Denuncio al mondo ed ai posteri con i miei libri tutte le illegalità tacitate ed impunite compiute dai poteri forti (tutte le mafie). Lo faccio con professionalità, senza pregiudizi od ideologie. Per non essere tacciato di mitomania, pazzia, calunnia, diffamazione, partigianeria, o di scrivere Fake News, riporto, in contraddittorio, la Cronaca e la faccio diventare storia. Quella Storia che nessun editore vuol pubblicare. Quelli editori che ormai nessuno più legge.
Gli editori ed i distributori censori si avvalgono dell'accusa di plagio, per cessare il rapporto. Plagio mai sollevato da alcuno in sede penale o civile, ma tanto basta per loro per censurarmi.
I miei contenuti non sono propalazioni o convinzioni personali. Mi avvalgo solo di fonti autorevoli e credibili, le quali sono doverosamente citate.
Io sono un sociologo storico: racconto la contemporaneità ad i posteri, senza censura od omertà, per uso di critica o di discussione, per ricerca e studio personale o a scopo culturale o didattico. A norma dell'art. 70, comma 1 della Legge sul diritto d'autore: "Il riassunto, la citazione o la riproduzione di brani o di parti di opera e la loro comunicazione al pubblico sono liberi se effettuati per uso di critica o di discussione, nei limiti giustificati da tali fini e purché non costituiscano concorrenza all'utilizzazione economica dell'opera; se effettuati a fini di insegnamento o di ricerca scientifica l'utilizzo deve inoltre avvenire per finalità illustrative e per fini non commerciali."
L’autore ha il diritto esclusivo di utilizzare economicamente l’opera in ogni forma e modo (art. 12 comma 2 Legge sul Diritto d’Autore). La legge stessa però fissa alcuni limiti al contenuto patrimoniale del diritto d’autore per esigenze di pubblica informazione, di libera discussione delle idee, di diffusione della cultura e di studio. Si tratta di limitazioni all’esercizio del diritto di autore, giustificate da un interesse generale che prevale sull’interesse personale dell’autore.
L'art. 10 della Convenzione di Unione di Berna (resa esecutiva con L. n. 399 del 1978) Atto di Parigi del 1971, ratificata o presa ad esempio dalla maggioranza degli ordinamenti internazionali, prevede il diritto di citazione con le seguenti regole: 1) Sono lecite le citazioni tratte da un'opera già resa lecitamente accessibile al pubblico, nonché le citazioni di articoli di giornali e riviste periodiche nella forma di rassegne di stampe, a condizione che dette citazioni siano fatte conformemente ai buoni usi e nella misura giustificata dallo scopo.
Ai sensi dell’art. 101 della legge 633/1941: La riproduzione di informazioni e notizie è lecita purché non sia effettuata con l’impiego di atti contrari agli usi onesti in materia giornalistica e purché se ne citi la fonte. Appare chiaro in quest'ipotesi che oltre alla violazione del diritto d'autore è apprezzabile un'ulteriore violazione e cioè quella della concorrenza (il cosiddetto parassitismo giornalistico). Quindi in questo caso non si fa concorrenza illecita al giornale e al testo ma anzi dà un valore aggiunto al brano originale inserito in un contesto più ampio di discussione e di critica.
Ed ancora: "La libertà ex art. 70 comma I, legge sul diritto di autore, di riassumere citare o anche riprodurre brani di opere, per scopi di critica, discussione o insegnamento è ammessa e si giustifica se l'opera di critica o didattica abbia finalità autonome e distinte da quelle dell'opera citata e perciò i frammenti riprodotti non creino neppure una potenziale concorrenza con i diritti di utilizzazione economica spettanti all'autore dell'opera parzialmente riprodotta" (Cassazione Civile 07/03/1997 nr. 2089).
Per questi motivi Dichiaro di essere l’esclusivo autore del libro in oggetto e di tutti i libri pubblicati sul mio portale e le opere citate ai sensi di legge contengono l’autore e la fonte. Ai sensi di legge non ho bisogno di autorizzazione alla pubblicazione essendo opere pubbliche.
Promuovo in video tutto il territorio nazionale ingiustamente maltrattato e censurato. Ascolto e Consiglio le vittime discriminate ed inascoltate. Ogni giorno da tutto il mondo sui miei siti istituzionali, sui miei blog d'informazione personali e sui miei canali video sono seguito ed apprezzato da centinaia di migliaia di navigatori web. Per quello che faccio, per quello che dico e per quello che scrivo i media mi censurano e le istituzioni mi perseguitano. Le letture e le visioni delle mie opere sono gratuite. Anche l'uso è gratuito, basta indicare la fonte. Nessuno mi sovvenziona per le spese che sostengo e mi impediscono di lavorare per potermi mantenere. Non vivo solo di aria: Sostienimi o mi faranno cessare e vinceranno loro.
Dr Antonio Giangrande
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ITALIA ALLO SPECCHIO
IL DNA DEGLI ITALIANI
ANNO 2023
IL GOVERNO
PRIMA PARTE
DI ANTONIO GIANGRANDE
L’APOTEOSI
DI UN POPOLO DIFETTATO
Questo saggio è un aggiornamento temporale, pluritematico e pluriterritoriale, riferito al 2023, consequenziale a quello del 2022. Gli argomenti ed i territori trattati nei saggi periodici sono completati ed approfonditi in centinaia di saggi analitici specificatamente dedicati e già pubblicati negli stessi canali in forma Book o E-book, con raccolta di materiale riferito al periodo antecedente. Opere oggetto di studio e fonti propedeutiche a tesi di laurea ed inchieste giornalistiche.
Si troveranno delle recensioni deliranti e degradanti di queste opere. Il mio intento non è soggiogare l'assenso parlando del nulla, ma dimostrare che siamo un popolo difettato. In questo modo è ovvio che l'offeso si ribelli con la denigrazione del palesato.
IL GOVERNO
UNA BALLATA PER L’ITALIA (di Antonio Giangrande). L’ITALIA CHE SIAMO.
UNA BALLATA PER AVETRANA (di Antonio Giangrande). L’AVETRANA CHE SIAMO.
PRESENTAZIONE DELL’AUTORE.
LA SOLITA INVASIONE BARBARICA SABAUDA.
LA SOLITA ITALIOPOLI.
SOLITA LADRONIA.
SOLITO GOVERNOPOLI. MALGOVERNO ESEMPIO DI MORALITA’.
SOLITA APPALTOPOLI.
SOLITA CONCORSOPOLI ED ESAMOPOLI. I CONCORSI ED ESAMI DI STATO TRUCCATI.
ESAME DI AVVOCATO. LOBBY FORENSE, ABILITAZIONE TRUCCATA.
SOLITO SPRECOPOLI.
SOLITA SPECULOPOLI. L’ITALIA DELLE SPECULAZIONI.
L’AMMINISTRAZIONE
SOLITO DISSERVIZIOPOLI. LA DITTATURA DEI BUROCRATI.
SOLITA UGUAGLIANZIOPOLI.
IL COGLIONAVIRUS.
SANITA’: ROBA NOSTRA. UN’INCHIESTA DA NON FARE. I MARCUCCI.
L’ACCOGLIENZA
SOLITA ITALIA RAZZISTA.
SOLITI PROFUGHI E FOIBE.
SOLITO PROFUGOPOLI. VITTIME E CARNEFICI.
GLI STATISTI
IL SOLITO AFFAIRE ALDO MORO.
IL SOLITO GIULIO ANDREOTTI. IL DIVO RE.
SOLITA TANGENTOPOLI. DA CRAXI A BERLUSCONI. LE MANI SPORCHE DI MANI PULITE.
SOLITO BERLUSCONI. L'ITALIANO PER ANTONOMASIA.
IL SOLITO COMUNISTA BENITO MUSSOLINI.
I PARTITI
SOLITI 5 STELLE… CADENTI.
SOLITA LEGOPOLI. LA LEGA DA LEGARE.
SOLITI COMUNISTI. CHI LI CONOSCE LI EVITA.
IL SOLITO AMICO TERRORISTA.
1968 TRAGICA ILLUSIONE IDEOLOGICA.
LA GIUSTIZIA
SOLITO STEFANO CUCCHI & COMPANY.
LA SOLITA SARAH SCAZZI. IL DELITTO DI AVETRANA.
LA SOLITA YARA GAMBIRASIO. IL DELITTO DI BREMBATE.
SOLITO DELITTO DI PERUGIA.
SOLITA ABUSOPOLI.
SOLITA MALAGIUSTIZIOPOLI.
SOLITA GIUSTIZIOPOLI.
SOLITA MANETTOPOLI.
SOLITA IMPUNITOPOLI. L’ITALIA DELL’IMPUNITA’.
I SOLITI MISTERI ITALIANI.
BOLOGNA: UNA STRAGE PARTIGIANA.
LA MAFIOSITA’
SOLITA MAFIOPOLI.
SOLITE MAFIE IN ITALIA.
SOLITA MAFIA DELL’ANTIMAFIA.
SOLITO RIINA. LA COLPA DEI PADRI RICADE SUI FIGLI.
SOLITO CAPORALATO. IPOCRISIA E SPECULAZIONE.
LA SOLITA USUROPOLI E FALLIMENTOPOLI.
SOLITA CASTOPOLI.
LA SOLITA MASSONERIOPOLI.
CONTRO TUTTE LE MAFIE.
LA CULTURA ED I MEDIA
LA SCIENZA E’ UN’OPINIONE.
SOLITO CONTROLLO E MANIPOLAZIONE MENTALE.
SOLITA SCUOLOPOLI ED IGNORANTOPOLI.
SOLITA CULTUROPOLI. DISCULTURA ED OSCURANTISMO.
SOLITO MEDIOPOLI. CENSURA, DISINFORMAZIONE, OMERTA'.
LO SPETTACOLO E LO SPORT
SOLITO SPETTACOLOPOLI.
SOLITO SANREMO.
SOLITO SPORTOPOLI. LO SPORT COL TRUCCO.
LA SOCIETA’
GLI ANNIVERSARI DEL 2019.
I MORTI FAMOSI.
ELISABETTA E LA CORTE DEGLI SCANDALI.
MEGLIO UN GIORNO DA LEONI O CENTO DA AGNELLI?
L’AMBIENTE
LA SOLITA AGROFRODOPOLI.
SOLITO ANIMALOPOLI.
IL SOLITO TERREMOTO E…
IL SOLITO AMBIENTOPOLI.
IL TERRITORIO
SOLITO TRENTINO ALTO ADIGE.
SOLITO FRIULI VENEZIA GIULIA.
SOLITA VENEZIA ED IL VENETO.
SOLITA MILANO E LA LOMBARDIA.
SOLITO TORINO ED IL PIEMONTE E LA VAL D’AOSTA.
SOLITA GENOVA E LA LIGURIA.
SOLITA BOLOGNA, PARMA ED EMILIA ROMAGNA.
SOLITA FIRENZE E LA TOSCANA.
SOLITA SIENA.
SOLITA SARDEGNA.
SOLITE MARCHE.
SOLITA PERUGIA E L’UMBRIA.
SOLITA ROMA ED IL LAZIO.
SOLITO ABRUZZO.
SOLITO MOLISE.
SOLITA NAPOLI E LA CAMPANIA.
SOLITA BARI.
SOLITA FOGGIA.
SOLITA TARANTO.
SOLITA BRINDISI.
SOLITA LECCE.
SOLITA POTENZA E LA BASILICATA.
SOLITA REGGIO E LA CALABRIA.
SOLITA PALERMO, MESSINA E LA SICILIA.
LE RELIGIONI
SOLITO GESU’ CONTRO MAOMETTO.
FEMMINE E LGBTI
SOLITO CHI COMANDA IL MONDO: FEMMINE E LGBTI.
IL GOVERNO
INDICE PRIMA PARTE
UNA BALLATA PER L’ITALIA (di Antonio Giangrande). L’ITALIA CHE SIAMO.
LA POVERTA’
UNA BALLATA PER AVETRANA (di Antonio Giangrande). L’AVETRANA CHE SIAMO.
PRESENTAZIONE DELL’AUTORE. (Ho scritto un saggio dedicato)
LA SOLITA INVASIONE BARBARICA SABAUDA. (Ho scritto un saggio dedicato)
Storia d’Italia.
INDICE SECONDA PARTE
LA SOLITA ITALIOPOLI. (Ho scritto un saggio dedicato)
L’Italianità.
Gli Antifascisti.
Italiani scommettitori.
Italioti Retrogradi.
Gli Arraffoni.
INDICE TERZA PARTE
SOLITA LADRONIA. (Ho scritto un saggio dedicato)
Italioti corrotti e corruttori.
La Questione Morale.
Tangentopoli Italiana.
Tangentopoli Europea.
INDICE QUARTA PARTE
SOLITO GOVERNOPOLI. MALGOVERNO ESEMPIO DI MORALITA’. (Ho scritto un saggio dedicato)
Il Potere.
La Geopolitica.
Nazi-fascismo e Comunismo: Economia pianificata.
I Conservatori.
Il Capitalismo.
Il Sovranismo.
Il Riformismo.
I Liberali.
I Popolari.
L’Opinionismo.
Il Populismo.
Il Complottismo.
Politica e magistratura, uno scontro lungo 30 anni.
Una Costituzione Catto-Comunista.
Democrazia: La Dittatura delle minoranze.
Democrazia: Il potere oscuro ed occulto. I Burocrati. Il Partito dello Stato: Deep State e Spoils system.
Il Presidenzialismo.
L’astensionismo.
I Brogli.
Lo Stato di Emergenza.
Quelli che…la Prima Repubblica.
Quelli che…la Seconda Repubblica.
Trasformisti e Voltagabbana.
Le Commissioni Parlamentari.
La Credibilità.
I Sondaggisti.
Il finanziamento pubblico.
I redditi dei politici.
I Privilegiati.
I Portavoce.
Servi di…
Un Popolo di Spie.
INDICE QUINTA PARTE
SOLITA APPALTOPOLI. (Ho scritto un saggio dedicato)
La Resistenza Morale.
Gli Appalti Pubblici.
La Normativa Antimafia.
SOLITA CONCORSOPOLI ED ESAMOPOLI. I CONCORSI ED ESAMI DI STATO TRUCCATI. (Ho scritto un saggio dedicato)
Impuniti.
Ignoranti e Magistrati.
ESAME DI AVVOCATO. LOBBY FORENSE, ABILITAZIONE TRUCCATA. (Ho scritto un saggio dedicato)
Ignoranti ed avvocati.
SOLITO SPRECOPOLI. (Ho scritto un saggio dedicato)
Sprechi Vari.
Le Multe UE.
Le Auto: blu e grigie.
Le Regioni.
L’Alitalia.
SOLITA SPECULOPOLI. L’ITALIA DELLE SPECULAZIONI.
L’Oro.
La Ricchezza.
I Ricconi alle nostre spalle.
I Bonus.
La Partita Iva.
Quelli che…Evasori Fiscali: Il Pizzo di Stato.
Il POS.
Il Patto di Stabilità.
Il MES.
Il PNRR.
Il ricatto del gas.
La Telefonia.
Bancopoli.
IL GOVERNO
PRIMA PARTE
UNA BALLATA PER L’ITALIA
(di Antonio Giangrande)
Sono un italiano vero e me ne vanto,
ma quest’Italia mica mi piace tanto.
Tra i nostri avi abbiamo condottieri, poeti, santi, navigatori,
oggi per gli altri siamo solo una massa di ladri e di truffatori.
Hanno ragione, è colpa dei contemporanei e dei loro governanti,
incapaci, incompetenti, mediocri e pure tanto arroganti.
Li si vota non perché sono o sanno, ma solo perché questi danno,
per ciò ci governa chi causa sempre e solo tanto malanno.
Noi lì a lamentarci sempre e ad imprecare,
ma poi siamo lì ogni volta gli stessi a rivotare.
Sono un italiano vero e me ne vanto,
ma quest’Italia mica mi piace tanto.
Codardia e collusione sono le vere ragioni,
invece siamo lì a differenziarci tra le regioni.
A litigare sempre tra terroni, po’ lentoni e barbari padani,
ma le invasioni barbariche non sono di tempi lontani?
Vili a guardare la pagliuzza altrui e non la trave nei propri occhi,
a lottar contro i più deboli e non contro i potenti che fanno pastrocchi.
Italiopoli, noi abbiamo tanto da vergognarci e non abbiamo più niente,
glissiamo, censuriamo, omertiamo e da quell’orecchio non ci si sente.
Sono un italiano vero e me ne vanto,
ma quest’Italia mica mi piace tanto.
Simulano la lotta a quella che chiamano mafia per diceria,
ma le vere mafie sono le lobbies, le caste e la massoneria.
Nei tribunali vince il più forte e non chi ha la ragione dimostrata,
così come abbiamo l’usura e i fallimenti truccati in una giustizia prostrata.
La polizia a picchiare, gli innocenti in anguste carceri ed i criminali fuori in libertà,
che razza di giustizia è questa se non solo pura viltà.
Abbiamo concorsi pubblici truccati dai legulei con tanta malizia,
così come abbiamo abusi sui più deboli e molta ingiustizia.
Sono un italiano vero e me ne vanto,
ma quest’Italia mica mi piace tanto.
Abbiamo l’insicurezza per le strade e la corruzione e l’incompetenza tra le istituzioni
e gli sprechi per accontentare tutti quelli che si vendono alle elezioni.
La costosa Pubblica Amministrazione è una palla ai piedi,
che produce solo disservizi anche se non ci credi.
Nonostante siamo alla fame e non abbiamo più niente,
c’è il fisco e l’erario che ci spreme e sull’evasione mente.
Abbiamo la cultura e l’istruzione in mano ai baroni con i loro figli negli ospedali,
e poi ci ritroviamo ad essere vittime di malasanità, ma solo se senza natali.
Sono un italiano vero e me ne vanto,
ma quest’Italia mica mi piace tanto.
Siamo senza lavoro e senza prospettive di futuro,
e le Raccomandazioni ci rendono ogni tentativo duro.
Clientelismi, favoritismi, nepotismi, familismi osteggiano capacità,
ma la nostra classe dirigente è lì tutta intera da buttà.
Abbiamo anche lo sport che è tutto truccato,
non solo, ma spesso si scopre pure dopato.
E’ tutto truccato fin anche l’ambiente, gli animali e le risorse agro alimentari
ed i media e la stampa che fanno? Censurano o pubblicizzano solo i marchettari.
Sono un italiano vero e me ne vanto,
ma quest’Italia mica mi piace tanto.
Gli ordini professionali di istituzione fascista ad imperare e l’accesso a limitare,
con la nuova Costituzione catto-comunista la loro abolizione si sta da decenni a divagare.
Ce lo chiede l’Europa e tutti i giovani per poter lavorare,
ma le caste e le lobbies in Parlamento sono lì per sé ed i loro figli a legiferare.
Questa è l’Italia che c’è, ma non la voglio, e con cipiglio,
eppure tutti si lamentano senza batter ciglio.
Che cazzo di Italia è questa con tanta pazienza,
non è la figlia del rinascimento, del risorgimento, della resistenza!!!
Sono un italiano vero e me ne vanto,
ma quest’Italia mica mi piace tanto.
Questa è un’Italia figlia di spot e di soap opera da vedere in una stanza,
un’Italia che produce veline e merita di languire senza speranza.
Un’Italia governata da vetusti e scaltri alchimisti
e raccontata sui giornali e nei tg da veri illusionisti.
Sono un italiano vero e me ne vanto,
ma se tanti fossero cazzuti come me, mi piacerebbe tanto.
Non ad usar spranghe ed a chi governa romper la testa,
ma nelle urne con la matita a rovinargli la festa.
Sono un italiano vero e me ne vanto,
ma quest’Italia mica mi piace tanto.
Rivoglio l’Italia all’avanguardia con condottieri, santi, poeti e navigatori,
voglio un’Italia governata da liberi, veri ed emancipati sapienti dottori.
Che si possa gridare al mondo: sono un italiano e me ne vanto!!
Ed agli altri dire: per arrivare a noi c’è da pedalare, ma pedalare tanto!!
Antonio Giangrande (scritta l’11 agosto 2012)
(di Antonio Giangrande)
Esser povero conviene
“Chiedi e ti sarà dato”
Disse Gesù se ti sorviene
“Cercate e troverete” ha annunciato
“Bussate e vi sarà aperto” è l’andirivieni
Se hai fame sarai saziato
Tanto qualcun altro interviene
Non hai un tetto troverai un casato
Il lavoro non lo cerchi e non viene
Tanto qualcun altro è tartassato
Da imprenditore lo Stato tutto si trattiene
Da operaio non vieni pagato
Tutto è gratis senza catene
Mantenuto, finanziato ed esentato
La ricchezza l’onestà non tiene
I ricchi son ricchi perché han rubato
Questo dogma si mantiene
Il povero è onesto nato
Ma non tutti la povertà contiene
I veri poveri han tentato
Se non hai qualcuno che interviene
Non a tutti vien donato
Esser comunisti è un bene
Tutto è mio e non viene dato.
Antonio Giangrande (scritta il 19 gennaio 2023)
(di Antonio Giangrande)
Avetrana mia, qua sono nato e che possiamo fare,
non ti sopporto, ma senza di te non posso stare.
Potevo nascere in Francia od in Germania, qualunque sia,
però potevo nascere in Africa od in Albania.
Siamo italiani, della provincia tarantina,
siamo sì pugliesi, ma della penisola salentina.
Il paese è piccolo e la gente sta sempre a criticare,
quello che dicono al vicino è vero o lo stanno ad inventare.
Qua sei qualcuno solo se hai denari, non se vali con la mente,
i parenti, poi, sono viscidi come il serpente.
Le donne e gli uomini sono belli o carini,
ma ci sposiamo sempre nei paesi più vicini.
Abbiamo il castello e pure il Torrione,
come abbiamo la Giostra del Rione,
per far capire che abbiamo origini lontane,
non come i barbari delle terre padane.
Abbiamo le grotte e sotto la piazza il trappeto,
le fontane dell’acqua e le cantine con il vino e con l’aceto.
Abbiamo il municipio dove da padre in figlio sempre i soliti stanno a comandare,
il comune dove per sentirsi importanti tutti ci vogliono andare.
Il comune intitolato alla Santo, che era la dottoressa mia,
di fronte alla sala gialla, chiamata Caduti di Nassiriya.
Tempo di elezioni pecore e porci si mettono in lista,
per fregare i bianchi, i neri e i rossi, stanno tutti in pista.
Mettono i manifesti con le foto per le vie e per la piazza,
per farsi votare dagli amici e da tutta la razza.
Però qua votano se tu dai,
e non perché se tu sai.
Abbiamo la caserma con i carabinieri e non gli voglio male,
ma qua pure i marescialli si sentono generale.
Abbiamo le scuole elementari e medie. Cosa li abbiamo a fare,
se continui a studiare, o te ne vai da qua o ti fai raccomandare.
Parlare con i contadini ignoranti non conviene, sia mai,
questi sanno più della laurea che hai.
Su ogni argomento è sempre negazione,
tu hai torto, perché l’ha detto la televisione.
Solo noi abbiamo l’avvocato più giovane d’Italia,
per i paesani, invece, è peggio dell’asino che raglia.
Se i diamanti ai porci vorresti dare,
quelli li rifiutano e alle fave vorrebbero mirare.
Abbiamo la piazza con il giardinetto,
dove si parla di politica nera, bianca e rossa.
Abbiamo la piazza con l’orologio erto,
dove si parla di calcio, per spararla grossa.
Abbiamo la piazza della via per mare,
dove i giornalisti ci stanno a denigrare.
Abbiamo le chiese dove sembra siamo amati,
e dove rimettiamo tutti i peccati.
Per una volta alla domenica che andiamo alla messa dal prete,
da cattivi tutto d’un tratto diventiamo buoni come le monete.
Abbiamo San Biagio, con la fiera, la cupeta e i taralli,
come abbiamo Sant’Antonio con i cavalli.
Di San Biagio e Sant’Antonio dopo i falò per le strade cosa mi resta,
se ci ricordiamo di loro solo per la festa.
Non ci scordiamo poi della processione per la Madonna e Cristo morto, pure che sia,
come neanche ci dobbiamo dimenticare di San Giuseppe con la Tria.
Abbiamo gli oratori dove portiamo i figli senza prebende,
li lasciamo agli altri, perché abbiamo da fare altri faccende.
Per fare sport abbiamo il campo sportivo e il palazzetto,
mentre io da bambino giocavo giù alle cave senza tetto.
Abbiamo le vigne e gli ulivi, il grano, i fichi e i fichi d’india con aculei tesi,
abbiamo la zucchina, i cummarazzi e i pomodori appesi.
Abbiamo pure il commercio e le fabbriche per lavorare,
i padroni pagano poco, ma basta per campare.
Abbiamo la spiaggia a quattro passi, tanto è vicina,
con Specchiarica e la Colimena, il Bacino e la Salina.
I barbari padani ci chiamano terroni mantenuti,
mica l’hanno pagato loro il sole e il mare, questi cornuti??
Io so quanto è amaro il loro pane o la michetta,
sono cattivi pure con la loro famiglia stretta.
Abbiamo il cimitero dove tutti ci dobbiamo andare,
lì ci sono i fratelli e le sorelle, le madri e i padri da ricordare.
Quelli che ci hanno lasciato Avetrana, così come è stata,
e noi la dobbiamo lasciare meglio di come l’abbiamo trovata.
Nessuno è profeta nella sua patria, neanche io,
ma se sono nato qua, sono contento e ringrazio Dio.
Anche se qua si sentono alti pure i nani,
che se non arrivano alla ragione con la bocca, la cercano con le mani.
Qua so chi sono e quanto gli altri valgono,
a chi mi vuole male, neanche li penso,
pure che loro mi assalgono,
io guardo avanti e li incenso.
Potevo nascere tra la nebbia della padania o tra il deserto,
sì, ma li mi incazzo e poi non mi diverto.
Avetrana mia, finchè vivo ti faccio sempre onore,
anche se i miei paesani non hanno sapore.
Il denaro, il divertimento e la panza,
per loro la mente non ha usanza.
Ti lascio questo poema come un quadro o una fotografia tra le mani,
per ricordarci sempre che oggi stiamo, però non domani.
Dobbiamo capire: siamo niente e siamo tutti di passaggio,
Avetrana resta per sempre e non ti dà aggio.
Se non lasci opere che restano,
tutti di te si scordano.
Per gli altri paesi questo che dico non è diverso,
il tempo passa, nulla cambia ed è tutto tempo perso.
La Ballata ti l'Aitrana
(di Antonio Giangrande)
Aitrana mia, quà già natu e ce ma ffà,
no ti pozzu vetè, ma senza ti te no pozzu stà.
Putia nasciri in Francia o in Germania, comu sia,
però putia nasciri puru in africa o in Albania.
Simu italiani, ti la provincia tarantina,
simu sì pugliesi, ma ti la penisula salentina.
Lu paisi iè piccinnu e li cristiani sempri sciotucunu,
quiddu ca ticunu all’icinu iè veru o si l’unventunu.
Qua sinti quarche tunu sulu ci tieni, noni ci sinti,
Li parienti puè so viscidi comu li serpienti.
Li femmini e li masculi so belli o carini,
ma ni spusamu sempri alli paisi chiù icini.
Tinimu lu castellu e puru lu Torrioni,
comu tinumu la giostra ti li rioni,
pi fa capii ca tinimu l’origini luntani,
no cumu li barbari ti li padani.
Tinimu li grotti e sotta la chiazza lu trappitu,
li funtani ti l’acqua e li cantini ti lu mieru e di l’acitu.
Tinimu lu municipiu donca fili filori sempri li soliti cumannunu,
lu Comuni donca cu si sentunu impurtanti tutti oluni bannu.
Lu comuni ‘ntitolato alla Santu, ca era dottori mia,
ti fronti alla sala gialla, chiamata Catuti ti Nassiria.
Tiempu ti votazioni pecuri e puerci si mettunu in lista,
pi fottiri li bianchi, li neri e li rossi, stannu tutti in pista.
Basta ca mettunu li manifesti cu li fotu pi li vii e pi la chiazza,
cu si fannu utà ti li amici e di tutta la razza.
Però quà votunu ci tu tai,
e no piccè puru ca tu sai.
Tinumu la caserma cu li carabinieri e no li oiu mali,
ma qua puru li marescialli si sentunu generali.
Tinimu li scoli elementari e medi. Ce li tinimu a fà,
ci continui a studià, o ti ni ai ti quà o ta ffà raccumandà.
Cu parli cu li villani no cunvieni,
quisti sapunu chiù ti la lauria ca tieni.
Sobbra all’argumentu ti ticunu ca iè noni,
tu tieni tuertu, piccè le ditto la televisioni.
Sulu nui tinimu l’avvocatu chiù giovini t’Italia,
pi li paisani, inveci, iè peggiu ti lu ciucciu ca raia.
Ci li diamanti alli puerci tai,
quiddi li scanzunu e mirunu alli fai.
Tinumu la chiazza cu lu giardinettu,
do si parla ti pulitica nera, bianca e rossa.
Tinimu la chiazza cu l’orologio iertu,
do si parla ti palloni, cu la sparamu grossa.
Tinimu la chiazza ti la strata ti mari,
donca ni sputtanunu li giornalisti amari.
Tinimu li chiesi donca pari simu amati,
e donca rimittimu tutti li piccati.
Pi na sciuta a la tumenica alla messa do li papi,
di cattivi tuttu ti paru divintamu bueni comu li rapi.
Tinumu San Biagiu, cu la fiera, la cupeta e li taraddi,
comu tinimu Sant’Antoni cu li cavaddi.
Ti San Biagiu e Sant’Antoni toppu li falò pi li strati c’è mi resta,
ci ni ricurdamo ti loru sulu ti la festa.
No nni scurdamu puè ti li prucissioni pi la Matonna e Cristu muertu, comu sia,
comu mancu ni ma scurdà ti San Giseppu cu la Tria.
Tinimu l’oratori do si portunu li fili,
li facimu batà a lautri, piccè tinimu a fà autri pili.
Pi fari sport tinimu lu campu sportivu e lu palazzettu,
mentri ti vanioni iu sciucava sotto li cavi senza tettu.
Tinimu li vigni e l’aulivi, lu cranu, li fichi e li ficalinni,
tinimu la cucuzza, li cummarazzi e li pummitori ca ti li pinni.
Tinimu puru lu cummerciu e l’industri pi fatiari,
li patruni paiunu picca, ma basta pi campari.
Tinumu la spiaggia a quattru passi tantu iè bicina,
cu Spicchiarica e la Culimena, lu Bacinu e la Salina.
Li barbari padani ni chiamunu terruni mantinuti,
ce lonnu paiatu loro lu soli e lu mari, sti curnuti??
Sacciu iù quantu iè amaru lu pani loru,
so cattivi puru cu li frati e li soru.
Tinimu lu cimitero donca tutti ma sciri,
ddà stannu li frati e li soru, li mammi e li siri.
Quiddi ca nonnu lassatu laitrana, comu la ma truata,
e nui la ma lassa alli fili meiu ti lu tata.
Nisciunu iè prufeta in patria sua, mancu iù,
ma ci già natu qua, so cuntentu, anzi ti chiù.
Puru ca quà si sentunu ierti puru li nani,
ca ci no arriunu alla ragioni culla occa, arriunu culli mani.
Qua sacciu ci sontu e quantu l’autri valunu,
a cinca mi oli mali mancu li penzu,
puru ca loru olunu mi calunu,
iu passu a nanzi e li leu ti mienzu.
Putia nasciri tra la nebbia di li padani o tra lu disertu,
sì, ma ddà mi incazzu e puè non mi divertu.
Aitrana mia, finchè campu ti fazzu sempri onori,
puru ca li paisani mia pi me no tennu sapori.
Li sordi, lu divertimentu e la panza,
pi loro la menti no teni usanza.
Ti lassu sta cantata comu nu quatru o na fotografia ti moni,
cu ni ricurdamu sempri ca mo stamu, però crai noni.
Ma ccapì: simu nisciunu e tutti ti passaggiu,
l’aitrana resta pi sempri e no ti tai aggiu.
Ci no lassi operi ca restunu,
tutti ti te si ni scordunu.
Pi l’autri paisi puè qustu ca ticu no iè diversu,
lu tiempu passa, nienti cangia e iè tuttu tiempu persu.
Testi scritti il 24 aprile 2011, dì di Pasqua.
PRESENTAZIONE DELL’AUTORE. (Ho scritto un saggio dedicato)
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CURRICULUM VITAE DI GIANGRANDE ANTONIO
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DATI PERSONALI
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Giangrande Antonio Di Oronzo Giangrande bracciante agricolo 22/04/1937 – 10/10/2022 e Antonia Santo bracciante agricola 21/02/41 Nato ad Avetrana (TA) il 02-06-1963 Residente ad Avetrana (TA) in via A. Manzoni n. 49 Tel/Fax 099.9708396 Cell.3289163996 |
DATI FAMILIARI |
Moglie da 01/03/1984: Cosima Petarra Erchie 08/05/1964 addetta impresa pulizie Figli:
Nipoti, figli di Tamara:
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TITOLI DI STUDIO
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CERTIFICATO PENALE |
Incensurato – nessun carico pendente Questo nonostante i reiterati tentativi di incriminazione di alcuni Magistrati ed Avvocati di Taranto per reati di opinione per aver denunciato la malagiustizia a Taranto e per aver scritto inchieste in tutta Italia. L’intento era, oltre impedirmi l’abilitazione forense, impedirmi di partecipare ai Concorsi Pubblici, per cause inibenti di procedimenti penali conclusi con condanne o ancora in corso. Procedimenti estinti senza seguito: Mancini, De Prezzo, Calora, Dimitri, Cavallo, Romano, Coccioli, Bravo, ecc. |
CONOSCENZE DELLE LINGUE
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CONOSCENZE INFORMATICHE |
Sistema Operativo: Windows Applicativi: Word, Excel, Frontpage, Microsoft Expression |
PATENTI AUTO |
A, B, C, D, E, (CAP non rinnovato) |
POSIZIONE MILITARE
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Servizio Militare assolto dal 27 maggio 1982 al 9 maggio 1983 presso il Battaglione Logistico Paracadutisti di Pisa |
ESPERIENZA LAVORATIVA
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INCARICHI PUBBLICI |
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CONCORSI PUBBLICI |
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ESPERIENZA ASSOCIATIVA
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Fondatore e Presidente Nazionale della “Associazione Contro Tutte le Mafie” |
ATTIVITA’ SPORTIVE |
Calcio – Paracadutismo militare – Corsa di resistenza - Podismo Boxe – Arti marziali |
FUNZIONI AZIENDALI OFFERTE
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Figura Professionale Duttile, Competente |
MOVIMENTAZIONE
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Disponibilità alle trasferte |
LEGGE SULLA PRIVACY
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Autorizzati al trattamento dei dati ai sensi del D.Lgs. 196/2003 |
Dr Antonio Giangrande
Antonio Giangrande: Quando ero piccolo a scuola, come in famiglia, mi insegnavano ad adempiere ai miei doveri: studiare per me per sapere; lavorare per la famiglia; assolvere la leva militare per la difesa della patria; frequentare la chiesa ed assistere alla messa domenicale; ascoltare i saggi ed i sapienti per imparare, rispettare il prossimo in generale ed in particolare i più grandi, i piccoli e le donne, per essere rispettato. La visita giornaliera ai nonni ed agli zii era obbligatoria perché erano subgenitori. I cugini erano fratelli. Il saluto preventivo agli estranei era dovuto. Ero felice e considerato. L'elargizione dei diritti era un premio che puntuale arrivava. Contava molto di più essere onesti e solidali che non rivendicare o esigere qualcosa che per legge o per convenzione ti spettava. Oggi: si pretende (non si chiede) il rispetto del proprio (e non dell'altrui) diritto, anche se non dovuto; si parla sempre con imposizione della propria opinione; si fa a meno di studiare e lavorare o lo si impedisce di farlo, come se fosse un dovere, più che un diritto; la furbizia per fottere il prossimo è un dono, non un difetto. Non si ha rispetto per nessun'altro che non sia se stesso. Non esiste più alcun valore morale. Non c'è più Stato; nè Famiglia; nè religione; nè amicizia. Sui social network, il bar telematico, sguazzano orde di imbecilli. Quanto più amici asocial si hanno, più si è soli. Questa è l'involuzione della specie nella società moderna liberalcattocomunista.
Antonio Giangrande: Non dovevo nascere.
A proposito di figlicidio. Alla morte di mio padre ogni tabù è caduto. Mia madre mi ha raccontato che sono un sopravvissuto. Uno che non doveva nascere.
Mia nonna paterna era la matrona della famiglia. Era lei a decidere le sorti dei suoi otto figli: quattro maschi e quattro femmine.
Era lei a decidere anche nelle loro famiglie.
Mio padre e mia madre erano appena sposati ed era mia nonna paterna a decidere il loro destino.
Li costrinse ad emigrare per lavorare.
Ma c’era un problema: mia madre era incinta. Ed era un intoppo.
La portò dalla “mammana”, una ostetrica casalinga.
La signora chiese a mia madre: perché vuoi abortire?
Essa, ignara, rispose: cosa è l’aborto?
Era stata portata in quel posto senza sapere cosa dovesse fare. Portata dalla madre di mio padre e, sicuramente, con l’assenso di lui, perché io non ho mai saputo di questo fatto, né che ci siano state ripercussioni nei rapporti tra mio padre e sua madre.
La “mammana” chiese a mia madre: tu lo vuoi questo bambino? Sì, rispose mia madre.
La “mammana” disse a mia nonna paterna: se anziché tua nuora, fosse tua figlia, faresti fare questa cosa? No, rispose mia nonna paterna.
La “mammana” intimò a mia nonna: porta a casa sta piccina e lasciala stare.
Oggi sono qui a raccontare quest’episodio. La mia vita è stata una sofferenza perenne di uno che non doveva nascere: un inaccettato per tutta la vita, avvinghiato da povertà ed ignoranza.
Oggi mio padre è morto per tumore alla prostata. Male che si lascia in eredità.
Mio padre era uno che nulla faceva per gli altri, ma lo pretendeva per sé.
Mio padre, però, sicuramente, era uno che dava. E a me, tra le altre cose, ha dato il suo male.
Oggi, però, sono qui a raccontare che sono un sopravvissuto che non doveva nascere. E tutto quel che è successo è tutto di guadagnato. Sicuro di aver guadagnato 60 anni di vita, pur tribolata.
Antonio Giangrande: Io sono il segnalatore di illeciti (whistleblower) più ignorato ed oltre modo più perseguitato e vittima di ritorsioni del mondo. Ciononostante non mi batto per la mia tutela, in quanto sarebbe inutile dato la coglionaggine o la corruzione imperante, ma lotto affinchè gli altri segnalatori, che imperterriti si battono esclusivamente ed inanemente per la loro bandiera, non siano tacciati di mitomania o pazzia. Dimostro al mondo che le segnalazioni sono tanto fondate, quanto ignorate od impunite, data la diffusa correità o ignoranza o codardia.
Antonio Giangrande: Collana editoriale “L’Italia del Trucco, l’Italia che siamo”. Una lettura alternativa per l’estate, ma anche per tutto l’anno. L’autore Antonio Giangrande: “Conoscere per giudicare”.
"Fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza". Dante, Inferno XXVI.
La collana editoriale indipendente “L’Italia del Trucco, l’Italia che siamo” racconta un’Italia inenarrabile ed inenarrata.
È così, piaccia o no ai maestrini, specie quelli di sinistra. Dio sa quanto gli fa torcere le budella all’approcciarsi del cittadino comune, ai cultori e praticanti dello snobismo politico, imprenditoriale ed intellettuale, all’élite che vivono giustificatamente separati e pensosi, perennemente con la puzza sotto il naso.
Il bello è che, i maestrini, se è contro i loro canoni, contestano anche l’ovvio.
Come si dice: chi sa, fa; chi non sa, insegna.
In Italia, purtroppo, vigono due leggi.
La prima è la «meritocrazia del contenuto». Secondo questa regola tutto quello che non è dichiaratamente impegnato politicamente è materia fecale. La conseguenza è che, per dimostrare «l'impegno», basta incentrare tutto su un contenuto e schierarsene ideologicamente a favore: mafia, migranti, omosessualità, ecc. Poi la forma non conta, tantomeno la realtà della vita quotidiana. Da ciò deriva che, se si scrive in modo neutro (e quindi senza farne una battaglia ideologica), si diventa non omologato, quindi osteggiato o emarginato o ignorato.
La seconda legge è collegata alla prima. La maggior parte degli scrittori nostrani si è fatta un nome in due modi. Primo: rompendo le balle fin dall'esordio con la superiorità intellettuale rispetto alle feci che sarebbero i «disimpegnati».
Secondo modo per farsi un nome: esordire nella medietà (cioè nel tanto odiato nazional-popolare), per poi tentare il salto verso la superiorità.
Il copione lo conosciamo: a ogni gaffe di cultura generale scatta la presa in giro. Il problema è che a perderci sono proprio loro, i maestrini col ditino alzato. Perché è meno grave essere vittime dello scadimento culturale del Paese che esserne responsabili. Perché, nonostante le gaffe conclamate e i vostri moti di sdegno e scherno col ditino alzato su congiuntivi, storia e geografia, gli errori confermano a pieno titolo come uomini di popolo, gente comune, siano vittime dello scadimento culturale del Paese e non siano responsabili di una sub cultura menzognera omologata e conforme. Forse alla gente comune rompe il cazzo il sentire le prediche e le ironie di chi - lungi dall’essere anche solo avvicinabile al concetto di élite - pensa di saperne un po’ di più. Forse perché ha avuto insegnanti migliori, o un contesto famigliare un po’ più acculturato, o il tempo di leggere qualche libro in più. O forse perchè ha maggior dose di presunzione ed arroganza, oppure occupa uno scranno immeritato, o gli si dà l’opportunità mediatica immeritata, che gli dà un posto in alto e l’opportunità di vaneggiare.
Non c'è nessun genio, nessun accademico tra i maestrini. Del resto, mai un vero intellettuale si permetterebbe di correggere una citazione errata, tantomeno di prenderne in giro l'autore. Solo gente normale con una cultura normale pure loro, con una alta dose di egocentrismo, cresciuti a pane, magari a videocassette dell’Unità di Veltroni e citazioni a sproposito di Pasolini. Maestrini che vedono la pagliuzza negli occhi altrui, pagliuzza che spesso non c'è neppure, e non hanno coscienza della trave nei loro occhi o su cui sono appoggiati.
Antonio Giangrande: Il nuovo comunistambientalismo combatte una battaglia retrograda, coinvolgendo le menti vergini degli studenti che assimilano tutto quanto la scuola di regime gli propini.
L'intento è quello di far regredire una civiltà secolare, sviluppata con conquiste sociali ed economiche.
Il progresso tecnologico ed industriale irrinunciabile è basato sullo sfruttamento delle risorse. Le auto per spostarci, il benessere con gli elettrodomestici e le forme di comunicazione.
Il progresso tecnologico ed industriale ha prodotto benessere, con lavoro e sviluppo sociale, con parificazione dei censi.
Il Benessere ha fatto proliferare l’umanità.
L'uguaglianza sociale ha portato allo sviluppo sociale con svago e divertimento con il turismo e lo sfruttamento dell'ambiente.
Per gli ambiental-qualunquisti o populisti ambientali il progresso va cancellato. La popolazione mondiale ridimensionata.
Si torna alla demografia latente e gli spostamenti a piedi, nemmeno a cavallo, perchè gli animali producono biogas. Oltretutto, per questo motivo, non si possono allevare gli animali. La nuova religione è il veganismo.
Si comunicherà con le nuvole di fumo. E si torna nelle grotte dove fa fresco l'estate e ci si sta caldi e riparati d'inverno.
Inoltre bisogna che la foresta ed i boschi invadano la terra. Pari passo a pale eoliche e campi estesi di pannelli solari. La natura e l’energia alternativa al primo posto, agli animali (all'uomo per ultimo) quel che resta. Vuoi mettere la difesa di un nido di uccello palustre, rispetto alla creazione di posti di lavoro con un villaggio turistico eco-sostenibile sulla costa? E poi il business delle rinnovabili come si farà?
Come sempre i massimalisti dell'ecologia non mediano: o è bianco o è nero. Per loro è inconcepibile l'equilibrio tra progresso e rispetto della natura e degli affari.
Antonio Giangrande: Correggi un sapiente ed esso diventerà più colto. Correggi un ignorante ed esso diventerà un tuo acerrimo nemico.
Molti non ti odiano perché gli hai fatto del male, ma perché sei migliore di loro.
Più stupido di chi ti giudica senza sapere nulla di te è colui il quale ti giudica per quello che gli altri dicono di te. Perché le grandi menti parlano di idee; le menti medie parlano di fatti; le infime menti parlano solo male delle persone.
Le bugie sono create dagli invidiosi, ripetute dai cretini e credute dagli idioti, perché un grammo di comportamento esemplare, vale un quintale di parole. Le menti mediocri condannano sempre ciò che non riescono a capire.
E se la strada è in salita, è solo perché sei destinato ad arrivare in alto.
Ci sono persone per indole nate per lavorare e/o combattere. Da loro ci si aspetta tanto ed ai risultati non corrispondono elogi. Ci sono persone nate per oziare. Da loro non ci si aspetta niente. Se fanno poco sono sommersi di complimenti. Guai ad aspettare le lodi del mondo. Il mondo è un cattivo pagatore e quando paga lo fa sempre con l’ingratitudine.
Il ciclo vitale biologico della natura afferma che si nasce, si cresce, ci si riproduce, si invecchia e si muore e l’evoluzione fa vincere i migliori. Solo a noi umani è dato dare un senso alla propria vita.
Ergo. Ai miei figli ho insegnato:
Le ideologie, le confessioni, le massonerie vi vogliono ignoranti;
Le mafie, le lobbies e le caste vi vogliono assoggettati;
Le banche vi vogliono falliti;
La burocrazia vi vuole sottomessi;
La giustizia vi vuole prigionieri;
Siete nati originali…non morite fotocopia.
Siate liberi. Studiare, ma non fermarsi alla cultura omologata. La conoscenza è l'arma migliore per vincere.
Antonio Giangrande: Art. 104, comma 1, della Costituzione italiana cattocomunista.
La magistratura costituisce un ordine autonomo ed indipendente da ogni altro potere. (.)
La magistratura per la destra è un Ordine (come acclarato palesemente), per la sinistra è un Potere (da loro dedotto dalla distinzione "da ogni altro potere").
Autonomia dei Magistrati: autogoverno con selezione e formazione per l’omologazione, nomine per la conformità e controllo interno per l’impunità. Affinchè, cane non mangi cane.
Indipendenza dei Magistrati: decisioni secondo equità e legalità, cioè secondo scienza e coscienza. Ossia: si decide come cazzo pare, tanto il collega conferma.
Antonio Giangrande: Noi siamo quello che altri hanno voluto che diventassimo.
Da una parte, l’ideologia comunista si è adoperata con la corruzione culturale:
attraverso la televisione di Stato e similari;
con la propaganda ideologica continua dei giornalisti militanti di regime;
con insegnamenti ed indottrinamenti ideologici scolastici ed universitari frutto di una egemonia culturale.
Dall’altra parte, la depravazione culturale messa in opera dalle televisioni commerciali di Berlusconi, anticomuniste ed antimeridionaliste.
Infine con la perversione delle religioni, miranti ad avere il predominio delle masse per il proprio sostentamento.
Insomma. Lavaggio del cervello: dalla culla alla tomba.
Solo i comunisti potevano pensare una Costituzione, il cui principio portante fosse il Lavoro e non la Libertà. Libertà che la Carta pone solo come obbiettivo per poter esercitare alcuni diritti dalla stessa Costituzione elencati. Libertà come strumento e non come principio. Libertà meno importante addirittura dell’Uguaglianza. Questa ultima inserita, addirittura, come principio meno importante del Lavoro e della Solidarietà. Già. Per i comunisti “IL LAVORO RENDE LIBERI”. ARBEIT MACHT FREI (dal tedesco: “Il lavoro rende liberi”) era il motto posto all'ingresso di numerosi campi di concentramento. Una reminiscenza tratta da una ideologia totalitaria che proprio dal socialismo trae origine: il Nazismo.
Antonio Giangrande: Ad ogni azione umana nefasta si trova sempre una giustificazione...lo si fa per le piante...lo si fa per gli animali...lo si fa per le persone! Ma, alla fine, rimane solo un'azione nefasta che fa male al prossimo...e, spesso, il prossimo siamo noi. A parte il partito preso, noi siamo tutti responsabili delle azioni nefaste di uno, quando gli permettiamo di farle.
Antonio Giangrande: SE NASCI IN ITALIA……
Quando si nasce nel posto sbagliato e si continua a far finta di niente.
Io sono Antonio Giangrande, noto autore di saggi pubblicati su Lulu.com, che raccontano questa Italia alla rovescia. A tal fine tra le tante opere da me scritte vi è “Italiopolitania. Italiopoli degli italioti”. Di questo, sicuramente, non gliene fregherà niente a nessuno. Fatto sta che io non faccio la cronaca, ma di essa faccio storia, perché la quotidianità la faccio raccontare ai testimoni del loro tempo. Certo che anche di questo non gliene può fregar di meno a tutti. Ma una storiella raccontata da Antonio Menna che spiega perché, tu italiano, devi darti alla fuga dall’Italia, bisogna proprio leggerla. Mettiamo che Steve Jobs sia nato in Italia. Si chiama Stefano Lavori. Non va all’università, è uno smanettone. Ha un amico che si chiama Stefano Vozzini. Sono due appassionati di tecnologia, qualcuno li chiama ricchioni perchè stanno sempre insieme. I due hanno una idea. Un computer innovativo. Ma non hanno i soldi per comprare i pezzi e assemblarlo. Si mettono nel garage e pensano a come fare. Stefano Lavori dice: proviamo a venderli senza averli ancora prodotti. Con quegli ordini compriamo i pezzi. Mettono un annuncio, attaccano i volantini, cercano acquirenti. Nessuno si fa vivo. Bussano alle imprese: “volete sperimentare un nuovo computer?”. Qualcuno è interessato: “portamelo, ti pago a novanta giorni”. “Veramente non ce l’abbiamo ancora, avremmo bisogno di un vostro ordine scritto”. Gli fanno un ordine su carta non intestata. Non si può mai sapere. Con quell’ordine, i due vanno a comprare i pezzi, voglio darli come garanzia per avere credito. I negozianti li buttano fuori. “Senza soldi non si cantano messe”. Che fare? Vendiamoci il motorino. Con quei soldi riescono ad assemblare il primo computer, fanno una sola consegna, guadagnano qualcosa. Ne fanno un altro. La cosa sembra andare. Ma per decollare ci vuole un capitale maggiore. “Chiediamo un prestito”. Vanno in banca. “Mandatemi i vostri genitori, non facciamo credito a chi non ha niente”, gli dice il direttore della filiale. I due tornano nel garage. Come fare? Mentre ci pensano bussano alla porta. Sono i vigili urbani. “Ci hanno detto che qui state facendo un’attività commerciale. Possiamo vedere i documenti?”. “Che documenti? Stiamo solo sperimentando”. “Ci risulta che avete venduto dei computer”. I vigili sono stati chiamati da un negozio che sta di fronte. I ragazzi non hanno documenti, il garage non è a norma, non c’è impianto elettrico salvavita, non ci sono bagni, l’attività non ha partita Iva. Il verbale è salato. Ma se tirano fuori qualche soldo di mazzetta, si appara tutto. Gli danno il primo guadagno e apparano. Ma il giorno dopo arriva la Finanza. Devono apparare pure la Finanza. E poi l’ispettorato del Lavoro. E l’ufficio Igiene. Il gruzzolo iniziale è volato via. Se ne sono andati i primi guadagni. Intanto l’idea sta lì. I primi acquirenti chiamano entusiasti, il computer va alla grande. Bisogna farne altri, a qualunque costo. Ma dove prendere i soldi? Ci sono i fondi europei, gli incentivi all’autoimpresa. C’è un commercialista che sa fare benissimo queste pratiche. “State a posto, avete una idea bellissima. Sicuro possiamo avere un finanziamento a fondo perduto almeno di 100mila euro”. I due ragazzi pensano che è fatta. “Ma i soldi vi arrivano a rendicontazione, dovete prima sostenere le spese. Attrezzate il laboratorio, partire con le attività, e poi avrete i rimborsi. E comunque solo per fare la domanda dobbiamo aprire la partita Iva, registrare lo statuto dal notaio, aprire le posizioni previdenziali, aprire una pratica dal fiscalista, i libri contabili da vidimare, un conto corrente bancario, che a voi non aprono, lo dovete intestare a un vostro genitore. Mettetelo in società con voi. Poi qualcosa per la pratica, il mio onorario. E poi ci vuole qualcosa di soldi per oliare il meccanismo alla regione. C’è un amico a cui dobbiamo fare un regalo sennò il finanziamento ve lo scordate”. “Ma noi questi soldi non ce li abbiamo”. “Nemmeno qualcosa per la pratica? E dove vi avviate?”. I due ragazzi decidono di chiedere aiuto ai genitori. Vendono l’altro motorino, una collezione di fumetti. Mettono insieme qualcosa. Fanno i documenti, hanno partita iva, posizione Inps, libri contabili, conto corrente bancario. Sono una società. Hanno costi fissi. Il commercialista da pagare. La sede sociale è nel garage, non è a norma, se arrivano di nuovo i vigili, o la finanza, o l’Inps, o l’ispettorato del lavoro, o l’ufficio tecnico del Comune, o i vigili sanitari, sono altri soldi. Evitano di mettere l’insegna fuori della porta per non dare nell’occhio. All’interno del garage lavorano duro: assemblano i computer con pezzi di fortuna, un po’ comprati usati un po’ a credito. Fanno dieci computer nuovi, riescono a venderli. La cosa sembra poter andare. Ma un giorno bussano al garage. E’ la camorra. Sappiamo che state guadagnando, dovete fare un regalo ai ragazzi che stanno in galera. “Come sarebbe?”. “Pagate, è meglio per voi”. Se pagano, finiscono i soldi e chiudono. Se non pagano, gli fanno saltare in aria il garage. Se vanno alla polizia e li denunciano, se ne devono solo andare perchè hanno finito di campare. Se non li denunciano e scoprono la cosa, vanno in galera pure loro. Pagano. Ma non hanno più i soldi per continuare le attività. Il finanziamento dalla Regione non arriva, i libri contabili costano, bisogna versare l’Iva, pagare le tasse su quello che hanno venduto, il commercialista preme, i pezzi sono finiti, assemblare computer in questo modo diventa impossibile, il padre di Stefano Lavori lo prende da parte e gli dice “guagliò, libera questo garage, ci fittiamo i posti auto, che è meglio”. I due ragazzi si guardano e decidono di chiudere il loro sogno nel cassetto. Diventano garagisti. La Apple in Italia non sarebbe nata, perchè saremo pure affamati e folli, ma se nasci nel posto sbagliato rimani con la fame e la pazzia, e niente più.
Dr Antonio Giangrande
Antonio Giangrande, orgoglioso di essere diverso.
Rappresentare con verità storica, anche scomoda ai potenti di turno, la realtà contemporanea, rapportandola al passato e proiettandola al futuro. Per non reiterare vecchi errori. Perché la massa dimentica o non conosce. Denuncio i difetti e caldeggio i pregi italici. Perché non abbiamo orgoglio e dignità per migliorarci e perché non sappiamo apprezzare, tutelare e promuovere quello che abbiamo ereditato dai nostri avi. Insomma, siamo bravi a farci del male e qualcuno deve pur essere diverso!
Antonio Giangrande, perché è diverso dagli altri?
Perché lui spiega cosa è la legalità, gli altri non ne parlano, ma ne sparlano.
La legalità è un comportamento conforme alla legge ed ai regolamenti di attuazione e la sua applicazione necessaria dovrebbe avvenire secondo la comune Prassi legale di riferimento.
Legge e Prassi sono le due facce della stessa medaglia.
La Legge è votata ed emanata in nome del popolo sovrano. I Regolamenti di applicazione sono predisposti dagli alti Burocrati e già questo non va bene. La Prassi, poi, è l’applicazione della Legge negli Uffici Pubblici, nei Tribunali, ecc., da parte di un Sistema di Potere che tutela se stesso con usi e consuetudini consolidati. Sistema di Potere composto da Caste, Lobbies, Mafie e Massonerie.
Ecco perché vige il detto: La Legge si applica per i deboli e si interpreta per i forti.
La correlazione tra Legge e Prassi e come quella che c’è tra il Dire ed il Fare: c’è di mezzo il mare.
Parlare di legge, bene o male, ogni leguleio o azzeccagarbugli o burocrate o boiardo di Stato può farlo. Più difficile per loro parlar di Prassi generale, conoscendo loro signori solo la prassi particolare che loro coltivano per i propri interessi di privilegiati. Prassi che, però, stanno attenti a non svelare.
Ed è proprio la Prassi che fotte la Legge.
La giustizia che debba essere uguale per tutti parrebbe essere un principio che oggi consideriamo irrinunciabile, anche se non sempre pienamente concretizzabile nella pratica quotidiana. Spesso assistiamo a fenomeni di corruzione, all’applicazione della legge in modo diverso secondo i soggetti coinvolti. E l’la disfunzione è insita nella predisposizione umana.
Essa vien da lontano.
E’ lo stesso Alessandro Manzoni che parla di “Azzeccagarbugli” genuflessi ai mafiosi del tempo al capitolo 3 dei “Promessi Sposi”. Ma non sarebbe stato il Manzoni a coniare l’accoppiata tra il verbo “azzeccare” e il sostantivo “garbuglio” stante che quando la parola entrò nei “Promessi Sposi”, aveva un’età superiore ai tre secoli. Il primo ad usarla fu Niccolò Machiavelli che, in un passo delle "Legazioni" (1510), scrive: “Voi sapete che i mercatanti vogliono fare le cose loro chiare e non azzeccagarbugli”.
A Parlar di azzeccagarbugli non vi pare che si parli dei nostri contemporanei legulei togati, siano essi magistrati od avvocati?
Additare i difetti altrui è cosa che tutti sanno fare, più improbabile è indicare e correggere i propri.
Non abbiamo bisogno di eroi, né, tantomeno, di mistificatori con la tonaca (toga e divisa). L’abito non fa il monaco. La legalità non va promossa solo nella forma, ma va coltivata anche nella sostanza. E’ sbagliato ergersi senza meriti dalla parte dei giusti.
Se scrivi e dici la verità con il coraggio che gli altri non hanno, il risultato non sarà il loro rinsavimento ma l’essere tu additato come pazzo. Ti scontri sempre con la permalosità di magistrati e giornalisti e la sornionità degli avvocati avvezzi solo ai loro interessi. Categorie di saccenti che non ammettono critiche. Se scrivi e sei del centro-nord Italia, i conterranei diranno: che bel libro, bravo, è uno di noi. Se scrivi e sei del centro-sud Italia i conterranei diranno: quel libro l’avrei scritto anch’io, anzi meglio, ma sono solo cazzate.
Libri shock. Saggi d’inchiesta che denunciano il degrado istituzionale e sociale ed il malaffare in Italia.
Un Libro per ogni tema sociale. Un Libro per ogni città.
“L'Italia tenuta al guinzaglio da un sistema di potere composto da caste, lobbies, mafie e massonerie: un'Italia che deve subire e deve tacere. La “Politica” deve essere legislazione o amministrazione nell’eterogenea rappresentanza d’interessi, invece è meretricio o mendicio, mentre le “Istituzioni” devono meritarlo il rispetto, non pretenderlo. Il rapporto tra cittadini e il rapporto tra cittadini e Stato è regolato dalla forza della legge. Quando non vi è cogenza di legge, vige la legge del più forte e il debole soccombe. Allora uno “Stato di Diritto” degrada in anarchia. In questo caso è palese la responsabilità politica ed istituzionale per incapacità o per collusione. Così come è palese la responsabilità dei media per omertà e dei cittadini per codardia o emulazione."
Di Antonio Giangrande
Antonio Giangrande: Non si è colti, nè ignoranti: si è nozionisti, ossia: superficiali.
Nozionista è chi studia o si informa, o, più spesso, chi insegna o informa gli altri in modo nozionistico.
Nozionista è:
chi non approfondisce e rielabora criticamente la massa di informazioni e notizie cercate o ricevute;
chi si ferma alla semplice lettura di un tweet da 280 caratteri su twitter o da un post su Facebook condiviso da pseudoamici;
chi restringe la sua lettura alla sola copertina di un libro;
chi ascolta le opinioni degli invitati nei talk show radio-televisivi partigiani;
chi si limita a guardare il titolo di una notizia riportata su un sito di un organo di informazione.
Quel mondo dell'informazione che si arroga il diritto esclusivo ad informare in virtù di un'annotazione in un albo fascista. Informazione ufficiale che si basa su news partigiane in ossequio alla linea editoriale, screditando le altre fonti avverse accusandole di fake news.
Informazione o Cultura di Regime, foraggiata da Politica e Finanza.
Opinion leaders che divulgano fake news ed omettono le notizie. Ossia praticano: disinformazione, censura ed omertà.
Nozionista è chi si abbevera esclusivamente da mass media ed opinion leaders e da questi viene influenzato e plasmato.
Antonio Giangrande: La legalità è un comportamento conforme alla legge. Legalità e legge sono facce della stessa medaglia.
Nei regimi liberali l’azione normativa per intervento statale, per regolare i rapporti tra Stato e cittadino ed i rapporti tra cittadini, è limitata. Si lascia spazio all’evolvere naturale delle cose. La devianza è un’eccezione, solo se dannosa per l'equilibrio sociale.
Nei regimi socialisti/comunisti/populisti l’intervento statale è inflazionato da miriadi di leggi, oscure e sconosciute, che regolano ogni minimo aspetto della vita dell’individuo, che non è più singolo, ma è massa. Il cittadino diventa numero di pratica amministrativa, di cartella medica, di fascicolo giudiziario. Laddove tutti si sentono onesti ed occupano i posti che stanno dalla parte della ragione, c’è sempre quello che si sente più onesto degli altri, e ne limita gli spazi. In nome di una presunta ragion di Stato si erogano miriadi di norme sanzionatrici limitatrici di libertà, spesso contrastati, tra loro e tra le loro interpretazioni giurisprudenziali. Nel coacervo marasma normativo è impossibile conformarsi, per ignoranza o per necessità. Ne è eccezione l'indole. Addirittura il legislatore è esso medesimo abusivo e dichiarato illegittimo dalla stessa Corte Costituzionale, ritenuto deviante dalla suprema Carta. Le leggi partorite da un Parlamento illegale, anch'esse illegali, producono legalità sanzionatoria. Gli operatori del diritto manifestano pillole di competenza e perizia pur essendo essi stessi cooptati con concorsi pubblici truccati. In questo modo aumentano i devianti e si è in pochi ad essere onesti, fino alla assoluta estinzione. In un mondo di totale illegalità, quindi, vi è assoluta impunità, salvo l'eccezione del capro espiatorio, che ne conferma la regola. Ergo: quando tutto è illegale, è come se tutto fosse legale.
Allora, si può dire che è meglio il laissez-faire (il lasciare fare dalla natura delle cose e dell’animo umano) che essere presi per il culo e …ammanettati per i polsi ed espropriati dai propri beni da un manipolo di criminali demagoghi ed ignoranti con un’insana sete di potere.
Antonio Giangrande: Quando senti qualcuno che continuamente ti dice: “ma perché non fai questo, perché non fai quello”, significa che nella sua arrogante e fallimentare nullità si sente superiore a te, non potendo o volendo riconoscere il tuo valore, tanto da voler darti lezioni.
Quando senti qualcuno che, quando tu esprimi un’opinione, continuamente ti dice: “sì, ma…, però…”, vuol dire che nella sua assoluta ignoranza, si sente presuntuosamente nella ragione e tu colpevolmente nel torto.
In questo modo è inutile alcun dialogo. Se non fosse altro per solidarietà e per altruismo, giusto per dare loro dei saggi o sapienti consigli, che a quanto pare non son richiesti, nè ben accetti.
Con questi esseri inferiori è inutile rapportarsi, se non per mandarli affanculo, immersi nella loro totale ignoranza (incompetenza, imperizia, inesperienza) e/o idiozia (mancanza di intelligenza).
Il paradosso è che quello che tu pensi di loro, così loro pensano di te.
Se correggi un ignorante: questi ti odierà per averlo smascherato.
Se correggi un sapiente: questi ti ringrazierà per averlo arricchito.
Antonio Giangrande: Le Alluvioni razziste: in Germania è colpa del clima impazzito; in Italia è colpa del dissesto idrogeologico.
Antonio Giangrande: Si stava meglio quando si stava peggio.
I miei nonni paterni Giuseppa Caprino e Leonardo Giangrande, democristiani, contadini beneficiari delle terre della riforma fondiaria di stampo fascista e genitori di 8 figli, dicevano che con i democristiani nessuno rimaneva indietro e tutti avevano la possibilità di migliorare il loro stato, se ne avevano la voglia (lavorare e non sprecare). Nonostante gli sprechi a vantaggio di alcuni figli a danno di altri e nonostante il regime cattocomunista, che non riconosce il valore della persona, loro hanno migliorato il loro stato ed hanno avuto la pensione.
Mio nonno materno Gaetano Santo, comunista, povero contadino ed allevatore beneficiario delle terre della riforma fondiaria di stampo fascista, padre di 8 figli cresciuti con l’illusione della loro utilità al suo benessere ed alla sua vecchiaia, tra un bicchiere di vino e l’altro affermava che i ricchi son ricchi perché hanno rubato ed era giusto espropriare i loro beni per distribuirli ai poveri. Nonostante il regime cattocomunista, che non riconosce il valore della persona, lui è morto povero, pur avendo la pensione!
Luigi Malorgio, il nonno materno di mia moglie, prigioniero di guerra e comunista, povero contadino ed allevatore beneficiario delle terre della riforma fondiaria di stampo fascista, padre di 4 figli, tra uno spreco e l’altro affermava, con il solito mantra comunista, che i ricchi son ricchi perché hanno rubato ed era giusto espropriare i loro beni per distribuirli ai poveri. Nonostante il regime cattocomunista, che non riconosce il valore della persona, lui è morto povero, pur avendo la pensione!
Altro mantra dei comunisti era ed è: gli altri vincono perché, essendo ladri, comprano i voti.
E come dire a detta degli interisti e dei napoletani: la Juventus vince perché ruba e quindi ridistribuiamo i suoi scudetti. L’Inter ed il Napoli son morti, comunque, perdenti.
Dopo tanti anni ho constatato che oggi rispetto al tempo dei nonni, nonostante il progresso tecnologico e culturale, non è più possibile migliorarsi ed arricchirsi. Inoltre oggi se si diventa ricchi per frutto della propria capacità e lavoro, non si è più tacciati di ladrocinio, ma di mafiosità. E se prima non c’era, oggi c’è l’espropriazione proletaria antimafiosa, ma non a favore dei poveri, ma solo a vantaggio dell’antimafia di sinistra, sia essa apparato burocratico di Stato, sia essa apparato associativo comunista, sia esso regime culturale rosso.
Dopo tanti anni ho constatato che, nonostante la magistratura politicizzata che collude ed i media partigiani che tacciono, i moralizzatori solidali erano e sono ladri come tutti gli altri, erano e sono mafiosi come, è più degli altri.
Ergo: ad oggi noi moriremo tutti poveri…e probabilmente senza pensione, accontentandoci di un misero reddito di cittadinanza che prima (indennità di disoccupazione) era privilegio solo dei lavoratori sindacalizzati disoccupati.
Di fatto, nel nome di un ridicolo ambientalismo, ci impediscono di farci una casa, ma ci spingono a comprarci un’auto.
Questo non è progressismo politico, ma una retrograda deriva culturale che ti porta a dire che:
è meglio non fare niente, perché si fotte tutto lo Stato con il Fisco;
è meglio non avere niente, perché si fotte tutto lo Stato con l’Antimafia.
Quindi, si stava meglio quando si stava peggio.
Ma lasciate che sia il solo a dirlo, così sanno con chi prendersela ed è facile per loro vincere tutti contro uno. Senza una lapide di rimembranza.
Estratto dell’articolo di Marco Benedetto per blitzquotidiano.it il 7 giugno 2023.
Italia in confusione mentale. Destra e sinistra unite hanno fatto un bel pasticcio: hanno insinuato nella mente di un bel po’ di italiani il dubbio che una volta si stava meglio. E che oggi viviamo un periodo di regressione materiale e di sbando morale. Siamo ricchi o benestanti. Volete un parametro decisivo? La durata della vita media.
[era] 54 anni nel 1881, quasi 60 nel 1891, 62,46 nel 1901 […], fino ai 71,11 del 1951. Oggi, la speranza di vita per un bambino che nasce in Italia è di 78,67 anni, mentre una bambina può sperare in 84,04 anni da vivere (dati Istat 2007).
Dopo la guerra nove italiani su dieci eravamo poveri. Ora l’Istat (che spesso usa la statistica per fare politica) ci dice che i poveri sono uno su dieci. Quelli della sinistra, invece di attribuirsi il merito di almeno una parte di tale successo, abbracciano il dettato evangelico concepito duemila anni fa, quando i poveri erano 99 su 100: di loro parlano, di loro si occupano, in concorrenza con i grillini, partito del reddito di cittadinanza, precipitato dal 3o all’1 per cento dei voti quando è stato chiaro che la pacchia stava finendo.
La destra esalta il ventennio fascista come una specie di età dell’oro, in cui i treni arrivavano in orario e la lira valeva più della sterlina. Una specie di versione fascistoide della decrescita felice. Mussolini la definiva Italia proletaria e fascista. Essendo romagnolo diceva fasista, il che alleggeriva e ridicolizzava il concetto ma il significato era una nazione di incapaci.
Più di metà degli italiani facevano i contadini. E civiltà contadina, con buona pace, vuole dire miseria, povertà, violenza della natura e degli uomini. Si dimenticano i morti per manganellate e olio di ricino, morti della guerra e dispersi in Ucraina.
La sinistra […] ha imboccato la strada pericolosa di rinnegare lavoro successo benessere (atteggiamento dei figli dei ricchi quale è l’establishment del Pd) e di concentrare la sua attenzione su minoranze di ogni tipo e qualità allontanandosi così dai bisogni della maggioranza degli italiani.
[...] Non siamo stati mai così bene come oggi. E così ricchi. Su tutti i piani. Su quello politico. La libertà di parola e di comportamento quasi assoluta di cui si gode oggi non ha riscontro mai. La parità politica fra uomini e donne, in atto da noi dal 1946, è ben più importante di quelle vergognose quote rosa che tanto appassionano i nostri politici.
[…] Ma anche l’idea che puoi dire quello che pensi senza rischiare il carcere (Galileo) o il rogo (Giordano Bruno) è un privilegio dei nostri giorni a fronte di migliaia di anni di oppressione. Certo Mussolini fu meno feroce di Hitler e Stalin, ma l’idea che se dicevi qualcosa di sgradito all’Ovra finivi a Lipari o Ventotene […] non può piacere a nessuno, nemmeno a un camerata. […]
[...] Sul piano materiale non esistono confronti col passato. Il divario è troppo grande. Questo vale per l’Italia come per il resto del mondo. Nello specifico italiano, la disponibilità gratuita di medicine moltiplica per 60 milioni quanti siamo l’effetto dei progressi della medicina e della farmacia. L’industria ci guadagna? I profitti sono spaziali? Meglio morti?
[...] Ci laviamo tutti i giorni. Ai bei tempi era una volta alla settimana, in bagno per i ricchi, avendo riempito la vasca con l’acqua scaldata nei pentoloni in cucina. [...] Saponi, saponette, shampi, creme: una volta era un po’ di talco per assorbire il sudore coprire l’afrore.
[…] La poca igiene fu una causa importante di morte per secoli e millenni e certo anche elemento fondamentale per la diffusione di peste e varie epidemie. Non parliamo dei gabinetti. […] ancora negli anni ‘60 a Tortona […] i gabinetti erano, comuni a ogni piano, quelli alla turca: un buco in una lastra di ardesia…e tutto giù nei sotterranei. […]
Non è merito di questo o quel partito. […] La prima volta che andai a New York, nel 1968, il barbiere emigrato dai monti dietro Roma mi chiese se in Italia c’era finalmente la luce elettrica. Oggi quattro quinti di quei paesani vive a Roma, case con acqua corrente calda e fredda, termocentrale e forse anche aria condizionata. Molti di loro, quando ancora vivevano al paese, la facevano nella stalla, unico locale igienico.
Con il denaro accumulato lavorando in città [...] si sono fatti una casetta nuova, con tutti i comfort. La costruzione è tanto orribile quanto le vecchie case sono belle e eleganti. Ma questo è l’aspetto negativo del progresso in Italia, assurdo in un Paese soffocato da vincoli e divieti come il nostro. [...] Sulla bruttezza dell’Italia post bellica convengo. Per il resto, come diceva Saragat, viva l’Italia, viva la Repubblica.
Fabiano Minacci per biccy.it il 7 Giugno 2023
Come ce lo immaginavamo il 2023 quando eravamo nel 1996? A rispondere a questa domanda è stato Carlo Vanzina che nel 1996 uscì al cinema con la pellicola A Spasso Nel Tempo con Massimo Boldi e Christian De Sica.
I due – che interpretavano rispettivamente un imprenditore leghista e un principe romano – si ritrovavano per puro caso a un parco giochi a Los Angeles incastrati dentro il gioco della Macchina del Tempo. Un gioco che in realtà si rivelò funzionare davvero dato che i due finirono in più epoche storiche. Preistoria, Rinascimento, Seconda Guerra Mondiale e pure una capatina nel futuro, ovvero nel 2023.
Ed è così che nella scena Christian De Sica prende un quotidiano “costa come sempre, 100 mila lire” / “ammazza che inflazione” e legge: “7 settembre 2023. Un presidente del consiglio nero e i ministri sono tutti extra comunitari: tunisini, filippini, polacchi. Ti dico una cosa sola: il ministro degli interni si chiama Abebe Bongo”.
Il film ottenne un enorme successo al botteghino tant’è che nel 1997 uscì il sequel A Spasso Nel Tempo – L’Avventura Continua, anche se la critica non fu molto generosa.
Antonio Giangrande.
Maledetta ideologia comunista. Con tutti i problemi che attanagliano l'Italia, i sinistri, ben sapendo che nessun italiano più li voterà, pensano bene di farci invadere per raggranellare dai clandestini i voti che, aggiunti a quelle delle altre minoranze LGBTI, gli permettono di mantenere il potere.
I berlusconiani e la cosiddetta Destra, poi, per ammaliare l'altra sponda elettorale, scimmiottano rimedi che nulla cambiano in questa Italia che è tutta da cambiare. Da vent'anni denuncio quelle anomalie del sistema, che in questi giorni escono fuori con gli scandali riportati dalle notizie stampa. Tutte quelle mafie insite nel sistema.
Si fa presto a dire liberali, dove liberali non ce ne sono. Se ci fossero cambierebbero le cose in modo radicale, partendo dalla Costituzione Catto comunista, fondata sul Lavoro e non sulla Libertà. Libertà, appunto, bandiera dei liberali.
Nei momenti emergenziali in tutti gli altri Paesi v'è un intento comune, anche se solo in apparenza. Politica e media accomunati da un interesse supremo. Invece, in Italia, ci sono sempre i distinguo, usati dall'estero contro noi stessi per danneggiarci sull'export, dando un'immagine distorta e denigratoria. Così come fanno i polentoni italiani rispetto al Sud Italia, disinformazione attuata dai media nordisti e dai giornalisti masochisti e rinnegati meridionali. In una famiglia normale si è sempre solidali nei momenti del bisogno e traspare sempre un'apparente unità. Solo in Italia i Caini hanno la loro rilevanza mediatica, facendoci apparire all'estero come macchiette da deridere ed oltraggiare.
Antonio Giangrande: I governanti sono esclusivamente economisti. Loro valutano il costo delle loro decisioni in termini economici, non misurano l’indispensabilità, quindi l’utilità delle loro scelte. Il popolo vuole pane e divertimento. La libertà, per la gleba, può andarsi a fare fottere. Ecco perché i governi scelgono di non far niente. E quel niente è importante che sia più utile che giusto. In questo modo cristallizzano lo status quo.
I Governi sono in balia degli umori del popolo.
I capitalisti non vogliono dare niente, i comunisti vogliono solo avere tutto.
I Governi, dettata l’agenda economica, non avendone la perizia, delegano l’aspetto pratico del governare agli apparati burocratici. I burocrati ed i magistrati legiferano e decretano a loro vantaggio, ammantando il loro potere fossilizzato da abuso ed impunità decennale.
Il popolo tapino subisce e tace, senza scrupolo di coscienza, perché chi non vuol dare, non dà; chi vuole avere, ha!
La liturgia della politica nel nome della democrazia, in fondo, è tutta una presa per il culo….
Perché non esiste politica; non esiste democrazia. Esiste solo l’economia e la finanza. L'utile ed il dilettevole.
I soldi governano il mondo. Non la democrazia o la dittatura, né tanto meno la fede.
Poveri stolti. “Non fatevi tesori sulla terra, dove la tignola e la ruggine consumano, e dove i ladri scassinano e rubano; ma fatevi tesori in cielo, dove né tignola né ruggine consumano, e dove i ladri non scassinano né rubano” (Matteo 6:19-20).
Vangelo di Matteo, 7, 1: “Non giudicate, per non essere giudicati; perché col giudizio con cui giudicate sarete giudicati, e con la misura con la quale misurate sarete misurati.”
Col giudizio con cui giudichi sarai giudicato… ma non da Dio – e difatti Gesù non dice minimamente una cosa del genere – ma da te stesso, perché tu sei il tuo unico giudice. La misura la decidi tu, e anche questo Gesù lo dice molto chiaramente, in un modo indubitabile per chiunque non abbia dei paraocchi davanti agli occhi.
Giudica, e sarai giudicato. Perdona, e sarai perdonato. Dai, e ti sarà dato. E sarai sempre tu a giudicarti, a perdonarti e a darti qualcosa, perché sei tu l’unico padrone delle tue energie interiori.
Matteo 7:
1 Non giudicate, per non essere giudicati;
2 perché col giudizio con cui giudicate sarete giudicati, e con la misura con la quale misurate sarete misurati.
3 Perché osservi la pagliuzza nell'occhio del tuo fratello, mentre non ti accorgi della trave che hai nel tuo occhio?4 O come potrai dire al tuo fratello: permetti che tolga la pagliuzza dal tuo occhio, mentre nell'occhio tuo c'è la trave?
5 Ipocrita, togli prima la trave dal tuo occhio e poi ci vedrai bene per togliere la pagliuzza dall'occhio del tuo fratello.
6 Non date le cose sante ai cani e non gettate le vostre perle davanti ai porci, perché non le calpestino con le loro zampe e poi si voltino per sbranarvi.
7 Chiedete e vi sarà dato; cercate e troverete; bussate e vi sarà aperto;
8 perché chiunque chiede riceve, e chi cerca trova e a chi bussa sarà aperto.
9 Chi tra di voi al figlio che gli chiede un pane darà una pietra?
10 O se gli chiede un pesce, darà una serpe?
11 Se voi dunque che siete cattivi sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro che è nei cieli darà cose buone a quelli che gliele domandano!
12 Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro: questa infatti è la Legge ed i Profeti.
13 Entrate per la porta stretta, perché larga è la porta e spaziosa la via che conduce alla perdizione, e molti sono quelli che entrano per essa;
14 quanto stretta invece è la porta e angusta la via che conduce alla vita, e quanto pochi sono quelli che la trovano!
15 Guardatevi dai falsi profeti che vengono a voi in veste di pecore, ma dentro son lupi rapaci.
16 Dai loro frutti li riconoscerete. Si raccoglie forse uva dalle spine, o fichi dai rovi?
17 Così ogni albero buono produce frutti buoni e ogni albero cattivo produce frutti cattivi;
18 un albero buono non può produrre frutti cattivi, né un albero cattivo produrre frutti buoni.
19 Ogni albero che non produce frutti buoni viene tagliato e gettato nel fuoco.
20 Dai loro frutti dunque li potrete riconoscere.
21 Non chiunque mi dice: Signore, Signore, entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli.
22 Molti mi diranno in quel giorno: Signore, Signore, non abbiamo noi profetato nel tuo nome e cacciato demòni nel tuo nome e compiuto molti miracoli nel tuo nome?
23 Io però dichiarerò loro: Non vi ho mai conosciuti; allontanatevi da me, voi operatori di iniquità.
24 Perciò chiunque ascolta queste mie parole e le mette in pratica, è simile a un uomo saggio che ha costruito la sua casa sulla roccia.
25 Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ed essa non cadde, perché era fondata sopra la roccia.
26 Chiunque ascolta queste mie parole e non le mette in pratica, è simile a un uomo stolto che ha costruito la sua casa sulla sabbia.
27 Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ed essa cadde, e la sua rovina fu grande».
28 Quando Gesù ebbe finito questi discorsi, le folle restarono stupite del suo insegnamento:
29 egli infatti insegnava loro come uno che ha autorità e non come i loro scribi.
Io, Antonio Giangrande, sono orgoglioso di essere diverso.
Faccio quello che si sento di fare e credo in quello che mi sento di credere.
La Democrazia non è la Libertà.
La libertà è vivere con libero arbitrio nel rispetto della libertà altrui.
La democrazia è la dittatura di idioti che manipolano orde di imbecilli ignoranti e voltagabbana.
Cattolici e comunisti, le chiese imperanti, impongono la loro libertà, con la loro morale, il loro senso del pudore ed il loro politicamente corretto.
Per questo un popolo di coglioni sarà sempre governato ed amministrato, informato, istruito e giudicato da coglioni. Perché "like" e ossessione del politicamente corretto ci allontanano dal reale. In quest'epoca di post-verità un'idea è forte quanto più ha voce autonoma. Se la libertà significa qualcosa allora è il diritto di dire alla gente quello che non vuole sentire.
Antonio Giangrande: La Democrazia non è la Libertà.
La libertà è vivere con libero arbitrio nel rispetto della libertà altrui.
La democrazia è la dittatura di idioti che manipolano orde di imbecilli ignoranti e voltagabbana.
Per questo un popolo di coglioni sarà sempre governato ed amministrato, giudicato ed informato, educato ed istruito da coglioni.
Antonio Giangrande: Per chi denigra la Regina e la Monarchia. Per onor del vero è solo un’icona ed ha meno poteri la monarchia britannica con degni natali che il presidente repubblicano italiano, eletto da un Parlamento di …
Antonio Giangrande: A proposito dell’invasione dei mussulmani senza colpo ferire….diamo proposte e non proteste.
Se lo sbarco incontrollato dei clandestini è dovuto alla guerra fratricida nei loro paesi: fermiamo quella guerra con una guerra giusta sostenendo la ragione. Per molto meno abbiamo bombardato l’Iraq, l’Afghanistan e la Libia, senza aver un interesse generale europeo, se non quello di assecondare le mire americane.
E poi, dalla patria in fiamme non si scappa, ma si combatte per la sua liberazione. Gli italiani non sono scappati in Africa dalla occupazione tedesca. O i comunisti hanno combattuto non per liberare l’Italia ma per consegnarla all’URSS?
Se il motivo dello sbarco incontrollato dei clandestini è quello economico, evitiamo di farci espropriare il nostro benessere ottenuto con sacrifici. Per la sinistra è un sistema che vale in termini elettorali, ma è ingiusto. Difendiamoci dall'invasione in pace. Apriamo aziende nei luoghi di espatrio dei clandestini. Imprese finanziate da quei fondi destinati a mantenere gli immigrati a poltrire in Italia. In alternativa tratteniamo i più giovani di loro per dargli una preparazione ed una istruzione specialistica, affinchè siano loro stessi ad aprire le aziende.
E comunque, senza parer razzista…In Italia basterebbe far rispettare la legge a tutti, compreso i clandestini, iniziando dalla loro identificazione, e se bisogna mantenere qualcuno, lo si faccia anche con gli italiani indigenti.
Per inciso. Non sono di nessun partito. Non voto da venti anni, proprio perché sono stufo dei quaquaraqua in Parlamento e di quei coglioni che li votano.
Antonio Giangrande: Quando vedo che in Italia mai nulla cambia per difendere lo Status Quo e che i vecchi della politica sono tutti contro Renzi e contro quel partito democratico leninista che nel suo Dna nulla ha di comunista stalinista;
Quando vedo che la sinistra stalinista, la destra liberale o reazionaria, i cinquestelle dilettanti e confusionari sono tutti contro Renzi ed il suo partito;
Quando vedo che tutti i manipolatori del web, anziché denunciare le malefatte del sistema e del suo ordinamento giuridico mafioso, incitano all’odio contro Renzi e le sue riforme;
Quando vedo che sui social ed in tv, così come sui giornali si propaganda solo il voto per il no e si denigra il premier, sminuendolo agli occhi internazionali;
Quando, comunque, si è contro questo Governo e contro tutti i Governi che lo hanno preceduto e per questo è 20 anni che non si va a votare per mancanza di rappresentanza;
Quando, comunque, non si può difendere una Costituzione massonica ed antidemocratica e che tutela il lavoro e non la libertà;
allora è la volta buona per essere dalla parte del torto, tenuto conto che i posti della parte della ragione son tutti occupati, ed andare a votare sì, così a prescindere, giusto per essere contro corrente e dare un segnale di cambiamento.
Antonio Giangrande: Affidati alla sinistra.
Dove c'è l'affare li ci sono loro: i sinistri.
La lotta alla mafia è un business con i finanziamenti pubblici e l'espropriazione proletaria dei beni.
I mafiosi si inventano, non si combattono.
L'accoglienza dei migranti è un business con i finanziamenti pubblici.
Accoglierli è umano, andarli a prendere è criminale.
L'affidamento dei minori è un business con i finanziamenti pubblici.
Toglierli ai genitori naturali e legittimi è criminale.
Antonio Giangrande: Cosa vorrei?
Vorrei una Costituzione, architrave di poche leggi essenziali, civili e penali, che come fondamento costitutivo avesse il principio assoluto ed imprescindibile della Libertà e come obiettivo per i suoi cittadini avesse il raggiungimento di felicità e contentezza. Vivere come in una favola: liberi, felici e contenti. Insomma, permettere ai propri cittadini di fare quel che cazzo gli pare sulla propria persona e sulla propria proprietà, senza, però, dare fastidio agli altri, di cui si risponderebbe con pene certe. E per il bene comune vorrei da cittadino poter nominare direttamente governanti, amministratori e giudici, i quali, per il loro operato, rispondano per se stessi e per i propri collaboratori, da loro stessi nominati. Niente più concorsi truccati…, insomma, ma merito! E per il bene comune sarei contento di contribuire con prelievo diretto dal mio conto, secondo quanto stabilito in modo proporzionale dal mio reddito conosciuto al Fisco e da questi rendicontatomi il suo impiego.
Invece...
L'influsso (negativo) di chi vuole dominare l'altro. Ci sono persone che sembrano dare energia. Altre, invece, sembra che la tolgano, scrive Francesco Alberoni, Domenica 01/07/2018, su "Il Giornale".
Ci sono persone che sembrano darti energia, che ti arricchiscono.
Altre, invece, sembra che te la prendano, te la succhino come dei vampiri. Dopo un colloquio con loro ti senti svuotato, affaticato, insoddisfatto. Che cosa fanno per produrre su di noi un tale effetto? Alcune ci parlano dei loro malanni, dei loro bisogni e lo fanno in modo tale che tu ti senti ingiustamente privilegiato ed è come se avessi un debito verso di loro.
C'è un secondo tipo di persone che ti sfibra, perché trasforma ogni incontro in un duello. Non appena aprite bocca sostengono la tesi contraria, vi sfidano, vi provocano. Lo fanno perché vogliono mostrare la loro capacità dialettica ma soprattutto per mettersi in evidenza davanti agli altri. Se gli date retta, vi logorano discutendo su cose che non vi interessano.
Ci sono poi quelli che fanno di tutto per farvi sentire ignoranti. Qualunque tesi voi sosteniate, anche l'idea più brillante e ragionevole ecco costoro che arrivano citando una ricerca americana che dice il contrario. Magari qualcosa che hanno letto in un rotocalco, ma tanto basta per rovinare il vostro discorso. Ricordo invece il caso di un mio collega che, per abitudine, nella conversazione, faceva solo domande. All'inizio gli raccontavo le mie ricerche, gli fornivo i dati, gli mostravo i grafici, le tabelle, mi sgolavo e lui, dopo avere ascoltato, faceva subito un'altra domanda su un particolare secondario. E io giù a spiegare di nuovo e lui, alla fine, un'altra domanda...
Abbiamo poi quelli che, quando vi incontrano, vi riferiscono sempre qualche cosa di spiacevole che la gente ha detto su di voi: mai un elogio, mai un apprezzamento, solo critiche, solo pettegolezzi negativi. E, infine, i pessimisti che quando esponete loro un progetto a cui tenete molto, vi mostrano i punti deboli, vi fanno ogni sorta di obiezioni, vi fanno capire che sarà un fallimento. Voi lo difendete ma loro insistono e, alla fine, restate sempre con dei dubbi. Un istante prima eravate pieno di slancio, ottimista, entusiasta e ora siete come un cane bastonato. Cosa hanno in comune tutti questi tipi umani? La volontà di competere, di affermarsi, di dominare, di opprimere.
Antonio Giangrande: C’è chi pensa che l’euro è la causa di tutti i mali…Ma non è solo una moneta? Malevolo è chi si richiama alla moneta per creare sfascio. I Grillini, i leghisti, i comunisti ed i fascisti tutti nel calderone. Perché tutti gli sfascisti non dicono che se un buon padre di famiglia si fa bastare una certa somma di denaro per i bisogni familiari, mentre chi ruba, spreca e spande quella somma non la fa bastare, la colpa non è della moneta che ha in tasca?
Nel momento del soddisfacimento egoistico dei propri bisogni si diventa tutti comunisti: esproprio proletario della proprietà altrui. Tutti con la Grecia, insomma.
Anche noi avevamo le pensioni baby o le pensioni d’oro o l’iva agevolata che si pagavano con l’enorme debito pubblico. Quindi i nostri privilegi li pagavano gli altri paesi. Poi abbiamo posto rimedio, diventando buoni padri di famiglia ed entrando nell'euro. Con l’entrata dell’euro chi si strappa oggi i capelli ha permesso la vendita dei prodotti e dei servizi allo stesso valore convertito. Un kg di mele prima 1000 lire, il giorno dopo 1 euro: colpa della moneta?
Se il debito è rimasto ed è intervenuta la crisi non è colpa della moneta ma dei governanti incapaci e ladri di tutti i partiti e di tutti quelli che li hanno votati.
Perché la Germania, pur accorpandosi la Germania dell’est, non ha sofferto la transizione?
Perché noi non possiamo essere come loro, invece di pensare sempre di fottere il prossimo o di essere incapaci di difendere i nostri diritti?
Anche il Portogallo e poi la Spagna e la stessa Italia ha sofferto un periodo nero. Oggi ci troviamo a pagare 100 volte più di 20 anni fa ed ad avere 100 volte meno in termini di servizi. E’ colpa della moneta o di chi ci ha governato e pretende di rigovernarci?
Oggi i greci hanno i privilegi che noi avevamo, ma non ci vogliono rinunciare. Pretendono che quei privilegi siano pagati con i soldi di tutti gli altri cittadini europei, compresi gli italiani che a quei privilegi hanno già rinunciato.
L’Euro è una moneta, l’unione europea è un sistema burocratico parassitario, quindi tutt’altra cosa. Il malgoverno italiano è altra cosa ancora.
Per molti è comodo diventare comunisti, specie nei barbieri e nei bar, ma alla fine si diventa solo degli stronzi parassiti. Più stronzi parassiti i governati che i governanti.
Antonio Giangrande: Se non è estorsione questa…
Avetrana. In presenza di una patologia con disturbi urologici che pare abbastanza grave ed improvvisa ci si rivolge al medico curante: chiuso!
Allora ci si rivolge alla Guardia Medica. Il medico di guardia è assente per visite domiciliari. Si attende con pazienza. Dopo un po’ di tempo il medico arriva e ti visita, ma non si esprime sulla diagnosi e la cura: si dichiara incompetente e ti manda al Pronto Soccorso di Manduria a 20 km.
Al Pronto Soccorso si arriva con mezzi propri, ci si rivolge all’accettazione e si manifesta il disturbo. Questi si dichiarano incompetenti e ti invitano ad andare al Pronto Soccorso di Taranto a 50 km. Ritengono che a Taranto vi possa essere la relativa visita specialistica.
Si preferisce aspettare a Manduria almeno per le cure più immediate. Allora ti assegnano il codice verde: non critico.
Dopo ore di attesa (con altri pazienti arrivati ore prima con differenti codici) arriva la visita medica (con pubblico annesso: 1 guardia e 2 infermiere) con riscontro di edema dello scroto e del pene, che lo fa diventare grosso come una palla. Visita di un minuto: una punturina intramuscolo e via.
La sorpresina è il pagamento del Ticket:
Importo ticket 20,66
Quota ricetta 10,00
Quota pronto soccorso 25,00
Totale: 55,66
Naturalmente da aggiungere le spese per il doppio percorso effettuato con auto propria per la visita, prima, ed il pagamento in giorno successivo, poi. Più il costo dei farmaci.
Quando si dice: diritto alla salute…
Intervista all’autore, il dr Antonio Giangrande. Scrittore, sociologo storico, giurista, blogger, youtuber, presidente dell’Associazione Contro Tutte le Mafie.
Cosa racconta nei suoi libri?
«Sono un centinaio di saggi di inchiesta composti da centinaia di pagine, che raccontano di un popolo difettato che non sa imparare dagli errori commessi. Pronto a giudicare, ma non a giudicarsi. I miei libri raccontato l’indicibile. Scandali, inchieste censurate, storie di ordinaria ingiustizia, di regolari abusi e sopraffazioni e di consueta omertà. Raccontano, attraverso testimonianze e documenti, per argomento e per territorio, i tarli ed i nei di una società appiattita che aspetta il miracolo di un cambiamento che non verrà e che, paradosso, non verrà accettato. In più, come chicca editoriale, vi sono i saggi con aggiornamento temporale annuale, pluritematici e pluriterritoriali. Tipo “Selezione dal Reader’s Digest”, rivista mensile statunitense per famiglie, pubblicata in edizione italiana fino al 2007. Gli argomenti ed i territori trattati nei saggi periodici sono completati ed approfonditi nei saggi analitici specificatamente dedicati e già pubblicati negli stessi canali di distribuzione internazionale in forma Book o E-book. Canali di pubblicazione e di distribuzione come Amazon o Google libri. Opere oggetto di studio e fonti propedeutiche a tesi di laurea ed inchieste giornalistiche. I testi hanno una versione video sui miei canali youtube».
Qual è la reazione del pubblico?
«Migliaia sono gli accessi giornalieri alle letture gratuite di parti delle opere su Google libri e decine di migliaia sono le pagine lette ogni giorno. Accessi da tutto il mondo, nonostante il testo sia in lingua italiana e non sia un giornale quotidiano. Si troveranno, anche, delle recensioni deliranti e degradanti di queste opere. Il mio intento non è soggiogare l'assenso parlando del nulla, ma dimostrare che siamo un popolo difettato. In questo modo è ovvio che l'offeso si ribelli con la denigrazione del palesato».
Perché è poco conosciuto al grande pubblico generalista?
«Perché sono diverso. Oggi le persone si stimano e si rispettano in base al loro grado di utilità materiale da rendere agli altri e non, invece, al loro valore intrinseco ed estrinseco intellettuale. Per questo gli inutili sono emarginati o ignorati. Se si è omologati (uguali) o conformati (simili) e si sta sempre dietro alla massa, non si sarà mai primi nella vita, perché ci sarà sempre il più furbo o il più fortunato a precederti. In un mondo caposotto (sottosopra od alla rovescia) gli ultimi diventano i primi ed i primi sono gli ultimi. L’Italia è un Paese caposotto. Io, in questo mondo alla rovescia, sono l’ultimo e non subisco tacendo, per questo sono ignorato o perseguitato. I nostri destini in mano ai primi di un mondo sottosopra. Che cazzo di vita è? Si nasce senza volerlo. Si muore senza volerlo. Si vive una vita di prese per il culo. Dove si sentono alti anche i nani e dove anche i marescialli si sentono generali, non conta quanti passi fai e quali scarpe indossi, ma conta quante tracce lasci del tuo percorso. Il difetto degli intelligenti è che sono spinti a cercare le risposte ai loro dubbi. Il pregio degli ignoranti è che non hanno dubbi e qualora li avessero sono convinti di avere già le risposte. Un popolo di “coglioni” sarà sempre governato ed amministrato da “coglioni”».
Qual è la sua missione?
«“Chi non conosce la verità è uno sciocco, ma chi, conoscendola, la chiama bugia, è un delinquente…Ci sedemmo dalla parte del torto visto che tutti gli altri posti erano occupati. Ci sono uomini che lottano un giorno e sono bravi, altri che lottano un anno e sono più bravi, ci sono quelli che lottano più anni e sono ancora più bravi, però ci sono quelli che lottano tutta la vita: essi sono gli indispensabili”. Citazioni di Bertolt Brecht. Rappresentare con verità storica, anche scomoda ai potenti di turno, la realtà contemporanea, rapportandola al passato e proiettandola al futuro. Per non reiterare vecchi errori. Perché la massa dimentica o non conosce. Denuncio i difetti e caldeggio i pregi italici. Perché non abbiamo orgoglio e dignità per migliorarci e perché non sappiamo apprezzare, tutelare e promuovere quello che abbiamo ereditato dai nostri avi. Insomma, siamo bravi a farci del male e qualcuno deve pur essere diverso!»
Perché è orgoglioso di essere diverso?
«E’ comodo definirsi scrittori da parte di chi non ha arte né parte. I letterati, che non siano poeti, cioè scrittori stringati, si dividono in narratori e saggisti. E’ facile scrivere “C’era una volta...” e parlare di cazzate con nomi di fantasia. In questo modo il successo è assicurato e non hai rompiballe che si sentono diffamati e che ti querelano e che, spesso, sono gli stessi che ti condannano. Meno facile è essere saggisti e scrivere “C’è adesso...” e parlare di cose reali con nomi e cognomi. Impossibile poi è essere saggisti e scrivere delle malefatte dei magistrati e del Potere in generale, che per logica ti perseguitano per farti cessare di scrivere. Devastante è farlo senza essere di sinistra. Quando si parla di veri scrittori ci si ricordi di Dante Alighieri e della fine che fece il primo saggista mondiale».
Antonio Giangrande: Presso la Sezione Penale del Tribunale di Palmi, in provincia di Reggio Calabria, al ruolo A bis, si tiene il processo n. 238/19 R.G.N.R, n. 1399/19 R.G.T. tenuto dalla D,ssa Annalisa Palamara a carico di Latino Giandomenico difeso dall’Avv. Antonino Napoli.
L’Avv. Antonino Napoli ha pensato di citare come testimone al processo il dr. Antonio Giangrande, di Avetrana, del versante orientale della provincia di Taranto, ai confini con Lecce, noto saggista e presidente nazionale dell’associazione antiracket ed antiusura denominata “Associazione Contro Tutte Le Mafie”.
Il citato dr. Antonio Giangrande non conosce fatti, atti e parti del processo in corso.
L’avv. Antonino Napoli cita con atto di citazione testi il dr Antonio Giangrande a presenziare per l'udienza del 28 giugno 2021 ore 12 e ss con Racc. A.R. del 04/06/2021 ricevuta il 09/06/2021.
Avviso congruo inviato 24 giorni prima e ricevuto 19 prima l’udienza.
Il Dr Antonio Giangrande in data 23 giugno 2021 con fax personale all’avvocato Antonino Napoli ed al Tribunale giustifica l’impedimento a presenziare in udienza per i postumi del Long Covid, residui di una lunga degenza in ospedale per un’infezione grave ai polmoni e ad altri organi .
Il Dr Antonio Giangrande per maggiore sicurezza fa inviare dal suo Avvocato di fiducia del Foro di Taranto, Mirko Giangrande, al Tribunale di Palmi e all’avvocato Antonino Napoli la stessa giustifica.
Mandato speciale rilasciato per quel singolo atto. Oltretutto non essendo imputato.
Giustifica accettata dal Tribunale.
Dopodichè l’avv. Antonino Napoli rinnova la citazione testi al Dr Antonio Giangrande per l’udienza di lunedì 14 marzo 2022, ore 13:00.
Citazione testi che il dr Antonio Giangrande, teste, non ha mai ricevuto, perché inviata dall’avv. Antonino Napoli con pec nel week end, ossia sabato 12 marzo 2022, ore 13:53 all’indirizzo dell’avvocato Mirko Giangrande, non legittimato a riceverla.
Avv. Mirko Giangrande che, intanto, aveva sospeso la professione, in quanto aveva vinto il concorso ed operava come addetto all’Ufficio del Processo presso il Tribunale Penale di Parma.
Avv. Mirko Giangrande che, nel momento in cui ha ricevuto l’errata citazione, nella stessa data la contesta presso il mittente, rilevando la sua nullità.
Da notare:
Destinatario non legittimato a ricevere la notifica, né egli è dovuto a comunicare la stessa al vero destinatario, che ad onor del vero nel week end ed a circa mille chilometri era irrintracciabile.
Termini non congrui tra la notifica e l’udienza: due giorni prima, anzi 47 ore prima, contenuti tra festivi e pre festivi. Oltretutto non congrui per organizzare la trasferta di quasi mille chilometri per un covidizzato, i cui postumi sono difficoltà respiratorie e prostatite.
Si pensava fosse finita così, invece…
In data 30 maggio 2022 il dr Antonio Giangrande riceve una chiamata sul cellulare personale: erano i carabinieri di Avetrana, che sollecitavano la notifica di un atto.
Da autore di inchieste, ci si aspettava, come tutti i migliori saggisti o giornalisti, un procedimento per diffamazione a mezzo stampa.
Invece in caserma veniva presentato un accompagnamento coattivo teste emesso con ordinanza del giudice Annalisa Palamara del 14 marzo 2022, che avallava la versione dell’avvocato Antonino Napoli di regolare notifica nello stesso giorno dell’udienza citata e mai notificata, nonostante all’avvocato Antonino Napoli ed al Tribunale si fosse prodotta prova contraria per pec della mancata notifica da parte dell’avv. Mirko Giangrande.
In questo caso la nuova notifica è avvenuta il 30 maggio 2022 per l’udienza del 13 giugno 2022.
Nota bene: 14 giorni prima. In questo caso: Termini congrui.
Al giudice Annalisa Palamara bastava far rinnovare, nei termini congrui ed al legittimo destinatario, la citazione all’avvocato Antonino Napoli, ove assumesse l’onere dell’errore precedente, invece l’accompagnamento coattivo sa di punizione oltraggiosa. Essere considerato reticente è offensivo.
Da esercente la professione forense come praticante avvocato con patrocinio il dr Antonio Giangrande sa cosa significa accompagnamento coattivo e quanto sia umiliante e degradante.
Da presidente antimafia, inoltre, ci si aspettava la scorta, non gli accompagnatori coattivi per testimoniare su cose e su persone di cui nulla si è a conoscenza.
Quasi mille chilometri per andare in capo al mondo senza vie di collegamento degne di un paese civile, tanto da alleviare la trasferta: né autobus, né treni, salvo lunghe ed estenuanti attese per cambi e coincidenze.
Laddove il Maresciallo Vincenzo Caliandro, luogotenente della caserma dei carabinieri di Avetrana, mi avesse invitato a firmare una liberatoria, affinchè si esentasse l’arma dei Carabinieri ad accompagnarmi dietro l’impegno del buon esito della trasferta, la sollecitazione sarebbe stata declinata in quanto lungo il tragitto di centinaia di chilometri tutto può succedere per impedire la presenza in udienza ed ove non si fornisse prova certa e legittima di impedimento, potrebbe prospettarsi l’incriminazione di reato di rifiuto di uffici legalmente dovuti previsto nell’art. 366 c.p. . In ogni caso ai sensi dell’art. 255 cpc in caso di ulteriore mancata comparizione il giudice dispone l'accompagnamento coattivo alla stessa udienza o ad altra successiva e lo condanna ad una sanzione pecuniaria non inferiore a 200 euro e non superiore a 1.000 euro.
Ergo:
Un accompagnamento coattivo infondato oltraggioso ed offensivo.
Un’auto obbligatoria per il teste ed un’auto dei carabinieri al seguito come accompagnamento coattivo per controllare che l’auto che precede arrivi al Tribunale di Palmi.
Un onere umano ed economico incalcolabile ed uno spreco enorme, per il privato e per il pubblico, oltretutto con il presente caro-carburante.
ECC.MO PREFETTO DI COSENZA
RICORSO IN OPPOSIZIONE A SANZIONE AMMINISTRATIVA
Ai sensi dell’art. 203 Codice della Strada
(D.lgs. 30 aprile 1992, n. 285)
PER RICORRENTE GIANGRANDE ANTONIO nato ad Avetrana (Ta) il 02/06/1963 e residente ad Avetrana in Via A. Manzoni, 51, in proprio. C.F: GNGNTN63H02A514Q Tel. 3289163996 giangrande.antonio@alice.it
CONTRO RESISTENTE COMUNE DI ROSETO CAPO SPULICO, in persona del Sindaco pro tempore, per quest’atto domiciliato presso la sede del Comando di Polizia Locale sito in Roseto Capo Spulico, via G.B. Trebisacce snc..
* * *
Oggetto: Ricorso in opposizione al verbale di violazione del Codice della Strada n. 002703022
Protocollo 00002704/A/22
Cronologico 0027030221502703
del 13/06/2022 ore 07:44, emesso da FARINA BEATRICE appartenente al Comando di Polizia Locale del Comune di ROSETO CAPO SPULICO,
consegnato per la spedizione con raccomandata n. 787200279345 il 22/09/2022
notificato in data 27/09/2022
per la violazione dell’art.142 comma7 C.d.S., con cui si ingiunge il pagamento della somma totale di Euro 59,00, di cui euro 42,00 per minimo edittale, e 17 euro di spese di notifica e procedimento e in misura ridotta di Euro 46,40,00, di cui euro 29,4,00 per minimo edittale, e 17 euro di spese di notifica e procedimento.
Contestazione: in presenza di limite di velocità di 90 km ora, si procedeva a 96 km ora, effettiva 91 km ora (96 meno la riduzione del 5%, minimo 5 km, vedi l’art 1, dm 29 ottobre 1997 ai sensi dell’art. 345 comma 2, DPR 16/12/1992 n. 495, mod. dall’art. 197 DPR 16/06/1996 n. 610)
PREMESSO CHE LA SANZIONE IN FATTO
E’ INOPPORTUNA, IRRAGGIONEVOLE E FISCALE. La velocità contestata è di 1 km in più di quello consentito. Si procedeva a 96 km ora, meno il 5%, minimo 5 km di riduzione, 91 km ora. Consentito 90 chilometri. L’Ordinanza della Corte di Cassazione n. 3698/2019 che non ammette giustificazioni è derogabile per inopportunità in presenza di uno stato di necessità.
E’ ANNULLABILE PER STATO DI NECESSITA’ E FORZA MAGGIORE ai sensi della sentenza n. 7198/2016 della Corte di Cassazione. Si procedeva a quella velocità per stato di necessità e forza maggiore, perché costretti ad inseguire l’auto dei carabinieri di Avetrana incaricati dell’accompagnamento coattivo del ricorrente per una testimonianza presso il Tribunale di Palmi, a pena di sanzioni penali.
PREMESSO CHE LA SANZIONE IN DIRITTO
E’ ANNULLABILE PERCHE’ NULLA ED ILLEGITTIMA PER TARDIVITA’.
L’infrazione è avvenuta il 13/06/2022.
Come in calce da verbale di contestazione e nota delle poste italiane:
La consegna per la spedizione del verbale di violazione alle Poste Italiane è avvenuta il 22/09/2022.
La consegna in mano dell’obbligato al pagamento della sanzione è avvenuta il 27/09/2022.
Il ritardo e di ben 9 giorni oltre i 90 giorni di notifica, senza tener conto che luglio ed agosto hanno 31 giorni: infrazione il 13 giugno; spedizione del verbale il 22 settembre.
La notifica quindi è nulla, perché tardiva, e nulla si deve all’organo contestatore a mo’ di sanzione. Dal momento in cui l’infrazione è stata commessa al momento in cui la notifica viene recapitata all’indirizzo di residenza dell’automobilista possono passare al massimo 90 giorni, così come disposto dall’articolo 201 del Codice della strada. Il periodo di 90 giorni durante i quali la notifica deve essere consegnata decorre dal momento in cui l’infrazione è stata commessa e non da quando è stata accertata. Può sembrare una sottigliezza linguistica ma non lo è, considerando che la questione è stata affrontata dalla Corte di cassazione la quale, con la sentenza 7066/2018, Corte di Cassazione Civile sez. VI, ord. 21 marzo 2018, n. 7066, che ha definitivamente chiarito che i 90 giorni decorrono dal momento in cui l’infrazione è stata rivelata e non accertata.
Tutto ciò premesso e considerato, il sottoscritto ricorrente
CHIEDE
Voglia l’Ecc.mo Prefetto adito, contrariis reiectis:
Dichiarare l’annullamento del verbale di violazione del Codice della Strada n. 002703022
Protocollo 00002704/A/22
Cronologico 0027030221502703
del 13/06/2022 ore 07:44, emesso da FARINA BEATRICE appartenente al Comando di Polizia Locale del Comune di ROSETO CAPO SPULICO, consegnato per la spedizione il 22/09/2022 e notificato in data 27/09/2022 per la violazione dell’art.142 comma7 C.d.S., con cui si ingiunge il pagamento della somma totale di Euro 59,00, di cui euro 42,00 per minimo edittale, e 17 euro di spese di notifica e procedimento.
In subordine in caso di rigetto del ricorso, disporre il mantenimento della sanzione al minimo edittale, in misura ridotta di Euro 46,40,00, di cui euro 29,4,00 per minimo edittale, e 17 euro di spese di notifica e procedimento.
In ogni caso, ordinare la sospensione provvisoria degli effetti della sanzione amministrativa in modo che, in attesa della conclusione del procedimento, l’amministrazione che l’ha emessa non possa pretendere il pagamento né possa chiederne la riscossione forzata facendo intervenire l’Agenzia delle entrate-riscossioni. E data la oggettiva nullità del verbale, per omissione o abuso, l’amministrazione intimante possa incorrere in una violazione penale.
Si producono i seguenti documenti in copia:
Copia del ricorso firmato 3 pagg.
Verbale di violazione del C.d.S: 2 pagg.
Intimazione di testimonianza coattiva.
Nota delle Poste Italiane.
Documento di identità
Con osservanza. Avetrana, lì
Firma del ricorrente _________________
Si prega di inviare qualsiasi comunicazione relativa al presente procedimento ai seguenti recapiti:
Via A. Manzoni 51 Avetrana Ta.
Estratto dell’articolo di Marco Benedetto per blitzquotidiano.it il 7 giugno 2023.
Italia in confusione mentale. Destra e sinistra unite hanno fatto un bel pasticcio: hanno insinuato nella mente di un bel po’ di italiani il dubbio che una volta si stava meglio. E che oggi viviamo un periodo di regressione materiale e di sbando morale. Siamo ricchi o benestanti. Volete un parametro decisivo? La durata della vita media.
[era] 54 anni nel 1881, quasi 60 nel 1891, 62,46 nel 1901 […], fino ai 71,11 del 1951. Oggi, la speranza di vita per un bambino che nasce in Italia è di 78,67 anni, mentre una bambina può sperare in 84,04 anni da vivere (dati Istat 2007).
Dopo la guerra nove italiani su dieci eravamo poveri. Ora l’Istat (che spesso usa la statistica per fare politica) ci dice che i poveri sono uno su dieci. Quelli della sinistra, invece di attribuirsi il merito di almeno una parte di tale successo, abbracciano il dettato evangelico concepito duemila anni fa, quando i poveri erano 99 su 100: di loro parlano, di loro si occupano, in concorrenza con i grillini, partito del reddito di cittadinanza, precipitato dal 3o all’1 per cento dei voti quando è stato chiaro che la pacchia stava finendo.
La destra esalta il ventennio fascista come una specie di età dell’oro, in cui i treni arrivavano in orario e la lira valeva più della sterlina. Una specie di versione fascistoide della decrescita felice. Mussolini la definiva Italia proletaria e fascista. Essendo romagnolo diceva fasista, il che alleggeriva e ridicolizzava il concetto ma il significato era una nazione di incapaci.
Più di metà degli italiani facevano i contadini. E civiltà contadina, con buona pace, vuole dire miseria, povertà, violenza della natura e degli uomini. Si dimenticano i morti per manganellate e olio di ricino, morti della guerra e dispersi in Ucraina.
La sinistra […] ha imboccato la strada pericolosa di rinnegare lavoro successo benessere (atteggiamento dei figli dei ricchi quale è l’establishment del Pd) e di concentrare la sua attenzione su minoranze di ogni tipo e qualità allontanandosi così dai bisogni della maggioranza degli italiani.
[...] Non siamo stati mai così bene come oggi. E così ricchi. Su tutti i piani. Su quello politico. La libertà di parola e di comportamento quasi assoluta di cui si gode oggi non ha riscontro mai. La parità politica fra uomini e donne, in atto da noi dal 1946, è ben più importante di quelle vergognose quote rosa che tanto appassionano i nostri politici.
[…] Ma anche l’idea che puoi dire quello che pensi senza rischiare il carcere (Galileo) o il rogo (Giordano Bruno) è un privilegio dei nostri giorni a fronte di migliaia di anni di oppressione. Certo Mussolini fu meno feroce di Hitler e Stalin, ma l’idea che se dicevi qualcosa di sgradito all’Ovra finivi a Lipari o Ventotene […] non può piacere a nessuno, nemmeno a un camerata. […]
[...] Sul piano materiale non esistono confronti col passato. Il divario è troppo grande. Questo vale per l’Italia come per il resto del mondo. Nello specifico italiano, la disponibilità gratuita di medicine moltiplica per 60 milioni quanti siamo l’effetto dei progressi della medicina e della farmacia. L’industria ci guadagna? I profitti sono spaziali? Meglio morti?
[...] Ci laviamo tutti i giorni. Ai bei tempi era una volta alla settimana, in bagno per i ricchi, avendo riempito la vasca con l’acqua scaldata nei pentoloni in cucina. [...] Saponi, saponette, shampi, creme: una volta era un po’ di talco per assorbire il sudore coprire l’afrore.
[…] La poca igiene fu una causa importante di morte per secoli e millenni e certo anche elemento fondamentale per la diffusione di peste e varie epidemie. Non parliamo dei gabinetti. […] ancora negli anni ‘60 a Tortona […] i gabinetti erano, comuni a ogni piano, quelli alla turca: un buco in una lastra di ardesia…e tutto giù nei sotterranei. […]
Non è merito di questo o quel partito. […] La prima volta che andai a New York, nel 1968, il barbiere emigrato dai monti dietro Roma mi chiese se in Italia c’era finalmente la luce elettrica. Oggi quattro quinti di quei paesani vive a Roma, case con acqua corrente calda e fredda, termocentrale e forse anche aria condizionata. Molti di loro, quando ancora vivevano al paese, la facevano nella stalla, unico locale igienico.
Con il denaro accumulato lavorando in città [...] si sono fatti una casetta nuova, con tutti i comfort. La costruzione è tanto orribile quanto le vecchie case sono belle e eleganti. Ma questo è l’aspetto negativo del progresso in Italia, assurdo in un Paese soffocato da vincoli e divieti come il nostro. [...] Sulla bruttezza dell’Italia post bellica convengo. Per il resto, come diceva Saragat, viva l’Italia, viva la Repubblica.
Fabiano Minacci per biccy.it il 7 Giugno 2023
Come ce lo immaginavamo il 2023 quando eravamo nel 1996? A rispondere a questa domanda è stato Carlo Vanzina che nel 1996 uscì al cinema con la pellicola A Spasso Nel Tempo con Massimo Boldi e Christian De Sica.
I due – che interpretavano rispettivamente un imprenditore leghista e un principe romano – si ritrovavano per puro caso a un parco giochi a Los Angeles incastrati dentro il gioco della Macchina del Tempo. Un gioco che in realtà si rivelò funzionare davvero dato che i due finirono in più epoche storiche. Preistoria, Rinascimento, Seconda Guerra Mondiale e pure una capatina nel futuro, ovvero nel 2023.
Ed è così che nella scena Christian De Sica prende un quotidiano “costa come sempre, 100 mila lire” / “ammazza che inflazione” e legge: “7 settembre 2023. Un presidente del consiglio nero e i ministri sono tutti extra comunitari: tunisini, filippini, polacchi. Ti dico una cosa sola: il ministro degli interni si chiama Abebe Bongo”.
Il film ottenne un enorme successo al botteghino tant’è che nel 1997 uscì il sequel A Spasso Nel Tempo – L’Avventura Continua, anche se la critica non fu molto generosa.
Quell’Italia malata di pessimismo. Michele Gelardi su L'Identità il 7 Giugno 2023
L’Italia è affetta da una grave malattia: il pessimismo. Pare addirittura che ne abbia il primato mondiale, secondo gli studi, citati da una sbigottita Barbara Palombelli qualche giorno fa nel talk di “Stasera Italia”, i quali peraltro trovano conferma nel report del “Sole 24 ore” del 15 marzo. In verità la posizione di vertice degli italiani, nella scala mondiale del pessimismo, non mi stupisce affatto. Per mio conto ho già fatto un’osservazione “statistica”, del tutto personale e “gratuita”, non suffragata da alcun dato comparativo, ma della quale ho assoluta certezza: siamo anche primatisti mondiali in chiusure delle scuole a seguito di “allerta meteo”. I due primati mi sembrano correlati, essendo l’uno l’effetto, l’altro un elemento sintomatico, di un unico fenomeno: l’eccesso di protezionismo di Stato. Invero l’essenza del pessimismo mi pare risiedere, più ancora che nella paura dell’imminente catastrofe universale (per Covid o cambiamento climatico), che pure è molto rilevante, nel vuoto personale, nell’assenza di prospettive e aspettative per il proprio futuro.
Il carburante del pessimismo è dato dalla frustrazione e dal senso d’inanità; in sintesi, dal sentimento d’impotenza della persona in relazione al cammino della sua vita. Chi sa di non poter “fare”, è costretto ad attendere che gli altri facciano. Se non può provvedere a sé stesso, può solo confidare nella provvidenza altrui, basata su legami, o sociali, o meramente giuridici. Nel primo caso, il tutelato entra in rapporto personale con il tutore e tende a ingraziarsene le cure; nel secondo, si instaura un rapporto asettico e cartolare, regolato solo da norme giuridiche astratte; nel primo caso, il tutelato fa qualcosa per apparire “meritevole” al cospetto del tutore; nel secondo, non deve e non può fare alcunché. Non tutte le assistenze e provvidenze implicano, dunque, il medesimo disimpegno del destinatario. Tra tutte, la provvidenza di Stato è quella più impersonale, meno legata all’apporto personale del destinatario, apprezzabile come merito. Perfino la Provvidenza divina invoca la partecipazione della persona, espressa in devozione, preghiera e rigore morale. La persona deve meritare il miracolo o la salvezza, su questa terra e nell’altra; gli ignavi non entrano nel Paradiso dantesco, non essendo meritevoli. Solo lo Stato non chiede nulla; protegge e basta.
In relazione alla condizione tipica e oggettivamente predeterminata del destinatario, concede prebende, dispensa bonus, offre servizi, prescindendo del tutto dall’affectio personale. Orbene, quanto più cresce la sfera della protezione impersonale di Stato, tanto più diviene irrilevante la meritevolezza, si deprime lo spirito d’iniziativa e decresce la disponibilità al sacrificio, ossia la capacità di sacrificare il presente (certo) in vista del futuro (incerto). E mancando la prospettiva del futuro, crolla la speranza, la quale si nutre della possibilità di creare da sé il proprio futuro. Per questa ragione, un po’ tutta l’Europa, culla del welfare state, è investita dal fenomeno del “pessimismo cosmico”. Ma quello degli italiani ha un quid pluris, traendo origine da un mix difficilmente eguagliabile di iperprotezionismo e inefficienza di Stato. Il futuro è considerato grigio in Italia, non solo perché lo Stato si surroga ai privati in molti ambiti, ma anche perché ostacola la residuale iniziativa privata con mille lacci burocratici. Infiniti certificati, nulla osta e procedure autorizzative opprimono gli italiani, frustrandone l’iniziativa ed essiccando la linfa vitale della speranza. Ovviamente lo Stato non crea ostacoli ad libitum; vuole solo proteggere.
Ognuno dei tanti passaggi di “cartuccelle” è giustificato in nome della massima protezione dei beni pubblici (salute, ambiente, in primis); sicché, in ultima analisi, la pubblica amministrazione iperprotettiva risulta paralizzante. Se, ad ogni scroscio di pioggia, si chiudono le scuole, si proteggono i pargoli dal rischio di inzupparsi i vestiti, ma si ostacola il loro apprendimento. Non c’è dunque da stupirsi se gli italiani, pur avendo il privilegio di vivere nel Bel Paese, dove un tempo si cantava “Sole mio”, sono i più pessimisti al mondo. Gli allerta meteo li hanno paralizzati e hanno sottratto loro la speranza.
SPROFONDO ITALIA. Giovanni Vasso su L'identità il 13 Maggio 2023.
Si stava meglio quando si stava peggio. O, almeno, si stava meglio negli anni ’90. In particolare, nel 1995. Quell’anno uscì m-IRC, la paleochat dell’internet degli albori, c’era Corona che cantava Baby-Baby, il tormentone era il pop ultra sincopato di John Scatman e sugli schermi tv degli italiani appariva quello spot della Levi’s che s’è impresso a fuoco nell’immaginario collettivo: mister Bombastic, ricordate? Ma la nostalgia non c’entra nulla, così come non c’entra nulla la parabola della musica, né l’onnipervasività dei social e lo sviluppo delle connessioni. È questione di cifre. Parlano i numeri e quello che dicono è a dir poco imbarazzante.
Secondo Confcommercio, che ieri ha presentato un rapporto redatto con il Censis sulla condizione economica delle famiglie, il reddito reale pro capite degli italiani, nel 2022, è di 150 euro inferiore rispetto al 1995. Invece di andare avanti, siamo andati indietro. Con buona pace del mito della crescita costante, del progresso. Oggi, dopo aver superato una pandemia ed esserci imbarcati in una guerra guerreggiata, si iniziano a intravedere i fallimenti di tre decenni di chiacchiere. “Trent’anni di bassa crescita si sentono nelle nostre tasche”, tuona il direttore del centro studi di Confcommercio, Mariano Bella che denuncia come siano tornati, purtroppo, di moda “temi di disagio sociale” e si assista alla “crescita della povertà assoluta”.
Bella ha spiegato: “Non abbiamo recuperato né il reddito disponibile pro capite del 2019 né, tantomeno, quello del 2007, cioè il massimo. Siamo addirittura sotto di 150 euro in termini reali rispetto al 1995, cioè quasi trent`anni fa”. Quindi ha aggiunto: “Nel lungo periodo la spesa reale è andata un po` meglio del reddito: abbiamo recuperato quasi i livelli del 2019 ma siamo sotto i massimi del 2007 ancora di 800 euro a testa”. Lo spartiacque, ora, sembra il Covid: “Bisogna ricordare gli ingenti aiuti pubblici. Faccio notare che nel 2020 i consumi sono calati molto più del reddito disponibile reale, e questo ha generato risparmio in eccesso, diciamo non desiderato; e poi a fronte di redditi solo moderatamente crescenti nel biennio 2021-2022 c’è stato il quasi recupero dei consumi: si capisce, quindi, che è stato sostento da quel risparmio a sua volta generato dai trasferimenti e dai sostegni pubblici che hanno funzionato”. Insomma, non c’è stato chissà che salto in avanti, più semplicemente gli italiani si sono ritrovati in tasca un tesoretto che, appena è tornata una parvenza di normalità, hanno consumato. Il presidente Confcommercio Carlo Sangalli perciò avvisa: “Il risparmio sta esaurendo il sostegno ai consumi e l’incertezza per l’inflazione e il rialzo dei tassi di interesse comprimono le intenzioni di acquisto. Si rischia di rallentare la ripresa, nonostante la fiducia delle famiglie sia alta”. Già, perché uno dei grandi paradossi è proprio questo: i consumi sono sostanzialmente fermi, al punto che la produzione industriale italiana, per il terzo mese di fila, a marzo ha fatto segnare il segno meno. Ma, contestualmente, la fiducia delle famiglie resta altissima. Che sia il coraggio della disperazione di chi crede che non si possa andare peggio di così?
Comunque la si voglia leggere, i numeri dipingono una situazione è drammatica: “È fondamentale accelerare le riforme, in particolare quella fiscale, e utilizzare al meglio le risorse del Pnrr”, ricorda Sangalli. Altrimenti si starà ancora peggio, nel ricordo di un passato che torna ma solo per gli aspetti negativi.
Antonio Giangrande. Da macellaio a fruttivendolo; da pizzaiolo a subagente assicurativo. Da semi-avvocato (praticante con patrocinio legale), con abilitazione impedita dal sistema criminale, a Perito Fonico Trascrittore Dattilografo Stenotipista Forense e Tecnico dei Servizi Giudiziari…e Saggista per sempre.
Sig. Dirigente,
Sono il dott. Antonio Giangrande, di Avetrana (TA), laureato in Giurisprudenza e 6 anni di esercizio forense, noto sociologo storico con 435 saggi pubblicati su argomenti e territori differenti, con Attestato di Qualifica Professionale di Tecnico dei Servizi Giudiziari.
Tale qualifica mi permette di offrire una collaborazione occasionale remunerata (al pari degli altri docenti) senza partita iva ad integrazione dei normali corsi formativi scolastici.
Gli studenti usufruirebbero di una formazione, che all’esterno sarebbe onerosa.
La collaborazione è attinente, principalmente, allo studio della Stenotipia computerizzata.
La stenotipia computerizzata è l'evoluzione della dattilografia e della stenografia ed è esclusiva chiave per vari sbocchi professionali (Tribunali, Aziende, Enti locali).
Tribunali – Procure – Pubbliche Amministrazioni – Consigli di Amministrazione – Case Circondariali – Ecc.
Lo studio della Stenotipia sarebbe esclusivo. Solo in Puglia è esistito tale corso ed è stato a pagamento.
La Regione Puglia ha riconosciuto il corso di Tecnico dei Servizi Giudiziari (Tecnico dell’analisi e trascrizione di segnali fonici e di gestione della perizia di trascrizione in ambito forense), attraverso Dea Center sas - Salice Salentino (Lecce) è un Istituto di formazione professionale accreditato dalla Regione Puglia con D.D. 210 del 28-03-2013.
Tribunali – Procure – Pubbliche Amministrazioni – Consigli di Amministrazione – Case Circondariali – Ecc.
Tecnico dei Servizi Giudiziari (Tecnico dell’analisi e trascrizione di segnali fonici e di gestione della perizia di trascrizione in ambito forense).
Dea Center sas - Salice Salentino (Lecce) è un Istituto di formazione professionale accreditato dalla Regione Puglia con D.D. 210 del 28-03-2013.
Tecnico dei Servizi Giudiziari, Attestato di Qualifica Professionale.
Corso di formazione per l'acquisizione della certificazione di Tecnico dell'Analisi e Trascrizione di Segnali Fonici e di Gestione della Perizia di Trascrizione in Ambito Forense, svolto presso Dea Center sas (Organismo di Formazione Professionale riconosciuto da Regione Puglia e Provincia di Lecce).
Modulo di studio:
Stenotipia computerizzata
Diritto
Diritto Penale e Procedura Penale
Igiene e Sicurezza sul lavoro
Ragioneria
Psicologia
Comunicazione interpersonale
Trascrizione di segnali fonetici
Grammatica italiana
Linguistica Forense
Analisi linguistica del parlato
Criminologia
Semantica
Dialettologia italiana
Fonetica e Fonologia
Informatica
Stage.
TECNICI DEI SERVIZI GIUDIZIARI
funzione in un contesto di lavoro:
Questa figura possiede una strutturata conoscenza della disciplina normativa di settore, tale da consentire di esercitare funzioni ausiliarie del giudice e del pubblico ministero presso gli uffici giudiziari
competenze associate alla funzione:
I tecnici dei servizi giudiziari curano gli aspetti amministrativi ed esecutivi delle decisioni delle corti di giustizia; organizzano il materiale documentario e probatorio e documentano lo svolgimento dei processi, riportando a verbale testimonianze, interventi delle parti e decisioni.
sbocchi professionali:
cancelliere, segretario giudiziario, ufficiale giudiziario, vice cancelliere
La sinistra ha il buonismo ed il Politicamente Corretto su immigrazione ed LGBTI, la destra il proibizionismo ed il punizionismo moralista sul sesso e la droga. Il Giustizialismo per entrambi è per gli altri, il garantismo per se stessi.
Antonio Giangrande: Anzichè far diventare ricchi i poveri con l'eliminazione di caste (burocrati parassiti) e lobbies (ordini professionali monopolizzanti), i cattocomunisti sotto mentite spoglie fanno diventare poveri i ricchi. Così è da decenni, sia con i governi di centrodestra, sia con quelli di centrosinistra.
Antonio Giangrande: Da giovane praticante avvocato con patrocinio legale (abilitazione a tempo di 6 anni e competenza civile limitata e per reati minori) mi sono scontrato con la malagiustizia e l’ingiustizia.
Vittima di un mondo forense e giudiziario dove cane non mangia cane.
Non avendo protezione ero discriminato nello svolgimento della professione e nell’abilitazione.
Sono stato costretto all’attacco per difendermi.
Mi sono rivolto con prove alle istituzioni man mano superiori, nell’omissione degli organi inferiori.
E’ lì che, anziché trovare alleati, è nato il complotto nei miei confronti, che mi ha annientato.
Sono stato vittima di repressione e persecuzione per aver denunciato l’accesso truccato alle professioni forensi e giudiziarie e sollevato casi di malagiustizia ed ingiustizia.
17 anni di bocciature all'esame di avvocato con compiti non corretti e voti identici.
Procedimenti penali finiti nel nulla attivati contro di me da magistrati ed avvocati.
Pulito, ma povero. Ciò nonostante sono orgoglioso di essere diverso e rappresentare al mondo con i miei saggi una realtà sconosciuta.
Dr Antonio Giangrande
Da “L’Attimo fuggente”. (Robin Williams) John Keating:
“Due strade trovai nel bosco, io scelsi la meno battuta, per questo sono diverso.”
“Dobbiamo sempre guardare le cose da angolazioni diverse. E il mondo appare diverso.”
“Vivi la tua vita intensamente prima che tutto finisca... perché dopo saremo cibo per i vermi e concime per i fiori...”
“Qualunque cosa si dica in giro, parole e idee possono cambiare il mondo. Sono salito sulla cattedra per ricordare a me stesso che dobbiamo sempre guardare le cose da angolazioni diverse. E il mondo appare diverso da quassù. Non vi ho convinti? Venite a vedere voi stessi. Coraggio! È proprio quando credete di sapere qualcosa che dovete guardarla da un'altra prospettiva. Carpe diem. Cogliete l'attimo, ragazzi... Rendete straordinaria la vostra vita!”
Ognuno di noi è segnato nella sua esistenza da un evento importante. Chi ha visto il film si chiede: perché la scena finale de “L’attimo fuggente” , ogni volta, provoca commozione? Il professor John Keating (Robin Williams), cacciato dalla scuola, lascia l’aula per l’ultima volta. I suoi ragazzi, riabilitati da lui dalla corruzione culturale del sistema, non ci stanno, gli rendono omaggio. Uno dopo l’altro, salgono in piedi sul banco ed esclamano: «Capitano, mio capitano!». Perché quella scena è così potente ed incisiva? Quella scena ci colpisce perché tutti sentiamo d’aver bisogno di qualcuno che ci insegni a guardare la realtà senza filtri. Desideriamo, magari senza rendercene conto, una guida che indichi la strada: per di là. Senza spingerci: basta l’impulso e l’incoraggiamento. Il pensiero va a quella poesia che il vate americano Walt Whitman scrisse dopo l'assassinio del presidente Abramo Lincoln, e a lui dedicata. Gli stessi versi possiamo dedicare a tutti coloro che, da diversi nell'omologazione, la loro vita l’hanno dedicata per traghettare i loro simili verso un mondo migliore di quello rispetto al loro vivere contemporaneo. Il Merito: Valore disconosciuto ed osteggiato in vita, onorato ed osannato in morte.
Studiare non significa sapere, volere non significa potere. Ai problemi non si è capaci di trovare una soluzione che accontenti tutti, perché una soluzione per tutti non esiste. Alla fine nessuno è innocente, perché in questa società individualista, violenta e superficiale tutti sono colpevoli. Io ho preso la mia decisione mentre la totalità di voi non sa prenderne alcuna (anche nelle cose più semplici). Come potreste capire cosa è veramente importante nella vita? Non saprete mai se avete preso la decisione giusta perché non vi siete fidati di voi stessi. Accusate il sistema, ma il sistema è freddo inesorabile matematico, solo chi è deciso a raggiungere la riva la raggiungerà. Vi auguro tutto il meglio per la vostra vita. “Class Enemy”, di Rok Bicek film del 2013.
A proposito di Sarri. Ci sedemmo dalla parte del torto visto che tutti gli altri posti erano occupati. Ci sono uomini che lottano un giorno e sono bravi, altri che lottano un anno e sono più bravi, ci sono quelli che lottano più anni e sono ancora più bravi, però ci sono quelli che lottano tutta la vita: essi sono gli indispensabili. Gli interisti sono come i comunisti: quando perdono è perchè gli altri rubano (così risuccederà con la Juve) o gridano al "razzista" per farli degradare, come succede al Napoli. Se poi i media sono in mano a giornalisti di sinistra o comunque del nord è tutto dire. I salottieri si scandalizzano del "Frocio" dato a al furbo Mancini, ma si sbrodolano con la parola "terrone" dato a destra ed a manca in ogni tempo e in ogni dove. E' vero che ormai il potere è gay (vedi le leggi in Parlamento) e le femministe si sono prostate all'Islam (vedi le reazioni su Colonia), ma frocio è una offesa soggettiva. Terrone è una offesa ad un intero popolo. Ma tutti tacciono, anche i meridionali coglioni. Se "Terrone" vuol dire cafone ignorante: bèh , non prendo lezioni dai veri razzisti e ignoranti. (Se qualcuno ha qualche commento fuori luogo. Gli consiglio di leggere il mio libro "L'Italia Razzista"!
Facebook. Da Museo Di Emozioni Napoli: Tifoso del Napoli (con la maglia N.10) avvicina Gasperini e gli dici “forza Napoli”... a quel punto interviene uno dello staff dandogli del “Terrone del Cazzo”
Non male direi
Antonio Giangrande: John Keating: Qualunque cosa si dica in giro, parole e idee possono cambiare il mondo. Sono salito sulla cattedra per ricordare a me stesso che dobbiamo sempre guardare le cose da angolazioni diverse. E il mondo appare diverso da quassù. Non vi ho convinti? Venite a vedere voi stessi. Coraggio! È proprio quando credete di sapere qualcosa che dovete guardarla da un'altra prospettiva. Carpe diem. Cogliete l'attimo, ragazzi... Rendete straordinaria la vostra vita!
Gerard Pitts: Cogli la rosa quando è il momento, che il tempo, lo sai, vola e lo stesso fiore che sboccia oggi, domani appassirà. John Keating: Non leggiamo e scriviamo poesie perché è carino: noi leggiamo e scriviamo poesie perché siamo membri della razza umana; e la razza umana è piena di passione. Medicina, legge, economia, ingegneria sono nobili professioni, necessarie al nostro sostentamento; ma la poesia, la bellezza, il romanticismo, l'amore, sono queste le cose che ci tengono in vita. Dal film L'attimo fuggente (Dead Poets Society), film del 1989 diretto da Peter Weir e con protagonista Robin Williams.
Studiare non significa sapere, volere non significa potere. Ai problemi non si è capaci di trovare una soluzione che accontenti tutti, perché una soluzione per tutti non esiste. Alla fine nessuno è innocente, perché in questa società individualista, violenta e superficiale tutti sono colpevoli. Io ho preso la mia decisione mentre la totalità di voi non sa prenderne alcuna (anche nelle cose più semplici). Come potreste capire cosa è veramente importante nella vita? Non saprete mai se avete preso la decisione giusta perché non vi siete fidati di voi stessi. Accusate il sistema, ma il sistema è freddo inesorabile matematico, solo chi è deciso a raggiungere la riva la raggiungerà. Vi auguro tutto il meglio per la vostra vita. “Class Enemy”, di Rok Bicek film del 2013.
Dr. Antonio Giangrande. Scrittore, sociologo storico, giurista, blogger, videomaker, presidente dell’Associazione Contro Tutte le Mafie, destinatario delle denunce presentate dai magistrati per tacitarlo e ricevente da tutta Italia di centinaia di migliaia di richieste di aiuto o di denunce di malefatte delle istituzioni. Ignorato dai media servi del potere.
Come far buon viso a cattivo gioco ed aspettare che dal fiume appaia il corpo del tuo nemico. "Subisci e taci" ti intima il Sistema. Non sanno, loro, che la vendetta è un piatto che si gusta freddo. E non si può perdonare...
Antonio Giangrande: Noi non siamo poveri. Ci vogliono poveri. Non siamo in democrazia. Siamo in oligarchia politica ed economica.
Perchè i regimi cosiddetti democratici ci vogliono poveri? Per incentivare lo schiavismo psicologico che crea il potere di assoggettamento. Nessun regime capitalistico o socialista agevola il progresso economico delle classi più abbienti e numerose, che nelle cosiddette democrazie rappresentative sono indispensabili alla creazione ed al mantenimento del Potere.
Il Regime capitalista è in mano a caste e lobby che pongono limiti e divieti al libero accesso ed esercizio di professioni ed imprese.
Il regime socialista è in mano all'élite politica che pone limiti alla ricchezza personale.
Tutti i regimi, per la loro sopravvivenza, aborrano la democrazia diretta e l'economia diretta. Infondono il culto della rappresentanza politica e della mediazione economica. Agevolano familismo, nepotismo e raccomandazioni.
Muhammad Yunus, l’economista bengalese settantottenne, Nobel per la pace nel 2006, che con l’invenzione del microcredito in 41 anni ha cambiato l’esistenza di milioni di poveri portandoli a una vita dignitosa, non ha avuto esitazioni, giovedì 17 maggio 2018 all’Auditorium del grattacielo di Intesa San Paolo a Torino, nell’indicare la via possibile verso l’impossibile: eliminare la povertà. E contestualmente la disoccupazione e l’inquinamento. Come riferisce Mauro Fresco su Vocetempo.it il 24 maggio 2018, tutto il sistema economico capitalistico, nell’analisi di Yunus, deve essere riformato. A partire dall’educazione e dall’istruzione, immaginate per plasmare persone che ambiscono a un buon lavoro, a essere appetibili sul mercato; ma l’uomo non deve essere educato per lavorare, per vendere se stesso e i propri servizi, deve essere formato alla vita; l’uomo non deve cercare lavoro, ma creare lavoro, senza danneggiare altri uomini e l’ambiente. Perché ci sono i poveri, si domanda Yunus, perché la gente rimane povera? Non sono gli individui che vogliono essere poveri, è il sistema che genera poveri. Ci stiamo avviando al disastro, sociale e ambientale: oggi, otto persone possiedono la ricchezza di un miliardo di individui, questi scenari porteranno, prima o poi, a uno scenario violento: dobbiamo evitarlo. La civiltà è basata sull’ingordigia. Dobbiamo invece mettere in atto la transizione verso la società dell’empatia.
Yunus ha dimostrato, con il microcredito prima e con la Grameen Bank poi, che quella che a economisti e banchieri sembrava un’utopia irrealizzabile è invece un’alternativa concreta, che dal Bangladesh si è via via allargata a più di 100 Paesi, Stati Uniti ed Europa compresi. Con ironia, considerando la sede che lo ospitava, Yunus ha ricordato che, quando qualcuno gli ribadiva che un progetto non era fattibile, «studiavo come si sarebbe comportata una banca e facevo esattamente il contrario». Fantasia, capacità di rischiare e, soprattutto, conoscenza e fiducia nell’umanità, in particolare nelle donne, sono i segreti che hanno permesso di dar vita a migliaia di attività imprenditoriali, ospedali, centrali fotovoltaiche, sempre partendo dal basso e da progettualità diffuse. L’impresa sociale, che ha come obiettivo coprire i costi e reinvestire tutti profitti senza distribuire dividendi, sostiene Yunus, è l’alternativa possibile e molto concreta per vincere «la sfida dei tre zeri: un futuro senza povertà, disoccupazione e inquinamento», titolo anche del suo ultimo lavoro pubblicato da Feltrinelli. L’impresa sociale può permettersi di produrre a prezzi molto più bassi, non ha bisogno di marketing pervasivo, campagne pubblicitarie continue, packaging attraente per invogliare il consumatore. Così anche le "verdure brutte", quel 30 per cento di produzione agricola che l’Europa butta perché di forma ritenuta non consona per essere proposta al consumatore – «la carota storta, la patata gibbosa, la zucchina biforcuta una volta tagliate non sono più brutte» ha ricordato sorridendo Yunus – possono essere utilizzate da un’impresa sociale e messe in vendita per essere cucinate e mangiate.
«Il reddito di cittadinanza per tutti? È questo che intendiamo per dignità della persona? Ai poveri dobbiamo permettere un lavoro dignitoso, la carità non basta».
Il premio Nobel Yunus: "Il reddito di cittadinanza rende più poveri e nega la dignità umana". Scrive il HuffPost il 13 maggio 2018. L'economista ideatore del microcredito intervistato dalla Stampa: "I salari sganciati dal lavoro rendono l'uomo un essere improduttivo e senza creatività". "Il reddito di cittadinanza rende più poveri, non è utile a chi è povero e a nessun altro, è una tipica idea di assistenzialismo occidentale e nega la dignità umana". Parola di Muhammad Yunus, economista e banchiere bengalese che ha vinto il premio Nobel per la pace nel 2006 per aver ideato e creato la "banca dei poveri". In un'intervista a La Stampa, l'inventore del microcredito boccia tout court il caposaldo del programma M5S: "I salari sganciati dal lavoro rendono l'uomo un essere improduttivo, ne cancellano la vitalità e il potere creativo".
Secondo Yunus l'Europa ha un grande limite. "L'Asia avrebbe bisogno di molte cose che in Europa ci sono e ci sono da tanto tempo, ma trovo che da voi ci sia un pensiero unico che limita gli slanci. Mi spiego meglio: le società europee sono ossessionate dal lavoro, tutti devono trovare un lavoro, nessuno deve rimanere senza lavoro, le istituzioni si devono preoccupare che i cittadini lavorino... Invece in Asia la famiglia è il luogo più importante e non c'è questo pensiero fisso del lavoro: esiste una sorta di mercato informale, in cui gli uomini esercitano loro stessi come persone. Penso che la lezione positiva che viene dall'Asia sia quella di ridisegnare il sistema finanziario attuale, privilegiando la dignità delle persone e il valore del loro tempo".
Durissimo il giudizio sul reddito di cittadinanza. "è la negazione dell'essere umano, della sua funzionalità, della vitalità, del potere creativo. L'uomo è chiamato a esplorare, a cercare opportunità, sono queste che vanno create, non i salari sganciati dalla produzione, che per definizione fanno dell'uomo un essere improduttivo, un povero vero".
Noi abbiamo una Costituzione comunista immodificabile con democrazia rappresentativa ad economia capitalista-comunista e non liberale.
I veri liberali adottano l'economia diretta con la libera impresa e professione. Lasciano fare al mercato con la libera creazione del lavoro e la preminenza dei migliori.
I veri democratici adottano la democrazia diretta per il loro rappresentanti esecutivi, legislativi e giudiziari, e non quella mediata, come la democrazia rappresentativa ad elevato astensionismo elettorale, in mano ad un élite politica e mediatica.
Ci vogliono poveri e pure fiscalmente incu…neati.
Quanto pesa il cuneo fiscale sui salari in Italia? E in Europa? Nell'ultimo anno la busta paga di un lavoratore medio (circa 30 mila euro lordi) era tassata del 47,9 per cento. Quindi su 100 euro di lordo in busta paga, a un lavoratore italiano medio arriva un netto di 52,1 euro. Quasi la metà, scrive l'Agi.
Che cos’è il cuneo fiscale e quanto pesa in Italia. Il cuneo fiscale – in inglese Tax wedge – è definito dall’Ocse (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) come «il rapporto tra l’ammontare delle tasse pagate da un singolo lavoratore medio (una persona single con guadagni nella media e senza figli) e il corrispondente costo totale del lavoro per il datore».
Nella definizione dell’Ocse sono comprese oltre alle tasse in senso stretto anche i contributi previdenziali. Quindi se per un datore il costo del lavoratore è pari a 100, il cuneo fiscale rappresenta la porzione di quel costo che non va nelle tasche del dipendente ma nelle casse dello Stato. Nel caso dei contributi, i soldi raccolti dallo Stato vengono poi restituiti al lavoratore sotto forma di pensione (ma, come spiega l’Inps, nel nostro sistema “a ripartizione” sono i lavoratori attualmente in attività a pagare le pensioni che vengono oggi erogate: non è che il pensionato incassi quanto lui stesso ha versato nel corso della propria vita, come se avesse un conto personale e separato presso l’Inps).
Secondo il più recente rapporto dell’Ocse Taxing Wages 2019 – pubblicato l’11 aprile 2019 – nel 2018 in Italia la busta paga di un lavoratore medio (circa 30 mila euro lordi) era tassata del 47,9 per cento. Quindi su 100 euro di lordo in busta paga, a un lavoratore italiano medio arriva un netto di 52,1 euro. Quasi la metà. Ma come siamo messi in Europa da questo punto di vista?
La situazione in Europa. Il rapporto dell’Ocse Taxing Wages 2019 contiene anche una classifica dei suoi Stati membri, in base al peso del cuneo fiscale. Andiamo a vedere come si posizionano l’Italia e il resto degli Stati Ue presenti in classifica. Roma arriva terza, con il 47,9 per cento. Davanti ha il Belgio, primo in classifica con un cuneo fiscale (e contributivo) pari al 52,7 per cento, e la Germania con il 49,5 per cento. Subito sotto al podio si trova la Francia, con il 47,6 per cento, appaiata con l’Austria. Seguono poi Ungheria, Repubblica Ceca, Slovenia, Svezia, Lettonia e Finlandia. Gli altri Stati comunitari grandi e medio-grandi sono nettamente più in basso in classifica: la Spagna è sedicesima nella Ue con il 39,6 per cento, la Polonia ventesima con il 35,8 per cento, e il Regno Unito ventitreesimo con il 30,9 per cento. Londra è poi, dei Paesi Ue che sono anche membri dell’Ocse, quello con il cuneo fiscale minore.
Altri Paesi Ocse. In fondo alla classifica dell’Ocse non troviamo nessuno Stato dell’Unione europea. La percentuale più bassa è infatti attribuita al Cile, appena il 7 per cento di cuneo fiscale. Davanti, staccati, arrivano poi Nuova Zelanda (18,4) e Messico (19,7). Degli Stati europei, ma non Ue, quello con la percentuale più bassa è la Svizzera, con un cuneo fiscale del 22,2 per cento. Gli Stati Uniti, infine, hanno un cuneo pari al 29,6 per cento. La media Ocse è del 36,1 per cento.
Conclusione. In Italia il cuneo fiscale è pari al 47,9 per cento. Questa è la terza percentuale più alta tra i Paesi dell’Ocse. Davanti a Roma si trovano solamente Berlino e Bruxelles.
CI STANNO PORTANDO NELLA GIUSTA DIREZIONE? Mariano Amici il 2 Settembre 2023
CONTINUIAMO A FAR MATURARE LE COSCIENZE.
Per entrare in riflessione leggete questo racconto emozionante di un’ Italia ormai scomparsa pubblicato da Eraldo Pecci
“A metà degli anni Sessanta c’era lavoro, crescita, ottimismo. La gente lavorando acquisiva certezze e benessere. Ci si costruiva la casa, si comprava prima la Vespa e poi la si cambiava con l’auto, il frigorifero, la televisione. E d’estate si cominciava a potersi permettere la vacanza in riviera. Noi abitavamo al mare e, visto che arrivava gente, ci organizzavamo per accoglierla. Quei tre mesi di lavoro erano detti “la stagione” ed era normale che si iniziasse a farla anche da bambini.
Io cominciai nel giugno del 1965 quando avevo da poco compiuto dieci anni. Barista con mio fratello Maurizio. Lui era “grande”, di anni ne aveva ormai quattordici. Orario di lavoro dalle 8 alle 13 e dalle 19 alle 22.30-23. Cento o centocinquanta lire al giorno, non ricordo bene, la paga. Mi sentivo utile e importante. Anche se mi ci voleva la cassetta vuota della Coca-Cola sotto i piedi perché altrimenti non arrivavo all’altezza giusta per fare i caffè o per disporre le cose sul bancone. Riempivo i frigoriferi tutte le sere prima di andarmene, controllavo le cose da ordinare ai fornitori, preparavo piattini, tazze, cucchiaini, bicchieri, zucchero, nei vassoi che i camerieri avrebbero solo dovuto portare per servire i clienti. Pulivo e lucidavo le mensole con su gli alcolici e gli amari, davo lo straccio e preparavo tè, camomille e perfino cocktail. Si iniziava da apprendisti e grazie all’aiuto e alla pazienza dei più grandi in poco tempo si apprendeva davvero.
Che bello era, ogni tanto, ritrovarsi con gli amici, che lavoravano a loro volta, a mangiare una pizza e pagare il conto con le mance guadagnate! Che bello era conoscere gente di ogni parte d’Italia e d’Europa! Imparare parole di altre lingue. Avere le chiavi di casa in tasca e l’impressione di non pesare sugli altri. E tutte le notti depredare il frigorifero e lasciare comunque qualcosa a Maurizio se rientrava dopo, come lui faceva con me se rientravo più tardi io. Qualunque fosse la sequenza, il mattino la mamma trovava regolarmente il frigo vuoto. Bei tempi, belle sensazioni.” -Eraldo Pecci (Ci piaceva giocare a pallone)
Antonio Giangrande: Il programma politico di Antonio Giangrande: un Sindaco che Avetrana ha mai voluto…
"Dapprima ti ignorano. Poi ti ridono dietro. Poi cominciano a combatterti. Poi arriva la vittoria". Mahatma Gandhi.
Si deve portare l’attenzione verso i fondamentali concetti della democrazia quali bene comune, cosa pubblica (res publica), trasparenza, legalità, merito, servizio, serietà e mantenimento della parola data, ascolto e partecipazione della cittadinanza. Per essere rappresentanti dei cittadini ed al servizio di tutta la comunità e non solo di una parte, bisogna osteggiare il palesarsi ad una appartenenza politica di vecchio stampo. Chi si dichiara appartenere ad una vecchia ideologia è esso stesso vecchio e stantio oltre che motivo di tensione, attrito e, quindi, di divisione. Il partigiano non può far parte del rinnovamento. Sono le idee vive e geniali che fanno progredire e non le ideologie morte, spesso prone ai Poteri forti. Nelle piccole comunità i capaci ad amministrare son pochi e non bisogna disperderli in sciocche divisioni. Nella amministrazione pubblica non ci sarà posto per chi, egocentrico, ha ambizioni personali e pensa alla politica come strumento di realizzazione. Si dice che un paese di coglioni sarà sempre governato, amministrato, giudicato da coglioni. Facciamo sì che non ci si debba vergognare, ma essere onorati di chi ci rappresenta. Ci si deve impegnare ad essere di esempio per gli altri.
IL PROGRAMMA.
LA POLITICA, LA PARTECIPAZIONE E LA TUTELA. La politica non è speculazione. La politica deve essere servizio al cittadino ed il cittadino deve partecipare alla politica. Il candidato, sia a Sindaco che a Consigliere Comunale, libero da vincoli di provenienza o appartenenza politica o familiare, deve essere capace, competente, serio, disponibile e non prono ai Poteri Forti. Non deve essere stato condannato in modo definitivo per reati gravi. Il candidato eletto deve lavorare per la comunità ed avere diritto all’equo compenso. Il cittadino, anche associato, deve far sentire i suoi bisogni e proporre le soluzioni. All’associazionismo deve essere dato sostegno ed esso deve aiutare gratuitamente l’Amministrazione alla gestione del bene comune. Per la tutela del cittadino deve essere istituita la figura del Difensore Civico con virtù e qualità maggiori di quelli del Sindaco e del Consigliere Comunale e scelto dal Consiglio Comunale tra i cittadini locali per la tutela dei diritti dei membri della comunità nei confronti della Pubblica Amministrazione locale e nazionale. Il Sindaco, gli Assessori ed il Presidente del Consiglio Comunale devono mettersi in aspettativa per il proprio lavoro o professione ed essere sempre presenti presso la casa comunale per ascoltare le esigenze della gente e controllare il buon andamento della Pubblica Amministrazione. Ognuno di loro, per un contatto immediato e diretto, deve avere un recapito di posta elettronica ed avere una pagina social periodicamente aggiornata.
LA TRASPARENZA ED IL SERVIZIO AI CITTADINI. Si deve istituire l’ufficio dell’URP (Ufficio Relazioni con il Pubblico), al servizio dell’utenza per la conoscenza dell'iter della pratica amministrativa e del rispetto del tempo ad essa riservato dalla legge. Ciò nell’ottica di far percepire il Comune come un servizio al cittadino e non come un esattore e basta. Ai dipendenti deve essere data istruzione di disponibilità relazionale e comunicabilità adeguata rispetto all'utenza. Deve essere dato risalto dell'attività dell'amministrazione e degli eventi organizzati da essa o dalle associazioni locali sul sito web dell'istituzione e su bollettini periodici da distribuire dei punti di ritrovo e commerciali. Si deve verificare il percorso di assunzione dei dipendenti e collaboratori dell'Ente e l'evoluzione dei contratti in essere, scaduti e rinnovati senza gara e con mancanza di verifica di economicità. Si deve controllare modi e costi delle consulenze esterne ed interne. Si deve verificare ogni intervento reso ai cittadini ritenuti disagiati, affinchè non nasconda voto di scambio. Bisogna migliorare la tracciabilità di appalti e subappalti attraverso la pubblicazione online dei bandi di gara e dei risultati delle stesse ed avere l’autorizzazione scritta del Comune per qualsiasi tipo di subappalto. Ogni gara di appalto deve contenere l'impegno ad assumere un numero indeterminato di disoccupati locali, secondo la specializzazione richiesta. Bisogna aumentare le responsabilità degli appaltatori, attraverso regole di appalto che riconducano unicamente all’appaltatore le responsabilità di lavori non eseguiti nei termini od a regola d’arte o di danni provocati dal sub appaltatore, anche durante tutto il periodo di garanzia. Bisogna migliorare il sistema delle gare d’appalto. Rivedere il sistema delle gare economicamente vantaggiose (lo spirito della gara dovrebbe essere di chi fa l’offerta migliore) introducendo, come avviene in molti altri enti pubblici, un sistema di valutazione delle offerte attraverso l’utilizzo di parametri oggettivi e non soggettivi da parte della commissione scelta dalla stazione appaltante. Controllare che i lavori effettuati per conto proprio o per conto delle aziende terze sul suolo comunale siano effettuati a regola d’arte.
RISPETTO DELLA LEGGE, FISCALITA' E LOTTA ALLA EVASIONE. Il cittadino deve rispettare la legge, per la sicurezza, il rispetto dell'ambiente ed il quieto vivere. Bisogna essere inflessibili, ma non fiscali. Per contenere la pressione fiscale e garantire maggiore equità contributiva al cittadino bisogna chiedere il minimo indispensabile, agevolandolo per la riscossione, e il richiesto tradurlo al massimo in termini di servizi ed opere. Per la lotta all'evasione bisogna essere inflessibili, previo tentativo di verifiche e di conciliazione e mediazione. Tutelare la prima casa ed i cittadini poveri. I disoccupati possono pagare i tributi con una prestazione d'opera. Le associazioni devono essere agevolate sulla fiscalità. La Pubblica Amministrazione da parte sua deve rispettare i tempi dei procedimenti amministrativi e pagare i debiti entro 30 giorni dalla fattura.
TUTELA PATRIMONIO COMUNALE. Bisogna censire il patrimonio immobiliare del Comune (canoni riscossi per gli immobili concessi in locazione, canoni corrisposti per quelli di proprietà di terzi acquisiti in locazione). Elaborare un piano pluriennale di utilizzo, razionalizzazione e cessioni del patrimonio comunale. Valutare eventuali riqualificazioni, conversioni, cambi di destinazione d’uso e verificate possibilità di intervento, con riguardo alle priorità dei fabbisogni di spazi idonei e accessibili per sede degli uffici e dei servizi comunali e per sedi e attività delle associazioni.
URBANISTICA E TERRITORIO, AMBIENTE ED AGRICOLTURA. Basare una riqualificazione del territorio concentrata sul recupero e sulla ristrutturazione dell’esistente; agevolare il diritto alla prima casa con nuove costruzioni e la distribuzione dei servizi dal centro alle periferie; una gestione ambientale basata su una mobilità che valorizzi e crei percorsi di viabilità ecologica, ciclabile e podistica; sul valore della forestazione e la piantumazione di piante e la relativa cura; politiche socio culturali ed economiche che promuovano uno stile ambientalista ed allo stesso tempo sfrutti le risorge offerte dal riciclo dei rifiuti, con creazione di posti di lavoro, ed agevolazioni per l'istallazione e lo sfruttamento di fonti di energia alternativa sui propri fabbricati; salvaguardia delle attività agricole, rilanciando la funzione dell’agricoltore e di attività collegate (mercati a filiere corte, promozione di prodotti a km 0, accordi tra agricoltori e proprietari dei fondi agricoli per mantenere i terreni coltivati, etc.). Stop al consumo del territorio per i nuovi impianti con pannelli fotovoltaici e favorire la loro realizzazione su capannoni industriali o fabbricati agricoli. Si deve controllare la viabilità e la salute delle strade, come l’ordinato parcheggio.
LAVORO. Attuare corrette misure di salvaguardia e di intervento e sfruttare le risorse di valore Storico, Archeologico, Paesaggistico e Naturalistico del territorio Comunale. Predisporre luoghi ed aziende per lo sfruttamento del turismo, specialmente dove è maggiore la vocazione turistica. Incentivare gli spostamenti in bicicletta verso le zone turistiche attraverso apposte iniziative comunali. Promuovere e gestire itinerari turistici culturali. Rendere la viabilità ciclabile appetibile grazie a percorsi più sicuri e rapidi. Predisporre un sistema di raccolta porta a porta per tutto il territorio comunale e favorire la crescita di un economia locale legata al recupero, riciclo e riutilizzo dei materiali post consumo, compreso lo sfruttamento del prodotto di sfalci e potature di viti ed ulivi. Predisporre e gestire in modo corretto, etico e trasparente un canile/gattile e favorire l'adozione degli animali. Predisporre le modalità di attuazione delle prestazioni di lavoro occasionale di tipo accessorio come disciplinate dall'art. 4 della L. n.30/03, dal D.Lgs. n. 276/03 (artt. 70-73), e successive integrazioni e modificazioni. Con lo "strumento" voucher si offre la possibilità di occupazioni temporanee a soggetti che si trovano in situazioni di svantaggio economico, di difficoltà finanziaria, di disagio personale e/o familiare. Uno strumento che dà la possibilità a tutti i disoccupati di prestare la loro opera per un dato periodo di tempo per lavori di pubblica utilità. Per incentivare ogni altra forma di impresa e debellare il fenomeno dell'usura, l'amministrazione si farà garante verso gli istituti di credito di ogni progetto presentato ed approvato dal Consiglio Comunale e comunque di favorire l’accesso al credito attraverso il sostegno economico ai Confidi (consorzi di garanzia) o forme similari di categoria o comunque la verifica degli immobili agibili e sfitti di proprietà diretta o indiretta del comune per locazione agevolata alle attività imprenditoriali giovanili (fino a 35 anni). Predisporre un front office turistico multilinguistico di presentazione del territorio, con tour tematici.
SANITA’.
Predisposizione telematica di conoscenza del medico disponibile nel momento del bisogno.
SICUREZZA.
Predisposizione di aree e vie pubbliche videosorvegliate e potenziamento del corpo di Polizia Municipale, con collaborazioni temporanee, coadiuvato da associazioni di cittadini locali per il controllo delle aree rurali.
PROMOZIONE DEL TERRITORIO.
Promuovere e sostenere ovunque ogni eccellenza locale nel settore dello sport, cultura e spettacolo o ogni altra forma di realizzazione e manifestazione. Tutelare la reputazione di Avetrana e della sua comunità con ogni mezzo e senza remore.
SPORT.
Curare e gestire in modo economico ogni struttura comunale e renderla fruibile a tutti.
FINANZIAMENTO.
Vogliamo farci conoscere in Europa per le nostre risorse naturali, storiche, culturali, artistiche. Abbiamo un patrimonio da valorizzare grazie alla progettazione europea. Si dovrà formare un gruppo compatto di professionisti locali o non locali, remunerato per presentare progetti ed accedere ai Fondi strutturali.
Se questa è democrazia…
LE IDEOLOGIE ANTIUOMO.
SOCIALISMO:
Lavoro ed assistenzialismo, ambiente, libertà sessuale e globalizzazione sono i miti dei comunisti.
Dio, Patria e Famiglia sono i miti dei fascisti.
Sovranismo e populismo sono i miti dei leghisti.
Assistenzialismo, populismo e complottismo sono i miti dei 5 stelle.
LIBERALISMO (LIBERISMO):
Egoismo e sopraffazione sono i miti dei liberali.
ECCLESISMO:
Il culto di Dio e della sua religione è il mito degli ecclesiastici.
MONARCHISMO:
Il culto del Sovrano.
Nessuna di queste ideologie è fattrice rivoluzionaria con l'ideale della Libertà, dell'Equità e della Giustizia.
Per il Socialismo le norme non bastano mai per renderti infernale la vita, indegna di essere vissuta.
Per il Liberalismo occorrono poche norme anticoncorrenziali per foraggiare e creare l'elìte.
Per Dio bastano 10 regole per essere un buon padre di famiglia.
Per il sovrano basta la sua volontà per regolare la vita dei sottoposti.
Noi, come essere umani, dovremmo essere regolati dal diritto naturale: Libertà, Equità e Giustizia.
Liberi di fare quel che si vuole su se stessi e sulla propria proprietà.
Liberi di realizzare le aspettative secondo i propri meriti e capacità.
Liberi di rispettare e far rispettare leggi chiare che si contano su due mani: i 10 comandamenti o similari. Il deviante viene allontanato.
Antonio Giangrande, orgoglioso di essere diverso.
Nella vita di ognuno due cose sono certe: la vita e la morte.
Si nasce senza volerlo. Si muore senza volerlo. Si vive una vita di prese per il culo.
Gli animali, da sé, per indole emulano ed imitano, imparando atteggiamenti e comportamenti dei propri simili. Senonché sono proprio i simili, a difesa del gruppo, a inculcare nella mente altrui il principio di omologazione e conformazione.
Noi siamo quello che altri hanno voluto che diventassimo. Facciamo in modo che diventiamo quello che noi avremmo (rafforzativo di saremmo) voluto diventare.
ODIO OSTENTAZIONE, IMPOSIZIONE E MENZOGNA.
Tu esisti se la tv ti considera.
La Tv esiste se tu la guardi.
I Fatti son fatti oggettivi naturali e rimangono tali.
Chi conosce i fatti si chiama esperto ed esprime pareri.
Chi non conosce i fatti esprime opinioni e si chiama opinionista.
Le opinioni sono atti soggettivi cangianti.
Le opinioni se sono oggetto di discussione ed approfondimento, in TV diventano testimonianze. Ergo: Fatti.
Con me i pareri e le opinioni cangianti, contrapposte e in contraddittorio, diventano fatti.
Con me i fatti, e la Cronaca che li produce, diventano Storia.
Oggi le persone si stimano e si rispettano in base al loro grado di utilità materiale da rendere agli altri e non, invece, al loro valore intrinseco ed estrinseco intellettuale. Per questo gli inutili sono emarginati o ignorati. Se si è omologati (uguali) o conformati (simili) e si sta sempre dietro alla massa, non si sarà mai primi nella vita, perché ci sarà sempre il più furbo o il più fortunato a precederti.
Sono un saggista, autore indipendente. Si troveranno delle recensioni deliranti e degradanti di queste opere. Il mio intento non è soggiogare l'assenso parlando del nulla, ma dimostrare che siamo un popolo difettato. In questo modo è ovvio che l'offeso si ribelli con la denigrazione del palesato.
Per questo un popolo di coglioni sarà sempre governato ed amministrato, giudicato ed informato, educato ed istruito da coglioni. E se un Parlamento è composto da coglioni, si sforneranno Leggi del cazzo.
Antonio Giangrande: A proposito di, Garanzie, Sfiducia e Debito Pubblico. Parliamo della Germania.
La Germania non ha fiducia nell’Italia nell’onorare i suoi debiti. L’Italia è reputata indebitata, inaffidabile e senza garanzie.
La Germania è forte dei suoi artifici contabili e dell’irriconoscenza. I suoi debiti non li ha mai pagati come dopo la Prima Guerra Mondiale, o se li è visti in gran parte condonare come dopo la Seconda Guerra Mondiale. E gli sforamenti del 2003 del tetto del 3 % deficit/pil? Dimenticati?
Antonio Giangrande: Il popolo dei nimbini (mai da me) è sempre all’opera. Probabilmente non hanno niente da fare. Generalmente son comunisti di varie sigle. Aggiungiamoci tra di loro pure i pentastellati, bastian contrari alla riscossa. Ma che cazzo centrano quelli di Forza Italia, Lega e Fratelli d’Italia con il referendum di Domenica? Da quando in qua interessa a loro la lotta ambientalista? O comunque la lotta sociale e civile? Sono disabituati perchè, generalmente, i referendum sono previsti contro le loro leggi capitaliste. Il paradosso è che, questa volta, la sinistra nimbina scende in campo contro se stessa. Se i referendum, come gli scioperi, sono prettamente politici, perché ci fanno spendere un “mare” di soldi per un referendum per il quale nessuno va a votare? Tranquillamente possono far cadere i governi e cambiare le norme che non piacciono in Parlamento!!! D'altronde, quando mai hanno rispettato l’esito dei referendum? Specialmente quando il referendum era serio, come quello sulla responsabilità dei magistrati!!
Dr Antonio Giangrande di cosa si occupa con i suoi saggi e con la sua web tv?
«Denuncio i difetti e caldeggio i pregi italici. Perché non abbiamo orgoglio e dignità per migliorarci e perché non sappiamo apprezzare, tutelare e promuovere quello che abbiamo ereditato dai nostri avi. Insomma, siamo bravi a farci del male e qualcuno deve pur essere diverso!»
Perché dice che “La gente non legge, non sa, ma sceglie, decide e parla”.
