduzione delle accise da marzo a dicembre del 2022 è stato di oltre 9 miliardi, esattamente il costo del reddito di cittadinanza. Il governo Meloni ha preferito utilizzare quelle risorse per il taglio del cuneo fiscale, per i salari più bassi e le famiglie più numerose. E vogliamo rendere queste misure strutturali. In questo modo possiamo aiutare le famiglie in difficoltà alle prese con l’inflazione e per dare uno stimolo al sistema produttivo attraverso i consumi». Le giravolte, insomma, non si contano più.
Tecnicamente, le accise sono un esempio di tributo indiretto, una tassa introdotta dallo Stato (secondo quantità decise dall’Istituzione e non applicata in percentuale, come avviene ad esempio per l’Iva) sulla fabbricazione o sulla vendita di prodotti di consumo per un obiettivo specifico, sebbene siano diventate strutturali con la legge di Stabilità del 2013. Esse garantiscono allo Stato importanti vantaggi, offrendo alle sue casse un gettito sicuro e immediato. Le accise ad oggi in vigore si applicano solo su alcune categorie di beni: oli minerali e loro derivati (benzina, gasolio, gpl, gas metano), bevande alcooliche (liquori, grappe, brandy), fiammiferi, sigarette, energia elettrica, oli lubrificanti. Nello specifico, le accise sui carburanti sono ben 18. Tra le più onerose, ci sono quelle riferite alla ricostruzione post-terremoto in Friuli (1976), alla missione Onu per la guerra del Libano (1982) e alla gestione dell’immigrazione dopo la crisi libica e al Decreto Salva Italia (2011). La prima volta che furono introdotte le accise sui carburanti fu nel 1936, al fine di sostenere le spese belliche per la guerra d’Etiopia; le ultime risalgono invece al 2014, in riferimento alle spese del Decreto Fare “Nuova Sabatini”. [di Stefano Baudino]
Estratto dell’articolo di Claudia Voltattorni per il “Corriere della Sera” giovedì 3 agosto 2023.
[…] Intanto ieri la Guardia di finanza ha diffuso i dati dei controlli sui benzinai. Saranno anche verifiche mirate e su soggetti già considerati a rischio, ma un distributore di benzina ogni tre controllato viola la normativa sulla trasparenza dei prezzi dei carburanti. Dall’inizio di quest’anno a fine luglio il nucleo speciale Antitrust delle Fiamme gialle ha controllato 7.528 impianti di distribuzione, riscontrando 2.357 violazioni: 746 per la mancata esposizione dei cartelli o per la difformità dei prezzi praticati rispetto a quelli indicati, e 1.629 per l’omessa comunicazione dei prezzi al ministero.
Nell’intero 2022 furono accertate violazioni di 2.809 operatori, ma una parte di questi è stata sanzionata anche quest’anno. Sebbene recidivi, sono tutto sommato pesci «piccoli» nel gran giro delle truffe che, complice il rialzo dei prezzi, continua anche adesso, nonostante l’obbligo di esporre il prezzo medio regionale o nazionale.
Nel mercato dei carburanti girano sempre più spesso benzina e gasolio contraffatti, magari importati come olio combustibile per smarcare i controlli, dove si fa uso delle più moderne tecnologie, come i congegni che alterano a distanza i misuratori delle colonnine di benzina. E si fa spesso ricorso al più classico degli illeciti, l’uso del gasolio per l’agricoltura e per la pesca, per rifornire le automobili. Se nel 2012 l’evasione era stimata in 924 milioni di euro, nel 2020 si calcola un mancato versamento delle accise per 1,7 miliardi.
Estratto dell’articolo di Fausta Chiesa per il “Corriere della Sera” domenica 30 luglio 2023.
[…] guardiamo ai dati. «L’attuale crescita del prezzo medio, di circa 0,03 euro al litro nella scorsa settimana — ha quantificato il ministero delle Imprese — è determinata da quanto si sta osservando nei mercati internazionali, a causa dell’aumento delle quotazioni sia del petrolio sia dei prodotti raffinati». E una spiegazione l’ha data anche l’Unem, l’associazione delle imprese che della raffinazione, della logistica e della distribuzione di prodotti petroliferi.
«Negli ultimi 10-15 giorni ci sono stati nuovi aumenti per una serie di motivi contingenti — cali ripetuti nelle scorte Usa, fermata di alcune raffinerie in Europa, domanda abbastanza sostenuta — che hanno alimentato la tensione sui mercati spot, con quotazioni internazionali cresciute di 6-7 centesimi mentre i nostri prezzi industriali sono aumentati di meno della metà. Il comportamento delle aziende è stato più virtuoso di Paesi come Francia e Germania. Oggi il nostro prezzo industriale (alla pompa al netto delle accise, ndr) della benzina è inferiore di 4-5 centesimi rispetto a questi Paesi, con punte di quasi 7 centesimi per il gasolio».
I rincari, sostiene l’Unem, coincidono con il rialzo delle quotazioni del greggio. Una spiegazione che non convince le associazioni dei consumatori. Restano differenze di prezzo, con forchette anche ampie tra quello più basso e quello massimo. Da che cosa dipendono? Posto che le compagnie indicano un prezzo consigliato, ma non possono imporlo perché il gestore sulla carta è libero, al di là della politica commerciale che lo stesso distributore vuole fare, ci sono condizioni diverse.
Innanzitutto in autostrada le concessioni costano di più ed è per questo che i carburanti sono più cari. La modalità servita è più cara perché si paga il costo del dipendente. Inoltre — dice Azzurra Pacces, esperta di Staffetta Quotidiana — i costi operativi sono diversi e dipendono per esempio dalla vicinanza a infrastrutture logistiche come i depositi e le raffinerie: più si è lontani e più costa il trasporto».
Siamo nel libero mercato e se c’è qualcuno che esagera con i rincari basta andare dal concorrente che ha prezzi più bassi. Oltre alle App che danno la mappa nazionale, avremo presto un aiuto in più: da domani entrerà in vigore l’obbligo di esposizione del cartello che, oltre ai prezzi praticati, dovrà contenere anche il prezzo medio regionale, se sulla viabilità stradale, e il prezzo medio nazionale se in autostrada. Insomma, a parte qualche caso isolato, i rincari sono dipesi dal rialzo del greggio. Ci attendono ulteriori rincari?
«Le quotazioni — sostiene Massimo Nicolazzi docente di Economia delle risorse energetiche all’università di Torino — dipenderanno dall’evoluzione della domanda, in particolare della Cina». […]
Estratto dell’articolo di Lodovica Bulian per ilgiornale.it domenica 30 luglio 2023.
In autostrada e nelle strade extraurbane ci sono prezzi che non si vedevano da quando al governo c'era Mario Draghi, che di fronte all'emergenza aveva varato il taglio delle accise sulla benzina - con oltre 7 miliardi stanziati tra marzo e novembre. Una riduzione che l'esecutivo Meloni aveva scelto di non prorogare, salvo trovarsi, a gennaio scorso, con un altro picco dei prezzi, poi di nuovo scesi negli ultimi mesi. Invece in questi giorni, alla vigilia del bollino rosso dell'esodo di agosto, in alcune tratte autostradali per il servito la benzina ha raggiunto il picco di 2,50 euro al litro.
Assoutenti denuncia carburanti alle stelle su tutta la rete […] senza un'apparente giustificazione. Non è lo stesso caro prezzi innescato oltre un anno fa dalla difficile congiuntura internazionale che mordeva gli Stati sull'approvvigionamento di gas ed energia. Ora i rincari sono anche concomitanti a una domanda di carburanti ai massimi, con 20 milioni di italiani in partenza ad agosto, come rileva Coldiretti, il 25 per cento in più di luglio.
Secondo Assoutenti, «l'andamento del petrolio potrebbe influire sugli aumenti dell'ultimo periodo - spiega il presidente di Furio Truzzi - ma la velocità a cui crescono i listini e la concomitanza con le partenze estive, ci fa temere che ci siano altre motivazioni. Chiediamo al governo di ricorrere a Mister Prezzi (il Garante per la sorveglianza dei prezzi, ndr) e alla Commissione di allerta rapida per svelare cosa avviene durante tutta la filiera, dall'estrazione alla vendita».
I numeri parlano. «In due mesi, da maggio ad oggi - continua Truzzi - la benzina ha registrato un rincaro medio del 4,9%, il gasolio del 5,6%. Un pieno di benzina al distributore più caro rilevato dalla nostra indagine, arriva a costare 127 euro». Secondo la Federazione dei gestori carburanti il nodo va però cercato nella gestione delle concessioni autostradali. «I concessionari hanno messo a reddito le loro concessioni non solo con i pedaggi, ma anche con le pompe di benzina e con la ristorazione», ha spiegato il segretario nazionale Alessandro Zavalloni arriva a costare 127 euro
Tutti in vacanza, con l'immancabile aumento della benzina. Andrea Soglio su Panorama il 28 Luglio 2023
Anche quest'anno guarda caso, nei giorni da bollino nero del traffico il prezzo dei carburanti tocca i massimi. Come accade da 40 anni
Gli italiani sono con la valigia pronta, direzione vacanze. Milioni di persone alla ricerca di riposo, sole, relax al mare o in montagna. Ed, immancabile, ecco a voi la sorpresa, che in realtà sorpresa non è. Perché mai come in questa settimana rispetto agli ultimi 3 mesi la benzina ed il gasolio hanno raggiunto prezzi record. La spiegazione degli esperti è semplice: c’è stata un’impennata del prezzo del petrolio. Tutto vero e confermato dalle cifre. Ma… Ma sono ormai 30 anni che ogni estate siamo davanti alla stessa storia. Qui, ad esempio, trovate un articolo sul caro prezzi dei carburanti del 1999, pezzo in cui si raccontava l’impennata agostana. Ovviamente le ragioni di allora erano diverse da quelle di oggi. e comunque trovare un motivo è piuttosto semplice: si può scegliere il rialzo del greggio legato ad una guerra internazionale, o ad un attentato o alla rivolta in questo o quel paese produttore oppure semplicemente alle sfide tra i grandi dell’Opec. Oppure si può scegliere in alternativa il rialzo, improvviso anche questo, del dollaro sull’euro (o la lira) e siccome il barile si paga con la banconota Usa ecco che il rialzo del prezzo alla pompa è automatico. Poi, quando a settembre la moneta dello Zio Sam rientrava sotto il livello di guardia ecco che, con più calma, il prezzo di gasolio e benzina scendeva. Tutto questo è una tradizione che ha visto impotenti governi di tutti i tipi, colori, alleanze e schieramenti. Nessuno riesce a fermare la gabella dell’aumento della benzina nel pieno delle vacanze che è un po’ come l’abituale “adeguamento” (chiamarlo aumento dal punto di vista della comunicazione aziendale suona male) delle tariffe delle autostrade il 1 gennaio, altro periodo di ferie e spostamenti, guarda caso. C’è però una buona notizia. Tra una decina d’anni tutto questo finirà. L’Europa ci chiede di usare solo auto elettriche e quindi potremmo finalmente liberarci di questi alti e bassi alle stazioni di servizio. Parlando di colonnine e corrente elettrica il prezzo dovrebbe restare più stabile… Ecco, dovrebbe. Ma siamo certi, una strada per fregarci la troveranno.
Benzina sempre più cara. Panorama il 28 Luglio 2023 Come Eravamo Andrea Soglio Da Panorama del 18 agosto 1999, di Alvaro Ranzoni
Sale il dollaro, aumenta la benzina. Cala il dollaro, come in questi giorni, e la benzina continua ad aumentare: oltre 2 mila lire, la super, nelle autostrade. Perché?
Agli inizi di luglio il ministro dell'Industria, il ds Pierluigi Bersani, aveva puntato l'indice sui petrolieri. "Il prezzo dei carburanti in Italia è superiore di 65-75 lire rispetto a quello medio degli altri paesi europei. Vi terrò sotto controllo tutte le settimane" aveva detto, quasi a confermare i sospetti sull' esistenza di un cartello delle compagnie, mentre, al contrario, ci si aspettava una vera concorrenza dalla liberalizzazione del prezzo dei carburanti introdotta nel 1994. Ma oltre un mese è passato, dei controlli settimanali del ministro Bersani non si è saputo più nulla e il prezzo ha continuato a salire. Adesso il sottosegretario all'Industria, Umberto Carpi, anche lui diessino, preoccupato per i riflessi sull'inflazione, convoca nuovamente i petrolieri per una seconda tirata di orecchi. Antonio Di Pietro non si lascia sfuggire l'occasione di intervenire su un tema molto popolare e vuol denunciare i petrolieri all'Antitrust. Intanto, gli italiani sono partiti per le vacanze con il pieno mediamente più caro di 6 mila lire rispetto all' anno scorso. Che quasi certamente diverranno 7 od 8 mila quando torneranno a casa. Tutti prevedono infatti che a fine agosto sarà raggiunto il tetto delle 2.050 lire per la super. L'Unione petrolifera, naturalmente, respinge ogni accusa circa il famigerato cartello. "Da noi la benzina è un po' più cara per il sistema di distribuzione arcaico che ci ritroviamo" afferma il direttore generale dell' Upi, Pietro De Simone. Mentre il presidente Pasquale De Vita, quasi a voler scongiurare guai politici, invita alla prudenza: "Un aumento di 50 lire? Non è scontato". Vedremo. Di certo i petrolieri sfrutteranno la situazione per riproporre un problema che sta loro molto a cuore: la chiusura di altri 5 mila distributori (specie sulle autostrade) oltre ai 2 mila già messi fuori servizio. "Nel resto d'Europa" aggiunge De Simone "il 95 per cento delle colonnine sono self-service, mentre da noi il 70 per cento sono servite da dipendenti. Il che porta già un aggravio di circa 50 lire al litro". Fosse solo questo. Il problema principale, oltre al rincaro del dollaro del 20 per cento sull'euro dall'inizio dell'anno (ma il fenomeno sembra essersi attenuato in questi giorni) e alla "carbon tax" introdotta dal governo (32 lire a litro), è invece che l'Opec, l'organizzazione tra 11 dei principali paesi produttori di petrolio, è riuscita a invertire la corsa al ribasso del prezzo del greggio. Attorno al Natale scorso un barile di petrolio era sceso ad appena 10 dollari. E la benzina nei distributori era al punto più basso dal 1968, quando costava 130 lire, corrispondenti a 1.800 attuali. Non poteva durare. A marzo l'Opec ha deciso di ridurre di circa 2 milioni di barili al giorno la produzione complessiva spingendo all' insù il prezzo del greggio: che infatti ha toccato in questi giorni quota 21 dollari. Altre volte l'Opec aveva tentato la stessa strada, ma sempre l' anarchia produttiva di alcuni suoi membri l' aveva rapidamente vanificata. Stavolta l'accordo tiene da cinque mesi e gli esperti prevedono che continuerà a tenere almeno fino a poco oltre i 21 dollari, che è il prezzo ritenuto "più equilibrato" nell'interesse dei paesi produttori e di quelli consumatori. Ma non basta ancora. Ci si aspetta un forte calo di disponibilità del petrolio russo almeno fino all' autunno. I petrolieri russi, che avevano lasciato quasi a secco il poco remunerativo mercato interno per vendere il greggio a prezzi più alti al resto del mondo sul mercato spot, hanno ricevuto in questi giorni l'altolà da un Boris Eltsin determinatissimo: da agosto fino a novembre, in coincidenza con l'avvicinarsi delle elezioni parlamentari, dovranno essere serviti prima i distributori di casa. E in autunno la domanda di greggio continuerà a salire per i serbatoi degli impianti di riscaldamento che verranno riempiti. Senza contare la sindrome da "millennium bug" che potrebbe indurre molta gente a largheggiare nelle provviste di carburanti. Insomma, quasi inevitabile rassegnarsi: la benzina diventerà più cara. E non basteranno le tirate d'orecchi del ministero dell'Industria a invertire la tendenza. E PER LA SUPER ANCORA TRE ANNI DI VITA Se l Europa concederà una proroga, chi non ha l'auto catalizzata potrà stare tranquillo Gli 11 milioni di italiani con auto non catalizzate possono tirare un sospiro di sollievo: ancora per tre anni la super non sparirà dai distributori di benzina. Il governo, infatti, ha chiesto all'Unione Europea una proroga alla direttiva che impone la scomparsa della "rossa" in tutta l'Unione a partire dall'1 gennaio 2000. Se la richiesta verrà accolta da Bruxelles, gli italiani avranno tre anni di tempo per smaltire le auto vecchie. Secondo un'indagine di Auto Oggi, sono circa 1 milione e mezzo le vetture che non funzionano con benzina verde, mentre altre 3,8 milioni sarebbero costrette a usare additivi o a interventi sul motore. Le altre auto non catalizzate, costruite dopo il 1988, funzionano anche con la verde: peccato però che inquinino di più.
Furbizia estiva o aumento del prezzo del petrolio. Cosa c'è dietro gli aumenti della benzina. Cristina Colli su Panorama il 21 Luglio 2023
Come ogni luglio, nel pieno delle partenze per le vacanze, ecco che alla pompa ci troviamo davanti l'abituale rincaro dei carburanti estivo. Ma forse non è solo colpa dei benzinai
Benzina self-service a 1,860 euro al litro, servito in autostrada a 2,179 euro al litro. Ci risiamo. Vacanze è sinonimo di fiammata dei prezzi dei carburanti. Lo abbiamo denunciato anche per Pasqua, quando con milioni di italiani in viaggio la benzina aveva registrato un +6% (+120milioni di euro rispetto alle festività pasquali 2022 secondo Codacons). E ora i numeri parlano chiaro e agosto, il mese con più macchine di vacanzieri, è alle porte. Il rialzo del costo del carburante, oltre a immediate conseguenze sulle tasche dei cittadini, impatta anche sull’inflazione e quindi di nuovo sulle tasche dei cittadini. Alle 8 di ieri mattina su 18mila impianti le medie dei prezzi erano queste (dati arrivati dai gestori all’Osservatorio prezzi del ministero delle Imprese e del made in Italy ed elaborati dalla Staffetta): benzina self-service a 1,860 euro/litro (compagnie 1,866, pompe bianche 1,846), diesel self-service a 1,707 euro/litro (compagnie 1,713, pompe bianche 1,693). Benzina servito a 1,995 euro/litro (compagnie 2,039, pompe bianche 1,908), diesel servito a 1,846 euro/litro (compagnie 1,890, pompe bianche 1,757). Gpl servito a 0,703 euro/litro (compagnie 0,713, pompe bianche 0,691), metano servito a 1,424 euro/kg (compagnie 1,426, pompe bianche 1,422). Sulle autostrade: benzina self-service 1,929 euro/litro (servito 2,179), gasolio self-service 1,790 euro/litro (servito 2,052), Gpl 0,833 euro/litro, metano 1,543 euro/kg. Basta paragonare i dati della benzina: oggi è in media a 1860 euro self-service, a gennaio 2023 era a 1833,59, a marzo 2023 era a 1855,41. Dopo mesi di ribassi siamo dunque intorno ai 2 euro per il servito. Perché? I petrolieri la spiegano così: il mercato del greggio è destabilizzato dalle incertezze geopolitiche per la guerra in Ucraina e quindi c’è la fluttuazione dei prezzi alla pompa. C’è poi il taglio ai barili. L’Organizzazione dei Paesi esportatori di petrolio lo scorso 4 giugno ha confermato il taglio e fissato il target di produzione a 40,46 milioni di barili al giorno, fino al 2024. Si tratta di un ulteriore taglio di 1,4 milioni di barili rispetto alla quantità totale attualmente prodotta e che pesa per il 40% della produzione mondiale di greggio. C’è poi la congiuntura economica, che dà segnali di una tendenza verso la recessione. Ma c’è anche, da dire, che il rischio speculazione è sempre dietro l’angolo. All’aumentare della domanda, chi fornisce il prodotto ne approfitta, aumentando i listini. E i milioni di italiani in partenza in queste e nelle prossime settimane, alla macchina non possono rinunciare. Quindi il pieno si fa, anche a 2 euro al litro. L’impatto sulle tasche degli italiani è sicuro, ma c’è di più. L’aumento del prezzo dei carburanti avrà conseguenze sulla prossima rilevazione dell’inflazione. A giugno l’Istat aveva confermato “una netta decelerazione” dell’inflazione, al 6,4%, grazie al progressivo calo dei prezzi del comparto energetico. E con l’inflazione c’è stata una lieve frenata anche del carrello della spesa (alimentari, cura della casa e della persona). Ma attenzione, il carocarburanti può stoppare questi lievi progressi. Le merci che compriamo sono trasportate su camion e veicoli che vanno a benzina o a gasolio. Quindi quei 2 euro al litro li troveremo anche sugli scaffali dei supermercati prossimamente. E nelle prossime rilevazioni dell’inflazione.
Estratto dell’articolo di Luigi Grassia per “la Stampa” il 18 luglio 2023.
Sembra proprio la consueta fiammata estiva dei prezzi dei carburanti: arriva la stagione delle vacanze e le compagnie ne approfittano per aumentare i listini della benzina e del gasolio, tanto sanno che gli automobilisti in partenza dovranno pagare comunque. I petrolieri negano che sia in atto una speculazione, ma intanto i rincari in Italia sono un fatto oggettivo: in modalità "servito" la benzina è tornata a costare in media 2 euro al litro, mentre l'osservatorio Quotidiano Energia rileva che le quotazioni internazionali dei carburanti sono in leggera discesa e quindi non possono essere invocate a giustificazione.
Secondo un altro osservatorio, quello (ufficiale) del ministero dei Trasporti, sulla rete nazionale il prezzo medio praticato della benzina in modalità "self service" nell'ultima rilevazione è di 1,865 euro al litro (contro 1,860 nella precedente), con i diversi marchi compresi tra 1,855 e 1,879 euro al litro (nei distributori "no logo", cioè non legati a determinate compagnie, si paga un po' meno: 1,848).
Invece il prezzo medio del gasolio "self" è di 1,712 euro al litro (rispetto al precedente 1,704), con le singole compagnie che oscillano fra 1,696 e 1,726 euro (no logo 1,695). Quanto al carburante in modalità servito, per la benzina il prezzo medio praticato è tondo, avendo toccato i 2,000 euro al litro (1,996 il dato precedente) con gli impianti che propongono prezzi tra 1,939 e 2,079 euro al litro (no logo 1,900). […]
Le multinazionali del petrolio hanno raggiunto il record di profitto nel 2022. Giorgia Audiello su L'Indipendente il 13 Febbraio 2023.
Nel 2022 le maggiori compagnie petrolifere e del gas del mondo hanno registrato profitti annuali da record grazie all’aumento dei prezzi degli idrocarburi, una tendenza presente fin da prima dell’inizio della guerra in Ucraina e solo peggiorata con lo scoppio del conflitto. Le major petrolifere Exxon Mobil, Chevron, BP , Shell e TotalEnergies dovrebbero riportare un utile combinato di 190 miliardi di dollari per il 2022 secondo le stime degli analisti di Refinitiv. In particolare, Chevron ha registrato un profitto di 36,5 miliardi per il 2022, pari a più del doppio degli utili degli anni precedenti, ma inferiori del 6,6% alle previsioni di Wall Street per il quarto trimestre: le azioni Chevron sono scese dell′1,5% nel trading pre-mercato a 184,85 dollari. I profitti di Shell, invece, hanno raggiunto i 39,9 miliardi di dollari, il doppio dell’anno precedente e i più alti dei suoi 115 anni di storia: hanno superato, infatti, il suo precedente record di 31 miliardi di dollari del 2008. L’amministratore delegato di Shell, Wael Sawan, ha affermato che i risultati «dimostrano la forza del portafoglio differenziato di Shell» e la capacità dell’azienda di fornire energia «nonostante le incertezze». Ancora, il gruppo americano ExxonMobil ha avuto utili record pari a 55,7 miliardi, il doppio del 2021, mentre Bp, nei tre mesi da luglio a settembre, ha più che raddoppiato a 8 gli utili dello stesso periodo dell’anno precedente, raggiungendo gli 8,2 miliardi di utili.
Una situazione che naturalmente ha suscitato la condanna degli attivisti climatici, i quali considerano paradossale che durante il processo di transizione ecologica, con i combustibili fossili che dovrebbero essere via via sostituiti completamente dalle energie rinnovabili, si assista a una ripresa così smaccata dell’industria del fossile, mentre per diverse ragioni il settore delle rinnovabili stenta a decollare, essendo la domanda di idrocarburi ancora molto alta. Il segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, ha affermato: «le compagnie petrolifere globali segnalano il 2022 come l’anno più redditizio della loro storia. Nel frattempo, il pianeta continua a bruciare mentre i budget delle famiglie si riducono. Dobbiamo cambiare rotta. L’unica direzione credibile da prendere è lontano dai combustibili fossili e verso le energie rinnovabili». Ciò non ha impedito alle amministrazioni dei colossi energetici di avere come massima priorità il premio degli azionisti attraverso la distribuzione di dividendi più elevati e riacquisti di azioni proprie: lo scorso anno, Shevron ha pagato 26 miliardi di dollari tramite dividendi e riacquisti agli azionisti e ha investito 15,7 miliardi di dollari in operazioni. Quest’anno aumenterà gli investimenti a 17 miliardi di dollari con due terzi delle spese negli Stati Uniti, dove la produzione di petrolio e gas è aumentata del 4% rispetto al 2021.
Il portavoce di Exxon Mobil, Erin McGrath, interpellato dalla CNBC, ha spiegato che i prezzi dell’energia più elevati sono «in gran parte il risultato di uno squilibrio tra domanda e offerta» e che sono gli investimenti dell’azienda negli ultimi cinque anni a guidare i risultati trimestrali. Dal canto loro, i portavoce di BP e Shell non hanno voluto commentare i risultati dell’intero anno, mentre Chevron e TotalEnergies non hanno risposto quando sono stati contattati dalla CNBC. I profitti da record dell’industria energetica sono visti come una sorta di “rivendicazione” dai colossi del settore, in quanto dimostrerebbero come per la sicurezza energetica globale il settore fossile sia ancora di fondamentale importanza in opposizione alle pressioni di azionisti e attivisti per investire in energia pulita. Mark van Baal, attivista per il clima e fondatore dell’associazione Follow This, con riferimento alla transizione energetica ha affermato che «Quello che abbiamo visto accadere nel 2022 è che le major petrolifere hanno utilizzato gli alti prezzi del petrolio e la crisi energetica per convincere gli investitori che la crisi energetica dovrebbe eclissare la crisi climatica e questo ha causato una battuta d’arresto».
Allo stesso tempo, anche il presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, ha condannato l’esorbitante mole di profitti realizzata dalle aziende energetiche, sebbene quest’ultime abbiano potuto realizzare utili da capogiro proprio a causa di certe politiche messe in atto dai governi: Biden ha accusato le compagnie petrolifere di aver raccolto una «manna di guerra», rifiutandosi contemporaneamente di aiutare a ridurre i prezzi del gas alla pompa per i consumatori americani. Inoltre, la Casa Bianca ha protestato contro la decisione della Chevron di triplicare la sua spesa per il riacquisto di azioni, pari ora a 75 miliardi di dollari. L’amministrazione Biden vorrebbe che le aziende abbassassero i prezzi per i consumatori.
Anche in Italia, il colosso energetico ENI ha registrato incassi da capogiro grazie all’aumento del prezzo di gas e petrolio, una situazione che potrebbe ulteriormente peggiorare con l’embargo petrolifero voluto dall’Ue con la potenziale diminuzione dell’offerta di petrolio da parte della Russia. In Occidente, i profitti extra delle compagnie petrolifere sono da attribuire soprattutto a precise scelte dei governi: in Europa, l’abbandono dei contratti a lungo termine con le società energetiche russe e il passaggio ai contratti “spot” sulla borsa di Amsterdam hanno consentito la speculazione con il relativo aumento dei prezzi. Una condizione peggiorata dalle sanzioni economiche che Ue e Stati Uniti hanno imposto alla Russia e per cui anche in America si è assistito ad una carenza di offerta di petrolio, tanto che Biden ha dovuto chiedere all’OPEC di aumentarne la produzione, richiesta peraltro non accolta dai principali produttori mondiali di greggio. Così, i colossi petroliferi hanno potuto approfittare della situazione energetica globale per aumentare esponenzialmente i profitti grazie agli stessi governi che dicono di sostenere la transizione alle energie rinnovabili, Unione europea in testa. Molti attivisti hanno dichiarato la necessità di denunciare i profitti delle aziende energetiche, in quanto «gran parte di questo denaro viene fatto a spese di milioni di persone che sono state spinte nella povertà a causa del costo alle stelle del gas». [di Giorgia Audiello]
Estratto dell'articolo di Paolo Baroni per “la Stampa” l’11 dicembre 2023.
[…] la Guardia di finanza ha accertato ben 204 episodi di importazione illecita di carburante portati a termine […]per un totale di 5 milioni di litri di prodotti petroliferi smerciati «in nero» tra il 2021 ed il 2022. È stato un controllo effettuato dalla Guardia di Finanza presso lo scalo intermodale di Trento a individuare un autoarticolato che formalmente doveva trasportare 26 mila litri di olio lubrificante mentre in realtà si trattava di gasolio.
Da qui si è partiti per smantellare una organizzazione internazionale dedita alla frode nel settore dei carburanti che ha portato ad indagare 41 persone, compresi 12 stranieri tra tedeschi, lettoni e lituani, ad arrestarne 6 e a mettere sotto sequestro beni per 3,2 milioni.
In ordine di tempo questa, resa nota giovedì dalla Procura della Repubblica di Trento, è solo l'ultima operazione portata a termine dalle Fiamme Gialle nel campo delle frodi e degli illeciti nel settore dei carburanti. Frodi che, come rivelano le cronache delle ultime settimane - 2.518 controlli solo nel mese di gennaio […] sono venuti alla luce anche fatti gravi come impianti abusivi, lo smercio illegale di gasolio agricolo, l'evasione delle accise e, in un caso, anche gasolio allungato con l'acqua.
L'operazione più clamorosa non ha riguardato però una pompa di benzina bensì un grande grossista, uno dei principali operatori nel settore dei carburanti, ed è stata portata a termine dal Comando provinciale di Salerno che il 19 gennaio ha scoperto maxi frode fiscale legata all'evasione dell'Iva. L'inchiesta - nella quale risultano indagate 82 persone – ha colpito un'associazione a delinquere che tra il 2017 ed il 2020 ha messo in piedi una maxi frode «carosello» arrivando a produrre fatture per operazioni inesistenti per oltre 900 milioni ed evaso oltre 160 milioni di euro di Iva.
[…] A inizio febbraio nella provincia di Foggia, dove in tutto la Gdf ha effettuato 68 controlli, sono emerse 22 violazioni relative alla mancata esposizione dei prezzi a bordo strada e l'omessa comunicazione al ministero. Nel corso dei controlli è stato scoperto anche un impianto completamente abusivo nascosto in un capannone nelle campagne di Cerignola attorno al quale si sviluppava un insolito movimento di auto.
Ad attirare i clienti un cartello esposto all'esterno con sopra scritto semplicemente «1,40», ovvero il prezzo con cui si smerciava gasolio agricolo, che essendo gravato da accise più basse rispetto ai carburanti destinati all'autotrazione è decisamente più conveniente. I due gestori sono stati denunciati e l'impianto è stato messo sequestrato assieme all'incasso del giorno e a 2 mila litri di carburante. […]
Caro-carburante, meglio non esporre i «prezzi medi». Perché l’Agcm (Autorità garante della concorrenza e del mercato), comunemente denominata Antitrust, ha criticato l’obbligo, previsto dal Decreto Carburanti, di esporre il prezzo medio regionale di vendita di benzina e gasolio? Nicola Costantino su La Gazzetta del Mezzogiorno l’1 Febbraio 2023
Perché l’Agcm (Autorità garante della concorrenza e del mercato), comunemente denominata Antitrust, ha criticato l’obbligo, previsto dal Decreto Carburanti, di esporre il prezzo medio regionale di vendita di benzina e gasolio? La presa di posizione ha meravigliato molti: infatti l’intenzione del decreto era proprio quella di aumentare la concorrenza a favore dei consumatori. In che modo, invece, l’esposizione del prezzo medio regionale non avvantaggerebbe noi consumatori, anzi rischierebbe di danneggiarci?
Per capirlo dobbiamo ricorrere al lavoro di uno dei più geniali, rivoluzionari, matematici del XX secolo. Ricordate il famoso, bellissimo, film A beatiful mind? Il suo personaggio principale, interpretato da Russel Crowe, era John Forbes Nash jr., premiato con il Nobel per l’Economia nel 1994 per i suoi contributi alla Teoria dei Giochi, formalizzazione logico-matematica di tutti i contesti in cui un operatore è chiamato a prendere delle decisioni in clima di incertezza, in quanto il risultato della scelta che sta per fare dipenderà anche da ciò che sarà deciso da altri operatori («giocatori»).
Famoso esempio è il «dilemma del prigioniero», che studia gli esiti delle singole decisioni di due accusati, presunti complici, di fronte all’alternativa offerta dall’inquirente: sconto di pena a fronte di collaborazione come pentiti; pena esemplare nel caso contrario. Nash dimostrò che, nel caso di “giochi ripetuti” (cioè di situazioni che si ripropongono più volte nel tempo, come è tipico di determinati contesti criminali) la soluzione “omertosa” è quella più conveniente (ovviamente per i criminali in gioco): il risultato, quello che è chiamato “equilibrio di Nash”, è la giustificazione logica dell’oggettivo vantaggio dei mafiosi a non collaborare con la giustizia.
In altro contesto, puramente di mercato, lo stesso meccanismo logico giustifica forme di oligopolio collusivo (cioè di accordi di cartello sui prezzi) impossibili da dimostrare, e quindi da perseguire, in quanto maturate senza alcuno scambio esplicito di informazione tra le parti interessate.
Esemplificando: supponiamo che in una determinata regione operino solo due venditori di carburanti (aumentandone, entro limiti ragionevoli, il numero la situazione non cambia sostanzialmente); se uno dei due innalza il proprio prezzo alla pompa, si alzerà anche il prezzo medio regionale; il secondo operatore potrà decidere di tenere il proprio prezzo più basso, aumentando così la propria quota di mercato, ma è consapevole che allora il primo potrà (il giorno dopo: è un gioco ripetuto) abbassare il proprio prezzo, vanificando il suo momentaneo vantaggio. Se invece il secondo operatore aumenta anche i suoi prezzi alla pompa, adeguandosi al nuovo prezzo medio, le quote di mercato non cambieranno, ma entrambi i venditori spunteranno prezzi più elevati, a danno della totalità dei consumatori. È una situazione win-win, “equilibrio di Nash”, appunto.
La Teoria dei Giochi ci dice che allora, in termini solo apparentemente paradossali, è molto meglio non pubblicizzare i prezzi medi. Non abbiamo dubbi che il governo, introducendo l’obbligo di pubblicità dei prezzi medi dei carburanti su base regionale, avesse il lodevolissimo obiettivo di scongiurare fenomeni speculativi e difendere i consumatori, ma a volte la scarsa conoscenza dei meccanismi economici (in questo caso di quelli studiati dalla Teoria dei Giochi) può condurre ad una perniciosa eterogenesi dei fini: viviamo in un mondo complicato!
Guardia di Finanza: a gennaio 989 violazioni riscontrate su 2.500 controlli ai benzinai. Redazione CdG 1947 su Il Corriere del Giorno il 30 Gennaio 2023.
Il colonnello Alberto Nastasia della Guardia di Finanza, in audizione alla Commissione Attività produttive della Camera, circa la trasparenza dei prezzi dei carburanti ha reso noto che nel solo mese di gennaio sono stati eseguiti 2.518 interventi, contestando 989 violazioni
I dati della Guardia di Finanza relativi ai controlli presso le pompe di benzina e alle violazioni riscontrate in tema di prezzi parlano chiaro e confermano le preoccupazioni dei consumatori. In audizione alla Commissione Attività produttive della Camera, circa la trasparenza dei prezzi dei carburanti, il colonnello Alberto Nastasia, capo Ufficio tutela uscite e mercati del Comando generale della Guardia di Finanza, ha evidenziato che a seguito delle direttive “impartite” dal governo è stata disposta “un’ulteriore intensificazione dell’azione di controllo“.
Nel corso dell’audizione Nastasia ha evidenziato che nel 2022 “l’accisa evasa sui carburanti è stata quantificata in oltre 450 milioni di euro”. Il tutto “a valle di 2.514 controlli su accise e Iva, rilevando 1.084 violazioni e deferendo all’autorità giudiziaria competente 866 soggetti, di cui 15 tratti in arresto“.
Il prezzo dei carburanti nel frattempo cresce su livelli elevati mentre continua a fare discutere l’aumento da inizio gennaio del prezzo della benzina, conseguenza della decisione di non prorogare lo sconto sulle accise che era stato varato dal governo Draghi.
“Nel solo mese di gennaio sono stati eseguiti 2.518 interventi, contestando 989 violazioni alla disciplina prezzi, di cui 341 per mancata esposizione e/o difformità dei prezzi praticati rispetto a quelli indicati e 648 per omessa comunicazione al ministero“.
Immediata la reazione delle associazioni di consumatori. “Le violazioni sul fronte dell’esposizione dei prezzi al pubblico, le irregolarità e l’omessa comunicazione dei listini al ministero proseguono indisturbate – denuncia il Codacons – Una situazione grave che conferma, qualora ce ne fosse ancora bisogno, tutte le nostre denunce circa le anomalie dei prezzi e i comportamenti scorretti a danno dei consumatori” aggiungendo “I numeri della Guardia di Finanza accertano come sia indispensabile garantire agli automobilisti maggiore trasparenza in fatto di prezzi alla pompa, e come serva incrementare le sanzioni verso i benzinai scorretti perché quelle attualmente in vigore fanno il solletico ai gestori e non rappresentano un adeguato deterrente” .
Sul dossier benzina è intervenuto nei giorni scorsi Adolfo Urso ministro dell’Industria e del Made in Italy . “Siamo disponibili, sulla base delle sollecitazioni che giungeranno in Parlamento, ad eventuali ulteriori modifiche migliorative sempre a garantire la trasparenza“, ha detto il ministro ribadendo la posizione del governo nel tentativo di rassicurare la categoria che mercoledì scorso ha sospeso lo sciopero di due giorni – poi ridotti a uno – contro il decreto “trasparenza”, ma non la mobilitazione. Redazione CdG 1947
Sciopero dei benzinai: tutto quello che c’è da sapere. Barbara Massaro su Panorama il 24 Gennaio 2023
Dai distributori aperti alle ragioni della protesta ecco una guida per sopravvivere a 48 ore di sciopero
Nemmeno la mediazione in extremis del Governo è riuscita a scongiurare lo sciopero dei benzinai: serrata di 48 ore con prevedibili disagi per automobilisti e autotrasportatori. Rifornire la propria vettura di benzina o diesel tra le ore 19 di martedì 24 gennaio fino alle 19 di giovedì 26 sulla rete ordinaria e dalle ore 22 del 24 alle ore 22 del 26 gennaio sulla rete autostradale sarà difficile, ma non impossibile. Il carburante viene considerato bene essenziale e almeno il 10% dei 22.654 impianti di distribuzione di carburante dovrà essere funzionante.
Come e dove fare benzina Ad aderire alla protesta sono praticamente tutte le maggiori associazioni di settore da Faib Confesercenti, passando per Fegica per arrivare a Figisc Anisa Confcommercio. Solo gli impianti gestiti direttamente dalle compagnie petrolifere dovrebbero rimanere a disposizione dei consumatori perlomeno nella modalità self service, ma spesso non è facile riconoscerli visto che, sebbene il marchio appartenga alla società, il più delle volte la gestione è affidata al soggetto privato che può aderire o meno allo sciopero. Inoltre, per legge, nelle aree urbane ed extraurbane dovrà essere attivo un numero di impianti pari al 50% di quelli attivi nei giorni festivi e saranno le prefetture a individuare quali e a fornire le indicazioni inerenti sulle rispettive pagine web. Sulla rete autostradale, invece, le singole regioni sono chiamate a individuare quali distributori dovranno rimanere aperti (perlomeno 1 ogni 100 km). Pertanto sarà possibile rifornirsi in 175 su 477 distributori lungo la rete autostradale e la Conferenza delle regioni ha fornito il link per sapere quali sono i distributori aperti. Non sarà quindi impossibile muoversi in macchina in questi giorni nonostante la levata di scudi da parte dei gestori sia molto forte. Le ragioni della protesta Come si legge nella nota sindacale i benzinai protestano contro «la vergognosa campagna diffamatoria nei confronti della categoria e gli inefficaci provvedimenti del governo che continuano a penalizzare solo i gestori senza tutelare i consumatori».
Si legge inoltre: «Non vogliamo più passare per speculatori e furbetti, quando i nostri prezzi alla pompa non vengono certo decisi a piacere del gestore. Speculatori e furbetti da controllare da parte del governo con assurdi cartelli, gli ennesimi, e sanzioni spropositate per aumenti che sono chiaramente legati solo al ritorno delle accise. Forse sarà bene anche ricordare di quali mirabolanti guadagni stiamo parlando per i gestori. Su un rifornimento di 20 euro, 11,72 euro, pari al 59%, vanno allo Stato, 7,9, pari al 39%, vanno alle compagnie petrolifere ed infine 0,38 lordi, pari al 2%, al gestore». Come si è arrivati alla rottura Alla rottura col governo si è arrivati dopo giorni di serrati faccia a faccia e la posizione di Palazzo Chigi è riassunta dalle parole del Presidente del Consiglio Giorgia Meloni che, a proposito dei rappresentati del settore ha dichiarato: «Li abbiamo convocati già due volte, il governo non ha mai immaginato provvedimenti per additare la categoria dei benzinai, ma per riconoscere il valore dei tanti onesti. Poi la media del prezzo non diceva che erano alle stelle. Sono state molto poche le speculazioni. Ma non potevamo tornare indietro su provvedimento che è giusto: pubblicare il prezzo medio è di buon senso. Su altro siamo andati incontro. Nessuno vuole colpire la categoria». Cos’è il cartello del prezzo medio Al centro della querelle l’introduzione del cartello del cosiddetto prezzo medio a seguito delle polemiche dovuta alla reintroduzione delle accise che i gestori ritengono essere un adempimento aggiuntivo ai tanti altri che già ci sono. Dai sindacati fanno sapere che «il gestore ha una decina di adempimenti fiscali e amministrativi, dalla comunicazione prezzi alla trasmissione telematica dei corrispettivi, dalla bollatura degli erogatori all’esposizione dei prezzi sulle carreggiate sugli impianti fino all’esposizione dei differenziali, alla fattura elettronica. Dunque, nessuna contrarietà alla trasparenza, a patto che questa non si trasformi in nuovi appesantimenti gestionali a carico dei benzinai e conseguenti nuove sanzioni». Il ruolo delle società petrolifere Terzo polo dell’attuale tensione è poi quello costituito dai consumatori che, a loro volta, tramite le associazioni di settore, minacciano contromisure e denunce e accusano le compagnie petrolifere ritenute le vere responsabili dell’attuale situazione come riferito da Assoutenti: «Più che uno sciopero dei benzinai, quello che partirà oggi è uno sciopero voluto e ordinato dalle compagnie petrolifere, vere protagoniste della battaglia contro la trasparenza sui prezzi dei carburanti». Il presidente Furio Truzzi aggiunge che «i gestori hanno già visto accolte le proprie richieste, con il governo che ha modificato il decreto trasparenza rendendolo compatibile con le esigenze dei benzinai, circostanza che già di per se fa venire meno le ragioni della protesta. Ad alimentare il sospetto che dietro la serrata dei distributori ci siano le compagnie petrolifere, è anche il fatto che migliaia di pompe presenti in Italia sono di proprietà delle società petrolifere, con i vari marchi che impongono il prezzo al pubblico lasciando un margine ridottissimo ai benzinai». La nuova fiammata dei prezzi Intanto il prezzo della benzina continua a salire spinto da società petrolifere come Eni che ha deciso di aumentare diesel e benzina di 2 centesimi al litro, Q8 che la segue con lo stesso rincaro e IP che aumenta il prezzo del carburante di 1 centesimo di euro al litro.
Pompa Lagna. Giovanni Vasso su L’Identità il 24 Gennaio 2023
I benzinai entrano in sciopero. Da questa sera i gestori degli impianti incroceranno le braccia, anzi chiuderanno le pompe, anche quelle del self service, per 48 ore. È evidentemente fallita la mediazione tra gli esercenti e il governo e lo scontro, dopo il decreto Trasparenza, non s’è placato. Pertanto, i benzinai dalle 19 di oggi in città e dalle 22 in autostrada, si asterranno dal lavoro. Le sigle di categoria, Faib, Fegica e Figisc-Anisa, hanno motivato lo sciopero puntando il dito contro il governo che, “invece di aprire al confronto sui veri problemi del settore” secondo gli esercenti “continua a parlare di trasparenza e zone d’ombra solo per nascondere le proprie responsabilità e inquinare il dibattito, lasciando intendere colpe di speculazioni dei benzinai che semplicemente non esistono”.
Al ministro per il Made in Italy Adolfo Urso, che pure aveva indetto un tavolo di confronto con i gestori, la decisione suona eccessiva e incomprensibile. “Non capisco come si possa scioperare contro la trasparenza, contro un cartello. E temo che non lo capiscano nemmeno i cittadini – ha detto al Corriere della Sera. Il decreto prevede che in ogni stazione sia visibile il prezzo medio regionale, ciò a beneficio dei consumatori come della stragrande maggioranza dei gestori: la trasparenza aiuta tutti”. Scettico è anche il governatore della Liguria Giovanni Toti: “L’idea di aggiustare le accise con soldi pubblici credo sia errata e il governo ha fatto bene a non farlo. Siccome si farebbe con i soldi delle tasse degli italiani, vorrebbe dire utilizzare le tasse di qualcuno tra i più poveri per aiutare altri a fare il pieno alla propria Porsche”. E dunque: “Credo che anche il mercato della benzina si sistemerà – ha concluso il governatore intervistato a Mattino 5 – come sta accadendo con il gas che in queste settimane sta scendendo in modo molto sensibile, tanto che posso immaginare che alla fine del semestre il governo potrebbe addirittura avere un piccolo tesoretto dai soldi messi nella legge di stabilità per abbattere le bollette del gas e della luce”.
La decisione dei benzinai ha causato la reazione dell’opposizione. Il capogruppo alla Camera M5s, Francesco Silvestri, tuona: “Le accuse rivolte ai benzinai da parte del governo, additati come i responsabili della speculazione per l’aumento dei prezzi del carburante, dimostra come questo esecutivo scelga sempre di colpire gli anelli più fragili della catena per coprire le proprie inadeguatezze e incompetenze”. E quindi: “Lo sciopero, così come tanti altri provvedimenti e posizioni sbagliate del governo Meloni, causerà gravi danni ai cittadini, costretti a fare i conti con un esecutivo che, non solo non riesce a risolvere i problemi, ma ne causa di nuovi. Giorgia Meloni e la sua maggioranza dovrebbero immediatamente ammettere di aver cercato un capro espiatorio per cercare di nascondere gli effetti delle loro scelte politiche e chiedere scusa alla categoria dei benzinai, e dopo di loro a tutti gli italiani”. Piovono critiche anche dal Terzo Polo. Maria Stella Gelmini spiega: “Il governo Meloni prima non ha confermato il taglio delle accise sui carburanti fatto da Draghi, poi ha cercato di rimediare con il decreto sulla trasparenza, ma la toppa è stata peggio del buco”.
Intanto i consumatori si preparano alla battaglia. Contro i benzinai. Il Codacons ha annunciato di aver depositato un esposto alla Procura di Roma: “Una decisione gravissima che va oltre uno sciopero di categoria e creerà enormi e ingiustificati danni al paese e ai cittadini. Lo sciopero appare ancor più immotivato e sbagliato se si considera che il governo, su richiesta degli stessi benzinai, ha annacquato il decreto trasparenza, eliminando l’obbligo di indicazione giornaliera dei prezzi medi e riducendo drasticamente le sanzioni per i distributori scorretti”. Parole durissime anche dall’Unione nazionale dei consumatori: “La verità dei fatti è che la lobby dei benzinai ha già vinto, visto che il Governo, dopo aver partorito un topolino, si è già rimangiato il decreto, riducendo le multe dai 516 euro attuali al ridicolo balzello di 200 euro. Il fatto che i benzinai non abbiano revocato lo sciopero è solo perché, avendo capito la debolezza del Governo, possono ottenere passi indietro ulteriori, magari persino su pompe bianche e grande distribuzione, facendo precipitare il Paese a prima delle lenzuolate Bersani”.
Benzina, la verità che nessuno dice: quanto costa ora un litro. Antonio Castro su Libero Quotidiano il 14 gennaio 2023
Lo sciopero del 25 e 26 gennaio dei distributori di carburanti è stato "congelato". L'incontro di ieri tra governo, esercenti e (più tardi), con le associazioni dei consumatori ha partorito, per il momento, una "sospensione" della minacciata serrata. I gestori (21mila quelli attivi in Italia), non ci stanno a passare per vampiri. Scomparsi gli sgravi fiscali protratti per tutto il 2022 (che però costavano 1 miliardo al mese di quattrini pubblici), il prezzo alla pompa è decollato. A pensarci bene nel marzo 2022 (governo Draghi) il costo al litro viaggiava tra i 2,137 euro per la verde e il 2,125 del gasolio. Una enormità. Oltre 20 centesimi in più rispetto al prezzo medio registrato nelle ultime settimane (1,8 al litro). Qualcosa c'è stato che ha fatto temere nuove fiammate dei prezzi come quando l'inizio della guerra in Ucraina fece lievitare i costi. E la speculazione che ha contribuito e ci ha messo del suo. Complice anche uno sparuto numero di furbetti che hanno approfittato della cancellazione della seconda tranche di sconti sulle accise per rubacchiare qualche centesimo in più al litro.
PACE CONDIZIONATA
Ieri il governo ha promesso di intervenire per stemperare le tensioni. Ed evitare ricadute sul portafoglio degli automobilisti. E così i rappresentanti dei 21mila gestori e titolari degli impianti si sono "riappacificati". Martedì prossimo 17 gennaio - ma questa volta a Palazzo Chigi alle 14.30- esecutivo e gestori torneranno a confrontarsi per affrontare i temi più delicati del settore. Insomma, l'incontro con il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Alfredo Mantovano, sembra essere andato bene. Lo definisce un «vertice proficuo» il presidente di Faib Confesercenti, Giuseppe Sperduto. Sicuramente l'attenzione tempestiva dei ministri dell'Economia, Giancarlo Giorgetti e delle Imprese, Aldolfo Urso e dal Garante per la sorveglianza dei prezzi, Benedetto Mineo, ha tranquillizzato molto gli animi.
«Il governo ha ascoltato le esigenze della categoria e siamo nella condizione di sentirci abbastanza soddisfatti. È stato stabilito un nuovo incontro per far partire il tavolo tecnico ed emergenziale di settore che chiediamo da tempo», ha sintetizzato il presidente della Figisc, Bruno Bearzi. Nel primo pomeriggio di ieri è stato il ministro Urso ad offrire un quadro complessivo: «Si sono tranquillizzati e abbiamo preso atto entrambi che ci sono state delle situazioni di non comprensione reciproca. C'è ora la massima collaborazione». Certo il governo «ha garantito che dalla bozza del decreto trasparenza sui prezzi che girava non è definitiva». Sul fronte dei consumatori l'esecutivo ha anticipato che «potrebbe introdurre nel provvedimento un meccanismo di sterilizzazione dell'Iva sui carburanti nel decreto sulla trasparenza dei prezzi in attesa di pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale». Per il momento è solo una ipotesi. Bisognerà attendere e vedere se gli incassi Iva aumenteranno. In questo caso Palazzo Chigi utilizzerà l'eventuale maggior gettito per abbattere i costi.
MAGGIOR GETTITO
«Si parla di come sterilizzare eventuali aumenti dell'Iva e questo sarà uno degli argomenti del decreto legge che vedrete pubblicato sulla Gazzetta ufficiale», ha spiegato Urso. Ma non basta. I gestori avrebbero ricevuto anche rassicurazioni sulle sanzione in caso di errata comunicazione sui prezzi applicati. Il timore era l'introduzione della penalità massima: si poteva arrivare «alla sospensione dell'attività dai 7 ai 90 giorni». Le associazioni dei consumatori, in una nota congiunta, tornano a chiedere «provvedimenti su tassazione e lotta alla speculazione». Ma al centro c'è una riforma complessiva del settore. A dirla tutta oggi «i prezzi del gas sono più bassi rispetto all'invasione russa dell'Ucraina». Facendo due conti «i prezzi del gas al Ttf sono crollati di oltre l'80% rispetto ad agosto», ha scandito la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, nella conferenza stampa a Kiruna con il premier svedese Ulf Kristersson.
C'è da augurarsi che la tendenza continui a lungo. In Italia sono presenti circa 21mila distributori di carburante. Una frammentazione della rete - rispetto agli altri partner europei - che secondo i grossisti contribuisce a mantenere alti i costi. Da noi il prezzo è sì più elevato delle medie europee, mala responsabilità è nella componente fiscale (tra le più alte dell'Ue). La riforma del settore è comunque alle porte. L'Unione Petrolifera ricorda che nel nostro Pese sono presenti circa «il doppio dei distributori di Francia e Spagna». Anche in Germania, dove la popolazione è di oltre 20 milioni di persone superiore a quella italiana, le stazioni di erogazioni sono in tutto 14mila, 7mila in meno rispetto all'Italia. Nei prossimi anni la partita si giocherà sulla chiusura o meno di migliaia di impianti.
Luigi Grassia per “la Stampa” il 13 Gennaio 2023.
«Il governo ha capito di aver sbagliato accusandoci di speculazione per i rincari» dice Bruno Bearzi, presidente del sindacato dei benzinai Figisc Anisa Confcommercio, «e per salvare la faccia ha fatto due cose inutili, e forse illegali: ci ha imposto di esporre i prezzi medi nazionali dei carburanti, e questa può essere una violazione delle norme antitrust italiane e europee, perché spinge a uniformare i prezzi, e poi ci ha obbligato alla comunicazione quotidiana, anziché settimanale, degli aggiornamenti di prezzo, moltiplicando così il rischio di sanzioni da 1032 euro e di sospensione delle licenze in caso di reiterazione».
Bearzi ci comunica proprio nel corso di quest' intervista che stamattina alle 11 le associazioni della categoria incontreranno a Palazzo Chigi i ministri Giancarlo Giorgetti (Economia) e Adolfo Urso (Imprese), ma con queste premesse sembra difficile evitare lo sciopero dei gestori fissato per i giorni 25 e 26 gennaio.
Il problema dei prezzi alti dei carburanti è oggettivo. Voi benzinai che cosa proponete per risolverlo?
«Tagliare le accise, e farlo in maniera permanente, sarebbe un'ottima cosa. E per recuperare risorse il governo dovrebbe impegnarsi contro l'evasione fiscale nella distribuzione dei carburanti: secondo la testimonianza del pm Sandro Raimondi alla commissione Attività produttive della Camera, il 30% dell'erogato è in nero, e questo corrisponde a un mancato introito per le casse dello Stato di 12 o 13 miliardi all'anno. La stessa somma che serve a finanziare il taglio delle accise».
Voi benzinai respingere l'accusa di essere speculatori? Se non voi, c'è qualcun altro che specula?
«Questa accusa, che ci è arrivata da alcuni esponenti del governo, è smentita dagli stessi numeri del governo: al momento in cui parlo, si legge sul sito del ministero della Sicurezza energetica che dal 1° gennaio il prezzo medio dei carburanti è aumentato di 16,3 centesimi al litro, mentre le accise sono cresciute di 18 (cioè 15 più Iva).
Quindi c'è stato un rincaro inferiore a quello delle accise, altro che speculazione. Del resto, si sa che le speculazioni avvengono nella parte alta della filiera, al livello della finanza e dei contratti "future", non al nostro: come ha detto il ministro dei Rapporti con il Parlamento, Luca Ciriani, "nessuno specula su pochi centesimi"».
Qual è il margine di guadagno dei gestori per litro?
«Appena 3,5 centesimi lordi. Per noi già la commissione sul Pos è un salasso».
Lei ha detto di temere per i benzinai più multe e sospensioni di licenze: come mai?
«Finora dovevamo comunicare al Ministero gli aggiornamenti di prezzo con cadenza quotidiana, oppure settimanale nel caso che le variazioni non ci fossero. Invece con le nuove regole la cadenza diventa quotidiana in ogni caso, e bastano poche ore di ritardo nella comunicazione per incorrere in sanzioni. Le multe sono di 1032 euro per ogni violazione, e in caso di recidiva può arrivare la sospensione della licenza fino a 90 giorni. E in tale eventualità la compagnia titolare dell'impianto può cogliere l'occasione per sciogliere il rapporto col benzinaio».
Cosa sono le accise sulla benzina e perché non il governo non vuole tagliarle. Claudia Fusani su Il Riformista il 13 Gennaio 2023
Due giorni di scioperi dei 22 mila gestori di pompe di benzina in Italia. Il 25 e il 26 gennaio, tra due settimane. “Ci avete rovesciato addosso un fango assurdo e ingiustificato. Ora basta: l’aumento del costo dei carburanti è una decisione del governo, noi non c’entriamo nulla” hanno tuonato esausti i rappresentanti di tutte le sigle sindacali del settore precisando che si tratta di uno sciopero “contro le politiche del governo e a difesa dell’onore di 22.500 operatori e dei loro 100.000 dipendenti, già oggi scaraventati in pasto all’opinione pubblica”. Seguirà anche conferenza stampa, la prossima settimana.
La sensazione è che il governo, spiazzato da quanto sta accadendo (forse è la cosa peggiore), stia cercando di tenersi qualche spiraglio aperto per ricucire con la categoria dei benzinai. “Non ce l’abbiamo con loro, è un equivoco” ripetono ministri e parlamentari di Fratelli d’Italia, da Daniela Santanchè a Luca Ciriani. Il problema è che è stato il governo, tutto, a puntare il dito contro la speculazione. Cioè contro i furbetti della pompa di benzina. Il ministro Giorgetti ieri al question time ha indicato la soluzione: “Nel decreto Trasparenza del 10 gennaio, come vedrete, sarà previsto un nuovo intervento sulle accise se i prezzi dovessero salire ancora”. Si indica la soglia psicologica dei 2 euro. Ma potrebbe abbassarsi. Tutto dipenderà dalle risorse disponibili. E comunque oggi (11.30) il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Alfredo Mantovano ha convocato a palazzo Chigi tutte le categorie. Toni flautati, quasi di scuse : “Non c’è nessuna ondata di fango nei confronti dei titolari delle pompe di benzina e del settore in generale. Domani io, Urso e Giorgetti li incontriamo per ascoltare le loro ragioni e confrontarle con le misure che il Governo ha adottato”.
Che non sono misure penalizzanti per la categoria ma servono “a dissuadere i furbi e coloro che vogliono approfittare della situazione. Lo facciamo per tutelare i consumatori e gli operatori che non approfittano della situazione”. Diciamo la verità: beccarsi uno sciopero di 48 ore alle pompe di benzina è lo smacco più grave che Giorgia Meloni potesse mai immaginare. Ingenuità? Presunzione? Arroganza? “Credevamo che i prezzi scendessero visto che la materia prima cala a vista d’occhio” ha detto ieri il ministro economico Giancarlo Giorgetti nel question time al Senato. E che quindi, il ritorno delle accise potesse essere compensato dalla discesa dei prezzi. Ma così non è stato. Anche l’errore di calcolo, quindi. Un disastro in comunicazione. Tre giorni di gaffe e ciascuna che cercava di coprire quella precedente. Ad esempio: “Abbiamo tolto lo sconto sulle accise perché favoriva le auto di grossa cilindrata”. Peccato che al tempo stesso dia la botta finale a chi è costretto a fare il pendolare con auto propria. Ad esempio gridare alla speculazione (dal 5 gennaio) salvo poi scoprire che il caro benzina è figlio quasi esclusivamente di una decisione tutta politica del governo di destra-centro. L’annuncio dello sciopero ieri mattina ha messo per la prima volta il governo faccia a faccia con l’impopolarità. Da un dossier che nessuno aveva immaginato essere rischioso. Anche un po’ di superficialità, quindi.
Durissima la lettera inviata da Faib, Confesercenti Fegica e Figisc-Anisa Confcommercio a palazzo Chigi. Il governo “aumenta il prezzo dei carburanti e scarica la responsabilità sui gestori che diventano i destinatari di insulti ed improperi degli automobilisti esasperati. Contro la nostra categoria è stata avviata una campagna mediatica vergognosa”. Nella stessa lettera ci sono allusioni pesanti (“beatificati i trafficanti di illegalità che operano in evasione fiscale e sottraggono all’Erario oltre 13 miliardi di euro all’anno”) e accuse specifiche. “L’impressione che si trae dalle scelte dell’esecutivo – si legge nella lettera – è che sia a caccia di risorse per coprire le proprie responsabilità politiche, senza avere neppure il coraggio di mettere la faccia sulle scelte operate e ben sapendo che l’Agenzia delle Dogane, il Mimit, e l’Agenzia delle Entrate hanno, già oggi, la conoscenza e la disponibilità di dati sul movimento, sui prezzi dei carburanti e sull’affidabilità delle comunicazioni giornaliere rese dalla categoria”. Un “imbroglio mediatico”. Riusciranno i tre ministri a far ragionare i benzinai “umiliati, offesi e trascinati nel fango?”. Riusciranno a far rientrare lo sciopero?
Intanto si creano le condizioni e le premesse per un compromesso. L’apertura è stata affidata alle parole del ministro Giorgetti. “Il governo si riserva di adottare la misura di ridurre le accise in presenza di un aumento verificato dei prezzi” ha detto il ministro economico rispondendo al Senato alle domande di Misiani (Pd) e Floridia (M5s). Non solo, Giorgetti annuncia anche che “il governo monitorerà attentamente la situazione dell’andamento dei prezzi, quelli della benzina ma anche quello dei beni di largo consumo, per verificare la coerenza o scarsa trasparenza e speculazioni”. E comunque, sempre Giorgetti, ha valuto parlare a nuora perché suocera (gli italiani) intendesse. Draghi ha congelato le accise quando i carburanti avevano superato i 2 euro al litro (toccando i 2,184 euro per la benzina). La sua misura si sarebbe esaurita a fine novembre. “Non ci sono dubbi che oggi le nostre condizioni di prezzo sono ben diverse…” ha chiosato il ministro. Peccato che in alcune zone in questi giorni il carburante sia stato venduto a 2.50. Da qui “le misure normative volte a migliorare la trasparenza dei prezzi e ad evitare speculazioni”.
In poche parole, se tre due settimane i prezzi restano alti, vicini alle soglia dei due euro al litro, il governo sarà costretto ad intervenire sulle accise.
Claudia Fusani. Giornalista originaria di Firenze laureata in letteratura italiana con 110 e lode. Vent'anni a Repubblica, nove a L'Unità.
Giulio Tremonti, la verità sulla benzina: "Cosa ha fatto Draghi". Libero Quotidiano il 12 gennaio 2023
L'inflazione non è colpa di Giorgia Meloni. Nonostante la sinistra si impegni ad addossare al governo di centrodestra l'aumento dei costi e la crisi economica, Giulio Tremonti smentisce. Ospite di Omnibus nella puntata di giovedì 12 gennaio, l'ex ministro dell’Economia e neo deputato eletto con Fratelli d’Italia parte dagli albori: "L’inflazione - spiega nello studio di La7 - comincia a salire ben prima della guerra in Ucraina, tutti i segnali erano in quel senso".
Per questo il predecessore dell'attuale premier ha deciso di intervenire: "Quello che ha fatto il governo Draghi - prosegue - è stato tassare l’inflazione, salivano i prezzi e automaticamente saliva l’Iva, le accise, tutte le imposte connesse alla produzione, poi ogni tanto restituiva qualcosa, avendo già creato l’inflazione. Restituiva dopo e non a tutti, questa è stata la tecnica del biennio Draghi, una tecnica oggettivamente sbagliata. Una delle cause dell’inflazione è stata anche la gestione del Fisco". Insomma, l'inflazione arriva ben prima dell'esecutivo Meloni.
Stesso discorso per le accise sui carburanti. Il centrodestra ha optato per un taglio. Una scelta legata alla necessità di aiutare le famiglie ad arrivare a fine mese. Ciò che infatti è stato tolto per le accise, è stato messo per frenare i costi delle bollette. Ma non è tutto. Salo Mario Draghi ha deciso di tagliare le accise su benzina e diesel. Il motivo? "Quella degli sconti è stata un’eccezione alla regola che hanno applicato. Se i prezzi sono saliti e c’è una situazione di caos è - accusa - dovuto al vecchio governo, che per due anni ha tassato gli aumenti come se non ci fossero gli aumenti, ha tassato l’inflazione come se l’inflazione non fosse una cosa da abbattere. Ci sono stati bonus e restituzioni, con cui davano indietro un po’ del maltolto. Veniva ignorata l’inflazione, anzi veniva usata per tirare a campare, o peggio… Questa è la realtà". E la sinistra rimane muta.
Federico Di Bisceglie per formiche.net il 12 gennaio 2023.
L’impennata dei prezzi sui carburanti scontenta i consumatori. Il governo non perde tempo e vara la stretta per evitare fenomeni speculativi. Tre le altre iniziative, tetto al prezzo ai distributori in autostrada.
Il taglio alle accise? “Non è possibile, costa un miliardo al mese”, taglia corto il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti che rafforza la linea di Giorgia Meloni a suggello di un Cdm ad alta tensione.
“Meloni non poteva fare altro e ha fatto bene anche a introdurre l’operazione trasparenza. Ma il problema delle accise ne nasconde un altro, molto più impellente: quello della capacità di raffinazione del greggio”. La pensa così Giulio Sapelli, economista già docente all’università Statale di Milano e presidente della fondazione Germozzi.
Anche sul mercato del petrolio l’Italia sconta un deficit di competitività. Come superarlo?
La lettura sulla questione delle accise, spesso, è superficiale. Il punto reale è legato alla capacità di raffinazione del greggio. Nelle automobili non ci va il greggio, ma ci va la benzina raffinata. Dunque questo è un percorso che va avviato, potenziando la capacità di raffinazione sia a livello italiano che sul piano dell’Unione europea. Non è, dunque, solo una questione di equilibrio di bilancio dello Stato. L’inizio di una visione strategica.
La premier Meloni ha incontrato il primo ministro giapponese Fumio Kishida. Come vede questo confronto?
Molto positivo, perché sottende a una serie di nuovi scenari geopolitici che potrebbero rafforzare il ruolo dell’Italia sullo scacchiere internazionale. Peraltro valuto molto positivamente l’operazione di riarmo che sta portando avanti il Giappone. Per questa battaglia Abe ha perso la vita.
L’altro aspetto positivo è che Meloni ha riacceso i riflettori su un partner strategico per il nostro Paese. Attraverso la partnership con il Giappone l’Italia può consolidare il suo ruolo nell’Indo-Pacifico. La politica italiana, mediamente, ha sempre coltivato i rapporti col Giappone in maniera distratta. Invece, l’incontro tra Meloni e Kishida apre nuovi scenari molto interessanti. Spero sia l’avvio di un discorso più a lungo termine.
In che modo si innesta questo rapporto nell’ambito del conflitto in Ucraina?
Il riarmo del Giappone è fondamentale anche in questo contesto. L’operazione ha infatti una funzione dissuasoria verso la Cina. In questo senso, si indebolisce anche l’asse con la Russia imperialista. E questo in chiave del conflitto è funzionale a sostenere la resistenza ucraina.
Da parte del governo, al di là del sostegno dal punto di vista bellico, si sta intensificando l’attività del gruppo di lavoro ‘emergenza elettrica’, cui partecipano i ministeri degli Esteri, della Difesa, della Sicurezza energetica, delle Imprese insieme a Protezione Civile e Terna. L’obiettivo è aiutare a garantire la fornitura di elettricità a tre milioni di ucraini. La considera valida?
Più che valida, direi esemplare. D’altra parte, senza energia elettrica non funzionano gli ospedali, le comunicazioni, molti dispositivi di sicurezza. Questo atto del governo significa che c’è un’attenzione altissima verso i civili.
L’atto del Governo Meloni dovrebbe essere preso ad esempio anche da altri Paesi. Fin dai tempi degli zar, i russi colpiscono anche la popolazione civile se la identificano con il nemico. Per cui, pianificare azioni concrete per lenire il dolore di queste persone è un atto di grande umanità di cui peraltro troppo poco si parla.
Luca Pagni per “la Repubblica” il 13 gennaio 2023.
Come si forma il prezzo della benzina, quanto ci guadagnano le società che estraggono petrolio, quanto incidono le commissioni di intermediari e grossisti, quanto pesano le tasse e, infine, qual è il guadagno dei gestori delle pompe di servizio? E dove potrebbe inserirsi la "speculazione" dei prezzi e da parte di chi?
La catena che parte dal giacimento di idrocarburi e arriva al serbatoio delle nostre automobili è lunga e oltre modo complessa. Ma a una domanda è facile rispondere: in Italia - ma anche in molto paesi europei - a guadagnarci più di tutti è lo Stato, a causa del peso di accise e Iva. Poi vengono i produttori, raffinatori e intermediari nel loro complesso e solo in fondo alla catena abbiamo il "guadagno" dei distributori. Vediamo nel dettaglio.
LE COMPONENTI DEL PREZZO
Sostanzialmente, il prezzo di benzina e gasolio è composto da quattro macro-voci principali: il costo della materia prima, le commissioni per broker, trasportatori, grossisti e intermediari vari, il peso della componente fiscale, per arrivare al margine lordo che finisce nella tasche di chi gestisce i distributori.
IL MERCATO DEL GREGGIO
Partiamo dalla materia prima. I prezzi di gasolio e benzina seguono l'andamento delle quotazioni del greggio. Gli indici di riferimento sono il Brent per l'Europa e il Wti per gli Stati Uniti, oltre al Fateh per l'area del Golfo Persico. Al momento, il Brent è ai minimi dell'anno: quota attorno agli 80 dollari al barile, dopo un picco toccato a fine giugno a 122 dollari. A formare i prezzi è soprattutto l'Opec+, il cartello "storico" dei maggiori produttori guidato dall'Arabia Saudita, a cui negli ultimi anni si è aggiunta la Russia. Aumentando o diminuendo la quota di produzione complessiva dei paesi membri, riesce a indirizzare i prezzi.
LA FILIERA INDUSTRIALE
Dal giacimento al serbatoio delle automobili agiscono una serie di intermediari che vanno dai broker dei prodotti raffinati a chi procura il carburante per i distributori, in particolare per quelli indipendenti e "no logo". Sulla componente raffinazione incide anche il Platts. Di cosa si tratta? Platts è il nome di un'agenzia specializzata che definisce il valore di benzina e gasolio nel momento in cui vengono vendute alle raffinerie. Si tratta quindi di una valutazione di "domanda e offerta industriale", quindi esprime i prezzi finale dei prodotti raffinati. Complessivamente, il peso della componente industriale vale il 30-35% del prezzo complessivo alla pompa.
PERCHÈ IL GASOLIO È PIÙ COSTOSO
Per rispondere bisogna prima capire cosa è accaduto nel mercato della raffinazione. Il numero di impianti in Europa si è ridotto negli ultimi 10-15 anni, provocando un'aumento della domanda, in particolare dall'Asia (Corea e India soprattutto). La Russia ha garantito una parte delle forniture in calo per la chiusura e la ristrutturazione degli impianti europei, ma sono andate in calando a causa della guerra russo- ucraina. E dal 5 febbraio scatterà il nuovo embargo commerciale nei confronti di Mosca e che riguarda proprio i prodotti raffinati. Il timore è che - almeno in una prima fase - questo comporti un ulteriore aumento delle quotazioni del gasolio.
BENZINA
Come noto, l'Italia è sul podio dei Paesi europei dove maggiore è la componente fiscale: è al primo posto per il gasolio, al secondo per la benzina. Per la benzina la componente fiscale è pari al 58%, mentre il prezzo della componente industriale e commerciale si ferma al 42%. Se si prendono i prezzi del 9 gennaio scorso, con un prezzo della benzina di 1,812 euro al litro la componente fiscale risultava di 1,055 euro al litro mentre la componente industriale era pari a 0,757 euro al litro. Della componente fiscale 0,728 euro/litro sono accise mentre 0,327 euro/litro è Iva (al 22%).
LE TASSE PIÙ ALTE D'EUROPA
Leggermente diversi i numeri con cui si forma il prezzo del gasolio: nel prezzo medio di dicembre scorso (1,717) la componente industriale pesava per il 45% (0,777 euro/ litro) rispetto al 55% (0,940 euro/ litro) della componente fiscale, che porta l'Italia al primo posto in Europa per il peso complessivo delle tasse.
QUANTO INCASSANO I BENZINAI
Il margine dei gestori dei distributori, di conseguenza, vale circa l'8-10 % del prezzo per il gasolio e arriva fino al 12% per la benzina: ed è questo il margine sui cui l'operatore può agire per modificare il prezzo alla pompa.
"Qui la benzina costa meno". Cosa c'è dietro le pompe "no logo". Alessandro Imperiali il 13 Gennaio 2023 su Il Giornale.
La denuncia sulle "pompe bianche": ecco come fanno ad avere prezzi sempre bassi
Mentre scoppia la polemica sulle accise e l'aumento del prezzo della benzina con accuse di ogni tipo al governo, in commissione parlamentare di inchiesta sulle mafie, Marcello Minnenna, direttore uscente dell'Agenzia delle Dogane ha denunciato il fenomeno delle cosiddette pompe bianche.
"Sul tema delle accise sono stati fatti controlli sulle frodi carburanti, fondamentalmente collegabili al fenomeno delle pompe bianche", afferma Minnenna. Vale a dire, spiega Giuseppe Zafarana, comandante generale della guardia di Finanza, sempre durante la medesima audizione: "Si tratta principalmente di settori della logistica petrolifera e di distributori senza logo, cioè pompe bianche, attraverso cui le organizzazioni criminali realizzano le condotte evasive che consentono di immettere sul mercato carburante a prezzi fortemente concorrenziali".
Come funziona
Per fare in modo che la benzina ai rivenditori costi meno e di conseguenza possano rivenderla a un prezzo inferiore rispetto alle altre pompe di benzina è necessario che un'autocisterna parta con un carico di contrabbando dalla Slovenia, Bulgaria o Polonia. Una volta attraversata la frontiera italiana deve dirigersi a un deposito di carburanti di piccole-medie dimensioni. Ossia, il deposito per essere definito tale non deve superare le 3mila tonnellate di stoccaggio. Questo perché il gestore del deposito non ha l'obbligo di utilizzare il sistema Infoil collegato con la guardia di Finanza e l'Agenzia del Demanio. Mentre le altre pompe di benzina con grandi quantità di benzina stivate nei depositi sono soggette a controlli stringenti, quest'altre riescono a sfuggire al monitoraggio delle verifiche di carico e scarico nei depositi. Concretamente significa non versare le accise e l'Iva. Di conseguenza i destinatari della benzina sulla quale non sono state pagate le tasse sono le stazioni di servizio no logo, le pompe bianche. In questa maniera i prezzi sono inevitabilmente più bassi.
Sul territorio italiano queste sono ben 6mila e ovviamente non tutte partecipano a questo procedimento illegale. Allo stesso tempo, però, i principali illeciti nel settore della distribuzione si concentrano nelle stazioni di servizio no logo. Molte delle quali gestite dalla criminalità organizzativa che utilizza parte dei proventi per comprare depositi di stoccaggio e altri distributori di benzina. "Siamo i primi a chiederli: ma che si indaghi anche sui carburanti importati illegalmente che sono il 30% e che tra evasione e irregolarità costano allo Stato 13 miliardi l'anno. Lì si troverebbero i soldi che servono", è quanto afferma Bruno Bearzi, presidente della Figisc, Federazione italiana gestori impianti stradali carburanti di Confcommercio, in merito ai controlli realizzati dalla Finanza. Nel triennio 2019-2022 proprio la guardia di Finanza ha sequestrato 19 milioni di chili di carburanti scoprendo un consumo illegale di prodotti energetici non dichiarati di 404 mila tonnellate.
Carburante, lo scandalo: a due distributori della stessa insegna...Attilio Barbieri su Libero Quotidiano il 10 gennaio 2023
Mentre la forbice dei prezzi tra petrolio e carburanti si allarga nel breve volgere di una settimana, registrando un differenziale nella variazione dei prezzi di oltre il 12%, colpiscono le differenze nei listini da un impianto all'altro. Capita anche che fra due distributori appartenenti alla stessa insegna, nel medesimo giorno vi sia un gap di 12 centesimi al litro. Per non parlare poi del confronto fra i prezzi praticati dalle diverse reti. «Sicuramente c'è speculazione in corso», diceva ieri il ministro dei Trasporti Matteo Salvini, «perché non ci possono essere dei distributori che ce l'hanno a 1,70 e distributori che ce l'hanno a 2,40», parlando del gasolio.
Una situazione che si ripete praticamente in tutte le zone della Penisola, stante le differenze nei listini fra impianti situati nei centri cittadini e quelli nelle aree extraurbane. Per capire cosa si stia verificando ho censito i prezzi nei distributori situati nel comune di Voghera. Avrei potuto scegliere qualunque altra cittadina e la situazione non sarebbe cambiata. Ho scelto Voghera perché la conosco e perché è teatro delle mie scorribande nei panni del Casalingo di Voghera, quando mi capita di parlare di prezzi al pubblico dei prodotti che finiscono nel carrello della spesa.
LA FORBICE SI ALLARGA - Intanto, come si vede chiaramente dalla tabella pubblicata sopra questo articolo, fra il prezzo minimo e quello massimo della verde - in modalità self service - vi sono ben 17 centesimi di differenza. E perfino fra i due punti vendita della medesima insegna, la Ip, la Il petrolio sta calando da tempo. Per limitarci agli ultimi 6 mesi, il Brent, greggio di riferimento per l'Europa, è sceso dal massimo di 110,25 dollari al barile fatto segnare il 29 luglio scorso ai 78,60 dollari della chiusura di venerdì 6 gennaio. In poco più di 5 mesi l'oro nero ha lasciato sul terreno il 28,7% del suo valore. Sempre in modalità self. Il gasolio non è da meno. Fra il valore più caro e quello meno caro ci sono 15 centesimi abbondanti, Con differenze pure fra distributori della stessa insegna. Un giallo nel giallo. E queste disparità non si spiegano con la collocazione dei punti vendita all'interno del tessuto cittadino.
E a proposito di disparità di prezzo la forbice fra valori minimi e massimi diventa enorme col metano per autotrazione. Capita di imbattersi in colonnine che lo vendano a 1,49 euro al metro cubo e altre, nella stessa provincia, dove il prezzo tocca i 2,99 euro. Un fenomeno che tiene banco da mesi sui gruppi di metanautisti spuntati come funghi sui social media. Per l'oro azzurro, la spiegazione che rimbalza da oltre un anno nei gruppi e nelle chat, è che le differenze si devono al tipo di contratto di fornitura stipulato da ogni singola insegna, con le pompe bianche che erano le meno care nei primi mesi di crisi legata alla stretta decisa dalla Russia e poi hanno scalato posizioni su posizioni, diventando spesso le più salate. Comunque, viste le differenze fra i diversi punti vendita, non convince la spiegazione arrivata in settimana dalla Figisc Confcommercio, organismo di rappresentanza dei distributori, che attribuiva alla fine dello sconto sulle accise il rialzo dei prezzi. I 18 centesimi al litro di bonus scaduti il 31 dicembre erano uguali per tutte le pompe e lo stop avrebbe dovuto produrre effetti simili.
Il Tesoro chiama la Guardia di Finanza. Contro gli sciacalli si muove la Procura. In settimana primi riscontri delle Fiamme gialle. Esposto dei consumatori all'Antitrust. Massimo Restelli il 9 gennaio 2023 su Il Giornale.
La caccia agli sciacalli del caro pieno è in corso: il governo e la Procura di Roma stanno stringendo il cerchio per capire se, dopo lo stop allo sconto sulle accise dei carburanti (18,3 centesimi), qualcuno ha fatto la cresta, spingendo soprattutto lungo la rete autostradale il costo di un litro di verde oltre i due euro e il gasolio a un soffio dai 2,5 euro. I primi risultati dell'indagine sono attesi questa settimana e già domani il dossier potrebbe finire sul tavolo del Consiglio dei ministri per un primo esame. La partita è da brivido: ai corsi attuali l'incasso delle accise potrebbe superare i 40 miliardi, contro i 23,8 i miliardi del 2021. Praticamente una manovra.
Si tratta di una situazione intricata, degna del capolavoro di Giovanni Boccaccio. Perché il Decameron se da un lato contrappunta di ogni astuzia la «ragion di mercatura», dall'altro condanna la stupidità indipendentemente che si tratti di «popolani» o di «dottori». Vedremo se anche nel caso del caro-pieno qualche novello Caladrino, convinto di essere più furbo degli altri, avrà la peggio.
Il governo ha infatti spedito la Guardia di Finanza tra i distributori per monitorare, insieme a Mister prezzi, la fiammata di gasolio e benzina. O meglio dal Tesoro trapela come Giancarlo Giorgetti avesse ordinato alle Fiamme Gialle di monitorare la situazione già a dicembre e lo stesso ha fatto il titolare delle Imprese Adolfo Urso con Mister Prezzi. Sebbene la prevenzione sia il miglior rimedio, qualcosa potrebbe non aver funzionato sotto il profilo della concorrenza. Molte le categorie in allarme: Coldiretti fa notare come i rincari ricadano sull'88% delle merci e i taxisti si dicono allo stremo. Le associazioni dei consumatori insorgono e tirano per la giacca anche l'Antitrust. Il Codacons presenterà oggi un esposto al Garante, chiedendo di aprire una pratica «per possibile cartello anticoncorrenza» sui carburanti e di acquisire dall'intera filiera la documentazione per capire se sia in atto una manovra speculativa sui prezzi alla pompa. La stessa associazione chiede agli automobilisti di «boicottare» i distributori più costosi su tutto il territorio nazionale. Oltre che di fotografare e recapitare le foto degli sciacalli che fanno pagare più di 2 euro il carburante così da mostrare le prove alle autorità. La tesi è limpida quanto un filo semplicistica: l'incremento alla pompa mal si sposa con l'andamento del petrolio che in due mesi ha subito un deprezzamento del 25,5%: in Europa il Brent è sceso dai 99 dollari al barile (7 novembre 2022) agli attuali 73,7 dollari e non molto diverso è andata all'americano Wti.
È già in campo anche la Procura di Roma che lo scorso marzo - davanti all'improvviso balzo dei prezzi di gas, luce e carburanti - aveva aperto un procedimento per verificare le ragioni dei rincari e smascherare eventuali responsabili.
I gestori si difendono: «non c'è speculazione», dice Bruno Bearzi, presidente nazionale della Figisc-Confcommercio che rappresenta insieme a Confesercenti gli impianti italiani. L'aumento dipende dalla decisione di cancellare lo sconto» sulle accise. Ma ci può essere chi fa il furbo? «Siamo 22mila, non lo voglio escludere ma non è con quattro centesimi che si fa speculazione. È più facile andare alla fine della filiera invece di entrare nella stanza dei bottoni di chi decide il prezzo. Si cerca sempre un capro espiatorio», conclude Bearzi. Si vedrà quali saranno le conclusioni degli inquirenti e quali le mosse del governo, ma di certo sarebbe sbagliato fare di tutta l'erba un fascio.
Vale però qui una premessa: quando, come ora, le tasche di molte famiglie sono già vuote a causa del caro bollette ancora più severa deve essere la pena inflitta agli eventuali furbetti. Perché se Cicerone scriveva «non intellegunt homines quam magnum vectigal sit parsimonia», resta il fatto che anche l'attenzione ai consumi non può andare oltre la logica. Pena la certezza di spedire l'intero Paese in recessione.
Camera, i colloqui riservati dell’ambasciatore azero: ricordatevi del nostro gas. Il diplomatico di Baku, chiamato per spiegare il blocco da parte del suo governo del corridoio di Lachin che sta provocando una grave crisi umanitaria, ha incontrato parlamentari e capigruppo di maggioranza e opposizione per spiegare la sua versione dei fatti. E sottolineare quanto sia importante il loro metano per l’Italia. Carlo Tecce su L’Espresso il 25 Gennaio 2023.
Quello che è accaduto stamane alla Camera spiega con nitidezza cosa vuol dire per l’Italia la dipendenza energetica da altri stati non propriamente democratici. Nel giorno di una delicata audizione in commissione Esteri sulla crisi umanitaria nel Nagorno Karabakh, il diplomatico Rashad Aslanov, ambasciatore dell’Azerbaigian di recente nomina, in numerosi colloqui di una decina di minuti, ha incontrato parlamentari e anche capigruppo di maggioranza e di opposizione per anticipare la sua versione dei fatti, per fornire risposte prima di ricevere le domande e soprattutto per ricordare agli amici italiani quant’è importante la collaborazione energetica col metano azero che approda sulle coste della Puglia attraverso il gasdotto Tap.
I deputati degli Esteri hanno convocato Aslanov per ottenere informazioni sul blocco del corridoio di Lachin nel Caucaso meridionale, regione controllata dal governo di Baku. Oltre 120.000 armeni che abitano nella non riconosciuta Repubblica dell’Artsakh, terra di guerra, di sangue, contesa da Armenia e Azerbaigian, sono in trappola, affamati, senza viveri, medicine, speranze. La grave crisi umanitaria ha mobilitato le organizzazioni internazionali e anche papa Francesco ha lanciato il suo appello. Ieri la Camera ha ascoltato l’ambasciatrice armena, quest’oggi era il turno del collega azero, di certo non lieto di dover giustificare il suo governo dinanzi agli amici/clienti italiani.
Non sono ancora mute le fanfare che hanno accompagnato la visita di Giorgia Meloni in Algeria e non sono ancora sgualciti gli annunci di opere meravigliose e occasioni fantastiche che potrebbero trasformare l’Italia in «hub» europeo del gas. Secondo i flussi del metano, calcolati con precisione da Nomisma, il crollo delle importazioni di gas dalla Russia è stato compensato in particolare dall’Azerbaigian e non dall’Algeria: Baku ha raggiunto i 10,2 miliardi di metri cubi con 3 miliardi in più sul 2021, mentre Algeri ne ha recuperati 2,3 miliardi in più passando da 21,2 a 23,7.
Oggi i contribuiti azeri sono equivalenti a quelli russi e in prospettiva possono crescere velocemente perché, a differenza degli algerini, hanno infrastrutture migliori e il progetto di un altro Tap. Perché negarsi un futuro grande come un «hub»? Intelligenti pauca.
Estratto dell'articolo di Luigi Grassia per lastampa.it il 17 gennaio 2022.
E’ bello sapere che il prezzo internazionale del gas naturale ha azzerato l’effetto-Ucraina ed è tornato ai livelli pre-bellici; ma a noi consumatori che cosa ne viene? Le bollette del metano restano uguali a prima, e la spiacevole sensazione è che le compagnie del settore energia stiano accumulando altri super-profitti…
Il fatto è che l’aggiornamento delle tariffe non avviene in tempo reale. […] per il gas è stata introdotta di recente una nuova regola, intesa a rendere le tariffe più sensibili alle variazioni dei prezzi internazionali: l’aggiornamento avviene mese per mese. […] ai primi di febbraio l’Autorità dell’Energia (Arera) calcolerà la tariffa di gennaio, che farà pagare in bolletta a febbraio. Allora arriveranno i benefici economici per i consumatori.
Questo, sia chiaro, riguarda il mercato tutelato, cioè le tariffe stabilite dall’Arera, mentre le altre sono regolate dai contratti del mercato libero – magari su base pluriennale – e a seconda dei momenti possono essere più o meno convenienti di quelle amministrate. […]
Comunque il crollo delle quotazioni del metano dovrebbe portare con sé un calo generalizzato dell’inflazione; speriamo che davvero ci sia un rapido adeguamento al ribasso di tutti i prezzi, che sono esplosi assieme a quelli dell’energia e adesso dovrebbero rifluire con la stessa sollecitudine. […]
La grande beffa del gas ora il costo scende ma la bolletta no. Cristiana Flaminio su L’Identità il 6 Gennaio 2023
Al Ttf di Amsterdam, il gas viene scambiato a 64 euro al megawattora. Eppure la bolletta degli italiani resta alta. Intanto, con il ritorno delle accise, si irrobustisce anche il prezzo alla pompa per la benzina e il diesel. Che, negli ultimi giorni, ha superato – in alcuni casi – addirittura la soglia psicologica dei due euro. Le crisi, e gli effetti della speculazione, si sono abbattuti sulle tasche dei cittadini. Con le conseguenze quotidiane, di maggiori esborsi, di minori possibilità, del rischio di un avvitamento dei consumi che potrebbe innescare una parabola depressiva dell’economia nazionale. Che, peraltro, se finora ha retto è stato solo grazie alla domanda interna. Cioè gli italiani hanno comprato “italiano” e così facendo il sistema economico non è collassato sotto i colpi dei rincari e degli aumenti.
Capitolo gas. Le bollette di dicembre sono state più alte del 23,3% rispetto a novembre. I conti sono presto fatti. Il Codacons denuncia che quest’aumento “equivale ad una bolletta media del gas che sale a quota 2.113 euro annui a famiglia. Rispetto allo stesso periodo del 2021, infatti, i prezzi del risultano a dicembre più elevati del 55,8%, con un incremento di spesa pari a + 757 euro a nucleo rispetto alle tariffe in vigore a dicembre del 2021”. Ma come mai accade se il prezzo del gas sta perdendo terreno? Secondo Stefano Besseghini, presidente Arera: “Nella prima metà del mese di dicembre i prezzi erano relativamente alti, con prezzi intorno ai 130-135 euro a mwh mentre nella seconda metà di dicembre, complice il clima e una percezione diversa della capacità dell’Europa di lavorare su questo settore e l’effetto degli stoccaggi più pieni del previsto hanno portato ad un crollo significativo, oggi siamo a 80 euro al mwh”. Insomma, paghiamo il gas a prezzo pieno ma lo pagheremo meno, nei prossimi mesi. E ciò grazie, soprattutto, all’inverno caldo e alle strategie di risparmio messe su dalle imprese che, già da mesi, hanno iniziato ad adottare metodi e “tattiche” (come, per esempio, i turni di lavoro di notte) che consentono alle aziende di risparmiare sulle bollette.
Capitolo carburante. Dopo l’approvazione della manovra, sono ritornate a prezzo pieno le accise su benzina e diesel. Un salasso da diciotto cents al litro a cui è unito l’arrotondamento del prezzo (di uno, due centesimi) decretato dalle compagnie. Il risultato è stato che, alla pompa, il costo dei carburanti, in certi casi, ha sfondato quota due euro. Il ministro alla sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin, sta in campana. E a La Stampa riferisce che “con i livelli attuali di prezzo del gas e del petrolio, credo che un eventuale sforamento dei due euro sarebbe solo speculazione e comunque, se il prezzo dei carburanti dovesse tornare a crescere in modo stabile e significativo, il governo è pronto a intervenire”. L’opposizione lo sfida e Bonelli (Avs) lo invita a presentarsi in Procura a mettere nero su bianco la sua denuncia. Cosa che ha già fatto il Codacons. I consumatori, secondo cui gli aumenti sui carburanti costeranno agli italiani, nel 2023, ben 366 euro in più, hanno annunciato di avere intenzione di presentare un esposto alla Guardia di Finanza e alla magistratura di tutte le Procure italiane. “La benzina in modalità self ha già superato quota 1,8 al litro, mentre il gasolio in modalità servito ha sfondato la soglia dei 2 euro al litro, tutto ciò mentre le quotazioni internazionali del petrolio sono in ribasso e non giustificano in alcun modo l’andamento dei prezzi alla pompa, al netto del rialzo delle accise”.
Dalla Russia al Qatar, dalla padella alla brace (sempre a gas). Stefano Piazza su Panorama il 19 Dicembre 2022.
Doha ha minacciato di chiudere i rubinetti in caso di sanzioni ai suoi diplomatici sul caso Qatargate e ci sbatte in faccia la verità: siamo in una posizione di debolezza
Mentre lo scandalo denominato Qatargate è ben lungi dall’essere chiarito, visto che non si conosce ancora il numero esatto degli europarlamentari corrotti dal governo di Doha, aumentano le possibilità che si complichino e non di poco i rapporti con l’Emirato nel quale ieri sono terminati i mondiali di calcio.
A proposito dell’inchiesta avviata a Bruxelles la stampa europea non manca di additare l’Italia, e i suoi politici, come dediti al malaffare. Fermo restando che in questa vicenda alcuni esponenti politici (e non) sono finiti al centro dell’inchiesta è bene ricordare che il Qatar così come la Russia e la Cina da decenni mantengono rapporti non sempre limpidi con i politici di tutta Europa tanto che l’ambasciata del Qatar a Parigi era considerata una sorta di bancomat per l’intera classe politica francese, un fatto questo provato da numerose inchieste. Lo stesso vale per i russi che hanno investito negli ultimi decenni centinaia di milioni di euro per «fideizzare» il maggior numero di politici, militari, scienziati, giornalisti e chiunque potesse servire ai disegni del Cremlino e lo stesso hanno fatto i cinesi che si stanno comprando tutto quello che c’è da comprare anche grazie agli «amici» che gli spalancano le porte e non certo gratis. Quindi prima di puntare il dito contro la scassatissima classe politica italiana chi oggi fa la morale, farebbe meglio a guardare in casa propria. Fatta questa doverosa premessa va registrata l’ira di Doha dopo che è stato deciso il divieto di accesso degli emissari del Qatar all'interno dell’Europarlamento. Un diplomatico qatarino ad Al Mayadeen, emittente tv panaraba con sede in Libano ha dichiarato: «La decisione di imporre una restrizione così discriminatoria che limita il dialogo e la cooperazione con il Qatar prima che il processo legale sia terminato, influenzerà negativamente la cooperazione in materia di sicurezza regionale e globale, nonché le discussioni in corso sulla povertà e la sicurezza energetica globale. Respingiamo fermamente le accuse che associano il nostro governo a cattiva condotta». Il diplomatico ha poi aggiunto: «Abbiamo osservato con grande allarme la condanna selettiva del nostro paese di questa settimana poiché i pubblici ministeri belgi affermano di aver indagato sulla corruzione del parlamento dell'UE per oltre un anno prima che iniziassero gli arresti all'inizio di questo mese», infine ha concluso dicendo: «È profondamente deludente che il governo belga non abbia fatto alcuno sforzo per impegnarsi con il nostro governo per stabilire i fatti una volta venuti a conoscenza delle accuse»; il diplomatico ha inoltre sottolineato, non certo a caso, che il Belgio e il Qatar hanno forti legami che risalgono a Covid-19 e il fatto che il Qatar sia uno dei principali fornitori di gas naturale liquefatto (GNL) del Belgio. Il Qatargate arriva probabilmente nel momento peggiore della storia recente visto che la guerra in Ucraina tra le molte conseguenze negative ha obbligato il Vecchio Continente a ridisegnare le proprie politiche energetiche a partire dalla sostituzione delle forniture di gas provenienti dalla Russia. Rileggendo le affermazioni del diplomatico non sfugge il passaggio ricattatorio: «Le restrizioni discriminatorie, che limitano il dialogo e la cooperazione con il Qatar prima della fine delle indagini, influenzeranno negativamente la cooperazione nonché i colloqui in corso sulla carenza di energia e sulla sicurezza globale», che tradotto suona più o meno così: «Cari europei, fate i bravi perché noi potremmo non darvi più il gas di cui avete molto bisogno e che vi abbiamo promesso per i prossimi anni». Davvero il Qatar perderebbe l’occasione di prendersi le quote di mercato di Gazprom, il colosso energetico russo che fino all'anno scorso ha rifornito di gas a basso prezzo i Paesi della Ue? Difficile che gli emiri di Doha passino dalle minacce ai fatti visto che dopo anni anni di forniture di gas naturale liquefatto verso i Paesi asiatici, vuole soppiantare i russi e diventare il leader del mercato in Europa ma non solo visto che sta stringendo sempre più il rapporto con la Cina. Un fatto questo che non piacerà a Vladimir Putin che punta a vendere tutto il gas che gli europei non compreranno più dalla Russia proprio a Pechino. In ogni caso dai ricatti russi si è passati a quelli degli emiri del Qatar che dopo aver corrotto per anni importati personalità politiche all’Europarlamento con sacchi pieni di banconote una volta che sono stati presi con le mani nella marmellata si indignano e minacciano di tagliare le forniture di gas. Peggio di così non ci poteva andare.