«Libri, 6 italiani su dieci non leggono. In Italia poi si legge sempre meno. Siamo tornati ai livelli del 2001. Un dato resta costante da decenni: una famiglia su 10 non ha neppure un libro in casa. I dati pubblicati dall’Istat fotografano l’inesorabile diminuzione dei lettori, con punte drammatiche al Sud. Impietoso il confronto con l’estero, scrive il 27 dicembre 2017 Cristina Taglietti su "Il Corriere della Sera". La gente usa esclusivamente i social network per informarsi tramite lo smartphone od il cellulare. Non usa il personal computer perchè non ha la fibra in casa che ti permette di ampliare più comodamente e velocemente la ricerca e l'informazione. La gente, comunque, non va oltre alla lettura di un tweet o di un breve post, molto spesso un fake nato dall'odio o dall'invidia, e lo condivide con i suoi amici. Non verifica o approfondisce la notizia. Non siamo nell'era dell'informazione globale, ma del "passa parola" totale. Di maggiore impatto numerico, invece, è la ricerca sui motori di ricerca, non di un tema o di un argomento di cultura o di interesse generale, ma del proprio nome. Si digita il proprio nome e cognome, racchiuso tra virgolette, per protagonismo e voglia di notorietà e dalla ricerca risulta quanti siti web lo citano. Non si aprono quei siti web per verificare il contenuto. Si fermano sulla prima frase che appare sulla home page di Google o altri motori similari, estrapolata da un contesto complesso ed articolato. Senza sapere se la citazione è diffamatoria o meritoria o riconducibile all'autore da lì partono querele, richieste di rimozione per diritto all’oblio o addirittura indifferenza».
Ha un esempio da fare sull’impedimento ad informare?
«Esemplari sono le querele e le richieste di rimozione. Libertà di informazione, nel 2017 minacciati 423 giornalisti. I dati dell'osservatorio promosso da Fnsi e Ordine. La tipologia di attacco prevalente è l'avvertimento (37 per cento), scrive il 31 dicembre 2017 "La Repubblica". Ognuno di questi operatori dell'informazione è stato preso di mira per impedirgli di raccogliere e diffondere liberamente notizie di interesse pubblico. La tipologia di attacco prevalente è stata l'avvertimento (37 per cento) seguita dalle querele infondate e altre azioni legali pretestuose (32 per cento)».
E sull’indifferenza…
«Le faccio leggere un dialogo tra me e un tizio che mi ha contattato senza conoscermi, nonostante la mia notorietà. Uno dei tanti italiani che non si informa, ma usa internet in modo distorto. Uno di quel popolo di cercatori del proprio nome sui motori di ricerca e che vive di tweet e post. Un giorno questo tizio mi chiede “Lei ha scritto quel libro?”
E' un saggio - rispondo io. - L'ho scritto e pubblicato io e lo aggiorno periodicamente. A tal proposito mi sono occupato di lei e di quello che ingiustamente le è capitato, parlandone pubblicamente in modo disinteressato, come ristoro delle sofferenze da lei subite, pubblicando l'articolo del giornale in cui è stato pubblicato il pezzo. Inserendolo tra le altre testimonianze. Comunque ho scritto anche un libro sul territorio di riferimento. Come posso esserle utile?
“Volevo giusto capire, io mi sono imbattuto per caso nell'articolo, cercando il mio nome... E sotto l'articolo ho visto un link che mi collegava al suo saggio...Capire più che altro perché prendere articoli di giornale su altra gente e farne un saggio... Sono solo curiosità”.
E’ comodo definirsi scrittori da parte di chi non ha arte né parte - spiego io. - I letterati, che non siano poeti, cioè scrittori stringati, si dividono in narratori e saggisti. E’ facile scrivere “C’era una volta...” e parlare di cazzate con nomi di fantasia. In questo modo il successo è assicurato e non hai rompiballe che si sentono diffamati e che ti querelano e che, spesso, sono gli stessi che ti condannano. Meno facile è essere saggisti e scrivere “C’è adesso...” e parlare di cose reali con nomi e cognomi. Impossibile poi è essere saggisti e scrivere delle malefatte dei magistrati e del Potere in generale, che per logica ti perseguitano per farti cessare di scrivere. Devastante è farlo senza essere di sinistra. Quando si parla di veri scrittori ci si ricordi di Dante Alighieri e della fine che fece il primo saggista mondiale. In generale. Dico, in generale: io non esprimo mie opinioni. Prendo gli articoli dei giornali, citando doverosamente la fonte, affinchè non vi sia contestazione da parte dei coglioni citati, che siano essi vittime, o che siano essi carnefici. Perchè deve sapere che i primi a lamentarsi sono proprio le vittime che io difendo attraverso i miei saggi, raccontando tutto quello che si tace.
"Siccome io le ho detto mi sono solo imbattuto per "caso"... Io ho visto questa cosa e sinceramente l'ho letta perché ho visto il mio nome, ma se dovessi prendere il suo saggio e leggerlo non lo farei mai. Perché: Cerco di lavorare ogni giorno con le mie forze. I miei aggiornamenti sono tutt'altro. Faccio tutto il possibile per offrirmi un futuro migliore. Sono sempre impegnato e non riuscirei a fermarmi due minuti per leggere".
Rispetto la sua opinione - rispondo. - Era la mia fino ai trent'anni. Dopo ho deciso che è meglio sapere ed essere che avere. Quando sai, nessuno ti prende per il culo...
"Ma per le cose che mi possono interessare per il mio lavoro e il mio futuro nessuno mi può prendere per il culo ... Poi è normale che in ogni campo ci sia l'esperto…"»
Come commenta...
«Confermo che quando sai, nessuno ti prende per il culo. Quando sai, riconosci chi ti prende per il culo, compreso l’esperto che non sa che a sua volta è stato preso per il culo nella sua preparazione e, di conseguenza sai che l’esperto, consapevole o meno, ti potrà prendere per il culo».
Comunque rimane la soddisfazione di quei quattro italiani su dieci che leggono.
«Sì, ma leggono cosa? I più grandi gruppi editoriali generalisti, sovvenzionati da politica ed economia, non sono credibili, dato la loro partigianeria e faziosità. Basta confrontare i loro articoli antitetici su uno stesso fatto accaduto. Addirittura, spesso si assiste, sulle loro pagine, alla scomparsa dei fatti. Di contro troviamo le piccole testate nel mare del web, con giornalisti coraggiosi, ma che hanno una flebile voce, che nessuno può ascoltare. Ed allora, in queste condizioni, è come se non si avesse letto nulla».
Concludendo?
«La gente non legge, non sa, ma sceglie, decide e parla...e vota. Nel paese degli Acchiappacitrulli, più che chiedere voti in cambio di progetti, i nostri politici sono generatori automatici di promesse (non mantenute), osannati da giornalisti partigiani. Questa gente che non legge, non sa, ma sceglie, decide e parla, voterà senza sapere che è stata presa per il culo, affidandosi ai cosiddetti esperti. I nostri politici gattopardi sono solo mediocri amministratori improvvisati assetati di un potere immeritato. Governanti sono coloro che prevedono e governano gli eventi, riformando ogni norma intralciante la modernità ed il progresso, senza ausilio di leggi estemporanee ed improvvisate per dirimere i prevedibili imprevisti».
Cane non mangia cane. E questo a Taranto, come in tutta Italia, non si deve sapere.
Questo il commento del dr Antonio Giangrande. Scrittore, sociologo storico, giurista, blogger, youtuber, presidente dell’Associazione Contro Tutte le Mafie ONLUS che ha scritto un libro “Tutto su Taranto. Quello che non si osa dire”.
Un’inchiesta di cui nessuno quasi parla. Si scontrano due correnti di pensiero. Chi è amico dei magistrati, dai quali riceve la notizia segretata e la pubblica. Chi è amico degli avvocati che tace della notizia già pubblicata. "Siediti lungo la riva del fiume e aspetta, prima o poi vedrai passare il cadavere del tuo nemico", proverbio cinese. Qualcuno a me disse, (Aldo Feola), avendo indagato sulle malefatte degli avvocati e magistrati: “poi vediamo se diventi avvocato”...e così fu. Mai lo divenni e non per colpa mia.
Dei magistrati già sappiamo. C’è l’informazione, ma manca la sanzione. Non una condanna penale o civile. Questo è già chiedere troppo. Ma addirittura una sanzione disciplinare.
MAI DIRE MAFIA: IL CALVARIO DI ANTONIO GIANGRANDE.
Guerra aperta contro alcuni magistrati di Taranto: denuncia per calunnia e diffamazione alla Procura di Potenza, richiesta di ispezione ministeriale al Ministro della giustizia e richiesta di risarcimento danni per responsabilità civile dei magistrati al Presidente del Consiglio dei Ministri.
«Non meditar vendetta! Ma siedi sulla riva del fiume e aspetta di veder passare il corpo del tuo nemico! Ed io ho aspettato…..affinchè una istituzione, degna dell’onor di patria, possa non insabbiare una mia legittima ed annosa aspettativa di giustizia. Perché se questo succede a me, combattente nato, figuriamoci a chi è Don Abbondio nell’animo. Già che sono in buona compagnia. Silvio Berlusconi: "Venti anni di guerra contro di me. In Italia giustizia ingiusta per tutti" ». Così afferma il dr Antonio Giangrande, noto saggista di fama mondiale e presidente dell’Associazione Contro Tutte le Mafie, sodalizio antimafia riconosciuto dal Ministero dell’Interno. Associazione fuori dal coro e fuori dai circuiti foraggiati dai finanziamenti pubblici.
«Puntuale anche quest’anno è arrivato il giorno dedicato all’inaugurazione dell’anno giudiziario. Un appuntamento che, da tempo immemore ripropone un oramai vetusto ed urticante refrain: l’aggressione virulenta ai magistrati portata da tutti coloro che non fanno parte della casta giudiziaria. Un piagnisteo continuo. Un rito liturgico tra toghe, porpore e carabinieri in alta uniforme. Eppure qualche osservazione sulle regole che presidiano e tutelano l’Ordine giudiziario italiano dovrebbe essere fatta. Faccio mie le domande poste da L’Infiltrato Speciale su Panorama. Quale sistema prevede una “sospensione feriale” per 3 mesi filati? Quale organizzazione non prevede un controllo sul tempo effettivo trascorso in ufficio ovvero regola e norma ogni forma di…telelavoro da casa? Quale altro ruolo istituzionale prevede l’impunità di fatto per ogni atto compiuto nell’esercizio del proprio magistero? Quale altro organo dello Stato è il giudice di se stesso? Ma, soprattutto, può il dovere di imparzialità del giudice sposarsi con lo svolgimento di vera e propria attività politica entro le varie “correnti” interne alla magistratura? Qualcuno potrà negare che diversi esponenti di magistratura democratica abbiano rivendicato apertamente le radici nel pensiero marxista leninista della propria corrente? Dico questo senza alcun pregiudizio e, anzi, con il rispetto che devo ad amici e magistrati che stimo ed ai quali questa percezione, che non credo sia mio esclusivo patrimonio, non rende il giusto merito.
Detto questo premetto che la pubblicazione della notizia relativa alla presentazione di una denuncia penale e alla sua iscrizione nel registro delle notizie di reato costituisce lecito esercizio del diritto di cronaca. La pubblicazione della notizia relativa alla presentazione di una denuncia penale e alla sua iscrizione nel registro delle notizie di reato, oltre a non essere idonea di per sé a configurare una violazione del segreto istruttorio o del divieto di pubblicazione di atti processuali, costituisce lecito esercizio del diritto di cronaca ed estrinsecazione della libertà di pensiero previste dall'art. 21 Costituzione e dall'art 10 Convenzione europea dei diritti dell'uomo, anche se in conflitto con diritti e interessi della persona, qualora si accompagni ai parametri dell'utilità sociale alla diffusione della notizia, della verità oggettiva o putativa, della continenza del fatto narrato o rappresentato. (Corte di Cassazione, Sezione 3 Civile, Sentenza del 22 febbraio 2008, n. 4603).
Ed allora ecco alcuni brani dell’atto presentato alle varie istituzioni.»
"Si presenta, per fini di giustizia ed a tutela del prestigio della Magistratura oltre che per tutela del diritto soggettivo dell’esponente, l’istanza di accertamento della responsabilità penale ed amministrativa e richiesta di risarcimento del danno, esente da ogni onere fiscale, in quanto già ammesso al gratuito patrocinio nei procedimenti de quo. Responsabilità penale, civile ed amministrativa che si ravvisa per i magistrati nominati per azioni commesse da questi in unione e concorso con terzi con dolo e/o colpa grave. Elementi costitutivi la responsabilità civile dei magistrati di cui alla Legge 13 aprile 1988, n. 17:
a) la grave violazione di legge determinata da negligenza inescusabile;
b) l'affermazione, determinata da negligenza inescusabile, di un fatto la cui esistenza è incontrastabilmente esclusa dagli atti del procedimento;
PER IL PRIMO FATTO
L’Avv. Nadia Cavallo presenta il 10/06/2005 una denuncia/querela nei confronti di Antonio Giangrande, sottoscritto denunciante, per avere, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, in unione e concorso con Monica Giangrande, con denuncia-querela presentata all’A.G., incolpato Cavallo Nadia Maria del reato di truffa e subornazione, pur sapendola innocente. La denuncia di Cavallo Nadia Maria è palesemente calunniosa e diffamatoria nei confronti di Antonio Giangrande in quanto la denuncia di cui si fa riferimento e totalmente estranea ad Antonio Giangrande e non è in nessun modo riconducibile ad egli.
Insomma: la denuncia a firma di Antonio Giangrande non esiste.
Pur mancando la prova della calunnia, quindi del reato commesso, comunque inizia il calvario per il dr. Antonio Giangrande.
La dott.ssa Pina Montanaro apre il fascicolo n. 5089/05 R.G. notizie di reato. Non espleta indagini a favore dell’indagato, ai sensi dell’art. 358 c.p.p., e nel procedimento Gip n. 2612/06, pur non supportato da alcuna prova di accusa, in quanto la denuncia contestata in capo ad Antonio Giangrande non esiste, chiede comunque in data 20 aprile 2006 il rinvio a giudizio di Antonio Giangrande in concorso ed unione con Monica Giangrande.
Il Dr Ciro Fiore nel procedimento Gip n. 2612/06, pur non supportato da alcuna prova di accusa in quanto la denuncia contestata in capo ad Antonio Giangrande non esiste, dispone comunque in data 02 ottobre 2006 il rinvio a giudizio di Antonio Giangrande in concorso ed unione con Monica Giangrande.
Il processo a carico di Antonio Giangrande in concorso ed unione con Monica Giangrande contraddistinto con il n. 10306/10 RGDT si apre con l’udienza del 06/02/07 presso il Tribunale di Manduria – Giudice Monocratico, sezione staccata del Tribunale di Taranto, ma la posizione di Antonio Giangrande è stralciata per vizi di notifica.
Il Dr Pompeo Carriere il 28/04/2010 riapre il procedimento Gip n. 2612/06, dopo lo stralcio della posizione di Antonio Giangrande rispetto alla posizione di Monica Giangrande per vizi di forma della richiesta di rinvio a giudizio. Su apposita richiesta della difesa di Antonio Giangrande di emettere sentenza di non luogo a procedere per il reato di calunnia ove ritenga o accerti che ci siano degli elementi incompleti o contraddittori riguardo al fatto che l'imputato non lo ha commesso, il dr. Pompeo Carriere, il 19 luglio 2010, disattende tale richiesta e dispone nei confronti del Pubblico Ministero l’ulteriore integrazione delle indagini e l’acquisizione delle prove mancanti per sostenere l’accusa in giudizio contro Antonio Giangrande. All’udienza dell’8 novembre 2010, il Pubblico Ministero non ha svolto le indagini richieste, anche a favore dell’indagato, e non ha integrato le prove necessarie. Ciononostante in tale data il dr. Pompeo Carriere, pur non supportato da alcuna prova di accusa, in quanto la denuncia contestata in capo ad Antonio Giangrande non esiste, dispone comunque il rinvio a giudizio di Antonio Giangrande per il reato di calunnia.
Il nuovo processo a carico di Antonio Giangrande contraddistinto con il n. 10346/10 RGDT si apre con l’udienza del 01/02/11 presso il Tribunale di Manduria – Giudice Monocratico, sezione staccata del Tribunale di Taranto. In quella sede ai diversi giudici succedutisi, in sede di contestazioni nella fase preliminare, si è segnalata la mancanza assoluta di prove che sostenessero l’accusa di calunnia.
Solo in data 23 gennaio 2014, nonostante l’assenza alla discussione con l’arringa finale dell’imputato (in segno di palese protesta contro l’ingiustizia subita) e del suo difensore di fiducia e senza curarsi delle richieste del Pubblico Ministero togato, che stranamente per questo procedimento è intervenuto di persona, non facendosi sostituire dal Pubblico Ministero onorario, ed a dispetto delle richieste dell’imperterrita presenza della costituita parte civile, l’avv. Nadia Cavallo, che ne chiedeva condanna penale e risarcimento del danno, il giudice Maria Christina De Tommasi, pur potendo dichiarare la prescrizione non ha potuto non acclarare l’assoluzione di Antonio Giangrande per il reato di calunnia per non aver commesso il reato, in quanto non vi era prova della sua colpevolezza. Per la seconda accusa dello stesso procedimento penale riguardante la diffamazione, ossia per il capo B, la De Tommasi ha pronunciato il non doversi procedere per intervenuta prescrizione, nonostante avesse anche qui dovuto constatare che il fatto non era stato commesso, per la mancanza di prove a carico di Antonio Giangrande, in quanto l’articolo incriminato era riconducibile a terze persone, sia come autori, che come direttori del sito web.
Declaratoria di NON AVER COMMESSO IL REATO. Dopo 8 anni, un pubblico Ministero, due Giudici per l’Udienza Preliminare, tre Giudici monocratici, di cui una, dr.ssa Rita Romano, estromessa con istanza di ricusazione, sostituita dalla dr.ssa Vilma Gilli ed a sua volta sostituita da Maria Christina De Tommasi.
Rita Romano ricusata per essere stata denunciata da Antonio Giangrande proprio per la sentenza di condanna adottata nei confronti di Monica Giangrande. Sentenza del 18/12/2007 con processo iniziato il 06/02/07. Esito velocissimo tenuto conto dei tempi medi del Foro. Nel processo nato a carico di Antonio Giangrande e Monica Giangrande su denuncia di Nadia Cavallo e poi stracciato a carico di Monica Giangrande, la stessa Monica Giangrande era accusata con Antonio Giangrande di calunnia per aver accusato la Cavallo Nadia di un sinistro truffa. Monica Giangrande affermava nella sua denuncia che la stessa Avv. Nadia Cavallo accusava lei, Monica Giangrande, di essere responsabile esclusiva del sinistro. In effetti Rita Romano stracciava la posizione di Antonio Giangrande per difetto di notifica del rinvio a giudizio e dopo l’espletamento del processo a carico di Monica Giangrande condannava l’imputata. Ciononostante lo stesso giudice riconosceva nelle sue motivazioni che la stessa Giangrande Monica accusava la Nadia Cavallo sapendola colpevole, perché proprio lo stesso giudice riconosceva tal Nigro Giuseppa come responsabile di quel sinistro che si voleva far ricondurre in capo alla Giangrande Monica, la quale, giustamente negava ogni addebito. L’appello contro la sentenza a carico di Monica Giangrande è stata inspiegabilmente mai impugnata dai suoi difensori, pur sussistendone validi motivi di illogicità della motivazione.
L’inimicizia dei magistrati di Taranto nei confronti di Antonio Giangrande è da ricondurre al fatto che lo stesso ha denunciato alcuni magistrati del foro tarantino, anche perché uno di loro, il sostituto procuratore Salvatore Cosentino, ha archiviato una denuncia contro il suo ufficio, anziché inviarlo alla Procura di Potenza, Foro competente. Inoltre l’avv. Nadia Cavallo è molto apprezzata dai magistrati Tarantini e da Salvatore Cosentino, ora alla procura di Locri. In virtù della sentenza di condanna emessa contro Monica Giangrande l’avv. Nadia Maria Cavallo ha percepito alcune decine di migliaia di euro a titolo di risarcimento del danno morale e oneri di difesa. Evidentemente era suo interesse fare la stessa cosa con il dr. Antonio Giangrande, con l’aiuto dei magistrati denunciati, il quale però non era di fatto e notoriamente autore del reato di calunnia, così come era falsamente accusato. Innocenza riconosciuta ed acclarata dal giudice di merito, però, dopo anni.
PER IL SECONDO FATTO
In questo procedimento risultano esserci due querelanti e quindi due persone offese dal reato:
Dimitri Giuseppe querela in data 19/07/2004 Corigliano Renato perché si ritiene vittima di Falsa Perizia giudiziaria. Corigliano Renato controquerela Dimitri Giuseppe per calunnia e diffamazione per aver pubblicato la querela, in cui si producevano le accuse di falsa perizia contro il Corigliano ledendo il suo onore e la sua reputazione. Corigliano Renato non querela Antonio Giangrande. Dimitri Giuseppe per la diffamazione subita dal Corigliano controquerela Antonio Giangrande, pur non avendo il Dimitri Giuseppe legittimità a farlo, non essendo egli persona offesa.
Insomma: la querela di diffamazione da parte della persona offesa contro Antonio Giangrande non esiste.
Pur mancando la prova della diffamazione, quindi del reato commesso, comunque inizia il calvario per il dr. Antonio Giangrande.
Il Dr. Enrico Bruschi apre il fascicolo n. 3015/06 R.G. notizie di reato. Non espleta indagini a favore dell’indagato, ai sensi dell’art. 358 c.p.p., e decreta egli stesso la citazione a giudizio saltando l’Udienza Preliminare.
Il processo a carico di Antonio Giangrande contraddistinto con il n. 10244/10 RGDT si apre con l’udienza del 05/10/2010 presso il Tribunale di Manduria – Giudice Monocratico, sezione staccata del Tribunale di Taranto, ma la posizione di Antonio Giangrande è inviata al Giudice per le Indagini Preliminari per l’Udienza di Rito.
Il Dr Pompeo Carriere il 26/11/12 apre il procedimento Gip n. 243/12. Sostenuto dalla richiesta del PM Enrico Bruschi il dr. Pompeo Carriere, ciononostante non vi sia la querela di Corigliano Renato contro Antonio Giangrande e pur non supportato da alcuna prova di accusa, in quanto la denuncia contestata in capo ad Antonio Giangrande non esiste, dispone comunque il rinvio a giudizio di Antonio Giangrande per il reato di Diffamazione.
Il nuovo processo a carico di Antonio Giangrande contraddistinto con il n. 10403/12 RGDT si apre presso il Tribunale di Manduria – Giudice Monocratico, sezione staccata del Tribunale di Taranto. In quella sede ai diversi giudici succedutisi, in sede di contestazioni nella fase preliminare, si è segnalata la mancanza assoluta di prove che sostenessero l’accusa di Diffamazione.
Solo in data 18 aprile 2013 Corigliano Renato è stato sentito ed ha confermato di non aver presentato alcuna querela contro Antonio Giangrande. Corigliano Renato e Dimitri Giuseppe hanno rimesso la querela, il primo perché non l’aveva presentata e comunque non aveva alcuna volontà punitiva contro Antonio Giangrande, il secondo non aveva addirittura la legittimità a presentarla. Il giudice Giovanni Pomarico non ha potuto non acclarare il non doversi procedere nei confronti di Antonio Giangrande per remissione delle querele.
Declaratoria di NON DOVERSI PROCEDERE PER REMISSIONE DI QUERELA. Ma di fatto per difetto di legittimazione ad agire. Dopo 4 anni, un pubblico Ministero, un Giudice per l’Udienza Preliminare, tre Giudici monocratici, di cui una, dr.ssa Rita Romano, estromessa con istanza di ricusazione perchè denunciata da Antonio Giangrande, sostituita dalla dr.ssa Frida Mazzuti ed a sua volta sostituita da Giovanni Pomarico.
L’inimicizia dei magistrati di Taranto nei confronti di Antonio Giangrande è da ricondurre al fatto che lo stesso ha denunciato alcuni magistrati del foro tarantino, anche perché uno di loro, il sostituto procuratore Salvatore Cosentino, ha archiviato una denuncia contro il suo ufficio, anziché inviarlo alla Procura di Potenza, Foro competente.
PER IL TERZO FATTO
L’avv. Santo De Prezzo, in data 06 novembre 2006, denuncia e querela il dr. Antonio Giangrande per violazione della Privacy per aver pubblicato sul sito web della Associazione Contro Tutte le Mafie il suo nome, nonostante il nome dell’avv. Santo De Prezzo fosse già di dominio pubblico in quanto inserito negli elenchi telefonici, anche web, e nell’elenco degli avvocati del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Brindisi, anche web.
La dr.ssa Adele Ferraro, sostituto procuratore presso il Tribunale di Brindisi apre il proc. n. 9429/06 RGNR, non espleta indagini a favore dell’indagato, ai sensi dell’art. 358 c.p.p., ed il 1° ottobre 2007 (un anno dopo la querela) decreta il sequestro preventivo dell’intero sito web della Associazione Contro Tutte le Mafie, arrecando immane danno di immagine. Il Decreto è nullo perché non convalidato dal GIP ed emesso il 19 ottobre 2007, successivamente al sequestro. Il decreto è rinnovato il 09/11/ 2007 e non convalidato dal giudice Katia Pinto. Poi ancora rinnovato il 28/12/2007 e convalidato da Katia Pinto il 26/02/2008, ma non notificato.
La dr.ssa Katia Pinto apre il proc. n. 1004/07 RGDT e il 19/09/2008, dopo quasi un anno dal sequestro del sito web con atti illegittimi dichiara la sua incompetenza territoriale e trasmette gli atti a Taranto, ma non dissequestra il sito web.
In questo procedimento non risulta esserci il fatto penale contestato eppure si oscura un sito web di una associazione antimafia e si persegue penalmente il suo presidente, Antonio Giangrande.
Insomma: il fatto non sussiste. Pur mancando la prova della violazione della privacy, quindi del reato commesso, comunque inizia il calvario per il dr. Antonio Giangrande.
Il Dr. Remo Epifani sostituto procuratore presso il Tribunale di Taranto apre il fascicolo n. 8483/08 RGNR, non espleta indagini a favore dell’indagato, ai sensi dell’art. 358 c.p.p., e decreta il rinvio a giudizio per ben due volte: il 23/06/2009 e difetta la notifica e il 28/09/2010, rinnovando il sequestro preventivo del sito web, mai revocato.
Il Dr. Martino Rosati, Giudice per le Indagini Preliminari presso il Tribunale di Taranto apre il proc. n. 6383/08 GIP e senza indagini a favore dell’indagato, ai sensi dell’art. 358 c.p.p., dispone con proprio autonomo decreto il 14/10/2008 il sequestro preventivo del sito web.
Il processo a carico di Antonio Giangrande contraddistinto con il n. 10329/09 RGDT, si apre il 03/11/2009, ma viene chiuso per irregolarità degli atti. Il nuovo processo contraddistinto con il n. 10018/11 RGDT si apre il 01/02/2011.
Solo in data 12 luglio 2012 lo stesso Pm dr. Gioacchino Argentino chiede l’assoluzione perché il fatto non sussiste ed in pari data il giudice dr.ssa Frida Mazzuti non ha potuto non acclarare l’assoluzione di Antonio Giangrande perché il fatto non sussiste. Il Dissequestro del sito web www.associazionecontrotuttelemafie.org non è mai avvenuto e l’oscuramento del sito web è ancora vigente.
Declaratoria di ASSOLUZIONE PERCHE’ IL FATTO NON SUSSISTE. Dopo 6 anni, due pubblici Ministeri, un Giudice per l’Udienza Preliminare, tre Giudici monocratici, di cui una, dr.ssa Rita Romano, estromessa con istanza di ricusazione perchè denunciata da Antonio Giangrande, sostituita dalla dr.ssa Frida Mazzuti.
L’inimicizia dei magistrati di Taranto nei confronti di Antonio Giangrande è da ricondurre al fatto che lo stesso ha denunciato alcuni magistrati del foro tarantino, anche perché uno di loro, il sostituto procuratore Salvatore Cosentino, ha archiviato una denuncia contro il suo ufficio, anziché inviarlo alla Procura di Potenza, Foro competente.”
« Pare evidente la tricotomia della responsabilità penale: il movente, il mezzo, l’opportunità. Per questo si chiede la condanna per reati consumati, continuati, tentati, da soli o in concorso con terzi, o di altre norme penali, con le aggravanti di rito, e attivazione d’ufficio presso gli organi competenti per la violazione di norme amministrative. Altresì si chiede il risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale, liquidato in via equitativa dal giudice competente, per la sofferenza che si è riservata al sottoscritto ed alle persone che mi stimano per la funzione che io occupo e l’umiliazione e, soprattutto, per il dolore difficilmente immaginabili da parte di chi non vive l’incubo di essere accusato di calunnie tanto ingiuste quanto infondate. Nessuna Autorità degna del mio rispetto ha tutelato la mia persona. Le mie denunce contro queste ed altre ingiustizie sono state sempre archiviate. E’ normale allora che io diventi carne da macello penale. E’ normale che io sia lì a partecipare da 17 anni all’esame forense, sempre bocciato, se poi i magistrati, commissari di esame, contro di me fanno questo ed altro.»
Dr Antonio Giangrande
Presidente dell’Associazione Contro Tutte le Mafie e di Tele Web Italia
Antonio Giangrande: L’Involuzione sociale e politica. Dal dispotismo all’illuminismo, fino all’oscurantismo.
Non è importante sapere quanto la democrazia rappresentativa costi, ma quanto essa rappresenti ed agisca nel nome e per conto dei rappresentati.
Antonio Giangrande:
Bisogna studiare.
Bisogna cercare le fonti credibili ed attendibili per poter studiare.
Bisogna studiare oltre la menzogna o l’omissione per poter sapere.
Bisogna sapere il vero e non il falso.
Bisogna non accontentarsi di sapere il falso per esaudire le aspirazioni personali o di carriera, o per accondiscendere o compiacere la famiglia o la società.
Bisogna sapere il vero e conoscere la verità ed affermarla a chi è ignorante o rinfacciarla a chi è in malafede.
Studiate “e conoscerete la verità, e la verità vi renderà liberi” (Gesù. Giovanni 8:31, 32).
Studiare la verità rende dotti, saggi e LIBERI!
Non studiare o non studiare la verità rende schiavi, conformi ed omologati.
E ciò ci rende cattivi, invidiosi e vendicativi.
Fa niente se studiare il vero non è un diritto, ma una conquista.
Vincere questa guerra dà un senso alla nostra misera vita.
Dr Antonio Giangrande
Quell’esame di maturità da privatista.
Manduria. Istituto Tecnico Statale Commerciale e per Geometri “Luigi Einaudi”. Ore 8 del giorno 22 giugno 1992.
Su comunicazione del preside prof. Giovanni Semeraro, con provvedimento n. 22565/91/3 del 19 maggio 1992, mi si ammetteva a sostenere l’esame di maturità per tutti e cinque gli anni di corso ordinario.
Esame non sostenuto in tempo debito perché in famiglia lo studio non era ritenuto essenziale per il futuro: meglio avere, che essere.
Avevo 29 anni. Uomo tra ragazzi.
Indifferente affrontai l’esame, prima scritto, poi orale. Tutte le materie dei cinque anni di corso.
La commissione si integrò con docenti per le materie non previste nella maturità ordinaria.
La prova scritta fu eccellente: ottimi voti, pari ai più bravi.
La prova orale fu una corrida: sfilze di domande da innumerevoli docenti.
Qualche commissario era restio a promuovermi, subissandomi di domande, anche a trabocchetto. Forse non per cattiveria (qualcuno sì) o non perché fossi impreparato, ma per l’eccezionalità del fatto che poteva creare un precedente scomodo.
Il presidente della Commissione alla fine mi chiese: perché hai affrontato l’esame?
Risposta: ho già tutte le patenti superiori, compreso il CAP (certificato abilitazione professionale), ho quasi vinto il concorso per autista del magistrato (nel periodo delle stragi di mafia), e sarebbe bello presentarsi ad esso come diplomato e non come analfabeta.
Alla fine la commissione espresse il seguente giudizio: “il curriculum e le prove integrative hanno evidenziato una adeguata cultura di base del candidato che durante le prove e del colloquio ha dimostrato di possedere una preparazione accettabile anche se non criticamente approfondita”.
Ringrazio Dio per avermi sostenuto.
Quel concorso non l’ho vinto, perché era truccato e già assegnato ad altri.
Decisi allora di non essere l’autista, ma lo stesso magistrato.
Partii per Milano per poter lavorare e studiare. Avevo moglie e due figli, avuti a 20 anni ed a 21.
In quel posto mi dissero che il diploma l’avevo comprato, perché impossibile ottenere quel risultato.
A Milano le 26 annualità, ossia gli esami per la laurea in Giurisprudenza quadriennale, li superai in due anni.
Dovetti aspettare altri due anni per poter sostenere l’esame di laurea.
Mi laureai l’11 luglio 1996.
Ringrazio Dio per avermi sostenuto.
Il 21 settembre 1996 inizia la mia pratica forense. Presso il Tribunale di Taranto.
Il 18 aprile 1998 inizia la mia attività forense con patrocinio legale, fino al 18 aprile 2004, in attesa dell’abilitazione che dopo 17 anni di esami farsa non arrivò mai.
Ero un elemento estraneo e scomodo al sistema.
La mia preparazione da privatista mi rese immune da influenze ideologiche e lobbistiche.
Affrontai altri concorsi: truccati. Presentai le prove: ignorate.
Tutti i miei sacrifici, e la mia vita sprecata, immolati alla ragion di uno Stato criminale.
Ormai anziano indigente posso solo fare il saggista di denuncia civile: libri che sul web tutti leggono, ma che nessuno compra.
Al contrario, buon sangue non mente, mio figlio è diventato l’avvocato più giovane d’Italia a 25 anni con la doppia laurea. Telenorba gli dedicò un servizio. Primina, esame di maturità allo stesso Istituto di cui sopra, al 4° anno perché aveva 10 in tutte le materie, abilitazione forense al primo anno di esame. Oggi non vuol fare l’avvocato, ma lavoro all’Ufficio del Processo di Parma, superando quel concorso e quello ostico di abilitazione di professore degli istituti superiori.
Ringrazio Dio di averlo sostenuto.
Antonio Giangrande
Antonio Giangrande: ESAME DI AVVOCATO: 17 ANNI PER DIRE BASTA!
ESAME FORENSE. AVVOCATI COL TRUCCO. Hanno scoperto l’acqua calda. Facile prendersela con i poveri cristi. Non è durante le prove scritte che c’è la macagna. Tutti copiano o sono aiutati. Apriamo gli occhi nelle segrete stanze delle commissioni d’esame che non corregge i compiti tutti simili tra loro, ma dichiarano di averlo fatto, preferendo alcuni rispetto ad altri: perché non vi sono istallati gli strumenti di intercettazione ambientale? Non si può fare, ci sono i magistrati. I Tar dichiarano che non è possibile che sia stata effettuata la correzione nel tempo loro dedicato e comunque prova non vi è della correzione, tenuto conto che gli elaborati sono immacolati. E poi, come fanno a mettersi d’accordo sulle quote di idonei: non più del 30% presso tutte le Corti d’Appello? E’ un esame di Stato o un concorso pubblico a numero chiuso?
La testimonianza, più unica che rara, di un candidato all’esame di avvocato, che dopo 17 anni di bocciature si arrende e dice basta.
E’ TUTTA QUESTIONE DI COSCIENZA.
Ognuno di noi è segnato nella sua esistenza da un evento importante. Chi ha visto il film si chiede: perché la scena finale de “L’attimo fuggente” , ogni volta, provoca commozione? Il professor John Keating (Robin Williams), cacciato dalla scuola, lascia l’aula per l’ultima volta. I suoi ragazzi, riabilitati da lui dalla corruzione culturale del sistema, non ci stanno, gli rendono omaggio. Uno dopo l’altro, salgono in piedi sul banco ed esclamano: «Capitano, mio capitano!». Perché quella scena è così potente ed incisiva? Quella scena ci colpisce perché tutti sentiamo d’aver bisogno di qualcuno che ci insegni a guardare la realtà senza filtri. Desideriamo, magari senza rendercene conto, una guida che indichi la strada: per di là. Senza spingerci: basta l’impulso e l’incoraggiamento.
Antonio Giangrande. Un capitano necessario. Perché in Italia non si conosce la verità. Gli italiani si scannano per la politica, per il calcio, ma non sprecano un minuto per conoscere la verità. Interi reportage che raccontano l’Italia di oggi “salendo sulla cattedra” come avrebbe detto il professore Keating dell’attimo fuggente e come ha cercato di fare lo scrittore avetranese Antonio Giangrande.
Chi sa: scrive, fa, insegna.
Chi non sa: parla e decide.
Chissà perché la tv ed i giornali gossippari e colpevolisti si tengono lontani da Antonio Giangrande. Da quale pulpito vien la predica, dott. Antonio Giangrande?
«Noi siamo quel che facciamo: quello che diciamo agli altri è tacciato di mitomania o pazzia. Quello che di noi gli altri dicono sono parole al vento, perchè son denigratorie. Colpire la libertà o l’altrui reputazione inficia gli affetti e fa morir l’anima. Il Merito: Valore disconosciuto ed osteggiato in vita, onorato ed osannato in morte. Alla fine di noi rimane il nostro operato, checché gli altri ne dicano. E quello bisogna giudicare. Nasco da una famiglia umile e povera. Una di quelle famiglie dove la sfortuna è di casa. Non puoi permetterti di studiare, né avere amici che contano. Per questo il povero è destinato a fare il manovale o il contadino. Mi sono ribellato e contro la sorte ho voluto studiare, per salire nel mondo non mio. Per 17 anni ho cercato di abilitarmi nell’avvocatura. Non mi hanno voluto. Il mondo di sotto mi tiene per i piedi; il mondo di sopra mi calca la testa. In un esame truccato come truccati sono tutti i concorsi pubblici in Italia: ti abilitano se non rompi le palle. Tutti uguali nella mediocrità. Dal 1998 ho partecipato all’esame forense annuale. Sempre bocciato. Ho rinunciato a proseguire nel 2014 con la commissione presieduta dall’avv. Francesco De Jaco. L’avvocato di Cosima Serrano condannata con la figlia Sabrina Misseri per il delitto di Sarah Scazzi avvenuto ad Avetrana. Tutte mie compaesane. La Commissione d’esame di avvocato di Lecce 2014. La più serena che io abbia trovato in tutti questi anni. Ho chiesto invano a De Jaco di tutelare me, dagli abusi in quell’esame, come tutti quelli come me che non hanno voce. Se per lui Cosima è innocente contro il sentire comune, indotti a pensarla così dai media e dai magistrati, perché non vale per me la verità che sia vittima di un sistema che mi vuol punire per essermi ribellato? Si nega l’evidenza. 1, 2, 3 anni, passi. 17 anni son troppi anche per il più deficiente dei candidati. Ma gli effetti sono sotto gli occhi di tutti. Compiti non corretti, ma ritenuti tali in tempi insufficienti e senza motivazione e con quote prestabilite di abilitati. Così per me, così per tutti. Gli avvocati abilitati negano l’evidenza. Logico: chi passa, non controlla. Ma 17 anni son troppi per credere alla casualità di essere uno sfigato, specialmente perché i nemici son noti, specie se sono nelle commissioni d’esame. In carcere o disoccupato. Tu puoi gridare a squarciagola le ingiustizie, ma nessuno ti ascolta, in un mondo di sordi. Nessuno ti crede. Fino a che non capiti a loro. E in questa Italia capita, eccome se capita! La tua verità contro la verità del potere. Un esempio da raccontare. Ai figli non bisogna chiedere cosa vogliono fare da grandi. Bisogna dir loro la verità. Chiedergli cosa vorrebbero che gli permettessero di fare da grandi. Sono nato in quelle famiglie che, se ti capita di incappare nelle maglie della giustizia, la galera te la fai, anche da innocente. A me non è successo di andare in galera, pur con reiterati tentativi vani da parte della magistratura di Taranto, ma sin dal caso Tortora ho capito che in questa Italia in fatto di giustizia qualcosa non va. Pensavo di essere di sinistra, perché la sinistra è garantismo, ma non mi ritrovo in un’area dove si tollerano gli abusi dei magistrati per garantirsi potere ed impunità. E di tutto questo bisogna tacere. A Taranto, tra i tanti processi farsa per tacitarmi sulle malefatte dei magistrati, uno si è chiuso, con sentenza del Tribunale n. 147/2014, con l’assoluzione perché il fatto non sussiste e per non doversi procedere. Bene: per lo stesso fatto si è riaperto un nuovo procedimento ed è stato emesso un decreto penale di condanna con decreto del Gip. n. 1090/2014: ossia una condanna senza processo. Tentativo stoppato dall’opposizione. Zittirmi sia mai. Pur isolato e perseguitato. Gli italiani son questi. Ognuno dia la sua definizione. Certo è che gli italiani non mi leggono, mi leggono i forestieri. Mi leggeranno i posteri. Tutto regolare: lo ha detto la tv, lo dicono i giudici. Per me, invece, è tutto un trucco. In un mondo di ladri nessuno vien da Marte. Tutti uguali: giudicanti e giudicati. E’ da decenni che studio il sistema Italia, a carattere locale come a livello nazionale. Da queste indagini ne sono scaturiti decine di saggi, raccolti in una collana editoriale "L'Italia del Trucco, l'Italia che siamo", letti in tutto il mondo, ma che mi sono valsi l’ostruzionismo dei media nazionali. Pennivendoli venduti ai magistrati, all’economia ed alla politica, ma che non impediscono il fatto che di me si parli su 200.000 siti web, come accertato dai motori di ricerca. Book ed E-Book che si possono trovare su Amazon.it, Lulu.com. CreateSpace.com e Google Libri, oltre che in forma di lettura gratuita e free vision video su www.controtuttelemafie.it , mentre la promozione del territorio è su www.telewebitalia.eu.»
Ha la preparazione professionale per poter dire la sua in questioni di giustizia?
«Non sono un giornalista, ma a quanto pare sono l’unico a raccontare tutti i fatti. Non sono un avvocato ma mi diletto ad evidenziare le manchevolezze di un sistema giudiziario a se stante. La mia emigrazione in piena adolescenza in Germania a 16 anni per lavorare; la mia laurea quadriennale in Giurisprudenza presa in soli due anni all’Università Statale di Milano, lavorando di notte e con moglie e due figli da mantenere, dopo aver conseguito il diploma da ragioniere in un solo anno da privatista presso un Istituto tecnico Statale e non privato, per non sminuirne l’importanza, portando tutti i 5 anni di corso; tutto ciò mi ha reso immune da ogni condizionamento culturale od ambientale. I miei 6 anni di esercizio del patrocinio legale mi hanno fatto conoscere le macagne di un sistema che non è riuscito a corrompermi. Per questo dal 1998 al 2014 non mi hanno abilitato alla professione di avvocato in un esame di Stato, che come tutti i concorsi pubblici ho provato, con le mie ricerche ed i miei libri, essere tutti truccati. Non mi abilitano. Perché non sono uguale agli altri, non perché son meno capace. Non mi abilitano perché vedo, sento e parlo. Ecco perché posso parlare di cose giuridiche in modo di assoluta libertà, senza condizionamento corporativistico, anche a certezza di ritorsione. E’ tutta questione di coscienza.»
E’ TUTTA QUESTIONE DI COSCIENZA.
A’ Cuscienza di Antonio de Curtis-Totò
La coscienza
Volevo sapere che cos'è questa coscienza
che spesso ho sentito nominare.
Voglio esserne a conoscenza,
spiegatemi, che cosa significa.
Ho chiesto ad un professore dell'università
il quale mi ha detto: Figlio mio, questa parola si usava, si,
ma tanto tempo fa.
Ora la coscienza si è disintegrata,
pochi sono rimasti quelli, che a questa parola erano attaccati,
vivendo con onore e dignità.
Adesso c'è l'assegno a vuoto, il peculato, la cambiale, queste cose qua.
Ladri, ce ne sono molti di tutti i tipi, il piccolo, il grande,
il gigante, quelli che sanno rubare.
Chi li denuncia a questi ?!? Chi si immischia in questa faccenda ?!?
Sono pezzi grossi, chi te lo fa fare.
L'olio lo fanno con il sapone di piazza, il burro fa rimettere,
la pasta, il pane, la carne, cose da pazzi, Si è aumentata la mortalità.
Le medicine poi, hanno ubriacato anche quelle,
se solo compri uno sciroppo, sei fortunato se continui a vivere.
E che vi posso dire di certe famiglie, che la pelle fanno accapponare,
mariti, mamme, sorelle, figlie fatemi stare zitto, non fatemi parlare.
Perciò questo maestro di scuola mi ha detto, questa conoscenza (della coscienza)
perchè la vuoi fare, nessuno la usa più questa parola,
adesso arrivi tu e la vuoi ripristinare.
Insomma tu vuoi andare contro corrente, ma questa pensata chi te l'ha fatta fare,
la gente di adesso solo così è contenta, senza coscienza,
vuole stentare a vivere. (Vol tirà a campà)
Antonio Giangrande: E’ di Avetrana (TA) l’avvocato più giovane d’Italia. Il primato è stabilito sul regime dell’obbligo della doppia laurea.
25 anni. Mirko Giangrande, classe 1985.
Carriera scolastica iniziata direttamente con la seconda elementare; con voto 10 a tutte le materie al quarto superiore salta il quinto ed affronta direttamente la maturità.
Carriera universitaria nei tempi regolamentari: 3 anni per la laurea in scienze giuridiche; 2 anni per la laurea magistrale in giurisprudenza.
Praticantato di due anni e superamento dell’esame scritto ed orale di abilitazione al primo colpo, senza l’ausilio degli inutili ed onerosi corsi pre esame organizzati dal Consiglio dell’Ordine degli Avvocati.
Et Voilà, l’avvocato più giovane d’Italia, stante la formalità del giuramento.
Cosa straordinaria: non tanto per la giovane età, ma per il fatto che sia avvenuta contro ogni previsione, tenuto conto che Mirko è figlio di Antonio Giangrande, presidente nazionale dell’Associazione Contro Tutte le Mafie, noto antagonista del sistema giudiziario e forense del Foro di Taranto, che gli costa per 17 anni l’impedimento all’abilitazione forense. Dalle denunce penali e i ricorsi ministeriali da questo presentati, rimasti lettera morta, risulta che tutti i suoi temi all’esame di avvocato di Lecce non sono stati mai corretti dalle Commissioni presso le Corti d’Appello sorteggiate, ma dichiarati non idonei e sempre con voti e/o giudizi fotocopia. Nonostante ciò nessuno muove un dito. Inoltre il ricorso al Tar è inibito per l’indigenza procuratagli ed impedito dalla Commissione per l’accesso al gratuito patrocinio.
Tutte le sue denunce penali sono insabbiate senza conseguire accuse di calunnia.
E dire che Antonio Giangrande ha affrontato la maturità statale portando 5 anni in uno e si è laureato a Milano superando le 26 annualità in soli due anni. Buon sangue non mente.
Avv. Mirko Giangrande:
Avvocato - Mediatore Civile & Commerciale - Docente - Scrittore - Gestore Crisi da Sovraindebitamento - Funzionario Addetto all’Ufficio per il Processo
- 2002: diploma di Ragioniere, Perito commerciale e Programmatore presso l’Istituto Tecnico Commerciale e per Geometri "L. Einaudi" di Manduria (TA) a soli 17 anni;
- 2005: laurea in Scienze Giuridiche a soli 20 anni presso la Facoltà di Giurisprudenza dell'Università di Bari;
- 2007: laurea Magistrale in Giurisprudenza presso la Facoltà di Giurisprudenza dell'Università di Bari a soli 22 anni;
- 2010: abilitazione forense, diventato l’avvocato più giovane d’Italia a soli 25 anni. Titolare dello Studio Legale Giangrande;
- 2018: Autore della collana di libri “Corso di preparazione agli esami universitari, concorsi e per scuole superiori”;
- 2020: Master in "L'insegnamento delle materie giuridico - economiche negli istituti secondari di II grado: metodologie didattiche", presso l'Università E-Campus;
- 2021: Corso di alta formazione abilitante di Mediatore civile e commerciale;
- 2021: Corso di alta formazione abilitante di Gestore della crisi da sovraindebitamento.
VENI, VIDI, VICI. Parabiago 20/9/2022
Prova orale concorso cattedra A046
Finalmente Professore abilitato di Diritto ed Economia politica
Sono stravolto dalla stanchezza ma felicissimo.
Dedico questa soddisfazione alla mia famiglia (Antonio Giangrande Cosima Petarra, Tamara Giangrande), all’amore della mia vita Francesca Di Viggiano che mi ha sopportato in questi mesi di “agonia”, ma soprattutto lo dedico all’uomo che più mi è stato accanto, che mi ha sempre spronato, che ha creduto in me, che ogni mattina mi dava la forza di alzarmi per affrontare ore di studio post-lavoro, che mi ha fatto tirare dritto verso quest’alto obiettivo, che mi ha dato la pazienza di perdere l’intera estate dietro i libri: quell’uomo sono io…
Mirko Giangrande: “Il Festival delle Illazioni”
Come tutti ben sanno l’intera mia famiglia è stata vittima, chi in modo più grave chi in modo più lieve, del Covid - 19. Un nemico invisibile e infido che ha colpito in modo violento, repentino e simultaneo. Un fulmine a ciel sereno che si è abbattuto su gente sempre diligente e rispettosa di ogni regola: mascherina, distanziamento, tamponi, ecc. Tutto ciò, purtroppo, non è bastato ma alla fine, uniti come sempre, ne siamo usciti più forti di prima. Combattendo anche contro la “malasanità pugliese”, ma su tale argomento ormai tanto è stato detto e scritto, sebbene ancora qualcuno, accecato dalla partigianeria politica, esalta qualcosa che esiste solo nella propria mente e continua ad inondarci di belle parole su una situazione invece tragica e sotto gli occhi di tutti.
Ma cosa ci è rimasto di questa esperienza? Il letame. Esatto, tutta la “merda” che buona parte (ovviamente non tutta) del nostro paese ci ha tirato addosso. Non supportandoci ma trattandoci da “untori del paese”, che “il virus ce lo siamo meritato”, “che non dovremmo più farci vedere in giro per un bel po’”, “che ci siamo infettati partecipando a delle feste”. Ma la stronzata numero uno è che l’untore degli untori sono stato io, il principio della pandemia avetranese. Io avrei infettato i miei familiari e poi sarei scappato via. Ovviamente tralasciando il fatto che è dal primo ottobre che sto a Parma senza mai tornare e che nessuno dei miei familiari ha partecipato a nessuna festa. Tali illazioni non posso che partire dalle bocche di criminali e che non possono che far leva solo sui COGLIONI creduloni. Tutto ciò condito da un alto tasso di codardia, dato che chi mette in giro queste voci lo fa di nascosto, conscio che fa bene a non esporsi, rischiando tantissimo in termini legali...
Antonio Giangrande: Come conoscere gli altri?
Chiedendogli se puoi accendere il climatizzatore in auto o in casa. Una persona si dimostra veramente quello che è nella vita ed il rispetto che questa non ha in confronto agli altri, quando da passeggera (anche se posteriore) fa spegnere il climatizzatore in auto, accusando mal di gola, mentre all’esterno ci sono 40°, costringendo gli altri passeggeri ed il proprietario dell’auto a fare bagni di sudore. E la stessa cosa costringerà a fare negli uffici e nelle case altrui. La mancanza di rispetto per gli altri, specialmente verso i familiari, sarà costante ed alla fine, quando l’orlo è colmo e lo farai notare, lo rinnegherà esaltando le sue virtù ed, anzi, ti accuserà di intolleranza e per ritorsione ti affibbierà qualsiasi difetto innominabile.
Chiedendogli come programma le cose da fare. Una persona si dimostra veramente quello che è nella vita ed il rispetto che questa non ha in confronto agli altri, quando pretende e dà per scontato l’ausilio altrui, anche quando gli altri hanno programmi alternativi ai suoi.
Chiedendogli cosa pensa delle persone che dalla vita e dal lavoro hanno avuto soddisfazione. Una persona si dimostra veramente quello che è nella vita ed il rispetto che questa non ha in confronto agli altri, quando da nullafacente e nullatenente sparlerà di chi ha successo nella vita e lo accuserà di aver rubato per ottenere quello che egli stesso non ha.
Antonio Giangrande: Il cafone è chiassoso, esibizionista, ignorante e prepotente. I suoi sinonimi: Se vuoi chiamali terroni o polentoni, bauscia o burini, ecc..
Antonio Giangrande: Un altro errore che commettiamo è dare molta importanza a chi non la merita.
Dr. Antonio Giangrande. Orgoglioso di essere diverso.
Antonio Giangrande: I conoscenti si incontrano. I compagni ed i parenti si impongono e si subiscono. I coniugi si tollerano. I figli si accettano. Gli amici si scelgono. Io non ho amici per il sol fatto che da loro voglio la perfezione. E, in questo mondo, nessuno è perfetto.
Antonio Giangrande: Eliminerò dalla lista tutti coloro che usano FB come strumento di lotta politica, senza costrutto. Si semina odio e non ci si prodiga alla proposta. Terrò tutti coloro che segnalano fatti che arricchiscano il sapere ed allargano gli orizzonti. In politica, per vincere basta essere migliori, forti delle proprie ragioni, e non succubi dei mediocri, senza necessità di eliminare il nemico.
Antonio Giangrande: Avevo migliaia di amici FB, la maggior parte di sinistra. Quelli che coltivano odio, non proposte. Li ho cancellati. Non capiscono che chi attenta alla libertà di stampa sono proprio i giornalisti. Parlare sempre di Berlusconi, significa tacere i problemi reali e l'incapacità di risposta di Governo ed opposizione. Nessuno si è scandalizzato per Carlo Vulpio, Incriminato dai PM e cacciato dal suo giornale.
Antonio Giangrande: Art. 21 della Costituzione: diritto di manifestare il proprio pensiero. Diritto di critica e di cronaca; diritto di informare ed essere informati. C'è qualcuno che crede, invece, che sia diritto al villipendio e alla diffamazione, nascondendosi dietro l'anonimato. Più io cerco di cancellare questi pseudo amici infiltrati per fare propaganda politica, più loro si moltiplicano.
Antonio Giangrande: Gli amici su facebook: Averne migliaia che ti ignorano o averne pochi, ma veri e sinceri?
Un antico detto dice: Chi trova un amico, ha trovato un tesoro. Oggi, nel tempo delle contraffazioni tutti voglion diventare ricchi. Succede, quindi, nel mondo virtuale dei social network che si hanno amici di cui si detesta e si contesta ogni post pubblicato, o che distribuiscono pillole di idiozie, specie quelli distinti ideologicamente da destra come da sinistra, passando dai 5stellati, o che ignorano quello che sei o che fai, se non addirittura ti detestano o travisano ogni tua opinione e, per sminuirti, non condividono i tuoi post, ma pubblicizzano il prodotto dei tuoi concorrenti. Amici, meglio perderli che trovarli, ma ce li si tiene comunque per far numero. Spesso gli stessi amici virtuali, per strada ti incontrano e non ti salutano. Io, di mio non ho mai chiesto l’amicizia a nessuno in un mondo omologato, ma ai miei amici faceboocchiani, che hanno chiesto ed ottenuto la mia amicizia, do il beneficio della verifica di solidità e sincerità ed attuo il controllo della strumentalità della loro richiesta. Al termine dell’anno amicale li cancello. Se rinnovano la richiesta di amicizia, chiedendomi il perché, si palese il loro interesse ad avermi come amico. Ergo: a quel punto ho trovato un tesoro.
Antonio Giangrande: Il Potere ti impone: subisci e taci…e noi, coglioni, subiamo la divisione per non poterci ribellare.
Una locuzione latina, un motto degli antichi romani, è: dividi et impera! Espediente fatto proprio dal Potere contemporaneo, dispotico e numericamente modesto, per controllare un popolo, provocando rivalità e fomentando discordie.
Comunisti, e media a loro asserviti, istigano le rivalità.
Dove loro vedono donne o uomini, io vedo persone con lo stesso problema.
Dove loro vedono lgbti o eterosessuali, io vedo amanti con lo stesso problema.
Dove loro vedono bellezza o bruttezza, io vedo qualcosa che invecchierà con lo stesso problema.
Dove loro vedono madri o padri, io vedo genitori con lo stesso problema.
Dove loro vedono comunisti o fascisti, io vedo elettori con lo stesso problema.
Dove loro vedono settentrionali o meridionali, io vedo cittadini italiani con lo stesso problema.
Dove loro vedono interisti o napoletani, io vedo tifosi con lo stesso problema.
Dove loro vedono ricchi o poveri, io vedo contribuenti con lo stesso problema.
Dove loro vedono immigrati o indigeni, io vedo residenti con lo stesso problema.
Dove loro vedono pelli bianche o nere, io vedo individui con lo stesso problema.
Dove loro vedono cristiani o mussulmani, io vedo gente che nasce senza volerlo, muore senza volerlo e vive una vita di prese per il culo.
Dove loro vedono colti od analfabeti, io vedo discultura ed oscurantismo, ossia ignoranti con lo stesso problema.
Dove loro vedono grandi menti o grandi cazzi, io vedo geni o cazzoni con lo stesso problema.
L’astensione al voto non basta. Come la protesta non può essere delegata ad una accozzaglia improvvisata ed impreparata. Bisogna fare tabula rasa dei vecchi principi catto comunisti, filo massonici-mafiosi.
Noi siamo un unicum con i medesimi problemi, che noi stessi, conoscendoli, possiamo risolvere. In caso contrario un popolo di “coglioni” sarà sempre governato ed amministrato, informato, istruito e giudicato da “coglioni”.
Ed io non sarò tra quei coglioni che voteranno dei coglioni.
Antonio Giangrande: Sono un odiatore. Odio l'ostentazione, l'imposizione e la menzogna.
Antonio Giangrande: Victor Hugo: "Gli uomini ti stimano in rapporto alla tua utilità, senza tener conto del tuo valore." Le persone si stimano e si rispettano in base al loro grado di utilità materiale, tangibile ed immediata, da rendere agli altri e non, invece, al loro valore intrinseco ed estrinseco intellettuale. Per questo gli inutili da sempre, pur con altissimo valore, sono emarginati o ignorati, inibendone, ulteriormente, l’utilità.
Antonio Giangrande. Ognuno di noi, anziché migliorarsi, si giova delle disgrazie altrui. Non pensando che a cercar l’uomo onesto con il lanternino si perde la ragione. Ma anche a cercarlo con la lanterna di Diogene si perde la retta via. Diogene di Sinope (in greco antico Διογένης Dioghénes) detto il Cinico o il Socrate pazzo (Sinope, 412 a.C. circa – Corinto, 10 giugno 323 a.C.) è stato un filosofo greco antico. Considerato uno dei fondatori della scuola cinica insieme al suo maestro Antistene, secondo l'antico storico Diogene Laerzio, perì nel medesimo giorno in cui Alessandro Magno spirò a Babilonia. «[Alessandro Magno] si fece appresso a Diogene, andandosi a mettere tra lui e il sole. "Io sono Alessandro, il gran re", disse. E a sua volta Diogene: "Ed io sono Diogene, il cane". Alessandro rimase stupito e chiese perché si dicesse cane. Diogene gli rispose: "Faccio le feste a chi mi dà qualcosa, abbaio contro chi non dà niente e mordo i ribaldi."» (Diogene Laerzio, Vite dei filosofi, Vita di Diogene il Cinico, VI 60). Diogene aveva scelto di comportarsi, dunque, come "critico" pubblico: la sua missione era quella di dimostrare ai Greci che la civiltà è regressiva e di dimostrare con l'esempio che la saggezza e la felicità appartengono all'uomo che è indipendente dalla società. Diogene si fece beffe non solo della famiglia e dell'ordine politico e sociale, ma anche delle idee sulla proprietà e sulla buona reputazione. Una volta uscì con una lanterna di giorno. Questi non indossava una tunica. Portava come solo vestito un barile ed aveva in mano una lanterna. "Diogene! - esclamo Socrate - con quale nonsenso tenterai di ingannarci oggi? Sei sempre alla ricerca, con questa lanterna, di un uomo onesto? Non hai ancora notato tutti quei buchi nel tuo barile?". Diogene rispose: "Non esiste una verità oggettiva sul senso della vita". A chi gli chiedeva il senso della lanterna lui rispondeva: "cerco l'uomo!". “... (Diogene) voleva significare appunto questo: cerco l’uomo che vive secondo la sua più autentica natura, cerco l’uomo che, aldilà di tutte le esteriorità, le convenzioni o le regole imposte dalla società e aldilà dello stesso capriccio della sorte e della fortuna, ritrova la sua genuina natura, vive conformemente a essa e così è felice."
Antonio Giangrande: "Io so di non sapere". Il problema è che, questo modo di essere, adesso è diventato: "Io so di non sapere e me ne vanto". Oggi essere ignoranti è qualcosa di cui vantarsi. Prima c’erano i sapienti, da cui si pendeva dalle loro labbra. Poi sono arrivati gli uomini e le donne iperspecializzate, a cui si affidava la propria incondizionata fiducia. Alla fine è arrivata la cultura “fai da te”, tratta a secondo delle proprie fonti: social o web che sia. A leggere i saggi? Sia mai!
Antonio Giangrande: In Italia: i giornalisti non informano; i professori non istruiscono. Essi fanno solo propaganda. Sono il megafono della politica e delle vetuste ideologie e quelli di sinistra son molto solidali tra loro. Se fai notare il loro propagandismo e te ne lamenti, si risentono e gridano alla lesa maestà, riportandosi alla Costituzione Cattomassonecomunista. In natura i maiali, se ne tocchi uno, grugniscono tutti, richiamando il loro diritto di parola.
Scritto tanti anni fa, ma ancora attuale. John Swinton, redattore capo del New York Times, 12 aprile 1893. “In America, in questo periodo della storia del mondo, una stampa indipendente non esiste. Lo sapete voi e lo so pure io. Non c’è nessuno di voi che oserebbe scrivere le proprie vere opinioni, e già sapete anticipatamente che se lo facesse esse non verrebbero mai pubblicate. Io sono pagato un tanto alla settimana per tenere le mie opinioni oneste fuori dal giornale col quale ho rapporti. Altri di voi sono pagati in modo simile per cose simili, e chi di voi fosse così pazzo da scrivere opinioni oneste, si ritroverebbe subito per strada a cercarsi un altro lavoro. Se io permettessi alle mie vere opinioni di apparire su un numero del mio giornale, prima di ventiquattr’ore la mia occupazione sarebbe liquidata. Il lavoro del giornalista è quello di distruggere la verità, di mentire spudoratamente, di corrompere, di diffamare, di scodinzolare ai piedi della ricchezza, e di vendere il proprio paese e la sua gente per il suo pane quotidiano. Lo sapete voi e lo so pure io. E allora, che pazzia è mai questa di brindare a una stampa indipendente? Noi siamo gli arnesi e i vassalli di uomini ricchi che stanno dietro le quinte. Noi siamo dei burattini, loro tirano i fili e noi balliamo. I nostri talenti, le nostre possibilità, le nostre vite, sono tutto proprietà di altri. Noi siamo delle prostitute intellettuali”.
Antonio Giangrande: Dapprima ti ignorano. Poi ti deridono. Poi ti emarginano. Poi ti combattono. Tu sei solo, ma non per sempre. Loro sono tanti, ma non per sempre. Ed allora sarai vincente, ma solo dopo la tua morte. I primi a combatterti sono i prossimi parenti ed i compaesani ed allor "non ragioniam di loro, ma guarda e passa" (Dante Alighieri). “Gesù, venuto nella sua patria, insegnava nella loro sinagoga e la gente rimaneva stupita e diceva: «Da dove gli vengono questa sapienza e i prodigi? Non è costui il figlio del falegname? E sua madre, non si chiama Maria? E i suoi fratelli, Giacomo, Giuseppe, Simone e Giuda? E le sue sorelle, non stanno tutte da noi? Da dove gli vengono allora tutte queste cose?». Ed era per loro motivo di scandalo. Ma Gesù disse loro: «Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria e in casa sua». E lì, a causa della loro incredulità, non fece molti prodigi”. Mt 13, 54-58.
Se si disprezza quello che gli altri sono e fanno, perché, poi, si è come gli altri e si osteggiano i diversi?
Antonio Giangrande: Dapprima ti ignorano. Poi ti deridono. Poi ti emarginano. Poi ti combattono. Tu sei solo, ma non per sempre. Loro sono tanti, ma non per sempre. Ed allora sarai vincente, ma solo dopo la tua morte. I primi a combatterti sono i prossimi parenti ed i compaesani ed allor "non ragioniam di loro, ma guarda e passa" (Dante Alighieri). “Gesù, venuto nella sua patria, insegnava nella loro sinagoga e la gente rimaneva stupita e diceva: «Da dove gli vengono questa sapienza e i prodigi? Non è costui il figlio del falegname? E sua madre, non si chiama Maria? E i suoi fratelli, Giacomo, Giuseppe, Simone e Giuda? E le sue sorelle, non stanno tutte da noi? Da dove gli vengono allora tutte queste cose?». Ed era per loro motivo di scandalo. Ma Gesù disse loro: «Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria e in casa sua». E lì, a causa della loro incredulità, non fece molti prodigi”. Mt 13, 54-58.
Se si disprezza quello che gli altri sono e fanno, perché, poi, si è come gli altri e si osteggiano i diversi?
Antonio Giangrande: Non capisco per chi cazzo mi dia da fare e chi me lo faccia fare, subendone le ritorsioni. Lavoro tutti i giorni per dimostrare che chi si lamenta dell’andazzo pubblico non è un mitomane o un pazzo. Integro i miei libri con nuove testimonianze e pubblico i filmati che ne attestano in video la fondatezza per sensibilizzare l’opinione pubblica. Nei video, come nei libri, non parlo di me, ma dei problemi di questi coglioni che delle loro rogne hanno fatto un brand, pretendendone la soluzione, che non ci può mai essere. Nei video, come nei libri, nell’introduzione, mi limito per 20 secondi a presentarmi come autore. Bene. I cialtroni che stanno lì a menarla con i loro problemi in tutti i loro post, mai, dico mai, che abbiano condiviso un mio video che li riguardi, (o abbiano messo un mi piace sulla pagina dei miei libri) giusto per dimostrare che il loro problema non è frutto della loro mitomania e che ci sia qualcuno che si interessa. Qualcuno ha azzardato che parlo solo di me e qualcun altro mi accusa di speculare sulle disgrazie altrui. Qualcun altro ancora, essendo giornalista, anche quelli in disgrazia che hanno ottenuto che parlassi di loro, mai un rigo sul mio lavoro.
Penso che oggi sia arrivata l’ora di mandare un bel vaffanculo a tutti loro.
Che differenza c’è tra Etica e Morale?
Antonio Giangrande: Laddove il Diritto Soggettivo dei singoli si scontra con l’Interesse Pubblico e degrada in Interesse Legittimo nelle pretese contro i Burocrati della Pubblica Amministrazione, così l’Etica, come bene pubblico da salvaguardare, è il faro al quale la Morale del singolo si deve conformare, a pena di sanzione.
Taranto. Avv. Antonio Zito e Avv. Giancarlo De Valerio: Presunti innocenti fino a condanna definitiva. I maggiori quotidiani ne parlano. Ormai sono gognati. Il Marchio rimane.
Aggressione dell’Ucraina. Qualsivoglia siano le motivazioni, non si può parteggiare con chi uccide i bambini. Non ci si può confondere tra guerreggianti e criminali di guerra. Chi sta con Putin è come dire: sta dalla parte di Hitler.
Antonio Giangrande: Tutti vogliono avere ragione e tutti pretendono di imporre la loro verità agli altri. Chi impone ignora, millanta o manipola la verità. L'ignoranza degli altri non può discernere la verità dalla menzogna. Il saggio aspetta che la verità venga agli altri. La sapienza riconosce la verità e spesso ciò fa ricredere e cambiare opinione. Solo gli sciocchi e gli ignoranti non cambiano mai idea, per questo sono sempre sottomessi. La Verità rende liberi, per questo è importante far di tutto per conoscerla.
Si può competere con l’intelligenza, mai con l’idiozia. L’Intelligenza ascolta, comprende e pur non condividendo rispetta. L’idiozia si dimena nell’Ego, pretende ragione non ascoltando le ragioni altrui e non guarda oltre la sua convinzione dettata dall’ignoranza. L’idiozia non conosce rispetto, se non pretenderlo per sé stessa.
Certe persone non sono importanti, siamo noi che, sbagliando, gli diamo importanza.
“Le pecore nere di una famiglia sono in realtà liberatrici del loro albero genealogico.
Membri della famiglia che non si adattano alle regole o alle tradizioni familiari, coloro che cercano costantemente di rivoluzionare le credenze.
Coloro che scelgono strade contrarie ai percorsi ben battuti delle linee familiari, coloro che sono criticati, giudicati e persino respinti.
Questi sono chiamati a liberare la famiglia da schemi ripetitivi che frustrano intere generazioni.
Queste cosiddette “pecore nere”, quelle che non si adattano, quelle che ululano con la ribellione, in realtà riparano, disintossicano e creano nuovi rami fiorenti nel loro albero genealogico.
Innumerevoli desideri non realizzati, sogni infranti o talenti frustrati dei nostri antenati si manifestano attraverso questa rivolta.
Per inerzia, l’albero genealogico farà di tutto per mantenere il decorso castrante e tossico del suo tronco, che renderà il compito del ribelle difficile e conflittuale.
Smetti di dubitare e prenditi cura della tua rarità “come il fiore più prezioso del tuo albero”.
Sei il sogno di tutti i tuoi antenati.” Bert Hellinger
Antonio Giangrande: Noi siamo quello che altri hanno voluto che diventassimo. Quando esprimiamo giudizi gratuiti, cattivi ed illogici lo facciamo con la nostra bocca ma inconsapevolmente per volontà di altri. Lo facciamo in virtù di quanto ricevuto: dall’educazione familiare, dall’istruzione di regime, dall’indottrinamento politico e religioso, dall’influenza mediatica. Niente è farina del nostro sacco. Se ci basassimo solo sulle nostre esperienze staremmo solo zitti, sapendo che nessuno sarebbe capace e disposto ad ascoltarci.
Antonio Giangrande: Imparare ad imparare. Ci ho messo anni a capire l’importanza del significato di questa frase. L’arroganza e la presunzione giovanile dapprima me lo ha impedito. Condita da una buona dose di conformismo. Poi con il passare del tempo è arrivata la saggezza.
Capire di dover capire significa non muoversi a casaccio, senza una meta, senza un fine, senza un programma. Capire di dover capire significa chiedersi che senso ha ogni passo che ci indicano di compiere e che compiamo, ogni prova che superiamo, ogni giorno che spendiamo insieme a delle persone. Quante volte approcciamo un problema con la reale convinzione di risolverlo con indicazioni di altri, senza chiederci se davvero esiste una strada differente per arrivare ad una conclusione sensata.
Ecco, capire di dover capire. Non muoversi a caso, per sentito dire, parlando con le persone sbagliate, non valutando attentamente ogni passo che si deve compiere. Per fare questo dobbiamo essere pronti ad “imparare ad imparare” ovvero lasciare da parte nozioni acquisite e preconcetti e ad aprirci al nuovo.
Imparare ad imparare significa creare un percorso.
Serve leggere libri? Se la risposta è positiva dobbiamo adottare un metodo per selezionare quali libri leggere perché la mole dei libri in circolazione è tale che non potremmo reggere il passo, ne, tantomeno, compararne logica e verità.
Antonio Giangrande: Michela Murgia, l'ultimo delirio: "Il momento della lotta di classe", ecco come vuole impoverirci tutti. Gianluca Veneziani su Libero Quotidiano il 10 settembre 2021. Marx e Saviano, ecco i riferimenti ideologici di Michela Murgia. Lo ha esplicitato ieri lei stessa al Festivaletteratura di Mantova. «Le battaglie femministe oggi sono vitali, così come quelle Lgbt e contro la razzializzazione delle persone. Ma la lotta di classe, più trasversale di altre, è quasi assente. Spero ci sia un movimento forte che si batta contro le differenze economiche». La sinistra riscopre dunque il suo odio anti-ricchi. Insieme al disprezzo per la famiglia. «Saviano», continua la Murgia, «ha detto che le mafie finiranno quando finiranno le famiglie. Mi chiedo anche io se sia possibile ripensare la società, mettendo in discussione il concetto di famiglia».
La povertà è fame: sei impossibilitato a sfamare te e la tua famiglia.
La povertà è solitudine: non puoi avere una famiglia.
La povertà è emarginazione: non puoi avere amici.
La povertà è sporcizia: sei impossibilitato a lavarti e ad adottare le più elementari forme di igiene.
La povertà è vivere senza un tetto o in abitazioni insalubri.
La povertà è vivere con vestiti logori e sporchi.
La povertà è malattia: sei impossibilitato a curare te e la tua famiglia.
La povertà è ignoranza: non puoi far studiare te e i tuoi figli per migliorare il futuro.
La povertà è sopraffazione: non puoi difenderti da accuse penali infamanti.
La povertà è staticità: non puoi viaggiare per fuggire.
La povertà è non avere potere e non essere rappresentati adeguatamente.
La povertà è mancanza di libertà e di dignità.
La povertà è silenzio: nessuno ti scolta, anche se hai tanto da insegnare.
La povertà assume volti diversi, volti che cambiano nei luoghi e nel tempo, ed è stata descritta in molti modi.
La povertà è una situazione da cui la gente vuole evadere con qualsiasi mezzo e compromesso.
La povertà è essere indifeso, quindi vittima di sopraffazione ed ingiustizie altrui.
Per capire come si può ridurre la povertà, per capire ciò che contribuisce o meno ad alleviarla e per capire come cambia nel tempo, bisogna vivere la povertà. Dato che la povertà ha tante dimensioni, deve essere osservata mediante una serie di indicatori; indicatori dei livelli di reddito e di consumo, indicatori sociali ed anche indicatori della vulnerabilità e del livello di accesso alla società e alla vita politica. Una forte incidenza della povertà si associa al basso titolo di studio o al basso profilo professionale e, come è naturale, anche, per i casi di disoccupazione.
Antonio Giangrande: Il reddito si crea. Il reddito non si sostenta dallo Stato. Perché se nessuno produce e nessuno commercia, da chi si prendono i soldi per i consumi o mantenere una società?
Ed una società funziona se sono i capaci e competenti a farla funzionare, altrimenti si blocca.
In questa Italia cattocomunista non puoi fare nulla, perché si fotte tutto lo Stato con tasse, tributi e contributi, per mantenere i parassiti nazionali ed europei.
In questa Italia cattocomunista non puoi avere nulla, perché si fotte tutto lo Stato con accuse strumentali di mafiosità e con i fallimenti truccati, per mantenere i profittatori.
In questa Italia parlano di sostegno al lavoro, ma nulla fanno per incentivarlo a crearlo, come agevolare il credito, o come detassare, o come sburocratizzare, con eliminazione di vincoli e fardelli.
I giovani in questo modo possono inventare e creare il proprio lavoro, senza essere condannati alla dipendenza di stampo socialista.
I giovani hanno bisogno di libertà d’impresa non di elemosine.
La Povertà ed il Metadone di Stato.
Antonio Giangrande: Prima della rivoluzione francese “L’Ancien Régime” imponeva: ruba ai poveri per dare ai ricchi.
Erano dei Ladri!!!
Dopo, con l’avvento dei moti rivoluzionari del proletariato e la formazione ideologica/confessionale dei movimenti di sinistra e le formazioni settarie scissioniste del comunismo e del fascismo, si impose il regime contemporaneo dello stato sociale o anche detto stato assistenziale (dall'inglese welfare state). Lo stato sociale è una caratteristica dei moderni stati di diritto che si fondano sul presupposto e inesistente principio di uguaglianza, in quanto possiamo avere uguali diritti, ma non possiamo essere ritenuti tutti uguali: c’è il genio e l’incapace, c’è lo stakanovista e lo scansafatiche, l’onesto ed il deviante. Il capitale di per sé produce reddito, anche senza il fattore lavoro. Il lavoro senza capitale non produce ricchezza. Il ritenere tutti uguali è il fondamento di quasi tutte le Costituzioni figlie dell’influenza della rivoluzione francese: Libertà, Uguaglianza, solidarietà. Senza questi principi ogni stato moderno non sarebbe possibile chiamarlo tale. Questi Stati non amano la meritocrazia, né meritevoli sono i loro organi istituzionali e burocratici. Il tutto si baratta con elezioni irregolari ed a larga astensione e con concorsi pubblici truccati di cooptazione. L’egualitarismo è una truffa. E’ un principio velleitario detto alla “Robin Hood”, ossia: ruba ai ricchi per dare ai poveri.
Sono dei ladri!!!
Tra l’antico regime e l’odierno sistema quale è la differenza?
Sempre di ladri si tratta. Anzi oggi è peggio. I criminali, oggi come allora, saranno coloro che sempre si arricchiranno sui beoti che li acclamano, ma oggi, per giunta, ti fanno intendere di fare gli interessi dei più deboli.
Non diritto al lavoro, che, come la manna, non cade dal cielo, ma diritto a creare lavoro. Diritto del subordinato a diventare titolare. Ma questo principio rende la gente libera nel produrre lavoro e ad accumulare capitale. La “Libertà” non è statuita nell’articolo 1 della nostra Costituzione catto comunista. Costituzioni che osannano il lavoro, senza crearne, ma foraggiano il capitale con i soldi dei lavoratori.
Le confessioni comuniste/fasciste e clericali ti insegnano: chiedi e ti sarà dato.
Io non voglio chiedere niente a nessuno, specie ai ladri criminali e menzogneri, perché chi chiede si assoggetta e si schiavizza nella gratitudine e nella riconoscenza.
Una vita senza libertà è una vita di merda…
Antonio Giangrande. A proposito di Islam
Fermo restando che ci sono tantissime persone di fede islamica che sono della brava gente, non posso che esprimere i miei più profondi dubbi sulla "buona fede" della religione musulmana. Ciò che più non capisco è come si possa denigrare la nostra cultura, quella occidentale, che ha portato l'uomo ad un successivo livello di evoluzione e difendere senza "se" e senza "ma" una cultura/società che, IN GRAN PARTE, è ferma al medioevo, in cui le donne sono sottomesse all'uomo e considerate di loro proprietà, i "miscredenti" e i peccatori vengono uccisi, la "Sharia" si basa sulla "legge del taglione", gli omosessuali perseguitati, la libertà religiosa un miraggio, i diritti più basilari sono ancora da conquistare, una civiltà che per secoli ci ha attaccato, invaso, depredato, tentato di conquistarci. E con le ondate di immigrazione proprio dal mondo arabo rischiamo di dover convivere IN CASA NOSTRA con tutte queste situazioni. Ma ciò che trovo più strano, però, è il fatto che coloro che difendono il mondo islamico sono proprio coloro che partecipano ai gay pride, sono attivisti per i diritti delle donne, ecc. Forse perché i voti alle elezioni valgono più di ogni tipo di coerenza.
P.S. Qualche migliaia di immigrati islamici su 60 milioni di abitanti di certo non sono un problema, ma se cominciano a diventare qualche milione la situazione cambia. Occhio…
Giorgia Meloni a Dritto e Rovescio di Rete4 il 9 settembre 2021.
Del Debbio: Ha definito il reddito di cittadinanza una sorta di Metadone di Stato”. Senta cosa gli ha risposto Giuseppe Conte interpellato dal nostro Angelo Macchiavello.
Giuseppe Conte: E’ un’espressione volgare, veramente offensiva. Il Reddito di Cittadinanza ha ridato dignità ai cittadini. Se usiamo questo linguaggio, togliamo dignità ai cittadini.…
Giorgia Meloni: Ma guardi non so cosa ci sia di volgare agli occhi dell’ex presidente del Consiglio. Può essere un’espressione che lui considera irrispettosa, ma non verso i cittadini, ma verso di lui. Verso il Movimento 5 Stelle. Verso chi ha voluto il reddito di Cittadinanza. Guardi, io ho detto una cosa molto precisa. Ho detto che il principio del Reddito di Cittadinanza in rapporto alla povertà è lo stesso principio che si usa con il Metadone in rapporto ad una persona tossico dipendente. Perché che cosa fa il Metadone. Il Metadone non risolve il problema di quella persona: la mantiene in quella condizione, perché non dia fastidio allo Stato. Col Reddito di Cittadinanza la mentalità è esattamente la stessa: io non risolvo il problema della povertà di quella persona trovandole un lavoro, dandole la possibilità di migliorare la sua condizione. No, io la mantengo in quella condizione, serva di una politica che sono costretto a votare, perché magari mi dà la paghetta, senza poter mai migliorare. Diceva, l’ho detto tante volte, diceva il premio Nobel per l’economia Amartya Sen che la povertà non è semplicemente la mancanza di soldi. La vera povertà è l’impossibilità che tu hai di migliorare la condizione nella quale ti trovi, che è data dal contesto che ti circonda. Quando io, ad esempio, sentì dire dall’allora ministero dell’economia per il Sud che la soluzione che il Governo aveva individuato era il Reddito di Cittadinanza, io non ci sto. Perché non ci sto a dire al Mezzogiorno d’Italia che quelle persone non possono migliorare la loro condizione. Che non ci sarà mai un investimento infrastrutturale, che non ci sarà mai uno sviluppo vero. Che non ci sarà mai una crescita; una possibilità di competere ad armi pari. No, tutti a 300, 400, 500 euro col Movimento 5 Stelle, rimanendo esattamente lì dove si è. Questo è lo stesso principio del Metadone di Stato.
Aggiungo io, Antonio Giangrande, Metadone di Stato è anche il considerare mafiosi tutti i cittadini meridionali e per gli effetti tutte le imprese meridionali. Le informative amministrative antimafia artefatte che precludono l'esercizio delle imprese del Sud solo per il sentore di mafiosità, dovuto a mille fattori non delinquenziali. Gli annosi procedimenti giudiziari antimafia di alcuni Pm mediatici, che spesso risultano dei bluff. La distruzione metodica del tessuto produttivo meridionale, nell'interesse delle imprese del Nord, porta desertificazione lavorativa e assoggettamento all'assistenzialismo che perdura la povertà. Senza impresa non c'è lavoro.
IL DEBITO DELLA PROSTITUTA
Non so chi sia il genio che l'ha scritto ... ma è eccellente ...
A marzo, in una piccola città, cade una pioggia torrenziale e per diversi giorni la città sembra deserta.
La crisi affligge questo posto da molto tempo, tutti hanno debiti e vivono a credito.
Fortunatamente, un milionario con tanti soldi arriva ed entra nell'unico piccolo hotel sul posto, chiede una stanza, mette una banconota da 100 euro sul tavolo della reception e va a vedere le stanze.
- Il gestore dell'hotel prende la banconota e scappa per pagare i suoi debiti con:
- Il macellaio.
Questo prende i 100 euro e scappa per pagare il suo debito con:
- L'allevatore di maiali.
Quest’ultimo prende la banconota e corre a pagare ciò che deve:
- Il mulino-Fornitore di mangimi per maiali.
Il proprietario del mulino prende 100 euro al volo e corre a saldare il suo debito con:
- Maria, la prostituta che non paga da molto tempo, in tempi di crisi, offre persino servizi a credito ...
La prostituta con la banconota in mano parte per:
- Il piccolo hotel, dove aveva portato i suoi clienti le ultime volte e non aveva ancora pagato e gli consegna 100 euro:
- Al proprietario dell'hotel.
In questo momento il milionario che ha appena dato un'occhiata alle stanze scende, dice di non essere convinto delle stanze, prende i suoi 100 euro e va via.
"Nessuno ha guadagnato un euro, ma ora l'intera città vive senza debiti e guarda al futuro con fiducia" !!!
MORALE:
SE I SOLDI CIRCOLANO, NELL'ECONOMIA LOCALE, LA CRISI È FINITA.
Consumiamo di più nei piccoli negozi e mercati di quartiere
- Consuma ciò che producono i tuoi amici e il tuo paese!!!
- Se il tuo amico ha una micro impresa, compra i suoi prodotti!
- Se il tuo amico vende vestiti, comprali!
- Se il tuo amico vende scarpe, comprale!
- Se la tua amica vende dolciumi, compra!
- Se il tuo amico è un contabile, vai a chiedere consiglio!
- Se il mio amico possedesse un ristorante ... Cosa ne pensi? Vorrei mangiare lì!
- Se un mio amico avesse un negozio, in quello comprerei!
Alla fine della giornata, la maggior parte dei soldi viene raccolta da grandi società e cosa credi? Vanno via dal paese! Ma quando acquisti da un imprenditore, una piccola impresa di medie dimensioni o dai tuoi amici, li aiuti, tutti noi vinciamo e contribuiamo alla nostra economia.
Sosteniamo l'imprenditorialità ...
Antonio Giangrande: Cultura. “Il Comunista Benito Mussolini”.
Quello che la sub cultura post bellica impedisce di far sapere ai retrogradi ed ignoranti italioti.
Non fu lotta di liberazione, ma solo lotta di potere a sinistra.
La sola differenza politica tra Mussolini e Togliatti era che il Benito Leninista espropriò le terre ai ricchi donandola ai poveri, affinchè lavorassero la terra per sé ed i propri cari in una Italia autonoma ed indipendente; il Palmiro Stalinista voleva espropriare le proprietà ai ricchi per far lavorare i poveri a vantaggio della nomenclatura di Stato assoggettata all’Unione Sovietica.
Mussolini è stato più comunista di Fidel Castro. Quel Castro che mai si era dichiarato comunista. Se non che, con l'appellativo di Líder Máximo ("Condottiero Supremo"), a quanto pare attribuitogli quando, il 2 dicembre 1961, dichiarò che Cuba avrebbe adottato il comunismo in seguito allo sbarco della baia dei Porci a sud di L'Avana, un fallito tentativo da parte del governo statunitense di rovesciare con le armi il regime cubano. Nel corso degli anni Castro ha rafforzato la popolarità di quest'appellativo.
“Il Comunista Benito Mussolini”. La nuova fatica di Antonio Giangrande in Book o in E-book sui canali editoriali alternativi: Amazon e Create Space; Lulu e Google Libri.
Dr. Antonio Giangrande. Scrittore, sociologo storico, giurista, blogger, youtuber, presidente dell’Associazione Contro Tutte le Mafie.
Antonio Giangrande: Non mi sento italiano…ma per fortuna o purtroppo lo sono…
A proposito dello sgombero dell’immobile occupato abusivamente da stranieri a Roma:
Perché gli organi di informazione ideologizzati, che hanno perso ogni forma di credibilità, esaltano una frase detta sotto pressione e tensione da un solo poliziotto e sottacciono le violenze a danno degli altri agenti di polizia? E perché gli scribacchini si indignano dello sgombero di un immobile occupato abusivamente e pagato con i fondi pensione dei cittadini italiani, mentre tacciono spudoratamente, quando ad essere cacciati di casa sono quei cittadini italiani vittime di sfratti o di esecuzioni forzate, frutto di usure bancarie impunite o di sentenze vendute?
Antonio Giangrande: La definizione di mafie del dr Antonio Giangrande è: «Sono sodalizi mafiosi tutte le organizzazioni formate da più di due persone specializzati nella produzione di beni e servizi illeciti e nel commercio di tali beni. Sono altresì mafiosi i gruppi di più di due persone che aspirano a governare territori e mercati e che, facendo leva sulla reputazione e sulla violenza, conservano e proteggono il loro status quo».
In questo modo si combattono le mafie nere (manovalanza), le mafie bianche (colletti bianchi, lobbies e caste), le mafie neutre (massonerie e consorterie deviate).
Antonio Giangrande: Da sempre diffido di chi, vestito da lupo, è pecora genuflessa alla magistratura. I saccenti giustizialisti dei 5 stelle che provino a proporre la figura del difensore civico giudiziario con poteri di magistrato, senza essere uno di loro, per poter metter le mani nelle carte dei fascicoli e poterle sparigliare. Io da anni mi batto inascoltato per questo. I signori dei 5 stelle non si degnano nemmeno di rispondere ai messaggi degli esperti: tanto san tutto loro. A sbraitare son bravi, ma a proporre leggi sensate, mi sa che non son capaci.
Antonio Giangrande: La sinistra ha abbandonato I Diritti Sociali dei tanti (Il popolo dei ceti medio e bassi) poco rappresentati in Parlamento in favore de I Diritti Civili dei pochi (Immigrati, mussulmani, LGBTQIA+, ecc.) sovra-rappresentati in Parlamento rispetto al numero reale nella società italiana.
Antonio Giangrande: QUELLI CHE……L’ART. 18.
Licenziare il lavoratore dannoso all'impresa ed alla società civile, significa educare al lavoro ed al rispetto dei ruoli, delle persone e della proprietà altrui. Come significa anche aprire il mercato del lavoro a chi il lavoro non lo ha mai avuto per colpa di coloro che, sindacalizzati e politicizzati, avevano il monopolio e l'esclusiva dell'occupazione. Perchè qualcuno deve coprire il posto di lavoro lasciato libero dal licenziamento.
La sinistra aveva i voti degli operai, non dei poveri. Storia di Aldo Cazzullo su Il Corriere della Sera mercoledì 27 settembre 2023.
Caro Aldo, lei ha scritto che non erano i poveri a votare a sinistra, ma gli operai. Che differenza c’è? Franco Lepori Roma
Caro Franco, Dov’è la maggioranza dei poveri in Italia? Al Sud. Dove prendeva i voti il partito comunista? Al Nord. A Napoli votavano Pci gli operai dell’Italsider di Bagnoli e dell’Alfasud di Pomigliano d’Arco, non il popolo dei bassi, che votava Democrazia cristiana con uno spirito non molto diverso da quello con cui oggi vota Cinque Stelle: per avere i soldi dello Stato. Fuori dalle regioni rosse, i comunisti erano forti nei grandi agglomerati industriali del Nord: Torino, Genova, Marghera, la cintura settentrionale di Milano. Negli Anni 70 si iscriveva alla Cgil e votava Pci l’operaio massa: stessa mansione, stesso stipendio (non lauto ma comunque più di chi aveva lavori precari o non aveva lavoro), stessa classe sociale, stesso sistema di valori. Dice: il Pci doveva prendere le distanze da Mosca. Certo. Ma se dopo il crollo del Muro e la fine dell’Unione sovietica nacque un partito della Rifondazione comunista che prese più dell’8%, figurarsi cosa sarebbe accaduto se il tentativo di andare oltre il comunismo fosse stato fatto prima. Ovviamente la prevalenza del Pci fu un grosso problema per la sinistra italiana. Mentre i laburisti inglesi, i socialdemocratici tedeschi, i socialisti francesi e spagnoli andavano al governo, la sinistra italiana si divideva e in buona parte restava all’opposizione. Oggi gli operai non ci sono quasi più. E le classi popolari votano a destra, perché percepiscono il Pd come il partito della gente che sta bene. Non che i ricchi votino a sinistra; i veri ricchi votano a destra in tutto il mondo. A sinistra vota la borghesia intellettuale, il ceto medio dipendente; cui i capi della sinistra vogliono aumentare le tasse. Chi la pagherebbe la patrimoniale vagheggiata da Schlein e Fratoianni? I grandi capitali, già al sicuro nei paradisi fiscali?
Antonio Giangrande: A.D. 2014. MORIRE DI DENTI, MORIRE DI POVERTA’, MA I DENTISTI SI SCAGLIANO CONTRO ANTONIO GIANGRANDE.
«Siamo un paese di gente che, presi uno ad uno, si definisce onesta. Per ogni male che attanaglia questa Italia, non si riesce mai a trovare il responsabile. Tanto, la colpa è sempre degli altri!». Così afferma il dr Antonio Giangrande, noto saggista di fama mondiale e presidente dell’Associazione Contro Tutte le Mafie, sodalizio antimafia riconosciuto dal Ministero dell’Interno. Associazione fuori dal coro e fuori dai circuiti foraggiati dai finanziamenti pubblici.
«Quando ho trattato il tema dell’odontoiatria, parlando di un servizio non usufruibile per tutti, non ho affrontato l’argomento sulla selezione degli odontoiatri. Non ho detto, per esempio, che saranno processati a partire dal prossimo 6 marzo 2014 i 26 imputati rinviati a giudizio dal gup del Tribunale di Bari Michele Parisi nell'ambito del procedimento per i presunti test di ingresso truccati per l'ammissione alle facoltà di odontoiatria e protesi dentaria delle Università di Bari, Napoli, Foggia e Verona, negli anni 2008-2009. Ho scritto solo un articolo asettico dal titolo eclatante.»
LA LOBBY DEI DENTISTI E LA MAFIA ODONTOIATRICA.
In una sequela di corpi nudi, da quale particolare tra loro riconosceresti un indigente? Dai denti, naturalmente! Guardalo in bocca quando ride e quando parla e vedrai una dentatura incompleta, cariata e sporca.
In fatto di salute dentale gli italiani non si rivolgono alla ASL. I dentisti della ASL ci sono, eppure è solo l'8% degli italiani ad avvalersi dei dentisti pubblici. Nel 92% dei casi gli italiani scelgono un dentista privato. Più che altro ad influenzare la scelta per accedere a questa prestazione medica è perché alla stessa non è riconosciuta l’esenzione del Ticket. Ci si mette anche la macchinosità burocratica distribuita in più tempi: ricetta medica; prenotazione, pagamento ticket e finalmente la visita medica lontana nel tempo e spesso a decine di km di distanza, che si protrae in più fasi con rinnovo perpetuo di ricetta, prenotazione e pagamento ticket. La maggiore disponibilità del privato sotto casa a fissare appuntamenti in tempi brevi, poi, è la carta vincente ed alla fine dei conti, anche, la più conveniente. Ciononostante la cura dei denti ci impone di aprire un mutuo alla nostra Banca di fiducia.
Il diritto alla salute dei denti, in questo stato di cose, in Italia, è un privilegio negato agli svantaggiati sociali ed economici.
LA VULNERABILITA’ SOCIALE. Può essere definita come quella condizione di svantaggio sociale ed economico, correlata di norma a condizioni di marginalità e/o esclusione sociale, che impedisce di fatto l’accesso alle cure odontoiatriche oltre che per una scarsa sensibilità ai problemi di prevenzione e cura dei propri denti, anche e soprattutto per gli elevati costi da sostenere presso le strutture odontoiatriche private. L’elevato costo delle cure presso i privati, unica alternativa oggi per la grande maggioranza della popolazione, è motivo di ridotto accesso alle cure stesse anche per le famiglie a reddito medio - basso; ciò, di fatto, limita l’accesso alle cure odontoiatriche di ampie fasce di popolazione o impone elevati sacrifici economici qualora siano indispensabili determinati interventi.
Pertanto, tra le condizioni di vulnerabilità sociale si possono individuare tre distinte situazioni nelle quali l’accesso alle cure è ostacolato o impedito:
a) situazioni di esclusione sociale (indigenza);
b) situazioni di povertà:
c) situazioni di reddito medio – basso.
Perché il Servizio Sanitario Nazionale e di rimando quello regionale e locale non garantisce il paritetico accesso alle cure dentali? Perché a coloro che beneficiano dell’esenzione al pagamento del Ticket, questo non è applicato alla prestazione odontoiatrica pubblica?
Andare dal dentista gratis è forse il sogno di tutti, visti i conti che ci troviamo periodicamente a pagare e che non di rado sono la ragione per cui si rimandano le visite odontoiatriche, a tutto discapito della salute dentale. Come avrete capito, insomma, non è così semplice avere le cure dentistiche gratis e spesso, per averle, si devono avere degli svantaggi molto forti, al cui confronto la parcella del dentista, anche la più cara, non è nulla. E' però importante sapere e far sapere che, chi vive condizioni di disagio economico o ha malattie gravi, può godere, ma solo in rare Regioni, di cure dentistiche gratuite a totale carico del Sistema Sanitario Nazionale. Diciamo subito che non tutti possono avere questo diritto: le spese odontoiatriche non sono assimilabili a quelle di altre prestazioni mediche offerte nelle ASL, negli ospedali e nelle cliniche convenzionate di tutta Italia. Inoltre, qualora si rendano necessarie protesi dentarie o apparecchi ortodontici, questi sono a carico del paziente: vi sono però alcune condizioni particolari che permettono, a seconda dei regolamenti regionali, di ottenere protesi dentali gratuite e apparecchi a costo zero o quasi. Le regioni amministrano la sanità, e dunque anche le cure dentistiche, con larghe autonomie che a loro volta portano a differenze anche sostanziali da un luogo all'altro. Bisogna, quando si nasce, scegliersi il posto!
Alla fine del racconto, la morale che se ne trae è una. E’ possibile che la lobby dei dentisti sia così forte da influenzare le prestazioni sanitarie delle Asl italiane e gli indirizzi legislativi del Parlamento? In tempo di crisi ci si deve aspettare un popolo di sgangati senza denti, obbligati al broncio ed impediti al sorriso da una ignobile dentatura?
Questo articolo è stato pubblicato da decine di testate di informazione. E la reazione dei dentisti non si è fatta attendere, anche con toni minacciosi. Oggetto degli strali polemici è stato, oltre che Antonio Giangrande, il direttore di “Oggi”.
«I Dentisti non sono mafiosi bensì gli unici che si prendono cura dei cittadini». ANDI protesta con Oggi per una delirante lettera pubblicata. Così viene definito l’articolo. Il 14 gennaio 2014 sul sito del settimanale Oggi, nella rubrica “C’è posta per noi”, è stata pubblicata una missiva del dott. Antonio Giangrande presidente dell’Associazione Contro Tutte le Mafie dal titolo “La lobby dei dentisti e la mafia odontoiatrica”. Nella nota Giangrande analizza il bisogno di salute orale e le difficoltà del servizio pubblico di dare le risposte necessarie chiedendosi se tutto questo non è frutto del lavoro della lobby dei dentisti talmente potente da influenzare le prestazioni sanitarie delle Asl e le decisioni del Parlamento. ANDI, per tutelare l’immagine dei dentisti liberi professionisti italiani, sta valutando se intraprendere azioni legali nei confronti dell’autore della lettera e del giornale. Intanto ha chiesto di pubblicare la nota che riportiamo sotto. La Redazione di Oggi ha scritto il 24.1.2014 alle 16:59, Il precedente titolo della lettera del Dottor Giangrande era fuorviante e di questo ci scusiamo con gli interessati. Qui di seguito l’intervento dell’Associazione Nazionale Dentisti italiani, a nome del Presidente Dott. Gianfranco Prada, in risposta allo stesso Dottor Giangrande. «A nome dei 23 mila dentisti italiani Associati ad ANDI (Associazione Nazionale Dentisti Italiani) che mi onoro di presiedere vorrei rispondere alla domanda che il dott. Antonio Giangrande, presidente dell’Associazione Contro tutte le Mafie ha posto sul suo giornale il 14 gennaio. “E’ possibile che la lobby dei dentisti sia così forte da influenzare le prestazioni sanitarie delle Asl italiane e gli indirizzi legislativi del Parlamento? In tempo di crisi ci si deve aspettare un popolo di sgangati senza denti, obbligati al broncio ed impediti al sorriso da una ignobile dentatura?” La risposta è no. No, dott. Giangrande non c’è una lobby di dentisti così forte da influenzare le scelte della sanità pubblica. La causa di quanto lei scrive si chiama spending review o se vogliamo utilizzare un termine italiano dovremmo dire tagli: oltre 30 miliardi negli ultimi due anni quelli per la sanità. Poi io aggiungerei anche disinteresse della politica verso la salute orale che non ha portato, mai, il nostro SSN ad interessarsi del problema. Vede dott. Giangrande lei ha ragione quando sostiene che un sorriso in salute è una discriminante sociale, ma non da oggi, da sempre. Ma questo non per ragioni economiche, bensì culturali. Chi fa prevenzione non si ammala e non ha bisogno di cure. Mantenere sotto controllo la propria salute orale costa all’anno quanto una signora spende alla settimana dalla propria parrucchiera. Ed ha anche ragione quando “scopre” che le cure odontoiatriche sono costose, ma non care come dice lei. Fare una buona odontoiatria costa e costa sia al dentista privato che alla struttura pubblica, che infatti non riesce ad attivare un servizio che riesca a soddisfare le richieste dei cittadini. Inoltre, oggi, lo stato del SSN quasi al collasso, non consente investimenti nell’odontoiatria: chiudono i pronto soccorso o vengono negati prestazioni salva vita. Ma le carenze del pubblico nell’assistenza odontoiatrica non è neppure di finanziamenti, è di come questi soldi vengono investiti. Qualche anno fa il Ministero della Salute ha effettuato un censimento per capire le attrezzature ed il personale impiegato da Ospedali ed Asl nell’assistenza odontoiatrica e da questo è emerso che i dentisti impiegati utilizzano gli ambulatori pubblici in media per sole 3 ore al giorno. Ma non pensi sia per negligenza degli operatori, molto spesso è la stessa Asl che non può permettersi di attivare il servizio per più tempo. Non ha i soldi. Però poi succede anche che utilizzi le strutture pubbliche per dare assistenza odontoiatrica a pagamento e quindi per rimpinguare i propri bilanci. Come mai non ci indigna per questo? Il problema non è di carenza di attrezzature (mediamente quelle ci sono) sono i costi per le cure. Una visita odontoiatria è molto più costosa di una visita di qualsiasi altra branca della medicina. Pensi quando il suo dermatologo o cardiologo la visita e poi allo studio del suo dentista in termini di strumenti, attrezzature e materiali utilizzati. Anche con i pazienti che pagano il ticket l’Asl non riesce a coprire neppure una piccola parte dei costi sostenuti per effettuare la cure. Da tempo chiediamo ai vari Ministri che negli anni hanno trascurato l’assistenza odontoiatrica di dirottare quegli investimenti in un progetto di prevenzione odontoiatrica verso la fasce sociali deboli e i ragazzi. Una seria campagna di prevenzione permetterebbe di abbattere drasticamente le malattie del cavo orale, carie e malattia parodontale, diminuendo drasticamente la necessità di interventi costosi futuri come quelli protesici. Invece nelle nostre Asl e negli ospedali non si previene e non si cura neppure, perché costa troppo curare, così si estraggono solo denti… creando degli “sdentati” che avranno bisogno di protesi. Dispositivo che il nostro SSN non può erogare. Ma molto spesso lo fa a pagamento. Pensi, dott. Giangrande, siamo talmente lobbie che l’unico progetto di prevenzione pubblica gratuito attivo su tutto il territorio nazionale è reso possibile da 35 anni dai dentisti privati aderenti all’ANDI. Stesso discorso per l’unico progetto di prevenzione del tumore del cavo orale, 6 mila morti all’anno per mancata prevenzione. Per aiutare gli italiani a tutelare la propria salute orale nell’immediato basterebbe aumentare le detrazioni fiscali della fattura del dentista (oggi è possibile detrarre solo il 19%) ma questo il Ministero dell’Economia dice che non è possibile. Però da anni si permette ai cittadini di detrarre oltre il 50% di quanto spendono per ristrutturare casa o per comprare la cucina. Come vede, caro dott. Giangrande, il problema della salute orale è molto serio così come molto serio il problema della mafia. Ma proprio perché sono problemi seri, per occuparsene con competenza bisogna sforzarsi di analizzare il problema con serietà e non fare le proprie considerazioni utilizzando banali lunghi comuni. In questo modo insulta solo i dentisti italiani che sono seri professionisti e non truffatori o peggio ancora mafiosi. Fortunatamente questo i nostri pazienti lo sanno, ecco perché il 90% sceglie il dentista privato e non altre strutture come quelle pubbliche o i low cost. Perché si fida di noi, perché siamo seri professionisti che lavorano per mantenerli sani. Aspettiamo le sue scuse. Il Presidente Nazionale ANDI, Dott. Gianfranco Prada».
Antonio Giangrande, come sua consuetudine, fa rispondere i fatti per zittire polemiche strumentali e senza fondamento, oltre che fuorvianti il problema della iniquità sociale imperante.
Palermo. Morire, nel 2014, perché non si vuole - o non si può - ricorrere alle cure di un dentista. Da un ospedale all'altro: muore per un ascesso. Quando il dolore è diventato insopportabile ha deciso di rivolgersi ai medici, ma la situazione è precipitata, scrive Valentina Raffa su “Il Giornale”, martedì 11/02/2014. Una storia alla Dickens, con la differenza però che oggi non siamo più nell'800 e romanzi sociali come «Oliver Twist», «David Copperfield» e «Tempi difficili» dovrebbero apparire decisamente anacronistici. Eppure... Eppure succede che ai nostri giorni si possa ancora morire per un mal di denti. Un dolore a un molare che la protagonista di questa drammatica vicenda aveva cercato di sopportare. Difficile rivolgersi a un dentista, perché curare un ascesso avrebbe richiesto una certa spesa. E Gaetana, 18enne di Palermo, non poteva permettersela. Lei si sarebbe dovuta recare immediatamente in Pronto soccorso. Quando lo ha fatto, ossia quando il dolore era divenuto lancinante al punto da farle perdere i sensi, per lei non c'era più nulla da fare. È stata accompagnata dalla famiglia all'ospedale Buccheri La Ferla, di Palermo, dove avrebbe risposto bene alla terapia antibiotica, ma purtroppo il nosocomio (a differenza del Policlinico) non dispone di un reparto specializzato. Quando quindi la situazione si è aggravata, la donna è stata portata all'ospedale Civico. Ricoverata in 2^ Rianimazione, i medici hanno tentato il possibile per salvarle la vita. A quel punto, però, l'infezione aveva invaso il collo e raggiunto i polmoni. L'ascesso al molare era divenuto fascite polmonare. L'agonia è durata giorni. La vita di Gaetana era appesa a un filo. Poi è sopraggiunto il decesso. Le cause della morte sono chiare, per cui non è stata disposta l'autopsia. Nel 2014 si muore ancora così. E pensare che esiste la «mutua». Ma Gaetana forse non lo sapeva. Sarebbe bastato recarsi in ospedale con l'impegnativa del medico di base. è una storia di degrado, non di malasanità: ci sono 4 ospedali a Palermo con servizio odontoiatrico. Ma nella periferia tristemente famosa dello Zen questa non è un'ovvietà.
Morire di povertà. Gaetana Priola, 18 anni, non aveva i soldi per andare dal dentista scrive “Libero Quotidiano”. La giovane si è spenta all'ospedale civico di Palermo, dove era ricoverata dai primi giorni di febbraio 2014. A ucciderla, un’infezione polmonare causata da un ascesso dentale mai curato. All'inizio del mese, la giovane era svenuta in casa senza più dare segni di vita. I medici le avevano diagnosticato uno choc settico polmonare, condizione che si verifica in seguito a un improvviso abbassamento della pressione sanguigna. Inizialmente, Gaetana era stata trasportata al Bucchieri La Ferla e, in seguito, era stata trasferita nel reparto di rianimazione del Civico. Le sue condizioni sono apparse da subito come gravi. I medici hanno provato a rianimarla ma, dopo una settimana di cure disperate, ne hanno dovuto registrare il decesso. Disperazione e dolore nel quartiere Zen della città, dove la vittima risiedeva insieme alla famiglia.
All'inizio era un semplice mal di denti, scrive “Il Corriere della Sera”. Sembrava un dolore da sopportare senza drammatizzare troppo. Eppure in seguito si è trasformato in un ascesso poi degenerato in infezione. Una patologia trascurata, forse anche per motivi economici, che ha provocato la morte di una ragazza di 18 anni, Gaetana Priolo. La giovane, che abitava a Palermo nel quartiere Brancaccio, non si era curata; qualcuno dice che non aveva i soldi per pagare il dentista. Un comportamento che le è stato fatale: è spirata nell'ospedale Civico per uno «shock settico polmonare». Le condizioni economiche della famiglia della ragazza sono disagiate ma decorose. Gaetana era la seconda di quattro figli di una coppia separata: il padre, barista, era andato via un paio di anni fa. Nella casa di via Azolino Hazon erano rimasti la moglie, la sorella maggiore di Gaetana, il fratello e una bambina di quasi cinque anni. Per sopravvivere e mantenere la famiglia la madre lavorava come donna delle pulizie. «È stata sempre presente, attenta, una donna con gli attributi», dice Mariangela D'Aleo, responsabile delle attività del Centro Padre Nostro, la struttura creato da don Pino Puglisi, il parroco uccisa dalla mafia nel '93, per aiutare le famiglie del quartiere in difficoltà. L'inizio del calvario per Gaetana comincia il 19 gennaio scorso: il dolore è insopportabile tanto da far perdere i sensi alla diciottenne. La ragazza in prima battuta viene trasportata al Buccheri La Ferla e visitata al pronto soccorso per sospetto ascesso dentario. «Dopo due ore circa, in seguito alla terapia, essendo diminuito il dolore, - afferma una nota della direzione del nosocomio - è stata dimessa per essere inviata per competenza presso l'Odontoiatria del Policlinico di Palermo». Dove però Gaetana non è mai andata. Si è invece fatta ricoverare il 30 gennaio al Civico dove le sue condizioni sono apparse subito gravi: in seconda rianimazione le viene diagnosticata una fascite, un'infezione grave che partendo dalla bocca si è già diffusa fino ai polmoni - dicono all'ospedale -. I medici fanno di tutto per salvarla, ma le condizioni critiche si aggravano ulteriormente fino al decesso avvenuto la settimana scorsa. Al momento non c'è nessuna denuncia della famiglia e nessuna inchiesta è stata aperta. «È un caso rarissimo - spiega una dentista - ma certo non si può escludere che possa accadere». Soprattutto quando si trascura la cura dei denti. Ed è questo un fenomeno in crescita. «L'11% degli italiani rinuncia alle cure perchè non ha le possibilità economiche, e nel caso delle visite odontoiatriche la percentuale sale al 23% - denuncia il segretario nazionale Codacons, Francesco Tanasi - In Sicilia la situazione è addirittura peggiore. Chi non può permettersi un medico privato, si rivolge alla sanità pubblica, settore dove però le liste d'attesa sono spesso lunghissime, al punto da spingere un numero crescente di utenti a rinunciare alle cure».
“È un caso rarissimo – spiega una dentista – ma certo non si può escludere che possa accadere”, scrive “Canicattiweb”. Soprattutto quando si trascura la cura dei denti. Ed è questo un fenomeno in crescita. Il Codacons si è schierato subito al fianco dei familiari e dei cittadini indigenti. “Il caso della 18enne morta a Palermo a causa di un ascesso non curato per mancanza di soldi, è uno degli effetti della crisi economica che ha colpito la Sicilia in modo più drammatico rispetto al resto d’Italia”. “L’11% degli italiani rinuncia alle cure mediche perché non ha le possibilità economiche per curarsi, e nel caso delle le visite odontoiatriche la percentuale sale al 23% – denuncia il segretario nazionale Codacons, Francesco Tanasi – Ed in Sicilia la situazione è addirittura peggiore. Chi non può permettersi cure private, si rivolge alla sanità pubblica, settore dove però le liste d’attesa sono spesso lunghissime, al punto da spingere un numero crescente di utenti a rinunciare alle cure. Tale stato di cose genera emergenze e situazioni estreme come la morte della ragazza di Palermo. E’ intollerabile che nel 2014 in Italia si possa morire per mancanza di soldi – prosegue Tanasi – Il settore della sanità pubblica deve essere potenziato per garantire a tutti le prestazioni mediche, mentre negli ultimi anni abbiamo assistito a tagli lineari nella sanità che hanno prodotto solo un peggioramento del servizio e un allungamento delle liste d’attesa”.
Bene, cari dentisti, gli avvocati adottano il gratuito patrocinio, ma non mi sembra che voi adottiate il “Pro Bono Publico” nei confronti degli indigenti. Pro bono publico (spesso abbreviata in pro bono) è una frase derivata dal latino che significa "per il bene di tutti". Questa locuzione è spesso usata per descrivere un fardello professionale di cui ci si fa carico volontariamente e senza la retribuzione di alcuna somma, come un servizio pubblico. È comune nella professione legale, in cui - a differenza del concetto di volontariato - rappresenta la concessione gratuita di servizi o di specifiche competenze professionali al servizio di coloro che non sono in grado di affrontarne il costo. Dr Antonio Giangrande
Antonio Giangrande: la Magistratura? Ordine al servizio dello Stato, non Potere dello Stato.
La separazione tra i poteri dello Stato (esecutivo, legislativo, giudiziario)? Solo nella Francia di Montesquieu (esecutivo, legislativo, giudiziario) e nella mente dei comunisti, da usare come clava contro I Governi avversi.
Cosa dice la Costituzione.
Art. 1. L'Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione.
Cos'è la sovranità popolare e come si esercita?
Al Popolo è riservata l'effettiva capacità, votando, di decidere in prima persona o tramite rappresentanti eletti sulle questioni politiche di fondo: secondo la formula (sviluppata dal francese Burdeau) della democrazia governante, è il popolo stesso ad assumersi così la responsabilità del proprio destino.
Che cosa vuol dire che la sovranità appartiene al popolo?
Con esso, conformemente all'etimologia del termine democrazia (dal greco antico δῆμος, dêmos, "popolo" e -κρατία, -kratía, "potere"), si intende che la sovranità, cioè il potere di comandare e di compiere le scelte politiche che riguardano la comunità, appartiene al popolo.
Come i cittadini esercitano la sovranità?
Non ci sono alternative; infatti la sovranità si esercita attraverso la delega (Parlamento e di conseguenza Governo), oppure attraverso lo strumento diretto del referendum o con una serie di strumenti giuridici (es. l'iniziativa di legge) che sfociano pur sempre nella delega, perché se una legge non viene discussa da un Parlamento, non entra in vigore.
Art. 104. La magistratura costituisce un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere.
In ambito concettuale-letterale prevale il termine Ordine o Potere?
E’ chiaro il senso letterale dell’articolo. Si stabilisce che la Magistratura è un Ordine, autonomo ed indipendente dagli altri Poteri, ma non elevato al pari di essi.
Antonio Giangrande: Come la legislazione si conforma alla volontà ed agli interessi dei magistrati.
Un’inchiesta svolta in virtù del diritto di critica storica e tratta dai saggi di Antonio Giangrande “Impunitopoli. Legulei ed impunità” e “Tutto su Messina. Quello che non si osa dire”.
Marito giudice e moglie avvocato nello stesso tribunale: consentito o no? Si chiede Massimiliano Annetta il 25 gennaio 2017 su “Il Dubbio”. Ha destato notevole scalpore la strana vicenda che si sta consumando tra Firenze e Genova e che vede protagonisti due medici, marito e moglie in via di separazione, e un sostituto procuratore della Repubblica, il tutto sullo sfondo di un procedimento penale per il reato di maltrattamenti in famiglia. Secondo il medico, il pm che per due volte aveva chiesto per lui l’archiviazione, ma poi, improvvisamente, aveva cambiato idea e chiesto addirittura gli arresti domiciliari – sia l’amante della moglie. Il tutto sarebbe corredato da filmati degni di una spy story.
Ebbene, devo confessare che questa vicenda non mi interessa troppo. Innanzitutto per una ragione etica, ché io sono garantista con tutti; i processi sui giornali non mi piacciono e, fatto salvo il sacrosanto diritto del pubblico ministero di difendersi, saranno i magistrati genovesi (competenti a giudicare i loro colleghi toscani) e il Csm a valutare i fatti. Ma pure per una ragione estetica, ché l’intera vicenda mi ricorda certe commediacce sexy degli anni settanta e, a differenza di Quentin Tarantino, non sono un cultore di quel genere cinematografico.
Ben più interessante, e foriero di sorprese, trovo, di contro, l’intero tema della incompatibilità di sede dei magistrati per i loro rapporti di parentela o affinità. La prima particolarità sta nel fatto che l’intera materia è regolata dall’articolo 18 dell’ordinamento giudiziario, che la prevede solo per i rapporti con esercenti la professione forense, insomma gli avvocati. Ne discende che, per chi non veste la toga, di incompatibilità non ne sono previste, e quindi può capitare, anzi capita, ad esempio, che il pm d’assalto e il cronista sempre ben informato sulle sue inchieste intrattengano rapporti di cordialità non solo professionale. Ma tant’è.
Senonché, pure per i rapporti fra avvocati e magistrati la normativa è quantomeno lacunosa, poiché l’articolo 18 del regio decreto 30.1.1941 n. 12, che regola la materia, nella sua formulazione originale prevedeva l’incompatibilità di sede solo per “i magistrati giudicanti e requirenti delle corti di appello e dei tribunali […] nei quali i loro parenti fino al secondo grado o gli affini in primo grado sono iscritti negli albi professionali di avvocato o di procuratore”. Insomma, in origine, e per decenni, si riteneva ben più condizionante un nipote di una moglie, e del resto non c’è da sorprendersi, la norma ha settantasei anni e li dimostra tutti; infatti, all’epoca dell’emanazione della disciplina dell’ordinamento giudiziario le donne non erano ammesse al concorso in magistratura ed era molto limitato pure l’esercizio da parte loro della professione forense.
Vabbe’, vien da dire, ci avrà pensato il Csm a valorizzare la positiva evoluzione del ruolo della donna nella società, ed in particolare, per quanto interessa, nel campo della magistratura e in quello dell’avvocatura. E qui cominciano le soprese, perché il Cxm con la circolare 6750 del 1985 che pur disciplinava ex novo la materia di cui all’articolo 18 dell’ordinamento giudiziario, ribadiva che dovesse essere “escluso che il rapporto di coniugio possa dar luogo a un’incompatibilità ai sensi dell’art. 18, atteso che la disciplina di tale rapporto non può ricavarsi analogicamente da quella degli affini”. Insomma, per l’organo di governo autonomo (e non di autogoverno come si suol dire, il che fa tutta la differenza del mondo) della magistratura, un cognato è un problema, una moglie no, nonostante nel 1985 di donne magistrato e avvocato fortunatamente ce ne fossero eccome. Ma si sa, la cosiddetta giurisprudenza creativa, magari in malam partem, va bene per i reati degli altri, molto meno per le incompatibilità proprie.
Della questione però si avvede il legislatore, che, finalmente dopo ben sessantacinque anni, con il decreto legislativo 109 del 2006, si accorge che la situazione non è più quella del ‘41 e prevede tra le cause di incompatibilità pure il coniuge e il convivente che esercitano la professione di avvocato. Insomma, ora il divieto c’è, anzi no. Perché a leggere la circolare del Csm 12940 del 2007, successivamente modificata nel 2009, si prende atto della modifica normativa, ma ci si guarda bene dal definire quello previsto dal novellato articolo 18 come un divieto tout court, bensì lo si interpreta come una incompatibilità da accertare in concreto, caso per caso, e solo laddove sussista una lesione all’immagine di corretto e imparziale esercizio della funzione giurisdizionale da parte del magistrato e, in generale, dell’ufficio di appartenenza. In definitiva la norma c’è, ma la si sottopone, immancabilmente, al giudizio dei propri pari. E se, ché i costumi sociali nel frattempo si sono evoluti, non c’è “coniugio o convivenza”, ma ben nota frequentazione sentimentale? Silenzio di tomba: come detto, l’addictio in malam partem la si riserva agli altri. Del resto, che il Csm sia particolarmente indulgente con i magistrati lo ha ricordato qualche giorno fa pure il primo presidente della Corte di Cassazione Giovanni Canzio che, dinanzi al Plenum di Palazzo dei Marescialli, ha voluto evidenziare come “il 99% dei magistrati” abbia “una valutazione positiva (in riferimento al sistema di valutazione delle toghe, ndr). Questa percentuale non ha riscontro in nessuna organizzazione istituzionale complessa”.
Insomma, può capitare, e capita, ad esempio, che l’imputato si ritrovi, a patrocinare la parte civile nel suo processo, il fidanzato o la fidanzata del pm requirente.
E ancora, sempre ad esempio, può capitare, e capita, che l’imputato che debba affrontare un processo si imbatta nella bacheca malandrina di un qualche social network che gli fa apprendere che il magistrato requirente che ne chiede la condanna o quello giudicante che lo giudicherà intrattengano amichevoli frequentazioni con l’avvocato Tizio o con l’avvocata Caia. Innovative forme di pubblicità verrebbe da dire.
Quel che è certo, a giudicare dalle rivendicazioni del sindacato dei magistrati, è che le sempre evocate “autonomia e indipendenza” vengono, evidentemente, messe in pericolo dal tetto dell’età pensionabile fissato a settant’anni anziché a settantacinque, ma non da una disciplina, che dovrebbe essere tesa preservare l’immagine di corretto ed imparziale esercizio della funzione giurisdizionale, che fa acqua da tutte le parti.
Al fin della licenza, resto persuaso che quel tale che diceva che i magistrati sono “geneticamente modificati” dicesse una inesattezza. No, non sono geneticamente modificati, semmai sono “corporativamente modificati”, secondo l’acuta definizione del mio amico Valerio Spigarelli. E questo è un peccato perché in magistratura c’è un sacco di gente che non solo è stimabile, ma è anche piena di senso civico, di coraggio e di serietà e che è la prima ad essere lesa da certe vicende più o meno boccaccesche. Ma c’è una seconda parte lesa, alla quale noi avvocati – ma, a ben vedere, noi cittadini – teniamo ancora di più, che è la credibilità della giurisdizione, che deve essere limpida, altrimenti sovviene la sgradevole sensazione di nuotare in uno stagno.
Saltando di palo in frasca, come si suo dire, mi imbatto in questa notizia.
Evidentemente quello che vale per gli avvocati non vale per gli stessi magistrati.
Uccise il figlio, condanna ridotta a 18 anni di reclusione per un 66enne barcellonese, scrive il 22 febbraio 2017 “24live.it”. Condanna ridotta a 18 anni per il 66enne muratore barcellonese Cosimo Crisafulli che nel maggio del 2015 uccise con un colpo di fucile il figlio Roberto, al termine di una lite verificatisi nella loro abitazione di via Statale Oreto. Nel giugno 2016 per l’uomo, nel giudizio del rito abbreviato davanti al Gup del tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto, Salvatore Pugliese, era arrivata la condanna a 30 anni di reclusione. La Corte d’Assise d’Appello di Messina, che si è pronunciata ieri, presieduta dal giudice Maria Pina Lazzara, ha invece ridotto di 12 anni la condanna, sebbene il sostituto procuratore generale, Salvatore Scaramuzza, avesse richiesto la conferma della condanna emessa in primo grado. Decisiva per il 66enne la concessione delle attenuanti generiche ritenute equivalenti alle aggravanti, richieste già in primo grado dall’avvocato Fabio Catania, legale del 66enne Cosimo Crisafulli.
Cosa c’è di strano direte voi.
E già. Se prima si è parlato di incompatibilità tra magistrati e parenti avvocati, cosa si potrebbe dire di fronte ad un paradosso?
Leggo dal post pubblicato il 2 febbraio 2018 sul profilo facebook di Filippo Pansera, gestore di Messina Magazine, Tele time, Tv Spazio e Magazine Sicilia. “Nel 2016, la dottoressa Maria Pina Lazzara presidente della Corte d'Assise d'Appello di Messina, nonchè al vertice della locale Sezione di secondo grado minorile emetteva questa Sentenza riformando il giudizio di primo grado statuito dal Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto. L'accusa era rappresentata in seconde cure, dall'ex sostituto procuratore generale Salvatore Scaramuzza (oggi in pensione). La dottoressa Lazzara ed il dottor Scaramuzza... sono marito e moglie dunque per la presidente della Corte vi era una incompatibilità ex articolo 19 dell'Ordinamento Giudiziario. Invece come al solito, estese ugualmente il provvedimento giudiziario... che è dunque da intendersi nullo. Inoltre, malgrado il dottor Salvatore Scaramuzza sia andato in pensione, la dottoressa Lazzara è comunque incompatibile anche al giorno d'oggi nel 2018. Salvatore Scaramuzza e Maria Pina Lazzara infatti, hanno una figlia... Viviana... anch'essa magistrato che opera presso Barcellona Pozzo di Gotto in tabella 4 dal 2017. Sempre ex articolo 19 dell'Ordinamento Giudiziario, madre e figlia non possono esercitare nello stesso Distretto Giudiziario... come invece succede ora ed in costanza di violazione di Legge. A Voi..., il giudizio.”
Si rettifica un errore di persona. Maria Pina Lazzara non è moglie del dr Scaramuzza e Viviana Scaramuzza non è sua figlia. Nel saggio si è riportato un post di un direttore di un portale d’informazione. Un giornalista a cui spetta la verifica delle fonti.
Sarebbe interessante, però, sapere di quanti paradossi sono costellata i distretti giudiziari italiani.
Art. 19 dell’Ordinamento Giudiziario. (Incompatibilità di sede per rapporti di parentela o affinità con magistrati o ufficiali o agenti di polizia giudiziaria della stessa sede).
I magistrati che hanno tra loro vincoli di parentela o di affinità sino al secondo grado, di coniugio o di convivenza, non possono far parte della stessa Corte o dello stesso Tribunale o dello stesso ufficio giudiziario.
La ricorrenza in concreto dell'incompatibilità di sede è verificata sulla base dei criteri di cui all'articolo 18, secondo comma, per quanto compatibili.
I magistrati che hanno tra loro vincoli di parentela o di affinità sino al terzo grado, di coniugio o di convivenza, non possono mai fare parte dello stesso Tribunale o della stessa Corte organizzati in un'unica sezione ovvero di un Tribunale o di una Corte organizzati in un'unica sezione e delle rispettive Procure della Repubblica, salvo che uno dei due magistrati operi esclusivamente in sezione distaccata e l'altro in sede centrale.
I magistrati che hanno tra loro vincoli di parentela o di affinità fino al quarto grado incluso, ovvero di coniugio o di convivenza, non possono mai far parte dello stesso collegio giudicante nelle corti e nei tribunali.
I magistrati preposti alla direzione di uffici giudicanti o requirenti della stessa sede sono sempre in situazione di incompatibilità, salvo valutazione caso per caso per i Tribunali o le Corti organizzati con una pluralità di sezioni per ciascun settore di attività civile e penale. Sussiste, altresì, situazione di incompatibilità, da valutare sulla base dei criteri di cui all'articolo 18, secondo comma, in quanto compatibili, se il magistrato dirigente dell'ufficio è in rapporto di parentela o affinità entro il terzo grado, o di coniugio o convivenza, con magistrato addetto al medesimo ufficio, tra il presidente del Tribunale del capoluogo di distretto ed i giudici addetti al locale Tribunale per i minorenni, tra il Presidente della Corte di appello o il Procuratore generale presso la Corte medesima ed un magistrato addetto, rispettivamente, ad un Tribunale o ad una Procura della Repubblica del distretto, ivi compresa la Procura presso il Tribunale per i minorenni.
I magistrati non possono appartenere ad uno stesso ufficio giudiziario ove i loro parenti fino al secondo grado, o gli affini in primo grado, svolgono attività di ufficiale o agente di polizia giudiziaria. La ricorrenza in concreto dell'incompatibilità è verificata sulla base dei criteri di cui all'articolo 18, secondo comma, per quanto compatibili.
Si sa che chi comanda detta legge e non vale la forza della legge, ma la legge del più forte.
I magistrati son marziani. A chi può venire in mente che al loro tavolo, a cena, lor signori, genitori e figli, disquisiscano dei fatti di causa approntati nel distretto giudiziario comune, o addirittura a decidere su requisitorie o giudizi appellati parentali?
A me non interessa solo l'aspetto dell'incompatibilità. A me interessa la propensione del DNA, di alcune persone rispetto ad altre, a giudicare o ad accusare, avendo scritto io anche: Concorsopoli.
«Ciao Melitta, hai saputo? Mio marito è stato nominato all'unanimità presidente della Corte d'Appello di Messina. Sono molto contenta, dillo anche a Franco (Tomasello, rettore dell'Università) e ricordagli del concorso di mio figlio. Ciao, ciao». Chi parla al telefono è la moglie del presidente della Corte d'appello di Messina, Nicolò Fazio, chi risponde è Melitta Grasso, moglie del rettore e dirigente dell'Università, il cui telefono è intercettato dalla Guardia di Finanza perché coinvolta in una storia di tangenti per appalti di milioni di euro per la vigilanza del Policlinico messinese. Ma non è la sola intercettazione. Ce ne sono tante altre, anche di magistrati messinesi, come quella del procuratore aggiunto Giuseppe Siciliano che raccomanda il proprio figlio. Inutile dire che tutti e due i figli, quello del presidente della Corte d'appello e quello del procuratore aggiunto, hanno vinto i concorsi banditi dall'ateneo. Posti unici, blindati, senza altri concorrenti. Francesco Siciliano è diventato così ricercatore in diritto amministrativo insieme a Vittoria Berlingò (i posti erano due e due i concorrenti), figlia del preside della facoltà di Giurisprudenza, mentre Francesco Siciliano è diventato ricercatore di diritto privato. Senza nessun problema perché non c'erano altri candidati, anche perché molti aspiranti, come ha accertato l'indagine, vengono minacciati perché non si presentino. Le intercettazioni sono adesso al vaglio della procura di Reggio Calabria che, per competenza, ha avviato un'inchiesta sulle raccomandazioni dei due magistrati messinesi, che si sarebbero dati da fare con il rettore Franco Tomasello per fare vincere i concorsi ai propri figli. Altri guai dunque per l'ateneo che, come ha raccontato «Repubblica» nei giorni scorsi, è stato investito da una bufera giudiziaria che ha travolto proprio il rettore, Franco Tomasello, che è stato rinviato a giudizio e sarà processato il 5 marzo prossimo insieme ad altri 23 tra docenti, ricercatori e funzionari a vario titolo imputati di concussione, abuso d' ufficio in concorso, falso, tentata truffa, maltrattamenti e peculato. In ballo, alcuni concorsi truccati e le pressioni fatte ad alcuni candidati a non presentarsi alle prove di associato. E in una altra indagine parallela è coinvolta anche la moglie del rettore, Melitta Grasso, dirigente universitaria, accusata di aver favorito, in cambio di «mazzette», una società che si era aggiudicata l'appalto, per quasi due milioni di euro, della vigilanza Policlinico di Messina. Un appalto che adesso costa appena 300 mila euro. L'inchiesta sull'ateneo messinese dunque è tutt'altro che conclusa ed ogni giorno che passa si scoprono altri imbrogli. Agli atti dell'inchiesta, avviata dopo la denuncia di un docente che non accettò di far svolgere concorsi truccati, ci sono molte intercettazioni della moglie del rettore. Convinta di non essere ascoltata, durante una perquisizione della Guardia di Finanza Melitta Grasso dice ad un suo collaboratore («Alberto») di fare sparire dall'ufficio documenti compromettenti. In una interrogazione del Pd al Senato, si chiede al ministro della Pubblica istruzione Mariastella Gelmini «se intende costituirsi parte civile a tutela dell'immagine degli atenei e inoltre se intenda sospendere cautelativamente il rettore di Messina». (Repubblica — 20 novembre 2008 pagina 20, sezione: cronaca).
Eppure è risaputo come si svolgono i concorsi in magistratura.
Roma, bigliettini negli slip al concorso magistrati. Bufera sulle perquisizioni intime. Nel mirino della polizia oltre 40 persone sospettate di aver occultato le tracce: cinque candidate espulse, scrive Roberto Damiani il 2 febbraio 2018 su “Quotidiano.net. Il concorso in magistratura iniziato il 20 gennaio a Roma per 320 posti (sono state presentate 13.968 domande) rischia di diventare una questione da intimissimi. Nel senso di slip. Perché attraverso le mutandine sono state espulse diverse candidate. Stando a ciò che trapela, i commissari d’esame hanno mandato a casa cinque candidate e c’era incertezza su una sesta. Tutte hanno avuto una perquisizione totale, cioè la polizia penitenziaria femminile ha fatto spogliare completamente le candidate perché sospettate di nascondere qualcosa. E su circa 40 controlli corporali totali, cinque o forse sei ragazze avevano foglietti con dei temi (non gli stessi poi usciti per la prova) negli slip. E per queste candidate, non c’è stata giustificazione che potesse tenere: sono state espulse immediatamente. La polemica delle perquisizioni fino a doversi abbassare le mutande è divampata per un post della candidata Cristiana Sani che denunciava l’offesa di doversi denudare: «Ero in fila per il bagno delle donne – ha scritto su Facebook la candidata – arrivano due poliziotte, le quali si avvicinano alla nostra fila e iniziano a perquisire una ad una le ragazze in fila. Me compresa. Io lì per lì non ho capito quello che stesse succedendo, non me lo aspettavo, visto che durante le due giornate precedenti non avevo avuto esperienze simili». «Capisco – continua Cristiana – che c’è un problema nel momento in cui una ragazza esce dal bagno piangendo. Tocca a me e loro mi dicono di mettermi nell’angolo (non del bagno, ma del corridoio, con loro due davanti che mi fanno da paravento) per la perquisizione. Non mi mettono le mani addosso, sono sincera. Mi fanno tirare su maglia e canotta, davanti e dietro. Mi fanno slacciare il reggiseno. Poi giù i pantaloni. Ma la cosa scioccante è stata quando mi hanno chiesto di tirare giù le mutande. Io mi stavo vergognando come la peggiore delle criminali e le ho tirate giù di mezzo millimetro. A quel punto mi hanno detto: ‘Dottoressa, avanti! Si cali le mutande. Ancora più giù, faccia quasi per togliersele e si giri. Cos’è? Ha il ciclo, che non se le vuole tirare giù?!’. Mi sono rifiutata, rivestita e tornata al mio posto ma ero allibita. Questa si chiama violenza». Nel forum del concorso, i candidati si scambiano opinioni, tutte abbastanza negative sull’esperienza in atto e contestano le perquisizioni ritenendole illegali. Ma nessuno sembra aver letto il regio decreto del 15/10/1925, n. 1860, all’art. 7 che regola i concorsi pubblici e tuttora in vigore: «... i concorrenti devono essere collocati ciascuno a un tavolo separato (...) È vietato ai concorrenti di portare seco appunti manoscritti o libri. Essi possono essere sottoposti a perquisizione personale prima del loro ingresso nella sala degli esami e durante gli esami». Sembra che le perquisizioni siano scattate solo nei confronti di chi frequentava troppo il bagno. Eppure quegli aspiranti magistrati espulsi avrebbero dovuto conoscere la regola d’oro: l’«assassino» torna sempre due volte sul luogo del delitto.
Ma non è lercio solo quel che appare. E’ da scuola l’esempio della correzione dei compiti in magistratura, così come dimostrato, primo tra tutti gli altri, dall’avv. Pierpaolo Berardi, candidato bocciato. Elaborati non visionati, ma dichiarati corretti. L’avvocato astigiano Pierpaolo Berardi, classe 1964, per anni ha battagliato per far annullare il concorso per magistrati svolto nel maggio 1992. Secondo Berardi, infatti, in base ai verbali dei commissari, più di metà dei compiti vennero corretti in 3 minuti di media (comprendendo “apertura della busta, verbalizzazione e richiesta chiarimenti”) e quindi non “furono mai esaminati”. I giudici del tar gli hanno dato ragione nel 1996 e nel 2000 e il Csm, nel 2008, è stato costretto ad ammettere: “Ci fu una vera e propria mancanza di valutazione da parte della commissione”. Giudizio che vale anche per gli altri esaminati. In quell’esame divenne uditore giudiziario, tra gli altri, proprio Luigi de Magistris, giovane Pubblico Ministero che si occupò inutilmente del concorso farsa di abilitazione forense a Catanzaro: tutti i compiti identici e tutti abilitati. Al Tg1 Rai delle 20.00 del 1 agosto 2010 il conduttore apre un servizio: esame di accesso in Magistratura, dichiarati idonei temi pieni zeppi di errori di ortografia. La denuncia è stata fatta da 60 candidati bocciati al concorso 2008, che hanno spulciato i compiti degli idonei e hanno presentato ricorso al TAR per manifesta parzialità dei commissari con abuso del pubblico ufficio. Risultato: un buco nell'acqua. Questi magistrati, nel frattempo diventati dei, esercitano. Esperienza diretta dell'avvocato Giovanni Di Nardo che ha scoperto temi pieni di errori di ortografia giudicati idonei alle prove scritte del concorso in magistratura indetto nel 2013 le cui prove si sono tenute nel Giugno del 2014. Se trovate che sia vergognoso condividete il più possibile, non c'è altro da fare. Concorsi Pubblici ed abilitazioni Truccati. Chi è senza peccato scagli la prima pietra.
Ma come ci si può difendere da decisioni scellerate?
Le storture del sistema dovrebbero essere sanate dallo stesso sistema. Ma quando “Il Berlusconi” di turno si sente perseguitato dal maniaco giudiziario, non vi sono rimedi. Non è prevista la ricusazione del Pubblico Ministero che palesa il suo pregiudizio. Vi si permette la ricusazione del giudice per inimicizia solo se questi ha denunciato l’imputato e non viceversa. E’ consentita la ricusazione dei giudici solo per giudizi espliciti preventivi, come se non vi potessero essere intendimenti impliciti di colleganza con il PM. La rimessione per legittimo sospetto, poi, è un istituto mai applicato. Ci si tenta con la ricusazione, (escluso per il pm e solo se il giudice ti ha denunciato e non viceversa), o con la rimessione per legittimo sospetto che il giudice sia inadeguato, ma in questo caso la norma è stata sempre disapplicata dalle toghe della Cassazione.
A Taranto per due magistrati su tre, dunque, Sebai non è credibile. Il tunisino è stato etichettato dalla pubblica accusa come un «mitomane» che vuole scagionare detenuti che ha conosciuto in carcere. Solo l’omicidio Lapiscopia, per il quale è stata chiesta la condanna, era ancora insoluto, quindi senza alcun condannato a scontare la pena. Il gup Valeria Ingenito nel corso dell’udienza ha respinto la richiesta di sospensione del processo e l’eccezione di legittimità costituzionale dell’art. 52 del Codice di procedura penale nella parte in cui prevede la facoltà e non obbligo di astensione del pubblico ministero. L'eccezione era stata sollevata dal legale di Sebai, Luciano Faraon. Secondo il difensore, i pm Montanaro e Petrocelli, che hanno chiesto l’assoluzione del tunisino per tre dei quattro omicidi confessati dall’imputato, "avrebbero dovuto astenersi per gravi ragioni di convenienza per evidenti situazioni di incompatibilità, esistente un grave conflitto d’interesse, visto che hanno sostenuto l’accusa di persone, ottenendone poi la condanna, che alla luce delle confessioni di Sebai risultano invece essere innocenti e quindi forieri di responsabilità per errore giudiziario". Non solo i pm erano incompatibili, ma incompatibile era anche il foro del giudizio, in quanto da quei procedimenti addivenivano responsabilità delle parti giudiziarie, che per competenza erano di fatto delegate al foro di Potenza. Nessuno ha presentato la ricusazione per tutti i magistrati, sia requirenti, sia giudicanti.
Comunque il presidente del Tribunale di Taranto Antonio Morelli, come è normale per quel Foro, ha respinto l'astensione dei giudici Cesarina Trunfio e Fulvia Misserini, rispettivamente presidente e giudice a latere della Corte d'Assise chiamata a giudicare gli imputati al processo per l'omicidio di Sarah Scazzi. I due magistrati si erano astenuti, rimettendo la decisione nelle mani del presidente del Tribunale dopo la diffusione di un video in cui erano “intercettate” mentre si interrogavano sulle strategie difensive che di lì a poco gli avvocati avrebbero adottato al processo. Secondo il presidente del Tribunale però dai dialoghi captati non si evince alcun pregiudizio da parte dei magistrati, non c'è espressione di opinione che incrini la capacità e serenità del giudizio e quindi non sussistono le condizioni che obbligano i due giudici togati ad astenersi dal trattare il processo. Il presidente del Tribunale di Taranto ha respinto l’astensione dei giudici dopo che era stata sollecitata dalle difese per un video fuori onda con frasi imbarazzanti dei giudici sulle strategie difensive delle imputate. E adesso si va avanti con il processo. Tocca all’arringa di Franco Coppi. Posti in piedi in aula. Tutti gli avvocati del circondario si sono dati appuntamento per sentire il principe del Foro. Coppi inizia spiegando il perché della loro richiesta di astensione: «L’avvocato De Jaco ed io abbiamo sollecitato l’astensione in relazione alle frasi note.
29 agosto 2011. La rimessione del processo per incompatibilità ambientale. «Le lettere scritte da Michele Misseri le abbiamo prodotte perchè‚ sono inquietanti non tanto per il fatto che lui continua ad accusarsi di essere lui l'assassino, ma proprio perchè mettono in luce questo clima avvelenato, in cui i protagonisti di questa inchiesta possono essere condizionati». Lo ha sottolineato alla stampa ed alle TV l’avv. Franco Coppi, legale di Sabrina Misseri riferendosi alle otto lettere scritte dal contadino di Avetrana e indirizzate in carcere alla moglie Cosima Serrano e alla figlia Sabrina, con le quali si scusa sostenendo di averle accusate ingiustamente. «Michele Misseri – aggiunge l’avv. Coppi – afferma che ci sono persone che lo incitano a sostenere la tesi della colpevolezza della figlia e della moglie quando lui afferma di essere l’unico colpevole e avanza accuse anche molto inquietanti. Si tratta di lettere scritte fino a 7-8 giorni fa». «Che garanzie abbiamo – ha fatto presente il difensore di Sabrina Misseri – che quando dovrà fare le sue dichiarazioni avrà tenuta nervosa e morale sufficiente per affrontare un dibattimento?». «La sera c'è qualcuno che si diverte a sputare addosso ad alcuni colleghi impegnati in questo processo. I familiari di questi avvocati non possono girare liberamente perchè c'è gente che li va ad accusare di avere dei genitori o dei mariti che hanno assunto la difesa di mostri, quali sarebbero ad esempio Sabrina e Cosima. Questo è il clima in cui siamo costretti a lavorare ed è il motivo per cui abbiamo chiesto un intervento della Corte di Cassazione». «E' bene – ha aggiunto l'avvocato Coppi – allontanarci materialmente da questi luoghi. Abbiamo avuto la fortuna di avere un giudice scrupoloso che ha valutato gli atti e ha emesso una ordinanza a nostro avviso impeccabile. La sede alternativa dovrebbe essere Potenza. Non è che il processo si vince o si perde oggi, ma questo è un passaggio che la difesa riteneva opportuno fare e saremmo stati dei cattivi difensori se per un motivo o per l'altro e per un malinteso senso di paura non avessimo adottato questa iniziativa». A volte però non c'è molto spazio per l'interpretazione. Il sostituto procuratore generale Gabriele Mazzotta è chiarissimo: «Una serie di indicatori consentono di individuare un'emotività ambientale tale da contribuire all'alterazione delle attività di acquisizione della prova». Mazzotta parla davanti alla prima sezione penale della Cassazione dove si sta discutendo la richiesta di rimessione del processo per l'omicidio di Sarah Scazzi: i difensori di Sabrina Misseri, Franco Coppi e Nicola Marseglia, chiedono di spostare tutto a Potenza perché il clima che si respira sull'asse Avetrana-Taranto «pregiudica la libera determinazione delle persone che partecipano al processo». Ed a sorpresa il sostituto pg che rappresenta la pubblica accusa sostiene le ragioni della difesa e chiede lui stesso che il caso venga trasferito a Potenza per legittima suspicione. A Taranto, in sostanza, non c'è la tranquillità necessaria per giudicare le indagate.
12 ottobre 2011. Il rigetto dell’istanza di rimessione. La prima sezione penale della Cassazione ha infatti respinto la richiesta di rimessione del processo per incompatibilità ambientale, con conseguente trasferimento di sede a Potenza, avanzata il 29 agosto 2011 dai difensori di Sabrina Misseri, gli avvocati Franco Coppi e Nicola Marseglia.
Eppure la stessa Corte ha reso illegittime tutte le ordinanze cautelari in carcere emesse dal Tribunale di Taranto.
Per quanto riguarda la Rimessione, la Cassazione penale, sez. I, 10 marzo 1997, n. 1952 (in Cass. pen., 1998, p. 2421), caso Pomicino: "l'istituto della rimessione del processo, come disciplinato dall'art. 45 c.p.p., può trovare applicazione soltanto quando si sia effettivamente determinata in un certo luogo una situazione obiettiva di tale rilevanza da coinvolgere l'ordine processuale - inteso come complesso di persone e mezzi apprestato dallo Stato per l'esercizio della giurisdizione -, sicché tale situazione, non potendo essere eliminata con il ricorso agli altri strumenti previsti dalla legge per i casi di alterazione del corso normale del processo - quali l'astensione o la ricusazione del giudice -, richiede necessariamente il trasferimento del processo ad altra sede giudiziaria … Consegue che non hanno rilevanza ai fini dell'applicazione dell'istituto vicende riguardanti singoli magistrati che hanno svolto funzioni giurisdizionali nel procedimento, non coinvolgenti l'organo giudiziario nel suo complesso".
Per quanto riguarda la Ricusazione: «Evidenziato che non può costituire motivo di ricusazione per incompatibilità la previa presentazione, da parte del ricusante, di una denuncia penale o la instaurazione di una causa civile nei confronti del giudice, in quanto entrambe le iniziative sono “fatto” riferibile solo alla parte e non al magistrato e non può ammettersi che sia rimessa alla iniziativa della parte la scelta di chi lo deve giudicare. (Cass. pen. Sez. V 10/01/2007, n. 8429).
In questo modo la pronuncia della Corte di Cassazione discrimina l’iniziativa della parte, degradandola rispetto alla presa di posizione del magistrato: la denuncia del cittadino non vale per la ricusazione, nonostante possa conseguire calunnia; la denuncia del magistrato vale astensione. Per la Cassazione per avere la ricusazione del singolo magistrato non astenuto si ha bisogno della denuncia del medesimo magistrato e non della parte. Analogicamente, la Cassazione afferma in modo implicito che per ottenere la rimessione dei processi per legittimo sospetto è indispensabile che ci sia una denuncia presentata da tutti i magistrati del Foro contro una sola parte. In questo caso, però, non si parlerebbe più di rimessione, ma di ricusazione generale. Seguendo questa logica nessuna istanza di rimessione sarà mai accolta.
Qui non si vuole criminalizzare una intera categoria. Basta, però, indicare a qualcuno che si ostina a difendere l’indifendibile che qualcosa bisogna fare. Anzi, prima di tutto, bisogna dire, specialmente sulla Rimessione dei processi.
Questa norma a vantaggio del cittadino è da sempre assolutamente disapplicata e non solo per Silvio Berlusconi. Prendiamo per esempio la norma sulla rimessione del processo prevista dall’art. 45 del codice di procedura penale. L'articolo 45 c.p.p. prevede che "in ogni stato e grado del processo di merito, quando gravi situazioni locali, tali da turbare lo svolgimento del processo e non altrimenti eliminabili, pregiudicano la libera determinazione delle persone che partecipano al processo ovvero la sicurezza o l'incolumità pubblica, o determinano motivi di legittimo sospetto, la Corte di Cassazione, su richiesta motivata del procuratore generale presso la Corte di appello o del pubblico ministero presso il giudice che procede o dell'imputato, rimette il processo ad altro giudice, designato a norma dell'articolo 11".
Tale istituto si pone a garanzia del corretto svolgimento del processo, dell'imparzialità del giudice e della libera attività difensiva delle parti. Si differenzia dalla ricusazione disciplinata dall'art. 37 c.p.p. in quanto derogando al principio costituzionale del giudice naturale (quello del locus commissi delicti) e quindi assumendo il connotato dell'eccezionalità, necessita per poter essere eccepito o rilevato di gravi situazioni esterne al processo nelle sole ipotesi in cui queste non siano altrimenti eliminabili. Inoltre mentre per la domanda di ricusazione è competente il giudice superiore, per decidere sull'ammissibilità della rimessione lo è solo la Corte di Cassazione.
«L’ipotesi della rimessione, il trasferimento, cioè, del processo ad altra sede giudiziaria, deroga, infatti, alle regole ordinarie di competenza e allo stesso principio del giudice naturale (art. 25 della Costituzione) - spiega Edmondo Bruti Liberati, già Presidente dell’Associazione nazionale magistrati. - E pertanto già la Corte di Cassazione ha costantemente affermato che si tratta di un istituto che trova applicazione in casi del tutto eccezionali e che le norme sulla rimessione devono essere interpretate restrittivamente. La lettura delle riviste giuridiche, dei saggi in materia e dei codici commentati ci presenta una serie lunghissima di casi, in cui si fa riferimento alle più disparate situazioni di fatto per concludere che la ipotesi di rimessione è stata esclusa dalla Corte di cassazione. Pochissimi sono dunque fino al 1989 stati i casi di accoglimento: l’ordine di grandezza è di una dozzina in tutto. Il dato che si può fornire con precisione – ed è estremamente significativo – riguarda il periodo dopo il 1989, con il nuovo Codice di procedura penale: le istanze di rimessione accolte sono state due.»
I magistrati criticano chiunque tranne se stessi, scrive Pietro Senaldi su Libero Quotidiano il 28 gennaio 2018. I procuratori generali hanno inaugurato l'anno giudiziario con discorsi pieni di banalità e senza fare nessun mea culpa. "Abbiamo una giustizia che neppure in Burkina Faso". "La Banca Mondiale mette l'Italia alla casella numero 108 nella classifica sull'efficienza dei tribunali in rapporto ai bisogni dell'economia". "Se per far fallire un'azienda che non paga ci vogliono sette anni, è naturale che gli stranieri siano restii a investire nel nostro Paese". "Ultimamente abbiamo ridotto i tempi ma non si può dire che tre anni di media per arrivare a una sentenza in un processo civile sia un periodo congruo". "È imbarazzante che restino impuniti per il loro male operato e non subiscano rallentamenti di carriera magistrati che hanno messo sotto processo innocenti, costringendoli a rinunciare a incarichi importanti e danneggiando le aziende pubbliche che questi dirigevano, con grave nocumento per l'economia nazionale". "Non se ne può più di assistere allo spettacolo di pubblici ministeri che aprono inchieste a carico di politici sul nulla, rovinandone la carriera, e poi magari si candidano sfruttando la notorietà che l'indagine ha procurato loro". "La giustizia viene ancora strumentalizzata a fini politici". "In Italia esistono due pesi e due misure a seconda di chi è indagato o processato". "L'economia italiana è frenata da un numero spropositato di ricorsi accolti senza ragione". "Le vittime delle truffe bancarie non hanno avuto giustizia e i responsabili dei crack non sono stati adeguatamente perseguiti". "A questo giro elettorale qualcosa non torna, se Berlusconi non è candidabile in virtù di una legge entrata in vigore dopo il reato per cui è stato condannato".
Una pioggia di denunce contro i magistrati Ma sono sempre assolti. Più di mille esposti l'anno dai cittadini. E le toghe si auto-graziano: archiviati 9 casi su 10, scrive Lodovica Bulian, Lunedì 29/01/2018, su "Il Giornale". Tra i motivi ci sono la lunghezza dei processi, i ritardi nel deposito dei provvedimenti, ma anche «errori» nelle sentenze. In generale, però, è il rapporto di fiducia tra i cittadini e chi è chiamato a decidere delle loro vite a essersi «deteriorato». Uno strappo che è all'origine, secondo il procuratore generale della Corte di Cassazione, Riccardo Fuzio, «dell'aumento degli esposti» contro i magistrati soprattutto da parte dei privati. Il fenomeno è la spia di «una reattività che rischia di minare alla base la legittimazione della giurisdizione», spiega il Pg nella sua relazione sul 2017 che apre il nuovo anno giudiziario con un grido d'allarme: «Una giustizia che non ha credibilità non è in grado di assicurare la democrazia». Nell'ultimo anno sono pervenute alla Procura generale, che è titolare dell'azione disciplinare, 1.340 esposti contenenti possibili irregolarità nell'attività delle toghe, tra pm e giudicanti. Numeri in linea con l'anno precedente (1.363) e con l'ultimo quinquennio (la media è di 1.335 all'anno). A fronte della mole di segnalazioni, però, per la categoria che si autogoverna, che si auto esamina, che auto punisce e che, molto più spesso, si auto assolve, scatta quasi sempre l'archiviazione per il magistrato accusato: nel 2017 è successo per l'89,7% dei procedimenti definiti dalla Procura generale, era il 92% nel 2016. Di fatto solo il 7,3% si è concluso con la promozione di azioni disciplinari poi portate avanti dal Consiglio superiore della magistratura. Solo in due casi su mille e duecento archiviati, il ministero della Giustizia ha richiesto di esaminare gli atti per ulteriori verifiche. Insomma, nessun colpevole. Anzi, la colpa semmai, secondo Fuzio, è della politica, delle campagne denigratorie, dell'eccessivo carico di lavoro cui sono esposti i magistrati: «Questo incremento notevole di esposti di privati cittadini evidenzia una sfiducia che in parte, può essere la conseguenza dei difficili rapporti tra politica e giustizia, in parte, può essere l'effetto delle soventi delegittimazioni provenienti da parti o imputati eccellenti. Ma - ammette - può essere anche il sintomo che a fronte di una quantità abnorme di processi non sempre vi è una risposta qualitativamente adeguata». Il risultato è che nel 2017 sono state esercitate in totale 149 azioni disciplinari (erano 156 nel 2016), di cui 58 per iniziativa del ministro della Giustizia (in diminuzione del 22,7%) e 91 del Procuratore generale (in aumento quindi del 13,8%). Tra i procedimenti disciplinari definiti, il 65% si è concluso con la richiesta di giudizio che, una volta finita sul tavolo del Csm, si è trasformata in assoluzione nel 28% dei casi e nel 68% è sfociata nella censura, una delle sanzioni più lievi. Questo non significa, mette in guardia il procuratore, che tutte le condotte che non vengono punite allora siano opportune o consone per un magistrato, dall'utilizzo allegro di Facebook alla violazione del riserbo. E forse il Csm, sottolinea Fuzio, dovrebbe essere messo a conoscenza anche dei procedimenti archiviati, e tenerne conto quando si occupa delle «valutazioni di professionalità» dei togati. Che, guarda caso, nel 2017 sono state positive nel 99,5% dei casi.
Giustizia carogna. Errori giudiziari e controversi indennizzi per l'ingiusta detenzione.
Raffaele Sollecito e Giuseppe Gulotta. Quando la giustizia è strabica, permalosa e vendicativa.
Di Antonio Giangrande Scrittore, sociologo storico, giurista, blogger, youtuber, presidente dell’Associazione Contro Tutte le Mafie. Antonio Giangrande ha scritto i libri che parlano della malagiustizia e della ingiustizia, in generale, e del delitto di Perugia, in particolare.
Giustizia carogna, scrive Fabrizio Boschi il 31 gennaio 2017 su "Il Giornale”. Nel febbraio 2012 ci provò un deputato di Forza Italia, Daniele Galli: presentò una proposta di legge per obbligare lo Stato a rifondere le spese legali del cittadino che viene imputato in un processo penale e ne esce assolto con formula piena. Non venne mai nemmeno discussa. Eppure affrontava una delle peggiori ingiustizie italiane.
Raffaele Sollecito, in seguito alla sua definitiva assoluzione, ha deciso di chiedere solo l’indennizzo per ingiusta detenzione, scartando l’idea di chiedere anche il risarcimento danni per responsabilità civile dei magistrati, consigliato dalla magnanimità ed accondiscendenza dei suoi legali verso i magistrati di Perugia.
"Nelle prossime settimane valuteremo eventuali istanze relative all'ingiusta detenzione". Lo ha detto uno dei legali di Raffaele Sollecito all’Agi il 30 marzo 2015, Giulia Bongiorno, spiegando che eventuali azioni di "risarcimento e responsabilità civile non saranno alimentati da sentimenti di vendetta che non sono presenti nell'animo di Sollecito". Quanto alla responsabilità civile dei magistrati inquirenti, "quello della responsabilità civile dei magistrati è un istituto serio che non va esercitato con spirito di vendetta – ha aggiunto il legale - e allo stato non ci sono iniziative di questo genere".
Ciononostante la bontà d’animo di Raffaele Sollecito viene presa a pesci in faccia.
Raffaele Sollecito non deve essere risarcito per i quasi quattro anni di ingiusta detenzione subiti dopo essere stato coinvolto nell’indagine l’omicidio di Meredith Kercher, delitto per il quale è stato definitivamente assolto insieme ad Amanda Knox. A stabilirlo è stata la Corte d’appello di Firenze l’11 febbraio 2017 che ha respinto la richiesta di indennizzo ritenendo che il giovane abbia «concorso a causarla» rendendo «in particolare nelle fasi iniziali delle indagini, dichiarazioni contraddittorie o addirittura francamente menzognere». Il giovane arrestato assieme ad Amanda Knox e poi assolto per l’omicidio a Perugia di Meredith Kercher, aveva chiesto 516mila euro di indennizzo per i 4 anni dietro le sbarre.
Alla richiesta di risarcimento si erano opposti la procura generale di Firenze e il ministero delle Finanze. Nella richiesta di risarcimento i legali di Sollecito avevano richiamato la motivazione della sentenza della Cassazione nelle pagine in cui venivano criticate le indagini secondo la Suprema Corte mal condotte dagli inquirenti e dalla procura di Perugia. In primo grado, nel 2009, Raffaele Sollecito e l’americana Amanda Knox erano stati condannati dalla Corte d’Assise di Perugia a 25 anni e 26 anni di carcere per omicidio. Nel 2011 vennero poi assolti e scarcerati dalla Corte d’Assise d’appello dal reato di omicidio (alla Knox fu confermata la condanna a tre anni per calunnia). Nel 2013 la Corte di Cassazione annullò poi l’assoluzione e rinviò gli atti alla Corte d’Assise d’Appello di Firenze che condannò (2014) Sollecito a 25 anni e Knox a 28 anni e 6 mesi. Infine, il 27 marzo 2015, il verdetto assolutorio della Cassazione.
Prima dei commenti ci sono i numeri. Sconcertanti, scrive Alessandro Fulloni il 31 12 2016 su "Il Corriere della Sera”. Il dato complessivo lascia senza parole. Il risarcimento complessivo versato alle vittime della «mala-giustizia» ammonta a 630 milioni di euro. Indennizzi previsti dall’istituto della riparazione per ingiusta detenzione, introdotto con il codice di procedura penale del 1988, ma i primi pagamenti – spiegano dal Ministero – sono avvenuti solo nel 1991 e contabilizzati l’anno successivo: in 24 anni, dunque, circa 24 mila persone sono state vittima di errore giudiziario o di ingiusta detenzione. L’errore giudiziario vero e proprio è il caso in cui un presunto colpevole, magari condannato in giudicato, viene finalmente scagionato dalle accuse perché viene identificato il vero autore del reato. Situazioni che sono circa il 10 per cento del totale. Il resto è alla voce di chi in carcere non dovrebbe starci: custodie cautelari oltre i termini, per accuse che magari decadono davanti al Gip o al Riesame. In questo caso sono previsti indennizzi, richiesti «automaticamente» - usiamo questo termine perché la prassi è divenuta inevitabile - dagli avvocati che si accorgono dell’ingiusta detenzione. Il Guardasigilli ha fissato una tabella, per questi risarcimenti: 270 euro per ogni giorno ingiustamente trascorso in gattabuia e 135 ai domiciliari. Indennizzi comunque in calo: se nel 2015 lo Stato ha versato 37 milioni di euro, nel 2011 sono stati 47. Mentre nel 2004 furono 56. Ridimensionamento - in linea con una sorta di «spendig review» - che viene dall’orientamento della Cassazione che applica in maniera restrittiva un codicillo per cui se l’imputato ha in qualche modo concorso all’esito della sentenza a lui sfavorevole - poniamo facendo scena muta all’interrogatorio - non viene rimborsato. In termini assoluti e relativi, gli errori giudiziari si concentrano soprattutto a Napoli: 144 casi nel 2015 con 3,7 milioni di euro di indennizzi. A Roma 106 casi (2 milioni). Bari: 105 casi (3,4 milioni). Palermo: 80 casi (2,4 milioni). La situazione pare migliorare al Nord: per Torino e Milano rispettivamente 26 e 52 casi per 500 mila e 995 mila euro di indennizzi. Alla detenzione si accompagna il processo, che può durare anni. Quando l’errore subito viene accertato, la vita ormai è cambiata per sempre. C’è chi riesce a rialzarsi, magari realizzando un obiettivo rimasto per tanto tempo inespresso. E chi resta imbrigliato nell’abbandono dei familiari, nella perdita del lavoro, nella necessità di tirare a campare con la pensione.
Carceri "Negli ultimi 50 anni incarcerati 4 milioni di innocenti". Decine di innocenti rinchiusi per anni. Errori giudiziari che segnano le vite di migliaia di persone e costano caro allo Stato. Eccone un breve resoconto pubblicato da Ristretti Orizzonti, che ha reso nota una ricerca dell'Eurispes e dell'Unione delle Camere penali, scrive Romina Rosolia il 29 settembre 2015 su "La Repubblica". False rivelazioni, indagini sbagliate, scambi di persona. E' così che decine di innocenti, dopo essere stati condannati al carcere, diventano vittime di ingiusta detenzione. Errori giudiziari che non solo segnano pesantemente e profondamente le loro vite, trascorse - ingiustamente - dietro le sbarre, ma che costano caro allo Stato. Eccone un breve resoconto pubblicato da Ristretti Orizzonti, che ha reso nota una ricerca dell'Eurispes e dell'Unione delle Camere penali italiane. Quanto spende l'Italia per gli errori dei giudici? La legge prevede che vengano risarciti anche tutti quei cittadini che sono stati ingiustamente detenuti, anche solo nella fase di custodia cautelare, e poi assolti magari con formula piena. Solo nel 2014 sono state accolte 995 domande di risarcimento per 35,2 milioni di euro, con un incremento del 41,3% dei pagamenti rispetto al 2013. Dal 1991 al 2012, lo Stato ha dovuto spendere 580 milioni di euro per 23.226 cittadini ingiustamente detenuti negli ultimi 15 anni. In pole position nel 2014, tra le città con un maggior numero di risarcimenti, c'è Catanzaro (146 casi), seguita da Napoli (143 casi). Errori in buona fede che però non diminuiscono. Eurispes e Unione delle Camere penali italiane, analizzando sentenze e scarcerazioni degli ultimi 50 anni, hanno rilevato che sarebbero 4 milioni gli italiani dichiarati colpevoli, arrestati e rilasciati dopo tempi più o meno lunghi, perché innocenti. Errori non in malafede nella stragrande maggioranza dei casi, che però non accennano a diminuire, anzi sono in costante aumento. Sui casi di mala giustizia c'è un osservatorio on line, che dà conto degli errori giudiziari. Mentre sulla pagina del Ministero dell'Economia e delle Finanze si trovano tutte le procedure per la chiesta di indennizzo da ingiusta detenzione. Gli errori più eclatanti. Il caso Tortora è l'emblema degli errori giudiziari italiani. Fino ai condannati per la strage di via D'Amelio: sette uomini ritenuti tra gli autori dell'attentato che costò la vita al giudice Paolo Borsellino e alle cinque persone della scorta il 19 luglio 1992. Queste stesse persone sono state liberate dopo periodi di carcerazione durati tra i 15 e i 18 anni, trascorsi in regime di 41 bis. Il 13 febbraio scorso, la Corte d'appello di Reggio Calabria ha riconosciuto un altro grave sbaglio: è innocente anche Giuseppe Gulotta, che ha trascorso 21 anni, 2 mesi e 15 giorni in carcere per l'omicidio di due carabinieri nella caserma di Alcamo Marina (Trapani), nel 1976. Trent'anni dopo, un ex brigadiere che aveva assistito alle torture cui Gulotta era stato sottoposto per indurlo a confessare, ha raccontato com'era andata davvero. Altri casi paradossali. Nel 2005, Maria Columbu, 40 anni, sarda, invalida, madre di quattro bambini, venne condannata con l'accusa di eversione per dei messaggi goliardici diffusi in rete, nei quali insegnava anche a costruire "un'atomica fatta in casa". Nel 2010 fu assolta con formula piena. Per l'ultimo giudice, quelle istruzioni terroristiche erano "risibili" e "ridicole". Tra gli ultimi casi, la carcerazione e la successiva liberazione, nel caso Yara Gambirasio, del cittadino marocchino Mohamed Fikri, accusato e subito scagionato per l'omicidio della ragazza. Sono fin troppo frequenti i casi in cui si accusa un innocente? Perché la verità viene fuori così tardi? Perché non viene creduto chi è innocente? A volte si ritiene valida - con ostinazione - un'unica pista, oppure la verità viene messa troppe volte in dubbio. Forse, ampliare lo spettro d'indagine potrebbe rilevare e far emergere molto altro.
Ma veniamo al caso "Sollecito".
I rischi della difesa, scrive Ugo Ruffolo il 12 febbraio 2017 su"Quotidiano.net". La decisione sembra salomonica: Sollecito, assolto per il rotto della cuffia, viene liberato ma non risarcito per la ingiusta pregressa detenzione. Quattro anni, per i quali chiede 500.000 euro. Sollecito dovrebbe ringraziare il cielo di essere libero e non forzare la mano, per non fare impazzire i colpevolisti. Ma Salomone non abita nei codici. I quali sarebbero un sistema binario. O tutto, o niente. Se sei assolto, non importa come, la ingiusta detenzione ti deve essere risarcita. C’è però l’articolo 314 del c.p.c., il quale prevede una sorta di concorso di colpa del danneggiato, che neutralizzerebbe la sua pretesa al risarcimento. Come dire: se sei assolto, ma per difenderti hai mentito o ti sei contraddetto, allora sei tu ad aver depistato polizia e giudici, o ad aver complicato il loro lavoro. Se ti hanno prima condannato e poi assolto, e dunque se hai fatto quattro anni di carcere ingiustamente, la colpa è anche tua; e questo ti impedirebbe di chiedere il risarcimento (come dire: un po’ te la sei voluta). Sembrerebbe giusto, almeno in linea di principio. Ma sorge il problema che, assolto in penale l’imputato, in sede civile viene processata la sua linea difensiva, ai fini di accordargli o meno risarcimento da ingiusta detenzione. In altri termini ciascuno è libero di difendersi come crede, anche depistando o mentendo (potrebbe essere talora funzionale alla difesa nel caso concreto). Ma chi sceglie questa linea si espone al rischio di vedersi poi rifiutato il risarcimento. È quanto obbietta a Sollecito l’ordinanza della Corte d’Appello, ricostruendo quella storia processuale come costellata di depistaggi, imprecisioni, contraddizioni e menzogne. Che talora Sollecito aveva ammesso, giustificandosi con l’essere stato, al tempo, “confuso”. I suoi avvocati annunciano ricorso in Cassazione, per contestare come erronea quella ricostruzione processuale. Dovrebbero avere, credo, scarsa possibilità di vittoria. Salomone, così, rientrerebbe dalla finestra ed i colpevolisti eviterebbero di impazzire. Ma quel che turba, è un processo che si riavvolta su se stesso, cannibalizzandosi: processo del processo del processo (e anche, processo nel processo nel processo). Come riflesso fra due specchi all’infinito.
Sollecito, no ai risarcimenti. Non è abbastanza innocente. La Corte d'appello di Firenze nega 500mila euro per 4 anni di cella: «Troppi silenzi e menzogne», scrive Annalisa Chirico, Domenica 12/02/2017, su "Il Giornale". Per la giustizia italiana puoi essere innocente e, a un tempo, colpevole. La Corte d'appello di Firenze ha rigettato la richiesta di risarcimento per ingiusta detenzione avanzata da Raffaele Sollecito. Il dispositivo, pubblicato dal sito web finoaprovacontraria.it, s'inserisce nel solco della cosiddetta giurisprudenza sul concorso di colpa. In sostanza, il cittadino che, ancorché assolto, abbia contribuito con dolo o colpa grave a indurre in errore inquirenti e magistrati, vede ridimensionato il proprio diritto a ottenere un risarcimento per la detenzione ingiustamente inflitta. Nel caso di Sollecito, quattro anni di carcere e un'assoluzione definitiva, questo diritto si annulla, si polverizza, nessun risarcimento, non un euro, niente. Per i giudici della terza sezione penale, «le dichiarazioni contraddittorie o false e i successivi mancati chiarimenti» da parte del giovane laureatosi ingegnere dietro le sbarre avrebbero contribuito all'applicazione e al mantenimento della misura cautelare. Ma quali sarebbero le dichiarazioni «menzognere»? «Io non mi sono mai sottratto agli interrogatori - commenta al Giornale il protagonista, suo malgrado, dell'ennesimo colpo di scena in un'odissea giudiziaria durata quasi dieci anni Ho letto la decisione, sono sbigottito. Avverto l'eco della sentenza di condanna, forse sono affezionati agli errori giudiziari». Sollecito è scosso, non se l'aspettava. «Credevo di aver vissuto le pagine più nere della giustizia italiana. Devo prendere atto che la mia durissima detenzione sarebbe giustificata». Nelle ore successive al ritrovamento del cadavere di Meredith Kercher, la studentessa inglese barbaramente uccisa nell'appartamento di via della Pergola nel 2007, Sollecito risponde alle domande di chi indaga, cerca di ricostruire nel dettaglio gli spostamenti suoi e di Amanda, la ragazza americana che frequenta da una settimana, prova a fissare gli orari di ingresso e uscita dal suo appartamento perugino, se Amanda si sia mai assentata nel corso della notte, se il padre gli abbia telefonato dalla Puglia verso l'ora di cena o prima di andare a dormire, Raffaele non si sottrae ma fatica a ricordare con esattezza, si contraddice, giustifica l'imprecisione ammettendo di aver fumato qualche canna come fanno gli universitari di mezzo mondo, nel corso dell'interrogatorio di garanzia dinanzi al gip dichiara: «Ho detto delle cazzate perché io ero agitato, ero spaventato e avevo paura. Posso dire che io non ricordo esattamente quando Amanda è uscita, se è uscita non ricordo». Ma c'è di più. Nell'ordinanza di 12 pagine, si legge che il silenzio mantenuto dall'indagato dopo l'interrogatorio di garanzia Sollecito fu tenuto per sei mesi in isolamento avrebbe contribuito a indurre in errore i giudici. In altre parole, l'esercizio di un diritto costituzionalmente garantito, frutto di una valutazione della difesa in via prudenziale, diventa indizio di un'innocenza a metà: Sollecito è ancora sotto processo. Per spazzare via ogni dubbio, si afferma che la stessa sentenza di assoluzione emessa dalla Cassazione avrebbe rinvenuto «un elemento di forte sospetto a carico del Sollecito» a causa delle dichiarazioni contraddittorie. Non vi è traccia invece delle censure espresse dai supremi giudici sull'operato dei pm: «clamorose défaillance o amnesie investigative e colpevoli omissioni di attività di indagine», scrivono gli ermellini. Per l'omicidio della Kercher un cittadino ivoriano sconta una condanna definitiva a sedici anni di carcere. Ormai la cultura del sospetto ha inghiottito quella del diritto, è la stessa che fa dire candidamente al presidente dell'Anm Davigo che pure gli innocenti sono colpevoli.
Innocenti di serie B, scrive Claudio Romiti il 14 febbraio 2017 su “L’Opinione. Destando un certo scalpore, soprattutto tra quei cittadini avvertiti che credono in una visione garantista della giustizia, la Corte d’Appello di Firenze ha negato qualunque risarcimento a Raffaele Sollecito per l’ingiusta detenzione. Quattro interminabili anni passati dietro le sbarre che, per una persona vittima di una ricostruzione dei fatti a dir poco surreale, devono essere sembrati un inferno. Così come un inferno, che in alcuni aspetti continua a sussistere per il giovane ingegnere informatico pugliese, è stato il lunghissimo iter processuale, fortemente inquinato da un forte pregiudizio mediatico che ancora oggi fa sentire i suoi effetti presso una parte dell’opinione pubblica disposta a bersi qualunque pozione colpevolista. In estrema sintesi i giudici di Firenze hanno stabilito, bontà loro, che il comportamento iniziale del Sollecito, considerato eccessivamente ambiguo e, in alcuni casi, menzognero, avrebbe indotto gli inquirenti perugini in errore, convincendo questi ultimi - aggiungo io - a mettere in piedi un castello di accuse fondato sul nulla, visto che nella stanza del delitto non furono ritrovate tracce dei due fidanzatini dell’epoca, contrariamente alle decine e decine di evidenze schiaccianti a carico di Rudy Guede. Quest’ultimo, considerato ancora oggi da molti analfabeti funzionali di questo disgraziato Paese solo un capro espiatorio dell’atroce delitto di Perugia, vittima dei soliti poteri forti capitanati dalla Cia, fino a coinvolgere la longa manus di Donald Trump, il quale in passato si era interessato del caso.
Sta di fatto che Raffaele Sollecito, pur essendo scampato ad uno dei più clamorosi errori giudiziari della storia italiana, viene considerato oggi, negandogli alcun risarcimento, un innocente dimezzato. Un mezzo colpevole che avrebbe cagionato le sue disgrazie per non aver fornito in modo chiaro le ragioni della sua innocenza. Tant’è che persino il silenzio mantenuto dall’imputato dopo l’interrogatorio di garanzia, come sottolinea Annalisa Chirico sul “Il Giornale”, avrebbe indotto i giudici nell’errore. “In altre parole - commenta la stessa Chirico - l’esercizio di un diritto costituzionalmente garantito, frutto di una valutazione della difesa in via prudenziale, diventa indizio di una innocenza a metà”. E se la decisione di avvalersi della facoltà di non rispondere alle domande degli inquirenti viene valutata in questo modo, ciò significa che nelle nostre aule giudiziarie ancora aleggia quell’idea molto medievale dell’inversione della prova. In un evoluto sistema giudiziario, al contrario, spetta sempre all’accusa dimostrare al di là di ogni ragionevole dubbio la colpevolezza di qualunque imputato. E se questo non accade, proprio perché siamo tutti innocenti fino a prova contraria, le conseguenze fisiche, morali e finanziarie di una accusa caduta nel nulla non possono ricadere sulla testa di chi l’ha pesantemente subìta. Da questo punto di vista, dopo l’annuncio del ricorso in Cassazione presentato dall’avvocato di Sollecito, Giulia Bongiorno, dobbiamo sempre sperare, al pari del mugnaio di Potsdam, che ci sia sempre un giudice a Berlino.
Ma quale è il comportamento contestato a Raffaele Sollecito?
Si legge il 11 Febbraio 2017 su “Il Tempo”. "Credevo di aver vissuto le pagine più nere della Giustizia Italiana, ma nonostante la Cassazione mi ha dichiarato innocente, devo prendere atto che la mia durissima detenzione sarebbe giustificata. Ripeto, la Cassazione aveva sottolineato l'esistenza di gravissime omissioni in questo processo e di defaillance investigative". Così Sollecito - assolto dall'accusa di aver partecipato all'omicidio di Meredith Kercher - commenta sul suo profilo Facebook. "Riprendono in toto la sentenza di condanna di Firenze, piena di errori fattuali ingiustificabili - scrive ancora Sollecito - Adesso questi giudici non tengono minimamente conto di sentenze in cui è acclarato il clima di violenza durante gli interrogatori. Non mi sono mai sottratto ad un interrogatorio e dire che non mi hanno ascoltato è soltanto una scusa, visto che ho fatto mille dichiarazioni spontanee". Per l'avvocato di Sollecito, Giulia Bongiorno, la decisione della Corte d'appello di Firenze «si caratterizza per una serie consistente di errori. Basterebbe pensare che esclude il diritto al risarcimento sulla base delle dichiarazioni che avrebbe reso Sollecito e dimentica che esistono delle sentenze in cui è stato attestato che addirittura, nell'ambito della questura, furono fatte pressioni e violenze alla Knox e Sollecito proprio nel momento in cui rendevano queste dichiarazioni». «Non c'è un solo cenno sulla situazione in questura - aggiunge il legale - Inoltre, l'ordinanza dimentica che le dichiarazioni non possono in nessun modo aver inciso sull'ingiusta detenzione perché non sono state citate come decisive nei provvedimenti restrittivi in cui si faceva invece riferimento ad altri elementi. Infine, in sede di dibattimentale, Sollecito non ha reso alcun esame quindi non si vede come le sue dichiarazioni possano aver causato il diniego di libertà in quella fase. È una sentenza - conclude il legale - che verrà immediatamente impugnata in Cassazione».
Insomma, la Corte di Appello di Firenze, volutamente e corporativamente non ha tenuto conto del clima di violenza e coercizione psicologica che sollecito ha subito nelle fasi in cui gli si contesta un atteggiamento omissivo e non collaborativo.
In ogni modo. Se a Firenze a Sollecito si contesta un comportamento in cui abbia «concorso a causarla» (l'illegittima detenzione), rendendo «in particolare nelle fasi iniziali delle indagini, dichiarazioni contraddittorie o addirittura francamente menzognere», come se non fosse nel suo sacrosanto diritto di difesa farlo, ancor più motivato, plausibile e condivisibile sarebbe stato il diniego alla richiesta dell'indennizzo di fronte ad una vera e propria confessione.
Invece si dimostra che in Italia chi esercita impropriamente un potere, pur essendo solo un Ordine Giudiziario, ha sempre l'ultima parola per rivalersi da fallimenti pregressi.
Giuseppe Gulotta, risarcito con 6,5 milioni di euro dopo 22 anni in carcere da innocente. Il muratore di Certaldo (Firenze) è stato condannato nel 1976 per duplice omicidio e assolto nel 2012. La Corte d'appello di Reggio Calabria ha riconosciuto l'indennizzo. L'avvocato aveva chiesto 56 milioni di euro, scrive "Il Fatto Quotidiano" il 14 aprile 2016. Sei milioni e mezzo di euro di risarcimento per aver trascorso 22 anni in carcere da innocente. La corte d’appello di Reggio Calabria ha stabilito l’indennizzo per Giuseppe Gulotta, il muratore di Certaldo (Firenze) accusato di aver ucciso due carabinieri e poi assolto nel 2012. La richiesta di Gulotta, attraverso il legale Pardo Cellini, ammontava a 56 milioni di euro. “Stiamo valutando un ricorso in Cassazione”, ha spiegato l’avvocato. “Se da un lato siamo soddisfatti perché con la decisione dei giudici di Reggio Calabria finisce questo lungo percorso, dall’altro non ci soddisfa che sia stato riconosciuto un indennizzo e non un risarcimento”. “Per trentasei anni sono stato un assassino”, aveva raccontato in un libro del 2013 lo stesso Gulotta, “dopo che mi hanno costretto a firmare una confessione con le botte, puntandomi una pistola in faccia, torturandomi per una notte intera. Mi sono autoaccusato: era l’unico modo per farli smettere”. Nel 1976, a 18 anni, Gulotta fu condannato per il duplice omicidio di Carmine Apuzzo e Salvatore Falcetta, avvenuto nella caserma Alkmar di Alcamo Marina, in provincia di Trapani.
In carcere in Toscana da innocente, crea una fondazione per le vittime degli errori giudiziari. Giuseppe Gulotta fu condannato per l'omicidio di due carabinieri. Dopo 40 anni ha ricevuto i 6,5 milioni di indennizzo dallo Stato, scrive Franca Selvatici il 17 gennaio 2017 su "La Repubblica". È arrivato finalmente l'indennizzo dello Stato per Giuseppe Gulotta e per la sua vita devastata da un tragico errore giudiziario. In tutto 6 milioni e mezzo di euro, che dopo anni di carcere, di disperazione e di difficoltà economiche permetteranno all'ex ergastolano, accusato ingiustamente dell'atroce esecuzione di due giovani carabinieri, Carmine Apuzzo e Salvatore Falcetta, trucidati il 26 gennaio 1976 nella piccola caserma di Alcamo Marina, di assicurare un po' di agiatezza alla moglie Michela e ai figli e di aiutare chi, come lui, è finito in carcere innocente. Giuseppe Gulotta, nato il 7 agosto 1957, aveva poco più di 18 anni quando finì nel "tritacarne di Stato". Chiamato in causa con altri da un giovane che, dopo essere stato trovato in possesso di armi, fu torturato, costretto a ingoiare acqua, sale e olio di ricino e a subire scosse elettriche ai testicoli, anche lui fu incatenato, circondato da "un branco di lupi", picchiato, insultato, umiliato e torturato, finché - come ha raccontato nel libro Alkamar scritto con Nicola Biondo e pubblicato da Chiarelette - "sporco di sangue, lacrime, bava e pipì" - non ha firmato una confessione che, seppure ritrattata il giorno successivo, gli ha distrutto la vita. Il 13 febbraio 1976 fu arrestato e dopo ben nove processi il 19 settembre 1990 fu condannato definitivamente all'ergastolo. Scarcerato nel 1978 per decorrenza dei termini della custodia cautelare, era stato allontanato dalla Sicilia. I genitori lo mandarono in Toscana, a Certaldo, e qui - fra un processo e l'altro - Giuseppe ha conosciuto Michela, sua moglie, che gli ha dato la forza di resistere nei 15 anni trascorsi in carcere. Nel 2005 ha ottenuto la semilibertà. Sarebbe comunque rimasto un "mostro" assassino se nel 2007 un ex carabiniere non avesse deciso di raccontare le torture a cui aveva assistito. Da allora Giuseppe - assistito dagli avvocati Baldassarre Lauria e Pardo Cellini - ha intrapreso l'impervio percorso della revisione del processo. Il 13 febbraio 2016 - esattamente 40 anni dopo il suo arresto - è stato riconosciuto innocente e assolto con formula piena dalla corte di appello di Reggio Calabria. Quattro anni più tardi, il 12 aprile 2016, dopo altre estenuanti battaglie gli è stato definitivamente riconosciuto l'indennizzo di 6 milioni e mezzo a titolo di riparazione dell'errore giudiziario. Anche gli altri tre giovani condannati come lui sono usciti assolti dal processo di revisione, incluso Giovanni Mandalà, morto in carcere disperato nel 1998. Per i suoi familiari lo Stato si appresta a versare un indennizzo record, il più alto mai riconosciuto in Italia: 6 milioni e 600 mila euro.
Ecco come la giustizia in Italia sia strabica. A Firenze il silenzio vale il diniego all’indennizzo; a Reggio Calabria una confessione di colpevolezza vale una elargizione del medesimo.
Antonio Giangrande: Cane non mangia cane. E questo a Taranto, come in tutta Italia, non si deve sapere.
Questo il commento del dr Antonio Giangrande. Scrittore, sociologo storico, giurista, blogger, youtuber, presidente dell’Associazione Contro Tutte le Mafie ONLUS che ha scritto un libro “Tutto su Taranto. Quello che non si osa dire”.
Un’inchiesta di cui nessuno quasi parla. Si scontrano due correnti di pensiero. Chi è amico dei magistrati, dai quali riceve la notizia segretata e la pubblica. Chi è amico degli avvocati che tace della notizia già pubblicata. "Siediti lungo la riva del fiume e aspetta, prima o poi vedrai passare il cadavere del tuo nemico", proverbio cinese. Qualcuno a me disse, avendo indagato sulle loro malefatte: “poi vediamo se diventi avvocato”...e così fu. Mai lo divenni e non per colpa mia.
Dei magistrati già sappiamo. C’è l’informazione, ma manca la sanzione. Non una condanna penale o civile. Questo è già chiedere troppo. Ma addirittura una sanzione disciplinare.
Canzio: caro Csm, quanto sei indulgente coi magistrati…, scrive Giovanni M. Jacobazzi il 19 gennaio 2017 su "Il Dubbio". Per il vertice della Suprema Corte questo appiattimento verso l’alto è l’esempio che qualcosa nel sistema di valutazione “non funziona”. La dichiarazione che non ti aspetti. Soprattutto per il prestigio dell’autore e del luogo in cui è stata pronunciata. «Il 99% dei magistrati italiani ha una valutazione positiva. Questa percentuale non ha riscontro in nessuna organizzazione istituzionale complessa». A dirlo è il primo presidente della Corte di Cassazione Giovanni Canzio che, intervenuto ieri mattina in Plenum a Palazzo dei Marescialli, ha voluto evidenziare questa “anomalia” che contraddistingue le toghe rispetto alle altre categorie professionali dello Stato. La valutazione di professionalità di un magistrato che era stato in precedenza oggetto di un procedimento disciplinare ha offerto lo spunto per approfondire il tema, particolarmente scottante, delle “note caratteristiche” delle toghe. «È un dato clamoroso – ha aggiunto il presidente Canzio che i magistrati abbiano tutti un giudizio positivo». Questo appiattimento verso l’alto è l’esempio che qualcosa nel sistema di valutazione “non funziona” e che necessita di essere “rivisto” quanto prima. Anche perché fornisce l’immagine di una categoria particolarmente indulgente con se stessa. In effetti, leggendo i pareri delle toghe che pervengono al Consiglio superiore della magistratura, ad esempio nel momento dell’avanzamento di carriera o quando si tratta di dover scegliere un presidente di tribunale o un procuratore, si scopre che quasi tutti, il 99% appunto, sono caratterizzati da giudizi estremamente lusinghieri. Ciò stride con le cronache che quotidianamente, invece, descrivono episodi di mala giustizia. In un sistema “sulla carta” composto da personale estremamente qualificato, imparziale e scrupoloso non dovrebbero, di norma, verificarsi errori giudiziari se non in numeri fisiologici. La realtà, come è noto, è ben diversa. Qualche mese fa, parlando proprio delle vittime di errori giudiziari e degli indennizzi che ogni anno vengono liquidati, l’allora vice ministro della Giustizia Enrico Costa, parlò di «numeri che non possono essere considerati fisiologici ma patologici». Ma il problema è anche un altro. Nel caso, appunto, della scelta di un direttivo, è estremamente arduo effettuare una valutazione fra magistrati che presentato le medesime, ampiamente positive, valutazioni di professionalità. Si finisce per lasciare inevitabilmente spazio alla discrezionalità. Sul punto anche il vice presidente del Csm Giovanni Legnini è d’accordo, in particolar modo quando un magistrato è stato oggetto di una condanna disciplinare. «Propongo al Comitato di presidenza di aprire una pratica per approfondire i rapporti fra la sanzione disciplinare e il conferimento dell’incarico direttivo o la conferma dell’incarico». Alcuni consiglieri hanno, però, sottolineato che l’1% di giudizi negativi sono comunque tanti. Si tratta di 90 magistrati su 9000, tante sono le toghe, che annualmente incappano in disavventure disciplinari. Considerato, poi, che l’attuale sistema disciplinare è in vigore da dieci anni, teoricamente sarebbero 900 le toghe ad oggi finite dietro la lavagna. Un numero, in proporzione elevato, ma che merita una riflessione attenta. Il Csm è severo con i giudici che depositano in ritardo una sentenza ma è di “manica larga” con il pm si dimentica un fascicolo nell’armadio facendolo prescrivere.
Solo un rimbrotto per il pm che "scorda" l'imputato in galera, scrive Rocco Vazzana il 30 novembre 2016 su "Il Dubbio". Il Csm ha condannato 121 magistrati in due anni. Ma si tratta di sanzioni molto leggere. Centoventuno condanne in più di due anni. È il numero di sanzioni che la Sezione Disciplinare del Csm ha irrogato nei confronti di altrettanti magistrati. Il dato è contenuto in un file che in queste ore gira tra gli iscritti alla mailing list di Area, la corrente che racchiude Md e Movimenti. Su 346 procedimenti definiti - dal 25 settembre 2014 al 30 novembre 2016 - 121 si sono risolti con una condanna (quasi sempre di lieve entità), 113 sono le assoluzioni, 15 le «sentenze di non doversi procedere» e 124 le «ordinanze di non luogo a procedere». L'illecito disciplinare riguarda «il magistrato che manchi ai suoi doveri, o tenga, in ufficio o fuori, una condotta tale che lo renda immeritevole della fiducia e della considerazione di cui deve godere, o che comprometta il prestigio dell'ordine giudiziario». Le eventuali condanne hanno una gradazione articolata in base alla gravità del fatto contestato. La più lieve è l'ammonimento, un semplice «richiamo all'osservanza dei doveri del magistrato», seguito dalla censura, una formale dichiarazione di biasimo. Poi le sanzioni si fanno più severe: «perdita dell'anzianità» professionale, che non può essere superiore ai due anni; «incapacità temporanea a esercitare un incarico direttivo o semidirettivo»; «sospensione dalle funzioni», che consiste nell'allontanamento con congelamento dello stipendio e con il collocamento fuori organico; fino arrivare alla «rimozione» dal servizio. C'è poi una sanzione accessoria che riguarda il trasferimento d'ufficio. Per questo, la sezione Disciplinare può essere considerata il cuore dell'autogoverno. Perché se il Csm può promuovere può anche bloccare una carriera: ai fini interni non serve ricorrere alle pene estreme, basta decidere un trasferimento. E a scorrere il file con le statistiche sui procedimenti disciplinari salta immediatamente all'occhio un dato: su 121 condanne, la maggior parte (90) comminano una sanzione non grave (la censura) e 11 casi si tratta di semplice ammonimento. Le toghe non si accaniscono sulle toghe. La perdita d'anzianità, infatti, è stata inflitta solo a dieci magistrati (due sono stati anche trasferiti d'ufficio), mentre sette sono stati rimossi. Uno solo è stato trasferito d'ufficio senza ulteriori sanzioni, un altro è stato sospeso dalle funzioni con blocco dello stipendio, un altro ancora è stato sospeso dalle funzioni e messo fuori organico. Ma il dato più interessante riguarda le tipologie di illecito contestate. La maggior parte dei magistrati viene sanzionato per uno dei problemi tipici della macchina giudiziaria: il ritardo nel deposito delle sentenze, quasi il 40 per cento dei "condannati" è accusato di negligenze reiterate, gravi e ingiustificate. Alcuni, però, non si limitano al ritardo: il 4 per cento degli illeciti, infatti, riguarda «provvedimenti privi di motivazione», come se si trattasse di un disinteresse totale nei confronti degli attori interessati. Il 23 per cento delle condanne, invece, riguarda una questione che tocca direttamente la vita dei cittadini: la ritardata scarcerazione. E in un Paese in cui si ricorre facilmente allo strumento delle misure cautelari, questo tipo di comportamento determina spesso anche il peggioramento delle condizioni detentive. Quasi il 10 per cento dei giudici e dei pm è stato sanzionato poi per «illeciti conseguenti a reato». Solo il 6,6 per cento delle condanne, infine, è motivato da «comportamenti scorretti nei confronti delle parti, difensori, magistrati, ecc.. ».
Truccati anche i loro concorsi. I magistrati si autoriformino, scrive Sergio Luciano su “Italia Oggi”. Numero 196 pag. 2 del 19/08/2016. Il Fatto Quotidiano ha coraggiosamente documentato, in un'ampia inchiesta ferragostana, le gravissime anomalie di alcuni concorsi pubblici, tra cui quello in magistratura. Fogli segnati con simboli concordati per rendere identificabile il lavoro dai correttori compiacenti pronti a inquinare il verdetto per assecondare le raccomandazioni: ecco il (frequente) peccato mortale. Ma, più in generale, nell'impostazione delle prove risalta in molti casi – non solo agli occhi degli esperti – la lacunosità dell'impostazione qualitativa, meramente nozionistica, che soprattutto in alcune professioni socialmente delicatissime come quella giudiziaria, può al massimo – quando va bene – accertare la preparazione dottrinale dei candidati ma neanche si propone di misurarne l'attitudine e l'approccio mentale a un lavoro di tanta responsabilità. Questo genere di evidenze dovrebbe far riflettere. E dovrebbe essere incrociato con l'altra, e ancor più grave, evidenza della sostanziale impunità che la casta giudiziaria si attribuisce attraverso l'autogoverno benevolo e autoassolutorio che pratica (si legga, al riguardo, il definitivo I magistrati, l'ultracasta, di Stefano Livadiotti).
Ora parliamo degli avvocati. C’è il caso per il quale l’informazione abbonda, ma manca la sanzione.
Un "fiore" da 20mila euro al giudice e il processo si aggiusta. La proposta shock di un curatore fallimentare a un imprenditore. Che succede nei tribunali di Taranto e Potenza? Scrivono di Giusi Cavallo e Michele Finizio, Venerdì 04/11/2016 su “Basilicata 24". L’audio che pubblichiamo, racconta in emblematica sintesi, le dinamiche, di quello che, da anni, sembrerebbe un “sistema” illegale di gestione delle procedure delle aste fallimentari. I fatti riguardano, in questo caso, il tribunale di Taranto. I protagonisti della conversazione nell’audio sono un imprenditore, Tonino Scarciglia, inciampato nei meccanismi del “sistema”, il suo avvocato e il curatore fallimentare nominato dal Giudice.
Aste e tangenti, studio legale De Laurentiis di Manduria nell’occhio del ciclone, scrive Nazareno Dinoi il 9 e 10 novembre 2016 su “La Voce di Manduria”. C’è il nome di un noto avvocato manduriano nell’inchiesta aperta dalla Procura della Repubblica di Taranto sulle aste giudiziarie truccate. Il professionista (che non risulta indagato), nominato dal tribunale come curatore fallimentare di un azienda in dissesto, avrebbe chiesto “un fiore” (una mazzetta) da ventimila euro ad un imprenditore di Oria interessato all’acquisto di un lotto che, secondo l’acquirente, sarebbero serviti al giudice titolare della pratica fallimentare. Questo imprenditore che è di Oria, rintracciato e intervistato ieri da Telenorba, ha registrato il dialogo avvenuto nello studio legale di Manduria in cui l’avvocato-curatore avrebbe avanzato la richiesta “del fiore” da 20mila euro. Tutto il materiale, compresi i servizi mandati in onda dal TgNorba, sono stati acquisiti ieri dalla Guardia di Finanza e dai carabinieri di Taranto.
I presunti brogli nella gestione dei fallimenti. «Infangata la giustizia per scopi elettorali». Il presidente dell’Ordine degli Avvocati, Vincenzo Di Maggio, attacca il M5S: preferisce il sensazionalismo all’impegno per risolvere i problemi, scrive il 15 novembre 2016 Enzo Ferrari Direttore Responsabile di "Taranto Buona Sera". «Ma quale difesa di casta, noi come avvocati abbiamo soltanto voluto dire che il Tribunale non è un luogo dove si ammazza la Giustizia». Vincenzo Di Maggio, presidente dell’Ordine degli Avvocati, torna sulla polemica che ha infiammato gli operatori della giustizia negli ultimi giorni: l’interpellanza di un nutrito gruppo di senatori Cinquestelle su presunte nebulosità nella gestione delle procedure fallimentari ed esecutive al Tribunale di Taranto.
«Fallimenti ed esecuzioni, le procedure sono corrette». Documento delle Camere delle Procedure Esecutive e delle Procedure Concorsuali, scrive "Taranto Buona Sera” il 10 novembre 2016. Prima l’interrogazione parlamentare del M5S su presunte anomalie nella gestione delle procedure fallimentari, a scapito di chi è incappato nelle procedure come debitore; poi il video della registrazione di un incontro che sarebbe avvenuto tra un imprenditore, il suo avvocato e un curatore fallimentare. Un video dagli aspetti controversi e dai contenuti comunque tutti da verificare. Un’accoppiata di situazioni che ha destato clamore e che oggi fa registrare la netta presa di posizione della Camera delle Procedure Esecutive Immobiliari e della Camera delle Procedure Concorsuali. In un documento congiunto, i rispettivi presidenti, gli avvocati Fedele Moretti e Cosimo Buonfrate, fanno chiarezza a tutela della onorabilità dei professionisti impegnati come curatori e custodi giudiziari ed esprimendo piena fiducia nell’operato dei magistrati.
Taranto, rimborsi non dovuti. Procura indaga sugli avvocati. Riflettori accesi su 93mila euro spesi tra il 2014 e il 2015 dopo un esposto del Consiglio, scrive Mimmo Mazza su “La Gazzetta del Mezzogiorno” dell’11 aprile 2016. Finiscono all’attenzione della Procura della Repubblica i conti dell’Ordine degli avvocati di Taranto. A rivolgersi alla magistratura è stato lo stesso Consiglio, presieduto da Vincenzo Di Maggio, dopo che sarebbero emerse irregolarità contabili riguardanti le anticipazioni e i rimborsi alle cariche istituzionali nell’anno 2014, l’ultimo da presidente per Angelo Esposito, ora membro dal Consiglio nazionale forense. Il fascicolo è stato assegnato al sostituto procuratore Maurizio Carbone, l’ipotesi di reato è quella di peculato essendo l’Ordine degli avvocati ente di diritto pubblico (altrimenti si procederebbe per appropriazione indebita, ma il pm non sarebbe Carbone in quanto quest’ultimo fa parte del pool reati contro la pubblica amministrazione). Di questo se ne è parlato agli inizi, perché l’esposto era dello stesso Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Taranto, ma poi nulla si è più saputo: caduto nell’oblio. Il silenzio sarà rotto, forse, dalla inevitabile prescrizione, che rinverdirà l’illibatezza dei presunti responsabili.
E poi c’è il caso, segnalato da un mio lettore, di una eccezionale sanzione emessa dalla magistratura tarantina e taciuta inopinatamente da tutta la stampa.
La notizia ha tutti i crismi della verità, della continenza e dell’interesse pubblico e pure non è stata data alla pubblica opinione.
Il caso di cui trattasi si riferisce ad un esposto di un cittadino, presentato al Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Taranto contro un avvocato di quel foro per infedele patrocinio, di cui già pende giudizio civile.
Ma facciamo parlare gli atti pubblicabili.
L’11 maggio 2012 viene presentato l’esposto, il 3 aprile 2013 con provvedimento di archiviazione, pratica 2292, si emette un documento in cui si dichiara che il Consiglio dell’Ordine degli avvocati di Taranto delibera la sua archiviazione in quanto “non risultano elementi a carico del professionista tali da configurare alcuna ipotesi di infrazione disciplinare”. L’atto è sottoscritto il 17 novembre 2014, nella sua copia conforme, dall’avv. Aldo Carlo Feola, Consigliere Segretario. Mansione che il Feola ricompre da decenni.
Fin qui ancora tutto legittimo e, forse, anche, opportuno.
E’ successo che, con procedimento penale 2154/2016 R.G.N.R. Mod. 21, il 3 ottobre 2016 (depositata il 6) il Sostituto Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Taranto, dr Maurizio Carbone, chiede il Rinvio a Giudizio dell’avv. Aldo Carlo Feola, difeso d’ufficio, “imputato del delitto di cui all’art. 476 c.p. (falsità materiale commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici), perché, in qualità di Consigliere con funzione di Segretario del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Taranto, rilasciava copia conforme all’originale della delibera datata 3 aprile 2013 del Consiglio, con la quale si disponeva di non dare luogo ad apertura di procedimento disciplinare nei confronti dell’avv. Addolorata Renna, con conseguente archiviazione dell’esposto presentato nei suoi confronti da Blasi Giuseppe. Provvedimento di archiviazione risultato in realtà inesistente e mai sottoscritto dal Presidente del Consiglio dell’Ordine di Taranto. In Taranto il 17 novembre 2014.”
Il Giudice per le Indagini Preliminari, con proc. 6503/2016, il 21 novembre 2016 fissa l’Udienza Preliminare per il 12 dicembre 2016 e poi rinvia per il Rito Abbreviato per il 10 aprile 2017 con interrogatorio dell’imputato ed audizione del teste, con il seguito.
Il Giudice per l’Udienza Preliminare, dr. Pompeo Carriere, il 16 ottobre 2017 con sentenza n. 945/2017 “dichiara Feola Aldo Carlo colpevole del reato ascrittogli, e, riconosciute le circostanze attenuanti generiche, e applicata la diminuente per la scelta del rito abbreviato, lo condanna alla pena di cinque mesi e dieci giorni di reclusione, oltre al pagamento delle spese del procedimento. Pena sospesa per cinque anni, alle condizioni di legge, e non menzione. Visti gli artt. 538, 539, 541 c.p.p., condanna Feola Aldo Carlo al risarcimento dei danni in favore della costituita parte civile, da liquidarsi in separato giudizio, nonché alla rifusione delle spese processuali dalla medesima sostenute, che si liquidano in complessivi euro 3.115,00 (tremilacentoquindici) oltre iva e cap come per legge”.
Da quanto scritto è evidente che ci sia stata da parte della stampa una certa ritrosia dal dare la notizia. Gli stessi organi di informazione che sono molto solerti ad infangare la reputazione dei poveri cristi, sennonchè non ancora dichiarati colpevoli.
Travaglio: “I giornali a Taranto non scrivono nulla perchè sono comprati dalla pubblicità”. “E’ vero, ma non per tutti…” Lettera aperta al direttore de IL FATTO QUOTIDIANO, dopo il suo intervento-show al Concerto del 1 maggio 2015 a Taranto, di Antonello de Gennaro del 2 maggio 2015 su "Il Corriere del Giorno". "Caro Travaglio, come non essere felice nel vedere Il Fatto Quotidiano, quotidiano libero ed indipendente da te diretto, occuparsi di Taranto? Lo sono anche io, ma nello stesso tempo, non sono molto soddisfatto della tua “performance” sul palco del Concerto del 1° maggio di Taranto. Capisco che non è facile leggere il solito “editoriale”, senza il solito libretto nero che usi in trasmissione da Michele Santoro, abitudine questa che deve averti indotto a dire delle inesattezze in mezzo alle tante cose giuste che hai detto e che condivido. Partiamo da quelle giuste. Hai centrato il problema dicendo: “A Taranto i giornali non scrivono nulla perchè sono comprati dalla pubblicità”. E’ vero e lo provano le numerose intercettazioni telefoniche contenute all’interno degli atti del processo “Ambiente Svenduto” e per le quali il Consiglio di Disciplina dell’Ordine dei Giornalisti di Puglia tergiversa ancora oggi nel fare chiarezza sul comportamento dei giornalisti locali coinvolti, cercando evidentemente di avvicinarsi il più possibile alla prescrizione amministrativa dei procedimenti disciplinari e salvarli”.
Comunque, a parte i distinguo di rito dalla massa, di fatto, però, nessuno di questa sentenza ne ha parlato.
In conclusione, allora, va detto che si è fatto bene, allora, ad indicare la notizia della condanna del Consigliere Segretario del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Taranto, come un fatto tra quelli che a Taranto son si osa dire…
A cura del dr Antonio Giangrande. Scrittore, sociologo storico, giurista, blogger, youtuber, presidente dell’Associazione Contro Tutte le Mafie ONLUS.
Antonio Giangrande: Prescrizione. Manlio Cerroni e la malafede dei giornalisti.
Un indagato/imputato prescritto non è un colpevole salvato, ma un soggetto, forse innocente, NON GIUDICABILE, quindi, NON GIUDICATO!!!
Incubo carcere preventivo: quattro milioni di innocenti. In 50 anni troppe vittime hanno subìto l'abuso della detenzione. C'è del marcio nei palazzi di giustizia. Si ostinano a chiamarli "errori giudiziari", ma sono la prova che il sistema è al collasso, fin nelle fondamenta, scrive Giorgio Mulè su “Panorama”. Quello che mi fa ribollire il sangue è che si ostinano a chiamarli "errori giudiziari", a presentarli come casi isolati da inserire nel naturale corso della dialettica processuale. E invece sono la prova provata di un sistema giudiziario marcio fin nelle fondamenta. Aprite i giornali e ogni giorno troverete uno di questi "errori". Facciamo insieme due passi nelle cronache recentissime e ripercorriamole a ritroso.
Eppure i figli di…Travaglio divulgano certi messaggi fuorvianti atti ad influenzare gli ignoranti cittadini, che poi votano ignoranti rappresentanti politici e parlamentari.
A tal proposito viene in aiuto l’esempio lampante di come un tema scottante ed attuale venga trattato dai media arlecchini, servi di più padroni.
Assolti? C’è sempre un però. E go te absolvo, sussurra il prete dietro la grata del confessionale. Ma se lo dice il giudice allora no, non vale. In Italia ogni assoluzione è un’opinione, per definizione opinabile o fallace; e d’altronde ogni processo è già una pena, talvolta più lunga d’un ergastolo.
TG1: ROMA PROCESSO MALAGROTTA, ASSOLTO CERRONI. Andato in onda il 06/11/2018. "Il processo sulla discarica di Malagrotta e la gestione dei rifiuti a Roma. Assolto l'ex patron dello stabilimento, Manlio Cerroni, dall'accusa di associazione a delinquere finalizzata al traffico illecito di rifiuti". Flavia Lorenzoni.
Nel servizio si fa cenno al fatto che il processo è durato 4 anni. E meno male che l’abbia detto. Ma lì si è fermato. Però, di seguito, il TG1 ha mandato in onda il servizio sulla strage di Viareggio e sugli affetti che la prescrizione avrebbe avuto su di esso.
Nel servizio al TG5 di questo tempo processuale di Cerroni nemmeno se ne fa cenno.
A cercare su tutta la restante stampa e sugli altri tg non si trova altro che cenni all’assoluzione, tacendo i tempi per il suo ottenimento, ma insistendo ad infangare ed inficiare la reputazione dell’ultra novantenne Cerroni.
Solo il detuperato e vituperato giornale di Pero Sansonetti mi apre gli occhi: "Cerroni assolto dopo 14 anni di processi. L’imprenditore era accusato di associazione a delinquere", scrive Simona Musco il 7 Novembre 2018 su "Il Dubbio". "Non c’è mai stata un’associazione a delinquere finalizzata al traffico illecito di rifiuti a Roma e nel Lazio. Sono serviti quasi 10 anni di indagini e quattro di processo, nonostante il giudizio immediato, per arrivare alla conclusione raggiunta lunedì, dopo otto ore di camera di consiglio, dalla prima sezione penale del tribunale di Roma: l’imprenditore Manlio Cerroni non ha commesso il fatto, dunque va assolto".
14 anni sotto la scure della giustizia. Ma in tema di campagna contro la prescrizione meglio tacciare quest'aspetto della notizia, sia mai si ledano i favori dei potenti di turno.
Una censura o un’omertà assordante, nonostante: "In 30 anni ho finanziato tutta la politica. Tutta no, i Radicali non me l'hanno mai chiesto". Manlio Cerroni, intervistato da Myrta Merlino su La 7 il 6 settembre 2017.
Lo scandalo non sta nel fatto che scatta la prescrizione, dopo anni dal presunto reato e anni dall’inizio del procedimento penale. Lo scandalo sta nel fatto che non sono bastati anni alla magistratura per concludere l’iter processuale.
La prescrizione è garanzia di giustizia, i pm la trasformano in un mostro giuridico. Lo studio dell'associazione "Fino a prova contraria". Annalisa Chirico, giornalista e fondatrice del movimento "Fino a prova contraria", ha pubblicato sul Foglio un interessante studio dei dati relativi alla prescrizione dei procedimenti penali in Italia. Studio che merita di essere approfondito e commentato, visto che cristallizza in maniera inconfutabile alcune verità che non faranno certamente piacere ai giustizialisti in servizio permanente effettivo. Partendo dalle rilevazioni statistiche del Ministero della Giustizia, raccolte in un documento dello scorso maggio, la giornalista ha potuto constatare che circa il 60% delle prescrizioni avvengono nella fase delle indagini preliminari. Quindi nella fase in cui il pubblico ministero è dominus assoluto del procedimento e dove la difesa, usando una metafora calcistica, "non tocca palla". Il dato smentisce una volta per tutte la vulgata che vedrebbe l'indagato ed il suo difensore porre in essere condotte dilatorie per sottrarsi al giudizio. Quella che viene comunemente chiamata "fuga dal processo". Di contro, certifica l'assoluta discrezionalità dell'ufficio del pubblico ministero nella gestione del procedimento.
Nonostante la verità si appalesa, certi politici, continuano a cavalcare barbare battaglie di inciviltà giuridica e sociale.
Prescrizione: Salvini, voglio tempi brevi processo e in galera colpevoli, scrive Adnkronos l'8 Novembre 2018 su "Il Dubbio". “La mediazione è stata positiva, accordo trovato in mezz’ora. Voglio tempi brevi per i processi. In galera i colpevoli, libertà per innocenti. La norma sulla prescrizione sarà nel ddl ma entra in vigore da gennaio del 2020 quando sarà approvata la riforma del processo penale. La legge delega, che scadrà a dicembre del 2019, sarà all’esame del Senato la prossima settimana”. Lo dice il vicepremier Matteo Salvini, dopo l’intesa trovata a Palazzo Chigi sulla prescrizione.
Prescrizione: Di Maio, soddisfatto da accordo, stop furbetti, scrive Adnkronos il 9 Novembre 2018 su "Il Dubbio". “Prescrizione? Mi sono svegliato dopo bene dopo l’accordo, mi soddisfa totalmente, perché l’obiettivo di riformare la prescrizione è sempre stata un obiettivo del M5S per fermare i furbetti. Allo stesso modo sapere che il 2019 sarà l’anno del processo penale è importante”. Lo ha detto il vicepremier e ministro del Lavoro e dello Sviluppo economico Luigi Di Maio, incontrando la stampa estera a Roma. “Per me è molto importante confrontarmi con voi – ha aggiunto – i media mondiali con cui vorrei confrontarmi su temi importanti”.
Non si vuole curare il male, ma vogliono eliminare il rimedio di tutela.
Come si sa, i Giustizialisti Giacobini dormono, la notte, adagiati fra le teste mozzate dei nemici uccisi. Di essi hanno bevuto il sangue. Delle loro carni si sono saziati. Non c’è nulla di più detestabile di un Giustizialista Giacobino. In lui infatti convergono, tautologicamente, due orribili vizi: l’essere giustizialista, e l’essere giacobino.
Il Giustizialista Giacobino è colui che non evoca la giustizia come risoluzione di alcuni problemi giudiziari, ma vorrebbe perversamente che essa li risolvesse tutti.
Il Giustizialista Giacobino è colui che una la differenziazione della giustizia. Ciò ha un che di antiquato, di classista, distinguere ricchi da poveri, privilegiati e non, potenti e miserabili. Questa ignobile creatura sa infatti molto bene, ma finge di non sapere, che se la giustizia è sempre giusta non sempre lo sono i giudici. Essi si dividono in Giudici Giustizialisti Giacobini e Giudici Non Giustizialisti e Non Giacobini. I primi condannano per scopi politici, per rancori personali, per invidia sociale. I secondi sono animati da giustizia, saggezza e santità. Per riconoscere una sentenza come Giustizialista basta individuare chi è stato colpito da essa.
Il Giustizialista Giacobino è colui che invoca una giustizia rapida, inflessibile, con inasprimento delle pene e accelerazione dell’iter processuale, incarcerazione preventiva prolungata e cancellazione delle attenuanti e dell’habeas corpus per i reati commessi dai nemici giurati della comunità civica e dunque della giustizia giusta. Sì, però, va detto che la giustizia è sempre giusta, ma i giudici possono essere giusti ed ingiusti.
La Prescrizione. E' l'istituto più odiato dai giustizialisti, sto parlando della prescrizione del reato. Vorrebbero tempi di prescrizione lunghissimi, praticamente infiniti. Non conta quando hai commesso un reato, dicono, conta se lo hai commesso, e se lo hai commesso devi essere punito, punto e basta. E non va loro giù che la prescrizione intervenga dopo che il processo ha avuto inizio. Citano addirittura gli Stati Uniti d'America, dove i termini di prescrizione si interrompono appena è stata emessa la sentenza di rinvio a giudizio. Si, è proprio così, negli Usa la prescrizione si interrompe dal momento in cui il sospettato è rinviato a giudizio, ma, quali sono i termini di prescrizione negli Stati uniti d'America? Un delitto che comporta la pena dell'ergastolo è sempre perseguibile. Ogni altro delitto grave (rapine, furti, stupri, sequestri di persona) è perseguibile entro CINQUE ANNI. I delitti meno gravi sono perseguibili entro DUE ANNI, quelli minimi entro UN ANNO. Esclusi i delitti gravissimi, sempre perseguibili, negli Usa ogni crimine deve essere perseguito entro termini temporali abbastanza ristretti. Nel momento in cui inizia il processo però i termini di prescrizione si interrompono, e si evitano in questo modo eventuali manovre dilatorie. Questo non fa sì che l'imputato debba passare lunghi periodi nella “zona di nessuno” in cui necessariamente vive chi è sottoposto a procedimento penale. Negli Usa infatti i processi sono piuttosto rapidi. Le udienze sono quotidiane, i giurati vivono praticamente da reclusi, impossibilitati addirittura a leggere i giornali o a guardare la TV, questo perché chi è chiamato a giudicare della vita di un essere umano deve formarsi la propria convinzione in base a ciò che emerge dal dibattimento, non dai talk show televisivi o dai predicozzi di giornalisti alla Travaglio. La differenza con quanto avviene in Italia è lampante. Un giudice popolare italiano ascolta oggi un teste, fra due mesi un altro, fra sei mesi la requisitoria del PM e fra otto l'arringa del difensore. Se tutto va bene fra un anno entrerà in camera di consiglio (fanno eccezione i processi a carico di Berlusconi che sono di solito rapidissimi). E' difficile pensare che in questo modo il giudice popolare italiano possa maturare una convinzione ponderata sulla base di quanto emerge dal dibattimento. Si aggiunga che negli Usa il pubblico accusatore non è, come in Italia, un collega del giudice, che la difesa contribuisce alla selezione della corte giudicante, che i giurati devono decidere alla unanimità e ci si renderà conto che in quel paese il processo penale, anche se esclude i tre gradi di giudizio automatici, è molto più garantista che nel nostro.
Non è un caso, in conclusione, che uno dei padri della scienza penalistica italiana, come Francesco Carrara (Lucca, 18 settembre 1805 - Lucca, 15 gennaio 1888), abbia avuto modo di insegnare l’importanza giuridica dell’istituto della prescrizione: «Interessa la punizione dei colpevoli, ma interessa altresì la protezione degli innocenti. Un lungo tratto di tempo decorso dopo il fatto criminoso che vuolsi obiettare ad alcuno rende a questo punto infelice, quasi impossibile, la giustificazione della propria innocenza […]. Qual sarebbe l’uomo che chiamato oggi a dar conto di ciò che fece in un dato giorno dieci anni addietro sia in grado di dire e dimostrare dove egli fosse, e come sia falsa la imputazione che contro di lui si dirige? La perfidia di un nemico può avere maliziosamente tardato a lanciare lo strale della calunnia per farne più sicuro lo effetto».
Tuttavia la veemenza con cui, negli ultimi anni, opinione pubblica e rappresentanti politici e della magistratura ritengono una ferita alla civiltà giuridica un istituto che, dai tempi del diritto romano, ne è stato invece baluardo, ha origini mediocri.
Ma se è mediocre la veemenza, è antica la genesi dell’istituto della Prescrizione.
E' indubbio che l'istituto della prescrizione - nato come istituto di natura processuale (la longi temporis praescriptio del diritto romano) che estingue l'azione (civile o penale) e come tale disciplinato nel diritto penale risponde in primo luogo all'esigenza di garantire la certezza dei rapporti giuridici, esigenza cui è evidentemente interessato soprattutto l'imputato. Nell'Atene classica esisteva un termine di prescrizione di 5 anni per tutti reati, ad eccezione dell'omicidio e dei reati contro le norme costituzionali, che non avevano termine di prescrizione. Demostene scrisse che questo termine fu introdotto per controllare l'attività dei sicofanti.
“Dei delitti e delle pene” di Cesare Beccaria (Milano 15 marzo 1738 - Milano 28 novembre 1794). CAPITOLO XXX PROCESSI E PRESCRIZIONE. Conosciute le prove e calcolata la certezza del delitto, è necessario concedere al reo il tempo e mezzi opportuni per giustificarsi; ma tempo cosí breve che non pregiudichi alla prontezza della pena, che abbiamo veduto essere uno de’ principali freni de’ delitti. Un mal inteso amore della umanità sembra contrario a questa brevità di tempo, ma svanirà ogni dubbio se si rifletta che i pericoli dell’innocenza crescono coi difetti della legislazione. Ma le leggi devono fissare un certo spazio di tempo, sì alla difesa del reo che alle prove de’ delitti, e il giudice diverrebbe legislatore se egli dovesse decidere del tempo necessario per provare un delitto.
A cura del dr Antonio Giangrande. Scrittore, sociologo storico, giurista, blogger, videomaker, presidente dell’Associazione Contro Tutte le Mafie ONLUS.
Antonio Giangrande: IL GARANTISMO E’ DI SINISTRA, MA DA LORO E’ RINNEGATO.
Nel libro scritto da Antonio Giangrande, “IMPUNITOPOLI, LEGULEI ED IMPUNITA’”, un capitolo è dedicato al garantismo.
Su questo Antonio Giangrande, il noto saggista e sociologo storico che ha pubblicato la collana editoriale "L'Italia del Trucco, l'Italia che siamo", ha svolto una sua inchiesta indipendente. Giangrande sui vari aspetti dell’impunità in Italia ha pubblicato un volume ““IMPUNITOPOLI, LEGULEI ED IMPUNITA’”.
IL GARANTISMO E’ DI SINISTRA, MA DA LORO E’ RINNEGATO.
Il giovane Pippo Civati, giovane piddino intelligente e scaltro, ha rilasciato una intervista a “Repubblica” per dire due o tre cose che – a suo giudizio – renderanno più forte la sua posizione dentro il partito, e magari daranno fastidio a Renzi. Per essere esatti ha detto cinque cose. Ha detto che la riforma della giustizia va fatta senza Berlusconi. Che la riforma della giustizia va fatta, invece, insieme ai magistrati. Poi ha detto anche che la riforma della giustizia va fatta con Grillo. E infine si è scagliato contro indulto e amnistia, giudicandole iniziative demagogiche, e si è detto invece soddisfatto del decreto carceri che – a suo giudizio – alleggerisce la condizione dei carcerati, scrive Piero Sansonetti su “Il Garantista”. Dei carcerati stipati nelle celle: come lo alleggerisce, onorevole? Con gli otto euro al giorno, che sono l’equivalente di 8 secondi della sua diaria da parlamentare? Il giovane Pippo Civati, che politicamente è nato insieme a Renzi, alla Leopolda, ma poi si è distaccato dal fiorentino scegliendo di diventare – così mi dicono – il leader dell’ala sinistra del Pd, probabilmente sa poco della storia della sinistra e della destra in Italia, e non è il solo. E ignora – a occhio – che le sue posizioni favorevoli alle galere, contrarie alle amnistie, e desiderose di lasciare che siano i magistrati a riformare la giustizia, assomigliano parecchio a quelle che furono di un certo Mario Scelba e pochissimo a quelle che furono di un certo Umberto Terracini. Visto che il giovane Civati, come è logico, è giovane, è possibile che non sappia nulla di Scelba e Terracini (del resto molti intellettuali di sinistra più anziani di lui ne sanno pochissimo, o vogliono saperne pochissimo, o fingono di saperne pochissimo). Dunque riassumo: Mario Scelba, siciliano, nato nel 1901. Fu il segretario particolare di don Sturzo, poi legò con De Gasperi che lo fece ministro dell’Interno. Comunisti e socialisti lo chiamavano ministro di polizia. Usò la mano dura, seminò le piazze di morti e feriti e le prigioni di militanti politici, pensò la legge-truffa e la difese, poi divenne presidente del Consiglio dopo De Gasperi in un governo nel quale il vicepresidente era Saragat, e che Nenni, scherzosamente ma non tanto, usando le iniziali dei due leader, definì il governo “S.S”. Poi Scelba fece una legge che stabiliva che il fascismo fosse un reato d’opinione, per fortuna mai applicata, ma questa legge non gli conquistò –come lui si aspettava – simpatie a sinistra, perché le sinistre intuivano che nella sua testa c’era l’idea di fare una legge successiva, che trasformasse anche il comunismo in reato d’opinione. Insomma, onorevole Civati, capito che tipo era questo Scelba? A lui non piacevano indulto e amnistia, amava le celle ben stipate e voleva che la giustizia fosse forte e salda nelle mani dei magistrati. Umberto Terracini invece era un avvocato ebreo genovese – il padre si chiamava Jair, come la mitica ala destra dell’Inter – di sei anni più vecchio di Scelba, era nato nel 1895, amico di Gramsci, fondatore del partito comunista, antistalinista, espulso dal Pci negli anni trenta e poi riammesso, sempre anticonformista, sempre libertario, e quando era già vecchio, negli anni Settanta, si batté ferocemente contro la legge Reale e altre leggi speciali e liberticide volute dal governo e appoggiate dal Pci per colpire il dissenso di sinistra (e anche un po’ di destra). Terracini – oratore fantastico – è quel signore che nel dicembre del 1947 firmò la Costituzione Repubblicana. Capito? Terracini si batté contro Scelba nelle piazze, si batté contro Scelba nei tribunali, si batté contro la legge truffa, fu sempre favorevole alle amnistie e agli indulti, combatteva all’arma bianca contro le sopraffazioni dei magistrati, si trovò a battagliare spalla a spalla con Marco Pannella. Scelba mise in prigione molte persone. Terracini andò lui in prigione, per una decina d’anni. Ora torniamo un momento alle sue tesi. Fare la riforma della giustizia escludendo Berlusconi – cioè l’opposizione liberale – ed includendo i magistrati, è qualcosa di terrificante. Lei pensa che affidando ai magistrati il compito di autoriformarsi si difende l’indipendenza tra i poteri? Lei pensa che non esista un conflitto di interessi se una riforma viene decisa da chi dovrebbe essere l’oggetto di questa riforma? Lei pensa che escludere i liberali dalla riforma della giustizia sia una cosa saggia? E poi, posso farle un’altra domanda che nasce da una pura curiosità): ma come mai non le è neanche venuto in mente, allora, di chiamare gli avvocati a collaborare? I magistrati sì, gli avvocati no. Forse perché gli avvocati non sono un potere? Quanto a Grillo, e alla proposta di collaborare con lui sul terreno della giustizia, mi sembra proprio una bella idea: ieri Grillo ha detto che preferisce Pinochet al partito democratico, ed effettivamente se l’Italia diventasse come il Cile di Pinochet, il problema giustizia sarebbe risolto e anche il problema carceri (magari si porrebbe una nuova questione: dove far giocare la seria A di Tavecchio, con tutti gli stadi occupati dai prigionieri…). Vabbè, Onorevole, veda un po’ lei. Io però torno per un attimo alle biografie di quei due padri della patria dei quali le parlavo, per porle un’ultima domanda: Scelba o Terracini? Lei chi preferisce? Perché il partito democratico, sarà un paradosso, ma è così: è erede di entrambi. Di uno dei massimi leader della Dc e di uno dei massimi leader del Pci. Si tratta di decidere il proprio punto di vista. Quello che un po’ mi preoccupa è che lei, che vuole fare il capo della sinistra del Pd, mi sembra molto più vicino a Scelba che a Terracini. Non so spiegarmi perché. Forse perché ormai il modo è girato tutto alla rovescia, i valori si sono invertiti, i pensieri aggrovigliati. O forse invece è per calcolo politico. Perché qualcuno immagina che per essere di sinistra bisogna essere coi giudici contro Berlusconi, e dunque per le galere contro la libertà, e poi per Grillo e tutto il resto, e anche se a Grillo piacciono Le Pen e i golpisti cileni va bene lo stesso…si, si, però voi siete sicuri che questa sia ancora sinistra?
Il garantismo è di sinistra, scrive Piero Sansonetti su “Il Garantista”. Può esistere il garantismo di sinistra? Può esistere, per una ragione storica: è esistito, ha pesato, ha avuto una influenza notevole sulla formazione degli intellettuali di sinistra. Tutto questo è successo molto, molto tempo fa. Soprattutto, naturalmente, quando la sinistra era all’opposizione, o addirittura era “ribelle”, e quando i magistrati – qui in Italia – erano prevalentemente legati ai partiti politici conservatori o reazionari, e in gran parte provenivano dalla tradizione fascista. Allora persino il Pci, che pure aveva delle fortissime componenti staliniste, e quindi anti-libertarie, coltivava il garantismo. Il grande limite del garantismo, in Italia – e il motivo vero per il quale oggi quasi non esiste più alcuna forma vivente di garantismo di sinistra – sta nel fatto che non è mai stato il prodotto di una battaglia di idee – di una convinzione assoluta – ma solo di una battaglia politica (questo, tranne pochissime eccezioni, o forse, addirittura, tranne la unica eccezione del Partito radicale). La distinzione tra garantismo e non garantismo oggi si determina calcolando la distanza tra un certo gruppo politico – o giornalistico, o di pensiero – e la casta dei magistrati. Il “garantismo reale”, diciamo così, non è qualcosa che si riferisce a dei principi e a una visione della società e della comunità, ma è soltanto una posizione politica riferita a un sistema di alleanze che privilegia o combatte il potere della magistratura. Per questo il garantismo non riesce più ad essere un “valore generale” e dunque entra in rotta di collisione con il corpo grosso della sinistra – moderata, radicale, o estremista – che vede nella magistratura un baluardo contro il berlusconismo, e al “culto” di questo baluardo sacrifica ogni cosa. Tranne in casi specialissimi: quando la magistratura, per qualche motivo, diventa nemico. Per esempio nella persecuzione verso il movimento no-tav. Allora, in qualche caso, anche spezzoni di movimenti di sinistra diventano “transitoriamente” garantisti, e contestano il mito della legalità, ma senza mai riuscire a trasformare questa idea in idea generale: quel garantismo resta semplicemente uno strumento di difesa. Di difesa di se stessi, del proprio gruppo delle proprie illegalità, non di difesa di tutta la società. Il garantismo può essere di sinistra, per la semplice ragione che il garantismo è una delle poche categorie ideal-politiche che non ha niente a che fare con le tradizionali distinzioni tra di sinistra e destra. La sinistra e la destra – per dirla un po’ grossolanamente – si dividono sulle grandi questioni sociali e sulla negazione o sull’esaltazione del valore di eguaglianza; il garantismo con questo non c’entra, è solo un sistema di idee che tende a difendere i diritti individuali, a opporsi alla repressione e a distinguere tra “legalità” e “diritto”. Può essere indifferentemente di destra o di sinistra. A destra, tradizionalmente, il garantismo ha sempre sofferto perché entra in conflitto con le idee più reazionarie di Stato- Patria- Gerarchia- Ordine- Obbedienza- Legalità. A sinistra, in linea teorica, dovrebbe avere molto più spazio, con il solo limite della scarsa “passione” della sinistra per i diritti individuali, spesso considerati solo una variabile subordinata dei diritti collettivi. E quindi, spesso, negati in onore di un Diritto Superiore e di massa. Ed è proprio in questa morsa tra destra e sinistra – tra statalismo di destra e di sinistra – che il garantismo rischia di morire. Provocando dei danni enormi, in tutto l’impianto della democrazia e soprattutto nel regime della libertà. Perché il garantismo ha molto a che fare con la modernità. Ormai si stanno delineando due ipotesi diverse di modernità. Una molto cupa, ipercapitalistica. Quella che assegna al mercato e all’efficienza il potere di dominare il futuro. E questa tendenza – che a differenza dalle apparenze non è affatto solo di destra ma attraversa tutti gli schieramenti, compreso quello grillino – passa per una politica ultra-legalitaria, che si realizza moltiplicando a dismisura le leggi, i divieti, le regolazioni, le punizioni, le confische e tutto il resto. L’idea è che moderno significhi “regolato”, “predeterminato” e che per fare questo si debba separare libertà e organizzazione. E anche, naturalmente, libertà e uguaglianza (uguaglianza sociale o uguaglianza di fronte alla legge, o pari opportunità eccetera). E che la libertà sia “successiva” agli altri valori. Poi c’è una seconda idea, del tutto minoritaria, che vorrebbe che il mercato restasse nel mondo dell’economia, e non pretendesse di regolare e comandare sulla comunità; e vorrebbe organizzare la comunità su due soli valori: la libertà piena, in tutti i campi, e il diritto, soprattutto il diritto di ciascuno. Questa idea qui è l’idea garantista. E non ha nessuna possibilità di decollare se non riesce a coinvolgere la sinistra. Rischia di ridursi a un rinsecchito principio liberista, o individualista, che può sopravvivere, ma non può volare, non può prendere in mano le redini del futuro. E’ la sfida essenziale che abbiamo davanti. Chissà se prima o poi qualcuno se ne accorgerà, o se continuerà a prevalere la sciagurata cultura reazionario-di-sinistra dei girotondi.
Pubblichiamo ancora qui di seguito l’intervista che il direttore Piero Sansonetti ha rilasciato a editoria.tv e ripubblicata da “Il Garantista”. “La sinistra non ha un’idea di libertà”. In un editoriale di due anni fa su Gli Altri, Piero Sansonetti sintetizzava così la sua posizione. Hanno scelto il liberismo, diceva, perchè è l’unica via possibile, quando non sai – tu, Stato – governare il mercato, indirizzarlo, farci i conti. Altro che “liberal” americani. Da noi non esistono. Quelli lì, oltreoceano, sono chiamati in questo modo dai conservatori “con lo stesso sdegno con cui Berlusconi dà ogni tanto a qualcuno del comunista”. Qui da noi è un’altra storia. Qui la sinistra è fuori da tutto, non esiste, e quella che si spaccia per tale “è di destra”, come recita il titolo del suo ultimo libro. E allora che si fa? Come s’articola il discorso politico nuovo? Con quali voci, con quali forze? Sansonetti, giornalista d’altri tempi, da una vita ai vertici dei quotidiani “rossi” storici (dall’Unità, a Liberazione, al Riformista, fino a Gli Altri) mette in riga le questioni e porta in edicola una nuova testata. Un foglio di carta di nome Garantista. Uscirà il prossimo 18 giugno 2014 (tra poco scoprirete con che formula) e nasce dalle ceneri di Liberal (a volte il destino…) del forzista Ferdinando Adornato e andrà a giocare la sua partita in questo mare impazzito che è il mercato di oggi, con la pubblicità che è una bestia in estinzione, i lettori (o clienti) che hanno scoperto l’eden del gratuito sul web e i fondi pubblici che sono diminuiti fino quasi scomparire. Il Garantista riparte senz’altro dal contributo pubblico, ma quello – si sa – ormai ti può dar sangue per vivere un po’. E poi?
Direttore, ci vuole coraggio a fondare un giornale di carta in questo caos di oggi. Dove lo ha trovato?
«Nella consapevolezza che esiste uno spazio, sebbene non vasto, dove poter affermare dei ragionamenti diversi. Delle idee.»
E perché crede di potercela fare? In fondo i numeri dicono che il mercato dell’editoria è un disastro.
«Sì, ma la questione è più complessa. Io credo che la crisi dei giornali vada indagata a partire da due ragioni. La prima è senz’altro l’avvento di internet. Il web ha dato una direzione diversa al mercato, della quale si deve prendere atto e sulla quale non si ha potere di intervento. La seconda ragione è che in Italia si è smesso di pensare. Non ci sono idee. Non ci sono novità da decenni. L’ultimo caso “innovativo” è forse Repubblica, ed era il 1976. Poi più niente, a parte il Fatto Quotidiano, forse.»
Perché forse?
«Perché per me non è una grande novità. E’ la diretta conseguenza di una via giustizialista, sulla quale camminano anche gli altri, dal Corriere in giù.»
E il Garantista? In un’intervista rilasciata proprio al sito del giornale di Padellaro e Travaglio, Adornato, l’editore di Liberal, dice che lei ha proprio in mente un anti-Fatto. E’ vero?
«Ma no. Noi siamo molto più di un anti-Fatto, siamo un anti-tutto. Vogliamo affermare un giornalismo che va alla verità. E la parola stessa Garantismo suona come un insulto di questi tempi. Noi però quest’idea la portiamo sul mercato ben sapendo che è minoritaria. Siamo sicuri, tuttavia, che conquisteremo il nostro spazio sapendo che di voci nuove c’è bisogno.»
Ma facciamo un po’ di storia. Quand’è che la sinistra s’accoda ai magistrati? Quand’è che nasce quest’amore?
«Di certo negli anni ’70. Quando si decide di cancellare la lotta armata. Anzi, si può dire di più. C’è una data precisa che è la legge Reale (la legge 152 del 1975, Disposizioni a tutela dell’ordine pubblico, ndr).»
Poi?
«Il giustizialismo nasce lì e poi l’idea si consolida. Il giustizialismo è la realizzazione di un’alleanza che si salda, ancora di più, con Tangentopoli, quando si decide di cacciare quelli che fino ad allora avevano governato con la clava.»
Ma da dove nasce questa tendenza? Quale origine culturale ha?
«E’ un rigurgito stalinista. E’ da lì che proviene questo metodo. E’ lì che affonda la sua radici.»
Lei, nei suoi pezzi, differenzia i liberal dai liberisti. I primi sono tipica espressione della sinistra americana: pensano che lo Stato debba intervenire sul mercato per garantire le libertà di tutti. I secondi sono di destra, e pensano che il mercato si debba autoregolamentare, e che sia questa la vera libertà. Detto questo: Renzi è un liberal o un liberista?
«Lui bisogna aspettarlo al varco. Non lo so che sarà. Ma di certo l’andazzo è lo stesso. Se così non fosse, Renzi non parlerebbe usando termini come “li cacciamo tutti a calci”. Non le pare? Ho l’impressione che siamo sempre lì: la sinistra non sa scegliere e piega l’idea di libertà al mercato. E’ più facile così.»
A proposito di questioni immanenti. Lei dopo Liberazione è andato a dirigere dei giornali in Calabria. Che idea s’è fatto del Sud?
«Il Mezzogiorno è la parte più povera del Paese. I meridionali non hanno strumenti di potere. E in quell’area non c’è stata alcuna affermazione della cultura dei diritti. Le condizioni attuali sono il risultato di questo.»
E allora? Che si fa?
«Si deve ripartire dallo stato di diritto. Non ci sono altre vie. Il Nord ha portato al Sud le prigioni, le manette, nient’altro. Ma alla modernità s’arriva con un’altra cultura. Quella che noi, soprattutto in quelle aree, cercheremo di proporre. Anche se – ripeto – la nostra è una battaglia minoritaria.»
Che macchina state mettendo in piedi? Che giornale sarà?
«Dei contenuti ho già parlato. Per quanto attiene all’organizzazione, le redazioni saranno distribuite a Reggio Calabria, a Cosenza, a Catanzaro e poi a Roma. Il giornale nazionale avrà 24 pagine. E le redazioni locali 20 pagine, per ognuno dei posti che ho menzionato. Puntiamo molto sulla dimensione locale.»
A Cosenza ci sarà dunque un giornale diverso rispetto a quello di Reggio Calabria.
«Esatto. E sarà un giornale di 44 pagine. Avremo, poi, 16 pagine in più per Napoli e Salerno. Quindi i posti dove avremo una presenza più capillare, all’inizio, saranno la Calabria e la Campania.»
E sul web?
«Sarà online il sito del giornale e sarà possibile scaricare il pdf, abbonarsi e acquistare le copie, come è ormai consuetudine. La nostra sfida, ripeto, si gioca sulle idee non sulle tecniche.»
IL GARANTISMO E' DI SINISTRA, scrive Simonetta Fiori su “La Repubblica”.
«Perché tanta resistenza all'indulto, soprattutto tra gli elettori democratici? Credo si tratti di un meccanismo perverso, che porta a sospettare sempre e comunque della politica. Un pregiudizio che naturalmente può essere spiegato con l'ultimo ventennio della storia italiana. Quello proposto dal presidente della Repubblica è un atto sacrosanto, che andrebbe illustrato nella sua banale umanità».
Settantatré anni, fiorentino, Luigi Ferrajoli è il filosofo del diritto italiano più conosciuto all'estero, forse più famoso nella scena internazionale che nel nostro paese. Ha scritto saggi fondamentali che hanno definito una nozione complessa di garantismo, non solo come sistema di divieti e obblighi a carico della sfera pubblica a garanzia di tutti i diritti fondamentali (dunque sia i diritti di libertà che i diritti sociali), ma anche come sistema di divieti e obblighi a carico dei poteri privati del mercato. Il suo percorso intellettuale è cominciato alla scuola di Norberto Bobbio, di cui è considerato tra gli eredi più autorevoli, ed è proseguito negli anni Sessanta in veste di giudice dentro Magistratura democratica, dove confluivano culture politiche diverse. Ferrajoli s'identifica nel "costituzionalismo garantista" che poi significa «una scelta di campo a sostegno dei soggetti più deboli, come impongono i principi di giustizia sanciti dalla Costituzione». Le sue posizioni - anche nel terreno delicatissimo della riforma della giustizia - sfidano alcuni tabù della sinistra. Difende la separazione delle carriere tra giudice e Pm, ferma restando l'assoluta indipendenza dei pubblici ministeri dal potere politico («La sinistra è caduta in un equivoco, anche perché all'epoca di Craxi la separazione fu proposta con l'intento di assoggettare i pm all'esecutivo»). E questo suo ultimo prezioso libro-intervista con Mauro Barberis, filosofo del diritto altrettanto competente, contiene giudizi originali sulla crisi della politica e della democrazia, di cui il tema della giustizia è parte essenziale. A cominciare dal "populismo penale" in voga nel dibattito pubblico (Dei diritti e delle garanzie, il Mulino).
Professor Ferrajoli, che cos'è il populismo giudiziario?
«È il protagonismo dei pubblici ministeri poi passati alla politica. Sono rimasto colpito dall'esibizionismo e dal settarismo di alcuni magistrati, sia durante i processi che in campagna elettorale. Ho proposto anche una sorta di codice deontologico che richiama ai principi di sobrietà e riservatezza, oltre che al dubbio come costume intellettuale e morale. Temo molto quando il magistrato inquirente è portato a vedere nella conferma in giudizio delle ipotesi accusatorie una condizione della propria credibilità professionale. Cesare Beccaria lo chiamava "il processo offensivo", nel quale il giudice anziché essere un "indifferente ricercatore del vero" diviene "nemico del reo"».
Lei sottolinea il carattere "terribile" del potere giudiziario.
«Sì, carattere "terribile" e "odioso", dicevano Montesquieue Condorcet. È il potere dell'uomo sull'uomo, capace di rovinare la vita delle persone. Purtroppo i titolari di questo potere possono cedere alla tentazione di ostentarlo. Cosa sbagliatissima. Quanto più questo potere diventa rilevante, tanto più si richiede una sua soggezione alla legge e al principio di imparzialità. Un obbligo che è a sua volta fonte di legittimazione del potere giudiziario».
Il populismo penale, le fa notare Barberis, è di fatto l'opposto del garantismo.
«Sì, in realtà l'opposto del garantismo è il dispotismo giudiziario, che è presente in tutte le forme di diritto penale con scarse garanzie, in particolare caratterizzate - come avviene in Italia - da una legalità dissestata».
Cosa intende?
«È il vero problema oggi. Disponiamo di leggi incomprensibili perfino ai giuristi, mentre la chiarezza è l'unica condizione della loro capacità regolativa, sia nei confronti dei cittadini che nei confronti dei giudici. Per prima cosa il Parlamento dovrebbe far bene il proprio mestiere, ossia scrivere le leggi in modo chiaro e univoco. È questo il solo modo per contenere l'arbitrio del potere giudiziario. Un obiettivo che non si raggiunge certo riducendo l'autonomia dei giudici e dei pubblici ministeri a vantaggio del potere esecutivo».
Forse è anche per difendere la propria autonomia minacciata che alcuni magistrati sono arrivati ad eccessi.
«Non c'è alcun dubbio. Derisi e pressati da un potere irresponsabile, alcuni talvolta hanno agito per autodifesa. Anche la martellante campagna diffamatoria promossa dalla destra sull'uso politico della giustizia ha finito per inquinare la stessa cultura giuridica dei magistrati che hanno reagito in modo corporativo all'accusa. Non dimentichiamoci che in tutti questi anni la riforma della giustizia ha ruotato esclusivamente attorno ai problemi personali di Silvio Berlusconi, riducendosi a un assurdo corpus iuris ad personam. E la parola garantismo ha finito per significare la difesa dell'impunità dei potenti».
Un'accusa che viene rivolta alla sinistra, anche da parte non strettamente berlusconiana, è di aver cavalcato quel potere terribile a cui alludeva prima, sostituendo Marx con le manette.
«Mi sembra una ricostruzione ingiusta. La caratterizzazione "giustizialista" - parola che detesto - di una parte della sinistra è stata provocata dallo scandalo dell'anomalia di questo ventennio. Non la giustifico, ma posso spiegarla. Siamo stati governati da una persona che è al centro di una quantità enorme di processi, una parte dei quali forse infondata ma altri fondatissimi. Da qui anche l'enorme aspettativa verso il diritto penale, da cui si pretende che assicuri l'eguaglianza delle persone davanti alla legge».
Non è così?
«Purtroppo da luogo dell'eguaglianza formale il diritto penale è diventato il luogo della massima diseguaglianza. Quella che viene più facilmente colpita è la delinquenza di strada, con la sostanziale impunità dei potenti. Quasi il 90 per cento delle condanne per fatti di corruzione negli ultimi vent'anni è stato inferiore ai due anni, con conseguente sospensione condizionale della pena. Anche l'evasione fiscale di fatto resta impunita».
Forse questo spiega perché l'opinione democratica tema l'indulto. Per una volta che viene applicato il principio dell'eguaglianza dei cittadini davanti alla legge, si teme che l'indulto possa cancellarlo.
«Sì, ma si tratta di un sospetto tanto velenoso quanto infondato. Naturalmente spetta al Parlamento evitare che a beneficiare dell'indulto siano i reati di corruzione o frode fiscale, reati che non sono mai entrati nella tradizione dell'amnistia. E, per le ragioni che ho ora esposto, a chi si oppone al provvedimento bisognerebbe ricordare che la criminalità dei colletti bianchi è di fatto assente dalle carceri. Le celle sono piene di povera gente, tossicodipendenti e immigrati clandestini. Sarebbero loro a trarne vantaggio».
Anche per snellire la macchina giudiziaria, lei ha proposto la soppressione di alcuni reati come l'immigrazione clandestina. Pochi giorni fa è cominciato in Senato l'iter per la sua abolizione.
«I nostri tribunali sono paralizzati da un marasma di figure di reato che si potrebbero cancellare. Quello di immigrazione clandestina è poi un'assoluta vergogna. Teorizzato nel 1539 da Francisco de Vitoria, per giustificare conquista e colonizzazione del nuovo mondo, lo ius migrandi è rimasto per secoli, fino alla Dichiarazione universale del 1948, un principio fondamentale del diritto internazionale. Oggi che il processo s'è invertito - sono le popolazioni povere da noi depredate a venire nei nostri paesi - il diritto s'è capovolto in reato. Il risultato è una terribile catastrofe umanitaria. Potrei definirle "le leggi razziali" di questi anni».
Antonio Giangrande. DELITTI DI STATO ED OMERTA’ MEDIATICA.
Quando la Legge e l’Ordine Pubblico diventano violenza gratuita e reato impunito del Potere.
Così scrive il dr Antonio Giangrande, sociologo storico e scrittore che sul tema ha scritto dei saggi pubblicati su Amazon.it.
C’è violenza e violenza. C’è la violenza agevolata, come quella degli stalkers, fenomeno che sui media si fa un gran parlare. Stalkers che sono lasciati liberi di uccidere, in quanto, pur in presenza di denunce specifiche, non vengono arrestati, se non dopo aver ucciso coniuge e figli. C’è la violenza fisica che ti lede il corpo. C’è quella psicologica che ti devasta la mente, come per esempio l’essere vittima di concorsi pubblici od esami di abilitazione truccati o il considerare le tasse come “pizzo” o tangente allo Stato.
O come per esempio c’è la violenza su Silvio Berlusconi: un vero e proprio ricatto…. anzi è un’estorsione “mafiosa” a detta di Berlusconi. Libero di fare la campagna elettorale, ma fino a un certo punto: se nei suoi interventi pubblici Berlusconi tornerà a prendersela con i magistrati (come fa con regolarità da vent'anni a questa parte) potrà venirgli revocato l'affido ai servizi sociali e scatterebbero gli arresti domiciliari. Antonio Lamanna, come racconta la stampa, nell'udienza di giovedì 10 marzo 2014, ha sottolineato che se il Cavaliere dovesse diffamare i singoli giudici l'affidamento potrebbe essere revocato. Un bavaglio a Berlusconi: se dovesse parlare male della magistratura, verrà sbattuto agli arresti domiciliari. Lamanna, nel corso dell'udienza, ha portato in aula un articolo del Corriere della Sera dello scorso 7 marzo 2014, in cui veniva riportato che Berlusconi avrebbe detto, in vista delle decisione del Tribunale di Sorveglianza: "Sono qui a dipendere da una mafia di giudici". Dunque Lamanna ha commentato: "Noi non siamo né angeli vendicatori né angeli custodi, ma siamo qui per far applicare la legge", e successivamente ha ribadito al Cavaliere la minaccia (abbassare i toni, oppure addio ai servizi).
O come per esempio c’è la violenza su Anna Maria Franzoni. Quattordici anni dopo l'omicidio del figlio Samuele Lorenzi in Annamaria Franzoni ci sono ancora condizioni di pericolosità sociale e la donna ha bisogno di una psicoterapia di supporto. Sapete perché: perché si dichiara innocente. E se lo fosse davvero? In questa Italia, se condannati da innocenti, bisogna subire e tacere. Questo è il sunto della perizia psichiatrica redatta dal professor Augusto Balloni, esperto incaricato dal tribunale di Sorveglianza di Bologna di valutare ancora una volta la personalità della donna per decidere sulla richiesta di detenzione domiciliare. La perizia ha circa 80 pagine ed è il frutto di una decina di incontri in oltre due mesi con le conclusioni, depositate prima di Pasqua 2014. Secondo quanto rivelato dalla trasmissione “Quarto grado”, la perizia sostiene che Franzoni, che sta scontando una condanna a 16 anni (e non a 30 anni, così come previsto per un omicidio efferato), è socialmente pericolosa: soffre di un "disturbo di adattamento" per "preoccupazione, facilità al pianto, problemi di interazione con il sistema carcerario" perché continua a proclamarsi innocente.
Poi c’è la violenza fisica. Tutti a lavarsi la bocca con il termine legalità. Mai nessuno ad indicare i responsabili delle malefatte se trattasi dei poteri forti. Così si muore nelle “celle zero” italiane. Dai pestaggi ai suicidi sospetti. Le foto incredibili. Di questo parla Antonio Crispino nel suo articolo su “Il Corriere della Sera” del 5 febbraio 2014.
Per quando questa inchiesta sarà tolta dal sito del Corriere (più o meno 48 ore), in carcere sarà morta un’altra persona. Sono 2230 decessi in poco più di un decennio. Quasi un morto ogni due giorni. Morte naturale, arresto cardio-circolatorio, suicidio. Queste le cause più comuni. Quelle scritte sulle carte. Poi ci sarebbero i casi di pestaggio, di malasanità in carcere, di detenuti malati e non curati, abbandonati, le istigazioni al suicidio, le violenze sessuali, le impiccagioni a pochi giorni dalla scarcerazione o dopo un diverbio con il personale carcerario. Sono le ombre del sistema. La versione ufficiale è che il carcere è “trasparente”, sono tutte fantasie, storie metropolitane. «I detenuti, ormai, l’hanno presa come una moda quella di denunciare violenze». Parola di Donato Capece, leader del Sappe (Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria). Per essere credibili bisogna portare le prove, le testimonianze. In che modo? «Il carcere è un mondo a parte, un sistema chiuso dove si viene a sapere quello che io voglio che si sappia e dove le carte si possono sistemare a piacimento. Il sistema tende a proteggere se stesso» sintetizza Andrea Fruncillo, ex agente penitenziario di Asti. Lo avevamo incontrato già qualche anno fa. Grazie anche alla sua denuncia (caso più unico che raro) venne alla luce il sistema di pestaggio organizzato all’interno del carcere dove prestava servizio. In primo grado non si trovò nessun responsabile. In secondo grado sono arrivate le condanne. E’ una lotta impari, una fatica di Sisifo. «Anche lì dove riusciamo faticosamente a reperire delle prove finisce quasi sempre con una prescrizione» spiega l’avvocato Simona Filippi. È uno gli avvocati di Antigone, l’associazione che si occupa dei diritti dei detenuti. Carte alla mano, ci mostra come i reati per cui si procede sono attinenti alle sole lesioni. I tempi di prescrizione sono facilmente raggiungibili rispetto a un reato di tortura. Se fosse introdotto nel nostro ordinamento. Ad oggi, infatti, questo reato non esiste. Come praticamente non esistono condanne passate in giudicato. Esistono, invece, foto e documenti agghiaccianti che pochi dubbi lascerebbero sulla natura della morte del detenuto. Ma tutto è interpretabile e la scriminante è sempre dietro l’angolo. Lo avevamo testato anche noi, nel 2012, dopo l’aggressione ricevuta da parte del comandante degli agenti penitenziari di Poggioreale che minacciò: «Se non spegni questa telecamera te la spacco in testa... I detenuti li trattiamo anche peggio, lo puoi anche scrivere». Anche in quel caso chiedevamo di presunti casi di violenza. Tante scuse per l’accaduto, la richiesta - cortese - di non denunciare da parte della direttrice e promesse di azioni disciplinari da parte del Dap. Nulla di concreto. Anzi. Sul sito della polizia penitenziaria il comandante viene descritto come un ‘martire della battaglia’, in puro stile corporativo, provocato da giornalisti in cerca di scoop. «Nessuna prova». Qualche foto gira su internet per la pervicacia di genitori che chiedono giustizia: sono i casi di Stefano Cucchi, Marcello Lonzi (la mamma ha venduto tutto quello che aveva per pagare avvocati e periti. Ultimamente ha messo in vendita il proprio rene per poter pagare il ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo a Strasburgo. La battaglia legale va avanti da 10 anni) o Federico Perna. Gli altri non li conosce nessuno. Come Manuel Eliantonio, Carlo Saturno, Bohli Kaies, Raffaele Montella, Aldo Tavola, Stefano Guidotti, Antonino Vadalà, Mauro Fedele, Gregorio Durante, Giuseppe Rotundo e troppi altri. Raccogliamo tutto quello che si può documentare. Lo mostriamo, in una miscellanea di orrore e terrore, al garante dei detenuti della Lombardia Donato Giordano, la regione con il più alto numero di carcerati. «E’ una follia, se è vero come è vero quello che ho visto siamo messi peggio del nazismo». Eppure casi di pestaggio sulla sua scrivania non sono mai arrivati. Nemmeno uno. Invece da mesi ci arrivano via posta segnalazioni dal carcere di Opera. «Fate luce sulla cella 24», ci scrivono. Cos’è la cella 24? «Solo una cella come tante altre dove mettono drogati e alcolizzati. Il direttore del carcere mi ha detto che è vuota per evitare che si facciano male. Indagherò» ci fa sapere il garante Giordano. In tutta Italia la cella 24 ha tanti nomi. Ogni detenuto, a seconda della provenienza geografica, la apostrofa in modo diverso, ma il senso è quello: cella 0, cella interrata, cella frigorifera, cella nera, cella estiva/invernale… Ogni termine ha una spiegazione. Incontriamo un poliziotto di Poggioreale per chiedergli del sovraffollamento ma il discorso vira inevitabilmente sull’esistenza della “cella zero”, la cella dove verrebbero portati i detenuti da punire. Non sa di essere ripreso. Spaventa la normalità con la quale afferma cose di una certa gravità: «Poggioreale è stato scenario di tante cose violente, dentro Poggioreale si è sparato, ci sono stati i morti, sono girate pistole… fino a quando non c’è stata la svolta autoritaria delle forze dell’ordine. Nella gestione di una popolazione del genere, permetti che c’è anche il momento di tensione, che si superano dei limiti, da ambo le parti e si interviene in questo modo? Penso che è naturale… E’ un po’ come lo schiaffo del padre in famiglia, no?». La denuncia che il garante si aspetta sulla scrivania dovrebbe partire da un detenuto pestato che si trova all’interno del carcere e convive con altri detenuti che non vogliono problemi. La stessa denuncia prima di essere spedita passerebbe tra le mani del sistema carcerario. Dopodiché il detenuto dovrebbe continuare a convivere con i suoi presunti carnefici, ogni giorno. Il tutto partendo dal presupposto che un detenuto, per definizione, ha una credibilità pari allo zero e una possibilità di documentare quello che dice praticamene nulla. «Anche se viene trasferito dopo la denuncia, il detenuto sa che le prende lo stesso. Tra di noi arrivava la voce di chi aveva fatto l’infame e si trovava ugualmente il modo di punirlo. Chi sa sta zitto, anche i medici. Ad Asti dicevamo noi al medico cosa scrivere sulla cartella clinica dopo un pestaggio. Ovviamente nei casi in cui lo portavamo da un medico. Ci sono tanti bravi agenti che fanno solo il loro dovere ma seppure assistessero ai pestaggi non potrebbero parlare. Sarebbero mandati in missione in chissà quale carcere sperduto d’Italia, gli negherebbero le licenze, i permessi, farebbero problemi con le ferie, verrebbero discriminati... Insomma il carcere è un mondo con le sue regole» ricostruisce così la sua esperienza, Fruncillo. «Ci aveva provato Carlo Saturno a denunciare le violenze subite nel carcere minorile di Bari» ricorda Laura Baccaro autrice con Francesco Morelli del dossier “Morire di carcere” pubblicato su Ristretti Orizzonti. E’ stato sfortunato. Era l’unico testimone ed è morto impiccato una settimana prima dell’udienza in cui doveva deporre. Il processo si è chiuso per mancanza di prove.
Katiuscia Favero. Anche lei aveva denunciato: un medico e due infermieri dell’Opg di Castiglione delle Stiviere, in provincia di Mantova. La avrebbero violentata ripetutamente. «Dopo la denuncia viene trovata impiccata a un albero in un recinto accessibile solo al personale medico-infermieristico. Sfortunata anche lei. Perché spariscono anche le perizie ginecologiche effettuate dopo la denuncia». Caso chiuso. Nel 2008 verranno assolti sia il medico che gli infermieri denunciati da Katiuscia, per mancanza di prove. Cristian De Cupis diceva che alcuni agenti della Polfer di Roma lo avevano picchiato durante l’arresto. Denuncia tutto al Pronto soccorso. Muore prima ancora che gli convalidino l’arresto. Aveva 36 anni. Manuel Eliantonio viene fermato all’uscita di una discoteca. Aveva fumato, usato droghe. Gliene trovano alcune in tasca e lui scappa. L’agente lo rincorre e lo porta nella caserma della Polizia stradale di Carcare, provincia di Savona poi in carcere. Ufficialmente muore per «arresto cardiaco» ma il giorno prima aveva scritto alla mamma: «Mi ammazzano di botte, mi riempiono di psicofarmaci, quelli che riesco li sputo, se non li prendo mi ricattano». Anche qui, nessuna prova. Nessuna prova e nessuna testimonianza neppure per Bohli Kaies. E’ uno spacciatore tunisino morto per «arresto cardiocircolatorio». La perizia disposta dal procuratore di Sanremo precisa: «Avvenuta per asfissia violenta da inibizione dell’espansione della gabbia toracica». In pratica: soffocato. Così il procuratore Roberto Cavallone decide di indagare i tre carabinieri che procedettero all’arresto. Dirà: «E’ una morte della quale lo Stato italiano deve farsi carico. Chi ha visto si faccia avanti e i tre militari raccontino come è andata». Non si saprà mai come è andata nemmeno per Rachid Chalbi. Trovato morto in cella per “suicidio”. Qualche giorno prima era stato punito con il trasferimento nel penitenziario di Macomer. Quando i parenti si recano all’obitorio notano ecchimosi sul volto e sul petto. I parenti si chiedono: «Nonostante la richiesta del consolato e dei legali l’autopsia non è stata eseguita. Perché?».
Qui si parla di morti che hanno commesso il reato di farsa. Ossia: colpevoli di essere innocenti. Di chi è stato arrestato è poi in caserma picchiato fine a morirne, se ne parla come eccezione. Ma nessuno parla di chi subisce violenza o muore durante le fasi dell’arresto.
Foto e filmati, raccolti e rilanciati sul web, compongono una moviola con pochi margini d’interpretazione: colpi di manganello contro persone a terra, calci, quel terribile gesto di salire con gli scarponi sull’addome di una ragazza rannicchiata sull’asfalto con il suo ragazzo che le sta sopra per proteggerla.
E poi loro. “Quello che è successo a Magherini ripropone tragedie che sembrano richiamare situazioni simili e comportamenti analoghi a quelli già visti come nel caso di Aldrovandi e di Ferulli. Si teme l’abuso di Stato. Una persona che grida aiuto e una persona in divisa sopra di lui che effettua la cosiddetta azione di contenimento, un termine pudico e ipocrita.” Questo ha detto duramente il senatore Manconi, che parla di evidenze documentate (un video ripreso dall’alto) dei comportamenti illegali da parte delle forze dell’ordine.
PRESADIRETTA ha raccontato nell’ignavia generale le storie dei meno conosciuti: Michele Ferrulli, morto a Milano durante un fermo di polizia mentre ballava per strada con gli amici, Riccardo Rasman, rimasto ucciso durante un’irruzione della polizia nel suo appartamento dopo essere stato legato e incaprettato col fil di ferro, Stefano Brunetti, morto il giorno dopo essere stato arrestato col corpo devastato dai lividi. A PRESADIRETTA hanno fatto ascoltare i racconti scioccanti dei “sopravvissuti” come Paolo Scaroni, in coma per due mesi dopo le percosse subite durante le cariche della polizia contro gli ultras del Brescia, Luigi Morneghini, sfigurato dai calci in faccia di due agenti fuori servizio e delle altre vittime che ad oggi aspettano ancora giustizia. Ma quante sono invece le storie di chi non ha avuto il coraggio di denunciare e si è tenuto le botte, le umiliazioni pur di non mettersi contro le forze dell’ordine e dello Stato? Noi pensiamo di vivere in un Paese democratico dove i diritti della persona sono inviolabili, è veramente così? “Morti di Stato” è un racconto di Riccardo Iacona e Giulia Bosetti. Morti di Stato”, l’inchiesta giornalistica che non fa sconti.
Ottima la prima per la nuova serie di “Presadiretta” di Riccardo Iacona, scrive Filippo Vendemmiati su Articolo 21 del 7 gennaio 2014. “Morti di Stato” una puntata dura e senza sconti a cui si vorrebbe ne seguisse subito un’altra, fatta anche di risposte, smentite, precisazioni. Ma difficilmente sarà. Chi scrive conosce bene il lungo travaglio che ha preceduto e ha partorito questa trasmissione. Come spesso fino ad ora è accaduto, “i coinvolti” preferiranno tacere, eludere, rispondere non con le parole, ma semmai con “gli avvertimenti giudiziari” dei loro avvocati. Perché qui sta la prima e paradossale differenza: l’inchiesta giornalistica, quella vera, quella che nonostante tutto dunque non è morta, ha un nome e un cognome, un responsabile che si firma e si assume ogni responsabilità; il reato penale commesso dallo Stato è coperto dall’anonimato, da una divisa e da un casco, da omissioni complicità.. Per questo tanto tenace e insuperabile è il muro che si oppone all’introduzione del codice identificativo sulle divise e del reato di tortura, da 25 anni inadempienti nonostante il protocollo firmato davanti alla Convenzione dell’Onu. Ma c’è un duplice reato di tortura: il primo è quello delle vittime non di incidenti o di colluttazioni avvenute sulla strada, bensì di violenze gratuite avvenute durante un fermo, un controllo, in manette o nel chiuso delle caserme o delle carceri; il secondo è quello dei familiari delle vittime, costrette ad un terribile e doloroso percorso per ottenere scampoli di una giustizia che non ce la fa ad essere normale. Anche chi condannato in via definitiva per reati compiuti con modalità gravissime, sancite da motivazioni trancianti contenute in tre sentenze, come nel caso dell’omicidio di Federico Aldrovandi, ha diritto ad indossare ancora la divisa, quasi che un quarto silenzioso grado di giudizio garantisse chi di quella stessa divisa abusa e con quella divisa infanga il giuramento fatto davanti alla Costituzione.. Non solo e tanto di “mele marce” si è occupata questa puntata di Presadiretta, ma di un sistema malato che queste mele alleva , copre e difende., secondo il principio non nuovo che dalla polizia non si decade, ma semmai si viene promossi. Grazie a Presadiretta e a Raitre di avercelo raccontato con tanta efficacia, nel nome delle vittime note e ignote, per una volta non ignorate.
Le Forze dell’Ordine usano delle tecniche apposite di bloccaggio delle persone esagitate che li si vuol portare alla calma o all’esser arrestate. Di questo parla la Relazione della 360 SYSTEM della Polizia di Stato.
Primo contatto. La pressione come strumento per apprestare la difesa, l’armonia del movimento e la elasticità, non irrigidirsi in situazioni di stress, aumento del carattere e dell’aggressività quando sottoposti ad attacchi.
Ammanettare l’avversario. Come eseguire una corretta e veloce procedura di bloccaggio a terra e successivo ammanettamento in situazione di uno contro uno, tecniche per portare a terra l’avversario in sicurezza e controllo dell’avversario a terra.
Probabilmente, come tutte le cose italiane, il corso non è frequentato e quindi ogni agente adopera una sua propria tecnica personale, spesso, letale e che per forza di cose passa per buona ed efficace.
La versione ufficiale pareva chiara. Riccardo Magherini, 40 anni, figlio dell’ex stella del Palermo Guido Magherini, è morto due mesi fa a Firenze, qualche istante dopo essere stato arrestato a causa di un arresto cardiaco, scrive nel suo articolo Alessandro Bisconti su “Sicilia Informazioni” del 27 aprile 2014. Vagava seminudo e in stato di shock in Borgo San Frediano a Firenze. Aveva appena sfondato la porta di una pizzeria, portando via il cellulare a un pizzaiolo. Chiedeva aiuto, diceva di essere inseguito da qualcuno che voleva ucciderlo. Poi è entrato nell’auto di una ragazza mentre lei scappava. Quindi sono arrivati i carabinieri che dopo averlo immobilizzato, hanno chiamato il 118, visto lo stato di agitazione di Magherini. Dieci minuti dopo è arrivato il medico che ha trovato l’uomo in arresto cardiaco. Un’ora più tardi Magherini è morto in ospedale. Adesso il fratello di Riccardo Magherini accompagnato dal suo legale e dal senatore del PD Luigi Manconi hanno presentato in Senato le immagini inedite del corpo dell’uomo, sulla morte del quale chiedono che sia fatta chiarezza, sospettando un abuso di polizia simile ad altri che hanno funestato le cronache recenti. Ci sono però numerose testimonianze (e un video) che raccontano di un uomo preso a calci a lungo, in particolare calci al fianco e all’addome, mentre era sdraiato a terra e di soccorsi chiamati quando ormai non reagiva più. “Per una quarantina di minuti Riccardo è stato steso a terra immobilizzato dai carabinieri con un ginocchio sulla schiena. Era ammanettato ed è stato percosso e intanto Riccardo urlava: ‘Sto morendo, sto morendo’” ha raccontato un testimone alla trasmissione Chi l’ha visto, ma in tanti sostengono questa ricostruzione. I video e le foto sono appena stati presentati in Senato. Il papà Guido, 62 anni, ha disputato tre stagioni con la maglia del Palermo, nella seconda metà degli anni Settanta, diventando presto un semi-idolo (18 gol). Lui, Riccardo, ha provato a seguire le orme del padre. Inizio promettente, con la vittoria del torneo di Viareggio in maglia viola, da protagonista. Era considerato una promessa del calcio fiorentino. Poi si è perso per strada. Tante delusioni, anche nella vita. Fino alla separazione, recente, con la moglie e all’ultima, folle, serata.
Morì d’infarto durante l’ arresto il cinquantunenne milanese Michele Ferulli, deceduto la sera del 30 giugno 2011, dopo esser stato percosso da alcuni agenti di polizia che lo stavano ammanettando. E’ quanto emerge dalla perizia redatta dal tecnico incaricato dai giudici della Corte d’Assise d’Appello di Milano, Fabio Carlo Marangoni, che ha potuto visionare ben 4 filmati di quei tragici momenti. Gli uomini delle forze dell’ordine, intervenuti dopo una segnalazione per schiamazzi notturni in via Varsavia, nel capoluogo lombardo, stavano procedendo al fermo della vittima, e secondo la relazione peritale uno di loro “percuoteva ripetutamente sulla spalla e sulla scapola destra” l’individuo in procinto di essere arrestato. Ferulli venne colto, forse per la concitazione, da un arresto cardiaco che gli sarebbe risultato fatale. Nel procedimento giudiziario in corso risultano imputati i quattro poliziotti intervenuti sul posto durante quella serata maledetta. Per loro l’accusa è di omicidio preterintenzionale. Stando a quanto risulta dal lavoro depositato da Marangoni, per ben 2 volte Ferulli invocò esplicitamente aiuto.
L’abominevole morte di Luigi Marinelli è l’articolo di Alessandro Litta Modignani su “Notizie Radicali” del 15 ottobre 2012. Sempre più spesso sentiamo nominare Cucchi, Aldrovandi, Bianzino, Uva.... Nomi diventati tristemente familiari, evocatori di arbitrio, brutalità, violenza, morte, denegata giustizia. Il muro dell’omertà e del silenzio poco alla volta si rompe, le famiglie coraggiose non si rassegnano al dolore della perdita, facebook e internet fanno il resto, obbligando la carta stampata ad adeguarsi e a rispettare il dovere di cronaca. Così, uno dopo l’altro, altri nomi e altre vicende emergono dall’oscurità e assurgono alla dignità di “casi”. La lista si allunga, nuovi nomi si aggiungono, con le loro storie di ordinaria follia. Alla presentazione del libro-denuncia di Luca Pietrafesa “Chi ha ucciso Stefano Cucchi?” (Reality Book, 180 pagine) tenuta nei giorni scorsi nella sede del Partito radicale a Roma, ha finalmente trovato la forza interiore di parlare l’avv. Vittorio Marinelli, che con voce rotta dall’emozione ha raccontato la morte abominevole, letteralmente “assurda” di suo fratello Luigi. Luigi Marinelli era schizofrenico, con invalidità riconosciuta al 100%. Si sottoponeva di buon grado alle terapie che lo tenevano sotto controllo, dopo un passato burrascoso che lo aveva portato in un paio di ospedali psichiatrico-giudiziari. Spendaccione, disturbato, invadente fino alle soglie della molestia, divideva la sua vita fra gli amici, la sua band e qualche spinello. Era completamente incapace di amministrarsi. Ricevuta in eredità dal padre una certa somma, la madre e i fratelli gliela passavano a rate, per evitare che la sperperasse tutta e subito. Rimasto senza soldi, la mattina del 5 settembre 2011 Luigi va dalla madre, esige il denaro rimanente; si altera, dà in escandescenze, minaccia, le strappa la cornetta dalle mani – ma non ha mai messo le mani addosso a sua madre, mai, neppure una sola volta nel corso della sua infelice esistenza. Messa alle strette, la madre chiama Luisa (la fidanzata di Luigi, anch’ella schizofrenica) chiama l’altro figlio Vittorio, chiama la polizia e quest’ultima decisione si rivelerà fatale. Arrivano due volanti - poi diventeranno addirittura tre o quattro - trovano Luigi che straparla come suo solito semi-sdraiato sulla poltrona, esausto ma in fin dei conti calmo. Gli agenti chiamano il 118 per richiedere un ricovero coatto. Arriva Vittorio, mette pace in famiglia, madre e figlio si riconciliano, Luigi riceve in assegno il denaro che gli appartiene e fa per andarsene. Ma la polizia ha bloccato la porta e non lo lascia uscire, dapprima con le buone poi, di fronte alle crescenti rimostranze, con l’uso della forza. Luigi è massiccio, obeso, tre poliziotti non bastano, ne arriva un quarto enorme e forzuto. Costui blocca lo sventurato contro il muro, lo piega a terra, lo schiaccia con un ginocchio sul dorso, gli torce le braccia dietro la schiena e lo ammanetta, mentre Vittorio invita invano gli agenti a calmarsi e a desistere. “Non fate così, lo ammazzate...!” dice lui, “Si allontani!” sbraitano quelli. Vittorio vede il fratello diventare cianotico, si accorge che non riesce a respirare, lo guarda mentre viene a mancare. Allontanato a forza, telefona per chiedere aiuto al 118 ma dopo due o tre minuti sono i poliziotti a richiamarlo. Luigi ormai non respira più ma ha le braccia sempre bloccate dietro alla schiena: le chiavi delle manette.... non si trovano! La porta di casa è bloccata, non si sa da dove passare, un agente riesce finalmente a trovare la porta di servizio, scende alle auto ma le chiavi ancora non saltano fuori. “Gli faccia la respirazione bocca a bocca!” gridano gli agenti in preda nel panico (Luigi è bavoso e sdentato, a loro fa schifo, poverini). Liberano infine le braccia ma ormai non c’è più niente da fare. Il volto di Luigi è nero. E’ morto. Arriva l’ambulanza, gli infermieri si trovano davanti a un cadavere ma, presi da parte e adeguatamente istruiti, vengono convinti dagli agenti a portare via il corpo per tentare (o meglio: per fingere) la rianimazione. Il resto di questa storia presenta il solito squallido corollario di omertà, ipocrisia, menzogne, mistificazioni. Gli agenti si inventano di avere ricevuto calci e pugni per giustificare l’ammanettamento, il magistrato di turno avalla la tesi della “collutazione”. L’autopsia riscontra la frattura di ben 12 costole e la presenza di sangue nell’addome, la Tac rivela di distacco del bacino, evidenti conseguenze dello schiacciamento del corpo. Le analisi tossicologiche indicano una presenza di sostanze stupefacenti del tutto insignificante. A marzo il pm chiede l’archiviazione sostenendo che la causa della morte è stata una crisi cardiaca. La famiglia presenta opposizione. Qual è stata la causa della crisi cardiaca? Perché è stato immobilizzato? Era forse in stato d’arresto? In questo caso, per quale reato? Le varie versioni degli agenti, mutate a più riprese, sono in patente contraddizione. “Gli venivano subito tolte le manette” è scritto spudoratamente nel verbale, mentre in verità gli sono state tenute per almeno 10 minuti, forse un quarto d’ora. L’ultima volante dei Carabinieri, sopraggiunta sul posto, descrive nel verbale “un uomo riverso a terra ancora ammanettato”. Ma quando Vittorio Marinelli fa notare al magistrato che questa è evidentemente la “causa prima efficiente” dell’arresto cardiaco, si sente rispondere dal leguleio che “la sua è un’inferenza”. Resta il fatto che prima di essere ammanettato Luigi Marinelli era vivo, dopo è morto. Queste sono le cosiddette forze del cosiddetto ordine, questa è la magistratura dell’Italia di oggi. Tornano alla mente le parole pronunciate da Marco Pannella in una conferenza stampa di un paio di anni fa: “Presidente Napolitano, tu sei il Capo di uno Stato di merda”.
Ferrara, via dell’Ippodromo. All’alba del 25 settembre 2005 muore a seguito di un controllo di polizia Federico Aldrovandi, 18 anni, scrive “Zic” il 15 febbario 2014. Dopo due anni di coperture e reticenze, durante i quali le versioni ufficiali sposavano la tesi della morte per overdose e dell’innocenza dei tutori dell’ordine, il 20 ottobre 2007 è iniziato il processo a quattro agenti, a novembre 2008 il “colpo di scena”, agli atti del processo una foto che mostrerebbe inequivocabilmente come causa di morte sia un ematoma cardiaco causato da una pressione sul torace, escludendo ogni altra ipotesi. Su questa immagine è acceso il dibattito, nelle ultime udienze della fase istruttoria, tra i periti chiamati a deporre dai legali dalla famiglia e quelli della difesa. Infine, il 6 luglio 2009, la condanna degli agenti. Il giudice: «Ucciso senza una ragione», imputati condannati a 3 anni e mezzo per eccesso colposo in omicidio colposo. Nel nostro speciale i resoconti di tutte le udienze. Altri agenti condannati nell’ambito del processo-bis, per i depistaggi dei primi giorni di indagine; una poliziotto condannato anche nel processo-ter. Il 9 ottobre 2010 il Viminale risarcisce alla famiglia due milioni di euro, una cifra che nel 2014 la Corte dei conti chiederà che venga pagata dai poliziotti. L’10 giugno 2011 si chiude il processo d’appello con la conferma delle condanne. Durissima la requisitoria della pg: “In quattro contro un’inerme, una situazione abnorme”. Gli agenti fanno ricorso in Cassazione che il 21 giugno 2012 rigetta, le condanne sono definitive (ma c’è l’indulto). Pg: “Schegge impazzite in preda al delirio”. A marzo 2013 provocazione del Coisp, un sindacatino di polizia che strappa il proprio quarto d’ora di notorietà manifestando sotto le finestre dell’ufficio di Patrizia Moretti. La città in piazza: “Lo scatto d’orgoglio”, A inizio 2013 poliziotti in carcere per scontare i 6 mesi di pena residua, Lino Aldrovandi a Zeroincondotta: “Non voglio nemmeno pensare che non li licenzino”, ma un anno dopo stanno per tornare in servizio. Il 15 febbraio 2014 manifestano in cinquemila: “Via la divisa”.
Bibbiano ed i bambini rapiti dallo Stato: primo grado condanna per Foti; secondo grado assoluzione per Foti. Come può cambiare l’approccio psicologico dei media e della società rispetto all’evoluzione dei fatti modificati dall’opinione di un giudice diverso dal precedente. Chi ha ragione: il primo o il secondo? E che dire della strumentalizzazione politica prima e dopo le sentenze? E la disinformazione dei Media prezzolati e/o partigiani? C’è chi guarda il Dito, ma la Luna indicata (i bambini rapiti dallo Stato) dovrebbe essere la pietra dello scandalo.
Antonio Giangrande: Editoriale. Parliamo un po’ della Giustizia italiana. La Giustizia dei paradossi.
Le maldicenze dicono che gli italiani sono un popolo di corrotti e corruttori e, tuttavia, scelgono di essere giustizialisti e di stare dalla parte dei Magistrati.
L’Opinione del dr. Antonio Giangrande. Scrittore, sociologo storico, blogger, youtuber, presidente dell’Associazione Contro Tutte le Mafie.
Sui media la Giustizia ha sempre un posto in primo piano nella loro personale scaletta, ma non sempre sono sinceri.
Parliamo del premier Matteo Renzi che, in occasione del 25 aprile 2016, celebra la "liberazione" dai pm con una lunga intervista a Repubblica. Il nocciolo del suo pensiero è tutto raccolto in poche frasi: "I politici che rubano fanno schifo. E vanno trovati, giudicati e condannati. Dire che tutti sono colpevoli significa dire che nessuno è colpevole. Esattamente l'opposto di ciò che serve all'Italia. Voglio nomi e cognomi dei colpevoli. Una politica forte non ha paura di una magistratura forte. È finito il tempo della subalternità. Il politico onesto rispetta il magistrato e aspetta la sentenza. Tutto il resto è noia, avrebbe detto Califano. Adesso la priorità è che si velocizzino i tempi della giustizia".
Poi, invece, si legge che sono stati denunciati i pm del caso Renzi: "Omesse indagini sulle spese pazze". Depositata l'accusa contro i pm che hanno archiviato il caso delle spese di Renzi: "Non hanno voluto indagare", scrive Giuseppe De Lorenzo, Martedì 05/01/2016, su “Il Giornale”.
Parliamo del Ministro della Giustizia Andrea Orlando che parla, tra le altre cose, di riforma della Prescrizione. Andrea Orlando. Primo guardasigilli non laureato che nel 2010 gli è stata ritirata patente per guida in stato di ebbrezza, scrive Federico Altea su “Elzeviro” il 27 febbraio 2014. Quaranticinquenne, non ha mai toccato la giustizia in incarichi pubblici, ma è stato nominato responsabile in materia in seno alla direzione del partito di cui fa parte, nominato da Bersani di cui è fedele compagno nella corrente nei Giovani turchi. In un'intervista al Foglio si disse favorevole al carcere duro. Non è di un politico "esperto" né di un tecnico intrallazzato che il dicastero della giustizia ha bisogno, ma di un giurista serio che conosca e riformi completamente il sistema penale e civile e restringa il più possibile la facoltà dei giudici di interpretare a loro piacimento il sistema giuridico. Una persona che abbia le competenze per riformare il sistema penitenziario. Andrea Orlando, sempre parlando di competenze in ambito di Giustizia o giuridiche in senso lato, non solo non ha la laurea in giurisprudenza, ma non ha ottenuto un diploma di laurea di alcun genere. Nella storia della Repubblica italiana è la prima volta che il Ministero della Giustizia viene affidato ad un non laureato. Tutti i trentatré predecessori di Orlando, infatti, erano laureati e ben ventisette guardasigilli erano laureati giurisprudenza. Da questo c’è da desumere che possa pendere dalle labbra degli esperti e tecnici interessati.
Parliamo delle toghe. Diceva Piero Calamandrei: “L’avvocato farà bene, se gli sta a cuore la sua causa, a non darsi l’aria di insegnare ai giudici quel diritto, di cui la buona creanza impone di considerarli maestri”. “I magistrati - diceva ancora Calamandrei - sono come i maiali. Se ne tocchi, uno gridano tutti. Non puoi metterti contro la magistratura, è sempre stato così, è una corporazione". Il giudice rappresenta il funzionario dello Stato, vincitore di concorso all’italiana, cui è attribuito impropriamente il Potere dello iuris dicere. Ossia di porre la parola fine ad una controversia, di attribuire ad uno dei contendenti il bene della vita conteso nel processo giurisdizionale, di iniziare e/o far finire i giorni della vita di un cittadino in una struttura penitenziaria. Il giudice è per sé stesso “un’Autorità”: ossia un Pubblico Ufficiale. L’avvocato, invece, non lo è. La considerazione è così banale, tanto è ovvia. L’avvocato è solo un esercente un servizio di pubblica necessità, divenuto tale in virtù di un criticato esame di abilitazione.
Il processo non può essere mai giusto, come definito in Costituzione, se nulla si può fare contro un magistrato ingiusto giudicato e giustificato dai colleghi, ovvero se in udienza penale l’avvocato si scontra contro le tesi dell’inquirente/requirente collega del giudicante.
La magistratura in Italia: ordine o potere? Secondo la classica tripartizione operata dal Montesquieu, i poteri dello Stato si suddividono in Potere legislativo spettante al Parlamento, Potere esecutivo spettante al Governo e Potere giudiziario spettante alla Magistratura. Questo al tempo della rivoluzione francese. Poi il diritto, per fortuna, si è evoluto. In Italia la Magistratura non può in nessun caso esercitare un potere dello Stato (Potere, nel vero senso della parola), infatti per poter parlare tecnicamente di Potere, e quindi di imperium, è necessario che esso derivi dal popolo o, come accadeva nei secoli passati, da Dio. Nelle moderne democrazie occidentali il concetto di potere è strettamente legato a quello di imperium proveniente dalla volontà popolare, quindi è del tutto pacifico affermare che gli unici organi – seppur con tutte le loro derivazioni – ad essere legittimati ad esercitare un Potere sono soltanto il Parlamento (potere legislativo) ed il Governo (potere esecutivo). In effetti l’art. 1 della Costituzione, nei principi fondamentali, recita: “La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”. Per rendere chiaro il concetto è sufficiente comprendere che nel momento in cui il Parlamento ed il Governo esercitano i propri poteri, lo fanno “in nome” e “per conto” del popolo da cui ne deriva l’investitura, quindi la Magistratura non può essere in alcun modo considerata un potere – in senso stretto – dello Stato; essa è solo un Ordine legittimato ad esercitare – “in nome” del popolo e non anche per conto di questo – la funzione giurisdizionale nei soli spazi delineati dalla Costituzione e, soprattutto, nel fedele rispetto della legge approvata dai soli organi deputati ad adottarla, quindi dal Parlamento e dal Governo, seppur quest’ultimo nei soli casi tassativamente previsti dalla Carta costituzionale. A dimostrazione di quanto premesso, la nostra Costituzione – della quale i giudici si dichiarano spesso i soli difensori – parla, non a caso, di Ordine Giudiziario e non di Potere. Difatti il Titolo Quarto della Carta costituzionale riporta scritto a chiare lettere, nella Sezione Prima, “Ordinamento giurisdizionale”, e non Potere; e a fugare ogni dubbio ci pensa l’art. 104 Cost.: “La magistratura costituisce un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere…”. Di questo, però, la sinistra politica non se ne capacita, continuando ad usare il termine Potere riferito alla magistratura, smentendo i loro stessi padri costituenti. Se fino alla fine degli anni Ottanta, quando vi erano veri politici a rappresentare il popolo, questo tipo di discussione non era neppure immaginabile, a partire dal 1992 – vale a dire da quando è iniziato un periodo di cronica debolezza della politica, ovvero quando la politica ha usato l’arma giudiziaria per arrivare al potere – la Magistratura ha cercato (come quasi sempre è accaduto nella Storia) di sostituirsi alla politica arrivando addirittura ad esercitare, talune volte anche esplicitamente, alcune prerogative tipiche del Parlamento e del Governo: un vero colpo di Stato. Non possiamo dimenticarci quando un gruppo di magistrati – durante il cosiddetto periodo di “mani pulite” – si presentò davanti alle telecamere per contrastare l’entrata in vigore di un legittimo – anche se discutibile – Decreto che depenalizzava il finanziamento illecito ai partiti (il cosiddetto Decreto Conso), violentando in tal modo sia il principio di autodeterminazione delle Camere che l’esercizio della sovranità popolare. E che dire della crociata classista, giacobina e corporativa racchiusa nelle parole “resistere, resistere, resistere…”! E poi i magistrati con la Costituzione tra le braccia al fine di ergersi ad unici difensori della stessa contro presunti attacchi da parte della politica. E che dire, poi, di alcune sentenze della Corte di Cassazione? Nascondendosi dietro l’importantissima funzione nomofilattica, la Suprema Corte spesso stravolge sia l’intenzione del Legislatore che il senso e la portata delle leggi stesse, se non addirittura inventarsi nuove norme, come per esempio "il concorso esterno nell'associazione mafiosa": un reato che non esiste tra le leggi. Per non parlare, poi, della mancata applicazione della legge, come quella della rimessione del processo in altri fori per legittimo sospetto di parzialità. Spesso la Magistratura si difende affermando di non svolgere nessuna attività politica, ma si smentisce perché all’interno del Consiglio Superiore della Magistratura ci sono delle vere e proprie correnti. Ma le correnti non sono tipiche dei partiti politici? E poi, per quale motivo gli organi rappresentativi dell’associazione nazionale magistrati vanno di frequente in televisione per combattere la crociata contro un qualsiasi progetto di riforma della giustizia che investa anche l’ordine giudiziario? E perché, questi stessi, i più animosi tra le toghe, inducono i politici a loro vicini ad adottare leggi giustizialiste ad uso e consumo della corporazione? Ma i magistrati non sono tenuti soltanto ad applicare le leggi dello Stato? Per quale ragione alcuni magistrati, pur mantenendosi saldamente attaccati alla poltrona di pubblico ministero o di organo giudicante, scelgono di fare politica, arrivando addirittura a candidarsi alle elezioni senza avere neppure la delicatezza di dimettersi dalle funzioni giudiziarie?
Parliamo infine delle vittime della malagiustizia. Si parla poco, ma comunque se ne parla, inascoltati, del problema degli errori giudiziari e delle ingiuste detenzioni, così come della lungaggine dei processi. Così come si discute poco, ma si discute, inascoltati, del problema dei risarcimenti del danno e degli indennizzi, pian piano negati. Delle vittime della malagiustizia si parla di un ammontare di 5 milioni dal 1945. Ogni anno in Italia 7 mila persone arrestate e poi giudicate innocenti. Almeno a guardare i numeri del ministero della Giustizia. Dal 1992 il Tesoro ha pagato 630 milioni di euro per indennizzare quasi 25 mila vittime di ingiusta detenzione, 36 milioni li ha versati nel 2015 e altri 11 nei primi tre mesi del 2016. Queste vittime della malagiustizia li vedi, come forsennati, a raccontare perpetuamente sui social network, inascoltati, le loro misere storie. Sono tanti, come detto 5 milioni negli ultimi 60 anni. Poi ci sono i parenti e gli affini da aggiungere a loro. Un numero smisurato: da plebiscito. Solo che poi si constata che in effetti nulla cambia, anzi si evolve, con ipocrisia e demagogia, al peggio, spinti dai media giustizialisti che incutono timore con delle parole d’ordine: “Insicurezza ed impunità. Tutti dentro e si butta la chiave”. Allora vien da chiedersi con un intercalare che rende l’idea: “Ma queste vittime dell’ingiustizia a chi cazzo votano, se vogliono avere ristoro? Sarebbe il colmo se votassero, da masochisti, proprio i politici giustizialisti che nelle piazze gridano: onestà, onestà, onestà…consapevoli di essere italiani, o che votassero i politici giustizialisti che, proni e timorosi, si offrono ai magistrati. Quei magistrati che ingiustamente hanno condannato o hanno arrestato le vittime innocenti, spinti dalla folla inneggiante e plaudente, disinformata dai media amici delle toghe! Sarebbe altresì il colmo se le vittime innocenti votassero quei politici che stando al potere non hanno saputo nemmeno salvare se stessi dall’ingiusta gogna.
Se così fosse, allora, cioè, si fosse dato un voto sbagliato a destra, così come a sinistra, con questo editoriale di che stiamo parlando?
Antonio Giangrande: DIRITTO E GIUSTIZIA. I TANTI GRADI DI GIUDIZIO E L’ISTITUTO DELL’INSABBIAMENTO.
In Italia, spesso, ottenere giustizia è una chimera. In campo penale, per esempio, vige un istituto non previsto da alcuna norma, ma, di fatto, è una vera consuetudine. In contrapposizione al Giudizio Perenne c’è l’Insabbiamento.
Rispetto al concorso esterno all’associazione mafiosa, un reato penale di stampo togato e non parlamentare, da affibbiare alla bisogna, si contrappone una norma non scritta in procedura penale: l’insabbiamento dei reati sconvenienti.
A chi è privo di alcuna conoscenza di diritto, oltre che fattuale, spieghiamo bene come si forma l’insabbiamento e quanti gradi di giudizio ci sono in un sistema che a livello scolastico lo si divide con i fantomatici tre gradi di giudizio.
Partiamo col dire che l’insabbiamento è applicato su un fatto storico corrispondente ad un accadimento che il codice penale considera reato.
Per il sistema non è importante la punizione del reato. E’ essenziale salvaguardare, non tanto la vittima, ma lo stesso soggetto amico, autore del reato.
A fatto avvenuto la vittima incorre in svariate circostanze che qui si elencano e che danno modo a più individui di intervenire sull’esito finale della decisione iniziale.
La vittima, che ha un interesse proprio leso, ha una crisi di coscienza, consapevole che la sua querela-denuncia può recare nocumento al responsabile, o a se stessa: per ritorsione o per l’inefficienza del sistema, con le sue lungaggini ed anomalie. Ciò le impedisce di proseguire. Se si tratta di reato perseguibile d’ufficio, quindi attinente l’interesse pubblico, quasi sempre il pubblico ufficiale omette di presentare denuncia o referto, commettendo egli stesso un reato.
Quando la denuncia o la querela la si vuol presentare, scatta il disincentivo della polizia giudiziaria.
Ti mandano da un avvocato, che si deve pagare, o ti chiedono di ritornare in un secondo tempo. Se poi chiedi l’intervento urgente delle forze dell’ordine con il numero verde, ti diranno che non è loro competenza, ovvero che non ci sono macchine, ovvero di attendere in linea, ovvero di aspettare che qualcuno arriverà………
Quando in caserma si redige l’atto, con motu proprio o tramite avvocato, scatta il consiglio del redigente di cercare di trovare un accordo e poi eventualmente tornare per la conferma.
Quando l’atto introduttivo al procedimento penale viene sottoscritto, spesso l’atto stanzia in caserma per giorni o mesi, se addirittura non viene smarrito o dimenticato…
Quando e se l’atto viene inviato alla procura presso il Tribunale, è un fascicolo come tanti altri depositato su un tavolo in attesa di essere valutato. Se e quando….. Se il contenuto è prolisso, non viene letto. Esso, molte volte, contiene il nome di un magistrato del foro. Non di rado il nome dello stesso Pubblico Ministero competente sul fascicolo. Il fascicolo è accompagnato, spesso, da una informativa sul denunciante, noto agli uffici per aver presentato una o più denunce. In questo caso, anche se fondate le denunce, le sole presentazioni dipingono l’autore come mitomane o pazzo.
Dopo mesi rimasto a macerare insieme a centinaia di suoi simili, del fascicolo si chiede l’archiviazione al Giudice per le Indagini Preliminari. Questo senza aver svolto indagini. Se invece vi è il faro mediatico, allora scatta la delega delle indagini e la comunicazione di garanzia alle varie vittime sacrificali. Per giustificare la loro esistenza, gli operatori, di qualcuno, comunque, ne chiedono il rinvio a giudizio, quantunque senza prove a carico.
Tutti i fascicoli presenti sul tavolo del Giudice per l’Udienza Preliminare contengono le richieste del Pubblico Ministero: archiviazione o rinvio a giudizio. Sono tutte accolte, a prescindere. Quelle di archiviazione, poi, sono tutte accolte, senza conseguire calunnia per il denunciante, anche quelle contro i magistrati del foro. Se poi quelle contro i magistrati vengono inviate ai fori competenti a decidere, hanno anche loro la stessa sorte: archiviati!!!
Il primo grado si apre con il tentativo di conciliazione con oneri per l’imputato e l’ammissione di responsabilità, anche quando la denuncia è infondata, altrimenti la condanna è già scritta da parte del giudice, collega del PM, salvo che non ci sia un intervento divino, (o fortemente terrestre sul giudice), o salvo che non interviene la prescrizione per sanare l’insanabile. La difesa è inadeguata o priva di potere. Ci si tenta con la ricusazione o con la rimessione per legittimo sospetto che il giudice sia inadeguato, ma in questo caso la norma è stata sempre disapplicata dalle toghe della Cassazione.
Il secondo grado si apre con la condanna già scritta, salvo che non ci sia un intervento divino, (o fortemente terrestre sul giudice), o salvo che non interviene la prescrizione per sanare l’insanabile. Le prove essenziali negate in primo grado, sono rinegate.
In terzo grado vi è la Corte di Cassazione, competente solo sull’applicazione della legge. Spesso le sue sezioni emettono giudizi antitetici. A mettere ordine ci sono le Sezioni Unite. Non di rado le Sezioni Unite emettono giudizi antitetici tra loro. Per dire, la certezza del diritto….
Durante il processo se hai notato anomalie e se hai avuto il coraggio di denunciare gli abusi dei magistrati, ti sei scontrato con una dura realtà. I loro colleghi inquirenti hanno archiviato. Il CSM invece ti ha risposto con una frase standard: “Il CSM ha deliberato l’archiviazione non essendovi provvedimenti di competenza del Consiglio da adottare, trattandosi di censure ad attività giurisdizionale”.
Quando il processo si crede che sia chiuso, allora scatta l’istanza al Presidente della Repubblica per la Grazia, ovvero l’istanza di revisione perchè vi è stato un errore giudiziario. Petizioni quasi sempre negate.
Alla fine di tutto ciò, nulla è definitivo. Ci si rivolge alla Corte Europea dei diritti dell’Uomo, che spesso rigetta. Alcune volte condanna l’Italia per denegata giustizia, ma solo se sei una persona con una difesa capace. Sai, nella Corte ci sono italiani.
Per i miscredenti vi è un dato, rilevato dal foro di Milano tratto da un articolo di Stefania Prandi del “Il Fatto Quotidiano”. “Per le donne che subiscono violenza spesso non c’è giustizia e la responsabilità è anche della magistratura”. A lanciare l’accusa sono avvocate e operatrici della Casa di accoglienza delle donne maltrattate di Milano che puntano il dito contro la Procura della Repubblica di Milano, “colpevole” di non prendere sul serio le denunce delle donne maltrattate. Secondo i dati su 1.545 denunce per maltrattamento in famiglia (articolo 572 del Codice penale) presentate da donne nel 2012 a Milano, dal Pubblico ministero sono arrivate 1.032 richieste di archiviazione; di queste 842 sono state accolte dal Giudice per le indagini preliminari. Il che significa che più della metà delle denunce sono cadute nel vuoto. Una tendenza che si conferma costante nel tempo: nel 2011 su 1.470 denunce per maltrattamento ci sono state 1.070 richieste di archiviazione e 958 archiviazioni. Nel 2010 su 1.407 denunce, 542 sono state archiviate.
«La tendenza è di archiviare, spesso de plano, cioè senza svolgere alcun atto di indagine, considerando le denunce manifestazioni di conflittualità familiare – spiega Francesca Garisto, avvocata Cadmi – Una definizione, questa, usata troppe volte in modo acritico, che occulta il fenomeno della violenza familiare e porta alla sottovalutazione della credibilità di chi denuncia i maltrattamenti subiti. Un atteggiamento grave da parte di una procura e di un tribunale importanti come quelli di Milano». Entrando nel merito della “leggerezza” con cui vengono affrontati i casi di violenza, Garisto ricorda un episodio accaduto di recente: «Dopo una denuncia di violenza anche fisica subita da una donna da parte del marito, il pubblico ministero ha richiesto l’archiviazione de plano qualificandola come espressione di conflittualità familiare e giustificando la violenza fisica come possibile legittima difesa dell’uomo durante un litigio».
Scarsa anche la presa in considerazione delle denunce per il reato di stalking (articolo 612 bis del codice penale). Su 945 denunce fatte nel 2012, per 512 è stata richiesta l’archiviazione e 536 sono state archiviate. Per il reato di stalking quel che impressiona è che le richieste di archiviazione e le archiviazioni sono aumentate, in proporzione, negli anni. In passato, infatti, la situazione era migliore: 360 richieste di archiviazione e 324 archiviazioni su 867 denunce nel 2011, 235 richieste di archiviazione e 202 archiviazioni su 783 denunce nel 2010. Come stupirsi, dunque, che ci sia poca fiducia nella giustizia da parte delle donne? Manuela Ulivi, presidente Cadmi ricorda che soltanto il 30 per cento delle donne che subiscono violenza denuncia. Una percentuale bassa dovuta anche al fatto che molte, in attesa di separazione, non riescono ad andarsene di casa ma sono costrette a rimanere a vivere con il compagno o il marito che le maltrattata. Una scelta forzata dettata spesso dalla presenza dei figli: su 220 situazioni di violenza seguite dal Cadmi nel 2012, il 72 per cento (159) ha registrato la presenza di minori, per un totale di 259 bambini.
Non ci dobbiamo stupire poi se la gente è ammazzata per strada od in casa. Chiediamoci quale fine ha fatto la denuncia presentata dalla vittima. Chiediamoci se chi ha insabbiato non debba essere considerato concorrente nel reato.
Quando la giustizia è male amministrata, la gente non denuncia e quindi meno sono i processi, finanche ingiusti. Nonostante ciò vi è la prescrizione che per i più, spesso innocenti, è una manna dal cielo. In queste circostanze vien da dire: cosa hanno da fare i magistrati tanto da non aver tempo per i processi e comunque perché paghiamo le tasse, se non per mantenerli?
Dr Antonio Giangrande
Antonio Giangrande: Di Pietro, Grillo, il Movimento 5 Stelle e gli “utili idioti giustizialisti”.
L’Opinione del dr. Antonio Giangrande. Scrittore, sociologo storico, blogger, youtuber, presidente dell’Associazione Contro Tutte le Mafie.
Le incalzanti notizie di cronaca giudiziaria provocano reazioni variegate tra i cittadini della nostra penisola. Sgomento, sorpresa, sdegno, compassione o incredulità si alternano nei discorsi tra i cittadini. Ma emerge, troppo spesso, una ipocrisia di fondo che è la stessa che attraversa, troppo spesso, la nostra società. Ma… chi è onesto al cento per cento? Credo nessuno, nemmeno il Papa. Chi non ha fatto fare qualche lavoretto in nero? Chi ha fatturato ogni lavoro eseguito? Chi ha sempre pagato l’iva? Chi ha dichiarato l’esatta metratura dei propri locali, per evitare di pagare più tasse sulla spazzatura? Chi lavora per raccomandazione o ha vinto un concorso truccato? Chi è un falso invalido o un baby pensionato? Chi per una volta non ha marinato l’impiego pubblico? Ecc.. Chi è senza peccato scagli la prima pietra! Naturalmente, quando non paghiamo qualche tassa, ci giustifichiamo in nome della nostra “onestà” presunta, oppure del fatto che fan tutti così: “Io non sono un coglione”! E così via…
Ecco allora che mi sgranano gli occhi all'ultimo saluto a Casaleggio il 14 aprile 2016. La folla grida “Onestà, onestà, onestà”, frase di sinistroide e giustizialistoide natali. "Onestà, onestà". Questo lo slogano urlato a più riprese dai militanti del M5S alla fine dei funerali del cofondatore Roberto Casaleggio a Milano. Applausi scroscianti non solo al feretro, ma anche ai parlamentari presenti a Santa Maria delle Grazie, tra cui Alessandro Di Battista e Luigi Di Maio. Abbracci, lacrime e commozione fra i parlamentari all'uscita.
“La follia di fare dell'onestà un manifesto politico”, scrive Alessandro Sallusti, Venerdì 15/04/2016, su "Il Giornale". «Gli unici onesti del Paese sarebbero loro, come vent'anni fa si spacciavano per tali i magistrati del pool di Mani pulite, come tre anni fa sosteneva di esserlo il candidato del Pd Marino contrapposto a Roma ai presunti ladri di destra. Come tanti altri. Io non faccio esami di onestà a nessuno, me ne guardo bene, ma per lavoro seguo la cronaca e ho preso atto di un principio ineluttabile: chi di onestà colpisce, prima o poi i conti deve farli con la sua, di onestà. Lo sa bene Di Pietro, naufragato sui pasticci immobiliari del suo partito; ne ha pagato le conseguenze Marino con i suoi scontrini taroccati; lo stesso Grillo, a distanza di anni, non ha ancora smentito le notizie sui tanti soldi in nero che incassava quando faceva il comico di professione».
In pochi, pochissimi lo sanno. Ma prima di diventare il guru del Movimento 5 Stelle di Beppe Grillo, Gianroberto Casaleggio aveva avuto rapporti con la politica attraverso le sue società di comunicazione. In particolare con un politico anni fa molto in voga e oggi completamente in disgrazia: Antonio Di Pietro.
«E' così, quando vedono una figura che potrebbe offuscare o affiancare la popolarità di Grillo, i vertici del Movimento si affrettano a epurarla». La sua storia, dall'appoggio incondizionato ricevuto all'allontanamento improvviso, è il simbolo del rapporto tra l'Italia dei Valori e Beppe Grillo, scrive Francesco Oggiano il 22 giugno 2012 su “Vanity Faire”. Il partito dell'ex pm è da sempre quello più vicino per contenuti al Movimento. Il sodalizio è iniziato con la nascita del blog ed è continuato almeno fino agli scorsi mesi. Grillo ha sempre sostenuto l'ex pm, definito una «persona perbene» e soprannominato «Kryptonite», per essere rimasto «l'unico a fare veramente opposizione al Governo Berlusconi». I «vertici» sarebbero quelli della Casaleggio Associati, società fondata dal guru Gianroberto che cura la comunicazione del Movimento 5 Stelle. La «figura» in ascesa era lei, Sonia Alfano. 40 anni, l'esplosiva eurodeputata eletta con l'Idv, poi diventata Presidente della Commissione Antimafia europea, arrivando al culmine di una carriera accidentata (prima la rottura con Grillo, poi con l'Idv) iniziata nel 2008. Figlia del giornalista Beppe assassinato dalla mafia, l'eurodeputata è stata la prima ad aver creato una lista civica regionale certificata da Grillo, nel 2008. Già attiva da tempo nel Meetup di Palermo, si presentò in Sicilia ignorata dai media tradizionali e aiutata dal comico prese il 3% e 70 mila preferenze. «Alla vigilia delle elezioni europee del 2009, Grillo e Di Pietro vennero da me e mi chiesero di candidarmi a Strasburgo. Io non sapevo neanche di che si occupava l'Europarlamento», racconta oggi. Perché Casaleggio avrebbe dovuto allontanare due europarlamentari popolari come Sonia Alfano e Luigi De Magistris? Chiede Francesco Oggiano a Sonia Alfano: «La mia sensazione è che quando i vertici del Movimento annusano una figura "carismatica" che può offuscare, o quantomeno affiancare, la leadership mediatica di Grillo, diano inizio all'epurazione».
Già dal gennaio 2003 il Presidente dell'Associazione Contro Tutte le Mafie, dr Antonio Giangrande, in una semideserta ed indifferente assemblea dell'IDV a Bari, in presenza di Antonio Di Pietro e di Carlo Madaro (il giudice del caso Di Bella) criticò il modo di fare nell'IDV. L'allora vice presidente provinciale di Taranto contestò alcuni punti, che furono causa del suo abbandono: Diritto di parola in pubblico e strategie politiche esclusiva di Di Pietro; dirigenti "Yes-man" scelti dal padre-padrone senza cultura politica, o transfughi da altri partiti, o addirittura con troppa scaltrezza politica, spesso allocati in territori non di competenza (in Puglia nominato commissario il lucano Felice Bellisario); IDV presentato come partito della legalità-moralità in realtà era ed è il partito dei magistrati, anche di quelli che delinquono impunemente; finanziamenti pubblici mai arrivati alla base, così come ne hanno tanto parlato gli scandali mediatici e giudiziari.
Ma non è questo che fa pensare cento volte prima di entrare in un movimento insipido come il M5S. Specialmente a chi, come me, per le sue campagne di legalità contro i poteri forti è oggetto perpetuo degli strali dei magistrati. Incensurato, ma per quanto?
FU IL TENENTE GIUSEPPE DI BELLO IL PRIMO A SCOPRIRE L’INQUINAMENTO IN BASILICATA, PER PUNIZIONE LO DENUNCIARONO PER “PROCURATO ALLARME!” Tenente della polizia provinciale di Potenza denuncia l’inquinamento e perde la divisa. A Potenza viene sospeso e condannato. Il caso affrontato con un servizio di Dino Giarrusso su "Le Iene" del 17 aprile 2016. “Io rovinato per aver fatto il mio dovere. E per aver raccontato i veleni del petrolio in Basilicata prima di tutti”. In un colloquio lo sfogo di Giuseppe Di Bello, tenente di polizia provinciale ora spedito a fare il custode al museo di Potenza per le sue denunce sull'inquinamento all'invaso del Pertusillo, scrive Antonello Caporale il 4 aprile 2016 su "Il Fatto Quotidiano". «La risposta delle istituzioni è la sentenza con la quale vengo condannato a due mesi e venti giorni di reclusione, che in appello sono aumentati a tre mesi tondi. Decido di candidarmi alle regionali, scelgo il Movimento Cinquestelle. Sono il più votato nella consultazione della base, ma Grillo mi depenna perché sono stato condannato, ho infangato la divisa, sporcato l’immagine della Basilicata. La Cassazione annulla la sentenza (anche se con rinvio, quindi mi attende un nuovo processo). Il procuratore generale mi stringe la mano davanti a tutti. La magistratura lucana ora si accorge del disastro ambientale, adesso sigilla il Costa Molina. Nessuno che chieda a chi doveva vedere e non ha visto, chi doveva sapere e ha taciuto: e in quest’anni dove eravate? Cosa facevate?».
A questo punto ritengo che i movimenti a monoconduttura o padronali, che basano il loro credo sulla propria presunta onestà per non inimicarsi i magistrati, ovvero per non essere offuscati dall’ombra degli eroi che combattono i poteri forti e ne subiscono le ritorsioni giudiziarie, vogliano nelle loro fila solo “utili idioti”. Cioè persone che non hanno una storia da raccontare, o un’esperienza vissuta; non hanno un bacino elettorale che ne conosca le capacità. Insomma i padroni del movimento vogliono dei “Yes-Man” proni al volere dei loro signori. “Utili idioti” scelti in “camera caritatis” o a forza di poche decine di click su un blog imprenditoriale. “Utili idioti” sui quali fare i conti in tasca: sia mai che guadagnino più del loro guru. A pensarci bene, però, gli altri partiti non è che siano molto diversi dal Movimento 5 Stelle o l’IDV. La differenza è che gli altri non gridano all’onestà, ben sapendo di essere italiani.
Antonio Giangrande: Io che mi occupo della prassi, ben conoscendo anche la legge e la sua personalistica applicazione corporativa (dei magistrati) e lobbistica (degli avvocati), posso dire che ci sono verità indicibili.
Mai si dirà in convegni giudiziari o forensi che da un lato ci sono le misure di prevenzione (inefficienti ed inique perché mai al passo con i tempi ragionevoli del processo e spesso incongruenti con le risultanze processuali di assoluzione, vedi i Cavallotti) e dall’altra le confische (conseguenti a processi dubbi, vedi Francesco Cavallari, mafioso per associazione, ma senza sodali) ed i procedimenti fallimentari con le aste truccate.
L’arbitrio dei magistrati sia in fase di misure cautelari e di prevenzione, sia in fase di confisca o di gestione e vendita dei beni confiscati o sequestrati (anche in sede civilistica con i fallimenti), non sono altro che strumenti di espropriazione illegale di aziende, spesso sane, per mantenere in modo vampiresco un sistema di potere, di cui i magistrati sono solo strumento, ma non beneficiari come lo sono il monopolio associativo di una certa antimafia o il sistema di gestione che è prevalentemente forense. Questo sistema è coperto dalla disinformazione dei media genuflessi a chi, dando vita alle liturgie antimafia, usufruisce dei vantaggi politici per generare ulteriore potere di restaurazione.
Se a qualcuno interessa ho scritto un libro, “la mafia dell’antimafia”, sui benefici che si producono per fare antimafia. In più ho scritto “Usuropoli e Fallimentopoli. Usura e fallimenti truccati”, che parla di usurpazione di beni privati a vantaggio di un sistema di potere insito nei palazzi di giustizia.
Insomma: si toglie ai poveri per dare ai ricchi. E se qualcuno parla (come Pino Maniaci che “Muto deve stare”), scatta la ritorsione.
Si badi bene: nessuno mi chiamerà per parlare di questo fenomeno, che è nazionale, in convegni organizzati nei fori giudiziari, né nessuna vittima pavida di questo fenomeno si prenderà la briga di divulgare queste verità, attraverso i miei saggi. Ecco perché si parlerà sempre di aria fritta e non ci sarà mai una rivoluzione che miri a ribaltare la prassi, più che a cambiare le norme.
"Purgare l'infamia". La giustizia penale di Alessandro Manzoni, la macchina del tempo che dopo secoli fotografa la società vendicativa. Mario Taddeucci Sassolini su Il Riformista l'1 Agosto 2023
Garantismo è un sostantivo che illustra un concetto auto portante: la garanzia compendia al suo interno la necessità di rispettarla. Rovesciando l’argomento: dove non c’è rispetto della norma posta a tutela dell’individuo non può ragionarsi di garanzia. La quale cosa esclude che la dicotomia garanzia/giustizia abbia un qualche senso logico, oltre che giuridico: un processo in esito al quale un giudice giunga ad una decisone nel rispetto delle norme poste a tutela dell’imputato è, al tempo stesso, espressione di giustizia e sigillo di garanzia.
Viceversa i termini diventano collidenti nel momento in cui vengono utilizzati come corpi contundenti in un ragionamento pseudo-politico di scarsissima qualità; sicché, secondo la logica di codesti modesti epigoni di Catone, pretendere il rispetto delle regole del giudicare significa sfuggire al giudizio (qualche mente creativa ha partorito filastrocche pre- adolescenziali del tipo “difendersi dal processo e non nel processo”), salvo rammentarsi della centralità del concetto di garanzia quando si rende necessario adattarla alla propria causa.
Contro questa volgarizzazione, sempre più incombente, giova ritornare ai fondamentali e, al proposito, soccorre un piccolo, intenso, erudito pamphlet scritto da Gaetano Insolera: “La giustizia penale di Alessandro Manzoni”, Mucchi Editore. Centrale nella narrazione di Insolera è la Storia della colonna infame, cronaca manzoniana del processo milanese contro due presunti untori la quale, nella edizione Quarantana, fu posta in calce al romanzo dei Promessi Sposi. Insolera valorizza questa lettura simultanea, dalla quale cogliere l’idea di Manzoni della giustizia “che nelle mani degli uomini può assumere tutte le imperfezioni: passioni, ferocia, ignavia, falsità. Storture con la tentazione – questa si demoniaca – di usarle per ottenere, con il processo criminale, una verità che corrisponda a quella che si vuole ottenere perché tale deve essere.”.
L’attualità del pensiero manzoniano è dimostrata dalla fungibilità di taluni “istituti” che trapassano il tempo senza sostanzialmente mutare.
Così la figura del chiamante in correità, reso tale dalla tortura, che nel racconto manzoniano vede Piazza accusare Mora di concorso in unzione e che trova perfetta rispondenza nell’utilizzo della carcerazione preventiva (e nei fini sottesi) in recenti pagine della nostra storia giudiziaria; così, ancora, la tecnica inquisitoria che vuole condurre il dichiarante alla menzogna poiché “volevano che si confessasse bugiardo una sola volta, per acquistare il diritto di non credergli quando avrebbe detto: sono innocente”.
Questa immanenza della idea manzoniana di giustizia e del suo articolarsi in forme ancora attuali suona come ammonizione. Ne scorse l’importanza Sciascia nel suo scritto “i burocrati del Male”, introduzione ad una edizione della Storia della colonna infame. A fronte del tentativo, anch’esso attuale, di dare una lettura storicistica alle vicende di giustizia, secondo la quale ciò che è stato (nel passato come nel presente) così doveva essere, Sciascia oppone un grido di allarme evocando “una battaglia che ancora oggi va combattuta: contro uomini come quelli, contro istituzioni come quelle. Poiché il passato, il suo errore, il suo male, non è mai passato: e dobbiamo continuamente viverlo e giudicarlo nel presente, se vogliamo essere davvero storicisti. Il passato che non c’è più – l’istituto della tortura abolito, il fascismo come passeggera febbre di vaccinazione – s’appartiene a uno storicismo di profonda malafede se non di profonda stupidità. La tortura c’è ancora”.
La tortura, la medesima tortura che i personaggi manzoniani subivano “per purgare l’infamia”, c’è ancora ed è rinvenibile in moderne forme di cautela dell’indagato, in taluni istituti “d’emergenza” contrari al senso di umanità ma vissuti come strumenti indispensabili in una società drogata di parole d’ordine volgari, nell’ordinamento penitenziario, nelle scarse risorse investite nell’esecuzione penale e nella scelta di dimenticare il recluso nella sua cella, salvo dolersi se costui nuovamente delinque una volta libero.
Questa sorta di macchina del tempo che mette in contatto la Milano del 1600 e i giorni nostri pone a nudo una continuità che dovrebbe far vergognare i diffusori del retrivo pensiero neo oscurantista. La sola idea che certe corticali anomalie si ripetano nei secoli dovrebbe far inorridire chiunque, ma non, evidentemente, i decerebrati cantori della bellezza del suono delle manette.
Non esiste antidoto al veleno che si insinua in una società vendicativa, sobillata per ritorno elettorale, se non la scelta di praticare la cultura della conoscenza in opposizione alla negromanzia inquisitoria praticata da legioni di buffoni a pagamento: in questa materia, infatti, non troverete mai idee gratuite. Sono tutte declinate da neo questurini a favore di un sottobosco perverso di nulla essenti, che si nutrono dei mattinali di questura. A 2 euro, in edicola. Mario Taddeucci Sassolini
«Anche oggi il “tribunale del popolo” non assolve e condanna l’indagato alla pena della vergogna». Vittorio Manes, avvocato e ordinario di Diritto penale presso l’Alma Mater Studiorum-Università di Bologna-
Parla Vittorio Manes: «Il saggio di Manzoni è un'opera straordinaria per molte ragione, ed è un "classico" perché ha come nota caratterizzante la inesauribile attualità e persistenza dei temi e dei problemi trattati». Gennaro Grimolizzi Il Dubbio l'8 maggio 2023
A distanza di circa duecento anni, la “Storia della Colonna infame” di Alessandro Manzoni continua a essere attuale. Errori da parte di chi giudica, abusi e pregiudizi si sono verificati anche dopo il capolavoro manzoniano, fino ai nostri giorni. Cambiano le epoche, ma alcuni strumenti per stritolare la dignità umana esistono ancora. Ne abbiamo parlato con Vittorio Manes, avvocato e ordinario di Diritto penale presso l’Alma Mater Studiorum-Università di Bologna, autore del libro “Giustizia mediatica. Gli effetti perversi sui diritti fondamentali e sul giusto processo” (Il Mulino).
Anche oggi il tribunale del popolo non assolve e condanna l’indagato alla pena della vergogna.
La difesa è diritto inviolabile.
Art. 24 della Costituzione. Testo in vigore dal: 1-1-1948
Tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi.
La difesa è diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento.
Sono assicurati ai non abbienti, con appositi istituti, i mezzi per agire e difendersi davanti ad ogni giurisdizione.
La legge determina le condizioni e i modi per la riparazione degli errori giudiziari.
Nemo tenetur se detegere. Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
La locuzione latina nemo tenetur se detegere (anche nelle forme nemo tenetur se ipsum accusare e nemo tenetur edere contra se) esprime il principio di diritto processuale penale in forza del quale nessuno può essere obbligato ad affermare la propria responsabilità penale (auto-incriminazione).
Il Principio di Legalità, in base al quale nessuno può essere punito se un fatto non è considerato reato da un’apposita dello Stato, è sancito dall’art. 25 della Costituzione e dal Codice Penale agli articoli 1 e 199. Da questo si deduce che il Principio di Legalità non è altro che il rispetto della Legge.
Invece no!
Il Principio di Legalità non è solo in rispetto della Legge, ma ogni atteggiamento e comportamento conforme al principio di quella Legge.
Per esempio. Prendiamo il caso di un Giudice che presiede un processo. Lui con sua esclusiva discrezione esamina e condanna un imputato.
Ma se il Giudice è tale in virtù di un concorso truccato;
Ma se il Giudice ha picchiato la moglie;
Non si evince nulla di tutto questo, perché un suo collega dell’Ufficio del Pubblico Ministero ha insabbiato tutto.
Altro esempio. Il Giudice ammette le prove. Sarà veritiero il verdetto frutto di una esclusione di una prova fondamentale a discrimine?
La moglie di Cesare deve non solo essere onesta, ma anche sembrare onesta.
Figura chiave nei processi è il Testimone. La Testimonianza è il mezzo di prova. Il Contenuto della Testimonianza è la Prova.
La testimonianza è la rappresentazione soggettiva di un fatto e vi è giuramento in udienza in sede di deposizione, in caso di falsità e reticenza vi è condanna.
La testimonianza contro se stessi è una CONFESSIONE e non vi è giuramento in udienza in sede di esame, per il principio dell’autodifesa.
La testimonianza si avvale di ricordi.
Memoria e ricordo. Contenitore e contenuto.
Il Ricordo si avvale di più fasi:
Acquisizione e codificazione;
Ritenzione ed immagazzinamento;
Stabilizzazione dell’informazione in memoria e ritenzione dell’informazione stessa per un determinato lasso di tempo;
Recupero:
La rievocazione si ha, quando si richiama alla mente ciò che è stato appreso e immagazzinato senza alcun aiuto
Il riconoscimento è la capacità di ricordare e identificare un determinato elemento, scegliendolo tra altri.
VERIDICITA’ ED AFFIDABILITA’ DEL TESTE E DELL’IMPUTATO.
Veridicità e affidabilità del teste
Affidabilità. Falsi Ricordi. Analisi oggettiva delle distorsioni della percezione che la falsifichino rispetto quanto effettivamente percepito dai sensi e codificato nella memoria.
Veridicità.
Manipolazione propria della narrazione che la falsifichino rispetto quanto effettivamente decodificato dalla memoria, questo può accadere:
– Volontariamente, laddove il soggetto sia dolosamente menzognero o reticente, in questo caso l’atteggiamento del testimone o dell’imputato che non si avvalga della facoltà di non rispondere è punito dall’ordinamento per il reato di falsa testimonianza o false dichiarazioni al PM.
bugie caratteriali (bugie di timidezza, bugie di discolpa, bugie gratuite);
bugie di evitamento (evitare la punizione, difendere la privacy);
bugie di difesa (bugie per proteggere se stessi o gli altri);
bugie di acquisizione (bugie per acquistare prestigio, per ottenere un vantaggio);
bugie alle quali lo stesso autore crede (pseudologie);
autoinganno.
– Involontariamente, quando il fatto narrato è distorto per meccanismi psicologici di difesa, suggestioni, per effetto di condizionamenti o per incapacità permanenti o temporanee e per qualsiasi altra ragione che escludano una cosciente volontà. In questi casi il soggetto, sotto il profilo giuridico, non è responsabile, poiché i reati che puniscono il testimone reticente o mendace sono esclusivamente dolosi e non prevedono neanche la fattispecie colposa o il reato tentato.
Manipolazione di Terzi della narrazione che la falsifichino rispetto quanto effettivamente decodificato dalla memoria, questo può accadere:
Addestrato. L’addestramento è un processo molto importante in quanto comprende una serie di comportamenti o l’inculcamento di nozioni che, a furia di venire ripetute e studiate, possono diventare proprie del soggetto.
Estorto. Come estorcere una confessione.:
Sfinimento psicologico per rendere vulnerabile il soggetto. MENTAL EXHAUSTION.
La stanchezza. Molte ore di interrogatorio con la reiterata accusa di colpevolezza. La promessa di una via d’uscita. THE PROMISE OF ESCAPE.
Farlo sentire in trappola quando è stanco, esausto, in disagio, claustrofobia. Offrire una ricompensa. OFFER A REWARD.
Lo stato di disagio psicologico o bisogno fisico (fame, sete, freddo, caldo, andare al bagno) o per salvare una persona amata da un imminente pericolo di coinvolgimento o con la concessione a questa di uno sconto di pena. Suggerire le parole per la confessione. FORCING LANGUAGE
Valore costituzionale
Tale principio trova accoglimento nel Codice di Procedura Penale di molti paesi, a partire dal V emendamento della Costituzione degli Stati Uniti d'America, laddove si afferma che nessuno «può essere obbligato in qualsiasi causa penale a deporre contro sé medesimo».
L'ordinamento giuridico, nel bilanciamento degli interessi in gioco, accorda preferenza alla libertà personale - e, secondo una dottrina, all'onore della persona - piuttosto che all'interesse alla repressione dei reati. Se tutti i soggetti del procedimento penale fossero obbligati a collaborare incondizionatamente con la Giustizia fino al punto di incriminare se stessi, verrebbe infatti meno la libertà morale dell'imputato, che ha diritto di scegliere se e come difendersi anche quando colpevole: in Italia ciò fu riconosciuto dalla legge n. 932 del 1969, in base alla quale l’interrogatorio non fu "più considerato «narrazione obbligatoria e a titolo di verità cui è costretto l’indagato-imputato», ma concepito essenzialmente come strumento per l’esplicazione del diritto di difesa" accordato dall'articolo 24 della Costituzione.
Diversi sono gli istituti finalizzati a garantire i diritti dei soggetti coinvolti nel procedimento penale. Fra questi, si ricorda in particolare il privilegio contro l'autoincriminazione, che viene riconosciuto all'indagato e all'imputato: essi non sono tenuti a rispondere alle domande che vengono loro poste, e possono perfino mentire. Non possono commettere in tal modo i reati di falsa testimonianza, false informazioni al Pubblico ministero e favoreggiamento.
Il privilegio contro l'autoincriminazione è riconosciuto altresì ai testimoni, i quali possono opporlo qualora dalle risposte alle domande loro poste potrebbe emergere una propria responsabilità penale.
Varianti
Common law
Nel diritto anglosassone il medesimo privilegio si articola in modo profondamente diverso: all'imputato è concesso il diritto di non rispondere, come si desume dal noto Quinto Emendamento alla Costituzione degli Stati Uniti d'America, ma non quello di mentire. Nel caso egli decida di parlare, sarà tenuto a dire il vero, a pena di incriminazione per falsa testimonianza. Per questo motivo nel diritto anglosassone anche l'imputato è ritenuto teste attendibile, ma, di contro, sconta la propria perseguibilità qualora sia provato che menta.
CEDU
Le sentenze della Corte europea dei diritti dell'uomo sono decisive per l'interpretazione e l'applicazione del principio nemo tenetur se detegere, per gli Stati membri del Consiglio d'Europa.
Nella sentenza Funke contro Francia la Corte ha stabilito per la prima volta che l'autorità investita della persecuzione penale non può obbligare nessuno a cooperare con la propria condanna, pena la violazione del diritto a un processo equo di cui all'articolo 6 della CEDU. Dopo questa sentenza, rimaneva però tra gli Stati membri del Consiglio d'Europa un certo margine di dubbio circa l'esatto confine del principio così proclamato: temevano che non sarebbe stato più possibile controllare il rispetto di molte leggi e regolamenti, perché questo spesso richiede la collaborazione del cittadino (v. ad esempio la compilazione della dichiarazione dei redditi).
Nella sentenza Saunders contro Regno Unito queste ambiguità sono state chiarite. In quella sentenza, la Corte europea dei diritti dell'uomo ha stabilito che il diritto di non cooperare con la propria condanna si applica solo alle prove (orali o scritte) che dipendono dalla volontà dell'imputato; al contrario, le prove che esistono indipendentemente dalla volontà dell'imputato non sono coperte dal diritto di non collaborare con la propria condanna. Per questi ultimi mezzi di prova, indipendentemente dal fatto che il sospettato lo voglia o meno, se richiesto egli è tenuto a presentare i relativi materiali all'autorità investita della persecuzione penale.
Processo amministrativo
Il principio del nemo tenetur se detegere vale anche nel processo amministrativo.
Noi siamo quello che altri hanno voluto che diventassimo. C’è sempre qualcuno pronto a dirci quello che dobbiamo fare: la Famiglia, la Scuola, lo Stato, la Confessione religiosa, ecc.
Nei testi di Filosofia si legge che bisogna separare l’Osservazione dalla Valutazione: “Quando mescoliamo l’osservazione e la valutazione gli altri saranno propensi a udire una critica e quindi a porsi sulla difensiva. Al contrario le osservazioni dovrebbero essere circostanziate nel tempo e nel contesto. Il nostro repertorio di parole utili per affibbiare etichette alle persone è spesso assai più grande del nostro vocabolario di parole che ci permettono di descrivere con chiarezza il nostro stato emotivo. Ciò che gli altri dicono o fanno può essere stimolo, ma mai causa dei nostri sentimenti”.
Nel valutare ed esprimere giudizi ci si deve affidare ai pareri degli esperti di chiara credibilità ed attendibilità, discernendole dalle opinioni di gente ignorante sul tema in discussione.
La Criminologia studia l’autore di un crimine sotto ogni aspetto. In questo campo, le ricerche puntano non solo sull’individuazione del fatto e sull’identità del responsabile, ma anche sulla sua condotta, nonché sulle modalità di controllo dei comportamenti illegali (o socialmente devianti) e delle vittime. Il Criminologo si differenzia dall’Investigatore in quanto quando ti rivolgi al primo, ti affidi a un esperto che si avvale di metodi d’indagine standard, mentre il secondo si addentra di più nelle dinamiche psico-sociali.
La Criminologia applicata al caso concreto è conosciuta come Criminalistica. Conosciuta anche come scienza forense o delle tracce, la criminalistica ha l’intento di ricostruire i mezzi e le dinamiche messe in atto sulla scena del delitto. L’approccio alla materia è di tipo tecnico: si avvale di conoscenze e competenze acquisite in campo chimico, fisico, bio-tecnologico, informatico, balistico e perfino matematico.
La Sociologia Storica, studia la Società contemporanea, attraverso il suo passato che si evolve nel futuro.
La Sociologia Storica non guarda la Forma degli atti o l’Apparenza dei Fatti o delle Persone, ma guarda nella Sostanza delle cose. Guarda sul retro della medaglia, cosa che nessuno studioso o mediologo fa.
Il Principio di Legalità, in base al quale nessuno può essere punito se un fatto non è considerato reato da un’apposita dello Stato, è sancito dall’art 25 e dal Codice Penale agli articoli 1 e 199. Da questo si deduce che il Principio di Legalità non è altro che il rispetto della Legge.
Invece no!
Il Principio di Legalità non è solo in rispetto della Legge, ma ogni atteggiamento e comportamento conforme al principio di quella Legge.
Per esempio. Prendiamo il caso di un Giudice che presiede un processo. Lui con sua esclusiva discrezione esamina e condanna un imputato.
Ma se il Giudice è tale in virtù di un concorso truccato;
Ma se il Giudice ha picchiato la moglie;
Non si evince nulla di tutto questo, perché un suo collega dell’Ufficio del Pubblico Ministero ha insabbiato tutto.
Altro esempio. Il Giudice ammette le prove. Sarà veritiero il verdetto frutto di una esclusione di una prova fondamentale a discrimine?
Non ci sono state conseguenze per nessuno...Luca Palamara nelle chat parlava da solo: tempi scaduti e tutto è finito a tarallucci e vino. Paolo Pandolfini su Il Riformista il 17 Maggio 2023
I sempre più frequenti richiami ai magistrati da parte del capo dello Stato a svolgere la propria attività con correttezza e imparzialità, l’ultimo in ordine di tempo questa settimana in occasione dell’inaugurazione della sede di Napoli della Scuola superiore della magistratura, finiscono puntualmente in un nulla di fatto. Se ne è accorto l’ex sostituto procuratore generale della Cassazione Rosario Russo, ora in pensione, che nelle scorse settimane ha presentato una istanza al Consiglio superiore della magistratura per conoscere che fine avessero fatto gli eventuali procedimenti aperti nei confronti dei magistrati che chiedevano favori e incarichi a Luca Palamara.
Antonio Giangrande: Siamo tutti mafiosi, ma additiamo gli altri di esserlo. La mafia che c’è in noi. Quando i delinquenti dicono: “qua è cosa nostra!”; quando i politici dicono: “qua è cosa nostra!”; quando le istituzioni ed i magistrati dicono: “qua è cosa nostra!”; quando caste, lobbies e massonerie dicono: “qua è cosa nostra!”; quando gli imprenditori dicono: “qua è cosa nostra!”; quando i sindacati dicono: “qua è cosa nostra!”; quando i professionisti dicono: “qua è cosa nostra!”; quando le associazioni antimafia dicono: “qua è cosa nostra!”; quando i cittadini, singoli od associati, dicono: “qua è cosa nostra!”. Quando quella “cosa nostra”, spesso, è il diritto degli altri, allora quella è mafia. L’art. 416 bis c.p. vale per tutti: “L'associazione è di tipo mafioso quando coloro che ne fanno parte si avvalgono della forza di intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e di omertà che ne deriva per commettere delitti, per acquisire in modo diretto o indiretto la gestione o comunque il controllo di attività economiche, di concessioni, di autorizzazioni, appalti e servizi pubblici o per realizzare profitti o vantaggi ingiusti per sé o per altri”.
Antonio Giangrande: “Un paese di coglioni sarà sempre governato, amministrato, giudicato da coglioni.” Antonio Giangrande dal libro “L’Italia allo specchio. Il DNA degli italiani”.
"Il popolo cornuto era e cornuto resta: la differenza è che il fascismo appendeva una bandiera sola alle corna del popolo e la democrazia lascia che ognuno se l'appenda da sé, del colore che gli piace, alle proprie corna... Siamo al discorso di prima: non ci sono soltanto certi uomini a nascere cornuti, ci sono anche popoli interi; cornuti dall'antichità, una generazione appresso all'altra...- Io non mi sento cornuto - disse il giovane - e nemmeno io. Ma noi, caro mio, camminiamo sulle corna degli altri: come se ballassimo..." Leonardo Sciascia dal libro "Il giorno della civetta".
La moglie di Cesare deve non solo essere onesta, ma anche sembrare onesta.
E’ a tutti noto il detto:
La moglie di Cesare deve non solo essere onesta, ma anche sembrare onesta.
Dovrebbe non solo essere pura e fedele ma anche apparire impeccabile e seria a tutti coloro che la frequentano.
Quale è l’origine del celebre modo di dire?
Ci viene tramandato da Plutarco, che, nel decimo capitolo della Vita di Giulio Cesare, ci dice che in occasione di una festa dedicata alla dea Bona, cui potevano partecipare soltanto le donne, Pompea, moglie di Cesare, accolse nella sua abitazione, un suo spasimante, Publio Clodio, travestito da suonatrice.
L’inganno tuttavia venne scoperto e Clodio fu scacciato via ei trascinato in tribunale.
Cesare, fu citato come testimone. Alla domanda del pubblico ministero, rispose che non conosceva personalmente Clodio e che non sapeva nulla delle sue malefatte. Il magistrato non sembrò’ convinto di quella risposta e pregò il dittatore di essere più chiaro.
Al che, l’illustre testimone rispose che la moglie di Cesare doveva essere al di sopra di ogni sospetto.
Insomma l’apparenza prima di tutto.
E’ giusto domandarsi se nell’esercizio di un mandato pubblico oltre la legge debba esservi anche un codice deontologico che sanzioni quei comportamenti inopportuni anche se non penalmente rilevanti.
Certo se la moglie di Cesare apparisse solamente onesta, sarebbe ancor più grave e sarebbe ben accolta soltanto nelle società” puritane”.
Mai come in questi tempi sembra calzante questo celebre modo di dire.
Qualcuno potrebbe dire: se tutti sono criminale, allora nessuno è criminale.
Parliamo di statistiche: ufficiali.
Il reato che fa flop: su 5.418 processi solo 27 condanne. Stefano Zurlo il 19 Maggio 2023 su Il Giornale.
I dati sono impressionanti: "Nel 2017, 6.500 procedimenti finiti in nulla salvo che in 57 casi. Il 97% di assoluzioni". L'Anci: "Bisogna intervenire". Ma il Carroccio adesso frena.
I numeri non mentono. Nel 2017 in Italia sono stati avviati 6500 procedimenti per abuso d'ufficio. Ma solo 57 volte si è arrivati a una condanna definitiva. Una percentuale bassissima. Il dossier presentato ieri dall'ex ministro Enrico Costa in parlamento parla con le tabelle più che con i discorsi.
E' il fenomeno più sottovalutato. Tre innocenti arrestati o condannati ogni giorno: gli errori giudiziari e i risarcimenti beffa dello Stato. Benedetto Lattanzi e Valentino Maimone su Il Riformista il 11 Maggio 2023
Quando avrete finito di leggere questo articolo, dalle casse dell’Erario saranno usciti circa cinquecento euro per risarcimenti alle vittime di errori giudiziari. Al ritmo di 55 euro al minuto, lo Stato cerca di arginare il fenomeno dei propri cittadini arrestati o condannati da innocenti, versando loro somme di denaro il più delle volte risibili, sempre e comunque inadeguate per riparare la tragedia personale che hanno vissuto.
Il fenomeno degli errori giudiziari è il più sottovalutato, misconosciuto e trascurato problema della giustizia in Italia. Negli ultimi trent’anni ha colpito 30.231 persone, l’equivalente di un “tutto esaurito” in uno stadio di calcio di serie A come quello del Torino. Alla media di 975 casi l’anno, tutti gli anni, da un trentennio. Significa tre innocenti arrestati o condannati (e per questo risarciti dallo Stato) ogni giorno. Uno ogni otto ore.
Correggiamo la storia distorta dalle indagini di mafia e di Tangentopoli. La sentenza della Cassazione sulla Trattativa segna la fine della pretesa della magistratura di essere protagonista nelle vicende sociali e politiche. Giuseppe Gargani su Il Dubbio il 7 maggio 2023
La recente sentenza sulla trattativa tra lo Stato e la mafia non ha avuto un adeguato commento dalla grande stampa eppure si tratta di una decisione della Cassazione eclatante e fondamentale per la storia civile, politica e umana del nostro Paese.
È una sentenza che non può soltanto essere pubblicata nel Massimario e dare lustro a magistrati che hanno dimostrato la loro serena indipendenza come prevista dall’art. 104 della Costituzione, ma deve avere conseguenze nella valutazione attenta da parte della cultura giuridica e del mondo giudiziario. Come è noto la Cassazione ha stabilito che il fatto “trattativa” non è stato commesso e non costituisce reato; e quando un “fatto” non è reato e non è stato compiuto il processo penale non ha consistenza.
Viene da dar ragione a chi si pone la domanda perché è stato intentato un processo lungo venti anni che ha costruito una storia che non esiste. La magistratura non può inquinare le vicende della storia con cronache non vere che incidono fortemente sul tessuto sociale e sulla convivenza dei cittadini.
DEPOSIZIONE DEL TESTIMONE. Viene introdotto il Testimone; questi viene avvertito dei suoi obblighi e rende la dichiarazione ex articolo 497 C.P.P.: “Consapevole della responsabilità morale e giuridica che assumo con la mia deposizione, mi impegno a dire tutta la verità e a non nascondere nulla di quanto è a mia conoscenza”. Il Testimone viene generalizzato in aula.
Memoria e ricordo. Contenitore e contenuto.
Memoria e ricordo. Paolo Caprettini su L'Indipendente sabato 22 luglio 2023.
La memoria come magazzino e come facoltà. Come magazzino dove si raccolgono varie esperienze, capacità, conoscenze e sensazioni. Come facoltà, in quanto in grado di prelevare quanto occorre dal repertorio e di farlo quando è richiesto, quando è necessario.
Lo stesso Platone intendeva la memoria sotto questi due aspetti. E se volessimo seguirlo fino in fondo diremmo che la memoria si identifica con lo spazio, secondo Platone, vale a dire con un luogo ricettivo, contenitore e archivio. Il mondo delle idee finisce per identificarsi con la memoria. E con il linguaggio che agisce come veicolo dei nomi.
Ma prima viene la ricordanza o rimembranza, scriveva Leopardi. Il mondo sensibile ci offre varie percezioni e ciascuna di queste può farne venire in mente un’altra simile precedente o immaginaria. Attraverso questo meccanismo entra in gioco il tempo, un tempo memorabile ad esempio, quando una particolare emozione lo ha contrassegnato.
‘Memoria’ deriva dalla radice di ‘mente’ e ‘ricordo’ dalla radice di ‘cuore’. Già questo è significativo per cogliere la differenza tra i due campi. Ci sono poi altri vettori di senso. Il francese ‘souvenir’ indica qualcosa che si è smosso al di sotto, un po’ come nell’inglese ‘understatement’, termine che indica un significato non del tutto esplicito.
Che dire poi del tedesco ‘Erinnerung’? La parola ricordo, femminile in tedesco, richiama le Erinni, in greco le dee che presiedevano alla giustizia in forma divina ma vendicativa. Nel greco antico così si chiamavano le nuvole minacciose, cariche di pioggia, segnalatrici di una risposta celeste.
Dunque, nel sottofondo, una accentuazione negativa in tedesco, mitigata se vogliamo dalla veste poetica. Negli anni di Leopardi, Hoelderlin, ad esempio, scrive Ricordi dove sentimento, malinconia e follia, “l’ombra degli olmi sul mulino”, si intrecciano.
Il ricordare genera eccessi oltreché censure e oblio, quel ‘nostos’ di cui parla Omero per Ulisse, la nostalgia, cioè il dolore dovuto alla lontananza. E così la memoria si riprende il suo spazio, il suo non esserci più, non esserci ora di qualcuno o qualcosa che permane però nel linguaggio della mente e del cuore. E permanendo vive.
La memoria e le distorsioni del ricordo. Mancini Massimiliano il 25/09/08 su diritto.it
La memoria e le distorsioni del ricordo
Nel sistema processuale la testimonianza, da sempre, occupa un posto centrale, sia nelle indagini preliminari, in cui molto spesso la Polizia Giudiziaria deve valutare, spesso durante la stessa audizione in sede di sommarie informazioni testimoniali o di interrogatorio delegato, l’affidabilità e la credibilità di un soggetto che ricorda episodi cui ha assistito, o di cui è stato attore.