Il ricatto del gas. Report Rai PUNTATA DEL 19/12/2022
di Walter Molino ed Edoardo Garibaldi
Collaborazione di Goffredo De Pascale
Il prezzo del gas dallo scoppio della guerra è salito. Chi ci sta guadagnando?
Dallo scoppio della guerra in Ucraina il prezzo del gas ha cominciato a salire fino a sfiorare i 350 € a megawattora, cifre oltre quindici volte superiori alle medie anteguerra. Come risultato le bollette di luce e gas per imprese e famiglie sono schizzate alle stelle, aumentando così il rischio di subire una interruzione delle forniture per morosità e mettendo in crisi anche i rivenditori di luce e gas. Report ha parlato con Arera, l'autorità italiana per l'energia, che ha potuto visionare i contratti di importazione delle multinazionali finora considerati alla stregua di segreti industriali. Chi ci sta guadagnando?
IL RICATTO DEL GAS di Edoardo Garibaldi e Walter Molino collaborazione Goffredo De Pascale Filmaker Cristiano Forti Marco Ronca Giovanni De Faveri Carlos Dias Montaggio Raffaella Paris Giorgio Vallati Chiara D’Ambros Ricerca immagini Alessia Pelagaggi Eva Georganopoulou
CLAUDIO MILLOZZI - FORNAIO Prego, buongiorno Rocco
CLIENTE FORNO Senti Claudio per cortesia, me la puoi cuocere per cortesia, se no mia moglie me mena.
CLAUDIO MILLOZZI – FORNAIO Guarda un po’ che bei spiedini
CLIENTE FORNO Ah rigà, devi trattarla bene senno mi caccia di casa
CLIENTE FORNO Buongiorno
CLAUDIO MILLOZZI - FORNAIO A posto, che ci hai portato?
CLIENTE FORNO Un ciambellone
CLAUDIO MILLOZZI - FORNAIO Ecco un bel ciambellone casareccio
EDOARDO GARIBALDI Signora perché porta il ciambellone al signor Claudio? CLIENTE FORNO Eh, perché tanto lo cuoce gratis e uno risparmia
CLAUDIO MILLOZZI - FORNAIO L’idea è venuta mia moglie, dice: guarda ti ho messo nel frigo il pollo con le patate già pronto, anziché cuocerlo qui a casa perché non me lo cuoci tu senza che accendo questo forno enorme. Da lì mi è venuta l’idea, se lo fa mia moglie, lo faccio io, il forno è disponibile, sempre acceso. Vengono le persone, portano la loro teglia, ecco adesso ne è venuta una in questo momento
EDOARDO GARIBALDI Cosa ha portato a cucinare?
CLIENTE FORNO Un arrosto
CLAUDIO MILLOZZI - FORNAIO Eccoce
CLIENTE FORNO Appogio qui, Claudio
EDOARDO GARIBALDI Ma i tozzetti?
CLIENTE FORNO I tozzetti verranno imbustati e divisi per tutta la famiglia
WALTER MOLINO FUORI CAMPO Contro il caro bollette, a Bracciano, vicino Roma, Claudio Millozzi mette il suo forno a disposizione di tutti per cuocere le pietanze. L’Italia per la guerra in Ucraina paga un prezzo salato. Gli approvvigionamenti cominciano a scarseggiare, l’industria rischia di fermarsi e chi non può pagare le bollette, teme di restare al freddo e al buio.
SIGFRIDO RANUCCI IN STUDIO Solidarietà è anche offrire il proprio forno per riscaldare un pasto. Sarebbe stato inimmaginabile qualche anno fa. E l’esempio del forno di bracciano non è l’unico esempio virtuoso nel Paese, ce ne sono altri. È la parte bella dell’Italia. Però la dice lunga sullo stato di emergenza che stiamo vivendo. Buonasera, la bolletta del gas è diventata un incubo. Se prima del conflitto c’era una morosità del 15% in media, adesso c’è il rischio che si arrivi a punte del 70%. Il mercato del gas funziona così per lo più: le grandi compagnie che estraggono e importano il gas, lo rivendono ai reseller ai fornitori, che poi portano il gas nelle abitazioni e nelle grandi aziende. Però, insomma, fino adesso ha funzionato che io consumo e poi pago in base a quello che consumo, ma c’è la paura da parte delle grandi aziende che la gente non riesca più a pagare le bollette per i prezzi troppo alti. E cosa chiedono? Chiedono in tanto ai fornitori una fideiussione una garanzia, poi chiedono il prepayment, cioè di pagare prima l’importo della fornitura più il 50%. Insomma, se poi c’è chi utilizza tantissimo gas, è costretto a pagare delle cifre mostruose e non ce la fa a pagare. Che cosa succede? Si rischia di finire sulla rete di emergenza. Il nostro Walter Molino ed Edoardo Garibaldi
WALTER MOLINO FUORI CAMPO È la notte tra il 26 e il 27 settembre. Il mare del Nord, al largo dell’isola Bornholm, 40 miglia dalla costa scandinava, comincia a ribollire. I droni della guardia costiera danese catturano una turbolenza di 1 km di diametro. Quella schiuma è il gas che fuoriesce da Nord Stream, il colossale gasdotto che parte dalla Russia e si estende per 1.200 chilometri attraverso il Mar Baltico fino alla Germania. Una portata massima di 110 miliardi di metri cubi all’anno, capace di alimentare 26 milioni di case. È un atto di sabotaggio
JOSEPH BIDEN - PRESIDENTE DEGLI STATI UNITI Se la Russia invade, se i suoi carri armati e le sue truppe passano il confine ucraino di nuovo, a quel punto non ci sarà più un Nord Stream 2, porremo la parola fine. GIORNALISTA Ma in che modo potete farlo esattamente se il progetto è sotto il controllo dei tedeschi?
JOSEPH BIDEN - PRESIDENTE DEGLI STATI UNITI Mi creda, saremo in grado di farlo.
WALTER MOLINO FUORI CAMPO La Russia accusa l’Occidente, l’America punta il dito sui russi. L’unica cosa certa è che adesso il gasdotto è inutilizzabile. E soprattutto che la Germania ha perso la sua prima fonte di approvvigionamento. Adesso dipende in gran parte dal gas liquefatto fornito anche dagli Stati Uniti. Ma quando è cominciata davvero la crisi del gas? A Milano, nelle stanze di Palazzo Clerici, ha sede l’ISPI, l’Istituto per gli studi di politica internazionale.
WALTER MOLINO È sufficiente spiegare la crisi del gas con lo scoppio della guerra?
MATTEO VILLA - ISPI In realtà no, bisogna andare un po’ indietro. Intanto l’anno scorso i prezzi avevano iniziato a salire perché ce lo ricordiamo tutti, eravamo in ripresa economica, si ripartiva, c’erano anche dei problemi nei sistemi elettrici europei. Quindi andavamo più a gas che a rinnovabili rispetto a quello che preventivavamo quindi aumentava il prezzo. Nel frattempo, però dobbiamo anche ricordarci che prima dell’invasione Gazprom, per almeno sei mesi prima dell'invasione ha ridotto il più possibile tutti i volumi.
WALTER MOLINO FUORI CAMPO Dal 1994 - anno della discesa in campo di Silvio Berlusconi - e fino al 2021, l’importazione di gas russo è più che raddoppiata. E soltanto dopo l’invasione dell’Ucraina il governo Draghi ha provato a correre ai ripari.
MARIO DRAGHI - PRESIDENTE DEL CONSIGLIO 2021-2022 Siamo il paese europeo che ha più diversificato le fonti di approvvigionamento di gas riducendo di circa due terzi la sua dipendenza dalla Russia.
WALTER MOLINO Un terzo del gas che compravamo dalla Russia però, dovrebbe continuare ad arrivare in Italia.
MATTEO VILLA - ISPI Per adesso lo vediamo, perché siamo scesi da 30 miliardi di metri cubi che la Russia ci dava prima della guerra a circa otto, quindi un po’ meno di un terzo. Noi speriamo che ci arrivino quegli otto perché sarebbero fondamentali per il sistema italiano per quest’anno e nel prossimo. Però la crisi energetica non è solo italiana ma europea, e c’è una possibilità che quei flussi di gas russo, che arrivano da un solo ingresso, quello del Tarvisio siano bloccati da un altro Paese europeo, per esempio l’Austria.
WALTER MOLINO L’Austria ci potrebbe rubare il gas?
MATTEO VILLA - ISPI L'Austria potrebbe dire, siamo in emergenza chiudiamo il flusso in uscita.
WALTER MOLINO Siamo quindi di fronte a un’ipotesi di implosione dell’Europa?
MATTEO VILLA - ISPI Il rischio è che ci si faccia la guerra a vicenda, e questa guerra del gas che prima era Russia contro Europa diventi Europa contro Europa. L'Europa si è fatta col carbone e rischia che dopo 70 anni si disfaccia col gas.
WALTER MOLINO FUORI CAMPO Ma il caos in Europa è già cominciato. Il primo ottobre scorso Vienna ha chiuso i flussi per il Tarvisio perché Gazprom si è rifiutata di pagare una cauzione di 20 milioni di euro alla società di dispacciamento austriaca. E per riaprire i rubinetti, quei 20 milioni li ha dovuti tirar fuori l’ENI. L’Italia, dunque, dovrà sperare che al Tarvisio continui ad arrivare il gas russo. Questa incertezza, la probabilità che il gas non sia sufficiente vuol dire solo una cosa: bollette molto più care.
FRANCESCO BURRELLI - PRESIDENTE NAZIONALE ANACI - AMMINISTRATORI DI CONDOMINIO Prima della guerra avevamo una media di morosità del 15-20% massima, oggi la percentuale di morosità sarà intorno al 60-70%. Asti, 13 ottobre 2022 - Riunione di condominio
STEFANO SANTIN - AMMINISTRATORE DI CONDOMINIO Questa sera è una riunione straordinaria che riguarda il problema del gas. Il costo del riscaldamento di questo condominio è quadruplicato: 150, 160, in alcuni casi anche 170 mila euro.
CONDOMINA 1 Per me è tanto perché lavorativamente sono precaria.
STEFANO SANTIN - AMMINISTRATORE DI CONDOMINIO Ci sono alcuni che hanno delle quote anche da 500-600 euro al mese. Noi rischiamo che a metà stagione invernale stacchino il gas.
CONDOMINO Mi metto un paile in più…
CONDOMINA 2 Poche ore: mattina, sera, pranzo.
STEFANO SANTIN - CASA DEL CONSUMATORE PIEMONTE Sono numerose le famiglie che oggi iniziano, prossimamente a riscaldarsi quindi con le accensioni delle caldaie, ma non sapranno in realtà come sarà il prezzo finale. È un mercato un po’ strano, perché prima consumo e poi pago, e quindi il costo reale del mio consumo e del prezzo quindi del mio consumo lo potrò sapere solo alla fine.
WALTER MOLINO FUORI CAMPO La guerra del gas ha fronti aperti su tutto il territorio, anche nella capitale economica d’Italia. Chi amministra condomini con centinaia di famiglie è in trincea fin dalla scorsa estate.
SERENA IMPERNATO - AMMINISTRATRICE DI CONDOMINIO La situazione a Milano è drammatica e secondo me i condomini non hanno ancora la percezione di quello che sarà un lungo inverno. Io ho avuto gestioni 20-21 in cui si spendevano 25 mila euro di gas e mi hanno preventivato per la stagione 22-23, 112 mila euro. Soltanto a me, alla fine del mese di agosto hanno chiuso un paio di contatori di acqua calda centralizzata.
WALTER MOLINO Un paio di contatori significa un paio di condomini.
SERENA IMPERNATO - AMMINISTRATRICE DI CONDOMINIO Condominio da 70 famiglie, un altro condomino da trenta famiglie. Bambini piccoli, persone anziane.
WALTER MOLINO Qui siamo nel centro di Milano, nel cuore del quadrilatero della moda, eppure anche da queste parti ci sono situazioni al limite dell’incredibile.
SERENA IMPERNATO - AMMINISTRATRICE DI CONDOMINIO È un problema che riguarda tutti, c'è chi ha fatto un investimento che acquisiscono diversi immobili, per poi metterli a reddito. (LEGGE UN SMS APPENA ARRIVATO) Solo nel ‘22 ho pagato 500 euro in più di gas per il riscaldamento a parte le spese condominiali, saluti.
WALTER MOLINO Gente arrabbiata.
SERENA IMPERNATO - AMMINISTRATRICE DI CONDOMINIO Gente incazzata, sì
WALTER MOLINO FUORI CAMPO Qui siamo a Nettuno, in provincia di Roma. Nelle palazzine di questo complesso di edilizia popolare, Enel ha cominciato a staccare i contatori della luce degli spazi comuni. Pochi casi di morosità hanno lasciato al buio per settimane decine di famiglie.
MARIA ROSARIA CONCILIO Mamma!
EDOARDO GARIBALDI Come mai è tutto buio?
SIGNORA ANZIANA Siamo senza corrente, senza ascensore, senza niente! Pure il giardino è tutto buio.
MARIA ROSARIA CONCILIO L’unica cosa che sappiamo è che abbiamo chiamato l’ente di distribuzione per capire qual era il problema e loro ci hanno detto che l’Ater non ha pagato la bolletta e di conseguenza hanno staccato la luce nelle scale. Questi sono i contatori, questo è il famoso contatore che è quello della luce delle scale, come si può leggere c’è scritto “distacco imposto”.
EDOARDO GARIBALDI Secondo lei a quanti condomini verrà staccato il gas?
CARUSO ANACI MILANO Probabilmente il 20 per cento dei condomini potrebbe subire una situazione di distacco delle forniture.
WALTER MOLINO FUORI CAMPO Il mercato del gas funziona così: forniture in cambio di soldi. Le grandi compagnie importano il gas dall’estero. Poi lo vendono ai reseller cioè ai fornitori che portano il gas nelle case e nelle aziende. Da quando i prezzi si sono impennati, il mercato ha cominciato a pretendere pesanti garanzie dai rivenditori.
MASSIMILIANO SCAVETTO - DIRETTORE COMMERCIALE ENGAS Abbiamo fornitori storici, tipo Shell, Eni, Engie che ci forniscono il gas. Fino all’anno scorso non garantivamo niente.
EDOARDO GARIBALDI E invece oggi?
MASSIMILIANO SCAVETTO - DIRETTORE COMMERCIALE ENGAS E invece oggi la prima parola che ti dicono è la fidejussione, che garantisce uno a uno l’impegno.
EDOARDO GARIBALDI Sostanzialmente è un impegno finanziario doppio per l’impresa
MASSIMILIANO SCAVETTO - DIRETTORE COMMERCIALE ENGAS Doppio esattamente. L’ultima cosa che ci han chiesto è fidejussione, prepayment, e prepayment a prezzo di mercato più 50%, in modo da andarsi a tutelare che se il prezzo dovesse salire lui aveva già i soldi in tasca. Si è arrivati a cifre folli.
WALTER MOLINO FUORI CAMPO Quindi: gli importatori danno il gas ai rivenditori ma prima di fornirglielo pretendono una fideiussione e il pagamento anticipato con un rincaro del 50% sul prezzo di mercato. Cifre folli che stanno scuotendo il comparto dei rivenditori con pesanti conseguenze per i consumatori finali. Le imprese più energivore rischiano di finire in ginocchio.
GIAMPIERO PATRIZI - DIRETTORE COMMERCIALE OLYMPIACERAMICA Il ciclo produttivo per la ceramica sanitaria dura 22 ore e raggiunge una temperatura di 1.250 gradi.
WALTER MOLINO Quanto spendete per il gas ogni anno?
GIAMPIERO PATRIZI - DIRETTORE COMMERCIALE OLYMPIACERAMICA Noi siamo passati da una media di 20 mila euro al mese ad oggi che siamo ad oltre 100 mila euro.
WALTER MOLINO FUORI CAMPO A Civita Castellana, in provincia di Viterbo, c’è il più importante distretto di ceramica sanitaria d’Europa. Qui la lavorazione dell’argilla è una tradizione storica fin dal tempo degli etruschi, oggi una cinquantina di aziende stringono i denti per la sopravvivenza di un’eccellenza del made in Italy.
GIAMPIERO PATRIZI - DIRETTORE COMMERCIALE OLYMPIACERAMICA Questa qui è la bolletta di agosto 2021 dove siamo passati dai quasi 7 mila euro del 2021 ai 51 mila euro del 2022. Invece questo qui è luglio 2021 e questo qui è luglio 2022.
WALTER MOLINO Da 20 mila a 110 mila.
GIAMPIERO PATRIZI - DIRETTORE COMMERCIALE OLYMPIACERAMICA E abbiamo consumato il 24 per cento di gas in meno!
WALTER MOLINO Il vostro fornitore di energia è ENI.
GIAMPIERO PATRIZI - DIRETTORE COMMERCIALE OLYMPIACERAMICA Era ENI, si. Fino a settembre di quest’anno.
WALTER MOLINO Poi che è successo?
GIAMPIERO PATRIZI - DIRETTORE COMMERCIALE OLYMPIACERAMICA Poi è successo che in pratica per poter rinnovare il contratto che avevamo ci hanno chiesto una fidejussione bancaria di mezzo milione di euro o 300 mila euro di pagamento in anticipo.
WALTER MOLINO ENI vi ha chiesto questo perché voi avete una storia di morosità o avete sempre pagato regolarmente?
GIAMPIERO PATRIZI - DIRETTORE COMMERCIALE OLYMPIACERAMICA L’azienda è sana. Quarant'anni clienti, quarant’anni non abbiamo mai sgarrato una bolletta.
WALTER MOLINO FUORI CAMPO Eni ha perso un buon cliente, ma quando i prezzi schizzano così in alto, perfino un colosso si deve tutelare. E di conseguenza anche i rivenditori si potrebbero trovare senza gas da fornire ai consumatori finali.
EDOARDO GARIBALDI Se un rivenditore non riesce ad assicurarsi il gas e quindi non riesce a garantire la fornitura alla famiglia o al bar, che cosa succede?
GIORDANO COLARULLO - DIRETTORE GENERALE UTILITALIA In prima istanza il gas continuerà a fluire grazie al servizio default di Snam, se quello induce il fornitore a non poter pagare Snam a quel punto nell’arco di un mese gli viene tolto e si finisce nel servizio di ultima istanza
WALTER MOLINO FUORI CAMPO Il FUI è il Fornitore di Ultima Istanza, sistema di emergenza introdotto nel 2014 in seguito alla completa liberalizzazione del mercato del gas, cominciata nel 1999 con il Decreto Bersani. Prima c’era il monopolio dello Stato e nessuno poteva restare a secco. Oggi si è in grado di assicurare a tutti la fornitura?
GIORDANO COLARULLO - DIRETTORE GENERALE UTILITALIA Bisogna ragionare su come era stato disegnato, quello era un sistema di emergenza per casi limitati. Oggi il problema vero è che abbiamo una platea più ampia.
WALTER MOLINO FUORI CAMPO Il FUI è una rete di emergenza, inesauribile fino a quando domanda e offerta di gas rimangono in equilibrio. Ma chi finisce in questa rete pagherà di più o di meno?
MASSIMO RICCI - DIRETTORE DIVISIONE ENERGIA ARERA Mediamente diciamo che i due prezzi non dovrebbero poter essere molto diversi, però per esempio nel mercato libero ci sono offerte a prezzo fisso. Offerta a prezzo fisso vuol dire che se io ho comprato energia elettrica l’hanno scorso quando costava la metà, oggi sto pagando ancora la metà. Se mi trovo in quella situazione e mi trovo ad andare nei servizi di tutela, naturalmente non ho più il vantaggio di avere il prezzo fisso di allora.
WALTER MOLINO FUORI CAMPO Arera è l’autorità italiana per l’energia e fra i suoi compiti ha quello di tutelare gli interessi dei consumatori grazie ai poteri di regolamentazione e di controllo sul mercato.
WALTER MOLINO Qualche potere d'intervento però ce l’avete per cercare di regolamentare il mercato. Ad esempio, avete stabilito da poco che le bollette del gas arriveranno mensilmente anziché ogni due mesi. Perché lo avete fatto?
MASSIMO RICCI - DIRETTORE DIVISIONE ENERGIA ARERA Ormai se ne parla anche dal barbiere dei prezzi dell’energia, ma la contezza di quanto uno spende effettivamente per la propria bolletta ce l’ha quando si vede arrivare la bolletta. Quindi il fatto di vedersela arrivare in ritardo vuole anche dire essere consapevoli in ritardo di quelli che sono stati i consumi.
WALTER MOLINO FUORI CAMPO Ad agosto, dopo oltre un anno di picchi mai registrati, il gas ha toccato il record storico. Alla borsa di Amsterdam, l’indice TTF ha sfiorato i 350€/Mwh. Cifre più di venti volte superiori a quelle di 2 anni fa. E solo oggi l’Europa ha trovato un accordo sul tetto al prezzo del gas, se il mercato di Amsterdam supererà la soglia di 180 € al megawattora per più di tre giorni, allora entrerà in funzione lo scudo e nessuno potrà chiudere contratti sopra quella soglia. Ma in quanto a riserve come siamo messi? WALTER MOLINO Le bollette del gas di novembre sono più basse del previsto, i nostri stoccaggi sono pieni al 95%, quindi quest’inverno possiamo stare tranquilli?
MATTEO VILLA - ISPI Gli stoccaggi totali in Italia ci permettono di coprire solo un terzo, meno di un terzo dei nostri consumi totali. Abbiamo bisogno di tante importazioni da fuori e di una attenzione molto forte quest’anno sui consumi nostri. Potremmo arrivare per la prima volta da sempre, almeno trent’anni, ad intaccare le nostre riserve strategiche di gas.
SIGFRIDO RANUCCI IN STUDIO Non sia mai, poi intanto è bastato che Arera decidesse di uscire dalla borsa di Amsterdam per darci un po di ossigeno. Ed è stato anche sufficiente cominciare a pagare seriamente di mettere un tetto al prezzo del gas che è calato del 14%. Ora draghi lo aveva detto a marzo, hanno impiegato nove mesi, una vera e propria gestazione. Però abbiamo capito che se non paghi la bolletta rischi di rimanere senza fornitura. Le grandi compagnie non si fidano neanche dello Stato. È successo con Ilva, Eni quando ha capito che l’acciaieria aveva maturato un debito gigantesco ha tagliato le forniture. Ma non si può vivere senza gas o elettricità. Chi continua a godere e a staccare dividendi pazzeschi sono le grandi compagnie che quello che estraggono a 10 poi lo rivendono a 200 anche a trecento. Poi c’è anche un paradosso che mentre noi ci chiedevamo se fosse sufficiente il gas che stava arrivando, che stavamo importando, lo esportavamo alla Germania perché ce lo pagava anche di più e anche perché, soprattutto, non sapevamo dove metterlo il Gas.
WALTER MOLINO FUORI CAMPO Con gli stoccaggi riempiti fino al 95% e la novembrata che ha allungato l’estate, il governo Meloni annuncia il via libera a nuove trivellazioni nel mare Adriatico, per ridurre la dipendenza dall’estero della nazione. Ma il paradosso è che fino ad ora il gas, non sapevamo più dove metterlo.
MATTEO VILLA - ISPI Il punto interessante è che in questo momento del gas russo non ce ne facciamo nulla. Addirittura, da quel punto di scambio del Tarvisio del gasdotto cominciamo a esportare anziché importare.
WALTER MOLINO Esportiamo gas.
MATTEO VILLA - ISPI Abbiamo avuto un ottobre molto mite, altrimenti non avremmo esportato, e poi continuiamo a importare gas da altre fonti che non sono russe, che costano molto meno rispetto al gas russo. Lo possiamo esportare verso la Germania che ne ha molto bisogno. Chi al momento potrebbe far entrare il gas russo in Italia, invece, ha un interesse molto forte a esportarlo verso chi ce lo paga molto di più. E quindi a farci un profitto.
WALTER MOLINO FUORI CAMPO Quindi sono le stesse grandi compagnie che importano il gas a rivenderlo all’estero e fare profitti favolosi. Ma in che modo le fluttuazioni del mercato determinano i profitti finali? Come sono strutturati i contratti dei grandi importatori? Per le grandi compagnie sono segreti industriali, nessuno li può vedere.
WALTER MOLINO Voi avete potuto metterci il naso dentro. Cosa ci avete trovato?
MASSIMO RICCI - DIRETTORE DIVISIONE ENERGIA ARERA Una buona parte di questi contratti contiene indici legati al mercato spot del gas, cioè il mercato all’ingrosso. E quindi in realtà i prezzi di questi contratti si adeguano ai prezzi di mercato. WALTER MOLINO È vero che ci sono contratti per il gas indicizzati al prezzo del petrolio, in particolare quello che importiamo da Algeria e Azerbaijan?
MASSIMO RICCI - DIRETTORE DIVISIONE ENERGIA ARERA È vero che ci sono dei contratti indicizzati al prezzo del petrolio, certo. È vero anche che questi contratti hanno dei meccanismi di aggiornamento periodico. Quando il prezzo di mercato si disallinea rispetto al prezzo del petrolio, viene cambiato il riferimento di prezzo. Quindi concettualmente hanno un indice che è come il mercato del petrolio ma non dura vent’anni. Hanno dei meccanismi di negoziazione molto più frequenti.
WALTER MOLINO Frequenti, tipo… ogni quanto?
MASSIMO RICCI - DIRETTORE DIVISIONE ENERGIA ARERA Tipo annuale.
WALTER MOLINO Annuale?
MASSIMO RICCI - DIRETTORE DIVISIONE ENERGIA ARERA Si.
WALTER MOLINO Quindi in questo ultimo anno mentre il prezzo del gas saliva e il prezzo del petrolio…
MASSIMO RICCI - DIRETTORE DIVISIONE ENERGIA ARERA È salito anche lui, è salito di meno.
WALTER MOLINO Si è creato un delta tra i due valori.
MASSIMO RICCI - DIRETTORE DIVISIONE ENERGIA ARERA Si.
WALTER MOLINO E quindi chi aveva contratti indicizzati al costo del petrolio ha fatto bei profitti.
MASSIMO RICCI - DIRETTORE DIVISIONE ENERGIA ARERA Chi ha fatto quei contratti si è preso un rischio che poteva andargli male: se il prezzo scendeva perdeva soldi, se si è preso questo rischio e gli è andata bene può averli guadagnati.
WALTER MOLINO FUORI CAMPO Chi si è assunto il rischio ha guadagnato, ma gli utili record delle grandi compagnie energetiche sono un fenomeno strutturale. Nei primi nove mesi dell’anno le major americane ed europee hanno fatto soldi a palate: più di 200 miliardi di dollari di utili. E in Italia?
MASSIMO RICCI - DIRETTORE DIVISIONE ENERGIA ARERA Molte delle importazioni di gas russo… non è un segreto: è molto indicizzato ai prezzi spot. Quindi se io sono un produttore in Russia, produco gas a 15-20 euro di costo a megawattora di estrazione e l’ho venduto a 200, 250, anche 300 ad agosto.
WALTER MOLINO Se vogliamo andare a cercare dov’è che le grandi compagnie fanno gli extraprofitti…
MASSIMO RICCI - DIRETTORE DIVISIONE ENERGIA ARERA Se uno guarda i bilanci di queste grandi aziende sicuramente ci sono delle attività “up stream”, diciamo, a monte, di estrazione, che hanno chiaramente… possono avere questo tipo di marginalità.
WALTER MOLINO FUORI CAMPO I bilanci delle compagnie energetiche italiane sono cresciuti a dismisura tanto da far gola al Governo a caccia di soldi per aiutare famiglie e imprese. Nel marzo scorso Mario Draghi ha imposto una tassa del 25% sugli extraprofitti
MARIO DRAGHI - PRESIDENTE DEL CONSIGLIO 2021-2022 Tassiamo una parte degli straordinari profitti che i produttori stanno facendo grazie all’aumento dei costi delle materie prime. E ridistribuiamo questo denaro alle imprese e alle famiglie che si trovano ovviamente in grande difficoltà.
EDOARDO GARIBALDI Quant’era il gettito atteso?
RAFFAELLO LUPI - PROFESSORE ORDINARIO DIRITTO TRIBUTARIO UNIVERSITA’ DI TOR VERGATA Era troppo! Si vedeva subito che non sarebbero arrivati.
MARIO DRAGHI - PRESIDENTE DEL CONSIGLIO 2021-2022 Quello che non è veramente tollerabile è che in questa situazione in cui gran parte delle famiglie italiane sono in difficoltà e tutto il sistema produttivo italiano, o quasi tutto, è in enorme difficoltà, vi sia un settore che elude una disposizione del Governo.
RAFFAELLO LUPI - PROFESSORE ORDINARIO DIRITTO TRIBUTARIO UNIVERSITA’ DI TOR VERGATA C’ha ragione! Ma falle contribuire bene. Non ti inventare gli extraprofitti dove non ci sono. È come dire: c’è un colpevole, prendiamo il primo che passa per strada e spariamogli… Prendiamo il colpevole giusto!
EDOARDO GARIBALDI Le imprese hanno fatto ricorso al TAR, perché?
RAFFAELLO LUPI - PROFESSORE ORDINARIO DIRITTO TRIBUTARIO UNIVERSITA’ DI TOR VERGATA È una strada tecnica per arrivare prima in Corte costituzionale.
SIGFRIDO RANUCCI IN STUDIO Gli ha detto male perché il Tar ha detto non è mia competenza, qual era il trucco. Quella di far passare come incostituzionale la legge sulla tassa degli extraprofitti proprio per evitare di pagare. Ora il governo Meloni ha anche alzato la tassazione dal 25% imposta da Draghi al 50%, ma riuscirà a farle pagare perché fino adesso hanno versato spiccioli. 2,7 miliardi di euro quando invece solo il Governo Meloni ha stanziato trenta miliardi per mitigare le bollette. Ora secondo il Financial Times le grandi compagnie nel mondo in soli 9 mesi avrebbero guadagnato i n extraprofitti duecento miliardi di dollari. Vivono nelle comunità, guadagnano e godono della comunità ma quale senso della comunità hanno? Ricordano, visto che ci avviciniamo a questo contesto, i manager delle compagnie energetiche il personaggio Scrooge, il cattivo avaro del romanzo di Dickens canto di Natale. Odiava il Natale Scrooge, perché era una pausa imposta nella quale non poteva guadagnare di più. Per questo si rifiutava anche di aiutare i poveri, poi all’improvviso spuntano degli spiriti benevoli. Lo fanno pentire, lui compie dei gesti di solidarietà. Qual è la morale del romanzo di Dickens. Se si compiono dei piccoli gesti individuali di solidarietà si annulla il male sociale e si vive anche meglio. Ora, si vede che nei casi dei manager delle aziende energetiche mancano gli spiriti benevoli.
Estratto dell’articolo di Emanuele Bonini per “La Stampa” il 20 dicembre 2022.
Tetto al prezzo del gas, ora c'è il via libera. Il Consiglio dell'Ue trova l'intesa politica per bloccare, a determinate condizioni, le quotazioni del gas a 180 euro per Megawattora a partire dal 15 febbraio 2023, una volta entrato in vigore il testo su cui i Ventisette ministri hanno trovato l'intesa ieri dopo mesi di trattative e tensioni.
[…] Ma molto dipenderà dalle valutazioni tecniche: se i rischi saranno superiori ai benefici il price cap potrà essere sospeso. […] il tetto non sarà automatico, ma verrà imposto dopo tre giorni consecutivi di costo superiore ai centottanta euro al Megawattora. Una condizione, quella di un limite «dinamico», alla base del via libera in sede Ue.
La Germania dice «sì», si astengono Austria e Paesi Bassi. […] Una volta attivato, il limite di offerta dinamica si applicherà per almeno venti giorni lavorativi. Se il limite di offerta dinamica è inferiore a centottanta euro al Megawattora per gli ultimi tre giorni lavorativi consecutivi, verrà automaticamente disattivato.
Ma lo stesso tetto potrà essere disattivato «automaticamente, in qualsiasi momento», se un'emergenza regionale o dell'Unione è dichiarata dalla Commissione europea in termini di sicurezza dell'approvvigionamento, in particolare in una situazione in cui la fornitura di gas è insufficiente per soddisfare la domanda di gas.
L'Europa degli Stati esulta, e intanto la Russia minaccia ritorsioni. […] Era importante dare un segnale ai mercati, e quelle energetico ha risposto. Il costo del gas scambiato sul mercato olandese del Ttf, dopo i rialzi della mattina e il picco a 117 euro al Megawattora è sceso a quota 111 euro, per poi scendere ancora e toccare i 106,6 euro al Megawattora dopo l'annuncio dell'accordo trovato a Bruxelles.
Per il momento l'effetto annuncio contribuisce a ridurre le oscillazioni del prezzo, ma niente è ancora davvero deciso. Da calendario il meccanismo di correzione del mercato sarà in vigore dal 15 febbraio, ma prima di allora l'Agenzia dei regolatori europei (Acer) e l'Autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati (Esma) dovranno produrre un'analisi costi-benefici. Se i primi saranno maggiori dei secondi la Commissione potrà sospendere il meccanismo «in anticipo», avverte la commissaria Simson.
Estratto dell’articolo di Giu.Bot. per “La Stampa” il 20 dicembre 2022.
«[…] Che questa misura funzioni però è tutto da vedere». Parla Simone Tagliapietra, senior fellow dell'istituto Bruegel, punto di riferimento a livello europeo per l'energia, e professore all'Università Cattolica del Sacro Cuore. […] il patto, spiega l'economista, resta pieno di incognite.
Tagliapietra, il meccanismo riuscirà a fermare la corsa del metano?
«L'impatto finale è tutto da dimostrare. Ci sono diverse clausole necessarie perché questo meccanismo entri in atto, associate a ulteriori clausole di salvaguardia che possono farlo dismettere se ci fossero effetti collaterali. Addirittura, questo sistema potrebbe non essere mai attivato».
[…] «L'Europa il prossimo anno avrà un problema molto importante: accaparrarsi tutto il gas di cui avrà bisogno in un 2023 che non vedrà disponibile il metano russo.
Dipenderemo molto dal Gnl (Gas Naturale Liquefatto), e tanto sarà legato da quel che accade in Cina. Più che il prezzo il problema sarà avere scorte sufficienti di energia».
È possibile che il prossimo inverno sia più difficile di questo?
«Che il prossimo inverno sia complicato almeno quanto questo è ormai assodato: che sia più difficile dipende da noi. Se continuiamo a tenere bassi i consumi, se mandiamo avanti gli accordi con l'Algeria e con gli altri Paesi fornitori, allora avremo un posizionamento migliore. Di certo la crisi energetica non finisce quest' anno e questo dobbiamo tenerlo sempre bene in mente». […]
La Telefonia.
(ANSA lunedì 6 novembre 2023) - "I diritti degli azionisti di Tim sono stati violati" e "la decisione del cda è illegittima", così Vivendi commenta la vendita della rete a Kkr. Vivendi "utilizzerà ogni strumenti legale a sua disposizione per contestare questa decisione e tutelare i suoi diritti e quelli di tutti gli azionisti" scrive in una nota.
Vivendi "si rammarica profondamente" che il Consiglio di Amministrazione di Tim, abbia accettato l'offerta di Kkr per l'acquisto della rete di Tim, "senza prima informare e chiedere il voto degli azionisti di Telecom Italia, contravvenendo così alle regole di governance applicabili".
"Le motivate richieste di Vivendi, espresse attraverso molteplici comunicazioni al Consiglio di Amministrazione, ai Sindaci e all'Autorità di vigilanza del mercato (Consob), volte a tutelare tutti gli azionisti e ad impedire una situazione così pregiudizievole, sono state completamente ignorate", continua la nota di Vivendi.
"Il Consiglio ha privato ciascun socio del diritto di esprimere il proprio parere in assemblea, nonché del connesso diritto di recesso per i soci dissenzienti" scrive ancora il socio francese. Vivendi ritiene che, in conseguenza di tale violazione dello statuto sociale e del regolamento OPC, la deliberazione adottata oggi dal Consiglio di Amministrazione sia illegittima e comporti la responsabilità degli amministratori di Tim che hanno votato a favore dell'operazione.
Nella nota si legge anche che: "Cinque pareri pro veritate hanno confermato che la cessione dell'intera rete infrastrutturale di Telecom Italia comporta una evidente modifica dell'oggetto sociale di Tim che avrebbe necessitato una preventiva modifica dello statuto della società, decisione di competenza dell'Assemblea straordinaria".
Per il socio francese infine: "la decisione assunta dal Consiglio di Amministrazione di Tim è viziata anche dal mancato rispetto delle norme in materia di operazioni di maggiore rilevanza con parti correlate, in virtù della partecipazione con poteri decisionali del ministero dell'Economia e delle Finanze, controllante di Cassa Depositi e Prestiti S.p.A. che è parte correlata di TIM. Vivendi rammenta che, nel respingere il richiamo di Vivendi sul rispetto della procedure parti correlate, il presidente di Tim ha affermato per iscritto che l'offerta riguarda solo il fondo KKR il quale avrebbe il controllo esclusivo sulla società della rete di trasmissione italiana".
Estratto dell’articolo di Manuel Follis per “La Stampa” lunedì 6 novembre 2023.
Nessun rinvio, nessuna assemblea. Il cda di Tim ha approvato la cessione della rete a Kkr per 18,8 miliardi, valore che potrebbe arrivare a 22 miliardi. Come da attese, il via libera è arrivato a maggioranza con il voto favorevole di 11 consiglieri e quello contrario di tre membri del board (Giovanni Gorno Tempini non era presente in quanto presidente di Cdp) e come da attese Vivendi, primo azionista con il 24%, ha annunciato azioni legali. Al di là dei numeri, che hanno sicuramente importanza, si tratta della prima grande operazione finanziaria che avviene sotto il governo di Giorgia Meloni.
Un'operazione sulla quale l'esecutivo ha giocato un ruolo di primo piano, visto che il Mef parteciperà alla cordata insieme a Kkr con un impegno fino a 2,5 miliardi, e che probabilmente farà anche discutere politicamente visto che un asset importante come la rete di accesso passa a un fondo americano, pur con il previsto «presidio politico».
L'offerta vincolante valorizza Netco (la futura società della rete) 18,8 miliardi di euro, meno delle indiscrezioni che ipotizzavano 20 miliardi, ma prezzo che all'avverarsi di alcune condizioni(tra cui una fusione con Open Fiber) potrebbe arrivare fino a 22 miliardi.
L'offerta parallela fatta da Kkr per Sparkle (esclusa da Netco) non è stata ritenuta congrua e per questo il cda verificherà la possibilità di ricevere una proposta migliore entro il 5 dicembre. Il cda ha anche preso atto del piano alternativo presentato da Merlyn che però non è stato ritenuto «in linea con il piano di delayering della società» presentato nel luglio 2022.
Tornando all'offerta di Kkr, un aspetto importante riguarda la mancata convocazione di un'assemblea per sottoporre l'operazione agli azionisti. Il board ha infatti deliberato che la decisione sull'offerta fosse «di competenza esclusiva consiliare» e ha quindi dato mandato all'ad Pietro Labriola, «di finalizzare e sottoscrivere i contratti vincolanti relativi all'offerta». […]
Questa scelta però, secondo Vivendi, «ha privato ciascun socio del diritto di esprimere il proprio parere in assemblea, nonché del connesso diritto di recesso per i soci dissenzienti».
I francesi hanno ribadito quanto «espresso attraverso molteplici comunicazioni al cda, ai sindaci e alla Consob» e cioè che l'operazione avrebbe dovuto essere approvata da un'assemblea straordinaria e che sia mancato «il rispetto delle norme in materia di operazioni di maggiore rilevanza con parti correlate», visto che il Mef farà parte della cordata con Kkr ed è anche il principale azionista di Cdp che possiede il 10% di Tim.
Per questi motivi, Vivendi ritiene che la deliberazione del cda «sia illegittima e comporti la responsabilità degli amministratori di Tim che hanno votato a favore dell'operazione» e utilizzerà «ogni strumento legale a sua disposizione per contestare questa decisione e tutelare i suoi diritti e quelli di tutti gli azionisti».
Completamente diversa la visione dell'ad Labriola. «Due anni di lavoro a testa china si chiudono con una decisione storica: dare il via alla nascita di due società con nuove prospettive di sviluppo», ha spiegato il manager. «Non è la conclusione del nostro percorso - ha aggiunto - ma un nuovo inizio». […]
TIM, STORIA DI UN GRANDE ORRORE.
Estratto dell’articolo di Marco Palombi per “il Fatto quotidiano” lunedì 6 novembre 2023.
Ella fu. Tim continuerà ancora formalmente a vivere per un po’, almeno fino alla vendita pezzo dopo pezzo di quel che rimane, ma la lunga storia della società iniziata nel 1933 con la fondazione della Stet è finita ieri ed è, per i suoi ultimi trent’anni, una storia ingloriosa in cui convergono l’insipienza dolosa o colposa della classe dirigente politica e il cialtronismo straccione della cosiddetta “grande impresa” italiana, ché “il cretinismo degli industriali” di cui Antonio Gramsci non può coprire tutta la vicenda.
[…] L’ultimo atto […] l’ha scritto ieri pomeriggio il cda […]: vendere entro l’estate […] la rete telefonica al fondo Kkr, che grazie a Meloni&giorgetti si ritroverà come soci di minoranza il Tesoro e Cdp. […]
Questo disastro inizia però trent’anni fa, quando “la madre di tutte le privatizzazioni” fu necessaria all’italia per rispettare i parametri di Maastricht: nessun piano industriale, solo il bisogno di fare cassa. È la prima delle molte scelte finanziarie che hanno portato all’inferno un colosso industriale.
Tim nel suo perimetro attuale nasce tra il 1994 e il 1997 dalla fusione della Sip con la Stet dell’iri. L’azienda, citiamo dal recente Illusioni perdute di Marco Onado e Pietro Modiano (Il Mulino), nel 1998 è “la quarta in Italia per fatturato e la prima per valore aggiunto, aveva una elevata redditività (l’utile superava l’11% del fatturato) e praticamente non aveva debiti”. A non dire che occupava 120mila persone contro le 40mila di oggi e aveva “una forte capacità innovativa” garantita da consociate all’avanguardia come la Cselt.
A Palazzo Chigi c’è Romano Prodi e la privatizzazione è gestita a livello politico dal ministro dell’economia Carlo Azeglio Ciampi e a livello tecnico dal dg del Tesoro Mario Draghi: si decide di venderla tutta, ma spingendo a investire un gruppo di azionisti italiani, il “nocciolo duro”.
Lo Stato incasserà 26mila miliardi di lire e Telecom finirà a un “nocciolino” che ha meno del 7% del capitale ed è guidato dalla Fiat con un misero 0,6%. Si butta un anno e più tra incertezze e litigi, con gli Agnelli che impongono un vertice digiuno di competenze nel settore, finché (febbraio 1999) non arriva l’opa di Roberto Colaninno, frontman di una cordata basata in Lussemburgo a cui partecipano Enrico Gnutti ,i Lonati e altri.
Sono “i capitani coraggiosi” benedetti dal premier dell’epoca, Massimo D’alema, che prendono il controllo di Telecom via scatole cinesi e leva finanziaria. Tradotto: il controllo della società passa in una finanziaria estera, la Bell, che controlla Olivetti che controlla Telecom; la gran parte dell’opa viene finanziata a debito, […] che […] viene poi scaricato sulla stessa Telecom, che in sostanza paga per farsi comprare.
Passano due anni, a Palazzo Chigi torna Silvio Berlusconi ed è il turno di Marco Tronchetti Provera di Pirelli: stavolta non c’è nessuna Opa perché per prendersi Telecom basta prendersi Bell.
[…] La società s’avvia ormai moribonda alla rivoluzione delle tlc: non la salveranno “l’operazione di sistema” tra le banche e la spagnola Telefonica (2007), che pure consentì di andarsene felice pure al buon Tronchetti, né l’ingresso “ostile” dei francesi di Vivendi (2018) o la reazione della strana coppia tra il fondo britannico Elliott e Cdp, oggi secondo azionista di Tim col 9% circa.
È stato calcolato che questo rutilante avvicendarsi di azionisti sia costato a Tim tra debito e dividendi qualcosa come 70-80 miliardi.
E così si arriva all’ennesima operazione finanziaria: la vendita della rete al prezzo di 20-22 miliardi, che Kkr pagherà per metà a debito. […] un’infrastruttura strategica e monopolista del mercato, viene venduta a Kkr con la contrarietà del primo azionista e il non voto del secondo (è in conflitto di interessi: controlla Open Fiber), ma con la benedizione di Meloni e i soldi dei contribuenti (ma ce ne vorranno di più: il cda di Tim chiede un prezzo migliore per i cavi sottomarini di Sparkle, destinati appunto al Mef ). Non si sa se la rete avrà gli investimenti di cui necessita: quello che si sa è che il fondo Usa avrà il solito rendimento del 10% sul capitale investito.
Estratto dell’articolo di Osvaldo De Paolini per “il Giornale” lunedì 6 novembre 2023.
Una catena infinita di errori: è la sintesi di venticinque anni di Telecom Italia, oggi nota come Tim, da ieri avviata a cedere la rete che ne ha costituito la spina dorsale dalla fondazione.
Una catena di eventi dentro i quali sono condensati tutti i vizi del capitalismo privato italiano esaltati dalla totale inanità o, peggio, dalla complicità di alcuni governi che hanno acconsentito che un campione italiano - sesto gruppo di tlc a livello mondiale e primo in Europa per innovazione tecnologica alla fine degli anni ’90 - venisse spolpato e dilaniato dagli azionisti che di volta in volta ne hanno assunto la guida.
[…] la cessione della rete al fondo americano Kkr, che sarà affiancato dal Tesoro italiano, è una scelta pressoché obbligata. Ma come si è arrivati a tanto? Il più grave degli errori è senza dubbio all’origine, quando nel 1999 il governo guidato da Massimo D’Alema costringe Tesoro e Banca d’Italia (allora soci di Telecom) a farsi da parte in nome di una non meglio precisata «neutralità» davanti all’Offerta pubblica da 60 miliardi di euro, gran parte a debito, lanciata dai cosiddetti «capitani coraggiosi» guidati dal mantovano Roberto Colaninno.
Tre anni dura la cavalcata delle sue truppe prima che Telecom, opportunamente smagrita per fare ricchi i novelli capitalisti, sia ceduta alla Pirelli di Marco Tronchetti Provera che ne assume il controllo promettendo di ridurre la filiera di scatole cinesi […]. Ma quando Tronchetti approda in Telecom si accorge che molti punti di forza già sono stati indeboliti dal formidabile appetito e dalla scarsa competenza del team dei mantovani.
Basti citare la fusione tra Seat Pagine Gialle e Tin.it di cui vale ricordare i tratti essenziali. Al momento dell’annuncio, primavera 2000, quindi punto più alto della bolla azionaria, Seat capitalizza in Borsa 72 miliardi ben più dell’Eni e dell’Enel - destinati però a scendere a 8 miliardi nel giro di un anno e mezzo. Eppure Colaninno impegna Telecom in un’operazione che costa alla società un deflusso di 6,7 miliardi che, essendo transitato nel percorso Torino-Torino per il Lussemburgo […], non ha lasciato nomi e cognomi dei destinatari finali.
Per non dire della situazione finanziaria: se nel 1998 Telecom Italia non ha praticamente debiti e vanta una redditività invidiabile, a conclusione del triennio di Colaninno il debito è addirittura doppio del patrimonio. […] il problema del debito è stato il principale ostacolo della gestione nei vent’anni successivi, combinandosi con una redditività di base fatalmente in declino a causa di una competizione crescente divenuta esiziale, colpa anche di un gap tecnologico con i competitor che via via è andato ampliandosi.
Si potrebbero scrivere tre libri sulla storia recente di Tim-Telecom, vista l’abbondanza di materiale offerto dai passaggi chiave coincisi con i trasferimenti del controllo.
A cominciare dal primo, frutto della necessità di privatizzare il gruppo nel 1997 per consentire al governo Ciampi di ottenere in extremis l’ammissione dell’Italia all’euro, una privatizzazione che avrebbe dovuto rappresentare la «madre di tutte le privatizzazioni» e che invece si concluse con uno striminzito “nocciolino” di comando grazie al quale la famiglia Agnelli aggiungeva potere a potere sborsando, come è sempre stato nello stile della casa, una manciata di euro.