La conoscenza degli elementi basilari della psicologia della testimonianza è fondamentale per tutti gli operatori del diritto per comprendere i limiti della percezione, le fonti di distorsione del ricordo, che possono generare inaffidabilità involontarie sino addirittura al falso ricordo ed inoltre gli elementi per evitare e per riconoscere le suggestioni più o meno involontarie del teste.
Queste conoscenze sono essenziali per gestire al meglio la capacità della mente umana di ricordare e riprodurre un evento già accaduto mediante la narrazione o il riconoscimento, ma anche per disporre di strumenti idonei per riconoscere la straordinaria capacità che ha l’uomo di falsificare il ricordo, in maniera volontaria o incosciente (ad esempio per compensare dei traumi o per superare disagi ed influenze sociali ed ambientali come quelle che potrebbe esercitare il contesto familiare).
La memoria centro di tutti i processi psichici
La memoria è quella funzione psichica (funzione mestica) che consente l’assimilazione, la ritenzione ed il richiamo di informazioni apprese durante l’esperienza. Ogni azione o condotta umana ed animale utilizza necessariamente la memoria.
I ricordi sono definiti tracce mestiche e possono avere varie forme e funzioni, percezioni sensoriali (immagini, suoni, calore, sensazioni tattili, odori, sapori, stati d’animo, ecc.), conoscenze ed abilità (competenze tecniche e culturali, nozioni, modi d’uso, ecc.), relazioni che legano altre informazioni (successione cronologica di eventi ed immagini, posizione e orientamento di oggetti, ecc.).
Endel Tulving ha classificato la memoria nelle seguenti categorie:
Memoria implicita, è quella incosciente, dove l’informazione non si manifesta per ricordo, ma influenzando un comportamento senza che il soggetto ne sia cosciente; essa si suddivide a sua volta in:
Memoria procedurale che consente di imprimere uno script per fare le cose automaticamente o in maniera semi-automatica, come andare in bicicletta, digitare su una tastiera.
Memoria associativa che consiste nell’associazione di uno stimolo ad un comportamento anche senza il ricordo cosciente che spinge a fare l’associazione.
Memoria esplicita, è quella nella quale i ricordi sono coscienti (sebbene anche influenzabili) e si manifestano per l’appunto in forma esplicitabile. Si suddivide in:
Memoria episodica ha una collocazione spazio-temporale e riguarda gli avvenimenti legati alla nostra vita.
Memoria semantica riguarda la conoscenza del mondo, il ricordo del significato di parole e concetti e, più in generale, informazioni che non hanno una prospettiva spazio-temporale, come i concetti astratti.
Si definisce fissazione il processo di ritenzione dell’informazione nella memoria; quando non si riesce più a ricordare un evento si dice che il ricordo è entrato in oblio.
I processi mnestici fondamentali sono di tre tipi:
– Acquisizione e codificazione, recepimento dello stimolo e traduzione in rappresentazione interna stabile e registrabile in memoria. Lavoro di categorizzazione ed etichettatura legato agli schemi e alle categorie preesistenti.
– Ritenzione ed immagazzinamento. Stabilizzazione dell’informazione in memoria e ritenzione dell’informazione stessa per un determinato lasso di tempo.
– Recupero. Riemersione a livello di consapevolezza dell’informazione prima archiviata, mediante richiamo o riconoscimento (la vedo e ricordo di averlo visto, è il modo più semplice per recuperare).
Come ha spiegato Hermann Ebbinghaus, autore delle prime importanti ricerche sulla memoria (XIX secolo), ci sono due modi principali per ricordare:
La rievocazione si ha, quando si richiama alla mente ciò che è stato appreso e immagazzinato senza alcun aiuto.
Il riconoscimento invece è la capacità di ricordare e identificare un determinato elemento, scegliendolo tra altri.
Veridicità e affidabilità del teste
La memoria, detta anche funzione mnestica, non risulta necessariamente stabile a parità di contenuti o classi di stimoli, ma è influenzata da elementi affettivi (ad es.emozioni, motivazioni) e da elementi che sono correlati alla tipologia di informazione da ricordare.
Essa si delinea come un processo legato a molti fattori, sia cognitivi che emotivi, e come un processo eminentemente attivo e non, o almeno non solo, come un processo automatico o incidentale. Quindi si configura come un percorso di ricostruzione e concatenamento di tracce piuttosto che come un semplice immagazzinamento in uno statico spazio mentale.
La testimonianza possiede una parte di verità oggettiva e un’altra parte di costruzione soggettiva, che si unisce o si sovrappone alla parte oggettiva o vi si sostituisce, totalmente o parzialmente, con meccanismi che possono essere non necessariamente dei tutto coscienti e volontari se non addirittura inconsci.
Pertanto nella valutazione di un teste che ha assistito o che è stato parte di un fatto, bisognerà valutare la sua deposizione sotto il profilo della:
1. Affidabilità, escludendo delle distorsioni della percezione che la falsifichino rispetto quanto effettivamente percepito dai sensi e codificato nella memoria.
2. Veridicità, escludendo delle manipolazioni della narrazione che la falsifichino rispetto quanto effettivamente decodificato dalla memoria, questo può accadere:
– Volontariamente, laddove il soggetto sia dolosamente menzognero o reticente, in questo caso l’atteggiamento del testimone o dell’imputato che non si avvalga della facoltà di non rispondere è punito dall’ordinamento per il reato di falsa testimonianza o false dichiarazioni al PM.
– Involontariamente, quando il fatto narrato è distorto per meccanismi psicologici di difesa, suggestioni, per effetto di condizionamenti o per incapacità permanenti o temporanee e per qualsiasi altra ragione che escludano una cosciente volontà. In questi casi il soggetto, sotto il profilo giuridico, non è responsabile, poiché i reati che puniscono il testimone reticente o mendace sono esclusivamente dolosi e non prevedono neanche la fattispecie colposa o il reato tentato.
Fonti di distorsioni del ricordo
In sostanza, quanto riferito dal teste è la risultante di percorso complesso che passa attraverso una serie di fasi successive nelle quali si inseriscono una serie di fonti di distorsione, in larghissima approssimazione, possiamo schematizzarle come segue:
1. Percezione, il fatto oggettivo è condizionato dalle condizioni di osservazioni, ad esempio distanza, punto di osservazione, condizioni di illuminazione, stato emotivo, ed è filtrato dalla parte percettiva della mente, attraverso meccanismi psicologici inconsci come ad esempio le euristiche. Ad esempio esiste un meccanismo psicologico, denominato generalmente “focus on weapon”, che agisce sui soggetti minacciati con armi, nei quali tutta la loro attenzione è concentrata solo sull’arma e, per questa ragione, non sono in grado di riferire nessun altro dettaglio sulla scena del crimine e sul loro assalitore, addirittura non riescono a riconoscere chi li minacciava a volto scoperto.
La percezione non è un processo semplice e lineare, ma è un momento cognitivo soggetto a molte variazioni ed interruzioni dovute sia alla quantità e complessità degli stimoli percettivi che ai limiti delle nostre capacità percettive.
2. Codificazione, tutto ciò che è stato percepito dagli organi sensoriali e dai meccanismi percettivi della mente, passa attraverso i meccanismi cognitivi della psiche umana, e quindi è influenzato dalle caratteristiche personali, dalla capacità di rielaborazione e di valutazione critica dei fatti, dall’età, dalla cultura, dall’ambiente sociale, dalle implicazioni emotive che sono ricollegate al fatto. Ad esempio si immagini il carico emotivo ricollegato ad una violenza sessuale oppure ad un fatto luttuoso in genere.
Ciò che vediamo è sempre e soltanto ciò che le nostre ipotesi, le nostre idee preconcette, la nostra cultura di fondo ci predispongono e ci preparano a vedere.
3. Ritenzione, in alcuni casi il fatto è talmente doloroso, imbarazzante, destabilizzante sul piano psichico ed emotivo che la mente umana attua dei meccanismi per ristabilire un equilibrio e per alleviare la sofferenza, attraverso meccanismi di difesa ben noti in psicologia come ad esempio la rimozione (la totale cancellazione di un’esperienza dolorosa dalla parte cosciente della psiche), la negazione, la scissione ed altri ancora, che eliminano o alterano completamente il fatto oggetto della testimonianza.
Inoltre la personalità del soggetto può distorcere le percezioni ed i rapporti sociali: i sentimenti che provocano angoscia e sensi di colpa sono facilmente proiettati sugli altri.
4. Recupero mnestico, la suggestionabilità del soggetto e gli stimoli cui è esposto possono inquinare la traccia mestica (il ricordo del fatto accaduto) con informazioni successive all’evento, inoltre si deve tener conto delle pressioni dell’ambiente e dei tentativi di manipolazione cui è stato esposto il soggetto per valutare quanto ricorda effettivamente e quanto non ricorda o non riporta esattamente.
Ad esempio si immagini la situazione di una violenza intrafamiliare, soprattutto quando è implicato un genitore, e le manipolazioni che possono premere il minore per dire ciò che non è successo (allo scopo eventualmente di ledere uno dei coniugi) oppure per non dire ciò che è successo effettivamente (per evitare di distruggere la famiglia cercando di nascondere fatti scabrosi).
La percezione (cosa e come si immette nella memoria)
Con il termine “percezione” si intende l’insieme delle funzioni psicologiche che permettono all’organismo di acquisire informazioni circa lo stato o il mutamento dell’ambiente.
All’atto pratico la percezione è un processo attivo nel corso del quale il soggetto che percepisce, dopo l’elaborazione da parte del cervello degli stimoli e delle sensazioni, si produce una rappresentazione mentale dell’oggetto percepito.
I primi studi sulla percezione sono stati portati avanti dalla scuola psicologica degli associazionisti, tra i quali si sono distinti Wundt, Ebbinghaus, Fechner, Spearman, per i quali la percezione finale degli stimoli è spiegabile con la semplice somma di sensazioni elementari.
Secondo gli associazionismi l’uomo è un passivo recettore di stimoli che si accumulano nella memoria intesa come un semplice contenitore.
Hermann Ebbinghaus (allievo di Wihelm Wundt, fondatore della psicologia come scienza) studiò la memoria mediante studi sperimentali sulla memorizzazione di sillabe senza senso. Egli nei suoi studi del 1876 evidenziava come l’apprendimento mnestico fosse influenzato dalla frequenza e dalle associazioni degli stimoli arrivando ad una serie di conclusioni molto importanti:
– Effetto del superapprendimento: aumentando il numero di ripetizioni, aumenta anche la memoria.
– Curva dell’oblio: il ricordo diminuisce col passare del tempo sia in senso quantitativo che in senso qualitativo.
– Apprendimento massivo e distributivo: esposizioni ad uno stimolo ripetute, anche brevi, sono più efficaci di una singola esposizione anche se prolungata.
– Effetto seriale: la memorizzazione dipende da come sono messe le sillabe, infatti quelle in fondo e le prime si memorizzano meglio di quelle di mezzo.
– Comprensione semantica: si ricorda più facilmente ciò che ha un significato, ad esempio le parole e le frasi di senso compiuto rispetto quelle incomprensibili o senza senso.
Da queste conclusioni possiamo trarre delle importantissime indicazioni da impiegare per le modalità di escussione di un testimone e per la valutazione della sua affidabilità e veridicità:
– La frequenza dello stimolo: la durata e la precisione del ricordo è proporzionale a quante volte si è ripetuto il fatto che si sta riferendo, ad esempio quante volte il testimone ha visto la persona che afferma di riconoscere o di conoscere.
– La durata dell’esposizione: quanto più è durata l’esperienza che si sta riferendo tanto meglio essa si ricorderà, ad esempio si ricorderà meglio e probabilmente con più particolari una violenza prolungata di un fatto brevissimo come uno scippo.
– Posizione seriale dello stimolo: un evento posto in una particolare posizione (ad es. all’inizio o alla fine della vicenda) oppure legato da particolari connessioni con altri fatti, sarà ricordato più facilmente e con più dettagli.
– Comprensione semantica dello stimolo: si ricordano più facilmente gli stimoli dei quali si comprende compiutamente il significato ed il senso, quindi è difficile ricordarsi di gesti equivoci o di parole straniere, dialettali o comunque incomprensibili, mentre si ricorderanno più facilmente parole, frasi ed anche comportamenti ed atteggiamenti che si comprendono appieno nel loro significato e nella finalità.
La distanza temporale dall’evento
Ulric Neisser, il padre della psicologia cognitiva, ha elaborato un approccio cognitivo allo studio della memoria orientatato proprio ai processi cognitivi.
Strutturalmente, a partire dagli anni 50 ed in maniera più o meno esplicita attraverso tutto il cognitivismo, la memoria è definita attraverso tre moduli mnestici:
– Il modulo 1 (brevissimo tempo) registra molte informazioni ma in maniera limitata. Prende nomi diversi secondo le teorie cognitiviste che l’hanno studiato, e fa prevalentemente riferimento alla memoria sensoriale.
– Il modulo 2 (breve tempo) trattiene i dati per un periodo di tempo maggiore. In quest’area generalmente il materiale o i ricordi si conservano sino a quando se ne ha bisogno(ad es. numero telefonico).
– Il modulo 3 (lungo termine) ha capacità di ritenzione illimitata, ma i suoi contenuti sono di difficile recupero.
Il tempo cancella i ricordi e li rende più labili e questo è vero soprattutto in senso qualitativo, quindi oltre ai singoli fatti, con il trascorrere del tempo si dimenticano per prima i dettagli, quindi è difficile credere che si ricordino più dettagli e con maggiore sicurezza fatti più antichi e nello stesso tempo eventi più recenti con grande incertezza e povertà di particolari, se non per meccanismi di difesa psicologica (ad esempio rimozione, negazione, ecc.).
Massimiliano Mancini. Coordinatore del sito poliziaminorile.it, docente e consulente nelle materie giuridiche e criminologiche
L’attendibilità della testimonianza nel processo penale. Vari fattori possono interfeirire con l'attendibilità di una testimonianza, dai falsi ricordi all'addetramento del teste, che non sempre sono riconosciuti. Massimiliano Conte su stateofmind il 12 giugno 2020
L’addestramento del teste comprende una serie di comportamenti o l’inculcamento di nozioni che, a furia di venire ripetute e studiate, possono diventare proprie del soggetto influenzando la sua testimonianza.
Il processo penale e il contraddittorio fra le parti
Il nostro processo penale è improntato sull’oralità della prova ed esistono delle procedure per assumere la prova in dibattimento. Una di queste procedure è la cosiddetta cross examination, in cui la Pubblica Accusa e la Difesa pongono domande ad un testimone (o teste) con lo scopo di saggiarne l’attendibilità.
Cosa accade però, se il teste mente e nel farlo, mente spudoratamente?
Il problema sorge spontaneo. Come fare per dimostrare la menzogna?
Il nostro ordinamento, a differenza di quello americano, non ammette né il controllo psicologico su cosa ha detto il teste né ammette l’interpretazione della gestualità del corpo, utilizzando le tecniche psicologiche di rilevazione della menzogna. Difatti, il giudizio sull’attendibilità del teste è fortemente soggettivo in quanto esistono casi in cui (ne citerò uno in particolare nel prosieguo) anche in presenza di una manifesta impossibilità oggettiva nelle affermazioni del teste, il giudice ha proceduto a ritenerla attendibile contro ogni possibile spiegazione fisica e scientifica.
L’attendibilità
Prima di proseguire oltre, occorre specificare cosa sia l’attendibilità. Possiamo descriverla come la capacità di una persona di dimostrarsi coerente con quanto dice, mantenendo un discorso improntato sulla logica e sulle massime comuni di esperienza, dal quale si può evincere un’alta probabilità che abbia assistito realmente all’accadimento che sta narrando. Risultare attendibili quindi, significa dimostrare di essere coerenti con quello che si dice, sapendo di venire valutati dall’interlocutore anche con un raffronto con quelle che sono le massime di esperienza comuni. La storia narrata deve poter resistere alle più comuni falsificazioni e la persona deve dimostrare congruità con quanto detto in rapporto ad uno specifico fatto.
Da quello che abbiamo appena affermato, subentra un’importante questione: è possibile parlare, pur sapendo di mentire, e dimostrarsi attendibili?
L’addestramento del teste
La risposta alla precedente domanda è sì: oramai non è un segreto. Il teste ben addestrato è in grado di passare per attendibile durante il processo penale ed è così capace di influenzare il corso degli eventi. Un teste bene addestrato è in grado anche di raggirare un clinico, soprattutto se con poca esperienza, riuscendo a farsi diagnosticare disturbi o disagi che non ha, simulandone perfettamente i sintomi.
L’addestramento è un processo molto importante in quanto comprende una serie di comportamenti o l’inculcamento di nozioni che, a furia di venire ripetute e studiate, possono diventare proprie del soggetto.
La forza dell’addestramento era conosciuta fin dai tempi dei legionari romani, ove usavano la massima secondo cui è l’addestramento che fa il coraggio. Una persona quindi, deve essere lungamente addestrata per poter raggiungere un risultato eccellente in quello che fa. O che dice!
Ma perché l’addestramento è in grado di modellare il nostro comportamento?
Le neuroscienze ci vengono in aiuto. Il nostro cervello possiede dei neuroni, i quali sono cellule tipiche cerebrali, con il compito di apprendere. L’addestramento va a modificare la conformazione di questi neuroni (i più famosi, sono i cosiddetti neuroni specchio, adibiti a riprodurre i movimenti che si osservano in natura) che, al fine di rispondere alle sollecitazioni addestrative, aumentano i recettori NMDA presenti sui propri dendriti: stiamo parlando della Legge di Hebb (Bear e Connors; 2016).
L’addestramento quindi, fa aumentare i recettori NMDA che si uniscono fra loro, diventando un corpus unico, preciso e per l’appunto, addestrato (Bear e Connors;2016).
Ma non è tutto. Una volta che l’addestramento si consolida come tratto comportamentale, il cervello costruisce uno schema che non grava più sui dendriti neuronali ma viene trasferito nei nuclei cerebellari del cervelletto, diventando uno schema consolidato, riproponibile e immodificabile se non in presenza di un ulteriore addestramento (si pensi, come esempio concreto, all’andare in bicicletta).
L’addestramento può durare anche mesi ma in questo la cosiddetta giustizia-lumaca di cui si sente parlare quotidianamente, può consentire il dispendio temporale offrendo il prodotto finale che si vuole raggiungere e che sarà impeccabile.
I falsi ricordi
Alle volte però, l’addestramento non è il principale problema con il teste. Il discorso, in questo caso, è molto ampio, quasi impossibile da affrontare in un singolo articolo. Per quel che concerne il nostro discorso circa l’attendibilità e la capacità di passare per coerenti in un procedimento penale in cui si è chiamati a svolgere il ruolo di teste, citiamo solamente una casistica in cui i falsi ricordi possono trarre in inganno gli interlocutori (Monzani; 2016). È il caso di chi, ad esempio, ha ascoltato per molto tempo un racconto e, alla fine, si convince di essere stato presente a quegli accadimenti. In questo caso, avremo dei falsi ricordi totalmente inventati che vengono arricchiti di particolari dalla mente stessa del soggetto e che, pertanto, vengono impressi sulle sinapsi neuronali. Ma non è tutto: questi falsi ricordi creeranno anche dei collegamenti con massime di esperienza precedentemente acquisite e si integreranno con il corpus memoriale della persona. Nella stragrande maggioranza dei casi, i falsi ricordi sono un prodotto della buona fede e pertanto, non pericolosi come l’addestramento.
Conclusioni
Occorre sempre prestare attenzione a quanto accade durante una deposizione. Difatti, l’addestramento può essere qualcosa di molto temibile e pericoloso. Tuttavia, ci si può difendere con molta accortezza. Un addestramento, ad esempio, non potrà mai prevalere sulla fisica (o sulla scienza in generale) quando queste dimostrano l’inattendibilità dell’addestramento stesso. L’addestramento infatti, è inoppugnabile solo se la scienza lo avvalori. In presenza di contraddizioni, il giudice dovrebbe avere l’obbligo di dichiarare inattendibile un soggetto, in quanto dovrebbe basarsi più sulla scienza che non sulla narrazione di un singolo individuo. Il racconto narrato deve trovare accoglimento anche nelle massime di comune esperienza ed il giudice, nel prendere in considerazione quanto è stato riportato dal teste, deve anche inquadrarlo all’interno delle prove raccolte, basandosi e prediligendo soprattutto quelle comprese nei dettati scientifici, ed anche rapportate alla situazione in cui si trova il giudicante.
Il caso concreto
Durante un processo, una presunta parte offesa citava la propria suocera (quindi sussisteva un vincolo di parentela) come teste oculare di taluni accadimenti. L’anziana donna, classe ’39, narrava di aver notato alcuni fatti da una distanza di 100/150 metri. Nel prosieguo diventavano 10/15 metri ed infine, asseriva di trovarsi a pochi metri di distanza dai fatti. Il tutto, di notte, da sola, senza cellulare ed ad una temperatura esterna di -3 gradi centigradi. Inoltre, vi erano delle prove inoppugnabili circa l’assenza della donna sulla scena del crimine, in quanto esistevano dei filmati videoripresi da telecamere di sicurezza che dimostravano l’assenza stessa della donna. Il giudice, dopo averla ascoltata, propendeva per la sua attendibilità sulla mera base di aver trovato l’anziana donna arzilla e ben orientata nel tempo e nello spazio. Un simile caso è palesemente errato, in quanto si basa solo sull’addestramento che la suocera ha ricevuto e va in aperto conflitto con le immagini oggettive di una telecamera che esclude la presenza della donna sul luogo del reato. Il giudice abboccava ad un teste ben addestrato e basava il proprio convincimento non sulle prove scientifiche bensì sul mero comportamento della suocera (arzilla e ben orientata). L’errore appare inescusabile in quanto il giudice stesso sapeva che un’indagine era in atto per il reato di corruzione in atti processuali finalizzati ad avere un vantaggio nel processo del genero. Successivamente, le intercettazioni evidenziavano palesemente la presenza di un addestramento compiuto dal cognato, appartenente ai carabinieri, e dal genero stesso.
Quelle (false) confessioni estorte con prove inventate e una (finta) comprensione. Una ricerca statunitense ha rivelato come le tecniche di interrogatorio, quali una maggiore pressione e il bluff con proposte di ulteriori prove incriminanti, mettano le persone a rischio di false confessioni. Valentina Stella su Il Dubbio il 5 gennaio, 2023
Se foste sotto interrogatorio, confessereste un crimine che non avete commesso? Si tratta di un argomento poco discusso qui in Italia, al contrario degli Stati Uniti, invece, dove è molto sentito. Sebbene l'idea che qualcuno possa confessare un crimine che non ha commesso possa sembrare controintuitiva agli osservatori occasionali, la realtà è che le false confessioni si verificano regolarmente.
Secondo il National Registry of Exonerations (Registro Nazionale delle persone scagionate, progetto realizzato dalla University of California Irvine, the University of Michigan Law School and Michigan State University College of Law), al 4 ottobre 2022 il 34% dei giovani sotto i 18 anni al momento del crimine ha reso una falsa confessione. La percentuale scende al 10 per i maggiorenni ma schizza al 69% per persone con malattie mentali o disabilità intellettive. Inoltre, in base ai dati dell'Innocence Project, dei 258 casi di proscioglimento grazie alla prova del Dna di cui si è occupato finora, il 25% riguardava una falsa confessione.
Ma perché le persone confessano crimini che non hanno commesso? Come hanno ricordato in un articolo il professore di legge Samuel Gross e il giornalista premio Pulitzer Maurice Possley «se avete mai guardato una delle decine di migliaia di ore di televisione dedicate alle fiction poliziesche, conoscete il primo avvertimento dato ai sospetti che vengono arrestati e interrogati. E il secondo: “Tutto ciò che dirà potrà essere usato contro di lei”. Questo grazie ai Miranda warnings - che prendono il nome dal caso Miranda contro Arizona, la decisione della Corte Suprema del 1966 che le ha imposte». Questo tipo di avvertimenti sono stati «il culmine di 30 anni di cause della Corte Suprema volte a proteggere i sospetti criminali dagli abusi negli interrogatori della polizia».
Eppure, dover aver vietato violenze e torture da parte della polizia, le false confessioni continuano ad arrivare. Perché? Gli scienziati da anni stanno lavorando per capire meglio la psicologia delle false confessioni. Uno dei massimi studiosi del fenomeno è Saul Kassin, Professore emerito di psicologia al John Jay College of Criminal Justice di New York, esperto di interrogatori da parte delle forze dell’ordine. Come ricorda un articolo del Washington Post sul tema, Kassin ha testimoniato in diversi casi, come quello relativo a Barry Laughman, un ventiquattrenne con disabilità intellettiva ingiustamente condannato per stupro e omicidio nel 1988 e liberato grazie alla prova del Dna dopo 16 anni di carcere. La ricerca di Kassin ha rivelato come le tecniche di interrogatorio della polizia, quali l'applicazione di una maggiore pressione psicologica e il bluff con proposte di ulteriori prove incriminanti, mettano le persone a rischio di false confessioni. Proprio nella vicenda di Laughman, l’uomo aveva un Quoziente Intellettivo di 70 e si comportava come un bambino di 10 anni. Alcune settimane dopo il crimine, la polizia disse a Laughman che le sue impronte digitali erano state trovate sulla scena del crimine. Egli confessò quindi agli investigatori di aver commesso il delitto. Ma era innocente.
Un altro caso, citato dal National Registry of Exonerations, è quello riguardante Juan Rivera: nell'ottobre 1992, dopo un estenuante interrogatorio durato quattro giorni, il diciannovenne confessò falsamente lo stupro-omicidio di una bambina di 11 anni nella contea di Lake, nell'Illinois. In realtà, confessò due volte. La sua prima confessione era talmente infarcita di errori fattuali che gli investigatori gliela fecero ripetere per “chiarire” le incongruenze, anche se Rivera era chiaramente in uno stato di collasso mentale. Rivera fu condannato per omicidio nel 1993 e di nuovo nel 1996 dopo che la sua prima condanna fu annullata per una serie di errori legali. Nel 2005, i test del DNA dimostrarono che un altro uomo era la fonte dello sperma recuperato dal corpo della vittima. Secondo Kassin una tattica potenzialmente problematica è la presentazione di prove false.
La polizia americana è autorizzata a sostenere le proprie accuse dicendo ai sospetti che esistono prove inconfutabili della loro colpevolezza (ad esempio, un campione di capelli, l'identificazione di un testimone oculare o un test della macchina della verità fallito), anche se tali prove non esistono. Questo tipo di inganno può intrappolare persone innocenti e indurle confessare? Nel corso degli anni, la ricerca di base ha dimostrato che la disinformazione può alterare le percezioni, le convinzioni, i ricordi e i comportamenti delle persone.
Per quanto riguarda la confessione, questa ipotesi è stata testata in un esperimento di laboratorio. Studenti universitari avrebbero dovuto digitare su una tastiera in quello che pensavano fosse uno studio sui tempi di reazione. A un certo punto, i soggetti sono stati accusati di aver causato il crash del computer, avendo premuto un tasto che era stato detto loro di non usare. È stato chiesto loro di firmare una confessione. Tutti i soggetti che erano veramente innocenti hanno inizialmente negato l'accusa. In alcune sessioni, una persona che sapeva della finalità dell’esperimento ha dichiarato di aver assistito alla pressione del tasto proibito. Questa falsa prova ha quasi raddoppiato il numero di studenti che hanno firmato una confessione scritta, dal 48% al 94%. Una seconda tattica problematica è la minimizzazione, il processo con cui chi interroga minimizza il crimine, offrendo comprensione e giustificazioni morali. Suggeriscono ai sospetti che le loro azioni sono state spontanee, accidentali, provocate, pressate da altri o comunque giustificabili. La minimizzazione ha aumentato non solo le confessioni da parte dei veri colpevoli, ma anche le false confessioni da parte degli innocenti. Inoltre alcune persone sono più malleabili di altre dal punto di vista della disposizione d'animo e a maggior rischio di false confessioni.
Per esempio, gli individui la cui personalità li rende inclini alla cedevolezza in situazioni sociali sono particolarmente vulnerabili a causa del desiderio di compiacere gli altri e di evitare il confronto. Gli individui che sono inclini alla suggestionabilità, i cui ricordi possono essere alterati da domande fuorvianti e feedback negativi, sono anch'essi soggetti all'influenza. La giovane età è un fattore di rischio particolarmente rilevante: più del 90% dei minori che la polizia cerca di interrogare rinuncia ai diritti.
Antonio Giangrande. Tutta la verità su un processo:
che vede Michele Misseri condannato ad 8 anni per occultamento di cadavere, mentre da sempre si dichiara colpevole dell'omicidio di Sarah Scazzi;
che vede Cosima Serrano e Sabrina Misseri condannati all'ergastolo per un omicidio del quale si dichiarano innocenti;
dove la corda dello strangolamento si trasforma in cintura;
dove le pettegole (parole di Coppi) vengono credute;
dove i testimoni si intimidiscono (alla Spagnoletti: Sarah e Sabrina litigavano? Dì di sì);
dove i testimoni anticipano l'orario di uscita di Sarah: dalle ore 14.30 alle ore 14 circa, assecondando l'ipotesi accusatoria;
dove si fanno passare per fatti veri i sogni dei testimoni;
dove si induce Michele Misseri ad accusare la figlia Sabrina per l'ottenimento dello sconto di pena per entrambi.
Parla Concetta Serrano Spagnolo Scazzi, Claudio Scazzi, Valentina Misseri, Ivano Russo.
Marialucia Monticelli, inviata del programma “Chi l’ha visto?”, Maria Corbi, giornalista de “La Stampa”.
Walter Biscotti, Franco Coppi, Nicola Marseglia, Roberta Bruzzone.
Brani tratti dalla trasmissione “Tutta la Verità” trasmessa sull’emittente Nove il 26 aprile 2018
Antonio Giangrande: I MAGISTRATI E LA SINDROME DELLA MENZOGNA.
Quando il Potere giudiziario si nutre di pregiudizi e genera ingiustizia. Così scrive il dr Antonio Giangrande, sociologo storico e scrittore che sul tema ha scritto dei saggi pubblicati su Amazon.it.
Parliamo di menzogne nelle aule di giustizia. I magistrati di Taranto del processo sul delitto di Sarah Scazzi, requirenti con a capo il Pubblico Ministero Pietro Argentino e giudicanti con a capo Rina Trunfio, hanno fondato le richieste e le condanne sull’assunto che il delitto di Avetrana è una storia di bugie, pettegolezzi, chiacchiere, depistaggi. Menzogne e reticenze dei protagonisti e dei testimoni e se non questo non bastasse anche di tutta Avetrana.
Ed ecco il paradosso che non ti aspetti. È proprio l’alto magistrato pugliese Pietro Argentino a rischiare di dover fare i conti adesso con la giustizia, dopo che il Tribunale di Potenza, competente per i reati commessi dai magistrati di Taranto, ha disposto la trasmissione degli atti al pubblico ministero per indagare sul reato di falsa testimonianza proprio del procuratore aggiunto Argentino. Il pm dovrà inoltre valutare la posizione di altre 20 persone, tra le quali molti rappresentanti delle forze dell’ordine. La decisione della Corte è arrivata alla fine del processo che ha visto la condanna a 15 anni di reclusione per l’ex pm di Taranto Matteo Di Giorgio, condannato per concussione e corruzione semplice.
Eppure Pietro Argentino è anche il numero due della procura di Taranto. È il procuratore aggiunto che ha firmato, insieme ad altri colleghi, la richiesta di rinvio a giudizio per i vertici dell’Ilva ed altri 50 imputati.
Ciò nonostante a me tocca difendere proprio i magistrati Tarantini che di me hanno fatto carne da macello, facendomi passare senza successo autore della loro stessa infamia, ossia di essere mitomane, bugiardo e calunniatore.
Come dire: son tutti bugiardi chi sta oltre lo scranno del giudizio. Ma è proprio così?
Silenzio in aula, prego. Articolo 497 comma 2 del Codice Penale, il testimone legga ad alta voce: «Consapevole della responsabilità morale e giuridica che assumo con la mia deposizione, mi impegno a dire tutta la verità e a non nascondere nulla di quanto è a mia conoscenza». Il microfono fischia, la voce si impaccia, qualcuno tentenna sul significato della parola «consapevole». Poi iniziano a piovere menzogne. Il giudice di Aosta Eugenio Gramola - sì, quello del caso Cogne - ha lanciato l’allarme a Niccolò Canzan sul suo articolo su “La Stampa” : «Ci prendono per imbecilli. È incredibile come mentano con facilità davanti al giudice. Sfrontati, fantasiosi. Senza la minima cura per la plausibilità del racconto. Orari impossibili, contraddizioni lampanti, pasticci. L’incidenza dei falsi testimoni è molto superiore a una media fisiologica, si attesta tra il 70 e l’80 per cento». Sette su dieci mentono, in Valle d’Aosta. Sembra uno di quei casi in cui la geografia potrebbe significare qualcosa. L’Italia un Paese di bugiardi, quasi una tara nel codice genetico: «Chi mente al giudice è furbo - dice Gramola -. Essere bugiardo fa ridere, piace, non comporta disvalore sociale. Mentre indicare la menzogna come un grave atto contro la Giustizia è da biechi moralisti e puritani». Totò e Peppino erano all’avanguardia, è risaputo. «Caffè, panini, false testimonianze!», urlavano nel 1959 nel film «La Cambiale». Dall’alto della civilissima Valle d’Aosta, al cospetto di storie magari più piccole eppure significative, il giudice Gramola ha un guizzo d’orgoglio: «Certe volte, più che a testimoni ci troviamo di fronte ad amici delle parti in conflitto. E questi bugiardi sono poi magari gli stessi che si scagliano contro una giustizia che non funziona».
D’altro canto la procura di Milano ha rinviato a giudizio tutti i testimoni della difesa nel cosiddetto “processo Rubi”, che sono 42, più i due avvocati della difesa: in tutto 44. Ora, pensare che 42 testimoni fra i quali deputati, senatori, giornalisti, funzionari di polizia abbiano, tutti, giurato il falso, è una cosa a dir poco stravagante, scrive Luigi Barozzi. Il capo d’accusa non è ancora definito, ma andrà probabilmente dalla falsa testimonianza alla corruzione in atti giudiziari. In soprannumero, anche i legali verranno rinviati a giudizio, e al normale cittadino sorgono alcuni dubbi.
- E’ mai possibile che 42 persone, di varia provenienza sociale e professionale, siano tutti bugiardi-spergiuri o peggio?
- E’ mai possibile che lo siano pure i legali della difesa i quali, in un società civile, incarnano un principio quasi sacro: il diritto dell’imputato, anche se si tratta della persona peggiore del mondo, di essere difeso in giudizio?
- Non sarà, per caso, che la sentenza fosse già scritta e che il disturbo arrecato dai testi della difesa alla suddetta sentenza abbia irritato la Procura di Milano tanto da farle perdere la trebisonda?
Trattando il tema della menzogna ci si imbatte frequentemente in definizioni che fanno uso di molti sinonimi quali inganno, errore, finzione, burla, ecc…, le quali, anziché restringere i confini semantici del concetto di menzogna, tendono ad allargarli creando spesso confusione, scrive Il valore positivo della bugia - Dott.ssa Maria Concetta Cirrincione - psicologa. Un primo tentativo per circoscrivere tale area semantica consiste nel definire la differenza tra menzogna e inganno. La menzogna e il suo sinonimo bugia, usato prevalentemente in relazione all’infanzia, và considerata una modalità tra le altre di ingannare, perciò possiamo definirla come una sorta di “sottoclasse “ dell’inganno. La sua caratteristica distintiva consiste nel fatto di essere essenzialmente un atto comunicativo di tipo linguistico, ossia la rivelazione di un contenuto falso attraverso la comunicazione verbale o scritta. Questo impone la presenza di almeno un comunicatore, di un ricevente e di un messaggio verbale che non corrisponde a verità. L’inganno si esplica invece, non solo attraverso l’atto comunicativo della menzogna, ma anche attraverso comportamenti tesi ad incidere sulle conoscenze, motivazioni, aspettative dell’interlocutore. (De Cataldo Neuburgher L. , Gullotta G., 1996). Secondo questa prospettiva, l’omissione di informazioni non è tanto una menzogna, quanto un inganno. La comunicazione è una condizione sufficiente ma non necessaria perché si possa ingannare. A volte si inganna facendo in modo che:
- l’altro sappia qualcosa di non vero (es: A va sul tetto e fa cadere acqua dalla grondaia, B vede l’acqua e viene ad assumere che piove);
- l’altro creda qualcosa di non vero (es: B guardando l’acqua fuori dalla finestra, commenta: “piove”, e A non lo smentisce);
- l’altro non venga a conoscenza della verità (A chiude l’altra finestra dalla quale non si vede l’acqua cadere, in modo che B continui a credere il falso);
L’inganno, quindi, si esplica attraverso qualsiasi canale verbale e non verbale (mimica facciale, gestualità, tono di voce), mentre la menzogna utilizza specificatamente il canale verbale. Mentire è un comportamento diffuso, tipicamente umano, non è tipico dell’adolescenza, né necessariamente un indice di psicopatologia; di solito viene valutato infatti da un punto di vista etico più che psicopatologico. Non appena i bambini sono in grado di utilizzare il linguaggio con sufficiente competenza sperimentano la possibilità di affermare a parole una verità del desiderio e del sentimento diversa da quella oggettiva.
E’ noto che i bambini non hanno la stessa proprietà di linguaggio degli adulti, per cui spesso gli adulti chiamano bugia ciò che per il bambino è espressione di paure, di bisogno di rassicurazione o di percezione inesatta della realtà. Si può parlare di bugia quando si nota l’intenzione di “barare”, e comporta un certo livello di sviluppo. Nei bambini avviene come messa alla prova per misurare poi la reazione degli adulti al suo comportamento. Nel crescere assume anche altri significati poiché dipende da diverse variabili; può dipendere dalla situazione che si sta vivendo, dalla persona alla quale è rivolta o dallo scopo che si vuole raggiungere. E’ utile pertanto una classificazione che ci permetta di orientarci meglio al suo interno, sebbene tale classificazione può risultare artificiosa dal momento che i vari tipi di menzogna tendono spesso a sovrapporsi e a confondersi tra loro. Si possono distinguere (Lewis M., Saarni C. , 1993):
bugie caratteriali (bugie di timidezza, bugie di discolpa, bugie gratuite);
bugie di evitamento (evitare la punizione, difendere la privacy);
bugie di difesa (bugie per proteggere se stessi o gli altri);
bugie di acquisizione (bugie per acquistare prestigio, per ottenere un vantaggio);
bugie alle quali lo stesso autore crede (pseudologie);
autoinganno.
BUGIE DI TIMIDEZZA: una motivazione che può spingere a raccontare bugie è la timidezza. Alla sua radice c’è una concezione negativa di se stessi; i timidi affrontano la vita con la sensazione di essere inferiori rispetto alla maggioranza degli altri esseri umani e questo modo di pensare condiziona le loro relazioni in molteplici modi. Uno di questi è la tendenza a raccontare menzogne per apparire migliori agli occhi degli altri, per nascondersi, per evitare situazioni sociali nelle quali si sentirebbero inadeguati e imbarazzati.
BUGIE DI DISCOLPA: ci sono menzogne che derivano dalla necessità di discolparsi da accuse più o meno fondate. E’ un atteggiamento diffuso nei bambini che può permanere in soggetti adulti insicuri nei quali spesso si riscontra un sentimento d’inferiorità e l’incapacità di affrontare le proprie responsabilità.
BUGIE GRATUITE: generalmente dietro alla maggior parte delle bugie si nasconde un bisogno, un desiderio, uno scopo che il soggetto vuole raggiungere. Spesso invece ci troviamo di fronte a menzogne che non lasciano intuire che cosa vuole raggiungere il soggetto, sono le bugie che vengono raccontare per puro divertimento, per allegria, per dare sfogo alla fantasia.
BUGIE PER EVITARE LA PUNIZIONE: evitare la punizione è un motivo molto comune delle bugie degli adulti, ma prevalentemente dei bambini. Questi ultimi imparano a mentire ben presto quando si rendono conto di aver commesso una trasgressione, già a 2-3 anni essi sono in grado di attuare degli inganni in contesti naturali come la famiglia.
BUGIE PER DIFENDERE LA PRIVACY: la salvaguardia della privacy è un motivo che spinge spesso i ragazzi adolescenti, ma anche gli adulti, a raccontare bugie. Nell’adolescenza emerge nei ragazzi il bisogno di crearsi uno spazio proprio, di decidere se raccontare o meno le loro esperienze e le loro emozioni. Se da un lato ciò deve essere rispettato dai genitori, dall’altro costituisce un problema a causa del loro bisogno di protezione nei confronti del figlio.
BUGIE PER PROTEGGERE SE STESSI O GLI ALTRI: nella vita di ogni giorno ci sono svariate situazioni che portano una persona a mentire per proteggere se stessa o i sentimenti di persone care. Se alla nostra festa di compleanno riceviamo un regalo che non ci piace o quanto meno lo consideriamo inutile, è molto improbabile che lo diremo chi ce l’ha donato; è probabile invece che, dissimulando la delusione, ci mostreremo entusiasti. Gli adulti mentono per cortesia e questa regola sociale viene ben presto assimilata anche dai bambini. Essi imparano a proteggere i sentimenti degli altri attraverso un’istruzione diretta data dai genitori, ma anche indirettamente osservandone il comportamento.
BUGIE PER ACQUISTARE PRESTIGIO: sono delle bugie compensatorie che traducono non tanto la ricerca di un beneficio concreto, ma la ricerca di un’immagine che il soggetto ritiene perduta o inaccessibile: si inventa una famigli più ricca, più nobile o più sapiente, si attribuisce dei successi scolastici o lavorativi. In realtà questa bugia è da considerarsi normale nell’infanzia e finchè occupa un posto ragionevole nell’immaginazione del bambino. Tale condotta viene considerata banale fino ai 6 anni, la sua persistenza oltre tale età segnala invece spesso delle alterazioni psicopatologiche.
PSEUDOLOGIE: sono delle bugie alle quali lo stesso autore crede. Più specificatamente viene definita “pseudologia fantastica” una situazione intenzionale e dimostrativa di esperienze impossibili e facilmente confutabili (Colombo, 1997). E’ un puro frutto di immaginazione presente in bugiardi patologici ed è una caratteristica tipica della Sindrome di Mùnchausen.
AUTOINGANNO: il mentire a se stessi è un particolare tipo di menzogna che ci lascia interdetti e confusi dal momento che il soggetto è contemporaneamente ingannatore e ingannato. L’autoinganno è l’inganno dell’Io operato dall’Io, a vantaggio o in rapporto all’Io (Rotry, 1991). In esso vengono messi in atto meccanismi di difesa come la razionalizzazione e la denegazione. Attraverso la razionalizzazione il soggetto inventa spiegazioni circa il comportamento proprio o altrui che sono rassicuranti o funzionali a se stesso, ma non corrette. Il soggetto da un lato può celare a se stesso la reale motivazione di alcuni comportamenti ed emozioni, e dall’altro riesce a nascondere ciò che sa inconsciamente e non vuole conoscere. Attraverso la denegazione, invece, il soggetto rifiuta di riconoscere qualche aspetto della realtà interna o esterna evidente per gli altri. Potremo fare l’esempio dell’alcolista che mente a se stesso dicendosi che non ha nessun problema o delle famiglie in cui si fa “finta di niente, finta di non capire”.
Intanto per i magistrati coloro che si presentano al loro cospetto son tutti bugiardi. Persino i loro colleghi che usano lo stesso sistema di giudizio per l’altrui valutazione.
Eppure Pietro Argentino è il numero 2 della procura di Taranto. È il procuratore aggiunto che ha firmato, insieme ad altri colleghi, la richiesta di rinvio a giudizio per i vertici dell’Ilva ed altri 50 imputati, scrive Augusto Parboni su “Il Tempo”. È l’alto magistrato pugliese Pietro Argentino a rischiare di dover fare i conti adesso con la giustizia, dopo che il Tribunale di Potenza, competente per i reati commessi dai magistrati di Taranto, ha disposto la trasmissione degli atti al pubblico ministero per indagare sul reato di falsa testimonianza proprio del procuratore aggiunto Argentino. Il pm dovrà inoltre valutare la posizione di altre 20 persone, tra le quali molti rappresentanti delle forze dell’ordine. La decisione della Corte è arrivata alla fine del processo che ha visto la condanna a 15 anni di reclusione per l’ex pm di Taranto Matteo Di Giorgio, condannato tre giorni fa per concussione e corruzione semplice. Al termine del processo, ecco abbattersi sulla procura di Taranto la pensate tegola della trasmissione degli atti per indagare proprio su chi ricopre un ruolo di vertice nella procura pugliese. Argentino è a capo del pool che ha chiesto il rinvio a giudizio, tra l’altro, del presidente della Puglia, Nichi Vendola, nell’ambito delle indagini sulle emissioni inquinanti dello stabilimento Ilva. Vendola è accusato di concussione in concorso con i vertici dell’Ilva, per presunte pressioni sull’Arpa Puglia affinché «ammorbidisse» la pretesa di ridurre e rimodulare il ciclo produttivo dello stabilimento siderurgico. Attraverso quel - le presunte pressioni, Vendola - secondo la procura - avrebbe minacciato il direttore Arpa Giorgio Assennato, «inducendolo a più miti consigli», approfittando del fatto che Assennato fosse in scadenza di mandato e che rischiasse di non essere riconfermato. Accusa sempre respinta da Vendola.
Quindici anni di reclusione per concussione e corruzione semplice. Tre in più rispetto ai dodici chiesti dal pubblico ministero, scrive “Il Quotidiano di Puglia”. È un terremoto che si abbatte sul palazzo di giustizia di Taranto la sentenza che il Tribunale di Potenza ha pronunciato nei confronti dell’ex pubblico ministero della procura di Taranto Matteo Di Giorgio. Un terremoto anche perché i giudici potentini - competenti per i procedimenti che vedono coinvolti magistrati tarantini - hanno disposto la trasmissione degli atti alla Procura perché valuti la sussistenza del reato di falsa testimonianza a carico del procuratore aggiunto di Taranto, Pietro Argentino, e l’ex procuratore di Taranto Aldo Petrucci, di Gallipoli.
Il Tribunale di Potenza ha condannato a 15 anni di reclusione l’ex pubblico ministero di Taranto, Matteo Di Giorgio, accusato di concussione e corruzione in atti giudiziari, scrive “La Gazzetta del Mezzogiorno”. Come pena accessoria è stata disposta anche l'interdizione perpetua dai pubblici uffici. La pubblica accusa aveva chiesto la condanna alla pena di 12 anni e mezzo. Il Tribunale di Potenza (presidente Gubitosi), competente a trattare procedimenti in cui sono coinvolti magistrati in servizio presso la Corte d’appello di Lecce, ha inoltre inflitto la pena di tre anni di reclusione all’ex sindaco di Castellaneta (Taranto) Italo D’Alessandro e all’ex collaboratore di quest’ultimo, Agostino Pepe; 3 anni e 6 mesi a Giovanni Coccioli, 2 anni a Francesco Perrone, attuale comandante dei vigili urbani a Castellaneta, 2 anni ad Antonio Vitale e 8 mesi a un imputato accusato di diffamazione. L'ex pm Di Giorgio, sospeso cautelativamente dal Csm, fu arrestato e posto ai domiciliari nel novembre del 2010. Le contestazioni riguardano presunte minacce in ambito politico e ai danni di un imprenditore, altre per proteggere un parente, e azioni dirette a garantire l’attività di un bar ritenuto dall’accusa completamente abusivo. Il magistrato secondo l'accusa, ha anche minacciato di un “male ingiusto” un consigliere comunale di Castellaneta, costringendolo a dimettersi per provocare lo scioglimento del Consiglio comunale e assumere una funzione di guida politica di uno schieramento. L'ex sindaco di Castellaneta ed ex parlamentare dei Ds Rocco Loreto, che presentò un dossier a Potenza contro il magistrato, e un imprenditore, si sono costituiti parte civile ed erano assistiti dall’avv. Fausto Soggia. Il Tribunale di Potenza ha inoltre disposto la trasmissione degli atti alla procura per valutare la posizione di diversi testimoni in ordine al reato di falsa testimonianza. Tra questi vi sono cui l’ex procuratore di Taranto Aldo Petrucci e l’attuale procuratore aggiunto di Taranto Pietro Argentino. Complessivamente il Tribunale ha trasmesso alla procura gli atti relativi alle testimonianze di 21 persone, quasi tutti carabinieri e poliziotti. Tra questi l’ex vicequestore della polizia di Stato Michelangelo Giusti.
Le indagini dei militari del nucleo operativo e della sezione di polizia giudiziaria dei carabinieri di Potenza coordinati dal pm Laura Triassi erano partite nel 2007, scrive “Il Quotidiano Web”. Lo spunto era arrivato dall'esposto di un ex assessore di Castellaneta, Vito Pontassuglia, che ha raccontato di aver spinto alle dimissioni un consigliere comunale, nel 2001, paventandogli un possibile arresto del figlio e del fratello per droga da parte del pm Di Giorgio. Quelle dimissioni che avrebbero causato le elezioni anticipate spianando la strada agli amici del pm, e a lui per l’incarico di assessore della giunta comunale. Gli interessi del magistrato nelle vicende politiche del paese avrebbero incrociato, sempre nel 2007, le ambizioni dell'ex senatore Rocco Loreto, un tempo amico di Di Giorgio, ma in seguito arrestato per calunnia nei suoi confronti, che si era candidato come primo cittadino. Di Giorgio è stato condannato anche al risarcimento dei danni subiti da Loreto, da suo figlio e da Pontassuglia. Per lui la richiesta dell'accusa si era fermata a 12 anni e mezzo di reclusione. Le motivazioni della decisione verranno depositate entro 90 giorni, ma non mi sorprende il fatto che esse conterranno il riferimento alla dubbia credibilità di imputati e testimoni.
MICHELE MISSERI NEL MONDO. LE CONFESSIONI ESTORTE DALLE PROCURE AVALLATE NEI TRIBUNALI..
Quando la verità su cosa ci circonda ci è suggerita dalla fiction straniera.
Confessione falsa estorta. Quando l’interrogato è costretto a confessare. Tecniche di interrogatorio consapevolmente torturanti. Manipolare, distorcere le parole, convincere che la confessione è una liberazione. Spingere un uomo a confessare il falso. Come estorcere una confessione.
Quasi nessuno sa, ed i media colpevolisti hanno interesse a non farlo sapere, che vi è una vera e propria strategia per chiudere in fretta i casi illuminati dalle telecamere delle tv. Strategia, oggetto di studio americana, ignorata da molti avvocati nostrani e non accessibile alla totalità degli studiosi della materia.
Tecniche di interrogatorio consapevolmente torturanti. Manipolare, distorcere le parole, convincere che la confessione è una liberazione. Spingere un uomo a confessare il falso.
Come estorcere una confessione. HOW TO FORCE A CONFESSION:
Sfinimento psicologico per rendere vulnerabile il soggetto. MENTAL EXHAUSTION. La stanchezza. Molte ore di interrogatorio con la reiterata accusa di colpevolezza.
La promessa di una via d’uscita. THE PROMISE OF ESCAPE. Farlo sentire in trappola quando è stanco, esausto, in disagio, claustrofobia.
Offrire una ricompensa. OFFER A REWARD. Lo stato di disagio psicologico o bisogno fisico (fame, sete, freddo, caldo, andare al bagno) o per salvare una persona amata da un imminente pericolo di coinvolgimento o con la concessione a questa di uno sconto di pena.
Suggerire le parole per la confessione. FORCING LANGUAGE
Studio tratto da Bull. Stagione 1. Episodio 5: Vero o falso? Mandato in onda da Rai 2 Domenica 5 marzo 2017 ore 21,00.
Bull e la sua squadra prendono le difese del giovane Richard Fleer che ha confessato di avere ucciso la sua ricca fidanzata, messo sotto pressione dall'interrogatorio della Polizia...
HOW TO FORCE A CONFESSION: Sfinimento psicologico per rendere vulnerabile il soggetto.
MENTAL EXHAUSTION. La stanchezza. Molte ore di interrogatorio con la reiterata accusa di colpevolezza. La promessa di una via d’uscita.
THE PROMISE OF ESCAPE. Farlo sentire in trappola quando è stanco, esausto, in disagio, claustrofobia. Offrire una ricompensa.
OFFER A REWARD. Lo stato di disagio psicologico o bisogno fisico (fame, sete, freddo, caldo, andare al bagno) o per salvare una persona amata da un imminente pericolo. Suggerire le parole per la confessione.
FORCING LANGUAGE
Video tratto da Bull. Stagione 1. Episodio 5: Vero o falso? Mandato in onda da Rai 2 Domenica 5 marzo 2017 ore 21,00. Bull e la sua squadra prendono le difese del giovane Richard Fleer che ha confessato di avere ucciso la sua ricca fidanzata, messo sotto pressione dall'interrogatorio della Polizia...
Yara Gambirasio e quelle confessioni mai rese. Rosa, Olindo, Sabrina Misseri e gli altri, scrive il 22/06/2014 L'Huffington Post. La storia di Yara ha diviso e scatenato le polemiche. Chi difende Massimo Giuseppe Bossetti e chi invece lo vede come il colpevole dell'omicidio della piccola. La sua confessione negata però non è la prima. La Stampa rivive tutti i casi di cronaca dove i colpevoli hanno negato sempre tutto. Nel reticolo di dolori che percorre l’indagine sulla fine di Yara lascia due gocce di stupore e di tenerezza la voce della madre di Giuseppe Bossetti, in carcere perché accusato dell’omicidio: «La scienza ha sbagliato». Difende il figlio, la famiglia di ieri e di oggi, il proprio passato e il proprio onore. L’ostinato negare è una costante del processo, per innocenza o per fede nell’effetto del dubbio, per un attimo d’ombra della mente o per vergogna sociale.
Rosa e Olindo Romano: all'inizio avevano confessato, poi ritrattato parlando di "lavaggio del cervello". Non è bastato. Sono stati condannati all'ergastolo nel 2011.
Anna Maria Franzoni: Ha sempre negato, in tribunale come in Tv, rifiutando l'ipotesi della rimozione mentale. Condannata a 16 anni per aver ucciso il figlio Samuele.
Paolo Stroppiana: ha sempre negato, ma le sue menzogne lo hanno alla fine condannato: sta scontando 14 anni per la morte di Marina di Modica.
Giovanni Scattone e Salvatore Ferraro: omicidio colposo 6 anni e favoreggiamento (2 anni) per l'omcidio di Marta Russo. Teorizzavano il delitto perfetto.
Sabrina Misseri: Tutti la ricordano sempre in TY per la scomparsa della cugina Sarah Scazzi. Poi la condanna senza confessione.
Antonio Giangrande: Non solo Milano. Tribunale di Taranto. Guerra di toghe.
Cosa è che l’Italia dovrebbe sapere e che la stampa tarantina tace?
«Se corrispondesse al vero la metà di quanto si dice, qui parliamo di fatti gravissimi impunemente taciuti», commenta Antonio Giangrande, autore del libro “Tutto su Taranto, quello che non si osa dire”, pubblicato su Amazon.
Mio malgrado ho trattato il caso dell’ex Sostituto Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Taranto, Matteo Di Giorgio, così come altri casi della città di Taranto. Questioni che la stampa locale ha badato bene di non affrontare. Prima che iniziassero le sue traversie giudiziarie consideravo il dr. Matteo Di Giorgio uno dei tanti magistrati a me ostile. Ne è prova alcune richieste di archiviazione su mie denunce penali. Dopo il suo arresto ho voluto approfondire la questione ed ho seguito in video la sua conferenza stampa, in cui esplicava la sua posizione nella vicenda giudiziaria, che fino a quel momento non aveva avuto considerazione sui media. Il contenuto del video è stato da me tradotto fedelmente in testo. Sia il video, sia il testo, sono stati pubblicati sui miei canali informativi. Il seguito è fatto noto: per Matteo Di Giorgio quindici anni di reclusione per concussione e corruzione semplice. Tre in più rispetto ai dodici chiesti dal pubblico ministero. Il Tribunale di Potenza (presidente Gubitosi), competente a trattare procedimenti in cui sono coinvolti magistrati in servizio presso la Corte d’appello di Lecce, ha inoltre inflitto la pena di tre anni di reclusione all’ex sindaco di Castellaneta (Taranto) Italo D’Alessandro e all’ex collaboratore di quest’ultimo, Agostino Pepe; 3 anni e 6 mesi a Giovanni Coccioli, 2 anni a Francesco Perrone, comandante dei vigili urbani a Castellaneta, 2 anni ad Antonio Vitale e 8 mesi ad un imputato accusato di diffamazione.
L'ex pm Di Giorgio, sospeso cautelativamente dal Csm, fu arrestato e posto ai domiciliari nel novembre del 2010. Le contestazioni riguardano presunte minacce in ambito politico e ai danni di un imprenditore, altre per proteggere un parente, e azioni dirette a garantire l’attività di un bar ritenuto dall’accusa completamente abusivo. Il Tribunale di Potenza ha inoltre disposto la trasmissione degli atti alla procura per valutare la posizione di diversi testimoni in ordine al reato di falsa testimonianza. Tra questi vi sono l’ex procuratore di Taranto Aldo Petrucci e l’attuale procuratore aggiunto di Taranto Pietro Argentino. Complessivamente il Tribunale di Potenza ha trasmesso alla procura gli atti relativi alle testimonianze di 21 persone, quasi tutti carabinieri e poliziotti. Tra questi l’ex vicequestore della polizia di Stato Michelangelo Giusti.
Eppure Pietro Argentino è il numero due della procura di Taranto. È il procuratore aggiunto che ha firmato, insieme ad altri colleghi, la richiesta di rinvio a giudizio per i vertici dell’Ilva ed altri 50 imputati.
Pietro Argentino è il pubblico Ministero che con Mariano Buccoliero ha tenuto il collegio accusatorio nei confronti degli imputati del delitto di Sarah Scazzi ad Avetrana.
Possibile che sia un bugiardo? I dubbi mi han portato a fare delle ricerche e scoprire cosa ci fosse sotto. Ed è sconcertante quello che ho trovato. La questione è delicata. Per dovere-diritto di cronaca, però, non posso esimermi dal riportare un fatto pubblico, di interesse pubblico, vero (salvo smentite) e continente. Un fatto pubblicato da altre fonti e non posto sotto sequestro giudiziario preventivo, in seguito a querela. Un fatto a cui è doveroso, contro censura ed omertà, dare rilevanza nazionale, tramite i miei 1500 contati redazionali.
«Come volevasi dimostrare nessuno dei giornali italiani nazionali o locali ha più parlato dopo il primo maggio 2014 dei quindici anni di galera inflitti al Magistrato di Taranto Matteo Di Giorgio e dell’incriminazione per falsa testimonianza inflitta al Procuratore Aggiunto di Taranto Pietro Argentino, scrive Michele Imperio. Ma “La Notte” no. “La Notte” non ci sta a questa non informazione o a questa disinformazione. Quando assunsi la direzione di questo glorioso giornale, che ora sta per riuscire nella sua versione cartacea, dissi che avremmo sempre raccontato ai nostri lettori tutta la verità, solo la verità, null’altro che la verità e avremmo quindi sfidato tutte le distorsioni giornalistiche altrui, tutti i silenzi stampa, tutti i veti incrociati dei segmenti peggiori del potere politico. Strano cambiamento. Sarà stata l’aspirazione di candidarsi Presidente della Provincia di Taranto per il centro-destra, maturata nel 2008. Ancora alcuni anni fa infatti il giudice Matteo Di Giorgio era ritenuto il più affidabile sostituto procuratore della Repubblica della Procura della Repubblica di Taranto, tanto da essere insignito della prestigiosa carica di delegato su Taranto della Procura Distrettuale Antimafia di Lecce. Subì perfino un attentato alla persona per il suo alacre impegno contro il crimine organizzato. Sette capi di imputazione! Però sin poco dopo il mandato di cattura tutti hanno capito subito che qualcosa non andava in quel processo, perché in sede di giudizio sul riesame di quei capi di imputazione la Corte di Cassazione ne aveva annullati ben tre (censure che la Cassazione, in sede di riesame, non muove praticamente mai!) e il resto della motivazione della Cassazione sembrava un’invocazione rivolta ai giudici di marito: Non posso entrare nel merito – diceva la Cassazione – ma siete sicuri che state facendo bene? Tutti i commenti della Rete su questo caso sono stati estremamente critici, quanto meno allarmati. Invece i vari giornali locali, dopo aver dato la notizia il giorno dopo, non ne hanno parlato più. Scrive invece sulla Rete – per esempio – il prof. Mario Guadagnolo, già sindaco di Taranto dal 1985 al 1990: “Premetto che io – scrive (Guadagnolo) – non conosco il dott. Di Giorgio nè ho alcuna simpatia per certi magistrati che anzichè amministrare la giustizia la usano per obbiettivi politici. Ma 15 anni sono troppi se paragonati ai 15 anni di Erika e Omar che hanno massacrato con sessanta pugnalate la madre e il fratellino di sette anni o con i 15 anni comminati alla Franzoni che ha massacrato il figlioletto Samuele. Qui c’è qualcosa che non funziona. Non so cosa ma è certo che c’è qualcosa che non funziona”. Trovo molto singolare che il Procuratore Aggiunto di Taranto Pietro Argentino sarà incriminato di falsa testimonianza a seguito del processo intentato contro il dott. Matteo Di Giorgio - scrive ancora l’avv. Michele Imperio su “Tarastv” e su “La Notte on line” - A parte la stima che tutti riservano per la persona, il dott. Pietro Argentino aveva presentato al CSM domanda per essere nominato Procuratore Capo proprio della Procura di Potenza e il CSM tiene congelata questa delicata nomina da diversi anni. L'attuale Procuratore Capo di Potenza Laura Triassi è solo un facente funzioni e sicuramente anche lei aspirerà alla carica. Certamente questa denuncia terrà bloccata per molti anni una eventuale nomina del dott. Pietro Argentino a Procuratore Capo di una qualsiasi Procura. La sua carriera è stata quindi stroncata. Laura Triassi è inoltre sorella di Maria Triassi, professoressa dell'università di Napoli la quale fu incaricata della perizia epidemiologica nel processo Ilva dal noto Magistrato Patrizia Todisco, la quale è lo stesso Magistrato che già aveva denunciato alla Procura della Repubblica di Potenza il collega Giuseppe Tommasino, poi assolto e che aveva invece lei stessa assolto dal reato di concorso esterno in associazione a delinquere il noto pregiudicato Antonio Fago, mandante - fra l'altro - di un grave attentato dinamitardo a sfondo politico, che poteva provocare una strage. Il conflitto Di Giorgio-Loreto lo conosciamo già. Ma di un altro conflitto che sta dietro questo processo non ha parlato mai nessuno. Alludiamo al conflitto Di Giorgio-Fitto. Se infatti il dott. Matteo Di Giorgio fosse stato nominato presidente della provincia di Taranto sarebbero saltati per aria tanti strani equilibri che stanno molto cari all'on.le Fitto e non solo a lui. Inoltre trovo molto strano che l'on.le Raffaele Fitto, il quale fa parte di un partito molto critico nei confronti di certe iniziative giudiziarie, quanto meno esagerate, non abbia mai detto una sola parola su questa vicenda, che vedeva peraltro coinvolto un Magistrato dell'area di centro-destra. Come pure non una sola parola, a parte quelle dopo l'arresto, è stata mai detta sulla vicenda dall'attuale Procuratore Capo della Repubblica di Taranto dott. Franco Sebastio. E nel processo sulla malasanità di Bari compaiono intercettazioni telefoniche fra il dott. Sebastio e il consigliere regionale dell'area del P.D. ostile al sindaco di Bari Michele Emiliano, Michele Mazzarano, nel corso delle quali il dott. Sebastio esprimeva sfavore per la nomina a Procuratore Aggiunto del dott. Pietro Argentino. Nel corso di una dichiarazione pubblica il dott. Sebastio espresse invece, in modo del tutto sorprendente, soddisfazione per l'arresto del dott. Matteo Di Giorgio e disse che auspicava che anche un secondo Magistrato fosse stato allontanato dalla Procura della Repubblica di Taranto (Argentino?). Ora, guarda un pò, anche il dott. Argentino potrebbe essere sospeso dalle funzioni o trasferito di sede....Ciò che è accaduto al Tribunale di Potenza è, quindi, come ben comprenderete, un fatto di una gravità inaudita e sottintende un conflitto fra Magistrati per gestioni politiche di casi giudiziari, promozioni e incarichi apicali, mai arrivato a questi livelli. Voglio fare alcune premesse utili perchè il lettore capisca che cosa c’è sotto. Sia a Taranto che a Potenza, patria di Angelo Sanza, sottosegretario ai servizi segreti quando un parte del Sisde voleva assassinare Giovanni Falcone e un’altra parte del Sisde non era d’accordo (e lui da che parte stava?), come forse anche in altre città d’Italia, opera da decenni una centrale dei servizi segreti cosiddetti deviati in realtà atlantisti, che condiziona anche gli apparati giudiziari e finanche quelli politici della città. Di sinistra. Così pure altra sede dei servizi segreti atlantisti questa volta di destra, opera a Brindisi. La sezione di Taranto in particolare appartiene sicuramente a quell’area politica che Nino Galloni avrebbe chiamato della Sinistra politica democristiana cioè una delle tre correnti democristiane, in cui si ripartiva la vecchia Sinistra Democristiana che erano – lo ricordo a me stesso – la Sinistra sociale capeggiata dall’on.le Carlo Donat Cattin, il cui figlio è stato suicidato-assassinato; la Sinistra morotea capeggiata dall’on.le Aldo Moro, assassinato, e poi inutilmente e per brevissimo tempo riesumata dal Presidente della Regione Sicilia Piersanti Mattarella, anche lui assassinato; la Sinistra politica capeggiata dai vari De Mita, Mancino, Rognoni, Scalfaro e Prodi, i quali non sono stati mai nemmeno scalfiti da un petardo. Ma torniamo a noi e ai giudici tarantini Pietro Argentino e Matteo Di Giorgio. La cui delegittimazione – per completezza di informazione – è stata preceduta da un’altra clamorosa delegittimazione di un altro Giudice dell’area di centro destra, il capo dei g.i.p. del Tribunale di Taranto Giuseppe Tommasino, fortunatamente conclusasi con un’assoluzione e quindi con un nulla di fatto. Quindi Tommasino, Di Giorgio, Argentino, a Taranto dovremmo cominciare a parlare di un vero e proprio stillicidio di incriminazioni e di delegittimazioni a carico di Magistrati della Procura o del Tribunale non appartenenti all’area della Sinistra Politica Democristiana o altra area alleata, ovvero all’area della Destra neofascista finiana. L’indagine a carico del Dott. Matteo Di Giorgio è durata circa due anni ed è stata condotta da un Maresciallo dei Carabinieri espulso dall’arma e caratterizzata dall’uso di cimici disseminate in tutti gli uffici del Tribunale di Taranto e della Procura. E’ capitato personalmente a me di essere invitato dal giudice Giuseppe Di Sabato, (g.i.p.), un Magistrato che non c’entrava niente con l’inchiesta, di essere invitato a interloquire con lui al bar del Tribunale anziché nel suo ufficio, perchè anche nel suo ufficio c’erano le cimici di Potenza. Ma c’è di più! La Sinistra Politica democristiana vuole diventare a Taranto assolutamente dominante sia in Tribunale che in tutta la città, perché corre voce che due Magistrati, uno della Procura l’altro del G.I.P., resi politicamente forti dalla grande pubblicità e visibilità del processo Ilva, starebbero per passare alla politica, uno come candidato sindaco l’altro come parlamentare, quando sarà.»
Sembra che il cerchio si chiuda con la scelta del Partito democratico caduta su Franco Sebastio, procuratore capo al centro dell’attenzione politica e mediatica per la vicenda Ilva, intervistato da Francesco Casula su “La Gazzetta del Mezzogiorno”.
Procuratore Sebastio, si può giocare a carte scoperte: il senatore Alberto Maritati alla Gazzetta ha ammesso di averle manifestato l’idea del Partito democratico di averla in lista per il Senato...
«Io conosco il senatore Maritati da tempo, da quando era pretore a Otranto. Siamo amici e c’è un rapporto di affettuosa stima reciproca. Ci siamo trovati a parlare del più e del meno... É stato un discorso scherzoso, non ricordo nemmeno bene i termini della questione».
Quello che può ricordare, però, è che lei ha detto no perché aveva altro da fare...
«Mi sarà capitato di dire, sempre scherzosamente, all’amico e all’ ex collega che forse ora, dopo tanti anni, sto cominciando a fare decentemente il mio lavoro. Come faccio a mettermi a fare un’attività le cui caratteristiche non conosco e che per essere svolta richiede qualità elevate ed altrettanto elevate capacità? É stato solo un discorso molto cordiale, erano quasi battute. Sa una cosa? La vita è così triste che se non cerchiamo, per quanto possibile, di sdrammatizzare un poco le questioni, diventa davvero difficile».
«Candidare il procuratore Franco Sebastio? Sì, è stata un'idea del Partito democratico. Ne ho parlato con lui, ma ha detto che non è il tempo della politica». Il senatore leccese Alberto Maritati, intervistato da Francesco Casula su “La Gazzetta del Mezzogiorno”, conferma così la notizia anticipata dalla Gazzetta qualche settimana fa sull’offerta al magistrato tarantino di un posto in lista per il Senato.
Senatore Maritati, perchè il Pd avrebbe dovuto puntare su Sebastio?
«Beh, guardi, il procuratore è un uomo dello Stato che ha dimostrato sul campo la fedeltà alle istituzioni e non solo ora con l'Ilva. Possiede quei valori che il Pd vuole portare alla massima istituzione che è il Parlamento. Anche il suo no alla nostra idea è un esempio di professionalità e attaccamento al lavoro che non sfocia mai in esibizionismo». Dr Antonio Giangrande
Antonio Giangrande: Le tavole del maestro Igor Belansky intitolate: lo squalo della finanza, che evocano poveri cittadini vessati e spolpati, mi ricordano i poveri cristi che incontri al supermercato a snocciolare i prezzi. Sono quei disgraziati che vivono di pensione sociale al di sotto di 500 euro o anche i pensionati minimi, se non addirittura i percettori di reddito di cittadinanza, o quelli senza alcun reddito, esclusi da cervellotiche leggi di sostegno alla povertà. Certo non quei professoroni che vanno per la maggiore sui media, che cercano di scegliersi il miglior reddito presente, per la miglior pensione futura.
Appunto, quei disgraziati che comparano il costo delle vivande necessarie prima e dopo gli aumenti di prezzo ingiustificati. Scegliendo di privarsene in tutto o in parte, per poter centellinare le spese e sopperire all’aggravio del bilancio familiare. Sapendo bene che se tutto tornasse come prima, difficilmente i prezzi di quei prodotti tornerebbero come prima.
Certo i poveri, ma non certo ignoranti, i conti li sanno fare.
Si chiedono: come mai se fluttua il prezzo del gas, aumenta tutto, anche quello che nulla ha a che fare con esso?
Si chiedono ancora: se il prezzo di acquisto di una materia prima aumenta in un tot percentuale rispetto al prezzo finale del prodotto, perché da parte delle aziende energivore si calcola l’aggravio percentuale su tutte le spese fisse e variabili che nulla hanno a che fare con la materia prima interessata?
Il commento finale è che per questo tipo di speculazione con prezzi irreversibili, sarà solo la povera gente a pagare, non avendo redditi progressibili.
Antonio Giangrande: Igor Belansky e la Sociatria: illustrazione e mondi individuali e sociali. ANTONIO ROSSELLO su Il Corriere Nazionale il 20 agosto 2022.
La particolare prospettiva in cui muove la ricerca espressiva del noto illustratore genovese.
Igor Belansky ha letto con estremo interesse la mia recente intervista, su il Corriere Nazionale, al dr. Antonio Giangrande, figura poliedrica, scrittore, sociologo storico, giurista, blogger, youtuber, presidente dell’”Associazione contro tutte le mafie” e di “Tele Web Italia”, il quale è autore di un centinaio di saggi che parlano di questa Italia contemporanea, analizzandone tutte le tematiche, divise per argomenti e per territorio.
E proprio le complesse e sofferte battaglie civili condotte da Giangrande sono state motivo di forte coinvolgimento per il noto illustratore, che ispirandosi ad esse ha realizzato la rappresentazione in anteprima. In essa emergono a tutta forza quel suo tipico tratto poco incline ai virtuosismi, lo stile crepuscolare o grottesco che trasmette dissonanze, senza incorrere nella banalità della provocazione. Vi è dunque, piuttosto, il thauma, l’angosciante stupore, la tensione dialettica tra fascino e turbamento nella destabilizzante indeterminatezza delle cose, che spiana la strada alla domanda più che alle risposte, come quando si sprofonda negli oscuri meandri che conducono fino alle più ignote regioni dell’inconscio. Da qui, la voglia di scuotere l’indifferenza, che rappresenta sempre più il male della società moderna.
Evocativo il titolo: “Potere e moltitudine“. Vi si coglie la contrapposizione tra le figure più grandi dei potenti che, con sicurezza ostentata, sovrastano una folla magmatica, disperata, in cui si scorge l’accenno alla morte. Pare la plastica raffigurazione dell’inconscio collettivo, visto come quell’invenzione di Carl Gustav Jung, prestata poi alla teoria politica e delle scienze sociali italiane tra Otto e Novecento, che è più che mai inibita, gettata nell’inazione, eterodiretta in questo tempo postmoderno. Drammatico l’interrogativo: cosa muove l’imprevedibile azione delle «masse» e quali sono le motivazioni profonde che in alcune, eccezionali stagioni spingono gli individui a compiere atti eroici completamente disinteressati o crimini efferati, all’apparenza del tutto irrazionali?
Igor Belansky – Potere e moltitudine
A parte certi, sempre più pochi ed isolati, impavidi paladini della resistenza sociale, ai nostri giorni per la stragrande maggioranza delle persone diventa sempre più difficile prendere posizione o schierarsi. Oggi si è portati ad indignarsi. A sconcertarsi. Ad esprimere giudizi sommari. Ma subito dopo si è capaci di farsi prendere dall’indifferenza. Subentra a quel punto una voluta ignoranza sui fenomeni che ci circondano. Li minimizziamo. Questo non vuole Belansky.
Non a caso, come ho già avuto modo di affermare in un articolo sul settimanale online WeeklyMagazine, nella particolare prospettiva in cui orienta la sua ricerca espressiva, in condivisione con altri esponenti emergenti delle Arti Visive, l’illustratore genovese punta infatti all’affermazione di un concetto, la «Sociatria» (ossia «la cura della società»), attraverso il quale l’Arte può generare una via di verità, alimentando la mente, rieducare o, quantomeno, scongiurare la crescente e pericolosa carenza di pensiero, oltre che tendere ad avvicinare la persona alla virtù, sino a ritrovare in senso un più ampio un rispetto dell’umanità.
Sulla stessa lunghezza d’onda, pare anche essere il sociatra americano John Fordham, che, dal suo gruppo Facebook Sociatry – for societal health., così commenta la summenzionata intervista a Giangrande:
I loved this. I gained the impression that he does what he does, because it’s his calling in life. It’s a “labor of love” which he’s driven to pursue & construct. (tr.: Mi è piaciuto molto. Ho avuto l’impressione che faccia quello che fa perché è la sua vocazione nella vita. È un “lavoro d’amore” che è spinto a perseguire e costruire).
Intervista di Antonio Rossello al dr. Antonio Giangrande, figura poliedrica, scrittore, sociologo storico, giurista, blogger, youtuber, presidente dell’”Associazione Contro Tutte le Mafie” e di “Tele Web Italia”, il quale è autore di un centinaio di saggi che parlano di questa Italia contemporanea, analizzandone tutte le tematiche, divise per argomenti e per territorio.
1. Dottor Giangrande, Lei nel suo recentissimo volume “ANNO 2022 LA CULTURA ED I MEDIA SECONDA PARTE” menziona l’illustratore, sempre più spesso prestato alla penna su questa ed altre testate online, Igor Belanky per via del suo articolo “Dittatura” pubblicato da Weeklymagazine il 24 Luglio 2022. Da cosa è stato colpito? La sua comunicazione sintetica ed essenziale è più efficace delle più lunghe e forbite concioni di altri redattori?
R. In quelle frasi vi è il sunto del rapporto tra Potere e Povertà. I poveri hanno bisogno di speranza. Il Potere promette di realizzarla. Più i poveri sono ignoranti più è grande il laccio che li lega al Potere. Più i poveri rimangono tali e ignoranti più il Potere padroneggia. Per questo il Potere elemosina i poveri, non li evolve in benestanti.
2. Non trova che in Italia la gente non legga molto ma parli troppo, cosa poco utile quando bisogna scegliere, decide cosa fare e con chi? La colpa è della scuola, del mondo della cultura, della politica o dei media? O di una crescente indifferenza…? Questi mi pare siano gli aspetti che Lei tratta nel summenzionato volume…
R. Il principio del sostentamento dei poveri ha portato questi a pretendere diritti, non a chiedere, ed allo stesso tempo a non sottostare ai doveri. L’ignoranza porta a parlare, ad ostentare ed imporre, non a leggere ed imparare. Si studia per poter migliorare e per poter dire a chi parla: cosa dici?!?
Purtroppo, poi, se qualcuno cerca di leggere, non trova fonti per poterlo soddisfare. La Cultura ed i Media sono in mano al Potere: economico e politico. Si scrive quello che è permesso: dall’editore; dai partiti di potere composte dalle eminenze grigie di mafie, massonerie e caste e lobby.
3. In generale, di cosa si occupa con i suoi saggi?
R. Se Giorgio dell’Arti, con i suoi “Cinquantamila” parla dei protagonisti,
Se Wikipedia riporta la contemporaneità e la storia per argomento o protagonisti.
Se Dagospia, twnews o Msn notizie riportano la contemporaneità per cronologia.
Io con le mie ricerche giornaliere vado oltre ognuno di loro.
Parlo di storia e contemporaneità cronologica, per Tema suddiviso per Argomenti, di fatti e protagonisti.
Mi occupo di tutti gli aspetti del nostro mondo contemporaneo. Racconto il presente ed il passato per poter migliorare il futuro a colui che legge: che sa e parla. Faccio parlare i protagonisti di oggi. Uso fonti credibili ed incontestabili, rapportandoli tra loro in contraddittorio. Uso l’opera di terzi per l’imparzialità. Questo anche per aggirare la censura e le querele.
4. E con la Sua web tv? E’ il tentativo di offrire informazione alternativa rispetto al cosiddetto mainstream?
R. Nei miei saggi parlo degli italiani. La mia web tv è solo rappresentazione dell’Italia, come territorio. L’Italia è bella per quello che è, tramandato dai posteri, che va distinta da chi oggi vi abita.
5. Ci può raccontare come è nata quella che mi pare sia la Sua passione civile?
R. Sono figlio di poveri che ha voluto emanciparsi. Volevo elevarmi socialmente. Ciò nonostante: i poveri dal basso ed il Potere dall’alto mi tirano giù. Per i miei genitori, come per tutti i poveri, non vale essere, ma avere. Ed i figli sono braccia prestati allo sfruttamento. Non mi hanno fatto studiare. A 32 anni dopo l’ennesima bocciatura ad un concorso pubblico truccato, ho deciso di studiare per migliorare. Diploma di ragioniere, da privatista 5 anni in uno presso un istituto pubblico e non privato, laurea in giurisprudenza 4 anni in due, presso la Statale di Milano, lavorando di notte per poter frequentare e studiare di giorno. 6 anni di professione forense non abilitato. Abilitazione cercata per 17 anni e mai concessa in esami farsa. La mia ragione non è stata riconosciuta nella tutela giudiziaria, nonostante ad altri nelle stesse condizioni, sì. La mia colpa? Essermi reso conto che la Giustizia non è di questo Stato e in quei 6 anni volevo porre rimedio alle ingiustizie nelle aule del Tribunale. Mi son reso conto che la mafia era dentro quelle aule e non fuori. Oggi non posso rimediare alle ingiustizie, perché non ho potere. Mi rimane solo che raccontarle ai posteri ed agli stranieri.
6. Qual è il bilancio della Sua attività in tal senso, presente e passata, nei vari ruoli che riveste?
R. Se parlo al presente è fallimentare. Sono un disoccupato presidente di una associazione antimafia che scrive e viene letto tantissimo in tutto il mondo, anche con le anteprime dei miei libri, ma non vende, perché sono relegato in un angolo dalla P2 culturale: ossia da quella eminenza grigia che non vuole che si cambino le cose, informando correttamente la gente e fa parlare chi sa. In ogni caso ognuno pensa per sé, per questo la gente è interessata ai suoi interessi ed a risolvere i propri problemi, anziché cambiare le sorti dei loro figli.
7. Ci può accennare come, dal Suo punto di vista di attento osservatore, appaiono le attuali vicende sulla scena nazionale e internazionale?
R. Da sempre l’essere umano ha sentito l’esigenza di avere la cosa altrui. O compra o ruba. Da sempre vi sono state guerre di conquista. Atti di bullismo nei confronti dei più deboli. A volte si usa l’arma del nazionalismo, altre volte è la religione ad imporre la violenza. La reazione delle forze non schierate è stata quella del menefreghismo e quella dell’utilitarismo. In questo senso tutto il mondo è Italia. Riscontro a mio giudizio delle fazioni.
Quelle che dicono: che me ne fotte a me.
Quelli che dicono: qui ci guadagno.
Pochi sono quelli che per altruismo difendono le vittime dai bulli.
8. Una nota metodologica o, se vuole, concetto. Sui siti internet specializzati, i suoi saggi sono quasi sempre categorizzati nel genere “sociologia”. Mi pare che Lei conduce una ricerca sociologica, per denunciare i mali intrinseci, le dissonanze della nostra società contemporanea… nella sua formazione e nelle Sue motivazioni, forse generazionali, vi è qualche richiamo alla Scuola di Francoforte, alla sua Dialettica negativa, Horkheimer, Adorno, Marcuse…
R. Il socialismo, radice unica dei regimi comunisti, nazisti e fascisti ha usato le masse per poter egemonizzare il mondo. L’uso della religione per manipolare le masse povere per fini politici è anch’esso socialismo. Lo statalismo è il loro strumento, la povertà è l’arnese.
Io credo che, invece, l’individuo deve essere padrone del proprio destino e deve essere messo in grado di decidere per il suo meglio, senza danneggiare gli altri. Tanti individui ben informati, divenuti benestanti, avranno tutto l’interesse ad intraprendere azioni per tutelare lo status quo. I loro rapporti, tra loro e loro con il Potere, saranno regolati da poche leggi. Credo che i 10 comandamenti siano sufficienti a regolare il tutto.
9. Ed ancora quale ritiene sia oggi lo stato dell’arte della Sociologia? E’ al corrente dell’esistenza in Italia e all’estero di approcci emergenti alle Scienze sociali, quali la Sociatria, la Sociosofia, la Sociocrazia o la Sociurgia, di cui anch’io ho parlato in precedenti articoli? Che cosa ne pensa, sono destinati a superare, o quanto meno integrare, riformare la Sociologia? Se c’è una Sua via autonoma ed innovativa, come la definirebbe o battezzerebbe con termine sintetico?
R. Io mi definisco sociologo storico: Racconto il presente ed il passato, confrontandoli tra loro per evidenziare delle differenze, ove ci fossero, o per indicare la ciclica apparizione dei difetti, ossia i corsi ed i ricorsi storici. Il tutto affinchè si migliori il futuro. L’individuo colto e correttamente informato è il perno centrale, tanti fanno una massa e ne indirizzano le mosse. Il vero senso di “uno vale uno”. Diversa è la massa pecorile o topile che viene guidata da un pastore o da un pifferaio.
10. Ogni fatto è rappresentato da una verità storica; da una verità mediatica e da una verità giudiziaria. Abbiamo appreso di Sue molteplici prese di posizione, in differenti occasioni e sedi, sul tema della giustizia. Può parlarcene?
R. La verità storica è quella reale ed imparziale cercata e trovata attraverso tutte le fonti poste in contraddittorio senza influenze esterne.
La verità mediatica è quella verità propinata come tale ma che è influenzata da interessi economici, politici, o di caste, lobby, mafie e massonerie deviate.
La verità giudiziaria è quella che emerge dalle aule dei tribunali, in cui le prove sono tali se permesse e dove vi è piena disparità tra accusa e difesa. I giudizi sono fonti di interesse clientelare e parentale, di colleganza, di retroguardia culturale.
11. Concludendo? Ha dei rimpianti o è contento di ciò che fa?
R. Rimpianti No! Per niente. Contento sì. Da 20 anni scrivo e sono ad oggi circa 350 libri tra tematici ed aggiornamenti annuali.
Da Gesù Cristo in poi, i grandi uomini, che hanno lasciato traccia di loro, non erano riconosciuti tali nella loro epoca. Tantomeno erano profeti nella loro terra.
Io ringrazio la mia famiglia che mi sostiene, affinchè tanto ignorato e osteggiato in vita, tanto sarò ricordato per le mie opere da morto. E si sa, chi si ricorda non muore mai.
Dr Antonio Giangrande: Quando il turista malcapitato viene a San Pietro in Bevagna, a Specchiarica o a Torre Colimena dice: “qua non c’è niente e quel poco è abbandonato e pieno di disservizi. Non ci torno più!”. Al turista deluso e disincantato gli dico: «Campomarino di Maruggio, Porto Cesareo, Gallipoli, Castro, Otranto, perché sono famosi?» “Per il mare, per le coste, per i servizi e per le strutture ricettive” risponde lui. «Questo perché sono paesi marinari a vocazione turistica. Ci sono pescatori ed imprenditori e gli amministratori sono la loro illuminata espressione» chiarisco io. «E Manduria perché è famosa?» Gli chiedo ancora io. “Per il vino Primitivo!” risponde prontamente lui. Allora gli spiego che, appunto, Manduria è un paesone agricolo a vocazione contadina e da buoni agricoltori, i manduriani, da sempre i 17 km della loro costa non la considerano come una risorsa turistica da sfruttare, (né saprebbero come fare, perché non è nelle loro capacità), ma bensì semplicemente come dei terreni agricoli non coltivati a vigna ed edificati abusivamente, perciò da trascurare.
Antonio Giangrande: Il dogma del liberale: la Libertà è fare quel che si vuole nel rispetto della Libertà altrui.
La libertà propria è la Libertà altrui sono diritti assoluti e nessuno di questi diritti deve essere limitativo o dannoso all’altro.
Il socialismo (fascio-comunismo) è il potere dato in mano a caste, lobbies, massonerie e mafie.
Antonio Giangrande: ESIBIZIONISMO. LA SINDROME DELL'APPARIRE. QUESTI POLITICI: COMMEDIANTI NATI?
Viene prima il volto televisivo o il politico? Conta più la telegenia e la sfrontatezza o la competenza e la capacità? La notorietà deriva dal piccolo schermo o dalle aule parlamentari?
Ne parla il dr. Antonio Giangrande. Scrittore, sociologo storico, blogger, youtuber, presidente dell’Associazione Contro Tutte le Mafie.
Gli esordi televisivi di molti politici è la manifestazione del loro esibizionismo. Molte persone amano mettersi al centro dell’attenzione, cercano in tutti i modi di farsi notare dagli altri, sentono, cioè, un profondo bisogno di farsi vedere da tante persone, affinchè l’attenzione delle persone sia rivolta solo a loro, perchè si parli di loro.
La politica come strumento dell’esibizionismo. Sono sempre di più, infatti, i volti televisivi che decidono di impegnarsi in politica.
Dal 1948 a oggi, quanti hanno intrapreso la carriera politica tra attori, attrici, showgirl, cantanti, presentatori, presentatrici, comici, barzellettieri, ecc.?
Syusy Blady, nota per il programma Turisti per caso: ha aderito alla causa dei Verdi e correrà per loro alle europee 2014.
Alessandro Cecchi Paone, dopo dieci anni il conduttore torna a schierarsi con Forza Italia. “Non potevo dire di no”, ha dichiarato Paone, “sono prontissimo” e correrà per loro alle europee 2014.
Elisabetta Gardini, primo volto di Uno Mattina Rai. Ci aveva provato già nel 1994 ad entrare in parlamento, candidata nel Patto Segni. Ma Elisabetta Gardini viene eletta, alle Europee, solo dieci anni dopo nelle liste del Pdl. Conquistando 34mila preferenze, in sole tre settimane di campagna elettorale. Una carriera, quella di Gardini, cominciata come attrice teatrale e continuata con l'esperienza in tv a Domenica In.
Fabrizio Bracconieri, un ex “ragazzo della III C”, noto anche per il programma Forum, correrà per le europee 2014.
Enzo Tortora al parlamento europeo nel 1984 per il Partito Radicale.
Iva Zanicchi. Da "La zingara" che conquistò Sanremo nel 1969, alla trasmissione "Ok, il prezzo è giusto". Non solo cantante e presentatrice televisiva, Iva Zanicchi ha fatto carriera anche in politica: prima è stata candidata per Forza Italia alle elezioni europee del 1999 e del 2008, senza essere eletta. Poi è subentrata al dimissionario Mario Mantovani ed è stata rieletta europarlamentare nel 2009. La candidata più votata al parlamento europeo nel 2009, battuta solo da Silvio Berlusconi.
Enrico Montesano e Michele Santoro sempre al parlamento europeo a sinistra.
Vladimir Luxuria, dall’organizzazione del Muccassassina, una delle feste più famose di Roma, fino a diventare la prima parlamentare transgender di un parlamento europeo. Eletta come indipendente nel 2006 nelle liste di Rifondazione Comunista, Vladimir Luxuria si è battuta alla Camera per i diritti della comunità Lgbt.
Lilli Gruber sempre al parlamento europeo, lo schieramento quello dell'Ulivo.
Barbara Matera, dopo aver conquistato la notorietà diventando “signorina buonasera” in Rai, prima rinuncia alla candidatura alla Camera nel 2008, così da finire gli studi, poi un anno dopo accetta l’offerta del Pdl per le Elezioni europee.
Come si arriva all’elezione della velina Barbara Matera al Parlamento europeo? Quando l’uso strumentale del corpo si impone al punto da diventare esso stesso messaggio politico?
Per raccontare questa storia è necessario fare un passo indietro al settembre 2004: Flavia Vento. "Nasce il mio nuovo movimento Figli dei fiori". Così Flavia Vento, la soubrette nota al grande pubblico grazie a Libero, il programma di Teo Mammucari, aveva annunciato su twitter il suo ingresso in politica.
Ylenia Citino, candidata nelle liste di Forza Italia alle Europee e laureata alla LUISS. L'ex tronista, per un paio di mesi, della nota trasmissione di Maria De Filippi “Uomini e donne”.
Ilona Staller, in arte Cicciolina, una delle più note pornodive, fa il suo ingresso in Parlamento nel 1987, eletta alla Camera dei deputati nelle liste del Partito Radicale, con 20mila preferenze, seconda solo a Marco Pannella.
Gabriella Carlucci, della sua carriera televisiva si ricorda soprattutto l’edizione di Buona Domenica condotta insieme a Gerry Scotti nel 1994. Lo stesso anno in cui si iscrive alla neonata Forza Italia. Due lauree, una in letterature straniere, l’altra in Storia dell’Arte, Carlucci è stata deputata dal 2001 al 2013 nei gruppi parlamentari di Forza Italia, poi Pdl, fino all’Udc di Pier Ferdinando Casini.
Debora Caprioglio. Il ruolo da protagonista in Paprika, il film di Tinto Brass del 1991, l’ha portata al successo. E’ stato Francesco Pionati, leader dell’Alleanza di Centro, a offrirle il ruolo di madrina della seconda Assemblea nazionale dell’Adc e poi responsabile nazionale di Cultura e Spettacolo nello stesso partito.
Alessandra Mussolini, nipote d'arte di Sophia Loren, prova a intraprendere la stessa carriera della zia come attrice. Ma invece viene candidata giovanissima alla Camera nel 1992 nelle liste del Movimento Sociale Italiano. Poi, un percorso all'interno di Alleanza Nazionale per poi approdare nel Popolo della Libertà di Silvio Berlusconi.
Ombretta Colli, cantante e attrice, dopo aver condiviso col marito Giorgio Gaber ideali di sinistra, comincia la sua carriera politica in Forza Italia, diventando prima deputata nel 1995, poi senatrice, fino ad essere eletta come Presidente della Provincia di Milano e poi nominata Sottosegretaria alle Pari Opportunità, Moda e Design della Regione Lombardia nella giunta di Roberto Formigoni.
Anna Kanakis Miss Italia nel 1977, ha avuto anche una breve carriera politica come responsabile nazionale di Cultura e Spettacolo nell’Unione Democratica per la Repubblica, fondato da Francesco Cossiga nel 1998 e di cui Clemente Mastella è stato segretario.
Carlo Calenda, Ministro del Governo Renzi, ed il passato da attore. Oltre ad essere figlio, come detto, dell’economista Fabio Calenda, Carlo è anche figlio della regista Cristina Comencini. E forse non è un caso che nel suo pedigree ci sia anche un brevissimo passato di attore. Infatti, nell’estate del 1983, quando aveva solo dieci anni, ha interpretato il piccolo scolaro Enrico Bottini nello sceneggiato televisivo «Cuore», ispirato all'omonimo romanzo di Edmondo de Amicis. Il film è stato diretto dal nonno Luigi Comencini.
Daniela Santanché, quando aveva ventidue anni, nel 1983, fu intervistata da una trasmissione tv che si chiamava “Viva le donne”, condotta da Amanda Lear. Le chiesero a quale programma televisivo avrebbe voluto partecipare e lei rispose: al telegiornale. Poi le chiesero cosa volesse fare da grande e lei rispose: "il ministro del Tesoro".
Michela Brambilla. Finisce tra i più visti di YouTube il video, scovato dalla Gialappa's, che documenta i suoi primi passi in tv. La rossa del Pdl era inviata di "I misteri della notte" nel 1991: occhiali scuri e guanti di pizzo, visitava i locali notturni di Barcellona, tra topless e balli sadomaso. Per la sua entrata in politica la motivazione l’ha data Silvio Berlusconi: “E’ un’ira di Dio, una che non molla l’osso”, ha detto scherzando, ma non troppo, perché Michela è sempre stata così, una “rompiballe che non si arrende mai”, come dice lei stessa, e che quando vuole qualcosa non demorde finché non l’ha ottenuto, scrive “Affari italiani”. Lo sa anche Giorgio Medail, che tenne a battesimo la ventenne Michela nel mondo del giornalismo televisivo. Michela l’aveva incontrato a Salsomaggiore, dove, con la fascia di Miss Romagna, partecipava alle finali di Miss Italia: non vinse, ma cominciò a tempestare di telefonate Medail, finché non la prese a lavorare con lui a Canale5. Su Youtube è ancora cliccatissimo uno dei suoi servizi tv del 1991 per “I misteri della notte”, programma “esoterico” di Medail, dove Michela gira per le discoteche di Barcellona in abbigliamento dark e succinto.
Mara Carfagna. La valletta della tv. Tra i video più datati, quello del suo esordio a TeleSalerno: Mara aveva 21 anni ed era una studentessa. Presentando Carfagna, il conduttore spiega che «i suoi hobby sono il piano e il canto», «non sopporta la falsità e l’ipocrisia» e che il suo sogno nel cassetto è «danzare all’American Ballet Theatre». Di lei, Silvio Berlusconi disse: "Se non fossi già sposato, la sposerei immediatamente". Mara Carfagna, dopo la carriera televisiva, si affaccia alla politica diventando coordinatrice del movimento femminile di Forza Italia in Campania. Poi viene eletta alla Camera nel 2006 e nominata nel 2008 Ministro per le pari opportunità.
E poi ci sono loro: l’aspirante Premier ed il Premier.
Matteo Salvini. «Striscia la notizia» ha scovato un video di Matteo Salvini, attuale leader del Carroccio, quando partecipò alla trasmissione «Il pranzo è servito» condotta da Davide Mengacci. Era il 1993. Capelli lunghi, pizzetto e basettoni, giacca e cravatta fantasia e qualche chilo in meno di adesso, il giovane Matteo si presentò così al conduttore che gli chiedeva la sua professione: «Sono nullafacente, iscritto all’università in attesa di fare esami».
Matteo Renzi. Da tempo circola il filmato di Matteo Renzi, quando partecipò nel 1994 alla trasmissione «La ruota della fortuna con Mike Bongiorno. Il giovane Matteo arrivato «da un piccolo paese in provincia di Firenze, Rignano sull’Arno», come dice lui stesso nel video, racconta il suo hobby: «Faccio l’arbitro di calcio a livello dilettantistico, in seconda categoria».
Sicuramente in quest’elenco molti nomi mancano. Mi scuso per loro non averli ricordati.
Antonio Giangrande: Un figlio al padre: papà, perché gli artisti sono spesso comunisti?
Il padre: perché a loro piace essere mantenuti e sono molto libertini e viziosi e con poca voglia di lavorare!
La frase latina veritas vos liberat significa "la verità vi rende liberi". La frase viene detta da Gesù nel Vangelo di Giovanni (8, 32): "Conoscerete la verità e la verità vi farà liberi".
Il mondo caposotto:
Tu hai tutto e non vali niente.
Io valgo tanto e non ho niente, se non la libertà.
Antonio Giangrande
SEGUI AZIONE LIBERALE. SOTTOSCRIZIONE DEL MANIFESTO PER UNA POLITICA D’AVANGUARDIA.
La legalità è un comportamento conforme alla legge. Legalità e legge sono facce della stessa medaglia.
Nei regimi liberali l’azione normativa per intervento statale, per regolare i rapporti tra Stato e cittadino ed i rapporti tra cittadini, è limitata. Si lascia spazio all’evolvere naturale delle cose. La devianza è un’eccezione, solo se dannosa per l'equilibrio sociale.
Nei regimi socialisti/comunisti/populisti l’intervento statale è inflazionato da miriadi di leggi, oscure e sconosciute, che regolano ogni minimo aspetto della vita dell’individuo, che non è più singolo, ma è massa. Il cittadino diventa numero di pratica amministrativa, di cartella medica, di fascicolo giudiziario. Laddove tutti si sentono onesti ed occupano i posti che stanno dalla parte della ragione, c’è sempre quello che si sente più onesto degli altri, e ne limita gli spazi. In nome di una presunta ragion di Stato si erogano miriadi di norme sanzionatrici limitatrici di libertà, spesso contrastati, tra loro e tra le loro interpretazioni giurisprudenziali. Nel coacervo marasma normativo è impossibile conformarsi, per ignoranza o per necessità. Ne è eccezione l'indole. Addirittura il legislatore è esso medesimo abusivo e dichiarato illegittimo dalla stessa Corte Costituzionale, ritenuto deviante dalla suprema Carta. Le leggi partorite da un Parlamento illegale, anch'esse illegali, producono legalità sanzionatoria. Gli operatori del diritto manifestano pillole di competenza e perizia pur essendo essi stessi cooptati con concorsi pubblici truccati. In questo modo aumentano i devianti e si è in pochi ad essere onesti, fino alla assoluta estinzione. In un mondo di totale illegalità, quindi, vi è assoluta impunità, salvo l'eccezione del capro espiatorio, che ne conferma la regola. Ergo: quando tutto è illegale, è come se tutto fosse legale.
L’Eccesso di zelo e di criminalizzazione crea un’accozzaglia di organi di controllo, con abuso di burocrazia, il cui rimedio indotto per sveltirne l’iter è la corruzione.
Ergo: criminalizzazione = burocratizzazione = tassazione-corruzione.
Allora, si può dire che è meglio il laissez-faire (il lasciare fare dalla natura delle cose e dell’animo umano) che essere presi per il culo e …ammanettati per i polsi ed espropriati dai propri beni da un manipolo di criminali demagoghi ed ignoranti con un’insana sete di potere.
Prima della rivoluzione francese “L’Ancien Régime” imponeva: ruba ai poveri per dare ai ricchi.
Erano dei Ladri!!!
Dopo, con l’avvento dei moti rivoluzionari del proletariato e la formazione ideologica/confessionale dei movimenti di sinistra e le formazioni settarie scissioniste del comunismo e del fascismo, si impose il regime contemporaneo dello stato sociale o anche detto stato assistenziale (dall'inglese welfare state). Lo stato sociale è una caratteristica dei moderni stati di diritto che si fondano sul presupposto e inesistente principio di uguaglianza, in quanto possiamo avere uguali diritti, ma non possiamo essere ritenuti tutti uguali: c’è il genio e l’incapace, c’è lo stakanovista e lo scansafatiche, l’onesto ed il deviante. Il capitale di per sé produce reddito, anche senza il fattore lavoro. Lavoro e capitale messi insieme, producono ricchezza per entrambi. Il lavoro senza capitale non produce ricchezza. Il ritenere tutti uguali è il fondamento di quasi tutte le Costituzioni figlie dell’influenza della rivoluzione francese: Libertà, Uguaglianza, Solidarietà. Senza questi principi ogni stato moderno non sarebbe possibile chiamarlo tale. Questi Stati non amano la meritocrazia, né meritevoli sono i loro organi istituzionali e burocratici. Il tutto si baratta con elezioni irregolari ed a larga astensione e con concorsi pubblici truccati di cooptazione. In questa specie di democrazia vige la tirannia delle minoranze. L’egualitarismo è una truffa. E’ un principio velleitario detto alla “Robin Hood”, ossia: ruba ai ricchi per dare ai poveri.
Sono dei ladri!!!
Tra l’antico regime e l’odierno sistema quale è la differenza?
Sempre di ladri si tratta. Anzi oggi è peggio. I criminali, oggi come allora, saranno coloro che sempre si arricchiranno sui beoti che li acclamano, ma oggi, per giunta, ti fanno intendere di fare gli interessi dei più deboli.
Non diritto al lavoro, che, come la manna, non cade dal cielo, ma diritto a creare lavoro. Diritto del subordinato a diventare titolare. Ma questo principio di libertà rende la gente libera nel produrre lavoro e ad accumulare capitale. La “Libertà” non è statuita nell’articolo 1 della nostra Costituzione catto comunista. Costituzioni che osannano il lavoro, senza crearne, ma foraggiano il capitale con i soldi dei lavoratori.
Le confessioni comuniste/fasciste e clericali ti insegnano: chiedi e ti sarà dato e comunque, subisci e taci!
Io non voglio chiedere niente a nessuno, specie ai ladri criminali e menzogneri, perché chi chiede si assoggetta e si schiavizza nella gratitudine e nella riconoscenza.
Una vita senza libertà è una vita di merda…
Quell’Italia malata di pessimismo. Michele Gelardi su L'Identità il 7 Giugno 2023
L’Italia è affetta da una grave malattia: il pessimismo. Pare addirittura che ne abbia il primato mondiale, secondo gli studi, citati da una sbigottita Barbara Palombelli qualche giorno fa nel talk di “Stasera Italia”, i quali peraltro trovano conferma nel report del “Sole 24 ore” del 15 marzo. In verità la posizione di vertice degli italiani, nella scala mondiale del pessimismo, non mi stupisce affatto. Per mio conto ho già fatto un’osservazione “statistica”, del tutto personale e “gratuita”, non suffragata da alcun dato comparativo, ma della quale ho assoluta certezza: siamo anche primatisti mondiali in chiusure delle scuole a seguito di “allerta meteo”. I due primati mi sembrano correlati, essendo l’uno l’effetto, l’altro un elemento sintomatico, di un unico fenomeno: l’eccesso di protezionismo di Stato. Invero l’essenza del pessimismo mi pare risiedere, più ancora che nella paura dell’imminente catastrofe universale (per Covid o cambiamento climatico), che pure è molto rilevante, nel vuoto personale, nell’assenza di prospettive e aspettative per il proprio futuro.
Il carburante del pessimismo è dato dalla frustrazione e dal senso d’inanità; in sintesi, dal sentimento d’impotenza della persona in relazione al cammino della sua vita. Chi sa di non poter “fare”, è costretto ad attendere che gli altri facciano. Se non può provvedere a sé stesso, può solo confidare nella provvidenza altrui, basata su legami, o sociali, o meramente giuridici. Nel primo caso, il tutelato entra in rapporto personale con il tutore e tende a ingraziarsene le cure; nel secondo, si instaura un rapporto asettico e cartolare, regolato solo da norme giuridiche astratte; nel primo caso, il tutelato fa qualcosa per apparire “meritevole” al cospetto del tutore; nel secondo, non deve e non può fare alcunché. Non tutte le assistenze e provvidenze implicano, dunque, il medesimo disimpegno del destinatario. Tra tutte, la provvidenza di Stato è quella più impersonale, meno legata all’apporto personale del destinatario, apprezzabile come merito. Perfino la Provvidenza divina invoca la partecipazione della persona, espressa in devozione, preghiera e rigore morale. La persona deve meritare il miracolo o la salvezza, su questa terra e nell’altra; gli ignavi non entrano nel Paradiso dantesco, non essendo meritevoli. Solo lo Stato non chiede nulla; protegge e basta.
In relazione alla condizione tipica e oggettivamente predeterminata del destinatario, concede prebende, dispensa bonus, offre servizi, prescindendo del tutto dall’affectio personale. Orbene, quanto più cresce la sfera della protezione impersonale di Stato, tanto più diviene irrilevante la meritevolezza, si deprime lo spirito d’iniziativa e decresce la disponibilità al sacrificio, ossia la capacità di sacrificare il presente (certo) in vista del futuro (incerto). E mancando la prospettiva del futuro, crolla la speranza, la quale si nutre della possibilità di creare da sé il proprio futuro. Per questa ragione, un po’ tutta l’Europa, culla del welfare state, è investita dal fenomeno del “pessimismo cosmico”. Ma quello degli italiani ha un quid pluris, traendo origine da un mix difficilmente eguagliabile di iperprotezionismo e inefficienza di Stato. Il futuro è considerato grigio in Italia, non solo perché lo Stato si surroga ai privati in molti ambiti, ma anche perché ostacola la residuale iniziativa privata con mille lacci burocratici. Infiniti certificati, nulla osta e procedure autorizzative opprimono gli italiani, frustrandone l’iniziativa ed essiccando la linfa vitale della speranza. Ovviamente lo Stato non crea ostacoli ad libitum; vuole solo proteggere.
Ognuno dei tanti passaggi di “cartuccelle” è giustificato in nome della massima protezione dei beni pubblici (salute, ambiente, in primis); sicché, in ultima analisi, la pubblica amministrazione iperprotettiva risulta paralizzante. Se, ad ogni scroscio di pioggia, si chiudono le scuole, si proteggono i pargoli dal rischio di inzupparsi i vestiti, ma si ostacola il loro apprendimento. Non c’è dunque da stupirsi se gli italiani, pur avendo il privilegio di vivere nel Bel Paese, dove un tempo si cantava “Sole mio”, sono i più pessimisti al mondo. Gli allerta meteo li hanno paralizzati e hanno sottratto loro la speranza.
Antonio Giangrande: Che governi l'uno, o che governi l'altro, nessuno di loro ti ha mai cambiato la vita e mai lo farà. Perchè? Sono tutti Comunisti e Statalisti. Sono sempre contro qualcuno. Li differenzia il motto: Dio, Patria e Famiglia...e i soldi.
Gli uni sono per il cristianesimo come culto di Stato. Gli altri sono senza Dio e senza Fede, avendo come unico credo l'ideologia, sono per l'ateismo partigiano: contro i simboli e le tradizioni cristiane e parteggiando per l'Islam.
Gli uni sono per la Patria e la difesa dei suoi confini. Gli altri sono senza Patria e, ritenendosi nullatenenti, sono senza terra e senza confini e, per gli effetti, favorevoli all'invasione delle terre altrui.
Gli uni sono per la famiglia naturale. Gli altri sono senza famiglia e contro le famiglie naturali, essendo loro stessi LGBTI. E per i Figli? Si tolgono alle famiglie naturali.
Gli uni sono ricchi o presunti tali e non vogliono dare soldi agli altri tutto ciò che sia frutto del proprio lavoro. Gli altri non hanno voglia di lavorare e vogliono vivere sulle spalle di chi lavora, facendosi mantenere, usando lo Stato e le sue leggi per sfruttare il lavoro altrui. Arrivando a considerare la pensione frutto di lavoro e quindi da derubare.
Alla fine, però, entrambi aborrano la Libertà altrui, difendendo a spada tratta solo l'uso e l'abuso della propria.
Per questo si sono inventati "Una Repubblica fondata sul Lavoro". Un nulla. Per valorizzazione un'utopia e una demagogia e legittimare l'esproprio della ricchezza altrui.
Ecco perchè nessuno si batterà mai per una Costituzione repubblicana fondata sulla "Libertà" di Essere e di Avere. Ed i coglioni Millennials, figli di una decennale disinformazione e propaganda ideologica e di perenne oscurantismo mediatico-culturale, sono il frutto di una involuzione sociale e culturale i cui effetti si manifestano con il reddito di cittadinanza, o altre forme di sussidi. I Millennials non si battono affinchè diventino ricchi con le loro capacità, ma gli basta sopravvivere da poveri.
Avvolti nella loro coltre di arroganza e presunzione, i Millennials, non si sono accorti che non sono più le Classi sociali o i Ceti ad affermare i loro diritti, ma sono le lobbies e le caste a gestire i propri interessi.
Antonio Giangrande: A proposito di referendum e lotta referendaria: tempo fa un mio amico e parente, non per competenza ma per disciplina di partitino, appoggiava una posizione che era contraria alla mia, che votavo per competenza e non per ordini di scuderia. Nella foga della campagna referendaria, per essere contro la sua posizione mi insultò pesantemente. A fine votazioni costui, a prescindere dall’esito che non gli cambiò sicuramente la vita, perse, comunque, il suo partitino, perché si estinse in quanto poggiato su un leader fasullo e, cosa più grave, perse l’amico e parente, fedele compagno di vita.
Questo per dire che qualunque posizione si prenda, la massa che combatte sarà sempre perdente.
Antonio Giangrande: I comunisti dicono no al referendum perché pensano, a ragione, che la Costituzione antifascista sia roba loro e per questo non si tocca. Dicono che la riforma lede la democrazia e porta al regime di un uomo solo al comando e quell’uomo non è roba loro.
I Fascisti dicono no perché la riforma lede la democrazia e porta al regime di un uomo solo al comando (sic), pur essendo loro stessi presidenzialisti.
I centristi che dicono no al referendum sono quelli che lo hanno votato in Parlamento.
I pentastellati dicono no alla riforma perché sono soggetti alla sindrome del nimby. Sono quelli che dicono sempre no a prescindere. Presentano interrogazioni contro le aste truccate in Tribunale e poi votano contro la responsabilità civile dei magistrati. Sono quelli che vogliono incapaci in Parlamento, malpagati ed incompetenti, sol perché il loro capo non può essere parlamentare.
Tutti quelli che votano no alla riforma sono degli ipocriti conservatori che mirano solo a tenere la poltrona ed a estromettere Renzi per prenderne il suo posto.
I negazionisti da destra a sinistra coalizzati per un fine comune e che imperituri in Parlamento hanno portato l’Italia in queste condizioni peccano di credibilità.
E sol perché loro vogliono il no, io scelgo di votare sì. In una Italia che non cambia mai io voglio le riforme. Chi no fa non sbaglia mai e di lor mi son rotto il cazzo.
Antonio Giangrande: Un mondo dove ci sono solo obblighi e doveri. Un mondo dove ci sono solo divieti, impedimenti e, al massimo, ci sono concessioni. Un mondo dove non ci sono diritti, ma solo privilegi per i più furbi, magari organizzati in caste e lobbies. In un mondo come questo, dove tutti ti dicono cosa puoi o devi fare; cosa puoi o devi dire; dove l’uno non conta niente, se non essere solo un mattone. In un mondo come questo che mai cambia, che cazzo di vita è.
Pink Floyd – Another Brick In The Wall. 1979
Part 1 (“Reminiscing”) ("Ricordando")
Daddy’s flown across the ocean – Papà è volato attraverso l’oceano.
Leaving just a memory – Lasciando solo un ricordo.
Snapshot in the family album – Un’istantanea nell’album di famiglia.
Daddy what else did you leave for me? – Papà cos’altro hai lasciato per me?
Daddy, what’d’ja leave behind for me?!? – Papà, cos’hai lasciato per me dietro di te?!?
All in all it was just a brick in the wall. – Tutto sommato era solo un altro mattone nel muro.
All in all it was all just bricks in the wall. – Tutto sommato erano solo mattoni nel muro.
“You! Yes, you! Stop steal money!” – “Tu! Si, Tu! Smettila di rubare i soldi!”
Part 2 (“Education”) ("Educazione")
We don’t need no education – Non abbiamo bisogno di alcuna istruzione.
We dont need no thought control – Non abbiamo bisogno di alcun controllo mentale.
No dark sarcasm in the classroom – Nessun cupo sarcasmo in aula.
Teachers, leave them kids alone – Insegnanti, lasciate in pace i bambini.
Hey! Teachers! Leave them kids alone! – Hey! Insegnanti! Lasciate in pace i bambini!
All in all it’s just another brick in the wall. – Tutto sommato è solo un altro mattone nel muro.
All in all you’re just another brick in the wall. – Tutto sommato sei soltanto un altro mattone nel muro.
We don’t need no education – Non abbiamo bisogno di alcuna istruzione.
We don’t need no thought control – Non abbiamo bisogno di alcun controllo mentale.
No dark sarcasm in the classroom – Nessun cupo sarcasmo in aula.
Teachers leave them kids alone – Insegnanti, lasciate in pace i bambini.
Hey! Teachers! Leave them kids alone! – Hey! Insegnanti! Lasciate in pace i bambini!
All in all it’s just another brick in the wall. – Tutto sommato è solo un altro mattone nel muro.
All in all you’re just another brick in the wall. – Tutto sommato sei solo un altro mattone nel muro.
“Wrong, Do it again!” – “Sbagliato, rifallo daccapo!”
“If you don’t eat yer meat, you can’t have any pudding. – “Se non mangi la tua carne, non potrai avere nessun dolce.
How can you have any pudding if you don’t eat yer meat?” – Come pensi di avere il dolce se non mangi la tua carne?
“You! Yes, you behind the bikesheds, stand still laddy!” – “Tu! Sì, tu dietro la rastrelliera delle biciclette, fermo là, ragazzo!”
Part 3 (“Drugs”) ("Droghe-Farmaci")
“The Bulls are already out there” – “I Tori sono ancora là fuori”.
“Aaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaarrrrrgh!” – “Aaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaarrrrrgh!”
“This Roman Meal bakery thought you’d like to know.” – “Questo è un piatto Romano al forno, pensavo che lo volessi sapere.”
I don’t need no arms around me – Non ho bisogno di braccia attorno a me.
And I dont need no drugs to calm me. – E non ho bisogno di droghe per calmarmi.
I have seen the writing on the wall. – Ho visto la scritta sul muro.
Don’t think I need anything at all. – Non pensare che io abbia bisogno di qualcosa.
No! Don’t think I’ll need anything at all. – No! Non pensare che io abbia bisogno di qualcosa.
All in all it was all just bricks in the wall. – Tutto sommato erano solo mattoni nel muro.
All in all you were all just bricks in the wall. – Tutto sommato eravate tutti solo mattoni nel muro.
Antonio Giangrande: Da sociologo storico ho scritto dei saggi dedicati ad ogni partito o movimento politico italiano: sui comunisti e sui socialisti (Craxi), sui fascisti (Mussolini), sui cattolici (Moro) e sui moderati (Berlusconi), sui leghisti e sui pentastellati. Il sottotitolo è “Tutto quello che non si osa dire. Se li conosci li eviti.” Libri che un popolo di analfabeti mai leggerà.
Da queste opere si deduce che ogni partito o movimento politico ha un comico come leader di riferimento, perché si sa: agli italiani piace ridere ed essere presi per il culo. Pensate alle battute di Grillo, alle barzellette di Berlusconi, alle cazzate di Salvini, alle freddure della Meloni, alle storielle di Renzi, alle favole di D’Alema e Bersani, ecc. Partiti e movimenti aventi comici come leader e ladri come base.
Gli effetti di avere dei comici osannati dai media prezzolati nei tg o sui giornali, anziché vederli esibirsi negli spettacoli di avanspettacolo, rincoglioniscono gli elettori. Da qui il detto: un popolo di coglioni sarà sempre amministrato o governato da coglioni.
Libro obbiettivo e non ideologico formato da riferimenti e documenti storici e testimonianze di alternativa fonte.
Brani tratti dal libro.
Ecco chi era “Il Compagno Mussolini”. Il 18 marzo 1904, a Ginevra, Benito Mussolini tenne una conferenza per commemorare la Comune di Parigi. Secondo Renzo De Felice, il più noto biografo di Mussolini, è stata, questa, l’unica occasione in cui il Duce vide Vladimir Ilic Uljanov Lenin, anche lui presente al convegno. Ma Mussolini potrebbe avere incontrato l’esiliato russo anche a Berna, l’anno prima: era solito, infatti, pranzare alla mensa Spysi, dove anche Lenin e Trotsky mangiavano con regolarità. Dopo la Marcia su Roma, il Capo del Cremlino aveva rimproverato una delegazione di comunisti italiani (c’era anche il romagnolo Nicola Bombacci): «Mussolini era l’unico tra voi con la mente e il temperamento adatti a fare una rivoluzione. Perché avete permesso che se ne andasse?».
Viva le bandiere rosse della rivoluzione. Io saluto con ammirazione devota e commossa le bandiere vermiglie, scrive Benito Mussolini il 5 luglio 1917, (pubblicato da "Il Giornale" il 14/08/2016). Io saluto con ammirazione devota e commossa le bandiere vermiglie che dopo aver sventolato una prima volta nelle strade e nelle piazze di Pietrogrado in un pallido nevoso mattino di primavera, sono diventate oggi l'insegna dei reggimenti che il 1° luglio sono andati all'assalto delle linee austro-tedesche in Galizia e le hanno espugnate. Io m'inchino davanti a questa duplice consacrazione vittoriosa, contro lo zar prima, contro il Kaiser oggi.
Amate i profughi, sono l'Italia dolorante. Dobbiamo spezzare con loro il nostro pane. Sono i fratelli percossi dalla sventura, scrive Benito Mussolini il 28 novembre 1917 (pubblicato da "Il Giornale" il 17/08/2016). Non basta soccorrere i profughi che i treni e le tradotte dal Veneto rovesciano ogni giorno a migliaia e migliaia nelle nostre città. Bisogna comprenderli. Non basta comprenderli: bisogna amarli. La ospitalità dev'essere - soprattutto - amore.
«Le conquiste sociali del Fascismo? Non si trattava solo dei treni in orario. Assegni familiari per i figli a carico, borse di studio per dare opportunità anche ai meno abbienti, bonifiche dei territori, edilizia sociale. Questo perché solo dieci anni prima Mussolini era in realtà un Socialista marxista e massimalista che si portò con sé il senso del sociale, del popolo. Le dirò in un certo senso il fascismo modernizzò il paese. Nei confronti del Nazismo fu dittatura all’acqua di rose: se Mussolini non avesse firmato le infamanti leggi razziali, sarebbe morto di morte naturale come Franco. Resta una dittatura, ma anche espressione d’italianità. Bisognerebbe fare un’analisi meno ideologica su questo. Quello che ha ottenuto il fascismo in campo sociale oggi ce lo sogniamo». – Margherita Hack. La celebre astrofisica Margherita Hack candidata nel movimento politico "Democrazia Atea" come capolista alla Circoscrizione Veneto 2, ha rilasciato il 23 marzo 2013 un'intervista alla rivista Barricate che sicuramente farà molto discutere. Margherita Hack nell'intervista però ammette anche di essere comunista nonostante "il Comunismo ha soppresso le libertà. Io sono per la tutela della proprietà privata, il rispetto dell'individuo che non è solo gruppo. Questo è socialismo puro. Poi guardi basterebbe rispettare la Costituzione per avere una società più giusta".
Dr Antonio Giangrande Scrittore, sociologo storico, giurista, blogger, youtuber, presidente dell’Associazione Contro Tutte le Mafie.
Libro obbiettivo e non ideologico formato da riferimenti e documenti storici e testimonianze di alternativa fonte.
Brani tratti dal libro.
Ecco chi era “Il Compagno Mussolini”. Il 18 marzo 1904, a Ginevra, Benito Mussolini tenne una conferenza per commemorare la Comune di Parigi. Secondo Renzo De Felice, il più noto biografo di Mussolini, è stata, questa, l’unica occasione in cui il Duce vide Vladimir Ilic Uljanov Lenin, anche lui presente al convegno. Ma Mussolini potrebbe avere incontrato l’esiliato russo anche a Berna, l’anno prima: era solito, infatti, pranzare alla mensa Spysi, dove anche Lenin e Trotsky mangiavano con regolarità. Dopo la Marcia su Roma, il Capo del Cremlino aveva rimproverato una delegazione di comunisti italiani (c’era anche il romagnolo Nicola Bombacci): «Mussolini era l’unico tra voi con la mente e il temperamento adatti a fare una rivoluzione. Perché avete permesso che se ne andasse?».
Viva le bandiere rosse della rivoluzione. Io saluto con ammirazione devota e commossa le bandiere vermiglie, scrive Benito Mussolini il 5 luglio 1917, (pubblicato da "Il Giornale" il 14/08/2016). Io saluto con ammirazione devota e commossa le bandiere vermiglie che dopo aver sventolato una prima volta nelle strade e nelle piazze di Pietrogrado in un pallido nevoso mattino di primavera, sono diventate oggi l'insegna dei reggimenti che il 1° luglio sono andati all'assalto delle linee austro-tedesche in Galizia e le hanno espugnate. Io m'inchino davanti a questa duplice consacrazione vittoriosa, contro lo zar prima, contro il Kaiser oggi.
Amate i profughi, sono l'Italia dolorante. Dobbiamo spezzare con loro il nostro pane. Sono i fratelli percossi dalla sventura, scrive Benito Mussolini il 28 novembre 1917 (pubblicato da "Il Giornale" il 17/08/2016). Non basta soccorrere i profughi che i treni e le tradotte dal Veneto rovesciano ogni giorno a migliaia e migliaia nelle nostre città. Bisogna comprenderli. Non basta comprenderli: bisogna amarli. La ospitalità dev'essere - soprattutto - amore.
«Le conquiste sociali del Fascismo? Non si trattava solo dei treni in orario. Assegni familiari per i figli a carico, borse di studio per dare opportunità anche ai meno abbienti, bonifiche dei territori, edilizia sociale. Questo perché solo dieci anni prima Mussolini era in realtà un Socialista marxista e massimalista che si portò con sé il senso del sociale, del popolo. Le dirò in un certo senso il fascismo modernizzò il paese. Nei confronti del Nazismo fu dittatura all’acqua di rose: se Mussolini non avesse firmato le infamanti leggi razziali, sarebbe morto di morte naturale come Franco. Resta una dittatura, ma anche espressione d’italianità. Bisognerebbe fare un’analisi meno ideologica su questo. Quello che ha ottenuto il fascismo in campo sociale oggi ce lo sogniamo». – Margherita Hack. La celebre astrofisica Margherita Hack candidata nel movimento politico "Democrazia Atea" come capolista alla Circoscrizione Veneto 2, ha rilasciato il 23 marzo 2013 un'intervista alla rivista Barricate che sicuramente farà molto discutere. Margherita Hack nell'intervista però ammette anche di essere comunista nonostante "il Comunismo ha soppresso le libertà. Io sono per la tutela della proprietà privata, il rispetto dell'individuo che non è solo gruppo. Questo è socialismo puro. Poi guardi basterebbe rispettare la Costituzione per avere una società più giusta".
Dr Antonio Giangrande Scrittore, sociologo storico, giurista, blogger, youtuber, presidente dell’Associazione Contro Tutte le Mafie.
Quel “falso storico” sulla Resistenza che insistiamo a celebrare. Claudio Romiti su Nicolaporro.it il 29 Settembre 2023
Il Tg3 di mercoledì scorso ha dato molto risalto alle celebrazioni dell’ottantesimo anniversario delle cosiddette “quattro giornate di Napoli”. Sottolineando la presenza del Capo dello Stato, il quale ha deposto una corona di fiori davanti al monumento dello Scugnizzo, il servizio si conclude sostenendo che la metropoli partenopea “fu la prima città italiana liberata, grazie ad una grande azione di tutto il popolo.”
In realtà, spiace doverlo dire, si tratta di un colossale falso storico, dal momento che le truppe tedesche stanziate nella zona di Napoli avevano già iniziato un ordinato ripiegamento strategico per rallentare l’avanzata degli Alleati, attestandosi sulla linea del Volturno. Molto istruttivo, a questo proposito, il libro di Ezio Erra, politico e intellettuale napoletano scomparso nel 2011, Napoli 1943 – le quattro giornate che non ci furono, edito da Longanesi.
È sufficiente leggerne la presentazione per farsene già una prima, significativa idea: “Davvero Napoli insorse contro i nazisti nel 1943? Davvero ci furono le quattro giornate raccontate dalla storia resistenziale ed esaltate dal cinema? Facendo appello ai ricordi personali e comparando testimonianze dirette e indirette, documenti inediti e analisi obiettive, Erra rievoca le tre settimane dell’occupazione tedesca, concluse con una ritirata della potente e militarmente preparatissima divisione Goering. Una ‘fuga’ turbata da scontri disordinati con gruppuscoli partigiani, passati alla storia come le “quattro giornate di Napoli”. Sulla verità dei fatti si stende un’altra ombra: a liberazione avvenuta 7mila napoletani presentarono domanda al Ministero degli Interni per ottenere la qualifica di “patriota” e quindi le sovvenzioni previste…”
D’altro canto, onde dimostrare in modo indiretto quanto la propaganda abbia ingigantito oltre ogni misura ragionevole i fatti in questione, occorre fare qualche passo indietro, ricordando ciò che avvenne a Roma e dintorni nei giorni immediatamente successivi al fatidico 8 settembre. Come raccontato con dovizia di particolari dall’illustre Liddell Hart, storico militare di fama mondiale, nonostante le netta superiorità delle truppe italiane stanziate intorno alla Capitale, le due deboli divisioni di paracadutisti comandate dal generale Student, contro le stesse previsioni dell’alto comando germanico, riuscirono in breve tempo a disarmare le nostre truppe.
Quindi noi dovremmo credere che dove fallì l’esercito italiano, che comprendeva la divisione corazzata Ariete, la divisione motorizzata Piave, la divisione di fanteria dei Granatieri di Sardegna, più altre truppe sparse qua e là, riuscirono i volenterosi napoletani armati alla bell’e meglio? Io direi che dopo ottant’anni, con molta acqua passata sotto i ponti, potremmo anche permetterci di uscire dalla stucchevole e trita retorica resistenziale, almeno in questa occasione. Claudio Romiti, 29 settembre 2023
Antonio Giangrande: Governare e legiferare secondo l’ideologia fascio/comunista? No!
Governare e legiferare secondo i dettati propri di una cattiva fede? No!
Essere liberali vuol dire, in poche parole, che basta agire correttamente ed in buona fede e comportarsi come un buon padre di famiglia.
Agire e comportarsi come un buon padre di famiglia: cosa significa?
In cosa consiste la diligenza del buon padre di famiglia nell’ambito delle obbligazioni del diritto civile: l’obbligo di adempiere alla prestazione in buona fede e in modo corretto.
Adempimento delle obbligazioni: correttezza e buona fede. Il codice civile stabilisce che sia il debitore sia il creditore devono comportarsi correttamente nell’adempimento delle relative obbligazioni, sempre secondo buona fede. La seconda regola imposta dal codice civile in materia di esecuzione del contratto riguarda la diligenza del buon padre di famiglia. Cosa significa e cosa si intende con tale termine? Sicuramente anche in questa ipotesi la legge ha preferito usare un termine generale e astratto. Ma il suo significato è facilmente individuabile. Il “buon padre di famiglia” è colui che “ci tiene” e che è premuroso, colui cioè che fa di tutto pur di realizzare l’interesse dei figli. Il che significa che egli assume l’impegno a conseguire, quanto più possibile, il risultato promesso.
Il codice civile richiama il concetto di buon padre di famiglia in una serie di norme. Eccole qui di seguito elencate:
Art. 382 Codice civile – Responsabilità del tutore e del protutore: «Il tutore deve amministrare il patrimonio del minore con la diligenza del buon padre di famiglia. Egli risponde verso il minore di ogni danno a lui cagionato violando i propri doveri».
Art. 1001 Codice civile – Obbligo di restituzione. Misura della diligenza: «L’usufruttuario deve restituire le cose che formano oggetto del suo diritto, al termine dell’usufrutto, salvo quanto è disposto dall’art. 995».
Art. 1176 Codice civile – Diligenza nell’adempimento: «Nell’adempiere l’obbligazione il debitore deve usare la diligenza del buon padre di famiglia».
Art. 1227 Codice civile – Concorso del fatto colposo del creditore: «Se il fatto colposo del creditore ha concorso a cagionare il danno, il risarcimento è diminuito secondo la gravità della colpa e l’entità delle conseguenze che ne sono derivate».
Art. 1587 Codice civile – Obbligazioni principali del conduttore: «Il conduttore deve prendere in consegna la cosa e osservare la diligenza del buon padre di famiglia nel servirsene per l’uso determinato nel contratto o per l’uso che può altrimenti presumersi dalle circostanze (…)».
Art. 1710 Codice civile – Diligenza del mandatario: «Il mandatario è tenuto a eseguire il mandato con la diligenza del buon padre di famiglia; ma se il mandato è gratuito, la responsabilità per colpa è valutata con minor rigore».
Art. 1768 Codice civile – Diligenza nella custodia: «Il depositario deve usare nella custodia la diligenza del buon padre di famiglia».
Art. 1804 Codice civile – Obbligazioni del comodatario: «Il comodatario è tenuto a custodire e a conservare la cosa con la diligenza del buon padre di famiglia. Egli non può servirsene che per l’uso determinato dal contratto o dalla natura della cosa».
Art. 1838 Codice civile – Deposito di titoli in amministrazione: «La banca che assume il deposito di titoli in amministrazione deve custodire i titoli, esigerne gli interessi o i dividendi, verificare i sorteggi per l’attribuzione di premi o per il rimborso di capitale, curare le riscossioni per conto del depositante, e in generale provvedere alla tutela dei diritti inerenti ai titoli. Le somme riscosse devono essere accreditate al depositante (…). E’ nullo il patto col quale si esonera la banca dall’osservare, nell’amministrazione dei titoli, l’ordinaria diligenza».
Art. 1957 Codice civile – Scadenza dell’obbligazione principale: «Il fideiussore rimane obbligato anche dopo la scadenza dell’obbligazione principale purchè il creditore entro sei mesi abbia proposto le sue istanze contro il debitore e le abbia con diligenza continuate».
Art. 2104 Codice civile – Diligenza del prestatore di lavoro: «Il prestatore di lavoro deve usare la diligenza richiesta dalla natura della prestazione dovuta, dall’interesse dell’impresa e da quello superiore della produzione nazionale».
Art. 2148 Codice civile – Obblighi di residenza e di custodia: «Il mezzadro ha l’obbligo di risiedere stabilmente nel podere con la famiglia colonica».
Art. 2158 Codice civile – Morte di una delle parti [in tema di mezzadria]: « (….) In tutti i casi, se il podere non è coltivato con la dovuta diligenza il concedente può fare eseguire a sue spese i lavori necessari, salvo rivalsa mediante prelevamento sui prodotti e sugli utili».
Art. 2167 Codice civile – Obblighi del colono: «Il colono deve prestare il lavoro proprio secondo le direttive del concedente e le necessità della coltivazione. Egli deve custodire il fondo e mantenerlo in normale stato di produttività; deve altresì custodire e conservare le altre cose affidategli dal concedente con la diligenza del buon padre di famiglia».
Art. 2174 Codice civile – Obblighi del soccidario: «Il soccidario deve prestare, secondo le direttive del soccidante, il lavoro occorrente per la custodia e l’allevamento del bestiame affidatogli, per la lavorazione dei prodotti e per il trasporto sino ai luoghi di ordinario deposito. Il soccidario deve usare la diligenza del buon allevatore».
Nessuno tocchi il “buon padre di famiglia”. E nessuno tocchi i termini “padre” e “madre”, scrive Silvano Moffa venerdì 24 gennaio 2014 su "Il Secolo D’Italia". Dopo il demenziale scardinamento del valore dei termini padre e madre, sostituibili da quelli di genitore 1 e genitore 2, l’idea francese di cancellare il “buon padre di famiglia” fa drizzare i capelli. L’emendamento approvato dal Parlamento parigino a un progetto di legge sulla pari opportunità tra generi, che elimina dal codice una formula del linguaggio giuridico corrente, non ha senso. Tutto, ovviamente, avviene nel nome di un sessismo e di una presunta modernità nei rapporti relazionali tra le persone, che travalica finanche il senso antico che la locuzione aveva assunto, sopravvivendo al tempo e ai cambiamenti sociali. La questione non è di poco conto, e non va sottovaluta. Non fosse altro che per il fatto che la “diligenza del buon padre di famiglia”, come assioma concettuale e formula di rito nel campo del diritto, è stata abbandonata in Germania in favore di altra considerata più moderna, mentre è sopravvissuta in Italia e, finora, in Francia. La formula compare nelle fonti del diritto romano a partire dal periodo classico. Furono i giuristi dell’epoca a forgiarne il senso, individuando nel bonus, prudens et diligens pater familias il soggetto capace di amministrare accuratamente i propri affari, più o meno come avveniva per il capo dell’azienda agraria domestica, sui cui si basava la civiltà romana dell’epoca. In seguito, con l’introduzione dei codici giustinianei, la nozione si è allargata, fino ad assumere la portata di un criterio generale per individuare i canoni corretti della prestazione, e il comportamento che deve tenere il debitore diligente. Con l’evoluzione dei tempi e della società, la “diligenza del buon padre di famiglia” è arrivata fino ai giorni nostri, scandendo un comportamento medio come sinonimo di saggezza, di legalità, di etica comportamentale. Un criterio applicato in maniera più vasta e diffusa nel corpo legislativo e negli stessi esiti giurisdizionali. Ora, non c’è dubbio che per comprendere la portata di una tale locuzione bisogna risalire alle origini. Come è chiaro che, per il fatto stesso che il concetto sia diventato più diffuso nella sfera del linguaggio giuridico, comporta che le ragioni che ne spiegano l’uso ricorrente e la portata siano fra loro molto differenti. Ma da qui a decretarne l’abolizione per uno scopo di pari opportunità di genere ne corre. Pietro de Francisci, uno dei maggiori storici del diritto romano, spiega nei suoi studi come la struttura della società romana primitiva (comunità di patres) fosse l’architrave su cui poggiava tutto il sistema dell’epoca: lo ius Quiritium. Fino alla fine del V secolo, il pater familias viene visto come un dominus, un soggetto dotato di un potere (potestas) che ha natura originaria, pre-politica e pre-statuale. È un sovrano del gruppo, del quale è reggitore e sacerdote, custode dei sacra e degli auspicia, giudice dei filii familias, con diritto di punire, fino a giungere alla possibilità di infliggere la pena di morte. E’ evidente la forza implicita in una tale figura nell’epoca antica, ai primordi del diritto romano. Ed è del pari evidente, come appare persino ovvio, quanto sia superata, anacronistica, lontana al giorno d’oggi una simile idea di famiglia. Il problema però è un altro. Intanto, la formula, come abbiamo visto, ha assunto un significato del tutto diverso nel tempo, anche all’interno dello stesso diritto romano. In secondo luogo, la diligenza del buon padre di famiglia è un criterio difficilmente sostituibile con una locuzione che possa avere lo stesso effetto e la stessa forza immaginifica. Prendiamo ad esempio una prestazione, nella sua configurazione ordinaria. Attenti giuristi hanno spiegato come nelle moderne codificazioni che regolano i rapporti dei traffici giuridici e commerciali, sia ormai superato il dualismo tra colpa in astratto e colpa in concreto, cui si ricorreva nel determinare la responsabilità della mancata prestazione. Il modello preferito è ormai quello strettamente oggettivo. Insomma, dire che il debitore è tenuto alla diligenza del buon padre di famiglia vuol dire sottolineare che egli è tenuto ad un grado di diligenza media, in quanto il criterio cui ci si ispira è improntato al buon senso, ad un canone di normalità, ad un comportamento usuale e corretto nello stabilire il livello dei rapporti, e nel parametrare il modo in cui non si può non operare nella generalità dei casi. Nel bonus pater familias residuano, insomma, un nucleo di saggezza, oltre che una storia e una cultura giuridica di cui dovremmo menar vanto. Che c’entra con tutto questo il tema delle pari opportunità tra i sessi, è davvero difficile da comprendere. Altro che modernità. Siamo al cospetto di una colossale stupidità.
Antonio Giangrande: E la chiamano democrazia…
Diciamo che ogni leader politico è portatore sano di minchiate, la cui vita scorre al di fuori del mondo reale ed il cui sostegno popolare è misurato in percentuale.
Il percento in relazione a che? Se la metà degli aventi diritto non vota; della metà che vota togliamo le schede bianche o nulle; da quel che resta togliamo i voti di protesta dati al Movimento 5 Stelle.
A questo punto la percentuale si dimezza.
Allora penso e dico: gli eletti in Parlamento li votano solo i giornalisti partigiani che li reclamizzano nei talk show e tutti coloro che hanno avuto favori con il voto di scambio!
Mal comune mezzo gaudio?
Leonardo Martinelli per "La Stampa" il 28 giugno 2021. Riemerge in Francia, inesorabile, quel divario destra-sinistra che Emmanuel Macron aveva ormai dato come finito, per lui riflesso anacronistico di un passato lontano. Ieri, in Francia, al secondo turno delle regionali, la destra classica e neogollista (e non lepenista) si è imposta definitivamente in sette delle tredici regioni, mentre in altre cinque ha prevalso la sinistra (ogni volta rappresentata, nella persona del futuro governatore, da un esponente di quel Partito socialista, che pure da anni vive una profonda crisi). Certo, pesa su queste regionali il macigno dell'astensionismo, praticamente lo stesso del primo turno: ieri non è andato a votare il 65,7% dei francesi.
Antonio Giangrande: "C’è un’azione peggiore che quella di togliere il diritto di voto al cittadino e consiste nel togliergli la voglia di votare.” (R. Sabatier)
Se la religione è l’oppio dei popoli, il comunismo è il più grande spacciatore. Lo spaccio si svolge, sovente, presso i più poveri ed ignoranti con dazione di beni non dovuti e lavoro immeritato. Le loro non sono battaglie di civiltà, ma guerre ideologiche, demagogiche ed utopistiche. Quando il nemico non è alle porte, lo cercano nell’ambito intestino. Brandiscono l’arma della democrazia per asservire le masse e soggiogarle alle voglie di potere dei loro ipocriti leader. Lo Stato è asservito a loro e di loro sono i privilegi ed il sostentamento fiscale e contributivo. Come tutte quelle religioni con un dio cattivo, chi non è come loro è un’infedele da sgozzare. Odiano il progresso e la ricchezza degli altri. Ci vogliono tutti poveri ed al lume di candela. Non capiscono che la gente non va a votare perché questa politica ti distrugge la speranza.
Quando il più importante sindaco di Roma, Ernesto Nathan, scoprì che tra le voci di spesa era stata inserita in bilancio, la TRIPPA, necessaria secondo alcuni addetti agli archivi del comune, per nutrire i gatti che dovevano provvedere a tenere lontani i topi dai documenti cartacei, prese una penna e barrò la voce di spesa, tuonando la celeberrima frase: NON C'È PIÙ TRIPPA PER GATTI, il che mise fine alla colonia felina del Comune di Roma.
Antonio Giangrande: Nelle elezioni, nel valutare correttamente i risultati effettivi della singola lista, bisogna tener conto:
del numero degli aventi diritto al voto,
meno il numero di chi non ha votato,
meno il numero delle schede bianche,
meno il numero delle schede nulle, che spesso contengono imprecazioni,
meno il voto di protesta dato al Movimento Cinque Stelle o altri movimenti di protesta.
Il numero così ottenuto è la base su cui calcolare la percentuale di voti ottenuta, che è molto diversa da quella che ci propinano i media e certo, tale cifra, non è indicativa di rappresentanza democratica.
Nelle elezioni, nel valutare correttamente i risultati effettivi del singolo/a candidato/a, bisogna tener conto del voto di preferenza:
Ad ogni candidato/a, in virtù della doppia preferenza di genere e del voto disgiunto, gli verranno assegnati voti effettivamente non ricevuti personalmente, ma frutto di accordi tra candidati di sesso diverso (spesso con più candidati, tradendone la reciprocità). In questo caso un candidato inetto e malvisto, in virtù dell’italica furbizia, può essere plebiscitariamente votato, ma con voti non suoi. Questo in sfregio alla democrazia.
Antonio Giangrande: A chi votare?
Nell’era contemporanea non si vota per convinzione. Le ideologie sono morte e non ha senso rivangare le guerre puniche o la carboneria o la partigianeria.
Chi sa, a chi deve votare (per riconoscenza), ci dice che comunque bisogna votare e votare il meno peggio (che implicitamente è sottinteso: il suo candidato!).
A costui si deve rispondere:
Votare a chi non ci rappresenta? Votare a chi ci prende per il culo?
I disonesti parlano di onestà; gli incapaci parlano di capacità; i fannulloni parlano di lavoro; i carnefici parlano di diritti.
Nessuno parla di libertà. Libertà di scegliersi il futuro che si merita. Libertà di essere liberi, se innocenti.
La vergogna è che nessuno parla dei nostri figli a cui hanno tolto ogni speranza di onestà, capacità, lavoro e diritti.
Fanno partecipare i nostri figli forzosamente ed onerosamente a concorsi pubblici ed a Esami di Stato (con il trucco) per il sogno di un lavoro. Concorsi od esami inani o che mai supereranno. Partecipazione a concorsi pubblici al fine di diventare piccoli “Fantozzi” sottopagati ed alle dipendenze di un numero immenso di famelici incapaci cooptati dal potere e sostenuti dalle tasse dei pochi sopravvissuti lavoratori.
Ai nostri figli inibiscono l’esercizio di libere professioni per ingordigia delle lobbies.
Ai nostri figli impediscono l’esercizio delle libere imprese per colpa di una burocrazia ottusa e famelica. Ove ci riuscissero li troncherebbero con l’accusa di mafiosità.
Ai nostri figli impediscono di godere della vita, impedendo la realizzazione dei loro sogni o spezzando le loro visioni, infranti contro un’accusa ingiusta di reato.
E’ innegabile che le nostre scuole e le nostre carceri sono pieni, come sono strapieni i nostri uffici pubblici e giudiziari, che si sostengono sulle disgrazie, mentre sono vuoti i nostri campi e le nostre fabbriche che ci sostentano.
L’Italia è un Paese caposotto. Io, in questo mondo alla rovescia, sono l’ultimo e non subisco tacendo, per questo sono ignorato o perseguitato. E non sarei mai votato. I nostri destini in mano ai primi di un mondo sottosopra. Che cazzo di vita è? Si nasce senza volerlo. Si muore senza volerlo. Si vive una vita di prese per il culo.
Si deve tener presente che il voto nullo, bianco o di protesta è conteggiato come voto dato.
Quindi io non voto.
Non voto perché un popolo di coglioni votanti sarà sempre governato ed amministrato, informato, istruito e giudicato da coglioni.
Informato da chi mette in onda le proprie opinioni, confrontandole esclusivamente con i propri amici o con i propri nemici. Ignorata rimane ogni voce fuori dal coro.
Se nessuno votasse?
In democrazia, se la maggioranza non vota, ai governanti oppressori ed incapaci sarebbe imposto di chiedersi il perché! Allora sì che si inizierebbe a parlare di libertà. Ne andrebbe della loro testa…
Antonio Giangrande: PD, 40% di che? Le elezioni e la vittoria del partito della protesta. Come i media manipolano la realtà.
Italia. Ha vinto il partito del “non voto”. Monta la protesta, ma i giornalisti la censurano.
Prendiamo per esempio le elezioni dei parlamentari europei del 25 maggio 2014. Dati ufficiali definitivi del Ministero dell’Interno tratti da suo portale. Affluenza:
6-7 giugno 2009 Italia+Estero 65,05%, Italia 66,46%;
25 maggio 2014 Italia+Estero 57,22%, Italia 58,68%;
Quindi si deduce che il partito del “non voto” si attesta in quest’ordine:
Italia + estero astenuti 21.671.202 ossia il 42,78%;
Italia astenuti 20.348.165 ossia il 41,32%;
Questo è il dato nazionale. Più eclatante e sintomatico se si tiene conto dei risultati nell’Italia meridionale, più incazzata verso questa politica qualunquista ed inconcludente. Spesso, corrotta.
Sardegna astenuti 58%
Sicilia astenuti 57,12%
Calabria astenuti 54,24
Puglia astenuti 48,48
Basilicata astenuti 50,44
Campania astenuti 48,92
A questi elettori astenuti bisogna aggiungere un altro milione e mezzo di elettori che hanno deciso di mandare “affanculo” i nostri politici direttamente nelle urne.
Schede bianche 577.856 1,99%;
Schede nulle 954.718 3,30%;
In tutto “i non voto” italiani sono il 47,29 %.
In più vi è quella parte che vede nel Movimento 5 Stelle il collettore ideale della loro protesta. 5.807.362, 21,15% Italia+estero, Italia 5.792.865, 21,16%.
In definitiva 22 milioni di italiani hanno deciso di protestare con il sistema del non voto, che i denigratori chiamano astensione.
Che diventano 29 milioni se si sommano a chi della protesta ne ha fatto un movimento. Movimento che non rappresenta tutte le aspettative della totalità dei protestanti, perché troppo giustizialista o violento verbalmente o troppo volto a sinistra. O perché si arroga il diritto di essere l’unico “partito degli onesti” di stampo dipietrista.
Tutta questa astensione mal¬grado il traino delle ammi¬ni¬stra¬tive in quasi 4000 comuni e in due Regioni, l’Abruzzo e il Pie¬monte. Amministrative dove spesso e volentieri tutte le famiglie, (con parenti candidati) sono costrette ad andare a votare.
Da tener conto anche dell’exploit della Lega che, esportando in Europa la sua politica secessionista, ha tirato voti, nella prospettiva di far venir fuori l’Italia dall’Euro, tralasciando per il momento la sua battaglia di far venir fuori la Padania dall’Italia.
Bisogna che si capisca e farlo capire agli italiani ignari e corrotti da questa stampa, galoppina del Potere, che 29.011.138 di italiani si non rotti il cazzo di questi politici, delle loro ideologie e dei magistrati che li proteggono. (L’intercalare rende l’idea). Politici cooptati e nominati dalla nomenclatura tra i peggio. Lontani dai bisogni della gente ed ignari della realtà quotidiana di malati, disoccupati, carcerati, ecc…..
Il tanto decantato Renzi e il Pd, con il suo 40%, ha preso solo 11.172.861 voti in Italia o 11.203.231 + estero.
Insomma. In definitiva Renzi ed il Pd ha preso in effetti il 22%. Ossia solo 2 italiani su 10 lo hanno votato. E questo anche perché con i rossi non c’è protesta che tenga. Il loro voto ed il loro sostegno al partito non lo fanno mai mancare. Anche con candidati impresentabili. Addirittura alle prime ore delle aperture dei seggi, sia mai che arrivi la morte ad impedire quello che loro chiamano “senso civico”. E questo i presidenti di seggio lo sanno bene.
Ciononostante il giorno dopo della tornata elettorale ogni giornale o tg mistifica la realtà e porta l’acqua al mulino del partito di riferimento. E dato che sono tutti politicizzati, i giornalisti commentano la vittoria (inesistente) della loro parte politica o ne limitano da debacle.
Checche se ne dica: più di Grillo, più di Berlusconi, più di Alfano, più della Meloni, più di Salvini, più dei seguaci del greco Tsipras, più del prodigioso e mediatico Pd di Renzi, con un’affluenza in Italia al 57 per cento, 8 punti in meno rispetto al 65 del 2009, il partito più forte in Italia è il partito della protesta, ossia del “non voto”.
E’ strano, però, che nessuno ne renda conto e, cosa più importante, che i politici non se ne rendano conto.
Anzi, errata corrige. Ognuno di noi, “ cittadini onesti ed immacolati” e ognuno di loro, “politici corrotti ed incapaci”, ha una spiegazione: "Uno Stato di coglioni...", commenta stizzito Emanuele Cozzolino del M5S. Commento che è fatto proprio da tutti gli schieramenti, rivolto verso chi non ha votato per la loro parte politica. Questo commento è fatto proprio anche da parte dei “Non votanti”, coacervo anarchico di idee confuse che si limita a protestare, senza proporre. Incapaci di aggregarsi tra loro o con gli altri per il sol fatto di essere composto da sedicenti prime donne. Se qualcuno di loro, poi, presenta la proposta e si candida ad attuarla, vien tacciato di essere come gli altri: “corrotto ed incapace”. In questo modo tarpandogli le ali.
Che alla fine abbia ragione Cozzolino? Con questi italiani ignavi (coglioni) non cambierà mai nulla? Si deve arrivare alla fame per dar vita alla rivoluzione?
Antonio Giangrande: IL PARTITO INVISIBILE. ASTENSIONISMO, VOTO MIGRANTE E VOTO DI PROTESTA: I MOTIVI DI UNA DEMOCRAZIA INESISTENTE.
50% circa di astensione al voto; 5% circa di schede bianche o nulle; 25% di voti di protesta e non di proposta ai 5Stelle. Solo il 20% di voti validi (forse voti di scambio). Chi governa ha solo un elettore su 10 che lo ha scelto e si vanta pure di aver vinto. Che cazzo di democrazia è?
Elezioni 2015. Il partito invisibile, scrive Alberto Puliafito, direttore responsabile di "Blogo.it" e Carlo Gubitosa su “Polis Blog”. Un viaggio nel mondo di tutti coloro che non vengono raccontati dalla comunicazione politica, che non vengono rappresentati, che non votano. Dopo il voto regionale, la comunicazione politica si è concentrata, come al solito, su "chi vince". E hanno vinto tutti, chi per un motivo chi per l'altro. Noi, per un primo commento, ci siamo concentrati su chi ha perso. E fra i motivi della sconfitta annoveravamo l'impressionante tasso di astensionismo. I dati che proponiamo qui, grazie al lavoro di Carlo Gubitosa, dovrebbero, secondo chi scrive, essere pubblicati ovunque. Il giornalismo dovrebbe, una volta per tutte, dedicare i propri titoli alle rappresentazioni numeriche realistiche della situazione della rappresentanza politica in Italia, invece di rincorrere le dichiarazioni di Renzi, Grillo, Salvini o altri. Guardare quelle fette grigie di non rappresentati fa rabbrividire ma è necessario per impostare una narrazione giornalistica corretta. Questo è vero data journalism. Per i partiti contano i propri voti, per la politica contano solo i voti validi, per il ministero dell'interno contano solo gli elettori. E se invece provassimo a contare le persone? I grafici che nessuna formazione politica vorrà mai mostrarvi rivelano il peso numerico della "maggioranza invisibile", quella che non può, non vuole o non sa indicare una rappresentanza nelle urne. Sono gli astensionisti, i delusi dalla politica, ma anche gli stranieri e i minori, una fetta di popolazione che diventa “invisibile” nei sondaggi, nel dibattito politico e nelle analisi post-voto. Abbiamo provato ad analizzare i dati ufficiali del voto alle regionali incrociandoli con i numeri dell’ISTAT e aggiungendoci una semplice curiosità di partenza: scoprire cosa succede se oltre ai SEGGI ASSEGNATI e ai VOTI VALIDI misurati dalle percentuali iniziamo a contare anche i VOTI TOTALI (includendo anche chi ha votato scheda bianca, nulla o annullata), il NUMERO TOTALE DI ELETTORI (includendo anche chi è stato a casa), e anche il NUMERO TOTALE DI RESIDENTI, stranieri inclusi (per contare anche chi subisce le conseguenze delle decisioni politiche senza esercitare il diritto di voto).
La Campania e il partito della scheda bianca. Nel disinteresse generale (tanto le poltrone si sono già spartite) a ben quattro giorni dal voto arrivano i dati definitivi della Campania, dove chi conta le persone e non le poltrone registra 170mila tra schede bianche e nulle, un partito che vale il 7% dei voti validi, ben più del valore previsto dal sistema elettorale campano come soglia di sbarramento per le liste. Potremmo chiederci se questo 7% di Campani è composto da quella gente egoista, pigra e disinteressata alla cosa pubblica descritta dai partiti che fomentano l'astensionismo per poi demonizzare chi lo pratica, o più semplicemente si tratta di persone a cui è negata rappresentanza politica e quel minimo di alfabetizzazione necessaria a non farsi annullare la scheda.
Il Veneto e il suo invisibile "partito migrante". In Veneto il dato di rilievo è il "partito dei senza voto", quel 21,9% di persone che pur vivendo in quella regione non può votare perché non ne ha ancora il diritto o perché essendo straniero quel diritto non ce l'ha mai avuto. Un blocco di elettori pressoché equivalente al 22,9% di astensionisti, a sua volta speculare al 22,9% di Salviniani, dove la componente migrante pesa per il 12,4% della popolazione residente, più del consenso raccolto dal PD che in questa regione si ferma al 12,1%. Il dibattito politico ci mostra a seconda degli schieramenti il ritratto di una regione Leghista, o di una regione dove trionfa il disimpegno e l'astensionismo, ma nessuna delle "fotografie politiche" mostrate dai mezzi di comunicazione di massa si allarga ai dati sull'intero insieme della popolazione, per mostrare la fotografia di una regione dove un veneto su cinque non può esprimere rappresentanza politica, e il 12,4% della popolazione residente con tutta probabilità sarebbe ben contento di prendere le distanze sia dal blocco leghista che da quello astensionista, esprimendo un "voto migrante" che molti temono, qualcuno auspica, ma nessuno si decide a garantire.
Elezioni comunali 2015, l’Italia senza quorum: ecco i paesi allergici alle urne, scrive “Il fatto Quotidiano”. A Castelvecchio Calviso, in provincia dell’Aquila, si è registrato uno solo voto valido e quattro schede bianche a fronte di 277 potenziali elettori. A Platì e San Luca, due centri reggini sciolti per mafia vince l'astensione: non si presentano candidati, figurarsi gli elettori. Nel Vibonese, a Spilinga, solo uno su dieci va a votare. E il sindaco non viene eletto. C’è un’Italia senza quorum. Mentre si affastellano analisi e reazioni sul dopo voto un piccolo pezzo di Paese ha preso il largo dalla politica. Sono i cittadini di piccoli e medi comuni che nel diniego dell’urna hanno ingrossato il dato dell’astensione, fino a produrre risultati emblematici e paradossali.
Il disgusto che porta a non andare più a votare. L'astensionismo è il vero vincitore delle elezioni regionali. E colpisce anche le regioni rosse, ma sono sempre di più quelli che ritengono la politica italiana impotente e incapace di risolvere i problemi. Mentre i flussi elettorali spiegano che i travasi di voti tra i partiti sono limitati. Il vero vincitore delle elezioni regionali 2015 è stata l’astensione, scrive Alessandro D’Amato su Next Quotidiano”. Su quasi 19 milioni di elettori chiamati alle urne, appena il 45%, 8 milioni e mezzo, ha espresso un voto valido ad una lista; oltre 9 milioni, il 48%, si sono astenuti. E la tendenza al non voto diventa sempre più impressionante nella crescita dei numeri, e comincia a colpire anche le aree più affezionate al rito elettorale.
Vince l’astensione: siamo noi giovani a non votare più. Il partito dell'astensione cresce a ogni elezione di più. Ma è un problema che va affrontato, perché riguarda soprattutto i più giovani. Troppo lontani dalla politica, scrive Michele Azzu su "Fan Page". “Il vero vincitore è l’astensionismo”, anche a queste elezioni regionali ripeteremo questa solita frase fatta per chissà quanto tempo. Frase che, elezione dopo elezione, sembra sempre più veritiera. Alle elezioni regionali di Veneto, Campania, Marche, Umbria, Toscana, Puglia, Liguria ha votato solo il 51.4 per cento degli aventi diritto. Nel 2010 era il 64 per cento: si sono persi il 10 per cento di voti. Una persona su due non ha votato, e questa volta non è stato certo per colpa del bel tempo e delle gite di primavera: nel fine settimana ha piovuto in quasi tutto il paese. È un dato che fa spavento. Confrontiamolo coi dati delle più recenti votazioni del nostro paese. Lo scorso novembre si votava alle regionali in Emilia Romagna e Calabria. Anche in quel caso l’affluenza al voto fu bassissima: in Emilia Romagna votò il 37.7 per cento contro il 68 delle elezioni precedenti, e contro il 70 per cento delle europee di solo sei mesi prima. Sono 30 punti percentuali in meno. In Calabria a votare furono il 43.8 per cento degli aventi diritto contro il 59 per cento del 2010 (15 per cento in meno). Alle scorse elezioni europee, invece, l’affluenza fu più alta: circa il 60 per cento degli aventi diritto. E alle scorse elezioni politiche? Quelle del giugno 2013, in cui vinse per un soffio il PD guidato da Pierluigi Bersani che poi però non andò mai al governo. In quell’occasione, votò il 55 per cento degli elettori rispetto al 62.6 per cento di cinque anni prima, nel 2008. Le elezioni hanno ormai imparato a convivere con alti tassi di astensionismo. E allora, se va così dappertutto, forse è un segno dei tempi. Chi non vota rinuncia coscientemente a un proprio diritto – dirà qualcuno – e allora perché porsi il problema?
Votano pochi anche in Germania. In Italia non si vota per disgusto, in Germania per noia, scrive Roberto Giardina su “Italia Oggi”. Perché preoccuparsi dell'astensione di domenica scorsa in Italia? Avviene così altrove, perfino in Germania. Metà dei votanti è rimasta a casa? Claudio Velardi cita la Baviera, ma, per la verità, qui in Germania, all'ultimo appuntamento elettorale, l'astensione si è fermata al 46%. Comunque è vero, a casa della Merkel gli elettori sono sempre più pigri, nelle elezioni dei Länder, le regioni, si continua a calare, sfiorando il 50%. Soltanto che qui ci si preoccupa della pigrizia elettorale. I nostri politici fanno finta di niente. Ma le cause sono diverse: i tedeschi disertano le urne per noia, gli italiani, temo, per disgusto e rassegnazione.
I GRILLINI CANTANO VITTORIA. MA ANCHE LORO FAREBBERO BENE A CHIEDERSI PER CHI SUONA LA CAMPANA, scrive Antonio de Martini su “Il Corriere della Collera”. Un lettore mi ha scritto ripetutamente invitandomi a commentare la vittoria del movimento cinque stelle alle recenti elezioni. Turani nel suo giornale presenta questi numeri:
1) Alle elezioni politiche del 2013 , nelle stesse sette regioni in cui si è votato, il movimento cinque stelle raccolse 3.274.571 suffragi.
2) Alle elezioni Europee del 2014 , sempre nelle stesse regioni, gli elettori scesero a 2.211.384.
3) Alle regionali appena trascorse i votanti 5 stelle sono stati 1.320.885.
Sempre che la matematica non sia diventata di parte anch’essa, il movimento 5 stelle non ha avuto un successo, ma una perdita di votanti che si sono dimezzati rispetto alla prima apparizione sulla scena politica. Molti cittadini cercano di illudersi e vedere in “ogni villan che parteggiando viene ” il messia salvatore che rimetta le cose a posto senza che ci si scomodi più di tanto. Un voto, una richiesta di favori e via….Ebbene, non è così. Non è più così. La tendenza chiara ogni giorno di più è che dal 1976 in poi la sola cifra in crescita alle elezioni è quella dei cittadini che si rifiutano di essere presi in giro da questi ladri di Pisa che di giorno litigano e di notte rubano assieme. I cittadini che si astengono dal voto e di cui tutti fingono di non capirne le motivazioni. Il Cardinale Siri ( arcivescovo di Genova, città che si appresta a subire l’ennesima delusione) – mi dicono – ebbe un bon mot: ” esiste personale politico di due tipi: quelli che rubano per fare politica e quelli che fanno politica per rubare. Da un po' vedo in giro solo questi ultimi”. Appunto. Arrestarli? Inutile. Sono più numerosi dei carabinieri e in costante crescita. Per uscire da questo maleolente pantano è necessario che tutti i cittadini – dopo aver fatto il proprio dovere – decidano di esercitare i loro diritti costituzionali partecipando alla vita nazionale in forma attiva, propositiva e continuativa. Ad ogni livello. Fino a che aspetteremo il “deus ex machina”, la “rigenerazione” ed altre minchiate consimili resteremo dove siamo. Tra tutte le soluzioni miracolistiche proposte, quella di far governare l’Italia da un gruppo di giovani somari è la più stravagante. I dirigenti della Nuova Repubblica dovranno essere selezionati uno a uno in base al sapere, all‘esperienza e sopratutto al carattere. Oggi si scelgono in base alla fedeltà, l’ignoranza e alla disponibilità al compromesso. La politica delle etichette (delle camicie, dei distintivi ecc) si addice ai prodotti commerciali, non alle persone.
L'utopia dell'onestà e la demagogia della proposta politica irrealizzabile, presentata come panacea di tutti i mali, sono le prese per il culo che il cittadino non tollera più.
Una Repubblica fondata sulla trattativa. Gli accordi tra Stato e criminalità vanno avanti da due secoli. Così i padrini si sono visti riconoscere la loro forza. Che ora si è spostata nell’economia, scrive Giancarlo De Cataldo su "L'Espresso". Ci sono in molti paesi delle fratellanze, specie di sette che diconsi partiti, senza riunione, senz’altro legame che quello della dipendenza da un capo, che qui è un possidente, là un arciprete. Una cassa comune sovviene ai bisogni, ora di far esonerare un funzionario, ora di proteggerlo, ora di conquistarlo, ora d’incolpare un innocente. Il popolo è venuto a convenzione coi rei”. Così scriveva, nel 1838, don Pietro Ulloa, Procuratore borbonico di Trapani. E Leonardo Sciascia poteva annotare, sconsolato, oltre cent’anni dopo: “Leggeremo mai negli archivi della commissione parlamentare antimafia attualmente in funzione, una relazione acuta e spregiudicata come questa?”.
Onestà (e non solo) la risposta politica contro la corruzione. Dopo tante inchieste sulle malefatte degli amministratori, bisogna chiedersi perché nulla sia cambiato: come diceva Croce, non basta invocare le virtù personali, occorrono strategie adeguate, scrive Giovanni Belardelli su “Il Corriere della Sera”. «Di nuovo?». È questa la domanda che, di fronte agli sviluppi giudiziari dell’inchiesta «Mafia capitale», molti cittadini si sono fatti, sempre meno fiduciosi circa la possibilità che si possa ridurre l’intreccio tra politica e malaffare. È uno stato d’animo comprensibile, ma da superare: occorre chiedersi se non c’è stato anche qualcosa di sbagliato nel modo in cui, per tanti anni, abbiamo evocato la questione morale. L’appello all’onestà, tante volte ripetuto, non basta infatti di per sé a risolvere i mali della politica: e il sentimento «anti casta», pur animato da giustificato sdegno, ha diffuso nel Paese l’idea che della politica e dei partiti si possa fare a meno, per affidarsi alla magistratura. Così non è. E anche se la qualità del ceto dirigente, locale e nazionale, è evidentemente scadente (quanti sono coinvolti nelle inchieste sembrano spinti solo da miserabili aspirazioni di arricchimento), l’onestà personale non è, né sarà sufficiente a risolvere un problema di grave inadeguatezza politica. Osservò una volta Benedetto Croce che la «petulante richiesta» di onestà nella vita politica è l’«ideale che canta nell’anima di tutti gli imbecilli». Personalmente onestissimo, Croce non voleva certo fare l’apologia della disonestà in politica ma segnalare come l’appello all’onestà sia di per sé insufficiente a risolvere i mali della politica, che hanno anzitutto bisogno di rimedi - appunto - politici. Invece - ecco un altro errore di questi decenni - il sentimento «anticasta», pur animato da sdegno giustificatissimo per i privilegi e le malefatte del ceto politico, ha diffuso nel Paese l’idea che della politica e dei partiti si possa fare a meno, per affidarsi ai controlli e alle inchieste della magistratura, magari con un inasprimento delle pene cui pochi peraltro riconoscono una vera capacità dissuasiva. Non c’è bisogno di citare ancora Croce per osservare che l’onestà personale non è sufficiente a risolvere un problema di grave inadeguatezza politica.
Nel paese dove è inutile essere onesti. La politica è da sempre incapace di fare pulizia prima che arrivino le inchieste giudiziarie. Così si arriva alle liste compilate con criteri discutibili, scrive Roberto Saviano su “L’Espresso”. Elezioni all'insegna del “in fondo sapevamo già tutto”, le Regionali di domenica scorsa. Certo, banalizzare l’esito del voto talvolta può essere un’operazione scontata, ma non in questo caso, in cui le premesse dicevano già molto. Ma non le premesse dei sondaggi, non i dibattiti sui giornali, non i comizi da talk show. Bensì gli umori in strada, i discorsi tra le persone, la delusione da bar. Eh sì, perché ormai le “chiacchiere da bar” è in questo che si sono mutate, in “delusione da bar”. Alla politica ormai si applica la stessa “sindrome Trapattoni” che il nostro paese conosce per il calcio: tutti allenatori e tutti delusi dalla classe politica. Abbiamo letto ancora una volta titoli come “Il vero vincitore è l’astensionismo” che mette in luce quel 52% di affluenza al voto che ormai non scandalizza più. E se in Italia la politica, tutta, non cambia rotta - ma evidentemente non lo farà - è un dato destinato a decrescere soprattutto se alle urne si è chiamati in una domenica di sole, la prima dopo freddo e pioggia.
La finanza, gli impresentabili e i parrucconi, scrive Nicola Porro su “Il Giornale”. Questo paese di parrucconi è veramente una schifezza. Parrucconi buoni solo a declamare principi favolosi di onestà, correttezza ed eticità ci sono sempre stati per carità. Il problema è che abbiamo sempre pensato che sotto queste profumate parrucche, si celassero solo teste di rapa. Alzi la mano chi è a favore della disonestà? Faccia un passo avanti chi è favore della corruzione? Nessuno è ovvio. Il nostro parruccone moderno fa di più, questiona i quarti di nobiltà. Tipo alla Caccia. Vabbè tutti sapete della genialata democratica della commissione antimafia, guidata da Rosy Bindi.
Dr Antonio Giangrande
Presidente dell’Associazione Contro Tutte le Mafie e di Tele Web Italia
Antonio Giangrande, ASSOCIAZIONE CONTRO TUTTE LE MAFIE: DEMOCRAZIA: LA DITTATURA DELLE MINORANZE.
La coperta corta e l’illusione della rappresentanza politica, tutelitaria degli interessi diffusi.
Di Antonio Giangrande Scrittore, sociologo storico, giurista, blogger, youtuber, presidente dell’Associazione Contro Tutte le Mafie. Antonio Giangrande ha scritto i libri che parlano delle caste e delle lobbies; della politica, in generale, e dei rispettivi partiti politici, in particolare.
La dittatura è una forma autoritaria di governo in cui il potere è accentrato in un solo organo, se non addirittura nelle mani del solo dittatore, non limitato da leggi, costituzioni, o altri fattori politici e sociali interni allo Stato. Il ricambio al vertice decisionale si ha con l’eliminazione fisica del dittatore per mano dei consanguinei in linea di successione o per complotti cruenti degli avversari politici. In senso lato, dittatura ha quindi il significato di predominio assoluto e perlopiù incontrastabile di un individuo (o di un ristretto gruppo di persone) che detiene un potere imposto con la forza. In questo senso la dittatura coincide spesso con l'autoritarismo e con il totalitarismo. Sua caratteristica è anche la negazione della libertà di espressione e di stampa.
La democrazia non è altro che la dittatura delle minoranze reazionarie, che, con fare ricattatorio, impongono le loro pretese ad una maggioranza moderata, assoggetta da calcoli politici.
Si definisce minoranza un gruppo sociale che, in una data società, non costituisce una realtà maggioritaria. La minoranza può essere in riferimento a: etnia (minoranza etnica), lingua (minoranza linguistica), religione (minoranza religiosa), genere (minoranza di genere), età, condizione psicofisica.
Minoranza con potere assoluto è chi eserciti una funzione pubblica legislativa, giudiziaria o amministrativa. Con grande influenza alla formazione delle leggi emanate nel loro interesse. Queste minoranze sono chiamate "Caste".
Minoranza con potere relativo è colui che sia incaricato di pubblico servizio, ai sensi della legge italiana, ed identifica chi, pur non essendo propriamente un pubblico ufficiale con le funzioni proprie di tale status (certificative, autorizzative, deliberative), svolge comunque un servizio di pubblica utilità presso organismi pubblici in genere. Queste minoranze sono chiamate "Lobbies professionali abilitate" (Avvocati, Notai, ecc.). A queste si aggiungono tutte quelle lobbies economiche o sociali rappresentative di un interesse corporativo non abilitato. Queste si distinguono per le battagliere e visibili pretese (Tassisti, sindacati, ecc.).
Le minoranze, in democrazia, hanno il potere di influenzare le scelte politiche a loro vantaggio ed esercitano, altresì, la negazione della libertà di espressione e di stampa, quando queste si manifestano a loro avverse.
Questo impedimento è l'imposizione del "Politicamente Corretto” nello scritto e nel parlato. Recentemente vi è un tentativo per limitare ancor più la libertà di parola: la cosiddetta lotta alle “Fake news”, ossia alle bufale on line. La guerra, però è rivolta solo contro i blog e contro i forum, non contro le testate giornalistiche registrate. Questo perché, si sa, gli abilitati sono omologati al sistema.
Nel romanzo 1984 George Orwell immaginò un mondo in cui il linguaggio e il pensiero della gente erano stati soffocati da un tentacolare sistema persuasivo tecnologico allestito dallo stato totalitario. La tirannia del “politicamente corretto” che negli ultimi anni si è impossessata della cultura occidentale ricorda molto il pensiero orwelliano: qualcuno dall'alto stabilisce cosa in un determinato frangente storico sia da ritenersi giusto e cosa sbagliato, e sfruttando la cassa di risonanza della cultura di massa induce le persone ad aderire ad una serie di dogmi laici spacciati per imperativi etici, quando in realtà sono solo strumenti al soldo di una strategia socio-politica.
Di esempi della tirannia delle minoranze la cronaca è piena. Un esempio per tutti.
Assemblea Pd, basta con questi sciacalli della minoranza, scrive Andrea Viola, Avvocato e consigliere comunale Pd, il 15 febbraio 2017 su "Il Fatto Quotidiano". Mentre il Paese ha bisogno di risposte, la vecchia sinistra pensa sempre e solo alle proprie poltrone: è un vecchio vizio dalemiano. Per questi democratici non importa governare l’Italia, è più importante controllare un piccolo ma proprio piccolo partito. Di queste persone e di questi politicanti siamo esausti: hanno logorato sempre il Pd e il centro-sinistra; hanno sempre e solo pensato ai loro poltronifici; si sono sempre professati più a sinistra di ogni segretario che non fosse un loro uomo. Ma ora basta. Ricapitoliamo. Renzi perde le primarie con Bersani prima delle elezioni politiche del 2013. Bersani fa le liste mettendo dentro i suoi uomini con il sistema del Porcellum (altro che capilista bloccati). Elezioni politiche che dovevano essere vinte con facilità ed invece la campagna elettorale di Bersani fu la peggiore possibile. Renzi da parte sua diede il più ampio sostegno, in maniera leale e trasparente. Il Pd di Bersani non vinse e fu costretto ad un governo Letta con Alfano e Scelta Civica. Dopo mesi di pantano, al congresso del Pd, Renzi vince e diventa il segretario a stragrande maggioranza. E poi, con l’appoggio del Giorgio Napolitano, nuovo presidente del Consiglio. Lo scopo del suo governo è fare le riforme da troppo tempo dimenticate: legge elettorale e riforma costituzionale. Tutti d’accordo. E invece ecco che Bersani, D’Alema e compagnia iniziano il lento logoramento, non per il bene comune ma per le poltrone da occupare. Si vota l’Italicum e la riforma costituzionale. Renzi fa l’errore di personalizzare il referendum ed ecco gli sciacalli della minoranza Pd che subito si fiondano. Da quel momento inizia la strategia: andare contro il segretario che cercare di riprendere in mano il partito. La prova è semplice da dimostrare: Bersani e i suoi uomini in Parlamento avevano votato a favore della riforma costituzionale. Non c’è bisogno di aggiungere altro. Invece il referendum finisce 59 a 41 per il No. Matteo Renzi, in coerenza con quello detto in precedenza, si dimette da presidente del Consiglio. E francamente vedere brindare D’Alema, Speranza e compagnia all’annuncio delle dimissioni di Renzi è stato veramente vomitevole. Questa è stata la prima e vera plateale scissione: compagni di partito che brindano contro il proprio segretario, vergognoso! Bene, da quel momento, è un susseguirsi di insulti continui a Renzi, insulti che neanche il proprio nemico si era mai sognato. Renzi, a quel punto, è pronto a dimettersi subito e aprire ad un nuovo congresso. Nulla, la minoranza non vuole e minaccia la scissione perché prima ci deve essere altro tempo. Non per lavorare nell’interesse della comunità ma per le mirabolanti strategie personali di Bersani e D’Alema. Avevano detto che dopo il referendum sarebbe bastato poco per fare altra legge elettorale e altra riforma costituzionale. Niente di più falso. Unico loro tormentone, fare fuori Matteo. Renzi, allora, chiede di fare presto per andare al voto. Apriti cielo: il baffetto minaccia la scissione, non vuole il voto subito, si perde il vitalizio. Dice che ci vuole il congresso prima del voto. Bene, Renzi si dice pronto. Lunedì scorso si tiene la direzione. Tanti interventi. Si vota. La minoranza, però, vota contro la mozione dei renziani. Il risultato: 107 con Renzi, 12 contro. “Non vogliamo un partito di Renzi”, dicono. Insomma il vaso è proprio colmo. Scuse su scuse, una sola verità: siete in stragrande minoranza e volete solo demolire il Pd e Renzi. Agli italiani però non interessa e non vogliono essere vostri ostaggi. E’ chiaro a tutti che non vi interessa governare ma avere qualche poltrona assicurata. Sarà bello vedervi un giorno cercare alleanze. I ricatti sono finiti: ora inizi finalmente la vera rottamazione.
No, no e 354 volte no. La sindrome Nimby (Not in my back yard, "non nel mio cortile") va ben oltre il significato originario. Non solo contestazioni di comitati che non vogliono nei dintorni di casa infrastrutture o insediamenti industriali: 354, appunto, bloccati solo nel 2012 (fonte Nimby Forum). Ormai siamo in piena emergenza Nimto – Not in my term of office, "non nel mio mandato" – e cioè quel fenomeno che svela l’inazione dei decisori pubblici. Nel Paese dei mille feudi è facile rinviare decisioni e scansare responsabilità. La protesta è un’arte, e gli italiani ne sono indiscussi maestri. Ecco quindi pareri "non vincolanti" di regioni, province e comuni diventare veri e propri niet, scrive Alessandro Beulcke su “Panorama”. Ministeri e governo, in un devastante regime di subalternità perenne, piegano il capo ai masanielli locali. Tempi decisionali lunghi, scelte rimandate e burocrazie infinite. Risultato: le multinazionali si tengono alla larga, le grandi imprese italiane ci pensano due volte prima di aprire uno stabilimento. Ammonterebbe così a 40 miliardi di euro il "costo del non fare" secondo le stime di Agici-Bocconi. E di questi tempi, non permettere l’iniezione di capitali e lavoro nel Paese è una vera follia.
NO TAV, NO dal Molin, NO al nucleare, NO all’ingresso dei privati nella gestione dell’acqua: negli ultimi tempi l’Italia è diventata una Repubblica fondata sul NO? A quanto pare la paura del cambiamento attanaglia una certa parte dell’opinione pubblica, che costituisce al contempo bacino elettorale nonché cassa di risonanza mediatica per politici o aspiranti tali (ogni riferimento è puramente casuale). Ciò che colpisce è la pervicacia con la quale, di volta in volta, una parte o l’altra del nostro Paese si barrica dietro steccati culturali, rifiutando tutto ciò che al di fuori dei nostri confini è prassi comune. Le battaglie tra forze dell’ordine e manifestanti NO TAV non si sono verificate né in Francia né nel resto d’Europa, nonostante il progetto preveda l’attraversamento del continente da Lisbona fino a Kiev: è possibile che solo in Val di Susa si pensi che i benefici dell’alta velocità non siano tali da compensare l’inevitabile impatto ambientale ed i costi da sostenere? E’ plausibile che sia una convinzione tutta italica quella che vede i treni ad alta velocità dedicati al traffico commerciale non rappresentare il futuro ma, anzi, che questi siano andando incontro a un rapido processo di obsolescenza? Certo, dire sempre NO e lasciare tutto immutato rappresenta una garanzia di sicurezza, soprattutto per chi continua a beneficiare di rendite di posizione politica, ma l’Italia ha bisogno di cambiamenti decisi per diventare finalmente protagonista dell’Europa del futuro. NO?
Il Paese dei "No" a prescindere. Quando rispettare le regole è (quasi) inutile. In Italia non basta rispettare le regole per riuscire ad investire nelle grandi infrastrutture. Perché le regole non sono una garanzia in un Paese dove ogni decisione è messa in discussione dai mal di pancia fragili e umorali della piazza. E di chi la strumentalizza, scrive l’imprenditore Massimiliano Boi. Il fenomeno, ben noto, si chiama “Nimby”, iniziali dell’inglese Not In My Backyard (non nel mio cortile), ossia la protesta contro opere di interesse pubblico che si teme possano avere effetti negativi sul territorio in cui vengono costruite. I veti locali e l’immobilismo decisionale ostacolano progetti strategici e sono il primo nemico per lo sviluppo dell’Italia. Le contestazioni promosse dai cittadini sono “cavalcate” (con perfetta par condicio) dalle opposizioni e dagli stessi amministratori locali, impegnati a contenere ogni eventuale perdita di consenso e ad allontanare nel tempo qualsiasi decisione degna di tale nome. Dimenticandosi che prendere le decisioni è il motivo per il quale, in definitiva, sono stati eletti. L’Osservatorio del Nimby Forum (nimbyforum.it) ha verificato che dopo i movimenti dei cittadini (40,7%) i maggiori contestatori sono gli amministratori pubblici in carica (31,4%) che sopravanzano di oltre 15 punti i rappresentanti delle opposizioni. Il sito nimbyforum.it, progetto di ricerca sul fenomeno delle contestazioni territoriali ambientali gestito dall'associazione no profit Aris, rileva alla settima edizione del progetto che in Italia ci sono 331 le infrastrutture e impianti oggetto di contestazioni (e quindi bloccati). La fotografia che emerge è quella di un paese vecchio, conservatore, refrattario ad ogni cambiamento. Che non attrae investimenti perché è ideologicamente contrario al rischio d’impresa. Il risultato, sotto gli occhi di tutti, è la tendenza allo stallo. Quella che i sociologi definiscono “la tirannia dello status quo”, cioè dello stato di fatto, quasi sempre insoddisfacente e non preferito da nessuno. A forza di "no" a prescindere, veti politici e pesanti overdosi di burocrazia siamo riusciti (senza grandi sforzi) a far scappare anche le imprese straniere. La statistica è piuttosto deprimente: gli investimenti internazionali nella penisola valgono 337 miliardi, la metà di quelli fatti in Spagna e solo l’1,4% del pil, un terzo in meno di Francia e Germania. Un caso per tutti, raccontato da Ernesto Galli Della Loggia. L’ex magistrato Luigi de Magistris, sindaco di Napoli, città assurta come zimbello mondiale della mala gestione dei rifiuti, si è insediato come politico “nuovo”, “diverso”, “portatore della rivoluzione”. Poi, dicendo “no” ai termovalorizzatori per puntare solo sulla raccolta differenziata, al molo 44 Area Est del porto partenopeo, ha benedetto l’imbarco di 3 mila tonn di immondizia cittadina sulla nave olandese “Nordstern” che, al prezzo di 112 euro per tonn, porterà i rifiuti napoletani nel termovalorizzatore di Rotterdam. Dove saranno bruciati e trasformati in energia termica ed elettrica, a vantaggio delle sagge collettività locali che il termovalorizzatore hanno voluto. Ma senza andare lontano De Magistris avrebbe potuto pensare al termovalorizzatore di Brescia, dove pare che gli abitanti non abbiano l’anello al naso. Scrive Galli Della Loggia: “Troppo spesso questo è anche il modo in cui, da tempo, una certa ideologia verde cavalca demagogicamente paure e utopie, senza offrire alcuna alternativa reale, ma facendosi bella nel proporre soluzioni che non sono tali”.
In Italia stiamo per inventare la "tirannia della minoranza". Tocqueville aveva messo in guardia contro gli eccessivi poteri del Parlamento. Con la legge elettorale sbagliata si può andare oltre...scrive Dario Antiseri, Domenica 04/09/2016, su "Il Giornale". Nulla di più falso, afferma Ludwig von Mises, che liberalismo significhi distruzione dello Stato o che il liberale sia animato da un dissennato odio contro lo Stato. Precisa subito Mises in Liberalismo: «Se uno ritiene che non sia opportuno affidare allo Stato il compito di gestire ferrovie, trattorie, miniere, non per questo è un nemico dello Stato. Lo è tanto poco quanto lo si può chiamare nemico dell'acido solforico, perché ritiene che, per quanto esso possa essere utile per svariati scopi, non è certamente adatto ad essere bevuto o usato per lavarsi le mani». Il liberalismo prosegue Mises non è anarchismo: «Bisogna essere in grado di costringere con la violenza ad adeguarsi alle regole della convivenza sociale chi non vuole rispettare la vita, la salute, o la libertà personale o la proprietà privata di altri uomini. Sono questi i compiti che la dottrina liberale assegna allo Stato: la protezione della proprietà, della libertà e della pace». E per essere ancora più chiari: «Secondo la concezione liberale, la funzione dell'apparato statale consiste unicamente nel garantire la sicurezza della vita, della salute, della libertà e della proprietà privata contro chiunque attenti ad essa con la violenza». Conseguentemente, il liberale considera lo Stato «una necessità imprescindibile». E questo per la precisa ragione che «sullo Stato ricadono le funzioni più importanti: protezione della proprietà privata e soprattutto della pace, giacché solo nella pace la proprietà privata può dispiegare tutti i suoi effetti». È «la pace la teoria sociale del liberalismo». Da qui la forma di Stato che la società deve abbracciare per adeguarsi all'idea liberale, forma di Stato che è quella democratica, «basata sul consenso espresso dai governati al modo in cui viene esercitata l'azione di governo». In tal modo, «se in uno Stato democratico la linea di condotta del governo non corrisponde più al volere della maggioranza della popolazione, non è affatto necessaria una guerra civile per mandare al governo quanti intendano operare secondo la volontà della maggioranza. Il meccanismo delle elezioni e il parlamentarismo sono appunto gli strumenti che permettono di cambiare pacificamente governo, senza scontri, senza violenza e spargimenti di sangue». E se è vero che, senza questi meccanismi, «dovremmo solo aspettarci una serie ininterrotta di guerre civili», e se è altrettanto vero che il primo obiettivo di ogni totalitario è l'eliminazione di quella sorgente di libertà che è la proprietà privata, a Mises sta a cuore far notare che «i governi tollerano la proprietà privata solo se vi sono costretti, ma non la riconoscono spontaneamente per il fatto che ne conoscono la necessità. È accaduto spessissimo che persino uomini politici liberali, una volta giunti al potere, abbiano più o meno abbandonato i principi liberali. La tendenza a sopprimere la proprietà privata, ad abusare del potere politico, e a disprezzare tutte le sfere libere dall'ingerenza statale, è troppo profondamente radicata nella psicologia del potere politico perché se ne possa svincolare. Un governo spontaneamente liberale è una contradictio in adjecto. I governi devono essere costretti ad essere liberali dal potere unanime dell'opinione pubblica». Insomma, aveva proprio ragione Lord Acton a dire che «il potere tende a corrompere e che il potere assoluto corrompe assolutamente». Un ammonimento, questo, che dovrebbe rendere i cittadini e soprattutto gli intellettuali ed i giornalisti più consapevoli e responsabili. Da Mises ad Hayek. In uno dei suoi lavori più noti e più importanti, e cioè Legge, legislazione e libertà, Hayek afferma: «Lungi dal propugnare uno Stato minimo, riteniamo indispensabile che in una società avanzata il governo dovrebbe usare il proprio potere di raccogliere fondi per le imposte per offrire una serie di servizi che per varie ragioni non possono essere forniti o non possono esserlo in modo adeguato dal mercato». A tale categoria di servizi «appartengono non soltanto i casi ovvi come la protezione dalla violenza, dalle epidemie o dai disastri naturali quali allagamenti e valanghe, ma anche molte delle comodità che rendono tollerabile la vita nelle grandi città, come la maggior parte delle strade, la fissazione di indici di misura, e molti altri tipi di informazione che vanno dai registri catastali, mappe e statistiche, ai controlli di qualità di alcuni beni e servizi». È chiaro che l'esigere il rispetto della legge, la difesa dai nemici esterni, il campo delle relazioni internazionali, sono attività dello Stato. Ma vi è anche, fa presente Hayek, tutta un'altra classe di rischi per i quali solo recentemente è stata riconosciuta la necessità di azioni governative: «Si tratta del problema di chi, per varie ragioni, non può guadagnarsi da vivere in un'economia di mercato, quali malati, vecchi, handicappati fisici e mentali, vedove e orfani, cioè coloro che soffrono condizioni avverse, le quali possono colpire chiunque e contro cui molti non sono in grado di premunirsi da soli ma che una società la quale abbia raggiunto un certo livello di benessere può permettersi di aiutare». La «Grande Società» può permettersi fini umanitari perché è ricca; lo può fare «con operazioni fuori mercato e non con manovre che siano correzioni del mercato medesimo». Ma ecco la ragione per cui esso deve farlo: «Assicurare un reddito minimo a tutti, o un livello cui nessuno scenda quando non può provvedere a se stesso, non soltanto è una protezione assolutamente legittima contro rischi comuni a tutti, ma è un compito necessario della Grande Società in cui l'individuo non può rivalersi sui membri del piccolo gruppo specifico in cui era nato». E, in realtà, ribadisce Hayek, «un sistema che invoglia a lasciare la sicurezza goduta appartenendo ad un gruppo ristretto, probabilmente produrrà forti scontenti e reazioni violente quando coloro che ne hanno goduto prima i benefici si trovino, senza propria colpa, privi di aiuti, perché non hanno più la capacità di guadagnarsi da vivere». Tutto ciò premesso, Hayek torna ad insistere sul pericolo insito anche nelle moderne democrazie dove si è persa la distinzione tra legge e legislazione, vale a dire tra un ordine che «si è formato per evoluzione», un ordine «endogeno» e che si «autogenera» (cosmos) da una parte e dall'altra «un ordine costruito». Un popolo sarà libero se il governo sarà un governo sotto l'imperio della legge, cioè di norme di condotta astratte frutto di un processo spontaneo, le quali non mirano ad un qualche scopo particolare, si applicano ad un numero sconosciuto di casi possibili, e formano un ordine in cui gli individui possano realizzare i loro scopi. E, senza andare troppo per le lunghe, l'istituto della proprietà intendendo con Locke per «proprietà» non solo gli oggetti materiali, ma anche «la vita, la libertà ed i possessi» di ogni individuo costituisce, secondo Hayek, «la sola soluzione finora scoperta dagli uomini per risolvere il problema di conciliare la libertà individuale con l'assenza di conflitti». La Grande società o Società aperta in altri termini «è resa possibile da quelle leggi fondamentali di cui parlava Hume, e cioè la stabilità del possesso, il trasferimento per consenso e l'adempimento delle promesse». Senza una chiara distinzione tra la legge posta a garanzia della libertà e la legislazione di maggioranze che si reputano onnipotenti, la democrazia è perduta. La verità, dice Hayek, è che «la sovranità della legge e la sovranità di un Parlamento illimitato sono inconciliabili». Un Parlamento onnipotente, senza limiti alla legiferazione, «significa la morte della libertà individuale». In breve: «Noi possiamo avere o un Parlamento libero o un popolo libero». Tocqueville, ai suoi tempi, aveva messo in guardia contro la tirannia della maggioranza; oggi, ai nostri giorni, in Italia, si va ben oltre, sempre più nel baratro, con la proposta di una legge elettorale dove si prefigura chiaramente una «tirannia» della minoranza. Dario Antiseri
Quelli che... è sempre colpa del liberalismo. Anche se in Italia neppure esiste. A sinistra (ma pure a destra) è diffusa l'idea che ogni male della società sia frutto dell'avidità e del cinismo capitalistico. Peccato sia l'esatto contrario: l'assenza di mercato e di concorrenza produce ingiustizie e distrugge l'eco..., scrive Dario Antiseri, Domenica 04/09/2016, su "Il Giornale". Una opinione sempre più diffusa e ribadita senza sosta è quella in cui da più parti si sostiene che i tanti mali di cui soffre la nostra società scaturiscano da un'unica e facilmente identificabile causa: la concezione liberale della società. Senza mezzi termini si continua di fatto a ripetere che il liberalismo significhi «assenza di Stato», uno sregolato laissez fairelaissez passer, una giungla anarchica dove scorrazzano impuniti pezzenti ben vestiti ingrassati dal sangue di schiere di sfruttati. Di fronte ad un sistema finanziario slegato dall'economia reale, a banchieri corrotti e irresponsabili che mandano sul lastrico folle di risparmiatori, quando non generano addirittura crisi per interi Stati; davanti ad una disoccupazione che avvelena la vita di larghi strati della popolazione, soprattutto giovanile; di fronte ad ingiustizie semplicemente spaventose generate da privilegi goduti da bande di cortigiani genuflessi davanti al padrone di turno; di fronte ad imprenditori che impastano affari con la malavita e ad una criminalità organizzata che manovra fiumi di (...) (...) denaro; di fronte a queste e ad altre «ferite» della società, sul banco degli imputati l'aggressore ha sempre e comunque un unico volto: quello della concezione liberale della società. E qui è più che urgente chiedersi: ma è proprio vero che le cose stanno così, oppure vale esattamente il contrario, cioè a dire che le «ferite» di una società ingiusta, crudele e corrotta zampillano da un sistematico calpestamento dei principi liberali, da un tenace rifiuto della concezione liberale dello Stato? Wilhelm Röpke, uno dei principali esponenti contemporanei del pensiero liberale, muore a Ginevra il 12 febbraio del 1966. Nel ricordo di Ludwig Erhard, allora Cancelliere della Germania Occidentale: «Wilhelm Röpke è un grande testimone della verità. I miei sforzi verso il conseguimento di una società libera sono appena sufficienti per esprimergli la mia gratitudine, per avere egli influenzato la mia concezione e la mia condotta». E furono esattamente le idee della Scuola di Friburgo alla base della strabiliante rinascita della Germania Occidentale dopo la fine della seconda guerra mondiale. Ancora Erhard, qualche anno prima, nel 1961: «Se esiste una teoria in grado di interpretare in modo corretto i segni del tempo e di offrire un nuovo slancio simultaneamente ad un'economia di concorrenza e a un'economia sociale, questa è la teoria proposta da coloro che vengono chiamati neoliberali o ordoliberali. Essi hanno posto con sempre maggiore intensità l'accento sugli aspetti politici e sociali della politica economica affrancandola da un approccio troppo meccanicistico e pianificatore». E tutt'altro che una assenza dello Stato caratterizza la proposta dei sostenitori dell'Economia sociale di mercato. La loro è una concezione di uno Stato forte, fortissimo, istituito a presidio di regole per la libertà: «Quel che noi cerchiamo di creare - affermano Walter Eucken e Franz Böhm nel primo numero di Ordo (1948) è un ordine economico e sociale che garantisca al medesimo tempo il buon funzionamento dell'attività economica e condizioni di vita decenti e umane. Noi siamo a favore dell'economia di concorrenza perché è essa che permette il conseguimento di questo scopo. E si può anche dire che tale scopo non può essere ottenuto che con questo mezzo». Non affatto ciechi di fronte alle minacce del potere economico privato sul funzionamento del mercato concorrenziale né sul fatto che le tendenze anticoncorrenziali sono più forti nella sfera pubblica che in quella privata, né sui torbidi maneggi tra pubblico e privato, gli «Ordoliberali» della scuola di Friburgo, distanti dalla credenza in un'armonia spontanea prodotta dalla «mano invisibile», hanno sostenuto l'idea che il sistema economico deve funzionare in conformità con una «costituzione economica» posta in essere dallo Stato. Scrive Walter Eucken nei suoi Fondamenti di economia politica (1940): «Il sistema economico deve essere pensato e deliberatamente costruito. Le questioni riguardanti la politica economica, la politica commerciale, il credito, la protezione contro i monopoli, la politica fiscale, il diritto societario o il diritto fallimentare, costituiscono i differenti aspetti di un solo grande problema, che è quello di sapere come bisogna stabilire le regole dell'economia, presa come un tutto a livello nazionale ed internazionale». Dunque, per gli Ordoliberali il ruolo dello Stato nell'economia sociale di mercato non è affatto quello di uno sregolato laissez-faire, è bensì quello di uno «Stato forte» adeguatamente attrezzato contro l'assalto dei monopolisti e dei cacciatori di rendite. Eucken: «Lo Stato deve agire sulle forme dell'economia, ma non deve essere esso stesso a dirigere i processi economici. Pertanto, sì alla pianificazione delle forme, no alla pianificazione del controllo del processo economico». «Non fa d'uopo confutare ancora una volta la grossolana fola che il liberalismo sia sinonimo di assenza dello Stato o di assoluto lasciar fare o lasciar passare». Questo scrive Luigi Einaudi in una delle sue Prediche inutili (dal titolo: Discorso elementare sulle somiglianze e sulle dissomiglianze tra liberalismo e socialismo). E prosegue: «Che i liberali siano fautori dello Stato assente, che Adamo Smith sia il campione dell'assoluto lasciar fare e lasciar passare sono bugie che nessuno studioso ricorda; ma, per essere grosse, sono ripetute dalla più parte dei politici, abituati a dire: superata l'idea liberale; non hanno letto mai nessuno dei libri sacri del liberalismo e non sanno in che cosa esso consista». Contro Croce, per il quale il liberalismo «non ha un legame di piena solidarietà col capitalismo o col liberismo economico della libera concorrenza», Einaudi giudica del tutto inconsistente simile posizione in quanto una società senza economia di mercato sarebbe oppressa da «una forza unica dicasi burocrazia comunista od oligarchia capitalistica capace di sovrapporsi alle altre forze sociali», con la conseguenza «di uniformizzare e conformizzare le azioni, le deliberazioni, il pensiero degli uomini». Così Einaudi nel suo contrasto con Croce (in B. Croce-L. Einaudi, Liberismo e Liberalismo, 1957). È un fatto sotto gli occhi di tutti che ipertrofia dello Stato ed i monopoli sono storicamente nemici della libertà. Monopolismo e collettivismo ambedue sono fatali alla libertà. Per questo, tra i principali compiti dello Stato liberale vi è una lotta ai monopoli, a cominciare dal monopolio dell'istruzione. Solo all'interno di precisi limiti, cioè delle regole dello Stato di diritto, economia di mercato e libera concorrenza possono funzionare da fattori di progresso. Lo Stato di diritto equivale all'«impero della legge», e l'impero della legge è condizione per l'anarchia degli spiriti. Il cittadino deve obbedienza alla legge. Legge che deve essere «una norma nota e chiara, che non può essere mutata per arbitrio da nessun uomo, sia esso il primo dello Stato». Uguaglianza giuridica di tutti i cittadini davanti alla legge; e, dalla prospettiva sociale, uguaglianza delle opportunità sulla base del principio che «in una società sana l'uomo dovrebbe poter contare sul minimo necessario per la vita» un minimo che sia «non un punto di arrivo, ma di partenza; una assicurazione data a tutti gli uomini perché tutti possano sviluppare le loro attitudini» (Lezioni di politica sociale, 1944). Netta appare, quindi, la differenza tra la concezione liberale dello Stato e la concezione socialista dello Stato, nonostante che l'una e l'altra siano animate dallo stesso ideale di elevamento materiale e morale dei cittadini. «L'uomo liberale vuole porre norme osservando le quali risparmiatori, proprietari, imprenditori, lavoratori possano liberamente operare, laddove l'uomo socialista vuole soprattutto dare un indirizzo, una direttiva all'opera dei risparmiatori, proprietari, imprenditori suddetti. Il liberale pone la cornice, traccia i limiti dell'operare economico, il socialista indica o ordina le maniere dell'operare» (Liberalismo e socialismo in Prediche inutili). E ancora: «Liberale è colui che crede nel perfezionamento materiale o morale conquistato con lo sforzo volontario, col sacrificio, colla attitudine a lavorare d'accordo cogli altri; socialista è colui che vuole imporre il perfezionamento colla forza, che lo esclude, se ottenuto con metodi diversi da quelli da lui preferito, che non sa vincere senza privilegi a favor proprio e senza esclusive pronunciate contro i reprobi». Il liberale discute per deliberare, prende le sue decisioni dopo la più ampia discussione; ma questo non fa colui che presume di essere in possesso della verità assoluta: «Il tiranno non ha dubbi e procede diritto per la sua via; ma la via conduce il paese al disastro». Dario Antiseri
"Liberali di tutta Italia, svegliatevi". Pubblichiamo, per gentile concessione dell'editore "La Nave di Teseo", un brano dal nuovo libro di Nicola Porro, "La disuguaglianza fa bene", scrive Nicola Porro, Lunedì 12/09/2016, su "Il Giornale". Nel tempo in cui viviamo, bisogna diffidare di quanti si definiscono liberali senza esserlo. I principi del liberalismo classico, nonostante sembrino accettati da tutti, non lo sono fino in fondo. Da quanto abbiamo appena detto, il liberale tende a essere conservatore quando c’è una libertà da proteggere (il diritto di proprietà, ad esempio, di chi non riesce a sfrattare un inquilino moroso), progressista quando se ne devono tutelare di nuove (si pensi alle recenti minacce alla nostra privacy da parte di banche, stati o anche motori di ricerca) e talvolta anche reazionario quando occorre recuperare diritti sepolti nel passato (ad esempio una tassazione ridotta). Il filo rosso che lega queste diverse attitudini è ciò che Dario Antiseri definisce l’«individualismo metodologico»: la storia è guidata dalle azioni degli individui e sono questi ultimi che determinano le scelte fondamentali dell’economia. La collettività non esiste in sé, è la somma di una molteplicità di individui. Come diceva Pareto, un altro grande liberale di cui parleremo: «I tempi eroici del socialismo sono passati, i ribelli di ieri sono i soddisfatti di oggi». Il rischio è che questi soddisfatti si spaccino per liberali e anzi finiscano per spiegare ai liberali come devono comportarsi, anche in virtù degli errori che essi stessi hanno commesso. Quanti intellettuali ex maoisti, ex comunisti, ex gruppettari, ex fiancheggiatori delle Brigate rosse e delle rivolte di piazza, oggi in posizioni di comando, decantano le virtù del mercato? Se la loro fosse una conversione ragionata, alla Mamet come leggeremo, la cosa non dovrebbe scandalizzarci. Il problema è che i soddisfatti di oggi hanno un’idea farsesca del liberalismo e lo associano al loro personale successo. Che nella gran parte dei casi è arrivato solo grazie alle loro spiccate capacità di relazione. Fermatevi un attimo, pensate agli intellettuali che contano e vedrete due caratteristiche ricorrenti: hanno praticamente tutti combattuto contro i liberali tra gli anni sessanta e settanta eppure oggi spiegano al mondo i pregi del liberalismo, che a seconda dei casi si porta dietro l’aggettivo sociale o democratico. I veri liberali, non solo di casa nostra, si devono dare una mossa. Svegliarsi da un letargo ideale, che dura da qualche lustro. Il progresso tecnologico e quello degli ordini più o meno spontanei in cui si sono trasformate le nostre istituzioni obbliga anche i liberali di ieri ad affrontare, sul piano teorico, nuove sfide. Se i principi restano i medesimi, il contesto e le minacce sono cambiate. Alcuni dei veleni tipici del mercato hanno preso forme diverse, soprattutto quando sono coinvolte istituzioni finanziarie e grandi corporation digitali. Il monopolio e la sua rendita, il ruolo del free rider (cioè di chi ottiene benefici senza pagarne il prezzo) e il peso del moral hazard (ovvero prendere rischi enormi contando sul fatto di essere poi salvati, come nel caso di alcune note banche) hanno assunto forme diverse. Non è questo certo il luogo per affrontare in modo dettagliato il problema. Qualcosa si può dire, però. Un liberale classico pretende che l’impresa con perduranti conti in rosso fallisca. Altrimenti si stravolgerebbe la regola principale del mercato e della concorrenza. Il discorso vale anche per le banche. E se vale per le banche di una nazione, dovrebbe valere per tutti, vista la globalizzazione dei mercati? La risposta, sia chiaro, non è univoca. Anche dal punto di vista strettamente liberale. Taluni ad esempio potrebbero, per la tutela suprema del mercato, continuare a pensare che in ultima analisi salvare il fallito danneggerà anche il salvatore: e dunque chiederanno il fallimento delle banche nonostante i paesi vicini le sostengano con denaro pubblico. D’altra parte è anche vero che la discussione sembra essersi spostata dai conti dell’impresa ai bilanci della politica, dagli scambi sul mercato alle trattative nei palazzi del potere. Come rispondere alle imprese che sono tutelate e protette dalle proprie leggi nazionali, nonostante abbiano i conti in disordine? Insomma è una sfida nuova al pensiero liberale tradizionale. Così come si è rinnovata la battaglia contro i monopoli. Una fissazione di Luigi Einaudi, ma non solo. Pensiamo a quando Facebook – tra poco con i suoi 1,7 miliardi di abitanti la nazione più popolata della Terra – o Google – praticamente l’unico motore di ricerca sopravvissuto – diventeranno dei rentiers, dei profittatori della posizione privilegiata che hanno conquistato, e non più degli innovatori. E qui dimentichiamo per un attimo la gigantesca questione della privacy (altro terreno inesplorato) e andiamo al centro degli affari. Grazie al loro successo questi colossi spazzeranno via dal mercato (comprandolo) ogni concorrente. È sbagliato pensare che lo stato si debba occupare di loro, ma altrettanto illogico ritenere che il set di regole pensate per l’atomo si possa adattare al mondo dei byte: siamo di fronte a un processo simile a quello che ha visto cambiare le nostre civiltà da agricole a industriali. E che oggi le vede diventare digitali. Nuove entusiasmanti sfide per i liberali, che ieri contestavano Pigou e le sue esternalità basate sull’inquinamento dell’industria nei fiumi, e oggi dovranno capire come, e se, contenere gli effetti collaterali del digitale. Facebook ha impiegato quattro anni a toccare la favolosa capitalizzazione di borsa di 350 miliardi di dollari (praticamente quanto vale l’intera borsa italiana), Google nove, Microsoft tredici, Amazon diciotto e Apple trentuno anni. La velocità con cui queste grandi multinazionali assumono dimensioni finanziarie gigantesche è aumentata vertiginosamente. Ciò può spaventare, ma d’altro canto può anche rappresentare la fragilità di questi colossi: come velocemente sono nati e cresciuti, così rapidamente si possono sgonfiare. Chi mai pensava che Yahoo sarebbe stata acquistata per pochi (si fa per dire, meno di 5) miliardi di euro da un operatore telefonico? Il dilemma di un liberale oggi resta: si deve intervenire o no nella regolazione economica? E come? Problemi di sempre, ma che oggi hanno cambiato forma.
Antonio Giangrande: Femminicidi mediatici e partigiani.
Andria 4 dicembre 2023 i funerali di Vincenza Angrisano. Folla commossa senza clamore mediatico, perché lì in famiglia non c’erano attivisti a sobillare la folla. Lì nessuno si è schierato politicamente su un dramma strettamente familiare con responsabilità esclusivamente personale.
Padova 5 dicembre 2023 i funerali (quasi) di Stato per Giulia Cecchettin. Tutte le tv ed i giornali in diretta ad esprimere opinioni a senso unico. Un dramma strettamente familiare con responsabilità esclusivamente personale diventato atto di accusa contro i maschi. Megafono delle femministe e dei sinistri.
Quei sinistri con il cervello copia incolla uno dell'altro di cui non si troverà alcuna minima differenza di pensiero. Uno clone dell’altro.
Posizioni sempre contro qualcuno per il Potere. In questo caso per la lotta di Potere delle donne contro e a scapito degli uomini.
Lo stesso padre di Giulia, a rimorchio dell’altra figlia, l’attivista Elena, pronto a fare il pistolotto contro se stesso in quanto maschio, contro il Papa, contro il Presidente della Repubblica. Gli stessi che si accodano all’andazzo contro sé stessi e a ricordare Giulia, ma ad ignorare e discriminare Vincenza.
Ma è difficile dire che il rispetto l’uno per l'altro non deve essere diritto di genere, ma rispetto per la persona in quanto tale, sia essa donna o uomo e senza fare discriminazione fra vittime?
Per questo non ci lamentiamo se in Italia mai nulla cambia. E se l’Italia ancora va, ringraziamo tutti coloro che anziché essere presi per il culo, i comici e la loro clack (claque) li mandano a fanculo.
Antonio Giangrande: Le manifestazioni di piazza: conformismo ed ipocrisia. La dittatura della minoranza.
Ci vogliono tutti conformati al pensiero unico dei salvatori della pseudo-civiltà.
Le manifestazioni di piazza. Sono sempre loro: di sinistra. Si fanno sempre riconoscere. Sempre dalla parte sbagliata: dalla parte del torto. Mai a favore di qualcuno. Sempre contro un nemico da combattere.
Manifestano contro i Femminicidi: combattono contro il Maschio, ma solo se è occidentale. Ed i maschi coglioni presenti, manifestano contro se stessi.
Mi ricordo quando per il delitto di Sarah Scazzi, noi avetranesi ignari dei fatti, diventammo tutti colpevoli, nell'ignavia dell'Amministrazione comunale.
Manifestano contro la Mafia: combattono contro i Meridionali.
Manifestano contro l'Omofobia: combattono contro gli Etero.
Manifestano per l'Aborto: combattono contro i Nascituri.
Manifestano per la Pace: combattono contro l'Ucraina ed Israele.
Manifestano per il Lavoro: combattono contro la classe Media ed il Governo.
Manifestano per l'Accoglienza e l'Inclusione: combattono contro l'Occidente e la Cristianità.
Manifestano per il Politicamente Corretto. combattono contro la Libertà di Parola.
Mai che ci sia una manifestazione spuria. Solite facce, solite bandiere, solita ideologia e soliti quattrogatti fracassoni.
Dove ci sono le telecamere ed i taccuini di media partigiani, lì ci sono loro: è la manifestazione del loro esibizionismo. Molte persone amano mettersi al centro dell’attenzione, cercano in tutti i modi di farsi notare dagli altri, sentono, cioè, un profondo bisogno di farsi vedere da tante persone, affinchè l’attenzione delle persone sia rivolta solo a loro, perchè si parli di loro.
Quei catto-comunisti che se governano loro è democrazia, se governano gli altri è dittatura.
Quei catto-comunisti che, pur minoritari affetti dalla sindrome della Resistenza, impongono il loro pensiero ideologico con manifestazioni di piazza, anche violente, disconoscendo l’opera, addirittura, dei loro stessi rappresentanti parlamentari portatori dei loro medesimi interessi.
Non capisco chi va a dimostrare. I loro problemi li manifestano in piazza: a chi?
Alla stampa omertosa? Ai politici menefreghisti? Ai colleghi di sventura che pensano a risolvere la loro personale situazione?
Non basta una buona rete sul web per far sentire la nostra voce?
Chi ha votato, si rivolga al suo rappresentante in Parlamento, affinchè tuteli il cittadino dai poteri forti.
Chi non ha votato, partecipi con altri alla formazione di un movimento democratico e pacifista per poter fare una rivoluzione rosa e cambiare l’Italia.
Affidati alla sinistra.
Dove c'è l'affare lì ci sono loro: i sinistri e le loro associazioni. E solo loro sono finanziate.
La lotta alla mafia è un business con i finanziamenti pubblici e l'espropriazione proletaria dei beni.
I mafiosi si inventano, non si combattono.
L'accoglienza dei migranti è un business con i finanziamenti pubblici.
Accoglierli è umano, incentivare le partenze ed andarli a prendere è criminale.
L'affidamento dei minori è un business con i finanziamenti pubblici.
Tutelare l’infanzia è comprensivo. Toglierli ai genitori naturali e legittimi a scopo di lucro è criminale.
L'aiuto alle donne vittime di violenza è un business con i finanziamenti pubblici.
Sorreggere le donne, vittime di violenza è solidale. Inventare le accuse è criminale.
Antonio Giangrande: Il ciclo vitale, in biologia, è l'intervallo tra il susseguirsi di generazioni di una specie. L'esistenza di ogni organismo si svolge secondo una sequenza ciclica di stadi ed eventi biologici, caratterizzata in base alla specie di appartenenza. Queste sequenze costituiscono i cosiddetti Cicli Biologici. Ogni essere vivente segue un ciclo vitale biologico composto dai seguenti stadi: nascita, crescita, riproduzione, senescenza e morte. Per quanto possa essere breve o corta la vita, nessun essere vivente preso singolarmente è immortale. Ma la sua specie diventa immortale attraverso la riproduzione e l'evoluzione. Gli esseri viventi si evolvono nel corso del tempo per potersi meglio adattare alla natura che li circonda. Attraverso la riproduzione le generazioni trasmettono i propri geni a quelle future. Durante questo passaggio le nuove generazioni possono assumere caratteristiche nuove o perderne alcune. Le differenze si traducono in vantaggi o in handicap per chi le possiede, agendo direttamente sul processo evolutivo tramite la selezione naturale degli individui. Le nuove caratteristiche che agevolano l'adattamento all'ambiente offrono all'individuo maggiori probabilità di sopravvivenza e, quindi, di riproduzione. E' innaturale non riprodursi. Senza riproduzione non vi è proseguimento ed evoluzione della specie. Senza riproduzione il ciclo vitale biologico cessa. Ciò ci rende mortali. Parlare in termini scientifici dell'eterosessualità e del parto, quindi di stati naturali, fa di me un omofobo ed un contrabortista, quindi un non-comunista? Cercare di informare i simili contro la deriva involutiva, fa di me un mitomane o pazzo?
Antonio Giangrande: Che razza di Stato è quello che permette di uccidere in grembo un bimbo sano che non vuol morire e poi nega una morte dignitosa ed assistita all’adulto che vuol morire per le atroci sofferenze?
Aborto: i perché di un figlicidio. Di Antonio Giangrande domenica 26 giugno 2022.
La Corte suprema degli Stati Uniti ha ribaltato la storica sentenza Roe contro Wade del 1973, annullando così il diritto costituzionale Usa all'aborto. In questo modo ha sentenziato che ogni Stato ha la competenza di legiferare in riferimento all'interruzione della gravidanza.
In base al dibattito che ne è scaturito sorgono delle domande spontanee.
1 Perché i media politicizzati, fomentando dibattiti e polemiche, oltre che proteste, hanno fatto passare il messaggio che la sentenza riguardasse l’abolizione dell’aborto e non la libertà di scelta di ciascuno Stato?
2 Perché nei talk show il dibattito era palesemente schierato a favore dell’aborto ed al diritto costituzionale al figlicidio, considerando la sentenza un arretramento della civiltà? Perché tutelare la vita del figlio è incivile e retrogrado?
3 Perché nel paese più civile al mondo si considerano incivili da una parte la vendita delle armi libere che causano morti e dall’altra parte la libertà di scelta di ogni Stato a vietare la morte dei nascituri?
4 Perché la sinistra fa sua la battaglia sull’aborto, confermando quel detto sui comunisti che mangiano i bambini, non foss’altro che, intanto, ne agevolano la morte?
5 Perché è primario il diritto della donna all’aborto, violando l’istinto naturale materno alla difesa dei cuccioli, rispetto al diritto alla vita del nascituro?
6 Perchè il diritto all'aborto della donna va pari passo al diritto della donna alla libera sessualità, irresponsabile degli eventi?
7 Perché è diritto della sola donna decidere sulla vita del nascituro, tenuto conto che c’è sempre un uomo che ha avuto rilevanza fondamentale alla fecondazione? E perché, se il figlio non lo si vuole per problemi economici e/o sociali, non si fa un regalo a coppie sfortunate che la gioia di un figlio non la possono avere?
8 Perché una vita deve essere sindacata in base alla cronologia dello sviluppo e non in base all’esistenza?
9 Perché un delitto viene punito in base all'evolversi del diritto politico alla morte e non al diritto naturale alla vita?
Assumono denominazioni specifiche l’uccisione del padre (parricidio), della madre (matricidio), del coniuge (uxoricidio), di bambini (infanticidio), del fratello o sorella (fratricidio), del sovrano (regicidio), di una donna (femminicidio).
Si noti bene: il politicamente corretto elude il termine figlicidio, scaturente dal reato di aborto.
La scriminante è la carta del pepe.
Si dibatte quando, l'embrione, prima, ed il feto, poi, ha valore di nascituro.
Il diritto alla vita dell'embrione e del feto nascente: futuri nascituri di fatto.
10 Perché il dispositivo dell'art. 544 bis Codice Penale prevede: “Chiunque, per crudeltà o senza necessità, cagiona la morte di un animale è punito con la reclusione da quattro mesi a due anni”; mentre per l’omicidio del nascituro la sinistra si batte per l’immunità dell'omicida?
(1) Tale articolo è stato inserito dalla l. 20 luglio 2004, n. 189.
(2) La l. 20 luglio 2004, n. 189 ha previsto una serie di ipotesi in cui sussiste per presunzione la necessità sociale. Si tratta della caccia, pesca, allevamento, trasporto, macellazione, sperimentazione scientifica, giardini zoologici, etc. (art. 19ter disp.att.).
(3) Il trattamento sanzionatorio prima previsto nei limiti di tre e diciotto mesi di reclusione è stato innalzato secondo quanto previsto dall'art. 3, comma 1, lett a), della l. 4 novembre 2012, n. 201.
Ratio Legis
La norma è stata introdotta al fine di apprestare una tutela più incisiva agli animali, i quali però non ricevono copertura legislativa diretta, rimanendo ferma la tradizionale impostazione che nega un certo grado di soggettività anche agli animali. Di conseguenza risulta qui garantito il rispetto del sentimento per gli animali, inteso come sentimento di pietà.
In conclusione: perchè per gli animali si ha sentimento di pietà e per i futuri nascituri viene negata l'umana misericordia?
Antonio Giangrande: · Chi comanda il Mondo? Le femmine!
Vogliono l’egemonia del potere.
Le donne sono autonome.
Come donne decidono loro di fare o disfare le famiglie.
Come donne decidono loro se dare sesso.
Come madri decidono loro di tenersi i figli, quando ci sono le separazioni.
Come madri decidono loro di uccidere i loro figli, con l’aborto o l’infanticidio.
L’uomo è solo un optional, senza diritto di scelta.
Antonio Giangrande: L’Italia è un parassitario senza fondo, dove i soldi non bastano mai. Reso così dai catto-comunisti, dissimulati anche sotto mentite spoglie (5 Stelle-Lega). Quei catto-comunisti che se governano loro è democrazia, se governano gli altri è dittatura. Quei catto-comunisti che, pur minoritari affetti dalla sindrome della Resistenza, impongono il loro pensiero ideologico con manifestazioni di piazza, anche violente, disconoscendo l’opera, addirittura, dei loro stessi rappresentanti parlamentari portatori dei loro medesimi interessi. Quei catto-comunisti che vogliono il lavoro, ma non vogliono le imprese che creano lavoro. Per loro il lavoro è inteso ancora come il posto fisso statale parassitario. Oggi il lavoro si inventa, non lo si subisce o lo si cerca senza trovarlo. Si agevoli, allora, l’invenzione dell’impresa.
La differenza tra uguaglianza ed equità. Tre ragazzi di differenti altezze dietro una staccionata, intenti a seguire la partita di calcio della loro squadra del cuore. Sono poveri e non possono permettersi il biglietto di ingresso allo stadio. A tutti e tre lo Stato, per il diritto di uguaglianza, dà a disposizione una identica cassetta di legno ciascuno, per guardare oltre la staccionata. Il primo da sinistra è avvantaggiato: essendo già “alto” di suo, ha i requisiti necessari per poter vedere la partita senza l’ausilio della cassetta. Il secondo, quello al centro, ha bisogno di quella cassetta per vedere lo spettacolo e con quella ci riesce benissimo. Il terzo a destra, molto più piccolo di statura rispetto agli altri due, anche con quel supporto, non arriva a vedere oltre l’ostacolo: non le basta una cassetta per poter vedere la partita. Con l’equità il primo dei tre può fare a meno del supporto e, offrendolo al terzo in aggiunta al suo, riesce a fornirgli la possibilità di raggiungere l’altezza necessaria per vedere la partita. In Italia con i catto-comunisti c'è il diritto di uguaglianza, non di equità. Non siamo tutti uguali e non ci può essere diritto di uguaglianza, ma dare a tutti la possibilità di vedere il futuro, specie ai più meritevoli, allora sì che si ha l’equità sociale.
Antonio Giangrande: L’OCCIDENTE MOLLICCIO E DEPRAVATO.
Il mondo è diviso in due parti. I cattivi ed i buoni.
Dipende da quale parte lo si guardi. Ogni parte si arroga il diritto di stare dalla parte giusta.
Noi occidentali, sotto giogo culturale, politico ed economico statunitense, giudichiamo tutti gli altri come regimi religiosi fondamentalisti, ovvero regimi autoritari e dispotici.
Gli altri ci considerano pericolosi perché portatori di pseudo democrazie, governate dalla dittatura delle minoranze, e infette dalle tre C: Capitalismo; Caos, Criminalità.
A ciò si aggiunge l’ateismo dilagante e, cosa fondamentale, il culto del singolo individuo e della sua personalità, o della frammentazione dei singoli Stati servi della loro politica economica.
In mano a legioni di imbecilli, diceva Umberto Eco, guidate dal gradimento di un clik.
Noi vediamo la pagliuzza negli occhi altrui, ignorando la trave nei nostri occhi.
Da noi i casi di censura sono sempre più frequenti. A definirne la pericolosità è la natura ideologica, quasi religiosa, attraversata da una spinta revisionista della propria storia e delle proprie origini. Dunque è la censura a essere figlia del politicamente corretto e non l’inverso. La retorica del politicamente corretto divide la realtà, la storia, gli individui tra bene e male, tra luce e oscurità, e queste opposizioni pretendono adesioni unanimi, omologazione, conformismo. Queste radicalizzazioni non concepiscono alcun relativismo, anzi, presentano evidenze che non possono essere negate. Ideologizzazione e sessualizzazione dell’insegnamento ai minori, fin dalle elementari, sono due problemi enormi. Tendono ad ostentare ed imporre le posizioni di infime minoranze, fino a farle sembrare maggioritarie.
Agli occhi delle altre culture sembriamo essere governati dal femminismo e dagli LGBTI.
La “cancel culture”, la “woke revolution” e poi sempre il “politically correct” sono termini inglesi che stanno entrando prepotentemente nel lessico italiano.
Secondo la maggior parte degli opinionisti di sinistra non esiste nulla di tutto ciò: sono solo paranoie.
Sono invece tre aspetti di una rivoluzione culturale in corso.
La definizione la traiamo da un articolo di Stefano Magni su Inside Over.
La “woke revolution” prende il nome dallo slang afro-americano. Woke vuol dire letteralmente “in allerta”.
Nelle università più costose anglosassoni sono gli studenti (molto spesso bianchi) e gli intellettuali che sentono il dovere di restare “in allerta” per scovare ogni traccia di razzismo nel discorso pubblico. Un gesto, una parola, un tono di voce, possono sembrare innocui, ma, secondo gli woke, sono minacce velate o segni di un razzismo residuo.
Il politically correct è il codice che definisce ciò che per un woke è corretto o scorretto. E il razzismo contro cui lottano non è solo quello contro i neri, ma anche contro tutti coloro che sono visti come gli oppressi di ieri e di oggi: omosessuali, donne, difetto estetico (obesità, nanismo, handicap) immigrati, membri di minoranze etniche e religiose, transgender, animali (difesi da umani, in questo caso). Ma le categorie si estendono di continuo e in modi e tempi difficilmente prevedibili, secondo le mode del momento.
La cancel culture è il modo in cui gli woke esercitano la giustizia. Ed è un eufemismo per definire la nuova forma di linciaggio online: il colpevole viene bandito, dopo una campagna di odio in rete, nelle università e in pubblica piazza, dopo il boicottaggio, il ritiro di ogni invito e infine anche il licenziamento. Se l’ingiustizia è un simbolo, come una statua, si chiede la sua rimozione. Se è un film, si chiede la sua cancellazione. Se è un testo, non deve essere più venduto. E così di seguito, fino al reset del passato.
Secondo Bari Weiss, il mostro woke è cresciuto per mancanza di coraggio di chi avrebbe dovuto opporsi: è un atteggiamento infantile a cui gli adulti, i responsabili, gli insegnanti, non hanno mai risposto con un “no”. Ma nessuno, neppure Bari Weiss o Greg Lukianoff, riesce a individuare la radice di questa rivoluzione culturale.
Se tutto ciò vi ricorda il marxismo leninismo applicato in Urss e in Cina, ma anche nei movimenti più violenti del nostro Sessantotto, forse avete ragione. La nuova sinistra non è molto distante dalla vecchia logica della lotta di classe. E se il fenomeno è cresciuto è perché negli Usa, che non sono mai stati comunisti, il marxismo è sempre più di moda nelle università, spesso filtrato attraverso lo studio di Gramsci, il filosofo italiano più influente nella cultura americana da vent’anni a questa parte.
In conclusione bisogna dire che il mondo è contro di noi occidentali perché ai loro occhi ci siamo comunistizzati, ossia siamo molli, effeminati e depravati. E questo stile di vita non vogliono che infetti il loro modo d'essere.
Naturalmente, nessuno dei due mondi scende a compromessi.
Entrambi tendono all'ostentazione ed all'imposizione dei loro difetti.
Antonio Giangrande: Cari signori, io ho iniziato a destare le coscienze 20 anni prima di Beppe Grillo e nulla è successo. Io non cercavo gli onesti, ma le vittime del sistema, per creare una rivoluzione culturale…ma un popolo di “coglioni” sarà sempre governato ed amministrato da “coglioni”.
Un chierico medievale si imbatté in un groviglio di serpi su cui spiccava un ramarro che già da solo sarebbe bastato a spaventarlo. Tuttavia, confrontata a quelle serpeggianti creature, la bestiola gli parve graziosa ed esclamò: «Beati monoculi in terra caecorum», nella terra dei ciechi anche l’orbo è re.
Noi siamo quello che altri hanno voluto che diventassimo. Quando esprimiamo giudizi gratuiti, cattivi ed illogici lo facciamo con la nostra bocca ma inconsapevolmente per volontà di altri. Lo facciamo in virtù di quanto ricevuto: dall’educazione familiare, dall’istruzione di regime, dall’indottrinamento politico e religioso, dall’influenza mediatica. Niente è farina del nostro sacco. Se ci basassimo solo sulle nostre esperienze staremmo solo zitti, sapendo che nessuno sarebbe capace e disposto ad ascoltarci.
In una Italia dove nulla è come sembra, chi giudica chi è onesto e chi no?
Lo hanno fatto i comunisti, i dipietristi, i leghisti, i pentastellati. Lor signori si son dimostrati peggio degli altri e comunque servitori dei magistrati. E se poi son questi magistrati a decidere chi è onesto e chi no, allora se tutti stanno dalla parte della ragione, io mi metto dalla parte del torto.
Antonio Giangrande: La guerra ed i contemporanei.
Noi, ieri, abbiamo studiato la storia. Oggi la viviamo.
Per questo non bisogna guardare gli eventi bellici periodici con gli occhi di piccoli menti, ma annotare gli eventi per poterli raccontare in modo imparziale ai posteri.
Di personaggi come Putin è subissata la storia e solo loro sono ricordati.
La malvagia ambizione è insita negli esseri normali e di questo bisogna prenderne atto.
Antonio Giangrande: L'invasione dell’Ucraina. Ci sono due tipi di pacifisti.
Quelli comunisti ed eternamente antiamericani, astiosi del fatto di essergli sempre riconoscenti per la libertà conquistata dal nazifascismo e perchè ha impedito la vittoria e l’egemonia del comunismo con l’espansione dell’Unione Sovietica ad Ovest.
Quelli che…”che me ne fotte a me!” Interessati esclusivamente al loro benessere e tornaconto personale. Fa niente se il loro stato è dovuto al martirio di tanti soldati stranieri che hanno combattuto in Italia. Quelli che quando vedono una vittima di violenza o sopraffazione, non degnano attenzione e proseguono oltre.
Antonio Giangrande: Solo gli imbecilli non cambiano idea.
Questo è il mio post di un anno fa.
Antonio Giangrande: ho scritto il libro work in progress sulla guerra Ucraina-Russia
Il pericolo del pensiero unico omologato e conformato.
La vittima, dico vittima, ha sempre ragione?
Cosa noi proviamo, guardando un film, nel vedere un criminale omicida braccato dalla polizia che si para dietro una vittima indifesa, usandola come scudo umano, e minacciata con un'arma a mo di ritorsione? Credo che molti di noi provino odio profondo.
E che dire di chi fa crollare i ponti prima che la gente possa fuggire dalle città?
Come considerare i carri armati ucraini nascosti tra i palazzi delle loro città? E come considerare i resistenti tra i civili?
Non la resa in una lotta impari, ma si pretende l'aiuto diretto delle nazioni occidentali, nonostante si preveda il loro coinvolgimento in una guerra totale con la morte di gente estranea al conflitto in corso. Quella gente sono i nostri figli o noi stessi.
Non la resa, ma la pretesa accoglienza di profughi ucraini, negata, però da loro stessi, ad afgani, siriani, ecc. ecc.
Quando qualcuno al mare, nonostante l'avviso che è pericoloso fare il bagno, chiede aiuto perchè sta affogando, tu altruista ti tuffi senza analizzare le conseguenze. Quando ti trovi al suo cospetto, la reazione dell'affogando è salvarsi a tutti i costi, aggrappandosi a te, tanto da attentare alla tua sicurezza pur di stare a galla.
I media palesemente anti Putin che per propaganda ci inondano di immagini di bambini profughi e ripetutamente ci raccontano di bambini morti e che inneggiano alla resistenza degli occupati, ci vogliono far entrare in una guerra fratricida e nazionalista non nostra?
Più che filo ucraino sono filo italiano, senza dimenticare, però, che, nelle guerre, solo per la povera gente tutto si perde e nulla si guadagna.
Oggi dopo un anno penso che Putin dica bene: Non è una guerra.
Nella guerra, come in una rissa, ci sono due bulli che combattono, magari per motivi futili.
Bambini morti di qua, bambini morti di là.
In Ucraina vi è solo la vile aggressione di bulli (Putin e tutti i russi che lo appoggiano).
Quindi di vile aggressione si tratta. Appunto: "Operazione speciale".
E vedere solo bambini ucraini morire e nessun bambino russo, esclude ogni giustificazione.
A questo punto i russi e i pacifondai filoputiniani taccino. Questo è il momento, per i contemporanei, di sostenere l'evoluzione della specie umana nella giusta direzione, impedendo, per i vili ed egoistici interessi personali, l'involuzione.
Le culture nel mondo sono diverse, non migliori. Ma la violenza sul più debole va fermata a tutti i costi e con tutti i mezzi. Noi siamo niente rispetto all'evoluzione della nostra specie: dei nostri figli...
Come cambia la prospettiva.
I russi aggrediscono l’Ucraina con crimini contro l’umanità. Il Regno Unito appoggia l’Ucraina e gli ucraini filo-occidentali si chiamano resistenti.
I tedeschi aggrediscono l’Italia con crimini contro l’umanità. Il Regno Unito appoggia l’Italia e gli italiani comunisti si chiamano partigiani.
I piemontesi Savoia con a capo Vittorio Emanuele II aggrediscono il Regno delle Due Sicilie di Francesco II. Il Regno Unito appoggia i piemontesi ed i meridionali resistenti dalla storiografia saranno chiamati: Briganti.
Antonio Giangrande: Le manifestazioni per la pace dei pacifondai. Sono loro: di sinistra. Si fanno sempre riconoscere. Sempre dalla parte sbagliata: dalla parte del torto. Sempre contro l’Occidente.
Mai che ci sia una manifestazione spuria. Solite facce, solite bandiere, solita ideologia e soliti quattrogatti fracassoni.
La mattanza degli bambini israeliani: manifestano in favore dei palestinesi e dei terroristi di Hamas.
Quei palestinesi e terroristi di Hamas che festeggiano l’attacco alle torri gemelle dell’11 settembre 2001 con la morte di cira 3000 persone.
La mattanza dei bambini ucraini: manifestazioni a favore del dittatore Putin.
Putin: il macellaio di Cecenia, Giorgia, Siria, Ucraina.
La Parlamentare comunista Luciana Castellina da Porro a “Stasera Italia” su Rete4 Mediaset il 30 ottobre 2023: «Prima di tutto le vorrei dire, lei ha detto: “le nostre idee”, io le sue non le condivido per nulla. E’ difficile che lei mi dica che sono antisemita, visto che io sono per metà ebrea…» Però la sua parte comunista ha prevalso rispetto alla sua parte ebrea, schierandosi nel suo intervento platealmente contro Israele con la solita litania dei decenni di occupazione dei territori palestinesi, nonostante le si facesse notare in studio che era stata la risoluzione dell’Onu n. 181 del 29 novembre 1947 ad aver deciso due Stati, due Nazioni e che fossero stati gli Stati arabi a non averla accettata muovendo guerra ad Israele.
Ma si sa le idee dei comunisti sono incrollabili ed inamovibili. E’ inutile instaurare un contraddittorio con loro. Non si riuscirà ma a smuovere le loro certezze...sbagliate, frutto di ignoranza e/o malafede. E propagandano e mistificando le loro verità, per proselitismo antioccidentale, alimentano odio e violenza. Ai comunisti non è andata giù il non essere caduti nelle grinfie dell’URSS alla fine della seconda guerra mondiale.
Antonio Giangrande: Credo di spiegarmi l’idolatria verso i magistrati dei comunisti e dei penta stellati para comunisti (perché chi è comunista, è cattivo ed invidioso dentro). Loro pensano, non avendo niente da perdere in termini di proprietà, che i “padroni” sono tali sol perché rubano. Ecco la loro voglia di dire “ quello che è tuo è mio, quello che è mio, è mio”. Per gli effetti i comunisti pensano di avere dalla loro parte i magistrati che li vendicano punendo i padroni. In questo modo vedono nemici ovunque. Non pensano i fessi che facendo così alimentano la ingiustizia sociale. Uno, perché in carcere ci sono solo indigenti, spesso innocenti. Due, perché in Italia il vero potere lo detengono i magistrati. Quindi non si parla di democrazia, ma di magistocrazia. Inoltre, né i magistrati, né i comunisti vengono da Marte. Ergo nel marcio italico si è tutti uguali. Basta non guardare fuori, ma guardarsi dentro. E non alimentare leggende metropolitane in simbiosi con i propri simili. Basta aprire al mondo il proprio cervello.
Antonio Giangrande: Massoneria. Rivoluzioni e conquiste.
La Brexit come disegno ordito dalla massoneria.
L’opinione del dr. Antonio Giangrande. Scrittore, sociologo storico, blogger, youtuber, presidente dell’Associazione Contro Tutte le Mafie.
«Non voglio passare per un complottista, ma la saggistica scrive che la massoneria anglosassone, non anglicana, non atea, ma pagana, ha sempre complottato contro la chiesa cattolica per estirpargli l’egemonia di potere che esercita sul mondo occidentale. Per avere il primato d’imperio sulla civiltà e sui popoli e per debellare questa forza internazionale, prima temporale e poi spirituale, la massoneria ha manipolato le masse povere ed ignoranti contro le dinastie regnanti cristiane. Ha fomentato la rivoluzione francese, prima, americana, poi, ed infine, russa, inventando il socialismo ateo e anticlericale, da cui è scaturito fascismo, nazismo e comunismo, fonte di tante tragedie. La chiesa, ciononostante, non ha capitolato. Non riuscendo nel suo intento, la massoneria, si è inventata, attraverso i media ed i governi fantoccio, le guerre di democratizzazione del Medio Oriente e Nord Africa, foraggiando, al contempo, gruppi estremistici e terroristici, e contestualmente ha intensificato l’affamamento dell’Africa, con lo sfruttamento delle sue risorse a vantaggio di tiranni burattini, con il fine ultimo di incentivare l’invasione islamica dell’occidente, attraverso gli sbarchi continui sulle coste dell’Europa di migranti, rifugiati e terroristi infiltrati. L’islamizzazione dell’Europa come fine ultimo per arrivare all’estinzione della cristianità.
La sinistra nel mondo è soggiogata e manipolata da questo disegno di continua destabilizzazione dell’ordine mondiale, di fatto favorendo l’invasione dell’Europa, incitando il diritto ad emigrare.
“Nel contesto socio-politico attuale, però, prima ancora che il diritto a emigrare, va riaffermato il diritto a non emigrare, cioè a essere in condizione di rimanere nella propria terra” afferma il Santo Padre Benedetto XVI nel suo Messaggio per la 99ma Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato, che sarà celebrata domenica 13 gennaio 2013, sul tema “Migrazioni: pellegrinaggio di fede e di speranza”.
Il monopoli o domino massonico destabilizzante continua il 23 giugno 2016. Il Regno Unito ha votato la sua uscita dall'Unione Europea. Ma la domanda è: Il Regno Unito ci è mai entrato nell'Unione Europea? E se lo ha fatto con quali intenzioni? Sia l’entrata che l’uscita dall’Unione Europea dell’Union Jack non è forse un tentativo di destabilizzare la normalizzazione dei rapporti tra gli Stati europei ed impedire la loro unificazione politica, economia e monetaria, oltre che ostacolare l’espandersi dei rapporti amichevoli con la Russia che è vista come antagonista degli Usa nell’egemonizzazione del mondo?
Dominato dall'orgoglio francese, ma anche perché non li considerava "europeizzabili", Charles de Gaulle non voleva gli inglesi nella comunità. Li sospettava di essere una quinta colonna degli Stati Uniti massoni.
"Leggo dello sconforto di Jacques Delors, ex presidente della Commissione: «Avremmo fatto meglio a lasciare fuori gli inglesi». Ero a Parigi nel 1966, quando si discuteva già se permettere o no l’ingresso della Gran Bretagna nella Cee. De Gaulle era contrarissimo, mentre la maggior parte degli altri partner europei erano favorevoli. In uno dei tanti discorsi che soleva tenere alla tv, De Gaulle fece questa profezia: «Fate entrare l’Inghilterra e l’Europa non sarà mai fatta». Può dirmi, alla luce di quanto sta accadendo, se «l’Europa delle Patrie» dallo stesso De Gaulle tanto auspicata, avrebbe intrapreso forse un cammino più rapido verso una vera Unione europea simile a quella degli Usa?" Domanda di Rocco Caiazza a Sergio Romano del 5 dicembre 2012 su “Il Corriere della Sera”. “Caro Caiazza, Non ricordo la frase da lei citata, ma sul problema dell’adesione della Gran Bretagna alla Comunità europea la posizione di De Gaulle fu sempre chiara ed esplicita. Era convinto che Londra sarebbe stata il «cavallo di Troia» dell’America nell’organizzazione europea e non esitò a boicottare i negoziati con una clamorosa conferenza stampa il 14 gennaio 1963.” Fu la risposta di Romano. In effetti, dal 1975, da quando cioè il Regno Unito attraverso un altro referendum convocato sulla permanenza nell'Ue ad appena tre anni dal suo ingresso ufficiale ha optato per il «sì» a Bruxelles, le relazioni tra Londra e il blocco comunitario non sono mai state idilliache, scrive Arianna Sgammotta su “L’Inkiesta” il 22 giugno 2016. Non soltanto. Oltremanica l'Unione europea è sempre stata o ignorata o accusata di tutto quello che non funzionava in patria. Non stupisce quindi che fino al 2008, agli anni precedenti la crisi economica e finanziaria, l'etichetta euroscettico fosse a uso e consumo dei britannici, quasi a porsi come un sinonimo del carattere nazionale. In trent'anni di convivenza difficile il Regno Unito ha ottenuto una serie di deroghe all'implementazione di vari regolamenti validi invece per tutti gli altri Stati membri. Questo grazie alla cosiddetta clausola dell'opt-out. Ma non basta, grazie alla leader di ferro, Margaret Tatcher, Londra gode di un deciso sconto sul contributo annuale al bilancio comunitario. All'origine della diatriba tra Regno Unito e resto delle capitali Ue, la visione stessa del progetto comunitario. Per Londra una mera area di libero scambio solo se per sé vantaggiosa, per i Paesi fondatori - tra cui l'Italia - le basi di un'unione politica, economica e monetaria. Tant’è che il Regno Unito non è nell’area Euro né nello spazio Schenghen.
Allora, anziché rammaricarci del risultato, perchè non brindiamo per la vittoria che gli europeisti continentali hanno ottenuto ed analizziamo le notizie ed i dati offerteci dai media con maggior approfondimento e distacco ideologico? Come chiederci: gli antieuropeisti come gli europeisti fallimentisti, che con il formalismo e la burocrazia minano le basi dell’Unione, sono mica massoni?»
Dr Antonio Giangrande Scrittore, sociologo storico, blogger, youtuber, presidente dell’Associazione Contro Tutte le Mafie.
Antonio Giangrande: La saggistica scrive che la massoneria anglosassone, non anglicana, non atea, ma pagana, ha sempre complottato contro la chiesa cattolica per estirpargli l’egemonia di potere che esercita sul mondo occidentale. Per debellare questa forza, prima temporale e poi spirituale, la massoneria ha manipolato le masse povere ed ignoranti. Ha fomentato la rivoluzione francese, prima, americana, poi, ed infine, russa, inventando il socialismo ateo e anticlericale, da cui è scaturito fascismo, nazismo e comunismo, fonte di tante tragedie. La chiesa, ciononostante, non ha capitolato. Non riuscendo nel suo intento, la massoneria, si è inventata, attraverso i media ed i governi fantoccio, le guerre di democratizzazione del Medio Oriente e Nord Africa, foraggiando, al contempo, gruppi estremisti e terroristici, e contestualmente ha intensificato l’affamamento dell’Africa, con lo sfruttamento delle sue risorse a vantaggio di tiranni burattini, con il fine ultimo di incentivare l’invasione islamica dell’occidente, attraverso gli sbarchi continui sulle coste dell’Europa di migranti, rifugiati e terroristi infiltrati. L’islamizzazione dell’Europa come fine ultimo per arrivare all’estinzione della chiesa cattolica.
La sinistra nel mondo favorisce l’invasione, incitando il diritto ad emigrare.
“Nel contesto socio-politico attuale, però, prima ancora che il diritto a emigrare, va riaffermato il diritto a non emigrare, cioè a essere in condizione di rimanere nella propria terra” afferma il Santo Padre Benedetto XVI nel suo Messaggio per la 99ma Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato, che sarà celebrata domenica 13 gennaio 2013, sul tema “Migrazioni: pellegrinaggio di fede e di speranza”.
Salve. E’ da anni che studio ed approfondisco il tema del fenomeno mafioso, senza essere gossipparo o partigiano.
Dagli atti e dalle fonti ufficiali ho scoperto che “La Mafia”, in Italia artatamente costruito come segno distintivo degli italiani meridionali in Italia e come etichetta denigratoria degli italiani all’estero, è uno strumento di potere politico-economico usato da qualcuno a danno di altri, col mezzo dei media finanziato dai poteri forti (mafiosi).
In Italia nulla è come appare. Ho scritto 450 saggi di inchiesta. Per quanto riguarda “La Mafia”
ho scritto:
Mafiopoli in varie parti;
La Mafia in Italia;
Contro tutte le Mafie in varie parti;
La Mafia dell’Antimafia in varie parti;
Mafia, la colpa degli innocenti;
Usuropoli e Fallimentopoli in varie parti;
Massoneriopoli in varie parti;
Castopoli;
Caporalato ed Ipocrisia;
Questi libri hanno gli aggiornamenti annuali.
Quello di quest’anno, ultimo della collana, le consiglio di leggerlo, ordinandolo in E-book su Google libri (parzialmente gratuito) e cartaceco su Lulu.com. Come tutti gli altri testi.
Lo può fare da lunedì ed è il più aggiornato.
Esso si chiama: Anno 2023 la Mafiosità, diviso in 6 parti.
I libri di Antonio Giangrande li può trovare sui siti indicati o cercando il nome Antonio Giangrande e il nome del titolo.
Antonio Giangrande: Tommaso Buscetta: “Cosa Nostra ha costituzione piramidale. La famiglia mafiosa prendeva il nome dal paese di origine. Tre famiglie contigue formavano il mandamento. I mandamenti formavano la Commissione provinciale o Cupola, i cui rappresentanti formavano la Commissione interprovinciale o Cupola. Di fatto i mafiosi non votavano la DC in quanto tale, ma votavano e facevano votare ogni partito che non fosse il Partito Comunista”. Per questo i comunisti, astiosi e vendicativi, ritengono mafiosi tutti coloro che non sono comunisti o che non votano i comunisti. Tenuto conto che al Sud i moderati hanno maggiore presa, in tutte le loro declinazioni, anche sinistri, ecco la gogna territoriale o familiare o come scrive Paolo Guzzanti: Il teorema della mafiosità ambientale.
L’accanimento prende forma in varie forme:
Il caso del delitto fantastico di “concorso esterno”.
Il Business “sinistro” dei beni sequestrati preventivamente e dei beni confiscati dopo la condanna.
La Mafia delle interdittive prefettizie che alterano la concorrenza.
Lo scioglimento dei Consigli Comunali eletti democraticamente.
Antonio Giangrande: Un popolo di coglioni…
Parafrasi ed Assioma con intercalare. Non ho nulla più da chiedere a questa vita che essa avrebbe dovuto o potuto concedermi secondo i miei meriti. Ma un popolo di coglioni sarà sempre governato, amministrato, giudicato, istruito, informato, curato, cresciuto ed educato da coglioni. Ed è per questo che un popolo di coglioni avrà un Parlamento di coglioni che sfornerà “Leggi del Cazzo”, che non meritano di essere rispettate. Chi ci ha rincoglionito? I media e la discultura in mano alle religioni; alle ideologie; all’economie. Perché "like" e ossessione del politicamente corretto ci allontanano dal reale. In quest'epoca di post-verità un'idea è forte quanto più ha voce autonoma. Se la libertà significa qualcosa allora ho il diritto di dire alla gente quello che non vuole sentire.
Hanno prima istituito le zone rosse contagiate dal Virus Padano con limiti invalicabili e poi hanno permesso agli infettati di quelle zone di varcare i limiti e di contagiare il Sud.
Hanno prima chiuso gli stadi del nord per timore del contagio del Virus Padano e poi hanno permesso la trasferta a Lecce degli infettati atalantini.
Oggi hanno unificato l’Italia. Se prima si erano dati al lassismo, oggi, nell’onda lunga giustizialista, hanno ristretto l’Italia ai domiciliari con misure draconiane.
Antonio Giangrande: Per chi denigra la Regina e la Monarchia. Per onor del vero è solo un’icona ed ha meno poteri la monarchia britannica con degni natali che il presidente repubblicano italiano, eletto da un Parlamento di …
Tutti contagiati. Ergo: niente vizi privati; niente servizi pubblici.
Tra queste misure si è previsto la chiusura delle scuole in tutta Italia. Come se le scuole fossero veicolo di contagio in territori dove il virus non c’è.
Come dire: gli ulivi del Salento sono infettati dalla Xylella? Tagliamo le piante in Liguria.
Vada per gli stadi ed ogni manifestazione sportiva, per non avvantaggiare nessuno. Ma cosa centrano le scuole.
Se uno Stato non riesce a garantire la sicurezza dalla violenza e dall’illegalità.
Se uno Stato non riesce a garantire la salubrità degli edifici pubblici da contaminazioni e contagi.
Se uno Stato non riesce a fare ciò: è uno Stato che non merita rispetto.
Vincenzo Magistà : Tgnorba 4 marzo 2020. «A tutto c’è rimedio, anche al Coronavirus. Ma, a quanto sembra, nulla, nulla può guarire dalla idiozia. L’idiozia sta facendo danni irreparabili. Hanno cominciato i social a diffondere il terrore. Stanno continuando gli idioti. Gli idioti sono quei soggetti che, sempre sui social, stanno prendendo di mira le persone risultate positive ai controlli. I contagiati, così come vengono definiti, con la stessa terminologia che si usava ai tempi della peste. E loro da appestati vengono trattati. Un esempio della più cieca ed assurda inciviltà. Queste persone andrebbero sostenute, difese, rispettate. E, invece, ricevono insulti, offese, emarginazione. Loro, i figli , le famiglie. C’è da vergognarsi. Anche in questi casi, però, c’è da indentificare i responsabili delle denigrazioni e denunciarli. Così come una denuncia la merita questo giornale che adesso vedrete. Che anziché Libero (Quotidiano, nda), è stupido e idiota. Una vera miscela esplosiva, fra l’altro. “Il Virus va alla conquista del Sud” leggete questo titolo. Così titola con entusiasmo questo giornale milanese e leghista: “trenta infetti in Campania, undici nel Lazio, cinque in Sicilia e sei in Puglia. Ora sì che siamo tutti fratelli”. Verrebbe da lanciargli qualcosa contro, se ne avessimo la possibilità. Potremmo rispondergli che, invece di fare gli stupidi, dovrebbero piangere per le loro sventure., perché poi gli untori sono proprio loro: i lombardi, che da soli contano 1500 infetti. Noi ne abbiamo in tutto il Sud, insieme, meno dei loro morti, che sono 55. Adesso si rallegrano per averci contagiato. Come se ci fosse da guadagnare qualcosa in questo. La supesanità lombarda è allo stremo: denuncia tutti i propri limiti. Gli ospedali, la Regione Lombardia chiedono aiuto a noi. E un giornale che “Libero” non è per niente si permette di ironizzare sull’Unità d’Italia realizzata attraverso il Coronavirus. Adesso siamo tutti uguali: Coronavirus al Nord; Coronavirus al Sud. No, no, no signori. L’Italia resta ancora divisa: spaccata in due. Da una parte il Nord: il Nord degli untori. Quello che infetta. Dall’altra, purtroppo, il Sud infettato. Però, una volta tanto, stiamo meglio noi».
Antonio Giangrande: ARCELORMITTAL. Una fonte di lavoro per impedire l'esodo e l'emigrazione.
I foraggiati dallo Stato la vogliono far chiudere. A loro non importa il risanamento. Nulla importa se ivi ci lavorano migliaia di giovani e, per questo, si mantengono migliaia di famiglie. Forse i pochi lavoratori che nel Sud Italia non sono sfruttati o pagati a nero. Nulla interessa se preme prima a quei lavoratori, che ivi ci lavorano, che l'industria siderurgica non inquini.
Chi è nato prima: il siderurgico o i Tamburi?
Come è possibile che si sia costruito a ridosso del siderurgico. Oppure. Come è possibile che si sia costruito in prossimità del quartiere di Taranto? Perchè ora non va più bene il siderurgico, motivo di tutti quegli interventi di edilizia popolare destinati proprio agli operai dello stabilimento. Perchè solo oggi si è rancorosi ai Tamburi, nonostante il siderurgico abbia dato lavoro ed abitazioni a costo agevolato a quegli operai ingrati che ora lo rinnegano?
Antonio Giangrande: “La Mafia dell’Antimafia”. Il nuovo libro del dr Antonio Giangrande.
Scrittore, sociologo storico, giurista, blogger, youtuber, presidente dell’Associazione Contro Tutte le Mafie. Questo saggio fa parte della collana editoriale “L’Italia del Trucco, l’Italia che siamo” che si compone di decine di opere: saggi periodici di aggiornamento temporale; saggi tematici e saggi territoriali. Opere oggetto di studio e fonti propedeutiche a tesi di laurea ed inchieste giornalistiche. “L’Italia del Trucco, l’Italia che Siamo”. Collana editoriale di decine di saggi autoprodotta da Antonio Giangrande su Amazon, Create Space, Lulu, Google Libri ecc.
Si troveranno delle recensioni deliranti e degradanti di queste opere. Il mio intento non è soggiogare l'assenso parlando del nulla, ma dimostrare che siamo un popolo difettato. In questo modo è ovvio che l'offeso si ribelli con la denigrazione del palesato.
Antonio Giangrande, orgoglioso di essere diverso.
Se si è omologati (uguali) o conformati (simili) e si sta sempre dietro alla massa, non si sarà mai primi nella vita, perché ci sarà sempre il più furbo o il più fortunato a precederti.
In un mondo caposotto (sottosopra od alla rovescia) gli ultimi diventano i primi ed i primi sono gli ultimi. L’Italia è un Paese caposotto. Io, in questo mondo alla rovescia, sono l’ultimo e non subisco tacendo, per questo sono ignorato o perseguitato. I nostri destini in mano ai primi di un mondo sottosopra. Che cazzo di vita è?
Si nasce senza volerlo. Si muore senza volerlo. Si vive una vita di prese per il culo.
Dove si sentono alti anche i nani e dove anche i marescialli si sentono generali, non conta quanti passi fai e quali scarpe indossi, ma conta quante tracce lasci del tuo percorso.
Il difetto degli intelligenti è che sono spinti a cercare le risposte ai loro dubbi. Il pregio degli ignoranti è che non hanno dubbi e qualora li avessero sono convinti di avere già le risposte.
Un popolo di “coglioni” sarà sempre governato ed amministrato da “coglioni”.
E’ comodo definirsi scrittori da parte di chi non ha arte né parte. I letterati, che non siano poeti, cioè scrittori stringati, si dividono in narratori e saggisti. E’ facile scrivere “C’era una volta….” e parlare di cazzate con nomi di fantasia. In questo modo il successo è assicurato e non hai rompiballe che si sentono diffamati e che ti querelano e che, spesso, sono gli stessi che ti condannano. Meno facile è essere saggisti e scrivere “C’è adesso….” e parlare di cose reali con nomi e cognomi. Impossibile poi è essere saggisti e scrivere delle malefatte dei magistrati e del Potere in generale, che per logica ti perseguitano per farti cessare di scrivere. Devastante è farlo senza essere di sinistra.
Antonio Giangrande: In un mondo dove sono tutti ciottiani per convenienza, pronti a spartirsi il ricavato, mi onoro di essere il solo ad essere sciasciano e come lui processato dai gendarmi dell'antimafiosità.
Antonio Giangrande: Col sigillo antimafia molti, come dice Sciascia, fanno carriere, e molti, come dice il PM Maresca, fanno i soldi.
Antonio Giangrande: In un mondo dove sono tutti ciottiani per convenienza, pronti a spartirsi il ricavato, mi onoro di essere il solo ad essere sciasciano e come lui processato dai gendarmi dell'antimafiosità.
Antonio Giangrande: Col sigillo antimafia molti, come dice Sciascia, fanno carriere, e molti, come dice il PM Maresca, fanno i soldi.
Antonio Giangrande: Quel mafioso di Pubblico Ufficiale.
La mafia dove non te l'aspetti. Un paradosso tutto italiota.
L'uso della violenza, minaccia o, comunque, persuasione o timore reverenziale per costringere o promettere a dare/non dare una cosa (denaro, altra utilità anche non patrimoniale), o fare/non fare una cosa, comporta una pena maggiore se commessa da un Pubblico Ufficiale, uguale o minore se commessa a suo danno.
Concussione: Il Pubblico Ufficiale è punito con la reclusione da sei a dodici anni.
Estorsione: Chiunque è punito con la reclusione da cinque a dieci anni e con la multa da euro 1.000 a euro 4.000.
Violenza o minaccia a un pubblico ufficiale: è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni per un atto contrario all'ufficio; La pena è della reclusione fino a tre anni per un atto conforme all'ufficio.
Violenza privata: è punito con la reclusione fino a quattro anni.
Violenza o minaccia per costringere (chiunque) a commettere un reato: è punito con la reclusione fino a cinque anni.
Poi parliamo di Omertà.
Rifiuto di atti d'ufficio. Omissione. Se il pubblico Ufficiale o l'incaricato di un pubblico servizio omette un atto del suo Ufficio è punito con la reclusione da sei mesi a due anni.
Omessa denuncia di reato da parte del pubblico ufficiale. L'omessa denuncia di reato da parte del pubblico ufficiale è punita con la multa da euro 30 a euro 516.
Omessa denuncia da parte di un incaricato di pubblico servizio. L'omessa denuncia da parte di un incaricato di pubblico servizio è punita con la multa fino a euro 103.
Omissione di referto. L'omissione di referto è punito con la multa fino a cinquecentosedici euro.
Poi parliamo di appropriazione di denaro o cosa mobile altrui per sé o per un terzo.
Peculato. Il pubblico ufficiale o l'incaricato di un pubblico servizio da quattro a dieci anni e sei mesi; è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni., quando il colpevole ha agito al solo scopo di fare uso momentaneo della cosa, e questa, dopo l'uso momentaneo, è stata immediatamente restituita.
Peculato mediante profitto dell'errore altrui. Il pubblico ufficiale o l'incaricato di un pubblico servizio è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni.
Appropriazione indebita. Chiunque è punito, a querela della persona offesa [120], con la reclusione da due a cinque anni e con la multa da euro 1.000 a euro 3.000.
Concussione. Dispositivo dell'art. 317 Codice Penale
Fonti → Codice Penale → LIBRO SECONDO - Dei delitti in particolare → Titolo II - Dei delitti contro la pubblica amministrazione → Capo I - Dei delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione
Il pubblico ufficiale o l'incaricato di un pubblico servizio che, abusando della sua qualità o dei suoi poteri, costringe taluno a dare o a promettere indebitamente, a lui o ad un terzo, denaro od altra utilità, è punito con la reclusione da sei a dodici anni.
Estorsione. Dispositivo dell'art. 629 Codice Penale
Fonti → Codice Penale → LIBRO SECONDO - Dei delitti in particolare → Titolo XIII - Dei delitti contro il patrimonio → Capo I - Dei delitti contro il patrimonio mediante violenza alle cose o alle persone
Chiunque, mediante violenza [581] o minaccia, costringendo taluno a fare o ad omettere qualche cosa, procura a sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno, è punito con la reclusione da cinque a dieci anni e con la multa da euro 1.000 a euro 4.000.
Violenza o minaccia a un pubblico ufficiale. Dispositivo dell'art. 336 Codice Penale
Fonti → Codice Penale → LIBRO SECONDO - Dei delitti in particolare → Titolo II - Dei delitti contro la pubblica amministrazione → Capo II - Dei delitti dei privati contro la pubblica amministrazione
Chiunque usa violenza o minaccia a un pubblico ufficiale o ad un incaricato di un pubblico servizio, per costringerlo a fare un atto contrario ai propri doveri, o ad omettere un atto dell'ufficio o del servizio [328], è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni [339].
La pena è della reclusione fino a tre anni, se il fatto è commesso per costringere alcuna delle persone anzidette a compiere un atto del proprio ufficio o servizio, o per influire, comunque, su di essa [339].
Violenza privata. Dispositivo dell'art. 610 Codice Penale
Fonti → Codice Penale → LIBRO SECONDO - Dei delitti in particolare → Titolo XII - Dei delitti contro la persona → Capo III - Dei delitti contro la libertà individuale → Sezione III - Dei delitti contro la libertà morale
Chiunque, con violenza [581] o minaccia, costringe altri a fare, tollerare od omettere qualche cosa è punito con la reclusione fino a quattro anni.
La pena è aumentata [64] se concorrono le condizioni prevedute dall'articolo 339.
Il delitto è punibile a querela della persona offesa. Si procede tuttavia d'ufficio se il fatto è commesso nei confronti di persona incapace, per età o per infermità, ovvero se ricorre la circostanza di cui al secondo comma.
Violenza o minaccia per costringere a commettere un reato. Dispositivo dell'art. 611 Codice Penale
Fonti → Codice Penale → LIBRO SECONDO - Dei delitti in particolare → Titolo XII - Dei delitti contro la persona → Capo III - Dei delitti contro la libertà individuale → Sezione III - Dei delitti contro la libertà morale
Chiunque usa violenza [581] o minaccia per costringere o determinare altri a commettere un fatto costituente reato è punito con la reclusione fino a cinque anni.
Antonio Giangrande: Il dito e la Luna. A proposito di Pino Maniaci di Telejato.
L’opinione del dr. Antonio Giangrande. Scrittore, sociologo storico, blogger, youtuber, presidente dell’Associazione Contro Tutte le Mafie.
Chi parla di Mafia e antimafia dice a sproposito la sua e non so cosa ne capisca del tema. Chi mi conosce sa che sono disponibile a dar lezione! Nel caso di Pino Maniaci ci troviamo a bella a posta a sputtanare qualcuno con notizie segretate con tanto di video e senza sentire la sua versione, così come io ho fatto. Pochi amici su Facebook hanno visto il video, nessuno l’ha condiviso. Gli altri cosiddetti amici l’hanno ignorato. Eppure sono già centinai di visualizzazioni in poche ore. A prescindere dal caso specifico, Pino Maniaci da vero giornalista ha indicato sempre la luna e ora si sta a guardare questo cazzo di dito. Vi siete chiesti perché tutto è successo nel momento in cui è stata attaccata “Libera” ed i magistrati e tutta la carovana antimafia con i suoi carovanieri? In quel momento i paladini mediatici e scribacchini dell’antimafiosità ed i magistrati delatori si son dati da fare a distruggere un mito, prima di una sentenza. I codardi, poi, che prima osannavano Pino, oggi lo rinnegano come Gesù Cristo. Comunque io sto con chi ha le palle, quindi con Pino Maniaci. Mi dispiace del fatto che a Palermo si vede la Mafia anche dove non c’è, giusto per sputtanare un popolo e fottersi i beni delle aziende sane. E di questo tutti tacciono. Se a Palermo si stanno dissequestrando i beni sequestrati dagli “Antimafiosi” è grazie a Pino. Pino colpevole, forse, anche perché in Italia nessuno può dirsi immacolato, ma guardiamo la luna e non sto cazzo di dito.
Antonio Giangrande: L'Antimafia a scuola. Indottrinamento e proselitismo.
«Fatti non foste per viver come bruti ma per seguir virtute e conoscenza» Dante Alighieri.
Inchiesta del dr. Antonio Giangrande. Scrittore, sociologo storico, blogger, youtuber, presidente dell’Associazione Contro Tutte le Mafie.
Tutto è rito, e l'antimafia è liturgia. “Non ci interessa la retorica, la liturgia ripetitiva. Perché 24 anni dopo Capaci e 24 dopo via D’Amelio, il rischio c’è. Come per certa antimafia da operetta”. Così Mimmo Milazzo, segretario della Cisl Sicilia, il 21 maggio 2016 a quasi un quarto di secolo dalle stragi mafiose. Era il 23 maggio del 1992 quando un’esplosione devastante mandò per aria, sulla A29 nei pressi di Palermo, la Fiat Croma in cui viaggiavano il giudice Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e gli agenti della scorta Rocco Dicillo, Vito Schifani e Antonio Montinaro. Quasi un mese dopo a perdere la vita furono, con Paolo Borsellino, Walter Eddie Cosina, Claudio Traina, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Agostino Catalano. Un’ecatombe. Ma il cui anniversario, sostiene Milazzo, “non può essere una mera occasione formale, dentro e fuori dal palazzo. L’ennesimo show”.
Scuola ed antimafia, scrive Franca De Mauro. Franca De Mauro è figlia di Mauro De Mauro e nipote di Tullio De Mauro, Linguista e Ministro della Pubblica Istruzione. C’è un equivoco che ricorre frequentemente sia all'interno della scuola, e questo è grave, sia all'esterno: cioè che noi insegnanti si faccia educazione alla legalità soltanto quando, per un motivo contingente, affrontiamo un tema, per così dire, monografíco: la storia della mafia, mafia e latifondismo in Sicilia, la vita di Peppino Impastato, di Giovanni Falcone, di Paolo Borsellino, di Placido Rizzotto, di Pio La Torre... ahimè, l'elenco potrebbe essere anche più lungo. Ma noi insegnanti, questo è il mio parere, facciamo educazione alla legalità quando facciamo nostre le dieci tesi di educazione linguistica, quando, cioè, insegniamo ai nostri alunni a muoversi da protagonista all'interno dell'universo della comunicazione. Quando insegniamo ad ascoltare e comprendere, a leggere e comprendere, a parlare e scrivere con chiarezza nelle diverse situazioni comunicative e con scopi diversi. Solo allora saranno in grado di scegliere. Perché se ci limitiamo a proporre argomenti antimafia, e non diamo loro il possesso della lingua, noi conosceremo diecimila vocaboli e saremo liberi, loro ne conosceranno sempre mille e saranno schiavi. Saremo sempre noi a scegliere per loro. Sceglieremo, giustamente, un impegno per la legalità, ma saremo noi a scegliere, non loro. E, uscendo dalla scuola, i ragazzi, così come dimenticano immediatamente date, fatti, personaggi, letture, dimenticheranno quanto diciamo sulla legalità. E dovremo registrare di non aver neanche scalfito il consenso sociale verso la mafia, di non avere intaccato la cultura mafiosa. Ma se daremo agli alunni gli strumenti linguistici per capire un articolo di giornale, il discorso di un politico, un volantino sindacale, il telegiornale, la Costituzione, forse il loro impegno per la legalità sarà più concreto e duraturo. La cultura facilita scelte etiche, non le rende immediate, me ne rendo conto: certo 'don Rodrigo aveva più cultura di Renzo, Andreotti più di un operaio che vendeva il suo voto per un pacco di pasta... però se Renzo, se quell'operaio avessero avuto gli strumenti per difendersi da angherie, raggiri, soprusi, per lottare contro l'illegalità... per loro le cose sarebbero andate meglio. In un'epoca in cui le grandi ideologie, l'aggregazione politica non esistono quasi più, in cui la Tv spazzatura è il modello di riferimento culturale per moltissimi, dare agli alunni gli strumenti per comprendere, per smascherare promesse messianiche, ideali di ricchezza facile e veloce, questo diventa la vera scommessa della scuola per la legalità.
Istruzione o Indottrinamento? Scrive David Icke. L‘istruzione esiste allo scopo di programmare, indottrinare e inculcare un convincimento collettivo, in una realtà che ben si addica alla struttura del potere. Si tratta di subordinazione, di mentalità del…non posso, e del non puoi, perché è questo ciò che il sistema vuole che ciascuno esprima nel corso nel proprio viaggio verso la tomba. Ciò che noi chiamiamo istruzione non apre la mente: la soffoca. Così come disse Albert Einstein, “l’unica cosa che interferisce con il mio apprendimento, è la mia istruzione.” Egli disse anche che “l’istruzione è ciò che rimane dopo che si è dimenticato tutto quanto si è imparato a scuola”. Perché i genitori sono orgogliosi nel vedere che i loro figli ricevono degli attestati di profitto per aver detto al sistema esattamente quanto esso vuole sentirsi dire? Non sto dicendo che le persone non debbano perseguire la conoscenza ma – se qui stiamo parlando di libertà – noi dovremmo poterlo fare alle nostre condizioni, non a quelle del sistema. C’è anche da riflettere sul fatto che i politici, i funzionari del governo e ancora giornalisti, scienziati, dottori, avvocati, giudici, capitani di industria e altri che amministrano o servono il sistema, invariabilmente sono passati attraverso la stessa macchina creatrice di menti (per l’indottrinamento), cioè l’università. Triste a dirsi. Molto spesso si crede che l’intelligenza e il passare degli esami siano la stessa cosa.
Giuseppe Costanza ha deciso di parlare perché a suo parere troppi lo fanno a sproposito. C' è un uomo che più di altri avrebbe titolo a dire qualcosa sull'apparizione di Riina junior in Rai e sulla lotta alla mafia in generale. È Giuseppe Costanza, l'autista di Giovanni Falcone negli ultimi otto anni di vita del magistrato, dal 1984 fino al 23 maggio 1992. Costanza era a Capaci, scrive Alessandro Milan per “Libero Quotidiano” il 18 aprile 2016. Di più, Costanza era a bordo della macchina guidata da Falcone e saltata in aria sul tritolo azionato da Giovanni Brusca. Eppure in pochi lo sanno. Perché per quei paradossi tutti italiani, e siciliani in particolare, da quel giorno Costanza è stato emarginato. Non è invitato alle commemorazioni, pochi lo ricordano tra le vittime. Ho avuto la fortuna di conoscerlo, di essere suo ospite a cena in Sicilia e ho ricavato la sensazione di trovarmi di fronte a qualcuno che è stato più del semplice autista di Giovanni Falcone: forse un confidente, un custode di ricordi e, chissà, uno scrigno di segreti. Che però Costanza dispensa col contagocce: «Perché un conto è ciò che penso, un altro è ciò che posso provare». Un particolare mi colpisce del suo rapporto con Falcone: «Il dottore - Costanza lo chiama così - aveva diritto a essere accompagnato in macchina, oltre che da me, dal capo scorta. Ma pretendeva che ci fossi solo io».
Perché non si fidava di nessun altro?
«Quale altro motivo ci sarebbe?».
Cominciamo da Riina a "Porta a Porta"?
«Mi sono rifiutato di vederlo. Solo a sapere che questo soggetto era stato invitato da Bruno Vespa mi ha dato il voltastomaco. Vespa qualche anno fa ha invitato pure me, mi ha messo nel pubblico e non mi ha rivolto una sola domanda. Ora parla con il figlio di colui che ha cercato di uccidermi. I vertici della Rai dormono?».
Cosa proponi?
«Lo Stato dovrebbe requisire i beni che provengono dalla vendita del libro di Riina. Questo si arricchisce sulla mia pelle».
Lo ha proposto la presidente Rai Monica Maggioni.
«Meno male. Ma tanto non succederà nulla. D'altronde sono passati 24 anni da Capaci senza passi avanti».
Su che fronte?
«Hanno arrestato la manovalanza di quella strage. Ma i mandanti? Io un'idea ce l'ho».
Avanti.
«Presumo che l'attentato sia dovuto al nuovo incarico che Falcone stava per ottenere, quello di Procuratore nazionale antimafia».
Ne sei convinto?
«Una settimana prima di Capaci il dottore mi disse: "È fatta. Sarò il procuratore nazionale antimafia"».
Questa è una notizia.
«Ma non se ne parla».
Vai avanti.
«Se lui avesse avuto quell'incarico ci sarebbe stata una rivoluzione. Sempre Falcone mi disse che all' Antimafia avrebbe avuto il potere, in caso di conflitti tra Procure, di avocare a sé i fascicoli. Chiediti quali poteri ha avuto il Procuratore antimafia in questi anni. E pensa quali sarebbero stati se invece fosse stato Falcone».
Chi non lo voleva all'Antimafia?
«Forse politici o faccendieri. Gente collusa. Ma queste piste non le sento nominare».
Torniamo ai mandanti.
«L'attentato a Palermo è un depistaggio, per dire che è stata la mafia palermitana. Sì, la manovalanza è quella. Ma gli ordini da dove venivano? Ti racconto un altro particolare. Io personalmente, su richiesta di Falcone, gli avevo preparato una Fiat Uno da portare a Roma. E lui nella capitale si muoveva liberamente, senza scorta. Se volevano colpirlo potevano farlo lì, senza tutta la sceneggiata di Capaci. Ricorda l'Addaura».
21 giugno 1989, il fallito attentato all'Addaura. Viene trovato dell'esplosivo vicino alla villa affittata da Falcone.
«Io c'ero».
All'Addaura?
«Sì, ero lì quando è intervenuto l'artificiere, un carabiniere. Eravamo io e lui. Lui ha fatto brillare il lucchetto della cassetta contenente l'esplosivo con una destrezza eccezionale. Poi ha dichiarato in tribunale che il timer è andato distrutto. Ha mentito. Io ho testimoniato la verità a Caltanissetta e lui è stato condannato».
Invece come è andata?
«L'esplosivo era intatto. Lo avrà consegnato a qualcuno, non chiedermi a chi. Evidentemente lo ha fatto dietro chissà quali pressioni».
Falcone aveva sospetti dopo l'Addaura?
«Parlò di menti raffinatissime. Io posso avere idee, ma non mi va di fare nomi senza prove. Attenzione, io non generalizzo quando parlo dello Stato. Ma ci sono uomini che si annidano nello Stato e fanno i mafiosi, quelli bisogna individuarli».
23 maggio 1992: eri a Capaci.
«Ma questo agli italiani, incredibilmente, non viene detto. Quella mattina Falcone mi chiamò a casa, alle 7, comunicandomi l'orario di arrivo. Io allertai la scorta. Solo io e la scorta in teoria sapevamo del suo arrivo».
Cosa ricordi?
«Falcone, sceso dall'aereo, mi chiese di guidare, era davanti con la moglie mentre io ero dietro. All'altezza di Capaci gli dissi che una volta arrivati mi doveva lasciare le chiavi della macchina. Lui istintivamente le sfilò dal cruscotto, facendoci rallentare. Lo richiamai: "Dottore, che fa, così ci andiamo ad ammazzare". Lui rispose: "Scusi, scusi" e reinserì le chiavi. In quel momento, l'esplosione. Non ricordo altro».
Perché la gente non sa che eri su quella macchina?
«Mi hanno emarginato».
Chi?
«Le istituzioni. Ti sembra giusto che la Fondazione Falcone non mi abbia considerato per tanti anni?».
La Fondazione Falcone significa Maria Falcone, la sorella di Giovanni.
«Io non la conoscevo».
In che senso?
«Negli ultimi otto anni di vita di Giovanni Falcone sono stato la sua ombra. Ebbene, non ho mai accompagnato il dottore una sola volta a casa della sorella. Andavamo spesso a casa della moglie, a trovare il fratello di Francesca, Alfredo. Ma mai dalla sorella».
Poi?
«Lei è spuntata dopo Capaci. Ha creato la Fondazione Falcone e fin dal primo anno, alle commemorazioni, non mi ha invitato».
Ma come, tu che eri l'unico sopravvissuto, non eri alle celebrazioni del 23 maggio 1993?
«Non avevo l'invito, mi sono presentato lo stesso. Mi hanno allontanato».
È incredibile.
«Per anni non hanno nemmeno fatto il mio nome. Poi due anni fa ricevo una telefonata. "Buongiorno, sono Maria Falcone". Mi ha chiesto di incontrarla e mi ha detto: "Io pensavo che ognuno di noi avesse preso la propria strada". Ma vedi un po' che razza di risposta».
E le hai chiesto perché non eri mai stato invitato prima?
«Come no. E lei: "Era un periodo un po' così. È il passato". Ventitré anni e non mi ha mai cercato. Poi quando ho iniziato a denunciare il tutto pubblicamente mi invita, guarda caso. Comunque, due anni fa vado alle celebrazioni, arrivo nell'aula bunker e scopro che manca solo la sedia con il mio nome. Mi rimediano una seggiola posticcia. Mi aspettavo che Maria Falcone dicesse anche solo: "È presente con noi Giuseppe Costanza". Niente, ancora una volta: come se non esistessi».
L' emarginazione c'è sempre stata?
«Un anno dopo la strage di Capaci sono rientrato in servizio alla Procura di Palermo ma non sapevano che cavolo farsene di un sopravvissuto. Così mi hanno retrocesso a commesso, poi dopo le mie proteste mi hanno ridato il quarto livello, ma ero nullafacente».
Per l'ennesima volta: perché?
«Ho avuto la sfortuna di sopravvivere».
Come sfortuna?
«Credimi, era meglio morire. Avrei fatto parte delle vittime che vengono giustamente ricordate ma che purtroppo non possono parlare. Io invece posso farlo e sono scomodo. Diciamola tutta, questi presunti "amici di Falcone" dove cavolo erano allora? Ma chi li conosce? Io so chi erano i suoi amici».
Chi erano?
«Lo staff del pool antimafia. Per il resto attorno a lui c'era una marea di colleghi invidiosi. Attorno a lui era tutto un sibilìo».
Tu vai nelle scuole e parli ai ragazzi: cosa racconti di Falcone?
«Che era un motore trainante. Ti racconto un episodio: lui viveva in ufficio, più che altro, e quando il personale aveva finito il turno girava con il carrellino per prelevare i fascicoli e studiarli. Questo era Falcone».
È vero che amava scherzare?
«A volte raccontava barzellette, scendeva al nostro livello, come dico io. Però sapeva anche mantenere le distanze».
Tu hai servito lo Stato o Giovanni Falcone?
«Bella domanda. Io mi sentivo di servire lo Stato, che però si è dimenticato di me. E allora io mi dimentico dello Stato. L'ho fatto per quell' uomo, dico oggi. Perché lo meritava. È una persona alla quale è stato giusto dare tutto, perché lui ha dato tutto. Non a me, alla collettività».
Il presidente Mattarella non ti dà speranza?
«Io spero che il presidente della Repubblica mi conceda di incontrarlo. Quando i miei nipoti mi dicono: "Nonno, stanno parlando della strage di Capaci, ma perché non ti nominano?", per me è una mortificazione. Io chiederei al presidente della Repubblica: "Cosa devo rispondere ai miei nipoti?"».
Questo silenzio attorno a te è un atteggiamento molto siciliano?
«Ritengo di sì. Fuori dalla Sicilia la mentalità è diversa. Devo dire anche una cosa sul presidente del Senato, Piero Grasso».
Prego.
«Di recente, a Ballarò, presentando un magistrato, un certo Sabella, come colui che ha emanato il mandato di cattura per Totò Riina, mi indicava come "l'autista di Falcone".
Ma come si permette questo tizio? Io sono Giuseppe Costanza, medaglia d'oro al valor civile con un contributo di sangue versato per lo Stato e questo mi emargina così? "L'autista" mi ha chiamato. Cosa gli costava nominarmi?».
Costanza, credi nell' Antimafia?
«Non più. Inizialmente dopo le stragi c'è stata una reazione popolare sincera, vera. Poi sono subentrati troppi interessi economici, è tutto un parlare e basta. Noi sopravvissuti siamo pochi: penso a me, a Giovanni Paparcuri, autista scampato all' attentato a Rocco Chinnici, penso ad Antonino Vullo, unico superstite della scorta di Paolo Borsellino. Nessuno parla di noi».
Il 23 maggio che fai?
«Mi chiudo in casa e non voglio saperne niente. Vedo personaggi che non c'entrano nulla e parlano, mentre io che ero a Capaci non vengo nemmeno considerato. Questa è la vergogna dell'Italia».
Non li voglio vedere, scrive Salvo Vitale il 22 maggio 2016. Stanno preparando il vestito buono per la festa. Passeranno la notte a lustrarsi le piume. E domani, l’uno dopo l’altro, con una faccia che definire di bronzo è un eufemismo, correranno da una parte all’altra della penisola cercando i riflettori della tivvù, il microfono dei giornalisti, per inondarci della loro vomitevole retorica su twitter, facebook, e in ogni angolo della rete; loro, tutti loro, gli assassini di Giovanni Falcone, della moglie, e dei tre agenti della sua scorta, saranno proprio quelli che ne celebreranno la memoria. Firmandola. Sottoscrivendola. Faranno a gara per raccontarci come combattere ciò che loro proteggono. Spiegheranno come custodire l’immensa eredità di un magistrato coraggioso; loro, proprio loro che ne hanno trafugato il testamento, alterato la firma, prodotto un perdurante falso ideologico che ha consentito ai loro partiti di rinverdire i fasti di un eterno potere. Li vedremo tutti in fila, schierati come i santi. Ci sarà anche chi oserà versare qualche calda lacrima, a suggello e firma dell’ipocrisia di stato, di quel trasformismo vigliacco e indomabile che ha costruito nei decenni la mala pianta del cinismo e dell’indifferenza, l’humus naturale dal quale tutte le mafie attive traggono i profitti delle loro azioni criminali. Domani, non leggerò i giornali, non ascolterò le notizie, non seguirò i telegiornali, e men che meno salterò come una pispola allegra da un mi piace all’altro su facebook a commento di striscette melense e ipocrite che inonderanno la rete con una disgustosa ondata di piatta e ipocrita demagogia. Domani, uccideranno ancora Giovanni Falcone, sua moglie e la sua scorta. E io non voglio farne parte.
E un altro giorno di Borsellino è andato, scrive Luca Josi per “Il Fatto Quotidiano” il 21 luglio 2015. Stormi di parole alate, visi contriti, rugiada di lacrime. Qualche minuto, una crocetta sopra, e la terra ha continuato il suo giro intorno al sole. Ci si rivede l'anno prossimo per ascoltare nuove cronache sudate di dolore, impregnate di partecipazione e narrazione per "sensibilizzare i cittadini e non dimenticare". Bene. Tra i sacerdoti laici chiamati a celebrare il rito e la liturgia della memoria, la Rai. Sostenuta dal nostro canone per onorare il contratto di servizio con lo Stato la Rai dovrebbe informare gli italiani così da contribuire al loro crescere civile; nello Stato appunto. Molto bene. Parafrasando l'audizione de "La primula rossa di Corleone" alla Commissione Antimafia - quella in cui l'interrogato in merito all'esistenza della mafia, rispose: "Se esiste l'antimafia esisterà anche la mafia" - la Rai certifica l'esistenza dello Stato. Ne è infatti la tv. Benissimo. Veniamo al punto. Ero un imprenditore del panorama televisivo italiano (un gruppo che ha avuto centinaia di dipendenti, ha prodotto migliaia di ore di programmi, ha conquistato cinque Telegatti, premi di ogni genere e tanti altri primati da snocciolare). Per una produzione in Sicilia, davvero poco fortunata, il gruppo è fallito (ma non starò a ricordare il carrozzone di schifezze, angherie e miserie che hanno prodotto questo scempio). C'è solo un punto che vorrei puntualizzare nel giorno successivo alle retoriche per Borsellino. Il 7 giugno 2007 il più stretto collaboratore di un direttore della Tv di Stato mi telefona per raccomandarmi un tizio per la nostra produzione Rai (tra l'altro Educational!): "... un personaggio locale di qui - siciliano - di dubbia provenienza, che comunque pare non faccia molte, come dire, non faccia molti problemi insomma, si accontenta di molto poco e cioè di, di, di, veramente ... insomma pare che sia, che sia tranquillizzante insomma la cosa. Non lo è per le sue tradizioni e per le sue origini, però, non lo so io comunque ti ho avvertito …". Non ho nemmeno bisogno di registrare l'assurdo. L'acuto dirigente fa tutto da sé lasciando il messaggio sulla mia segreteria telefonica (la si può ancora ascoltare su il fattoquotidiano.it: Agrodolce, i raccomandati e uomini in odor di mafia). Dal giorno successivo metto a conoscenza della telefonata i dirigenti competenti. Penso che si tratti ancora del caso di un singolo, ma gli anni successivi mi dimostreranno, ampiamente, che non era così. Incontri successivi e lettere per denunciare la situazione producono il silenzio. Di fronte a tutto questo il mio gruppo, nella mia persona di allora presidente, decide di procedere penalmente verso i protagonisti della nostra distruzione. Il 4 dicembre 2011, dopo la pubblicizzazione della telefonata incriminata il protagonista della stessa risponde così a il Fatto Quotidiano: “Si sa che quando le produzioni vanno in Sicilia, devi sottostare alle regole legate alle tradizioni dell’isola” per aggiungere “ho chiamato Josi, e lui mi fatto una scenata incredibile, dicendo che lui ‘ rapporti con mafiosi non li voleva avere, mai e poi mai”. Il 17 dicembre 2011 sarà la cronaca giudiziaria a confermarne la veridicità di questa interpretazione. Infatti, la DDA di Palermo farà eseguire ventotto arresti all’interno del Clan Porta Nuova. Nel mirino dello stesso, la produzione di Canale 5, Squadra Antimafia Palermo Oggi. Non erano attratti dal contenuto editoriale della fiction, ma dall’opportunità di controllarne i servizi di trasporto, il catering per la troupe e di assumere come comparse parenti e affiliati (oltre all'opportunità di fornire droga all'interno della produzione). Tutto questo avveniva a pochi chilometri dagli stabilimenti del nostro gruppo televisivo con l’aggravante che noi si era capaci di occupare fino a 440 comparse al mese per una prospettiva di diversi anni - le soap opera possono durare decenni - in uno dei distretti a più alta disoccupazione giovanile europea. Il 23 ottobre 2012 - sei mesi dopo dalla messa in onda della fiction Paolo Borsellino - I 57 giorni, per Rai Uno: - la vicenda incontrerà una conclusione tragicamente solare. L'imprenditore "proposto" nella telefonata dall'incaricato Rai verrà arrestato dalla Polizia di Palermo, insieme al fratello, per i reati di estorsione e associazione mafiosa (trattavasi d'imprenditori polivalenti che, oltre a una struttura dedicata alle forniture di servizi per lo spettacolo, diversificavano con un’attività di pompe funebri). La sua compagine era riuscita a infiltrarsi all’interno di un’altra produzione esterna Rai, Il segreto dell’acqua (fiction sul tema della lotta alla mafia). Purtroppo dall'azienda pubblica che impegna gli imprenditori a sottoscrivere corposi Codici Etici e Codici Antimafia non si sono mai registrate riflessioni sulle singolari vicende risultate forse troppo neorealiste. In compenso le fiction antimafia, continueranno a prolificare perché "non possiamo permetterci di abbassare la guardia". Antimafia e magistratura. L’alleanza malsana che Falcone rifiutò. Indagine sui professionisti della patacca che hanno trasformato l’antimafia in una macchietta della giustizia politica, scrive Giuseppe Sottile il 12 Maggio 2016 su "Il Foglio".
Prologo. “Tutto pagato mio”. Quando l’onorevole Salvo Lima varcò la soglia del bar “Rosanero”, i picciotti di don Masino Spadaro, boss della Kalsa e re del contrabbando, formarono – così, spontaneamente – due piccole ali di folla. L’onorevole si inconigliò nel mezzo e salutò prima a destra e poi a sinistra. Raggiunse il banco e ordinò il caffè. “Lei, carissimo onorevole, merita questo ed altro”, declamò cerimonioso don Masino. Ma senza fortuna. Perché l’onorevole continuò a masticare il suo bocchino di madreperla, quello con la molletta interna e la cicca estraibile, senza pronunciare sillaba. Si limitò solo a guardarli, quei picciotti. E guardandoli gli significò che se avevano qualcosa da dire potevano anche dirla. Tanto lui era in campagna elettorale e li avrebbe certamente ascoltati. Figurarsi però se don Masino poteva mai lasciare una simile entratura a Vincenzo Mangiaracina, detto “Scintillone”, pizzicato otto anni prima per tentato omicidio, e appena uscito dall’Ucciardone; o a Filippo Paternò, detto “Cardone”, che nell’aprile del 1989 andò per sparare e fu sparato, e parlava con mezza bocca perché l’altra era praticamente affunata in un nodo cavernoso di osso, muscolo e pelle; o a Lillo Trippodo, detto “Cacauovo” perché prima di ogni tiro, scippo o rapina che fosse, aveva sempre un dubbio da manifestare ma poi puntava la pistola ch’era una meraviglia. “Tutti bravi ragazzi, onorevole”, disse don Masino presentando cumulativamente i picciotti disposti a semicerchio, come gli ami di una paranza. Ma l’onorevole Lima ostinatamente non parlava. Se ne stava appoggiato al bancone, con la tazzina di caffè appiccicata alle dita. Fino a quando, don Masino – e che boss sarebbe stato, altrimenti – non si armò di coraggio e mirò a quello che, per lui, era il cuore del problema. “Mi dica, onorevole: che dobbiamo fare con quei cornuti di Ciaculli che si sono inventati questa minchiata del rinnovamento…”. Il tema, in effetti, era molto delicato. Delicatissimo. “La sbirrame di Leoluca Orlando e padre Pintacuda ha fatto breccia. Ora fanno tutti gli antimafiosi, anche a Ciaculli, ma in realtà sono semplicemente cornuti. Così cornuti che, nei loro confronti, il fango è acqua minerale”. Ciaculli, Orlando, Pintacuda. L’onorevole si cambiò di faccia. Posò la tazzina sul bancone e ringraziò per il caffè. Ma don Masino gli puntò al petto l’ultima domanda: “Sono o non sono cornuti, quelli di Ciaculli?”. L’onorevole si bloccò sulla soglia. Si abbottonò il cappotto, alzò il bavero del colletto, infilò un’altra sigaretta nel bocchino di madreperla e sentenziò: “Gentuzza… Gentuzza e nulla più”.
Svolgimento. Che Dio ce ne guardi. Nessuno qui si azzarderà a definire “gentuzza” gli uomini dell’antimafia, anche se dentro la compagnia di giro ci ritrovi qualche pataccaro, come Massimo Ciancimino, già processato e condannato per avere invischiato in storiacce di mafia dei galantuomini che non c’entravano nulla; o come quel Pino Maniaci, che per anni si è spacciato come giornalista coraggioso ed è finito sotto inchiesta per estorsione: secondo la procura di Palermo sparava fuoco e fiamme ma, sottobanco, prometteva benevolenza soprattutto a chi aveva la compiacenza di allungargli la mille lire. No, nessuno qui si azzarderà a definire “gentuzza” gli uomini dell’antimafia. Perché dentro quel mondo non ci sono solo degli inquisiti sui quali prima o poi dovrà essere detta una parola di verità. Ci sono anche e soprattutto figli che hanno assistito al martirio del padre, come Claudio Fava o Lucia Borsellino o Franco La Torre; o sorelle, come Maria Falcone, che portano ancora negli occhi il terrore di avere visto, su un tratto di autostrada sventrato dal tritolo, il sangue versato dal proprio fratello. No, questi nomi non possono essere trascinati in polemiche da quattro soldi. Nemmeno quando uno di loro – ed è il caso di Salvatore Borsellino, fratello di Paolo, il giudice assassinato in via D’Amelio – se ne va in giro per Palermo ad abbracciare Massimuccio Ciancimino, il figlio di don Vito, prima celebrato come “icona dell’antimafia” e poi gettato negli abissi chiari dell’inattendibilità dagli stessi pupari che lo avevano offerto a giornali e talk-show come il testimone del secolo, l’unico in grado di rivelare gli intrighi delle cosche e di scardinare finalmente l’impero di Cosa nostra, con le sue ricchezze e i suoi misteri, con i suoi boss e i suoi picciotti, con le sue coperture e le sue complicità. Non chiameremo “gentuzza” neppure quelli che hanno utilizzato l’antimafia per amministrare al meglio i propri affari, per intramare nuove e più sofisticate imposture, per costruire nuove e più spregiudicate carriere; o per meglio aggrapparsi alla grande mammella dei beni sequestrati ai mafiosi – terreni, case e aziende – diventati all’improvviso una immensa terra di nessuno sulla quale hanno mangiato a quattro mani, fino a ingozzarsi, magistrati e cancellieri, avvocaticchi e commercialisti. E non chiameremo “gentuzza” nemmeno i tanti narcisi che pure popolano questo mondo. Non c’è magistrato che non abbia i suoi quattro angeli custodi, non c’è papavero dell’antimafia che non abbia diritto a una sorveglianza, non c’è pentito, vero o fasullo, che non pretenda una tutela particolare. Ah, le scorte. A volte hai il sospetto che siano diventate gli svolazzi del nuovo potere: Rosario Crocetta, il governatore della Sicilia che ha trasformato l’antimafia in una macchietta della politica, può contare su cinque blindate, pagate dalla regione a peso d’oro. Uno spreco? Guai a pensarlo, ma immaginate l’effetto che fa il suo scorrazzare in lungo e in largo per l’Isola con tutto questo fragore o il suo arrivo, a ogni fine settimana, a Gela o a Tusa Marina, dove altri militari sono impegnati a presidiare le sue case. Oppure pensate a quale timore o a quale riverenza vi spingerà, se mai capiterete all’aeroporto di Palermo, la visione di Roberto Scarpinato, procuratore generale del Palazzo di giustizia e Gran Sacerdote dell’Antimafia, scortato all’imbarco per Roma non da uno ma da cinque agenti in borghese. Tre dei quali non lo mollano nemmeno quando tutti i passeggeri sono già dentro l’aereo. Ragioni di sicurezza, si dirà. E sarà anche vero, ma una domanda andrebbe comunque posta: e se la mafia fosse ancora governata da quegli stragisti che rispondevano al nome di Totò Riina e Bernardo Provenzano quanti uomini sarebbero necessari per scortare il dottore Scarpinato? Forse sette, forse sette volte sette. La verità, tanto per andare subito al sodo, è che il Piazzale degli eroi – nel quale sono stati collocati tutti i campioni della lotta a Cosa nostra – rifiuta tenacemente di accettare quello che gli storici più coscienziosi, come Salvatore Lupo, hanno accertato con la forza dei loro studi e della loro onestà. E cioè che, dopo una guerra durata oltre trent’anni, il risultato è che la mafia ha perso e lo stato ha vinto. Una verità semplice ma capace di mandare a gambe per aria non solo il concetto mistico di antimafia ma anche tutte le impalcature – e i privilegi e i narcisismi – che attorno a un tale concetto sono state costruite. Questo spiega perché la tesi del professore Lupo sia stata tanto sbeffeggiata durante una infausta audizione alla commissione parlamentare presieduta da Rosy Bindi. E spiega anche perché una fetta ancora consistente della magistratura palermitana insiste nel portare avanti un processo senza capo né coda qual è quello sulla fantomatica trattativa tra la mafia e alcuni vertici degli apparati statali. Quel processo serve per tenere in piedi il postulato che la storia della Repubblica abbia un doppio fondo, e che dietro ogni verità, anche dietro quella processualmente accertata, ci sia sempre una verità nascosta. Un azzardo, non c’è dubbio. Ma che consente a quei magistrati particolarmente votati alla militanza politica, di chiamare in causa qualunque esponente del potere costituito. Ricordate cosa combinò Antonio Ingroia, procuratore aggiunto oltre che maestro compositore e arrangiatore della Trattativa, pochi mesi prima di presentarsi con una sua lista, Rivoluzione civile, alle elezioni politiche di tre anni fa? Intercettò il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, e ci impiantò sopra un casino mediatico di proporzioni tali da fare tremare le colonne del Quirinale. Nel braccio di ferro, Ingroia ha perso e Napolitano ha vinto. Ma il partito dei magistrati che vogliono tenere sotto tiro il potere politico resta ancora forte e agguerrito. Con una aggravante: che questo partito ha saputo anche costruirsi un’antimafia di supporto. L’antimafia di Massimo Ciancimino e di Salvatore Borsellino, tanto per fare un doloroso esempio: dove il fratello del giudice assassinato diventa fraternissimo amico del figlio di don Vito per il semplice fatto che il pataccaro è stato contrabbandato dalla magistratura politicizzata come l’unico grimaldello capace di violare il sancta sanctorum dei segreti mafiosi. Ai tempi di Giovanni Falcone, questa alleanza malsana non si sarebbe stretta. E non si è stretta. Ricordate il caso del falso pentito Giuseppe Pellegriti? Eravamo alla fine degli anni Ottanta e l’antimafia di quel tempo – i leader erano Leoluca Orlando e il gesuita Ennio Pintacuda – si era aggrappata all’indiscrezione secondo la quale il pentito Pellegriti, un delinquentucolo di periferia, avrebbe accusato Salvo Lima, plenipotenziario di Giulio Andreotti in Sicilia, di essere il mandante dell’omicidio del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa. Falcone andò al carcere di Alessandria. E, dopo avere verificato che Pellegriti sosteneva soltanto cose non vere, lo incriminò per calunnia. Non la passò liscia. L’antimafia di Orlando e Pintacuda – quella che aveva inventato la formula del “sospetto come anticamera della verità” – se la legò al dito e scatenò contro Falcone una offensiva senza precedenti. Fino ad accusarlo di tenere le prove nascoste nei cassetti; o a esporlo, nel corso di un indimenticabile Maurizio Costanzo Show, a una gogna tanto ingiusta quanto feroce. L’antimafia di oggi, quella finita nella polvere con tutti i suoi imbroglioni e i suoi pataccari, si è prestata invece a tutte le manovre giudiziarie, anche le più avventate e le più spregiudicate. E forse anche per questo, alla fine, è rotolata nel burrone profondo dell’irrilevanza. Chi è quell’uomo? – chiede a un certo punto il Signore. “E’ uno che imbratta di tenebra il pensiero di Dio. Parla senza sapere quello che dice”, risponde Giobbe.
La Carlucci e il PdL contro i libri di scuola: “Propagandano il comunismo, vanno cambiati”, scrive "Giornalettismo" il 12/04/2011. Secondo 19 deputati del Popolo delle Libertà, scrive l’agenzia Dire, c’è bisogno di una commissione d’inchiesta per valutarne l’imparzialità. Ma il testo che più si distingue “per la quantità di notizie partigiane e propagandistiche” è, secondo i 19 deputati Pdl, quello di Camera e Fabietti. In Elementi di storia, citano, viene descritta l’attuale presidente del Pd, Rosy Bindi, come la “combattiva europarlamentare” che, ai tempi della militanza nella Democrazia cristiana, sollecitava ad “allontanare dalle cariche di partito” tutti “i propri esponenti inquisiti”. E come viene descritto l’antagonista Berlusconi? Nel 1994, citano ancora i parlamentari dalle pagine del libro di testo, “con Berlusconi presidente del Consiglio, la democrazia italiana arriva a un passo dal disastro”. Secondo gli autori, “l’uso sistematicamente aggressivo dei media, i ripetuti attacchi alla magistratura, alla Direzione generale antimafia, alla Banca d’Italia, alla Corte costituzionale e soprattutto al presidente della Repubblica condotti da Berlusconi e dai suoi portavoce esasperarono le tensioni politiche nel Paese”. L’elenco dei libri “naturalmente potrebbe continuare ancora per molto - conclude il Pdl - ma bastano questi esempi per capire la gravità della questione”.
Dr Antonio Giangrande Scrittore, sociologo storico, blogger, youtuber, presidente
Antonio Giangrande: Basta con la liturgia dell’antimafia di sinistra.
Antonio Giangrande: «Se aprile è il mese dei riti cristiani con la pasqua, maggio è il mese della liturgia dell’antimafia di sinistra.»
Io sono abituato a parlare di argomenti, di cui ho qualcosa da dire. Sulla mafia, per esempio, ho scritto un libro letto in tutto il mondo: “Mafiopoli. Mafia, quello che non si osa dire”. Per me Giovanni Falcone e Paolo Borsellino sono il faro a cui mi ispiro ed il loro esempio è l’oggetto del mio libro. Il mio ricordo a loro va tutti i giorni e non solo nell’anniversario della loro morte. Per molti la data della loro morte è solo l’anniversario degli attentati. Il gesto criminale sminuisce la figura dell’uomo che viene a mancare. Mai dire antimafia è il concetto che divulgo, in qualità di noto autore di saggi sociologici che raccontano di una Italia alla rovescia, profondo conoscitore ed esperto del tema e presidente nazionale di una associazione antimafia. Il mio intento è dimostrare che la mafia siamo noi: i politici che colludono, i media che tacciono, i cittadini che emulano e le istituzioni che abusano ed omettono. Credo che sul tema io sia uno dei principali esperti, anche perché sono presidente dell’Associazione Contro Tutte le Mafie, sodalizio antiracket ed antiusura riconosciuto dal Ministero dell’Interno. Una delle tante associazioni a cui viene disconosciuto il ruolo e gli onori che meritano, solo perché non fanno parte del sistema strutturato dalla sinistra, di cui “Libera” è la maggiore espressione.
Anche quest’anno i giornali e le tv, quasi sempre di sinistra, osannano l’evento che corrompe le giovani menti. Se aprile è il mese dei riti cristiani con la pasqua, maggio è il mese della liturgia dell’antimafia di sinistra. A Civitavecchia si sono imbarcati circa 1.500 studenti, gai per aver marinato la scuola, a cui si sono aggiunti altri 1.500 studenti all’arrivo a Palermo. Corrompendo le menti dei giovani si cerca di perpetrare quel credo partigiano, per il quale gli onesti stanno da una parte e i delinquenti dall’altra, Grillo permettendo.
QUALE ANTIMAFIA? Camera dei Deputati. 15 maggio 2014. Alessio Villarosa (Movimento 5 Stelle) accusa la maggioranza di non rispettare (nei fatti) gli insegnamenti di Falcone e Borsellino. "Noi siamo il partito di Pio La Torre e non accettiamo lezioni da nessuno in materia di legalità. Soprattutto da chi è guidato da chi sostiene che la mafia non esiste". Lo ha urlato nell'aula della Camera Anna Rossomando del Pd replicando al M5s in dichiarazione di voto sulla richiesta di arresto per Francantonio Genovese. Tutti i suoi colleghi di gruppo si sono levati in piedi per applaudirla mentre il M5s urlava: "Vergognatevi". "Noi siamo i fondatori della democrazia", ha rivendicato l'esponente democratica citando Pio La Torre, il segretario del Partito comunista siciliano ucciso dalla mafia il 30 aprile del 1982. Il Pd, ha detto Rossomando rivolta al gruppo M5S, "non accetta lezioni da nessuno, soprattutto da chi è andato in Sicilia dicendo che la mafia non esiste, facendo le buffonate attraversando lo Stretto". La presidente della commissione parlamentare antimafia Rosi Bindi (Pd) ha preso la parola in aula, al termine del dibattito sulla richiesta di arresto a carico del deputato democratico Francantonio Genovese, per replicare al polemico intervento di Alessio Villarosa del Movimento 5 stelle. "Vorrei restasse agli atti di questa Camera, nel rispetto del sacrificio della loro vita e dei loro familiari - ha detto Bindi - che nessuno può appropriarsi di Falcone e di Borsellino". Secondo la presidente dell'antimafia, i due magistrati uccisi dalla mafia "sono di tutta la nazione, di tutta l'Italia e da quando abbiamo messo le loro immagini nel parlamento europeo sono di tutta l'Europa". Bindi a capo dell'Antimafia: sfruttò i sindaci anti boss per farsi eleggere alla Camera. Il Pd la candidò in Calabria: ma una volta presi i voti, non s'è più fatta vedere, scrive Felice Manti su “Il Giornale”. A Siderno la stanno ancora aspettando. Eppure a Rosy Bindi la Locride dovrebbe esserle cara, visto che quei voti raccolti alle primarie Pd in Calabria sono stati decisivi per la sua elezione come capolista. Da febbraio invece l'ex presidente Pd i calabresi la vedono solo in tv. D'altronde la Bindi non ha fatto un solo incontro sulla 'ndrangheta durante la campagna elettorale, ammettendo «di non sapere niente di mafia».
Da presidente nazionale di una associazione antimafia è una vergogna non essere invitati ad alcuna celebrazione istituzionale o scolastica dedicata ai martiri della mafia: tra cui Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Questo pur essendo il massimo esperto della materia. Questo perché noi non seguiamo la logica nazionale delle celebrazioni dei due magistrati, specialmente fatta da chi ne ha causato la morte. Perché non ci associamo alla liturgia di questa antimafia che poi è forse solo propaganda.
SVELARE LA VERITÀ SUI MAGISTRATI. Si farebbe cosa nobile, invece, svelare la verità sulla loro morte e disincentivare tutti quei comportamenti socio mafiosi che inquinano la società italiana. Come si farebbe onore alla verità svelare chi e come paga il giro di carovane e carovanieri. In riferimento all’attentato di Brindisi e a tutte le manifestazioni di esaltazione di un certo modo di fare antimafia di parte e di facciata, denuncio l’ipocrisia di qualcuno che suggestiona e manipola la mente dei giovani per indurli ad adottare comportamenti miranti a promuovere una verità distorta su chi e come fa antimafia.
LOTTA ALLA MAFIA CON LA CONOSCENZA. Con l’attentato alla scuola Morvillo-Falcone e la morte di Melissa Bassi Brindisi e Mesagne e l’intero Salento sono diventate tutto d’un tratto terra di mafia e di mafiosi e per gli effetti sono diventate palco promozionale per carovane e carovanieri proveniente da ogni dove, da cui noi prendiamo assolutamente le distanze. Mesagne e Brindisi e tutto il Salento non hanno bisogno di striscioni in sparute manifestazioni o di omelie religiose per fare ciò che deve essere fatto: sia in campo istituzionale, sia in campo sociale. Gli studenti, con la mente vergine e aperta, non devono essere influenzati da falsi pedagoghi catto-comunisti, sostenuti da sindacati e movimenti di sinistra, che inducono a falsi convincimenti di tipo ideologico. La lotta alla mafia è un’altra cosa: è conoscenza senza censura e omertà scevra da giudizi preconcetti. E di questo anche il Santo Padre, Papa Francesco, ne deve essere edotto: non esiste solo un’antimafia clericale-comunista. E Don Ciotti non è l’unico punto di riferimento.
Le vittime di mafia, non hanno bisogno di ricordare, perché la mafia la vivono sulla loro pelle ogni giorno.
Le vittime di mafia non hanno bisogno di front office pubblicizzati e finanziati dalla politica. Le vittime non hanno bisogno di visibilità, a loro basta che l’Ordine Pubblico e la Giustizia funzionino. Che le loro denuncie non siano insabbiate.
Ma a Palermo la liturgia antimafia del 23 maggio non si tocca: e così i vip istituzionali della “Falconeide” hanno ricordato la strage di Capaci riempiendosi la bocca di una parola cruciale: la memoria. La “Falconeide” è un festival della memoria, ma di quella memoria a intermittenza che è tipica dei professionisti della “doppia morale istituzionale”. Dispiace per la buona volontà disinteressata di alcuni: ma finché la memoria istituzionale sarà esclusivo privilegio di defilé mediatici, regolati da star del buonismo televisivo, finché la memoria istituzionale non avrà lo stessa sacralità della verità storica, la “Falconeide” – e le analoghe manifestazioni che fanno spettacolo dell’impegno antimafia – non potrà essere altro che quello che oggi (tristemente) appare: una sfilata di virtuosi dell’ipocrisia di Stato che forse non fanno parte, come sostiene Beppe Grillo, “dello stesso governo che ha ucciso Falcone e Borsellino”, ma di certo sono parte integrante della stessa classe politica senza scrupoli.
Peccato che trattasi, anche quest’anno, di memoria buona solo ed esclusivamente alle passerelle antimafia, come ha rilevato qualche tempo fa il pm Nino Di Matteo che ha toccato con mano le tante amnesie istituzionali nell’indagine sulla trattativa Stato-mafia: “Per tanti, i magistrati sono da onorare solo da morti; siamo stanchi dell’ipocrisia di chi, quando erano in vita Falcone e Borsellino, non esitava a definirli “giudici politicizzati”, mentre, dopo che sono morti finge di onorarli. E’ un falso storico”. E quei “giudici politicizzati” non erano di sinistra, quindi si ricordi bene da vivi da chi erano attaccati: da chi oggi li osanna!!!
CHI PAGA? Tra canti, fiaccole e palloncini, infatti, è stato un vero trionfo dell’ipocrisia istituzionale. E per ultimo, in tempo di spending review , tutti noi dovremmo chiederci: tutto l’ambaradan comunista della nave della legalità che porta in gita gli studenti, la cui estrazione sociale è tutta da verificare, quanto costa alla comunità, quindi a noi stessi, pur distanti da quella ideologia vetusta?
Dr Antonio Giangrande
Antonio Giangrande: Il dito e la Luna. A proposito di Pino Maniaci di Telejato.
L’opinione del dr. Antonio Giangrande. Scrittore, sociologo storico, blogger, youtuber, presidente dell’Associazione Contro Tutte le Mafie.
Chi parla di Mafia e antimafia dice a sproposito la sua e non so cosa ne capisca del tema. Chi mi conosce sa che sono disponibile a dar lezione! Nel caso di Pino Maniaci ci troviamo a bella a posta a sputtanare qualcuno con notizie segretate con tanto di video e senza sentire la sua versione, così come io ho fatto. Pochi amici su Facebook hanno visto il video, nessuno l’ha condiviso. Gli altri cosiddetti amici l’hanno ignorato. Eppure sono già centinai di visualizzazioni in poche ore. A prescindere dal caso specifico, Pino Maniaci da vero giornalista ha indicato sempre la luna e ora si sta a guardare questo cazzo di dito. Vi siete chiesti perché tutto è successo nel momento in cui è stata attaccata “Libera” ed i magistrati e tutta la carovana antimafia con i suoi carovanieri? In quel momento i paladini mediatici e scribacchini dell’antimafiosità ed i magistrati delatori si son dati da fare a distruggere un mito, prima di una sentenza. I codardi, poi, che prima osannavano Pino, oggi lo rinnegano come Gesù Cristo. Comunque io sto con chi ha le palle, quindi con Pino Maniaci. Mi dispiace del fatto che a Palermo si vede la Mafia anche dove non c’è, giusto per sputtanare un popolo e fottersi i beni delle aziende sane. E di questo tutti tacciono. Se a Palermo si stanno dissequestrando i beni sequestrati dagli “Antimafiosi” è grazie a Pino. Pino colpevole, forse, anche perché in Italia nessuno può dirsi immacolato, ma guardiamo la luna e non sto cazzo di dito.
Antonio Giangrande: A proposito delle vittime della mafia e la solita liturgia antimafia che nasconde il malaffare.
In virtù degli scandali gli Italiani dalla memoria corta periodicamente scoprono che sui bisogni della gente e dietro ad ogni piaga sociale (mafia, povertà ed immigrazione, randagismo, ecc.) ci sono sempre associazioni e cooperative di volontariato che vi lucrano. Un sistema politico sostenuto da una certa stampa e foraggiato dallo Stato. Stato citato dalle grida sediziose dei ragazzotti che gridano alle manifestazioni organizzate dal solito sistema mafioso antimafioso. Cortei che servono solo a marinare la scuola ma in cui si grida: “Fuori la mafia dallo Stato”. Poveri sciocchi, se sapessero la verità, capirebbero che, se ottenessero quello che chiedono, nessuno rimarrebbe dentro a quello Stato, compresi, per primi, coloro che sono a capo di quei cortei inneggianti.
La scusa delle piaghe sociali non è che serve ad una certa sinistra comunista per espropriare la proprietà dei ricchi o percepire finanziamenti dallo Stato al fine di ridistribuire la ricchezza, senza che si vada a lavorare e queste manifestazioni pseudo antimafia, non è che sono propaganda per non far cessare il sostentamento?
Antonio Giangrande: Lo Stato patrigno che uccide i suoi figli (specie se lavoratori autonomi).
Un imprenditore costretto a pagare 1 milione di euro non dovuto e che non ha. Costretto dalla mafia? No dallo Stato!
Quando si sentono le miriadi storie di ordinaria ingiustizia e si parla di lavoratori autonomi estenuati dal sistema fino a togliersi la vita, a volte vien da pensare che le forze dell’ordine e la magistratura stiano lì a fottere le persone per mantenere uno Stato (e quindi loro stessi) senza alcun rimorso o rispetto per il male ingiusto che spesso arrecano con i loro errori.
Racconto questa storia esemplare che nessun giornalista mai racconterà. Una storia che è l’antitesi delle note distribuite dalle forze dell’ordine e dalla magistratura ai giornali che prontamente tal quali li pubblicano. Note in cui le cosiddette istituzioni si vantano delle loro gesta per essere santificati.
Ad Avetrana, (ma può essere qualsiasi altro paese italiano) è successo che, prima del caso di Sarah Scazzi, si son visti volteggiare sul paese un sacco di elicotteri. Sulla spinta degli ambientalisti di maniera, spesso dipendenti statali, ecco montare il tema dell’inquinamento ambientale e delle discariche abusive. Ogni appezzamento di terreno, a torto o ragione, era ed è sotto la lente del controllo inusuale. Ognuno di noi che sia maleducato e che butti un sacchetto di rifiuti in un terreno altrui, deve sapere che mette nei guai il malcapitato proprietario per smaltimento illecito di rifiuti. Bruci una carta o piccole sterpaglie o accendi un falò in spiaggia: sempre smaltimento illecito di rifiuti.
Avetrana non è la terra dei fuochi, ma la terra di cave tufacee e del relativo materiale di risulta. L’estrazione dei blocchi di tufo comporta che, tolto l’elemento utile squadrato, il materiale originario di scarto rimanga in cava. Certo è che tale materiale non può essere per logica trattato come smaltimento di rifiuto speciale, se è materiale vergine ed indigeno del posto. Ebbene. Il paradosso è che questo stormo di elicotteri volteggiava su una piccola cava dismessa da decenni alla periferia del paese. Cava già utilizzata abusivamente dallo stesso Comune di Avetrana per la discarica di acque reflue piovane. Il proprietario di un lotto confinante, comprendente una misera abitazione ed il suo piccolo opificio di manufatti in cemento decide di comprare una parte della cava dismessa, pari a 5 mila metri quadri, per usarla come luogo di sosta dei mezzi, senza arrecare alcuna modifica. Dopo qualche mese ecco la Guardia di Finanza, con varie pattuglie ed elicotteri, intervenire in forze spropositate sul luogo, intimorendo i proprietari e sequestrando l’area. Risultato: un processo penale e sanzioni amministrative pari ad un milione di euro, che il piccolo artigiano non ha e non avrà nemmeno dopo una vita di estenuante lavoro. In più il ripristino dei luoghi. Punizioni per un fatto che lui non ha commesso e per la dimensione inesistente.
La relazione stilata dalla Guardia di Finanza e prodotta agli atti era: smaltimento illecito di rifiuti speciali per decine di migliaia di metri cubi da parte dell’artigiano, per i quali, oltretutto, non era stata pagata l’eco tassa, ed abuso edilizio. Tempi dell'illecito non veritieri e calcoli falsi ed inverosimili sull'entità del presunto materiale smaltito. Ma tant’è servono soldi allo Stato e tutto va bene.
L’artigiano che ha pagato regolarmente sempre le sue tasse, quindi meritevole di tutela e rispetto, è stato costretto a rivolgersi ad esosi avvocati per difendersi dalle infamanti accuse penali e dalle inconsistenti accuse amministrative. L’avvocato tarantino nella causa penale, non si sa perché, è tentato dal Patteggiamento, ma poi ci ripensa. Con le relazioni prodotte dalla guardia di Finanza comunque c’è lo spettro della condanna.
L’avvocato leccese, non si sa perché, perde la causa amministrativa. Nessuno degli avvocati in atti hanno menzionato il fatto che il materiale contestato è materiale vergine ed indigeno e che, se di smaltimento si tratta, il nuovo proprietario non è responsabile di quanto è avvenuto decenni prima da parte di chi gestiva la cava. Colpe comunque ampiamente prescritte. L’amministrativista, inoltre non avverte il cliente dell'opportunità dell'appello. Questo principe del foro è quello che si è attivato affinchè il presidente del Tar di Lecce emettesse un decreto cautelare dopo sole 24 ore dal deposito, di sabato, da chi non era legittimato ed in favore di un azienda in odor di mafia, per una vicenda che si collega ad un appalto per la raccolta dei rifiuti urbani a Casarano. Il presidente del Tar non è nuovo ad essere soggetto di accuse. Dai giornali si apprende che: "Ilva, il presidente del Tar di Lecce cognato dell'avvocato dell'azienda". I ricorsi del colosso sempre accolti. Esposto di Legambiente al Csm.
Ciononostante sul povero artigiano, protagonista di questa storia, cala Equitalia per riscuotere il milione di euro, che il tapino non ha. In quella famiglia è calato il lutto, consapevoli che dall'inizio della storia uno stormo di avvoltoi è calato su di loro e gli toglieranno il frutto di tutto il lavoro di una vita, che ad oggi non ha più senso di essere vissuta. E meno male che non ci sono avvisaglie di gesti inconsulti autolesionistici.
Chi ringraziare di tutto ciò. Grazie Stato patrigno. Grazie stampa che non raccontate mai la realtà dei fatti, ossia le versioni difensive che sputtanano le note di forze dell’Ordine e della Magistratura, o comunque le storie di ordinaria follia burocratica che si insinua nella vita della gente che lavora per poter da essi estrarre il sangue per mantenere questo Stato Patrigno. Quando parlate dei suicidi degli imprenditori, cari giornalisti, parlate delle storie che li hanno indotti.
Se non fosse per me questa storia non sarebbe mai stata raccontata e la sofferenza dell’artigiano mai esistita. Come volevasi dimostrare, in Italia, pur con la ragione, non si riesce a cavare un ragno dal buco, anzi sì è cornuti e mazziati e ti dicono, in aggiunta, subisci e taci.
DUE PAROLE SULLA MAFIA. QUELLO CHE LA STAMPA DI REGIME NON DICE.
«Berlusconi aveva assunto lo stalliere Vittorio Mangano per far entrare Cosa Nostra dentro la sua villa. Il patto sancito in una cena a Milano alla quale avevano partecipato lo stesso Cavaliere e diversi esponenti della criminalità organizzata siciliana». Le motivazioni (pesantissime) della condanna d'appello per Dell'Utri. «E' stato definitivamente accertato che Dell'Utri, Berlusconi, Cinà, Bontade e Teresi (tre mafiosi) avevano siglato un patto in base al quale l'imprenditore milanese avrebbe effettuato il pagamento di somme di denaro a Cosa nostra per ricevere in cambio protezione (...)». E poi: «Vittorio Mangano non era stato assunto per la sua competenza in materia di cavalli, ma per proteggere Berlusconi e i suoi familiari e come presidio mafioso all'interno della villa dell'imprenditore». Sono parole pesantissime quelle che i giudici della terza sezione penale della Corte di appello di Palermo nelle motivazioni della sentenza con cui Marcello Dell'Utri è stato condannato il 25 marzo 2013 a sette anni di reclusione per concorso esterno in associazione mafiosa. Parole pesanti verso lo stesso Dell'Utri, che «tra il 1974 e il 1992 non si è mai sottratto al ruolo di intermediario tra gli interessi dei protagonisti», e «ha mantenuto sempre vivi i rapporti con i mafiosi di riferimento», ma anche verso l'ex premier dato che Dell'Utri viene definito «mediatore contrattuale» del patto tra Cosa Nostra e lo stesso Berlusconi. Secondo i giudici, «è stato acclarato definitivamente che Dell'Utri ha partecipato a un incontro organizzato da lui stesso e Cinà (mafioso siciliano) a Milano, presso il suo ufficio. Tale incontro, al quale erano presenti Dell'Utri, Gaetano Cinà, Stefano Bontade, Mimmo Teresi, Francesco Di Carlo e Silvio Berlusconi, aveva preceduto l'assunzione di Vittorio Mangano presso Villa Casati ad Arcore, così come riferito da Francesco Di Carlo e de relato da Antonino Galliano, e aveva siglato il patto di protezione con Berlusconi». «In tutto il periodo di tempo in oggetto (1974-1992) Dell'Utri ha, con pervicacia, ritenuto di agire in sinergia con l'associazione e di rivolgersi a coloro che incarnavano l'anti Stato, al fine di mediare tra le esigenze dell'imprenditore milanese (Silvio Berlusconi) e gli interessi del sodalizio mafioso, con ciò consapevolmente rafforzando il potere criminale dell'associazione», è scritto poi nelle motivazioni. Dell'Utri quindi è «ritenuto penalmente responsabile, al di là di ogni ragionevole dubbio, della condotta di concorso esterno in associazione mafiosa dal 1974 al 1992» e la sua personalità «appare connotata da una naturale propensione ad entrare attivamente in contatto con soggetti mafiosi, da cui non ha mai mostrato di volersi allontanare neppure in momenti in cui le proprie vicende personali e lavorative gli aveva dato una possibilità di farlo» .
Per i magistrati è più utile considerare Berlusconi un mafioso, anziché considerarlo una vittima dell’inefficienza dello Stato che non sa difendere i suoi cittadini. Una vittima che è disposta ai compromessi per tutelare la sicurezza dei suoi affari e della sua famiglia.
Chi paga il pizzo per lo Stato è un mafioso. E se non ti adegui ti succede quello che succede a tutti. Una storia esemplare. Valeria Grasso: “Ho denunciato la mafia, ora denuncio lo Stato”. “Una vergogna, una vergogna senza fine”. Con queste poche parole si può descrivere la situazione dei Testimoni di Giustizia in Italia. Dove lo Stato non riesce a fare il proprio dovere. Fino in fondo. Sono troppe le storie drammatiche, che restano nel silenzio. Troppi gli ostacoli, le difficoltà, i pericoli, i drammi. I testimoni di giustizia, fondamentali per la lotta alla criminalità organizzata, devono essere protetti e sostenuti. Nel Paese delle mafie lo Stato abbandona i suoi testimoni. Lo ha fatto in passato e sta continuando a farlo. Non stiamo parlando dei "pentiti", dei collaboratori di giustizia. Di chi ha commesso dei reati e ha deciso, per qualsiasi ragione, di "collaborare" con lo Stato. Anche i "pentiti" (quelli credibili) servono, sono necessari per combattere le organizzazioni criminali. Ma i testimoni sono un’altra cosa. Sono semplici cittadini, che non hanno commesso reati. Hanno visto, hanno subito e hanno deciso di "testimoniare". Per dovere civico, perché è giusto comportarsi in un certo modo. Nel BelPaese il dovere civico è poco apprezzato. I testimoni di giustizia, in Italia, denunciano le stesse problematiche. Ma nessuno ascolta, risponde. Si sentono abbandonati. Prima utilizzati e poi lasciati in un "limbo" profondo. Senza luce e senza futuro.
“La mafia, come ci è inculcata dalla stampa di regime, è un’entità astratta, impossibile da debellare, proprio perché non esiste.”
Lo scrittore Antonio Giangrande sul fenomeno “Mafia” ha scritto un libro: “MAFIOPOLI. L’ITALIA DELLE MAFIE. QUELLO CHE NON SI OSA DIRE”. Book ed E-Book pubblicato su Amazon.it e che racconta una verità diversa da quella profusa dai media genuflessi alla sinistra ed ai magistrati.
«L'Italia tenuta al guinzaglio da un sistema di potere composto da caste, lobbies, mafie e massonerie: un'Italia che deve subire e deve tacere. La “Politica” deve essere legislazione o amministrazione nell’eterogenea rappresentanza d’interessi, invece è meretricio o mendicio, mentre le “Istituzioni” devono meritarlo il rispetto, non pretenderlo. Il rapporto tra cittadini e il rapporto tra cittadini e Stato è regolato dalla forza della legge. Quando non vi è cogenza di legge, vige la legge del più forte e il debole soccombe. Allora uno “Stato di Diritto” degrada in anarchia. In questo caso è palese la responsabilità politica ed istituzionale per incapacità o per collusione. Così come è palese la responsabilità dei media per omertà e dei cittadini per codardia o emulazione.»
Continua Antonio Giangrande.
«La mafia cos'è? La risposta in un aneddoto di Paolo Borsellino: "Sapete che cos'è la Mafia... faccia conto che ci sia un posto libero in tribunale..... e che si presentino 3 magistrati... il primo è bravissimo, il migliore, il più preparato.. un altro ha appoggi formidabili dalla politica... e il terzo è un fesso... sapete chi vincerà??? Il fesso. Ecco, mi disse il boss, questa è la MAFIA!"
“La vera mafia è lo Stato, alcuni magistrati che lo rappresentano si comportano da mafiosi. Il magistrato che mi racconta che Andreotti ha baciato Riina io lo voglio in galera”. Così Vittorio Sgarbi il 6 maggio 2013 ad “Un Giorno Da Pecora su Radio 2.
“Da noi - ha dichiarato Silvio Berlusconi ai cronisti di una televisione greca il 23 febbraio 2013 - la magistratura è una mafia più pericolosa della mafia siciliana, e lo dico sapendo di dire una cosa grossa”. “In Italia regna una "magistocrazia". Nella magistratura c'è una vera e propria associazione a delinquere”. Lo ha detto Silvio Berlusconi il 28 marzo 2013 durante la riunione del gruppo Pdl a Montecitorio. Ed ancora Silvio Berlusconi all'attacco ai magistrati: «L'Anm è come la P2, non dice chi sono i loro associati». Il riferimento dell'ex premier è alle associazioni interne ai magistrati, come Magistratura Democratica. Il Cavaliere è a Udine il 18 aprile 2013 per un comizio.
Questi sono solo pochi esempi di dichiarazioni ufficiali.
Abbiamo una Costituzione catto-comunista predisposta e votata dagli apparati politici che rappresentavano la metà degli italiani, ossia coloro che furono i vincitori della guerra civile e che votarono per la Repubblica. Una Costituzione fondata sul lavoro (che oggi non c’è e per questo ci rende schiavi) e non sulla libertà (che ci dovrebbe sempre essere, ma oggi non c’è e per questo siamo schiavi). Un diritto all’uguaglianza inapplicato in virtù del fatto che il potere, anziché essere nelle mani del popolo che dovrebbe nominare i suoi rappresentanti politici, amministrativi e giudiziari, è in mano a mafie, caste, lobbies e massonerie.
Siamo un popolo corrotto: nella memoria, nell’analisi e nel processo mentale di discernimento. Ogni dato virulento che il potere mediatico ci ha propinato, succube al potere politico, economico e giudiziario, ha falsato il senso etico della ragione e logica del popolo. Come il personal computer, giovani e vecchi, devono essere formattati. Ossia, azzerare ogni cognizione e ripartire da zero all’acquisizione di conoscenze scevre da influenze ideologiche, religiose ed etniche. Dobbiamo essere consci del fatto che esistono diverse verità.
Ogni fatto è rappresentato da una verità storica; da una verità mediatica e da una verità giudiziaria.
La verità storica è conosciuta solo dai responsabili del fatto. La verità mediatica è quella rappresentata dai media approssimativi che sono ignoranti in giurisprudenza e poco esperti di frequentazioni di aule del tribunale, ma genuflessi e stanziali negli uffici dei pm e periti delle convinzioni dell’accusa, mai dando spazio alla difesa. La verità giudiziaria è quella che esce fuori da una corte, spesso impreparata culturalmente, tecnicamente e psicologicamente (in virtù dei concorsi pubblici truccati). Nelle aule spesso si lede il diritto di difesa, finanche negando le più elementari fonti di prova, o addirittura, in caso di imputati poveri, il diritto alla difesa. Il gratuita patrocinio è solo una balla. Gli avvocati capaci non vi consentono, quindi ti ritrovi con un avvocato d’ufficio che spesso si rimette alla volontà della corte, senza conoscere i carteggi. La sentenza è sempre frutto della libera convinzione di una persona (il giudice). Mi si chiede cosa fare. Bisogna, da privato, ripassare tutte le fasi dell’indagine e carpire eventuali errori dei magistrati trascurati dalla difesa (e sempre ve ne sono). Eventualmente svolgere un’indagine parallela. Intanto aspettare che qualche pentito, delatore, o intercettazione, produca una nuova prova che ribalti l’esito del processo. Quando poi questa emerge bisogna sperare nella fortuna di trovare un magistrato coscienzioso (spesso non accade per non rilevare l’errore dei colleghi), che possa aprire un processo di revisione.
Non sarà la mafia a uccidermi ma alcuni miei colleghi magistrati (Borsellino). La verità sulle stragi non la possiamo dire noi Magistrati ma la deve dire la politica se non proprio la storia (Ingroia). Non possiamo dire la verità sulle stragi altrimenti la classe politica potrebbe non reggere (Gozzo). Non sono stato io a cercare loro ma loro a cercare me (Riina). In Italia mai nulla è come appare. Ipocriti e voltagabbana. Le stragi come eccidi di Stato a cui non è estranea la Magistratura e gran parte della classe politica del tempo.
Chi frequenta bene le aule dei Tribunali, non essendo né coglione, né in mala fede, sa molto bene che le sentenze sono già scritte prima che inizi il dibattimento. Le pronunce sono pedisseque alle richieste dell’accusa, se non di più. Anche perché se il soggetto è intoccabile l’archiviazione delle accuse è già avvenuta nelle fasi successive alla denuncia o alla querela: “non vi sono prove per sostenere l’accusa” o “il responsabile è ignoto”. Queste le motivazioni in calce alla richiesta accolta dal GIP, nonostante si conosca il responsabile o vi siano un mare di prove, ovvero le indagini non siano mai state effettuate. La difesa: un soprammobile ben pagato succube dei magistrati. Il meglio che possono fare è usare la furbizia per incidere sulla prescrizione. Le prove a discarico: un perditempo, spesso dannoso. Non è improbabile che i testimoni della difesa siano tacciati di falso.
Nel formulare la richiesta la Boccassini nel processo Ruby ha fatto una gaffe dicendo: "Lo condanno", per poi correggersi: "Chiedo la condanna" riferita a Berlusconi.
Esemplare anche è il caso di Napoli. Il gip copia o si limita a riassumere le tesi accusatorie della Procura di Napoli e per questo il tribunale del riesame del capoluogo campano annulla l'arresto di Gaetano Riina, fratello del boss di Cosa nostra, Totò, avvenuto il 14 novembre 2011. L'accusa era di concorso esterno in associazione camorristica. Il gip, scrive il Giornale di Sicilia, si sarebbe limitato a riassumere la richiesta di arresto della Procura di Napoli, incappando peraltro in una serie di errori e non sostituendo nella sua ordinanza neanche le parole «questo pm» con «questo gip».
Il paradosso, però, sono le profezie cinematografiche adattate ai processi: «... e lo condanna ad anni sette di reclusione, all'interdizione perpetua dai pubblici uffici, e all'interdizione legale per la durata della pena». Non è una frase registrata Lunedì 24 giugno 2013 al Tribunale di Milano, ma una battuta presa dagli ultimi minuti del film «Il caimano» di Nanni Moretti. La condanna inflitta al protagonista (interpretato dallo stesso regista) è incredibilmente identica a quella decisa dai giudici milanesi per Silvio Berlusconi. Il Caimano Moretti, dopo la sentenza, parla di «casta dei magistrati» che «vuole avere il potere di decidere al posto degli elettori».
Tutti dentro se la legge fosse uguale per tutti. Ma la legge non è uguale per tutti. Così la Cassazione si è tradita. Sconcertante linea delle Sezioni unite civili sul caso di un magistrato sanzionato. La Suprema Corte: vale il principio della discrezionalità.
Ed in fatto di mafia c’è qualcuno che la sa lunga. «Io non cercavo nessuno, erano loro che cercavano me….Mi hanno fatto arrestare Provenzano e Ciancimino, non come dicono, i carabinieri……Di questo papello non ne sono niente….Il pentito Giovanni Brusca non ha fatto tutto da solo, c'è la mano dei servizi segreti. La stessa cosa vale anche per l'agenda rossa. Ha visto cosa hanno fatto? Perchè non vanno da quello che aveva in mano la borsa e si fanno consegnare l'agenda. In via D'Amelio c'erano i servizi……. Io sono stato 25 anni latitante in campagna senza che nessuno mi cercasse. Com'è possibile che sono responsabile di tutte queste cose? La vera mafia sono i magistrati e i politici che si sono coperti tra di loro. Loro scaricano ogni responsabilità sui mafiosi. La mafia quando inizia una cosa la porta a termine. Io sto bene. Mi sento carico e riesco a vedere oltre queste mura……Appuntato, lei mi vede che possa baciare Andreotti? Le posso dire che era un galantuomo e che io sono stato dell'area andreottiana da sempre». Le confidenze fatte da Toto Riina, il capo dei capi, sono state fatte in due diverse occasioni, a due guardie penitenziarie del Gom del carcere Opera di Milano.
Così come in fatto di mafia c’è qualcun altro che la sa lunga. Parla l’ex capo dei Casalesi. La camorra e la mafia non finirà mai, finchè ci saranno politici, magistrati e forze dell’ordine mafiosi.
CARMINE SCHIAVONE. MAGISTRATI: ROMA NOSTRA!
"Ondata di ricorsi dopo il «trionfo». Un giudice: annullare tutto. Concorsi per giudici, Napoli capitale dei promossi. L'area coperta dalla Corte d'appello ha «prodotto» un terzo degli aspiranti magistrati. E un terzo degli esaminatori". O la statistica è birichina assai o c'è qualcosa che non quadra nell'attuale concorso di accesso alla magistratura. Quasi un terzo degli aspiranti giudici ammessi agli orali vengono infatti dall'area della Corte d'Appello di Napoli, che rappresenta solo un trentacinquesimo del territorio e un dodicesimo della popolazione italiana. Un trionfo. Accompagnato però da una curiosa coincidenza: erano della stessa area, più Salerno, 7 su 24 dei membri togati della commissione e 5 su 8 dei docenti universitari. Cioè oltre un terzo degli esaminatori.
Lo strumento per addentrarsi nei gangli del potere sono gli esami di Stato ed i concorsi pubblici truccati.
I criteri di valutazione dell’elaborato dell’esame di magistrato, di avvocato, di notaio, ecc.
Secondo la normativa vigente, la valutazione di un testo dell’esame di Stato o di un Concorso pubblico è ancorata ad alcuni parametri. Può risultare utile, quindi, che ogni candidato conosca le regole che i commissari di esame devono seguire nella valutazione dei compiti.
a) chiarezza, logicità e rigore metodologico dell’esposizione;
b) dimostrazione della concreta capacità di soluzione di specifici problemi giuridici;
c) dimostrazione della conoscenza dei fondamenti teorici degli istituti giuridici trattati;
d) dimostrazione della capacità di cogliere eventuali profili di interdisciplinarietà;
e) relativamente all'atto giudiziario, dimostrazione della padronanza delle tecniche di persuasione.
Ciò significa che la comprensibilità dell’elaborato — sotto il profilo della grafia, della grammatica e della sintassi — costituisce il primo criterio di valutazione dei commissari. Ne consegue che il primo accorgimento del candidato deve essere quello di cercare di scrivere in forma chiara e scorrevole e con grafia facilmente leggibile: l’esigenza di interrompere continuamente la lettura, per soffermarsi su parole indecifrabili o su espressioni contorte, infastidisce (e, talvolta, irrita) i commissari ed impedisce loro di seguire il filo del ragionamento svolto nel compito. Le varie parti dell’elaborato devono essere espresse con un periodare semplice (senza troppi incisi o subordinate); la trattazione dei singoli argomenti giuridici deve essere il più possibile incisiva; le ripetizioni vanno evitate; la sequenza dei periodi deve essere rispettosa della logica (grammaticale e giuridica). Non va mai dimenticato che ogni commissione esaminatrice è composta da esperti (avvocati, magistrati e docenti universitari), che sono tenuti a leggere centinaia di compiti in tempi relativamente ristretti: il miglior modo di presentarsi è quello di esporre — con una grafia chiara o, quanto meno, comprensibile (che alleggerisca la fatica del leggere) — uno sviluppo ragionato, logico e consequenziale degli argomenti.
Questa è la regola, ma la prassi, si sa, fotte la regola. Ed allora chi vince i concorsi pubblici e chi supera gli esami di Stato e perché si pretende da altri ciò che da sé non si è capaci di fare, né di concepire?
PARLIAMO DELLA CORTE DI CASSAZIONE, MADRE DI TUTTE LE CORTI. UN CASO PER TUTTI.
La sentenza contro il Cavaliere è zeppa di errori (di grammatica).
Frasi senza soggetto, punteggiatura sbagliata... Il giudizio della Cassazione è un obbrobrio anche per la lingua italiana. Dopodiché ecco l’impatto della realtà nella autentica dettatura delle motivazioni a pag.183: «Deve essere infine rimarcato che Berlusconi, pur non risultando che abbia trattenuto rapporti diretti coi materiali esecutori, la difesa che il riferimento alle decisioni aziendali consentito nella pronuncia della Cassazione che ha riguardato l’impugnazione della difesa Agrama della dichiarazione a non doversi procedere per prescrizione in merito ad alcune annualità precedenti, starebbe proprio ad indicare che occorre aver riguardo alle scelte aziendali senza possibilità. quindi, di pervernire...». Ecco. Di prim’acchito uno si domanda: oddio, che fine ha fatto la punteggiatura? Ma dov’è il soggetto? Qual è la coordinata, quante subordinate transitano sul foglio. «...ad una affermazione di responsabilità di Berlusconi che presumibilmente del tutto ignari delle attività prodromiche al delitto, ma conoscendo perfettamente il meccanismo, ha lasciato che tutto proseguisse inalterato, mantenendo nelle posizioni strategiche i soggetti da lui scelti...». Eppoi, affiorano, «le prove sono state analiticamente analizzate». O straordinarie accumulazioni semantiche come «il criterio dell’individuazione del destinatario principale dei benfici derivanti dall’illecito fornisce un risultato convergente da quello che s’è visto essere l’esito dell’apprezzamento delle prove compito dai due gradi di merito..» E poi, nello scorrere delle 208 pagine della motivazione, ci trovi i «siffatto contesto normativo», gli «allorquando», gli «in buona sostanza», che accidentano la lettura. Ed ancora la frase «ha posto in essere una frazione importante dell’attività delittuosa che si è integrata con quella dei correi fornendo un contributo causale...». Linguaggio giuridico? Bene anch’io ho fatto Giurisprudenza, ed anch’io mi sono scontrato con magistrati ed avvocati ignoranti in grammatica, sintassi e perfino in diritto. Ma questo, cari miei non è linguaggio giuridico, ma sono gli effetti di un certo modo di fare proselitismo.
'Ad Arcore presidio mafioso'. «Berlusconi aveva assunto lo stalliere Vittorio Mangano per far entrare Cosa Nostra dentro la sua villa. Il patto sancito in una cena a Milano alla quale avevano partecipato lo stesso Cavaliere e diversi esponenti della criminalità organizzata siciliana». Le motivazioni (pesantissime) della condanna d'appello per Dell'Utri. Adriano Botta su L’Espresso il 5 settembre 2013
«È stato definitivamente accertato che Dell’Utri, Berlusconi, Cinà, Bontade e Teresi (tre mafiosi, ndr) avevano siglato un patto in base al quale l’imprenditore milanese avrebbe effettuato il pagamento di somme di denaro a Cosa nostra per ricevere in cambio protezione (...)». E poi: «Vittorio Mangano non era stato assunto per la sua competenza in materia di cavalli, ma per proteggere Berlusconi e i suoi familiari e come presidio mafioso all’interno della villa dell’imprenditore».
Sono parole pesantissime quelle che i giudici della terza sezione penale della Corte di appello di Palermo nelle motivazioni della sentenza con cui Marcello Dell'Utri è stato condannato il 25 marzo scorso a...
«Berlusconi aveva assunto lo stalliere Vittorio Mangano per far entrare Cosa Nostra dentro la sua villa. Il patto sancito in una cena a Milano alla quale avevano partecipato lo stesso Cavaliere e diversi esponenti della criminalità organizzata siciliana». Le motivazioni (pesantissime) della condanna d’appello per Dell’Utri.