Ma se i sogni industriali di Tronchetti sono svaniti per le nuove complessità del business e per le crescenti quantità di risorse necessarie, indovinate chi nel 2007 è sceso in soccorso del gruppo telefonico? La solita cordata di «sistema» composta dalle solite grandi banche, ma questa volta affiancate da un partner straniero, l’iberica Telefonica, che di lì a qualche anno diverrà azionista di controllo.
Ma a causa del colossale debito - che nel frattempo era cresciuto ben oltre 30 miliardi - le nuove risorse non bastavano mai, e dopo mille polemiche per aver lasciato i progetti telefonici nazionali in mano a un concorrente straniero, la grande alleanza finisce in gloria, con Telecom trasformata in public company e affidata al mercato in balia del primo raider disposto a versare nuova benzina nei suoi serbatoi.
Ed ecco i francesi di Vivendi, che nel 2016 con poco meno del 25% rastrellato sul mercato per evitare il lancio dell’Offerta pubblica assumono il comando della società. E con il loro arrivo gli errori si moltiplicano. Posto che l’obiettivo ambizioso del gruppo guidato da Vincent Bolloré guardava oltre i confini di Telecom perché comprendeva la conquista di Mediaset per farne un gruppo integrato, il cambio di cinque amministratori delegati alla guida della società (Marco Patuano, Flavio Cattaneo, Amos Genish, Luigi Gubitosi, Pietro Labriola) in solo 8 anni da azionista di maggioranza, la dice lunga su lucidità e chiarezza del progetto. Soprattutto in considerazione del fatto che di aumenti di capitale non si è vista l’ombra. […]
Telefonia, l’Antitrust multa Vodafone, Wind, Telecom e Fastweb. Redazione CdG 1947 su Il Corriere del Giorno il 3 Aprile 2023
Alle quattro società multe per un totale di 1 milione di euro. Secondo l’Autorità gli operatori telefonici hanno attuato pratiche scorrette nella gestione delle cessazioni delle utenze di telefonia fissa e mobile. L'utente cambia operatore telefonico, ma questo continua a inviargli la fattura chiedendo di esser pagato. Quando passa a un altro operatore, finisce per ritrovarsi una fattura sia dal vecchio che dal nuovo.
L’Autorità Antitrust ha sanzionato i gestori telefonici Vodafone (400mila euro), Wind Tre (300mila euro), Telecom (200mila euro) e Fastweb (100mila euro) per i loro comportamenti illegittimi nella gestione delle cessazioni delle utenze di telefonia fissa e mobile, anche nell’ipotesi di migrazione verso un altro operatore.
In un comunicato dell’Antitrust si evidenzia che “sono emerse criticità nella gestione delle procedure interne delle cessazioni delle utenze, che hanno dato origine – a partire almeno da gennaio 2020 – a situazioni di fatturazioni post-recesso o, in caso di migrazione, di doppia fatturazione a carico dell’utente, a cui è stato richiesto illegittimamente di saldare le fatture sia del nuovo sia del precedente operatore“.
Secondo l’Autorità, la illegittima prosecuzione della fatturazione – dopo la richiesta di cessazione del servizio – “è riconducibile ad anomalie e a disallineamenti tecnici tra i sistemi di gestione informatici del processo interno di ciascuna società, rispetto ai quali le stesse, anche se in misura diversa, non hanno adottato efficaci meccanismi di controllo e di intervento tempestivo”. Da ultimo, “le quattro compagnie telefoniche sono state diffidate dal continuare ad attuare la pratica scorretta ed entro 90 giorni dovranno comunicare all’Autorità le iniziative adottate a tal fine”. Redazione CdG 1947
Bancopoli.
Le Commissioni.
Gli extraprofitti.
Le Lobby.
Il Phishing.
I Crack.
Commissione d’incasso. Mancata Trasparenza o Tangente bancaria.
Se in Italia dal punto di vista fiscale si pagano le imposte dirette sul lavoro, si pagano le imposte indirette sull’acquisto di un bene frutto di quel lavoro e si pagano le tasse per il possesso di quello stesso bene, dal punto di vista bancario si pagano gli interessi sul denaro altrui e si pagano le commissioni bancarie per tenere ed avere il denaro proprio.
Come dire? Dalla padella, nella brace.
A tal proposito racconto che l’amministratore di un immobile locato distribuisce ai proprietari, eredi in comunione, la 16ª parte del canone di locazione. Ad ognuno di loro tocca euro 55,40 liquidati con assegni della banca del medesimo amministratore. Gli eredi già pagano le imposte dirette e comunali sull’immobile.
Il 16 ottobre 2023, avendo ricevuto l’assegno nominativo circolare bancario di euro 55,40 dell’Iccrea Banca di Credito Cooperativo di Avetrana, anziché depositarlo gratuitamente sul mio conto di una banca terza, per fare prima decido di incassarlo direttamente dalla banca traente e trattaria, ma all’incasso mi consegnano solo 50,40 euro.
Si sono trattenuti 5,00 euro, pari al 10% del valore del loro stesso assegno.
Alla mia domanda sul perché quell’ammanco, mi si risponde: così è, gliel’ho detto.
Non essendo cliente di quella banca, non ho potuto leggere le condizioni generali di gestione, né all’esterno vi era alcun avviso sull’incasso degli assegni, tanto meno sono stato avvisato oralmente, altrimenti avrei receduto dall’incassare in quel modo.
E’ successo ad Avetrana, ma è come se fosse successo in ogni parte d’Italia.
Io avendo un conto corrente con un’altra banca non ci casco più, ma chi non ha un conto corrente bancario aperto, o ce l’ha online, come fa? Deve patire?
E’ normale questo andazzo? Come definire quest’azione: mancata trasparenza o tangente bancaria del 10%?
Bisogna sempre subire e tacere, specie se le banche sono agevolate dalla politica e sono solite finanziare la pubblicità mediatica, per far tacere queste anomalie?
Estratto dell’articolo di Sergio Rizzo per “Milano Finanza” sabato 11 novembre 2023.
E sarebbe questo il ringraziamento? Il pensiero cattivo potrebbe attraversare la mente di qualcuno dopo aver scoperto che il Mediocredito Centrale e le sue controllate Banca Popolare di Bari e CariOrvieto non pagheranno gli extraprofitti allo Stato. Perché questo gruppo bancario non solo è di proprietà dello Stato attraverso Invitalia, ma è pure presieduto da un signore, Ferruccio Ferranti, nominato qualche mese fa dal governo di Giorgia Meloni in quota Fratelli d'Italia. Ossia il partito della presidente del Consiglio, con cui Ferranti è da sempre - si può dire senza timore di smentita - in sintonia pressoché perfetta.
Eppure nemmeno lui darà un solo euro al suo governo per la battaglia contro i banchieri sfruttatori che fanno montagne di soldi grazie agli aumenti dei tassi decisi dalla Banca Centrale Europea speculando sui costi dei mutui pagati dai poveri Cristi. Perché questa è la tesi che ha ispirato la mossa meloniana di far pagare agli istituti di credito una tassa supplementare sui cosiddetti extraprofitti.
«Stiamo registrando utili record e abbiamo deciso di intervenire introducendo una tassazione del 40% sulla differenza ingiusta del margine di interesse. Una tassa non su un margine legittimo ma, appunto, ingiusto», dice Meloni il 9 agosto scatenando l'offensiva. Promettendo che quei soldi serviranno a «finanziare misure a sostegno di famiglie e imprese in difficoltà per l'alto costo del denaro».
[…]
È Giovanbattista Fazzolari, il suo sottosegretario alla presidenza, secondo un giudizio attribuito a Meloni «l'uomo più intelligente che abbia mai conosciuto», a sparare la prima bordata: «Con Conte e il Pd non è mai stato messo nemmeno un euro in più di tasse alle banche. Questo è l'unico governo che ha la forza di tassare le banche perché è l'unico che non ha rapporti privilegiati con il sistema bancario». Le ultime parole famose.
Mentre la premier insiste che finalmente è finita la storia dello «Stato forte coi deboli e debole coi forti» giurando che difenderà sempre la tassa sulle banche, con il leader della Lega Matteo Salvini che sul pratone di Pontida proclama che «la tassa sugli extraprofitti delle banche per noi è una priorità, non torneremo indietro», la retromarcia è già in atto. Forza Italia non ci sta e cerca in tutti i modi di annacquare il decreto.
Poi arriva anche il giudizio negativo della Bce perché la nuova imposta aggiuntiva, fanno sapere da Francoforte, non si può utilizzare per risanare il bilancio pubblico. Così la dichiarazione di guerra allo «Stato forte coi deboli e debole coi forti» pian piano si affloscia. Fino a sgonfiarsi del tutto.
E il governo, che sarebbe stato l'unico a poter tassare le banche perché l'unico a non avere rapporti privilegiati con le banche (Fazzolari dixit), in realtà fa un grosso favore alle banche e ai suoi azionisti. Quello che esce fuori consente agli istituti di scegliere fra pagare la tassa o accantonare a riserva non distribuibile una cifra pari a due volte e mezzo i cosiddetti extraprofitti.
Che cosa accade in questo secondo caso? Gli azionisti guadagnano lo stesso somme importanti e forse mai viste, considerato il boom degli utili che si è verificato nell'ultimo anno. La banca si rafforza patrimonialmente, con il risultato di allontanare in molti casi la prospettiva di aumenti di capitale.
Per giunta si pagano anche meno tasse di quante se ne sarebbero dovute pagare nel caso in cui le imposte avessero gravato sull'intero profitto. Il risultato è che, se i precedenti governi - ed è verissimo - non avevano fatto pagare un euro di tasse in più alle banche, questo esecutivo ha consentito loro di pagare addirittura qualche euro in meno.
Prova ne è il fatto che tutte le banche hanno finora optato per l'alternativa di tenersi i famosi extraprofitti a riserva. Compresi tutti, ma proprio tutti, gli istituti controllati dallo Stato. Perché la stessa decisione l'ha presa, dopo il Mediocredito Centrale, anche il Montepaschi. Ritornata finalmente al sospirato utile, la banca controllata dal Tesoro ha fatto «marameo» all'Erario sui super profitti. Esattamente al pari di Unicredit, Intesa Sanpaolo, Mediobanca, Banco Bpm....
Se si fa un rapido conto, gli almeno 4 miliardi che qualcuno contava di avere già in tasca per la finanziaria che precede la campagna elettorale delle prossime europee, sono già sfumati così. E alla fine il ministro dell'Economia si è dovuto arrampicare sugli specchi per giustificare il fatto che famiglie e imprese, come aveva invece promesso la premier, non vedranno neppure un centesimo di quei «margini ingiusti» tolti a chi avrebbe speculato sui mutui prima casa. [...] Da Robin Hood allo sceriffo di Nottingham…
Che cos'è l'extraprofitto? Tutti ne parlano. Ma che cos'è davvero? Ecco la definizione, la storia, come si calcola e l'impatto sull'economia. Rita Galimberti su Panorama l'8 Agosto 2023
L'economia è una scienza complessa basata su una moltitudine di concetti fondamentali che influenzano le decisioni aziendali, la politica economica e il benessere sociale. Uno di questi concetti è la redditività incrementale, un termine che ha profonde implicazioni per le imprese, i consumatori e l'intero tessuto economico. Ma che cos'è l'extraprofitto, qual'è la sua storia, come viene calcolato e quando si manifesta? Cos'è l'extraprofitto? L'extraprofitto, noto anche come profitto economico o sovraprofitto, rappresenta la parte dei ricavi di un'impresa che supera il costo totale dell'input necessario per produrre un bene o un servizio. In altre parole, è il guadagno in eccesso ottenuto da un'azienda al di là del necessario per coprire i costi di produzione. L'extraprofitto è un termine cruciale nell'ambito dell'economia e delle teorie aziendali, rappresentando un elemento fondamentale nella comprensione del funzionamento delle imprese e delle dinamiche di mercato. Questo concetto non si limita semplicemente a identificare il surplus di reddito che un'azienda può generare; esso svela una vasta gamma di implicazioni economiche e sociali che vanno ben oltre la superficie. L'extraprofitto non è una semplice aggiunta di guadagno rispetto al costo di produzione. Si evolve in diverse dimensioni che riflettono la complessità del business e dei mercati. In primo luogo, è una misura dell'efficienza economica. Quando un'azienda riesce a generare più profitto, dimostra che l'azienda alloca le risorse in modo efficiente e produce beni o servizi di valore superiore al costo di produzione. L'extraprofitto influisce direttamente sull'allocazione delle risorse nell'economia. Quando le aziende generano profitti in eccesso, gli imprenditori sono incoraggiati a investire in nuovi progetti, espandere la produzione e cercare opportunità di crescita. Pertanto, i profitti aggiuntivi fungono da motore dello sviluppo economico, stimolando l'innovazione e ampliando i settori produttivi. D'altra parte, un aumento dei profitti può anche generare preoccupazioni per quanto riguarda la concentrazione del potere economico. Le aziende che riescono a mantenere livelli costantemente elevati di profitti in eccesso possono accumulare un'enorme influenza sul mercato, restringendo la concorrenza e impedendo l'ingresso di nuovi player. Ciò può comportare una minore varietà di prodotti, prezzi più elevati per i consumatori e una ridotta efficienza economica. La storia dell'extraprofitto La storia dell'extraprofitto risale alle origini stesse dell'economia come disciplina. Nel corso dei secoli, l'approccio alla nozione di profitto è evoluto, passando attraverso diverse teorie e prospettive. Tuttavia, è stato nel XIX secolo che si è assistito a uno spostamento significativo nell'analisi economica, grazie alle teorie marginaliste. Le prime teorie economiche, come quelle proposte da Adam Smith e David Ricardo nel XVIII e XIX secolo, hanno affrontato la questione dei profitti in relazione al lavoro e al valore intrinseco dei beni. Tuttavia, è stato il lavoro di economisti marginalisti come Carl Menger, William Stanley Jevons e Leon Walras, sviluppato nel XIX secolo, a gettare le basi per una comprensione più approfondita dell'extraprofitto. Questi economisti hanno introdotto il concetto di utilità marginale e costo marginale, rivelando come l'extraprofitto potesse derivare dalla differenza tra il prezzo di mercato di un bene o servizio e il suo costo marginale di produzione. Questo nuovo approccio ha segnato una svolta nella comprensione del profitto come incentivo all'efficienza e all'allocazione ottimale delle risorse, aprendo la strada a un'analisi più dettagliata delle dinamiche di mercato e delle forze che modellano l'extraprofitto in un'economia di mercato.
Calcolo dell'extraprofitto Il calcolo dell'extraprofitto coinvolge una valutazione dei costi e dei ricavi di un'impresa. Per determinare l'extraprofitto, è necessario: 1. Calcolare i ricavi totali: Questo rappresenta l'ammontare totale di denaro che un'impresa guadagna dalla vendita di beni o servizi. 2. Calcolare i costi totali: Questi includono i costi diretti, come materie prime e lavoro, nonché i costi indiretti, come affitto, manutenzione e amministrazione. 3. Sottrarre i costi totali dai ricavi totali: La differenza tra i ricavi totali e i costi totali fornisce l'extraprofitto. Quando si ha extraprofitto L'extraprofitto si manifesta quando un'azienda è in grado di generare ricavi superiori ai costi necessari per produrre un bene o servizio. Ci sono diverse circostanze in cui un'azienda può ottenere extraprofitto: 1. Innovazione: Un'impresa che introduce un nuovo prodotto o servizio innovativo sul mercato potrebbe godere di un periodo di extraprofitto grazie alla mancanza di concorrenza diretta. 2. Controllo del mercato: Un'azienda che detiene una posizione dominante sul mercato può sfruttare il suo potere di mercato per fissare prezzi più alti e generare extraprofitto. 3. Barriere all'ingresso: Settori con barriere all'ingresso, come alti costi iniziali o regolamentazioni complesse, possono consentire alle aziende esistenti di generare extraprofitto proteggendo il mercato da nuovi concorrenti. 4. Scarsità: Se un bene è scarsamente disponibile ma richiesto dai consumatori, le aziende che sono in grado di fornirlo possono guadagnare extraprofitto grazie all'effetto della domanda superiore all'offerta. L'extraprofitto nel settore bancario Il concetto di extraprofitto ha un significato particolare se applicato al settore bancario. Le banche, in quanto istituzioni finanziarie importanti nel sistema economico, operano in un contesto particolare in cui ulteriori profitti possono manifestarsi in varie forme. L'intermediazione finanziaria è uno dei principali mezzi con cui le banche possono generare profitti aggiuntivi. Quando le banche sono in grado di reperire capitali a un tasso di interesse inferiore a quello applicato sui prestiti alla clientela, si crea una differenza tra il tasso attivo e quello passivo, generando profitti aggiuntivi. Tale differenza, nota come “margine”, rappresenta il beneficio netto che le banche ricevono attraverso la gestione dell'attivo e del passivo. Oltre alla gestione dei tassi di interesse, le banche possono generare profitti aggiuntivi attraverso altre attività finanziarie, come il trading di derivati, la gestione degli investimenti e le commissioni bancarie. Ad esempio, se una banca riesce a ottenere un profitto maggiore dalla negoziazione di strumenti finanziari rispetto a quanto costa acquistarli, questa differenza rappresenta il profitto aggiuntivo generato dall'abilità del trader o da un'efficiente analisi di mercato. Tuttavia, è importante notare che il settore bancario è soggetto a un'ampia regolamentazione, poiché l'accumulo di profitti eccessivi può sollevare preoccupazioni circa la concentrazione del potere economico e il rischio sistemico. Pertanto, le autorità di regolamentazione svolgono un ruolo importante nel bilanciare l'aumento dei profitti, la stabilità finanziaria e la protezione degli interessi dei consumatori.
Estratto dell'articolo di Sergio Rizzo per “L’Espresso” lunedì 28 agosto 2023
Chi si scandalizza dovrebbe fare un ripasso di liberalismo. Nel settore bancario non vige il libero mercato. È un settore con forti rigidità, nel quale opera un numero limitato di soggetti». Parola di Giovanbattista Fazzolari, alter ego a Palazzo Chigi di Giorgia Meloni. Di lui la presidente del Consiglio avrebbe detto: «È la persona più intelligente che abbia mai conosciuto». […] C’è qualcosa però che non convince nel suo ragionamento, consegnato al quotidiano La Verità. Perché le banche italiane, è vero, di problemi ne hanno a bizzeffe.
Ed è anche probabile […] che in talune circostanze prevalgano le logiche del cartello o comportamenti vessatori nei confronti della clientela: come stanno a dimostrare le indagini e le sanzioni appioppate dall’Antitrust. Ma affermare che nel settore bancario «non vige il libero mercato» stride apertamente con la fama della «persona più intelligente» che la premier abbia conosciuto.
Come se Fazzolari fosse rimasto al tempo della «Foresta pietrificata» di Giuliano Amato, quando le banche italiane erano quasi tutte dello stesso proprietario. Cioè lo Stato, che ne poteva fare ciò che voleva. Oggi, invece, di banche di proprietà pubblica ne sono rimaste appena tre: il Mediocredito centrale, che controlla anche la Popolare di Bari, e il Monte dei paschi di Siena.
Tre su 439 (quattrocentotrentanove), alla faccia del «numero limitato di soggetti». Oggi chiunque disponga delle capacità tecniche e finanziarie necessarie può aprire una banca, o acquistarne le azioni fino a garantirsene il controllo, a differenza di trent’anni fa. E sono proprio le caratteristiche tipiche di un libero mercato, sul quale non a caso vigila anche l’Autorità Garante della Concorrenza.
Un mercato che ha certamente forti rigidità e molti vincoli, […] ma sul fatto che sia un libero mercato non possono esserci dubbi. Senza entrare nel merito della questione, […]si potrebbe osservare che il sistema scelto non colpisce gli utili finali, ma il margine iniziale: con il risultato che la tassa potrebbe facilmente essere ribaltata su altre voci di bilancio, come le commissioni.
Ma a parte questo, è l’odore che emana questa iniziativa a risvegliare un vecchio fantasma mai completamente addormentato: il fantasma dello statalismo. I primi segnali erano arrivati nelle settimane del debutto del governo Meloni, quando le critiche di Bankitalia alla manovra di bilancio avevano causato una reazione senza precedenti da Palazzo Chigi. Fazzolari l’aveva accusata di fare il gioco delle banche, sue azioniste, ed era rispuntato il manganello.
Ossia, l’idea di nazionalizzare per legge la banca centrale: idea cara alla stessa Giorgia Meloni. Poi è toccato al ministro delle Imprese e del Made in Italy sferrare un attacco alle multinazionali. «Vogliamo valorizzare chi agisce nel nostro Paese, semmai frenare le grandi multinazionali, certamente anche Uber», ha dichiarato Adolfo Urso, prontamente ribattezzato «Urss» durante un confronto (si fa per dire) con la categoria più protetta dalla politica che esista, quella dei tassisti.
Il quale «Urss» […] ha ben pensato di affrontare il caro carburanti rinverdendo in modo singolare i fasti dei prezzi amministrati, con l’obbligo per i distributori a esporre i prezzi medi regionali.
Con il risultato di far lievitare verso l’alto i prezzi più bassi […] Il fatto è che lo statalismo in salsa meloniana si presenta in una forma inedita da almeno ottant’anni a questa parte.
Una forma che non riguarda solo l’intervento dello Stato nell’economia, peraltro finora con mosse da elefante in cristalleria.
Prima la tassa sulle banche che potrebbe perfino danneggiare i risparmiatori e i cartelli ai distributori che fanno salire il prezzo della benzina; quindi l’intervento a gamba tesa sui biglietti aerei (un altro “non libero mercato”?) che ha scatenato una guerra a Bruxelles senza peraltro benefici apprezzabili per il Sud.
Dove si continuano a pagare tariffe astronomiche. Mentre la ministra del Turismo Daniela Garnero Santanchè, già azionista di un importante stabilimento balneare, garantisce che sulla lotta alla riforma delle concessioni inapplicata da quindici anni «seguiremo ciò che la categoria (di cui lei ha fatto parte fino all’altro ieri, ndr) ci chiede. Noi difendiamo i balneari senza se e senza ma...».
E il suo collega della Cultura, l’ex direttore del Tg2, Gennaro Sangiuliano fa pagare la concessione statale sull’uso delle immagini dei nostri tesori, resuscitando un principio anacronistico mandato in pensione una decina d’anni fa, quando venne abolito il divieto di fare fotografie alle opere d’arte nei musei.
Un nuovo statalismo che sa però di antico. Uno statalismo per cui uno Stato si arroga il diritto di stabilire anche alcune regole del vivere civile. Francesco Lollobrigida, ministro della Sovranità Alimentare, cognato di Giorgia Meloni, vieta la produzione di carne sintetica: così mortificando, da una prospettiva ottusamente oscurantista, un importantissimo settore di ricerca scientifica, incurante di aggiungere una motivazione in più per l’emigrazione dei nostri giovani scienziati.
Nel frattempo si vieta l’iscrizione all’anagrafe di figli di coppie omogenitoriali. Con la ministra della Famiglia Eugenia Maria Roccella che stigmatizza chi dà agli animali domestici i nomi delle persone. E se la proposta di mandare al gabbio chi nella pubblica amministrazione usa parole straniere, avanzata dall’ex fedelissimo meloniano Fabio Rampelli, ha più sostenitori di quanti se ne possano immaginare, fioriscono le proposte di legge per far rinasce- re sia pure sotto forme diverse il vecchio servizio militare. L’idea della naia, abolita senza particolari rimpianti dal primo gennaio del 2005, torna così a serpeggiare con uno sponsor d’eccezione: il presidente del Senato Ignazio La Russa. Ma tant’è. In un Paese che perde popolazione e giovani a rotta di collo, a questo punto non resta che attendere con trepidazione l’introduzione della tassa sul celibato.
TASSA EXTRAPROFITTI. Quello che non tutti dicono sui prestiti delle banche. Claudio Romiti su nicolaporro.it il 18 Agosto 2023.
Ho l’impressione che la controversa questione delle tasse sui cosiddetti extra profitti delle banche stia generando ulteriore confusione su ciò che intendiamo come moneta a corso legale e moneta fiduciaria, da cui dedurre la sostanziale differenza che c’è tra base monetaria e aggregati monetari. Ebbene, quando qualche post-keynesiano – che sogna l’avvento in Italia della Modern Monetary Theory, con enormi flussi di moneta lanciati a pioggia sulla popolazione onde stimolare la domanda aggregata – ci spiega che le banche avrebbero il compito di creare moneta dal nulla per finanziare l’economia, dovrebbe chiarire al grande pubblico alcuni aspetti che caratterizzano la complessa questione dei quattrini, alias strumenti di pagamento.
L’euro e le banche centrali
In estrema sintesi, la moneta a corso legale, che rappresenta una porzione di quella fiduciaria, nel nostro caso è rappresentata dall’euro e viene emessa dalle singole banche centrali ed è garantita dallo Stato o dal complesso di Stati che la adottano.
La moneta fiduciaria, invece, costituisce un aggregato ben più ampio. Esso comprende la stessa moneta legale e l’insieme delle attività finanziarie che possono fungere da pagamento, tra queste la principale è la moneta bancaria. Quindi, la quantità di moneta esistente in un determinato momento nel sistema economico risulta pari al circolante più i depositi della clientela presso le banche. La base monetaria è dunque una componente dell’offerta di moneta (il rapporto tra offerta di moneta e base monetaria prende il nome di moltiplicatore monetario, vedi infra) ed è quella parte oggetto di controllo diretto da parte della banca centrale. In generale, la quantità complessiva di moneta (moneta legale e moneta bancaria) a disposizione del pubblico varia in relazione alla quantità complessiva dei prestiti concessi dalla banca centrale e dalle banche.
Le banche e i prestiti
Ora, i paladini del citato MMT sostengono che le banche italiane non starebbero finanziando a sufficienza la nostra economia. In soldoni, a loro dire, in Italia le banche presterebbero i quattrini col contagocce a famiglie e imprese. Ma c’è un problema però. Per far aumentare il volume complessivo dei prestiti, ovvero della moneta bancaria, bisogna chiederli tali prestiti. In altre parole, occorre che, sulla base di adeguate garanzie, questo qualcuno abbia in mente di realizzare con detti prestiti una qualsivoglia forma di investimento.
Tuttavia, in Italia la propensione all’investimento, che va di pari passo con una bassa crescita che oramai dura da decenni, non trova affatto un terreno fertile, soprattutto a causa di un eccesso di fiscalità e di burocrazia, ovvero i classici lacci e laccioli di cui si parla invano da quasi mezzo secolo.
Offerta di moneta bancaria e domanda aggregata
Pertanto, in questo quadro, agevolare una abbondante offerta di moneta bancaria rischia di tradursi in un quasi esclusivo sostegno alla domanda aggregata, che in verità i vetero- keynesiani sognano da sempre ad occhi aperti. In pratica si finanziano a bocce ferme i consumi, come in effetti è avvenuto durante il folle blocco economico della pandemia, sperando che ciò determini un effetto di trascinamento per i settori legati alla produzione di beni e servizi. Cosa che, per la cronaca, non sembra sia mai avvenuta in tempi moderni.
A tale proposito abbiamo un recente ed agghiacciante esempio di ciò che accade quando il sistema creditizio dispensa prestiti e mutui come se non vi fosse un domani: la crisi finanziaria dei cosiddetti subprime, di cui il mondo avanzato ancora porta le cicatrici aperte.
Occhio all’eccesso di credito
In pratica, allargando l’accesso ai mutui per acquistare una casa anche a soggetti a forte rischio debitorio – a Roma si direbbe prestare a porci e cani – si creò una colossale bolla immobiliare che, nel momento in cui iniziò il pignoramento e la messa in asta di molti di questi immobili per insolvenza, si sgonfiò rapidamente, rischiando di far collassare l’intera finanza mondiale.
Tuttavia, malgrado questa drammatica lezione che la realtà ci ha impartito, ancora oggi c’è gente che continua a scambiare la ricchezza con i quattrini, anziché considerare questi ultimi la conseguenza, il risultato di una azione economica che deve sempre partire dal lato dell’offerta. Claudio Romiti, 18 agosto 2023
Estratto dell’articolo di Sandra Riccio per “la Stampa” giovedì 10 agosto 2023.
Zero virgola zero zero. È la percentuale fantasma del tasso d'interesse pagata dalle principali cinque banche italiane sui soldi parcheggiati in conto corrente dalla loro clientela.
[…] Il mondo bancario ha accolto con molto scontento la tassa sugli extra-profitti del governo Meloni. I dati però confermano che gli istituti non restituiscono niente alle famiglie che lasciano i propri soldi sul conto corrente, soldi che poi vengono impiegati anche per concedere crediti.
Al contrario, le banche fanno pagare tassi elevati, anche del 6%, a chi apre il mutuo per la casa o si serve di un prestito per finanziare l'acquisto dell'auto. Il divario è davvero ampio.
Ma come mai questo gap è così grande? Il tasso fantasma per il conto è stato raggiunto negli anni in cui la Banca centrale europea (Bce) ha abbassato i tassi per portarli fino a quota zero. A ogni taglio del costo del denaro, le banche si sono subito adeguate e hanno ridotto il loro tasso creditorio annuo. […]
Adesso che la Bce ha ripreso ad alzare il costo del denaro, la remunerazione dei conti è però rimasta ferma al palo. Nessuna banca, o quasi, ha rimesso in moto il ritorno verso l'alto dei rendimenti dei conti correnti base. Al contrario, sono subito stati adeguati i tassi fatti pagare per il credito alle famiglie e alle imprese. I mutui variabili, quelli al momento più costosi, viaggiano in area 5%, se si guarda alle proposte dei cinque principali istituti bancari.
Secondo i dati diffusi ieri da Banca d'Italia, a giugno i tassi sui prestiti erogati alle famiglie per l'acquisto di abitazioni comprensivi delle spese accessorie (Taeg) si sono collocati al 4,65%, in salita rispetto al 4,58% di maggio. Il Codacons ha calcolato un costo extra per le famiglie con mutuo variabile fino a 4mila euro l'anno dal 2021.
Non solo. Dall'analisi di Bankitalia le banche stanno restringendo le maglie del credito: a giugno è proseguita la flessione dei prestiti alle imprese non finanziarie da parte degli istituti di credito italiani (-3,2% dal -2,8% del mese di maggio).
La contrazione riguarda anche i mutui. Secondo Bankitalia, nel secondo trimestre la quota di operatori che hanno segnalano difficoltà nel reperimento del mutuo da parte degli acquirenti è aumentata dello 0,8%, raggiungendo quota 30,9%. Si tratta del valore più alto dalla fine del 2014. Adesso il timore è che, con l'annuncio del prelievo sui margini d'interesse, le banche chiudano i rubinetti ancora di più.
Intanto le famiglie […]sono costrette ad attingere ai risparmi in banca e non riescono più a mettere da parte niente. Secondo i numeri di Bankitalia, c'è stato un forte calo del 4,3% dei depositi, e in termini assoluti il loro controvalore si è ridotto a 2.444 miliardi di euro, minimo da oltre tre anni, rispetto ai 2.614 miliardi di maggio.
[…] Oggi gli istituti tendono a puntare su altri tipi di «remunerazione» e invece di dare denaro, ai nuovi clienti offrono buoni acquisto una tantum per diverse centinaia di euro e promozioni sulle compere online. Oppure azzerano costi e commissioni. La clientela che vuol far fruttare i propri risparmi viene indirizzata su altri prodotti come i conti correnti remunerati oppure sui conti deposito che comunque, se non vincolati, vale a dire con i soldi fermi per diverso tempo, pagano poco, intorno al 2%. […]
Estratto dell’articolo di Rosario Dimito per “il Messaggero” giovedì 10 agosto 2023.
Si scioglie dopo 24 ore e un falò di 9 miliardi di capitalizzazione di borsa, la tensione fra governo e banche sugli extra profitti. Alla fine, il costo-extra che si era ridotto da 9 a circa 3 miliardi, potrebbe essere di circa 1 miliardo, attraverso l'aumento del costo della raccolta e quindi restituendo alle famiglie parte dei guadagni incassati dalle banche facendo prestiti e mutui.
Intanto in Borsa la correzione del governo ha ridato fiducia alle banche: Piazza Affari ha chiuso a + 1,3%, e gli istituti hanno recuperato 4 dei 9 miliardi persi il giorno prima. […] Il punto di congiunzione che farà parte dell'informativa di stamane di Patuelli al Comitato di Presidenza Abi, in programma da remoto, dovrebbe essere uno dei corni del dilemma. Nel mirino c'è lo spread fra tassi attivi (praticati sugli impieghi) e quelli passivi (la remunerazione di conti e depositi) che formano il margine di interesse: nel 2021 era stato di 38 miliardi, nel 2022 di 45,5 miliardi e se il trend dovesse proseguire come nel primo semestre di quest'anno, il guadagno finale potrebbe attestarsi fra 60-70 miliardi.
Al termine della riunione, quasi certamente non ci sarà comunicazione ufficiale perchè Patuelli, formalista, non si espone senza un decreto definitivo con relazione tecnica annessa.
Ci sono state molte telefonate tra i capi azienda alcuni dei quali difficili da contattare agevolmente […] Tanti colloqui, scambi di idee, vedute per arrivare ieri sera ad allinearsi su un innalzamento della remunerazione alla clientela che deposita i propri risparmi. Del resto Matteo Salvini, che è stato l'ariete del governo in questa battaglia sociale, è stato chiaro: «L'innalzamento dei tassi Bce ha portato a un innalzamento del costo del denaro per famiglie e imprese. Non c'è stato un altrettanto solerte, veloce e importante aumento per i consumatori che hanno depositi sui conti correnti».
Ecco il nodo del problema. Prendendo in esame i dati relativi al 2022, presi di mira dal governo per drenare liquidità agli istituti, la forbice dei tassi bancari tra il 2021 e il 2022 ha mostrato un aumento in punti base decisamente sproporzionato tra interessi attivi e passivi. Considerando i mutui delle famiglie, lo spread è stato pari a 194 punti, risultato del passaggio della media degli interessi dall'1,4 al 3,34%, mentre il differenziale sui prestiti alle imprese ha incassato addirittura 225 punti. Guardando invece ai depositi, lo spread è stato di appena 11 punti per le famiglie (da 0,39 a 0,50%) e di 26 punti per le imprese (da 0,04 a 0,30%). Anche per i conti correnti l'andamento è stato in linea con quanto visto per i depositi. […]
Retroattivo è una parolaccia. Tassare gli extraprofitti delle banche è roba da grillini e mezzi comunisti: il governo fa il Robin Hood con risparmiatori e azionisti. Andrea Ruggieri su Il Riformista il 9 Agosto 2023
Nel “Si&No” del Riformista spazio al dibattito sulla tassa straordinaria sugli extraprofitti della banche decisa dal governo Meloni: è giusto tassare le banche? Favorevole Enrico Zanetti, ex viceministro dell’Economia nel governo Renzi, secondo cui “al governo va riconosciuto di essere stato intransigente e decisionista“. Contrario invece il direttore del Riformista Andrea Ruggieri che attacca: “E’ una misura dannosa e grillina che danneggerà il risparmiatore comune“.
Qui il commento di Andrea Ruggieri:
Il Consiglio dei Ministri dell’altro ieri eri mi ha davvero lasciato a bocca aperta. Perché ha partorito una misura retroattiva del governo contro le banche e i loro extraprofitti, definizione che vuole dire assolutamente nulla. È una straccionata da mezzi comunisti populisti, non da chi crede nello sviluppo di una Nazione e deve mantenere la promessa, elettorale, giusta e liberale, “di non disturbare chi vuole fare”.
Mettere un’imposta retroattiva del 40% sui profitti delle banche – che più solide sono meglio è – è una mostruosità che nemmeno a Cuba. Infatti Giancarlo Giorgetti, ministro dell’Economia competente sulla misura, nemmeno si affaccia in conferenza stampa. Da persona intelligente, sa che è un provvedimento vergognoso, e indifendibile perché maleodora di socialismo reale.
“Retroattivo”, in uno Stato liberale che rispetti cittadini e imprese, dovrebbe essere considerata una parolaccia. Perché mina la fiducia dei mercati internazionali verso l’Italia (fa rima con inaffidabilità), minaccia la libertà d’impresa e persino la proprietà di quel che si è lecitamente guadagnato. E che verrà scaricato sui risparmiatori e sugli azionisti delle banche che perdono valore. Chi sono questi azionisti? La professoressa, il pensionato, il risparmiatore comune. Che da questa misura viene impoverito, attesa la perdita di valore della banca di cui ha le azioni. Che si sappia: questa è una misura dannosa e grillina. E mi fa francamente ridere che la politica, capace soltanto di aumentare la spesa e il debito pubblico, a volte ad minchiam, giochi a fare Robin Hood con chi gli compra miliardi di titoli di stato ogni anno.
E se oggi la retroattività sui profitti extra riguarda le banche, domani potrà riguardare i professionisti, i farmacisti, chiunque. Una volta che stabilisci un principio populista, può applicarsi sempre, ma questo disegna uno Stato padrone e predone che prevale sui cittadini intesi non come liberi, ma commissariati e trattati come bancomat. Non è roba di centrodestra, questa. Cosi come si dovrebbe avere il coraggio di dire una volta per tutte che le banche sono un bene prezioso dell’Italia, non un cartello di associati a delinquere.
Un mondo senza banche non è un mondo migliore. Le banche servono, e quelle italiane sono ottime. Se proprio si vuol discutere della loro generosità, e premesso che le banche non sono la Caritas, ma aziende con dei dipendenti, quindi chiamate a fare utili per difenderne i posti di lavoro, allora si deve discutere delle regole europee che hanno ingessato loro le mani e togliendogli discrezionalità e agilità. Ma le banche sono il moltiplicatore del credito grazie a cui un’idea può diventare realtà, grazie a cui gli imprenditori possono creare posti di lavoro alla base dei quali può germogliare benessere e felicità di lavoratori e famiglie, e sono anche quelle grazie a cui ci possiamo permettere acquisti altrimenti riservati solo a pochissimi. Quanti di noi sono in grado di comprare una macchina in un’unica soluzione anziché a rate? E il telefonino? E il mutuo per la casa? Recentemente, per venire incontro al rialzo tassi europeo con conseguente rincaro della rata mutuo, Abi ha dato disponibilità ad aumentare la durata del mutuo stesso, abbattendo cosi l’importo unitario della rata mensile. Non era dovuto, lo hanno fatto. Nessuno glielo riconosce per debolezza politica. Siccome le banche stanno antipatiche, stiamo zitti. Sai che coraggio.
Una nota di demerito, infine, anche per i giornali di centrodestra (eccezion fatta per la meritoria e onesta intellettualmente ‘Zuppa’ di Nicola Porro) che hanno esultato per la timidissima misura sui taxi, e per questo decreto comunista ‘contra bancam’: non è che se il centrodestra fa qualcosa di sbagliato, vada difeso a prescindere. Lo si dovrebbe criticare ugualmente, stimolandolo cosi ad alzare il livello e dare di più, non di meno. Mettere un tetto al prezzo degli aerei, o tassare i profitti extra delle banche (ma poi, cosa è un profitto extra? È un profitto la cui misura è reputata dal Governo eccessiva? E secondo quali parametri di legge? O ci siamo svegliati in uno Stato etico?) è roba da grillini; di destra, ma grillini, da mezzi comunisti, comunque da statalisti dirigisti: non è roba di centrodestra, anche se la fa il centrodestra. E va detto anche e soprattutto se al centrodestra si vuole bene. Andrea Ruggieri
Dagospia mercoledì 9 agosto 2023. MEDIOLANUM, COSTRUITA INTORNO A B. – FORZA ITALIA, COME SEMPRE, DIFENDE GLI INTERESSI DELLA FAMIGLIA BERLUSCONI: LA PRESA DI DISTANZA DALLA TASSA SUGLI EXTRAPROFITTI COLPIREBBE ANCHE MEDIOLANUM, IL VERO GIOIELLINO DI FININVEST. L’IMPOSTA ERODEREBBE IL 45-50% DEGLI UTILI DELLA BANCA DI DORIS, DI CUI I BERLUSCONI HANNO IL 30% - ECCO SPIEGATI I DISTINGUO DI TAJANI E BARELLI, CHE GIÀ PARLANO DI MODIFICHE IN AULA – LA FREDDEZZA DI GIORGETTI E IL GODIMENTO DI FAZZOLARI
Estratto dell’articolo di Federico Sorrentino per “il Messaggero” mercoledì 9 agosto 2023.
Dietro all'apparente unanimità dei consensi, nel centrodestra il decreto omnibus presentato lunedì in Consiglio dei ministri fa molto discutere. La norma sugli extraprofitti delle banche agitare gli attori in scena, in particolare quelli di Forza Italia.che sul tema oscilla tra dubbi generali e qualche interesse di partito. E subito parla di possibili modifiche al testo in Parlamento.
[…] Forza Italia è stata sempre cauta sui prelievi erariali e per anni ha consigliato di maneggiare la materia con cura. Per questo, l'ok arrivato anche dagli azzurri nel Consiglio dei ministri di lunedì è sembrato ad alcuni quasi sorprendente. A caldo, Antonio Tajani ha parlato di una norma che «corregge gli errori della Bce», la banca centrale "colpevole" (è una critica che Tajani ha sollevato spesso) di aumentare da mesi i tassi di interesse mettendo nei guai i cittadini che chiedono prestiti e mutui a condizioni vessatorie a causa di un costo del denaro ormai alle stelle. La tassa, sostiene dunque Tajani, non danneggia le banche ma aiuta le famiglie, e comunque sia «dura solo un anno».
Poi però aggiunge: «Nelle Aule potrà essere approfondita». Un messaggio tra le righe, ma facile da leggere: Forza Italia è disponibile a lavorare per apportare modifiche al testo nel corso dei lavori parlamentari.
Gli azzurri tengono dritte le antenne. «La maggioranza è d'accordo nel sostenere la misura», afferma il vicepresidente del Senato, Maurizio Gasparri, sottolineando in modo chiaro la natura collettiva di una misura che però può essere ancora "aggiustata". «Di sicuro in Parlamento può essere migliorata», conferma infatti il senatore azzurro. E se tre indizi fanno una prova, anche il capogruppo alla Camera di Forza Italia, Paolo Barelli, ha lasciato intendere che la partita sugli extraprofitti non è affatto chiusa perché ci sono ancora «opinioni controverse» e «se necessario proporremo degli emendamenti».
In seguito è lo stesso presidente dei deputati Fi ad aggiustare il tiro («Bisogna abbassare i mutui, anche le banche devono fare la loro parte») ma il concetto iniziale non si cancella.
Il partito appoggia dunque il governo, l'unità del centrodestra non è in discussione, ma se ci dovesse essere modo di raccogliere le istanze delle banche di sicuro Forza Italia non si tirerà indietro e sarà in prima linea quando il testo arriverà in parlamento.
Le ragioni sono molteplici, per FI esiste infatti anche un problema Mediolanum. Secondo i calcoli degli analisti di Ubs, ad esempio, la tassa sugli extraprofitti delle banche eroderà di circa il 45-50% gli utili della banca di Doris. La misura rischia di essere quindi particolarmente pesante proprio per l'istituto che peraltro rappresenta una parte rilevante degli utili del gruppo Fininvest. Anche da qui viene forse la sensibilità mostrata dagli azzurri in vista del lavoro di correzione del testo in Parlamento.
Estratto dell’articolo di Francesco Olivo per “la Stampa” mercoledì 9 agosto 2023.
Quando al mattino sono arrivati i primi segnali del crollo dei titoli a Piazza Affari, le gambe hanno tremato un po', «avremmo dovuto agire di venerdì sera per non terrorizzare i mercati», ragionava ad alta voce un dirigente di Fratelli d'Italia.
Piazza Affari, come si temeva, ha risposto al prelievo sulle banche e ora che si fa? Rivendicare o mettere la retromarcia? Nella coalizione lo sconcerto è grande, Forza Italia vede tracce populiste nel provvedimento, il segretario e vicepremier Antonio Tajani promette «cambiamenti in Parlamento».
Ma gli alleati la pensano diversamente. Giorgia Meloni osserva i segnali dei mercati, evita di esporsi con dichiarazioni pubbliche e ordina di andare avanti. Matteo Salvini, che ha avuto il palcoscenico a disposizione per annunciare la tassa più popolare di sempre, sa di aver piegato il suo ministro dell'Economia, Giancarlo Giorgetti, che lo slogan del governo "togli ai ricchi per dare ai poveri" non lo sposa affatto.
L'ira dei berlusconiani si spiega con motivi di posizionamento, di legami storici (con l'Associazione delle banche, ad esempio), ma anche con la sensazione di essere stati tagliati fuori. Il blitz estivo è nato da un asse tra Meloni e Salvini.
Ma la tassa porta le impronte digitali, almeno nella sua prima versione, di Giovanbattista Fazzolari, il sottosegretario all'attuazione del programma che dà la linea ideologica a Palazzo Chigi. L'operazione non è gratis: oltre alle ovvie freddezze degli istituti, con la rilevante eccezione di Intesa Sanpaolo, si consuma uno strappo con Forza Italia, il primo dell'era post berlusconiana. […]
Tajani parla con il presidente dell'Abi Antonio Patuelli per rassicurarlo, «il provvedimento non sarà punitivo». Nell'associazione ricordano come lo stesso vicepremier avesse, nella primavera scorsa, assicurato che non ci sarebbero stati interventi di questo tipo, e quindi ora l'impegno è da mantenere quando il decreto andrà convertito. […]
[…] al Financial Times, Francesco Giavazzi, già consigliere economico di Mario Draghi: «Non metti una tassa sulle banche senza dirglielo e senza che il ministro delle Finanze vada in tv per spiegarlo». È il dito nella piaga: i dubbi di Giorgetti sono noti a tutti e per dissiparli non può bastare la foto della riunione del gabinetto economico della Lega, con Salvini e lo stesso Giorgetti, diffusa dalla comunicazione del Carroccio.
Solo alle 20, quasi 24 ore dopo la fine del Consiglio dei ministri, Giorgetti manda una nota per rivendicare la paternità del provvedimento e rassicurare gli istituti, cercando di sottolineare come convenga a tutti gli istituti collaborare sull'abbassamento dei mutui. Ma l'unico a rivendicare sostanza e forma del decreto è Fazzolari.
L'uomo forte del partito a Palazzo Chigi, trascorsi i primi momenti di impasse comunicativa, va al contrattacco: «Con il prelievo sugli extraprofitti non solo si fa un'operazione di giustizia, ma si riduce anche una stortura, dove domanda e offerta di investimento non si incontrano», dice in un'intervista all'Ansa. Fazzolari attacca Movimento 5 Stelle e Partito democratico: «Adesso ci ascoltano? Ma con Conte e il Pd non è mai stato messo nemmeno un euro in più di tasse alle banche. Questo è l'unico governo che ha la forza di tassare le banche perché è l'unico che non ha rapporti privilegiati col sistema bancario». È un biglietto d'invito all'opposizione in vista dell'incontro di venerdì.
Da liberale dico: giusto tassare le banche, ridà potere alla politica. Corrado Ocone su Nicolaporro.it il 10 Agosto 2023
Tassare gli extraprofitti delle banche? Per carità, il profitto è sempre giusto e buono, è come Dio seppure un Dio “liberale”. Stabilire un tetto alle tariffe aeree? Un provvedimento “sovietico” a cui ovvierà l’Unione Europea (che quanto a “sovietismo” non ha da imparare da nessuno). Mi si permetta, da liberale quale mi considero, qualche piccola obiezione.
Intanto i profitti sono stati generati dall’aumento dei tassi deciso dalla Bce non certo dal Mercato inteso come entità astratta e mitica che, in quanto tale, non esiste. Quindi di che liberismo stiamo parlando?
C’è poi un elemento da non sottovalutare: vogliamo farci governare dai mercati e dall’etica correttistica, amorevolmente legati, o dalla politica? E se crediamo alla politica, che politica è quella che dice che “non ci sono alternative” a ciò che i mercati e le centrali del politically correct hanno già deciso per noi?
Per approfondire
Extraprofitti banche, il video da far vedere a Salvini&co
Meloni: “Vi spiego il perché della tassa sugli extraprofitti”
Caro Nicola, sugli extraprofitti delle banche ti sbagli di grosso
La lezioncina di Mr Ryanair: “Decreto ridicolo, come nell’Urss”
Certo, la politica può sbagliare e anche i recenti provvedimenti governativi possono avere effetti non graditi. Essi però segnano un timido tentativo di ridare un ruolo alla politica, e quindi alla democrazia, in un mondo che democratico lo è sempre meno.