«E’ stato definitivamente accertato che Dell’Utri, Berlusconi, Cinà, Bontade e Teresi (tre mafiosi, ndr) avevano siglato un patto in base al quale l’imprenditore milanese avrebbe effettuato il pagamento di somme di denaro a Cosa nostra per ricevere in cambio protezione (…)». E poi: «Vittorio Mangano non era stato assunto per la sua competenza in materia di cavalli, ma per proteggere Berlusconi e i suoi familiari e come presidio mafioso all’interno della villa dell’imprenditore».
Sono parole pesantissime quelle che i giudici della terza sezione penale della Corte di appello di Palermo nelle motivazioni della sentenza con cui Marcello Dell’Utri è stato condannato il 25 marzo scorso a sette anni di reclusione per concorso esterno in associazione mafiosa.
Parole pesanti verso lo stesso Dell’Utri, che «tra il 1974 e il 1992 non si è mai sottratto al ruolo di intermediario tra gli interessi dei protagonisti», e «ha mantenuto sempre vivi i rapporti con i mafiosi di riferimento», ma anche verso l’ex premier dato che Dell’Utri viene definito «mediatore contrattuale» del patto tra Cosa Nostra e lo stesso Berlusconi.
Secondo i giudici, «è stato acclarato definitivamente che Dell’Utri ha partecipato a un incontro organizzato da lui stesso e Cinà (mafioso siciliano) a Milano, presso il suo ufficio. Tale incontro, al quale erano presenti Dell’Utri, Gaetano Cinà, Stefano Bontade, Mimmo Teresi, Francesco Di Carlo e Silvio Berlusconi, aveva preceduto l’assunzione di Vittorio Mangano presso Villa Casati ad Arcore, così come riferito da Francesco Di Carlo e de relato da Antonino Galliano, e aveva siglato il patto di protezione con Berlusconi»
«In tutto il periodo di tempo in oggetto (1974-1992) Dell’Utri ha, con pervicacia, ritenuto di agire in sinergia con l’associazione e di rivolgersi a coloro che incarnavano l’anti Stato, al fine di mediare tra le esigenze dell’imprenditore milanese (Silvio Berlusconi, ndr) e gli interessi del sodalizio mafioso, con ciò consapevolmente rafforzando il potere criminale dell’associazione», è scritto poi nelle motivazioni.
Dell’Utri quindi è «ritenuto penalmente responsabile, al di là di ogni ragionevole dubbio, della condotta di concorso esterno in associazione mafiosa dal 1974 al 1992» e la sua personalità «appare connotata da una naturale propensione ad entrare attivamente in contatto con soggetti mafiosi, da cui non ha mai mostrato di volersi allontanare neppure in momenti in cui le proprie vicende personali e lavorative gli aveva dato una possibilità di farlo»
Antonio Giangrande: Quel che si rimembra non muore mai. In effetti il fascismo rivive non negli atti di singoli imbecilli, ma quotidianamente nell’evocazione dei comunisti.
Antonio Giangrande: L’ITALIA DEGLI IPOCRITI. GLI INCHINI E LA FEDE CRIMINALE.
L’italiano è stato da sempre un inchinante ossequioso. Ti liscia il pelo per fottersi l’anima.
Fino a poco tempo fa nessuno aveva mai parlato di inchini. Poi i giornali, in riferimento alla Concordia, hanno parlato di "Inchini tollerati". Lo sono stati fino a qualche ora prima della tragedia sulla Costa Concordia che ha provocato morti e feriti incagliandosi sulla scogliera davanti al porto dell'Isola del Giglio. Repubblica.it lo ha documentato: nei registri delle capitanerie di porto che dovrebbero controllare il traffico marittimo, emerge che la "Costa Concordia" - così come tutte le altre navi in zona e in navigazione nel Mediterraneo e nei mari di tutto il mondo - era "seguita" da Ais, un sistema internazionale di controllo della navigazione marittima che è stato attivato da alcuni anni e reso obbligatorio da accordi internazionali dopo gli attentati dell'11 settembre (in funzione anti-terrorismo) e dopo tante tragedie del mare avvenute in tutto il mondo. Si è scoperto così che quel passaggio così vicino all'isola del Giglio era un omaggio all'ex comandante della Costa Concordia Mario Palombo ed al maitre della nave che è dell'isola del Giglio. Si è scoperto anche che per ben 52 volte all'anno quella nave aveva fatto gli "inchini". Inchini che fino al giorno prima, fino a prova contraria, erano stati tollerati: nessuno fino ad allora aveva mai chiesto conto e ragione ai comandanti di quelle navi. Nessuno aveva cercato di capire perché passassero così vicini alla costa dove per legge è anche vietato (se una piccola imbarcazione sosta a meno di 500 metri dalle coste, se beccata dalle forze dell'ordine, viene multata perché vietato). Figuriamoci se a un bestione come la Costa Concordia è consentito "passeggiare" in mezzo al mare a 150-200 metri dalla costa. Il comandante Schettino, come confermano le indagini e le conversazioni radio con la capitaneria di porto di Livorno, ha fatto errori su errori, ma nessuno prima gli ha vietato di avvicinarsi troppo all'isola del Giglio. Quando si è incagliata era troppo tardi.
Da un inchino ad un altro. Dopo il 2 luglio 2014 l’anima italica, ipocrita antimafiosa, emerge dalle testate di tutti i giornali. I moralisti delle virtù altrui, per coprire meglio le magagne governative attinenti riforme gattopardesche. Si sa che parlar dei mondiali non attecchisce più per la male uscita dei pedanti italici. Pedanti come ostentori di piedi pallonari e non di sapienza. Lo dice uno che sul tema ha scritto un libro: “Mafiopoli. L’Italia delle mafie”.
Una protesta plateale. Se la Madonna fa l’inchino ai boss, i carabinieri se ne vanno. Se i fedeli e le autorità, civili e religiose, si fermano in segno di “rispetto”, davanti alla casa del mafioso, le forze dell’ordine si allontanano, in segno di protesta. E ne diventano eroi. Tanto in Italia basta poco per esserlo. È successo il 2 luglio 2014, a Oppido Mamertina, piccolo paese in provincia di Reggio Calabria, sede di una sanguinosa faida tra mafiosi: durante trenta secondi di sosta per simboleggiare, secondo tutti i giornali, l’inchino al boss Giuseppe Mazzagatti, i militari che scortavano la processione religiosa si sono allontanati. Tutti ne parlano. Tutti si indignano. Tutti si scandalizzano. Eppure l’inchino nelle processioni è una tradizione centenaria in tantissime località del sud. Certo è che se partiamo con la convinzione nordista mediatica che il sud è terra mafiosa, allora non ci libereremo mai dei luoghi comuni degli ignoranti, che guardano la pagliuzza negli occhi altrui. Gli inchini delle processioni si fanno a chi merita rispetto: pubbliche istituzioni e privati cittadini. E’ un fatto peculiare locale. E non bisogna additare come mafiosi intere comunità (e dico intere comunità), se osannano i singoli individui e non lo Stato. Specie dove lo Stato non esiste. E se ha parvenza di stanziamento, esso dà un cattivo esempio. A volte i giudizi dei tribunali non combaciano con quelle delle comunità, specie se il reato è per definizione nocumento di un interesse pubblico. Che facciamo? Fuciliamo tutti coloro che partecipano alle processioni, che osannano chi a noi non è gradito? A noi pantofolai sdraiati a centinaia di km da quei posti? Siamo diventati, quindi, giudici e carnefici? Eliminiamo una tradizione centenaria per non palesare il fallimento dello Stato?
Dare credibilità agli amministratori locali? Sia mai da parte dei giornali. Il sindaco di Oppido Mamertina, Domenico Giannetta, ha rilasciato un lungo comunicato per spiegare l'accaduto «Noi siamo una giovane amministrazione che si è insediata da 40 giorni e non abbiamo nessuna riverenza verso un boss. Se i fatti e le motivazioni di quella fermata sono quelli ricostruiti finora noi siamo i primi a condannare e a prendere le distanze», spiega Domenico Giannetta, sindaco di Oppido Mamertina. «A quanto appreso finora - spiega ancora il sindaco - la ritualità di girare la madonna verso quella parte di paese risale a più di 30 anni, ma questa - chiarisce Giannetta - non deve essere una giustificazione. Se la motivazione è, invece, quella emersa condanniamo fermamente. Noi - sottolinea - siamo un’amministrazione che vuole perseguire la legalità. Ci sentiamo come Amministrazione Comunale indignati e colpiti nel nostro profilo personale e istituzionale. Era presente al corteo religioso tutta la Giunta Comunale, il Presidente del Consiglio Comunale, il Comandante della Polizia Municipale e il Comandante della Stazione dei Carabinieri di Oppido. Giunti all'incrocio tra via Ugo Foscolo e Corso Aspromonte, nel seguire il Corteo religioso tutti i predetti camminando a piedi svoltavamo a sinistra, circa 30 metri dietro di noi vi erano i presbiteri e ancora dietro la vara di Maria SS. Delle Grazie. Mentre tutti procedevamo a passo d'uomo la vara si fermava all'intersezione predetta e veniva girata in direzione opposta al senso di marcia del Corteo, come da tradizione. Peraltro, nell'attimo in cui i portatori della vara hanno espletato tale rotazione, improvvisamente il Comandante della Stazione locale dei Carabinieri che si trovava alla destra del Sindaco si è distaccato dal Corteo, motivando che quella gestualità era riferibile ad un segno di riverenza verso la casa di Mazzagatti. Sentiamo dunque con sobrietà di condannare il gesto se l'obiettivo era rendere omaggio al boss, perché ogni cittadino deve essere riverente alla Madonna e non si debba verificare al contrario che per volontà di poche persone che trasportano in processione l'effigie, venga dissacrata l'onnipotenza divina, verso cui nessun uomo può osare gesto di sfida. Dal canto nostro nell'immediatezza del fatto, nel dubbio abbiamo agito secondo un principio di buon senso e non abbiamo abbandonato il Corteo per non creare disagi a tutta la popolazione oppidese ed ai migliaia di fedeli che giungono numerosi da diversi paesi ed evitare il disordine pubblico».
Se non vanno bene, possiamo cambiare le regole. Bene ha fatto a centinaia di km in quel di Salerno il clero locale. Meno applausi e più preghiere, affinchè la processione di San Matteo ritorni ad essere «un corteo orante» e non un teatro o un momento «di interessi privatistici», scrive “La città di Salerno”. L’arcivescovo Luigi Moretti annuncia così le nuove “regole” che, in linea con la Cei, caratterizzeranno la tradizionale celebrazione dedicata al Santo Patrono, invitando tutti - fedeli, portatori, istituzioni - a recuperare il senso spirituale della manifestazione. Non sono previste fermate dinanzi alla caserma della Guardia di Finanza, nè dinanzi al Comune. Aboliti gli “inchini” delle statue che per nessuna ragione dovranno fermarsi sulla soglia di bar e ristoranti, visto che «sono i fedeli che si inchinano ai Santi e non il contrario». Nessuna “ruota” delle statue, fatta eccezione per tre momenti di sosta all’altezza di corso Vittorio Emanuele, corso Garibaldi e largo Campo. I militari che sfileranno dovranno essere rigorosamente non armati e le bande saranno ridotte ad un unica formazione. Le stesse statue saranno compattate «in un blocco unico per evitare dispersioni». Nei giorni che precedono la processione saranno organizzate iniziative nelle parrocchie della zona orientale, «che prima erano tagliate fuori dalla celebrazione». Il corteo sarà aperto da croci e candelabri, poi le associazioni, con l’apertura anche a quelle laiche, altra novità di quest’anno. A seguire la banda, le statue, il clero «su doppia fila», l’arcivescovo che precederà San Matteo e dietro i Finanzieri, il Gonfalone del Comune e le autorità con il popolo. Durante la sfilata «si pregherà e verranno letti dei brani del Vangelo». No ai buffet allestiti per ingraziarsi il politico di turno con brindisi e pizzette. «Quelle, se i fedeli vorranno, potranno recapitarle a casa dei portatori», ha ironizzato Moretti. «Ben venga chi vuole offrire un bicchiere d’acqua a chi è impegnato nel trasporto delle statue, ma il resto no, perchè c’è un momento per fare festa ed uno per pregare».
In conclusione sembra palese una cosa. Gli inchini nelle processioni non sono l’apologia della mafia, ma spesso sono atti senza analisi mediatica dietrologica. Molte volte ci sono per ingraziarsi, da parte dei potenti, fortune immeritate. Sovente sono un segno di protesta contro uno Stato opprimente che ha vergognosamente fallito.
L’italiano è stato da sempre un inchinante ossequioso. Ti liscia il pelo per fottersi l’anima. Si inchina a tutti, per poi, un momento, dopo tradirlo. D'altronde ognuno di noi non si inchina a Dio ed ai Santi esclusivamente per richieste di tornaconto personale? Salute o soldi o carriera?
Ricordatevi che lo sport italico è solo glorificare gli appalti truccati ed i concorsi pubblici falsati.
Dr Antonio Giangrande
Antonio Giangrande: L’ANTIRACKET SALENTO PRESENTATA DA ALFREDO MANTOVANO
LA POSIZIONE DELL’ASSOCIAZIONE CONTRO TUTTE LE MAFIE
Antiracket Salento. Arrivano con il progetto Pon sulla Sicurezza 2.4 dall’Unione Europea 1.351.000,00 Euro per il Salento. Un contributo per le province di Taranto, Lecce e Brindisi per l’apertura di sportelli comunali antiracket che raccolgano le denunce. “La nostra terra è meritevole di un sostegno” ha spiegato l’onorevole Alfredo Mantovano a Taranto il 22 giugno 2012 in un incontro con la stampa ed il sindaco di Taranto.
Il dr. Antonio Giangrande, presidente dell’Associazione Contro Tutte le Mafie, riguardo agli aspetti trattati da Alfredo Mantovano (ex magistrato, eletto PDL, ex AN) rilascia questa dichiarazione:
«la nostra terra è sì meritevole di un sostegno, ma perché è ritenuta un covo di mafiosi, in quanto così è presentata da chi ha un interesse politico od economico. Per raccogliere le denunce non ci sono già le caserme dei carabinieri, i commissariati o le Procure? Come presidente nazionale, quindi, data la mia esperienza extraterritoriale, ho adottato alcune misure che ho proposte a tutte le Prefetture d’Italia. Suggerimenti divulgabili ed adottabili da ogni ente governativo provinciale, per poterne usufruire ed apprezzare gli aspetti più utili. Il tutto senza alcuna reclame.
L’Associazione Contro Tutte le Mafie:
con Tele Web Italia, la sua web tv nazionale, ospita tutte le web tv locali e dà visibilità gratuita al territorio ed alle aziende che ivi producono per superare la crisi di mercato o il pericolo di usura;
considerando che le vittime del racket e dell’usura non hanno bisogno di visibilità e non vogliono apparire per paura delle ritorsioni, ha predisposto sui suoi siti web associativi uno sportello telematico (VADEMECUM) affinchè le vittime, senza ausilio di intermediari, possano accedere agli strumenti di denuncia e di autotutela più adeguati, previa informazione senza filtri sui benefici di legge, questo perché gli sportelli antiracket aperti a Lecce, Taranto e Brindisi, od in altri posti, pur in apparenza utili, possono sembrare solo strumenti di propaganda politica e di speculazione economica per attingere ai progetti PON o POR;
ha invitato ad una collaborazione reale la Camera di Commercio e le associazioni di categoria attraverso l’accesso ai Cofidi o gli Interfidi per superare l’ostacolo della mancata fruizione di finanziamenti dalle banche, per evitare il fallimento delle aziende o l’accesso al mondo usuraio dei cittadini.
In virtù di tali atti e proposte, quindi, si spera in una collaborazione senza oneri per lo Stato e che non sia solo di stampo burocratico, con la creazione di un Pool informale con il delegato dell’ufficio competente presso la Prefettura territoriale; con il responsabile della locale Camera di Commercio, Industria, Agricoltura ed Artigianato, in rappresentanza delle categorie sociali ed economiche; con il magistrato delegato ai reati specifici; con la presente associazione che telematicamente aiuta i bisognosi sul territorio a trovare una sponda istituzionale per risolvere i loro problemi. Insomma, noi abbiamo bisogno da parte dello Stato di avere un solo nome presso cui convogliare le innumerevoli richieste di aiuto, per ovviare altresì ai disservizi esistenti nel sistema. Quel nome istituzionale, territorialmente, deve garantire: procedibilità della denuncia fondata presentata; immediato accesso ai finanziamenti dei Cofidi e Statali od ai risarcimenti di legge; tempestiva interruzione dei procedimenti giudiziari esecutivi a carico dell’usurato denunciante. Crediamo che la lotta al racket ed all’usura (anche bancaria e di Stato) non debba essere fatta solo di chiacchiere, ma deve essere sostenuta da atti concreti, che a quanto pare nessuno vuole adottare. La Legalità è il comportamento umano conforme al dettato della legge nel compimento di un atto o di un fatto. Se l'abito non fa il monaco, e la cronaca ce lo insegna, nè toghe, nè divise, nè poteri istituzionali o mediatici hanno la legittimazione a dare insegnamenti e/o patenti di legalità. Lor signori non si devono permettere di selezionare secondo loro discrezione la società civile in buoni e cattivi ed ovviamente si devono astenere dall'inserirsi loro stessi tra i buoni. Perchè secondo questa cernita il cattivo è sempre il povero cittadino, che oltretutto con le esose tasse li mantiene. Non dimentichiamoci che non ci sono dio in terra e fino a quando saremo in democrazia, il potere è solo prerogativa del popolo.» Dr Antonio Giangrande
Antonio Giangrande: Io non capisco chi critica o ignora la condivisione di una mia opera nel diario della mia pagina e nel gruppo di cui sono fondatore ed amministratore.
Quando si parla di mafia ognuno pensa che basti proferire il nome e di colpo saperne tutto di essa.
La mafia è una coltura che rigoglisce in una apposita cultura. Io studio la cultura per conoscere meglio la coltura. Quell’aspetto della cultura che nessuno fa conoscere.
Mi presento. Dr Antonio Giangrande. Scrittore (scrivo saggi letti in tutto il mondo e studiati come testi in tesi universitarie). Sociologo storico (studio i comportamenti umani correlati tra loro rispetto a tempo, spazio e tema), Giurista (competenza legislativa e verifica anche sull’operato dei magistrati). Blogger e Youtuber (uso di tutti i sistemi contemporanei tecnologici per divulgare le mie opere e promuovere i territori. Chi fa parte della mia cerchia di amici o iscritti ai miei canali youtube lo fa per essere aggiornato). Presidente dell’Associazione Contro Tutte le Mafie ONLUS (inserito nel sistema dell’antimafia per conoscere e per sapere. Ma sono quel tipo di antimafia che sta dalla parte del torto, perchè i posti della parte della ragione son tutti occupati). Assolutamente Libero (non foraggiato o promosso da alcuno).
Se si pensa che nei miei post io promuova me stesso e non si capisce il senso dell’oggetto in promozione, vuol dire che, in mala fede o per ignoranza, si guarda il dito e non si attenziona la luna.
Non ho bisogno di promuovermi attraverso i miei post. Basta digitare il mio nome sui motori di ricerca e compariranno 200.000 siti web che parlano di me. Ogni giorno 10.000 lettori aprono un mio libro e leggono gratuitamente su “Google Libri” centinaia di migliaia di pagine. Altrettanti sono gli utenti che vedono i miei video ogni giorno.
Dopo Twitter e Linkedin, Facebook è il più fallimentare dei miei canali di divulgazione. Lì la gente parla, ma non ascolta, né impara. I miei amici sono pochi e selezionati e dopo un anno sono cancellati. Li seguo e mi seguono. Imparano da me ed io imparo da loro. I veri amici, dopo essere stati cancellati, richiedono l’amicizia con ostinazione. I veri amici sostengono e perdonano…
Sono presuntuoso ed arrogante? No! Sono diverso? Sì e ne sono orgoglioso.
Per il fatto di essere conosciuto ed apprezzato, pur non potendo risolvere alcun problema, sono destinatario di tantissime storie e preghiere d’aiuto e richieste di consigli. Queste storie mi rendono conoscitore e sapiente. Queste storie mi fanno conoscere tutte le mafie. Se un’opera da me prodotta, è da me promossa per essere conosciuta, è per far capire che tutte le storie sono collegate tra loro: tutto è frutto del sistema marcio.
Ma c’è sempre chi è, per egocentrismo o per ignoranza, refrattario alla verità. Come si dice, non c’è più sordo di chi non vuol sentire.
Chi chiede la mia amicizia è perché ha letto quello che io ho scritto per esempio sulla sua regione o città, oppure sulla sua professione o stato sociale, o addirittura ha letto il suo nome perché io disinteressatamente mi sono interessato alla sua storia e ho raccontato quello che, fino ad allora, non si era detto.
Quello della biografia fatta da Giangrande è cosa che ambiscono in tanti, troppi…fino a creare astio quando l’ambizione non si realizza.
Comunque, per chi non mi conosce: piacere, sono Antonio Giangrande.
Se qualcuno si è accorto di aver sbagliato persona può togliermi l’amicizia da subito, senza aspettare la naturale scadenza dell’anno.
Antonio Giangrande: SALVINI-SAVIANO ED I SOLITI MALAVITOSI.
Saviano a Salvini: “Ministro della malavita”. La propaganda fa proseliti e voti. Sei ricco? Sei mafioso! Il condizionamento psicologico mediatico-culturale lava il cervello e diventa ideologico, erigendo il sistema di potere comunista. Cosa scriverebbero gli scrittori comunisti senza la loro Mafia e cosa direbbero in giro per le scuole a far proselitismo comunista? Quale film girerebbero i registi comunisti antimafiosi? Come potrebbero essere santificati gli eroi intellettuali antimafiosi? Quali argomenti affronterebbero i talk show comunisti e di cosa parlerebbero i giornalisti comunisti nei TG? Cosa scriverebbero e vomiterebbero i giornalisti comunisti contro gli avversari senza la loro Mafia? Cosa comizierebbero i politici comunisti senza la loro Mafia? Quali processi si istruirebbero dai magistrati eroi antimafiosi senza la loro mafia? Cosa farebbero i comunisti senza la loro Mafia ed i beni della loro Mafia? Di cosa camperebbero le associazioni antimafiose comuniste? Cosa esproprierebbero i comunisti senza l'alibi della mafiosità? La Mafia è la fortuna degli antimafiosi. Se non c'è la si inventa e si infanga un territorio. Mafia ed Antimafia sono la iattura del Sud Italia dove l’ideologia del povero contro il ricco attecchisce di più. Sciagura antimafiosa che comincia ad espandersi al Nord Italia per colpa della crisi economica creata da antimafia e burocrazia. Più povertà per tutti, dicono i comunisti.
Antonio Giangrande: Si deve sempre guardare il retro della medaglia. Si dice che i soldi vadano ai migranti e ce la prendiamo con loro. Invece i soldi vanno ai migranti tramite le cooperative di sinistra e della CGIL. Ergo: Ai migranti quasi niente; alla sinistra i soldi dell'emergenza ed i voti dei futuri cittadini italianizzati. Ecco perchè i comunisti sono solidali fino a voler mettere i mussulmani nelle canoniche delle chiese cristiane. Poi per l’aiuto agli italiani non c’è problema: se sei di sinistra, hai qualsiasi cosa: case popolari, anche occupate, e sussidi ed occupazioni nelle cooperative. Se sei di destra, invece, vivi in auto da disoccupato, non per colpa della sinistra, ma perché quelli di destra ed i loro politici son tanto coglioni che non sanno neppure tutelare se stessi.
Antonio Giangrande
Antonio Giangrande: Se questa è antimafia…. In Italia, con l’accusa di mafiosità, si permette l’espropriazione proletaria di Stato e la speculazione del Sistema su beni di persone che mafiose non lo sono. Persone che non sono mafiose, né sono responsabili di alcun reato, eppure sottoposte alla confisca dei beni ed alla distruzione delle loro aziende, con perdita di posti di lavoro. Azione preventiva ad ogni giudizio. Alla faccia della presunzione d’innocenza di stampo costituzionale. Interventi di antimafiosità incentrati su un ristretto ambito territoriale o di provenienza territoriale.
La Presidente della Commissione Parlamentare Antimafia, on. le Rosy Bindi, dichiara che è impossibile che in Valle d’Aosta non ci sia ’ndrangheta – «che ha condizionato e continua a condizionare l’economia» – stante che il 30% della popolazione è di origine calabrese.
E’ risaputo che le aziende del centro nord appaltano i grandi lavori pubblici, specialmente se le aziende del sud Italia le fanno chiudere con accuse artefatte di mafiosità.
Questa antimafia, per mantenere il sistema, impone la delazione e la calunnia ai sodalizi antiracket ed antiusura iscritti presso le Prefetture provinciali. Per continuare a definirsi tali, ogni anno, le associazioni locali sono sottoposte a verifica. L’iscrizione all’elenco è condizionata al numero di procedimenti penali e costituzioni di parti civili attivate. L’esortazione a denunciare, anche il nulla, se possibile. Più denunce per tutti…quindi. Chi non denuncia, anche il nulla, è complice od è omertoso.
A tal fine, per non aver adempito ai requisiti di delazione, calunnia e speculazione sociale, l’Associazione Contro Tutte le Mafie ONLUS, sodalizio nazionale di promozione sociale già iscritta al n. 3/2006 presso il registro prefettizio della Prefettura di Taranto Ufficio Territoriale del Governo, il 23 settembre 2017 è stata cancellata dal suddetto registro.
Dove non arrivano con le interdittive prefettizie, arrivano con i sequestri preventivi.
Proviamo a spiegarci. Le interdittive funzionano così: sono discrezionali. Decide il prefetto. Non c’è bisogno di una condanna penale, addirittura – nel caso ad esempio, del quale stiamo parlando – nemmeno di un avviso di garanzia o di una ipotesi di reato. Il reato non c’è, però a me tu non mi convinci. Punto e basta. Inoltre l’antimafia preventiva diventata definitiva. Antimafia mafiosa. Come reagire, scrive il 27 settembre 2017 Telejato. C’È, È INUTILE RIPETERLO TROPPE VOLTE, UNA CERTA PRESA DI COSCIENZA DELLA TURPITUDINE DELLA LEGISLAZIONE ANTIMAFIA, CHE MEGLIO SAREBBE DEFINIRE “LEGGE DEI SOSPETTI”. ANCHE I PIÙ COCCIUTI COMINCIANO AD AVVERTIRE CHE NON SI TRATTA DI “ABUSI”, DI DOTTORESSE SAGUTO, DI “CASI” COME QUELLO DEL “PALAZZO DELLA LEGALITÀ”, DI FRATELLANZE E CUGINANZE DI AMMINISTRATORI DEVASTANTI. È tutta l’Antimafia che è divenuta e si è rivelata mafiosa. Come si addice al fenomeno mafioso, questa presa di coscienza rimane soffocata dalla paura, dal timore reverenziale per le ritualità della dogmatica dell’antimafia devozionale, del komeinismo nostrano che se ne serve per “neutralizzare” la nostra libertà. Molti si chiedono e ci chiedono: che fare? È già qualcosa: se è vero, come diceva Manzoni, che il coraggio chi non c’è l’ha non se lo può dare, è vero pure che certi interrogativi sono un indizio di un coraggio che non manca o non manca del tutto. Non sono un profeta, né un “maestro” e nemmeno un “antimafiologo”, visto che tanti mafiologhi ci hanno deliziato e ci deliziano con le loro cavolate. Ma a queste cose ci penso da molto tempo, ci rifletto, colgo le riflessioni degli altri. E provo a dare un certo ordine, una certa sistemazione logica a constatazioni e valutazioni. E provo pure a dare a me stesso ed a quanti me ne chiedono, risposte a quell’interrogativo: che fare? Io credo che, in primo luogo, occorre riflettere e far riflettere sul fatto che il timore, la paura di “andare controcorrente” denunciando le sciagure dell’antimafia e la sua mafiosità, debbono essere messe da parte. Che se qualcuno non ha paura di parlar chiaro, tutti possono e debbono farlo. Secondo: occorre affermare alto e forte che il problema, i problemi non sono quelli dell’esistenza delle dott. Saguto. Che gli abusi, anche se sono tali sul metro stesso delle leggi sciagurate, sono la naturale conseguenza delle leggi stesse. Che si abusa di una legge che punisce i sospetti e permette di rovinare persone, patrimoni ed imprese per il sospetto che i titolari siano sospettati è cosa, in fondo, naturale. Sarebbe strano che, casi Saguto, scioglimenti di amministrazioni per pretesti scandalosi di mafiosità, provvedimenti prefettizi a favore di monopoli di certe imprese con “interdizione” di altre, non si verificassero. Terzo. Occorre che allo studio, alle analisi giuridiche e costituzionali delle leggi antimafia e delle loro assurdità, si aggiungano analisi, studi, divulgazioni degli uni e degli altri in relazione ai fenomeni economici disastrosi, alle ripercussioni sul credito, siano intrapresi, approfonditi e resi noti. Possibile che non vi siano economisti, commercialisti, capaci di farlo e di spendersi per affrontare seriamente questi aspetti fondamentali della questione? Cifre, statistiche, comparazioni tra le Regioni. Il quadro che ne deriverà è spaventoso. Quindi necessario. E’ questo l’aspetto della questione che più impressionerà l’opinione pubblica. E poi: non tenersi per sé notizie, idee, propositi al riguardo. Questo è il “movimento”. Il movimento di cui molti mi parlano. Articolo di Mauro Mellini. Avvocato e politico italiano. È stato parlamentare del Partito Radicale, di cui fu tra i fondatori.
Ma cosa sarebbe codesta antimafia, che tutto gli è concesso, se non ci fosse lo spauracchio mediatico della mafia di loro invenzione? E, poi, chi ha dato la patente di antimafiosità a certi politicanti di sinistra che incitano le masse…e chi ha dato l’investitura di antimafiosità a certi rappresentanti dell’associazionismo catto-comunista che speculano sui beni…e chi ha dato l’abilitazione ad essere portavoci dell’antimafiosità a certi scribacchini di sinistra che sobillano la società civile? E perché questa antimafiosità ha immenso spazio su tv di Stato e giornali sostenuti dallo Stato per fomentare questa deriva culturale contro la nostra Nazione o parte di essa. Discrasia innescata da gruppi editoriali che influenzano l’informazione in Italia?
Fintanto che le vittime dell’antimafia useranno o subiranno il linguaggio dei loro carnefici, continueremo ad alimentare i cosiddetti antimafiosi che lucreranno sulla pelle degli avversari politici.
Se la legalità è l’atteggiamento ed il comportamento conforme alla legge, perché l’omologazione alla legalità non è uguale per tutti,…uguale anche per gli antimafiosi? La legge va sempre rispettata, ma il legislatore deve conformarsi a principi internazionali condivisi di più alto spessore che non siano i propri interessi politici locali prettamente partigiani.
Va denunciato il fatto che l’antimafiosità è solo lotta politica e di propaganda e la mafia dell’antimafia è più pericolosa di ogni altra consorteria criminale, perchè: calunnia, diffama, espropria e distrugge in modo arbitrario ed impunito per sola sete di potere. La mafia esiste ed è solo quella degli antimafiosi, o delle caste o delle lobbies o delle massonerie deviate. E se per gli antimafiosi, invece, tutto quel che succede è mafia…Allora niente è mafia. E se niente è mafia, alla fine gli stranieri considereranno gli italiani tutti mafiosi.
Invece mafioso è ogni atteggiamento e comportamento, da chiunque adottato, di sopraffazione e dall’omertà, anche istituzionale, che ne deriva.
Non denunciare ciò rende complici e di questo passo gli sciasciani non avranno mai visibilità se rimarranno da soli ed inascoltati.
Lettera al Direttore. Se questa è antimafia…di Antonio Giangrande.
In Italia, con l’accusa di mafiosità, si permette l’espropriazione proletaria di Stato e la speculazione del Sistema su beni di persone che mafiose non lo sono. Persone che non sono mafiose, né sono responsabili di alcun reato, eppure sottoposte alla confisca dei beni ed alla distruzione delle loro aziende, con perdita di posti di lavoro. Azione preventiva ad ogni giudizio. Alla faccia della presunzione d’innocenza di stampo costituzionale.
Interventi di antimafiosità incentrati su un ristretto ambito territoriale o di provenienza territoriale.
Questa antimafia, per mantenere il sistema, impone la delazione e la calunnia ai sodalizi antiracket ed antiusura iscritti presso le Prefetture provinciali. Per continuare a definirsi tali, ogni anno, le associazioni locali sono sottoposti a verifica. L’iscrizione all’elenco è condizionata al numero di procedimenti penali e costituzioni di parti civili attivate.
L’esortazione a denunciare, anche il nulla, se possibile. Più denunce per tutti…quindi. Chi non denuncia, anche il nulla, è complice od è omertoso.
Ma cosa sarebbe codesta antimafia, che tutto gli è concesso, se non ci fosse lo spauracchio mediatico della mafia di loro invenzione?
E, poi, chi ha dato la patente di antimafiosità a certi politicanti di sinistra che incitano le masse…e chi ha dato l’investitura di antimafiosità a certi rappresentanti dell’associazionismo catto-comunista che speculano sui beni…e chi ha dato l’abilitazione ad essere portavoci dell’antimafiosità a certi scribacchini di sinistra che sobillano la società civile?
E perché questa antimafiosità ha immenso spazio su tv di Stato e giornali sostenuti dallo Stato per fomentare questa deriva culturale contro la nostra Nazione o parte di essa. Discrasia innescata da gruppi editoriali che influenzano l’informazione in Italia?
Fintanto che le vittime dell’antimafia useranno o subiranno il linguaggio dei loro carnefici, continueremo ad alimentare i cosiddetti antimafiosi che lucreranno sulla pelle degli avversari politici.
Se la legalità è l’atteggiamento ed il comportamento conforme alla legge, perché l’omologazione alla legalità non è uguale per tutti,…uguale anche per gli antimafiosi?
La legge va sempre rispettata, ma il legislatore deve conformarsi a principi internazionali condivisi di più alto spessore che non siano i propri interessi politici locali prettamente partigiani.
Va denunciato il fatto che l’antimafiosità è solo lotta politica e di propaganda e la mafia dell’antimafia è più pericolosa di ogni altra consorteria criminale, perchè: calunnia, diffama, espropria e distrugge in modo arbitrario ed impunito per sola sete di potere.
La mafia esiste ed è solo quella degli antimafiosi, o delle caste o delle lobbies o delle massonerie deviate. E se per gli antimafiosi, invece, tutto quel che succede è mafia…
Allora niente è mafia.
E se niente è mafia, alla fine gli stranieri considereranno gli italiani tutti mafiosi.
Invece mafioso è ogni atteggiamento e comportamento, da chiunque adottato, di sopraffazione e dall’omertà, anche istituzionale, che ne deriva.
Non denunciare ciò rende complici e di questo passo gli sciasciani non avranno mai visibilità se rimarranno da soli ed inascoltati.
*Antonio Giangrande ha scritto dei saggi sulla Mafia. (Mafiopoli; La Mafia dell’Antimafia; Castopoli; Massoneriopoli; Impunitopoli.)
Antonio Giangrande: Siamo tutti mafiosi, ma additiamo gli altri di esserlo. La mafia che c’è in noi. Quando i delinquenti dicono: “qua è cosa nostra!”; quando i politici dicono: “qua è cosa nostra!”; quando le istituzioni ed i magistrati dicono: “qua è cosa nostra!”; quando caste, lobbies e massonerie dicono: “qua è cosa nostra!”; quando gli imprenditori dicono: “qua è cosa nostra!”; quando i sindacati dicono: “qua è cosa nostra!”; quando i professionisti dicono: “qua è cosa nostra!”; quando le associazioni antimafia dicono: “qua è cosa nostra!”; quando i cittadini, singoli od associati, dicono: “qua è cosa nostra!”. Quando quella “cosa nostra”, spesso, è il diritto degli altri, allora quella è mafia. L’art. 416 bis c.p. vale per tutti: “L'associazione è di tipo mafioso quando coloro che ne fanno parte si avvalgono della forza di intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e di omertà che ne deriva per commettere delitti, per acquisire in modo diretto o indiretto la gestione o comunque il controllo di attività economiche, di concessioni, di autorizzazioni, appalti e servizi pubblici o per realizzare profitti o vantaggi ingiusti per sé o per altri”.
Antonio Giangrande: “Un paese di coglioni sarà sempre governato, amministrato, giudicato da coglioni.” Antonio Giangrande dal libro “L’Italia allo specchio. Il DNA degli italiani”.
"Il popolo cornuto era e cornuto resta: la differenza è che il fascismo appendeva una bandiera sola alle corna del popolo e la democrazia lascia che ognuno se l'appenda da sé, del colore che gli piace, alle proprie corna... Siamo al discorso di prima: non ci sono soltanto certi uomini a nascere cornuti, ci sono anche popoli interi; cornuti dall'antichità, una generazione appresso all'altra...- Io non mi sento cornuto - disse il giovane - e nemmeno io. Ma noi, caro mio, camminiamo sulle corna degli altri: come se ballassimo..." Leonardo Sciascia dal libro "Il giorno della civetta".
Antonio Giangrande: Se scrivi e dici la verità con il coraggio che gli altri non hanno, il risultato non sarà il loro rinsavimento ma l’essere tu additato come pazzo. Ti scontri sempre con la permalosità di magistrati e giornalisti e la sornionità degli avvocati avvezzi solo ai loro interessi. Categorie di saccenti che non ammettono critiche. Se scrivi e sei del centro-nord Italia, i conterranei diranno: che bel libro, bravo, è uno di noi. Se scrivi e sei del centro-sud Italia i conterranei diranno: quel libro l’avrei scritto anch’io, anzi meglio, ma sono solo cazzate.
Chi siamo noi?
Siamo i “coglioni” che altri volevano che fossimo o potessimo diventare.
Da bambini i genitori ci educavano secondo i loro canoni, fino a che abbiamo scoperto che era solo il canone di poveri ignoranti.
Da studenti i maestri ci istruivano secondo il loro pensiero, fino a che abbiamo scoperto che era solo il pensiero di comunisti arroganti. Prima dell’ABC ci insegnavano “Bella Ciao”.
Da credenti i ministri di culto ci erudivano sulla confessione religiosa secondo il loro verbo, fino a che abbiamo scoperto che era solo la parola di pedofili o terroristi.
Da lettori e telespettatori l’informazione (la claque del potere) ci ammaestrava all’odio per il diverso ed a credere di vivere in un paese democratico, civile ed avanzato, fino a che abbiamo scoperto che si muore di fame o detenuti in canili umani.
Da elettori i legislatori ci imponevano le leggi secondo il loro diritto, fino a che abbiamo scoperto che erano solo corrotti, mafiosi e massoni.
Ecco, appunto: siamo i “coglioni” che altri volevano che fossimo o potessimo diventare.
E se qualcuno non vuol essere “coglione” e vuol cambiare le cose, ma non ci riesce, vuol dire che è “coglione” lui e non lo sa, ovvero è circondato da amici e parenti “coglioni”.
Antonio Giangrande: A Roma, 2000 anni fa, il potere, per tacitare il popolo, dava "panem et circensis". La massa barattava la propria libertà per un tozzo di pane e per gli spettacoli negli anfiteatri. Dopo 2000 anni nulla è cambiato.
Antonio Giangrande: PER AVERE UNA PARVENZA DI INFORMAZIONE SONO COSTRETTO A VISIONARE: L'ESPRESSO, LA REPUBBLICA, IL CORRIERE DELA SERA (RCS) PER CONOSCERE I GOSSIP SULLA DESTRA; PANORAMA E IL GIORNALE (MONDADORI) PER I GOSSIP SULLA SINISTRA.
Antonio Giangrande: Gli impresentabili e la deriva forcaiola.
Ognuno di noi, italiani, siamo quello che altri hanno voluto che diventassimo. In famiglia, a scuola, in chiesa, sui media, ci hanno deturpato l’anima e la mente, inquinando la nostra conoscenza. Noi non sappiamo, ma crediamo di sapere…
La legalità è il comportamento conforme al dettato delle centinaia di migliaia di leggi…sempre che esse siano conosciute e che ci sia qualcuno, in ogni momento, che ce li faccia rispettare!
L’onestà è il riuscire a rimanere fuori dalle beghe giudiziarie…quando si ha la fortuna di farla franca o si ha il potere dell'impunità o dell'immunità che impedisce il fatto di non rimaner invischiato in indagini farlocche, anche da innocente.
Parlare di legalità o definirsi onesto non è e non può essere peculiarità di chi è di sinistra o di chi ha vinto un concorso truccato, né di chi si ritiene di essere un cittadino da 5 stelle, pur essendo un cittadino da 5 stalle.
Questo perché: chi si loda, si sbroda!
Le liste di proscrizione sono i tentativi di eliminare gli avversari politici, tramite la gogna mediatica, appellandosi all'arma della legalità e della onestà. Arma brandita da mani improprie. Ed in Italia tutte le mani sono improprie, per il sol fatto di essere italiani.
Ci sono delle regole stabilite dalla legge che definiscono i criteri che vietano eleggibilità e candidabilità. Se un cittadino regolarmente iscritto alle liste elettorali non si trova in nessuna di queste condizioni si può candidare. Punto.
"Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale". (art. 49 della costituzione italiana). Alle amministrative del 31 maggio 2015 gli elettori saranno aiutati dalla commissione parlamentare antimafia che ha presentato una lista di impresentabili, spiega Piero Sansonetti. Cioè un elenco di candidati che pur in possesso di tutti i diritti civili e politici, e quindi legittimati a presentarsi alle elezioni, sono giudicate moralmente non adatte dai saggi guidati da Rosy Bindi. Le liste di proscrizione furono inventate a Roma, un’ottantina di anni prima di Cristo dal dittatore Silla, che in questo modo ottenne l’esilio di tutti i suoi avversari politici. L’esperimento venne ripetuto con successo 40 anni dopo da Antonio e Ottaviano, dopo la morte di Cesare, e quella volta tra i proscritti ci fu anche Cicerone. Che fu torturato e decapitato. Stavolta per fortuna la proscrizione sarà realizzata senza violenze, e questo, bisogna dirlo, è un grosso passo avanti. La commissione naturalmente non ha il potere – se Dio vuole – di cancellare i candidati, visto che i candidati sono legalmente inattaccabili. Si limita a una sorta di blando pubblico linciaggio. Un appello ai cittadini: «Non votate questi farabutti».
Ed i primi nomi spifferati ai giornali sono pugliesi.
Ma chi sono i 4 candidati impresentabili pugliesi, quelli che, in base al codice etico dei loro partiti o dei partiti al cui candidato sono collegati non avrebbero potuto presentare la loro candidatura?
Attenzione! Siamo di fronte al diritto di tutti i candidati ad essere considerati persone perbene fino all’ultimo grado di giudizio.
Uno di loro è semplicemente indagato, gli altri sono stati assolti dalle accuse in primo grado, anche se i pm poi hanno fatto ricorso. Nessuno di loro è incandidabile, secondo la legge Severino, e tutti e quattro fossero votati potrebbero fare i consiglieri regionali.
Il primo è l’imprenditore Fabio Ladisa della lista «Popolari con Emiliano» che appoggia il candidato del Pd ed ex sindaco di Bari, Michele Emiliano. La Commissione precisa che «è stato rinviato a giudizio per furto aggravato, tentata estorsione (e altro), commessi nel 2011, con udienza fissata per il 3.12.2015». Imputato, non condannato.
Con Schittulli c'è Enzo Palmisano, medico, accusato per voto di scambio (anche se poi il procedimento era andato prescritto). Prescrizione non vuol dire condanna, ma scelta legittima di economia processuale.
Con Schittulli c'è Massimiliano Oggiano, commercialista, della lista «Oltre» (per lui accuse attinenti al 416 bis e al voto di scambio con metodo mafioso, è stato assolto in primo grado e pende appello, la cui udienza è fissata per il 3 giugno 2015). Assolto, quindi innocente.
Giovanni Copertino, ufficiale del corpo Forestale in congedo, accusato di voto di scambio (anche se poi era stato tutto prescritto, contro tale sentenza pende la fase di appello ), consigliere regionale Udc è in lista invece con Poli-Bortone. Prescrizione non vuol dire condanna, ma scelta legittima di economia processuale.
C’è un solo caso davvero incomprensibile: quello del candidato Pd alla presidenza della Regione Campania, Vincenzo De Luca. Per legge non potrà fare né il consigliere regionale, né il presidente della Regione Campania. Se venisse eletto il giorno dopo non potrebbe nemmeno mettere piede in consiglio regionale. Vittima, anch'egli di una legge sclerotica voluta dai manettari. Legge che ha colpito proprio loro, i forcaioli, appunto Vincenzo De Luca, sindaco di Salerno, e Luigi De Magistris, sindaco di Napoli e già dell’IDV di Antonio Di Pietro. Sospesi per legge, ma coperti temporaneamente dal Tar. Tar sfiduciato dalla Cassazione che riconosce il potere al Tribunale.
Con le liste di proscrizione si ha un regolamento politico di conti che nulla ha a che vedere con la legalità, spiega Mattia su “Butta”. La legalità la stabilisce la legge, non Rosy Bindi. Se la legge vigente non piace, liberissimi in Parlamento di modificarla affrontando l’opinione pubblica. Ma non è giusto mettere un timbro istituzionale su una cosa illegale come quella che sta facendo oggi la commissione antimafia. Illegale perchè va contro ed oltre la legge vigente, e non può farlo una istituzione. Non una istituzione, che per altro si è ben guardata dall’inserire nell’elencone degli impresentabili qualcuno macchiato del reato tipico dei consiglieri regionali: il peculato, la truffa sui contributi ai gruppi consiliari. L’avessero fatto, non ci sarebbero state elezioni...
Un privato cittadino può anche dire in giro che Tizio o Caio sono impresentabili perché X, ma rimane un suo giudizio personale. Già di suo è un giudizio scorretto: al massimo puoi dire che Tizio non deve essere eletto, non che è impresentabile. Puoi cioè invitare la gente a non votarlo (così come fai con tutti i candidati che non ti garbano) ma non è corretto dire che non dovrebbe essere nemmeno presentato. Può presentarsi eccome: in democrazia non c’è nessuno che è meno degno di presentarsi.
Forse non si percepisce la gravità di questo precedente. Il fatto che un pezzo di parlamento, ossia una istituzione che avrebbe ben altro da fare, come cercare la mafia nell’antimafia, si arroghi il diritto di indicare alla popolazione chi è degno di essere eletto e chi no in base ai propri gusti e non a una legge dello Stato è aberrante. Uscire l’ultimo giorno di campagna elettorale ad additare, con la forza di una istituzione, un tizio gridando “vergogna! è un X! non votatelo” senza dare al tizio la possibilità di difendersi allo stesso livello è preoccupante. Il metodo Boffo delle elezioni.
In questo modo avremo come impresentabili tutti quelli indicati da Filippo Facci.
1) Quelli condannati in giudicato;
2) No, quelli condannati in Appello;
3) No, quelli condannati in primo grado;
4) Basta che siano rinviati a giudizio;
5) Basta che siano indagati;
6) Sono impresentabili anche gli assolti per prescrizione;
7) Anche gli assolti e basta, ma "coinvolti" (segue stralcio di una sentenza);
Sono quelli che sarebbero anche gigli di campo, ma sono amici-parenti-sodali di un impresentabile;
9) Sono quelli che, in mancanza d'altro, sono nominati in un'intercettazione anche se priva di rilevanza penale;
10) gli impresentabili sono quelli che i probiviri del partito e lo statuto del partito e il codice etico del partito e il comitato dei garanti (del partito) fanno risultare impresentabili, cioè che non piacciono al segretario;
11) Sono quelli a cui allude vagamente Saviano;
12) Sono quelli - sempre innominati, sempre generici - che i giornali definiscono "nostalgici del Duce, professionisti del voto di scambio in odore di camorra";
13) Sono quelli - sempre innominati, sempre generici - di cui parlano anche il commissario Cantone e la senatrice Capacchione, e ne parlano pure i candidati che invece si giudicano presentabili, i quali dicono di non votare gli impresentabili;
14) Gli impresentabili sono quelli menzionati da qualche giornale, che però sono diversi da quelli nominati da altri giornali;
15) Sono i voltagabbana;
16) Gli impresentabili sono quelli che sono impresentabili: secondo me.
E così sia.
Antonio Giangrande: La mafia, conviene, ma non esiste. O almeno come oggi ce la propinano.
Cosa è la legalità?
La legalità è ogni comportamento difforme da quanto previsto e punito dalla legge. Si parla di comportamento e non di atteggiamento. Con il primo si ha un’azione o omissione, con il secondo vi è neutralità senza effetti. Per quanto riguarda la legge c’è da dire che un popolo di “coglioni” sarà sempre governato, amministrato, giudicato, istruito, informato, curato, cresciuto ed educato da coglioni. Ed è per questo che un popolo di coglioni avrà un Parlamento di coglioni che sfornerà “Leggi del Cazzo”, che non meritano di essere rispettate. Chi ci ha rincoglionito? I media e la discultura in mano alle religioni; alle ideologie; all’economie.
Cosa significa comportamento mafioso?
Prendiamo per esempio il nostro modo di chiamare i prepotenti violenti che vogliono affermare la loro volontà: diciamo “so’ camburristi”, ossia: sono camorristi. Quindi mafia significa prepotenza.
Contro il “Subisci e Taci”. Il dettato normativo. L. 13 settembre 1982 n. 646 (Rognoni-Latorre) L’art. 416 bis c.p. vale per tutti: “L'associazione è di tipo mafioso quando coloro che ne fanno parte si avvalgono della forza di intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e di omertà che ne deriva per commettere delitti, per acquisire in modo diretto o indiretto la gestione o comunque il controllo di attività economiche, di concessioni, di autorizzazioni, appalti e servizi pubblici o per realizzare profitti o vantaggi ingiusti per sé o per altri”.
Mafia: Nascita ed evoluzione.
Il fenomeno delle organizzazioni criminali in tutta Italia prendevano il nome di Brigantaggio. La struttura era orizzontale con nuclei locali autonomi ed indipendenti.
In tutto il Sud Italia con l’unificazione e l’occupazione Sabauda, se prima il brigantaggio ha favorito l’ascesa di Garibaldi, successivamente è diventato un piccolo esercito partigiano di liberazione di piccola durata 1860-1869. La struttura orizzontale è rimasta, ma si formò una sorta di coordinamento. Se da una parte vi fu la soppressione del brigantaggio politico meridionale, dall’altra parte in Sicilia si sviluppò il fenomeno di Cosa Nostra e del separatismo.
Mafiosi erano i potentati locali, sia essi amministratori periferici dello Stato, sia i latifondisti o potentati economici. Il loro braccio armato erano i componenti delle famiglie locali più pericolose e numerose. La mafia ha agevolativo di eventi storici: lo sbarco dei mille di Garibaldi, che ha permesso l’invasione dell’Italia meridionale da parte dei settentrionali; lo sbarco degli Alleati che ha agevolato la cacciata dei tedeschi.
La strage della portella della Ginestra a Palermo si deve ricondurre ad un tentativo di ristabilire l’ordine che veniva turbato da manifestazioni sindacali. Il fenomeno mafioso nel centro-nord Italia non era sviluppato, perché il Potere era molto più vicino alle periferie ed il controllo era più stringente.
Quel potere si sosteneva con le estorsioni, le mazzette, giochi d’azzardo e prostituzione, l’abigeato ed il furto di frutti o di bestiame. L’affare della droga verrà successivamente.
Il sistema mafioso aveva una struttura orizzontale, sia in Sicilia, sia in Calabria, sia in Campania e nel resto del Sud Italia. La Stidda e Cosa Nostra, la ‘Ndrangheta, La Sacra Corona Unita, i Basilischi, la Camorra, la Società foggiana.
Cosa Nostra, in Sicilia, rispetto alla Stidda, era il braccio armato dei potentati locali: al servizio della politica e dell’economia. Il Clan dei Corleonesi era una fazione all’interno di Cosa Nostra formatasi negli anni settanta, così chiamata perché i suoi leader più importanti provenivano dalla famiglia di Corleone: Luciano Liggio, Salvatore Riina, Bernardo Provenzano, Leoluca Bagarella. Cosa Nostra aveva struttura piramidale.
La Camorra, in Campania, da sodalizi criminali locali strutturati in linea orizzontale, agevolati dalla scarsità di risorse rispetto alla demografia del territorio, ha avuto un incremento con l’avvento di Raffaele Cutolo (Nuova Camorra Organizzata) con l’influenza e la supervisione di Cosa Nostra e ‘Ndrangheta. Con il culto della personalità degli esponenti delle fazioni in lotta la Camorra prende una struttura verticistica.
La Camorra influenzerà la Società Foggiana a struttura orizzontale.
La mafia pugliese e la mafia lucana, invece, sono creature delle famiglie calabresi.
Il sistema statale di contrasto.
Se dal Regno Sabaudo fino al Fascismo la magistratura era sotto l’egita governativa, con l’avvento della Repubblica i Magistrati sono sotto effetto politico.
La lotta al brigantaggio era più che altro una lotta politica contro gli oppositori della monarchia Sabauda ed impegnava tutte le risorse governative. In tal senso la criminalità comune e disorganizzata ne veniva avvantaggiata. Da sempre c’è stato il problema della sicurezza. Già oggi noi riscontriamo il problema della sicurezza. In caso di reati diffusi e ritenuti a torto bagatellari (furti, aggressioni, minacce, ingiurie, ecc.). Figuriamoci nei tempi andati, dove la struttura amministrativa aveva maglie molto più larghe e meno capillari, specialmente nei territori più remoti e lontani dal Centro del Potere. Se oggi abbiamo pochi agenti delle forze di polizia, figuriamoci allora. In questi territori lontani dal controllo burocratico il potere del Governo era affievolito perché non poteva contare su risorse adeguate di mezzi e persone. Ciò arrecava anarchia e corruzione, dove il prepotente, spesso al soldo dei ricchi, la faceva da padrone. In queste terre lontane si commettevano abusi e violenze di ogni specie, specie nei campi, lontani da occhi indiscreti. La mancanza di prove o la complicità delle istituzioni locali produceva impunità. L’impunità creava omertà.
Nella stessa America, nel Far West, per esempio si assoldavano pistoleri, spesso loro stessi criminali, per incutere rispetto al ruolo, al fine di affermare l’Ordine e la Sicurezza.
In Italia le terre più remote erano la Sicilia e la Calabria. In questi territori il rispetto, la sicurezza e l’ordine era delegata dai rappresentanti dello Stato o dai latifondisti a gruppi di cittadini, che oggi potremmo chiamare “vigilanza o ronda privata”. A questi, spesso galeotti o criminali, veniva riconosciuta una sorta di impunità dei loro crimini, nel nome dell’interesse comune.
Gli affari della Mafia.
L’attività criminale del Brigantaggio era fondata da rapine, estorsioni, furti. giochi d’azzardo e prostituzione, l’abigeato ed il furto di frutti o di bestiame.
La loro struttura solidale portava intimidazione e quindi soggezione ed omertà.
Poi è arrivata il traffico di droga ed armi, lo smaltimento di rifiuti illeciti e la tratta degli esseri umani. E cosa più importante sono arrivati gli appalti pubblici: la mafia-appalti.
L’Evoluzione della Mafia. Da coppola e lupara a penna e calcolatrice.
Nel 1950 Il Governo De Gasperi istituì La Cassa per il Mezzogiorno, ossia un fondo per finanziare lo sviluppo del meridione. Con questo strumento finanziario si ebbe la scissione tra mente e braccio armato della gestione criminale della cosa pubblica. E di conseguenza si ebbe una dicotomia del sistema mafioso tra armato e colletti bianchi. In Sicilia la struttura capillare territoriale rimase con il nome “Stidda”. Al contempo nella zona di Palermo, partendo da Corleone, si impose una struttura piramidale chiamata “Cosa Nostra” che si espanse in Italia e nel mondo. Avere a che fare con un singolo capo dei capi, era più comodo che interloquire con centinaia di capetti. Ora la gestione del potere non era più improntata sulla gestione del territorio e la commissione di reati comuni, ma sui flussi finanziari del denaro che servivano per lo sviluppo del Sud Italia. La gestione illecita di quei flussi, inoltre non era prevista e punita come illegale da nessuna norma. Quella mafia era perseguita con l’art.416 c.p.
La mafia appalti aveva appetiti enormi ed aveva tante bocche: La politica, la Massoneria deviata, le caste e le lobby. Queste componenti avena la mafia come braccio armato.
L’evoluzione dell’attacco al sistema.
Con l’avvento degli anni 80 si ebbe il salto di qualità. La torta di Mafia Appalti non era più distribuita in modo equitativo. Cominciarono a cadere le vittime eccellenti, ossia gli uomini dello Stato con alte cariche.
Lo Stato rispose con la Legge antimafia Rognoni-La Torre. Negli anni 90 si ebbe il periodo stragista.
Il Periodo Stragista e la morte di Falcone e Borsellino.
Fino a che non si è toccato il potere politico istituzionale e fino a Mani Pulite, cioè fino al tentativo di coinvolgere il PCI nelle malefatte politiche di Tangentopoli, il fenomeno mafioso rimaneva sottaciuto.
L’originale famiglia numerosa, pericolosa e prepotente territoriale, è sostituita da una famiglia più allargata: quella dei partiti che si finanziano con i fondi illeciti perché destinate per altre finalità. Questo per perpetuare il potere e le poltrone.
La gestione dell’ingente flusso di risorse finanziarie statali destinate al Sud era in mano alla politica (meno il MSI): Da Roma di decideva a chi destinare i fondi. La politica locale amministrava quei fondi. Tutti erano coinvolti.
Probabilmente il Pci, nella suddivisione della torta, era meno favorito della DC, al governo da sempre, a Roma come in Sicilia, per questo Berlinguer nel 1981 parlo di Questione morale.
Giovanni Falcone con il nuovo 416 bis c.p. istruì il Maxi Processo. Ma di questo enorme flusso di denaro se ne era accorto, come si era accorto, anche, che la faccia della mafia era cambiata. Il potere dalla Coppola e la Lupara di gente ignorante, era passato in mano ai colletti bianchi. I colletti bianchi rappresentavano i poteri dello Stato: la politica che gestiva il denaro; l’economia che riciclava quel denaro; la magistratura che insabbiava le notizie di reato. Per questo Falcone diceva che per sconfiggere la mafia bisognava seguire i soldi: quelli della Cassa del Mezzogiorno, in seguito quelli dei fondi europei. E per questo nacque la collaborazione con Antonio Di Pietro a Milano. Ma Falcone diceva anche un’altra cosa che ai magistrati dava molto fastidio perché lesiva delle loro prerogative: creare un’entità nazionale che potesse far applicare la legge in quei porti delle nebbie che erano i palazzi di giustizia.
Quell’essere diverso è costata cara a Giovanni Falcone. Su quei soldi non si doveva indagare. Il fatto che Falcone potesse avere un più alto grado di Responsabilità e Potere nei palazzi romani era osteggiato da tutti, specialmente dalla sinistra e da quei magistrati di riferimento. Falcone, che con quel ruolo al Ministero della Giustizia, aveva fatto nascere la Procura Nazionale Antimafia, era da calunniare e denigrare. Lo stesso Leoluca Orlando, “eterno” sindaco di Palermo ed esponente di quella sinistra della Dc, poi tramutata in La Rete, è stato il più acerrimo nemico di Giovanni Falcone con i suoi molteplici esposti penali contro il magistrato. L’inchiesta “Mafia appalti”, assolutamente non si doveva fare. O lo si fermava con le calunnie. O lo si fermava in alto modo.
Il Penta Partito acquisiva ed impiegava i fondi illeciti Italia su Italia. Il Pci li acquisiva e li inviava a Mosca. Qui le somme di denaro si convertivano in Rubli, ed in questa forma rientravano come finanziamenti leciti dall’Urss che li riciclava e li lavava. Finanziamenti ignorati dal Pool di Milano
Agli inizi del 1992 inizia Mani Pulite. Al Penta Partito ci pensa il Pool di Mani Pulite di Milano, che sui rubli del PCI rimane inattivo, ma che, sicuramente, Falcone non avrebbe avuto remore ad andare avanti, o chi per lui, anche attraverso gli incarichi ministeriali. Ma non doveva.
Infatti il 23 maggio 1992 con la sua morte la pista dei rubli di Mosca si ferma definitivamente.
Con la morte di Falcone e di Paolo Borsellino, che sicuro ne avrebbe proseguito le orme, il Pci è uscito indenne dal ciclone di Mani Pulite, dove addirittura la Lega ha pagato lo scotto.
E l’immagine del Pci è rimasta illibata a scanso di tutte le inchieste. Quelle inchieste in cui gli investigatori hanno trovato candidatura nei partiti da loro inquisiti, o comunque alleati: Di Pietro, Emiliano, Maritati.
Gli affari dell’antimafia.
Con la Morte di Falcone e Borsellino gli affari della mafia sono diventati affari dell’antimafia.
L’apparato statale in mano alla sinistra: Le istituzioni, i media, la cultura, l’associazionismo e il sindacalismo hanno impiegato tutto il loro impegno nella propaganda, sfruttando al meglio la possibilità di finanziarsi economicamente con il business dell’antimafia.
Oggi con le leggi del Cazzo si attua quell’espropriazione proletaria che ha sempre ispirato il Pci (tu sei ricco perché sei mafioso ed hai rubato), ma il meridione paga un danno enorme, perché in nome della lotta alla mafia si lede la libera concorrenza. Perché il meridionale è mafioso a prescindere, ovunque esso sia.
Nel nome della lotta antimafia l’azienda meridionale non può lavorare perché se si ha sentore di mafiosità scatta l’interdittiva antimafia. Anche sol perché si ha un parente lontano ritenuto mafioso o un dipendente vicino o con parenti vicini ad esponenti mafiosi.
Nel nome dell’antimafia si sequestrano i beni di imprenditori ritenuti mafiosi da indagini aperte per delazione di pentiti fasulli. Imprenditori che alla fine risultano innocenti. Ciò nonostante quei beni vengono confiscati.
Nel nome dell’antimafia gli appalti tolti alle aziende meridionali (cessate o interdette) vanno a finire per lo più assegnati alle Cooperative Rosse, ed in minima parte ad altre aziende settentrionali.
Oggi con le leggi del Cazzo la sinistra ha pensato bene di finanziare la sua attività politica e di propaganda anche con attività extraeconomiche. Lo stesso Sciascia nel 1987 puntava il dito sui professionisti dell’antimafia.
Oggi ci ritroviamo Libera ad essere il collettore monopolista di tutte le associazioni antimafia prefettizie che costringono i loro assistiti alla denuncia, per non essere cancellati, da cui scaturisce il business delle costituzioni di parti civili e dei beni sequestrati e confiscati.
Oggi ci ritroviamo Libera ad avere il monopolio della gestione dei beni sequestrati e confiscati ai cosiddetti mafiosi o presunti tali. Gestione oltretutto sostenuta con progetti e fondi finanziati dallo Stato.
Oggi ci ritroviamo apparati giudiziari ed associativi che
Perché si è Sciasciani.
Prima degli anni ‘80 a dare carattere di mafiosità al sistema criminal-burocratico vi era solo un grande conoscitore della questione: il comunista Leonardo Sciascia. Sciascia con il suo “Il Giorno della Civetta” suddivideva la realtà contemporanea in “uomini (pochi) mezzi.
Tutte le mafie. Oggi l’originale famiglia numerosa, pericolosa e prepotente territoriale, con la coppola e la lupara, è sostituita da una famiglia più allargata e dalla faccia pulita:
Quella dei partiti che continuano a finanziarsi non più con fondi illeciti, ma con fondazioni.
Quella delle caste e delle lobby, composte da ordini, collegi, e gruppi economici, che per pressione elettorale inducono a legiferare per i loro tornaconti
Quella delle Massonerie deviate, i cui componenti, portatori di interessi lobbistici e di gruppi economici finanziari, influenzano le scelte politiche nazionali e locali.
Queste entità spostano l’attenzione, attraverso i media a loro asserviti su falsi problemi.
Il Caporalato. Parlano di caporalato, tacendo sullo sfruttamento addirittura del magistrati onorari, ricercatori universitari, praticanti e portaborse parlamentari.
L’Usura ed i fallimenti truccati. Parlano di Usura, tacendo su quella bancaria e quella di Stato e sui fallimenti truccati e sulle aste truccate.
gestiscono in modo approssimativo ed amicale i beni sequestrati e confiscati ai cosiddetti mafiosi.
Le mafie in Italia. In questo stato di cose oggi ci troviamo ad avere oltre le nostre mafie bianche e nere, anche le mafie di importazione: nigeriana, cinese, albanese, rumena, russa, ecc.
Oggi intanto gli arroganti saccenti col ditino alzato continuano a menarla con “avversario politico = ignorante-mafioso.
Antonio Giangrande: La liturgia antimafia.
«Da presidente nazionale di una associazione antimafia è una vergogna non essere invitati ad alcuna celebrazione istituzionale o scolastica dedicata ai martiri della mafia: tra cui Falcone e Borsellino. Questo pur essendo il massimo esperto della materia. Questo perché noi non seguiamo la logica nazionale delle celebrazioni di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, specialmente fatta da chi ne ha causato la morte. Perché non ci associamo alla liturgia di questa antimafia che poi è forse solo propaganda. Si farebbe cosa nobile, invece, svelare la verità sulla loro morte e disincentivare tutti quei comportamenti socio mafiosi che inquinano la società italiana. Come si farebbe onore alla verità svelare chi e come paga l’andabaran di carovane e carovanieri. In riferimento all’attentato di Brindisi ed a tutte le manifestazioni di esaltazione di un certo modo di fare antimafia di parte e di facciata, denuncio l’ipocrisia di qualcuno che suggestiona e manipola la mente dei giovani per indurli ad adottare comportamenti miranti a promuovere una verità distorta su chi e come fa antimafia» Questa è la denuncia del Dr Antonio Giangrande, presidente nazionale de “L’Associazione Contro Tutte le Mafie”. «Brindisi e Mesagne e l’intero Salento sono diventate tutto d’un tratto terra di mafia e di mafiosi e per gli effetti sono diventate palco promozionale per carovane e carovanieri proveniente da ogni dove, da cui noi prendiamo assolutamente le distanze. Mesagne e Brindisi e tutto il Salento non hanno bisogno di striscioni in sparute manifestazioni o di omelie religiose per fare ciò che deve essere fatto: sia in campo istituzionale, sia in campo sociale. Gli studenti, con la mente vergine ed aperta, non devono essere influenzati da falsi pedagoghi catto-comunisti, sostenuti da sindacati e movimenti di sinistra, che inducono a falsi convincimenti di tipo ideologico. La lotta alla mafia è un’altra cosa: è conoscenza senza censura ed omertà scevra da giudizi preconcetti».
Antonio Giangrande: Cultura e cittadinanza attiva. Diamo voce alla piccola editoria indipendente.
Collana editoriale “L’Italia del Trucco, l’Italia che siamo”. Una lettura alternativa per l’estate, ma anche per tutto l’anno.
L’autore Antonio Giangrande: “Conoscere per giudicare”.
"Fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza". Dante, Inferno XXVI.
La collana editoriale indipendente “L’Italia del Trucco, l’Italia che siamo” racconta un’Italia inenarrabile ed inenarrata.
Antonio Giangrande: Siracusa. Indagate 17 persone. Coinvolti a vario titolo ci sono magistrati, giudici, imprenditori, dirigenti pubblici, politici, giornalisti, avvocati, faccendieri e portaborse.
Antonio Giangrande sempre dalla parte del torto, perché dalla parte della ragione i posti son tutti occupati.
Antonio Giangrande: La vicenda “Siracusa” sarà inserita nel libro periodico: “Italia allo Specchio”. Il Dna degli Italiani, Anno 2017”. Per l’approfondimento per temi e per territori si prega di visionare gli altri Titoli della Collana editoriale “L’Italia del Trucco. L’Italia che siamo” su Amazon.
Franco Oddo: Antonio Giangrande merita attenzione. Se non ricordo male la data, nel 2010 ho pubblicato sulla Civetta alcune sue riflessioni sui concorsi nella magistratura, sui "consigli ai sindaci senza esperienza" per truccare gli appalti, e qualcos'altro. Sferzante, efficace, coraggioso. E' per questo che, da giornalista indagato dalla Procura di Messina quale autore, nel 2011/2012, dell'inchiesta sulla Procura (in 334 pagine di intercettazioni ai politici che chiacchieravano in un bar, non ce n'è una sola di me che parlo con qualcuno o viceversa, non c'è riferimento a dazioni di denaro o nomina di consulenti o assunzione di congiunti) mi piacerebbe sapere in che modo Giangrande intende trattare la vicenda Siracusa.
Antonio Giangrande: Come trattare la vicenda Siracusa? Parlarne, approfondirne gli aspetti sociologici e dare voce a tutti (come Concetto Alota), attraverso le loro pubblicazioni imparziali e disinteressate, per vedere cosa c’è dietro il risvolto della medaglia. Verità, attinenza/pertinenza, interesse pubblico. Non parlare della singola vittima, che nella ragione è tacciata di mitomania o pazzia e che tende ad essere in ogni discorso, l’ombelico del mondo, ma parlare dell’oggettivo. I magistrati, dio in terra, nel pretendere ovazione, devono meritarla. Incutere il sospetto che la venerazione sia immeritata è già di per sé una notizia indicibile e reprensibile. Parlare di Siracusa è come, già fatto, parlare di tutte le altre città. Ergo: Siracusa-Italia. E di conseguenza parlare delle disfunzioni della Giustizia a danno dell’interesse privato (Ingiustiziopoli) e dell’interesse pubblico (Malagiustiziopoli) con l’irresponsabilità dei colpevoli (Impunitopoli). Quindi parlarne per cambiare il sistema impunito ed omertoso. E se lo scrive Antonio Giangrande, allora tutto il mondo lo leggerà.
Capitano Pustizzi: "Non parlare della singola vittima, che nella ragione è tacciata di mitomania o pazzia e che tende ad essere in ogni discorso, l’ombelico del mondo, ma parlare dell’oggettivo." Questo me la devo scrivere come la più grossa minchiata del secolo, una minchiatona mai vista.
Antonio Giangrande: A questa minchiatona mai vista ci sono arrivato dopo decenni di studio. Ed è un dogma incontestabile frutto di una logica deduzione. In Italia ci sono 5 milioni di vittime conclamate di ingiustizia negli ultimi 50 anni. Ed un numero doppio di altri casi di gente che, se pur innocente, non ha potuto dimostrarlo. Ognuno di loro, però, guarda solo i cazzi suoi, fottendosene della disgrazia altrui, pur pretendendo aiuto. E ad aiutarli si rischia di sprofondare con loro per colpa del loro egoismo. E’ successo a me come avvocato ed a tanti colleghi che hanno avuto il coraggio di mettersi contro i potenti del Foro. I clienti li difendi contro tutto e tutti e questi ti lasciano solo. Aprendo i loro blog invisitati si legge solo di loro e delle loro disavventure giudiziarie. E dire che molti miei libri parlano di queste vittime e di questo ne sono assolutamente ignari. Parlare dell’oggettivo, per dimostrare che le vittime non sono mitomani o pazzi, è uno strumento di persuasione pubblica. Se si parlasse di minchioni, anziché di minchiate, allora si analizzerebbe il fatto che se 5 milioni di vittime conclamate votanti, oltre ad altrettante vittime indimostrate assieme alla loro parentela, votassero per cambiare il sistema allora sì che non ci sarebbero più minchioni a commentare cose che non sanno e che vanno al di là del loro comprendonio. Il risultato al netto delle minchiate secolari è che un popolo di coglioni sarà sempre governato ed amministrato da coglioni. Ergo: con tanti minchioni mai nulla cambierà.
Antonio Giangrande: Usurati ed esecutati. Aste giudiziarie fallimentari. Il marcio sotto il tappeto: chi si scusa si accusa.
Il business delle Aste giudiziarie fallimentari e della gestione dei beni confiscati a presunti mafiosi.
L’intervento del dr Antonio Giangrande, presidente della Associazione Contro Tutte le Mafie.
Dr Antonio Giangrande Scrittore, sociologo storico, giurista, blogger, youtuber, presidente dell’Associazione Contro Tutte le Mafie.
Sono presidente di una associazione Antiracket ed Antiusura, riconosciuta dal Ministero dell’Interno perché iscritta presso la Prefettura di Taranto nell’elenco dei sodalizi antimafia, finchè lo permetteranno. La mia peculiarità è quella di essere presidente di una associazione che non prende soldi da alcuno, né ha agganci politici o istituzionali. Per tale carica e per la mia storia sono l’unico destinatario delle lamentele di migliaia di cittadini usurati ed esecutati da tutta Italia. Accuse tutte uguali: sfiducia nella giustizia e nelle istituzioni. La mia risposta a costoro è una sola: non caverete un ragno dal buco.
L’assunto è provato dal mio libro “Usuropoli e Fallimentopoli. Usura e fallimenti truccati”. Saggio che raccoglie le storie piccole e grandi sparse in tutta Italia. Storie come quelle di cui si parla in questo periodo al tribunale di Taranto: Foro chiacchierato per questa e per altre vicende. Ma del chiacchiericcio si deve tacere, altrimenti capita quello che capita a me: perseguitato dalla magistratura di Taranto e Potenza perché oso parlarne.
Da tempo mi chiamano i cittadini tarantini per denunciare anomalie nella gestione delle aste giudiziarie fallimentari e di questi ne ho fatto un gran fascio, oggetto di prove, veicolati presso uno studio legale che le raccoglie. Solo in questo periodo è montata la polemica per la presentazione di interrogazioni parlamentari, che ha permesso di parlare pubblicamente del fenomeno senza ritorsioni e stranamente si è parata un’alzata di scudi a spada tratta da parte delle corporazioni coinvolte: Excusatio non petita, accusatio manifesta, ossia, chi si scusa si accusa.
Ma provare a chi? Ai magistrati?
Un fallimento? In Italia può durare anche mezzo secolo !!! Quarantasei anni: a tanto ammonta la durata della procedura fallimentare di un’azienda di Taranto. Lo racconta Sergio Rizzo nella “Cricca”, un saggio Rizzoli dedicato alle lentezze e ai mille conflitti d’interesse del nostro Paese. Leggiamone un estratto. A Berlino la costruzione del Muro procedeva a ritmi serrati. Papa Giovanni XXIII aveva scomunicato il comunista Fidel Castro e la Francia riconosceva l’indipendenza dell’Algeria. In Italia Aldo Moro apriva la stagione del centrosinistra, Enrico Mattei regnava sull’Eni, Antonio Segni entrava al Quirinale. E mentre per la prima volta, dopo 400 anni, le orbite di Nettuno e Plutone si allineavano e gli Stati Uniti mandavano il loro primo uomo in orbita intorno alla Terra, in quel 1962 falliva a Taranto la ditta del signor Otello Semeraro. Non meritò nemmeno due righe in cronaca la notizia che al tribunale del capoluogo pugliese stava per cominciare una delle procedure fallimentari più lunghe della storia della Repubblica. Quarantasei anni. Nel 2008 il tribunale di Taranto ha approvato il rendiconto finale del fallimento Semeraro, con un verbale condito da particolari burocraticamente esilaranti. «Avanti l’Illustrissimo Signor Giudice Delegato Pietro Genoviva assistito dal cancelliere è personalmente comparso il curatore Michele Grippa il quale fa presente che tutti i creditori ed il fallito sono stati avvisati mediante raccomandata con avviso di ricevimento dell’avvenuto deposito del conto di cancelleria.» Nonostante ciò il giudice «dà atto che all’udienza né il fallito né alcun creditore è comparso». Sulle ragioni dell’assenza dei creditori non ci sono informazioni certe. Invece il signor Semeraro, pur volendo, difficilmente si sarebbe potuto presentare. Fitto è il mistero dell’indirizzo al quale gli sarebbe stata recapitata la raccomandata, con tanto di ricevuta di ritorno: perché egli, purtroppo, non è più tra i vivi. Come il tribunale di Taranto non poteva non sapere, avendo accertato, nel rendiconto del fallimento, un versamento di 10.263 euro «a favore della vedova di O. Semeraro». Quarantasei anni. Una lentezza inaccettabile per qualunque procedimento. Figuriamoci per un fallimento che ha fatto recuperare in tutto 188.314 euro, ai valori di oggi. Con la doverosa precisazione che un terzo abbondante se n’è andato in spese: 70.000 euro, di cui 50.398 soltanto per gli avvocati. Nei tribunali mancano i cancellieri, è vero. Nemmeno i giudici sono così numerosi. Poi la burocrazia, le procedure...Sulla scia del fenomeno denunciato è scandaloso quanto succede a Taranto. L’avv. Patrizio Giangrande, fratello del presidente Antonio Giangrande, e l’avv. Giancarlo De Valerio vincono la causa contro Equitalia Spa per risarcimento danni, sulla base di ipoteche su immobili emesse da detta società senza alcun avviso e per importi milionari attinenti presunti crediti, risultati inesistenti. Il Tribunale ha riconosciuto il risarcimento di svariate migliaia di euro liquidati in via equitativa. La cosa scandalosa è che, purtroppo, sono migliaia i casi in cui avvengono invii di cartelle talvolta recanti debiti anche estinti e con scadenze decennali. Il sistema permette al Fisco di effettuare sequestri di immobili o fermo amministrativo di auto, senza aver verificato, come nel caso di causa, la effettiva esistenza debitoria applicando interessi e spese che spesso superano l’importo del debito stesso, stranamente somme non calcolate come usuraie. Allucinante è il fatto che gli avvocati, in virtù della sentenza di condanna, recatisi unitamente all’ufficiale giudiziario per rendere ad Equitalia il torto subito ed eseguire il pignoramento presso la loro sede a Taranto, gli è stato comunicato dalla stessa Equitalia spa che non intende pagare, ritenendo i beni e i fondi insequestrabili. Pazzesco è che solo il Quotidiano di Puglia, alla pagina interna su Manduria, a firma di Gianluca Ceresio, si è occupato della vicenda che interessa tutti i cittadini, non solo tarantini, per la disparità di trattamento dei diritti lesi.
Legislatura 17 Atto di Sindacato Ispettivo n° 4-06628. Pubblicato il 9 novembre 2016, nella seduta n. 719: “…le denunce che giungono presso il Tribunale e la Procura potentina sarebbero destinate all'insabbiamento ed all'archiviazione, così come era stato evidenziato nell'atto di sindacato ispettivo 4-06370”. Aste, stop alle accuse: “rispettate tutte le leggi”, scrive Campicelli su “Il Quotidiano di Puglia”. Il presidente del Tribunale di Taranto Francesco Lucafò respinge con fermezza qualsiasi insinuazione su “condotte non lineari” nell’esercizio delle funzioni svolte dai magistrati tarantini impegnati sul fronte delle esecuzioni immobiliari e delle aste giudiziarie: «La legge è chiara e le procedure si rispettano fino in fondo».
Già perché nei tribunali si rispettano le leggi? A questa domanda risponde un ex magistrato antimafia.
Ingroia: «Il tribunale di Roma ignora il lavoro dei pm nisseni». L’ex pm aveva chiesto che l'avvocato Gaetano Cappellano Seminara venisse ascoltato come teste assistito nel processo sul riciclaggio del tesoro di Ciancimino, scrive il 2 novembre 2015 "Il Corriere del Mezzogiorno". «Sono rimasto sorpreso della decisione del tribunale di Roma di non acquisire gli atti dell’inchiesta della procura di Caltanissetta e del Consiglio Superiore della Magistratura sull’ex presidente della Sezione misure di prevenzione del tribunale di Palermo, Silvana Saguto, e di non ascoltare l’avvocato Gaetano Cappellano Seminara nella veste di teste assistito. Una decisione che trovo assolutamente incomprensibile e che rende purtroppo più difficile la ricerca della verità». Lo dichiara l’avvocato Antonio Ingroia, difensore di Raffaele Valente e del rumeno Victor Dombrovschi. «Il collegio - aggiunge Ingroia - ha totalmente ignorato le evidenti connessioni probatorie esistenti tra il processo di Roma e l’inchiesta di Caltanissetta, che vede indagati l’avvocato Gaetano Cappellano Seminara e la giudice Silvana Saguto per fatti gravissimi all’esame del Csm e su cui si è pronunciato in modo netto anche il ministro della Giustizia Orlando. Nel procedimento romano, infatti, risultava che Cappellano Seminara era stato nominato dalla Saguto amministratore giudiziario dei beni sequestrati, e sequestrati proprio grazie alle informative di Cappellano Seminara: come si può negare che ci sia una connessione con quanto emerso nelle ultime settimane a Palermo? La logica suggerisce di sì e invece il tribunale ha deciso di ignorare il lavoro dei pm nisseni. Evidentemente - conclude Ingroia - meglio non sentire, non vedere, non sapere. Ma non è così che si accerta la verità e si fa giustizia».
Ma provare a chi? Agli ispettori ministeriali?
Se, come è stato evidenziato nell’interrogazione parlamentare, tutto è stato insabbiato a Potenza, come può desumersi fonte di prova un atto che non si trova o che sia già valutato negativamente dal sistema giudiziario? E comunque, il Ministero della Giustizia, (andando contro corrente, anche in virtù delle risultanze di una certosina ispezione senza condizionamenti ambientali, da cui risultasse un sistema criminale collusivo non certificato dai magistrati), promuovesse un’azione disciplinare nei confronti dei responsabili, quale risultato ne conseguirebbe, se non un esito scontato?
PUNTATA DEL 29/11/2015. LA GIUSTA CAUSA di Claudia Di Pasquale
CLAUDIA DI PASQUALE FUORI CAMPO:…ma un procedimento disciplinare del CSM a carico di un magistrato può durare fino a 5 anni.
CLAUDIA DI PASQUALE: Ogni anno quanti procedimenti vengono invece archiviati?
PASQUALE CICCOLO - PROCURATORE GENERALE CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE: La media è il 94% circa.
CLAUDIA DI PASQUALE: Che cosa?
PASQUALE CICCOLO - PROCURATORE GENERALE CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE: Delle archiviazioni sul numero degli esposti. Noi facciamo azione disciplinare sul 7% degli esposti.
FRANCANTONIO GRANERO - EX PROCURATORE DELLA REPUBBLICA DI SAVONA: Quando un magistrato prende uno svarione nessuno gli fa un procedimento disciplinare.
Ma provare a chi? Ai Prefetti in funzione antiusura ed antiracket?
Nella migliore delle ipotesi, da rappresentanti istituzionali e governativi, ti impediscono di parlare di usura bancaria e di aste truccate, come di malagiustizia in generale; nella peggiore delle ipotesi si parla di Prefetti arrestati o condannati, come Ennio Blasco per corruzione in relazione alle certificazioni antimafia rilasciate, o Carlo Ferrigno per usura e sesso in cambio di aiuto o agevolazioni.
Ma provare a chi? Agli avvocati?
Avvocati? A trovarne uno meritevole di tale appellativo è un’impresa. E se lo trovi te lo tieni stretto, pur essendo sempre un avvocato, coi i suoi difetti e con i suoi pregi. Il fascio di prove sono in mano ad un avvocato coraggioso di Massafra, che per ripicca è isolato ed accusato di Stalking giudiziario. Per altro gli avvocati di Taranto hanno preso una netta posizione.
I presunti brogli nella gestione dei fallimenti. «Infangata la Giustizia per scopi elettorali», Il presidente dell’Ordine degli Avvocati, Vincenzo Di Maggio, attacca il M5S: “preferisce il sensazionalismo all’impegno per risolvere i problemi”, scrive Enzo Ferrari su "Taranto Buona Sera” il 16 novembre 2016.
«Fallimenti ed esecuzioni, le procedure sono corrette». Documento delle Camere delle Procedure Esecutive e delle Procedure Concorsuali, scrive "Taranto Buona Sera” il 10 novembre 2016. In un documento congiunto, i rispettivi presidenti, gli avvocati Fedele Moretti e Cosimo Buonfrate, fanno chiarezza a tutela della onorabilità dei professionisti impegnati come curatori e custodi giudiziari ed esprimendo piena fiducia nell’operato dei magistrati.
Ma provare a chi? Ai commercialisti?
Vicenda Aste pilotate, i commercialisti: fiducia nei magistrati, scrive Marcella D'Addato il 15 novembre 2016 su "Canale 189”.
Ma provare a chi? Ai politici parlamentari?
I due parlamentari di Taranto (avvocati) scrivono al ministro per difendere la sezione fallimentare del tribunale. Chiarelli e Pelillo evidenziano quelle che ritengono le estraneità assolute con fatti riguardanti la malavita e attaccano i parlamentari M5S che chiedono di chiarire presunte anomalie, scrive il 16 novembre 2016 “Noi Notizie”.
La polemica. Abusi nella gestione dei fallimenti, bufera sul Movimento 5 Stelle. Pelillo e Chiarelli scrivono al ministro Orlando e attaccano i senatori pentastellati, scrive "Taranto Buona Sera” il 16 novembre 2016. Diventa un caso politico la polemica sollevata da un gruppo di senatori del M5S su presunti abusi nella gestione dei fallimenti al Tribunale di Taranto. La reazione parlamentare all’interrogazione dei Cinquestelle arriva in modalità bipartisan con una lettera congiunta degli onorevoli Michele Pelillo (Pd) e Gianfranco Chiarelli (CoR) indirizzata al ministro della Giustizia, Andrea Orlando. Una lettera nella quale, oltre a esprimere incondizionata fiducia agli operatori della giustizia, i due deputati accusano i senatori del M5S di aver voluto strumentalizzare politicamente situazioni che neppure conoscono.
Ma provare a chi? All’antipolitica parlamentare?
Aste Immobiliari del Tribunale di Taranto, il Meetup amici di Beppe grillo di Massafra risponde, scrive "Vivi Massafra” il 16 Novembre 2016. «Ma quali fini elettoralistici… il movimento 5 stelle non ne ha bisogno, cammina sulle sue gambe, anzi corre, e meno male che c’è!" Meetup Amici di Beppe Grillo Massafra». Da sapere che i 12 senatori della prima interrogazione che ha innescato la polemica ed i 15 senatori della seconda interrogazione sono quei parlamentari che hanno votato contro la responsabilità civile dei magistrati. Ergo: per la loro assoluta impunità ed irresponsabilità! Inoltre è risaputo il fenomeno dei concorsi pubblici farsa o truccati. Allora perché non chiedere ai rappresentanti delle categorie interessate pronti ad aprir bocca, come loro sono stati abilitati?
Ma provare a chi? Al regime omologato dell’informazione, che ha anch’essa assoluta fiducia nella magistratura?
Da premettere che ricevo segnalazioni di inchieste a carico di magistrati ed avvocati delle quali nessuno ha mai saputo nullo, compreso l’inchiesta sul bilancio del Consiglio dell’Ordine degli avvocati di Taranto. Ma è esemplare come la vicenda delle aste giudiziarie fallimentari a Taranto con conseguente interrogazione parlamentare e ispezione ministeriale a gennaio 2017, sia rimasta censurata sulla stampa nazionale e locale, salvo casi eccezionali. Nella cerchia nell’eccezionalità, nella maggioranza dei casi, però, deformando la realtà. Si pensi che il video della intercettazione privata ambientale in cui si dimostra la concussione di un delegato giudiziario è stato pubblicato da un giornale non tarantino, non pugliese, ma da un giornale lucano. E comunque nessuno ha avuto il coraggio di fare il nome dell’avvocato coinvolto a chiedere la presunta tangente.
Su come sono stati trattati i fatti vi è un esempio lampante: “Caso aste giudiziarie a Taranto, un'inchiesta per fare chiarezza. La procura farà chiarezza sulle denunce arrivate dagli agricoltori”. Servizio di Francesco Persiani del 9/11/2016 su TeleNorba. Breve intervista a Paolo Rubino, Tavolo Verde agricoltori: «Non possiamo che registrare una grande sfiducia nelle istituzioni. In questo caso della Magistratura». Il resto dell'intervista dedicata all'Avv. Fedele Moretti, Presidente Camera Procedure ed Esecuzioni Immobiliari. «La Procura indagherà, partendo dai servizi giornalistici di questi giorni, ritenute possibili notizie di reato e per questo acquisiti dall’autorità giudiziaria su disposizione del procuratore capo presso il Tribunale di Taranto Carlo Maria Capristo», chiosa Persiani.
Servizi giornalistici? Lo studio legale che ha il fascio di prove sulle aste di Taranto è tenuta ben lontana dagli autori dei servizi giornalistici mai nati. Perché? Perché i giornalisti son di sinistra e son amici dei magistrati. Ecco a voi una vera e propria perla andata in onda su Rainews24: durante la notte delle elezioni americane, Giovanna Botteri si è lasciata andare alla disperazione: «Che ne sarà di noi giornalisti se non riusciamo più a influenzare l’opinione pubblica?» Parole testuali: «Che cosa succederà a noi giornalisti? Non si è mai vista come in queste elezioni una stampa così compatta ed unita contro un candidato… che cosa succederà ora che la stampa non ha più forza e peso nella società americana? Le cose che sono state scritte, le cose che sono state dette evidentemente non hanno influito su questo risultato e sull’elettorato che ha creduto a Trump e non alla stampa!». Forse è per questo che la gente non si fida più di voi? Forse è per questo che non vendete più giornali? Forse è per questo che dovete andarvene tutti a casa?
Ma i giornalisti sono troppo di sinistra? Si chiedono Luigi Curini e Sergio Splendore di Lavoce.info il 20 ottobre 2016 su "Il Fatto Quotidiano". I giornalisti italiani si collocano politicamente più a sinistra dei cittadini. Ne consegue una scarsa fiducia dei lettori nella carta stampata. Perché i giornali non reagiscono? Perché a leggerli e comprarli sono coloro che hanno una posizione ideologica in media più vicina a chi li scrive. Il difficile rapporto tra italiani e stampa. Stando ai sondaggi periodicamente effettuati da Eurobarometro, i cittadini italiani hanno poca fiducia nella carta stampata. Sostanzialmente più di un italiano su due esprime un giudizio negativo a riguardo: negli ultimi quindici anni la media del livello di fiducia verso la stampa è stata complessivamente del 43 per cento, quattro punti in meno del dato europeo nello stesso periodo. Le spiegazioni più ricorrenti riconducono la sfiducia al modello di giornalismo italiano contraddistinto da una propensione al commento, da un alto livello di parallelismo politico e da una stampa che storicamente si è indirizzata a una élite, producendo, come conseguenza, bassi livelli di lettura. In questo quadro, il rapporto tra giornalisti e cittadini rimane tuttavia in secondo piano.
Tra gli omologati spicca la figura dell’eccezione. «Cane non morde cane. Le certezze del sistema e i dubbi dei cittadini. Sul caso delle aste pilotate al tribunale di Taranto e delle facili archiviazioni alla Procura di Potenza levata di scudi contro i Cinque Stelle e la nostra inchiesta. A quando la verità? - Scrive Michele Finizio su "Basilicata 24", mercoledì 16/11/2016. - Può darsi che quanto raccontato negli esposti dei cittadini vittime delle “presunte” irregolarità sia tutto falso, Oppure tutto vero. Basta fare qualche verifica. Eppure, a quanto pare, tutti i signori della giustizia, della politica, delle professioni, della stampa, non hanno dubbi: “Tutto regolare”. Vorremmo toglierci il dubbio anche noi, per questo il nostro lavoro di inchiesta sulla vicenda, continua. A presto rivederci».
Ma provare a chi? Agli usurati esecutati?
Le vittime, accusate di mitomania o pazzia, anziché fare un fascio di prove aggregandosi tra loro, anche per rompere il velo di omertà e censura, pensano bene di smarcarsi e fare guerra a sé per salvare il proprio orticello.
La conclusione di questo mio intervento, quindi, è che ogni vittima di qualsivoglia ingiustizia non caverà mai un ragno dal buco perché per gli altri sarà sempre “Tutto Regolare”, mentre per quanto riguarda se stessi: chi è causa del suo mal, pianga se stesso.
E comunque, dopo quanto ho scritto, non mi si chieda perché il mio sodalizio si chiama Associazione Contro Tutte le Mafie. Il perché dovrebbe essere chiaro…
Antonio Giangrande: FALLIMENTI TRUCCATI. IL MARCIO DOVE NON TE LO ASPETTI: NEI TRIBUNALI E NELLO SPORT.
Beni confiscati alla mafia in modo strumentale e fallimenti truccati.
Chi controlla i controllori? Dal caso Cavallotti ai casi di Danilo Filippini e di Sergio Briganti.
Venerdì 24 ottobre 2014 si tiene a Taranto la conferenza prefettizia tra il Prefetto, Umberto Guidato, il dirigente dell’Ufficio Ordine e Sicurezza Pubblica, sostituito dal capo di Gabinetto, Michele Lastella e le associazioni antimafia operanti sul territorio della provincia di Taranto. In quell’occasione è intervenuto il dr Antonio Giangrande, presidente della “Associazione Contro Tutte le Mafie”, oltre che scrittore e sociologo storico, che da venti anni studia il sistema Italia, a carattere locale come a livello nazionale. Da queste indagini ne sono scaturiti decine di saggi, raccolti in una collana editoriale "L'Italia del Trucco, l'Italia che siamo", letti in tutto il mondo, ma che mi sono valsi l’ostruzionismo dei media nazionali. Pennivendoli venduti ai magistrati, all’economia ed alla politica. Book ed E-Book che si possono trovare su Amazon.it, Lulu.com. CreateSapce.com e Google Libri.
Il dr Antonio Giangrande ebbe ad affermare che nuovi fenomeni si affacciavano nel mondo dell’illegalità: l’usura di Stato con Equitalia, l’usura bancaria e, per la crisi imperante, l’usura pretestuosa, ossia la denuncia di usura per non pagare i fornitori.
Il prefetto ed il suo vice, in qualità di rappresentanti burocratici del sistema statale prontamente hanno contestato l’esistenza dell’illegalità para statale e para bancaria, mettendo in dubbio l’esistenza di indagini giudiziarie che hanno svelato il fenomeno.
Eppure La corruzione passa per il tribunale. Tra mazzette, favori e regali. Nei palazzi di giustizia cresce un nuovo fenomeno criminale. Che vede protagonisti magistrati e avvocati. C'è chi aggiusta sentenze in cambio di denaro, chi vende informazioni segrete e chi rallenta le udienze. Il Pm di Roma: Un fenomeno odioso, scrive Emiliano Fittipaldi su “L’Espresso”. A Napoli, dove il caos è dannazione di molti e opportunità per gli scaltri, il tariffario lo conoscevano tutti: se un imputato voleva comprarsi il rinvio della sua udienza doveva sganciare non meno di 1.500 euro. Per “un ritardo” nella trasmissione di atti importanti, invece, i cancellieri e gli avvocati loro complici ne chiedevano molti di più, circa 15mila. «Prezzi trattabili, dottò...», rabbonivano i clienti al telefono. Soldi, mazzette, trattative: a leggere le intercettazioni dell’inchiesta sul “mercato delle prescrizioni” su cui ha lavorato la procura di Napoli, il Tribunale e la Corte d’Appello partenopea sembrano un suk, con pregiudicati e funzionari impegnati a mercanteggiare sconti che nemmeno al discount. Quello campano non è un caso isolato. Se a Bari un sorvegliato speciale per riavere la patente poteva pagare un magistrato con aragoste e champagne, oggi in Calabria sono tre i giudici antimafia accusati di corruzione per legami con le ’ndrine più feroci. Alla Fallimentare di Roma un gruppo formato da giudici e commercialisti ha preferito arricchirsi facendo da parassita sulle aziende in difficoltà. Gli imprenditori disposti a pagare tangenti hanno scampato il crac grazie a sentenze pilotate; gli altri, che fallissero pure. Ma negli ultimi tempi magistrati compiacenti e avvocati senza scrupoli sono stati beccati anche nei Tar, dove in stanze anonime si decidono controversie milionarie, o tra i giudici di pace. I casi di cronaca sono centinaia, in aumento esponenziale, tanto che gli esperti cominciano a parlare di un nuovo settore illegale in forte espansione: la criminalità del giudiziario. «Ciò che può costituire reato per i magistrati non è la corruzione per denaro: di casi in cinquant’anni di esperienza ne ho visti tanti che si contano sulle dita di una sola mano. Il vero pericolo è un lento esaurimento interno delle coscienze, una crescente pigrizia morale», scriveva nel 1935 il giurista Piero Calamandrei nel suo “Elogio dei giudici scritto da un avvocato”. A ottant’anni dalla pubblicazione del pamphlet, però, la situazione sembra assai peggiorata. La diffusione della corruzione nella pubblica amministrazione ha contagiato anche le aule di giustizia che, da luoghi deputati alla ricerca della verità e alla lotta contro il crimine sono diventati anche occasione per business illegali. Nello Rossi, procuratore aggiunto a Roma, prova a definire caratteristiche e contorni al fenomeno: «La criminalità del giudiziario è un segmento particolare della criminalità dei colletti bianchi. Una realtà tanto più odiosa perché giudici, cancellieri, funzionari e agenti di polizia giudiziaria mercificano il potere che gli dà la legge». Se la corruzione è uno dei reati più diffusi e la figura del giudice comprato è quella che desta più scandalo nell’opinione pubblica, il pm che ha indagato sulla bancarotta Alitalia e sullo Ior ricorda come tutti possono cadere in tentazione, e che nel gran bazar della giurisdizione si può vendere non solo una sentenza, ma molti altri articoli di enorme valore. «Come un’informazione segreta che può trasformare l’iter di un procedimento, un ritardo che avvicina la prescrizione, uno stop a un passaggio procedurale, fino alla sparizione di carte compromettenti». Numeri ufficiali sul fenomeno non esistono. Per quanto riguarda i magistrati, le statistiche della Sezione disciplinare del Csm non fotografano i procedimenti penali ma la più ampia sfera degli illeciti disciplinari. Nell’ultimo decennio, comunque, non sembra che lo spirito di casta sia prevalso come un tempo: se nel 2004 le assoluzioni erano quasi doppie rispetto alle condanne (46 a 24) ora il trend si è invertito, e nei primi dieci mesi del 2012 i giudici condannati sono stati ben 36, gli assolti 27. «Inoltre, se si confrontano queste statistiche con quelle degli altri Paesi europei redatte dalla Cepej - la Commissione europea per l’efficacia della giustizia - sulla base dei dati del 2010», ragiona in un saggio Ernesto Lupo, fino al 2013 primo presidente della Cassazione, «si scopre che a fronte di una media statistica europea di 0,4 condanne ogni cento giudici, il dato italiano è di 0,6». Su trentasei Paesi analizzati dalla Commissione, rispetto all’Italia solo in cinque nazioni si contano più procedimenti contro i magistrati. Chi vuole arricchirsi illegalmente sfruttando il settore giudiziario ha mille modi per farlo. Il metodo classico è quello di aggiustare sentenze (come insegnano i casi scuola delle “Toghe Sporche” di Imi-Sir e quello del giudice Vittorio Metta, corrotto da Cesare Previti affinché girasse al gruppo Berlusconi la Mondadori), ma spulciando le carte delle ultime indagini è la fantasia a farla da padrona. L’anno scorso la Procura di Roma ha fatto arrestare un gruppo, capeggiato da due avvocati, che ha realizzato una frode all’Inps da 22 milioni di euro: usando nomi di centinaia di ignari pensionati (qualcuno era morto da un pezzo) hanno mitragliato di cause l’istituto per ottenere l’adeguamento delle pensioni. Dopo aver preso i soldi la frode continuava agli sportelli del ministero della Giustizia, dove gli avvocati chiedevano, novelli Totò e Peppino, il rimborso causato delle «lungaggini» dei finti processi. Un avvocato e un giudice di Taranto, presidente di sezione del tribunale civile della città dei Due Mari, sono stati invece arrestati per aver chiesto a un benzinaio una tangente di 8mila euro per combinare un processo che il titolare della pompa aveva con una compagnia petrolifera. Se a Imperia un magistrato ha aiutato un pregiudicato a evitare la “sorveglianza speciale” dietro lauto compenso, due mesi fa un giudice di pace di Udine, Pietro Volpe, è stato messo ai domiciliari perché (insieme a un ex sottufficiale della Finanza e un avvocato) firmava falsi decreti di dissequestro in favore di furgoni con targa ucraina bloccati dalla polizia mentre trasportavano merce illegale sulla Venezia-Trieste. Il giro d’affari dei viaggi abusivi protetti dal giudice era di oltre 10 milioni di euro al mese. Raffaele Cantone, da pochi giorni nominato da Matteo Renzi presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione, evidenzia come l’aumento dei crimini nei palazzi della legge può essere spiegato, in primis, «dall’enorme numero di processi che si fanno in Italia: una giustizia dei grandi numeri comporta, inevitabilmente, meno trasparenza, più opacità e maggiore difficoltà di controllo». I dati snocciolati tre mesi fa dal presidente della Cassazione Giorgio Santacroce mostrano che le liti penali giacenti sono ancora 3,2 milioni, mentre le cause civili arretrate (calate del 4 per cento rispetto a un anno fa) superano la cifra-monstre di 5,2 milioni. «Anche la farraginosità delle procedure può incoraggiare i malintenzionati» aggiunge Rossi. «Per non parlare del senso di impunità dovuto a leggi che - sulla corruzione come sull’evasione fiscale - sono meno severe rispetto a Paesi come Germania, Inghilterra e Stati Uniti: difficile che, alla fine dei processi, giudici e avvocati condannati scontino la pena in carcere». Tutto si muove attorno ai soldi. E di denaro, nei tribunali italiani, ne gira sempre di più. «Noi giudici della sezione Grandi Cause siamo un piccolo, solitario, malfermo scoglio sul quale piombano da tutte le parti ondate immense, spaventose, vere schiumose montagne. E cioè interessi implacabili, ricchezze sterminate, uomini tremendi... insomma forze veramente selvagge il cui urto, poveri noi meschini, è qualcosa di selvaggio, di affascinante, di feroce. Io vorrei vedere il signor ministro al nostro posto!», si difendeva Glauco Mauri mentre impersonava uno dei giudici protagonisti di “Corruzione a palazzo di giustizia”, pièce teatrale scritta dal magistrato Ugo Betti settant’anni fa. Da allora l’importanza delle toghe nella nostra vita è cresciuta a dismisura. «Tutto, oggi, rischia di avere strascichi giudiziari: un appalto, un concorso, una concessione, sono milioni ogni anno i contenziosi che finiscono davanti a un giudice», ragiona Rossi. I mafiosi nelle maglie larghe ne approfittano appena possono, e in qualche caso sono riusciti a comprare - pagando persino in prostitute - giudici compiacenti. In Calabria il gip di Palmi Giancarlo Giusti è stato arrestato dalla Dda di Milano per corruzione aggravata dalle finalità mafiose («Io dovevo fare il mafioso, non il giudice!», dice ironico Giusti al boss Giulio Lampada senza sapere di essere intercettato), mentre accuse simili hanno distrutto le carriere del pm Vincenzo Giglio e del finanziere Luigi Mongelli. A gennaio la procura di Catanzaro ha indagato un simbolo calabrese dell’antimafia, l’ex sostituto procuratore di Reggio Calabria Francesco Mollace, che avrebbe “aiutato” la potente ’ndrina dei Lo Giudice attraverso presunte omissioni nelle sue indagini. Sorprende che in quasi tutte le grandi istruttorie degli ultimi anni insieme a politici e faccendieri siano spesso spuntati nomi di funzionari di giustizia e poliziotti. Nell’inchiesta sulla cricca del G8 finirono triturati consiglieri della Corte dei Conti, presidenti di Tar e pm di fama (il procuratore romano Achille Toro ha patteggiato otto mesi), mentre nell’inchiesta P3 si scoprì che erano molti i togati in contatto con l’organizzazione creata da Pasquale Lombardi e Flavio Carboni per aggiustare processi. Anche il lobbista Luigi Bisignani, insieme al magistrato Alfonso Papa, aveva intuito gli enormi vantaggi che potevano venire dal commercio di informazioni segrete: la P4, oltre che di nomine nella pubblica amministrazione, secondo il pubblico ministero Henry Woodcock aveva la sua ragion d’essere proprio nell’«illecita acquisizione di notizie e di informazioni» di processi penali in corso. Secondo Cantone «nel settore giudiziario, e in particolare nei Tar e nella Fallimentare, si determinano vicende che dal punto di vista economico sono rilevantissime: che ci siano episodi di corruzione, davanti a una massa così ingente di denaro, è quasi fisiologico». I casi, in proporzione, sono ancora pochi, ma l’allarme c’è. Se i Tar di mezza Italia sono stati travolti da scandali di ogni tipo (al Tar Lazio è finito nei guai il giudice Franco Maria Bernardi; nelle Marche il presidente Luigi Passanisi è stato condannato in primo grado per aver accettato la promessa di ricevere 200 mila euro per favorire l’imprenditore Amedeo Matacena, mentre a Torino è stato aperto un procedimento per corruzione contro l’ex presidente del Tar Piemonte Franco Bianchi), una delle vicende più emblematiche è quella della Fallimentare di Roma. «Lì non ci sono solo spartizioni di denaro, ma anche viaggi e regali: di tutto di più. Una nomina a commissario giudiziale vale 150 mila euro, pagati al magistrato dal professionista incaricato. Tutti sanno tutto, ma nessuno fa niente», ha attaccato i colleghi il giudice Chiara Schettini, considerata dai pm di Perugia il dominus della cricca che mercanteggiava le sentenze del Tribunale della Capitale. Dinamiche simili anche a Bari, dove l’inchiesta “Gibbanza” ha messo nel mirino la sezione Fallimentare della città mandando a processo una quarantina tra giudici, commercialisti, avvocati e cancellieri. «Non bisogna stupirsi: il nostro sistema giudiziario soffre degli stessi problemi di cui soffre la pubblica amministrazione», spiega Daniela Marchesi, esperta di corruzione e collaboratrice della “Voce.info”. Episodi endemici, in pratica, visto che anche Eurostat segnala che il 97 per cento degli italiani considera la corruzione un fenomeno “dilagante” nel Paese. «Mai visto una città così corrotta», protesta uno dei magistrati protagonisti del dramma di Betti davanti all’ispettore mandato dal ministro: «Il delitto dei giudici, in conclusione, sarebbe quello di assomigliare un pochino ai cittadini!». Come dargli torto?
A conferma di ciò mi sono imbattuto nel servizio di TeleJato di Partinico (Pa) del 21 ottobre 2014 che al minuto 31,32 il direttore Pino Maniaci spiega: «Ci occupiamo ancora una volta di beni sequestrati. Questa mattina una audizione al Consiglio Superiore della Magistratura, scusate in Commissione Nazionale Antimafia, alla presenza della Bindi, alcuni procuratori aggiunti e pubblici ministeri di Palermo stanno parlando di Italgas. Quelli di Italgas è tutto un satellite ed una miriade di altre società che ci girano intorno, dove dovranno spiegare come mai le misure di prevenzione di Palermo hanno deciso di mettere sotto amministrazione giudiziaria questa società a livello nazionale. Sapete perché? Perché un certo Modica De Mohac, già il nome è quanto dire, altosonante, ha venduto, mentre le società erano sottosequestro. Dovevano essere semplicemente essere amministrate e per legge non toccate. E per legge in un anno si deve redimere se quel bene va confiscato definitivamente o restituito ai legittimi proprietari. I Cavallotti di Belmonte Mezzagno, assolti con formula piena dall’accusa di mafia, da ben 16 anni hanno i beni sottoposti a sequestro. 16 anni!! Dottoressa Saguto, 16 anni!!! Il Tribunale può violare la legge? In questo caso, sì. E che cosa è successo? Le imprese, le ditte, i paesi che sono stati metanizzati dai Cavallotti, da Modica De Mohac, naturalmente sotto la giurisdizione delle misure di prevenzione della dottoressa Saguto, ha venduto questa metanizzazione, ha venduto queste società all’Italgas. E lì, dopo si è scoperto, che essendoci le società dei Cavallotti, guarda caso l’Italgas è infiltrata mafiosa. E cosa si fa? Si sequestra l’Italgas! Sono quei paradossi tutti nostri. Tutti siculi. Dove, sinceramente, chi amministra la giustizia, che commette queste illegalità la fa sempre da padrone e la fa sempre franca. Ma è possibile? In Sicilia sì!! Vediamo i particolari nel servizio. “Italgas alcuni mesi fa è stata sequestrata e messa sotto tutela, cioè affidata alle cure di amministratori giudiziari ed ispettori che entro 6 mesi dovrebbero verificare se nell’azienda ci sono o ci sono stati infiltrazioni mafiose. La Guardia di Finanza, non si sa se ispirata dal giudice che si occupa dell’ufficio di misure di prevenzione (sapete chi è? La solita dottoressa Saguto, ha trovato che alcuni pezzi di attività delle società erano stati rilevati presso le aziende Cavallotti di Belmonte Mezzagno che si occupavano di metanizzazione. Ma da qui 16 anni sono sotto sequestro. L’operazione di trasferimento degli impianti di metano dei vari comuni venduti in parte all’Italgas per un importo di 20 milioni di euro ed un’altra parte prima alla Coses srl, azienda posta sotto sequestro, amministrata dal Modica, tramite una partita di giro contabile avvenuto nel 2007 per un importo di 2 milioni di euro. Poi gli stessi impianti, dopo essere stati in possesso della Coses srl vengono rivenduti sempre alla Italgas per un importo di 5 milioni di euro. E dopo aver incassato la somma, la stessa Comest Srl, amministrata sempre dal Modica, provvede a trasferire i ricavati della vendita degli impianti di metano nelle società riconducibili ad esso stesso ed ai suoi familiari. Questa manovra è avvenuta semplice al Modica, in quanto alla Comest srl era ed è confiscata e definitivamente passata al demanio. Il Prefetto Caruso, quando era direttore dell’amministrazione dei beni sequestrati e confiscati, accortosi delle malefatte del Modica De Mohac, ha provveduto a sollevare il Modica da tutti i suoi incarichi per poi affidarli ad altri amministratori del tribunale di Palermo. E’ chiaro che l’operazione di vendita, come prescrive la legge, deve essere fatta con il consenso del giudice che ha nominato l’amministratore stesso e quindi la solita dottoressa Saguto dovrebbe essere al corrente di quanto oggi la Commissione Antimafia vorrebbe sapere, avendo convocato il procuratore aggiunto di Palermo Dino Petralia, il Pubblico Ministero Dario Scaletta ed il pubblico ministero Maurizio De Lucia. Non è chiaro quanto c’entrano i magistrati in tutto questo e perché non ha interrogato il magistrato che invece c’entra. In Italia funziona proprio così. Per complicare quest’indagine è stata associata un’altra indagine che non c’entra con i fratelli Cavallotti e che riguarda una serie di aziende a suo tempo del tutto concorrenziali con quelle degli stessi Cavallotti e che facevano capo a Ciancimino, al suo collaboratore prof. Lapis ed ad un altro suo socio. Le notizie trasmesse dalla stampa lasciano credere invece che le aziende dei Cavallotti sono ed agiscono assieme a quelle di Ciancimino e che l’infiltrazione mafiosa che riguarda due cose diverse sia invece la medesima cosa. Staremo a vedere se passati 6 mesi di controllo e l’Italgas potrà tornare a distribuire il suo gas senza pagare di tasca sua il solito amministratore giudiziario e se l’attività persecutoria che si accanisce sui fratelli Cavallotti, assolti, ricordiamo, in via definitiva ma sempre sotto il mirino della solita dottoressa Saguto, possa continuare all’infinito per tutta la settima generazione. Per quanto riguarda l’audizione del giudice Scaletta, egli ha avuto in mano le indagini che riguardavano la discarica di Clin in Romania. Una parte della quale, la cui proprietà è stata attribuita a Ciancimino è amministrata dal solito re degli amministratori giudiziari, Cappellano Seminara, che è sotto processo per aver combinato alcuni imbrogli nel tentativo di impadronirsi di una parte di quella discarica. Ma fermiamoci. Il discorso è così complesso che siamo convinti che la Commissione Antimafia preferirà metterlo da parte e lasciare tutto come si trova per non scoprire una tana di serpi o per non aprire il coperchio di una pentola dove c’è dentro lo schifo distillato. Per una volta non soltanto di distilleria Bertollini. (Parla la Bindi: La Commissione ha registrato un fallimento sui beni confiscati. Non è così. Non abbiamo registrato un fallimento perché i risultati sono stato ottenuti e non perché questa è la città dove metà dei beni sequestrati della mafia sono in questa città e le misure di prevenzione e la gestione di questi beni che è stata fatta in questa città e di questa regione ha fatto scuola in tutta Italia.) Sono quei bordelli tutti siculi, sai perché? Ti trovi nella terra del Gattopardo: cambiare tutto per non cambiare un cazzo….»
Uno dice, meno male che di pulito in Italia ci rimane lo sport. Segno tangibile di purezza, sportività e correttezza.
Giovanni Malagò, n.1 dello sport italiano, un po' abbacchiato per i 16 mesi di squalifica come... nuotatore, scrive Fulvio Bianchi su “La Repubblica”. Un momento difficile per tutto lo sport italiano, specie nelle istituzioni del calcio. Un momento non facile per la Lega Pro e il suo storico presidente Mario Macalli: dossier e denunce sono nelle mani della Procura federale (sperando che Palazzi, almeno stavolta, faccia in fretta) e anche della Repubblica della Repubblica di Firenze. Sono tanti, troppi, i fronti aperti: la Lega Pro ha licenziato il direttore generale Francesco Ghirelli, già braccio destro di Franco Carraro. E Ghirelli ha "confezionato" un dossier (scottante) che Macalli ha fatto avere al superprocuratore Palazzi. Lo stesso Palazzi presto potrebbe deferire il n.1 della Lega, e vicepresidente Figc, per il caso Pergocrema (vedi Spy Calcio dell'8 ottobre). In caso di condanna definitiva superiore ad un anno, decadrebbe dalle sue cariche. Inoltre la Procura della Repubblica di Firenze l'estate scorsa ha rinviato a giudizio Macalli sempre per il Pergocrema. La stessa Procura toscana avrebbe aperto un fascicolo anche sull'acquisto della splendida sede fiorentina della Lega, sede inaugurata da Platini. In ballo ci sono un fallimento e un paio di milioni..
Il presidente del Coni Giovani Malagò è stato condannato dalla Disciplinare della Federnuoto a 16 mesi di squalifica in qualità di presidente dell'Aniene, società per la quale gareggia anche Federica Pellegrini, scrive “La Gazzetta dello Sport”. Per Malagò dunque scatta la sospensione da ogni attività sociale e federale per il periodo in questione. E' stata così riconosciuta la responsabilità di Malagò per "mancata lealtà" e "dichiarazioni lesive della reputazione" del presidente federale Barelli, denunciato dal Coni per una presunta doppia fatturazione. Il caso era nato per una denuncia del Coni, presieduto da Malagò, alla Procura della Repubblica di Roma, per una presunta doppia fatturazione per 820mila euro per lavori di manutenzione della piscina del Foro Italico in occasione dei Mondiali di nuoto. Nel registro degli indagati era stato iscritto il presidente della Federnuoto Barelli, ma il pm aveva chiesto al gip l'archiviazione. La partita giudiziaria era stata poi riaperta dalla decisione di quest'ultimo di chiedere un supplemento di indagini, tuttora in corso. Nel frattempo, nuovi colpi di scena. Barelli, infatti, ha invitato la Procura federale della Fin ad "accertare" e valutare i comportamenti di Malagò, nella sua condizione di membro della Fin come presidente della Canottieri Aniene. Un invito a verificare se ci possano essere state "infrazioni disciplinarmente rilevanti" nelle parole con cui Malagò riassunse la vicenda nella giunta Coni del 4 marzo, parlando, sono espressioni dello stesso Malagò davanti al viceprocuratore federale, "come presidente del Coni e non da tesserato Fin". Il documento-segnalazione di Barelli accusava in sostanza Malagò di aver detto il falso in Giunta accusando ingiustamente la Federazione. La nota Fin citava la "mancata lealtà" e le "dichiarazioni lesive della reputazione", gli articoli 2 e 7, che Malagò avrebbe violato con le sue parole su Barelli in Giunta sulle "doppie fatturazioni". I legali del Coni avevano sollevato eccezioni di nullità, illegittimità e incompetenza, depositando anche il parere richiesto dalla Giunta al Collegio di Garanzia dello Sport, che chiariva la non competenza degli organi di giustizia delle Federazioni su vicende del genere.
Il passato scomodo di Tavecchio, scrivono da par loro Tommaso Rodano e Carlo Tecce per Il Fatto Quotidiano. "Spuntano una denuncia per calunnia contro il super candidato alla Federcalcio e un dossier depositato in procura che lo riguarda. E si scoprono strane storie, dalle spese pazze fino al doppio salvataggio del Messina. Ogni giorno che passa, e ne mancano cinque all’annunciata investitura in Federcalcio, il ragionier Carlo Tavecchio arruola dissidenti, smarrisce elettori: resiste però, faticosamente resiste. Nonostante le perplessità di Giovanni Malagò (Coni), dei calciatori più famosi e di qualche squadra di serie maggiore o inferiore. Il padrone dei Dilettanti, che dal ‘99 gestisce un’azienda da 700.000 partite a stagione e da 1,5 miliardi di euro di fatturato, com’è da dirigente? Dopo aver conosciuto le sue non spiccate capacità oratorie, tra donne sportive handicappate e africani mangia-banane, conviene rovistare nel suo passato. E arriva puntuale una denuncia per calunnia contro Tavecchio, depositata in Procura a Varese due giorni fa, a firma Danilo Filippini, ex proprietario dell’Ac Pro Patria et Libertate, a oggi ancora detentore di un marchio storico per la città di Busto Arsizio. Per difendersi da una querela per diffamazione – su un sito aveva definito il candidato favorito alla Figc un “pregiudicato doc” – Filippini ha deciso di attaccare: ha presentato documenti che riguardano il Tavecchio imprenditore e il Tavecchio sportivo, e se ne assume la responsabilità. Oltre a elencare le cinque condanne che il brianzolo, già sindaco di Ponte Lambro, ha ricevuto negli anni (e per i quali ha ottenuto una riabilitazione) e i protesti per cambiali da un miliardo di lire dopo il fallimento di una sua azienda (la Intras srl), Filippini allega una lettera, datata 24 ottobre 2000, Tavecchio era capo dei Dilettanti dal maggio ‘99. Luigi Ragno, un ex tenente colonnello dei Carabinieri, già commissario arbitrale, vice di Tavecchio, informa i vertici di Lega e Federazione di una gestione finanziaria molto personalistica del presidente. E si dimette. “Mi pregio comunicare che nel corso del Consiglio di Presidenza – si legge – è stato rilevato che la Lega intrattiene un rapporto di conto corrente presso la Cariplo di Roma, aperto successivamente al Primo Luglio 1999 (…). L’apertura del conto corrente appare correlata alla comunicazione del Presidente di ‘avere esteso alla Cariplo, oltre alla Banca di Roma già esistente, la gestione dei fondi della Lega. Entrambi gli Istituti hanno garantito, oltre alla migliore offerta sulla gestione dei conti, forme di sponsorizzazione i cui contenuti sono in corso di contrattazione”. Quelle erano le premesse, poi partono le contestazioni a Tavecchio: “Non risulta che alcun organo collegiale della Lega sia mai stato chiamato a esprimere valutazioni in ordine a offerte formulate dagli Istituti di credito di cui sopra”. “Risulta che non sono state prese in considerazione dal presidente più di venti offerte di condizione presentate in busta chiusa da primarie banche che operano su Roma, le quali erano state contattate dal commissario”. “Non risulta che né la Banca di Roma né la Cariplo abbiano concluso con la Lega accordi di sponsorizzazione”. “Nella sezione Attività della situazione patrimoniale del bilancio della Lega non appare, nella voce ‘banche’, la presenza del conto corrente acceso presso Cariplo”. “Nella sezione Attività della situazione patrimoniale, alla voce ‘Liquidità/Lega Nazionale Dilettanti’ risulta l’importo di Lire 18.774.126.556, che non rappresenta, come potrebbe sembrare a prima vista, il totale delle risorse finanziarie dei Comitati e delle Divisioni giacenti presso la Lega, bensì è costituito da un saldo algebrico tra posizioni creditorie e posizioni debitorie nei confronti della Lega”. Segue una dettagliata tabella dei finanziamenti ai vari Comitati regionali, e viene così recensita: “Il presidente della Lega ha comunicato che ai suddetti ‘finanziamenti di fatto’ è applicato il tasso di interesse del 2,40%, la cui misura peraltro non è stata stabilità da alcun organo collegiale”. Il vice di Tavecchio fa sapere di aver scoperto anche un servizio di “private banking”, sempre con Cariplo, gestito in esclusiva dal ragionier brianzolo: “Nessun Organo collegiale della Lega ha mai autorizzato l’apertura di tale rapporto (…) e mai ha autorizzato il presidente a disporre con firma singola (…) Trattasi di un comportamento inspiegabile e ingiustificabile, anche in considerazione della consistenza degli importi non inferiore ai venti miliardi di lire”. Ragno spedisce una raccomandata alla Cariplo, e si congeda dai Dilettanti di Tavecchio: “Di fronte all’accertata mancanza di chiarezza, di trasparenza e di correttezza e di gravi irregolarità da parte del massimo esponente della Lega, non mi sento di avallare tale comportamento gestionale e comunico le immediate dimissioni”. Per comprendere la natura del consenso costruito minuziosamente da Tavecchio nella gestione della Lega Dilettanti, un caso esemplare è quello del Messina calcio. La società siciliana approda in Lnd nella stagione sportiva 2008-2009. La famiglia Franza è stufa del suo giocattolo, vorrebbe vendere la squadra, ma non trova acquirenti. Il Messina è inghiottito dai debiti. Dovrebbe militare in serie B, ma il presidente Pietro Franza non l’iscrive al campionato cadetto: deve ricominciare dai dilettanti. Il problema è che il Messina è tecnicamente fallito (la bancarotta arriverà dopo pochi mesi) e non avrebbe le carte in regola nemmeno per ripartire da lì. E invece Tavecchio, con una forzatura, firma l’iscrizione dei giallorossi alla Lega che dirige. L’uomo chiave si chiama Mattia Grassani, principe del foro sportivo e, guarda caso, consulente personale di Tavecchio e della stessa Lnd: è lui a curare i documenti (compreso un fantasioso piano industriale per una società ben oltre l’orlo del crac) su cui si basa l’iscrizione dei siciliani. In pratica, si decide tutto in casa. Nel 2011 il Messina, ancora in Lega dilettanti, è di nuovo nei guai. Dopo una serie di vicissitudini, la nuova società (Associazione Calcio Rinascita Messina) è finita nelle mani dell’imprenditore calabrese Bruno Martorano. La gestione economica non è più virtuosa di quella dei suoi predecessori. Martorano firma in prima persona la domanda d’iscrizione della squadra alla Lega. Non potrebbe farlo: sulle sue spalle pesa un’inibizione sportiva di sei mesi. Non solo. La documentazione contiene, tra le altre, la firma del calciatore Christian Mangiarotti: si scoprirà presto che è stata falsificata. Il consulente del Messina (e della Lega, e di Tavecchio) è sempre Grassani: i giallorossi anche questa volta vengono miracolosamente iscritti alla categoria. Poi, una volta accertata l’irregolarità nella firma di Mangiarotti, la sanzione per il Messina sarà molto generosa: appena 1 punto in classifica (e poche migliaia d’euro, oltre ad altri 18 mesi di inibizione per Martorano). Tavecchio, come noto, è l’uomo che istituisce la commissione “per gli impianti sportivi in erba sintetica” affidandola all’ingegnere Antonio Armeni, e che subito dopo assegna la “certificazione e omologazione” degli stessi campi da calcio alla società (Labosport srl) partecipata dal figlio, Roberto Armeni. Non solo: la Lega Nazionale Dilettanti di Tavecchio ha un’agenzia a cui si affida per l’organizzazione di convegni, cerimonie ed assemblee. Si chiama Tourist sports service. Uno dei due soci, al 50 per cento, si chiama Alberto Mambelli. Chi è costui? Il vice presidente della stessa Lega dilettanti e lo storico braccio destro di Tavecchio. Un’amicizia di lunga data. Nel 1998 Tavecchio è alla guida del comitato lombardo della Lnd. C’è il matrimonio della figlia di Carlo, Renata. Mambelli è tra gli invitati. Piccolo particolare: sulla partecipazione c’è il timbro ufficiale della Figc, Comitato Regionale Lombardia. Quando si dice una grande famiglia."
«Denuncio Tavecchio. Carriera fatta di soprusi» dice Danilo Filippini a “La Provincia Pavese”. A quattro giorni dalle elezioni Figc, Carlo Tavecchio continua a tenere duro, incurante delle critiche e delle prese di posizione - sempre più numerose e autorevoli - di coloro che ritengono l’ex sindaco di Ponte Lambro del tutto inadeguato a guidare il calcio italiano. Tavecchio è stato anche denunciato per calunnia da Danilo Filippini, ex presidente della Pro Patria che ha gestito la società biancoblù dall’ottobre 1988 all’ottobre 1992.
Filippini, perché ha deciso di querelare Tavecchio?
«Scrivendo sul sito di Agenzia Calcio, definii Tavecchio un pregiudicato doc e un farabutto, naturalmente argomentando nei dettagli la mia posizione e allegando all’articolo il suo certificato penale storico. Offeso per quell’articolo, Tavecchio mi ha denunciato per diffamazione. Così, tre giorni fa, ho presentato alla Procura di Varese una controquerela nei suoi confronti, allegando una ricca documentazione a sostegno della mia tesi».
In cosa consiste la documentazione?
«Ci sono innanzitutto le cinque condanne subite da Tavecchio. Poi i protesti di cambiali per una somma di un miliardo di vecchie lire dopo il fallimento della sua azienda, la Intras srl. Ho allegato inoltre l’esposto di Luigi Ragno, già vice di Tavecchio in Lega Dilettanti, su presunte irregolari operazioni bancarie con Cariplo. Più tutta una serie di altre irregolarità amministrative».
Quando sono nati i suoi dissidi con Tavecchio?
«Ho avuto la sfortuna di conoscerlo ai tempi in cui ero presidente della Pro Patria. Quando l’ho visto per la prima volta, era presidente del Comitato regionale lombardo. In quegli anni ci siamo scontrati continuamente. Con Tavecchio in particolare e con la Federazione in generale».
Per quale motivo?
«I miei legittimi diritti sono sempre stati negati, in maniera illecita, nonostante numerosi miei esposti e querele, con tanto di citazioni di testimoni e prove documentali ineccepibili. Da vent’anni subisco dalla Federcalcio ogni tipo di abusi».
Per esempio?
«Guardi cos’è successo con la denominazione “Pro Patria et Libertate”, da me acquisita a titolo oneroso profumatamente pagato, e che poi la Federazione ha girato ad altre società che hanno usato indebitamente quel nome. Per non parlare della mia incredibile radiazione dal mondo del calcio, che mi ha impedito di candidarmi alla presidenza della Figc, come volevo fare nel 2001. Una vera discriminazione, che viola diritti sanciti dalla Costituzione. Sa qual è l’unica cosa positiva di questa vicenda?»
Dica.
«Sono uscito da un mondo di banditi come quello del calcio. E ora mi occupo di iniziative a favore dei disabili: impiego molto meglio il mio tempo».
Tavecchio risulta comunque riabilitato dopo le cinque condanne subite.
«Mi piacerebbe sapere in base a quali requisiti l’abbia ottenuta, la riabilitazione. E comunque, una volta riabilitato, avrebbe dovuto tenere un comportamento inappuntabile sul piano etico. Non mi pare questo il caso».
Insomma, a suo parere un’eventuale elezione di Tavecchio sarebbe una iattura per il calcio italiano...
«Mi auguro davvero che non venga eletto. Questo è il momento di cambiare, di dare una svolta: non può essere Tavecchio l’uomo adatto. Avendolo conosciuto di persona, non mi sorprende neanche che abbia commesso le gaffes di cui tutti parlano. Lui fa bella figura solo quando legge le lettere che gli scrivono i principi del foro. Comunque, ho mandato la mia denuncia per conoscenza anche al Coni e al presidente Malagò. Non ho paura di espormi: quando faccio una cosa, la faccio alla luce del sole».
"La vicenda Tavecchio? Una sospensione molto particolare.. Ma chi stava nell'ambiente del calcio sapeva perfettamente cosa sarebbe successo. Ho letto varie dichiarazioni e mi sento di condividere chi dice: tutti sapevano tutto, e questi tutti sono quelli che sono andati al voto e che, malgrado sapessero che questo sarebbe successo, hanno ritenuto che era giusto votare per Tavecchio. La domanda va girata a queste persone". Il presidente del Coni, Giovanni Malagò, commenta così la vicenda dei sei mesi di stop al presidente della Figc decisi dall'Uefa, scrive “La Repubblica”. "L'elezione è stata assolutamente democratica, evidentemente non hanno ritenuto che il fatto potesse essere penalizzante per il proseguo dell'attività di Tavecchio. Io come presidente del Coni di questa cosa, può piacere o meno, ne devo solo prendere atto perché il Coni può intervenire se una elezione non è stata regolare, se ci sono delle gestioni non fatte bene, per problemi di natura finanziaria, se non funziona la giustizia sportiva, per tutto il resto dobbiamo prenderne atto senza essere falsi". Anche il sottosegretario Delrio, presente stamani ad un convegno al Coni col ministro Lorenzin, si è tirato fuori: "Il mondo sportivo è autonomo, il governo non può intervenire". Malagò ha anche spiegato che comunque questa vicenda "crea un problema di immagine al nostro calcio". Carlo Tavecchio, presente anche lui al Coni, ci ha solo detto: "Io sono stato censurato dall'Uefa e non sospeso. L'Uefa ha preso una decisione, non una sentenza". E dal suo entourage si precisa che la "lettera che Tavecchio ha scritto alle 53 Federazioni europee era di presentazione e non di scuse". Il 21 a Roma c'è Platini per presentare il suo libro: Tavecchio è irritato col n.1 dell'Uefa, lo incontrerà? Domani comitato presidenza Figc, venerdì il presidente Figc a Palermo con gli azzurri. Il lavoro va avanti. Intanto, il 27 torna in ballo anche Malagò: processo di appello alla Federnuoto dopo la condanna di 16 mesi in primo grado. La speranza è in drastico taglio, in attesa di Frattini...
Ma almeno Macalli è immune da qualsivoglia nefandezza?
Caso Pergocrema, Macalli verso il deferimento? Il vicepresidente della Figc e n.1 storico della Lega Pro, Mario Macalli, rischia il deferimento in margine al caso Pergocrema. Il procuratore federale, Palazzi, ha chiuso l'indagine e passato le carte alla Superprocura del Coni come prevedono le nuove norme di giustizia sportiva volute dal Coni: ora Macalli potrà presentare le sue controdeduzioni, ed essere anche interrogato. La prossima settimana Palazzi deciderà se archiviare o deferire (più che probabile). Il caso Pergocrema si trascina ormai da molto tempo: questa estate la procura della Repubblica di Firenze aveva chiesto il suo rinvio a giudizio. Macalli secondo i magistrati avrebbe "provveduto a registrare a proprio nome i marchi Pergocrema, Pergocrema 1932, Pergolettese e Pergolettese 1932". In questo caso, il n.1 dell'ex Serie C, come stato scritto su Repubblica la scorsa estate da Marco Mensurati e Matteo Pinci, "intenzionalmente si procurava un ingiusto vantaggio patrimoniale arrecando un danno patrimoniale al Pergocrema fornendo agli uffici preposti della Lega esplicita disposizione di bloccare senza giustificazione giuridica il bonifico da oltre 256mila euro, importo spettante come quota di suddivisione dei diritti televisivi che se disponibili avrebbero consentito alla società sportiva di evitare il fallimento". Macalli aveva sempre assicurato la sua totale estraneità ai fatti. "Chiarirò tutto". Pare sia arrivato il momento. Possibile inoltre il deferimento di Belloli, presidente del Comitato regionale lombardo e fra i candidati alla successione di Tavecchio alla presidenza della Lega Nazionale Dilettanti. Oltre a lui, resterebbero in corsa solo Tisci e Mambelli, mentre avrebbero fatto un passo indietro Repace e Dalpin. Mercoledì prossimo riunione con Tavecchio. Si vota l'11 novembre. Per finire, chiusa l'inchiesta di Palazzi anche su Claudio Lotito: interrogati quattro giornalisti, acquisito il video. Ora le carte sono in possesso di Lotito, che deve difendersi, e del generale Enrico Cataldi, superprocuratore Coni: presto Palazzi dovrebbe fare il deferimento per le parole volgari su Marotta.
La Commissione Disciplinare ha deliberato il 6 marzo 2013 in merito al fallimento dell’Us Pergocrema 1932 ed ha inibito gli ex presidenti Sergio Briganti per 40 mesi e Manolo Bucci per 12, l’ex amministratore delegato Fabrizio Talone per 6 mesi, l’ex vice presidente Michela Bondi per 3 e gli ex consiglieri del Cda Estevan Centofanti per 3, Luca Coculo e Gianluca Bucci entrambi per 6 mesi, scrive “La Provincia di Crema”. Sulla base delle indagini effettuate dalla Procura Federale, la Disciplinare ha deciso di infliggere sanzioni ai personaggi di cui sopra accusandoli «di aver determinato (i due presidenti) e di aver contribuito (gli altri dirigenti) con il proprio comportamento la cattiva gestione della società, con particolare riferimento alle responsabilità del dissesto economico-patrimoniale».
A sbiadire ancor di più l’immagine di Briganti, però, ci pensa Striscia la Notizia. L’ex presidente del Pergocrema, Sergio Briganti, è stato protagonista di un servizio in una delle ultime puntate di Striscia la Notizia, il tg satirico in onda su Canale 5, intitolato “Minacce, spintoni, schiaffi”, scrive “La Provincia di Crema”. Jimmy Ghione è stato avvicinato da una giovane donna che ha segnalato come, nel vicolo del pieno centro di Roma dove si trova il bar di Briganti, le auto non riescano a transitare in quanto la strada è occupata da un lato da sedie e tavolini del locale e dall’altro da motorini. In quel vicolo, il transito è consentito soltanto agli automezzi di servizio, ai taxi, ai motocicli e alle auto munite del contrassegno per i disabili. E proprio un disabile stava sull’auto guidata dalla donna, che si è trovata la strada bloccata. A quel punto, la signora ha chiesto a Briganti di spostare i tavolini, ma la risposta è stata «un vulcano, una cosa irripetibile», ha commentato la donna.
C’è da chiedersi: quanto importante sia il Briganti per Striscia, tanto da indurli ad occuparsi di lui e non delle malefatte commesse dai magistrati e dall’elite del calcio?
Macalli a inizio ottobre 2014 è stato anche deferito per violazione dell’art. 1 dalla Procura Figc (dopo un esposto di Massimo Londrosi, d.s. del Pavia) per aver registrato a suo nome nel 2011 quattro marchi riconducibili al club fallito, e per aver ceduto - dopo aver negato il bonifico che ha fatto fallire il club - quello «Us Pergolettese 1932» alla As Pizzighettone, che nel 2012-13 ha fatto la Seconda divisione con quella denominazione. Macalli patteggerà, scrive “Zona Juve”. Anche su internet non si trova conferma.
Mario Macalli, da 15 anni presidente della Lega Pro di calcio, sarebbe indagato per appropriazione indebita, in merito alla sua acquisizione del marchio del Pergocrema, scrive “La Provincia di Crema”. Sulla scomparsa della società gialloblu (club dichiarato fallito dal tribunale cittadino il 20 giugno 2012), indagano le procure di Roma e Firenze che hanno ricevuto una denuncia da parte dell’ex presidente dei gialloblu Sergio Briganti, nei giorni scorsi inibito per 40 mesi dalla Federcalcio proprio per il fallimento del Pergo. E’ possibile che le due inchieste vengano riunificate. Macalli è stato vice presidente per alcuni anni della società gialloblu, vive a Ripalta Cremasca ed ha il suo studio in città. La storia dell’acquisizione del marchio venne scoperta e resa pubblica da un gruppo di tifosi che avrebbero voluto rilevare la società, percorrendo la strada dell’azionariato popolare. Con quattro registrazioni di marchi, Macalli ha reso impossibile il loro proposito.
Un altro terremoto scuote le malandate istituzioni del calcio italiano. La procura di Firenze, nel giorno della stesura dei gironi, ha chiesto il rinvio a giudizio per Mario Macalli, presidente della Lega Pro. L'accusa: abuso d'ufficio, scrive “La Provincia di Crema”. Oggetto dell'inchiesta penale condotta dal sostituto procuratore di Firenze, Luigi Bocciolini è la vicenda del fallimento del Pergocrema nell'estate 2012, nata dalla denuncia di Sergio Briganti, oggi difeso dagli avvocati Giulia De Cupis e Domenico Naso, e allora presidente del club lombardo. I dettagli dell'accusa per il manager sono pesantissimi: "In presenza di un interesse proprio, intenzionalmente si procurava un ingiusto vantaggio patrimoniale arrecando danno patrimoniale al Pergocrema fornendo agli uffici preposti della Lega esplicita disposizione di bloccare senza giustificazione giuridica il bonifico da oltre 256mila euro, importo spettante come quota di suddivisione dei diritti televisivi, e che se disponibili avrebbero consentito alla società sportiva di evitare il fallimento".
“Abuso d’ufficio”. E’ questa l’accusa, formulata dal procuratore della repubblica di Firenze, Luigi Bocciolini, che nei giorni scorsi ha portato alla richiesta di rinvio a giudizio Mario Macalli, presidente della Lega Pro, scrive “Crema On Line”. L’oggetto dell’inchiesta, iniziata nel marzo 2013 riguarda la vicenda del fallimento del Pergocrema, avvenuta nel giugno 2012. L’indagine è partita dalla denuncia dell’ex presidente gialloblu Sergio Briganti. Dai verbali in possesso della polizia giudiziaria fiorentina nell’aprile 2012 l’avvocato Francesco Bonanni, responsabile dell’ufficio legale della Lega Pro, era incaricato di effettuare i conteggi relativi alla ripartizione della quota della suddivisione dei diritti televisivi della legge Melandri. La somma destinata al Pergocrema, allora iscritta al campionato di Prima Divisione Lega Pro, era pari a 312.118,54 euro lordi, al netto 245.488, 80 euro. In quel periodo la società cremasca gravava in una pesante situazione debitoria nei confronti di tecnici, atleti e fornitori. Il 3 maggio 2012 è stata presentata un'istanza da Francesco Macrì, legale dell’Assocalciatori, in rappresentanza di dieci tesserati del Pergocrema che vantavano 170 mila euro di debiti nei confronti del club gialloblu. Il tribunale di Crema ha autorizzato il sequestro cautelativo della somma in giacenza, comunicandolo alla Lega Pro. Il sequestro è stato attivato il giorno successivo. Il dato certo, secondo la ricostruzione degli inquirenti, è che il 27 aprile 2012 la Lega era pronta a versare la quota: Bonanni ha escluso di aver dato l'ordine a Guido Amico di Meane, al commercialista della Lega Pro, di bloccare il versamento alla società cremasca. L'unico che avrebbe dato disposizione di non effettuare il relativo bonifico agli uffici preposti sarebbe stato Macalli.
Eppure, nonostante l’impegno della Procura, il Gup di Firenze Fabio Frangini ha assolto Mario Macalli, presidente della Lega Pro, dall’accusa di abuso d’ufficio riguardo al caso del fallimento del Pergocrema. Secondo l'accusa Maccalli non avrebbe autorizzato il versamento alla società della quota dei diritti tv relativa alla stagione 2011-2012. Non luogo a procedere, scrive “La Provincia di Crema”. Il presidente di Lega Pro e vicepresidente della Federcalcio, Mario Macalli, è stato prosciolto dall’accusa di abuso d’ufficio, nell’ambito della vicenda che portò nel giugno del 2012 al fallimento dell’Us Pergocrema 1932. La decisione è stata presa martedì mattina 21 ottobre dal giudice dell’udienza preliminare del tribunale di Firenze, che non ha quindi accolto la richiesta di rinvio a giudizio depositata dal pubblico ministero Luigi Bocciolini il 30 luglio scorso. Il reato ipotizzato per Macalli era quello previsto e punito dall’articolo 323 del codice penale (l’abuso d’ufficio, appunto). Secondo il pubblico ministero, nella sua qualità di presidente della Lega Pro Macalli aveva intenzionalmente arrecato un ingiusto danno patrimoniale al Pergocrema, dando agli uffici preposti della Lega esplicita disposizione a bloccare, senza giustificazione, il bonifico alla società di 256.488,80 euro alla stessa spettante quale quota per i diritti televisivi. A seguito di ciò, il 28 maggio 2012, due creditori chirografari depositarono istanza di fallimento del Pergocrema, presso il tribunale di Crema, fallimento che veniva dichiarato il 19 giugno. In sostanza, l’accusa puntava a dimostrare che, la società gialloblù fallì perchè non fu in grado di saldare il debito contratto di 113.000 euro con il ristorante Maosi e l’impresa di giardinaggio Non Solo Verde. Il fallimento sarebbe stato evitato se la Lega Pro avesse eseguito a fine aprile sul contro del Pergocrema, come venne fatto per tutti gli altri club, il bonifico dei contributi spettanti alla società stessa. Ma il Gup — come detto —non ha sposato la tesi.
Al termine degli accertamenti, il Gup lo ha prosciolto con formula piena perché "il fatto non sussiste". I difensori del ragioniere cremasco, l’avvocato Nino D’Avirro di Firenze e Salvatore Catalano di Milano hanno evidenziato, tra l’altro, che Macalli non svolge la funzione di pubblico ufficiale e pertanto non si configura il reato di abuso d’ufficio, scrive “Crema On Line”. Quindi l’inghippo c’era, ma non è stato commesso da un pubblico ufficiale? E qui, da quanto dato sapere, il motivo del non luogo a procedere. Come mai questa svista dei pubblici ministeri? «Aspettiamo le motivazioni — ha affermato a caldo l’ex presidente del Pergocrema, Sergio Briganti — e poi ricorreremo. La cosa non finisce qui».
Antonio Giangrande: ASTE TRUCCATE: LINFA PER LA MAFIA.
Una Interrogazione Parlamentare alza il velo dell’ipocrisia a Taranto.
L’Omertà istituzionale, come sempre, ne coprirà la vergogna.
Il resoconto del dr. Antonio Giangrande. Scrittore, sociologo storico, giurista, blogger, youtuber, presidente dell’Associazione Contro Tutte le Mafie, che sul tema ha pubblicato un saggio denuncia: “Usuropoli. Usura e Fallimenti Truccati”. Il libro contiene un dossier completo anche sulle aste truccate e le inchieste che nel tempo hanno coinvolto gli uffici giudiziari di tutta Italia.
Il dr Antonio Giangrande nella sua inchiesta elenca una serie di casi eclatanti.
Esemplare è il fallimento della Federconsorzi. Caposaldo dello scandalo, la liquidazione di un ente che possedeva beni immobili e mobili valutabili oltre quattordicimila miliardi di lire per ripagare debiti di duemila miliardi. L’enormità della differenza avrebbe costituito la ragione di due processi, uno aperto a Perugia uno a Roma. La singolarità dello scandalo è costituita dall’assoluto silenzio della grande stampa, che ha ignorato entrambi i processi, favorendo, palesemente, chi ne disponeva l’insabbiamento.
Altro tassello anomalo è la costituzione di società ad hoc per la gestione dei fallimenti. Le principali banche hanno infatti costituto apposite società denominate "Asteimmobili", nei principali Tribunali (Roma, Milano, Genova, ecc.), con la finalità di chiudere il cerchio quando i tartassati e maltrattati utenti non hanno la possibilità di adempiere alle obbligazioni, specie su mutui e prestiti. ABI e banche si sono quindi ritrovate ben presto, con personale impiegato nella società costituita “Asteimmobili” a fare lavoro di cancelleria come altri pubblici ufficiali (con la non piccola differenza di non essere entrati per concorso e di non aver dovuto "prestare giuramento di fedeltà" allo Stato) in gangli alquanto delicati come le esecuzioni immobiliari, le procedure fallimentari, gli uffici dei giudici di pace, le corti d'appello sia civili che penali, le stesse procure.
Non si può, comunque, dimenticare che il percorso dei giudici del Tribunale di Milano è stato particolarmente difficile, soprattutto nei confronti di un problema estremamente rilevante quale quello legato alla turbativa d'asta, vero e proprio tallone d' Achille per il sistema delle esecuzioni. E' proprio su questo punto che i giudici sono intervenuti in maniera decisa denunciando alla Procura il fenomeno. I giornali allora parlarono di un "cartello" di speculatori per le “aste truccate”. Una specie di organizzazione in grado di condizione le gare per l'acquisto degli immobili pignorati. Come dire, nessuno poteva partecipare ad un'asta giudiziaria senza pagare una "commissione" che andava dal 10 al 15 percento del valore dell'immobile che intendeva acquistare. In caso contrario il "cartello" soprannominato allora "La compagnia della morte" avrebbe fatto lievitare al prezzo. In passato, a partire dall’esperienza pilota del Tribunale di Milano, stampa ed istituzioni hanno dato grande risalto alla pretesa "innovazione" del sistema delle vendite giudiziarie, dedicando intere pagine, anche di pubblicità a pagamento, sui quotidiani nazionali, facendoci credere che con gli otto arresti di avvocati e pubblici funzionari della c.d. "compagnia della morte", si sarebbe posto fine al cartello di speculatori, in grado di condizionare le gare d’asta per l'acquisto degli immobili pignorati. Ci hanno spiegato e confermato che per svariati anni una banda di "professionisti" ha potuto agire impunita, scoraggiando la partecipazione alle aste del pubblico, che veniva intimidito e minacciato, imponendo il pagamento di un "pizzo" pari al 10-15% del valore dell'immobile pignorato e pilotando l'assegnazione su società immobiliari vicine o su professionisti, soggetti privati e prestanome, i cui interessi spesso sono risultati riferibili agli stessi magistrati giudicanti, come nei tanti casi da noi vanamente denunciati. Lo stesso dicasi per quanto attiene l'ambito delle procedure fallimentari, controllate da un vero e proprio racket di professionisti delle estorsioni, che con il caso del maxi-ammanco negli uffici giudiziari del Tribunale di Milano, da cui sono stati sottratti in 10 anni da una cinquantina di fallimenti, circa 35 milioni di euro, mietendo oltre 7000 vittime, ha messo a nudo una ultradecennale capacità di delinquere interna agli uffici istituzionali, in grado di resistere ad ogni denuncia-querela, forma di controllo ed ispezione ministeriale. Fatti per i quali si è cercato, anche in questo caso, di farci credere che tutto sarebbe avvenuto all'insaputa dei magistrati, dei vertici del Tribunale di Milano e degli organismi di controllo preposti (CSM, Ministero di Giustizia, Procura di Brescia, Procura Nazionale Antimafia), i quali, invero, seppure edotti di tutto, dagli anni ‘80, hanno sistematicamente insabbiato anche le stesse segnalazioni di magistrati onesti, come la dr.ssa Gandolfi, occultando solo negli ultimi anni svariate decine di migliaia di esposti a carico di avvocati, magistrati e curatori fallimentari, nei cui confronti sono rimasti del tutto inerti, giungendo, persino, a tollerare la dolosa elusione dell’obbligo di registrazione delle denunce nell’apposito Registro delle notizie di reato, tassativamente previsto dall’art. 335 c. 1° c.p.p. (26.000 procedimenti insabbiati e occultati in soffitta dalla sola Procura di Brescia).
Quattro anni di carcere e cinque anni di interdizione dai pubblici uffici. Da “La Repubblica”. È la condanna emessa dal tribunale di Perugia nei confronti di Pierluigi Baccarini, giudice della sezione Fallimentare del tribunale della capitale accusato di aver "pilotato" diversi procedimenti fallimentari trai quali quello della società che amministrava il tesoro immobiliare della Democrazia Cristiana. L' inchiesta era scattata a Roma dalle indagini dei pm Giuseppe Cascini e Stefano Pesci che nel 2005 avevano scoperto una sorta di "comitato d' affari" che gestiva l'attività fallimentari degli uffici di viale Giulio Cesare.
Dalle cronache dei giornali si apprende che una ispezione amministrativa a Lecce «negli uffici interessati dalle esecuzioni giudiziarie», in particolare a proposito dell’espletamento delle aste giudiziarie, è stata annunciata dal sottosegretario all’Interno Alfredo Mantovano in conseguenza di quanto emerso dopo l’uccisione di un salentino, Giorgio Romano, che avrebbe fatto affari frequentando appunto le aste giudiziarie. Mantovano lo ha spiegato, parlando a Lecce con i giornalisti. Romano è stato ucciso – a quanto è stato accertato poche ore dopo l’omicidio – da un uomo che, per gravi difficoltà economiche, aveva perso la sua casa e la sua macelleria e sperava di rientrarne in possesso tramite un accordo proprio con Romano, abituale frequentatore di aste giudiziarie. “Un procedimento disciplinare per tutti gli avvocati coinvolti nella vicenda delle aste giudiziarie sottoposte all’indagine della Procura”. È quanto ha annunciato il presidente del Consiglio dell’Ordine degli avvocati di Lecce Luigi Rella.
Su “La Gazzetta del Mezzogiorno” del 19 novembre 2011 Giovanni Longo racconta la Fallimentopoli barese. C’è voluto un camion per trasportare tutte le carte da Bari a Lecce. E quando i faldoni sono giunti a destinazione, pare che nella stanza del procuratore di Lecce Cataldo Motta non ci fosse spazio sufficiente. L’inchiesta della Procura di Bari sulle procedure fallimentari si allarga e trasloca: oltre a curatori, consulenti, professionisti, bancari e cancellieri, nel mirino del nucleo di polizia tributaria della Guardia di finanza sono finiti anche magistrati in servizio presso il Tribunale del capoluogo pugliese. E dunque il Pm ha passato la mano.
E che dire del caso Cirio. Ci furono accertamenti su presunte irregolarità avvenute nella sezione fallimentare del Tribunale di Roma, che hanno visto coinvolti giudici accusati di aver “pilotato” alcuni fallimenti e che vede una procedura di trasferimento d’ ufficio per incompatibilità, avviata nei confronti di un giudice arrestato per corruzione in atti giudiziari.
E che dire delle aste truccate in Lombardia. Al Tribunale di Milano i magistrati hanno denunciato una loro collega: tentata concussione e abuso d'ufficio nelle nomine dei consulenti, al fine di suddividerne i compensi. A Brescia si è archiviato un procedimento penale per usura, pur essendo stato accertato dal perito della Procura un tasso applicato del 446% annuo.
E che dire dell’intrigo che lega il Piemonte e la Toscana. Un Giudice condannato per tangenti per il fallimento Aiazzone e legato con un esponente della P2 in altri processi in Toscana. All’indomani di una udienza a Prato contro di questo, il suo difensore, noto avvocato e professore milanese, fu trovato morto a causa di uno strano suicidio. Nell’ambito di quei processi si denunciano casi di violazione del diritto di difesa. Sempre in Toscana, si chiede il processo ad un giudice: al magistrato vengono contestati corruzione, concussione, peculato, falso, abuso di ufficio e concorso in bancarotta.
Anche in Emilia Romagna si denunciano casi di lesione del diritto di difesa e del contraddittorio a danno dei falliti.
Nelle Marche l'inchiesta sul crack delle aziende dell'imprenditore sambenedettese ha coinvolto ben 18 personaggi. Fra essi numerosi magistrati, avvocati, curatori fallimentari e dirigenti di banca.
In Abruzzo, l’ex gip teramano, poi giudice a Giulianova e oggi magistrato di Corte d’Appello a L’Aquila e l’attuale presidente del Tribunale di Teramo sono stati coinvolti in un’inchiesta sulle vendite giudiziarie immobiliari partita da un esposto presentato da un cancelliere.
A Lecce, per la prima volta in Europa, è stato dichiarato il fallimento del creditore su richiesta del debitore. L’imprenditore è stato sbattuto fuori di casa, nonostante sia stato assolto dai reati di truffa e falso denunciati dal direttore generale di un noto istituto di credito spacciatosi per suo creditore, mentre era, in realtà debitore dell’imprenditore di cui ha provocato il fallimento. Una vittima spara e uccide il suo aguzzino: solo allora danno il via alle indagini, rimaste da tempo insabbiate.
Ciliegina sulla torta è il caso Palermo e Catania. A Palermo per il fallimento con il trucco, tre giudici rischiano il processo. A denunciare le illegalità un comitato antiracket ed antiusura. La competenza è passata alla Procura di Reggio Calabria. Nei suoi uffici è scoppiato lo scandalo “cimici”. A Catania, con atto ispettivo al Ministro della Giustizia n. 4-29179, l'interrogante On. Angela Napoli, ha denunziato la triplice reciprocità d'indagine tra le procure di Messina, Reggio Calabria e Catania con chiari e vicendevoli condizionamenti su una denuncia di un imprenditore dichiarato, ingiustamente, fallito.
Veniamo a Taranto.
Legislatura 17. Atto di Sindacato Ispettivo n° 4-06370 Pubblicato il 21 settembre 2016, nella seduta n. 683.
Buccarella, Airola, Taverna, Donno, Bertorotta, Puglia, Cappelletti, Serra, Giarrusso, Paglini, Santangelo, Bottici -
Al Ministro della giustizia. -
Premesso che:
si apprende da un articolo apparso su "TarantoBuonaSera", del 13 luglio 2016, che a Taranto ci sarebbero quasi 750 case all'asta, con altrettante famiglie destinate a perdere la propria casa, che nella maggior parte dei casi è proprio quella di abitazione;
la crisi che ha colpito il Paese sta incrementando il fenomeno delle aste immobiliari, soprattutto conseguenti all'impossibilità, da parte dei cittadini, di onorare i mutui contratti (senza sottacere delle tante abusive concessioni di finanziamento, da parte degli istituti bancari, che vanno ad aggravare situazioni fortemente compromesse dalla recessione);
purtroppo, non mancano anche conseguenze estreme, come i suicidi ed anche gli omicidi-suicidi di interi nuclei familiari, ad opera di persone ritenute perbene e tranquille, ma che, nella morsa della crisi, non ravvisando vie di soluzione (nemmeno in conseguenza di azioni giudiziarie, che spesso non risultano loro favorevoli), compiono tali deprecabili atti, e i numeri depongono per un vero olocausto di italiani;
dall'Osservatorio suicidi per la crisi economica, gli interroganti hanno rilevato che negli ultimi 4 anni, ovvero tra il 2012 e il 2015, si sono verificati 628 suicidi, in media uno ogni 2 giorni. Ecco alcuni casi, verificatisi solo negli ultimi 12 mesi, balzati agli onori delle cronache: l'omicidio-suicidio di Boretto: agosto 2016, Albina Vecchi, 71 anni, uccide il marito Massimo Pecchini, 77 anni, e poi si uccide perché la loro casa è andata all'asta; 30 maggio 2016, Stefano, pescatore genovese di 55 anni tenta il suicidio perché senza lavoro da mesi, da quando gli era stata sequestrata l'imbarcazione con la quale usciva in mare, e, sfrattato dalla sua abitazione, era costretto ad occupare abusivamente un alloggio del Comune; marzo 2016, Sisinnio Machis, imprenditore di 58 anni, si è suicidato a Villacidro dopo il pignoramento della propria casa; gennaio 2016, Maurizio Palmerini, cinquantenne di Vaiano, frazione di Castiglione del Lago (Perugia), ha ucciso i suoi figli, Hubert di 13 e Giulia di 8 anni, a coltellate e ferito la moglie, poi si è tolto la vita; gennaio 2016, dopo il suicidio del signor Guarascio per aver subito lo sfratto, i deputati dell'Assemblea regionale sciliana del Movimento 5 Stelle comprano la casa andata all'asta e la restituiscono alla sua famiglia; dicembre 2015, un imprenditore si impicca a Lodi perché la sua casa viene messa all'asta;
risulta, inoltre, agli interroganti che presso il tribunale di Taranto, al quarto piano dedicato alle aste immobiliari, si sarebbero imposte prassi non del tutto conformi alla legge (come quella di vendere i beni pignorati anche al "prezzo vile", favorendo gli "avvoltoi" di turno e, verosimilmente, la stessa criminalità) a cui si aggiunge la tendenza a prestare maggiore attenzione alla prosecuzione delle esecuzioni immobiliari, piuttosto che alla tutela ed alle garanzie dei soggetti esecutati o falliti;
sempre presso il tribunale di Taranto, sarebbero diversi i cittadini ad aver lamentato abusi e violazioni di legge da parte dei magistrati chiamati a decidere le loro controversie, con grave nocumento dei loro diritti;
di recente a quanto risulta agli interroganti, la signora Maria Giovanna Benedetta Montemurro, presso il tribunale di Taranto, ha incardinato una procedura di opposizione avverso l'esecuzione immobiliare n. 168/1986 R.G.E., tentando di far valere molteplici ragioni a sua tutela. Nel ricorso, tra i tanti motivi di opposizione, invocando il "decreto Banche" (rectiusdecreto-legge n. 59 del 2016, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 119 del 2016), la signora Montemurro ha anche dedotto che il giudice non poteva procedere all'aggiudicazione atteso che, nella fattispecie, il prezzo di vendita era inferiore al limite della metà e che erano stati esperiti tentativi di vendita oltre il numero consentito dal citato decreto-legge. Effettivamente il recente decreto-legge n. 59, andando a completare il quadro normativo disciplinante la materia, non ha trascurato proprio i profili di tutela delle parti, creditrice e debitrice, soprattutto al fine di evitare che la vendita avvenga oltre determinati limiti e per un tempo indefinito;
la vendita al "prezzo vile", ovvero al prezzo lontano da quello di mercato, danneggia sia il debitore che lo stesso ceppo creditorio (con il rischio concreto di vendere le case e non soddisfare nemmeno le ragioni dei creditori) e pare anche certo che, indipendentemente dalle modalità di vendita (con incanto o senza), dal sistema delle norme che presidiano le esecuzioni immobiliari può ricavarsi che la vendita non possa avvenire ad un prezzo inferiore al limite della metà del valore del bene espropriando, così come stabilito dal tribunale ai sensi dell'art. 568 del codice di procedura civile;
tuttavia, nonostante l'apparente e verosimile fondatezza del ricorso proposto dalla signora Montemurro, il giudice dell'esecuzione ha rigettato le sue ragioni, peraltro in circostanze di tempo così rapide da destare, a parere degli interroganti, non poca inquietudine: il ricorso è stato presentato alle ore 12.30 del 24 maggio 2016; il magistrato ha ricevuto il fascicolo il 25 maggio (perché lo ha "ereditato" da altro magistrato che ha inteso astenersi); nella medesima data del 25 maggio il magistrato ha rigettato la tutela cautelare chiesta dalla Montemurro; solo il giorno successivo, ovvero il 26 maggio, ha provveduto all'aggiudicazione, a giudizio degli interroganti in maniera se non illegittima quanto meno in modo poco prudente, in considerazione del fatto che si trattava di espropriare un immobile adibito ad abitazione;
considerato che a quanto risulta agli interroganti:
la signora Montemurro, ritenendo di non avere ricevuto alcuna tutela in sede civile, con atto del 24 giugno 2016, ha adito il giudice penale ed ha denunciato non solo il giudice dell'esecuzione, ma anche il "sistema" aste presso l'organo di giustizia. Nel suo esposto, tra l'altro, ha lamentato che presso il tribunale jonico: vi è l'orientamento di vendere all'asta, con poca o nessuna tutela per le parti; vi è poca turnazione dei magistrati, che gestiscono le aste ed anche degli ausiliari di questi ultimi; vi sarebbe prassi di vendere anche al limite di 20.000 euro, indipendentemente da quello che è il valore del bene espropriando, con la conseguenza che, a suo dire, alla fine, risulterebbero "pagati" solo i costi delle procedure;
la signora Montemurro non è l'unica ad aver lamentato condotte discutibili e inclini alle banche (solitamente creditrici procedenti) ed alle espropriazioni in genere da parte dei magistrati del tribunale tarantino, di volta in volta chiamati ad intervenire in questioni relative alle opposizioni alle aste immobiliari, in sede sia di cautela che di merito;
consta agli interroganti che anche il signor Vitantonio Bello abbia lamentato una tenace chiusura della magistratura jonica rispetto all'asta immobiliare in suo danno (n. 593/2011 R.G.E. del tribunale di Taranto), non ottenendo tutela nonostante le molteplici procedure incardinate e nonostante, in qualche provvedimento giurisdizionale, il magistrato estensore abbia riconosciuto la fondatezza della doglianza da lui sollevata. Nel caso di Bello l'asta immobiliare ha ad oggetto la casa ove vive con moglie e due figli minori (di anni 5 ed uno), a tal punto il signor Bello avrebbe anche interessato della sua vicenda la Presidenza della Repubblica e quest'ultima, di rimando, la Prefettura di Taranto;
sempre nella vicenda del signor Bello, la magistratura di Taranto, non accordandogli tutela e non sospendendo l'esecuzione, in un provvedimento giurisdizionale, ha sostanzialmente anche asserito che non vi sarebbe alcun vizio nel rapporto tra il medesimo e la banca, se pure l'istituto di credito, concedendogli più prestiti a distanza di poco tempo, era a conoscenza che lo stesso cliente non sarebbe stato in condizione di restituire il denaro (e ciò in considerazione di quella che era la sua valutata capacità di rimborso). A parere degli interroganti, nella stessa statuizione, vi sarebbe anche un'abnorme legittimazione della concessione abusiva di credito;
altra vicenda molto sintomatica della pervicace chiusura dei giudici di Taranto rispetto alla tutela da accordare agli esecutati e falliti è quella della signora Maria Spera (procedura esecutiva n. 590/1994 R.G.E del tribunale di Taranto). Vicenda che, nonostante non si sia ancora conclusa, ha registrato non poche forzature, con grave danno economico, psicologico e morale dell'esecutata. Addirittura la signora Spera ha lamentato un'illegittima duplicazione di titoli esecutivi, con cui l'intero suo patrimonio risulta ancora bloccato: 1) la procedura n. 590/1994 R.G.E., che si basa sul titolo esecutivo "mutuo fondiario" e che vede quale bene pignorato un terreno di 24 ettari (terreno a cui sarebbe interessato un facoltoso imprenditore locale, già socio di Emma Marcegaglia); 2) un decreto ingiuntivo, che si basa sullo stesso e medesimo debito, decreto con il quale è stato ipotecato l'intero restante patrimonio immobiliare della signora Spera. La vicenda, a giudizio degli interroganti, è tanto più inquietante se si pensa che il debito originario contratto dalla signora nel 1990 era a pari a 500 milioni di lire (corrispondenti a circa 258.000 euro) e la signora, alla data del 2007, ne aveva già restituiti 400.000 euro (corrispondenti a circa 800 milioni di lire);
ad oggi la signora Spera, nonostante il pignoramento del terreno, sottostimato dal tribunale di Taranto in poco più di 400.000 euro (somma che sarebbe più che capiente rispetto all'eventuale debito residuo, ove ne residuasse, visto che circa 400.000 euro sono stati già resi dalla signora alla Banca nazionale del lavoro), ha l'intero suo patrimonio ipotecato, in virtù dell'altro titolo esecutivo (il decreto ingiuntivo), emesso per lo stesso ed unico debito (che così è consacrato in 2 distinti titoli esecutivi). Pertanto, se la signora volesse vendere qualcosa per pagare eventuali residui debiti, non potrebbe farlo (e nemmeno è in condizione di onorare le esose tasse sulla proprietà, se non con gli aiuti dei figli);
la signora Spera ha riferito agli interroganti che, decorsi 10 anni dall'iscrizione dell'ipoteca sul suo patrimonio, in virtù del decreto ingiuntivo, nell'assenza di atti esecutivi (perché nel frattempo la procedura è andata avanti per la vendita del terreno pignorato sulla base del titolo esecutivo "mutuo fondiario"), ha chiesto la cancellazione dell'ipoteca, anche ritenendo la perenzione del decreto ingiuntivo, ma in risposta ha ottenuto dal tribunale tarantino il rigetto della sua legittima istanza (procedura n. 3291/2014 R.G. del tribunale). La questione pende in appello (causa n. 536/2014 R.G. della Corte di appello di Lecce, sezione di Taranto), ma la signora Maria Spera ritiene che incontrerà ancora l'illogico ed illegale ostacolo;
considerato, inoltre, che:
la signora Maria Spera ha riferito agli interroganti di aver presentato, presso il tribunale di Potenza (competente a valutare gli esposti nei confronti dei magistrati di Taranto), denuncia penale nei confronti dei magistrati ed ausiliari che, a suo parere, avrebbero male esercitato la funzione giurisdizionale, causandole danni; ma anche a Potenza ha dovuto prendere atto che, anziché ottenere tutela, ha solo registrato l'astio del pubblico ministero e la pessima sua azione. Allo stato la signora Spera, esecutata dal 1994, non ha ottenuto, né dai giudici di Taranto né da quelli di Potenza, la tutela che le leggi le garantirebbero ma che la magistratura (chiamata ad applicarle) le ha negato;
la vicenda è già balzata agli onori della stampa (sul settimanale tarantino "Wemag" del 12 novembre 2010) ed è stata anche oggetto di un'altra interrogazione parlamentare presentata alla Camera dei deputati nel 2010 (4-07339 a firma dell'on. Zazzera dell'IdV, Legislatura XVI);
ad avviso degli interroganti, circostanza molto inquietante è quella per cui, sempre in danno della signora Spera, né la magistratura jonica (sia in sede civile che penale) né quella potentina (in sede penale) hanno inteso accertare l'usura che la signora stessa ha lamentato esserle stata applicata. Usura che è poi emersa nell'ambito di una causa civile sempre dinanzi al tribunale tarantino, in occasione di una consulenza di ufficio redatta (causa n. 7929/2009 R.G. del tribunale di Taranto);
considerato infine che:
i fatti lamentati, per quanto gravi, non sono isolati. Gli interroganti hanno preso atto anche di un'intervista fatta dalla televisione locale "Studio 100" a varie persone esecutate, che avrebbero descritto il quadro inquietante e ricorrente al quarto piano del tribunale di Taranto, destinato appunto alle esecuzioni e ai fallimenti: si racconterebbe di prassi illegali che, pur denunciate, non vengono sanzionate, di "avvoltoi" che si avvicinano agli esecutati, estorcendo denaro per rinunciare all'acquisto, per poi acquistare all'udienza di vendita successiva, con ulteriore ribasso del prezzo e aggravio di danno per le povere vittime;
a giudizio degli interroganti la delicatezza dell'argomento, sia per le gravose conseguenze sulle persone, che per i dubbi di opinabile esercizio della funzione giurisdizionale, impone interventi urgenti e forti,
si chiede di sapere:
se non ricorrano le circostanze per intraprendere le opportune iniziative ispettive, sia presso il tribunale di Taranto, che presso quello di Potenza, onde verificare se quanto lamentato dai soggetti coinvolti corrisponda al vero e, in caso di verifica positiva, se non ricorrano le condizioni di adozione dei necessari provvedimenti correttivi a tutela delle parti e del corretto esercizio della funzione giurisdizionale;
se, nell'ambito delle attività ispettive, il Ministro in indirizzo non ritenga di dover verificare: la sussistenza delle condotte descritte, con particolare riguardo ai rapporti con le banche e le società di recupero crediti, ai fini dell'eventuale adozione di provvedimenti sanzionatori da parte delle autorità competenti; se corrisponda al vero che, presso il tribunale di Taranto, si celebrano aggiudicazioni di immobili anche al di sotto della metà del loro valore, e comunque in violazione delle norme di legge;
se esista un obbligo di turnazione dei magistrati nelle sezioni di esecuzione immobiliare e fallimentare e, in caso positivo, se lo stesso venga rispettato presso il tribunale di Taranto e se il medesimo obbligo sussista rispetto ai consulenti e ausiliari vari.