Anche il liberalismo io lo vedo inserito in questa cornice. Così come gli eventuali provvedimenti liberisti e non che con pragmatismo e senza ideologismi di volta in volta il governo assumerà. E sui quali è giusto che, fra cinque anni, sia giudicato.
Corrado Ocone, 10 agosto 2023
Extraprofitti banche, Nicola Porro senza freni: "Il 40% neanche Marx..."
Il Tempo il 08 agosto 2023
Dopo la decisione del governo di tassare gli extraprofitti delle banche, economia, finanza e politica si interrogano sui benefici e sulle conseguenze. Se maggioranza e opposizione sembrano concordi sulla bontà della misura adottata, non si può dire lo stesso dei mercati, che di certo non gradiscono il prelievo del 40% che servirà per finanziare il taglio delle tasse e per i mutui sulla prima casa. "Non è una misura contro le banche, ma un provvedimento a protezione delle famiglie e di tutti quei soggetti che si sono trovati in difficoltà per il pagamento dei mutui", ha dichiarato Antonio Tajani. La norma prevista nell'ultimo Consiglio dei ministri ha spiazzato un po' chiunque, Nicola Porro compreso.
Un prelievo del 40% sugli extraprofitti maturati dalle banche. La norma è arrivata a sorpresa sul tavolo dell’ultima riunione del Consiglio dei ministri prima della pausa estiva. Il provvedimento, che entra nel cosiddetto decreto Asset, è limitato al 2023 e prevede che gli introiti siano utilizzati per sostenere il taglio delle tasse e le spese per i mutui per l’acquisto della prima casa. Il giorno dopo il Cdm Piazza Affari ha aperto la seduta in negativo, con il crollo dei titoli delle banche proprio dopo l'annuncio dell'introduzione della tassa. A fine giornata il settore del credito ha bruciato 8,96 miliardi di euro. La notizia è stata commentata da Nicola Porro che, sui social network, ha riservato un duro attacco al governo di Giorgia Meloni, evidenziando il nesso tra l'azione dell'esecutivo e l'autore de Il Capitale.
"Neanche Conte, neanche il Movimento 5 stelle si sarebbe inventato una manovra retroattiva di tassazione sulle banche sugli extraprofitti di 40 per cento", ha detto il giornalista. "Il concetto di extraprofitti è Marx, non è Einaudi, porca t***a", ha aggiunto Nicola Porro, visibilmente contrariato.
Caro Nicola, ti mostro i dati: tassare le banche è sacrosanto. La maggior parte degli italiani è favorevole al prelievo. E c’è un motivo. Nicolaporro.it l'11 Agosto 2023
Nicola Porro è forse l’ultimo liberale in questo Paese e siamo perciò certi che accetterà di pubblicare questo intervento anche se non lo condivide, e di questo siamo grati.
Il provvedimento del governo sulla tassazione degli interessi delle banche incontra l’approvazione del 91,6% degli italiani. Si tratta probabilmente della misura di governo più popolare della storia. Allo stesso tempo, se leggi i commenti sui giornali e anche sui vari Twitter o Facebook degli esperti economici, inclusi molti del centro-destra, il 90% dei professori e giornalisti economici lo critica e parla di “miliardi bruciati”. Questo forse perché i professori di economia non seguono la borsa e quindi non si rendono conto che, ad esempio, Unicredit è aumentata del 60% da inizio anno (e anche negli ultimi 5 anni del 51%).Le banche italiane per cui gli esperti questa settimana hanno pianto a causa di una piccola oscillazione di borsa, hanno reso quest’anno più di tutte.
Viceversa, in passato, sotto i governi Prodi, Berlusconi, Monti, Letta, Gentiloni e Renzi Unicredit aveva perso in borsa il 95% da circa una media di 200 euro per azione nel 2008 a circa 10 euro negli anni 2014-2019.
All’epoca però non sentivi i prof di economia e gli esperti del “Corriere della sera” attaccare i governi a causa della disintegrazione in borsa dei titoli delle principali banche italiche.
Il “popolo” al 92% è favorevole a tassare il differenziale di interessi attivi/passivi perché non capisce come funziona il credito e le banche come gli esperti finanziari?
Peccato che se i giornali li leggevi questa settimana mancavano completamente riferimenti, oltre che agli andamenti di borsa, ai bilanci delle nostre banche, cioè quanto pagano di dividendi, quanto pagano di tasse, quanto rendono agli azionisti, quanto prestano rispetto a quanti soldi ricevono ecc.
Qui vedi la principale banca in Italia, che a causa della misura del governo pagherà circa 500 milioni in più di tasse e che ha pagato 14 miliardi di dividendi agli azionisti negli ultimi anni (in maggioranza fondi esteri).
Qui vedi Unicredit che negli ultimi 5 anni ha pagato 1,1 miliardi di tasse su circa 14 miliardi di utili netti.
Qui vedi il rendimento sul capitale (“ROE”) delle maggiori banche europee e noti che per Unicredit è il 13,6%, per BPER 9,4%, per Intesa 8,4%, per Credito Emiliano 11,3%, per Mediobanca 9,5%, mentre per le maggiori banche francesi e tedesche è molto più basso: Deutsche Bank 7%, Commerzbank 5,3% BNP Paribas 6,9% Société Generale 5,4%.I dati mostrano che da anni le banche italiane vanno meglio delle altre nella Ue in borsa e rendono più delle altre, pagano montagne di dividendi agli azionisti (esteri…) e pagano anche non molte tasse. Inoltre, con la pandemia, lockdown e gli enormi deficit pubblici di Conte e Draghi hanno ricevuto una valanga di soldi e sono bombate di depositi.
Qui vedi Intesa che ha avuto un aumento del 31% dei versamenti e ha ora 592 miliardi nei conti correnti. Il credito però, nonostante guadagni tanto e riceva tanti soldi, lo sta già riducendo. Se confronti presta solo metà del bilancio (che è di 974 miliardi), cioè solo 495 miliardi.
Spiace di mostrare antipatici dati di bilancio delle banche invece delle solite chiacchere ideologiche sui “provvedimenti illiberali o socialisti” che dir si voglia. La realtà economica è che l’opinione pubblica, intuitivamente, ha ragione rispetto agli “esperti”, sempre schierati dalla parte del mondo della finanza.
Dulcis in fundo: che un governo di destra prenda decisioni di sinistra, è solo una ulteriore conferma del fatto che quella distinzione ormai serve solo ai gonzi dell’“antifa”.
Paolo Becchi e Giovanni Zibordi, 11 agosto 2023
MARIO GIORDANO, CLAMOROSO AFFONDO CONTRO NICOLA PORRO: "MA NON ERI UN LIBERALE?". Estratto da liberoquotidiano.it mercoledì 9 agosto 2023.
"Caro Nicola, questa volta non sono proprio d’accordo con te. Questa volta secondo me sbagli": inizia così la lettera di Mario Giordano al collega Porro sul tema della tassa sugli extraprofitti delle banche.
[…] "Un vero liberale come te non dovrebbe difendere le banche che in questi ultimi anni, come tu sai benissimo, hanno avuto i comportamenti meno liberali che ci siano - ha spiegato il giornalista -. Dovresti difendere i veri protagonisti del mercato cioè i piccoli imprenditori, i commercianti, gli artigiani che sono vittime di queste banche".
[…] Giordano ha poi ricordato che "lo stesso amministratore delegato della principale banca italiana, Intesa San Paolo, a maggio aveva aperto alla possibilità di una tassa sugli extraprofitti delle banche", purché andasse a vantaggio delle fasce deboli. "Ecco, è d’accordo l’amministratore delegato […] della principale banca italiana […] e tu no, caro Nicola? E in base a che cosa?", ha chiesto il giornalista.
La tassa sugli extraprofitti delle banche è stata definita da Giordano come "una misura che è finalmente popolare, non populista". Il conduttore di Fuori dal coro, infine, ha aggiunto: "Questo governo fino ad ora ha guadagnato credibilità sui mercati internazionali, ha avuto la fiducia dell’Europa, di Ursula von der Leyen, di Joe Biden, ma è la fiducia dei mercati rionali che bisogna mantenere e conquistare".
Estratto dell’articolo di Mattia Feltri per “La Stampa” mercoledì 9 agosto 2023.
[…] allibisco al tweet iroso del mio vecchio amico Nicola Porro, accompagnato dall'hashtag #altrocheliberali. Poiché Nicola ha riposto varie e vane speranze liberali, tutto potevo immaginare fuorché le riponesse anche in Giorgia Meloni, che di liberale non ha nemmeno l'ambizione.
Non conosce e non pratica la separazione dei poteri, essendosi appropriata di quelli legislativi e in parte di quelli giudiziari, non conosce e non pratica il garantismo costituzionale, ma soltanto un garantismo occasionale e confuso, vive la presidenza del Consiglio con un'indole proprietaria, dentro e fuori la Rai – e tutto questo in piena continuità coi predecessori e in sintonia col sentimento del paese.
In economia, oltre alla questione degli extraprofitti, ha cercato di controllare i prezzi della benzina, i prezzi al supermercato, niente liberalizzazione delle spiagge, niente liberalizzazione dei taxi, e cioè niente di nuovo: il solito pane, solo più duro. Bentornato fra noi, compagno Porro.
Estratto dell’articolo di Lorenzo De Cicco per “la Repubblica” mercoledì 9 agosto 2023.
[…] Antonio Misiani, ex vice-ministro, ora responsabile Economia del Pd di Schlein. «[…] Meloni […] copia Pedro Sanchez: in Spagna questo provvedimento l’hanno adottato a dicembre 2022».
Dunque, senatore, in Aula il Pd voterà sì alla tassa sugli extraprofitti?
«Calma. Prima dobbiamo capire dove vanno a finire queste risorse, si parla di 2-3 miliardi».
In maggioranza dicono: ci tagliamo l’Irpef.
«Una baggianata. Non si finanziano tagli strutturali delle tasse con entrate una tantum. Quei soldi vanno investiti su misure sociali, come l’aiuto alle imprese e alle famiglie fragili colpite dal caro mutui. Anche perché con 2-3 miliardi sarebbe un taglio ridicolo all’Irpef, l’ennesimo pannicello caldo».
Però non criticate l’intervento in sé…
«È una misura […] utile per affrontare l’emergenza sociale del Paese. Oggi un milione di famiglie ha mutui a tasso variabile, con rate mensili aumentate del 75% in un anno. I tassi Bce in un anno sono saliti di oltre 4 punti percentuali, generando un forte aumento dei margini di interesse delle banche: 58% in più nel primo semestre 2023.
L’aumento degli utili, più che raddoppiati nello stesso periodo, deriva essenzialmente da questo. Insomma, c’è lo spazio per un contributo straordinario, una tantum, che aiuti a finanziare misure di carattere sociale, analogamente a quanto aveva fatto il governo Draghi con le imprese energetiche».
Per il Pd la Bce ha sbagliato ad alzare i tassi così?
«L’intervento sui tassi secondo molti è stato tardivo. L’impatto sull’economia e i conti pubblici è molto pesante».
Sulla tassa, meglio tardi che mai, dice anche il M5S.
«Sì, il governo sta facendo i conti con la realtà […] L’economia si sta fermando ed è indispensabile aiutare chi soffre di più. Ma noi lo diciamo da mesi […] Ora chiediamo al governo di cambiare posizione sul salario minimo».
[…] FI sembra smarcarsi, ci sono malumori a destra?
«La verità è che la maggioranza è molto meno coesa di quanto appare. Quando si passa dalla propaganda alle scelte concrete, si sfarina. […] ricordiamoci che il governo ha cancellato il tetto ai compensi per i manager della società per il ponte sullo stretto di Messina. Una scelta sconcertante: vanno per le lunghe sul salario minimo e votano il salario massimo per i manager ad alto reddito».
Estratto dell’articolo di Sandra Riccio per “la Stampa” mercoledì 9 agosto 2023.
In che cosa consiste la nuova tassa straordinaria sulle banche?
[…] una tassa una tantum del 40% sugli extraprofitti delle banche. Gli istituti di credito stanno attraversando una fase d'oro e grazie al rialzo dei tassi ad opera della Banca centrale europea (Bce) stanno registrando utili record. Ora dovranno dare allo Stato una parte di questi guadagni. Le banche, nel 2022 hanno realizzato margini di interesse sulle loro attività di credito per 45,5 miliardi di euro (le sole Unicredit e Intesa Sanpaolo hanno realizzato utili netti per un totale di 8,5 miliardi).
A cose è legato il boom di guadagni delle banche dell'ultimo periodo?
È una conseguenza del rapido incremento dei tassi avviato la scorsa estate dalla Banca centrale europea (Bce). Il rialzo più recente, il nono in un anno, è del luglio scorso con il livello innalzato a quota 4,25%. Sull'onda dei ripetuti incrementi Bce, gli istituti di credito hanno potuto aumentare il costo di mutui e prestiti alle famiglie. Dall'altra parte però non pagano di più sui depositi, vale a dire sui soldi che i risparmiatori tengono sul proprio conto corrente. Così il divario tra interessi attivi e passivi è molto ampio. Adesso il governo ha chiamato le banche a pagare un contributo.
Che cosa viene tassato?
Nel mirino c'è il margine d'interesse. In pratica il prelievo riguarderà soprattutto il guadagno che le banche, in questa fase di tassi alti, riescono a ottenere prendendo denaro in prestito a costo bassissimo dalla propria clientela (per esempio attraverso i conti deposito o attraverso i conti correnti) e prestandolo poi a livelli molto più elevati, sopra al 4,25%, a chi chiede un mutuo per la casa oppure domanda un prestito per l'auto nuova o per gli studi dei figli. La remunerazione dei conti correnti oggi è ampiamente sotto allo 0,5%.
Come si applica l'aliquota del 40%?
[…] l'aliquota del 40% è applicata sul maggior valore del margine di interesse di due periodi con due diverse soglie. In pratica andrà calcolato il margine di interesse registrato nel 2022 che eccede per almeno il 5% quello dell'esercizio 2021, e quello del 2023 che eccede per almeno il 10% quello sempre del 2021, poi verrà preso il maggiore dei due a cui sarà applicata l'aliquota. Stando alle stime degli esperti l'anno in questione dovrebbe essere il 2023, visti gli utili record presentati. Si tratta delle prime indicazioni.
[…] Quanto incasserà lo Stato?
Il viceministro Matteo Salvini ha parlato di alcuni miliardi di euro. Il leader della Lega definendo il provvedimento una «norma di equità sociale». Secondo i calcoli fatti da Bank of America nelle casse statali affluiranno 2-3 miliardi di euro, una cifra simile a quella di 2,8 miliardi di euro raccolto con la tassa sulle società energetiche quest'anno. […]
Quando sarà versata la nuova tassa?
Il decreto ha istituisce questa imposta straordinaria per il 2023 e dovrà essere versata nel corso del 2024. Secondo alcune fonti già entro giugno 2024.
Come verrà utilizzata questa l'imposta straordinaria?
Secondo quanto annunciato dal governo la tassa sugli extraprofitti sarà usata per due obiettivi: per sostenere le famiglie in difficoltà con il mutuo prima casa e per alimentare il fondo taglia tasse in vista della riduzione dell'Irpef e dell'imposta sulle imprese.
L'Italia è il primo Paese ad essersi mosso in questa direzione?
Il nostro Paese ha fatto un passo simile a quello già deciso da Spagna e Ungheria nei mesi scorsi. Adesso altri Paesi potrebbero prendere la stessa strada e tassare i guadagni straordinari delle banche. […]
Quali mutui beneficeranno della nuova decisione?
Per capire bene chi sarà interessato dalla nuova misura occorrerà leggere il testo della norma. L'idea è che a essere sostenute saranno le famiglie con un mutuo a tasso variabile per la prima casa già in essere. I mutui variabili hanno visto una sensibile cresciuta della rata nell'ultimo anno, sull'onda del rialzo dei tassi Bce.
Cosa potrebbe succedere?
Secondo gli operatori del settore potrebbe essere estesa la soglia di reddito che oggi permette di chiedere alla banca il passaggio da variabile a fisso. Secondo la legge, la banca non può rifiutare la rinegoziazione. Il reddito Isee del mutuatario che chiede il cambio non deve superare i 35mila euro, un livello basso che adesso potrebbe salire. […]
Questa tassazione straordinaria era attesa o è stata un fulmine a ciel sereno?
All'inizio dell'anno il governo di Giorgia Meloni aveva ventilato l'idea di una tassa sugli utili in eccesso delle banche, ma sembrava aver poi fatto marcia indietro. Poi a luglio il viceministro Matteo Salvini era tornato a parlare di mutui e della necessità di sostenere le famiglie.
Nell'ultimo anno di quanto è salita la rata del mutuo variabile?
I rincari sono intorno al 50%. Molto dipende dall'importo e dalla durata del finanziamento. Per fare un esempio pratico, a luglio 2022, la rata di un finanziamento a tasso variabile (150 mila euro in 25 anni, all'80%) era pari a 562 euro. Nei 12 mesi questo importo è volato a 850 euro circa. […]
Quante sono le famiglie indebitate?
Secondo i dati Fabi, le famiglie indebitate, in Italia, sono 6,8 milioni, pari a circa il 25% del totale: di queste, 3 milioni e mezzo hanno un mutuo per l'acquisto di una casa.
Che effetti avrà la nuova tassa sulle banche?
Il settore ieri ha perso pesantemente terreno ieri in Borsa. […] Ieri sono arrivati i primi calcoli degli analisti. Secondo le stime di Citi, la tassa extra potrebbe costare fino al 12% degli utili delle banche italiane.
Saranno messi in discussione i dividendi?
Il timore è anche che i dividendi, che ogni anno le banche distribuiscono ai propri azionisti, possano essere influenzati negativamente. […]
[…] Adesso le banche chiuderanno i rubinetti del credito?
E' il timore di alcuni operatori. Le conseguenze arriverebbero a tutta l'economia come successo già con la crisi del credit crunch quando le maglie delle banche si fecero più strette e mandarono in tilt la crescita globale. […]
Ecco la bank tax: “Così correggiamo gli errori Bce”. Giovanni Vasso su L'Identità il 9 Agosto 2023
E il governo batte un colpo sugli extraprofitti delle banche. E lo fa proprio nell’ultimo consiglio dei ministri prima delle vacanze. Un fulmine a ciel sereno per gli istituti di credito che, ormai, si ritenevano al sicuro anche dopo le parole del ministro all’Economia Giancarlo Giorgetti che, a giugno scorso, aveva affermato che non sarebbe stata intenzione del governo tassare le banche colpendone gli extraprofitti. La notizia ha iniziato a sortire effetti già prima che si capisse in cosa sarebbe consistita la tassazione. A Milano, i titoli bancari sono andati a picco, già in apertura di seduta. La Borsa s’è depressa al solo evocare l’ipotesi di una tassa. Che, entrata in vigore quest’anno, sarà pagata l’anno prossimo.
Il governo, in una nota, ha spiegato come funzionerà il tributo richiesto alle banche. L’imposta, non è banale notarlo, sarà straordinaria. Sarà calcolata applicando un’aliquota del 40% sul maggior valore tra l’ammontare del margine d’interesse relativo all’esercizio 2022 che eccede per almeno il 5% il medesimo margine dell’esercizio dell’anno precedente. Sarà preso in considerazione, inoltre, anche l’ammontare del margine di interesse dell’anno 2023 se eccede per almeno il 10% quello messo a bilancio nel 2021. Il tributo non sarà deducibile e andrà versata entro il 2024. Dalla tassazione degli extraprofitti bancari, il governo conta di recuperare risorse da destinare “al finanziamento del fondo per i mutui sulla prima casa e per interventi volti alla riduzione della pressione fiscale di famiglie e imprese”. Un po’ come ha detto il vicepremier Antonio Tajani: la Bce alza i tassi rendendo impossibile, alle famiglie, pagare le rate del mutuo? Il governo tassa le banche e recupera fondi per dare una mano ai cittadini. Un modo per “correggere” la rotta rispetto a quella tracciata da Lagarde e soci a Francoforte. Infatti, come si legge nero su bianco in una nota che arriva da Palazzo Chigi, l’istituzione della bank tax è da rintracciare “nell’andamento dei tassi di interesse e dell’impatto sociale derivante dall’aumento delle rate dei mutui”. Del resto, in conferenza stampa, l’altro vicepremier, Matteo Salvini, aveva ribadito la linea e aveva affermato che “gli introiti andranno all’aiuto per i mutui prima casa e al taglio delle tasse”.
Le famiglie che, in Italia, risultano indebitate sono ben 6,8 milioni. Poco più della metà di queste, circa tre milioni e mezzo, sono esposte per la prima casa. E a marzo, mentre il rally dei tassi stava andando infuocandosi, le rate non pagate sono arrivate a un ammontare pari a 15 miliardi di euro. La Federazione autonomia dei bancari ha analizzato che quasi la metà dei crediti deteriorati in Italia (14,9 miliardi) derivano da mutui non pagati (6,8 miliardi). A cui vanno aggiunti altri 3,7 miliardi per rate di credito al consumo non rimborsate e 4,3 miliardi di arretrati su prestiti personali di altro genere. La Regione dove il fenomeno degli insoluti è più grave è la Lombardia con 2,6 miliardi di rate e debiti non saldati. Segue il Lazio (2 miliardi) e poi la Campania (1,4 miliardi).
Dalla galassia del credito bancario non sono arrivati commenti. Ufficialmente, tutti attendono i documenti, i testi ufficiali, per comprendere quale sarà l’effettiva portata del provvedimento deciso dal governo. Intanto, hanno parlato i fatti. O meglio i numeri. In Borsa, i titoli del settore hanno subito un robusto tracollo. E le voci che hanno circolato per tutta la giornata di ieri davano, in fumo, qualcosa come dieci miliardi in capitalizzazioni. Tra i peggiori ci sono stati, a metà mattinata, i titoli di Intesa Sanpaolo (-6,84%) e Monte dei Paschi (-6,39%). Qualche ora dopo, la dimensione della disfatta era quella di una Caporetto. Bper ha perduto, fino all’8,86% e Unicredit -6,4% e le perdite di Intesa e Mps sono aumentate di un intero punto percentuale. Sussurri apocalittici hanno iniziato a correre riferendo al pubblico che, con la scelta del governo, sarebbero stati a rischio i gustosi dividendi azionari.
Reazioni più che entusiaste sono arrivate dalle organizzazioni dei produttori e dei consumatori. Unimpresa ha approvato la scelta di Palazzo Chigi puntando il dito contro “i tassi a zero sui conti corrente” che, insieme all’aumento del costo italiano, hanno comportato alle banche italiane “senza muovere un dito” extraprofitti da “più di 25 miliardi di euro l’anno”. Il vicepresidente Giuseppe Spadafora ha tuonato: “Approfittano della scellerata politica della Bce che, come denunciamo da tempo, non solo non produce gli effetti sperati sul fronte del contenimento dell’inflazione, ma sta cagionando rilevanti danni all’economia reale, con un impatto assai negativo sul credito sia in termini di maggiori interessi sia in termini di condizioni d’accesso sempre più stringenti”. Pure i consumatori sono soddisfatti. Assoutenti, però, chiede un ulteriore atto di impegno al governo dopo aver colpito gli extraprofitti delle banche: “In considerazione dell’attuale situazione di emergenza, con i prezzi ancora alle stelle e i mutui che salgono senza sosta, chiediamo – ha detto il presidente Furio Truzzi – un ulteriore passo, estendendo la tassa sugli extra-profitti a quelle realtà che negli ultimi anni hanno visto crescere enormemente i propri utili: pensiamo alle società farmaceutiche, ma anche all’e-commerce, alle assicurazioni, all’energia, multinazionali che hanno beneficiato prima della pandemia, e poi dell’aumento di prezzi e tariffe, e che ora devono essere chiamate a fare la loro parte aiutando la collettività, perché è intollerabile che pochi fortunati si siano arricchiti a discapito di molti”.
"No a impatti significativi". La precisazione del Mef sugli extraprofitti. Dopo la giornata di fibrillazione delle Borse, il Mef ha rassicurato i mercati sulla tassa agli extra-profitti: "Il tetto massimo non può superare lo 0.1%". Francesca Galici l'8 Agosto 2023 su Il Giornale.
La Borsa di Milano ha chiuso in ribasso con il Ftse Mib in calo del 2.12% a 27.942 punti. Anche altre piazze europee hanno chiuso in calo e su tutte ha inciso la misura sugli extra-profitti decisa dal governo. È stata una giornata molto movimentata per le Borse, che hanno avuto violenti scossoni e anche per questo motivo il Mef ha diffuso una nota in serata con la quale rasserena il clima sottolineando che la tassa extraprofitti avrà un tetto massimo dello 0.1% sugli attivi.
A Piazza Affari crollano le banche dopo la tassa sugli extraprofitti: persi 10 miliardi
"La misura proposta dal ministro dell'economia e delle finanze, condivisa e approvata dal Consiglio dei ministri nasce sulla scia di norme già esistenti in Europa in materia di extra margini bancari. Al tempo stesso la misura, ai fini della salvaguardia della stabilità degli istituti bancari, prevede anche un tetto massimo per il contributo che non può superare lo 0.1% del totale dell'attivo", spiega la nota del Ministero dell'Economia. Quindi, dal Mef rassicurano: "Gli istituti bancari che hanno già adeguato i tassi sulla raccolta così come raccomandato lo scorso 15 febbraio con specifica nota da Bankitalia, raccomandazione poi richiamata dal ministro Giorgetti in occasione dell'assembla Abi lo scorso 5 luglio, non avranno impatti significativi come conseguenza della norma approvata ieri in Cdm".
Nella nota del ministero si ricorda che "la base imponibile di tale imposta è determinata dal maggior valore tra l'ammontare del margine d'interesse di cui alla voce 30 del conto economico, redatto secondo gli schemi approvati dalla Banca d'Italia, relativo all'esercizio antecedente a quello in corso al primo gennaio 2023 che eccede per almeno il 5 per cento il medesimo margine nell'esercizio antecedente a quello in corso al primo gennaio 2022".
Quindi, aggiunge il dicastero dell'Economia, "l'ammontare del margine di interesse di cui alla voce 30 del conto economico, redatto secondo gli schemi approvati dalla Banca d'Italia, relativo all'esercizio antecedente a quello in corso al primo gennaio 2024 che eccede per almeno il 10 per cento il medesimo margine nell'esercizio antecedente a quello in corso al primo gennaio 2022".
A Piazza Affari crollano le banche dopo la tassa sugli extraprofitti: persi 9 miliardi. Le banche a terra dopo l'annuncio del governo. Ma gli analisti si dividono sulla mossa dell'esecutivo e c'è chi non vede nera la situazione per il settore. Andrea Muratore l'8 Agosto 2023 su Il Giornale.
Comparto bancario in profondo rosso in giornata a Piazza Affari dopo che il governo Meloni ha annunciato ieri nel Decreto Omnibus la tassa sugli extraprofitti del settore al 40%, senza averla anticipata all'Associazione Bancaria Italiana (Abi) e al top management dei principali istituti.
La raffica di vendite sulle azioni del settore dopo l'apertura di giornata ha contribuito alla virata in rosso della borsa di Milano. L'indice Ftse Mib è stato la maglia nera d'Europa e ha ceduto a fine seduta il 2,12% chiudendo a 27.942 punti e bruciando 27 miliardi di euro di capitalizzazione. Quasi 9 miliardi di euro di capitale (8,96 per la precisione) sono stati cancellati dagli indici del comparto bancario. Poco toccate le banche d'affari come Banca Generali (-3,14%), Mediobanca (-2,48%) e Banca Sistema (-1,55%), a patire sono state le grandi banche di raccolta e investimento che sui margini hanno costruito la loro attività operativa nel 2022: Unicredit cede poco meno del 6%, va peggio a Intesa (-8,67%) e alle altre banche di media e grande taglia. Ribassi profondi, infatti, per Banco Bpm (-9%), Fineco (-9,9%) mentre per Mps (-10,83%) e Bper (-10,94%) il rosso è addirittura in doppia cifra
Il trend ribassista è chiaro ed era atteso dagli analisti per l'apertura di giornata: da oltre un anno e mezzo, con la crescita globale dei tassi d'interesse e del costo del denaro, le banche italiane hanno consolidato i propri bilanci, messo al sicuro utili record e distribuito, cosa più importante, ai propri azionisti cedole di alto valore nel corso dell'ultimo biennio. L'ultima trimestrale del 2022 e la prima del 2023 sono state da record per tutti gli istituti italiani, che in sei mesi hanno macinato oltre 31 miliardi di euro di ricavi e 7 miliardi di profitti complessivi, e questo sicuramente ha prodotto una corsa degli azionisti a investire nell'equity, ovvero il capitale proprio delle banche.
Con la tassa sugli extraprofitti, chiaramente, tale pulsione viene ridimensionata e questo ha causato un'uscita dalle azioni bancari di quegli investitori meno fidelizzati a detenere capitale del settore o di coloro che adottavano una tattica finalizzata ad accumulare, sulla scia del buon momento delle banche, cedole profittevoli. Ragion per cui la tassa sugli extraprofitti, in sostanza, divide gli analisti del settore. "Consideriamo questa tassa sostanzialmente negativa per le banche sia per l'impatto sul capitale e sugli utili che sul costo di equity delle azioni bancarie" commentano gli analisti di Citigroup sentiti dall'Ansa. Il timore degli esponenti della banca americana è che il costo delle azioni bancarie si faccia più alto in relazione al profitto atteso, erodendo le prospettive di rientro dagli investimenti.
Da Julius Baer aggiungono però che finora "le banche hanno avuto un anno forte" per il fatto che "i margini di interesse aumentano grazie ai tassi più elevati" e per il settore è "il momento di un sano consolidamento". Il fatto che la tassa sugli extraprofitti possa drenare circa il 10% degli utili bancari, incrementatisi però anno su anno nel 2022 del 43% per il contributo del margine d'interesse, può spingere a mantenere nel settore solo gli investitori più motivati, lungimiranti e pazienti. Nel frattempo, mentre politicamente dall'opposizione Giuseppe Conte lancia la volata per intestare al Movimento Cinque Stelle la paternità della misura venendo stoppato da Salvo Sallemi, vicecapogruppo di Fratelli d'Italia a palazzo Madama ("surreale" la mossa di Conte per il deputato meloniano), i conti si fanno anche fuori dalla Borsa.
In una nota il presidente di Unimpresa Giuseppe Spadafora segnala la sua approvazione per la mossa del governo: "Con i tassi a zero sui conti correnti - e grazie all'aumento del costo del denaro - le banche italiane incassano, senza muovere un dito, più di 25 miliardi di euro l'anno, il 76% in più di un anno fa ovvero extra ricavi pari a oltre 11 miliardi", nota Spadafora chiedendo di redistribuire risorse alle imprese che creano lavoro e tramite esse a famiglie e cittadini. Il dibattito sulla misura è aperto e, tra una borsa in sofferenza in apertura da cui però le nuvole nere sono ancora ben lontane e diversi giudizi sulla tassa, andranno attese le reazioni di mercato. In un contesto in cui, però, nulla cambierà per l'attività operativa delle banche e la loro capacità di generare utili e preservare la propria stabilità patrimoniale. Non intaccata da una misura che vuole colpire quanto eccede l'ordinario flusso dell'attività di mercato, ovvero una situazione creata soprattutto dal costo del denaro alzato dalla Bce con i continui rincari sui tassi, che hanno drenato risorse da famiglie e imprese.
"Tassa in stile sovietico". Meloni e la tassa sugli extraprofitti, il Financial Times: “Dalla guerra ai poveri alla mossa alla Robin Hood contro le banche, nemico dei populisti”. Redazione su Il riformista il 9 Agosto 2023
“Il primo scontro con i mercati di Giorgia Meloni mina la credibilità dell’Italia” è il titolo di un lungo e dettagliato articolo del Financial Times sul cambio di passo della premier italiana e sull’ultima “gaffe“, quella relativa all’intenzione di tassare le banche sugli extraprofitti. Una mossa che “ha danneggiato gravemente lo sforzo di Meloni di presentarsi come amministratrice fiscalmente responsabile” e che ha lasciato di stucco lo stesso ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti che “aveva ripetutamente respinto in passato l’imposizione della tassa”.
“L’idea che il governo stia diventando mainstream, che si stia spostando verso il centro e che stia diventando responsabile dal punto di vista economico è ora in qualche modo compromessa” ha sottolineato Lorenzo Codogno, ex alto funzionario del Tesoro italiano. Eppure, sottolinea il prestigioso giornale americano – la catastrofica e breve premiership della leader conservatrice britannica Liz Truss – poche settimane prima che la Meloni entrasse in carica – è servita da ammonimento che la leader italiana ha preso a cuore con il primo bilancio prudente del suo governo che è stato ampiamente applaudito. Ma il tentativo di imporre la tassa sugli extraprofitti alle banche ha solo sollevato ulteriori dubbi “sulla comprensione da parte della Meloni delle ramificazioni di mercato delle politiche populiste“.
Secondo Lorenzo Pregiasco, socio fondatore di YouTrend, la misura ideata dal duo Meloni-Salvini è nata per colpire un avversario relativamente impopolare come le banche. Ma “non pensavano che avrebbe prodotto il contraccolpo che ha avuto”, ha aggiunto. “È stato un grosso errore di calcolo“. Il Financial Times ricorda anche altri problemi dell’esecutivo guidato dalla leader di Fratelli d’Italia: dai ritardi sul Pnrr, con decine di miliardi a rischio alla contrazione inaspettata del prodotto interno lordo dello 0,5% nel secondo trimestre, fino al cospicuo ridimensionamento del reddito di cittadinanza che “dava agli italiani disoccupati un reddito di base, ma che i datori di lavoro lamentavano avesse scoraggiato le persone dall’accettare un lavoro”.
Ed è proprio partendo da quest’ultimo aspetto, quello della “guerra ai poveri” secondo l’opposizione, che Meloni avrebbe optato per una “mossa alla Robin Hood nel tentativo di tornare in auge” secondo Francesco Galietti, cofondatore di Policy Sonar, una società di consulenza sui rischi politici con sede a Roma. “La Meloni si è sentita indebolita dalle accuse di non preoccuparsi delle famiglie più deboli” e così avrebbe provato a rimediare con la tassa contro le banche, provando a far leva – stando a quanto ipotizzato da Pregliasco – sull’elettorato di destra populista e anti-establishment, che fondamentalmente odia le banche”.
Per l’ex funzionario del Tesoro Codogno “probabilmente è un segnale di disperazione” perché “in autunno devono preparare il bilancio e non hanno soldi per finanziare nulla”. Mosse che per il Financial Times sono quelle di un governo “che improvvisa, con poca consapevolezza delle potenziali ripercussioni sulle banche, sull’economia o sul più ampio sentimento internazionale verso l’Italia”.
Mossa presentata da Matteo Salvini, leader della Lega, senza offrire dettagli specifici su come funzionerà. “Salvini ha voluto dimostrare che la Lega non è uno spettatore, ma che può dare forma all’agenda del governo” ha sottolineato Pregliasco. Ventiquattr’ore dopo il ministro Giorgetti (anche lui leghista) ha spiegato che la tassa sarà limitata allo 0,1% degli attivi bancari.
Non a caso la decisione di tassare le banche sugli extraprofitti è stata accolta con soddisfazione dai partiti d’opposizione, a partire dal Movimento 5 Stelle. Una “tassa in stile sovietico” ha aggiunto Codogno che non fa altro che cristallizzare le forti pulsioni populiste all’interno della coalizione di destra.
Estratto dell’articolo di Giuliana Ferraino per il “Corriere della Sera” mercoledì 9 agosto 2023.
«Una tassa sbagliata tecnicamente, perché distorce l’allocazione del credito, e dal punto di vista della comunicazione, poco rispettosa degli investitori internazionali, di cui abbiamo bisogno come il pane», afferma Francesco Giavazzi, […]. […] «un errore da bocciatura all’esame di economia».
Spiega: «Il governo non impone una tassa sui profitti totali di una banca, ma soltanto sul margine di interesse, cioè la differenza tra interessi attivi e passivi. La tassa non tocca le altre attività, per esempio il contributo ai profitti delle commissioni che le banche fanno pagare quando vendono fondi o polizze. Questo è il primo effetto di questa distorsione è che sposterà le banche verso attività diverse dal margine di interesse».
E questo rischia di produrre un effetto pericoloso per i conti dello Stato: «L’investimento in Btp fa parte del margine di interesse, quindi per gli istituti di credito sarà meno conveniente investire in titoli di Stato, la cui domanda scenderà proprio nel momento in cui vengono meno gli acquisti da parte della Bce. E’ un autogol !», valuta Giavazzi. Questo il giudizio «tecnico», poi c’è una valutazione «politica».
«Questa tassa è un provvedimento dal quale traspare una visione sovranista dello Stato. […] ». Fuor di metafora, la tassa potrebbe ritorcersi contro il governo, penalizzando l’economia.
«La domande dei prestiti sta già frenando e le banche potrebbero avere interesse ad assecondare questa frenata spostandosi dai prestiti verso le commissioni sui servizi bancari, magari introducendone di nuove. […] «le tasse non dovrebbero fare una distinzione sull’origine dei profitti. È come se il governo tassasse la Barilla solo sui profitti derivati dagli spaghetti, ma non dai rigatoni.
Perciò la Barilla potrebbe decidere di non produrre più spaghetti ma solo rigatoni. Il governo può decidere di tassare la Barilla perché pensa che faccia troppi profitti, ma non indurla a ridurre la produzione di spaghetti. Non è il suo mestiere».
E poi c’è «il colpo alla credibilità del Paese: un investitore internazionale che acquisti azioni di Banca Intesa non si aspetta di perdere il 10% in una notte solo perché un governo si è svegliato ‘”frizzantino”». Infine, «i provvedimenti vanno spiegati al mercato.
Un investitore internazionale si aspetta che la misura sia spiegata dal ministro responsabile, quello dell’Economia, non, come è accaduto, da quello preposto ai ponti. Se non si presenta in conferenza stampa in un’ occasione come questa dà un’immagine pessima del Paese».
Il dolore dei soldi. Tommaso Cerno su L'Identità il 10 Agosto 2023
Come previsto è cominciata subito la battaglia delle lobby finanziarie per intimidire l’Italia che ha deciso di tassare almeno un po’, mai come i cittadini normali che lavorano, i profitti estorti dalle multinazionali che hanno guadagnato sui nostri tassi e sulle nostre crisi. Come una canzone talmente orecchiata da sembrare tua, così la nenia di chi vi spiega che è normale che tutti diventino più poveri tranne quelli che incassano i nostri soldi surfando sulle disgrazie del mondo è ripartita. Poco male. Fa parte di un mondo che domina le decisioni dei governi europei da almeno un decennio. Un mondo che cerca di salvare i propri interessi. E soprattutto un mondo che non crede possibile che un governo e un Parlamento liberamente eletti possano decidere davvero con la propria testa di cambiare questa regola sciocca che ha animato il dibattito finanziario e politico nell’epoca più diseguale e sbilanciata delle democrazie moderne.
Il governo italiano ha fatto bene ad agire contro la consuetudine. E ora farà bene a andare avanti. Più sentiremo critiche e minacce, più dipingeranno scenari drammatici, più vorrà dire che Meloni ci ha preso. E che ha toccato il cuore della ferita. Un ritorno della politica non solo è auspicabile di fronte a un mercato ormai senza padroni che ha smesso di ridistribuire ricchezza e ha cominciato invece a concentrarla. Ma è addirittura in ritardo, così come lo è il superamento dell’idea che siccome siamo una democrazia europea, allora dobbiamo obbedire a una Europa diseguale, che non ha saputo gestire la crisi sociale ed economica di milioni di suoi cittadini.
Mi interessa poco il dibattito fra destra e sinistra su chi abbia avuto l’idea o il coraggio di fare la prima mossa. Se Draghi, pur con minimi risultati, oppure il centrodestra di adesso. Quel che importa è che questa sia la strada che seguiremo per affermare una politica economica che abbia al centro una parola: equità. Siamo ancora lontani anni luce da questo obiettivo, ma è urgente che il Paese percepisca che chi lo guida, sia dal governo che dall’opposizione, ha chiaro in mente che non si può andare avanti nell’idea che la maggioranza delle persone pagano per tutto mentre dall’altra parte si costruiscono scenari che cadono sulle nostre teste dal cielo e mutano le nostre vite. Vedrete che se stavolta non mostreremo paura di chissà quale cataclisma, anche il sistema finanziario se ne dovrà fare una ragione. E dovrà trovare una via alternativa alla protesta. Sarà un bel giorno per l’Europa. Un risveglio migliore di questo tran tran che ha reso tutti più poveri e insicuri.
I sordi. Che la tassazione degli extra-profitti delle banche non sia un provvedimento liberale, non fosse altro per amore di verità, va riconosciuto. Augusto Minzolini il 9 Agosto 2023 su Il Giornale.
Che la tassazione degli extra-profitti delle banche non sia un provvedimento liberale, non fosse altro per amore di verità, va riconosciuto. In fondo il precedente di questi tempi lo trovi solo in Spagna che è un Paese governato da un premier socialista. Penalizzare sia pure indirettamente chi investe sui titoli bancari e, visto la presenza che hanno nel settore, pure le assicurazioni, non è certo un provvedimento che può piacere ai seguaci di Bruno Leoni. E non per nulla il mercato, mosso dai fondi di investimento, ha reagito alla sua maniera, bocciando la misura: ieri le azioni dei principali istituti bancari italiani sono precipitate. Motivi? È una scelta che colpisce gli azionisti, mette a rischio gli istituti di credito più deboli e probabilmente non fa impazzire di gioia Bankitalia. Non per nulla l'Abi già nel dicembre scorso aveva messo in guardia il ministro dell'Economia sulle conseguenze di una simile misura. E anche il partito più liberale del centrodestra, cioè Forza Italia, non ha nascosto un certo disappunto (sembra che quando è stata presa la decisione in Consiglio dei ministri Antonio Tajani non fosse presente) e propone già emendamenti di modifica. Ma a quanto pare il governo è rimasto sordo.
Ma come spesso avviene la verità sta nel mezzo. Anche le banche, infatti, sono rimaste sorde ai problemi che l'aumento dei tassi ha posto a chi deve pagare il mutuo e alle imprese che chiedono prestiti. Certo la maggiore responsabilità è della Bce che dopo la felice parentesi di Mario Draghi si è di nuovo richiusa nella sua torre d'avorio di Francoforte e ha continuato a perseverare nella sua politica di aumento dei tassi senza guardare in faccia la realtà. Ciò non toglie che gli istituti di credito, grazie all'aumento dei tassi, abbiano maturato extraguadagni, abbiano aumentato i tassi di interesse dei loro prestiti ma, nel contempo, e qui l'atteggiamento non è comprensibile, gli interessi che pagano ai correntisti siano rimasti gli stessi. Cioè quasi zero. Come se il denaro dato in prestito dalle banche fosse più prezioso di quello che i cittadini comuni tengono nei caveau. Per chi è in difficoltà per i mutui gli istituti bancari, invece, hanno fatto poco o niente: si è trattato di misure, diciamo, pallide, rispetto ad una situazione che si è fatta sempre più problematica e che purtroppo discende anche da tutto quello che ha provocato la guerra in Ucraina, cioè l'innalzarsi del costo delle materie prime che ha favorito il processo inflattivo. Era giusto aspettarsi una maggiore solidarietà.
Purtroppo, però, l'Italia è un Paese di sordi. Nessuno prende atto del problema o si muove di sua iniziativa. Mancano i taxi? Beh, la categoria se ne frega, tergiversa, fa ammuina dimenticando che alla base di quell'attività c'è un servizio pubblico che va espletato come si deve. Per cui alla fine il Governo è stato costretto ad intervenire. Con le banche il discorso non è stato tanto diverso. Ed è evidente che essere indotto ad usare la legge non può non pesare ad uno schieramento che ha al suo interno chi si proclama liberale.
La verità è che paghiamo un limite atavico, quasi strutturale del nostro Paese: da noi non si fa sistema. Un limite che trovi nell'economia, come nella politica o nella società. Ad esempio, le ragioni per aumentare i prezzi sono venute meno, ma da noi quando si aumentano non si torna mai indietro (la Spagna è di nuovo al tasso normale di inflazione annua del 2%). È una questione di mentalità. Tutti coltivano i proprio interessi, nessuno si preoccupa dell'interesse generale.
Estratto dell’articolo di Giacomo Salvini per il “Fatto quotidiano” mercoledì 9 agosto 2023.
“Rispetto ai precedenti, questo governo non risponde agli interessi delle banche”. Giovanbattista Fazzolari, sottosegretario alla presidenza del Consiglio e braccio destro di Giorgia Meloni, difende la norma sul prelievo agli extraprofitti bancari approvata lunedì in Consiglio dei ministri.
Parlando con il Fatto, va all’attacco anche di quei banchieri […] che ieri hanno protestato per la misura: “Se dicono che non sapevano niente sono scorretti perché erano stati informati a più riprese […] con questa norma andiamo a colpire le banche furbe che in questi mesi hanno fatto utili record”, dice […] aggiungendo che “c’è totale compattezza con il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti” anche perché “è lui che ha scritto la norma”.
Fazzolari spiega la ratio della misura: “Siamo intervenuti su una stortura che creava un disequilibrio di mercato. In primo luogo c’erano alcune banche che si comportavano bene e altre meno: alcuni istituti hanno allineato gli interessi attivi a quelli passivi e quindi hanno realizzato minori utili di quelli che non lo hanno fatto. Così noi andiamo a tassare il differenziale tra i tassi applicati a famiglie e imprese e per chi deposita soldi”.
E quindi, continua, “noi vogliamo tassare le banche che hanno usato questo meccanismo penalizzando chi non lo faceva. Che un differenziale ci sia è normale, che sia troppo ampio invece no, è un problema”.
[…] Fazzolari poi spiega che “non c’è uno scontro tra governo e banche” e che “non c’è alcuna volontà punitiva” ma la norma sugli extraprofitti serve per colpire quegli istituti che “hanno fatto i furbi”: “Tassiamo gli utili delle banche che hanno realizzato degli enormi margini su un comportamento scorretto”. Il sottosegretario risponde al presidente dell’Abi, Antonio Patuelli che fa filtrare di non essere stato informato dal governo: “Questo è scorretto perché Bankitalia e Giorgetti avevano richiamato le banche a far salire i tassi dei correntisti ma non ci hanno ascoltato”.
Fazzolari ci tiene a sottolineare la differenza tra il governo Meloni e i precedenti, Conte e Draghi. “Nessun governo aveva avuto il coraggio di fare questa manovra […] gli ultimi esecutivi, a partire da quello di Conte, hanno fatto enormi favori alle banche. Oggi il leader del M5S dice ‘meglio tardi che mai’ ma lui tra Superbonus e obbligo del Pos ha fatto molti favori agli istituti di credito. Favori che non sono stati eliminati da Draghi. Noi invece non guardiamo in faccia nessuno […]”.
[…] Giorgetti? “L’ha scritta lui e quindi certo che è d’accordo – dice – c’è totale condivisione tra Palazzo Chigi e il Mef. Lo dimostra il fatto che non c’è stata fuga di notizie prima dell’approvazione: se qualcuno fosse stato contrario, dagli uffici l’avrebbero fatta uscire”. […]
Governo intransigente e decisionista. Cosa sono gli extraprofitti e quando si applica il margine d’interessa: perché tassare le banche non è populista. Enrico Zanetti (Ex viceministro dell’Economia) su Il Riformista il 9 Agosto 2023
Nel “Si&No” del Riformista spazio al dibattito sulla tassa straordinaria sugli extraprofitti della banche decisa dal governo Meloni: è giusto tassare le banche? Favorevole Enrico Zanetti, ex viceministro dell’Economia nel governo Renzi, secondo cui “al governo va riconosciuto di essere stato intransigente e decisionista“. Contrario invece il direttore del Riformista Andrea Ruggieri che attacca: “E’ una misura dannosa e grillina che danneggerà il risparmiatore comune“.
Qui il commento di Enrico Zanetti:
La scelta del Governo di prevedere una tassa straordinaria sugli extraprofitti delle banche può essere definita in molti modi, più o meno commendevoli, a seconda dei punti di vista, ma certamente non come una sorpresa per gli addetti ai lavori. Anzi, a dirla tutta, l’unica sorpresa è che esponenti del settore interessato possano definirla tale.
Già dall’inizio dell’anno, i più attenti osservatori delle dinamiche dei bilanci bancari e dei corridoi della politica la davano come una prospettiva sostanzialmente certa entro la fine dell’anno.
Non tanto perché ragionavano con il metro del giusto e dell’ingiusto, quanto perché lo ritenevano ineluttabile in un contesto in cui era già chiaro che le dinamiche in atto sui tassi di interessi avrebbero determinato nei mesi a venire uno stillicidio di good news bancarie (nella forma di rapporti trimestrali e semestrali con performance economiche delle banche in miglioramento anche oltre il 50% anno su anno) di per sé meravigliose, ma alla lunga ingestibili in un contesto crescente di difficoltà nel reperire risorse nel bilancio dello Stato per finanziare interventi a favore di categorie di soggetti più deboli delle banche (cioè praticamente di tutti, secondo la percezione generale).
Non ci fosse stato da parte del Governo la serietà politica di portare sino in fondo il proprio programma, dichiarato in sede elettorale, di abolizione del reddito di cittadinanza per i nuclei familiari diversi da quelli con soggetti fragili, si potrebbe certamente parlare oggi di facile populismo anti-bancario da parte del Governo; ma – alla luce di come il Governo ha tenuto il punto su quel fronte oltre modo scivoloso e complesso – diventa allora più corretto riconoscergli di essere intransigente e decisionista non solo quando si tratta di essere forte con i deboli.
Secondo le anticipazioni date dal Governo stesso, il prelievo straordinario troverebbe applicazione una volta soltanto, con versamento del dovuto nel 2024, in misura pari al 40% della differenza, se positiva, tra il margine di interesse del conto economico 2023 e il margine di interesse del conto economico 2021 aumentato del 10% (attenzione però: nell’improbabile caso che la differenza positiva tra il margine di interesse del conto economico 2023 e il margine di interesse del conto economico 2022 aumentato del 5% fosse superiore alla predetta differenza 2023 vs 2021, l’imposta del 40% si applicherebbe allora su questo ammontare).
Il “margine di interesse” è la differenza tra i ricavi della banca per gli interessi attivi che applica alla propria clientela e i costi della banca per gli interessi passivi che riconosce alla propria clientela ed anche ai propri finanziatori per la raccolta di liquidità. Una forchetta che in questi mesi si è allargata a dismisura, alimentando appunto previsioni di utili da record per tutte le banche perché – mentre gli interessi attivi vengono adeguati in tempo praticamente reale alle scelte di politica monetaria della BCE – gli interessi che le banche riconoscono ai clienti sulle giacenze di conto corrente e sulle altre forme di raccolta di liquidità hanno tempi di adeguamento da parte delle banche che potremmo definire meno incalzanti.
La risposta dei mercati all’annuncio della tassa sugli extra-profitti è stata molto negativa, come del resto è logico che accada quando viene varato un provvedimento che determina una brusca riduzione delle attese di dividendi da parte dei possessori delle azioni che in quei mercati sono quotate. Ma – al netto dei diretti interessati – è difficile immaginare un’ondata di cordoglio nazionale per questa tassa così congegnata, essendo molti di più i cittadini che in questi mesi hanno toccato con mano come i tassi di interesse applicati ai mutui delle famiglie e ai prestiti alle imprese abbiano raggiunto livelli importanti, mentre per la generalità della liquidità presente nei conti correnti della clientela, al netto della nuova liquidità, abbiano continuato ad essere riconosciuti tassi di interesse vicini allo zero.
Ora è sperabile che il settore bancario non si arrocchi in lamentazioni che – anche laddove condivisibili – sarebbero comunque sterili e lavori con il Governo per trovare un punto di caduta accettabile per gli obiettivi di entrambe le parti, posto che sono stati, sono e saranno sempre numerosi i dossier per la cui risoluzione risulta imprescindibile la collaborazione tra istituzioni e settore finanziario.
Enrico Zanetti (Ex viceministro dell’Economia)
Estratto dell’articolo di Manuel Follis per “la Stampa” sabato 12 agosto 2023.
Fabrizio Palenzona lo aveva predetto che una tassa sugli extraprofitti avrebbe generato malumori. «Che stessero pensando a un'iniziativa di questo tipo era nell'aria da tempo», spiega il presidente di Crt. Ma così «sembra che abbiano provato a dare un colpo al cerchio e uno alla botte»
In che senso?
«Il governo ha rivisto il reddito di cittadinanza suscitando molte critiche. E così han pensato di dare un colpo agli istituti del credito, che va sempre bene se a guidare è la demagogia. Un errore, perché di demagogia alla lunga si muore».
C'è chi dice che in questo modo si possono aiutare famiglie in difficoltà.
«Sono d'accordo, ma i provvedimenti non devono mai scardinare o anche solo danneggiare un sistema. Se fossimo seri o coerenti dovremmo ricordarci che le banche hanno passato periodi di grande sofferenza. Io non posso dimenticare gli anni che hanno comportato aumenti di capitale per i quali le fondazioni si sono dovute svenare. Non mi ricordo che allora lo Stato sia venuto in soccorso degli istituti di credito.
Quando i tassi erano sotto lo zero e gli istituti hanno dovuto provvedere a rafforzamenti patrimoniali per ovvi motivi, nessuno si è nemmeno posto il problema. […] Le fondazioni bancarie per scelta dedicano circa l'85% delle loro risorse a iniziative sociali. Questa tassa sugli extraprofitti, […] avrà certamente un impatto negativo sui conti delle fondazioni. Se l'obiettivo della misura è sostenere le famiglie in difficoltà il governo dovrebbe aiutare le fondazioni con uno sgravio fiscale».
Si tratta di una proposta ufficiale?
«Crt proporrà all'amico Francesco Profumo di avanzare questa proposta come Acri: l'introduzione di un credito d'imposta per tutte le fondazioni. Siamo convinti che i nostri colleghi saranno d'accordo».
C'è chi dice che le più colpite saranno le piccole banche.
«Certo vivono più di depositi e prestiti e meno di prodotti. […]».
Qualcuno al governo sostiene che le banche abbiano ignorato i segnali delle authority.
«Mi creda, la moral suasion di Bankitalia o della Bce è molto efficace quando lo vuole essere. E se non l'ha fatto c'è un motivo […] si poteva ragionare per individuare strade che in passato sono state trovate senza creare crisi di credibilità».
Arrivati a questo punto come si procede?
«È abbastanza evidente che questo decreto retroattivo che mette nel mirino solo le banche e non gli altri interlocutori finanziari presta il fianco all'accusa di illegittimità». […]
Il fondo americano Dk ha venduto alla Ion di Andrea Pignataro la sua quota nella società di npl Prelios. Lei è presidente della società, che futuro vede ora?
«Sono ancor più ottimista. Pignataro è un tipico figlio della genialità italiana. Con lui e col suo gruppo, Prelios entra nel futuro. Un esempio che mi viene dal cuore è quello di Leonardo Del Vecchio. All'epoca Luxottica era molto indebitata, ma Unicredit finanziò l'acquisizione di Ray-Ban! Sono felice che il sistema bancario italiano lo abbia capito. Da oggi Prelios è destinata a diventare una pedina importante di uno dei gruppi internazionali e finanziari più innovativi al mondo».
Visto che abbiamo cambiato capitolo, Crt è anche azionista di Generali, cosa pensa dell'ultima semestrale?
«Ha mostrato risultati buoni pur in un contesto macroeconomico sfidante […] sono convinto che nelle aziende quotate di grande dimensione e con rilievo "sistemico", come appunto Generali o Unicredit, avere azionisti stabili nel tempo con una visione di lungo termine sia fondamentale».
Può spiegare meglio?
«Gli azionisti devono garantire stabilità alla società, devono fare quadrato quando la speculazione aggredisce l'impresa, ma anche sapere ascoltare e riconoscere gli altri investitori quando questi esprimono orientamenti consonanti con gli obiettivi di crescita sostenibile. Quando questo non avviene siamo di fronte a un'anomalia. Lo scontro in assemblea dello scorso aprile è stato sicuramente una di queste anomalie, ancor più perché ha coinvolto anche società a management. Non la ritengo una pagina positiva e questo non vale solo per chi si è esposto di più».
Una critica?
«Nessuna critica. Dico che si doveva fare ogni sforzo per evitare uno scontro e ciò purtroppo non è successo. Nessuna delle parti in gioco, azionisti, società, management alla fine è stata in grado di superare la propria, pur legittima, visione personale, per fare sintesi nell'interesse della società. Sono un grande amico e un estimatore dell'ingegner Francesco Caltagirone […] Ha lottato da par suo raccogliendo il consenso di tanti investitori. Le cose sono andate come sono andate e bisogna prenderne atto. Ma tutti, azionisti stabili, società e management, devono concorrere a creare le condizioni, senza pregiudizi né arroccamenti, […]».
Auspica che gli attriti finiscano?
«Bisogna fare per Generali quello che andava fatto qualche anno fa: azionisti stabili e manager devono trovare un equilibrio di relazioni […] Generali è decisiva per l'equilibrio finanziario del Paese. Ero presente quando un giorno Cuccia, un po' in polemica con Maranghi, disse: Mediobanca può sparire, ma quello che l'Italia non può permettersi di perdere è Generali. […]».
Ha citato Mediobanca, come valuta la situazione tra soci?
«Le situazioni sono molto diverse. Non credo ci sarà una guerra in Mediobanca. […] Siamo di fronte a una società che tutti riconoscono essere ben gestita. […] va trovato un dialogo nell'interesse della società. […]».
DAGOREPORT sabato 12 agosto 2023.
"Furbizio" Palenzona torna a fare ciò che lo ha tenuto a galla attraverso qualsiasi tipo di potere si sia avvicendato a Palazzo Chigi: il mediatore di pace. Come ai tempi di Aiscat, quando si mise a fare il paciere tra i Gavio e i Benetton. Una volta che si mette in mezzo, i contendenti diventano burattini costretti a interpellarlo per risolvere ogni diatriba.
Ricicciato a sorpresa alla presidenza della Fondazione Cassa Risparmio di Torino (CRT), scalzando il predecessore Giovanni Quaglia che ha così pagato lo sconsiderato appoggio a Caltagirone nella fallita scalata di Generali, di cui CRT è azionista, l’astuzia da antico democristiano di Palenzona non ha perso smalto: ha subito fottuto, mettendolo in minoranza, chi l’aveva innalzato alla presidenza: l’ingenuo sindaco di Torino Stefano Lo Russo (con la moral suasion di Banca Intesa).
In attesa di incrociare le lame con il Grande Vecchio delle fondazioni bancarie (Cariplo), l’inossidabile Giuseppe Guzzetti, voglioso com’è di occupare la poltrona in scadenza di Francesco Profumo all’Acri (destinata al guzzettiano Azzone), forte di padroneggiare una CRT che ha in pancia Generali 1,61%, Unicredit 1,9%, Bpm 1,8%, Palenzona si fa intervistare da “La Stampa” per proporsi “mediatore di pace” nel duello su Mediobanca e Generali che vede contrapposti, in teoria, Milleri/Delfin e Caltagirone, da una parte, Nagel e Donnet, dall’altra.
"In teoria" perché Francesco Milleri, erede manageriale dell’impero di Leonardo Del Vecchio, non ha gli stessi obiettivi di un Caltariccone, ormai più immobiliarista-finanziere che editore.
La Delfin guidata da Milleri oggi è più vocata a un ruolo di azionista ‘’passivo’’, che punta a intascare i ricchi dividendi per far felici gli otto agitati eredi di Del Vecchio, quindi è più disponibile a un accordo e/o mediazione con il boss di Mediobanca, Alberto Nagel, e lo zar di Generali, Philippe Donnet.
Ed ecco infilarsi tra i litiganti, come “mediatore di pace”, lo scaltro Palenzona. Che, da immarcescibile piemontese “falso e cortese”, dopo aver fatto silurato l’alleato CRT di Calta, Giuseppe Quaglia, ora gli rifila un cucchiaino di miele: ‘’Sono un grande amico e un estimatore dell'ingegner Francesco Caltagirone”.
Dopo il salamelecco, arriva il veleno, il “grande amico” gli ricorda il portone ricevuto in faccia da Nagel-Donnet a Trieste: “Ha lottato da par suo raccogliendo il consenso di tanti investitori. Le cose sono andate come sono andate e bisogna prenderne atto”. Prendi, porta a casa, e salutame il tuo “negoziatore” Fabio Corsico che per scalare Generali si era inventato Quaglia e Costamagna.
Ora è chiaro che il “paciere” Palenzona sta con Nagel (“Siamo di fronte a una società che tutti riconoscono essere ben gestita”), e in più con la Delfin in passato, quando era vicepresidente di Unicredit, aiutò la Luxottica di Del Vecchio nell’acquisizione dell’azienda produttrice dei Ray-Ban; e così, via intervista, “Furbizio” inoltra un invito di darsi una calmata a un Caltagirone molto assetato di rivincita in vista del nuovo Cda di Mediobanca in agenda a ottobre, di cui Delfin è primo azionista, con il 19,8% del capitale, e giocoforza gli equilibri di potere cambieranno.
Mentre a Milano il manager Milleri avrebbe aperto una trattativa con il manager Nagel, a Roma l’editore del “Messaggero”, con l’arrivo di Giorgia Meloni al potere, ha trovato una leva per i suoi sogni di gloria nella persona di Fazzolari.
E dopo vari incontri e cene, il braccio destro (e teso nel saluto romano) della Ducetta sta provando a farlo felice spingendo il pedale del freno alla prassi della “lista del cda”.
L’emendamento sul DDL Capitali (a firma del meloniano Melchiorre), che permetterebbe ai soci stabili di una società di moltiplicare il valore delle loro azioni per tre, lancerebbe Calta alla conquista delle polizze e degli immobili di Generali senza sborsare un euro.
L’emendamento è ancora in discussione nella commissione parlamentare, e se passerà sarà in forma che più blanda non si può (anche perché con una tale norma “degenere”, ad esempio, Vivendi si metterebbe in tasca Tim; e nello stesso tempo il potere dei soci stabili allontanerebbe gli investitori ad entrare nelle società).
Ed è sempre il prode Fazzolari, trasformatosi di colpo in un esperto di finanza & mercati, che ha dato il là alla famigerata tassa sugli extra profitti bancari senza uno straccio di trattativa con l’Abi, facendo registrare un crollo in Borsa dei titoli bancari di 9 miliardi, per scucire agli istituti bancari quei 2,8 miliardi che serviranno al Mef per partecipare con Cdp alla Rete unica. Un “esproprio” che ha di sicuro fatto lievitare il rischio Italia tra gli investitori internazionali.
Ed ecco farsi avanti il diabolico Palenzona che, a nome del sistema bancario, avvisa il luna park Meloni-Salvini che basta un niente a rispedirli a casa a pettinare le bambole: “La tassa sugli extraprofitti delle banche danneggia il sistema e minaccia la credibilità”.
Quindi, presa la mira, spara: “Sembra che il governo abbia provato a dare un colpo al cerchio e uno alla botte: ha rivisto il reddito di cittadinanza suscitando molte critiche. e così han pensato di dare un colpo agli istituti del credito, che va sempre bene se a guidare è la demagogia. Un errore, perché di demagogia alla lunga si muore”.
Governo avvisato, mezzo salvato. Parola di un democristiano di lunga durata che conosce, e bene, la cultura del potere.
Le fondazioni bancarie sono una lobby privata allergica ai controlli. Il governo va in soccorso di enti diventati espressione di potentati locali autoreferenziali, in grado di influenzare pesantemente il mondo politico e finanziario in un rapporto di forza rovesciato. Francesco Fimmanò su L'Esprresso il 23 maggio 2023.
Il bonus previsto nella Finanziaria 2023 a favore delle Fondazioni bancarie che si faranno carico di incorporare quelle che si sono irrimediabilmente impoverite fino ad avere meno di 50 milioni di patrimonio, è l’ennesimo intervento che governo e Parlamento di turno fanno quando la potentissima lobby “chiama”.
Le fondazioni bancarie rappresentano una fenomenologia rilevante ma il loro ruolo è molto ambiguo e si traduce nella difficoltà di individuare con precisione la loro missione sociale e la trasparenza delle loro gestioni. Anche questa volta la politica, invece di verificare cause e responsabilità dell’impoverimento e delle dissipazioni, corre a sostenere il sistema con un credito di imposta pari al 75 per cento delle erogazioni in denaro a beneficio dei territori di operatività delle fondazioni incorporate in gravi difficoltà.
Questi enti sono detti di origine bancaria perché con la legge Amato del 1990 conferirono le aziende bancarie pubbliche di cui erano titolari in società per azioni, conservandone il controllo strategico. La legge Ciampi del 1999 ne inibì il ruolo di holding bancarie, rendendole persone giuridiche private grant-making, che utilizzano cioè i frutti del proprio patrimonio per erogare risorse a favore di progetti gestiti da terzi. La riforma Tremonti del 2001, dall’altro lato, rese ancora più invasiva l’ingerenza del potere pubblico a discapito della veste formale.
E infatti la lobby protegge e cura, come fosse un totem, questa veste giuridica formale di “enti privati” i cui organi sono però prevalentemente nominati da soggetti pubblici ed il cui enorme patrimonio deriva dal risparmio pubblico, a guisa di un piccolo fondo sovrano. Peraltro, nonostante i divieti della legge Ciampi, permane ancora oggi quell’abbraccio mortale con le banche conferitarie che ha determinato in molti casi il loro drastico impoverimento.
Si tratta di un ircocervo sfuggito via via finanche all’originario disegno del legislatore, divenendo in molti casi espressione di potentati locali autoreferenziali in grado di influenzare pesantemente il mondo politico e finanziario. E basta guardare alla longevità formidabile di molti amministratori per comprenderne appieno la capacità di ribaltare lo stesso rapporto di forza con la politica. Recuperando l’etimo della parola “politica”, è evidente che ci trova dinanzi a veri e propri soggetti pubblici che, grazie alla veste privatistica, sfuggono a qualsiasi controllo democratico. Le fondazioni bancarie continuano insomma a catalizzare l’attenzione in quanto risultano centri di potere per i patrimoni milionari di cui dispongono, nonché interlocutori privilegiati del sistema bancario grazie ai meccanismi di nomina dei vertici aziendali.
Pur volendo ammettere la logica del supporto ai territori, tutto dovrebbe avvenire invece secondo regole di trasparenza, efficienza, legalità, e soprattutto in un regime di controlli, vista la natura delle risorse e l’origine delle nomine degli amministratori.
Eppure non appena qualcuno giustamente osserva, ad esempio, la naturale soggezione al controllo della Corte dei Conti, si levano enormi polemiche e dibattiti, agitatati da fini legulei, per affermarne la natura del tutto privatistica e quindi fuori dall’ambito del controllo dei giudici contabili. Laddove in un sistema caratterizzato dalla moltiplicazione delle figure incaricate della cura di interessi generali, la questione non è discettare sulla natura giuridica ma su quali norme “orizzontalmente” riferite alle amministrazioni e agli enti pubblici vadano ad esse applicate, sulla base delle finalità perseguite e degli interessi tutelati. Ed è evidente che la stretta affinità con enti come le fondazioni “previdenziali” o quelle “lirico-sinfoniche”, pacificamente soggette ai detti controlli, dovrebbe imporne il medesimo trattamento senza neppure bisogno di una apposita legge. D’altra parte queste fondazioni se sono così utili e ben gestite quale preoccupazione hanno ad assoggettarsi a forme di controllo cosiddetto di gestione?
Investire i lauti profitti delle banche in opere a sostegno delle comunità può sembrare a prima vista un progetto meritorio nel quale le fondazioni assumono un ruolo di moderno mecenate. Ma, tolto il velo dell’apparenza, la situazione è quella descritta.
Peraltro, l’obbligo per le fondazioni di investire il 90% dei proventi nella regione di appartenenza privilegia il Nord rispetto al Sud del Paese, contribuendo a enfatizzare una differenza di disponibilità che ha ormai ampiamente superato il livello di guardia. Inoltre, se le sedi delle grandi fondazioni e delle relative grandi banche sono concentrate al Nord, lo stesso non si può dire dei loro correntisti o in generale della loro attività operativa.
La verità è che la lobby delle fondazioni è la più potente di tutte e vive nell’ombra senza che il cittadino comune sappia neppure di cosa parliamo: altro che concessionari di autostrade, spiagge cave o torbiere. Di fatto, le fondazioni bancarie, pur nell’originario divieto, non hanno mai cessato di occuparsi delle attività bancarie con il ruolo determinante nella nomina degli amministratori. E nel contempo dispongono di enormi risorse da spargere a pioggia liberamente e senza alcuna evidenza pubblica sui territori al di fuori di ogni regola di contabilità pubblica. Ed ogni volta che qualcuno propone regole si alzano polveroni che neppure all’epoca della glaciazione si sono mai visti.
Phishing, la Cassazione: se il cliente viene truffato la colpa è sua. Esclusa la responsabilità dell’intermediario: per la Corte le banche non devono rispondere delle frodi online. Il Dubbio l’11 aprile, 2023
Se un cliente di una banca finisce nella “trappola” del phishing e rimane vittima di una frode, la responsabilità è sua e non dell'istituto di credito. È quanto ha stabilito la Cassazione, con sentenza numero 7214 del 13 marzo, con la quale si è espressa sul tema, introducendo di fatto un principio che rappresenta, per le banche, uno scudo di fronte alle richieste di risarcimento danni avanzati da correntisti truffati on line.
Nel caso oggetto della sentenza, si apprende da una circolare che l'Abi ha inviato agli associati, il titolare del conto ha disconosciuto una operazione fraudolenta di bonifico eseguita per via telematica sul proprio conto da una terza persona. Nella causa di primo grado, il Tribunale di Palermo aveva condannato l'intermediario a rimborsare al titolare del conto corrente la somma che era stata sottratta fraudolentemente, ritenendo che l'intermediario non avesse adottato tutte le misure di sicurezza tecnicamente idonee a prevenire danni come quello oggetto di causa. Tale decisione, tuttavia, è stata riformata dalla sentenza della Corte d'Appello di Palermo, per poi essere confermata dalla Suprema Corte. La Corte di Cassazione, richiamando nei fatti di causa le argomentazioni poste dalla Corte d'Appello, ha dichiarato inammissibile il ricorso escludendo la responsabilità dell'intermediario.
Nel fare rinvio ai contenuti della decisione, l'Abi segnala agli associati alcuni aspetti: il comportamento del titolare del conto è da considerarsi “imprudente e negligente” in quanto il cliente ha digitato i propri codici personali (richiestigli con una e-mail fraudolenta) consentendo così al truffatore di utilizzarli successivamente per effettuare disposizioni di pagamento. Sul punto, in secondo grado, è stato evidenziato che l'attività svolta dall'intermediario, in quanto relativa anche al trattamento informatico di dati personali, è da considerarsi “pericolosa” (D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 15 e art. 2050 c.c.), in considerazione delle sempre più frequenti truffe informatiche, miranti a carpire fraudolentemente i dati necessari per il compimento di operazioni illecite.
Inoltre, ricorda l'associazione, l'intermediario, ad avviso dei giudici d'Appello, ha adottato un sistema di sicurezza tale da impedire l'accesso ai dati personali del correntista da parte di terze persone in quanto “i livelli di sicurezza dei sistemi informatici (…) sono stati certificati da appositi enti certificatori, secondo i più rigorosi ed affidabili standard internazionali” e dal contenuto di tali documenti emerge che “l'utilizzazione del servizio on line può avvenire esclusivamente attraverso l'inserimento di vari codici segreti in possesso dell'utente e sconosciuti allo stesso personale” dell'intermediario; è stato considerato positivamente dai giudici d'Appello il comportamento dell'intermediario che ha fornito una specifica informativa, anche precontrattuale, al cliente riguardo all'importanza della custodia e all'utilizzo corretto delle credenziali. Inoltre, i giudici hanno evidenziato come “sul sito internet di (…) [dell'intermediario], agevolmente consultabile dal correntista” vi è un apposito spazio in cui “vengono fornite le necessarie informazioni per evitare le frodi informatiche (in particolare, il phishing), con l'avvertenza, in particolare, che [l'intermediario] non richiede mai, attraverso messaggi di posta elettronica, lettere o telefonate, di fornire i codici personali e con le indicazioni necessarie per distinguere il sito internet autentico e protetto di (…) [dell'intermediario] da quelli clonati, nei quali il correntista è indotto a digitare i propri codici personali”.
Con riferimento all'onere probatorio, conclude nella circolare l'Abi, la Corte di Cassazione ha concluso che l'intermediario non era tenuto a provare che l'addebito fosse stato approvato dai correntisti, in quanto dalle “caratteristiche di sicurezza proprie del sistema informatico [dell'intermediario] per l'esecuzione di operazioni bancarie per via telematica, vi era la prova, derivata da presunzioni, che tali username, pin e password, che i ricorrenti affermavano di non avere utilizzato per impartire tale ordine, vennero utilizzati da un terzo, previa loro illecita captazione”.
Le Banche italiane.
Le Banche francesi.
Il crac della Silicon Valley Bank.
Il crac della Credit Suisse.
La crisi di Deutsche Bank.
La sentenza d'Appello. Mps, tutti assolti nel processo sui derivati: per gli ex vertici Profumo e Viola “il fatto non sussiste”. Redazione su L'Unità l'11 Dicembre 2023
Gli ex vertici del Monte dei Paschi di Siena, l’ex presidente Alessandro Profumo (ora amministratore di Leonardo, l’ex Finmeccanica) e l’ex amministratore delegato Fabrizio Viola, sono stati assolti nel processo in corso a Milano dall’accusa di irregolarità di bilancio.
La sentenza ribaltata in Appello
I due erano stati condannati in primo grado a sei anni di reclusione ciascuno per i reati di aggiotaggio e false comunicazioni sociali. Una sentenza ribaltata dai giudici della seconda corte penale d’Appello di Milano. Assolto con loro anche l’ex presidente del collegio sindacale, Paolo Salvadori, condannato in primo grado a 3 anni e 6 mesi per false comunicazioni sociali. Annullata, infine, anche la decisione su banca Mps – imputata per la legge 231/2001, quella sulla responsabilità amministrativa degli enti – che era stata condannata in primo grado a una multa di 800mila euro.
Il processo derivati Mps
Al centro del processo, per cui ora sono stati tutti assolti, c’è la presunta “erronea” e “persistente” contabilizzazione nei conti della banca senese dei derivati Alexandria e Santorini (che erano stati sottoscritti con Deutsche Bank e Nomura dalla precedente gestione, quando presidente dell’istituto era Giuseppe Mussari) come operazioni di pronti contro termine sui titoli di stato, e quindi a saldi aperti, e non come derivati, e quindi a saldi chiusi.
Contabilizzazione avvenuta nel 2012, 2013 e 2014 e nella prima semestrale del 2015, quando Viola e Profumo erano ai vertici, e che avrebbe avuto, secondo l’accusa, lo scopo di coprire le perdite di Rocca Salimbeni dopo l’acquisizione di Antonveneta.
Le precedenti assoluzioni
Già lo scorso ottobre era stato segnato un punto importante sulle vicende di Mps ed in particolare sul ruolo dei vertici dell’istituto di credito senese in merito ai “derivati” Alexandria e Santorini, cioè delle operazioni sottoscritte da Mps con Deutsche Bank e Nomura dalla precedente gestione Mussari per mascherare (secondo l’accusa) 2 miliardi di euro di perdite derivanti dall’acquisto della banca Antonveneta.
Proprio l’ex presidente Giuseppe Mussari, assieme all’ex direttore generale Antonio Vigni, erano stati assolti in via definitiva con la decisione della Cassazione di dichiarare “inammissibile” il ricorso della Pg di Milano, Gemma Gualdi, contro le assoluzioni di tutti i 15 imputati per le presunte irregolarità nelle operazioni di finanza strutturata di Mps tra il 2008 e il 2012.
Le parole di Profumo
Ovvia la soddisfazione di Alessandro Profumo dopo l’assoluzione nel processo di secondo grado che ribalta la sentenza di condanna.
“Sono emozionato, dopo otto anni di sofferenza. Ho sempre avuto fiducia nella giustizia” e “sono molto contento anche per la banca, perché si chiude questa triste vicenda”, le parole a caldo dell’ex presidente di Mps.
“Si è chiusa perché il fatto non sussiste e mi sembra un fatto abbastanza indicativo” ha detto l’ex presidente della banca senese rispondendo a una domanda sul processo che lo vede ancora coinvolto, quello per i crediti deteriorati di Mps che è in fase di udienza preliminare davanti alla Gup di Milano, Fiammetta Modica. Redazione - 11 Dicembre 2023
Estratto dell’articolo di Fabrizio Massaro per milanofinanza.it lunedì 11 dicembre 2023.
Assolti perché il fatto non sussiste: così la corte d’appello di Milano ha ribaltato la sentenza di primo grado che nel 2020 aveva condannato gli ex vertici di Mps Alessandro Profumo (presidente) e Fabrizio Viola (amministratore delegato). La sentenza è stata pronunciata dal presidente della corte d’appello lunedì 11 dicembre poco dopo le 14, alla fine dell’ultima udienza del processo.
Assolti anche Paolo Salvadori, allora presidente del collegio sindacale, condannato in primo grado a 3 anni e mezzo di reclusione e la stessa Monte Paschi, in primo grado condannata a 800 mila euro di sanzione pecuniaria. E il titolo Mps accelera al rialzo a Piazza Affari: alle 15 sale del 2,90% a 3,364 euro.
«Sono emozionato, dopo otto anni di sofferenza. Sono molto contento, anche per la banca, perché si chiude questa penosa e triste vicenda», ha commentato a caldo Profumo, presente in udienza a Milano, visibilmente emozionato. «Si è chiusa perché il fatto non sussiste e mi sembra un fatto abbastanza indicativo». ha aggiunto.
Il verdetto dei giudici di secondo grado si affianca a quello della Cassazione che lo mercoledi 11 ottobre ha mandato assolti, anch’essi perché il fatto non sussiste, i precedenti vertici di Mps tra il 2006 e il 2012 Giuseppe Mussari (presidente) e Antonio Vigni (direttore generale).
In entrambi i casi le accuse di aggiotaggio e false comunicazioni sociali riguardavano la contabilizzazione delle operazioni Santorini, realizzata con Deutsche Bank, e Alexandria, con la banca giapponese Nomura, che secondo l’accusa sarebbero stati dei derivati e non invece operazioni di finanziamento strutturate come iscritto a bilancio.
[…] L’esito di questo procedimento […] potrebbe ora consentire alla banca guidata dal ceo Luigi Lovaglio di liberare accantonamenti legati al rischio legale. Secondo gli analisti, Mps potrebbe alleggerire il carico di almeno 200 milioni di euro. E altre potrebbero liberarsi dato che su 2,9 miliardi di euro di richieste di danni, 1 miliardo è rappresentato da cause civili e costituzioni di parte civile nel procedimento Profumo-Viola, e il resto sono reclami o richieste stragiudiziali.
[…] In appello a Milano la procura aveva chiesto per Profumo e Viola la conferma delle condanne di primo grado a sei anni di reclusione ciascuno, e la conferma della condanna anche per Banca Mps – imputata per la legge 231/2001, quella sulla responsabilità amministrativa degli enti - a una multa di 800mila euro più il pagamento delle spese processuali (queste ultime insieme a Viola e Profumo). Chiesta anche la conferma della sentenza anche per la prescrizione del reato di false comunicazioni sociali relativo al bilancio 2012 e per l’assoluzione per lo stesso reato in relazione ai bilanci 2013 e 2014.
[…] La vicenda risale a oltre dieci anni. Profumo e Viola nel febbraio 2013 avevano effettuato il restatement del bilancio della banca, iscrivendo un fair value negativo iniziale per le due operazioni condotte sotto Mussari e Vigni, attraverso la denuncia del ritrovamento di un documento considerato segreto, il «mandate agreement» relativo all’operazione con Nomura che avrebbe svelato la vera natura di quel contratto e che, «per analogia», spiegava anche il senso dell’operazione con Deutsche Bank.
Per quell’occultamento Mussari e Vigni finirono sotto processo in una prima tranche dell’inchiesta a Siena, dove vennero condannati in primo grado, e a Firenze in secondo grado, dove invece vennero assolti – dopo un passaggio in Cassazione – perché «il fatto non sussiste»: la banca possedeva già prima del presunto ritrovamento del documento tutti gli elementi per valutare le operazioni, hanno stabilito i giudici.
[…] Da quel restatement del febbraio 2013 scaturì lo scandalo Mps, che ha travolto la banca provocando fughe di depositi e un rallentamento dell’attività bancaria che, unita alla crisi di quegli anni, ha fatto esplodere i crediti deteriorati fino a 44 miliardi di euro lordi.
Contemporaneamente partirono anche le inchieste sulla contabilizzazione a bilancio di quelle due operazioni. Profumo e Viola le iscrissero inizialmente non come derivati ma come finanziamenti, pur indicando in nota integrativa gli effetti di Santorini e Alexandria come se fossero derivati.
Nel 2015 su indicazione della Consob, a sua volta spinta da un’indagine della tedesca Bafin, i due banchieri cambiarono opinione e iscrissero a bilancio le due operazioni come derivati. Ma il 15 ottobre 2020 l’ex presidente e l’ex amministratore delegato di Banca Mps vennero condannati in primo grado a sei anni di reclusione ciascuno per i reati di aggiotaggio e false comunicazioni sociali proprio in relazione alla prima semestrale 2015 della banca con riferimento all’operazione Alexandria.
[…] Sarà molto importante, anche per gli effetti che potranno avere sul futuro dell’attuale banca, leggere le motivazioni di questa sentenza di assoluzione. Sulla passata gestione di Rocca Salimbeni, per ben due volte la Cassazione ha stabilito che non sono stati commessi reati: non ci fu occultamento di alcun documento segreto […] e non ci sono stati illeciti contabili di Mussari e Vigni con le operazioni Alexandria e Santorini. […]
(Il Sole 24 Ore Radiocor Plus il 29 Marzo 2023) – Da questa mattina sono in corso una serie di perquisizioni nell'ambito di una inchiesta per frode fiscale presso le sedi di cinque banche a Parigi e a La Defense. Lo ha indicato la procura nazionale finanziaria (Parquet national financier, Pnf), confermando indiscrezioni riportate dal quotidiano Le Monde.
Le banche oggetto delle perquisizioni, come scritto da Le Monde, sono Societe' Generale, Bnp Paribas, Exane (gruppo Bnp Paribas), Natixis e Hsbc. Un portavoce di SocGen ha confermato all'Afp che ci sono state delle perquisizioni senza specificarne il motivo, le altre banche non hanno commentato. Come specificato dalla procura, le operazioni in corso rientrano nel quadro di 'cinque istruttorie aperte il 16 e 17 dicembre 2021 per riciclaggio aggravato dalla evasione fiscale aggravata, e per evasione fiscale aggravata, relative alla cosiddetta truffa CumCum', un regime fiscale sui dividendi.
'Le operazioni in corso, che hanno avuto bisogno di molti mesi di preparazione, sono condotte da 16 magistrati del Pnf e da oltre 150 uomini del servizio giudiziario finanziario (Sejf), con la presenza di sei procuratori tedeschi della procura di Colonia, nell'ambito della cooperazione giudiziaria europea', e' stato aggiunto, spiegando che queste inchieste nascono da una serie di denunce depositate alla fine del 2018 da un collettivo di cittadini, riuniti intorno al deputato Boris Vallaud, o da un esposto obbligatorio dell'amministrazione fiscale che, secondo Le Monde, risale alla fine del 2021.
Il quotidiano afferma anche che la Direzione generale della finanza pubblica (Dgfip) 'ha effettuato i primi conguagli fiscali alla fine del 2021' nei confronti di alcune di queste banche 'per somme conteggiate in decine e centinaia di milioni di euro'. Nel 2018, un gruppo di media aveva rivelato attraverso i "CumEx Files" i sospetti relativi a una enorme frode fiscale il cui controvalore era stato stimato prima in 55 miliardi di euro e poi nel 2021 in 140 miliardi di euro nell'arco di 20 anni.
La pratica denominata "CumCum" in gergo finanziario consiste nell'eludere l'imposta sui dividendi che deve essere pagata dai possessori stranieri di azioni di societa' francesi quotate. Per usufruire del regime piu' conveniente, questi possessori di azioni, piccoli risparmiatori o grandi fondi di investimento, affidano le loro quote a una banca al momento della riscossione dell'imposta, sfuggendo cosi' alla tassazione. Le banche avrebbero svolto un ruolo di intermediazione, addebitando una commissione ai possessori di azioni.
Il crac della Silicon Valley Bank e la ricerca dei colpevoli: tutto quello che rischia Biden. Federico Rampini su Il Corriere della Sera il 15 Marzo 2023
Le responsabilità sono ben ripartite, ma alla fine sarà soprattutto l’Amministrazione Biden a dover rispondere del bilancio di questa crisi
La turbolenza bancaria nata dal crac della Silicon Valley Bank (SVB) è ancora in pieno svolgimento, ha acquisito una diramazione elvetica (Credit Suisse), e a Washington già si è «sdoppiata» in una dimensione politica. La caccia al colpevole è in pieno svolgimento. Democratici e repubblicani si accusano a vicenda per la carenza di controlli.
Le responsabilità sono ben ripartite, ma alla fine sarà soprattutto l’Amministrazione Biden a dover rispondere del bilancio di questa crisi. La sua decisione di salvare tutti i clienti della SVB , anche quelli molto grossi e molto ricchi, sta facendo discutere. Ad alimentare le polemiche contribuiscono la figura del chief executive della SVB e di un amministratore dell’altro istituto fallito, la Signature Bank di New York, per i loro rapporti con il partito democratico.
La prima a politicizzare questa vicenda è stata una figura celebre della sinistra, la senatrice del Massachusetts Elizabeth Warren. Forse ve la ricordate per la sua breve e sfortunata candidatura alla nomination democratica (poi vinta da Joe Biden) nel 2020. La Warren deve la sua notorietà alla crisi bancaria precedente, quella del 2008. All’epoca del movimento Occupy Wall Street lei emerse come una delle personalità più critiche verso i salvataggi dei banchieri. Barack Obama voleva metterla alla guida della nuova authority per la tutela dei risparmiatori ma dovette rinunciare per l’opposizione dei repubblicani. Ora la Warren è passata all’attacco rimproverando proprio ai repubblicani una responsabilità grave dietro il crac della SVB. La sua critica si riferisce all’annacquamento di certe regole prudenziali varate dopo il disastro del 2008. La crisi originata dal crac Lehman e dall’insolvenza dei mutui subprime, diede vita a una monumentale riforma, la legge Dodd-Frank approvata dal Congresso nel 2010.
Lì dentro c’erano regole contro la speculazione, requisiti di capitalizzazione delle banche, e i famosi stress-test poi adottati anche dalla Bce in Europa, che servono a verificare periodicamente la solidità di bilancio delle aziende di credito. La Dodd-Frank si applica alle banche «sistemicamente importanti», quelle cioè il cui fallimento può mettere in pericolo la stabilità dell’intero sistema creditizio. Inizialmente, nel 2010, vennero definite come tali tutte le banche con attivi di bilancio superiori a 50 miliardi di dollari. Ma da quel momento in poi cominciò una campagna lobbistica per esentare le banche di medie dimensioni, come la SVB.
Alla fine il tetto delle banche «sistemicamente importanti» fu innalzato molto, passò da 50 a 250 miliardi di dollari. Questo cambiamento avvenne nel 2018 sotto la presidenza di Donald Trump. Perciò Elizabeth Warren oggi punta il dito contro i repubblicani: se non avessero rilassato le regole, la SVB sarebbe stata soggetta a requisiti più severi e a maggiori controlli. Probabilmente avrebbe dovuto coprirsi dal rischio sui titoli a reddito fisso con delle operazioni di «hedging» (che costano e riducono i profitti) per tenere conto dell’impatto che un eventuale rialzo dei tassi avrebbe avuto sul proprio portafoglio di Buoni del Tesoro.
Anche la Federal Reserve è sotto accusa, perché nel 2019 emanò nuove regole che eliminavano certi requisiti di liquidità per le banche sotto i 250 miliardi di attivi. La ricerca dei colpevoli si allarga in molte direzioni: alcuni rilassamenti di norme e controlli chiamano in causa l’esecutivo (in quel caso repubblicano, Trump), altri l’autorità di vigilanza i cui vertici sono una stratificazione di nomine democratiche e repubblicane, altri ancora furono voluti dal Congresso dove la lobby bancaria ha amici in tutti e due i partiti.
La figura al centro di tutte le accuse è l’ex chief executive della SVB, Greg Becker. Su di lui ora è stata aperta un’inchiesta d’ufficio, sia da parte del Dipartimento di Giustizia sia da parte dell’organo di vigilanza sulle Borse che è la Securities and Exchange Commission (Sec). Tra l’altro Becker vendette un terzo del suo pacchetto azionario nella SVB appena una settimana prima del crac. Becker sedeva anche nel consiglio della Federal Reserve Bank di San Francisco. Lui, e il mondo dei grandi finanziatori del venture capital della Silicon Valley legati alla SVB, avevano stretti rapporti con il partito democratico che è praticamente il «partito unico» in California.
I legami stretti fra l’ambiente delle start-up e la sinistra alimentano le accuse secondo cui Biden avrebbe riservato un trattamento di favore alla banca di Becker, assicurando anche depositanti che avevano molti milioni sul conto (mentre il limite legale dell’assicurazione federale si ferma a 250.000 dollari). E’ stato osservato con ironia che il consiglio d’amministrazione della SVB si vantava pubblicamente di avere il 45% di donne, nonché un afroamericano e un esponente della comunità Lgbtq. L’unica componente a non essere rappresentata in quel board era la competenza sulla gestione del rischio bancario.
Una figura ancora più politica che è tornata in ballo in questa crisi, è il newyorchese Barney Frank. Ex deputato democratico, fu il co-firmatario della legge Dodd-Frank del 2010. Poi però, conclusa la carriera politica, fu reclutato nel consiglio d’amministrazione della Signature Bank di New York e da quel momento cominciò a fare campagna per annacquare la riforma che lui stesso aveva firmato. La Signature Bank è l’altra banca fallita nello scorso weekend, e anche in quel caso tutti i depositanti sono stati salvati dall’intervento pubblico. Barney Frank è stato fino all’ultimo nel consiglio d’amministrazione. E’ un altro anello di congiunzione fra il partito democratico e questa crisi bancaria.
I repubblicani non sono esenti da colpe visto che il rilassamento delle norme sulle banche porta la firma di Trump. Del resto la loro ideologia è tradizionalmente avversa ai controlli pubblici. Però non è un caso se Biden insiste a dire che «non ci sono stati salvataggi a spese del contribuente» (tecnicamente l’affermazione è vera solo se si riferisce al salvataggio degli azionisti delle banche fallite; però sono stati salvati dall’intervento pubblico i grossi clienti che non dovevano esserlo ai sensi della legge). Biden ha capito che è soprattutto contro il suo governo che la crisi bancaria rischia di essere usata. Del resto fu così nel 2008. La crisi dei mutui subprime avvenne sotto la presidenza del repubblicano George W. Bush e tra le cause che l’avevano provocata si potevano ravvisare responsabilità bipartisan (la deregolamentazione dei derivati, per esempio, era avvenuta sotto il democratico Bill Clinton). Alla fine però le contestazioni presero di mira soprattutto le modalità dei salvataggi delle banche operati da Barack Obama.
La rivolta populista contro l’assistenzialismo di Stato a favore dei banchieri, alimentò una radicalizzazione a sinistra (Occupy Wall Street) ma soprattutto un vasto movimento di destra come il Tea Party, antesignano e precursore del trumpismo. Intanto Biden, mentre con un occhio deve valutare i prezzi politici che rischia di pagare, con l’altro deve continuare a seguire un crisi in evoluzione. La paura dei mercati, la corsa verso i titoli sicuri, stanno sottoponendo a grandi tensioni anche il mercato finanziario più liquido del mondo, quello dei Buoni del Tesoro americani. Nel mio videocommento sulla «recessione Godot» – attesa e annunciata, ma che non arriva mai – accenno al ruolo delle banche centrali nel fabbricare una recessione. La Fed ci stava provando con i rialzi dei tassi d’interesse, i cui aumenti hanno sfasciato il bilancio della SVB. Ma prima ancora, forse aveva seminato i germi della crisi abbassando la guardia sui comportamenti rischiosi delle banche medio-piccole.
Estratto dell’articolo di F.B. per “la Stampa” il 14 marzo 2023.
Cosa è successo a Silicon Valley Bank?
Silicon Valley Bank era la banca delle startup che vi avevano depositato oltre 170 miliardi di dollari. Negli ultimi mesi queste aziende sono entrate in difficoltà e hanno iniziato a ritirare soldi dai loro conti correnti. Dinanzi a un numero crescente di prelievi, Svb ha dovuto attingere alla liquidità investita in titoli a lunga scadenza emessi dal governo americano o da altri debitori affidabili. Problema: il rialzo dei tassi d'interesse ha fatto perdere valore a quei bond che offrivano rendimenti di gran lunga inferiori alle obbligazioni collocate negli ultimi mesi. Se Svb avesse potuto portarli a scadenza, non sarebbe emersa alcuna perdita. La necessità di venderli subito per soddisfare le richieste di prelievo ha invece aperto una voragine da 1,8 miliardi nei bilanci della banca.
[…] Come sono intervenute le autorità Usa?
Il governo americano ha garantito tutti i depositi della banca fallita. Anche la Federal Reserve ha accettato di prestare i fondi necessari ad altri istituti che ne avessero bisogno per onorare le richieste di prelievo dei propri clienti. Il presidente americano, Joe Biden, ha detto che «il sistema bancario è sicuro».
Può accadere anche in Europa?
Le banche europee, ed italiane, non sono così esposte al settore tecnologico e alle start-up. Soprattutto sono sottoposte a una normativa e una vigilanza Bce in genere più stringenti […]
I depositi sul conto corrente sono al sicuro?
Fino a 100 mila euro sì. Qualora una banca italiana fallisca, interviene il Fondo Interbancario Italiano di Tutela dei Depositi (Fitd) che avvia un processo di ristrutturazione e garantisce i depositi dei risparmiatori fino a 100 mila euro. Nel caso l'istituto venga considerato sistemico, Banca d'Italia e Bce possono decidere di salvarlo con un intervento pubblico.