Dr Antonio Giangrande Scrittore, sociologo storico, giurista, blogger, youtuber, presidente dell’Associazione Contro Tutte le Mafie.
Antonio Giangrande: Come si truccano le aste giudiziarie, o i procedimenti dei sequestri/confische antimafia o i procedimenti concorsuali o esecutivi.
Intervista al sociologo storico Antonio Giangrande, autore di un centinaio di saggi che parlano di questa Italia contemporanea, analizzandone tutte le tematiche, divise per argomenti e per territorio.
Dr Antonio Giangrande di cosa si occupa con i suoi saggi e con la sua web tv o con i suoi canali youtube?
«Denuncio i difetti e caldeggio i pregi italici. Perché non abbiamo orgoglio e dignità per migliorarci e perché non sappiamo apprezzare, tutelare e promuovere quello che abbiamo ereditato dai nostri avi. Insomma, siamo bravi a farci del male e qualcuno deve pur essere diverso!»
Perché dice che i procedimenti giudiziari esecutivi sono truccati o truccabili, siano esse aste giudiziarie, o procedimenti di sequestro o confisca di beni presunti mafiosi, ovvero procedimenti concorsuali o esecutivi.
«Oltre ad essere scrittore, sono presidente dell’Associazione Contro Tutte le Mafie. Sodalizio nazionale antiracket ed antiusura (al pari di Libera). Associazione già iscritta all’apposito elenco prefettizio di Taranto, ma cancellata il 6 settembre 2017 per mia volontà, non volendo sottostare alle condizioni imposte dalla normativa nazionale: obbligo delle denunce (incentivo alla calunnia ed alla delazione) e obbligo alla costituzione di parte civile (speculazione sui procedimenti attivati su denunce pretestuose). Come presidente di questa associazione antimafia sono destinatario di centinaia di segnalazioni da tutta Italia. Segnalazioni ricevute in virtù della previsione statutaria associativa. Solo alcune di queste segnalazioni sono state prese in considerazione e citate nei miei saggi: solo quelle di cui si sono interessati organi istituzionali o di stampa. Articoli giornalistici od interrogazioni parlamentari inseriti nei miei saggi d’inchiesta: “Usuropoli. Usura e Fallimenti truccati” e “La Mafia dell’antimafia».
Perché le segnalazioni sono state rivolte a lei e non agli organi giudiziari?
«Per sfiducia nella giustizia. La cronaca lo conferma. Chiara Schettini tenta di scrollarsi di dosso le accuse pesantissime che l'hanno portata in carcere, aggravate da intercettazioni che la inchiodano a minacce, a frasi sorprendenti come: "Io se voglio sono più mafiosa dei mafiosi". Il Fatto contro i giudici fallimentari: "Sono corrotti". Il quotidiano di Travaglio alza il velo sui giudici fallimentari. A parlare è una di loro: "Ci davano 150 mila euro e viaggi pagati per pilotare le cause...", scrive “Libero Quotidiano”. Il Fatto contro le toghe. No, non è un ossimoro, ma l'approfondimento del quotidiano di Travaglio e Padellaro sui tribunali fallimentari. Raramente capita di leggere sul Fatto qualche articolo contro le toghe e la magistratura. Per l'ultimo dell'anno in casa travaglina si fa un'eccezione. Così il Fatto alza il velo sullo scandalo dei magistrati corrotti dei tribunali fallimentari. A parlare è l'ex giudice Chiara Schettini, arrestata a giugno che al Fatto racconta: "A Roma era una prassi. Viaggi e soldi in contanti erano la norma per comprare le sentenze. Si divideva il compenso con il magistrato, tre su quattro sono corrotti". La Schettini è un fiume in piena e accusa i colleghi: "L'ambiente della fallimentare è ostile, durissimo, atavico, non ci sono solo spartizioni di denaro ma viaggi, regali, di tutto di più, una nomina a commissario giudiziale costa 150 mila euro, tutti sanno tutto e nessuno fa niente". Infine punta il dito anche contro i "pezzi grossi" della magistratura fallimentare: "Si sapeva tranquillamente che lì c'era chi per una nomina a commissario giudiziale andava via in Ferrari con la valigetta e prendeva 150 mila euro da un famoso studio, tutti sanno ma nessuno fa niente...". Cause truccate, tangenti, favori. Tra magistrati venduti, politici, e top model che esportano milioni - La giudice “pentita” Schettini, arrestata per corruzione e peculato, ha cominciato a fare i nomi del “sistema”, tra avvocati, commercialisti e legami tra professionisti e banditi della criminalità romana…, scrive Dagospia. Corruzione al tribunale: voi fallite, noi rubiamo, scrive, invece, Pietro Troncon su “Vicenza Piu”. Corruzione al tribunale: voi fallite, noi rubiamo, scrive Lirio Abbate su L'Espresso n. 3 - del 23 gennaio 2014. Più che un tribunale sembra il discount delle grandi occasioni. Una fiera dove la crisi fa arrivare di tutto: dagli hotel alle fabbriche, a prezzi scontatissimi. Ma all'asta sarebbero finiti anche incarichi professionali milionari, assegnati al miglior offerente. O preziosi paracadute per imprenditori spericolati dalla mazzetta facile. Minerva e il prezzo della verità. Fallimenti, magistrati e giornalisti, scrive Francesco Monteleone su “Affari Italiani”. Giornalisti contro magistrati. Quanto costa essere veritieri? E' la domanda posta dai giornalisti riuniti, all'ombra della statua di Minerva, sulle scale del Palazzo di Giustizia di Bari. “Aste e fallimenti truccati…” Di fronte all’ingresso dello stesso palazzo, una scritta sul muro sintetizza impietosamente il comportamento vergognoso di alcuni magistrati responsabili della Sezione Fallimentare, che hanno subìto provvedimenti duri da parte del Consiglio Superiore della Magistratura. E la verità bisogna raccontarla...tutta! Una scatola di pasta piena di soldi consegnata in un parcheggio di Trezzano. Altre due buste di denaro, una passata di mano in un ristorante di Pogliano Milanese e una in un pub in zona San Siro. Infine, una borsa di Versace, regalata in un negozio del centro di Milano, scrive Gianni Santucci su “Il Corriere della Sera”. Ruota per ora intorno a questi quattro episodi l'inchiesta della Procura su un sistema di corruzione nelle aste giudiziarie del Tribunale di Milano. Ville in Sardegna all’asta assegnate dai magistrati ai loro colleghi. Sospeso il giudice Alessandro Di Giacomo e un perito. Otto indagati in tutto. Il sospetto di altri affari pilotati, scrive Ilaria Sacchettoni il 15 dicembre 2017 su "Il Corriere della Sera". Magistrati che premiano altri magistrati nell’aggiudicazione di ville superlative. Avvocati che, in virtù dell’amicizia con presidenti del Tribunale locale, si prestano a dissuadere altri avvocati dall’eccepire. Colleghi degli uni e degli altri che, interpellati dagli ispettori del ministero della Giustizia, su possibili turbative d’asta oppongono un incrollabile mutismo. Massa e Pisa, aste truccate: “Dobbiamo rubare il più possibile”. Chiesta la sospensione del giudice Bufo. L'accusa è di aver sottratto soldi all'erario e aver dato gli incarichi alla figlia dell'amico. Sette provvedimenti. Ai domiciliari anche l’ex consigliere regionale Luvisotti (An), scrivono Laura Montanari e Massimo Mugnaini il 10 gennaio 2018 su "La Repubblica". «Qui bisogna cercare di rubare il più possibile» dice uno. E l’altro che è un giudice, Roberto Bufo, 56 anni, di Carrara ma in servizio al tribunale di Pisa, risponde: «Esatto». E il primo: «Il concetto di fondo è uno solo... anche perché tanto a essere onesti non succede niente». La procura di Caltanissetta ha chiesto il rinvio a giudizio per la Saguto e per 15 suoi amici, scrive il 26 ottobre 2017 Telejato.
DOPO MESI DI INDAGINI, INTERROGATORI, INTERCETTAZIONI, IL NODO È ARRIVATO AL PETTINE. La procura di Caltanissetta ha chiesto il rinvio a giudizio per la signora Silvana Saguto, già presidente dell’Ufficio Misure di prevenzione, accusata assieme ad altri 15 imputati, di corruzione, abuso d’ufficio, concussione, truffa aggravata, riciclaggio, dopo una requisitoria durata cinque ore. Saranno invece processati col rito abbreviato i magistrati Tommaso Virga, Fabio Licata e il cancelliere Elio Grimaldi. Tra coloro per cui è stato chiesto il rinvio figurano il padre, il figlio Emanuele e il marito della Saguto, il funzionario della DIA Rosolino Nasca, i docenti universitari Roberto Di Maria e Carmelo Provenzano, assieme ad altri suoi parenti, l’ex prefetto di Palermo Francesca Cannizzo. Virus su rai 2 condotto da Nicola Porro. 22:33 va in onda un servizio dedicato al caso del magistrato Antonio Lollo di Latina. Gomez: "C'è un problema in Italia riguardo i tribunali fallimentari. Non è la prima volta che un magistrato divide i soldi con il consulente. Nelle fallimentari, è noto che c'è la cosiddetta mano nera. Sulle aste, succedono cose strane. E se a dirlo è Peter Gomez, il direttore de “Il Fatto Quotidiano”, giornale notoriamente giustizialista e genuflesso all’autorità dei magistrati, è tutto dire. Ed ancora.
RACKET DI FALLIMENTI E ASTE. LE CONNIVENZE DELLA PROCURA FANTASMA TRIESTINA, scrive Pietro Palau Giovannetti (Presidente di Avvocati senza Frontiere). Non solo a Trieste. E adesso l'inchiesta sulle aste pilotate a palazzo di giustizia potrebbe salire decisamente di tono: alla Procura di Brescia, competente a indagare sui magistrati del distretto di Milano (dunque anche quelli lecchesi), sarebbero stati inviati mesi fa una serie di documenti di indagine, scrive Claudio Del Frate con Paolo Marelli su “Il Corriere della Sera”. Ed ancora. Tangentopoli scuote ancora Pavia, scrive Sandro Repossi su “Il Corriere della Sera”. Mentre il sostituto procuratore Vincenzo Calia invia due avvisi di garanzia a personaggi "eccellenti" del Policlinico San Matteo come Giorgio Domenella, primario di traumatologia, e Giovanni Azzaretti, direttore sanitario, spunta un'altra ipotesi: un magistrato sarebbe coinvolto nell'inchiesta sulle aste giudiziarie. Caso San Matteo. Ed ancora. Il pm Paolo Toso ha presentato oggi le richieste di pena per i 15 imputati del processo sulle aste giudiziarie immobiliari di Torino e provincia: in totale 62 anni di condanna. Aste immobiliari, il business dal lato oscuro. L'incanto di case e immobili, in arrivo da fallimenti di privati e imprese è, complice la crisi, un settore in crescita esponenziale. Ma anche uno dei più grandi coni d'ombra del sistema giudiziario, scrive Luciana Grosso su “L’Espresso”. Se avete qualche soldo da riciclare, le aste immobiliari sembrano essere fatte apposta. E sono tante: circa 50mila all'anno, per un valore complessivo incalcolabile e, soprattutto, incalcolato. Corruzione e falso, arrestati giudice e cancelliere a Latina, scrive “la Repubblica”. Corruzione in atti giudiziari, concussione, turbativa d'asta, falso. Sono alcune delle accuse contestate a otto persone ai quali la squadra mobile di Latina ha notificato ordinanze di custodia cautelare emesse dai giudici di Perugia e di Latina. Tra gli arrestati, quattro in regime di detenzione in carcere e altrettanti ai domiciliari, anche un magistrato e un cancelliere in servizio presso il tribunale del capoluogo, alcuni professionisti e un sottufficiale della Guardia di Finanza. Al giudice andava una percentuale dei compensi che, in sede di giudizio, lo stesso giudice riconosceva ai consulenti. Le indagini avrebbero accertato come i consulenti nominati dal giudice nelle singole procedure concorsuali, abitualmente corrispondevano a quest'ultimo una percentuale dei compensi a loro liquidati dal giudice stesso. Il filone di indagine ha permesso anche di svelare altri illeciti sullo svolgimento delle aste disposte dal Tribunale di Latina per la vendita di beni oggetto di liquidazione. Tutto questo non basta ad avere sfiducia nella Magistratura? Ogni segnalazione conteneva una denuncia presentata, che si è conclusa con esito negativo. Sono stato sentito dagli organi inquirenti, territorialmente toccati dagli scandali, per rendere conto del mio dossier. Gli ho spiegato che sono uno scrittore e non un Pubblico Ministero con potere d’indagine, con l’inchiesta giudiziaria bell’e fatta, né sono una parte con le prove specifiche allegate alla singola denuncia rimasta lettera morta. Val bene che una denuncia può non essere sostenuta da prove, o che al massino vale un indizio. Ma decine di casi a supporto di un’accusa, valgono decine di indizi che formano una prova. Se si ha fede si crede a ciò che non si vede; se non si ha fede (voglia di procedere da parte di PM o suoi delegati), una montagna di prove non basta! Anche il giornalista di Telejato, Pino Maniaci, a Palermo non veniva creduto quando parlava di strane amministrazioni giudiziarie sui beni sequestrati e confiscati a presunti mafiosi, che poi le sentenze non li ritenevano mafiosi. Però, successivamente, l’insistenza e lo scandalo ha costretto gli inquirenti a procedere contro i loro colleghi magistrati, che poi sono i dominus dei procedimenti giudiziari, anche tramite i collaboratori che loro nominano. Comunque di scandali se ne parla e se ne è parlato. Quasi tutti i Tribunali sono stati toccati da scandali od inchieste giudiziarie. Quei pochi luoghi rimasti immuni sono forse Fori unti dal Signore...».
Spieghi, lei, allora, come si truccato le aste giudiziarie e i procedimenti connessi…
«LA NOMINA DEI COLLABORATORI DA PARTE DEL GIUDICE TITOLARE. I custodi giudiziari spesso si spacciano anche per amministratori giudiziari, per poter pretendere con l’avvallo dei magistrati compensi raddoppiati e non dovuti. Essendo i consulenti tecnici, i periti, gli interpreti ed i custodi/amministratori giudiziari i principali ausiliari dei magistrati, come a questi ci si pretende di porre in loro una fiducia incondizionata. Spesso, però ci si accorge che tale fiducia è mal riposta, sia nei collaboratori, che nei magistrati stessi. La nomina del curatore esecutivo o del commissario concorsuale o amministratore dei beni mafiosi sequestrati o confiscati si dice che avviene per rotazione. Vero! Bisogna però verificare la quantità degli incarichi e, ancor di più, la qualità. Un incarico del valore di 10 mila euro è diverso da quello di 10 milioni di euro. All’amico si affida l’incarico di valore maggiore con liquidazione consistente del compenso! Di quest’aspetto ne parla la “Stampa”. Giuseppe Marabotto era scampato a un primo processo per un serio reato (aveva rivelato a un indagato che il suo telefono era sotto controllo). Chiacchierato da molti anni e divenuto procuratore di Pinerolo, ha costruito in una tranquilla periferia giudiziaria un regno personale e il malaffare perfetto per chi, come lui, si sentiva impunito stando dalla parte della legge: 11 milioni di euro sottratti allo Stato sotto forma di consulenze fiscali seriali ed inutili ai fini di azioni giudiziarie. Secondo quanto scrivono Il Messaggero e Il Fatto Quotidiano la procura di Perugia sta indagando sulla gestione delle procedure fallimentari del Tribunale di Roma. Ovvero di come il Tribunale assegna i vari casi di crisi aziendali ai curatori fallimentari, avvocati o commercialisti, che in base al valore della pratica che gestiscono vengono pagati cifre in alcuni casi molto alte. L’ipotesi al vaglio degli inquirenti è che a “guidare” queste assegnazioni ci sia un sistema clientelare o corruttivo.
L’AFFIDAMENTO E LA GESTIONE DEI BENI CONFISCATI/SEQUESTRATI AI PRESUNTI MAFIOSI. I beni dei presunti mafiosi confiscato o sequestrati preventivamente sono affidati e gestiti da associazione di regime (di sinistra) che spesso illegittimamente sono punto di riferimento delle prefetture, pur non essendo iscritte nell’apposito registro provinciale, e comunque sempre destinatari di fondi pubblici per la loro gestione, perchè vincitori di programmi o progetti allestiti dalla loro parte politica.
LA DURATA DEL MANDATO. Un mandato collusivo e senza controllo porta ad essere duraturo e senza soluzione di continuità. Quel mandato diventa oneroso per i beni e ne costituiscono la loro naturale svalutazione. Trattiamo della nomina e della remunerazione dei custodi/amministratori giudiziari. In questo caso trattasi di custodia dei beni sequestrati in procedimenti per usura. Il custode ha pensato bene di chiedere il conto alle parti processande, ben prima dell’inizio del processo di I grado ed in solido a tutti i chiamati in causa in improponibili connessioni nel reato, sia oggettive che soggettive. Chiamati a pagare erano anche a coloro a cui nulla era stato sequestrato e che poi, bontà loro, la loro posizione era stata stralciata. Questo custode ha pensato bene di chiedere ed ottenere, con l’avallo del Giudice dell’Udienza Preliminare di Taranto, ben 72.000,00 euro (settantaduemila) per l’attività, a suo dire, di custode/amministratore. Sostanzialmente il GUP, per pervenire artatamente all’applicazione delle tariffe professionali dei commercialisti, in modo da maggiorare il compenso del custode, ha ritenuto che la qualifica spettante al suo ausiliario non fosse di custode i beni sequestrati (art. 321 cpp, primo comma), ma quella di amministratore di beni sequestrati (art. 321 cpp, secondo comma, in relazione all’art. 12 sexies comma 4 bis del BL 306/1992 che applica gli artt. 2 quater e da 2 sezies a 2 duodecies L. 575/1965). Il presidente Antonio Morelli ha riconosciuto, invece, liquidandola in decreto, solo la somma di euro 30.000,00 (trentamila). A parte il fatto che non tutti possono permettersi di opporsi ad un decreto di liquidazione del GUP, è inconcepibile l’enorme differenza tra il liquidato dal GUP e quanto effettivamente riconosciuto dal Presidente del Tribunale di Taranto. Anche “Il Giornale” ha trattato la questione. Parcelle gonfiate, indagato consulente del Pm. Avrebbe ritoccato note spese liquidate dalla Procura: è stato nominato in 144 procedimenti. Con le accuse di truffa ai danni dello Stato e frode fiscale, il pm Luigi Orsi ha messo sotto inchiesta il commercialista M.G., più volte nominato consulente tecnico del pubblico ministero e dell'ufficio del giudice civile e anche amministratore giudiziario di beni sequestrati. E poi c’è l’inchiesta de “Il Messaggero”. Tribunale fallimentare, incarichi d'oro. Inchiesta sui compensi da capogiro. In tribunale, avvocati e cancellieri ne parlano con circospezione. E lo raccontano come se fosse un bubbone che prima o poi doveva scoppiare, perché gli interessi economici in ballo sono davvero altissimi e gli esclusi dalla grande torta cominciavano a dare segni di insofferenza da tempo.
LA VALUTAZIONE DEI BENI. La valutazione dei beni da vendere all’asta pubblica è fatta in ribasso, anche in forza di attestazioni false dello stato dei luoghi. Per esempio: si prende una visura catastale in cui il terreno risulta incolto/pascolo, ma in effetti è coltivato ad uliveto o vigneto. Oppure si valuta come catapecchia una casa ben manutenuta e rinnovata. Esemplare è il fallimento della Federconsorzi. Caposaldo dello scandalo, la liquidazione di un ente che possedeva beni immobili e mobili valutabili oltre quattordicimila miliardi di lire per ripagare debiti di duemila miliardi. L’enormità della differenza avrebbe costituito la ragione di due processi, uno aperto a Perugia uno a Roma. La singolarità dello scandalo è costituita dall’assoluto silenzio della grande stampa, che ha ignorato entrambi i processi, favorendo, palesemente, chi ne disponeva l’insabbiamento.
LE FUGHE DI NOTIZIE. Le fughe di notizie sulla situazione dei beni, le notizie sulla pericolosità o meno dei loro proprietari, o gli avvisi sulle offerte sono cose risapute.
LA MANCATA VENDITA. Spesso ci sono dei personaggi, con i fascicoli dei procedimenti in mano, che in cambio di tangenti promettono la sospensione della vendita. Altre volte i proprietari mettono in essere comportamenti intimidatori nei confronti dei possibili acquirenti, tanto da inibirne l’acquisto.
LA VENDITA VIZIATA. La vendita del bene all’asta può essere viziata, impedendo ai possibili acquirenti di parteciparvi. Per esempio si indica una data di vendita sbagliata (anche da parte degli avvocati nei confronti dei propri clienti esecutati), o il luogo di vendita sbagliato (un paese per un altro).
L’AQUISTO DI FAVORE. L’acquisto dei beni è spesso effettuato tramite prestanomi al posto di chi non è legittimato all’acquisto (come per esempio il proprietario esecutato), e spesso effettuato per riciclaggio o auto riciclaggio.
IL PREZZO VILE (VALORE TROPPO BASSO RISPETTO AL MERCATO). Il filo conduttore che lega tutte le aste truccate è la riconducibilità al prezzo vile: ossia il quasi regalare il bene da vendere all’asta, frutto di sacrifici da parte degli esecutati, rispetto al valore di mercato, affinchè si liquidi il compenso dei collaboratori del giudice, e, se ne rimane, il resto al creditore».
Cosa si può fare contro il prezzo vile?
«Contro il prezzo vile, se si vuole si può intervenire. Casa all'asta: addio aggiudicazione se il prezzo è troppo basso. Importante ordinanza del Tribunale di Tempio sulla revoca dell'aggiudicazione di un immobile all'asta, scrive la dott.ssa Floriana Baldino il 10 febbraio 2018 su “Studio Castaldi” - Dal tribunale di Tempio, con la firma del giudice Alessandro Di Giacomo, arriva un'importante decisione. Il giudice, a seguito del deposito di un ricorso urgente, ha revocato l'aggiudicazione dell'immobile all'asta, considerando la circostanza che l'immobile era stato venduto ad un prezzo troppo basso rispetto al valore che lo stesso aveva sul mercato. Il giudice, infatti, deve sempre valutare l'adeguatezza del prezzo di vendita rispetto a quello di mercato onde evitare "l'eccesso di ribasso", che sicuramente non va a vantaggio né del creditore né del debitore. L'unico a trarne vantaggio sarebbe soltanto colui che all'asta acquista l'immobile ad un prezzo irrisorio. Il giudice Di Giacomo, accogliendo dunque la tesi dell'avvocato difensore, ha revocato l'aggiudicazione dell'asta in base ai principi stabiliti dalla legge n. 203 del 1991. Tale legge parla impropriamente di "sospensione" ma, in verità, attribuisce al G.E. – fino all'emissione del decreto di trasferimento – un vero e proprio potere di revocare l'aggiudicazione dell'immobile a prezzo iniquo. Il potere di revocare l'aggiudicazione, prima spettava solo al giudice delegato ex art. 108 della legge fallimentare, ma la riforma ha attribuito questo potere al giudice dell'esecuzione, allo scopo di "restituire il processo esecutivo alla fase dell'incanto che andrà rifissato con diverse modalità, affinchè la gara tra gli offerenti si svolga per l'aggiudicazione del bene al prezzo giusto".
La sospensione della vendita. Già prima dell'approvazione del decreto del 2016, molti giudici, di diversi tribunali, avvalendosi della possibilità riconosciuta loro ex art. 586 c.p.c., in seguito alle modifiche apportate dalla legge n. 203/91 di conversione del D.lg. n. 152/91, sospendevano la vendita quando il prezzo era notevolmente inferiore a quello "giusto". Quel decreto, urgente, era stato pensato per la lotta alla criminalità organizzata delle vendite pilotate, ovvero negli anni in cui si assisteva ad una serie di incanti deserti al fine di conseguire, attraverso successivi ribassi, un prezzo di aggiudicazione irrisorio. Questa legge, pensata e studiata per la lotta alla criminalità organizzata, è stata poi applicata in diversi tribunali e per tutte le procedure che non avevano più alcuna utilità. Ogniqualvolta i giudici ritenevano che gli interessi economici del debitore e del creditore venissero frustrati dal prezzo troppo basso di aggiudicazione dell'immobile, potevano, a discrezione, "sospendere la vendita". Così, ad es., il tribunale di Roma, sez. distaccata di Ostia, con ordinanza del 9 Maggio 2013 che ha sospeso per un anno l'esecuzione immobiliare dopo cinque tentativi di asta. Nella fattispecie, il prezzo del bene si era talmente ridotto rispetto alla stima del perito che il giudice ha ritenuto che la sospensione di un anno della procedura, potesse essere un congruo termine per tentare la vendita dell'immobile ad un prezzo diverso, e magari più adeguato. Al Tribunale di Napoli invece un giudice è andato oltre restituendo il bene al debitore (ord. del 23.01.2014.), facendo riferimento a due principi importanti. Il primo, della ragionevole durata del processo, ed il secondo, principio cardine a cui il giudice napoletano ha fatto riferimento, quello secondo cui, procedere con l'esecuzione, non era più fruttuoso né per il debitore né per il creditore, sempre per il c.d. "giusto prezzo". Successivamente anche il Tribunale di Belluno si è espresso in tal senso con ordinanza del 3.06.2013.
La necessaria utilità del processo esecutivo. Il processo esecutivo deve avere una sua utilità. Soddisfare il creditore e liberare il debitore dai suoi debiti. Il periodo storico in cui ci troviamo non è sicuramente dei migliori ed il mercato immobiliare è sicuramente molto penalizzato. Si assiste sempre a situazioni in cui alle aste non vi è alcuna proposta di acquisto, almeno fino a quando il prezzo dell'immobile rimane alto. Poi il bene viene venduto ad un prezzo veramente irrisorio ed il creditore non viene soddisfatto dal prezzo ricavato dalla vendita, mentre il debitore si ritrova senza immobile (in molti casi proprio la prima abitazione) e con ancora i debiti da saldare. Molte norme sono intervenute in aiuto degli imprenditori in crisi ed ora tutto sta nelle mani dei giudici dei tribunali, che possono applicare le norme in una maniera più elastica e meno rigida.
La giurisprudenza. Importante, in materia di esecuzione, è la sentenza n. 692/2012 della Cassazione. Occupandosi di esecuzione in materia fiscale, la S.C. ha ribadito che: "Nell'esecuzione esattoriale il potere del giudice di valutare l'adeguatezza del prezzo di trasferimento non solo non subisce alcuna eccezione rispetto l'esecuzione ordinaria ma deve essere esercitato con particolare oculatezza, sì da valutare se, nel singolo caso, sia più dannoso per lo Stato creditore il protrarsi dei tempi di riscossione o la perdita della possibilità di realizzare gran parte del proprio credito, a causa della sottovalutazione del bene pignorato". Una massima enunciata prima della approvazione del "decreto del fare", ovvero quando ancora Equitalia poteva pignorare e vendere all'asta gli immobili dei contribuenti. La massima enunciata dalla Cassazione in materia tributaria, si adegua, ed uniforma, a quello da sempre sottolineato nel procedimento civile.
Il processo esecutivo deve mantenere la sua utilità. La Cassazione specifica inoltre che il concetto di prezzo giusto, non richiede necessariamente una valutazione corrispondente al valore di mercato, ma occorre aver riguardo alle modalità con cui si è pervenuti all'aggiudicazione, al fine di accertare se tali modalità (pubblicità ed altro), siano stati tali da sollecitare l'interesse dell'acquisto. Insomma, sempre più numerose le sentenze a favore del consumatore indebitato che vede svendere i propri beni senza ottenere, per di più, dalla vendita la soddisfazione dei creditori».
Come bloccare un'Asta?
«Se la tua casa è all’asta esistono diversi metodi per sospendere o bloccare definitivamente il pignoramento a seconda delle situazioni. L’importante è che le aste vadano deserte, scrive lo Studio Chianetta il 22 maggio 2017. Molto spesso – specie quando si ha a che fare con la legge – si prende cognizione dei problemi quando il danno è spesso irrimediabile. Succede a chi ha la casa pignorata che, dopo aver ignorato gli svariati avvisi del creditore e aver sottovalutato le carte ricevute dal tribunale, si chiede come bloccare un’asta. In verità, anche per chi è soggetto a un’esecuzione forzata immobiliare, esistono alcune scappatoie, pienamente legali, ma da prendere con le dovute cautele. Infatti, se è vero che esse consentono di sbarazzarsi del pignoramento dall’oggi al domani, dall’altro lato non vengono accordate dal giudice con facilità e automatismo. Del resto, come tutte le norme, anche quelle che consentono di bloccare un’asta immobiliare sono soggette a interpretazione e, peraltro, come vedremo, lasciano un campo di azione abbastanza ampio alla valutazione del giudice. Ma procediamo con ordine. Il problema della casa all’asta resta il cruccio principale per molti debitori che subiscono il pignoramento. Impropriamente si crede peraltro che la «prima casa» non sia pignorabile, cosa non vera per due ordini di motivi: innanzitutto il limite vale solo nei confronti dell’agente della riscossione (Equitalia o, dal 1° luglio 2017, l’Agenzia delle Entrate-Riscossione); in secondo luogo perché a non essere pignorabile non è la «prima casa» ma solo l’unico immobile di proprietà del debitore (per cui, se questi ha due case, ad essere pignorabili sono entrambe e non solo la seconda). A dirla tutta, quando si tratta di creditori privati (la banca, un fornitore o la controparte che ha vinto una causa) il pignoramento immobiliare può essere avviato anche per debiti di scarso valore (invece, per i debiti con il fisco il pignoramento è possibile solo superati 120mila euro). Prima di capire come bloccare la casa all’asta sono necessarie due importanti precisazioni. La prima cosa da sapere è che, di norma, prima di procedere al pignoramento (e, quindi, all’asta), il creditore iscrive un’ipoteca sull’immobile. Per quanto ciò non sia vincolante (lo è solo nel caso in cui ad agire sia l’Agente della riscossione), avviene quasi sempre perché attribuisce un diritto di prelazione sul ricavato: in altre parole, il creditore con l’ipoteca si primo grado si soddisfa prima degli altri. La seconda indispensabile precisazione è che, per bloccare la casa all’asta si può contestare le ragioni del creditore solo se questi agisce in forza di un assegno o di un contratto di mutuo. Viceversa, se il creditore agisce in forza di una sentenza di condanna, il debitore non può più metterla in discussione (avendo avuto il termine per fare appello o ricorso per cassazione). Quindi, se il giudice ha fissato il nuovo esperimento d’asta e il creditore agisce perché ha ottenuto un decreto ingiuntivo (ad esempio, la banca per interessi non corrisposti) non è più possibile sollevare eccezioni sul merito del credito (ad esempio sull’anatocismo)».
Ma allora quando si può bloccare la casa all’asta?
«Le ragioni sono essenzialmente legate all’utilità della procedura. Ci spieghiamo meglio, scrive lo Studio Chianetta il 22 maggio 2017. Lo scopo del pignoramento – e quindi delle aste – è quello di liquidare i beni del debitore e, con il ricavato, soddisfare il creditore procedente. Una procedura che realizza l’interesse di entrambe le parti: quello del creditore – perché così ottiene i soldi che gli spettano – e quello del proprietario della casa – perché in tal modo si libera del debito. Quando però queste due finalità non possono essere realizzate, allora non c’è ragione di tenere in vita la procedura. Si pensi al caso di un’asta battuta a un prezzo ormai così basso da non consentire al creditore di recuperare neanche la metà delle somme per le quali agisce, al netto delle spese legali già sostenute. Nello stesso tempo, l’eventuale vendita – eseguita magari a favore di chi, furbescamente, ha atteso diverse aste prima di proporre un’offerta, in modo da far calare il prezzo – non consente al debitore di liberarsi della morosità, peraltro espropriandolo di un bene per lui vitale. Risultato: insoddisfatto il creditore, insoddisfatto il debitore. Consapevole di ciò il legislatore ha, di recente, emanato due norme che, sebbene possano apparire indipendenti tra loro, se applicate l’una con l’altra possono favorire la rapida conclusione del pignoramento.
COME BLOCCARE L’ASTA. Qualora non si presenti alcun offerente alle aste promosse dal tribunale, il giudice può disporre un ribasso del prezzo di vendita del 25% (ossia di un quarto). Molto spesso, però, nonostante i ribassi e il calo drastico del prezzo rispetto alla stima fatta all’inizio del pignoramento dal consulente del tribunale (il cosiddetto «Ctu», ossia il consulente tecnico d’ufficio), non si presenta alcun offerente. Con la conseguenza che il prezzo d’asta scende sempre di più fino al punto da non soddisfare le pretese dei creditori. Così il codice di procedura stabilisce che «quando risulta che non è più possibile conseguire un ragionevole soddisfacimento delle pretese dei creditori – anche tenuto conto dei costi necessari per la prosecuzione della procedura, delle probabilità di liquidazione del bene e del presumibile valore di realizzo – è disposta la chiusura anticipata del processo esecutivo». In pratica, tutte le volte che la casa, sottoposta a pignoramento immobiliare, non trova potenziali acquirenti e la base d’asta, a furia di ribassi, arriva a un prezzo che non è in grado di garantire un ragionevole soddisfacimento dei creditori il giudice decreta la fine anticipata del processo esecutivo. Si tratta di una estinzione anticipata del pignoramento che non consente allo stesso di risorgere in un secondo momento. Questo significa che il debitore torna nella piena disponibilità della propria casa prima pignorata e non dovrà subire alcuna asta. Ma quando è possibile raggiungere questo risultato? Quante aste bisogna aspettare? In teoria molte. E proprio per questo è intervenuta la seconda parte della riforma di cui abbiamo accennato in partenza. La seconda norma in evidenza è contenuta nel cosiddetto «decreto banche» dell’inizio 2016. In base all’ultima riforma del processo esecutivo, quando il terzo esperimento d’asta va deserto e il bene pignorato non viene aggiudicato, il giudice dispone un quarto tentativo di asta e, per rendere più allettante la partecipazione degli offerenti, può decurtare fino a metà il prezzo di vendita. Con l’ovvia conseguenza che, andata deserta anche la quarta asta, il prezzo di vendita sarà sceso così tanto da consentire il verificarsi di quella condizione – prima descritta – che consente l’estinzione anticipata del pignoramento: ossia l’impossibilità di conseguire un ragionevole soddisfacimento delle pretese dei creditori. Ecco così che già dopo la quarta o la quinta asta, al più dopo la sesta, è possibile bloccare le aste successive e chiudere una buona volta il pignoramento. Del resto scopo del pignoramento è quello di soddisfare il creditore e non infliggere al debitore una sanzione esemplare. Tanto è vero che una recente ordinanza del Tribunale di Tempio ha stabilito che: «Neppure le esigenze di celerità cui tale particolare procedura è improntata (si riferisce all’ esecuzione esattoriale), in forza delle quali l’espropriazione anche per prezzo vile trova la sua ragion d’essere nel preminente interesse dello Stato procedente, possono giustificare che il trasferimento degli immobili pignorati prescinda da un qualsiasi collegamento con il valore dei beni e che tale valore possa essere anche irrisorio, atteso che l’espropriazione ha la finalità di trasformare il bene in denaro per il soddisfacimento dei creditori e non certo di infliggere una sanzione atipica al debitore inadempiente». Secondo il giudice quindi è anche possibile sospendere la vendita se il prezzo è troppo basso. Il che è previsto dal codice di procedura civile che prevede la possibilità di sospendere il pignoramento anche una volta intervenuta la vendita: «Avvenuto il versamento del prezzo, il giudice dell’esecuzione può sospendere la vendita quando ritiene che il prezzo offerto sia notevolmente inferiore a quello giusto».
LA SOSPENSIONE DELL’ESECUZIONE FORZATA SULLA CASA. C’è poi la possibilità di chiedere la sospensione del pignoramento quando il giudice ritiene che il prezzo offerto sia notevolmente inferiore a quello giusto e di mercato. La misura è nell’interesse sia del debitore (che ha interesse a che la casa si venda al prezzo reale, per poter chiudere la partita col creditore), sia del creditore stesso (che intende recuperare quanto più possibile delle somme che gli spettano). Si tratta di un potere riservato al vaglio discrezionale del tribunale (ma che, ovviamente può essere sollecitato dagli avvocati delle parti) che comporta il differimento dell’asta pubblica “a data da destinarsi” (ossia a quando il mercato sarà più “maturo”). Sempre che, nelle more, non intervengano altri eventi modificativi del processo come, per esempio, il disinteresse del creditore, una trattativa tra le parti che porti a una transazione con sostanziale decurtazione del debito, ecc.
NEL CASO DI FALLIMENTO. Anche se la vendita avviene per via di un fallimento, le cose non cambiano. Difatti, la legge fallimentare prevede, nel caso in cui oggetto della vendita forzata sia un bene appartenente a un imprenditore fallito, che «il giudice delegato, su istanza del fallito, del comitato dei creditori o di altri interessati, previo parere dello stesso comitato dei creditori, può sospendere, con decreto motivato, le operazioni di vendita, qualora ricorrano gravi e giustificati motivi ovvero, su istanza presentata dagli stessi soggetti». In passato il tribunale di Lanciano, nell’ambito di pignoramento immobiliare conseguente a un fallimento ha preso atto del notevole squilibrio tra il prezzo di base d’asta dell’immobile e quello di mercato (per come attestato dalla perizia del Consulente tecnico d’ufficio) e, sulla scorta di ciò, ha sospeso la vendita della casa pignorata».
Commissione d’incasso. Mancata Trasparenza o Tangente bancaria.
Se in Italia dal punto di vista fiscale si pagano le imposte dirette sul lavoro, si pagano le imposte indirette sull’acquisto di un bene frutto di quel lavoro e si pagano le tasse per il possesso di quello stesso bene, dal punto di vista bancario si pagano gli interessi sul denaro altrui e si pagano le commissioni bancarie per tenere ed avere il denaro proprio.
Come dire? Dalla padella, nella brace.
A tal proposito racconto che l’amministratore di un immobile locato distribuisce ai proprietari, eredi in comunione, la 16ª parte del canone di locazione. Ad ognuno di loro tocca euro 55,40 liquidati con assegni della banca del medesimo amministratore. Gli eredi già pagano le imposte dirette e comunali sull’immobile.
Il 16 ottobre 2023, avendo ricevuto l’assegno nominativo circolare bancario di euro 55,40 dell’Iccrea Banca di Credito Cooperativo di Avetrana, anziché depositarlo gratuitamente sul mio conto di una banca terza, per fare prima decido di incassarlo direttamente dalla banca traente e trattaria, ma all’incasso mi consegnano solo 50,40 euro.
Si sono trattenuti 5,00 euro, pari al 10% del valore del loro stesso assegno.
Alla mia domanda sul perché quell’ammanco, mi si risponde: così è, gliel’ho detto.
Non essendo cliente di quella banca, non ho potuto leggere le condizioni generali di gestione, né all’esterno vi era alcun avviso sull’incasso degli assegni, tanto meno sono stato avvisato oralmente, altrimenti avrei receduto dall’incassare in quel modo.
E’ successo ad Avetrana, ma è come se fosse successo in ogni parte d’Italia.
Io avendo un conto corrente con un’altra banca non ci casco più, ma chi non ha un conto corrente bancario aperto, o ce l’ha online, come fa? Deve patire?
E’ normale questo andazzo? Come definire quest’azione: mancata trasparenza o tangente bancaria del 10%?
Bisogna sempre subire e tacere, specie se le banche sono agevolate dalla politica e sono solite finanziare la pubblicità mediatica, per far tacere queste anomalie?
Antonio Giangrande: INCHIESTA ESCLUSIVA. PARLIAMO DELLE RIFORME CHE NESSUNO VUOLE.
LIBERALIZZAZIONI FARLOCCHE E TUTELA DI CASTE E LOBBIES
ELETTORI. ATTENTI AL TRUCCO. ALZATE LA TESTA.
Tra liste bloccate per amici e parenti e boutade elettorali, ogni nuova tornata elettorale, come sempre, non promette niente di nuovo: ergo, niente di buono. I vecchi tromboni, nelle idee più che nell’età, minacciano il nostro futuro - dice il dr Antonio Giangrande, scrittore dissidente e presidente dell'Associazione Contro Tutte le Mafie - Nomi e numeri: al 15 agosto 2012 il parlamentare con maggiore permanenza (40 anni) alla Camera è Giorgio La Malfa, ex ministro negli anni 80, tra i leader del Partito Repubblicano, di cui suo padre Ugo è stato uno storico dirigente: il suo debutto da onorevole risale al 1972. Al secondo posto Mario Tassone, (Udc) deputato da 34 anni e 14 giorni. Quindi Francesco Colucci (PdL) 33 anni e 34 giorni. Al quarto posto, appaiati, due "big" della scena politica nazionale: i presidenti della Camera Gianfranco Fini (Fli) e il leader Udc Pier Ferdinando Casini, entrambi con 29 anni e 32 giorni. ln Senato è il presidente della Commissione Antimafia Beppe Pisanu ad essere saldamente al primo posto: 38 anni e 128 giorni per lui. Il secondo, Altero Matteoli del Pdl, è staccato di ben 9 anni, come il collega di partito Filippo Berselli. La presidente dei senatori del Pd Anna Finocchiaro è all'ottavo posto con 25 anni e 42 giorni, più di Emma Bonino (21 anni e 90 giorni), ma soprattutto più di Franco Marini: 20 anni e 111 giorni. Maurizio Gasparri e i leghisti Roberto Calderoli e Roberto Castelli sono parlamentari da 20 anni. E Pedica? Lui, che ha fatto le pulci ai suoi colleghi, stilando la classifica dei vecchi, non lo scrive ma, eletto la prima volta alla Camera il 6 giugno 2006 (ora è al Senato), finora ha trascorso da onorevole 6 anni e 71 giorni.
Paolo Del Debbio che su Rete 4 ha condotto la prima puntata di Quinta Colonna in risposta ai cittadini in esterna a Roma che dicevano che i politici erano tutti uguali e che dovevano andare a casa ha risposto: “ma li vota la gente, li votate voi”. Bene. Questi giornalisti pagati dalla politica e dall’economia se nei loro salotti, anziché ospitare le solite litanie di vecchi tromboni con idee vetuste sulla società, invitassero qualcuno con idee innovative, forse sì che si farebbero le riforme.
RIFORME VERE, NON ARTEFATTE E MILLANTATORIE.
Per esempio vi ricordate delle liberalizzazioni di Bersani? Dopo due decenni alla voce carburanti i rincari più pesanti: +170%. Ma anche l'assicurazione non scherza: i costi sono triplicati e ora contano per il 17% del totale, mentre le tasse ammontano al 6%.
Per esempio sui concorsi pubblici a 13 anni dall'ultima selezione per esami e titoli - che si è svolta in ambito regionale soltanto per alcune classi di concorso - e dopo 22 anni da quella precedente, ancora valida per le materie d'insegnamento con le graduatorie più affollate, è facile immaginare che le persone interessate al concorso di insegnante sono davvero parecchie. La dichiarazione più autorevole è quella dello stesso Ministro dell’Istruzione Francesco Profumo che parla di concorso destinato a coloro che sono già abilitati. In questo caso potrebbero partecipare tutti gli inclusi nelle graduatorie ad esaurimento dei precari e tutti coloro che, pur non essendo inclusi in queste liste, si sono abilitati attraverso i precedenti concorsi a cattedre. Insomma, chi lo dice ai candidati che questo non è un concorso, ma una sanatoria al precariato.
Ora parliamo delle riforme forensi ed in particolar modo di accesso alla professione. Tralasciando le innumerevoli interrogazioni parlamentari che denunciano le anomalie e l’irregolarità di un concorso che tutti sanno essere truccato ed impunito, passiamo all’analisi politica dell’approccio al problema. Con l’avvento di Berlusconi con le sue abbindolanti promesse di libertà si ebbe l’illusione che l’Italia delle professioni stesse per cambiare.
L’on. Luca Volontè, (UDC) alla Camera, il 5 luglio 2001, presenta un progetto di legge, il n. 1202, in cui si dichiara formalmente che in Italia gli esami per diventare avvocato sono truccati. Secondo la sua relazione diventano avvocati non i capaci e i meritevoli, ma i raccomandati e i fortunati. Propose il doppio binario di abilitazione: esame ed al suo superamento l’abilitazione ovvero patrocinio legale di 6 anni ed al termine l’abilitazione. Nel 2003 (Legge 180, conv. Dl 112) si è partorito dalla mente geniale dei leghisti l’obbrobrio della pseudo riforma razzista dei compiti itineranti. Il 12 luglio 2011 sulla strada dell’approvazione della finanziaria il governo ha vissuto una giornata incandescente. Questa volta non si è trattato di proteste dell’opposizione o di leggi ad personam del premier. Il caso è esploso all’interno del Popolo della libertà. Perché diversi esponenti del partito hanno alzato le barricate contro una norma sulla liberalizzazione degli ordini professionali. Dopo una raccolta di firme di parlamentari del Pdl, è arrivata la retromarcia dell’esecutivo, con il ministro per i Rapporti con le Regioni Raffaele Fitto che ha spiegato: “E’ stata raggiunta l’intesa tra maggioranza e governo sull’emendamento relativo alla liberalizzazione delle professioni”. L’annuncio dopo un incontro tra il presidente del Senato Renato Schifani, il ministro dell’Economia Giulio Tremonti e altri membri del governo. Nella nuova versione della norma dovrebbe esserci una distinzione tra gli ordini professionali che sostengono l’esame di Stato e quelli che non lo sostengono. Il governo ha concesso le modifiche all’emendamento dopo che 22 senatori del Pdl avevano inviato una lettera ai presidenti del Senato, del gruppo Pdl e della Commissione Bilancio di Palazzo Madama per esprimere la loro netta opposizione alla liberalizzazione degli ordini professionali. E dopo che all’interno del partito era iniziata una raccolta di firme. Tra gli ordini colpiti ci sarebbe stato quello degli avvocati: secondo il disegno del governo per esercitare la professione di avvocato in futuro sarebbe stato sufficiente avere conseguito la laurea e avere svolto il praticantato. “Fino a quando non verrà tolta la norma che abolisce gli ordini professionali, noi il testo – assicurava un avvocato del Pdl – non la voteremo mai dovesse anche cadere Tremonti”. Gli avvocati del Pdl sono 44, 13 i medici, un solo notaio. A difesa della posizione degli avvocati del Pdl, si era schierato forse il più noto tra loro: Ignazio La Russa. “Da avvocato ritengo che sia una norma che merita un approfondimento ulteriore. Non mi sembra materia da inserire in un decreto. Ritengo che la protesta degli avvocati – conclude La Russa – non sia affatto irragionevole”. Un’altra presa di posiziona, che rende l’idea del caos nel partito, è stata quella del capogruppo al Senato Maurizio Gasparri, secondo il quale il tema dell’abolizione degli ordini professionali “non sussiste. La formulazione del tema è già superata. Molti reagiscono a un testo che non c’è. Comunque ne stiamo parlando”.
Da qui si è capito che il centro-destra vuol tutelare gli ordini, quindi le lobbies. Da loro non arriveranno mai riforme. Della serie: i raccomandati alla riscossa.
Conosciute le pubbliche virtù del centro destra, si sperava nel centro sinistra, che a parole sono contro i poteri forti. L’On. Mario Lettieri (Margherita) presenta alla Camera una proposta di legge, n. 4048/03, contro gli abusi a danno dei Praticanti Avvocato, prevedendo la remunerazione per gli stessi e l’abolizione dell’esame. I Democratici di Sinistra, invece, chiedono un accesso alla professioni forense più rigoroso - si parla addirittura di concorso, non di esame di abilitazione - si schierano contro l'abolizione delle tariffe minime e massime che favorirebbero i Giovani Avvocati ed i praticanti abilitati e ripropongono quell'aberrazione rappresentata delle scuole di formazione forensi e post-universitarie a pagamento ed obbligatorie per potere sostenere l'esame forense.
Relazione introduttiva di Massimo Brutti (Responsabile DS Giustizia). Dal Convegno "Giustizia: voltare pagina; Il contributo dei Ds a un nuovo programma di governo" (30 giugno 2005) [.............] L'accesso alla professione va reso maggiormente selettivo e il concorso (nazionale o decentrato in più sedi, ma non certo presso ogni distretto) deve rappresentare il compimento di un complesso percorso di professionalizzazione, a cui dovrebbero contribuire Università, scuole comuni di formazione e scuole forensi.[.............]
Non basta: dello stesso parere il Senatore Guido Calvi DS che nello stesso convegno si è scagliato anche contro il numero eccessivo e patologico di avvocati e contro l'esame troppo facile.
La Proposta dei DS sulla Giustizia. 2 Novembre 2005. Commissione progetto DS. Area Istituzioni e Pubblica amministrazione. Le politiche istituzionali...............D’altro canto, gli abnormi numeri dell’avvocatura italiana (quasi 160.000 avvocati) ci dicono che il problema non è affatto, come per altre professioni, quello di una maggiore apertura alla concorrenza, ma di come garantire l’indipendenza, la professionalità e la responsabilità di professionisti così decisivi per la tutela di diritti primari dei cittadini..............La professionalità deve essere assicurata sia attraverso una maggiore selezione all’accesso, sia attraverso verifiche periodiche. In proposito, possibili strade appaiono: a) una selezione di merito nell’accesso a scuole post-universitarie obbligatorie e al tirocinio, ...............Proponiamo una liberalizzazione delle tariffe relative alle consulenze ed alle attività extra-giudiziarie............... (quindi non abolizione di quelle giudiziali che più interessano ai praticanti abilitati ed ai Giovani Avvocati).
Relazione di Massimo Brutti alla conferenza nazionale dei DS. 13 Gennaio 2006. Giustizia uguale per tutti e tutela dei diritti................. Numeri: quasi 160.000 avvocati. Il problema non è affatto, come per altre professioni, quello di una maggiore apertura alla concorrenza,................La professionalità deve essere assicurata sia attraverso una maggiore selezione all’accesso, sia attraverso verifiche periodiche. In proposito, le vie da seguire sono: a) una selezione di merito nell’accesso a scuole post-universitarie obbligatorie e al tirocinio pratico,.................
Proponiamo una liberalizzazione delle tariffe limitatamente alle consulenze ed alle attività extra-giudiziarie........
Donatella Ferranti, capogruppo dei democratici in Commissione Giustizia, in riferimento al ritardo nel 2011, lamentato dall’avvocatura, nell’esame del disegno di legge di riforma dell’ordine forense, sottolineava come “l’avvocatura necessiti di un ordinamento nuovo, volto alla verifica degli accessi, a garanzia della qualità e della professionalità”.
La senatrice Donatella Poretti, PD (in realtà Radicale) ha presentato in parlamento il ddl S.2994. Annunciato nella seduta pom. n. 632 del 26 ottobre 2011. L’«uovo di Colombo» – capace di aumentare, e di non poco, le entrate dello Stato – è quello di eliminare il limite di sei anni: si verrebbe così a creare una figura intermedia di professionista, il patrocinatore legale, che aprirebbe le porte al mondo del lavoro a circa 30.000 giovani, senza contrastare l’articolo 33 della Costituzione. Il patrocinatore legale potrebbe quindi decidere se rimanere tale (con limiti di materia e territorio) ovvero tentare, senza assilli, la strada che lo abiliti al pieno esercizio della professione. Se solo i 30.000 patrocinatori legali che si verrebbero così a creare versassero allo Stato la media di euro 1.000 annue, l’Italia incasserebbe 30.000.000 di euro in più, a partire da subito. Altra positiva innovazione che si propone, è che, sempre in campo forense, finito il tirocinio, risultino abilitati ipso iure i diplomati post-laurea alla scuola di specializzazione per le professioni legali istituita secondo quanto previsto dall’articolo 17, commi 113 e 114, della legge 15 maggio 1997, n. 127, e dall’articolo 16 del decreto legislativo 17 novembre 1997, n. 398, emanato in base alla delega conferita dal citato articolo 17, comma 113: l’ingresso in detta scuola è a numero programmato, è biennale e sono previsti tirocini. Si consideri infatti che il diploma (attualmente) esonera da un anno di pratica forense.
Alla luce di questa proposta si deve sapere che i progetti e le proposte di legge ogni fine legislatura decadono, quindi sono poco credibili quelle presentate artificiosamente nell’imminenza delle nuove elezioni.
Da qui si è capito che anche il centro-sinistra vuol tutelare gli ordini, quindi le lobbies. Da loro non arriveranno mai riforme. Della serie: i raccomandati alla riscossa.
Per dare spazio alla meritocrazia basta eliminare gli Ordini di costituzione fascista. (Ordinamento Forense, regio decreto-legge 27 novembre 1933, n. 1578, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 gennaio 1934, n. 36). Oppure basterebbe togliere gli esami, che si truccano, o fare almeno gli esami per test attitudinali. Tutto il resto è truffa. Così come è stata l’ultima pseudo riforma. Non ci sarà alcuna cancellazione degli ordini professionali: il Consiglio dei ministri si è limitato a riorganizzarli. La questione era aperta da più di un anno, con la Casta fortemente contraria alle liberalizzazioni. Ma dopo i provvedimenti del governo, che non portano a grandi stravolgimenti, alcune categorie professionali lamentano una scarsa attenzione da parte dell’Esecutivo. Obbligo per i professionisti di stipulare polizze assicurative a tutela del cliente, formazione continua, durata massima del tirocinio a 18 mesi, separazione all’interno degli Ordini fra le funzioni disciplinari e quelli amministrative, sì alla pubblicità informativa: sono i contenuti principali della riforma delle professioni che dopo un lungo percorso è stata approvata lo scorso 3 agosto 2012. Il Dpr “Regolamento recante riforma degli ordinamenti professionali, a norma dell’articolo 3, comma 5, del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 settembre 2011, n. 148” è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 14 agosto ed è in vigore dal giorno successivo. Per alcune norme (es.: obbligo assicurativo e formazione continua) ci sono ancora 12 mesi di tempo. Vediamo in sintesi i principali punti della riforma delle professioni.
Ambito di applicazione. Il regolamento riguarda solo le professioni regolamentate il cui esercizio è consentito a seguito dell’iscrizione a ordini e collegi. Significa che il decreto non riguarda gli iscritti ad albi o elenchi tenuti da amministrazioni pubbliche (precedenti stesure del provvedimento inglobavano invece anche queste professioni).
Tirocinio. L’obbligatorietà del tirocinio, o praticantato, continua a essere stabilita dall’Ordine (ci sono professioni che non prevedono un periodo di praticantato obbligatorio, e questo continuerà ad essere possibile). Per le professioni che prevedono il praticantato, la durata massima è fissata in 18 mesi (quindi gli Ordini che prevedono praticanti più lunghi dovranno uniformarsi). E’ previsto che il tirocinio possa essere svolto, per un periodo massimo di sei mesi, presso enti o professionisti abilitati di altri paesi. Prevista anche la possibilità di effettuare i primi sei mesi di praticantato nel corso dell’ultimo anno di università, oppure dopo la laurea presso una pubblica amministrazione. In entrambi i casi, è necessaria un’apposita convenzione fra Ordine e ministero. Questo non riguarda le professioni sanitarie.
Pubblicità. La pubblicità informativa relativa a esercizio dell’attività, titoli, studio professionale e tariffe è ammessa «con ogni mezzo». Deve essere «veritiera e corretta», non deve violare il segreto professionale, non può essere «equivoca, ingannevole o denigratoria». Le violazioni rappresentano illecito disciplinare.
Assicurazione. E’ una delle novità introdotte dal decreto: il professionista ha l’obbligo di stipulare un’assicurazione per i danni derivanti al cliente dall’esercizio dell’attività professionali, anche relativi a custodia di documenti e valori. L’assicurazione può essere stipulata attraverso convenzioni collettive degli Ordini o degli Enti Previdenziali di categoria. Questa disposizione diventa obbligatoria entro 12 mesi dall’entrata in vigore del decreto, quindi dal 15 agosto 2013. L’obbligo di assicurazione non riguarda i giornalisti. La violazione rappresenta illecito disciplinare.
Formazione continua. Anche questa è una novità introdotta dalla riforma, e per dare il tempo di adeguarsi è previsto che entri in vigore entro 12 mesi: il professionista ha l’obbligo della formazione continua, attraverso corsi di formazione che possono essere organizzati da Ordini e Collegi, associazioni di iscritti all’Albo o altri soggetti autorizzati dagli Ordini. Sono gli Ordini che, entro un anno dal decreto (quindi entro il 15 agosto 2013) dovranno emanare i regolamenti per prevedere modalità è condizioni dell’aggiornamento professionale obbligatorio, requisiti minimi dei corsi, valore dei crediti professionali. Prevista la possibilità di convenzioni con le università.
Procedimenti disciplinari. Viene stabilita l’incompatibilità fra le cariche relative all’esercizio dei poteri disciplinari e quelle amministrative: prevista l’istituzione dei consigli di disciplina territoriali, composti da persone diverse dai consiglieri dell’Ordine.
Ma nel Governo dei tecnici che ha partorito una riforma, che non riforma un bel niente, non vi era quel presidente dell’Antitrust, Antonio Catricalà, che diceva: «Sarebbe ora che gli Ordini professionali riconoscessero l'aleatorietà di quegli esami. Si tratta di prove che spesso non premiano il merito. Meglio prevedere percorsi più selettivi all'università e poi un quinto anno che serva da tirocinio o praticantato. E poi subito l'ingresso nel mondo del lavoro».
Alle prossime elezioni, prima di andare a votare si sappia prima e bene chi vuole veramente riformare questo paese allo sfascio.
Dr Antonio Giangrande
Presidente dell’Associazione Contro Tutte le Mafie e di Tele Web Italia
Antonio Giangrande: LECCE E CAGLIARI: AVVOCATI CON LE PALLE
Lecce e Cagliari: avvocati con le palle. Gli avvocati protestano, credi che non ti riguardi?
«Per una volta sorvolo sull’abilitazione truccata nell’avvocatura. E per quanto ne parli, tanto me la fanno pagare. Ciononostante per la prima volta posso osannare le gesta delle toghe leccesi e cagliaritane che si differenziano dalla massa succube della politica e della magistratura».
Esordisce così, senza giri di parole il dr Antonio Giangrande.
«Da mesi gli avvocati cagliaritani e leccesi sono impegnati in un'azione di astensione dalle udienze, nel silenzio dei media nazionali. Azione a carattere generale che non attiene battaglie di bottega, come per esempio la chiusura della sede distaccata di quel Tribunale o di quel Giudice di Pace. Qui trattasi dei tagli e dell’aumento dei costi ad una giustizia allo sfascio che genera ingiustizia. Lotta che ha lasciato indifferenti e silenziosi sia il presidente del Consiglio Renzi che il ministro della giustizia Orlando». Continua Giangrande, noto autore di saggi con il suffisso opoli (per denotare una disfunzione) letti in tutto il mondo. «Le coraggiose toghe hanno promosso una raccolta fondi tra gli avvocati di Lecce e Cagliari per acquistare una mezza pagina pubblicitaria sul Corriere della Sera e spiegare, ancora una volta, le ragioni che hanno portato negli ultimi mesi a scioperare e protestare. I media se non li paghi non informano. E’ ammirabile il gesto se si tiene conto che la protesta, questa volta, è mirata non solo a difesa della lobby, ma anche alla tutela dei diritti del cittadino.»
Sul giornale leggi.
GLI AVVOCATI PROTESTANO:CREDI CHE NON TI RIGUARDI?
Lo sai che i tempi di un processo sono aumentati mediamente di 2 anni? E che, invece, dal 2002 al 2012 il costo di ciò che tu paghi allo Stato per un processo è aumentato fino al 182,67%? Lo Stato ha aumentato le tasse che tu paghi per difendere i tuoi diritti e ha imposto la mediazione obbligatoria, con costi a tuo carico prima di poter andare davanti a un giudice.
Lo sai che il Governo sta pensando di chiederti una tassa per sapere i motivi delle sentenze? E i soldi che hai versato per la tassa non te li restituirà in nessun caso?
Lo sai che in appello la tassa che hai pagato in primo grado viene aumentata del 50%. E in Cassazione si raddoppia? E che se perdi la devi pagare di nuovo?
Lo sai che se per esempio devi impugnare un’espropriazione al TAR la Tassa costa almeno 650 euro (ma per gli appalti può arrivare fino a 6.000!), ed altri 650 (o 6.000) se successivamente dovrai impugnare altri atti e che al Consiglio di Stato quella tassa viene aumentata del 50%? Perdi? Rischi di pagare di nuovo.
Lo sai che se hai ricevuto un accertamento fiscale o un fermo amministrativo illegittimo e vuoi ricorrere in Commissione Tributaria devi pagare una tassa per ogni accertamento impugnato e se siete in due (ad es. tu e tua moglie) dovete pagare due volte? E che se vuoi impugnare in Commissione Tributaria Regionale quella tassa viene aumentata del 50%?
Lo sai che se sei povero la Costituzione ti garantisce che l'avvocato te lo paga lo Stato, ma che lo stesso Stato ha introdotto delle norme che lo rendono di fatto impossibile?
Lo sai che lo Stato è talmente lento nel perseguire i reati che in media la prima udienza dei processi si tiene quando già è trascorso il 70% del tempo utile per la prescrizione del reato?
Lo sai che lo Stato nel settore penale minaccia di elevare fino a € 10.000,00 la sanzione pecuniaria in caso di inammissibilità del ricorso?
Lo sai che, a causa della chiusura dei Tribunali periferici, i tempi e i costi delle esecuzioni nei confronti del tuo debitore si sono allungati a dismisura?
Lo sai che senza l’avvocato la tua domanda di giustizia non sarebbe ascoltata?
Lo sai che è grazie al coraggio degli avvocati che sono andati contro la giurisprudenza dominante se, ad esempio, oggi puoi fare causa alla banca per l’anatocismo sui conti correnti? O se puoi fare causa al datore di lavoro che ti ha licenziato ingiustamente? O se puoi lottare affinché tuo figlio non sia allontanato dalla tua famiglia? O se puoi difenderti dall’accusa di un reato che non hai commesso?
Per questo, e molto altro, gli Avvocati di Lecce e Cagliari sono in astensione ad oltranza dalle udienze. Lo Stato sta smantellando la Giustizia. Sei ancora convinto che se la giustizia non funziona è tutta colpa degli avvocati?
Per la Commissione di garanzia pare proprio di sì. La Commissione di garanzia dell’attuazione della legge sullo sciopero ha aperto un procedimento nei confronti dell’Ordine degli avvocati di Lecce, in particolare, nella persona del suo presidente, Raffaele Fatano. Due sono le contestazioni mosse: violazione dell’obbligo di preavviso minimo e della determinazione della durata dello sciopero, e violazione della norma sulla durata massima dell’astensione. Le toghe salentine hanno deciso di astenersi dalle udienze nel corso dell’assemblea straordinaria riunitasi il 18 febbraio scorso. Decisione confermata il 14 aprile in un successivo appuntamento assembleare laddove si decise di portare avanti lo sciopero a oltranza fino al 3 giugno, anticipata al 28 maggio, giorno in cui gli avvocati si riuniranno nuovamente per stabilire se continuare o meno a disertare le aule dei tribunali. Un invito a sospendere l’astensione dalle udienze era stato rivolto agli avvocati dall’Anm attraverso un documento stilato nel corso dell’assemblea degli iscritti tenutasi lo scorso 23 aprile. Molto probabilmente la Giustizia non è un sentire comune.
La Video Sorveglianza. Antonio Giangrande. L'INSICUREZZA PUBBLICA E LA VIDEO SORVEGLIANZA PRIVATA.
Lo Stato non garantisce la sicurezza e inibisce chi ci pensa da solo con la burocrazia e con le reprimende e le speculazioni.
Inchiesta del dr Antonio Giangrande. Scrittore, sociologo storico, giurista, blogger, youtuber, presidente dell’Associazione Contro Tutte le Mafie.
I media da sempre ce la menano sul fatto che contro gli atti criminali, specie quelli bagatellari e comuni, bisogna denunciare. Poco si sa, invece, che la gente rinuncia a denunciare proprio quei reati più odiosi, per il fatto sottaciuto che, in un modo o in un altro, le notizie di reato non vanno avanti per insabbiamenti (denunce non registrate; archiviazioni artefatte, non comunicando la richiesta di archiviazione, quando preteso per presentare opposizione; indagini mai svolte o svolte male), o per il disincentivo (perchè è solo una perdita di tempo).
Allorquando qualcuno si incaponisce a credere che ci sia uno Stato di Diritto e questi ha bisogno di prove per perseguire i responsabili del reato e lo fa con la ripresa delle immagini. Ecco che allora lo Stato lo inibisce in tutti i modi.
Certo è che lo Stato, prima ti sbeffeggia. La Stabilità 2016 ha stanziato fondi (15 milioni di euro) per il Bonus Sicurezza, ovvero un credito d'imposta per quei privati che decidono di installare sistemi di videosorveglianza. I cittadini che si doteranno di impianti si vedranno riconoscere il 50 per cento della spesa sostenuta.
I fondi son limitati. Ergo: Chi prima arriva, prima alloggia...
Dopo lo sberleffo arriva l'inghippo. Tutti i modi per impedire la sicurezza fai da te.
1. Il tema della Privacy. Ce lo spiega Alessio Sgherza il 15 febbraio 2017 su "La Repubblica". Il tema videocamere pone per i cittadini un problema di privacy: il problema di chi viene ripreso e deve mantenere il suo diritto alla riservatezza e ai suoi dati personali; e il problema di chi decide di installare i sistemi di videosorveglianza perché ha il diritto a difendere le proprie pertinenze. Due diritti che si contrastano sulla carta e tra i quali è necessario trovare un equilibrio. Ecco quindi che sul tema - già dal 2004 - è intervenuto il Garante della Privacy, che ha emesso un provvedimento sulla videosorveglianza datato 2010 e in corso di aggiornamento. Il testo è stato pubblicato in Gazzetta ufficiale il 29 aprile 2010 e elenca tutte le misure che soggetti pubblici e privati devono mettere in pratica per installare questi sistemi. Per quanto riguarda i privati, è esplicitamente prevista la possibilità di installare telecamere "contro possibili aggressioni, furti, rapine, danneggiamenti, atti di vandalismo, prevenzione incendi" e in questi casi "si possono installare telecamere senza il consenso dei soggetti ripresi, ma sempre sulla base delle prescrizioni indicate dal Garante". Ma quali sono le prescrizioni del Garante? Eccole, in quattro punti:
I cittadini che transitano nelle aree sorvegliate devono essere informati con cartelli della presenza delle telecamere.
I cartelli devono essere resi visibili anche quando il sistema di videosorveglianza è attivo in orario notturno.
Le immagini registrate possono essere conservate per periodo limitato e fino ad un massimo di 24 ore.
Nel caso in cui i sistemi di videosorveglianza installati da soggetti pubblici e privati (esercizi commerciali, banche, aziende etc.) siano collegati alle forze di polizia è necessario apporre uno specifico cartello, sulla base del modello elaborato dal Garante.
2. Il tema sindacale. L'autorizzazione della Direzione Territoriale del Lavoro. Ce lo spiega "La Gazzetta di Reggio" il 26 ottobre 2016. Un ispettore del lavoro, dopo un sopralluogo, gli ha fatto togliere tre telecamere che aveva da poco messo nel locale, appioppandogli anche una multa di circa 500 euro. Ma appena spento l’occhio elettronico, un ladro è entrato nel negozio è ha portato via l’incasso, pari ad altri 500 euro. È l’odissea raccontata da Federico Ferretti, insieme a Fabrizio Salsi uno dei soci della gelateria Cupido in via Emilia San Pietro 71. Dopo un punto vendita a Carpi e Correggio, a maggio la gelateria ha aperto un locale anche in città. E alla fine di luglio, i due soci avevano deciso di installare nel locale tre telecamere di videosorveglianza, due nell’area vendita e una nel laboratorio. «Eravamo in attesa dell’autorizzazione, dal momento che in estate molti uffici erano chiusi – racconta Ferretti – quando il 12 agosto abbiamo ricevuto la visita di un ispettore del lavoro, che ci ha contestato il fatto che le telecamere riprendessero il bancone, dicendo che dovevano essere indirizzate solo all’ingresso. Sosteneva che usavamo le telecamere per controllare i nostri due dipendenti, che invece avevano firmato la liberatoria. Noi le avevamo collocate così solo per ragioni di sicurezza». Dal sopralluogo è scattato un verbale, recapitato ai soci a metà settembre, in cui si dava tempo trenta giorni per rimuovere la videosorveglianza. «Sabato – aggiunge Ferretti – abbiamo rimosso l’impianto. L’ispettore ci ha anche chiesto la certificazione dell’azienda che le ha tolte, con un eccesso di rigidezza». Ma, due giorni dopo la rimozione, nella gelateria è avvenuto un furto: «Lunedì sera, intorno alle 21, c’erano il mio socio e un dipendente. Il socio era nel laboratorio. E ha chiamato un secondo il dipendente per dargli del gelato pronto. Un secondo. Ma qualcuno è entrato nel negozio e velocissimo ha rubato incasso e fondo cassa, in totale quasi 500 euro. Abbiamo subito chiamato i carabinieri. La prima cosa che ci hanno chiesto: “Avete telecamere?”. Gli abbiamo dovuto spiegare che ce le avevano appena fatte togliere». Per i titolari, oltre al danno la beffa: «Abbiamo ripresentato domanda per una nuova installazione, ma dall’ispettorato ce l’hanno bocciata. Siamo reggiani, abbiamo deciso di investire qui, dove i furti sono all’ordine del giorno. Non è possibile trovarsi davanti a queste cose. Le telecamere sono presenti anche nelle grandi catene e nessuno dice niente».
3. Il tema Amministrativo-burocratico. Per le telecamere occorre la Scia, scrive Maurizio Caprino su "Il Sole 24ore" del 9 marzo 2017. Le telecamere di videosorveglianza sono sostanzialmente fuorilegge, se sono anche del Comune. In questo caso, vanno trattate come impianti privati e quindi necessitano di un’autorizzazione, che in molti casi manca. Lo stesso vale per altri impianti di trasmissione, tra cui quelli per le radio di servizio dei vigili urbani. Lo afferma chiaramente la Prefettura di Pordenone, nella nota n. 6104, emanata il 6 marzo dopo una segnalazione del ministero dello Sviluppo economico. E quella della provincia friulana è una realtà...tutta italiana.
4. Il tema fiscale-speculativo. Lo Stato stanga la sicurezza "fai da te". Multati i Comuni che installano telecamere. Sanzioni dal prefetto per i sindaci che si dotano di sistemi di sorveglianza, scrive Pier Francesco Borgia, Venerdì 10/03/2017, su "Il Giornale". Nell'Italia dei campanili, quella più alta è sempre la torre del paradosso. Solo da noi, infatti, possiamo assistere al poco comprensibile «spettacolo» di una prefettura che commina multe e sanzioni ai Comuni che per difendere la tranquillità dei propri cittadini decide di investire le scarse risorse a disposizione per installare sistemi di videosorveglianza. Con una nota del 16 febbraio scorso, infatti, il Ministero dello Sviluppo economico, tramite il suo Ispettorato territoriale di Pordenone, ha fatto sapere alla prefettura del capoluogo friulano «di aver rilevato presso le Amministrazioni comunali ripetute problematiche conseguenti la carenza dei necessari dati informativi relativi agli obblighi di legge previsti per l'installazione ed esercizio di reti e servizi di comunicazione elettronica». La citazione è presa da una circolare che gli uffici della prefettura di Pordenone hanno inviato il 6 marzo a tutte le amministrazioni comunali della provincia. Lo scopo è quello di chiarire che a disciplinare i sistemi di videosorveglianza ci pensa il Decreto legislativo 259 dell'agosto del 2003 (ovvero il cosiddetto Codice delle Comunicazioni elettroniche). Fatto questo che fa ricadere le stesse telecamere a circuito chiuso nei sistemi di informazione. E quindi chi li installa, che si tratti di un privato o di un'amministrazione locale poco importa, è tenuto a corrispondere un canone al Mise (il già citato Ministero per lo sviluppo economico). Da qui la facile deduzione che senza quel canone si rischia un'ammenda. D'altronde, spiega Stefano Manzelli direttore della rivista on line poliziamunicipale.it, «molti di quegli amministratori non immaginavano nemmeno che un sistema di telecamere a circuito chiuso fosse paragonato a un sistema aperto di trasmissioni radio». La violazione di queste norme, insomma, sarebbe avvenuta in buonafede. Resta però il fatto che senza quel canone scatta la sanzione e si rende più faticosa la gestione del territorio di competenza. E questo contraddice - fa notare lo stesso Manzelli - lo stesso spirito del decreto legge 14 del 2017 che aumenta lo spettro delle competenze in materia di sicurezza. «Ora i sindaci hanno ricevuto ulteriori poteri di ordinanza su questioni di ordine pubblico e sicurezza, per migliorare il controllo e la qualità della vita delle aree più a rischio. Eppure, se non pagano il canone di questi sistemi di videosorveglianza, rischiano le sanzioni». Un sistema per evitare il peggio sarebbe quello di affidare questi sistemi di videosorveglianza direttamente allo Stato, attraverso le forze dell'ordine. Gli unici soggetti, infatti, esentati dal pagare il canone. L'iter, però è lungo e farraginoso, spiega Manzelli, e non sempre le amministrazioni locali hanno la possibilità di ricorrere a questo escamotage. Resta il fatto che se un Comune si pone anche solo l'obiettivo di regolare l'accesso ad aree a traffico limitato per le auto, deve sottostare alle regole imposte dal Codice delle Comunicazioni Elettroniche con tanto di canoni da sborsare.
Antonio Giangrande: La tassa di passaggio.
Il problema della Sicilia? “Il traffico!” “Palermo ha un grande problema! Un problema intollerabile!”. “Quale?”. “Il traffico!”
Ricordate l’avvocato mafioso di “Jonny Stecchino” di e con Roberto Benigni?
Il film è del ’91, ma la battuta è sempre attuale
“Nel mondo siamo conosciuti anche per qualcosa di negativo, quelle che voi chiamate piaghe. Una terribile, e lei sa a cosa mi riferisco: l’Etna, il vulcano, ma è una bellezza naturale. Ma c’è un’altra cosa che nessuno riesce a risolvere, lei mi ha già capito. La Siccità. La terra brucia e sicca, una brutta cosa. Ma è la natura e non ci possiamo fare niente. Ma dove possiamo fare e non facciamo, perché in buona sostanza, purtroppo posiamo fare e non facciamo… Dov’è? È nella terza e più grave di queste piaghe che diffama la Sicilia e in particolare Palermo agli occhi del mondo. Eh… Lei ha già capito. È inutile che glielo dica. Mi vergogno a dirlo. È il traffico! Troppe macchine! È un traffico tentacolare, vorticoso, che ci impedisce di vivere e ci fa nemici famiglia contro famiglia, troppe macchine!”.
E' esemplare la celebre scena del film “Non ci resta che piangere” con Roberto Benigni e Massimo Troisi. I due viaggiatori si trovavano ad attraversare il confine della Signoria fiorentina, e un integerrimo casellante continuava a domandare: “Chi siete? Da dove venite? Cosa portate? Dove andate? Un Fiorino!” ad ogni minimo movimento andirivieni alla dogana. Così ad ogni movimento dei poveri viaggiatori (una volta gli cadeva un sacco di farina, un’altra volta perdevano qualcos’altro), venivano richiamati e bloccati. Fino a che Troisi, spazientito dalla bizzarra e petulante circostanza con un vivace “Vaffa” risolve la situazione proseguendo il cammino.
La tassa di Passaggio. Da tripadvisor.it il 2020.
saveriodb Lecce, Italia
Gentile Forum di Roseto Capo Spulico,
ho ricevuto una multa per eccesso di velocità sulla SS106 Jonica a Roseto.
Vivendo a Lecce, chiederei a qualcuno del luogo, se possibile, un'informazione:
- La multa è per aver superato la velocità media in un tratto di 1,77 Km, in direzione Ovest (da Metaponto verso Villapiana per intenderci). Per quel che ricordavo, su quel percorso l'unico controllo della velocità media era a Montegiordano, ma non a Roseto. A Roseto mi sembrava fosse segnalato dai cartelli solo un controllo 'istantaneo', non medio. Sbaglio io?
Vi ringrazio per l'informazione! Saverio Di Benedetto
hildita nikita Catanzaro, Italia
Ciao, purtroppo in quel tratto ci sono sistemati ben 4 autovelox ognuno di un comune diverso, oltre quello di Roseto c'è del comune di Amendolara, Spezzano Albanese e non ricordo se c'è anche Trebisacce o Rocca Imperiale ... in due km ho preso 4 multe nello stesso giorno e non credo lo dimenticherò più quel tratto
L’Italia degli autovelox. ‘Fare cassa’ e ‘Tassa di passaggio’. Da aduc.it il 13 giugno 2022.
A novembre il decreto Infrastrutture (Dl 121/2021) ha imposto la pubblicazione sul web dei rendiconti comunali da proventi di multe. Il quotidiano ILSOLE24ORE ha spulciato i dati, ed ha rilevato cose interessanti. Soprattutto lo “zero” che si legge negli incassi 2021 da multe diverse da quelle per eccesso di velocità in luoghi come Roseto Capo Spulico (Cosenza) e Melpignano (Lecce). Quest’ultimo Comune ha rivitalizzato le entrate incassando 4,98 milioni e Roseto 728mila euro (che si aggiungono agli incassi delle vicine Montegiordano, Rocca Imperiale e Trebisacce). Dai dati del ministero si evince che qui i vigili non hanno visto nemmeno una cintura slacciata, un guidatore parlare al cellulare, parcheggiare in modo vietato, prendersi una precedenza non dovuta o qualsiasi altra infrazione stradale.
A Colle Santa Lucia (BL) succede lo stesso. Idem per la Provincia di Brescia, che pare non avere altre forme di vigilanza su strada e così risulta non incassare un euro nemmeno da chi è uscito fuori corsia rovinando un guard-rail.
Il quotidiano economico si chiede se, per esempio, i mutui che a Milano vengono ripagati anche con una parte dei cospicui incassi delle multe siano davvero attinenti alla sicurezza stradale.
“Tassa di passaggio” per locali o turisti che in alcune strade sono poco ligi al rispetto di limiti di velocità che, chiunque si sposta, sa che spesso sono un po’ troppo risicati rispetto a tipo di strade e di veicoli. Le norme risalgono a quando certi asfalti e certe caratteristiche infrastrutturali erano molto più precarie di oggi, mentre le auto più diffuse erano tipo la 500 Fiat con le portiere incernierate posteriormente che, per passare da una marcia all’altra, occorreva fare la doppietta, oltre che quando si andava a 90Kmh tremava tutta la carrozzeria.
Il mondo è cambiato, ma non le norme per far rispettare i limiti di velocità. E siccome alcuni autovelox erano proprio “indecenti” per dove erano piazzati, a luglio del 2020 fa è stata modificata la legge per consentire l’uso di macchinette automatiche ovunque, trasformando in regolarità le precedenti irregolarità.
Nel nostro Paese, quando ci sono i problemi, invece di affrontarli, spesso si fa come la polvere che finisce sotto il tappeto. A questo aggiungiamo che oltre “per fare cassa”, gli autovelox sono anche “tassa di passaggio”.
Nel frattempo, sicurezza a go-go e crescita della sfiducia dei cittadini verso le istituzioni, con conseguente invenzione e applicazione di marchingegni per “fottere” o “non farsi fottere”.
Antonio Giangrande: Intervista di Antonio Giangrande alla radio tedesca ARD.
Salerno Reggio Calabria: Eterna Incompiuta.
«Attenzione, spesso si cade nei luoghi comuni. La Mafia e la Corruzione sono icone che dove non ci sono si inventano per propaganda politica o per coprire i propri fallimenti. Spesso dietro quel fenomeno si nasconde l’inefficienza tutta italiana. Il problema è che ci sono persone sbagliate (incapaci più che disoneste) a ricoprire ruoli di responsabilità. Si pensi che addirittura Antonio Di Pietro (il PM di Mani Pulite) ha avuto responsabilità nel dicastero di competenza. I politici dicono cosa fare, ma sono i burocrati che decidono come fare (in virtù delle leggi, come la Bassanini, che hanno dato potere ai dirigenti pubblici). Le leggi artificiose create dagli incapaci politici, perché non hanno fiducia dei loro cittadini, crea caos e nel caos tutto succede. Basterebbe rendere tutto più semplice e quel semplice controllarlo.
Un procedimento pur se corrotto dovrebbe comunque avere una soluzione. La Salerno-Reggio Calabria, a prescindere da mafia o corruzione in itinere, comunque non ha soluzione di continuità: ergo, vi è incapacità, più che disonestà.
E’ come quel luogo comune sugli italiani: si dà l’appuntamento per le otto circa e, se va bene, ci si incontra a mezzogiorno.
Se i politici sono nominati con elezioni truccate, questi non rispondono ai cittadini delle loro malefatte. Se i politici nominati raccomandano i funzionari pubblici con concorsi truccati (compreso i magistrati), questi non rispondono ai cittadini delle loro malefatte. I dirigenti nominati con concorsi truccati non hanno remore a truccare gli appalti. Alla fine, però, i lavori dovrebbero concludersi. Invece tutti se ne fottono del risultato finale, avendo per sé soddisfatto i propri bisogni. A questo punto sono tutti responsabili del fallimento: i politici, i funzionari pubblici (compreso i magistrati per omissione di controllo) e gli imprenditori che delinquono; i giornalisti che tacciono ed i cittadini che emulano.
La mia proposta come presidente della “Associazione Contro Tutte le Mafie” attraverso il suo braccio politico “Azione Liberale” è che ogni procedimento amministrativo pubblico ha un suo responsabile che ne risponde direttamente, attraverso la perdita del posto, della buona riuscita per sé e per i suoi sottoposti da lui nominati.
Però, purtroppo, un popolo di “coglioni” sarà sempre governato ed amministrato da “coglioni”».
Ancora vostro Antonio Giangrande
Antonio Giangrande: L’aspetto formale e l’aspetto sostanziale. Perché il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha sbagliato. E perché chi lo difende è ignorante o in mala fede.
La lezione di chi, il dr Antonio Giangrande, non è titolato, se poi i titoli (accademici) si danno per cooptazione e conformità ed omologazione.
L’articolo 90 della Costituzione dice infatti che «Il presidente della Repubblica non è responsabile degli atti compiuti nell’esercizio delle sue funzioni, tranne che per alto tradimento o per attentato alla Costituzione». Spieghiamo perché è responsabile. Partiamo proprio dalla base della Costituzione italiana.
PRINCIPI FONDAMENTALI. "Art. 1. L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro (non sulla libertà). La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione".
Qui si enuncia il principio fondamentale che incarnano forma e sostanza. La sostanza ci dice che in Italia c’è la democrazia parlamentare (indiretta) come forma di governo e quindi ci dice che la maggioranza dei votanti (non dei cittadini che non votano più, sfiduciati dalla vecchia politica) elegge i suoi legislatori e, tramite loro, i suoi governanti (stranamente mancano i magistrati). L’esercizio del potere popolare prende forma, non sostanza, attraverso l’enunciazione di articoli costituzionali che mai possono violare il principio fondamentale. E non a caso proprio il primo articolo prende in considerazione l’aspetto democratico della vita dello Stato italiano.
IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA "Art. 83. Il Presidente della Repubblica è eletto dal Parlamento in seduta comune dei suoi membri. All’elezione partecipano tre delegati per ogni Regione eletti dal Consiglio regionale in modo che sia assicurata la rappresentanza delle minoranze. La Valle d’Aosta ha un solo delegato. L’elezione del Presidente della Repubblica ha luogo per scrutinio segreto a maggioranza di due terzi dell’assemblea. Dopo il terzo scrutinio è sufficiente la maggioranza assoluta".
Qui si richiama forma e sostanza dell’art. 1. La sovranità popolare esprime, attraverso i suoi rappresentanti, la scelta del Presidente della Repubblica.
"Art. 88. Il Presidente della Repubblica può, sentiti i loro Presidenti, sciogliere le Camere o anche una sola di esse". "Il Consiglio dei Ministri. Art. 92. Il Governo della Repubblica è composto del Presidente del Consiglio e dei Ministri, che costituiscono insieme il Consiglio dei Ministri. Il Presidente della Repubblica nomina il Presidente del Consiglio dei Ministri e, su proposta di questo, i Ministri".
L’art. 88 e 92 sono articoli formali. Norme che delegano al Presidente della Repubblica, con il ruolo di notaio, la verifica di una maggioranza parlamentare democraticamente eletta per esercitare la sovranità popolare di cui all’articolo 1: Se c'è una maggioranza si forma un Governo sostenuto da essa; se non c'è una maggioranza, non c'è Governo e quindi si va a votare per trovarne una nuova.
Si va contro l’articolo 1 (non a caso primo articolo dei principi generali) e quindi contro la Costituzione se alla volontà popolare che esprime un Governo che mira alla tutela degli interessi nazionali si impone la volontà di un singolo (il Presidente della Repubblica) che antepone qualsiasi altra ragione tra cui i principi dell’art. 10. "L’ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute", e dell’art. art. 11. "L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo".
In conclusione si chiude il parere, affermando che si è concordi con l’iniziativa della messa in stato d’accusa del Presidente della Repubblica, anche se il procedimento è complicato e farraginoso, pensato proprio a non dare esiti positivi, in ossequio ad uno Stato di impuniti. Si è concordi perché l’Italia è una Repubblica Democratica Parlamentare; non è una Repubblica Presidenziale.
Antonio Giangrande: Nota bene. Non illudetevi dai voti alti. I voti ottenuti dai candidati alle amministrative non sono voti esclusivamente personali, ma conseguiti attraverso alleanze e tradimenti. Con il voto con doppia preferenza di genere ognuno ha potuto fare l’alleanza con il candidato dell’altro sesso della medesima lista. I più furbi hanno stabilito alleanza con più partner disattendendo il principio della reciprocità.
Antonio Giangrande: Inchiesta. La polemica sulla nomina dei presidenti di seggio e degli scrutatori. E’ solo una guerra tra poveri.
Ogni anno, dappertutto in Italia ad ogni tornata elettorale, vi sono aspettative e delusioni e si scatena la tradizionale bagarre sulla nomina degli scrutatori e dei presidenti di seggio, col corollario di polemiche ed accuse contro i nominati.
L'accusa più ricorrente è che a svolgere le funzioni di scrutatore e presidente di seggio siano più o meno sempre gli stessi raccomandati.
Dichiarazione di Antonio Giangrande, presidente della “Associazione contro tutte le mafie”, noto autore di saggi pubblicati su Amazon, che raccontano questa Italia alla rovescia. «E’ come se l'ufficio di collocamento fosse gestito dai partiti politici, e ogni partito potesse fare assumere un certo numero di lavoratori, in base alla percentuale di voti ottenuti. Sarebbe ovviamente uno scandalo: ma è proprio questo che avviene con le attuali modalità di nomina. La differenza risiede solo nella durata dell'occupazione, ma la sostanza dell'ingiustizia è la stessa. Ma ci sono altri aspetti importanti da valutare. Facciamo chiarezza. Cominciamo dagli scrutatori che dal 2005 vengono scelti non più tramite sorteggio ma per nomina diretta da un comitato elettorale costituito da soggetti politici, i cui criteri di scelta sono discrezionali. Quindi per farsi scegliere bisogna presentare a loro le proprie referenze. Qualcuno, per orgoglio, non si abbasserà a tanto, ma è anche vero che la conoscenza conta, anche solo dei motivi della scelta necessaria rispetto ad altri candidati. Cosa diversa è per la nomina dei presidenti di Seggio-Sezione. In questo caso la scelta spetta al presidente della Corte d'Appello competente per territorio. In più vi è una circolare del 2009 del Ministero dell'Interno che, per limitare il verificarsi di problemi in un ruolo comunque delicato, di fatto invita a favorire chi, in passato, ha già svolto bene l'incarico, senza commettere errori o irregolarità. Per questo salta all’occhio la periodica nomina di alcuni presidenti di Seggio, evidentemente capaci, e questo unito al fatto che ai suddetti presidenti sono aggregati i soliti segretari da loro nominati (molte volte loro parenti). Spesso gli incarichi di segretario e presidente si alternano tra loro, ma da fuori sembra che sia sempre uguale ed ecco spiegato come mai, soprattutto nei piccoli comuni, vengano percepiti come "sempre gli stessi". Quello che la gente dovrebbe sapere, però, prima di incorrere in qualunquistici luoghi comuni è che le elezioni sono una cosa seria e gli adempimenti burocratici sono onerosi e dispendiosi. Il collegio deve essere formato da gente capace e dedita all’incarico. A volte ci si trova a dover coordinare persone svogliate, o che non sanno, o non possono, per handicap, o non vogliono scrivere. In questo modo l’ingranaggio si inceppa e la gente fuori fa la fila, impedita a votare. Gente che guarda caso si da appuntamento all’orario dello struscio e si accalca sempre negli orari di punta che sono sempre gli stessi: il pomeriggio tardi e la prima sera. E poi c’è che il sabato molti dei nominati non si presentano ed allora bisogna che il presidente chiami il primo soggetto disponibile che ha di fronte, la cui capacità è tutta da dimostrare. Per gli assenti della domenica, poi, non vi è sostituzione ed allora il collegio è monco. Ancora una cosa la gente non sa. Non è il far votare che stanca, ma l’aspetto burocratico con la redazione dei doppi verbali ed il bilanciamento dei numeri e la formazione dei pacchi. Inoltre vi è l’incognita dei rappresentanti di lista. Situazione da monitorare. Molti rappresentanti di lista sono nominati apposta per falsare od intralciare il regolare andamento della votazione. Ecco perché, spesso, le polemiche sono montate ad arte, specie se a presiedere il seggio vi è qualcuno non propenso ad agevolarli. Comunque le strumentali o fondate diatribe circa la nomina è solo una guerra tra poveri. Un solo dato attinente le ultime elezioni. Preparazione seggio al sabato dalle ore 16,00. Un paio di ore, se non tre, per autenticare le schede elettorali (bollatura e firmatura) e tutti gli altri adempimenti. La domenica apertura alle ore 07,00, ma con rientro almeno mezzora prima per istruire gli scrutatori. Cosa che nessun comune fa nei giorni precedenti al voto. Termine votazione alle ore 23,00. Spoglio e chiusura dopo almeno 3 ore. Ricapitolando: 3 ore al sabato ed una ventina la domenica. Sono 23 ore di lavoro impegnativo e di responsabilità, ricoprendo la qualità di pubblico ufficiale. Si percepisce 96 euro (una decina in più per il presidente). Fate i conti: 4 euro circa ad ora. La dignità e l’orgoglio imporrebbe a questo punto rendersi conto che è inutile alimentare una guerra tra poveri e favorire il clientelismo sostenuto dalle nomine, ma ribellarsi al fatto che ci hanno ridotto ad anelare quei 4 euro l’ora per una sola e misera giornata.» Dr Antonio Giangrande
Le prove orali.
Antonio Giangrande: Il pregio di essere un autodidatta è quello che nessuno gli inculcherà forzosamente della merda ideologica nel suo cervello. Il difetto di essere un autodidatta è quello di smerdarsi da solo. Antonio Giangrande
Antonio Giangrande: Inchiesta. Ancora a parlare di concorsi truccati. Questa volta nelle Forze di Polizia.
Il metodo di correzione negli esami di Stato o nei concorsi pubblici è sempre lo stesso: si dichiarano corretti i compiti che non sono stati nemmeno visionati. Per attestare ciò detto non si abbisogna di microfoni o micro spie nelle segrete stanze delle commissioni e dei "Compari". Basta verificare i tempi di correzione se siano sufficienti e controllare le prove se e come sono state corrette, anche in relazione alle altre prove ritenute idonee. I Tar di tutta Italia ne scrivono di nefandezze commesse. Nel ribellarsi, però, non si caverà un ragno dal buco: perchè così fan tutti!! Giudicanti, ingiudicati.
L’inchiesta del dr. Antonio Giangrande. Scrittore, sociologo storico, blogger, youtuber, presidente dell’Associazione Contro Tutte le Mafie, destinatario delle denunce inascoltate di centinaia di migliaia di candidati estromessi di tutta Italia.
Parliamo della Magistratura. E’ da scuola l’esempio della correzione dei compiti in magistratura, così come dimostrato, primo tra tutti gli altri, dall’avv. Pierpaolo Berardi, candidato bocciato. Elaborati non visionati, ma dichiarati corretti. L’avvocato astigiano Pierpaolo Berardi, classe 1964, per anni ha battagliato per far annullare il concorso per magistrati svolto nel maggio 1992. Secondo Berardi, infatti, in base ai verbali dei commissari, più di metà dei compiti vennero corretti in 3 minuti di media (comprendendo “apertura della busta, verbalizzazione e richiesta chiarimenti”) e quindi non “furono mai esaminati”. I giudici del tar gli hanno dato ragione nel 1996 e nel 2000 e il Csm, nel 2008, è stato costretto ad ammettere: “Ci fu una vera e propria mancanza di valutazione da parte della commissione”. Giudizio che vale anche per gli altri esaminati. In quell’esame divenne uditore giudiziario, tra gli altri, proprio Luigi de Magistris, giovane Pubblico Ministero che si occupò inutilmente del concorso farsa di abilitazione forense a Catanzaro: tutti i compiti identici e tutti abilitati.Al Tg1 Rai delle 20.00 del 1 agosto 2010 il conduttore apre un servizio: esame di accesso in Magistratura, dichiarati idonei temi pieni zeppi di errori di ortografia. La denuncia è stata fatta da 60 candidati bocciati al concorso 2008, che hanno spulciato i compiti degli idonei e hanno presentato ricorso al TAR per manifesta parzialità dei commissari con abuso del pubblico ufficio. Risultato: un buco nell'acqua. Questi magistrati, nel frattempo diventati dei, esercitano.
Parliamo della Avvocatura. E’ da scuola l’esempio della correzione dei compiti in avvocatura, così come dimostrato, primo tra tutti gli altri, dal dr Antonio Giangrande, che ha provato sulla sua pelle per ben 17 anni l’ignominia e la gogna di non essere all’altezza per una funzione meritatissima. Elaborati non visionati, ma dichiarati corretti. Ha scritto dei saggi in base alla sua esperienza. Ha pubblicato dei video per chi non vuol leggere. Per questo gli hanno inibito la professione di avvocato e, addirittura, processato per aver denunciato e scritto cose che tutti sanno.
Potevano bastare questi esempi per dimostrare l’illibatezza dei nostri tutori della legalità? Certo che no!!
Parliamo della Guardia di Finanza: Lo dice il maresciallo capo della Finanza Antonio Izzo ai genitori di un aspirante finanziere, mentre davanti a un caffè illustra la proposta indecente: 1500 euro in cambio del superamento dei test attitudinali per il figlio. “Signora, questa è una cosa normale. Voi pensate che non ci siano persone corrotte? Qui tutto il sistema è corrotto”, scrive Vincenzo Iurillo su “Il Fatto Quotidiano” del 14 dicembre 2015. «Non si entra in Guardia di Finanza se non per queste vie». È la frase che il maresciallo della Gdf Bruno Corosu ha pronunciato, scrive “Il Corriere del Mezzogiorno" del 24 marzo 2015. Un finanziere romano e alcuni aspiranti marescialli avevano in casa copia dei test a risposta multipla del concorso svolto a Bari nell’aprile scorso. Lo hanno scoperto i militari del Nucleo di Polizia Tributaria della Guardia di Finanzi di Bari durante le perquisizioni disposte dalla magistratura barese nell’ambito dell’inchiesta della Procura di Bari dove si ipotizzano i reati di corruzione e rivelazione di segreti d’ufficio nei confronti di sette persone, tra finanzieri in servizio e ex militari, tutti romani, e partecipanti al concorso per 297 posti da allievo maresciallo nella Guardia di finanza, scrive “La Gazzetta del Mezzogiorno” il 2 dicembre 2013.
Parliamo della Polizia Penitenziaria. Concorso agenti polizia penitenziaria a Roma: scoperti dal servizio di sorveglianza durante i controlli. Tutto per un posto in carcere. Anche, magari, rischiando il carcere stesso. 88 persone tra gli undicimila uomini e le duemila donne partecipanti al concorso per agenti della polizia penitenziaria, tenutosi a Roma tra il 20 e il 22 aprile, sono state indagate e denunciate a piede libero: le operazioni di controllo effettuate dalla task force di vigilanza tra i banchi della Nuova Fiera di Roma hanno infatti portato a scoprire materiale con cui i presunti furbetti cercavano di passare il test a pieni voti. Ne scrive il 26 aprile 2016 il Messaggero con Michela Allegri.
E poi, non poteva mancare lo scandalo per la Polizia di Stato.
Parliamo della Polizia di Stato. Concorso Vice Ispettori: gli esclusi devono avere delle risposte, scrive Il Sap Nazionale il 21 marzo 2016. I candidati non idonei alla prova scritta del concorso per 1.400 posti da Vice Ispettore devono avere delle risposte e tanti dei loro elaborati risultano non essere inferiori di altri che hanno superato l’esame. E’ quanto emerge con chiarezza dalla lettera inviata il 18 marzo 2016 dal SAP al Capo della Polizia Alessandro Pansa e per conoscenza al Ministro dell’Interno Angelino Alfano. Secondo il SAP non è accettabile che i numerosi colleghi risultati non idonei alla prova scritta del concorso siano così bistrattati anche quando, dopo il difficilissimo accesso agli atti, hanno scoperto le carte e le hanno messe sul tavolo. Documenti che sono stati analizzati dallo stesso Sindacato, il quale condivide quanto è stato rappresentato da molti degli esclusi. Non c’è mai stata una manifestazione di dissenso così forte. Basti pensare che è stata costituita anche un’associazione chiamata “Tutela e Trasparenza” con l’obiettivo di tutelare i colleghi esclusi ingiustamente dalla prova scritta. La stessa associazione ha ricordato che la pubblica amministrazione deve assicurare il rispetto dei principi costituzionali del buon andamento e dell’imparzialità, senza dimenticare il principio di trasparenza che deve valere anche per gli appartenenti alla Polizia di Stato. Il SAP auspica che l’Amministrazione riveda i temi giudicati non idonei e rivaluti quelli che effettivamente risultano meritevoli di consentire l’accesso alle prove orali. Da ultimo, e forse la cosa più importante, l’Amministrazione deve valutare un allargamento dei posti previsti dall’attuale bando, che avrebbe costi esigui e non paragonabili con quelli abnormi che si dovranno affrontare con il concorso esterno.
L’incontro organizzato dall’associazione “Tutela & Trasparenza” che si è svolto lunedì 7 marzo 2016 a Milano presso Hotel Galles, relativa all’esito dell’accesso agli atti della prova scritta per 1400 v.isp, è stato un autentico successo di pubblico. Il Presidente Walter Massimiliani ha approfondito il discorso, ricostruendo per intero gli avvenimenti che hanno portato all’incontro e, dopo aver precisato che non si tratta di una guerra a coloro che sono stati ritenuti idonei alla prova scritta ma semplicemente di una richiesta di equità di giudizio, ha mostrato alcuni dei numerosi elaborati che sono stati analizzati e per i quali sono state rilevate evidenti criticità sotto vari punti di vista, in particolare:
presenza di elaborati con segni o frasi non inerenti lo svolgimento della traccia;
elaborati con ampi passi identici a testi o link presenti sulla rete;
elaborati con contenuti palesemente inadatti e scarsi dal punto di vista sintattico grammaticale e/o di concetti giuridici. L’Avvocato Leone il 28 gennaio 2016 ha preso parte all’importante incontro/dibattito svoltosi all’Hotel Holiday Inn di Cava de’ Tirreni (SA) in merito al ricorso per il Concorso Interno per 1400 Vice Ispettori della Polizia di Stato, organizzato dalla Associazione di agenti “Tutela e Trasparenza”. Tantissimi i presenti accorsi presso la sede designata, per cercare di approfondire dal punto di vista giuridico il bando di concorso, che presenta una serie di criticità degne di nota, nonché la fase di correzione e di valutazione degli elaborati che, in modo manifesto, appare illogico e illegittimo.
Al fine di consentire di capire di cosa stiamo parlando descrivo brevemente il concorso in argomento: nel mese di giugno 2014 si è svolta una prova preselettiva articolata con nr. 80 quiz a risposta multipla su 5 materie d’esame (diritto penale, procedura penale, diritto amministrativo, diritto civile, diritto costituzionale) cui hanno partecipato 22mila candidati ed alla quale sono risultati idonei 7032 candidati;
nel mese di gennaio 2015 si è svolta una prova scritta consistente nella stesura di un elaborato di diritto penale, conclusa da 6355 candidati ed alla quale sono risultati idonei 2127 candidati che hanno riportato una votazione superiore a 35/50.
Il 17 dicembre 2015, a distanza di 11 mesi dalla prova scritta, è stata diffusa una lista degli idonei che sin da subito a suscitato forti dubbi di correttezza per la distribuzione dei voti. Infatti oltre 2/3 degli idonei (più di 1400) hanno superato la prova con il voto di 35/50; nessun candidato ha conseguito 34/50 e solo in 73 hanno conseguito la sufficienza compresa tra 30/50 e 33/50. Inoltre una gran parte dei candidati sono stati valutati non idonei con il voto di 25/50 e 28/50. Si evidenzia che l’associazione “Tutela & Trasparenza”, ha effettuato un accesso agli atti straordinario e storico richiedendo ed ottenendo TUTTI i 2127 elaborati dei candidati idonei e TUTTI gli atti endoprocedimentali. L’analisi di tale materiale effettuata con una task force di colleghi poliziotti che in dieci giorni ha controllato tutti gli elaborati, ha permesso di scoprire delle considerevoli anomalie, in particolare:
numerosissimi elaborati con palesi errori sintattico grammaticali diffusi;
numerosissimi elaborati con palesi errori concettuali grossolani e confusione su elementi basilari di diritto penale tali da stravolgerne completamente le basi;
numerosi elaborati singolarmente identici a libri di testo e/o da documenti rinvenuti sulla rete internet;
alcuni elaborati con segni o con messaggi di testo rivolti alla commissione come: SI RINGRAZIA PER L’ATTENZIONE, NOTA PER IL FUNZIONARIO CHE CORREGGE, SCUSATE PER LA CALLIGRAFIA E GRAZIE et.
Il lavoro dell’associazione non si è comunque esaurito in tale fase, sono stati infatti presentati circa 400 ricorsi al TAR, circa 50 al Presidente della Repubblica e circa 150 istanze di ricorrezione al Dipartimento di P.S., tali numeri hanno di fatto bloccato le udienze in Camera di Consiglio al TAR Lazio al punto che ad oggi non risultano ancora calendarizzati la maggior parte dei ricorsi.
D'altronde di cosa parliamo: è tutta “Cosa nostra”. Si sa la famiglia in Italia è sacra.
Parliamo del Corpo Forestale. Amici e parenti la grande famiglia della Forestale. E’ sempre una notizia attuale e quindi utile leggere l’articolo de “La Stampa” del 13 maggio 2009 riguardo il Corpo Forestale. I figli di dirigenti e comandanti alla corte di papà. Bravi. Anzi, bravissimi. Ma non c’erano dubbi, visto che spesso la sapienza passa di padre in figlio. E così, da una parte il caso, dall’altro le conoscenze e le tante doti è accaduto che tra i 500 vincitori al concorso allievi per il Corpo forestale, molti tra questi sono figli di comandanti, dirigenti, uomini di stretta vicinanza del capo del Corpo, Cesare Patrone. Il fato, infatti, è stato così generoso nei loro confronti, che molti di costoro sono stati, addirittura, assegnati nelle stazioni dove comandano i loro capo famiglia. Non sfugge, infatti, che la sorte abbia riservato a Matteo Colleselli la stazione di Candaten proprio nell’area dove papà, comanda la regione Veneto; e così è accaduto a Stefano Piastrelli figlio del capo di Perugia, o a Massimiliano Giusti discendente diretto del numero due della regione Umbria. Ma le regalie della dea bendata non finiscono qui. Tanto che a trarne beneficio è toccato pure a Matteo Palmieri, «omonimo» del capo della segreteria del Corpo e destinato in Puglia, terra d’origine, a Francesco Polci (figlio del vice comandante d’Abruzzo assegnato a Chieti), a Massimo Priori (omonimo del caposervizio del personale assegnato a Livorno), a Vittorio Scarpelli (figlio del dirigente del servizio ispettivo assegnato nel vicino Abruzzo), nonché al figlio del comandante di Taranto, Pasquale Silletti, assegnato alla stazione di Cassano Murge a Bari, a Dante Stabile, parente del capo di Napoli finito alla stazione di Boscoreale in Campania. E’ chiaro, però, che la fortuna non poteva girare a tutti. Ma dove non osò la sorte, giunsero i «pizzini» del patronato: per Alfonso, figlio di Rosetta, per Emidio figlio di Cesarina di zio Antonio, o per Maria, figlia di Raffaele di zia Maria. E ancora, per Massimiliano, cugino di Rosetta, ma anche per Paolo che è nel cuore di zio Domenico e altri. Del resto si sa, in Italia le cose marciano spedite solo se stanno veramente a cuore a qualcuno. E tra le camicie verdi del Corpo Forestale la regola, stavolta, non fa eccezione. I capisaldi sembrano tre: l’ambiente e il soccorso, il rispetto della legge ma anche la famiglia. Non a caso, infatti, a capo del Corpo è finito Cesare Patrone, figlio dell’ex geometra della Forestale, Michele. Al suo fianco ci sono anche il fratello Amato (sovrintendente), la moglie di quest’ultimo Serena Pandolfini (sovrintendente), Domenico, zio del capo ma ora in quiescenza, dalla fulgida carriera e la figlia di quest’ultimo Rosa, primo dirigente del Corpo, la quale classificatasi quarta al concorso da primo dirigente (i posti erano tre) si è vista riconoscere dall’amministrazione il ruolo, ma senza arretrati per la decorrenza della nomina dal 1 gennaio 2002 (data del posto vacante), secondo quanto stabilito dall’ufficio centrale del bilancio del Ministero. Nomina sì, dunque, ma senza «indennizzo». Ma per la serie, la speranza è l’ultima a morire, ecco che in soccorso di Rosa Patrone, la Camera ha approvato un emendamentino ad hoc che si «applica anche agli idonei nominati, nell’anno 2008, nelle qualifiche dirigenziali» e che risarcisce e stabilisce anche le quantificazioni economiche: oltre 177mila euro per il 2008, 24mila per il 2009 e altri 24 mila per il 2010. Insomma, un indennizzo niente male, che desta non pochi malumori. Così come destano sorpresa i risultati del concorso per 182 posti da vice ispettore. Dopo la prova scritta tra i primi posti a piazzarsi ci sono i più stretti collaboratori del capo del Corpo. Uomini certamente brillanti e qualificati come il suo autista Domenico Zilli (voto 30 su 30), Marco Giurissich della segreteria (30/30), Amato Patrone, fratello del capo (30/30), Noemi La Motta, segretaria del capo (29,5/30), Serena Pandolfini, la cognata di Patrone (29,5/30), Claudio Bernardini, segreteria della cugina del capo del corpo (29/30), Cristiano De Michelis, assistente del capo (29/30), Quintilia Pomponi, segreteria della cugina del capo (29/30), Vania La Motta, sorella di Noemi, cognata di Zilli l’autista del capo. Tanta conoscenza e bravura, nelle prove scritte, ha stupito il parlamentare del Pdl, Marco Zacchera che in una interrogazione spiega «che dall’esame dei 50 concorrenti che hanno superato il punteggio di 28/30 appaiono alcune anomalie, ovvero che ben 32 di essi hanno sede di lavoro a Roma, molti negli uffici dell’ispettorato generale, mentre altri 8 hanno sede di lavoro in Calabria e solo 10 nel resto d’Italia», e quindi chiede «di accertare se i testi dei quiz siano stati resi pubblici a nicchie» e se non si ritenga di «dover sospendere il concorso». Niente da fare, ovviamente. Il concorso va avanti, così come procede spedita anche un’altra interrogazione. Stavolta, a siglarla è il parlamentare leghista, Maurizio Fugatti al quale non sfugge che «dei 29 candidati che hanno riportato voti tra il 29 e il 30, ben 21 provengono dal medesimo ispettorato generale». Attitudini spiccate? Chissà. Di certo, nemmeno Fugatti sembra capacitarsi di «un personale così altamente qualificato in servizio all’ispettorato - scrive - e che sarebbe consigliabile correggere tale squilibrio sul territorio nazionale, assegnando a compiti territoriali almeno parte delle migliori risorse ora collocate a mansioni amministrative». Ma nonostante ciò al Corpo si guarda avanti. L’attenzione nelle ultime ore è rivolta a tutta una serie di promozioni varate in una delle riunioni del cda della Forestale presieduto dal ministro Zaia. Anche qui, la fortuna ha lasciato il segno. Tangibile, ma solo per pochi, «posandosi» sui fascicoli di nove candidati, otto dei quali del nord Italia e Veneto, che così hanno ottenuto il punteggio massimo pur non avendo alcuni titolo speciale valutabile.
Dr Antonio Giangrande
Concorsi pubblici, in vigore il nuovo regolamento. Da lentepubblica.it 17 Luglio 2023
Il nuovo regolamento, che stabilisce nuove misure destinate alle procedure nei concorsi pubblici, è entrato in vigore: ecco cosa cambia.
Sono già a regime le nuove norme sull’accesso agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni e le modalità di svolgimento dei concorsi, dei concorsi unici e delle altre forme di assunzione nel pubblico impiego.
Scopriamo dunque quali sono tutte le novità.
Indice dei contenuti
Concorsi pubblici, in vigore il nuovo regolamento
Concorsi su base territoriale
Tetto agli idonei
Pubblicazione bandi
Rappresentatività di genere
Prova orale
I manuali Simone per tutti i concorsi pubblici
Il testo completo del nuovo regolamento
Concorsi pubblici, in vigore il nuovo regolamento
Le nuove misure sono entrate ufficialmente in vigore il 14 luglio. Il testo contiene la disciplina regolamentare che le amministrazioni sono tenute ad applicare nell’espletamento delle procedure concorsuali.
L’intervento si inquadra nell’ambito di una riforma di sistema che interessa la pubblica amministrazione, con l’obiettivo di realizzare un ampio disegno volto alla riforma della capacità amministrativa della pubblica amministrazione e al raggiungimento degli obiettivi negoziati con la Commissione Europea nell’ambito del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR).
Concorsi su base territoriale
In primo luogo i concorsi unici potranno essere organizzati su base territoriale.
In sostanza, chi partecipa a un concorso pubblico, anche se bandito su base nazionale, potrà scegliere la Regione per cui partecipare e potrà concorrere solo per quella.
Potranno esserci degli slittamenti da un ambito territoriale all’altro, solo se in una non vi saranno abbastanza candidati idonei. Però, il trasferimento potrà avvenire solo tra Regioni confinanti.
Tetto agli idonei
Ed ancora, l’amministrazione potrà coprire i posti non assegnati mediante scorrimento delle graduatorie degli idonei non vincitori dello stesso profilo in altri ambiti territoriali confinanti con il maggior numero di idonei.
Nei concorsi pubblici saranno considerati idonei i candidati collocatisi, nella graduatoria finale, entro il 20% dei posti successivi all’ultimo di quelli banditi.
In caso di rinuncia all’assunzione o di dimissioni del lavoratore entro 6 mesi dall’assunzione, l’amministrazione potrà procedere allo scorrimento della graduatoria.
Pubblicazione bandi
I bandi per i concorsi pubblici saranno pubblicati sul Portale inPA, il portale per il reclutamento del personale della Pubblica Amministrazione e sul sito dell’ente che organizzerà il concorso.
Rappresentatività di genere
In una nota della Funzione Pubblica, si evidenzia che sarà data una particolare attenzione alla rappresentatività di genere, con l’obiettivo di eliminare qualsiasi forma di discriminazione.
Sono previste anche delle speciali tutele per le donne in stato di gravidanza o di allattamento.
Prova orale
Fino al 31 dicembre 2026, i bandi di concorso, per profili non apicali, potranno prevedere solo lo svolgimento della prova scritta, eliminando il colloquio orale.
Prova orale nei concorsi pubblici. Sorteggio delle domande e svolgimento della prova orale in un’aula aperta al pubblico. Studio Legale Gallone & Urso il 13 Marzo 2019
In questo periodo si stanno svolgendo le prove selettive di diverse procedure concorsuali, tra cui quelle per la selezione di docenti nella scuola pubblica e quelle per dirigenti medici ed infermieri. In diverse occasioni le commissioni esaminatrici hanno proceduto allo svolgimento delle prove orali, o colloqui, in palese violazione della specifica normativa sullo svolgimento dei concorsi pubblici. In particolare si fa riferimento al D.P.R. 487/1994 e, per quanto concerne il personale sanitario, anche ai D.P.R. 483/1997 e D.P.R. 220/2001, i quali sanciscono il principio inderogabile ed immodificabile secondo cui la commissione esaminatrice, prima della prova orale, formula i quesiti da sottoporre ai candidati, che dovranno essere somministrati ai candidati mediante estrazione a sorte. In nessun caso, quindi, la commissione esaminatrice di un pubblico concorso può evitare il sorteggio delle domande da porre ai candidati, e ciò, a prescindere da qualsiasi motivazione addotta dalla stessa. La giurisprudenza amministrativa ha più volte chiarito che la regola del sorteggio delle domande è una regola generale ed inderogabile a garanzia della trasparenza delle prove concorsuali. Al fine di invalidare le prove orali, quindi, non occorre provare altro. In caso di mancato sorteggio delle domande la prova orale è radicalmente viziata e deve sempre essere annullata e ripetuta.
Sempre con riferimento alla prova orale, il problema ha investito anche la possibilità per la commissione esaminatrice di far svolgere le prove in aule non aperte al pubblico. Anche questo contrasta nettamente con quanto previsto dalla suindicata normativa, e pertanto, la giurisprudenza amministrativa ha chiarito che anche in tale ipotesi le prove orali siano irrimediabilmente viziate, e come tali vadano annullate e ripetute. E’ accaduto più volte che la commissione esaminatrice impedisse ai candidati in attesa di sostenere la prova orale di assistere alle prove dei colleghi, con la motivazione di voler impedire che gli stessi potessero essere avvantaggiati dal fatto di ascoltare in anticipo domande poi ripetute. Il Consiglio di Stato, confermando una pronuncia di primo grado, ha ribadito che le prove orali di qualsiasi procedura concorsuale debbano sempre svolgersi in un’aula aperta al pubblico in modo che chiunque possa assistervi. Di conseguenza, nel caso in cui la commissione esaminatrice chieda ai candidati in attesa di essere esaminati di attendere il loro turno in una stanza separata, pone in essere un comportamento certamente illegittimo e, in caso di bocciatura, il candidato potrà senza dubbio ottenere l’annullamento di tale bocciatura dinnanzi al tribunale amministrativo competente.
Se avete un problema simile o che comunque concerne la tematica dei concorsi pubblici, non esitate a contattarci per una consulenza personalizzata.
Diritto del candidato assistere alle prove orali di concorsi. Il Consiglio di Stato, con sentenza n°1626 del 27/03/2015, ha chiarito che è diritto del candidato e di terzi estranei accedere alle aule di concorso durante le prove orali.
Il candidato che ha già sostenuto la prova o deve ancora sostenere il colloquio, ha il diritto di presenziare alle prove degli altri candidati sia per assicurarsi dello svolgimento della prova, sia per verificare il corretto operare della Commissione.
Antonio Giangrande: la prova orale, madre si tutte le arroganze e presunzioni. In sede di esame orale ti trovi di fronte una schiera di Commissari di esame che fanno sfoggio della loro sapienza rispetto a te e rispetto a loro stessi. L’oggetto dell’esame non verte sulla tua perizia rispetto alle materie esaminandi, ma sulla capacità di metterti in difficoltà rispetto alla loro presunzione di saperne più di te e del loro collega. Tu che hai superato a pieni voti lo scritto ti trovi di fronte una barriera di contestazioni, di approssimazioni, di fuorvianze, che ti inceppano i ricordi e che minano il tuo stato psicologico. Se invece sei un amico o conoscente, o meglio, un raccomandato, tutto cambia. Le domande sono benevole, o i voti sono in contrasto con la scena muta. Meglio allora se non si fanno più le prove orali.
Le prove scritte.
Antonio Giangrande: Nei Concorsi Pubblici ci sono due tipi di prove scritte:
Quella con risposte uniche e motivate, la cui correzione è, spesso, lunga, farraginosa e fatta da commissioni clientelari, familistici e incompetenti che non correggono o correggono male non avendo il tempo necessario o la preparazione specifica e che promuovono secondo fortuna o raccomandazione.
Quella con domande multiple, spesso, incoerenti con la competenza richiesta, ma che garantiscono velocità di correzione e uniformità di giudizio.
Chi è abituato all’aiutino disdegna i quiz, in cui non si può intervenire, se non conoscendoli in anticipo.
ANTONIO GIANGRANDE: VI SPIEGO COME IN ITALIA SI TRUCCANO I CONCORSI PUBBLICI.
In Italia tutti sanno che i concorsi pubblici sono truccati e nessuno fa niente, tantomeno i magistrati. Gli effetti sono che non è la meritocrazia a condurre le sorti del sistema Italia, ma l'incompetenza e l'imperizia. Non ci credete o vi pare un’eresia? Basta dire che proprio il Consiglio Superiore della Magistratura, dopo anni di giudizi amministrativi, è stato costretto ad annullare un concorso già effettuato per l’accesso alla magistratura. Ed i candidati ritenuti idonei? Sono lì a giudicare indefessi ed ad archiviare le denunce contro i concorsi truccati. E badate, tra i beneficiari del sistema, vi sono nomi illustri.
IL VADEMECUM DEL CONCORSO PUBBLICO TRUCCATO.
INDIZIONE DEL CONCORSO: spesso si indice un concorso quando i tempi sono maturi per soddisfare da parte dei prescelti i requisiti stabiliti (acquisizione di anzianità, titoli di studio, ecc.). A volte chi indice il concorso lo fa a sua immagine e somiglianza (perché vi partecipa personalmente come candidato). Spesso si indice il concorso quando non vi sono candidati (per volontà o per induzione), salvo il prescelto. Queste anomalie sono state riscontrate nei concorsi pubblici tenuti presso le Università e gli enti pubblici locali.
COMMISSIONE D’ESAME: spesso a presiedere la commissione d’esame sono personalità che hanno una palese incompatibilità. Per esempio nella commissione d’esame centrale presso il Ministero della Giustizia del concorso di avvocato è stato nominato presidente colui il quale non poteva, addirittura, presiedere la commissione locale di Corte d’Appello. Cacciato in virtù della riforma (decreto-legge 21 maggio 2003, n. 112, coordinato con la legge di conversione 18 luglio 2003, n. 180). Spesso le commissioni d'esame sono mancanti delle componenti necessarie per la valutazione tecnica della materia d'esame. Le Commissioni d’esame hanno sempre e comunque interessi amicali, familistiche e clientelari. Seguendo una crescente letteratura negli ultimi anni abbiamo messo in relazione l'età di iscrizione all'albo degli avvocati con un indice di frequenza del cognome nello stesso albo. In particolare, per ogni avvocato abbiamo calcolato la frequenza del cognome nell'albo, ovvero il rapporto tra quante volte quel cognome vi appare sul totale degli iscritti, in relazione alla frequenza dello stesso cognome nella popolazione. In media, il cognome di un avvocato appare nell'albo 50 volte di più che nella popolazione. Chi ha un cognome sovra-rappresentato nell'albo della sua provincia diventa avvocato prima. Infine vi sono commissioni che, quando il concorso è a numero aperto, hanno tutto l’interesse a limitare il numero di idonei per limitare la concorrenza: a detta dell’economista Tito Boeri: «Nelle commissioni ci sono persone che hanno tutto da perderci dall'entrata di professionisti più bravi e più competenti».
I CONCORSI FARSA: spesso i concorsi vengono indetti per sanare delle mansioni già in essere, come il concorso truffa a 1.940 posti presso l'INPS, bandito per sistemare i lavoratori socialmente utili già operanti presso l'Ente.
LE PROVE D’ESAME: spesso sono conosciute in anticipo. A volte sono pubblicate su internet giorni prima, come è successo per il concorso degli avvocati, dei dirigenti scolastici, o per l’accesso alle Università a numero chiuso (medicina), ovvero, come succede all’esame con più sedi (per esempio all’esame forense o per l’Agenzia delle Entrate, le tracce sono conosciute tramite cellulari o palmari in virtù del tardivo inizio delle prove in una sede rispetto ad altre. Si parla di ore di ritardo tra una sede ed un’altra). A volte le tracce sono già state elaborate in precedenza in appositi corsi, così come è successo all’esame di notaio. A volte le prove sono impossibili, come è successo al concorsone pubblico per insegnanti all'estero: 40 quesiti a risposta multipla dopo averli cercati, uno ad uno, in un volume di oltre 4mila che i partecipanti alla selezione hanno visto per la prima volta, leggere quattro testi in lingua straniera e rispondere alle relative domande. Il tutto nel tempo record di 45 minuti, comprese parti di testo da tradurre. Quasi 1 minuto a quesito.
MATERIALE CONSULTABILE: spesso, come al concorso di magistrato o di avvocato dello Stato ed in tutto gli altri concorsi, ad alcuni è permessa la consultazione di materiale vietato (codici commentati, fogliettini, fin anche compiti elaborati dagli stessi commissari) fino a che non scoppia la bagarre. Spesso, come succede al concorso di avvocato, sono proprio i commissari a dettare il parere da scrivere sull’elaborato, tale da rendere le prove dei candidati uniformi e nonostante ciò discriminati in sede di correzione.
IL MATERIALE CONSEGNATO: il compito dovrebbe essere inserito in una busta da sigillare contenente un’altra busta chiusa con inserito il nome del candidato. Non ci dovrebbero essere segni di riconoscimento. Non è così come insegna il concorso di notaio. Oltre ai segni di riconoscimento posti all’interno (nastri), i commissari firmano in modo diverso i lembi di chiusura della busta grande consegnata.
LA CORREZIONE DEGLI ELABORATI. Quanto già indicato sono i trucchi che i candidati possono vedere ed eventualmente denunciare. Quanto avviene in sede di correzione è lì la madre di tutte le manomissioni. Proprio perchè nessuno vede. La norma prevede che la commissione d’esame (tutti i componenti) partecipi alle fasi di:
• apertura della busta grande contenente gli elaborati;
• lettura del tema da parte del relatore ed audizione degli altri membri;
• correzione degli errori di ortografia, sintassi e grammatica;
• richiesta di chiarimenti, valutazione dell'elaborato affinchè le prove d’esame del ricorrente evidenzino un contesto caratterizzato dalla correttezza formale della forma espressiva e dalla sicura padronanza del lessico giuridico, anche sotto il profilo più strettamente tecnico-giuridico, e che anche la soluzione delle problematiche giuridiche poste a base delle prove d’esame evidenzino un corretto approccio a problematiche complesse;
• consultazione collettiva, interpello e giudizio dei singoli commissari, giudizio numerico complessivo, motivazione, sottoscrizione;
• apertura della busta piccola contenete il nome del candidato da abbinare agli elaborati corretti;
• redazione del verbale.
Queste sono solo fandonie normative. Di fatto si apre prima la busta piccola, si legge il nome, se è un prescelto si dà agli elaborati un giudizio positivo, senza nemmeno leggerli. Quando i prescelti sono pochi rispetto al numero limite di idonei stabilito illegalmente, nonostante il numero aperto, si aggiungono altri idonei diventati tali “a fortuna”.
In effetti, con migliaia di ricorsi al TAR si è dimostrato che i giudizi resi sono inaffidabili. La carenza, ovvero la contraddittorietà e la illogicità del giudizio negativo reso in contrapposizione ad una evidente assenza o rilevanza di segni grafici sugli elaborati, quali glosse, correzioni, note, commenti, ecc., o comunque la infondatezza dei giudizi assunti, tale da suffragare e giustificare la corrispondente motivazione indotta al voto numerico. Tutto ciò denota l’assoluta discrasia tra giudizio e contenuto degli elaborati, specie se la correzione degli elaborati è avvenuta in tempi insufficienti, tali da rendere un giudizio composito. Tempi risibili, tanto da offendere l’umana intelligenza. Dai Verbali si contano 1 o 2 minuti per effettuare tutte le fasi di correzione, quando il Tar di Milano ha dichiarato che ci vogliono almeno 6 minuti solo per leggere l’elaborato. La mancanza di correzione degli elaborati ha reso invalido il concorso in magistratura. Per altri concorsi, anche nella stessa magistratura, il ministero della Giustizia ha fatto lo gnorri e si è sanato tutto, alla faccia degli esclusi. Già nel 2005 candidati notai ammessi agli orali nonostante errori da somari, atti nulli che vengono premiati con buoni voti, mancata verbalizzazione delle domande, elaborati di figli di professionisti ed europarlamentari prima considerati "non idonei" e poi promossi agli orali. Al Tg1 Rai delle 20.00 del 1 agosto 2010 il conduttore apre un servizio: esame di accesso in Magistratura, dichiarati idonei temi pieni zeppi di errori di ortografia. La denuncia è stata fatta da 60 candidati bocciati al concorso 2008, che hanno spulciato i compiti degli idonei e hanno presentato ricorso al TAR per manifesta parzialità dei commissari con abuso del pubblico ufficio. Riguardo la magistratura, l’avvocato astigiano Pierpaolo Berardi, classe 1964, per anni ha battagliato per far annullare il concorso per magistrati svolto nel maggio 1992. Secondo Berardi, infatti, in base ai verbali dei commissari, più di metà dei compiti vennero corretti in 3 minuti di media (comprendendo “apertura della busta, verbalizzazione e richiesta chiarimenti”) e quindi non “furono mai esaminati”. I giudici del tar gli hanno dato ragione nel 1996 e nel 2000 e il Csm, nel 2008, è stato costretto ad ammettere: “Ci fu una vera e propria mancanza di valutazione da parte della commissione”. Giudizio che vale anche per gli altri esaminati. In quell’esame divenne uditore giudiziario, tra gli altri, proprio Luigi de Magistris, giovane Pubblico Ministero che si occupò inutilmente del concorso farsa di abilitazione forense a Catanzaro: tutti i compiti identici e tutti abilitati. O ancora l'esame di ammissione all'albo dei giornalisti professionisti del 1991, audizione riscontrabile negli archivi di radio radicale, quando la presenza di un folto gruppo di raccomandati venne scoperta per caso da un computer lasciato acceso nella sala stampa del Senato proprio sul file nel quale il caposervizio di un'agenzia, commissario esaminatore, aveva preso nota delle prime righe dei temi di tutti quelli da promuovere. E ancora lo scandalo denunciato da un’inchiesta del 14 maggio 2009 apparsa su “La Stampa”. A finire sotto la lente d’ingrandimento del quotidiano torinese l’esito del concorso per allievi per il Corpo Forestale. Tra i 500 vincitori figli di comandanti, dirigenti, uomini di vertice. La casualità ha voluto, inoltre, che molti dei vincitori siano stati assegnati nelle stazioni dove comandano i loro genitori. Una singolare coincidenza che diventa ancor più strana nel momento in cui si butta un occhio ad alcuni “promemoria”, sotto forma di pizzini, ritrovati nei corridoi del Corpo forestale e in cui sono annotati nomi, cognomi, date di nascita e discendenze di alcuni candidati. «Per Alfonso, figlio di Rosetta», «Per Emidio, figlio di Cesarina di zio Antonio», «Per Maria, figlia di Raffaele di zia Maria». Piccole annotazioni, certo. Il destino, però, ha voluto che le tutte persone segnalate nei pizzini risultassero vincitrici al concorso.
GLI ESCLUSI, RIAMMESSI. Candidati che sono stati esclusi dalla prova per irregolarità, come è successo al concorso per Dirigenti scolastici, o giudicati non idonei, che poi si presentano regolarmente agli orali. L’incipit della confidenza di Elio Belcastro, parlamentare dell’Mpa di Raffaele Lombardo, pubblicata su "Il Giornale". Belcastro ci fa subito capire, scandendo bene le parole, che Tonino non era nemmeno riuscito a prenderlo quel voto, minimo. «Tempo fa l’ex procuratore capo di Roma, Felice Filocamo, che di quella commissione d’esami era il segretario, mi ha raccontato che quando Carnevale si accorse che i vari componenti avevano bocciato Di Pietro, lo chiamò e si arrabbiò molto. Filocamo fu costretto a tornare in ufficio, a strappare il compito del futuro paladino di Mani pulite e a far sì che, non saprei dire come, ottenesse il passaggio agli orali, seppur con il minimo dei voti». Bocciato e ripescato? Magistrato per un falso? Possibile? Non è l'unico caso. Era già stato giudicato non idoneo, ma in una seconda fase sarebbero saltati fuori degli strani fogli aggiuntivi che prima non c’erano. Ecco come sarebbe sorto il sospetto che qualcuno li avesse inseriti per “salvare” il candidato già bocciato, in modo da giustificare una valutazione diversa oppure da consentire un successivo ricorso al TAR. I maggiori quotidiani nazionali e molti locali, ed anche tanti periodici, si sono occupati di tale gravissimo fatto, e che è stato individuato con nome e cognome il magistrato (una donna) in servizio a Napoli quale autore del broglio accertato. Per tale episodio il CSM ha deciso di sospendere tale magistrato dalle funzioni e dallo stipendio. In quella sessione a fronte di 350 candidati ammessi alle prove orali pare che oltre 120 siano napoletani, i quali sembrano avere particolari attitudini naturali verso le scienze giuridiche e che sembrano essere particolarmente facilitati nel loro cammino anche dalla numerosa presenza nella commissione di esami di magistrati e professori napoletani.
TUTELA GIUDIZIARIA. Un ricorso al TAR non si nega a nessuno: basta pagare la tangente delle spese di giudizio. Per veder accolto il ricorso basta avere il principe del Foro amministrativo del posto; per gli altri non c’è trippa per gatti. Cavallo di battaglia: mancanza della motivazione ed illogicità dei giudizi. Nel primo caso, dovendo accertare un’ecatombe dei giudizi, la Corte Costituzionale, con sentenza 175 del 2011, ha legittimato l’abuso delle commissioni: “buon andamento, economicità ed efficacia dell’azione amministrativa rendono non esigibile una dettagliata esposizione, da parte delle commissioni esaminatrici, delle ragioni sottese ad un giudizio di non idoneità, sia per i tempi entro i quali le operazioni concorsuali o abilitative devono essere portate a compimento, sia per il numero dei partecipanti alle prove”. Così la Corte Costituzionale ha sancito, il 7 giugno 2011, la legittimità costituzionale del cd. “diritto vivente”, secondo cui sarebbe sufficiente motivare il giudizio negativo, negli esami di abilitazione, con il semplice voto numerico. La Corte Costituzionale per ragion di Stato (tempi ristretti ed elevato numero) afferma piena fiducia nelle commissioni di esame (nonostante la riforma e varie inchieste mediatiche e giudiziarie ne minano la credibilità), stabilendo una sorta d’infallibilità del loro operato e di insindacabilità dei giudizi resi, salvo che il sindacato non promani in sede giurisdizionale. I candidati, quindi, devono sperare nel Foro presso cui vi sia tutela della meritocrazia ed un certo orientamento giurisprudenziale a favore dei diritti inviolabili del candidato, che nella massa è ridimensionato ad un semplice numero, sia di elaborato, sia di giudizio. Giudizi rapidi e sommari, che spesso non valorizzano le capacità tecniche e umane che da un’attenta lettura dell’elaborato possono trasparire. Fatto assodato ed incontestabile il voto numerico, quale giudizio e motivazione sottesa. Esso deve, però, riferire ad elementi di fatto corrispondenti che supportino quel voto. Elementi di fatto che spesso mancano o sono insussistenti. All'improvvida sentenza della Corte Costituzionale viene in soccorso la Corte di Cassazione. Il sindacato giurisdizionale di legittimità del giudice amministrativo sulle valutazioni tecniche delle commissioni esaminatrici di esami o concorsi pubblici (valutazioni inserite in un procedimento amministrativo complesso nel quale viene ad iscriversi il momento valutativo tecnico della commissione esaminatrice quale organo straordinario della pubblica amministrazione), è legittimamente svolto quando il giudizio della commissione esaminatrice è affetto da illogicità manifesta o da travisamento del fatto in relazione ai presupposti stessi in base ai quali è stato dedotto il giudizio sull'elaborato sottoposto a valutazione. In sostanza il TAR può scendere sul terreno delle valutazioni tecniche delle commissioni esaminatrici per l’accesso a una professione o in un concorso pubblico, quando il giudizio è viziato da evidente illogicità e da travisamento del fatto. Ad affermare l’importante principio di diritto sono le Sezioni Unite della Cassazione con sentenza n. 8412, depositata il 28 maggio 2012. Insomma, la Cassazione afferma che le commissioni deviano il senso della norma concorsuale.
Certo che a qualcuno può venire in mente che comunque una certa tutela giuridica esiste. Sì, ma dove? Ma se già il concorso al TAR è truccato. Nel 2008 un consigliere del Tar trombato al concorso per entrare nel Consiglio di Stato, si è preso la briga di controllare gli atti del giorno in cui sono state corrette le sue prove, scoprendo che i cinque commissari avevano analizzato la bellezza di 690 pagine. "Senza considerare la pausa pranzo e quella della toilette, significa che hanno letto in media tre pagine e mezzo in 60 secondi. Un record da guinness, visto che la materia è complessa", ironizza Alessio Liberati. Che ha impugnato anche i concorsi del 2006 e del 2007: a suo parere i vincitori hanno proposto stranamente soluzioni completamente diverse per la stessa identica sentenza. Il magistrato, inoltre, ha sostenuto che uno dei vincitori, Roberto Giovagnoli, non aveva nemmeno i titoli per partecipare al concorso. Mentre il Governo rifiuta da mesi di rispondere alle varie interrogazioni parlamentari sul concorso delle mogli (il concorso per magistrati Tar vinto da Anna Corrado e Paola Palmarini, mogli di due membri dell’organo di autogoverno che ne nominò la commissione) si è svolto un altro – già discusso – concorso per l’accesso al Tar. Nonostante l’organo di autogoverno dei magistrati amministrativi (Consiglio di Presidenza – Cpga) si sia stretto in un imbarazzante riserbo, che davvero stride con il principio di trasparenza che i magistrati del Tar e del Consiglio di Stato sono preposti ad assicurare controllando l’operato delle altre amministrazioni, tra i magistrati amministrativi si vocifera che gli elaborati scritti del concorso sarebbero stati sequestrati per mesi dalla magistratura penale, dopo aver sorpreso un candidato entrato in aula con i compiti già svolti, il quale avrebbe già patteggiato la pena. Dopo il patteggiamento la commissione di concorso è stata sostituita completamente ed è ricominciata la correzione dei compiti. Si è già scritto della incredibile vicenda processuale del dott. Enrico Mattei, fratello di Fabio Mattei (oggi membro dell’organo di autogoverno), rimesso “in pista” nel precedente concorso c.d. delle mogli grazie ad una sentenza del presidente del Tar Lombardia, assolutamente incompetente per territorio, che, prima di andare in pensione coinvolto dallo scandalo della c.d. cricca, si era autoassegnato il ricorso ed aveva ammesso a partecipare al concorso il Mattei, redigendo addirittura una sentenza breve (utilizzabile solo in caso di manifesta fondatezza), poco dopo stroncata dal Consiglio di Stato (sentenza n. 6190/2008), che ha rilevato perfino l’appiattimento lessicale della motivazione della decisione rispetto alle memorie difensive presentate dal Mattei. Dopo il concorso delle mogli e il caso Mattei, un altro concorso presieduto da Pasquale De Lise è destinato a far parlare di sé. Si sono infatti concluse le prove scritte del concorso per 4 posti a consigliere di Stato, presieduto da una altisonante commissione di concorso: il presidente del Consiglio di Stato (Pasquale De Lise), il presidente aggiunto del Consiglio di Stato (Giancarlo Coraggio), il presidente del Consiglio di Giustizia Amministrativa per la regione Sicilia (Riccardo Virgilio), il preside della facoltà di giurisprudenza (Carlo Angelici) ed un presidente di sezione della Corte di Cassazione (Luigi Antonio Rovelli). Ma anche il concorso al Consiglio di Stato non è immune da irregolarità. Tantissime le violazioni di legge già denunciate all’organo di autogoverno: area toilettes non sigillata e accessibile anche da avvocati e magistrati durante le prove di concorso, ingresso a prove iniziate di pacchi non ispezionati e asseritamente contenenti cibi e bevande, ingresso di estranei nella sala durante le prove di concorso, uscita dei candidati dalla sala prima delle due ore prescritte dalla legge, mancanza di firma estesa dei commissari di concorso sui fogli destinati alle prove, presenza di un solo commissario in aula. Tutti vizi, questi, in grado di mettere a rischio la validità delle prove.
Qual è l’organo deputato a giudicare, in caso di ricorso, sulla regolarità del concorso per consigliere di Stato? Il Consiglio di Stato… naturalmente!
Ecco perché urge una riforma dei concorsi pubblici. Riforma dove le lobbies e le caste non ci devono mettere naso. Ed ho anche il rimedio. Niente esame di abilitazione. Esame di Stato con la laurea specialistica. Attività professionale libera con giudizio del mercato o assunzione per nomina del responsabile politico o amministrativo che ne risponde per lui.
E' da vent'anni che studio il fenomeno dei concorsi truccati. Anche la fortuna fa parte del trucco, in quanto non è tra i requisiti di idoneità. Qualcuno si scandalizzerà. Purtroppo non sono generalizzazioni, ma un dato di fatto. E da buon giurista, consapevole del fatto che le accuse vanno provate, pur in una imperante omertà e censura, l’ho fatto. Invitando ad informarsi tutti coloro che, ignoranti o in mala fede, contestano una verità incontrovertibile, non mi rimane altro che attendere: prima o poi anche loro si ricrederanno e ringrazieranno iddio che esiste qualcuno con le palle che non ha paura di mettersi contro Magistrati ed avvocati. E sappiate, in tanti modi questi cercano di tacitarmi, con l’assistenza dei media corrotti dalla politica e dall’economia e genuflessi al potere. Ho perso le speranze. I praticanti professionali sono una categoria incorreggibile: so tutto mi, e poi non sanno un cazzo, pensano che essere nel gota, ciò garantisca rispetto e benessere. Che provino a prendere in giro chi non li conosce. Ripeto. La quasi totalità è con le pezze al culo e genuflessi ai Magistrati. Come avvoltoi a buttarsi sulle carogne dei cittadini nei guai e pronti a vendersi al miglior offerente. Non è vero? Beh! Chi esercita veramente sa che nei Tribunali, per esempio, vince chi ha più forza dirompente, non chi è preparato ed ha ragione. Amicizie e corruttele sono la regola. Naturalmente per parlare di ciò, bisogna farlo con chi lavora veramente, non chi attraverso l’abito, cerca di fare il monaco. Ho costituito un gruppo facebook per “ABOLIZIONE DEI CONCORSI TRUCCATI E LA LIBERALIZZAZIONE DELLE PROFESSIONI", in quanto parlare di liberalizzazione e di purificazione dell’esame di abilitazione o di accesso alle carriere pubbliche solo con i praticanti non porta da nessuna parte. Come sempre.
Dr Antonio Giangrande
Di Attila, re degli Unni, si parlava che fosse il Flagello di Dio. Dove passa Attila, non cresce più l’erba, si diceva. Oggi l’Amministrazione Comunale di Avetrana ricorda vecchie tragedie, perché ha attuato il suo piano: desertificare Avetrana per non lasciare niente a chi gli succederà, salvo che gli altri non facciano di tutto per perdere. Dopo quasi tutti i Pini delle scuole e dei viali è toccato soccombere agli Eucalipti della scuola elementare Mario Morleo. Per loro si era già provveduto alla potatura, con esborso ulteriore di denaro, con i rami tagliati lasciati a penzolare per settimane sul muro, con pericolo per i passanti. Per i Pini era la processioniaria ed il manto stradale divelto, ma gli Eucalipti centenari che male hanno fatto? Erano lì già prima della mia nascita ed hanno accompagnato tutta la mia vita con la loro ombra. L’anno prossimo, la nuova amministrazione, già nel ripiantumare il maltolto, avrà già fatto una buon’opera degna di consenso, tenuto conto che la promessa di questa amministrazione e di quella precedente, di ripiantumare gli alberi divelti, da 11 anni è in attesa ancora di realizzazione.
Antonio Giangrande: Non voglio sembrare un complottista, ma ho notato che l’apparizione della Xylella e della sua prolificazione è avvenuta in concomitanza di questi elementi in un dato periodo storico:
Si minava il sostegno europeo di integrazione alle imprese olivicole meridionali;
Si promuoveva da parte dell’Europa l’importazione di olive ed olio nordafricano;
Si alimentava la piantagione nelle campagne di impianti fotovoltaici, finanziata con prelievi sulla bolletta Enel di tutti gli utenti italiani. Sistemi fotovoltaici importati da terre lontane. Pannelli divenuti probabilmente vettori dell’insetto batterio killer, “Cicalina Sputacchina – Philaenus spumarius”.
Si agevolava l’invasione del vettore in zone non attinti dalla malattia attraverso il trasporto in altri luoghi degli scarti di potatura, vietato bruciarli in loco da una legge infame, così come tradizione millenaria.
Non si estirpa il problema, nonostante si trovi sempre una profilassi ad ogni malattia, anche umana. Ci si limita, solo, alle semplici buone pratiche, già adottate anzitempo dal buon contadino.
Il Nord Italia e la scuola: Quando l’invidia la fa da padrona.
Prove Invalsi – Ocse ed Esame di Maturità con lode: c’è chi fa, volutamente, confusione per instillare, ancora una volta, malsane stille di razzismo. Si fa confondere l’oggettivo con il soggettivo.
Quando il nord vuol sempre primeggiare e quando i dati vengono analizzati dalle opinioni risibili e partigiane degli opinionisti settentrionali.
Inchiesta del dr. Antonio Giangrande. Scrittore, sociologo storico, giurista, blogger, youtuber, presidente dell’Associazione Contro Tutte le Mafie.
Il presidente della Regione Veneto Luca Zaia, alla luce dei risultati scolastici degli studenti italiani diffusi l’11 agosto 2016 dal ministero dell'Istruzione, solleva il problema delle modalità di valutazione degli studenti nelle scuole italiane, scrive “L’Ansa" il 12 agosto 2016. «E' evidente che c'è qualcosa che non funziona nella scuola italiana e nei suoi sistemi di valutazione - accusa - se i ragazzi del Nordest, in testa alle classifiche Ocse e Invalsi per preparazione, poi risultano all'ottavo posto nelle statistiche dei "cento e lode" alla maturità». Da qui l'appello al ministro: «convochi al più presto una commissione ministeriale di esperti, riattivi sistemi di verifica su campioni omogenei di scuole e di studenti». E' un leghista e per tale va trattato.
Il problema dell’umanità è che gli stupidi sono strasicuri, mentre gli intelligenti sono pieni di dubbi (Bertrand Russell)
L’ignorante parla a vanvera. L’intelligente parla poco. ‘O fesso parla sempre (Totò)
L’aggiotaggio scolastico.
L’adozione di libri di testo scolastici è deliberata dal collegio dei docenti entro la seconda decade di maggio per tutti gli ordini e gradi di scuola.
Le materie scolastiche sono sempre quelle. Gli autori dei testi scolastici sono sempre quelli.
Perché ogni anno si cambiano i libri, anziché riusare l’edizione dell’anno prima? Dove l’aggiornamento è necessario “nulla quaestio”, (Nulla quaestio (in italiano "nessuna questione", "nessun problema") è una locuzione latina della tradizione giuridica medievale, utilizzato, spesso in relazione a varie ipotesi, per indicare che in una determinata circostanza una data questione non si pone, ma ove la nuova versione non sia necessaria, tale modo di fare è dannoso per le famiglie e può nascondere un’azione criminale.
Si impedisce alle famiglie di riusare i testi per gli altri figli, ovvero di acquistarli sul web o nei mercatini scontati del 50%.
Cui prodest? – Frase latina («a chi giova?»), tratta dal passo della Medea di Seneca, a. III, vv. 500-501, cui prodest scelus, is fecit «il delitto l’ha commesso colui al quale esso giova»; è appunto in questo senso che la domanda viene posta, nella sua formulazione abbreviata, quando si cerca di scoprire chi sia l’autore o il promotore di un fatto (non necessariamente delittuoso), nel presupposto che può esserlo soltanto chi se ne ripromette un vantaggio per sé.
Il vantaggio sicuro è per gli editori. Ma cosa ci guadagnano i docenti con questa azione scellerata?
Deep State: Stato profondo e Spoils system: cooptazione dei Dirigenti Pubblici.
Il Sistema esistente del Deep State la Cooptazione politica (Spoils system) di Responsabilità dei dirigenti Pubblici.
Metodo da usare in tutte le assunzioni pubbliche.
Chi li nomina, risponde del loro operato.
Taglia…Taglia, si rimane con le pezze al culo.
Nel 1996, agli inizi del mio praticantato forese avevo chiaro il mio futuro. Potevo districarmi a pochi chilometri di distanza da casa mia presso giudici di Pace, Tribunali monocratici e collegiali e Tar con minime spese tra:
Ricorsi in opposizione a sanzioni amministrative,
Ricorsi su sinistri stradali,
Cause di ogni sorta.
Tutti gli avvocati lavoravano, anche quelli col gratuito patrocinio, e tutti potevano chiedere giustizia.
Poi hanno deciso che la giustizia era lenta ed onerosa.
Hanno dato la colpa al numero eccessivo di avvocati forieri di litigiosità. Hanno limitato l’accesso all’avvocatura: tutto come prima.
Hanno dato la colpa all’eccessive cause. Hanno elevato gli importi delle iscrizioni a ruolo, hanno eliminato molte competenze, hanno riformato la risarcibilità dei sinistri stradali e inserito la figura del mediatore: tutto come prima.
Hanno dato la colpa a troppe sedi decentrate dei Tribunali e giudici di Pace. Hanno tagliato le sedi dei Tribunali e dei Giudici di Pace: tutto come prima.
Hanno detto che vi erano pochi operatori giudiziari. Hanno inserito l’ufficio del processo: tutto come prima
Hanno dato la colpa al gratuito patrocinio. Hanno limitato l’accesso con norme farraginose e ostacolato il pagamento agli avvocati, che, di conseguenza, vi hanno rinunciato: tutto come prima.
Oggi ci troviamo con i supposti stessi problemi di lentezza, ma con rinuncia alle cause e con meno avvocati.
Che la cura sia stata peggio della malattia dispensata da medicastri improvvisati?
Antonio Giangrande: LA DENUNCIA SUI SOCIAL DEI CANDIDATI BRESCIANI. «Non possiamo promuoverli tutti»: il microfono rimasto aperto all’esame da avvocato. L’episodio, durante l’esame per l’abilitazione da avvocato con i candidati di Brescia esaminati dai commissari di Lecce, documentato in un audio è finito sui social. Verifiche del Ministero.
E' risaputo che, dati alla mano, le Commissioni d'esame di avvocato nordiste sono più malevoli nei confronti dei candidati meridionali (30% di ammessi all'orale). Ma fa notizia il fatto che i candidati padani non siano tutti promossi.
Lettera di Antonio Giangrande, Presidente dell’Associazione Contro Tutte le Mafie e di Tele Web Italia, al Ministro della Giustizia per l’accusa di plagio a 100 candidati all’esame di avvocato.
INTERROGAZIONE A RISPOSTA SCRITTA
Al Ministro della Giustizia. — Per sapere – premesso che:
alla fine di giugno 2013 si apprendeva dalla stampa che a Lecce sarebbero solo 440 su 1258 i compiti ritenuti validi. Questo il responso della Commissione di esame di avvocato presso la Corte d’Appello di Catania, presieduta dall’Avvocato Antonio Vitale, addetta alla correzione degli elaborati dell’esame di avvocato sessione 2012 tenuta presso la Corte d’Appello di Lecce. Più di cento scritti sono finiti sul tavolo della Procura della Repubblica con l’accusa di plagio per poi, magari, scoprire che è tutta una bufala. Copioni a parte, sarebbe, comunque, il 65% a non superare l’esame: troppi per definirli asini, tenuto conto che alla fase di correzione non si dedicano oltre i 5 minuti, rispetto ai 15/20 minuti occorrenti. Troppo pochi per esprimere giudizi fondati.
Tenuto conto che le notizie sono diffamatorie e lesive della dignità e dell’onore non solo dei candidati accusati del plagio, ma anche di tutta la comunità giudiziaria di Taranto, Brindisi e Lecce coinvolta nello scandalo, si chiede di approfondire alcune questioni (in relazione alle quali l’interrogante ritiene opportuno siano comunicati con urgenza dati certi) per dimostrare se di estremo zelo si tratti per perseguire un malcostume illegale o ciò non nasconda un abbaglio o addirittura altre finalità –
Per ogni sede di esame di avvocato ogni anno qual è la media degli abilitati all’avvocatura ed a che cosa è dovuta la disparità di giudizio, tenuto conto che i compiti corretti annualmente presso ogni sede d’esame hanno diversa provenienza.
Se per l’esame di avvocato è permesso usare codici commentati con la giurisprudenza;
Se le tracce d’esame di avvocato indicate del 2012 erano riconducibili a massime giurisprudenziali prossimi alla data d’esame e quindi quasi impossibile reperirle dai codici recenti in uso i candidati e se, quindi, i commissari, per l’impossibilità acclamata riconducibile ad errori del Ministero, hanno dato l’indicazione della massima da menzionare nei compiti scritti;
Nella sessione di esame di avvocato 2012 a che ora è stabilita la dettatura delle tracce; presso la sede di esame di avvocato di Lecce a che ora sono state lette le tracce; se in tal caso la conoscenza delle stesse non sia stata conosciuta prima dell’apertura della sessione d’esame con il divieto imposto dell’uso di strumenti elettronici;
Quali sono le mansioni delle commissioni d’esame di avvocato: correggere i compiti e/o indagare se i compiti sono copiati e quanto tempo è dedicata ad una o all’altra funzione;
Quali sono i principi di correzione dei compiti, ed in base ai principi dettati, quali sono le competenze tecniche dei commissari e se corrispondono esattamente ai criteri di correzione: Chiarezza, logicità e metodologia dell’esposizione, con corretto uso di grammatica e sintassi; Capacità di soluzione di specifici problemi; Dimostrazione della conoscenza dei fondamenti teorici degli istituti giuridici trattati e della capacità di cogliere profili interdisciplinari; Padronanza delle tecniche di persuasione.
Tra i principi indicati qual è la figura professionale tra avvocati, magistrati e professori universitari che ha la perizia professionale adatta a correggere i compiti dal punto di vista lessicale, grammaticale, sintattico, persuasivo ed ogni altro criterio di correzione riconducibile alle materie letterarie, filosofiche e comunicative.
Quanti e quali sono le sottocommissioni in Italia che da sempre hanno scoperto compiti accusati di plagio e in base a quali prove è stata sostenuta l’accusa;
Quante e quali sono le sottocommissioni di Catania che hanno verificato il plagio de quo e quanti sono gli elaborati accusati di plagio ed in base a quali prove è sostenuta l’accusa.
Se le Sottocommissioni di Catania coinvolte erano composte da tutte le componenti necessarie alla validità della sottocommissione: avvocato, magistrato, professore.
Se tutti i compiti di tutte le sottocommissioni di esame di avvocato di Catania (contestati, dichiarati sufficienti, e dichiarati insufficienti) presentano segni di correzione (glosse, cancellature, segni, correzioni, note a margine);
Quanto tempo, in base ai verbali apertura-chiusura sessione, per ogni compito tutte le sottocommissioni di Catania (anche quelle che non hanno scoperto le plagiature) hanno dedicato alla fase di correzione (apertura della busta grande, lettura e correzione dell’elaborato, giudizio e motivazione, verbalizzazione e sottoscrizione);
Quanto tempo, in base ai verbali apertura-chiusura sessione, per ogni compito tutte le sottocommissioni di Catania (quelle che hanno scoperto le plagiature) hanno dedicato alla fase di correzione e quanto tempo alla fase di indagine con ricerca delle fonti di comparazione e quali sono stati i periodi di pausa (caffè o bisogni fisiologici).
Al Ministro si chiede se si intenda valutare l’opportunità di procedere ad un indagine imparziale ed ad un’ispezione Ministeriale presso le sedi d’esame coinvolte per stabilire se Lecce e solo Lecce sia un nido di copioni, oppure se la correzione era mirata, anzichè al dare retti giudizi, solo a fare opera inquisitoria e persecutoria con eccesso di potere per errore nei presupposti; difetto di istruttoria; illogicità, contraddittorietà, parzialità dei giudizi.
Dr Antonio Giangrande
Presidente dell’Associazione Contro Tutte le Mafie e di Tele Web Italia
Antonio Giangrande:
Da: Pacho Pedroche Lorena (venerdì 22 settembre 2018). Salve, sono Lorena Pacho, giornalista spagnola presso il giornale El País. Sto lavorando presso un servizio sugli avvocati italiani che chiedono l'omologazione del titolo di studio in Spagna. Sarebbe possibile parlare con il Dr. Giangrande, per favore, per fare qualche domanda sul processo e come funziona in Italia? in relazione con i sui libri L' Italia dei concorsi pubblici truccati ed esame di avvocato. La ringrazio cordiali saluti. La ringrazio tanto, gradisco molto questa soluzione e la ringrazio. Invio qua delle domante, si senta libero di rispondere a tutte oppure solo a una parte. Anche si senta libero per la lunghezza, ma non è necessario sia molto lungo. L'obiettivo di questo servizio è per una parte fare capire ai lettori spagnoli perchè in tanti vano in Spagna per diventare avvocato spiegando come è il processo in Italia, perchè è così lungo, difficile e tortuoso accedere alla abilitazione alla professione di avvocato e quale sono le ombre e difetti di questo processo:
- Quali sono le particolarità que definiscono meglio il processo per l'abilitazione alla professione di avvocato? (per fare capire ai lettori spagnoli perchè in tanti vano in Spagna per l'omologazione.
«In Italia per diventare avvocato bisogna laurearsi in Giurisprudenza (in legge). Poi si segue un periodo di praticantato con corsi obbligatori onerosi ed esosi e solo alla fine si affrontano gli esami di abilitazione organizzati dal Ministero della Giustizia. Le commissioni di esame di avvocato sono composte da avvocati, professori universitari e magistrati. La stessa composizione che abilita gli stessi magistrati ed i professori. Con scambio di ruoli e favori. Io ho partecipato per 17 anni all’esame di abilitazione, fino a che ho detto basta! In questi anni ho vissuto tutte le fasi delle riforme emanate per rendere, in effetti, impossibile l’iscrizione all’albo tenuto dagli avvocati più anziani. All’inizio della mia esperienza il praticantato era di due anni e poi affrontavi l’esame con le commissioni del proprio distretto, portando i codici annotati solo con la giurisprudenza. Allora non si sentiva parlare di migrazione verso la spagna di aspiranti avvocati. Se eri bocciato, bastava riprovare ed aspettare. Da sempre, però, vi era la litania che gli avvocati erano troppi. Ad oggi il praticantato si svolge con corsi di formazione obbligatori ed a pagamento per 18 mesi e l’esame sarà svolto con soli codici senza annotazioni della giurisprudenza. Inoltre, con l’avvento del cosiddetto governo “liberale” di Silvio Berlusconi, l’allora Ministro della Giustizia, Roberto Castelli, ha previsto la transumanza degli elaborati degli esami. Spiego meglio. Le commissioni di esame di avvocato del Nord Italia erano avare nell’abilitare, per limitare la concorrenza. Roberto Castelli era del partito di Matteo Salvini, attuale vice premier. La lega Nord, prima di essere anti immigrati è stata da sempre anti meridionale. Se il loro motto oggi è “prima gli italiani”, allora era “prima i settentrionali”. Nel Nord d’Italia vi era la convinzione che le commissioni del sud Italia erano prodighi, per questo vi erano più idonei all’esame di avvocato. La stessa Ministro Gelmini del Governo Berlusconi, lei impedita a Brescia, ha fatto l’esame in Calabria. A loro dire, poi, la massa di idonei emigrava al Nord, togliendo lavoro ai locali, che tanto avevano fatto illecitamente per tutelare se stessi. Secondo questa riforma di stampo razzista le prove scritte sono visionate da commissioni estratte a sorte, con spostamento dei plichi con gli elaborati da nord a sud e viceversa, con aggravio di tempo e di denaro. In questo modo sono avvantaggiati i candidati del nord Italia, i cui compiti sono corretti dalle commissioni del sud, rimaste benevoli. I partiti statalisti di sinistra non hanno fatto altro che confermare questo iniquo sistema».
- Secondo Lei, che senso ha rendere obbligatorio l'esame di Stato per gli avvocati?
«Non ha senso rendere obbligatorio un esame che non garantisce il merito, tenuto conto che i candidati, oltretutto, hanno sostenuto tantissimi esami all’università. Benissimamente a fine studio universitario potrebbero sostenere l’esame finale di abilitazione (come in altri paesi) avente valore di esame di Stato. Poi ci pensa il mercato: chi vale, lavora».
- Funziona il sistema dei concorsi di abilitazione alla professione forense in Italia?
«Il sistema di abilitazione forense in Italia non funziona perché non garantisce il merito, ma è stabilito solo per limitare l’accesso ai giovani aspiranti avvocati per la tutela di rendita di posizione o per garantire i propri protetti».
-Perchè è così alta la percentuale di concorrenti che non superano, che non passano gli esami di avvocato?
«La percentuale di idonei diventa di anno in anno sempre minore. Perché negli anni hanno limitato l’intervento degli avvocati nella tutela dei diritti (vedi ricorsi contro le sanzioni amministrative o per i sinistri stradali o per onerosità delle cause); ovvero hanno imposto delle tasse e dei contributi esosi. Questo porta la lobby degli avvocati a tutelare gli interessi corporativi sempre più ristretti, negando l’accesso ai nuovi. I giovani per aggirare l’ostacolo prendono altre strade: ossia, la migrazione per ottenere la meritata professione per la quale hanno studiato per anni e che per questo non possono fare altro. Inoltre il fatto di diventare avvocato non dà sicurezza di reddito, perché comunque ai giovani avvocati è impedito entrare in un certo sistema di potere che assicura lavoro. Per lavorare come avvocato devi essere protetto ed omologato».
-Si può parlare di qualche irregolarità, anomalie nella fase di correzione ed in che modo? Possiamo parlare di altre anomalie?
«Il mio parere è per cognizione di causa diretta e per aver studiato e cercato prove (in testi ed in video da visionare sul mio canale su Dailymotion) per oltre venti anni per dimostrare che l’esame di avvocato in particolare, ma ogni esame di abilitazione o concorso pubblico in Italia è truccato (irregolare). Il frutto del mio lavoro sono i saggi “ESAME DI AVVOCATO. ABILITAZIONE TRUCCATA”, in particolare. E “CONCORSOPOLI ED ESAMOPOLI” per quanto riguarda tutti i concorsi pubblici e gli esami di Stato.
Nei miei saggi si dimostra con prove inoppugnabili dove si annida il trucco:
Nelle fasi preliminari (tracce conosciute);
Durante le prove (copiature e dettature);
Durante le correzioni (commissioni irregolari e compiti non corretti, ma dichiarati tali);
Durante la tutela giudiziaria (disparità di giudizio rispetto a ricorsi simili o uguali).
Da tener conto che i commissari sono professionisti diventati tali in virtù di concorsi analoghi, quindi truccati».
- Quale sarebbe l'obiettivo di truccare questi esami di avvocati?
«Si truccano gli esami per garantire un proprio familiare o un proprio amico o conoscente. O per tutelare l’interesse corporativo».
- Lei vuole aggiungere qual cosa altro che pensa può essere utili per i lettori spagnole oppure importante per capire la situazione e questo fenomeno.
«Io sin dalla prima volta ho denunciato le anomalie. Sin dal principio mi hanno minacciato che non sarei diventato avvocato. Pensavo che valesse la forza della legge e non, come è, la legge del più forte. Per 17 anni mi hanno sempre dato voti identici per tutte le tre prove annuali, senza che il compito sia stato corretto (mancanza di tempo calcolato dal verbale). Le mie denunce pubbliche hanno provocato la reazione del potere con procedimenti penali a mio carico da cui sono uscito sempre assolto. I giornalisti, anche loro figli del sistema, mi oscurano, non impedendomi, però, di essere seguitissimo sul web, attraverso le mie opere pubblicate su Amazon. Si dà il caso che sia una giornalista spagnola a chiedere un mio parere e non una italiana. Il fatto che i giovani italiani vadano in Spagna o in Romania o in altre località molto più liberali che l’Italia, per poter realizzare i loro sogni, hanno la mia piena solidarietà. E’ solo un atto di puro stato di necessità che discrimina eventuali reati commessi. Se lo fanno violando le norme non sono meno colpevoli di chi nella loro patria illiberale, viola le norme impunemente. Perché negli esami di Stato e nei concorsi pubblici chi aiuta o favorisce o raccomanda qualcuno a scapito di altri viola una noma penale grave, costringendo gli esclusi a spendere tantissimi soldi che non hanno. E solo per poter lavorare».
Antonio Giangrande: Esame di avvocato e lo scandalo ciclico delle copiature.
L’Opinione del dr Antonio Giangrande, scrittore, blogger e youtuber.
Bufera sul concorso di Napoli. Noi nel 2009 avevamo già documentato i controlli inesistenti su Roma, scrive Antonio Crispino e lo documenta su Corriere TV il 25 febbraio 2016. «Milano smaschera Napoli», «Trento smaschera Potenza», «Catania smaschera Lecce». Periodicamente sui giornali si leggono titoli di questo tipo. Si riferiscono alle prove d’esame che le commissioni di turno annullano agli aspiranti avvocati che si cimentano con l’esame di Stato. Perché risultano essere elaborati copiati dalla prima all’ultima parola. I candidati di una regione, infatti, sono esaminati da una commissione di provenienza territoriale diversa, scelta tramite sorteggio dal ministero della Giustizia. Basta prendersela con qualche candidato per giustificare l’incapacità di tutti. Da sempre si copia tra candidati o si detta da parte dei commissari. Certo che nè giornalisti, né magistrati osano verificare quello che di ignobile succede dentro le stanze buie e segrete dove si riuniscono le commissioni di esame. Da arrestare tutti. I compiti sono dichiarati falsamente letti e corretti: cosa non vera. Giornalisti e magistrati verifichino i tempi dedicati al singolo elaborato rispetto ai tempi di apertura e chiusura del verbale e verifichino sugli elaborati quanti errori sono stati corretti. Ho scritto un libro per dimostrare che da sempre l’esame forense è truccato ed ho scritto un altro libro per dimostra che tutti i concorsi pubblici sono truccati, anche quello per magistrati. In questo caso coloro che sono stati abilitati con tale sistema, commissioni di esame e magistrati inquirenti e giudicanti, hanno il coraggio di perseguire?
Da quanto analiticamente già espresso e motivato si denota che violazione di legge, eccesso di potere e motivi di opportunità viziano qualsiasi valutazione negativa adottata dalla commissione d’esame giudicante, ancorchè in presenza di una capacità espositiva pregna di corretta applicazione di sintassi, grammatica ed ampia conoscenza di norme e principi di diritto dimostrata dal candidato in tutti e tre i compiti resi.
1. Qui si evince un fatto, da sempre notorio su tutti gli organi di stampa, rilevato e rilevabile in ambito nazionale: ossia la disparità di trattamento tra i candidati rispetto alla sessione d’esame temporale e riguardo alla Corte d’Appello di competenza. Diverse percentuali di idoneità, (spesso fino al doppio) per tempo e luogo d’esame, fanno sperare i candidati nella buona sorte necessaria per l’assegnazione della commissione benevola sorteggiata. Nel Nord Italia le percentuali adottate dalle locali commissioni d’esame sono del 30%, nel sud fino al 60%. Le sottocommissioni di Palermo sono come le sottocommissioni del Nord Italia. I Candidati sperano nella buona sorte dell’assegnazione. La Fortuna: requisito questo non previsto dalle norme.
2. Qui si contesta la competenza dei commissari a poter svolgere dei controlli di conformità ai criteri indicati: capacità pedagogica propria di docenti di discipline didattiche non inseriti in commissione.
3. Qui si contesta la mancanza di motivazione alle correzioni, note, glosse, ecc., tanto da essere contestate dal punto di vista oggettivo da gente esperta nella materia di riferimento.
4. Qui si evince la carenza, ovvero la contraddittorietà e la illogicità del giudizio reso in contrapposizione ad una evidente assenza o rilevanza di segni grafici sugli elaborati, quali glosse, correzioni, note, commenti, ecc., o comunque si contesta la fondatezza dei rilievi assunti, tale da suffragare e giustificare la corrispondente motivazione indotta al voto numerico. Tutto ciò denota l’assoluta mancanza di motivazione al giudizio, didattica e propedeutica al fine di conoscere e correggere gli errori, per impedirne la reiterazione.
5. Altresì qui si contesta la mancanza del voto di ciascun commissario, ovvero il voto riferito a ciascun criterio individuato per la valutazione delle prove.
6. Altresì qui si contesta l’assenza ingiustificata del presidente della Commissione d’esame centrale e si contesta contestualmente l’assenza del presidente della Iª sottocommissione.
7. Altresì qui si contesta la correzione degli elaborati in tempi insufficienti, tali da rendere un giudizio composito.
Dr Antonio Giangrande
INCHIESTA SULL'ORDINE DEGLI AVVOCATI DI TARANTO.
Un'inchiesta di cui nessuno quasi parla. Si scontrano due correnti di pensiero. Chi è amico dei magistrati, dai quali riceve la notizia segretata. Chi è amico degli avvocati che tace della notizia già pubblicata. Ne scrive il dr Antonio Giangrande, scrittore, sociologo storico, blogger, youtuber, presidente dell’Associazione Contro Tutte le Mafie.
"Siediti lungo la riva del fiume e aspetta, prima o poi vedrai passare il cadavere del tuo nemico", proverbio cinese.
Taranto, rimborsi non dovuti. Procura indaga sugli avvocati. Riflettori accesi su 93mila euro spesi tra il 2014 e il 2015 dopo un esposto del Consiglio, scrive Mimmo Mazza su “La Gazzetta del Mezzogiorno” dell’11 aprile 2016. Finiscono all’attenzione della Procura della Repubblica i conti dell’Ordine degli avvocati di Taranto. A rivolgersi alla magistratura è stato lo stesso Consiglio, presieduto da Vincenzo Di Maggio, dopo che sarebbero emerse irregolarità contabili riguardanti le anticipazioni e i rimborsi alle cariche istituzionali nell’anno 2014, l’ultimo da presidente per Angelo Esposito, ora membro dal Consiglio nazionale forense. Il fascicolo è stato assegnato al sostituto procuratore Maurizio Carbone, l’ipotesi di reato è quella di peculato essendo l’Ordine degli avvocati ente di diritto pubblico (altrimenti si procederebbe per appropriazione indebita ma il pm non sarebbe Carbone in quanto quest’ultimo fa parte del pool reati contro la pubblica amministrazione).