Il crollo di Silicon Valley Bank è l'ennesima svista delle agenzie di rating. Cristina Colli su Panorama il 14 Marzo 2023
Tripla A. Per le agenzie, che criticano paesi ed economie come fossero depositari della verità assoluta, questo era il livello della banca delle start up fallita e che rischia di trascinare con se altre realtà
Come si dice oggi: “non l’hanno vista arrivare”? Moody’s, Standard & Poor’s e Fitch Ratings tornano agli onori (o disonori) della cronaca con il crack delle banche americane. Fino a poche ore dal fallimento Moody’s dava a Silicon Valley Banc il voto A3 (affidabilità creditizia medio alta). È fallita. “La rischiosità di questa banca e di altre con un modello di attività simile era piuttosto evidente, perché caratterizzato da un grado di concentrazione molto elevato, sia dal lato delle attività sia delle passività. Questo modello di attività era molto rischioso” , spiega Marcello Messori, professore di Economia europea alla Luiss. È stato segnalato dalle agenzie di rating? Le agenzie di rating hanno un potere straordinario. Sono loro che determinano l’andamento del mercato, influenzano la distribuzione dei portafogli finanziari, la valutazione del debito e il costo del capitale. Un potere straordinario in mano soprattutto a tre di loro: Moody’s, Standard & Poor’s e Fitch Ratings controllano più del 95% delle valutazioni. I primi dubbi sul loro operato risalgono al 2001, ai tempi dello scandalo Enron. L’azienda si occupava di servizi energetici e fu accusata di manipolare i conti e usare complessi strumenti finanziari per ingannare investitori, creditori e autorità di controllo. Alla vigilia del fallimento Enron ricevette giudizi positivi dalle tre principali agenzie di rating. Il momento clou degli errori e delle responsabilità però è arrivato con la crisi finanziaria del 2008. “Avevano ruoli contraddittori: regolamentavano e facevano da consulenti contemporaneamente. Avevano un ruolo importante in termini di autoregolamentazione, perché la regolamentazione era legata al giudizio dell’agenzia rating ma al contempo non c’erano controlli sui potenziali conflitti di interesse. Abbiamo scoperto che molto spesso le agenzie facevano consulenza formale o informale rispetto alle società a cui attribuire rating su come emettere determinate attività in modo da avere rating elevato per quell’attività” , spiega Messori. Tutti concordano ormai nel considerare le agenzie di rating tra i principali responsabili della crisi finanziaria tra il 2007-2009. La Commissione d’inchiesta le ha definite “facilitatori chiave del tracollo finanziario “. La sottocommissione permanente per le indagini del Senato americano ha concluso: “I rating del credito AAA imprecisi hanno introdotto il rischio nel sistema finanziario statunitense e hanno costituito una delle principali cause della crisi finanziaria”. “C’era una carenza sul mercato finanziario internazionale di obbligazioni tripla A quindi gli emittenti hanno iniziato a chiedere rating sull’emissione delle singole obbligazioni. Le agenzie di rating, sostenendo che questo avrebbe migliorato il funzionamento dei mercati, hanno offerto di fatto anche una consulenza su come emettere obbligazioni che potessero avere rating di tripla A. Si è scoperto poi che queste obbligazioni erano molto opache e complesse e poco liquide. Questo si è accumulato prima della crisi finanziaria ed è diventato evidente poi durante la crisi, quando obbligazioni ad alto rating hanno avuto un valore che si è azzerato” , spiega Messori L’aver assegnato valutazioni favorevoli a istituzioni insolventi come Lehman Brothers le ha portate sul banco degli imputati dopo il tracollo finanziario. “C’è anche un problema di competizione. Se le agenzie di rating danno rating basandosi su principi diversi è chiaro che si crea un comportamento opportunistico. Io vado dall’agenzia che ha criteri che si adattano meglio ai miei prodotti finanziari, per avere rating maggiore. E questo non va bene” , continua Messori Con il caso Lehman Brothers e il tracollo finanziario si è arrivati al punto più basso di affidabilità delle agenzie di rating. “Dopo nell’area euro c’è stata una regolamentazione più rigorosa. Ma il mercato è così complesso e in evoluzione che la vigilanza centrale ha bisogno di autoregolamentazione, di un’istituzione intermedia. Ma il problema è che le agenzie di rating di cui il sistema ha bisogno devono svolgere il proprio compito minimizzando il conflitto interesse e capendo che hanno un ruolo di regolamentazione, non devono dare segnali ambigui. La soluzione? Una regolamentazione sempre più rigorosa. È essenziale un equilibrio tra evoluzione dei mercati, autoregolamentazione e regolamentazione. Bisogna creare degli standard. Ed è un lavoro senza fine, perché il mercato si evolve. Non bisogna smettere però. L’Europa è un luogo in cui la regolamentazione è molto efficace, rispetto agli Usa. Nell’area euro non avremmo potuto avere un caso Svg”, conclude Messori
Il fallimento della Silicon Valley Bank sta facendo tremare i mercati. Giorgia Audiello su L'Indipendente il 13 Marzo 2023
Venerdì 10 marzo la Federal Deposit Insurance Corporation (Fdic) – l’Autorità americana che garantisce i depositi bancari fino a 250.0000 dollari – ha annunciato il fallimento della Silicon Valley Bank (SVB) che è stata chiusa e commissariata a seguito della fuga di 42 miliardi di dollari di depositi e del rialzo dei tassi d’interesse decisi dalla Federal Reserve (Fed) che hanno fatto crollare il suo portafoglio di titoli di Stato. Si tratta del secondo maggiore fallimento bancario nella storia degli Stati Uniti dopo quello del 2008 di Washington Mutual. Per via dell’entità del fallimento, si teme un effetto domino che può coinvolgere l’intero settore bancario americano, mentre le ripercussioni si sono già manifestate anche sui mercati finanziari e le borse europee: i listini del Vecchio Continente sono tutti in caduta con Piazza Affari che presenta il maggiore crollo tra le borse europee, cedendo il 4,2%, mentre Londra perde l’1,7%, Parigi il 2% e Francoforte il 2,2%. Allo stesso tempo, crollano i rendimenti dei titoli di Stato in tutto il mondo con l’interesse del Bund tedesco che è sceso di 44 punti base e quello dell’Oat francese di 46. Risulta al momento contenuto, invece, quello del Btp italiano che è sceso di 29 punti. Per scongiurare un rischio di contagio, nelle ultime ore sono intervenute anche le autorità americane annunciando una serie di misure per evitare contraccolpi al sistema bancario e garantendo il ritiro di tutti i depositi della banca.
Fondata nel 1983, la SVB era specializzata nel finanziare startup del settore tecnologico ed era diventata la sedicesima banca americana per dimensioni: a fine 2022 contava 209 miliardi di dollari di asset e circa 175,4 miliardi di depositi. A seguito del fallimento resteranno senza lavoro gli 8.500 dipendenti dell’istituto di credito. Le cause del crack della banca derivano soprattutto dalle politiche monetarie restrittive decise dalla Banca centrale americana, tanto che gli investitori scommettono su una virata nella politica monetaria delle banche centrali allo scopo di disinnescare i rischi di contagio legati al fallimento di SVB. Una delle ragioni della crisi risiede nel fatto che l’istituto di credito ha investito circa 91 miliardi di depositi in titoli legati ai mutui e ai titoli di Stato americani (Treasury) che si sono svalutati, perdendo circa 15 miliardi, da quando sono stati acquistati dalla banca in seguito al rialzo dei tassi. Inoltre, l’aumento dei tassi ha spinto i clienti a investire i propri risparmi in prodotti finanziari che rendono di più rispetto ai conti correnti, mentre alcune società di venture capital hanno consigliato alle aziende di ritirare i propri soldi dall’istituto. Il tutto ha condotto ad un’ondata di prelievi che si è tramutata in una fuga e in un fallimento avvenuto in meno di 48 ore. I 175 miliardi di depositi, inclusi quelli di alcune grandi aziende del settore tecnologico sono finiti sotto il controllo della FDIC.
L’ondata di prelievi che si è verificata la scorsa settimana ha causato il fallimento anche di altre due banche: la Signature Bank e la Silvergate Bank, più piccola ma nota per i suoi stretti legami con la comunità delle criptovalute. La Signature Bank di New York è la ventunesima banca degli Stati Uniti, con attività stimate dalla Fed a 110 miliardi di dollari alla fine del 2022 e 88 miliardi di dollari di depositi. Il suo fallimento è il terzo nella storia degli Stati Uniti, dopo quello della SVB e della Washington Mutual. «Oggi stiamo intraprendendo un’azione decisiva per proteggere l’economia statunitense rafforzando la fiducia nel nostro sistema bancario», hanno dichiarato la Fed, il Tesoro e la FDIC. Quest’ultima, per proteggere i depositanti assicurati, ha creato la Deposit Insurance National Bank of Santa Clara (DINB) e, in qualità di curatore, ha immediatamente trasferito al DINB tutti i depositi assicurati della Silicon Valley Bank. Tuttavia, la segretaria generale del Tesoro statunitense, Janet Yellen, ha spiegato che Washington non correrà in soccorso delle banche come successo nel 2008 salvando i depositanti non assicurati. Alla domanda se un salvataggio fosse sul tavolo, la Yellen ha risposto: «Non lo faremo di nuovo».
Il Tesoro, la Fed e la FDIC, dopo essersi consultati con il Presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, hanno rilasciato un comunicato congiunto in cui si spiega che «Dopo aver ricevuto una raccomandazione dai consigli di amministrazione della FDIC e della Federal Reserve e aver consultato il presidente, il segretario Yellen ha approvato le azioni che consentono alla FDIC di completare la risoluzione della Silicon Valley Bank, Santa Clara, California, in un modo che protegga completamente tutti i depositanti. I depositanti avranno accesso a tutto il loro denaro a partire da lunedì 13 marzo. Nessuna perdita associata alla risoluzione della Silicon Valley Bank sarà a carico del contribuente». Misure simili sono state adottate per la Signature Bank, mentre il Consiglio della Fed domenica ha annunciato che metterà a disposizione degli altri istituti di credito i fondi necessari per far fronte alle richieste di prelievo dei loro clienti.
Anche il governo della Gran Bretagna, insieme a quello degli Stati Uniti, sta lavorando per prevenire una potenziale crisi bancaria e scongiurare, dunque, che si ripeta la crisi del 2008 innescata dal fallimento della Lehman Brothers: il Tesoro del Regno Unito e la Banca d’Inghilterra hanno annunciato lunedì di aver facilitato la vendita della Silicon Valley Bank UK a HSBC, la più grande banca europea, garantendo la sicurezza di 6,7 miliardi di sterline ($ 11,1 miliardi di Cdn) di depositi. Si apprende, inoltre, che il Tesoro inglese sta organizzando la vendita della Silicon Valley Bank UK Ltd., il ramo britannico della banca californiana, per la somma nominale di una sterlina.
È atteso, invece, per questa sera il discorso di Joe Biden alla nazione per rassicurare sulla situazione delle banche, mentre nei giorni scorsi il presidente degli Stati Uniti aveva già affermato di essere «fermamente impegnato a ritenere i responsabili di questo disastro pienamente responsabili e a continuare i nostri sforzi per rafforzare la supervisione e la regolamentazione delle banche più grandi, in modo da non trovarci di nuovo in questa situazione». In un commento pubblicato su Twitter aveva aggiunto che «Il popolo americano e le imprese americane possono avere fiducia che i loro depositi bancari saranno disponibili quando ne avranno bisogno». Nonostante ciò, il crollo della SVB ha messo in allarme i mercati internazionali, mentre le banche italiane sono crollate in borsa e l’indice Stoxx delle banche d’Europa ha perso quasi il 4%. [di Giorgia Audiello]
Ciclone made in USA. Redazione su L’Identità il 14 Marzo 2023
di GIUSEPPE MASALA
Come un fulmine a ciel sereno venerdì, poco prima dell’apertura delle contrattazioni nel mercato di Wall Street, è arrivata la notizia del fallimento dell’aumento di capitale di Silicon Valley Bank, la banca californiana grande finanziatrice delle start up della Silicon Valley. Una notizia davvero inaspettata per il grande pubblico (ma non certo per gli insider), visto che la SVB è una banca di primaria importanza nel sistema bancario americano ed è per giunta leader del mercato in una delle zone più ricche, floride e innovative degli USA e dell’intero pianeta, oltre al fatto che l’aumento di capitale non era certamente di entità enorme (appena 2,25 miliardi di dollari) sia in considerazione delle dimensioni della banca (175 miliardi di depositi totali e 209 miliardi di assets) che in relazione al fatto che la sua area operativa è una delle più importanti e redditizie. Immediatamente al diffondersi della notizia il valore delle azioni è crollato, prima nel cosiddetto pre-market che poi nelle contrattazioni ufficiali, arrivando a perdere fino al 70% rispetto al giorno precedente. Ovviamente questo crollo ha trascinato con se tutto il comparto bancario quotato a Wall Street (JP Morgan compresa). In particolare a subire le ripercussioni del crollo sono state First Republic Bank e Signature Bank che rispettivamente sono arrivate a perdere il -31% e il – 21% con relativa sospensione dalle contrattazioni. Un cataclisma di tali enormi proporzioni (solo le tre banche sopra citate hanno complessivamente depositi per 500 miliardi di dollari) da ricordare quanto accadde quando nel 2008 fallì (o meglio fu lasciata fallire) Lehman Brothers. E in questo quadro drammatico che le autorità americane hanno deciso di agire nominando un curatore fallimentare ed evitando così almeno momentaneamente ulteriori scosse. Tutto il resto è cronaca ma forse vale la pena provare ad indagare le cause profonde di questa “strana” crisi bancaria in corso. Ci danno una mano a capire un paio di tweet del capo economista e global strategist del Fondo Euro Pacific Asset Management: “Il sistema bancario statunitense è sull’orlo di un collasso molto più grande di quello del 2008. Le banche possiedono carta a lungo termine a tassi di interesse estremamente bassi. Non possono competere con i titoli del Tesoro a breve termine. I prelievi di massa dai depositanti che cercano rendimenti più elevati si tradurranno in un’ondata di fallimenti bancari” e ancora: “Presto inizierà una crisi finanziaria peggiore di quella del 2008, a meno che la Fed non agisca rapidamente per rinviarla. Tuttavia, in seguito si verificherà una crisi del dollaro USA e del debito sovrano di gran lunga maggiore. Quest’ultimo sarà molto più devastante per l’economia e per gli americani medi.” Proviamo a chiarire. Le crisi bancarie sono importanti perché generalmente sono la spia di sofferenze e gravi stress relativi alle grandezze macroeconomiche fondamentali. Questo avviene perché le banche svolgono un ruolo fondamentale nell’intermediazione tra i fondamentali gruppi che compongono il sistema economico nazionale: famiglie, imprese e pubbliche amministrazioni. Come si sa, le famiglie sono il gruppo risparmiatore e depositano nelle banche. Al contrario le Pubbliche Amministrazioni (emettendo debito pubblico) e le imprese (o emettendo obbligazioni o chiedendo direttamente prestiti alle banche) sono “i grandi debitori” di un sistema nazionale, questo ovviamente perché sono i “grandi investitori”. Ergo – come si capisce da ciò che ho appena detto – le banche svolgono un ruolo fondamentale; ovvero quello di intermediare tra i grandi investitori (aziende e Pa) e i grandi risparmiatori (famiglie). Come è facile intuire, se c’è una crisi bancaria sistemica, c’è probabilmente un disequilibrio tra quando le famiglie risparmiano e quanto stato e imprese investono. Proviamo a chiarirci: sé le famiglie risparmiano complessivamente 50 dobloni e stato e imprese investono complessivamente 100 dobloni quanto risparmiato dalle famiglie non è sufficiente per soddisfare le esigenze di stato e imprese per i loro investimenti. Ed è qui che entra in gioco il Convitato di Pietra: gli “Investitori Internazionali”. In altri termini, le banche se non riescono a soddisfare le esigenze di investimento di PA e imprese con i risparmi delle famiglie chiedono la differenza all’estero a quelli che comunemente vengono definiti “investitori internazionali”. È chiaro che se una simile situazione si protrae nel tempo per tanti anni, lo squilibrio diventerà molto forte e il sistema nazionale diventerà sempre più dipendente dagli investitori internazionali che ritirando le cifre prestate (o rallentando il livello di afflusso) possono mettere in difficoltà banche o imprese o stato (o anche tutti e tre contemporaneamente). Ecco da dove nascono generalmente i crolli sistemici dei sistemi bancari o dei titoli di stato. Se una nazione è in credito verso il resto del mondo lo vediamo dall’indicatore dei Conti Nazionali chiamato NIIP (Net International Investment Position) con quello americano (USA) calcolato dalla Federal Reserve di Saint Louis che presenta un NIIP negativo per quasi 17000 miliardi di dollari. Una cifra stellare che attesta come il sistema USA sia enormemente dipendente dagli investitori internazionali e dove basta un semplice rallentamento del flusso per generare un terremoto nella borsa o nel sistema bancario. Ma come gli USA possono uscire da questa situazione? Le strade sono semplici e ben conosciute: aumentare le esportazioni, diminuire le importazioni e dunque i consumi (che è in sostanza quanto fatto da Monti in Italia o dalla Trojka in Grecia) o, come suggerisce nel suo tweet Peter Schiff, la terza soluzione è che la Federal Reserve inizi a stampare come se non ci fosse un domani fornendo i dollari nuovi di pacca necessari a tenere in piedi il sistema. È lo stesso Schiff peraltro a indicare il lato negativo di questa “soluzione banzai”; nel medio periodo ciò causerebbe una crisi del dollaro che perderebbe valore rispetto alle altre monete del Forex esattamente come stava accadendo questa estate – guarda caso – alla Gran Bretagna (altro paese con un NIIP in profondo rosso) a causa delle manovre di spesa scriteriate della allora Premier Liz Truss immediatamente mandata a casa e sostituita con uno che sta facendo politiche di austerity compatibili con la necessità impellente di diminuire la dipendenza della nazione dai capitali esteri. Infine ricordo che le reali cause della guerra in Ucraina sono strettamente legate a quanto detto qui sopra per capire quanto sia grave la situazione. E soprattutto quanto sia difficile che il conflitto possa finire a breve: la guerra in corso, o se preferite la “guerra mondiale a pezzi” è una guerra delle monete e dei commerci ed è soprattutto una guerra per la sopravvivenza dell’Impero Americano.
Il nuovo fallimento che allerta il mondo. Perché è fallita la Silicon Valley Bank: le cause del crac e le possibili ripercussioni. Alessandro Plateroti su Il Riformista il 15 Marzo 2023
Il fallimento della Silicon Valley Bank ha scatenato il panico sui mercati finanziari internazionali. Ancora una volta, la crisi di una banca americana ha innescato un’ondata di sfiducia non solo sulla solidità del sistema creditizio mondiale, ma sulla stessa capacità dei governi e delle autorità di vigilanza di tenere sotto controllo i nuovi rischi sistemici dell’era finanziaria digitale. Dopo 10 anni di riforme nelle regole bancarie, il mercato si è accorto in meno di tre giorni che il pericolo per la stabilità finanziaria non viene più dagli eccessi di rischio e dalle manovre speculative delle tradizionali regine di Wall Street, come è accaduto nella crisi dei mutui e il crac di Lehman Brothers, bensì da quel complesso intreccio di interessi tra tecnologie avanzate, credito e investimenti su imprese ad alto rischio che si sta imponendo come modello di riferimento nell’industria dei servizi finanziari.
Non solo. Dalla bancarotta della Svb – sedicesima banca americana per valore dei depositi – sembra emergere soprattutto la pericolosità sistemica dell’aggressiva manovra di rialzo dei tassi di interesse da parte della Federal Reserve e della Banca Centrale Europeo: il passaggio dai tassi a zero alla stretta monetaria in corso, si sta rivelando infatti insostenibile sia per l’equilibrio finanziario delle imprese indebitate (il settore hi-tech è il più esposto) sia per quello delle stesse banche commerciali che hanno fatto incetta di titoli di Stato negli anni del denaro gratis.
Non è un caso se in sole due sedute borsistiche i titoli delle banche abbiano bruciato quasi 500 miliardi di dollari di capitalizzazione, costringendo persino la Casa Bianca a intervenire a difesa dei mercati: il presidente Joe Biden ha promesso un piano di sostegno per eventuali nuove crisi bancarie, mentre la Federal Reserve sembra pronta non solo a riaprire le linee di credito straordinarie per le emergenze del settore, ma addirittura a invertire radicalmente la rotta della politica monetaria: un taglio dei tassi entro la fine dell’anno sta diventando sempre più concreto.
Ma andiamo per gradi. La prima criticità emersa da questa crisi – e per molti aspetti la più rilevante è la vulnerabilità delle banche on-line al rischio di una fuga incontrollata dei depositi, il cosiddetto Bank run. Al contrario delle crisi bancarie del decennio scorso, il collasso della Svb non è stato provocato dalle speculazioni sui derivati di credito, ma dall’assalto dei correntisti ai propri conti on-line. È ovvio che anche in questo sono errori di gestione ad aver provocato la crisi, ma il fenomeno più preoccupante è stata la velocità con cui è implosa la banca. Tra venerdì e domenica scorsa – cioè prima del commissariamento della Silicon Valley Bank – si è scatenata la corsa agli sportelli bancari del 21esimo secolo: i clienti hanno cercato di prelevare quasi 42 miliardi di dollari dai conti correnti, un quarto di tutti i depositi della banca. Ma cosa ha innescato il crollo?
Il crollo di Svb è stato in realtà preceduto da un’altra banca fallita, la Silvergate Capital. A differenza di Lehman o Bear Stearns, i disastri di Svb e Silvergate non sono stati il risultato di scommesse/prestiti concentrati su soggetti indebitati e negligentemente confezionati come crediti “investment grade”, ma piuttosto il prodotto del clima da far west che pervade ormai da tempo borse e mercati. Le corse agli sportelli bancari si verificano quando tutti i depositanti vogliono ottenere i loro soldi dalle banche allo stesso tempo, uno scenario paragonabile a un teatro in fiamme con una porta di uscita delle dimensioni della tana di un ratto. Le banche, non è un segreto, usano e fanno leva sui fondi dei depositanti per prestare e investire a rischio: se una massa imponente di depositanti volesse indietro i propri soldi nello stesso, le banche non sarebbero certamente in grado di restituirli tutti. Ma che cosa ha scatenato il panico tra i clienti di Svp? In estrema sintesi, almeno due ragioni sono già chiare a tutti: stress tecnologico, dubbi sulla solvibilità della banca e cattive pratiche di gestione dei rischi.
Dietro il disastro borsistico di Svb, un colosso bancario con 170 miliardi di depositi e un’esposizione altissima nei confronti delle start-up e delle aziende tecnologiche, con particolare attenzione alle start-up delle scienze della vita. Su questi “unicorni” – considerati finora come gli artefici dei miracoli tecnologici dell’era digitale, è in corso ormai da tempo un crescente scetticismo degli investitori, tra l’altro ben evidenziato anche dal crollo delle criptovalute. Ma il vero catalizzatore delle paure dei mercati sulla solidità delle banche e dei loro investimenti nelle aziende ad alto debito è stata la determinazione della Fed (e della Bce) ad alzare i tassi di interesse per contrastare l’inflazione. La stretta creditizia non solo non ha prodotto risultati concreti nella lotta al caro-vita, ma ha reso i finanziamenti (o il rinnovo dei debiti) più difficili e più costosi da ottenere.
La rapida scomparsa di Svb, dunque, nasce in un contesto di incertezza economica e finanziaria che è arrivata al punto di rottura quando i depositanti (su consiglio dei loro consulenti di Venture Capital) hanno tentato di ritirare i fondi allo stesso tempo, una missione praticamente impossibile per qualunque banca commerciale. Svb, tuttavia, ha aspettato troppo a lungo per la liquidazione volontaria e lo stesso commissariamento da parte del Fondo di garanzia sui depositi non è riuscito a placare le paure di un possibile contagio della crisi. Come è evidente, la bancarotta della Svb e il panico che ha generato hanno ben poco in comune con le crisi bancarie del 2008, ma il suo potenziale è non meno dirompente: anche perché come 15 anni fa, le banche sono ancora massicciamente sovra-indebitate e sovraesposte ai derivati.
Così, anche per prevenire nuove crisi ed esplosioni incontrollate di panico, cominciano già a profilarsi le azioni di sostegno. La Fed ha annunciato il varo di un “piano di indennizzo e salvaguardia dei depositanti”, un modo elegante di chiamare i salvataggi: si chiamerà Bank Term Funding Program” e avrà in dotazione un fondo di 25 miliardi di dollari. L’acronimo è Btfp, una sigla che rievoca l’era Tarp dopo la crisi dei mutui: non a caso, c’è già chi sostiene che la dotazione del fondi potrebbe salire rapidamente fino a 2mila miliardi di dollari. È ovvio che una manovra di salvataggio delle banche in crisi rende più incerta la probabilità di qui a fine anno: anzi, un taglio dello 0,25% è già entrato nei radar dei mercati. Correggere la rotta sembra del resto inevitabile: anche se tassi più alti aumentano il margine di intermediazione delle banche, gli effetti collaterali della manovra sono devastanti per il patrimonio degli istituti. Quando la Fed ha iniziato ad alzare i tassi, i prezzi delle obbligazioni sono finiti al tappeto, mentre i rendimenti sono volati alle stelle.
Questa dinamica influisce negativamente sui bilanci bancari: se i rendimenti obbligazionari diventano più alti dei tassi/rendimenti che le banche offrono ai depositanti, risparmiatori e investitori non hanno alcun incentivo a tenere i soldi fermi in banca. Questo disallineamento, ovviamente, richiederà probabilmente alle banche di aumentare i tassi dei depositanti per competere con l’aumento dei rendimenti dei titoli di Stato, una tattica costosa che taglia i profitti e macchia di rosso i bilanci. Le banche potrebbero emettere azioni per aumentare il capitale, ma questo diluisce la quota e il valore esistenti, che è poi il modo in cui vengono pagati i banchieri. E con un’inflazione crescente o persistente, il rendimento reale sui tassi dei depositanti anche “migliorati” diventa un rendimento negativo se aggiustato per la tassa invisibile del costo della vita. Alessandro Plateroti
Il fallimento della banca Usa. Sharon Stone vittima del crack Silicon Valley Bank: “Ho perso metà dei miei soldi”. Redazione su Il Riformista il 19 Marzo 2023
In lacrime nel ricordare la prematura scomparsa del fratello Patrick, morto lo scorso mese per un attacco di cuore, ma in lacrime anche per esser finita tra le vittime del crac della Silicon Valley Bank, perdendo la metà del suo patrimonio.
Lo ha ammesso l’iconica attrice di Hollywood Sharon Stone, indimenticabile ‘femme fatale’ in “Basic Instinct”, durante la cerimonia del Women’s Cancer Research Fund’s An Unforgettable Evening a Los Angeles che l’ha visto ricevere il Courage Award.
“I lost half my money to this banking thing”, ha detto alla platea l’attrice 65enne, parlando genericamente dunque di “faccenda delle banche”, con un evidente riferimento proprio al fallimento dell’istituto di credito californiano specializzato nel supporto delle aziende tech.
“Ho portato un paio di appunti stasera. In genere parlo a braccio, come ben sapete…”, ha esordito Stone, commossa. Quindi, entrata nel vivo del racconto, la star di Hollywood ha confessato: “Dal punto di vista tecnico sono un’idiota, ma posso firmare un assegno. E in questo momento, anche questo è un atto di coraggio perché so cosa sta succedendo. Io stessa ho perso metà dei miei soldi per questa faccenda delle banche. Ma nonostante questo sono qui”.
“Non è un momento facile per nessuno di noi“, ha aggiunto la star facendo riferimento al periodo di lutto che sta affrontando in famiglia dopo la scomparsa del fratello Patrick, padre a sua volta del piccolo River, spentosi lo scorso anno a 11 mesi di vita a causa di un’insufficienza multiorgano.
Poi la star del cinema è ritornata a farsi coraggio e a trasmetterlo a chi l’ascoltava: “Non sto chiedendo a nessun politico di dirmi cosa posso e non posso fare. Come posso e non posso vivere, e qual è o non è il valore della mia vita. Quindi alzati. Alzati e dì quanto vali. Io ti sfido. Questo è il coraggio”.
Sul palco della sala da ballo del Four Seasons di Los Angeles, dove è stata invitata per ritirare il riconoscimento, ovviamente Sharon Stone ha parlato anche della sua battaglia personale, i tumori benigni al seno che le erano stati rimossi nel 2001, prima di affrontare la chirurgia plastica ricostruttiva: “Queste mammografie non sono divertenti“, ha detto, incoraggiando il suo pubblico a monitorare la propria salute e sottoporsi a esami regolari. Lo scorso novembre, l’attrice ha annunciato che i medici avevano trovato un altro tumore benigno, questa volta all’utero.
(ANSA il 15 marzo 2023) - Le autorità svizzere e Credit Suisse stanno valutando le opzioni per stabilizzare la banca. Lo riporta l'agenzia Bloomberg citando alcune fonti, secondo le quali fra le ipotesi allo studio c'è un potenziale sostegno alla liquidità ma anche una separazione della divisione svizzera della banca per procedere a un'unione con Ubs. Nessuna decisione al momento è stata ancora presa.
Estratto dell’articolo di Andrea Rinaldi per corriere.it il 15 marzo 2023.
Cosa succede ai risparmiatori di Credit Suisse in caso di fallimento? Anche in Svizzera, al pari dell’Italia, esiste un cordone di salvataggio per chi ha denaro custodito in una banca in dissesto. Ad attivarlo è Esisuisse, associazione fondata a Basilea nel 2005 di cui fanno parte tutti gli istituti di credito con filiali sul territorio svizzero.
Se la Finma, cioè l’autorità federale di vigilanza sui mercati finanziari in Svizzera, apre un procedimento di liquidazione fallimentare per una banca (ma anche per una società di intermediazione mobiliare), per rimborsare immediatamente i depositi privilegiati si attinge in prima battuta agli attivi liquidi disponibili dell’istituto.
Esisuisse interviene solamente nel caso gli attivi liquidi disponibili non siano bastanti a rimborsare direttamente i depositi garantiti dei clienti: l’associazione delle banche a quel punto raccoglier risorse tra i propri membri e li inoltra entro 20 giorni feriali alla Finma che procede a trasferirli ai titolari di conti.
Se la banca ha sufficiente liquidità, ai clienti vengono rimborsati fino a un massimo di 100 mila franchi svizzeri. Nel caso non sia sufficiente, Esisuisse copre la differenza. Il massimo che l’associazione può stanziare è 6 miliardi di franchi.
C’è la corsa a ritirare i depositi dalla banca svizzera?
Il timore ora è che si registri una corsa agli sportelli per ritirare i depositi dalla banca svizzera in difficoltà: gli esperti di Activetrades hanno ad ogni modo sottolineato che per Credit Suisse non si è determinata la corsa agli sportelli, a differenza di quanto successo per l’istituto californiano Svb. La stessa Credit Suisse ha chiesto alla Borsa di Zurigo e alla Banca centrale svizzera di fornire rassicurazioni alla clientela, tanto è vero che le azioni del gruppo hanno in qualche modo ridotto il crollo, pur chiudendo giù del 24,24%.
In Italia
In Italia il sistema di assicurazione per i fondi dei risparmiatori è simile: il Fondo interbancario copre fino a 100 mila euro (102 mila franchi svizzeri). La soglia si applica per ogni depositante, per singola banca. Se un depositante ha più depositi intestati presso la stessa banca, i conti sono cumulati e sull’importo complessivo si applica il limite di garanzia di 100.000 euro. […]
Estratto dell’articolo di Alessandro Barbera per “la Stampa” il 16 marzo 2023.
[…] Il quasi fallimento della seconda banca svizzera, prima vittima in Europa della nuova crisi iniziata in California, non è un caso di contagio sistemico. […] Il presidente dell'autorità di vigilanza europea Andrea Enria ha dato mandato ai funzionari dell'Eurotower di raccogliere più informazioni possibili sulle esposizioni della banca svizzera in tutta Europa, ed evitare che il contagio si produca adesso. Sulle cause del crollo negli ambienti finanziari invece pochi hanno dubbi: Credit Suisse era una banca gestita malissimo.
Ieri i credit default swap sul titolo – il termometro del rischio di fallimento – hanno raggiunto i massimi di sempre, più alti persino di quelli di Lehman Brothers alla vigilia del fallimento. Il panico prodotto dal fallimento di Silicon Valley Bank ha iniziato a colpire Zurigo venerdì scorso, quando il titolo aveva perso il 12 per cento. Ieri ne ha persi altri venti, costringendo la banca centrale di Berna ad una linea di credito di emergenza. Giocando sull'assonanza, qualcuno l'ha ribattezzata Debit Suisse.
Eppure a mandare a picco la banca nata a Zurigo nel 1856 non sono i debiti, bensì la fine della sua credibilità. […] Tutto quel che poteva accadere, negli ultimi tre anni a Credit Suisse è accaduto. A febbraio del 2020 l'allora amministratore delegato Tidjane Thiam è costretto a dimettersi per aver fatto spiare un ex dirigente. La faccenda scuote l'opinione pubblica svizzera, anche per via del suicidio di uno degli agenti. Un anno dopo – è il marzo del 2021 – crollano due fondi controllati dalla banca. Il primo è americano, si chiama Archegos, ed è trascinato nel baratro dal crollo in Borsa del gigante dei media Viacom.
Secondo alcuni è costretto a sbarazzarsi di venti miliardi di dollari di asset, altri stimano il doppio. Pochi giorni prima la banca elvetica era stata costretta a liquidare altri quattro fondi gestiti insieme a una società australiana, Greensill Capital. Ad aprile si dimette il presidente del consiglio di amministrazione, a ottobre la banca deve pagare una multa da quasi mezzo miliardo di dollari per aver contribuito ad alimentare un caso di corruzione in Mozambico.
[…] nel 2022. A gennaio si dimette Horta-Osorio. Nemmeno un mese dopo scoppia lo scandalo «Suisse secret»: un informatore vende i dati di diciottomila clienti della banca. A giugno arriva la condanna per riciclaggio di denaro in Svizzera, il primo caso nella storia per una banca locale: sui conti erano transitati senza colpo ferire i soldi di un'organizzazione di trafficanti di droga bulgari.
Dopo le dimissioni di due presidenti, a luglio arrivano quelle di un altro amministratore delegato, Thomas Gottstein. Il resto è cronaca di pochi mesi fa: all'inizio dell'autunno i nuovi vertici presentano un piano di tagli da diecimila posti di lavoro e un aumento di capitale da quattro miliardi di franchi: solo l'anno scorso la banca aveva accumulato perdite per sette. Secondo l'opinione prevalente degli esperti, i vertici non sono stati in grado di gestire nemmeno il piano di ristrutturazione, che procedeva a rilento. […]
Estratto dell'articolo di Francesco Bonazzi per “Panorama” il 29 Marzo 2023
[…] Il crollo del Crédit Suisse, controllato per un quinto da capitali arabi, ha fatto tremare le borse mondiali. E nell'ultimo anno, a causa della mancata neutralità sulla guerra in Ucraina, la confederazione ha visto andare via parecchi capitali. I legami con Emirati, Arabia Saudita e Qatar restano tuttavia molto solidi.
Crédit Suisse è (era) la seconda banca della Svizzera e nei giorni della grande paura si è fatta un po' di confusione sui capitali arabi. Si è detto che non hanno voluto salvare l'istituto di credito, ma le cose non sono andate esattamente così e non c'è stato alcun tradimento. Anzi. Un anno e mezzo fa sono stati proprio quei capitali a salvare la baracca, permettendo di sottoscrivere un mega aumento di capitale. Alla vigilia del crollo, Saudi National Bank (partecipata al 37 per cento dal fondo sovrano del Regno) era il primo azionista con una quota del 9,9 per cento.
Alle sue spalle, sono entrati con il 5 per cento ciascuno anche gli altri sauditi di Olayan Group e il fondo sovrano Qatar Holding. Tutti quei soldi, a cominciare dal miliardo e mezzo di euro versato da Saudi National, non sono però bastati. Alla nuova richiesta di liquidità del management svizzero la risposta è stata un no, ma era un diniego obbligato.
[…] Semplicemente, la banca saudita non ha e non aveva l'autorizzazione delle autorità svizzere a salire oltre il 10 per cento del capitale di Crédit Suisse. Non solo, ma come aveva dichiarato in occasione del suo ingresso a libro soci, Saudi National voleva soltanto fare un investimento finanziario e non aveva alcuna intenzione di comandare. Un investimento ben protetto, perché la decisione delle autorità svizzere di privilegiare la tutela degli azionisti rispetto agli obbligazionisti in sede di salvataggio è un bel favore ai capitali arabi.
Per l'economia svizzera, il settore dei servizi bancari, assicurativi e delle licenze rappresenta un quarto delle esportazioni e un terzo delle importazioni totali. In termini di consumi interni, secondo i dati del governo confederale, il comparto vale addirittura il 70 per cento del Pil. In questo quadro, l'Arabia Saudita è il secondo partner commerciale nel Medio Oriente, con esportazioni che nel 2021 valevano 2,3 miliardi di euro, mentre le importazioni in Svizzera erano praticamente nulle.
A Riyad sono presenti le principali banche elvetiche, specie da quando il segreto bancario svizzero ha perso colpi, e nel regno lavorano mezzo migliaio di svizzeri. Inutile dire che mestiere fanno. Mentre a Ginevra e nei suoi splendidi dintorni si trovano varie residenze e proprietà dell'immensa famiglia reale saudita, che nei decenni scorsi spesso ha risolto proprio in Svizzera le sue molte contese.
A testimonianza del particolare rapporto tra i due governi, c'è anche il fatto che dal 2017 la Svizzera è potenza protettrice (mandatario, in sostanza) per rappresentare gli interessi sauditi in Iran e viceversa. Tuttavia Riad ha appena riaperto i canali diplomatici diretti con Teheran, grazie alla mediazione della Cina. I nuovi accordi tra iraniani e sauditi sono ancora tutti da scrivere e i problemi da risolvere, a cominciare dal nucleare, sono parecchi, ma in Svizzera è suonato un campanello d'allarme. Di sicuro, ora Berna rischia di essere meno importante.
[…] Gli Emirati sono oggi il primo partner commerciale della Svizzera nella regione araba con 4,2 miliardi di euro di esportazioni e 7,9 di importazioni. Anche qui le banche elvetiche sono presenti in forza, gli investimenti diretti nel paese del Golfo rappresentano il 10 per cento del totale e i cittadini svizzeri residenti sono circa tremila.
[…] Meno vistosi i rapporti tra la Svizzera e la finanza del Qatar, a parte quel 5 per cento del Crédit Suisse nelle mani del fondo sovrano di Doha, il medesimo che in Italia ha immobili valutati oltre cinque miliardi (a cominciare dalla maggioranza di Porta Nuova a Milano). Con poco meno di 800 milioni di interscambio annuo, il Qatar è il quinto partner commerciale della Svizzera nel Medio Oriente.
Ma per il Paese della famiglia Al Thani la Svizzera è uno snodo fondamentale delle proprie attività di lobbying, portate avanti con metodo in tutte le organizzazioni internazionali legate allo sport in vista dei Mondiali di calcio dello scorso novembre. Il cip puntato sul Crédit Suisse non è stata una mossa molto fortunata, ma i rapporti tra i due governi sono ottimi e non mancheranno occasioni di riscossa. […]
Credit Suisse, cosa succede ai risparmiatori e ai conti in caso di fallimento. Andrea Rinaldi su Il Corriere della Sera il 15 Marzo 2023
Cosa succede ai risparmiatori di Credit Suisse in caso di fallimento? Anche in Svizzera, al pari dell’Italia, esiste un cordone di salvataggio per chi ha denaro custodito in una banca in dissesto. Ad attivarlo è Esisuisse, associazione fondata a Basilea nel 2005 di cui fanno parte tutti gli istituti di credito con filiali sul territorio svizzero. Se la Finma, cioè l’autorità federale di vigilanza sui mercati finanziari in Svizzera, apre un procedimento di liquidazione fallimentare per una banca (ma anche per una società di intermediazione mobiliare), per rimborsare immediatamente i depositi privilegiati si attinge in prima battuta agli attivi liquidi disponibili dell’istituto. Esisuisse interviene solamente nel caso gli attivi liquidi disponibili non siano bastanti a rimborsare direttamente i depositi garantiti dei clienti: l’associazione delle banche a quel punto raccoglier risorse tra i propri membri e li inoltra entro 20 giorni feriali alla Finma che procede a trasferirli ai titolari di conti. Se la banca ha sufficiente liquidità, ai clienti vengono rimborsati fino a un massimo di 100 mila franchi svizzeri. Nel caso non sia sufficiente, Esisuisse copre la differenza. Il massimo che l’associazione può stanziare è 6 miliardi di franchi.
C’è la corsa a ritirare i depositi dalla banca svizzera?
Il timore ora è che si registri una corsa agli sportelli per ritirare i depositi dalla banca svizzera in difficoltà: gli esperti di Activetrades hanno ad ogni modo sottolineato che per Credit Suisse non si è determinata la corsa agli sportelli, a differenza di quanto successo per l’istituto californiano Svb. La stessa Credit Suisse ha chiesto alla Borsa di Zurigo e alla Banca centrale svizzera di fornire rassicurazioni alla clientela, tanto è vero che le azioni del gruppo hanno in qualche modo ridotto il crollo, pur chiudendo giù del 24,24%.
In Italia
In Italia il sistema di assicurazione per i fondi dei risparmiatori è simile: il Fondo interbancario copre fino a 100 mila euro (102 mila franchi svizzeri). La soglia si applica per ogni depositante, per singola banca. Se un depositante ha più depositi intestati presso la stessa banca, i conti sono cumulati e sull’importo complessivo si applica il limite di garanzia di 100.000 euro.
Classi, previdenza e estero
Il denaro oltre i 100 mila euro non è coperto dalla garanzia dei depositi e viene perciò assegnato alla cosiddetta «terza classe fallimentare», ovvero vengono rimborsati almeno in parte al termine della procedura di liquidazione della banca. Prima si rifondono tutti i correntisti fino a 100 mila franchi e quelli con depositi in ambito previdenziale (pilastro 3a) cioè la «previdenza vincolata», il capitale versato e vincolato fino al pensionamento A beneficiare della garanzia è «ogni persona fisica o giuridica (eccetto gli istituti) titolare di depositi contabilizzati presso le succursali di banche e società di intermediazione mobiliare in Svizzera», a prescindere dal fatto che tale persona sia domiciliata in Svizzera o all’estero. I depositi tutelati contemplano il denaro su conti privati, di risparmio, d’investimento, per il versamento di salari, cifrati, di deposito e congiunti nonché conti correnti, per associazioni e per cauzioni di affitti. Anche le obbligazioni di cassa depositate a nome del portatore all’istituto emittente rientrano in questa casistica.
Kiyosaki e la «profezia» su Credit Suisse (dopo quella sul crac di Lehman Brothers). Giuseppe Benedini su Il Corriere della Sera il 15 Marzo 2023
«La prossima banca a crollare sarà Credit Suisse».
Robert Kiyosaki si ripete. L’autore del best seller «Papà ricco, papà povero», che aveva predetto il crac di Lehman Brothers nel 2008, sembra essere riuscito a confermare il ruolo di oracolo di sfortune finanziarie.
Interpellato dall’emittente tv americana Fox News lunedì, pochi giorni dopo il fallimento della Svb Bank, Kiyosaki sosteneva che Credit Suisse sarebbe stata la prossima a cadere: «È la mia previsione, perché il mercato obbligazionario sta andando a picco».
La Borsa e la crisi di Credit Suisse, in diretta
E infatti Credit Suisse è affondata, portandosi dietro tutte le borse europee, dopo aver rivelato «debolezze materiali» nel suo rapporto annuale e una perdita di 8 miliardi di dollari per il 2022 — un annuncio arrivato in ritardo a causa della revisione dei libri contabili. Debolezze dovute alla «mancata progettazione di un’efficace valutazione di rischio per identificare e analizzare il rischio di inesattezze materiali», sostiene la banca con sede a Zurigo.
Secondo Kiyosaki non si ripeterà una situazione disastrosa per l’economia globale come quella del 2008, ma la sua nuova previsione è che il fallimento di queste banche provocherà una grave stretta creditizia che renderà complicatissimo, per imprese e persone, avere soldi in prestito.
«Comprate più oro, argento e bitcoin. Crollo in vista», aveva twittato il guru della finanza lunedì, un giorno prima delle rivelazioni negative di Credit Suisse.
I vertici della settima banca d’investimenti del mondo assicurano di essere «posizionati in maniera conservativa contro i rischi sui tassi d’interesse» e al momento non sarebbe in atto una corsa dei creditori e dei depositanti al ritiro delle proprie esposizioni.
Kiyosaki, il profeta del crac Lehman: “Banche ko, è la fine di mutui e prestiti”.Giovanni Vasso su L’Identità il 17 Marzo 2023
La Banca centrale svizzera apre il portafogli e Credit Suisse si riprende facendo segnare un rimbalzo in borsa al limite del clamoroso. I dirigenti della banca avevano chiesto un segnale, tendendo la mano. È arrivata la risposta: 50 miliardi di franchi, in prestito, al secondo istituto bancario della Confederazione fanno volare il titolo e sembrano allontanare, almeno per un po’, i dubbi, le ombre, le paure. Tutto risolto, dunque. Le azioni hanno recuperato terreno, segnando aumenti nelle contrattazioni fino al 30%, stabilizzatosi ieri al 18%, dopo aver inanellato record (negativi) per settimane, tornando sopra i due franchi svizzeri ad azione. L’economia e la finanza possono tirare un sospiro di sollievo. Forse no. Perché i problemi di Credit Suisse, così come quelli che stanno venendo fuori dalla crisi che attraversa il sistema bancario tra Usa ed Europa, sono strutturali.
Robert Kiyosaki, che ha fatto una fortuna con i libri di auto-aiuto e di educazione finanziaria, aveva profetizzato la caduta di Credit Suisse. Le sue parole hanno un senso, e soprattutto un’eco, perché Kiyosaki, nel 2008, aveva previsto il tracollo di Lehman Brothers quando tutti consideravano la banca newyorkese più che salda. Per l’economista, il problema è legato al crollo del mercato obbligazionario. Che è dovuto, come accaduto per Silicon Valley Bank, anche alle strette sui tassi operate dalle banche centrali di tutto il mondo, dagli Usa fino all’Ue, passando per il Regno Unito. Secondo Kiyosaki, che teme si sia arrivati al punto in cui chiedere prestiti e mutui sarà praticamente impossibile, è giunto il momento di rifugiarsi altrove, di investire – come ha scritto su Twitter a poche ore di distanza dal crollo in Borsa di Credit Suisse – in oro, bitcoin o argento.
Se a livello globale il dibattito tra gli esperti è già innescato, in Svizzera i dubbi – più che diradarsi – si sono moltiplicati. John Plassard di Mirabaud Banqu non è sicuro che l’emergenza sia rientrata: “Credit Suisse rimane un’istituzione finanziaria globale, il che solleva preoccupazioni per il rischio sistemico e ha portato il costo dei certificati di assicurazione contro le insolvenze a breve termine a livelli allarmanti. Questo forte calo e l’aumento dello stress si sono materializzati nonostante il messaggio (apparentemente) rassicurante di Axel Lehmann, presidente del consiglio di amministrazione. Egli aveva affermato che la banca non sta prendendo in considerazione l’assistenza governativa e che sarebbe inesatto tracciare paralleli tra le sue attuali difficoltà e il crollo di Silicon Valley Bank”. Jochen Stanzl di Cmc Markets riporta dubbi e incertezze che continuano a creare turbolenze sui mercati: “Molti investitori temono che le notizie negative su Credit Suisse possano non essere le ultime. Lo spettro di un altro fallimento come quello della banca d’investimento statunitense Lehman Brothers incombe sui mercati. I dubbi al riguardo stanno contagiando una banca dopo l’altra: prima Silvergate e Svb, poi First Republik Bank. E ora Credit Suisse potrebbe essere la prossima vittima”. Finita qui? Macché. Dz Bank rivendica di aver “raccomandato la vendita del titolo dall’estate del 2021” si conferma scettica “sul successo a lungo termine della ristrutturazione della banca. Sarebbe già un compito immane in tempi normali, ora c’è anche un generale scetticismo del mercato nei confronti delle banche”. Tuttavia, gli analisti ritengono che “il sostegno fornito dalla Bnse dalla Finma va comunque accolto con favore”.
Arthur Jurus, Oddo Bhf, pone l’accento sul fatto che “il credit default swap (Cds), che riflette il rischio di default, è raddoppiato in una settimana a 820 punti base da 370 punti base. Il mercato stima quindi una probabilità di insolvenza superiore al 50% in cinque anni. I mercati sono preoccupati”. I cittadini svizzeri, specialmente quelli che hanno acceso un conto presso Credit Suisse, seguono con apprensione la situazione. L’opinione pubblica è divisa. L’intervento della Banca nazionale svizzera sembra aver confermato la posizione di chi sosteneva che le istituzioni si sarebbero mosse. In ossequio all’adagio finanziario del “too big to fail”, della necessità, quindi, di salvare a tutti i costi il colosso creditizio per evitare guai peggiori.
Intanto Bruxelles sta continuando a monitorare “con attenzione” gli sviluppi nel settore bancario e un portavoce della Commissione Ue ha spiegato all’agenzia Adn Kronos che le istituzioni comunitarie sono “in contatto con le autorità competenti europee e nazionali che hanno la responsabilità di vigilare sulle banche”. Dagli Usa arrivano dichiarazioni d’intenti analoghe. Ciò accade mentre Ammar Al Khudairy, presidente della Saudi National Bank, ha parlato all’emittente americana della Cnbc minimizzando la situazione: “Se si guarda a come è crollato l’intero settore bancario, sfortunatamente, molti hanno solo cercato scuse. È panico, un po’ di panico. Credo del tutto immotivato, sia per il Credit Suisse che per l’intero mercato”. Ma il crollo dei titoli della banca svizzera è arrivato proprio con la chiusura degli arabi a ogni ipotesi di un aumento della loro quota di capitale: “Non ci sono state discussioni con Credit Suisse sulla fornitura di assistenza. Non so da dove venga la parola assistenza, non ci sono state discussioni di sorta da ottobre. Il messaggio non è cambiato, è lo stesso da ottobre: anche se lo desiderassimo, ci sono troppe complicazioni dal punto di vista normativo”. Per il banchiere saudita, in netta controtendenza, è tutto sotto controllo e non ci si deve far prendere dal panico: “Abbiamo avuto un fallimento (Silicon Valley Bank ndr) la scorsa settimana, ma non è neanche lontanamente paragonabile a quello che abbiamo visto nel 2008. Questo è solo un incidente isolato, le autorità di regolamentazione hanno escluso ogni possibilità di ricaduta”.
L’effetto Credit Suisse manda al tappeto le Borse. Ecco perché l’ondata di sfiducia ora colpisce le banche. Gli investitori temono che l’istituto svizzero da tempo in crisi non riesca a raccogliere i capitali necessari per il rilancio. Ma l’ondata di vendite si spiega soprattutto con le ipotetiche potenziali perdite nei bilanci degli istituti causate dalle minusvalenze sui titoli di stato. Vittorio Malagutti su L’Espresso il 15 Marzo 2023
Effetto Credit Suisse sulle Borse. A soli due giorni dallo scossone innescato dal fallimento dell’americana Silicon Valley bank, i listini europei sono travolti da un’altra ondata di vendite. E questa volta sono le traversie del colosso elvetico a scatenare una tempesta finanziaria che ha coinvolto tutti i titoli degli istituti di credito. Non fanno eccezione le grandi banche italiane, con Intesa e Unicredit che nel primo pomeriggio viaggiano in ribasso del 7 per cento circa, così come Banco Bpm e Bper. Perdono quota anche tutte le società più importanti del listino milanese, tanto che l’indice Ftse Mib fa segnare da ore una perdita che oscilla intorno al 4 per cento.
Il detonatore della crisi si trova nella Paradeplatz di Zurigo, sede di Credit Suisse, in difficoltà ormai da un anno, per effetto di una serie di scandali e pessimi affari che hanno provocato perdite miliardarie in bilancio. Il piano di rilancio, con vendite di attività e un aumento di capitale da 4 miliardi di franchi (circa 4,1 miliardi di euro) varato nell’autunno scorso, sembrava sufficiente quantomeno a evitare guai peggiori, compresi un clamoroso crack di uno dei marchi bancari più famosi al mondo.
Nei giorni scorsi però si è saputo che la Sec, l’organo di controllo sulla Borsa Usa, aveva chiesto alcune integrazioni al bilancio dell’istituto, giudicato poco chiaro. E ad affossare i titoli questa mattina sono arrivate anche le dichiarazioni di Ammar Alkhudairy, presidente della Saudi National Bank, l’istituto saudita che qualche mese fa ha comprato il 10 per cento del Credit Suisse. Intervistato da Bloomberg Tv, Alkhudairy ha smentito che la quota controllata dalla banca araba possa essere incrementata, come invece da tempo si vociferava sul mercato. Le parole del banchiere sono suonate come una esplicita dichiarazione di sfiducia sulle possibilità di rilancio del grande gruppo svizzero. Gli investitori ne hanno preso atto, vendendo a più non posso le azioni Credit Suisse.
La crisi appare tanto grave che sul mercato sono tornate circolare indiscrezioni su un possibile prossimo salvataggio pilotato dalla Banca nazionale svizzera. «Questa ipotesi non esiste», ha tagliato corto ieri sera Axel Lehmann, presidente di Credit Suisse, che nell’arco di un anno ha perso quasi l’80 per cento del suo valore borsistico e oggi, dopo quattro ore di contrattazioni faceva segnare un ribasso del 28 per cento.
L’incertezza sul destino della grande banca elvetica ha rafforzato il clima di sfiducia nei confronti dell’intero settore bancario, che pure era reduce da sei mesi di grandi rialzi. Il cambio repentino di umore viene spiegato con le minusvalenze potenziali nei conti degli istituti legate al calo delle quotazioni dei titoli di stato, presenti in grandi quantità negli attivi delle banche. In sostanza gli investitori temono che l’aumento repentino dei tassi d’interesse, cominciato nell’estate scorsa, possa in qualche modo alimentare una spirale di perdite nei conti degli istituti di credito. A tal punto che potrebbero rivelarsi una protezione insufficiente anche i requisiti patrimoniali imposti dalla vigilanza europea, molto rafforzati dopo la grande crisi finanziaria di una decina di anni fa. Va detto che tutte le maggiori banche italiane hanno appena reso noti i conti del 2022 con profitti in netto aumento rispetto al 2021 e che i titoli di stato sono per oltre la metà iscritti a bilancio in un’apposita sezione dell’attivo (held to collect) in modo da sterilizzare eventuali perdite.
Dopo mesi all’insegna dell’ottimismo, con le banche che venivano descritte come le principali beneficiarie degli aumenti dei tassi decisi dalla Bce, ora il mercato ha bruscamente cambiato parere e si interroga se i continui rialzi non possano alla fine innescare sui mercati finanziari una spirale difficile da controllare, di cui le banche sarebbero le prime vittime. Basterà la tempesta di questi giorni per convincere la Banca centrale di Francoforte a rallentare il passo? Lo sapremo giovedì prossimo, quando il Consiglio direttivo della Bce si riunirà per decidere un nuovo aumento dei tassi. L’attesa era per una manovra da mezzo punto percentuale, ma l’opinione prevalente sul mercato è che non si andrà oltre un incremento di 0,25 punti. Vedremo.
Con il tracollo di Credit Suisse la crisi bancaria diventa globale. GIOVANNA FAGGIONATO su Il Domani il 15 marzo 2023
Il titolo di Credit Suisse, banca sistemica di rilevanza globale, è arrivata a perdere il 28 per cento in Borsa, dopo che la Saudi National Bank, principale azionista del colosso finanziario, ha escluso ulteriore supporto finanziario all’istituto di credito.
Nel suo crollo, il colosso del credito, ha trascinato tutti i mercati europei.
La Bce ha chiesto alle banche sistemiche di fornire i dati sulla esposizione al gruppo svizzero, in una fase in cui già il settore è in estrema difficoltà
Il titolo di Credit Suisse, banca sistemica di rilevanza globale, è arrivato a a perdere il 28 per cento ieri in Borsa, dopo che la Saudi National Bank, principale azionista del colosso finanziario, ha escluso ulteriore supporto finanziario all’istituto di credito. E nel suo crollo, ridotto (se così si può dire) della metà a fine giornata, ha trascinato tutti i mercati europei, e allertato la Bce che si è trovata costretta a chiedere le cifre dell’esposizione delle banche europee allo storico istituto elvetico.
Credit Suisse ha chiuso cinque trimestri consecutivi in perdita e il bilancio 2022 con un buco da 7,5 miliardi, il peggior risultato dal 2008, e soprattutto con una fuga di fondi pari a 126 miliardi. La Saudi National Bank è diventata primo azionista del gruppo a fine ottobre, quando è stato lanciato un aumento di capitale in due fasi da 4 miliardi, con i quali gli investitori istituzionali come i sauditi hanno salvato la banca, e un piano di ristrutturazione che prevede in totale 9mila esuberi.
SALVATAGGIO SAUDITA
Giovedì la Saudi National Bank, partecipata dal fondo sovrano di Riad, detiene il 9,9 per cento del capitale dell’istituto di credito ma il suo presidente, Ammar Al Khudairy, ha spiegato a Bloomberg TV che ci sono ostacoli regolatori che impediscono di andare oltre la partecipazione del 10 per cento e quando l’intervista rilasciata all’emittente americana è stata diffusa, il titolo della banca ha iniziato una caduta in picchiata che l’ha portata al minimo storico.
Considerata la sua rilevanza, Credit Suisse ha trascinato con sé le borse europee che avevano sperato in una giornata di minori tensioni, dopo le ripercussioni dei fallimenti americani di Svb e Signature Bank. Già martedì i credit default swap a un anno su Credit Suisse, cioè i derivati che assicurano dal rischio fallimento, hanno toccato 835,9 punti base avvicinandosi alla soglia che indica la messa in discussione della continuità aziendale, cioè il possibile fallimento. Si tratta di un livello pari a diciotto volte quello di Ubs e nove volte quello di Deutsche Bank.
L’amministratore di Credit Suisse delegato Ulrich Koerner ha cercato di rassicurare sulla liquidità della banca. Ma la sfiducia dipende anche dal fatto che dopo anni di scandali ripetuti e conti in rosso, il rendiconto 2022 registra «debolezze sostanziali» nella attività di controllo dei dati finanziari e che, al contrario di quanto dichiarato appena a dicembre, la fuga dei clienti non si è arrestata. Il rendiconto è stato pubblicato con una settimana di ritardo, dopo che la Sec, l’autorità di Borsa americana ha sollevato dubbi sulla revisione dei conti sui bilanci 2019 e 2020.
Cioè ancora prima dell’inizio delle grosse perdite. Nel 2021 investimenti miliardari e speculativi sono sfumati con il fallimento in serie della finanziaria britannica Greensill Capital e dell’hedge fund Archegos Capital. Ed è arrivata una multa da circa mezzo miliardo per aver partecipato a uno schema di corruzione e tangenti per uomini della stessa Credit Suisse, celato sotto un prestito allo stato del Mozambico. Nel 2022 poi è stata la volta della fuga di notizie su 18mila clienti dell’istituto, tra loro criminali e protagonisti di scandali di corruzione.
E ancora nel giugno del 2022 Credit Suisse ha segnato un record: prima banca condannata in Svizzera per riciclaggio di denaro. A luglio si è insediato il nuovo amministratore delegato Koerner, con la responsabilità di recuperare reputazione e fiducia. Eppure l’assemblea di ottobre è stata tenuta a porte chiuse. Per far fronte alle critiche, e alle azioni legali dei clienti in corso anche negli Stati Uniti, la banca ritoccato la politica di remunerazione: ha ridotto nel 2022 le retribuzioni dei primi 18 dirigenti da 38 milioni di franchi a 32,2 milioni (32,7 milioni di euro) e senza distribuzione di bonus.
Il presidente Alex Lehman ha rinunciato a un terzo della sua remunerazione, accontentandosi di 3 milioni, l’ad di 2 milioni. Peccato che i problemi di trasparenza siano rimasti: a dicembre infatti Credit Suisse ha annunciato che il ritiro dei fondi dei clienti era finito, addirittura che la rotta si era parzialmente invertita. Non era vero, anzi, l’abbandono ha superato le stime degli analisti.
La crisi della seconda banca elvetica apre un altro, enorme, fronte di debolezza del settore del credito: le Borse europee ieri hanno bruciato 355 miliardi di euro, con ribassi del tre per cento e la maglia nera di Milano a - 4. I rendimenti dei titoli di stato sono in discesa ripida – sotto pressione per il rialzo dei tassi e il disvelamento sulle perdite non realizzate portato dalla vicenda Svb – in discesa ripida. Mentre è chiaro che non ci sono banche troppo grandi per fallire, ma cattivi manager anche nelle grandi banche.
GIOVANNA FAGGIONATO. Giornalista specializzata in economia e affari europei. Prima di arrivare a Domani, ha lavorato a Milano e Bruxelles, per il Sole 24 Ore e Lettera43.
Un nuovo 'bubbone' dopo Silicon Valley Bank. Credit Suisse nella bufera, altra tempesta sulle banche: crollano le Borse dopo il ‘no’ saudita al salvataggio. Carmine Di Niro su Il Riformista il 15 Marzo 2023
La breve ripresa dei principali listini internazionali di martedì è già un ricordo. Le Borse sono nuovamente crollate nella giornata odierna di fronte ai timori riguardanti l’ennesima banca, col ‘bubbone’ del fallimento della Silicon Valley Bank, la più grande a chiudere i battenti negli Stati Uniti dalla crisi finanziaria del 2008, e la successiva decisione del governo americano di chiudere un’altra banca particolarmente a rischio, ancora freschissimo.
Questa volta a trascinare giù i mercati finanziari sono le ‘condizioni di salute’ della banca Credit Suisse, i cui titoli stanno perdendo molto valore da vari giorni e trascinano al ribasso anche quelli delle altre banche europee.
Tecnicamente non si può parlare di crisi dello storico istituto finanziario elvetico, ma i pericoli sono paradossalmente maggiori di quelli della già fallita Silicon Valley Bank: a differenza della ‘piccola’ banca regionale della California specializzata nel settore tech, Credit Suisse è ben più interconnessa a livello internazionale e i timori sulle sue condizioni potrebbe spingere gli investitori a proiettare la debolezza di un singolo istituto sull’intero settore.
I problemi di Credit Suisse, il cui titolo in borsa andava male già da giorni, sono stati amplificati dalla comunicazione avvenuta da parte del presidente della Banca nazionale saudita, Ammar Al Khudairy, primo azionista della banca elvetica, di escludere ulteriore assistenza e in particolare richieste di liquidità alla banca a causa di problemi normativi.
La Saudi National Bank, partecipata per il 37% dal fondo sovrano saudita, è diventata il maggior azionista del Credit Suisse alla fine dello scorso anno, dopo aver acquistato una partecipazione del 9,9% dell’istituto di credito svizzero.
Tanto è bastato perché il titolo della banca di Paradeplatz crollasse: per la prima volta le sue azioni valgono meno di due franchi svizzeri, un crollo 70%, rispetto a un anno fa e una perdita di oltre il 25% a metà giornata, rispetto alla chiusura di ieri alla borsa di Zurigo, toccando così il minimo storica. Un tonfo tale da comportare anche la temporanea sospensione della quotazione del titolo stesso.
Inutili anche le rassicurazioni di Axel Lehman, presidente dell’istituto elvetico, sulla solidità della banca svizzera. “Abbiamo una ristrutturazione in corso approvata e il nostro tasso di liquidità è attualmente superiore al 150%”, ha garantito Lehman, che però si è scontrato col panico dei mercati internazionali.
I numeri, purtroppo per Credit Suisse, mandano segnali forti. I certificati di assicurazione sull’insolvenza della banca, i cosiddetti credit default swap, si stanno avvicinando alla soglia critica dei mille punti, che indica un serio pericolo per la continuità aziendale del gruppo. In particolare i certificati a un anno si sono portati ieri a 835,9 punti base, secondo la piattaforma Cmaq, sui massimi di sempre, e valgono 18 volte gli analoghi titoli derivati della rivale Ubs e circa nove volte quelli di Deutsche Bank.
Carmine Di Niro. Romano di nascita ma trapiantato da sempre a Caserta, classe 1989. Appassionato di politica, sport e tecnologia
Estratto dell’articolo di Giuliana Ferraino per corriere.it il 17 marzo 20223.
Il Credit Suisse sprofonda di nuovo in Borsa a Zurigo, dove in primo pomeriggio è arrivato a perdere quasi il 12% a 1,79 franchi. È durato solo un giorno il rimbalzo favorito dal sostegno della Swiss Nation Bank, la banca centrale svizzera, che ha messo a disposizione dell’istituto di credito 50 miliardi di franchi di liquidità. Uno scudo offerto dopo il crollo del 24.25% registrato martedì, ma durante la seduta la banca elvetica era arrivata a perdere oltre il 30%.
Il tonfo di Credit Suisse manda in rosso i listini europei. La Borsa di Zurigo cede lo 0,86%, il Cac 40 di Parigi l’1,01%, il Dax 30 di Francoforte lo 0,87% e il Ftse 100 di Londra lo 0,71%. In decisa flessione dell’1,21% l’Ibex 35 di Madrid. Vendite più contenute sull’Aex di Amsterdam, che cede lo 0,27%.
[…] Come ha dichiarato in un intervista al Corriere della SeraMohamed El-Erian, presidente del Queens’ College a Cambridge e advisor di Allianz, la liquidità messa a disposizione della SNB «dovrebbe essere sufficiente per gestire lo stress da liquidità. Non risolve però le questioni relative al modello di business del Credit Suisse».
Per calmare i mercati, oltre al ricorso alla liquidità della banca centrale, il Credit Suisse potrebbe far leva sugli altri investitori strategici, che affiancano la Saudi National Bank nell’azionariato, tra cui la Qatar Holding che il 5,03% e l’asset manager Olayan Group con il 4,93%. Durante la crisi del 2008, per rafforzare la propria posizione, la rivale Ubs aprì il capitale al fondo sovrano di Singapore Gic. In alternativa, […] potrebbe decidere vendere alcuni delle sue attività […].
Estratto dell’articolo di Francesco Bertolino per “la Stampa” il 17 marzo 20223.
[…] In apparenza […] a Zurigo la vita scorre placida come sempre: non ci sono code dinanzi agli sportelli della banca né si percepisce preoccupazione fra i passanti. Nelle stanze dei bottoni, però, si avverte ancora l'eco della tensione che ha spinto le assicurazioni sul fallimento di Credit Suisse a 1000 punti base. Tale livello equivale a una probabilità di default a cinque anni del 50%. Eccessi della speculazione? È la tesi di molti zurighesi e di Credit Suisse che ieri ha ribadito la propria solidità patrimoniale e capacità di far fronte a eventuali riscatti.
[…] La convinzione diffusa è però che sia presto per celebrare: l'istituto ha ancora una lunga strada per ritrovare il profitto e chissà se mai tornerà ai 44 miliardi di capitalizzazione del 2017 (ieri erano 8,1, meno di un quinto). Prova ne sia che, dopo una breve pausa, ieri i credit default swap di Credit Suisse hanno ripreso a salire e i prezzi dei bond a scendere.
Nubi di sfiducia che preannunciano nuovi rovesci.
«Le autorità hanno aspettato troppo a intervenire e ora la reputazione del sistema finanziario elvetico è in pericolo», sostiene un consulente che ha lavorato a lungo per Credit Suisse. «La fuga dei depositi dalla banca era in atto da tempo», sottolinea, «la clientela di Credit Suisse non è composta da impiegati, ma da gente che di soldi se ne intende e ha fiutato subito il pericolo».
Poiché le difficoltà erano note da mesi, però, il banchiere non si spiega il tracollo improvviso delle azioni. O meglio, trova delle ragioni che nulla hanno a che fare con i fondamentali economici della banca.
«Le dichiarazioni del presidente di Saudi National Bank, primo azionista al 10%, sono state una mazzata […]: non è compito suo ma del cda discutere eventuali aumenti di capitale», prosegue Il riferimento è all'«assolutamente no» pronunciato mercoledì da Ammar Alkhudairy in risposta a chi chiedeva se sarebbe stato disponibile a fornire altri fondi a Credit Suisse. Il manager saudita ha poi corretto il tiro, chiarendo che citava limiti regolamentari e che comunque l'istituto era solido. Ma ormai era tardi: il mercato aveva già venduto a piene mani le azioni europee, dimenticando d'un tratto il collasso di Silicon Valley Bank e Signature Bank negli Stati Uniti.
Qualcuno maligna che sia in fondo questa la ragione della "gaffe" saudita e dell'accanimento borsistico sugli istituti del Vecchio Continente: un diversivo per distogliere l'attenzione dal secondo e terzo crac bancario per dimensione nella storia americana. «Non è un segreto che gli anglosassoni non amino la nostra neutralità diplomatica», soggiunge un altro ex Credit Suisse, rammentando la repentina uscita dall'azionariato della banca del fondo Usa Harris Associates. Pur riconoscendo gli errori di Credit Suisse, dunque, nella comunità finanziaria svizzera si va a caccia del cui prodest, con esiti più o meno credibili. Di certo, seppur involontariamente, la rivale Ubs sta traendo vantaggio dai tormenti della concorrente. […]
Estratto dell’articolo di Filippo Santelli per “la Repubblica” il 17 marzo 20223.
[…] «Trasferirò il conto da Ubs, per sicurezza », dice Lars, 29 anni, che lavora nelle risorse umane e ha appena prelevato. Del resto, il secondo colosso nazionale del credito è lì a 50 metri, all’altro lato della piazza simbolo della finanza elvetica. «Se tanti clienti facoltosi hanno perso fiducia e portato via i soldi, perché dovrei averla io?».
Già, la fiducia: il termine torna spesso. Stringi stringi, è quella a tenere in piedi una banca. Una banca svizzera a maggior ragione. E il suo capitale di fiducia – dei mercati, dei patrimoni, e, si scopre a Zurigo, pure dei correntisti – Credit Suisse sembra averlo bruciato. Operazioni di finanza spericolata con perdite miliardarie, manager strapagati che fanno spiare i collaboratori, una galleria di clienti poco raccomandabili.
«Da ieri ha passato un punto di non ritorno», sentenzia Lukas Hässig, cane sciolto del giornalismo finanziario, che per gli articoli al vetriolo sul suo blog Inside Paradeplatz si è beccato una causa dalla banca. «Dentro Credit Suisse convivevano due mondi: da un lato quello americano della banca di investimento, dei profitti ad ogni costo, dall’altro quello svizzero e più terreno della gestione dei patrimoni e del credito tradizionale».
L’equilibrio a un certo punto si è rotto: «I manager svizzeri non conoscevano il gioco, quelli di Wall Street sì, e hanno usato i fondi della parte solida per finanziare le loro operazioni». Risultato: le perdite al casinò della finanza hanno intaccato il ramo sano e i grandi patrimoni, capito che i soldi non erano in cassaforte, hanno iniziato a scappare.
[…] «Al di là dei miti, le banche svizzere hanno sempre vissuto crisi». Vero: non più di 15 anni fa era Ubs che voleva far l’americana, finì nel gorgo dei mutui subprime. Il governo e la Banca centrale orchestrarono un salvataggio da manuale. Nel frattempo, le pressioni americane spingevano Berna a smantellare il segreto bancario, aprendo – in teoria – una nuova era di trasparenza. E invece rieccoci qui: «La fiducia si può recuperare – ribadisce Leutenegger – basta liberarsi da questi rischi inutili e smettere di fare errori». Solo che Credit Suisse di errori continua a farne. […]
Estratto da ilsole24ore.com il 17 marzo 20223.
Nonostante gli interventi per mettere in sicurezza Credit Suisse in Europa e First Republic Bank negli Stati Uniti, i mercati finanziari hanno vissuto una nuova seduta all'insegna delle vendite e le Borse europee hanno chiuso la settimana con un altro netto calo: Piazza Affari (FTSE MIB -1,55%) è stata tra le peggiori e la performance odierna porta a -6,5% il bilancio di una settimana nera segnata prima dal crack di Silicon Valley Bank e delle banche regionali Usa e poi dal caso dell'istituto elvetico. Madrid (IBEX 35 -1,92%) ha perso quasi il 2%, gli altri indici almeno un punto percentuale.
"Anche con tutte le misure intraprese dalla Fed, dal Tesoro americano, dalla BoE, dalla Banca nazionale svizzera e dalle banche Usa per stabilizzare la situazione, stiamo vedendo che i mercati sono in difficoltà" commenta Craig Erlam di Oanda davanti al -8% di Credit Suisse, per il quale si ragiona su un riassetto che coinvolga Ubs, e al -24% di First Republic nonostante i 30 miliardi di dollari messi a disposizione da 11 banche americane.
Sull'andamento della sessione ha pesato anche la volatilità innescata dalle cosiddette «tre streghe», la scadenza trimestrale dei future sugli indici e delle opzioni su indici e azioni.
A Milano banche sotto pressione, ma sono Iveco e Tim le peggiori
Il comparto bancario è stato il più penalizzato: -2,6% il sottoindice Stoxx600. A Milano Finecobank -4,06%,Unicredit -3,27% e Banca Mediolanum -2,90% le più colpite dalle vendite. Cadute superiori al 4% per Santander a Madrid e Ing ad Amsterdam. Sul listino milanese, da segnalare la caduta di Iveco Group -3,90% e di Telecom Italia -3,86%, quest'ultima con buoni volumi di scambio (270 milioni di pezzi trattati) poiche' il contesto finanziario in deterioramento, i tassi in rialzo e i tempi ancora lunghi per il dossier rete contribuiscono a far scendere l'appeal per gli investitori. […]
In rosso Wall Street, dove permangono le preoccupazioni sulla stabilità del sistema bancario. Il titolo di First Republic Bank cede il 18% dopo il recupero della vigilia dovuto al piano di salvataggio da parte di un consorzio formato da undici banche, che hanno garantito 30 miliardi di dollari di liquidità; l'istituto ha però sospeso la distribuzione dei dividendi. Il calo di First Republic si ripercuote sugli altri titoli delle banche regionali, come Zions Bancorp, Comerica e KeyCorp. […]
Intanto, Svb Financial Group, la holding a cui faceva capo Silicon Valley Bank, ha presentato a New York la richiesta per il Chapter 11, ovvero l'amministrazione controllata. La società ha comunicato di avere circa 2,2 miliardi di dollari di liquidità e che sta valutando alternative strategiche per Svb Capital, Svb Securities e gli altri asset e investimenti, che hanno già attirato un significativo interesse.
Estratto dell’articolo di Angelo Allegri per “il Giornale” il 17 marzo 20223.
A far scoppiare la bufera sul Credit Suisse e sulle altre banche europee è stato un tranquillo signore dal sorriso ironico e dall’inglese impeccabile. In un’intervista a Bloomberg Tv, un paio di giorni fa, Ammar Abdul Wahed Al Khudairy si è limitato a dire che la banca di cui è presidente, la Saudi National Bank, non avrebbe messo altri soldi nell’istituto elvetico in difficoltà: «Abbiamo quasi il 10% del capitale, se si supera questa quota bisogna affrontare una serie di complicazioni regolatorie. Quindi non lo faremo».
[…] Nell’autunno scorso, quando l’istituto di credito saudita aveva deciso di dare una mano ai banchieri svizzeri investendo nel gruppo zurighese più di un miliardo di dollari, la stampa internazionale aveva scritto che uno dei simboli della Confederazione era stato salvato dagli sceicchi. Ma gli sceicchi, come gli investitori di tutto il mondo, si comportano secondo la propria convenienza.
Tanto più se sanno di avere il coltello dalla parte del manico. E mai come in questo momento gli investitori del Medio Oriente viaggiano sulla cresta dell’onda, visto che sono in grado di mettere in campo colossali quantità di denaro.
La Saudi National Bank, prima azionista del Credit Suisse, è nonostante il nome una banca di diritto privato, anche se è controllata dal Public Investment Fund (fondo statale saudita) e personalmente dal Principe ereditario Mohammed Bin Salman.
Nonostante si tratti del più grande istituto di credito del Medio Oriente, le sue dimensioni impallidiscono di fronte a quelle del già citato Public Investment Fund, che ha un patrimonio di oltre 600 miliardi di dollari. […] Complessivamente una potenza di fuoco finanziaria impressionante, che con l’invasione dell’Ucraina è cresciuta giorno dopo giorno, con prospettive ancora migliori per il futuro.
L’aumento dei prezzi energetici successivo allo scoppio del conflitto è stato una manna per i produttori di petrolio e di gas naturale; l’esclusione dal mercato internazionale, via sanzioni, di un concorrente importante come la Russia, una garanzia di utili copiosi nei prossimi anni.
La nuova ricchezza araba ha un simbolo: Aramco, la più grande compagnia petrolifera del mondo, al 98% di proprietà del governo saudita. Pochi giorni fa ha annunciato i suoi utili per il 2022: 161 miliardi di dollari. Un record assoluto […]
Credit Suisse, la mano dello sceicco Al Khudairy dietro al crollo. Libero Quotidiano il 17 marzo 2023
Dietro la bufera su Credit Suisse e altre banche europee c'è un imprenditore. L'uomo, uno sceicco, ha un nome e un cognome: Ammar Abdul Wahed Al Khudairy. "Abbiamo quasi il 10 per cento del capitale, se si supera questa quota bisogna affrontare una serie di complicazioni regolatorie. Quindi non lo faremo", diceva prima del disastro spiegando che la sua Saudi National Bank non avrebbe messo altri soldi nell’istituto elvetico in difficoltà. E così, quelle parole riferite a Bloomberg, hanno mandato nel pallone gli investitori che spaventati hanno subito aperto una crisi.
D'altronde i finanziatori del Medio Oriente sono in grado di mettere in campo colossali quantità di denaro. La Saudi National Bank, è la prima azionista del Credit Suisse ed è controllata dal Public Investment Fund (fondo statale saudita). A gestirla personalmente il Principe ereditario Mohammed Bin Salman. Insomma, quella che il Giornale definisce "una potenza di fuoco finanziaria impressionante". Potenza che con l’invasione dell’Ucraina, e l'aumento dei prezzi per l'energia, è cresciuta.
Intanto dopo un piccolo miglioramento con l'annuncio del salvataggio della First Republic Bank, le Borse europee virano in territorio negativo. E sulla scia del nuovo tonfo di Credit Suisse che cede circa l'11 per cento a metà seduta e torna sotto quota 2 franchi. Il crollo in Borsa della banca svizzera frena così l’entusiasmo dei mercati. Parigi cede lo 0,50 per cento. Francoforteil 0,73 e Londra lo 0,49. Stesso discorso per il Ftse Mib che a Piazza Affari lascia lo 0,85.
Credit Suisse, accordo per il salvataggio. Sì alla fusione con la rivale Ubs. Storia di Marco Sabella su Il Corriere della Sera il 19 marzo 2023.
Con un finale da thriller hollywoodiano, a poche ore dall’apertura della Borsa Tokyo — si è conclusa ieri verso le 19 e 30, dopo un week end di trattative febbrili, la complessa vicenda del . La seconda banca elvetica da anni è in difficoltà ed è stata colpita da un colossale deflusso di depositi (10 miliardi di franchi al giorno) dopo il fallimento di tre banche statunitensi, prima fra tutte la Silicon Valley Bank. Il colosso bancario svizzero Ubs, 60 miliardi di franchi di capitalizzazione e prima banca del Paese è stato chiamato a salvare la banca concorrente dalle stesse autorità di governo e regolamentari elvetiche. Dopo un primo rifiuto da parte del Consiglio di Credit Suisse di un’ offerta di un miliardo di franchi per rilevare la banca e un successivo rilancio a 2 miliardi, l’accordo è stato infine trovato per un controvalore di 3 miliardi di franchi. Poco più di 3 miliardi di euro a fronte di una capitalizzazione del titolo Credit Suisse che venerdì scorso, alla chiusura dei mercati, si aggirava intorno ai 7,4 miliardi di franchi. In pratica Ubs pagherà le azioni del Credit Suisse 0,76 franchi ciascuna (l’offerta iniziale era di 0,25 franchi) . Trattandosi di un’operazione «carta su carta» non vi sarà un esborso monetario diretto da parte di Ubs, ma tutti gli azionisti del Credit Suisse riceveranno una azione Ubs ogni 22,48 azioni del Credit Suisse come corrispettivo della fusione.
Il salvataggio del Credit Suisse si è concluso con il pieno sostegno del governo e della Banca centrale svizzera, la Bns, entrambi parti attivissime nella ricerca e nel raggiungimento dell’accordo. La Bns si è detta disponibile ad aprire una linea di credito di 150 miliardi di franchi svizzeri al nuovo colosso bancario che rappresenta ormai la spina dorsale del sistema finanziario elvetico. Il Consiglio federale svizzero ha annunciato l’accordo sottolineando che «Ubs è la migliore soluzione per ripristinare la fiducia e rassicurare i mercati». «La piazza finanziaria doveva essere protetta e anche la nostra economia. Un crollo di Credit Suisse avrebbe avuto delle conseguenze molto gravi per la Svizzera e per il mondo», ha sottolineato il ministro delle finanze elvetico Karin Keller-Sutter.
Dello stesso tenore il commento di Washington e di Francoforte. Il Tesoro americano e la Fed danno il benvenuto all’accordo fra Credit Suisse e Ubs, si legge in una nota congiunta. «Accolgo con favore la rapidità dell’azione e le decisioni prese dalle autorità svizzere. Esse sono fondamentali per ripristinare condizioni di mercato ordinate e garantire la stabilità finanziaria», ha affermato in una nota Christine Lagarde, presidente della Banca centrale europea, dopo l’annuncio della fusione. Si apre adesso la partita dell’integrazione tra le due banche, fino alla settimana scorsa concorrenti. «Saranno tempi difficili per i dipendenti. Cercheremo di risolvere questo periodo di incertezza nel più breve tempo possibile», ha dichiarato il presidente di Ubs, Colm Kelleher. La banca ha più di 50.000 dipendenti in tutto il mondo, 17.000 dei quali in Svizzera. Nessuno in conferenza stampa ha fornito una stima del numero di lavoratori a rischio ma si parla di 10mila possibili esuberi. Kelleher ha detto che saranno ridotte le dimensioni dell’unità di investment banking del Credit Suisse, che è stata quella che ha dato più problemi negli ultimi anni e che è stata coinvolta in diversi scandali. L’investment banking «non rappresenterà più del 25% delle attività della banca», ha concluso.
Estratto dell’articolo di Franco Zantonelli per “la Repubblica” il 20 marzo 2023.
[…] Come una sorta di nemesi storica, l’acquisizione di Credit Suisse, da parte di Ubs, avviene a 30 anni dall’integrazione dell’allora Banca Popolare Svizzera in quello che, fino alla tempesta finanziaria degli ultimi giorni, è stato il numero due del sistema bancario elvetico.
In difficoltà per una crisi immobiliare, la Banca Popolare venne corteggiata sia da Ubs sia da Credit Suisse. Con un colpo d’ingegno, fu il presidente di quest’ultimo, Rainer E. Gut, ad avere la meglio. Il 6 gennaio del 1993 Gut annunciò l’avvenuta integrazione dell’istituto in difficoltà, con grave scorno della rivale Ubs.
Un’operazione costosa, visto che comportò un esborso di 2,6 miliardi di franchi, oltre al sacrificio di 2000 posti di lavoro. Il colosso Credit Suisse nacque allora, sulle ceneri della Banca Popolare. L’anno successivo nuova vittoria su Ubs, con l’acquisizione della Neue Aargauer Bank, il principale istituto bancario regionale svizzero. Ubs si prese la rivincita nel ’97, quando fece propria la SBS, Società di Banca Svizzera.
Da allora i due istituti, che si fronteggiano anche fisicamente, avendo le sedi una di fronte all’altra in Paradeplatz a Zurigo, hanno iniziato il loro cammino di istituti “too big to fail”, esportando il savoir faire bancario svizzero, non sempre eticamente cristallino, in tutto il mondo.
Sembrava una sorta di età dell’oro. Eppure, almeno per Credit Suisse, dal 2015 iniziò un lento declino, accelerato da affari miliardari sballati e dall’avidità di dirigenti non all’altezza. Due esempi su tutti: il ceo Tidjame Thiam, in carica dal 2015 al 2020, si è intascato 70 milioni di franchi, tra stipendi e bonus, mentre Urs Rohner, presidente del cda nello stesso periodo, di milioni di franchi ne ha portati a casa 50.
Rohner, lo scorso anno, venne citato dal fondo pensioni della città statunitense di Providence, per il fallimento miliardario dell’hedge fund Archegos, uno dei motivi all’origine della discesa agli inferi di Credit Suisse. Fatto sta che è stato sotto la gestione di banchieri quali i sopracitati Thiam e Rohner, che l’affidabilità di Credit Suisse ha iniziato a vacillare.
[…] Una banca che, oltre un secolo dopo dalla sua nascita, ha avuto bisogno dell’intervento di quella che possiamo dire sia stata la sua rivale di sempre, per uscire da una tempesta che Ubs, sia pure su presupposti diversi, aveva già affrontato e superato.
Ubs, nata nel 1862 come Banca di Winterthur, […] iniziò l’attività finanziando l’industria locale che, in quegli anni, stava diventando fiorente. Dopo il 2000, insieme a Credit Suisse, Ubs aveva, intanto, messo stabilmente piede a Wall Street, dove drenò diversi miliardi in fuga dal fisco Usa. Il che costò a entrambe le banche un’altra batosta, in termini di multe a 9 zeri. E alla Svizzera la fine del segreto bancario. Nel 2008, poi, sempre tarantolata dal demone del guadagno facile, Ubs si imbottì di mutui ipotecari americani e solo un salvataggio da 60 miliardi di franchi, da parte della Confederazione, la salvò da una fine analoga a quella di Lehman Brothers. Dopo 15 anni, restituiti i 60 miliardi, le tocca restituire il favore, evitando la scomparsa di Credit Suisse. […]
Ubs-Credit Suisse: non è una fusione ma un salvataggio con soldi pubblici. E la Borsa apprezza. Storia di Rodolfo Parietti il 21 marzo 2023 su Il Giornale
Ci vorrà ancora del tempo prima di capire se il salvataggio di Credit Suisse sia stata solo una mossa disperata che, prima o poi, presenterà il conto a tutti. La reazione di ieri delle Borse non fa testo: seduta nervosa, partita malissimo con gli indici collassati di un paio di punti percentuali prima del recupero finale (+1,6% Milano, +1% lo Stoxx600) favorito dalle parole rassicuranti arrivate dai governi, dalla Bce e dalle autorità di regolamentazione. E, soprattutto, dall'abbondante liquidità fornita al sistema finanziario mondiale dalle principali banche centrali. Come da copione, le quotazioni dei titoli del Credit (-55%, a 0,82 franchi svizzeri) si sono allineate al prezzo strappato da Ubs (+1,26%, dopo un -12%) per mettere le mani sui rivali zurighesi di sempre per una cifra complessiva pari a tre miliardi di dollari.
Ubs-Credit Suisse: non è una fusione ma un salvataggio con soldi pubblici. E la Borsa apprezza© Fornito da Il Giornale
Poiché il diavolo si nasconde sempre nei dettagli, l'operazione presenta fin d'ora delle criticità che ne denunciano la fretta con cui il governo di Berna e la Banca nazionale svizzera hanno voluto mandarla in porto. A cominciare dai tappeti rossi stesi attorno a Ubs, il cui forte potere negoziale ha consentito di svendere per pochi spiccioli una banca con un patrimonio netto di 54 miliardi di dollari e con una sede centrale, all'8 di Paradeplatz, che vale probabilmente più della cifra complessiva del deal. Per non parlare della concessione di una linea di liquidità fino a 100 miliardi più altri 9 di garanzia sulle potenziali perdite di CS ottenute dall'ad di Ubs, Ralph Hamers.
Video correlato: Credit Suisse all'Ubs spesi 3 miliardi di euro (Mediaset)
Un accordo super-blindato su un solo versante e su cui né i soci del Credit, né quelli dell'acquirente hanno potuto mettere bocca dopo che sono state modificate ad hoc le norme che concedevano sei settimane di tempo agli azionisti per pronunciarsi su una fusione. Atto poco democratico che avrà un inevitabile strascico nelle aule dei tribunali, visto che la Fondazione Ethos, in rappresentanza dei fondi pensione svizzeri, ha già minacciato azioni legali.
Ma l'aspetto più controverso riguarda la decisione di ghigliottinare il valore di 16 miliardi di franchi (17,2 miliardi di dollari) delle cosiddette obbligazioni AT1 del Credit, la più grande perdita mai registrata in un mercato da 275 miliardi in Europa, creato dopo la crisi finanziaria per garantire che delle perdite si facessero carico soprattutto gli investitori e non i contribuenti. È vero: si tratta di strumenti rischiosi, e quindi ad alto rendimento, dal momento che in caso di fallimento l'azzeramento del loro valore è garantito. CS non è però fallita. Il problema, sollevato da molti analisti, è questo: con l'idea di rafforzare il capitale della banca, chi ha congegnato il salvataggio ha invertito la piramide in base alla quale i primi a pagare devono essere gli azionisti e solo in seconda battuta i bondholder. Nella sostanza, si è voluto replicare quanto fatto da Barack Obama 14 anni fa durante la crisi di General Motors e Chrysler.
Un colpo di mano così macroscopico da far imbufalire gli investitori. E mettere in allarme Bce, Eba e Comitato di risoluzione unico, che si sono subito attivati per sottolineare come nell'eurozona le regole siano diverse: «Gli strumenti di capitale ordinario sono i primi ad assorbire le perdite - si legge in un comunicato - e solo dopo il loro pieno utilizzo sarebbe necessario procedere alla svalutazione dell'Additional Tier 1». Reazione più che legittima alla luce dei crolli attorno al 10% che hanno coinvolto le obbligazioni AT1 di Deutsche Bank, Unicaja Banco, Raiffeisen Bank International e BNP Paribas. Picchiata che lascia prevedere tempi duri per questo mercato, con le nuove emissioni destinate a restare nel congelatore nel prossimo futuro.
La liaison forzata CS-Ubs non ha quindi dissolto i timori che sulla scena globale si ripresenti una grave crisi sistemica. Le decisioni che domani prenderà la Federal Reserve saranno sotto questo profilo cruciali. I mercati si aspettano un rialzo limitato a un quarto di punto e un'inversione di rotta già a partire da maggio, mese che potrebbe inaugurare una nuova stagione di tagli del costo del denaro.
Le polemiche sull'affare svizzero. Credit Suisse e “l’affare della vita” di Ubs, i punti oscuri dell’acquisizione: dai bond azzerati alle regole aggirate. Carmine Di Niro su Il Riformista il 21 Marzo 2023
Secondo Davide Serra, founder e ceo di Algebris Investments, per Ubs l’acquisizione della Credit Suisse rappresenta “l’affare della vita”. E in effetti i principali analisti concordano: l’accordo tra i due istituti di credito, che diventerà operativo salvo imprevisti nei prossimi tre mesi, porterà alla creazione di un gigante con l’esborso da parte di Ubs, già prima banca del Paese elvetico, di “soli” tre miliardi di franchi svizzeri, circa 3,35 miliardi di euro.
Un prezzo conveniente per rilevare il suo principale competitor interno, le cui azioni nell’ultimo anno avevano perso oltre il 70% del loro valore, spinte giù da una gestione da anni caotica e fallimentare in particolare con spericolate quanto sbagliate operazioni nell’investment banking, che aveva spinto Credit Suisse a realizzare lo scorso anno la sua perdita più grande dalla crisi finanziaria del 2008, pari a 7,3 miliardi di dollari, di fatto erodendo i guadagni di un decennio.
Al di là dell’aspetto economico, l’acquisizione-fusione tra le due principali banche svizzere porta con sé interrogativi e critiche. A partire dalle regole aggirate per consentire l’accordo, in primis quelle antitrust. Come ricorda Federico Fubini, la nuova entità avrà in Svizzera una quota di mercato pari a due terzi dell’intero settore delle banche significative: “Nessuna autorità antitrust di un Paese democratico accetterebbe il formarsi di un potere economico così ampio nelle mani di una sola impresa”, sottolinea il giornalista sul Corriere della Sera.
Non è l’unica forzatura avvenuta per consentire l’acquisizione da parte di Ubs della sua concorrente. La fusione è infatti avvenuta senza passare da un voto di approvazione nelle assemblee degli azionisti, decisione presa con l’appoggio del governo svizzero, dai manager dei due istituti di credito e dai regolatori della Finma, l’Autorità federale di vigilanza sui mercati finanziari svizzeri.
C’è quindi il caso più scottante, ovvero la clamorosa decisione di far azzerare di valore di 16 miliardi di dollari di obbligazioni di Credit Suisse, le AT1 (Additional Tier 1, ndr), facendo perdere così ai loro detentori i soldi. In “tempi normali” alti rendimenti perché legate ad un alto rischio, non sono infatti tutelate in alcun modo dalle regole bancarie in caso di fallimento dell’istituto di credito: ed è proprio qui il problema, dato che la Credit Suisse non è realmente fallita, dunque non si spiega l’azzeramento del loro valore, se non per migliorare il bilancio di Credit Suisse prima di venire inglobata dalla rivale Ubs.
Ad approfittare di quanto deciso sulle obbligazioni AT1 sono paradossalmente gli azionisti, che solitamente dovrebbero al contrario rispondere in prima istanza della crisi di una azienda, sia una ‘normale’ impresa o una banca come nel caso di Credit Suisse. In questo caso, pur con una consistente perdita del valore dei loro titoli, gli azionisti di Credit Suisse si trovano ora soci di Ubs, mentre i detentori di obbligazioni AT1, ossia creditori, perdono tutto.
E c’è chi non manca di sottolineare come a guadarci, o quantomeno non perdere tutto da questa situazione, siano i due soci forti di Credit Suisse: da una parte la Saudi National Bank, dall’altra la Qatar Authority, in possesso rispettivamente del 10 e del sette per cento delle azioni dell’istituto di credito rilevato da Ubs.
Tutte decisioni che sono state avvertite, anche dai mercati, come un ribaltamento delle regole: per questo i titolari delle obbligazioni AT1 azzerate sarebbero pronti a fare causa. Spiega il Corriere della Sera che lo studio legale Quinn Emanuel Urquhart & Sullivan ha messo insieme un team di avvocati, provenienti dalla Svizzera, dagli Stati Uniti e dal Regno Unito, che stanno già discutendo con alcuni detentori di bond del Credit Suisse sulle possibili azioni legali a loro disposizione
Carmine Di Niro. Romano di nascita ma trapiantato da sempre a Caserta, classe 1989. Appassionato di politica, sport e tecnologia
Andrea Greco per “la Repubblica” il 29 Marzo 2023
Il massacro borsistico di Deutsche Bank di venerdì pare legato a una scommessa da 5 milioni di euro sui credit default swap dei suoi titoli subordinati. Si tratta di polizze che proteggono dal fallimento (qui dei bond) spesso usate per speculare. Perché sono illiquide e opache.
Le autorità europee provano a capire se qualcuno abbia venduto a termine azioni della banca tedesca dopo averne comprato Cds sui bond, attizzando un rogo che ha bruciato in Borsa 1,6 miliardi a Deutsche Bank e oltre 30 al settore europeo.
«I Cds sono un mercato troppo opaco, con pochi milioni puoi muovere gli spread e contaminare il prezzo delle azioni di una grande banca, e magari anche i deflussi dei suoi depositi», ha ammesso Andrea Enria, presidente della vigilanza Bce.
Presto il Fsb, che riunisce le autorità di mercato globali, potrebbe provare a esigere più trasparenza a questi strumenti. Ma più che fare inseguire ai regolatori l’ennesima manipolazione di mercato, è la politica che dovrebbe riprendersi la scena. Per stabilire se la progressione geometrica di tecnologie e capitali resti compatibile con i crismi di un mercato che dovrebbe indicare i prezzi corretti e veicolare fondi all’economia reale.
Andrea Rinaldi per il “Corriere della Sera” il 25 marzo 2023.
Un altro venerdì nero per le Borse europee. Ad affossare i listini ieri, già provati da Svb e Credit Suisse, è stato un lento crescendo iniziato giovedì in Germania. Deutsche Pfandbriefbank e Aareal Bank avevano annunciato di non rimborsare i bond Additional tier 1 che avevano il diritto di riacquisto in arrivo (gli stessi che Credit Suisse ha azzerato per 16 miliardi di dollari con le nozze con Ubs).
[…] la scelta di Deutsche Bank di rimborsare anticipatamente un’obbligazione subordinata di secondo livello (Additional tier 2) da 1,5 miliardi con scadenza al 2028 – mossa solitamente intesa a dare fiducia agli investitori – è stata vista come un segnale di debolezza. Risultato: i credit default swap dell’istituto tedesco, strumenti per proteggere gli obbligazionisti dal fallimento, sono arrivati a toccare i 203 punti base innescando una pioggia di vendite. Il titolo ha perso fino all’11%, chiudendo a -8,73 euro e bruciando circa 2 miliardi di capitalizzazione, seguito da Commerzbank: -6,5% a 8,8 euro.
[…] Deutsche Bank è una delle 30 banche mondiali considerate sistemiche, i problemi del 2015-18 sono alle spalle, la redditività è forte (5,7 miliardi di utili netti nel 2022), i coefficienti patrimoniali sono robusti (13,4% Cet1 ratio), il rapporto di copertura della liquidità è 142%, 64 miliardi sopra la soglia fissata dalle autorità di vigilanza europee. Morgan Stanley infatti si è raccomandata di focalizzarsi sui fondamentali della banca mentre Citi ha parlato di «conseguenza di un mercato irrazionale». Il titolo crollava.
Istituzioni monetarie e capi di Stato sono allora scesi in campo, come con Credit Suisse. «Il settore bancario della zona euro è resiliente perché ha posizioni solide in termini di capitale e liquidità», ha sottolineato la presidente della Bce, Christine Lagarde, all’Eurogruppo di Bruxelles. […] Il cancelliere tedesco Olaf Scholz ha assicurato: «Deutsche Bank è una banca molto redditizia. Non c’è motivo di preoccuparsi». […]