Ordine Avvocati, buco nel bilancio. Indaga la Procura, scrive Michele Montemurro su “Il Quotidiano di Puglia” dell’11 aprile 2016. Spese di rappresentanza istituzionale indebite o solo assenze di “giustificativi”? È quanto dovrà accertare la procura di Taranto, chiamata in causa dal consiglio dell’Ordine degli Avvocati del capoluogo jonico, che avrebbe accertato nel suo bilancio un “buco” di oltre 90mila euro. A investire della questione il pm dottor Maurizio Carbone è stato lo stesso Consiglio presieduto dall’avvocato Vincenzo Di Maggio. All’appello, nei libri contabili del Consiglio, mancherebbe una cifra complessiva che non risulta essere “coperta” da alcuna documentazione. Allo stato, l’ipotesi di reato per cui si procede a carico di ignoti è quella di peculato, dal momento che il Consiglio dell’Ordine è ritenuto Ente pubblico non economico.
La Procura indaga sul “buco” del bilancio dell’Ordine Avvocati di Taranto sotto la guida dell’Avv. Angelo Esposito. E sulla fuga di notizie…? Si chiede e scrive Antonello De Gennaro su “Il Corriere del Giorno” del 12 aprile 2016. Spese di rappresentanza istituzionale indebite o solo assenze di “giustificativi”? Chi rimborserà l'Ordine degli Avvocati di Taranto delle spese allegre e non giustificate di qualcuno? L’intervento della Procura di Taranto che ha affidato le indagini al pm Maurizio Carbone, contrariamente a quanto pubblicato dai soliti cronisti giudiziari a “gettone” è avvenuta in conseguente di una segnalazione, obbligatoria per legge ai sensi dell’art. 331 c.p.p. che il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati del capoluogo jonico, presieduto dall’avvocato Vincenzo Di Maggio, ha inteso rispettare. Singolare anche come ancora una volta la notizia sia “filtrata” dagli uffici giudiziari tarantini sulla solita stampa “ventriloqua” di alcuni magistrati, nonostante la discrezione e riservatezza adottata dal presidente Di Maggio che ha depositato personalmente il tutto soltanto giovedì scorso e direttamente negli uffici della Procura, e non a quelli della polizia giudiziaria, proprio per evitare delle possibili fughe di notizie.
“Concorsi Pubblici ed Esami di Abilitazione. Ci vogliono burocrati e poi gerarchi, non esperti per risolvere i problemi. I Funzionari Pubblici, eccentrici ed autoritari, quasi dispotici, tra vessazioni e favoritismi, perpetuano la loro dinastia attraverso le Commissioni domestiche per l’esame orale. E’ un incesto che provoca problematiche genetiche nell’evoluzione della specie.”
Intervista al Dr Antonio Giangrande, noto saggista, che parla del tema in base alla sua esperienza quarantennale e in relazione all’inchiesta e all’approfondimento relativa all’esperienza degli italiani raccontata nei suoi saggi.
D. Dr Antonio Giangrande come si fa ad ottenere il famoso posto fisso o diventare magistrato, notaio, avvocato, ecc.
R. La vera domanda è: Pubblica Amministrazione: si accede per concorso pubblico?
L’Articolo 97 della Costituzione recita:
“Le pubbliche amministrazioni, in coerenza con l'ordinamento dell'Unione europea, assicurano l'equilibrio dei bilanci e la sostenibilità del debito pubblico.
I pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge [95 c.3], in modo che siano assicurati il buon andamento e l'imparzialità dell'amministrazione.
Nell'ordinamento degli uffici sono determinate le sfere di competenza, le attribuzioni e le responsabilità proprie dei funzionari [28].
Agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni si accede mediante concorso, salvo i casi stabiliti dalla legge [51 c.1].
Nella Pubblica Amministrazione si può essere assunti a tempo indeterminato:
Per Pubblico Concorso:
diretto da idoneo vincitore;
indiretto da idoneo non vincitore per scorrimento delle graduatorie (in alcuni casi 20%);
Per Mobilità permanente da altra Pubblica Amministrazione;
3 tramite centri per l’impiego, per qualifiche che, come requisito di accesso, richiedano l’aver frequentato la scuola dell’obbligo;
4 contratti per persone appartenenti alle Categorie Protette.
5 Per stabilizzazione.
Nella Pubblica Amministrazione si può essere assunti a tempo determinato con contratti flessibili:
contratto di somministrazione a tempo determinato;
2. contratto di lavoro subordinato a tempo determinato;
a) prestazioni di lavoro accessorio (voucher)
b) contratti di collaborazione coordinata e continuativa.
c) collaborazioni marginali (prestazioni occasionali -30 g – Euro 5000)
d) prestazioni di lavoro autonomo occasionale
3. contratti di formazione.
a. Apprendistato per laureati;
b. Formazione-Lavoro per laureandi.
Agenzie di reclutamento per la Pubblica Amministrazione.
InPa.
Adecco.
Asmel.
Ales.
InPa.
D. Dr Antonio Giangrande, qualcuno potrebbe dire che lei parla sempre e solo di se stesso, giustificando i suoi fallimenti.
R. Vero. Qualcuno mi accusa di essere egocentrico e fallito. Lo sono in quest’intervista. Nei miei libri, però, parlo degli italiani, milioni di altri me inascoltati.
D. E’ un fallito?
R. Dal punto di vista scolastico non direi:
R. Diploma di Licenza Media il 23 giugno 1977
20/02/84. Iscritto nel Registro degli Esercenti il Commercio al dettaglio di Taranto: Tab.: I-II-III-IV-V-VI-VII-VIII-XIV (tabella speciale tabaccai).
Diploma di Ragioniere e Perito Commerciale presso l’Istituto Statale Tecnico Commerciale Luigi Einaudi di Manduria (TA) 5 luglio 1992:
Privatista per tutti i 5 anni;
Voto: 36/60.
Laurea in Giurisprudenza presso l’Università Statale di Milano 11 luglio 1996.
Vecchio Ordinamento Quadriennale;
Studente Lavoratore e famiglia a carico (moglie e 2 figli);
26 annualità superate in 2 anni;
Voto: 79/110
Titolo regionale della Regione Puglia: Operatore dei Servizi Giudiziari: Perito Fonico Trascrittore Dattilografo Stenotipista Forense e Tecnico dei Servizi Giudiziari. Qualifica regionale di 600 ore: 350 ore di teoria, 250 ore di stage. Inizio 25/02/2023 fine 01/08/2023. Corso svolto presso Dea Center di Salice Salentino (Le).
D. Qualcuno dirà: la scuola comunista promuove tutti, pecore e porci.
R. Non direi. Ho avuto riscontro della mia preparazione nei concorsi pubblici ed esami di abilitazione, laddove il merito emergeva da prove personali oggettive e non da valutazioni interessate di terzi.
02/06/1976. Domanda nell’Arma dei Carabinieri: lettera morta.
13/09/1991. Concorso della Polizia di Stato, scritto voto 8.16, tra i primi 50 su oltre 20.000 candidati. Il seguito: lettera morta.
29/10/1991, prova di guida e 25/01/1992 prova psico-fisica-attitudinale superate al concorso del Ministero della Giustizia per autisti degli automezzi speciali: mai chiamato.
26/10/1992. Concorso all’ATM di Milano per ferrotranviere. Prova di guida: mai chiamato.
16/01/1997. Concorso di Uditore Giudiziario: lettera morta.
04/05/1998. Domanda per nomina di Giudice di Pace. Lettera Morta.
18/11/1999. Concorso di Comandante del Corpo di Polizia Municipale di Manduria. Candidati oltre 300. 5° allo scritto, all’orale preceduto da chi aveva indetto e regolato il concorso.
Dalla sessione di esame di Avvocato 1998 alla sessione di esame di Avvocato 2014, per 17 anni, alla prova scritta si è dato sempre – stranamente - un voto uguale (25/30) a tutti e tre gli elaborati (civile, penale, amministrativo), insufficiente al superamento dell’esame, a mo’ di ritorsione per le battaglie intraprese. I ricorsi al Tar, rigettati, ma accolti per tutti gli altri, per le medesime ragioni.
Dal 2000 al 2023 non ho potuto svolgere concorsi pubblici per procedimenti penali pendenti con accuse risultate infondate per reati di opinione. Ritorsione per aver denunciato la malagiustizia.
22/05/2023. Iscritto nell’elenco Asmelab degli aspiranti Comandanti della Polizia Locale, dopo aver superato l’esame scritto per presentare interpello all’orale delle Pubbliche Amministrazioni richiedenti, o scritto se troppi interpellanti.
10/07/2023. Comune di Venosa, aspiranti Comandanti della Polizia Locale, interpellanti 229, partecipanti alla prova scritta 120, posizionato 5°, esame orale pubblico a Venosa il 14/07/2023. Preceduto.
06/09/2023. Comune di Gattinara, aspiranti Comandanti della Polizia Locale, interpellanti 76, posizionato 5° IDONEO, esame orale pubblico a Gattinara il 18/09/2023. Preceduto ingiustamente.
02/10/2023. Comune di Anacapri, aspiranti Comandanti della Polizia Locale, interpellanti 249. Preceduto. A tutti sono poste due domande secche: una obbligatoria sugli appalti pubblici. Nessuno ha saputo rispondere in modo esauriente, meno che uno...
10/10/2023. Comune di Vigliano Biellese, aspiranti Comandanti della Polizia Locale, interpellanti 53. Preceduto. Commissione: non idonea.
Da Fenomeno negli scritti a Brocco negli orali, intendendo come tali anche gli elaborati dell’esame di avvocato, che appunto non sono quesiti scritti, ma tracce da elaborare a secondo i gusti dei correttori. Come si può vedere negli scritti a risposta multipla, tra centinaia di candidati, mi sono sempre posto tra i primi 5, niente male per un fallito. Poi quando mi presentavo alle prove orali o all’esame scritto di abilitazione tutto cambiava. Non era l’oggettività a decidere, ma il gusto soggettivo degli esaminatori.
D. Questo lo dice lei.
R. Dal 17/04/1998 al 17/04/2004: Praticante Avvocato con patrocinio legale presso Il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Taranto e Titolare di Studio Legale ad Avetrana. Non abilitato Avvocato dopo 17 anni di esame di Stato a causa di ritorsione per aver denunciato l’esame nazionale truccato di abilitazione forense, da cui è scaturita la riforma del 2003. Il D.L. 112/03 è convertito nella Legge 180/03. Non lo dico io, lo dice il legislatore.
D. E per quanto riguarda gli esami di aspirante comandante dei vigili Urbani?
R. Le domande non erano poste per saggiare il comportamento e l’atteggiamento del candidato rispetto ad un caso concreto, cioè vedere quanto lui sapesse su una norma principale e altre norme ad essa collegate, ma volevano elementi nozionistici. Volevano a memoria l’articolo di legge e finiva lì. Volevano sentire quello che loro sapevano o si aspettavano di sentire.
Spesso l’esito delle prove scritte a risposta multipla (veritiere ed oggettive), si scontrano e contrastano con i giudizi personali resi in sede di orale da commissari pregiudiziali e limitati nella preparazione.
Mi trovo ad affrontare le prove orali nei concorsi pubblici. Mi trovo di fronte commissari che ogni giorno usano gli stessi articoli dei codici di pertinenza alla competenza rivestita.
Prendiamo per esempio il concorso per comandante dei Vigili Urbani. Ti trovi di fronte un comandante in ruolo o un saccente Segretario comunale che ti chiede risposte sul codice degli appalti.
Loro ogni giorno usano il codice della strada, come si usano le stesse posate per mangiare. Ed è un modo per rendere truccato l’esame. Se vuole ti mette in difficoltà. E in difficoltà mette i candidati che a lui sono antipatici e non piacciono. Chiede ai candidati numero e contenuto di un articolo in particolare, estrapolato tra milioni di articoli. Pretende che i candidati conoscano a memoria tutti gli articoli del codice. Non interessa la sostanza, ma la forma. Prendiamo ad esempio l’art. 186 CdS: guida in stato di ebbrezza: è un articolo complesso, sclerotico, confusionario e sottoposto all’evoluzione ideologica del legislatore del tempo che condanna il conducente dei veicoli (anche senza motore come bici e monopattini) a vittima sacrificale da condannare e spennare. Sanzioni principali ed accessorie sull’auto e sul guidatore in base ai vari limiti alcolemici, recidiva e danno. L’art. 186 contiene il comma 7 in cui si prevede la sanzione più grave in casi di rifiuto di sottoporsi all’esame alcolemico o sostanze psicotrope. Tale articolo limita il diritto di difesa e non approfondisce la legittimità delle richieste della prova e l’evoluzione della giurisprudenza.
Ergo: il comandante dovrebbe essere preparato anche in diritto penale e di procedura penale, per evitare i numerosi ricorsi in opposizione, criminologia per l’esame dei luoghi e responsabilità dei sinistri e psicologia per la relazione con l’utenza, la telematica per la formazione dei verbali e l’evoluzione della materia, sul diritto amministrativo per quanto riguarda la trasparenza e la collaborazione con l’utenza per la pronta autotutela in caso di errori, la sociologia per studiare l’impatto di certi comportamenti con l’utenza.
Su questo, anche, si dovrebbe interrogare.
Invece ti chiedono a memoria l’art. 186 CdS e certo si trova qualcuno che te lo snoccioli. Però poi ci ritroveremo qualcuno che saprà recitare a memoria il codice della strada ed eleverà sanzioni a raffica, però poi si troverà sommerso da verbali annullati dalle autorità competenti per incapacità professionale e relazionale.
Solleva qualche dubbio se poi le domande sono poste tutte su una materia spuria, della quale solo uno dei candidati è informato.
Per esempio. Comune di Anacapri, aspiranti Comandanti della Polizia Locale, interpellanti 249. Preceduto. A tutti sono poste due domande secche: una obbligatoria sugli appalti pubblici. Nessuno ha saputo rispondere in modo esauriente, meno che uno...
Oppure, per esempio. Comune di Vigliano Biellese, aspiranti Comandanti della Polizia Locale, interpellanti 53. Preceduto. Commissione: non idonea. I nomi dovrebbero essere omessi per l’oblio meritato.
Prima domanda. Il sindaco comunica al comandante che l'acqua è inquinata.
Risposta articolata qui riassunta: ordinanza contingente e necessaria a tutela dei cittadini impedendone l'uso. Ordinanza-ingiunzione contro il responsabile che cessi e relative sanzioni.
Il comandante avvisa il pm del reato che persegue il responsabile.
Seconda domanda. La pattuglia interviene per un sinistro con lesioni e un fuggitivo ed avvisano il comandante.
Risposta: l'ufficio verifica la fondatezza della segnalazione e chiama i soccorsi, facendo intervenire la pattuglia. La pattuglia dà assistenza al ferito e verifica le circostanze del fatto e assicura i mezzi di prova per l’individuazione del fuggitivo. Svolge le indagini per omissione di soccorso e per accertare la responsabilità delle lesioni e cerca di trarre identità dagli elementi raccolti. Inoltre verifica la responsabilità attraverso l'analisi degli elementi atmosferici, dell'auto, della strada e del l'alcol test del ferito, possibile responsabile. Si chiama il comandante perché è Pubblico Ufficiale che tiene i rapporti con l’autorità Giudiziaria. Gli agenti diventano Pubblici Ufficiali solo per espressa delega particolare del Comandante.
Terza domanda. Un medico redige referto più grave di quello del collega del primo intervenuto in seguito ad un sinistro con lesioni, ma non comunica al pm.
Sono tracce da esame di abilitazione di avvocato, non sono domande secche. Per cui io ho risposto in base alla mia esperienza e preparazione professionale di ex agente assicurativo ed ex avvocato. Rispondo in base alla sentenza della Cass. Pen., Sez. VI, 2 novembre 2020, n. 30456 in tema di omissione di referto. Quindi si va oltre le materie indicate in esame e si va oltre la competenza degli esaminatori.
Uno risponde per quel poco o tanto sa, non per quel tanto o poco che i commissari sanno e vogliono sentire.
Per me è omissione di atti di ufficio o di Referto perché le parole sono importanti nell’interpretazione dei fatti.
Il medico non comunica. Significa che aveva l’obbligo di comunicare e non l’ha fatto. Obbligo nascente dalla richiesta del Pubblico Ministero o dalle leggi. Non si dice: ha dimenticato, o non conosceva la legge che lo obbligava. Non ha comunicato. E’ reato proprio doloso, in quanto non voleva farlo per coprire il collega per falso ideologico o il responsabile della lesione, o per altri suoi motivi. E comunque si risponde alle domande da collaboratori del Pubblico Ministero, quindi dell’accusa, e non da avvocato che cerca la scriminante.
Invece per chi si ergeva più esperto degli altri, mi costringeva a dire che fosse un reato colposo. Questo se ne viene fuori con la colpa. Basata su quale reato non so. Non c'è omissione e/o falso colposo.
Naturalmente le tre risposte condite con eloquente e corposa disamina. Ma loro non cercano l’esperto, cercano il burocrate. E’ una presa in giro dopo giorni di trasferta e nottate all’addiaccio a Napoli e Milano, con le stazioni dei treni chiuse, in attesa della coincidenza che ti porta in sede di esame.
D. Cosa intende per Commissione domestica?
R. I regolamenti degli Enti Locali sulle Commissioni esaminatrici dei concorsi pubblici dispongono in generale che la Commissione è composta da tre membri nel modo seguente.
a) il Funzionario Responsabile dell’Area/Settore nel cui ambito di assegnazione rientra il posto messo a concorso, con funzioni di Presidente;
b) da n.2 tecnici esperti nelle materie oggetto del concorso, scelti possibilmente e preferibilmente tra i dipendenti e/o Funzionari dell’Ente e/o di altre delle Pubbliche Amministrazioni, oppure scelti tra docenti ed esperti in possesso di specifica competenza nelle materie oggetto del concorso. La vera domanda è: chi certifica la competenza e l’imparzialità: loro stessi!
D. Comunque anche per qualcuno rimane sempre un fallito.
R. Sarà, ma come per l’esame di avvocato anche qui il legislatore mi dà ragione. Riforma Concorsi Pubblici 2023: niente più Prove Orali. Il governo ha recentemente adottato una decisione che avrà un impatto significativo sui concorsi pubblici: la sospensione delle prove orali fino al 2026, sostituendole esclusivamente con prove scritte. Così è per il concorso dei Funzionari Tributari dell’Agenzia delle Entrate, oppure per i Funzionari dei Servizi Pubblicità Immobiliare, oppure per i Funzionari dell’Ufficio per il Processo, ecc. Vediamo senza prove orali che si aiutano gli amichetti, se rimarrò ancora un fallito.
Le prove orali da eliminare nei concorsi pubblici.
Spesso l’esito delle prove scritte a risposta multipla (veritiere ed oggettive), si scontrano e contrastano con i giudizi personali resi in sede di orale da commissari pregiudiziali e limitati nella preparazione.
Mi trovo ad affrontare le prove orali nei concorsi pubblici. Mi trovo di fronte commissari che ogni giorno usano gli stessi articoli dei codici di pertinenza alla competenza rivestita.
Prendiamo per esempio il concorso per comandante dei Vigili Urbani. Ti trovi di fronte un comandante in ruolo o un saccente Segretario comunale che ti chiede risposte sul codice degli appalti.
Loro ogni giorno usano il codice della strada, come si usano le stesse posate per mangiare. Ed è un modo per rendere truccato l’esame. Se vuole ti mette in difficoltà. E in difficoltà mette i candidati che a lui sono antipatici e non piacciono. Chiede ai candidati numero e contenuto di un articolo in particolare. Pretende che i candidati conoscano a memoria tutti gli articoli del codice. Non interessa la sostanza, ma la forma. Prendiamo ad esempio l’art. 186 CdS: guida in stato di ebbrezza: è un articolo complesso, sclerotico, confusionario e sottoposto all’evoluzione ideologica del legislatore del tempo che condanna il conducente dei veicoli (anche senza motore come bici e monopattini) a vittima sacrificale da condannare e spennare. Sanzioni principali ed accessorie sull’auto e sul guidatore in base ai vari limiti alcolemici, recidiva e danno. L’art. 186 contiene il comma 7 in cui si prevede la sanzione più grave in casi di rifiuto di sottoporsi all’esame alcolemico o sostanze psicotrope. Tale articolo limita il diritto di difesa e non approfondisce la legittimità delle richieste della prova e l’evoluzione della giurisprudenza.
Ergo: il comandante dovrebbe essere preparato anche in diritto penale e di procedura penale, per evitare i numerosi ricorsi in opposizione, criminologia per l’esame dei luoghi e responsabilità dei sinistri e psicologia per la relazione con l’utenza, la telematica per la formazione dei verbali e l’evoluzione della materia, sul diritto amministrativo per quanto riguarda la trasparenza e la collaborazione con l’utenza per la pronta autotutela in caso di errori, la sociologia per studiare l’impatto di certi comportamenti con l’utenza.
Su questo, anche, si dovrebbe interrogare.
Invece ti chiedono a memoria l’art. 186 CdS e certo si trova qualcuno che te lo snoccioli. Però poi ci ritroveremo qualcuno che saprà recitare a memoria il codice della strada ed eleverà sanzioni a raffica, però poi si troverà sommerso da verbali annullati dalle autorità competenti per incapacità professionale e relazionale.
Antonio Giangrande: Dove si sentono alti anche i nani e dove anche i marescialli si sentono generali, non conta quanti passi fai e quali scarpe indossi, ma conta quante tracce lasci del tuo percorso.
Antonio Giangrande: Diritto del candidato assistere alle prove orali di concorsi. Il Consiglio di Stato, con sentenza n°1626 del 27/03/2015, ha chiarito che è diritto del candidato e di terzi estranei accedere alle aule di concorso durante le prove orali.
Il candidato che ha già sostenuto la prova o deve ancora sostenere il colloquio, ha il diritto di presenziare alle prove degli altri candidati sia per assicurarsi dello svolgimento della prova, sia per verificare il corretto operare della Commissione.
Antonio Giangrande: la prova orale, madre si tutte le arroganze e presunzioni. In sede di esame orale ti trovi di fronte una schiera di Commissari di esame che fanno sfoggio della loro sapienza rispetto a te e rispetto a loro stessi. L’oggetto dell’esame non verte sulla tua perizia rispetto alle materie esaminandi, ma sulla capacità di metterti in difficoltà rispetto alla loro presunzione di saperne più di te e del loro collega. Tu che hai superato a pieni voti lo scritto ti trovi di fronte una barriera di contestazioni, di approssimazioni, di fuorvianze, che ti inceppano i ricordi e che minano il tuo stato psicologico. Se invece sei un amico o conoscente, o meglio, un raccomandato, tutto cambia. Le domande sono benevole, o i voti sono in contrasto con la scena muta. Meglio allora se non si fanno più le prove orali.
I miei concorsi come Comandante dei Vigili Urbani.
18/11/1999. Concorso di Comandante del Corpo di Polizia Municipale di Manduria. Candidati oltre 300. 5° allo scritto, all’orale preceduto da chi aveva indetto e regolato il concorso.
22/05/2023. Iscritto nell’elenco Asmelab degli aspiranti Comandanti della Polizia Locale, dopo aver superato l’esame scritto per presentare interpello all’orale delle Pubbliche Amministrazioni richiedenti, o scritto se troppi interpellanti.
10/07/2023. Comune di Venosa, aspiranti Comandanti della Polizia Locale, interpellanti 229, partecipanti alla prova scritta 120, posizionato 5°, esame orale pubblico a Venosa il 14/07/2023. Preceduto.
06/09/2023. Comune di Gattinara, aspiranti Comandanti della Polizia Locale, interpellanti 76, posizionato 5° IDONEO, esame orale pubblico a Gattinara il 18/09/2023. Preceduto ingiustamente.
02/10/2023. Comune di Anacapri, aspiranti Comandanti della Polizia Locale, interpellanti 249. Preceduto. A tutti sono poste due domande secche: una obbligatoria sugli appalti pubblici. Nessuno ha saputo rispondere in modo esauriente, meno che uno...
10/10/2023. Comune di Vigliano Biellese, aspiranti Comandanti della Polizia Locale, interpellanti 53. Preceduto. Commissione: non idonea.10/10/2023. Comune di Vigliano Biellese, aspiranti Comandanti della Polizia Locale, interpellanti 53. Preceduto. Commissione: non idonea. I nomi dovrebbero essere omessi per l’oblio meritato.
COMUNE DI VIGLIANO BIELLESE
Determinazione N. 474 del
Data di registrazione 5/10/2023
Oggetto: Bando di interpello “elenco Idonei” di A.S.M.E.L. per la copertura di un posto a tempo pieno e indeterminato di Funzionario di Vigilanza (ex cat. D) – Nomina Commissione Giudicatrice.
Il Titolare della posizione organizzativa.
Il Sottoscritto dott. Francesco Cammarano – Segretario Comunale – Responsabile del Servizio Personale
Determina
Di nominare membri della Commissione di interpello pubblico, per la copertura di n. 1 posto a tempo pieno e indeterminato di Funzionario di Vigilanza (ex cat. D) le persone sotto indicate e con la funzione a fianco specificata.
– Dott. Francesco Cammarano – Presidente
Segretario Comunale – Responsabile del Personale
Comm. Emanuela Scarpa – membro esperto
Comandante della Polizia Locale del Comune di Vigliano Biellese
Dott. Palmino Camerlo – membro esperto
Avvocato ed ex Comandante di Polizia Locale
….
Di corrispondere ai membri esterni il compenso di euro 500,00 ciascuno.
Prima domanda. Il sindaco comunica al comandante che l'acqua è inquinata.
Risposta articolata qui riassunta: ordinanza contingente e necessaria a tutela dei cittadini impedendone l'uso. Ordinanza-ingiunzione contro il responsabile che cessi e relative sanzioni.
Il comandante avvisa il pm del reato che persegue il responsabile.
Seconda domanda. La pattuglia interviene per un sinistro con lesioni e un fuggitivo ed avvisano il comandante.
Risposta: l'ufficio verifica la fondatezza della segnalazione e chiama i soccorsi, facendo intervenire la pattuglia. La pattuglia dà assistenza al ferito e verifica le circostanze del fatto e assicura i mezzi di prova per l’individuazione del fuggitivo. Svolge le indagini per omissione di soccorso, e da accertare la responsabilità delle lesioni, e cerca di trarre identità dagli elementi raccolti. Inoltre verifica la responsabilità attraverso l'analisi degli elementi atmosferici, dell'auto, della strada e del l'alcol test del ferito, possibile responsabile. Si chiama il comandante perché è Pubblico Ufficiale che tiene i rapporti con l’autorità Giudiziaria. Gli agenti diventano Pubblici Ufficiali solo per espressa delega particolare del Comandante.
Terza domanda. Un medico redige referto più grave di quello del collega del primo intervenuto in seguito ad un sinistro con lesioni, ma non comunica al pm.
Sono tracce da esame di abilitazione di avvocato, non sono domande secche. Per cui io ho risposto in base alla mia esperienza e preparazione professionale di ex agente assicurativo ed ex avvocato. Quindi si va oltre le materie indicate in esame e si va oltre la competenza degli esaminatori.
Uno risponde per quel poco o tanto sa, non per quel tanto o poco che i commissari sanno e vogliono sentire.
Per me è omissione di atti di ufficio o di Referto perché le parole sono importanti nell’interpretazione dei fatti.
Il medico non comunica. Significa che aveva l’obbligo di comunicare e non l’ha fatto. Obbligo nascente dalla richiesta del Pubblico Ministero o dalle leggi. Non si dice: ha dimenticato, o non conosceva la legge che lo obbligava. Non ha comunicato. E’ reato proprio doloso, in quanto non voleva farlo per coprire il collega per falso ideologico o il responsabile della lesione, o per altri suoi motivi. E comunque si risponde alle domande da collaboratori del Pubblico Ministero, quindi dell’accusa, e non da avvocato che cerca la scriminante.
Invece, per chi si ergeva più esperto degli altri, mi costringeva a dire che fosse un reato colposo. Questo se ne viene fuori con la colpa. Basata su quale reato non so. Non c'è omissione e/o falso colposo.
Naturalmente le tre risposte condite con eloquente e corposa disamina. Ma loro non cercano l’esperto, cercano il burocrate.
Cass. Pen., Sez. VI, 2 novembre 2020, n. 30456 in tema di omissione di referto
DI AVV. MARIA VITTORIA MAGGI · PUBBLICATO 10/01/2021 · AGGIORNATO 04/01/2021
La massima.
“In tema di omissione di referto, l’esercente una professione sanitaria che accerti l’aggravamento delle lesioni personali conseguenti ad un incidente stradale, tali da integrare il reato procedibile d’ufficio ai sensi dell’art. 590-bis cod. pen., ha l’obbligo di informarne l’autorità giudiziaria, a nulla rilevando che, sulla base di una precedente diagnosi, effettuata da un medico diverso, fosse stata indicata una prognosi meno grave, rispetto alla quale il reato sarebbe stato procedibile a querela” (Cass. Pen., Sez. VI, 2 novembre 2020, n. 30456).
Il caso.
Con sentenza del 4 luglio 2019, il Tribunale di Grosseto assolveva l’imputato dal reato di cui all’art. 365 c.p., perché il fatto non costituisce reato. Il Tribunale, in particolare, rilevava che, con riguardo alle lesioni stradali, il sanitario non ha l’obbligo di referto quanto alla prognosi secondaria, rispetto ad una prima prognosi da altri espressa. Il Tribunale evidenziava che quanto sostenuto valeva anche nel caso in cui la somma dei giorni facesse pervenire ad un periodo di malattia superiore a 40 giorni.
Il P.M. presso il Tribunale di Grosseto presentava ricorso avverso la sentenza del Giudice di Prime Cure, deducendo la violazione dell’art. 365 c.p.. L’assunto che l’obbligo di referto debba essere riferito solo alla notizia di reato, perseguibile d’ufficio ed appresa originariamente, e non al sopravvenuto regime di procedibilità, deve ritenersi erroneo. Secondo il ricorrente, infatti, rispetto al delitto di lesioni stradali l’obbligo sorgeva in capo al medico che aveva rilasciato il certificato con cui si superava la prognosi di quaranta giorni, venendo in rilievo un reato diverso, perseguibile d’ufficio.
Ad avviso della Corte di Cassazione, il ricorso presentato dal P.M. è fondato.
La motivazione.
La Corte di Cassazione ha precisato in motivazione che “il delitto di omissione di referto, che ha natura di reato di pericolo, in quanto volto ad assicurare il corretto andamento dell’amministrazione della giustizia attraverso l’invio alla A.G. competente della notizia qualificata di un reato, includente elementi tecnici essenziali ai fini dello svolgimento delle indagini e
dell’esercizio dell’azione penale, è ravvisabile con riguardo ad una condotta omissiva, che risulta apprezzabile nel momento in cui il sanitario viene a trovarsi di fronte ad un caso che può presentare i connotati di un reato perseguibile d’ufficio, dovendosi inoltre valutare se il sanitario abbia avuto conoscenza di elementi di fatto dai quali desumere in termini di astratta possibilità la configurabilità di un simile delitto e abbia avuto la coscienza e volontà di omettere o ritardare il referto”.
Orbene, nel caso di specie la Corte constatava che l’imputato avesse avuto effettivamente contezza di un periodo di guarigione superiore a quaranta giorni, tale da rendere configurabile il delitto di lesioni stradali gravi, di cui all’art. 590-bis c.p..
Per questo motivo, la valutazione del Giudice di primo grado doveva ritenersi erronea. Il primo approccio alla notizia di reato, infatti, non esonera dall’obbligo sopraggiunto di referto. Al contrario, ciò che rileva – ai fini della configurabilità del delitto di cui all’art. 365 c.p. – è che la prestazione sanitaria abbia messo l’esercente nella posizione di avvedersi di un reato procedibile d’ufficio, tale da imporre la redazione del referto.
La Corte di Cassazione, nondimeno, ha osservato che nel caso di specie non si trattava di mero mutamento del regime di procedibilità, bensì della cognizione di un reato diverso, cioè l’autonomo reato di lesioni stradali gravi, in relazione al quale l’obbligo di referto era specificamente insorto al manifestarsi di un diverso periodo di guarigione.
Sulla base di quanto sostenuto è disceso l’annullamento della sentenza impugnata, con rinvio alla Corte di appello di Firenze ai sensi dell’art. 569, co. 4, c.p.p..
Avv. Maria Vittoria Maggi
Avvocato penalista, esperta in Scienze Forensi, Vice Responsible dell’area di Criminologia di Ius in Itinere.
Che delusione i colleghi che come iene tifano per la tua bocciatura, anche se ingiusta.
Poi ci sono loro. Gli occupati che per sfizio o per ambizione, cercano di vincere questo concorso. Non capisco come si possa lasciare un incarico sicuro della stessa mansione per un altro che ha la spada della prova dei 6 mesi.
Antonio Giangrande: Il Codice Penale della Strada.
Parlare solo di Codice della Strada è riduttivo.
La circolazione stradale è il movimento, la sosta, la fermata, l’arresto di veicoli, persone ed animali, su strade, arredi e pertinenze.
Elementi costituenti sono la strada, il veicolo, l’ambiente e l’utente.
Agli inizi erano solo segnali e norme di comportamento. Tutto chiaro.
Il Codice della Strada aveva carattere Preventivo.
Poi tutto è cambiato: dalla velocità alla capacità psicofisica del guidatore tra alcool e stupefacenti sull’onda proibizionista.
Il Codice della Strada diventa così fonte repressiva e fondamentalmente di cassa. Si interviene fondamentalmente contro il cittadino: sul veicolo e sull’utenza.
Da martedì 1 luglio 2003 entra in vigore la norma sui punti sulla patente. Governo Berlusconi.
Dal 23 marzo 2016 la legge 41 (art. 589-bis c.p.) introduce l’omicidio stradale. Governo Renzi.
A seguire le norme di inasprimento sulla guida in Stato di ebbrezza e di velocità.
Se prevede la recidiva e la criminalizzazione di neo patentati per revoca o per età.
La patente va e viene, creando economia, e le sanzioni aumentano in qualità e quantità, creando fonte di finanziamento pubblico.
Il legislatore circola con la scorta e l’auto blu, cosa ne sa della circolazione.
Interventi sulla mobilità pubblica e sulle strade: nulla. Troppo oneroso anche se i proventi delle sanzioni sono a loro destinate.
In Italia ci sono tre tipi di criminali: i mafiosi meridionali, i contribuenti e gli utenti della strada.
Oggi non si può più parlare di Codice della Strada ma di Codice Penale della Strada.
Dr Antonio Giangrande
Antonio Giangrande: ASSIOMA CON INTERCALARE: Un popolo di coglioni sarà sempre governato ed amministrato, informato, istruito e giudicato da coglioni. Ed è per questo che un popolo di coglioni avrà un Parlamento di coglioni che sfornerà “Leggi del Cazzo”, che non meritano di essere rispettate. Perché "like" e ossessione del politicamente corretto ci allontanano dal reale. In quest'epoca di post-verità un'idea è forte quanto più ha voce autonoma. Se la libertà significa qualcosa allora è il diritto di dire alla gente quello che non vuole sentire.
TIRANNIDE indistintamente appellare si debbe ogni qualunque governo, in cui chi è preposto alla esecuzion delle leggi, può farle, distruggerle, infrangerle, interpretarle, impedirle, sospenderle; od anche soltanto deluderle, con sicurezza d'impunità. E quindi, o questo infrangi-legge sia ereditario, o sia elettivo; usurpatore, o legittimo; buono, o tristo; uno, o molti; a ogni modo, chiunque ha una forza effettiva, che basti a ciò fare, è tiranno; ogni società, che lo ammette, è tirannide; ogni popolo, che lo sopporta, è schiavo. Vittorio Alfieri (1790).
Antonio Giangrande: Dialogo con un mussulmano in Italia.
«Perché tu sei così radicale?
Perché non abiti in Arabia Saudita???
Perché hai abbandonato già il tuo Paese musulmano?
Voi lasciate Paesi da voi definiti benedette da Dio con la grazia dell’Islam e immigrate verso Paesi da voi definiti puniti da Dio con l’infedeltà.
Emigrate per la libertà …
per la giustizia …
per il benessere …
per l’assistenza sanitaria ..
per la tutela sociale …
per l’uguaglianza davanti alla legge …
per le giuste opportunità di lavoro …
per il futuro dei vostri figli …
per la libertà di espressione ..
quindi non parlate con noi con odio e razzismo ..
Noi vi abbiamo dato quello che non avete …
Ci rispettate e rispettate la nostra volontà, altrimenti andate via».
Qualcuno afferma che queste frasi le abbia pronunciate Julia Gillard (primo ministro australiano) ed abbia rilasciato queste affermazioni nel 2005 rivolgendosi ad un Islamista radicale estremista in Australia.
Qualcun altro decreta che sia una bufala e che Julia Gillard non abbia mai proferito quelle frasi.
Se nessuno fino ad oggi ha dato paternità a queste frasi, allora dico: sono mie!
Antonio Giangrande: Immigrazione/emigrazione. Dimmi dove vai, ti dirò chi sei.
Rendiconto analitico del dr Antonio Giangrande. Scrittore, sociologo storico, giurista, blogger, youtuber, presidente dell’Associazione Contro Tutte le Mafie ONLUS. Sul tema ha scritto “Profugopoli. Vittime e carnefici”.
L'immigrato/emigrato italiano o straniero è colui il quale si è trasferito, per costrizione o per convenienza, per vivere in un altro luogo diverso da quello natio.
Soggetti: L’immigrato arriva, l’emigrato parte. La definizione del trasferito la dà colui che vive nel luogo di arriva o di partenza. Chi resta è geloso della sua terra, cultura, usi e costumi. Chi arriva o parte è invidioso degli altri simili. Al ritorno estemporaneo al paese di origine gli emigrati, per propria vanteria, per spirito di rivalsa e per denigrare i conterranei di origine, tesseranno le lodi della nuova cultura, con la litania “si vive meglio là, là è diverso”, senza, però, riproporla al paese di origine, ma riprendendo, invece, le loro vecchie e cattive abitudini. Questi disperati non difendono o propagandano la loro cultura originaria, o gli usi e costumi della terra natia, per il semplice motivo che da ignoranti non li conoscono. Dovrebbero conoscere almeno il sole, il mare, il vento della loro terra natia, ma pare (per soldi) preferiscano i monti, il freddo e la nebbia della terra che li ospita.
Tempo: il trasferimento può essere temporaneo o permanente. Se permanente le nuove generazioni dei partenti si sentiranno appartenere al paese natio ospitante.
Luoghi di arrivo: città, regioni, nazioni diverse da quelle di origine.
Motivo del trasferimento: economiche (lavoro, alimentari, climatiche ed eventi naturali); religiose; ideologiche; sentimentali; istruzione; devianza.
Economiche: Lavoro (assente o sottopagato), alimentari, climatiche ed eventi naturali (mancanza di cibo dovute a siccità o a disastri naturali (tsunami, alluvioni, terremoti, carestie);
Religiose: impossibilità di praticare il credo religioso (vitto ed alloggio decente garantito);
Ideologiche: impossibilità di praticare il proprio credo politico (vitto ed alloggio decente garantito);
Sentimentali: ricongiungimento con il proprio partner (vitto ed alloggio decente garantito);
Istruzione: frequentare scuole o università o stage per elevare il proprio grado culturale (vitto ed alloggio decente garantito);
Devianza: per sfuggire alla giustizia del paese di origine o per ampliare i propri affari criminali nei paesi di destinazione (vitto ed alloggio decente garantito).
Il trasferimento per lavoro garantito: individuo vincitore di concorso pubblico (dirigente/impiegato pubblico); trasfertista (assegnazione temporanea fuori sede d’impresa); corrispondente (destinazione fuori sede di giornalisti o altri professionisti). Chi si trasferisce con lavoro garantito ha il rispetto della gente locale indotto dal timore e rispetto del ruolo che gli compete, fatta salva ogni sorta di ipocrisia dei locali che maschera il dissenso all’invasione dell’estraneo. Inoltre il lavoro garantito assicura decoroso vitto e alloggio (nonostante il caro vita) e civile atteggiamento dell’immigrato, già adottato nel luogo d’origine e dovuto al grado di scolarizzazione e cultura posseduto.
Il trasferimento per lavoro da cercare in loco di destinazione: individuo nullafacente ed incompetente. Chi si trasferisce per lavoro da cercare in loco di destinazione appartiene ai ceti più infimi della popolazione del paese d’origine, ignari di solidarietà e dignità. Costui non ha niente da perdere e niente da guadagnare nel luogo di origine. Un volta partiva con la valigia di cartone. Non riesce ad inserirsi come tutti gli altri, per mancanza di rapporti adeguati amicali o familistici, nel circuito di conoscenze che danno modo di lavorare. Disperati senza scolarizzazione e competenza lavorativa specifica. Nel luogo di destinazione faranno quello che i locali non vorrebbero più fare (dedicarsi agli anziani, fare i minatori o i manovali, lavorare i campi ed accudire gli animali, fare i lavapiatti nei ristoranti dei conterranei, lavare le scale dei condomini, fare i metronotte o i vigilanti, ecc.). Questo tipo di manovalanza assicura un vergognoso livello di retribuzione e, di conseguenza, un livello sconcio di vitto ed alloggio (quanto guadagnano a stento basta per sostenere le spese), oltre l’assoggettamento agli strali più vili e razzisti della popolazione ospitante, che darà sfogo alla sua vera indole. Anche da parte di chi li usa a scopo politico o ideologico. Questi disperati subiranno tacenti le angherie e saranno costretti ad omologarsi al nuovo stile di vita. Lo faranno per costrizione a timore di essere rispediti al luogo di origine, anche se qualcuno tenta di stabilire la propria discultura in terra straniera anche con la violenza.
Ecco allora è meglio dire: Dimmi come vai, ti dirò chi sei.
Antonio Giangrande: LE DONNE IMMIGRATE PER I GIORNALISTI? MEGLIO SCHIAVE CHE PUTTANE.
Processo alla stampa. Un nuovo capitolo riempie il saggio “MEDIOPOLI. DISINFORMAZIONE. CENSURA ED OMERTA’”. Il libro di Antonio Giangrande.
La cronaca è fatta di paradossi. Noi avulsi dalla realtà, manipolati dalla tv e dai giornali, non ce ne accorgiamo. I paradossi sono la mia fonte di ispirazione e di questo voglio rendere conto.
In Italia dove tutto è meretricio, qualche ipocrita fa finta di scandalizzarsi sull’esercizio della professione più antica del mondo. L’unica dove non si ha bisogno di abilitazione con esame di Stato per render tutti uniformi. In quell’ambito la differenza paga.
Si parla di sfruttamento della prostituzione per chi, spesso, anziché favorire, aiuta le prostitute a dare quel che dagli albori del tempo le donne danno: amore. Si tace invece della riduzione in schiavitù delle badanti immigrate rinchiuse in molte case italiane. Case che, più che focolare domestico, sono un vero e proprio inferno ad uso e consumo di familiari indegni che abbandonano all’ingrato destino degli immigrati i loro cari incapaci di intendere, volere od agire.
Di questo come di tante altre manchevolezze dei media petulanti e permalosi si parla nel saggio “Mediopoli. Disinformazione. Censura ed omertà”. E’ da venti anni che studio il sistema Italia, a carattere locale come a livello nazionale. Da queste indagini ne sono scaturiti decine di saggi, raccolti in una collana editoriale "L'Italia del Trucco, l'Italia che siamo", letti in tutto il mondo, ma che mi sono valsi l’ostruzionismo dei media nazionali. Pennivendoli venduti all’economia ed alla politica.
Un esempio. Una domenica mattina di luglio, dopo una gara podistica a Galatone in provincia di Lecce, nel ritorno in auto lungo la strada Avetrana-Nardò insieme a mio figlio ed un altro amico intravediamo sedute sotto il solleone su quelle sedie in plastica sul ciglio della strada due figure familiari: le nostre vicine di casa. Non ci abbiamo mai parlato, se non quando alla consuetudinaria passeggiata serale di uno dei miei cani una di loro disse: che bello è un chow chow! Ciò me li rese simpatiche, perché chi ama gli animali sono miei amici.
Poi poverette sono diventate oggetto di cronaca. I loro nomi non c’erano. Ma sapevo trattarsi di loro.
“I carabinieri di Avetrana hanno denunciato un 31enne incensurato poiché sorpreso mentre prelevava due giovani rumene dal loro domicilio di Avetrana per condurle a bordo della sua autovettura, nella vicina località balneare di Torre Lapillo del comune di Porto Cesareo (Le), dove le donne esercitavano la prostituzione - scrivevano il 22 agosto 2014 “La Voce di Manduria” e “Manduria Oggi” - I militari, che da diversi giorni monitoravano gli spostamenti dell’uomo, ieri mattina, dopo aver pedinato a bordo di auto civetta, lungo tutto l’itinerario che dal comune di Avetrana conduce alla località balneare salentina, decidevano di intervenire bloccando l’autovettura con a bordo le due giovani ragazze ed il loro presunto protettore, proprio nel punto in cui le donne quotidianamente esercitavano il meretricio. Accompagnati in caserma, le rumene di 22 anni sono state solo identificare mentre l’uomo è stato denunciato in stato di libertà alla Procura della Repubblica di Taranto, con l’accusa di favoreggiamento della prostituzione. Lo stesso è stato inoltre destinatario del foglio di via obbligatorio dal comune di Avetrana per la durata di tre anni.”
Tutto a caratteri cubitali, come se fosse scoppiato il mondo. E’ normale che succeda questo in una Italia bigotta e ipocrita, se addirittura i tassisti sono condannati per aver accompagnato le lucciole sul loro posto di lavoro e ciò diventa notizia da pubblicare. Le stesse ragazze erano state oggetto di cronaca anche precedentemente con un altro accompagnatore.
“Ai domiciliari un 50enne di Gallipoli per favoreggiamento della prostituzione. Le prostitute, che vivono ad Avetrana, venivano accompagnati lungo la strada per Nardò,” scriveva ancora il 18 luglio 2014 “Manduria Oggi”.
“Accompagnava le prostitute sulla Nardò-Avetrana in cambio di denaro. Ai domiciliari 50enne gallipolino”, scriveva il 17 luglio 2014 il “Paese Nuovo”.
“I militari della Stazione di Nardò hanno oggi tratto in arresto, in flagranza di reato, MEGA Giuseppe, 50enne di Gallipoli, per il reato di favoreggiamento della prostituzione. Nell’ambito dei controlli alle ragazze che prestano attività di meretricio lungo la provinciale che collega Nardò ad Avetrana, i Carabinieri di Nardò, alcune settimane orsono, avevano notato degli strani movimenti di una Opel Corsa di colore grigio. Pensando potesse trattarsi non di un cliente ma di uno sfruttatore o comunque di un soggetto che favorisse la prostituzione, i militari hanno iniziato una serie di servizi di osservazione che hanno permesso di appurare che il MEGA, con la propria autovettura, accompagnava sul luogo del meretricio diverse ragazze, perlopiù di etnia bulgara e rumena. I servizi svolti dai militari di Nardò hanno permesso di appurare che quotidianamente il MEGA, partendo da Gallipoli, si recava in Avetrana, dove le prostitute vivevano e ne accompagnava alcune presso la provinciale Nardò – Avetrana, lasciandole lì a svolgere il loro “lavoro” non prima però di aver offerto loro la colazione in un bar situato lungo la strada. Per cui, avendo cristallizzato questa situazione di palese favoreggiamento dell’attività di prostituzione, nella mattinata odierna i militari di Nardò, dopo aver seguito il MEGA dalla sua abitazione e averlo visto prendere le due prostitute, lo hanno fermato nell’atto di lasciarle lungo la strada e lo hanno portato in caserma assieme alle due ragazze risultate essere di nazionalità rumena. Queste ultime hanno confermato di svolgere l’attività di prostituzione e di pagare il MEGA per i “passaggi” che offre loro. Viste le risultanze investigative, il MEGA è stato tratto in arresto per favoreggiamento della prostituzione e, su disposizione del P.M. di turno, dott. Massimiliano CARDUCCI, è stato posto ai domiciliari presso la sua abitazione”.
Come si evince dal tono e dalla esposizione dei fatti, trattasi palesemente di una velina dei carabinieri, riportata pari pari e ristampata dai giornali. Non ci meravigliamo del fatto che in Italia i giornalisti scodinzolino ai magistrati ed alle forze dell’ordine. E’ un do ut des, sennò come fanno i cronisti ad avere le veline o le notizie riservate e segrete.
Fatto sta che le povere ragazze appiedate, (senza auto e/o patente) proprio affianco al dr Antonio Giangrande dovevano abitare? Parafrasi prestata da “Zio Michele” in relazione al ritrovamento del telefonino: (proprio lo zio lo doveva trovare….). Antonio Giangrande personaggio noto ai naviganti web perché non si fa mai “i cazzi suoi”. E proprio a me medesimo chiedo con domanda retorica: perché in Italia i solerti informatori delegati non fanno menzione dei proprietari delle abitazioni affittate alle meretrici? Anche lì si trae vantaggio. I soldi dell’affitto non sono frutto delle marchette? Silenzio anche sui vegliardi, beati fruitori delle grazie delle fanciulle, così come il coinvolgimento degli autisti degli autobus di linea usati dalle ragazze quando i gentili accompagnatori non sono disponibili.
Un fatto è certo: le ragazze all’istante sono state sbattute fuori di casa dal padrone intimorito.
Che fossero prostitute non si poteva intuire, tenuto conto che il disinibito abbigliamento era identico a quello portato dalle loro italiche coetanee. Lo stesso disinibito uso del sesso è identico a quello delle loro italiche coetanee. Forse anche più riservato rispetto all’uso che molte italiane ne fanno. Le cronache spesso parlano di spudorate kermesse sessuali in spiaggia o nelle piazze o vie di paesi o città. Ma questo non fa scandalo. Come non fa scandalo il meretricio esercitato dalle nostre casalinghe in tempo di crisi. Si sa, lo fanno in casa loro e nessuno li può cacciare, nè si fanno accompagnare. Oltre tutto il loro mestiere era usato dalle ragazze rumene per mangiare, a differenza di altre angeliche creature che quel mestiere lo usano per far carriere nelle più disparate professioni. In modo innocente è la giustifica per gli ipocriti. Giusto per saltar la fila dei meritevoli, come si fa alla posta. E magari le furbe arrampicatrici sociali sono poi quelle che decidono chi è puttana e chi no!
Questa mia dissertazione non è l’apologia del reato della prostituzione, ma è l’intento di dimostrare sociologicamente come la stampa tratta alcuni atteggiamenti illegali in modo diseguale, ignorandoli, e di fatto facendoli passare per regolari.
Quando il diavolo ci mette la coda. Fatto sta che dirimpettai a casa non ne ho. C’è la scuola elementare. Ma dall’altro lato della mia abitazione c’è un vecchio che non ci sta più con la testa. Lo dimostrano le aggressioni gratuite a me ed alla mia famiglia ogni volta che metto fuori il naso dalla mia porta e le querele senza esito che ne sono conseguite. Però ad Avetrana il TSO è riservato solo per “Zio Michele Misseri”, sia mai che venga creduto sulla innocenza di Cosima e Sabrina. Dicevo. Queste aggressioni sono situazione che hanno generato una forte situazione di stalking che limita i nostri movimenti. Bene. Il signore in questione (dico quello, ma intendo la maggior parte dei nostri genitori ormai inutili alla bisogna tanto da non meritare più la nostra amorevole assistenza) ha da sempre delle badanti rumene, che bontà loro cercano quanto prima di scappare. Delle badanti immigrate nessuno mai ne parla, né tanto meno le forze dell’ordine hanno operato le opportune verifiche, nonostante siano intervenuti per le mie chiamate ed abbiano verificato che quel vecchietto le poverette le menava, così come spesso tentava degli approcci sessuali.
Rumene anche loro, come le meretrici. Ma poverette non sono puttane e di loro nessuno ne parla. In tutta Italia queste schiave del terzo millennio sono pagate 500 o 600 euro al mese a nero e per 24 ore continuative, tenuto conto del fatto che sono badanti di gente incapace di intendere, volere od agire. Sono 17 euro al giorno. 70 centesimi di euro all’ora. Altro che caporalato. A queste condizioni non mi meraviglio nel vedere loro rovistare nei bidoni dell’immondizia. A dormire, poi, non se ne parla, in quanto il signore, di giorno dorme e di notte si lamenta ad alta voce, per mantenere sveglia la badante e tutto il vicinato. Il paradosso è che il signore e la sua famiglia sono comunisti sfegatati da sempre, pronti, a loro dire, nel difendere i diritti del proletariato ed ad espropriare la proprietà altrui. Inoltre non amano gli animali. Ed è tutto dire.
Le badanti, purtroppo non sono puttane, ma semplici schiave del terzo millennio, e quindi non meritevoli di attenzione mediatica.
Delle schiave nelle italiche case nessuno ne parla. Perché gli ipocriti italiani son fatti così. Invece dalle alle meretrici. Zoccole sì, ma persone libere e dispensatrici di benessere. Se poi puttane non lo sono affatto, le donne lo diventano con l’attacco mediatico e gossipparo.
«Marita Bossetti massacrata con il gossip. Accusata gratuitamente di avere due amanti. Ma cosa c’entra questo con l’omicidio di Yara? - si chiede Vittorio Feltri su “Il Giornale” il 21 agosto 2014 - Siamo basiti. Ieri apriamo il Corriere della Sera a pagina 17 e leggiamo il seguente titolo: «Due uomini dai pm: siamo stati amanti di Marita Bossetti». Chi è costei? La moglie di Massimo Giuseppe Bossetti, sospettato di essere l'assassino di Yara Gambirasio, l'adolescente di Brembate (Bergamo), in galera da un paio di mesi per via del suo Dna rilevato sul corpo della vittima. Non riassumiamo la vicenda perché è stata raccontata mille volte e supponiamo che il lettore ne sia a conoscenza. Ci limitiamo a esprimere stupore e indignazione davanti a questa ennesima incursione nella vita privata di una famiglia - quella dei Bossetti, appunto - che avrebbe diritto a essere lasciata in pace, ammesso che possa trovarne, avendo il proprio capo chiuso in una cella senza che esista la minima probabilità che questi reiteri il reato attribuitogli, inquini le prove (che non ci sono) e si appresti a fuggire, visto che in quattro anni non ha mai provato a farlo. Stando a Giuliana Ubbiali, la cronista che ha rivelato quest'ultimo particolare piccante sui coniugi, due gentiluomini si sono presentati (spontaneamente? ne dubito) in Procura e hanno confidato agli inquirenti di avere avuto rapporti intimi con la signora Marita. Hanno detto la verità o no? Non è questo il punto. La suddetta signora ha facoltà di fare ciò che vuole con chi vuole e quando vuole senza l'obbligo di giustificarsi con nessuno, tranne il marito. Perché le toghe ficcano il naso nelle mutande di una sposa già distrutta dagli eventi? A quale scopo? Sarebbe interessante che qualcuno ci spiegasse che c'entrano due supposte (non accertate) relazioni avute dalla donna in questione con il delitto di Yara commesso - forse - dal coniuge. Il gossip non ha alcuna importanza - fondato o infondato che sia - ai fini di accertare la verità. Questo lo capisce chiunque. Nonostante ciò, gli investigatori hanno infilato negli atti processuali che due linguacciuti asseriscono di essersi divertiti, sessualmente parlando, con la consorte di Bossetti. Cosicché questi, oltre a essere inguaiato per un omicidio, nonché detenuto, adesso è anche formalmente cornuto agli occhi di chi si pasce di pettegolezzi. Non solo. Marita ha il suo uomo agli arresti, tre figli da mantenere (in assenza di un reddito), un futuro nebuloso, gli avvocati da pagare e, dulcis in fundo, ci ha smenato pure la reputazione passando ufficialmente (zero prove) per puttana. A voi, cari lettori, questa sembra un'operazione legittima? Comprendiamo la necessità degli investigatori di non trascurare alcun dettaglio nel tentativo di arrivare a capo dell'orrenda matassa, siamo altresì consapevoli che dal quadro familiare di Bossetti sia facile ricavare qualche indicazione utile all'inchiesta, ma prendere per buone le vanterie di un paio di tizi onde avvalorare l'ipotesi che la famiglia Bossetti fosse una specie di bordello, in cui ogni crimine poteva maturare, incluso un omicidio, è troppo. Trattasi di scorrettezza e di crudeltà. Un conto è sondare la vita di un imputato nella speranza di trovare una chiave per aprire la sua scatola nera, un altro è ricorrere a mezzucci degni di un giornaletto scandalistico e indegni, viceversa, di una giustizia decente. I giudici non devono guardare dal buco della serratura e raccogliere materiale da portineria, ma costruire un impianto accusatorio credibile, basato su indizi concreti e non su chiacchiericci volgari che distruggono l'immagine di gente innocente, comunque non direttamente implicata in un fatto di sangue. Alla signora Marita Bossetti e ai suo poveri figli, esposti al pubblico ludibrio a causa di una sciatteria istituzionale imperdonabile, va la nostra solidarietà. Siamo con loro in questo momento tormentato. Un'ultima osservazione. Noi del Giornale spesso siamo stati additati quali manovratori della macchina del fango. Faceva comodo a molti liquidarci così. Ora, davanti alla macchina produttrice di letame gossiparo, che massacra e lorda tante persone, tutti zitti. Zitti e complici».
«Yara, un caso nel caso: gossip estremo o strategia mediatica? Seguendo il corso delle indagini, la cronaca passa ora ai "raggi X" la vita della moglie di Bossetti: per soddisfare la curiosità dei lettori o per qualcos'altro? –Si chiede invece Marco Ventura su “Panorama” - “Massimo Bossetti, il presunto assassino di Yara”. Questa didascalia sul sito del Corriere della Sera, cronaca di Bergamo, dice tutto. Dice più di qualsiasi gossip allungato a giornalisti compiacenti che si prestano a fare da megafono dell’accusa pur di continuare a beneficiare di “presunti” scoop (dico “presunti” perché il giornalismo d’inchiesta all’americana, quello vero, non si affida a una sola fonte, non sposa acriticamente una sola parte, soprattutto si sviluppa anticipando le indagini, non si riduce a diffondere le veline degli inquirenti). Quella didascalia è un insulto alla Costituzione (e ai diritti di tutti noi in quanto potenziali Bossetti), perché “il carpentiere di Mapello”, come viene sbrigativamente inquadrato dai media, agli occhi della legge e a tutti gli effetti è l’opposto del “presunto assassino”. È, invece, un “presunto innocente”, sospettato di aver ucciso l’adolescente Yara Gambirasio. La didascalia accompagna le foto tratte dalla pagina Facebook dell’uomo (che non è neppure imputato ma solo indagato). Altri scatti inquadrano la moglie Marita in macchina che un po’ si vede, un po’ si copre la faccia per evitare i fotografi il giorno in cui va a farsi interrogare. Sono una, due, tre, quattro, cinque istantanee pressoché identiche, per soddisfare il “presunto” voyeurismo compulsivo del lettore. Dico “presunto”, perché a scorrere i commenti alla notizia delle “presunte” relazioni extraconiugali di Marita sul sito dell’Huffington Post che riprende il Corriere (un bell’esempio di complicità mediatica tra il gruppo L’Espresso e il “Corsera”), la gran parte dei lettori si dice più o meno schifata e indignata, e se la prende con un certo giornalismo gossiparo che massacra le persone per fare cassetta. Ma la foto peggiore è quella che campeggia più grande di tutte: Marita a viso aperto, al mare, circondata dai tre figli avuti con Massimo (già, ci sono pure dei figli minori, i volti sono graficamente irriconoscibili, ma basta?). In realtà, dietro quel giornalismo c’è forse qualcosa di più: una strategia mediatica da parte di chi lavora sulle indagini. È singolare che nei giorni scorsi sia apparsa la notizia del rifiuto di Marita a farsi interrogare senza il difensore, Marita che continua a difendere il marito e a proclamare anche pubblicamente la sua fiducia (ricambiata da Massimo di cui sappiamo, dalle indiscrezioni dei suoi già cinque interrogatori nessuno conclusivo, che ai magistrati che lo incalzavano sulle “presunte” avventure della consorte avrebbe replicato: “Impossibile. Sento il suo amore, ho piena fiducia e rispetto di lei”). È mai possibile che di fronte a quella che viene presentata come prova regina, definita dalla stessa difesa di Bossetti come indizio grave, cioè la “presunta” corrispondenza del Dna del “carpentiere di Mapello” con quello ritrovato sugli indumenti intimi di Yara (dico “presunta” perché non c’è al momento una controperizia, una perizia di parte, una ripetizione del test, né un contraddittorio o dibattimento e tante volte abbiamo visto le prove regine perdere la corona nei processi), è mai possibile dicevo che vi sia un simile accanimento sulla famiglia Bossetti, tale da far sospettare (o presumere?) una disperazione dell’accusa, un’angoscia di non riuscire, nonostante tutto, a trovare la verità cioè incastrare il “presunto colpevole”? E mi chiedo: se la moglie (e la madre) di Massimo Bossetti lo avessero “scaricato”, dicendo ai Pm quello che i Pm vorrebbero tanto sentirsi dire, avremmo ugualmente letto notizie così orribilmente intrusive della vita privata di persone che non sono neppure indagate e la cui vita intima non serve probabilmente a far luce sull’ipotizzato crimine del “carpentiere di Mapello”? Massimo Bossetti ha saputo dai magistrati di essere figlio illegittimo, ora sa che forse la moglie gli ha messo le corna (e tutto questo lo sappiamo anche noi). È costretto in carcere a un isolamento totale, anche nell’ora d’aria, perché gli altri detenuti gliel’hanno giurata (per loro è il “presunto assassino” di Yara, anzi per dirla con il ministro dell’Interno, Angelino Alfano, è “l’assassino” e basta). La moglie si trova a dover fronteggiare non solo i magistrati, ma anche i giornalisti che sanno e partecipano allo scandaglio impietoso della sua privacy (grazie a chi?) e se si azzarda a dire la sua al settimanale Gente, c’è subito pronto il solerte cronista di giudiziaria, nello specifico Paolo Colonnello de La Stampa, che si dedica a sottolineare sotto il titolo “Yara, le contraddizioni della signora Bossetti”, le “presunte” (il virgolettato è mio) discrepanze tra le parole della “bella moglie che rilascia interviste ai settimanali popolari” (stavolta il virgolettato è di Colonnello) e quelle che Marita ha pronunciato davanti ai Pm. A Paolo vorrei ricordare quanto lui stesso ha scritto su Facebook tempo fa, in quello che appariva come un post di encomiabile ma evidentemente “presunta” autocritica, dopo aver premesso che dubitava dell’innocenza di Bossetti: “Ciononostante mi piacerebbe che i giornali avessero il coraggio di distinguersi dal trash delle trasmissioni televisive smettendo di occuparsi di questo caso day by day, proprio per rispetto dei protagonisti e della loro sofferenza. Piccoli dettagli, elucubrazioni, fughe di notizie cui io stesso ho partecipato (con assoluta controvoglia, credetemi) non aggiungono nulla di più a questo punto alla tragedia che si è ormai consumata. La solita tragedia, verrebbe da dire. Perché purtroppo, anche grazie alla nostra morbosità, statene certi che si ripeterà”».
«Dai lettore, prova a metterti nei panni del mostro. Massimo Bossetti non è soltanto accusato di essere l'assassino di Yara. Contro di lui si muove uno tsunami distruttivo, massacrante, implacabile. Domandina: e se poi, invece, fosse innocente? – Si chiede, invece Maurizio Tortorella su “Panorama” - Caro lettore, stavolta ti propongo un gioco: ma fa' attenzione, perché è un brutto gioco. Facciamo finta che due anni fa un bruto, un maniaco sessuale, abbia ucciso una povera ragazzina a una decina di chilometri da casa tua. E facciamo finta che una mattina arrivi da te la polizia, che ti ammanetta e ti accusa di quell'orribile delitto. Dai magistrati inquirenti, che t'interrogano, scopri che sul cadavere della poveretta è stato trovato materiale organico che i periti sostengono sia compatibile con il tuo Dna. Tu non sai proprio spiegartene il motivo, perché sai perfettamente che sei innocente e in realtà non hai mai nemmeno visto la ragazzina. Ma gli inquirenti non vogliono sentire ragione: il colpevole sei sicuramente tu. Così finisci in prigione. I giornali, contemporaneamente, vengono inondati di carte dell'accusa. Il tuo nome esplode su tutti i mass media, la tua vita viene passata al setaccio. Il tuo avvocato è in difficoltà: non riesce a fare passare nemmeno il minimo dubbio. Poi gli inquirenti ti dicono che sono arrivati a te per vie d'indagine complicatissime. E ti spiegano che grazie a quelle indagini hanno scoperto, anche, che tuo padre non è quello che tu hai avuto accanto per decenni, perché in realtà tua madre ti ha concepito con un altro. Aggiungono che tutto questo è provato con certezza dallo stesso Dna. A questa rivelazione, ovvio, resti senza fiato. Sui giornali che ti arrivano in cella leggi che tua madre nega disperatamente, giura che sei figlio di tuo padre, quello che hai sempre creduto che lo fosse. Ma chissà se dice la verità... La vita, che già ti è stata sconvolta dall'arresto e dalle terribili accuse che ti vengono rivolte, ti viene così letteralmente sradicata dall'anima: anche per via sentimentale. Intanto passi i giorni in cella, dove ti disperi leggendo i giornali che parlano del caso e cercando di sfuggire alle violenze degli altri reclusi, tradizionalmente molto ostili a chi viene accusato di aver fatto del male a donne e a bambini. Pensi e ripensi alla tua vita distrutta, ai tuoi figli che inevitabilmente in paese vengono additati come «figli del mostro», a quella poveretta di tua moglie che inutilmente grida alla tua innocenza. I giorni trascorrono, diventano settimane e mesi. Non sai che fare. Dentro sei come morto. Ti aggrappi ai tuoi poveri affetti, in questo momento fragili come e più di te. Pensi solo a tua moglie e ai tuoi figli: sono l'unica cosa che ti resta. Poi una mattina ti svegli, sempre in cella e sempre terrorizzato, e sul primo quotidiano italiano leggi un titolo che ti tramortisce. Perché rivela che due uomini sono stati appena ascoltati dai pm e hanno raccontato loro di essere stati entrambi amanti di tua moglie (che hai sposato nel 1999): uno nel 2009 e uno anche più di recente. Ti domandi se sia vero. Come sia possibile. Ti interroghi anche sul perché gli inquirenti abbiano deciso di ascoltare i due uomini, che cosa c'entrino le loro relazioni con l'accusa che ti viene rivolta. L'articolo ti spiega che i pm vogliono indagare nella tua vita sessuale, per capire se tutto era «normale». La tua disperazione a questo punto è totale: non hai più nulla cui aggrapparti. Che ti resta, al mondo? Pensi alla tua vita, annichilita, e forse vuoi soltanto morire. Ecco, caro lettore. Io non so se Massimo Bossetti sia colpevole o innocente dell'orribile delitto di cui è accusato da oltre due mesi. Ti domando, però, di porre mente a un'ipotesi: e se non fosse colpevole? A quest'uomo la giustizia italiana ha distrutto tutto: vita, famiglia, affetti. Gli è accaduto tutto quello che hai appena finito di leggere, e anche molto di più. È stata una devastazione implacabile, assoluta, senza scampo alcuno. Certo: è possibile che Bossetti sia colpevole. E tu allora mi dirai, in un impeto di violenza: si merita tutto quel che sta soffrendo. Ma che cosa accadrà se invece, in un regolare processo condotto stavolta non sui giornali ma in un'aula di tribunale, davanti a una corte puntigliosa e con tutti i crismi di legge, si dovesse appurare che Bossetti è innocente, magari perché l'analisi del Dna condotta sul corpo della povera Yara è stata sbagliata? In questi casi ho sempre pensato che sia pratica onesta provare a mettersi nei panni dell'accusato, ovviamente ipotizzandosi innocenti. Io l'ho fatto, e confesso la mia debolezza: non so se saprei sopravvivere allo tsunami, alla gogna mediatica e al disastro esistenziale che mi è stato gettato addosso. Proverei forse a impiccarmi in cella. Però l'idea mi sconvolge e mi disgusta profondamente. Perché non è questo il finale giusto, nemmeno nella peggiore vicenda giudiziaria; non può e non deve esserlo: equivale a dichiarare che la giustizia non esiste. È una soluzione abietta, vergognosa, indecente, indegna di uno Stato di diritto. Prova a fare altrettanto. Non ci vuole molto, soltanto un po' di fantasia. Mettersi nei panni dell'accusato è sempre un esercizio utile: solletica sensibilità intorpidite dalla voglia di sangue. E magari fa pensare... ».
Dr Antonio Giangrande
Presidente dell’Associazione Contro Tutte le Mafie e di Tele Web Italia
PLAGIO E VERITA’. LA CRONACA PUO’ DIVENTARE STORIA? Antonio Giangrande: “stavolta io sto con Roberto Saviano”.
Intervento di Antonio Giangrande, scrittore tarantino, autore di decine di saggi d’inchiesta.
Lo scrittore napoletano, autore di “Gomorra” e “Zerozerozero”, è accusato di aver inserito delle frasi altrui nei suoi libri, tratte da fonti non citate. Saviano si difende: “è cronaca…e la cronaca appartiene a tutti”.
Un chierico medievale si imbatté in un groviglio di serpi su cui spiccava un ramarro che già da solo sarebbe bastato a spaventarlo. Tuttavia, confrontata a quelle serpeggianti creature, la bestiola gli parve graziosa ed esclamò: «Beati monoculi in terra caecorum», nella terra dei ciechi anche l’orbo è re.
Noi siamo quello che altri hanno voluto che diventassimo. Quando esprimiamo giudizi gratuiti, cattivi ed illogici lo facciamo con la nostra bocca ma inconsapevolmente per volontà di altri. Lo facciamo in virtù di quanto ricevuto: dall’educazione familiare, dall’istruzione di regime, dall’indottrinamento politico e religioso, dall’influenza mediatica. Niente è farina del nostro sacco. Se ci basassimo solo sulle nostre esperienze staremmo solo zitti, sapendo che nessuno sarebbe capace e disposto ad ascoltarci.
E’ comodo definirsi scrittori da parte di chi non ha arte né parte. I letterati, che non siano poeti, cioè scrittori stringati, si dividono in narratori e saggisti. E’ facile scrivere “C’era una volta….” e parlare di cazzate con nomi di fantasia. In questo modo il successo è assicurato e non hai rompiballe che si sentono diffamati e che ti querelano e che, spesso, sono gli stessi che ti condannano. Meno facile è essere saggisti e scrivere “C’è adesso….” e parlare di cose reali con nomi e cognomi. Impossibile poi è essere saggisti e scrivere delle malefatte dei magistrati e del Potere in generale, che per logica ti perseguitano per farti cessare di scrivere. Devastante è farlo senza essere di sinistra. Quando si parla di veri scrittori ci si ricordi di Dante Alighieri e della fine che fece il primo saggista mondiale.
Da sempre diffido di chi, vestito da lupo, è pecora genuflessa alla magistratura. I saccenti giustizialisti dei 5 stelle che provino a proporre la figura del difensore civico giudiziario con poteri di magistrato, senza essere uno di loro, per poter metter le mani nelle carte dei fascicoli e poterle sparigliare. Io da anni mi batto inascoltato per questo. I signori dei 5 stelle non si degnano nemmeno di rispondere ai messaggi degli esperti: tanto san tutto loro. A sbraitare son bravi, ma a proporre leggi sensate, mi sa che non son capaci. Parlan solo di soldi, soldi, soldi ed onestà, certificata dai loro magistrati, e mai parlano di libertà ed opportunità senza concorsi ed esami pubblici truccati.
Ad ogni azione umana nefasta si trova sempre una giustificazione...lo si fa per le piante...lo si fa per gli animali...lo si fa per le persone! Ma, alla fine, rimane solo un'azione nefasta che fa male al prossimo...e, spesso, il prossimo siamo noi. A parte il partito preso, noi siamo tutti responsabili delle azioni nefaste di uno, quando gli permettiamo di farle.
Parlare nei miei libri del caso singolo del semplice cittadino significa incorrere nell’accusa di mitomania, pazzia o calunnia, oltre che ne disinteresse. Invece parlo di loro, delle istituzioni che delinquono impunite. Parlo della vera mafia. Cosa posso dire di più di quello che ho scritto e che altri non dicono? Credo che quanto divulgato possa essere di grande soddisfazione per le vittime, non potendo avere altro che quella in questa Italia con italiani di merda a cui interessa solo di loro stessi e se ne fottono degli altri.
Come far sì che si parli di questioni delicate e pericolose che gli scribacchini non fanno? Come si fa a far conoscere situazioni locali e temporali su tutto il territorio nazionale e raccontate da autori poco conosciuti?
Quello che succede quotidianamente davanti ai nostri occhi è quello che vedono tutti e non ci sono parole diverse per raccontarlo. I racconti sono coincidenti. Possono cambiare i termini, ma i fattori non cambiano. Gli scribacchini, poi, nel formare i loro pezzi, spesso e volentieri si riportano alle veline dei magistrati e delle forze dell’Ordine.
Ergo: E’ una bestialità parlare di plagio.
E poi, l’informazione di regime dei professionisti abilitati alla conformità non è tutta un copia ed incolla?
Si deve sempre guardare il retro della medaglia. Come per esempio: si dice che i soldi vadano ai migranti e ce la prendiamo con loro. Invece i soldi vanno ai migranti tramite le cooperative di sinistra e della CGIL. Ergo: Ai migranti quasi niente; alla sinistra i soldi dell'emergenza ed i voti dei futuri cittadini italianizzati. Ecco perchè i comunisti sono solidali fino a voler mettere i mussulmani nelle canoniche delle chiese cristiane. Quegli stessi mussulmani che in casa loro i cristiani li trucidano. Poi per l’aiuto agli italiani non c’è problema: se sei di sinistra, hai qualsiasi cosa: case popolari, anche occupate, e sussidi ed occupazioni nelle cooperative. Se sei di destra, invece, vivi in auto da disoccupato, non per colpa della sinistra, ma perché quelli di destra ed i loro politici son tanto coglioni che non sanno neppure tutelare se stessi.
A proposito dell’invasione dei mussulmani senza colpo ferire….diamo proposte e non proteste. Se lo sbarco incontrollato dei clandestini è dovuto alla guerra fratricida nei loro paesi: fermiamo quella guerra con una guerra giusta sostenendo la ragione. Per molto meno si è bombardato l’Iraq, l’Afghanistan e la Libia, senza aver un interesse generale europeo, se non quello di assecondare le mire americane. E poi, dalla patria in fiamme non si scappa, ma si combatte per la sua liberazione. Gli italiani non sono scappati in Africa dalla occupazione tedesca. O i comunisti hanno combattuto non per liberare l’Italia ma per consegnarla all’URSS? Se il motivo dello sbarco incontrollato dei clandestini è quello economico, evitiamo di farci espropriare il nostro benessere ottenuto con sacrifici. Per la sinistra è un sistema che vale in termini elettorali, ma è ingiusto. Difendiamoci dall'invasione in pace. Apriamo aziende nei luoghi di espatrio dei clandestini. Imprese finanziate da quei fondi destinati a mantenere gli immigrati a poltrire in Italia. In alternativa tratteniamo i più giovani di loro per dargli una preparazione ed una istruzione specialistica, affinchè siano loro stessi ad aprire le aziende.
E comunque, senza parer razzista…In Italia basterebbe far rispettare la legge a tutti, compreso i clandestini, iniziando dalla loro identificazione, e se bisogna mantenere qualcuno, lo si faccia anche con gli italiani indigenti. Per inciso. Non sono di nessun partito. Non voto da venti anni, proprio perché sono stufo dei quaquaraqua in Parlamento e di quei coglioni che li votano.
La sinistra usa la stessa solidarietà adottata con i migranti come nella lotta alla mafia: farsi assegnare i beni confiscati e farli gestire da associazioni o cooperative vicine a loro a alla CGIL o a Libera, che è la setta cosa.
Io ho trovato un sistema affinchè non sia tacciato di mitomania, pazzia o calunnia: faccio parlare chi sul territorio la verità scomoda la fa diventare cronaca ed io quella realtà contemporanea la trasformo in storia affinchè non si dimentichi.
Io generalmente non sto con Saviano: per il suo essere di sinistra con quello che comporta in termini di difetti ed appoggi. La sinistra, per esempio, non dice che mafia ed antimafia, spesso, sono la stessa cosa, sol perché l’antimafia è da loro incarnata. Ma stavolta io sto con Saviano perché la verità appartiene a tutti e noi abbiamo l’obbligo di conoscerla e divulgarla. Saviano ha raccontato una realtà conosciuta, ma taciuta. Verità enfatizzata e strumentalizzata dalla sinistra tanto da renderla nociva. Può aver appreso da scritti altrui? Può darsi. Basta che sia verità. Se qualche autore vuol speculare sulla verità raccontata, allora la sua dignità vale quanto la moneta pretesa. Se poi chi critica ed aizza mesta nel fango, questi vuol distogliere l’attenzione sulla sostanza del contenuto, anteponendo artatamente la forma. Ed i lettori, in questa diatriba, non guardino il dito, ma notino la luna.
Io, da parte mia, le fonti le cito, (eccome se le cito), per dare credibilità alle mie asserzioni e per dare onore a chi, nelle ritorsioni, è disposto con coraggio a perdere nel nome della verità in un mare di viltà. I miei non sono romanzi, ma saggi da conoscere e divulgare. Perché noi dobbiamo essere quello che noi avremmo voluto che diventassimo. E delle critiche: me ne fotto. Dr Antonio Giangrande
DIRITTO ALL’OBLIO. FINE DELLA STORIA!
Per gente indegna. Umanità senza vergogna e con la memoria corta. Nata, ma per i posteri mai vissuta.
Voi umani, dimenticate il passato. Hitler, Stalin ed ogni piccolo e grande criminale innominabile dai giudici avrà la facoltà di essere innominato.
Intervista al dr. Antonio Giangrande. Scrittore, sociologo storico, giurista, blogger, youtuber, presidente dell’Associazione Contro Tutte le Mafie.
Cosa c’entra Lei che non è giornalista con il Diritto all’Oblio?
«Io della Cronaca faccio Storia. Ciononostante personalmente sono destinatario degli strali ritorsivi dei magistrati. A loro non piace che si vada oltre la verità giudiziaria. La loro Verità. Oggi però sono intere categorie ad essere colpite: dai giornalisti ai saggisti. Dagli storici ai sociologi. Perché oggi in tema di Diritto all'Oblio e Libertà di espressione, la Cassazione tutela meno del Regolamento Privacy. Una recente sentenza della Cassazione colpisce un giornale (Prima Da Noi) con una interpretazione inedita e pericolosa del diritto all'oblio. Superando le previsioni dei Garanti Privacy e della Corte europea dei Diritti dell'Uomo».
Cosa dice la legge sulla Privacy?
«La nuova normativa, concernente il rapporto tra il diritto alla privacy ed il diritto di cronaca, è contenuta negli articoli 136 e seguenti del Codice privacy che hanno sostanzialmente recepito quanto già stabilito dal citato art. 25 della Legge 675 del 1996. In base a dette norme chiunque esegue la professione di giornalista indipendentemente dal fatto che sia iscritto all'elenco dei pubblicisti o dei praticanti, o che si limiti ad effettuare un trattamento temporaneo finalizzato esclusivamente alla pubblicazione o diffusione occasionale di articoli saggi o altre manifestazioni del pensiero:
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può trasferire i dati all'estero senza dover rispettare le specifiche prescrizioni previste per questa tipologia di dati;
non è tenuto a richiedere il consenso né per il trattamento di dati comuni né per il trattamento di dati sensibili».
Cosa prevedeva la Legge e la Giurisprudenza?
«Come è noto, il diritto di manifestare il proprio pensiero ex art. 21 Cost. non può essere garantito in maniera indiscriminata e assoluta, ma è necessario porre dei limiti al fine di poter contemperare tale diritto con quelli dell’onore e della dignità, proteggendo ciascuno da aggressioni morali ingiustificate. La decisione si trova in completa armonia con altre numerose pronunce della Corte. La Cassazione, infatti, ha costantemente ribadito che il diritto di cronaca possa essere esercitato anche quando ne derivi una lesione dell’altrui reputazione, costituendo così causa di giustificazione della condotta a condizione che vengano rispettati i limiti della verità, della continenza e della pertinenza della notizia. Orbene, è fondamentale che la notizia pubblicata sia vera e che sussista un interesse pubblico alla conoscenza dei fatti. Il diritto di cronaca, infatti, giustifica intromissioni nella sfera privata laddove la notizia riportata possa contribuire alla formazione di una pubblica opinione su fatti oggettivamente rilevanti. Il principio di continenza, infine, richiede la correttezza dell’esposizione dei fatti e che l’informazione venga mantenuta nei giusti limiti della più serena obiettività. A tal proposito, giova ricordare che la portata diffamatoria del titolo di un articolo di giornale deve essere valutata prendendo in esame l’intero contenuto dell’articolo, sia sotto il profilo letterale sia sotto il profilo delle modalità complessive con le quali la notizia viene data (Cass. sez. V n. 26531/2009). Tanto premesso si può concludere rilevando che pur essendo tutelato nel nostro ordinamento il diritto di manifestare il proprio pensiero, tale diritto deve, comunque, rispettare i tre limiti della verità, pertinenza e continenza. Diritto di Cronaca e gli estremi della verità, della pertinenza e della continenza della notizia. L'art. 51 codice penale (esimente dell'esercizio di un diritto o dell'adempimento di un dovere) opera a favore dell'articolista nel caso in cui sia indiscussa la verità dei fatti oggetto di pubblicazione e che la stessa sia di rilevante interesse pubblico. In merito all'esimente del Diritto di Cronaca ex art. 51 c.p., la Suprema Corte con Sentenza n 18174/14 afferma: "la cronaca ha per fine l'informazione e, perciò, consiste nella mera comunicazione delle notizie, mentre se il giornalista, sia pur nell'intento di dare compiuta rappresentazione, opera una propria ricostruzione di fatti già noti, ancorchè ne sottolinei dettagli, all'evidenza propone un'opinione". Il diritto ad esprimere delle proprie valutazioni, del resto non va represso qualora si possa fare riferimento al parametro della "veridicità della cronaca", necessario per stabilire se l'articolista abbia assunto una corretta premessa per le sue valutazioni. E la Corte afferma, in proposito: "Invero questa Corte è costante nel ritenere che l'esimente di cui all'art. 51 c.p., è riconoscibile sempre che sia indiscussa la verità dei fatti oggetto della pubblicazione, quindi il loro rilievo per l'interesse pubblico e, infine, la continenza nel darne notizia o commentarli ... In particolare il risarcimento dei danni da diffamazione è escluso dall'esimente dell'esercizio del diritto di critica quando i fatti narrati corrispondano a verità e l'autore, nell'esposizione degli stessi, seppur con terminologia aspra e di pungente disapprovazione, si sia limitato ad esprimere l'insieme delle proprie opinioni (Cass. 19 giugno 2012, n. 10031)"».
Con la novella di cosa si sta parlano?
«La sentenza 13161/16 del 24 giugno 2016 (Presidente Salvatore Di Palma, relatore Maria Cristina Giancola) entrerà nella storia perché cancella la Storia. La Suprema Corte ha infatti allargato di parecchio la sfera del diritto all’oblio (right to be forgotten) secondo cui si può far valere il diritto ad essere dimenticati, ovvero a fare in modo che il nostro passato non ritorni a galla con una ricerca online anche dopo anni. La Cassazione, ha stabilito che “un articolo di cronaca su un accoltellamento in un ristorante dovesse essere cancellato dall’archivio digitale perché pur essendo corretto, raccontando la verità e non travalicando i limiti di legge, aveva prodotto un danno ai ricorrenti, cioè i soggetti attivi della vicenda di cronaca giudiziaria”. Vicenda che, ai tempi della richiesta di rimozione dell’articolo, non si era ancora conclusa in giudizio. Spiega Vincenzo Tiani: “La Cassazione richiama la celebre sentenza Google Spain (C-131/12) che ha sancito per prima l’esistenza di un diritto ad essere dimenticati, e le linee guida dell’Art. 29 Data Protection Working Party (WP29) redatte dopo la sentenza (novembre 2014). Peccato che ciò che la Corte di Giustizia Europea (CJEU) ha sancito in quell’occasione è che ogni soggetto ha diritto sì alla de-indicizzazione dai motori di ricerca delle notizie che lo riguardano, qualora lesive della sua dignità, denigratorie, non più rilevanti per l’opinione pubblica, ma mai ha stabilito che tali informazioni dovessero essere rimosse dagli archivi dei giornali, soprattutto laddove tale pubblicazione fosse legale, come nel caso in specie. Ci si riferisce sempre alla lista di risultati che fornisce il motore di ricerca e mai alla notizia di per sé. Se poi andiamo a leggere le linee guida di WP29, al paragrafo 18 questo indirizzo viene confermato. Si dice infatti che la de-indicizzazione non riguarda i motori di ricerca di piccola portata come quelli dei giornali online. Ergo non vi è un obbligo per la testata non solo di rimuovere l’articolo ma neanche di de-indicizzarlo dal proprio motore di ricerca, cosa che avrebbe lo stesso effetto di rimuoverlo visto che lo renderebbe di fatto introvabile.”»
Cosa dice la sentenza Google Spain?
«La sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea C-131/12 (Google Spain case, nda), del 13 maggio 2014, ha disposto che i singoli individui possono chiedere ai motori di ricerca di rimuovere specifici risultati che appaiono effettuando una ricerca con il proprio nome, qualora tali risultati siano relativi all’interessato e risultino obsoleti. Un risultato può essere considerato obsoleto quando la tutela dei dati personali dell’interessato prevale rispetto all’interesse pubblico alla conoscenza della notizia cui tale risultato rimanda. E su questo che si deve ragionare. I risultati della ricerca devono essere vagliati per verificare quale dei due diritti fondamentali, quello alla privacy e quello di cronaca, debba prevalere. Ciononostante con la nuova GDPR (General Data Protection Regulation, Reg. 2016/679), che entrerà in vigore nel 2018 sostituendo la ormai obsoleta direttiva 95/46/EC, il Diritto alla Cancellazione (o diritto all’Oblio) è stato introdotto dall’Art. 17. Secondo la nuova norma, qualora sussistano alcuni dei motivi previsti successivamente, l’interessato ha il diritto di ottenere dal titolare del trattamento la cancellazione dei dati personali che lo riguardano senza ingiustificato ritardo e il titolare del trattamento ha l’obbligo di cancellare senza ingiustificato ritardo i dati personali […] Tuttavia, al comma 3, si prevedono talune eccezioni. Chi detiene e fa uso dei dati dell’interessato (il titolare del trattamento, il giornale in questo caso) non dovrà dare seguito alla richiesta di cancellazione qualora tale uso sia stato lecitamente fatto:
a) per l’esercizio del diritto alla libertà di espressione e di informazione;
d) a fini di archiviazione nel pubblico interesse, di ricerca scientifica o storica o a fini statistici conformemente all’articolo 89, paragrafo 1, nella misura in cui il diritto di cui al paragrafo 1 rischi di rendere impossibile o di pregiudicare gravemente il conseguimento degli obiettivi di tale trattamento».
Quali sono stati gli effetti?
«Google rende noti i dati relativi al diritto all'oblio fino al 2015 introdotto da una sentenza della corte di Giustizia Ue nel maggio 2014, che garantisce il diritto dei cittadini europei a veder cancellati sui motori di ricerca i link a notizie personali "inadeguate o non più pertinenti". I link rimossi sono 580mila».
Allora sembra essere tutto risolto!
«Per nulla! Siamo in Italia e per gli ermellini nostrani l’interesse pubblico cessa dopo due anni. Spiega Vincenzo Tiani: “Quello che la Cassazione ha pensato invece è che, scaduti 2 anni e 6 mesi, tale eccezione venga meno. Non solo questa interpretazione mette a repentaglio il diritto alla libera informazione, lasciando spazio a una censura della stampa approvata dalla Corte stessa, ma viola il diritto di difesa (artt. 24 e 25 Cost.) poiché si basa su una legge non scritta e su una interpretazione totalmente libera e priva di solide basi che la possano rendere condivisibile. Il termine di 2 anni e 6 mesi è totalmente arbitrario oltre che ingiustificato. Forse che la stampa sia destinata, in un prossimo futuro, a sopravvivere giusto il tempo di un like su facebook?”»
Cosa ha detto la vittima azzannata degli ermellini?
«"Confesso che ci abbiamo messo più di un giorno per comprendere che si trattava di una sentenza reale ed ufficiale del massimo organo giudiziario – scrive il direttore Alessandro Biancardi il 30 Giugno 2016 su “Prima Da Noi”. La cosa ci ha colpito ulteriormente perchè dopo le pessime esperienze nel piccolo tribunale di provincia riponevamo una certa fiducia nella inappellabile Cassazione. Ci siamo sbagliati ma almeno ora sappiamo di che morte dovremo morire noi, la libertà di stampa e soprattutto la libertà di informarsi. Non spenderemo più parole per esprimere il nostro sdegno ed il nostro disgusto per aver raccolto solo umiliazioni in una guerra che abbiamo deciso di combattere da soli contro tutti per la libertà e la dignità di un Paese quando nessuno sapeva cosa fosse il diritto all’oblio, una invenzione che nella nostra esperienza permette a lobby e pregiudicati di tornare nell’ombra indisturbati. Siamo di fronte ad una situazione più che assurda generata dal giudice dei giudici che condanna un giornalista che ha fatto bene il proprio mestiere ma che ha provocato un danno violando una norma che non esiste e che stabilisce la scadenza di un articolo. Assurdo perchè siamo stati condannati una prima volta perchè non avevamo cancellato l’articolo e pure una seconda volta pur avendolo cancellato ma non abbastanza in fretta. Assurdo perchè gli ermellini dicono in sostanza che i due che si sono accoltellati nel loro ristorante hanno avuto un danno all’immagine (loro e del ristorante) non dalla violenza del gesto di cui si spera siano responsabili ma dal suo racconto rimasto fruibile sul web. Assurdo perchè si stabilisce che in venti anni il Garante della Privacy non ci ha capito niente. La domanda però è: ora ci dite come avremmo dovuto e potuto fare per non incorrere in questa violazione? Dove avremmo dovuto leggere la data di scadenza dell’articolo? Sul retro, sul tappo, sul codice civile, penale, deontologico? A proposito ma un giornalista che cancella articoli siamo sicuri che rispetta le leggi della categoria (l’autocensura è condannata, la post censura no)? Ma sappiamo bene il perchè dopo sei anni siamo i primi ad essere stati condannati per questo: perché la maggior parte dei siti preferisce cancellare per non ‘avere problemi’ nonostante non ci sia una legge che impone il dovere di farlo. Dal canto nostro non riusciremo a far fronte alla mole di danni che abbiamo provocato con 800mila articoli in archivio esercitando correttamente il nostro lavoro di onesti giornalisti e per questo molto difficilmente il quotidiano potrà sopravvivere, schiacciato da superficialità, poteri forti e sentenze impossibili da immaginare in un Paese davvero serio. Ma noi siamo l’ultimo dei problemi, cercheremo giustizia fuori dall'Italia e con il tempo anche la gente capirà, ci volessero anche 20 anni ma alla fine capirà…".»
Ed allora, quali gli effetti sul suo operato?
«Il mio utilizzo dei contenuti soddisfa i requisiti legali del fair use o del fair dealing ai sensi delle leggi internazionali vigenti sul copyright. Le norme internazionali mi permettono di fare copie singole di parti di opere per ricerca e studio personale o a scopo culturale o didattico. Infatti sono autore di oltre un centinaio di libri con centinaia di pagine che raccontano l'Italia per argomento e per territorio. A tal fine posso assemblare le notizie afferenti lo stesso tema per fare storia o per fare una rassegna stampa. Questo da oggi lo potrò fare nel resto del mondo, ma non in Italia: la patria dell'Omertà. Perchè se non c’è cronaca, non c’è storia. Ed i posteri, che non hanno seguito la notizia sfuggente, saranno ignari di cosa sono stati capaci di fare di ignobile ed atroce i loro antenati senza vergogna».
Antonio Giangrande: Non capisco chi va a dimostrare. I loro problemi li manifestano in piazza: a chi?
Alla stampa omertosa? Ai politici menefreghisti? Ai colleghi di sventura che pensano a risolvere la loro personale situazione?
Non basta una buona rete sul web per far sentire la nostra voce?
Chi ha votato, si rivolga al suo rappresentante in Parlamento, affinchè tuteli il cittadino dai poteri forti.
Chi non ha votato, partecipi con altri alla formazione di un movimento democratico e pacifista per poter fare una rivoluzione rosa e cambiare l’Italia.
Antonio Giangrande: Se questi son giornalisti...
Avviso DMCA di Google Libri [1-1127000032185]
Da Removalsatgoogle.com
04/03/2022 20:24
A presidenteatcontrotuttelemafie.it
Google è stata informata, secondo i termini del Digital Millennium Copyright Act (DMCA), che alcuni dei contenuti da te pubblicati su Google Libri presumibilmente violano i diritti d'autore di altri:
Libro: ANNO 2020 IL GOVERNO SECONDA PARTE
Denunciante: Damon Cheronis
Il DMCA è una legge sul copyright degli Stati Uniti che fornisce linee guida per il porto sicuro dei fornitori di servizi online in caso di violazione del copyright.
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Se hai domande legali su questa notifica, dovresti rivolgerti al tuo consulente legale. Se hai altre domande su questa notifica, faccelo sapere.
Testo del reclamo: L'intero articolo di corriere.it pubblicato il 27 dicembre 2019, dalla prima all'ultima parola, compare in una pagina di questo libro in questione. Questo contenuto è protetto da copyright e non abbiamo concesso tali diritti per la pubblicazione in nessun libro. Ne chiediamo la rimozione da Google Libri.
Da presidenteatcontrotuttelemafie.it
05/03/2022 08:25
A Removalsatgoogle.com
Sono autore e legittimo proprietario dei diritti di pubblicazione del contenuto. Ogni riferimento di terzi è doverosamente citato e di pubblico dominio. Le opere di terzi citate, ai sensi delle leggi nazionali italiane (artt. 65, 66, 67 e 70 della Legge n. 633/1941) ed internazionali, sono legittimamente incluse a fini didattici ed insegnamento, di critica e di discussione e ricerca e di informazione. Le mie opere non danneggiano lo sfruttamento commerciale dell’opera altrui. Per questi motivi io posso vantare diritti esclusivi di diritto d’autore su fatti di cronaca e non violare le norme internazionali del fair use o del fair dealing ai sensi delle leggi vigenti nazionali, europee o internazionali (DMCA).
"Confermo di astenermi dall'inviare qualsiasi contenuto per il quale non ho i diritti di pubblicazione esclusivi e che aderirò a tutti i termini delle Linee guida per i contenuti quando pubblicherò nuovi contenuti."
In un mio saggio sulla mafia mi è sembrato opportuno integrare, quanto già ampiamente scritto sul tema, con una tesi-articolo pubblicato su "La Repubblica" da parte di un'autrice poco nota dal titolo "La Mafia Sconosciuta dei Basilischi". Dacchè mercoledì 16 gennaio 2019 mi arriva una e-mail di diffida di questo tenore: qualche giorno fa mi sono resa conto che senza nessuna tipologia di autorizzazione Lei ha fatto confluire il mio abstract pubblicato da la Repubblica ad agosto 2017, in un suo libro "La mafia in Italia" e forse anche in una seconda opera. Le ricordo che a norma dell'art. 70, comma 1 della Legge sul diritto d'autore: "Il riassunto, la citazione o la riproduzione di brani o di parti di opera e la loro comunicazione al pubblico sono liberi se effettuati per uso di critica o di discussione, nei limiti giustificati da tali fini e purché non costituiscano concorrenza all'utilizzazione economica dell'opera; se effettuati a fini di insegnamento o di ricerca scientifica l'utilizzo deve inoltre avvenire per finalità illustrative e per fini non commerciali." NB. In dottrina si evidenzia che “per uso di critica” si deve intendere l’utilizzazione oggettivamente finalizzata ad esprimere opinioni protette ex art. 21 e 33 della Costituzione e non, invece, l’utilizzazione funzionale allo svolgimento di attività economiche ex art. 41 Cost. La sua opera essendo caratterizzata da fini di lucro, (viene venduta al pubblico ad uno specifico prezzo) rientra a pieno in un'attività economica. L'art 70 ut supra è , pertanto, pienamente applicabile al caso del mio abstract, non rientrando neanche nel catalogo di articoli a carattere "economico, politico o religioso", poichè da questi vengono escluse "gli articoli di cronaca od a contenuto culturale, artistico, satirico, storico, geografico o scientifico ", di cui all'art 65 della medesima legge (secondo un'interpretazione estensiva della stessa), la cui riproduzione può avvenire in "altri giornali e riviste, ossia in veicoli di informazione diretti ad un pubblico generalizzato e non a singole categorie di utenti – clienti predefinite." Pertanto La presente è per invitarLa ad eliminare nel più breve tempo possibile il mio abstract dalla sua opera (cartecea e digitale), e laddove sia presente, anche da altri eventuali suoi libri, e-book e cartacei, onde evitare di dover adire le apposite sedi giudiziarie per tutelare il mio Diritto d'Autore e pedissequamente richiedere il risarcimento dei danni.
La mia risposta: certamente non voglio polemizzare e non ho alcun intendimento a dissertare di diritto con lei, che del diritto medesimo ne fa una personalissima interpretazione, non avendo il mio saggio alcun effetto anche potenzialmente concorrenziale dell'utilizzazione rispetto al suo articolo. Nè tantomeno ho interesse a mantenere il suo articolo nei miei libri di interesse pubblico di critica e di discussione. Libri a lettura anche gratuita, come lei ha constatato, avendo trovato il suo articolo liberamente sul web. Tenuto conto che altri sarebbero lusingati nell’essere citati nelle mie opere, e in migliaia lo sono (tra i più conosciuti e celebrati), e non essendoci ragioni di utilità per non farlo, le comunico con mia soddisfazione che è stata immediatamente cancellata la sua tesi dai miei saggi e per gli effetti condannata all’oblio. Saggi che continuamente sono utilizzati e citati in articoli di stampa, libri e tesi di laurea in Italia ed all’estero. E di questo ne sono orgoglioso, pur non avendone mai data autorizzazione preventiva. Vuol dire che mi considerano degno di essere riportato e citato e di questo li ringrazio infinitamente.
La risposta piccata è stata: Guardi mi sa che parliamo due lingue diverse. Non ho dato nessuna interpretazione mia personale del diritto, ma come può notare dalla precedente mail, mi sono limitata a riportare il tenore letterale della norma, che lei forse ignora. Io credo che molte persone, i cui elaborati sono stati interamente riprodotti nei suoi testi, non siano assolutamente a conoscenza di quello che lei ha fatto. Anche perché sono persone che conosco direttamente e con le quali ho collaborato e collaboro tutt'ora. Di certo non sarà lei attraverso l'estromissione (da me richiesta) dalle sue "opere" a farmi cadere in qualsivoglia oblio, poiché preferisco continuare a collaborare con professionisti (quali ad esempio Bolzoni) che non mettono in vendita libri che non sono altro che un insieme di lavori di altri, come fa lei, ma che come me continuano a studiare ed analizzare questi fenomeni con dedizione, perizia e professionalità. Ma non sto qui a disquisire e ad entrare nel merito di determinate faccende che esulano la questio de quo. Spero che si attenga a quanto scritto nella precedente mail.
A questo preme puntualizzare alcuni aspetti. Il mio utilizzo dei contenuti soddisfa i requisiti legali del fair use o del fair dealing ai sensi delle leggi vigenti sul copyright. Le norme nazionali ed internazionali mi permettono di manifestare il proprio pensiero, anche con la testimonianza di terzi e a tal fine fare copie singole di parti di opere per ricerca e studio personale o a scopo culturale o didattico.
Molti moralizzatori, sempre col ditino puntato, pretendono di avere il monopolio della verità. Io che non aspiro ad essere come loro (e di fatto sono orgoglioso di essere diverso) mi limito a riportare i comizietti, le prediche ed i pistolotti di questi, contrapponendo gli uni agli altri. A tal fine esercito il mio diritto di cronaca esente da mie opinioni. D'altronde tutti i giornalisti usano riportare gli articoli di altri per integrare il loro o per contestarne il tono o i contenuti. Oppure come fa Dagospia o altri siti di informazione online, che si limitano a riportare quegli articoli che per motivi commerciali o di esclusività non sono liberamente fruibili. Diritto di cronaca su Stampa non periodica.
Che cosa significa "Stampa non periodica"?
Ogni forma di pubblicazione una tantum, cioè che non viene stampata regolarmente (è tale, ad esempio, un saggio o un romanzo in forma di libro).
Stampa non periodica, perché la Stampa periodica è di pertinenza esclusiva della lobby dei giornalisti, estensori della pseudo verità, della disinformazione, della discultura e dell’oscurantismo.
Diritto di cronaca, dico, che non ha alcuna limitazione se non quella della verità, attinenza-continenza, interesse pubblico.
Con me la cronaca diventa storia ed allora il mio diritto di cronaca diventa diritto di critica storica. La critica storica, se da una parte può scriminare la diffamazione. Cassazione penale, sez. V, sentenza 10/11/2016 n° 47506, dall'altra ha funzione di discussione: "Il riassunto, la citazione o la riproduzione di brani o di parti di opera e la loro comunicazione al pubblico sono liberi se effettuati per uso di critica o di discussione, nei limiti giustificati da tali fini e purché non costituiscano concorrenza all'utilizzazione economica dell'opera".
Certamente le mie opere nulla hanno a che spartire con le opere di autori omologati e conformati, e quindi non costituiscano concorrenza all'utilizzazione economica dell'opera altrui. Quindi questi sconosciuti condannati all'oblio dell'arroganza e della presunzione se ne facciano una ragione.
Ed anche se fosse che la mia cronaca, diventata storia, fosse effettuata a fini di insegnamento o di ricerca scientifica, l'utilizzo che dovrebbe inoltre avvenire per finalità illustrative e per fini non commerciali è pienamente compiuto, essendo io autore ed editore medesimo delle mie opere e la divulgazione è per mero intento di conoscenza e non per fini commerciali, tant’è la lettura può essere gratuita e ove vi fosse un prezzo, tale è destinato per coprirne i costi di diffusione.
Ho appena saputo che tre dei miei articoli pubblicati per "Articolo 21" e "Antimafia Duemila" sono stati citati nel libro del sociologo Antonio Giangrande che ringrazio.
Gli articoli in questione sono, uno sulla riabilitazione dei cognomi infangati dalle mafie (ripreso giusto oggi da AM2000), uno sulla precarietà nel giornalismo e il terzo, ultimo pubblicato in ordine di tempo, intitolato alla legalità e contro ogni sistema criminale.
Chi era Luigi Amicone morto di Covid. Un anno fa si è impegnato a censurarmi. Ha fatto in modo che nessuno pubblicasse le mie opere. Ha inoltrato l’esposto infondato contro di me ad Amazon, Google Libri e Lulu, costringendoli a cancellare il mio account di pubblicazione e di fatto censurandomi. L’unico a farlo rispetto a centinaia di migliaia di autori e di citazioni e in riferimento a un suo articolo marginale, doverosamente citato, pubblicato su Il Giornale.it, posto in discussione ed in contraddittorio rispetto ad altri articoli sullo stesso argomento. Mi ha posto temporaneamente sul lastrico, ledendo, oltretutto, la mia onorabilità e reputazione. Questa la mia risposta:
Dr Luigi Amicone, sono il dr Antonio Giangrande. Il soggetto da lei indicato a Google Libri come colui che viola il copyright di “Qualcun Altro”. Così come si evince dalla traduzione inviatami da Google. “Un sacco di libri pubblicati da Antonio Giangrande, che sono anche leggibile da Google Libri, sembrano violare il copyright di qualcun altro. Se si controlla, si potrebbe scoprire che sono fatti da articoli e testi di diversi giornalisti. Ha messo nei suoi libri opere mie, pubblicate su giornali o riviste o siti web. Per esempio, l'articolo pubblicato da Il Giornale il 29 maggio 2018 "Il serial Killer Zodiac ... ". Sembra che abbia copiato l'intero articolo e incollato sul "suo" libro. Sembra che abbia pubblicato tutti i suoi libri in questo modo. Puoi chiedergli di cambiare il suo modo di "scrivere"? Grazie”.
Comunque, nonostante la sua opera sia stata rimossa, Francesco Amicone, mi continua a minacciare: “Domani vaglierò se inviare una email a tutti gli editori proprietari degli articoli che lei ha inserito - non si sa in base a quale nulla osta da parte degli interessati - nei suoi numerosi libri. La invito - per il suo bene - a rimuovere i libri dalla vendita e a chiedere a Google di non indicizzarli, altrimenti è verosimile che gli editori le chiederanno di pagare.”
Non riesco a capire tutto questo astio nei miei confronti. Una vera e propria stolkerizzazione ed estorsione. Capisco che lui non voglia vedere il suo lavoro richiamato su altre opere, nonostante si evidenzi la paternità, e si attivi a danneggiarmi in modo illegittimo. Ma che si impegni assiduamente ad istigare gli altri autori a fare lo stesso, va aldilà degli interessi personali. E’ una vera è propria cattiva persecuzione, che costringerà Google ed Amazon ad impedire che io prosegui la mia attività, e cosa più importante, impedisca centinaia di migliaia di lettori ad attingere in modo gratuito su Google libri, ad un’informazione completa ed alternativa.
E’ una vera è propria cattiva persecuzione e della quale, sicuramente, ne dovrà rendere conto.
Mi vogliono censurare su Google.
Premessa: Ho scritto centinaia di saggi e centinaia di migliaia di pagine, affrontando temi suddivisi per argomento e per territorio, aggiornati periodicamente. Libri a lettura anche gratuita. Non esprimo opinioni e faccio parlare i fatti e gli atti con l’ausilio di terzi, credibili e competenti, che sono ben lieti di essere riportati e citati nelle mie opere. Opere che continuamente sono utilizzati e citati in articoli di stampa, libri e tesi di laurea in Italia ed all’estero. E di questo ne sono orgoglioso, pur non avendone mai data autorizzazione preventiva. Vuol dire che mi considerano degno di essere riportato e citato e di questo li ringrazio infinitamente. Libri a lettura anche gratuita. Il mio utilizzo dei contenuti soddisfa i requisiti legali del fair use o del fair dealing ai sensi delle leggi vigenti sul copyright. Le norme nazionali ed internazionali mi permettono di manifestare il proprio pensiero, anche con la testimonianza di terzi e a tal fine fare copie singole di parti di opere per ricerca e studio personale o a scopo culturale o didattico.
Reclamo: Non si chiede solo di non usare i suoi articoli, ma si pretende di farmi cambiare il mio modo di scrivere. E questa è censura.
Censura da Amazon libri. Del Coronavirus vietato scrivere.
"Salve, abbiamo rivisto le informazioni che ci hai fornito e confermiamo la nostra precedente decisione di chiudere il tuo account e di rimuovere tutti i tuoi libri dalla vendita su Amazon. Tieni presente che, come previsto dai nostri Termini e condizioni, non ti è consentito di aprire nuovi account e non riceverai futuri pagamenti royalty provenienti dagli account aggiuntivi creati. Tieni presente che questa è la nostra decisione definitiva e che non ti forniremo altre informazioni o suggeriremo ulteriori azioni relativamente alla questione. Amazon.de".
Amazon chiude l’account del saggista Antonio Giangrande, colpevole di aver rendicontato sul Coronavirus in 10 parti.
La chiusura dell’account comporta la cancellazione di oltre 200 opere riguardante ogni tema ed ogni territorio d’Italia.
Opere pubblicate in E-book ed in cartaceo.
La pretestuosa motivazione della chiusura dell’account: “Non abbiamo ricevuto nessuna prova del fatto che tu sia il titolare esclusivo dei diritti di copyright per il libro seguente: Il Coglionavirus. Prima parte. Il Virus.”
A loro non è bastato dichiarare di essere l’esclusivo autore del libro in oggetto e di tutti i libri pubblicati sul mio account Amazon.
A loro non è bastato dichiarare che sul mio account Amazon non sono pubblicate opere con Kdp Select con diritto di esclusiva Amazon.
A loro non è bastato dichiarare altresì di essere l’esclusivo autore del libro in oggetto e di tutti i libri pubblicati sul mio account Google, ove si potrebbero trovare le medesime opere pubblicate su Amazon, ma solo in versione e-book.
A loro interessava solo chiudere l’account per non parlare del Coronavirus.
A loro interessava solo chiudere la bocca ad Antonio Giangrande.
Che tutto ciò sia solo farina del loro sacco è difficile credere.
Il fatto è che ci si rivolge ad Amazon nel momento in cui è impossibile trovare un editore che sia disposto a pubblicare le tue opere.
Opere che, comunque, sono apprezzate dai lettori.
Ergo: Amazon, sembra scagliare la pietra, altri nascondono la mano.
Antonio Giangrande: Sono un saggista, autore indipendente. Si troveranno delle recensioni deliranti e degradanti di queste opere. Il mio intento non è soggiogare l'assenso parlando del nulla, ma dimostrare che siamo un popolo difettato. In questo modo è ovvio che l'offeso si ribelli con la denigrazione del palesato.
Per questo un popolo di coglioni sarà sempre governato ed amministrato, giudicato ed informato, educato ed istruito da coglioni.
Antonio Giangrande: Il vizio di Amazon.
Con la scusa della tutela del cliente: arricchirsi sulle spalle dei venditori.
Metodo:
Pagamento a tre mesi dei prodotti venduti.
Se arriva una segnalazione truffaldina ed artificiosa inesistente o di uno stalker, ti blocca l’intero account e non il prodotto de quo.
Di conseguenza si intasca indebitamente tutti gli utili dei prodotti fin lì venduti.
E’ inibito ogni diritto di difesa, salvo che non li sputtani con le Iene o Striscia La Notizia.
Antonio Giangrande: Censura da Amazon libri. Del Coronavirus vietato scrivere.
"Salve, abbiamo rivisto le informazioni che ci hai fornito e confermiamo la nostra precedente decisione di chiudere il tuo account e di rimuovere tutti i tuoi libri dalla vendita su Amazon. Tieni presente che, come previsto dai nostri Termini e condizioni, non ti è consentito di aprire nuovi account e non riceverai futuri pagamenti royalty provenienti dagli account aggiuntivi creati. Tieni presente che questa è la nostra decisione definitiva e che non ti forniremo altre informazioni o suggeriremo ulteriori azioni relativamente alla questione. Amazon.de".
Amazon chiude l’account del saggista Antonio Giangrande, colpevole di aver rendicontato sul Coronavirus in 10 parti.
La chiusura dell’account comporta la cancellazione di oltre 200 opere riguardante ogni tema ed ogni territorio d’Italia.
Opere pubblicate in E-book ed in cartaceo.
La pretestuosa motivazione della chiusura dell’account: “Non abbiamo ricevuto nessuna prova del fatto che tu sia il titolare esclusivo dei diritti di copyright per il libro seguente: Il Coglionavirus. Prima parte. Il Virus.”
A loro non è bastato dichiarare di essere l’esclusivo autore del libro in oggetto e di tutti i libri pubblicati sul mio account Amazon.
A loro non è bastato dichiarare che sul mio account Amazon non sono pubblicate opere con Kdp Select con diritto di esclusiva Amazon.
A loro non è bastato dichiarare altresì di essere l’esclusivo autore del libro in oggetto e di tutti i libri pubblicati sul mio account Google, ove si potrebbero trovare le medesime opere pubblicate su Amazon, ma solo in versione e-book.
A loro interessava solo chiudere l’account per non parlare del Coronavirus.
A loro interessava solo chiudere la bocca ad Antonio Giangrande.
Che tutto ciò sia solo farina del loro sacco è difficile credere.
Il fatto è che ci si rivolge ad Amazon nel momento in cui è impossibile trovare un editore che sia disposto a pubblicare le tue opere.
Opere che, comunque, sono apprezzate dai lettori.
Ergo: Amazon, sembra scagliare la pietra, altri nascondono la mano.
Dr Antonio Giangrande
Antonio Giangrande: Il Civil Law, ossia il nostro Diritto, è l’evoluzione dell’intelletto umano ed ha radici antiche, a differenza del Common Law dei paesi anglosassoni fondato sull’orientamento politico momentaneo.
Il Diritto Romano, e la sua evoluzione, che noi applichiamo nei nostri tribunali contemporanei non è di destra, né di centro, né di sinistra. L’odierno diritto, ancora oggi, non prende come esempio l’ideologia socialfasciocomunista, né l’ideologia liberale. Esso non prende spunto dall’Islam o dal Cristianesimo o qualunque altra confessione religiosa.
Il nostro Diritto è Neutro.
Il nostro Diritto si affida, ove non previsto, al comportamento esemplare del buon padre di famiglia.
E un Buon Padre di Famiglia non vorrebbe mai che si uccidesse un suo figlio: eppure si promuove l’aborto.
E un Buon Padre di Famiglia vorrebbe avere dei nipoti, eppure si incoraggia l’omosessualità.
E un Buon Padre di Famiglia vorrebbe difendere l’inviolabilità della sua famiglia, della sua casa e delle sue proprietà, eppure si agevola l’invasione dei clandestini.
E un Buon Padre di Famiglia vorrebbe che la Legge venisse interpretata ed applicata per soli fini di Giustizia ed Equità e non per vendetta, per interesse privato o per scopi politici.
Mi spiace. Io sono un evoluto Buon Padre di Famiglia.
Il Diritto di Citazione e la Censura dei giornalisti. Il Commento di Antonio Giangrande.
Sono Antonio Giangrande autore ed editore di centinaia di libri. Su uno di questi “L’Italia dei Misteri” di centinaia di pagine, veniva riportato, con citazione dell’autore e senza manipolazione e commenti, l’articolo del giornalista Francesco Amicone, collaboratore de “Il Giornale” e direttore di Tempi. Articolo di un paio di pagine che parlava del Mostro di Firenze ed inserito in una più ampia discussione in contraddittorio. L’Amicone, pur riconoscendo che non vi era plagio, criticava l’uso del copia incolla dell’opera altrui. Per questo motivo ha chiesto ed ottenuto la sospensione dell’account dello scrittore Antonio Giangrande su Amazon, su Lulu e su Google libri. L’intero account con centinai di libri non interessati alla vicenda. Google ed Amazon, dopo aver verificato la contronotifica hanno ripristinato la pubblicazione dei libri, compreso il libro oggetto di contestazione, del quale era stata l’opera citata e contestata. Lulu, invece, ha confermato la sospensione.
L’autore ed editore Antonio Giangrande si avvale del Diritto di Citazione. A norma dell'art. 70, comma 1 della Legge sul diritto d'autore: "Il riassunto, la citazione o la riproduzione di brani o di parti di opera e la loro comunicazione al pubblico sono liberi se effettuati per uso di critica o di discussione, nei limiti giustificati da tali fini e purché non costituiscano concorrenza all'utilizzazione economica dell'opera; se effettuati a fini di insegnamento o di ricerca scientifica l'utilizzo deve inoltre avvenire per finalità illustrative e per fini non commerciali."
Nei libri di Antonio Giangrande, per il rispetto della pluralità delle fonti in contraddittorio per una corretta discussione, non vi è plagio ma Diritto di Citazione.
Il Diritto di Citazione è il Diritto di Cronaca di un’indagine complessa documentale e testimoniale senza manipolazione e commenti con di citazione di opere altrui senza lesione della concorrenza con congruo lasso di tempo e pubblicazione su canali alternativi e differenti agli originali.
Il processo a Roberto Saviano per “Gomorra” fa precedente e scuola: si condanna l’omessa citazione dell’autore e non il copia incolla della sua opera.
Vedi Giorgio dell’Arti su “Cinquantamila.it”. LA STORIA RACCONTATA DA GIORGIO DELL'ARTI. “Salve. Sono Giorgio Dell’Arti. Questo sito è riservato agli abbonati della mia newsletter, Anteprima. Anteprima è la spremuta di giornali che realizzo dal lunedì al venerdì la mattina all’alba, leggendo i quotidiani appena arrivati in edicola. La rassegna arriva via email agli utenti che si sono iscritti in promozione oppure in abbonamento qui o sul sito anteprima.news”.
Oppure come fa Dagospia o altri siti di informazione online, che si limitano a riportare quegli articoli che per motivi commerciali o di esclusività non sono liberamente fruibili. Dagospia si definisce "Risorsa informativa online a contenuto generalista che si occupa di retroscena. È espressione di Roberto D'Agostino". Sebbene da alcuni sia considerato un sito di gossip, nelle parole di D'Agostino: «Dagospia è un bollettino d'informazione, punto e basta».
Addirittura il portale web “Newsstandhub.com” riporta tutti gli articoli dei portali di informazione più famosi con citazione della fonte, ma non degli autori. Si presenta come: “Il tuo centro edicola personale dove poter consultare tutte le notizia contemporaneamente”.
Così come il sito web di Ristretti.org o di Antimafiaduemila.com, o di pressreader.com.
Così come fanno alcuni giornali e giornalisti. Non fanno inchieste o riportano notizie proprie. Ma la loro informazione si basa anche su commento di articoli di terzi. Vedi “Il giornale” o “Libero Quotidiano” o Il Corriere del Giorno o il Sussidiario, o twnews.it/it-news, ecc.
Comunque, nonostante la sua opera sia stata rimossa, Francesco Amicone, mi continua a minacciare: “Domani vaglierò se inviare una email a tutti gli editori proprietari degli articoli che lei ha inserito - non si sa in base a quale nulla osta da parte degli interessati - nei suoi numerosi libri. La invito - per il suo bene - a rimuovere i libri dalla vendita e a chiedere a Google di non indicizzarli, altrimenti è verosimile che gli editori le chiederanno di pagare.”
Non riesco a capire tutto questo astio nei miei confronti. Una vera e propria stolkerizzazione ed estorsione. Capisco che lui non voglia vedere il suo lavoro richiamato su altre opere, nonostante si evidenzi la paternità, e si attivi a danneggiarmi in modo illegittimo. Ma che si impegni assiduamente ad istigare gli altri autori a fare lo stesso, va aldilà degli interessi personali. E’ una vera è propria cattiva persecuzione, che costringerà Google ed Amazon ad impedire che io prosegui la mia attività, e cosa più importante, impedisca centinaia di migliaia di lettori ad attingere in modo gratuito su Google libri, ad un’informazione completa ed alternativa.
E’ una vera è propria cattiva persecuzione e della quale, sicuramente, ne dovrà rendere conto.
Omertà…Omertà! La Nenia degli scribacchini.
Il reato ha una responsabilità personale.
Chiunque è innocente fino a prova contraria.
Non si può colpevolizzare qualcuno per una prova che non esiste o che manca per incapacità degli investigatori.
Le persone lavorano, studiano o riposano: non sono comari dedite a spettegolare o a fare domande in giro.
Il giornalista che criminalizza il singolo, o, addirittura, una comunità o una categoria, non fa informazione, ma fa diffamazione.
Se questi scribacchini sono spinti da odio territoriale o ideologico, la loro diffamazione è a sfondo razzista, specie se poi nascondono discriminatamente le malefatte dei loro compagni e compaesani.
Antonio Giangrande: Quello che non ci dicono. Prendiamo per esempio il fenomeno cosiddetto dell'abusivismo edilizio, che è elemento prettamente di natura privata. I comunisti da sempre osteggiano la proprietà privata, ostentazione di ricchezza, e secondo loro, frutto di ladrocinio. Sì, perchè, per i sinistri, chi è ricco, lo è perchè ha rubato e non perchè se lo è guadagnato per merito e per lavoro.
Il perchè al sud Italia vi è più abusivismo edilizio (e per lo più tollerato)? E’ presto detto. Fino agli anni '50 l'Italia meridionale era fondata su piccoli borghi, con case di due stanze, di cui una adibita a stalla. Paesini da cui all’alba si partiva per lavorare nelle o presso le masserie dei padroni, per poi al tramonto farne ritorno. La masseria generalmente non era destinata ad alloggio per i braccianti.
Al nord Italia vi erano le Cascine a corte o Corti coloniche, che, a differenza delle Masserie, erano piccoli agglomerati che contenevano, oltre che gli edifici lavorativi e magazzini, anche le abitazioni dei contadini. Quei contadini del nord sono rimasti tali. Terroni erano e terroni son rimasti. Per questo al Nord non hanno avuto la necessità di evolversi urbanisticamente. Per quanto riguardava gli emigrati bastava dargli una tana puzzolente.
Al Sud, invece, quei braccianti sono emigrati per essere mai più terroni. Dopo l'ondata migratoria dal sud Italia, la nuova ricchezza prodotta dagli emigranti era destinata alla costruzione di una loro vera e bella casa in terra natia, così come l'avevano abitata in Francia, Germania, ecc.: non i vecchi tuguri dei borghi contadini, nè gli alveari delle case ringhiera o dei nuovi palazzoni del nord Italia. Inoltre quei braccianti avevano imparato un mestiere, che volevano svolgere nel loro paese di origine, quindi avevano bisogno di costruire un fabbricato per adibirlo a magazzino o ad officina. Ma la volontà di chi voleva un bel tetto sulla testa od un opificio, si scontrava e si scontra con la immensa burocrazia dei comunisti, che inibiscono ogni forma di soluzione privata. Ergo: per il diritto sacrosanto alla casa ed al lavoro si è costruito, secondo i canoni di sicurezza, ma al di fuori del piano regolatore generale (Piano Urbanistico). Per questo motivo si pagano sì le tasse per una casa od un opificio, che la burocrazia intende abusivo, ma che la stessa burocrazia non sana, nè dota quelle costruzioni, in virtù delle tasse ricevute e a tal fine destinate, di infrastrutture primarie: luce, strade, acqua, gas, ecc.. Da qui, poi, nasce anche il problema della raccolta e dello smaltimento dei rifiuti. Burocrazia su Burocrazia e gente indegna ed incapace ad amministrarla.
Per quanto riguarda, sempre al sud, l'abusivismo edilizio sulle coste, non è uno sfregio all'ambiente, perchè l'ambiente è una risorsa per l'economia, ma è un tentativo di valorizzare quell’ambiente per far sviluppare il turismo, come fonte di sviluppo sociale ed economico locale, così come in tutte le zone a vocazione turistica del mediterraneo, che, però, la sinistra fa fallire, perchè ci vuole tutti poveri e quindi, più servili e assoggettabili. L'ambientalismo è una scusa, altrimenti non si spiega come al nord Italia si possa permettere di costruire o tollerare costruzioni alle pendici dei monti, o nelle valli scoscese, con pericolo di frane ed alluvioni, ma per gli organi di informazione nazionale, prevalentemente nordisti e razzisti e prezzolati dalla sinistra, è un buon viatico, quello del tema dell'abusivismo e di conseguenza della criminalità che ne consegue, o di quella organizzata che la si vede anche se non c'è o che è sopravalutata, per buttare merda sulla reputazione dei meridionali.
Antonio Giangrande: TRIBUNALE DI POTENZA. SI DECIDE SUL DIRITTO DI CRITICA, MA ANCHE SUL DIRITTO DI INFORMARE.
Le maldicenze dicono che i giornalisti sono le veline dei magistrati. Allora, per una volta, facciamo parlare gli imputati.
Tribunale di Potenza. Ore 12 circa del 21 aprile 2016. All’udienza tenuta dal giudice Lucio Setola finalmente si arriva a sentenza. Si decide la sorte del dr. Antonio Giangrande. Scrittore, sociologo storico, blogger, youtuber, presidente dell’Associazione Contro Tutte le Mafie, conosciutissimo sul web. Ma noto, anche, agli ambienti giudiziari tarantini per le critiche mosse al Foro per i molti casi di ingiustizia trattati nei suoi saggi, anche con interrogazioni Parlamentari, tra cui il caso di Sarah Scazzi e del caso Sebai, e per le sue denunce contro l’abilitazione nazionale truccata all’avvocatura ed alla magistratura. Il tutto condito da notizie non iscritte nel registro dei reati o da grappoli di archiviazioni (anche da Potenza), spesso non notificate per impedirne l’opposizione. Fin anche un’autoarchiviazione, ossia l’archiviazione della denuncia presentata contro un magistrato. Lo stesso che, anziché inviarla a Potenza, l’ha archiviata. Biasimi espressi con perizia ed esperienza per aver esercitato la professione forense, fin che lo hanno permesso. Proprio per questo non visto di buon occhio dalle toghe tarantine pubbliche e private. Sempre a Potenza, in altro procedimento per tali critiche, un Pubblico Ministero già di Taranto, poi trasferito a Lecce, dopo 9 anni, ha rimesso la querela in modo incondizionato.
Processato a Potenza per diffamazione e calunnia per aver esercitato il suo diritto di difesa per impedire tre condanne ritenute scontate su reati riferiti ad opinioni attinenti le commistioni magistrati-avvocati in riferimento all’abilitazione truccata, ai sinistri truffa ed alle perizie giudiziarie false. Alcuni giudizi contestati, oltretutto, non espressi dall’imputato, ma a lui falsamente addebitate. Fatto che ha indotto il Giangrande per dipiù a presentare una istanza di rimessione del processo ad altro Foro per legittimo sospetto (di persecuzione) ed a rivolgersi alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo. Rigettata dalla Corte di Cassazione e dalla Cedu, così come fan per tutti.
Per dire: una norma scomoda inapplicata.
Processato a Potenza, secondo l’atto d’accusa, per aver presentato una richiesta di ricusazione nei confronti del giudice di Taranto Rita Romano in tre distinti processi. Motivandola, allegando la denuncia penale già presentata contro lo stesso giudice anzi tempo. Denuncia sostenuta dalle prove della grave inimicizia, contenute nelle motivazioni delle sentenze emesse in diversi processi precedenti, in cui si riteneva Antonio Giangrande una persona inattendibile. Atto di Ricusazione che ha portato nel proseguo dei tre processi ricusati all’assoluzione con giudici diversi: il fatto non sussiste. Questione rinvenibile necessariamente durante le indagini preliminari, ma debitamente ignorata.
Ma tanto è bastato all’imputato, nell’esercitare il diritto di difesa ed a non rassegnarsi all’atroce destino del “subisci e taci”, per essere processato a Potenza. Un andirivieni continuo da Avetrana di ben oltre 400 chilometri. Ed è già una pena anticipata.
L’avvocato della difesa ha rilevato nell’atto di ricusazione la mancanza di lesione dell’onore e della reputazione del giudice Rita Romano ed ha sollevato la scriminante del diritto di critica e la convinzione della colpevolezza del giudice da parte dell’imputato di calunnia. La difesa, preliminarmente, ha evidenziato motivi di improcedibilità per decadenza e prescrizione. Questioni Pregiudiziali non accolte. L’accusa ha ravvisato la continuazione del reato, pur essendo sempre un unico ed identico atto: sia di ricusazione, sia di denuncia di vecchia data ad esso allegata.
Il giudice Rita Romano, costituita parte civile, chiede all’imputato decine di migliaia di euro di danno. Imputato già di per sé relegato all’indigenza per impedimento allo svolgimento della professione.
Staremo a vedere se vale la forza della legge o la legge del più forte, al quale non si possono muovere critiche. Che Potenza arrivi a quella condanna, dove Taranto dopo tanti tentativi non è riuscita?
Dicono su Avetrana accusata di omertà: “Chi sa parli!” Se poi da avetranese parli o scrivi, ti processano.
Non si stancano mai
PROCEDIMENTO N. 4401/2018 RGNR (PM), N. 4578/2018 RG G.I.P, N. 5389/2023 RG DIB.
UDIENZA: 20 giugno 2023, Aula G
Reato ex artt 82, cpv; 595, 3° comma, fino al 28 aprile 2015.
Decreto penale di condanna 26 giugno 2018.
Opposizione l’8 febbraio 2021
Decreto di giudizio immediato 19 dicembre 2022.
Udienza del 7 marzo 2023 rinviata per difetto di notifica.
Ex art. 161 c.p. è scattata la prescrizione il 28 ottobre 2022.
L’anno 2023, il mese di marzo, il giorno 7 alle ore 12:16 in Taranto nell’Aula G De Tribunale, davanti al Giudice Dottoressa Maria D’AMICO, presente il P.M. Dottoressa Maria Teresa LATORRE per la trattazione in pubblica udienza del processo nei confronti di GIANGRANDE ANTONIO
Rappresentato e difeso dall’A. Grazia Resta di Ufficio – assente
Sostituito ex art. 97, IV comma c.p.p. dall’avv. Pietro Putignano
Parte Offesa Bravo Stefano – assente
Preliminarmente
Il Tribunale rileva che non è stato notificato il decreto all’avv. Mirko Giangrande né tantomeno all’imputato a alla persona offesa; pertanto si rinvia per regolarizzare le notifiche.
Si rinvia al 20 giugno 2023 ore 9:00 Aula G.
N. 4401/2018 P.M. N. 4578/2018 G.I.P.
Tribunale di Taranto
Ufficio del Giudice per le Indagini Preliminari
Decreto di giudizio immediato a seguito di opposizione a
Decreto Penale di Condanna
Art. 464 comma 1 c.p.p.
Il Giudice
Dispone procedersi con giudizio immediato nei confronti gi Giangrande Antonio inputato dei seguenti reati: Artt. 81 cpv, 595, 3° comma c.p.
TRIBUNALE PENALE DI TARANTO
UFFICIO DEL GIUDICE DELLE INDAGINI PRELIMINARI
DOTT.SSA PAOLA R. INCALZA
Proc. Pen. n. 4401/18 R.G.N.R. 4578/18 R.G.GIP DECRETO PENALE n.663/18
OPPOSIZIONE A DECRETO PENALE DI CONDANNA EX ART. 461 C.P.P.
Il sottoscritto dr Antonio Giangrande nato a Avetrana il 02/06/1963 C.F.: GNGNTN63H02A514Q
e residente in Avetrana, Via A. Manzoni n. 51
PREMESSO
1) Che in data 1 febbraio 2021 è stata ricevuta la notifica del DECRETO PENALE DI CONDANNA n.663/18 emesso, nell’ambito del procedimento penale in epigrafe dalla Dott.sa Paola R. Incalza, GIP presso il Tribunale Penale di Taranto, in data 26 giugno 2018 e depositato in cancelleria il 29 giugno 2018 (All. 1);
2) Che con il predetto decreto l’interessato è stato condannato per il delitto di cui agli artt. 81 cpv. c.p., 595, 3° comma, c.p., alla pena di 9.000,00 di multa, pena sospesa;
3) Che il decreto penale di condanna de quo è stato emesso sul presupposto che:
“perchè, con più azioni esecutive di un disegno criminoso, offendeva la reputazione di Bravo Stefano mediante la pubblicazione sul sito “Google Libri” – quindi, attraverso il sistema “Internet”- di libri dal contenuto ingiurioso ed altamente lesivi dell’immagine professionale della p.o., indicandola come persona coinvolta nell’ambito dell’inchiesta “MAFIA CAPITALE”, in particolare:
pubblicava il libro e-book da titolo “GOVERNOPOLI”, INDICANDO LA P.O. come “IL COMMERCIALISTA CHE RICICLAVA I SOLDI DI BUZZI E CARMINATI”, soggetti coinvolti nel predetto procedimento penale e sottoposti a misure cautelari;
pubblicava il libro e-book dal titolo “APPALTOPOLI: APPALTI TRUCCATI” indicando la p.o. come: “STEFANO BRAVO LO SPALLONE DEL CLAN, IL COMMERCIALISTA CHE PORTAVA I SOLDI OLTRECONFINE, E’ STATO TRA I PROMOTORI DELLA HUMAN FOUNDATION, UNA CREATURA DELL’EX-MINISTRO PD GIOVANNA MELANDRI…”
pubblicava il libro e-book dal titolo: “MAFIOPOLI SECONDA PARTE: LA MAFIA SIAMO NOI”, indicando la p.o. come: “STEFANO BRAVO CHE RICICLAVA I SOLDI PER BUZZI E CARMINATI”.
In Avetrana, sino al 28 aprile 2015 (competenza territoriale individuata ex art.9, 3°comma, c.p.p.)
4) Che il suddetto decreto penale dovrà essere revocato per i seguenti motivi:
Io esercito il mio diritto di cronaca e di critica. Diritto di cronaca previsto dall’art. 21 della Costituzione e scriminato dall’art. 51 C.P. Diritto di cronaca, dico, che non ha alcuna limitazione se non quella della verità, attinenza-continenza, interesse pubblico. Diritto di cronaca su Stampa non periodica. Che cosa significa "Stampa non periodica"? Ogni forma di pubblicazione una tantum, cioè che non viene stampata regolarmente (è tale, ad esempio, un saggio o un romanzo in forma di libro). Con me la cronaca diventa storia ed allora il mio diritto di cronaca diventa diritto di critica storica. Il Diritto di Cronaca può essere inoltre desunto dall'art. 2 della legge n. 69/1963 ("Ordinamento della professione di giornalista"): «È diritto insopprimibile dei giornalisti la libertà d'informazione e di critica, limitata dall'osservanza delle norme di legge dettate a tutela della personalità altrui ed è loro obbligo inderogabile il rispetto della verità sostanziale dei fatti, osservati sempre i doveri imposti dalla lealtà e dalla buona fede. Devono essere rettificate le notizie che risultino inesatte e riparati gli eventuali errori.» Negli anni ottanta la Corte di Cassazione ha fissato il punto di equilibrio tra la doverosa tutela del diritto di cronaca e l'altrettanto doverosa tutela della persona con due note sentenze: Cass. pen. 30/06/1984 (n. 8959) e Cass. civ. 18/10/1984 (n. 5259). Quest'ultima (detta anche “sentenza-decalogo”) afferma che l'esercizio della libertà di diffondere alla collettività notizie e commenti è legittimo, e quindi può anche prevalere sul diritto alla riservatezza, se concorrono le seguenti condizioni:
che la notizia pubblicata sia vera ("verità del fatto esposto");
che esista un interesse pubblico alla conoscenza dei fatti riferiti in relazione alla loro attualità ed utilità sociale ("rispondenza ad un interesse sociale all'informazione", ovvero requisito della pertinenza);
che l'informazione venga mantenuta nei giusti limiti della più serena obbiettività ("rispetto della riservatezza ed onorabilità altrui", ovvero "correttezza formale della notizia o della critica").
Che se tutte queste condizioni vengono rispettate, una notizia può essere pubblicata anche se danneggia la reputazione di una persona. Diritto di Cronaca e gli estremi della verità, della pertinenza e della continenza della notizia. L'art. 51 codice penale (esimente dell'esercizio di un diritto o dell'adempimento di un dovere) opera a favore dell'articolista nel caso in cui sia indiscussa la verità dei fatti oggetto di pubblicazione e che la stessa sia di rilevante interesse pubblico. In merito all'esimente del Diritto di Cronaca ex art. 51 c.p., la Suprema Corte con Sentenza n 18174/14 afferma: "la cronaca ha per fine l'informazione e, perciò, consiste nella mera comunicazione delle notizie, mentre se il giornalista, sia pur nell'intento di dare compiuta rappresentazione, opera una propria ricostruzione di fatti già noti, ancorchè ne sottolinei dettagli, all'evidenza propone un'opinione". La nuova normativa concernente il rapporto tra il diritto alla privacy ed il diritto di cronaca è contenuta negli articoli 136 e seguenti del Codice privacy che hanno sostanzialmente recepito quanto già stabilito dal citato art. 25 della Legge 675 del 1996. In base a dette norme chiunque esegue la professione di giornalista indipendentemente dal fatto che sia iscritto all'elenco dei pubblicisti o dei praticanti o che si limiti ad effettuare un trattamento temporaneo finalizzato esclusivamente alla pubblicazione o diffusione occasionale di articoli saggi o altre manifestazioni del pensiero:
può procedere al trattamento di dati sensibili anche in assenza dell'autorizzazione del Garante rilasciata ai sensi dell'art. 26 del D. Lgs. 196 del 2003;
può utilizzare dati giudiziari senza adottare le garanzie previste dall'art. 27 del Codice privacy;
può trasferire i dati all'estero senza dover rispettare le specifiche prescrizioni previste per questa tipologia di dati;
non è tenuto a richiedere il consenso né per il trattamento di dati comuni né per il trattamento di dati sensibili.
Che Io sono un giurista ed un blogger d’inchiesta. Opero nell’ambito dell’art. 21 della Costituzione che mi permette di esprimere liberamente il mio pensiero. Nell’art. 65 della legge n. 633/1941 il legislatore sancisce la libertà di utilizzazione, riproduzione o ripubblicazione e comunicazione al pubblico degli articoli di attualità, che possiamo considerare come sinonimo di cronaca, in altre riviste o giornali. Distinta dalla mera cronaca è l’inchiesta giornalistica, la quale parte da fatti di cronaca per svolgere un’attività di indagine, c.d. “indagine giornalistica”, con la quale il professionista si informa, chiede chiarimenti e spiegazioni. Questa attività rientra nel c.d. “giornalismo investigativo” o “d’inchiesta”, riconosciuto dalla Cassazione nel 2010 come “la più alta e nobile espressione dell’attività giornalistica”, perché consente di portare alla luce aspetti e circostanze ignote ai più e di svelare retroscena occultati, che al contempo sono di rilevanza sociale. A seguito dell’attività d’indagine, il giornalista svolge poi l’attività di studio del materiale raccolto, di verifica dell’attendibilità di fonti non generalmente attendibili, diverse dalle agenzie di stampa, di confronto delle fonti. Solo al termine della selezione del materiale conseguito, il giornalista inizia a scrivere il suo articolo. (Cass., 9 luglio 2010, n. 16236, in Danno e resp., 2010, 11, p. 1075. In questa sentenza la Corte Suprema precisa che “Con tale tipologia di giornalismo (d’inchiesta), infatti, maggiormente, si realizza il fine di detta attività quale prestazione di lavoro intellettuale volta alla raccolta, al commento e alla elaborazione di notizie destinate a formare oggetto di comunicazione interpersonale attraverso gli organi di informazione, per sollecitare i cittadini ad acquisire conoscenza di tematiche notevoli, per il rilievo pubblico delle stesse”). Come saggista, al fine di studio o di discussione, per critica storica o per inchiesta, posso approfondire e comparare un caso ad altri casi già trattati, per elevarli ad anomalia del sistema. In questo caso i soggetti originali non possono impedirne la pubblicazione, né il pubblicato può essere da loro ritirato. In conclusione posso dire che non vi è alcun legame con le parti e la pubblicazione, credibile, attendibile, affidabile ed incontestabile, avviene per amor di Verità.
Che Io sono un Aggregatore di contenuti tematici di ideologia contrapposta con citazione della fonte, al fine del diritto di cronaca e di discussione e di critica dei contenuti citati. Con me la cronaca diventa storia ed allora il mio diritto di cronaca diventa diritto di critica storica. NB. In dottrina si evidenzia che “per uso di critica” si deve intendere l’utilizzazione oggettivamente finalizzata ad esprimere opinioni protette ex art. 21 e 33 della Costituzione. Con me la cronaca diventa storia ed allora il mio diritto di cronaca diventa diritto di critica storica. La critica storica può scriminare la diffamazione. Cassazione penale, sez. V, sentenza 10/11/2016 n° 47506. L'esercizio del diritto di critica può, a certe condizioni, rendere non punibile dichiarazioni astrattamente diffamatorie, in quanto lesive dell'altrui reputazione. Resoconto esercitato nel pieno diritto di Critica Storica. La critica storica può scriminare la diffamazione. Cassazione penale, sez. V, sentenza 10/11/2016 n° 47506. La ricerca dello storico, quindi, comporta la necessità di un’indagine complessa in cui “persone, fatti, avvenimenti, dichiarazioni e rapporti sociali divengono oggetto di un esame articolato che conduce alla definitiva formulazione di tesi e/o di ipotesi che è impossibile documentare oggettivamente ma che, in ogni caso debbono trovare la loro base in fonti certe e di essere plausibili e sostenibili”. La critica storica, se da una parte può scriminare la diffamazione. Cassazione penale, sez. V, sentenza 10/11/2016 n° 47506, dall'altra ha funzione di discussione: "Il riassunto, la citazione o la riproduzione di brani o di parti di opera e la loro comunicazione al pubblico sono liberi se effettuati per uso di critica o di discussione, nei limiti giustificati da tali fini e purché non costituiscano concorrenza all'utilizzazione economica dell'opera".
Le frasi contestate sono tratte da brani riferiti ad articoli di stampa mai rettificati riconducibili a Francesco Merlo su “la Repubblica” del 12/12/2014 (All. 2) e Marco Damilano e Emiliano Fittipaldi su “L’Espresso” del 18/12/204 (All. 3).
La parte offesa mai ha chiesto la rettifica dei brani citati: né, a quanto pare dalla pubblicazione recente, all’autore principale, né al secondario.
5) Che quindi si ritiene vi siano fondate ragioni sulla base delle quali proporre opposizione avverso il Decreto Penale di Condanna di cui all’epigrafe;
Tutto ciò sopra premesso l’interessato dr Antonio Giangrande, come in atti identificato, propone con il presente atto di OPPOSIZIONE Avverso il DECRETO PENALE DI CONDANNA n.663/18 emesso dal GIP, Dott.ssa Paola R. Incalza presso il Tribunale Penale di Taranto, nel procedimento penale n.4401/2018 R.G.N.R. e n. 4578/2018 R.G. GIP, il 26/06/2018 e depositato in data 29/06/2018 e ricevuto in notifica in data 1/02/2021, chiedendo che si proceda con le forme del giudizio Ordinario (e non per giudizio immediato/giudizio abbreviato/applicazione della pena su richiesta delle parti ex art. 444 c.p.p.) e che il DECRETO PENALE qui opposto venga revocato.
Dichiaratamente domiciliato, ai sensi dell’art 161 c.p.p., nella propria residenza sopra indicata.
NOMINA Quale proprio difensore di fiducia l’Avv. Mirko Giangrande del Foro di Taranto con studio in Avetrana, Via A. Manzoni, 51, tel. _____________ – fax _______________ - pec ____________________________, conferendo al medesimo ogni più ampia facoltà di legge.
Si deposita:
1) Copia di richiesta di emissione e decreto penale di condanna notificato l’1 febbraio 2021;
2) Copia articolo di Francesco Merlo;
3) Copia articolo di Marco Damilano e Emiliano Fittipaldi,
Avetrana lì __________ _____________________________
Per autentica Avv. _____________________________
LA DITTATURA DELLA CENSURA.
Gli Stati Uniti impongono la loro economia, le loro regole e la loro cultura. Tenuto conto che negli Stati Uniti la fazione LGBTI detta i comportamenti a loro congeniali, il cui contrasto lede il politicamente corretto, i pappagalli europei emulano e scimmiottano tali scelte di vita, facendoli passare per normali.
Non fa più scandalo, anzi è politicamente corretto adottare ogni comportamento deviante, ma fatto passare per normale e progressista, adottato nelle trame dei film.
Coppie gay o multietniche o relazioni poliamorose non devono mancare nelle serie televisive americane, affinchè la cultura LGBTI statunitense prenda largo oltreoceano.
Ecco perché in Italia ci sono polemiche ideologiche sulla fiera dell’ovvietà.
Ci sono cose che tutti pensano, ma che sono vietate dire.
A Crotone i giovani della Lega pubblicano un manifesto per l’8 marzo in onore della donna.
Una manifestazione di stima per la donna ed una denuncia contro i comunisti ipocriti.
I sinistri, sentendosi toccati, hanno reagito, facendo una questione di Stato. Qualcuno, addirittura, facendone questione territoriale retrograda. Sì, ma le offese ai meridionali, per i sinistri non contano.
Anche il buon Salvini, da buon comunista, ha rinnegato l’ovvietà.
Tutti rinnegano le loro idee. I comunisti, invece, rimangono sempre fedeli alla loro ideologia di potere: usando ed abusando di tutte le minoranze, assoggettandole e strumentalizzandole ai loro fini.
Quasi la totalità dei media si è parata contro il manifesto, del quale ognuno ha dato una sua personalissima interpretazione femministica, senza, peraltro, quasi nessuno di loro, aver pubblicato pari pari il volantino stesso.
Antonio Giangrande: I giornalisti in ogni dove, ormai, esprimono opinioni partigiane del cazzo. Alcuni di loro dicono che il movimento 5 stelle ha sfondato al sud con i voti dei nullafacenti per il reddito di cittadinanza: ossia la perpetuazione dell’assistenzialismo. Allora dovrebbe essere vero, anche, che al nord ha stravinto il razzismo della Lega di Salvini, il cui motto era: "Neghèr föra da i ball", ossia immigrati (che hanno preso il posto dei meridionali) tornino a casa loro. La verità è che l’opinione dei giornalisti vale quella degli avventori al bar; con la differenza che i primi sono pagati per dire stronzate, i secondi pagano loro la consumazione durante le loro discussioni ignoranti.
Antonio Giangrande: INVITO ALL’APPROFONDIMENTO: LA RAI, YOUTUBE E LA CENSURA.
Può la Rai, servizio pubblico di un’azienda di Stato, finanziata con il canone e le tasse dei cittadini, vantare diritti esclusivi di diritto d'autore su fatti di cronaca ed impedire la divulgazione di notizie di interesse pubblico e violare le norme internazionali del fair use o del fair dealing ai sensi delle leggi vigenti sul copyright?
Tutto inizia e finisce con una E-mail.
Venerdì 18/05/2018 19:40 da YouTube <accounts-noreply@youtube.com> ad ANTONIO GIANGRANDE <presidente@ingiustizia.info>: [Avviso di rimozione per violazione del copyright] Il tuo account YouTube verrà disattivato tra 7 giorni.
Salve ANTONIO GIANGRANDE, In seguito a una richiesta di rimozione per violazione del copyright siamo stati costretti a rimuovere il tuo video da YouTube: Titolo del video: Sarah Scazzi. Il processo. 1ª parte. La scomparsa.
Rimozione richiesta da: RAI. Questo significa che non sarà più possibile riprodurre il video su YouTube. Hai ricevuto un avvertimento sul copyright. Al momento hai 3 avvertimenti sul copyright. Per questo motivo, è prevista la disattivazione del tuo account tra 7 giorni. Il tuo canale rimarrà pubblicato per i prossimi 7 giorni per consentirti di cercare una soluzione e mantenerlo attivo. Se ritieni di non essere in torto in uno o più casi sopra descritti, puoi fare ricorso inviando una contronotifica. Durante l'elaborazione della contronotifica, il tuo account non verrà disattivato. Tieni presente che l'invio di una contronotifica con informazioni false può comportare gravi conseguenze legali. Puoi inoltre contattare l'utente che ha rimosso il tuo video e chiedergli di ritirare la richiesta di rimozione. Durante questo periodo, non potrai caricare nuovi video e gli avvertimenti sul tuo account non scadranno.
Risposta: Il mio utilizzo dei contenuti soddisfa i requisiti legali del fair use o del fair dealing ai sensi delle leggi vigenti sul copyright. Le norme nazionali ed internazionali mi permettono di fare copie singole di parti di opere per ricerca e studio personale o a scopo culturale o didattico. Infatti sono autore del libro che racconta della vicenda. A tal fine posso assemblarle o per fare una rassegna stampa. In ogni caso le immagini sono di utilizzo pubblico così come stabilito dal tribunale di Taranto in virtù del decreto dell’autorizzazione esclusiva alle telecamere di “Un Giorno in Pretura” con obbligo di condividere i filmati con gli altri media. Su questo filmato altre rivendicazioni analoghe sono state ritirate in seguito alla stessa contestazione. E comunque, stante che il filmato è già stato rimosso da youtube, si chiede alla signoria vostra di ritirare l’avvertimento, affinchè l’intero canale “Antonio Giangrande” con 387 video di Pubblico Interesse non venga disattivato.
Insomma non si presenta la contronotifica, per minaccia di azioni legali del colosso Rai e si genuflette per un diritto.
Ma Youtube non si ferma qua. Già, sul portale di informazione ed approfondimento in oggetto, pagava solo 1 decimo di tutti i video di cui si era chiesto la monetizzazione. E non solo a quel portale.
California, a sparare una youtuber: «Era arrabbiata perché la società le aveva sospeso i pagamenti». Il padre della donna che ha aperto il fuoco, Nasim Aghdam: «Odiava la società». Aghdam, 39 anni scriveva: «Non c'è libertà di parola», scrive Marta Serafini il 4 aprile 2018 su "Il Corriere della Sera". Era arrabbiata perché «YouTube aveva smesso di pagarla per i video che pubblicava sulla piattaforma». Gli investigatori scavano nel passato di Nasim Aghdam, 39 anni, attivista vegana e animalista residente a San Diego, che ha fatto fuoco nel campus di San Bruno ferendo tre persone per poi togliersi la vita. A confermare l’ipotesi che la donna fosse furibonda con YouTube, il padre Ismail Aghdam che in un’intervista ad un giornale locale ha spiegato come la figlia fosse sparita lunedì e non rispondesse al telefono da due giorni. «Era arrabbiata perché YouTube aveva sospeso tutto, li odiava», ha dichiarato l’uomo. L’ipotesi è la società avesse sospeso i pagamenti o a causa dei contenuti inappropriati dei filmati postati dalla donna o a causa di un calo dei follower. Secondo la Nbc un suo filmato era stato censurato da YouTube e secondo il New York Times tutti i suoi canali erano stati rimossi martedì notte. Il 20 febbraio YouTube ha stabilito nuove regole che escludono dalla monetizzazione i canali con meno di 10.000 abbonati e meno di 4.000 ore di visualizzazione e probabilmente i filmati di Aghdam sono rientrati in questo giro di vite.
Cos'è accaduto e chi era la donna. Aghdam, di origini iraniane, aveva una presenza sul web «rilevante», un sito internete postava video dal 2011 con il nickname di Nasim Wonderl e sul suo sito. Il contenuto variava: dalle ricette vegane, passando per le parodie musicali, fino ai commenti contro la violenza sugli animali e gli esercizi di bodybuilding. «Tutti i miei video sono autoprodotti senza l'aiuto di nessuno», scriveva orgogliosa. Aghdam si sarebbe lamentata più volte pubblicamente perché alcuni suoi post erano stati vietati ai minori, un trattamento che la stessa youtuber aveva denunciato non essere applicato a filmati dai contenuti più espliciti come i video clip di Miley Cyrus. «Non c’è libertà di parola nel mondo e verrai perseguitata per aver detto la verità», scriveva. Su Instagram il 18 marzo si lamentava di nuovo della censura di YouTube. La donna era anche un’attivista della Peta e manifestava a favore dei diritti degli animali. «Per me gli animali devono avere gli stessi diritti degli esseri umani», diceva a Los Angeles Times nel 2009.
YouTube sta rendendo più restrittive le regole che consentono agli iscritti di inserire pubblicità nei propri video e di guadagnare soldi. Lo scopo principale dell’iniziativa è quello garantire agli inserzionisti che i propri spot non finiscano all’interno di contenuti inappropriati o con immagini disturbanti, come avvenuto in passato.
La novità è stata annunciata dalla stessa azienda con un post sul blog “YouTube creators”: a partire da ieri, per iscriversi al “Programma partner” sono necessari almeno 1000 iscritti al proprio canale e 4000 ore di visualizzazione nell’arco degli ultimi 12 mesi.
“Le nuove regole ci permetteranno di migliorare in maniera significativa la nostra capacità di individuare i canali che contribuiscono positivamente alla nostra community e ci aiuteranno a generare maggiori entrate pubblicitarie per loro (e a tenerci lontano dai "cattivi attori"). Questi standard più elevati ci aiuteranno anche a evitare che i video potenzialmente inappropriati possano monetizzare, danneggiando i ricavi per tutti”, hanno spiegato Neal Mohan, chief product officer e Robert Kyncl, chief business officer. In precedenza, il requisito minimo per accedere al programma era quello delle 10mila visualizzazioni complessive. La differenza sembra sostanziale: a pagarne le conseguenze saranno sicuramente i canali più piccoli, che non attraggono un pubblico vasto ma che fino due giorni fa potevano guadagnare e perlomeno sostenere la realizzazione dei propri video. Prima di diventare famosi e raggiungere i requisiti richiesti, adesso gli aspiranti Youtuber dovranno trovare delle strade alternative per finanziare i propri progetti. YouTube pensa ovviamente ai propri interessi: un paio di mesi fa, aveva perso milioni di dollari di ricavi, in seguito alla decisione di alcuni inserzionisti – tra i quali Adidas, Mars, Deutsche Bank – di lasciare la piattaforma dopo essersi ritrovati la propria pubblicità sui dei video disseminati di commenti pedofili.
Come sottolinea il sito d’informazione The Next Web, l’approccio sembra contraddittorio: i nuovi criteri rendono la vita più difficile ai canali con pochi iscritti e visualizzazioni, lasciando tuttavia uno spiraglio ai trasgressori che distribuiscono contenuti inappropriati, ma che hanno successo. YouTube pensa di risolvere la questione affidandosi non solo alla metrica quantitativa, ma anche alle segnalazioni che arrivano dalla community e a metodologie di rilevazione di spam o altri abusi più efficaci.
L’annuncio arriva a distanza di una settimana della vicenda che ha coinvolto Logan Paul: il famoso Youtuber, apprezzatissimo tra i teenager, aveva condiviso il video di un suicidio avvenuto in Giappone. A rimuovere il contenuto però non era stato YouTube, bensì il suo stesso creatore. Con le identiche modalità era scomparso il video caricato qualche mese fa da PewPewDie – che con i suoi 12 milioni di dollari è tra le 10 star più pagate del Tubo nel 2017 – nel quale comparivano due uomini a petto nudo che avevano in mano un cartello con la scritta “Death to All Jews”. I due episodi, in particolare, hanno spinto YouTube a modificare anche le regole di Google Preferred, la soluzione di advertising dedicata ai canali più popolari (circa il 5% del totale): tutti i contenuti del programma saranno valutati da un moderatore e approvati manualmente. Se da un lato le mosse appaiono logiche e sensate, soprattutto per non perdere la fiducia degli inserzionisti e milioni di ricavi dalla pubblicità, dall’altro non si può fare a meno di notare che che la nuova policy, rischia di stroncare sul nascere i sogni di migliaia aspiranti youtuber e di rendere esclusiva una piattaforma che ha fatto invece dell’inclusività uno dei fattori chiave del suo successo.
Le migliori alternative a YouTube, scrive "1and1". YouTube è il campione indiscusso tra i portali video e può tranquillamente essere definito come il leader del settore. Con oltre un miliardo di utenti, secondo i dati forniti dalla compagnia stessa, quasi un terzo di tutta l’utenza Internet naviga su YouTube. È indubbio che la piattaforma da tempo sia stata riconosciuta anche come un efficace strumento di marketing. I video sono caricabili con pochi click e tramite la generazione automatica di un codice HTML sono facilmente postabili su siti web esterni. Inoltre, dal 2010, quando YouTube e SIAE hanno firmato un accordo riguardo ai video musicali e ai proventi generati dalle visualizzazioni di questi, è diventato ancora più difficile per la concorrenza. Dunque è lecito porsi la seguente domanda: quali alternative ci sono a YouTube?
Le alternative attive a YouTube presentate in questo articolo sono cinque e sono Vimeo, Dailymotion, Veoh, Vevo e Flickr. Questi quattro servizi offrono agli utenti privati ed a coloro che li utilizzano per lavoro molte possibilità diverse, come guardare e mettere a disposizione contenuti eccezionali.
Dailymotion è un portale video di origine francese, che rappresenta una delle migliori alternative a YouTube in termine di numero utenti, soprattutto nel suo paese di origine. Nel 2015 il servizio ha registrato una utenza attiva del 23%. Comparando a livello internazionale, nessun altro servizio raggiunge un valore simile. In Francia infatti Dailymotion si trova secondo solo a YouTube, che ha una utenza attiva del 57%. Ad ogni modo, anche in altri paesi Dailymotion si trova al secondo posto dietro a YouTube. La compagnia calcola i suoi utenti in giro per il globo attorno ai 300 milioni. Mensilmente vengono visualizzati 3,5 miliardi di video su Dailymotion. In Italia Dailymotion riceve 6 milioni di unique viewers al mese, registrando un totale di circa 65 milioni di visualizzazioni tra tutti i tipi di dispositivi. Dailymotion punta principalmente sulle specifiche di upload: con file video fino a 2GB e 60 minuti di durata. Vengono supportati numerosi formati video e audio, così che è possibile scegliere tra file con estensione .mov, .mpeg4, .mp4, .avi e .wmv. Come codec video e audio vengono consigliati rispettivamente H.264 e AAC con un frame rate di 25FPS. La risoluzione massima possibile è 1080p (Full HD). In questo modo il portale si confà anche agli uploader più esigenti; i file di grandi dimensioni sono ben accetti tanto quanto lo è una qualità convincente dell’immagine. Il layout, di colore blu e bianco, è semplice e comodo da utilizzare. L’ordine degli elementi è decisamente orientato a quello di YouTube, che ha il vantaggio, che anche i principianti riescono a raccapezzarci qualcosa sin da subito. Anche l’integrazione e la condivisione dei video su piattaforme esterne è semplice; con un click il codice HTML corretto viene automaticamente generato. Ci sono inoltre ulteriori funzioni per i cosiddetti partner, i quali hanno la possibilità di guadagnare soldi con Dailymotion esattamente come su YouTube. Anche con Dailymotion si può monetizzare con i video, personalizzare il player e controllare i proventi attraverso il tool di analisi. Perciò Dailymotion è una delle migliori alternative a YouTube particolarmente per i blogger, che vogliono mettere i propri contenuti a disposizione solo a pagamento o che vogliono offrire dei contenuti premium separati. Chi ad esempio vuole usufruire della monetizzazione offerta da Dailymotion per un sito web, può sia attivare il proprio sito sia incorporare un dispositivo speciale del provider. Alcuni partner rinomati hanno già preso parte a questo programma, e tra questi vi sono ad esempio la CNN, la Süddeutsche Zeitung e la Deutsche Welle. Anche la vasta scelta di App di Dailymotion risulta piacevole. L’alternativa a YouTube è presente con apposite App su molte Smart TV, set-top box o sulla Playstation 4 della Sony, e può essere guardata comodamente dal divano di casa. Il servizio può essere utilizzato anche da dispositivo mobile con applicazioni iOS, Android o Windows.
Antonio Giangrande: Vorrei comunicare agli amici che il 19 aprile 2016 ed il 19 maggio 2016, in due distinti procedimenti penali contro il sottoscritto promossi da un sostituto procuratore presso il Tribunale di Taranto, il primo, e da un giudice monocratico, il secondo, il Tribunale di Potenza mi ha assolto. Processato per aver pubblicato fatti di ingiustizia a Taranto e per aver ricusato un giudice che voleva giudicarmi a Taranto in tre processi pur da me denunciato. Processi promossi da avvocati e periti la cui condotta è stata da me criticata. Assoluzioni a Potenza che si assommano a quelle decine su Taranto. Manco fossi Riina o Berlusconi. Ma questo non fa notizia, perché non sono comunista. Mica sono Saviano. Decine di processi per reati di opinione a mio carico è il costo di essere Liberi, ossia non amico di “Libera” e di questa antimafia, non amico dei magistrati che delinquono, non amico dei politici corrotti. Se fossi diverso, forse, sarei amico dei giornalisti…
Antonio Giangrande: Per dimostrare quello che non si osa dire:
1) La migliore giornalista italiana non è giornalista (Sic) giusto per dimostrare che nelle professioni spesso si abilita chi non lo merita.
2) Grillo vuol solo rottamare l’ordine dei giornalisti. Come tutti gli altri è prono alle lobbies.
Questa è “Mi-Jena Gabanelli” (secondo Dagospia), la Giovanna D’Arco di Rai3, che i grillini volevano al Quirinale. Milena Gabanelli intervistata da Gian Antonio Stella per "Sette - Corriere della Sera".
Sei impegnata da anni nella denuncia delle storture degli ordini professionali: cosa pensi dell'idea di Grillo di abolire solo quello dei giornalisti?
«Mi fa un po' sorridere. Credo che impareranno che esistono altri ordini non meno assurdi. Detto questo, fatico a vedere l'utilità dell'Ordine dei giornalisti. Credo sarebbe più utile, come da altre parti, un'associazione seria e rigorosa nella quale si entra per quello che fai e non tanto per aver dato un esame...».
Ti pesa ancora la bocciatura?
«Vedi un po' tu. L'ho fatto assieme ai miei allievi della scuola di giornalismo. Loro sono passati, io no».
Essere bocciata come Alberto Moravia dovrebbe consolarti.
«C'era una giovane praticante che faceva lo stage da noi. Le avevo corretto la tesina... Lei passò, io no. Passarono tutti, io no».
Mai più rifatto?
«No. Mi vergognavo. Per fare gli orali dovevi mandare a memoria l'Abruzzo e io lavorando il tempo non l'avevo».
Nel senso del libro di Franco Abruzzo, giusto?
«Non so se c'è ancora quello. So che era un tomo che dovevi mandare a memoria per sapere tutto di cose che quando ti servono le vai a vedere volta per volta. Non ha senso. Ho pensato che si può sopravvivere lo stesso, anche senza essere professionista».
Antonio Giangrande: ITALIA. PROCESSO ALLA STAMPA. COME IL FATTO DIVENTA NOTIZIA.
Siamo sicuri di essere e di voler essere correttamente informati di quello che succede intorno a noi?
In Italia la notizia è tale solo se data da un giornalista iscritto all’albo di origine fascista e non perché il fatto vero, raccontato correttamente da chiunque, può suscitare un pubblico interesse. Se non creata dal pennivendolo, la notizia è solo una misera e opinabile opinione. L’opinione si eleva a notizia solo se è pubblicata come editoriale dal direttore dell’organo di informazione, o da un suo delegato. Gli esperti, che hanno molto da dire, invece, se graditi, parlano solo se intervistati.
Il giornalista, come in tutte le categorie professionali, può essere un incapace raccomandato, vincitore di un esame-concorso truccato. Come tutti, del resto, in Italia. Inoltre in questa professione può essere anche uno sfruttato a 5 euro al pezzo.
La preparazione culturale del giornalista non permette alcuna competenza specifica, né egli ha alcuna esperienza diretta dei fatti, vivendo recluso in redazione, di conseguenza si appoggia alle considerazioni di coloro che lui reputa esperti. Quindi, non ci si aspetti da lui un approfondimento peritale del fatto.
Importante sapere è che i fatti non sono cercati dalle redazioni giornalistiche, d'altronde non possono prevedere gli eventi, ma sono vagliati in base alle segnalazioni ricevute. Sono cestinati i suggerimenti scomodi o che comportano approfondimento e ricerca. Sono dileggiate le note che urtano i loro convincimenti o danno fastidio ai loro amici. Alcune fonti, poi, sono da loro trattati erroneamente come mitomani o pazzi.
Quindi come far diventare notizia, un fatto vero ed interessante ed assolutamente conoscibile?
“Conditio sine qua non” è che il fatto deve essere giornalisticamente pubblicabile: vero; pubblicamente interessante; con obbiettiva, corretta e civile esposizione. A questi requisiti noti si aggiunge il modus operandi corrente: comodo, condiviso ed omologato. Insomma diventa notizia quella che tutti danno. Non esiste lo scoop, se non quello artefatto.
Chi ha un fatto da far conoscere, per prima cosa ha bisogno di attivarsi nel cercare quanto più contatti redazionali, per poter inviare la segnalazione o il contributo pre confezionato in stampo giornalistico. Tra il mucchio si può trovare la redazione interessata alla problematica condivisa dalla sua politica editoriale. Le grandi testate nazionali, che nessuno più legge, destinati all’estinzione dall’inevitabile assottigliarsi del numero dei loro lettori, disdegnano tutto quanto esce dalla loro dotta (a loro dire) professionalità. Le piccole testate lette solo dal parentado redazionale ed interessate esclusivamente alle loro sagre paesane, scartano le segnalazioni non attinenti la competenza condominiale. Eccezionalmente, nel mucchio si può anche trovare qualcuno che si impietosisce e fa passare il suggerimento come l’istanza di un caso umano.
Se la nota parte da un organo politico o istituzionale, avrà fortuna solo se il ricevente è un suo referente politico o destinatario di contributi pubblici. Invece le veline dei magistrati e degli organi di polizia giudiziaria, pur attinenti fatti coperti da segreto istruttorio, hanno pubblicazione certa e pedissequa alla virgola, specie se si sbatte il mostro in prima pagina.
Il contributo già formato in stampo giornalistico, inoltre, non deve urtare la suscettibilità del ricevente. Bisogna apparire inferiori intellettualmente. Quindi non deve essere perfetto in sintassi e grammatica ed essere zoppicante nella fluidificazione del discorso. Avere un linguaggio politically correct. Non avere intercalari di linguaggio comune e moderno, né usare un lessico comprensibile al popolo. Non offendere nessuno. Meglio appuntare i nomi. Non denunciare il malaffare di magistrati ed avvocati e comunque del sistema di potere precostituito di cui i giornalisti sono servi, salvo eccezioni. Chi è giornalista lo sa, chi dice verità scomode è tacciato di mitomania, pazzia o addirittura accusato di diffamazione a mezzo stampa. Oggi il valore del giornalista si compara alla quantità delle querele a carico. Parlar male della politica e di politici in particolare, può segnare l’interesse della redazione avversa a quel partito.
Non approfondire la tematica, pur se esperti, sareste chiamati prolissi. Basta l’accenno del profano. Non collegarli a casi similari, sareste chiamati confusionari. Basta l’allusione dell’inesperto. L’autore del contributo non si deve presentare nel testo, sarebbe accusato di autocelebrazione ed autocitazione. Meglio essere anonimi. Sia mai che diventi propaganda gratuita, perché la pubblicità è l’anima del commercio….e pure dell’informazione. E poi, il testo come può essere firmato come proprio da chi lo riceve e lo pubblica?
Le recensioni dei libri, inviate alle redazioni cultura, devono essere attinenti ai testi pubblicati dall’editore della testata: non è permesso agevolare la concorrenza. Gli scrittori, poi, violentino il loro talento e diano una parvenza di inettitudine allo scritto. Insomma, bisogna essere sintetici e divulgativi. I giornalisti superano l’esame di abilitazione nello svolgimento di una prova di sintesi di un articolo o di un altro testo scelto dal candidato tra quelli forniti dalla commissione in un massimo di 30 righe di 60 caratteri ciascuna, per un totale di 1.800 caratteri compresi gli spazi. Per le moderne testate tutto questo spazio è troppo, meglio centellinare i periodi, se no nella pagina non entra nello spazio lasciato libero dalle inserzioni pubblicitarie. Per esempio, questo pezzo è troppo lungo è sarebbe di sicuro cestinato.
L’espressione del pensiero deve essere misurato e limitato in spazi preconfezionati. Non si consulti il dizionario, ma la calcolatrice.
Seguendo queste basilari regole, forse, dico forse, tra 1500 testate, ai cui contatti email arrivano le note stampa, qualcuno di loro può prendere in considerazione la missiva sotto forma di lettere al direttore e far leggere ai suo pochi lettori quello che solo allora diventa notizia.
In caso contrario, se i giornalisti altezzosi o permalosi ci ignorano, ci si apre un blog o si fa parte di un social network o di un portale di giornalismo partecipativo. In tal caso, però ci si accorge che i commenti dei lettori alla notizia da noi data, spesso, sono postate da gente esaltata ed alienata: lo specchio della società. Solo allora ci si rende conto qual è l’umanità frustrata che ci circonda e che la notizia dovrebbe leggere. A quel punto ci si pensa che è meglio tenere il fatto per sé, non elevandolo a notizia, e far vivere gli altri nell’illusione di essere informati su tutto. Perché gli altri son convinti che la notizia è solo quella detta dai tg. Perche?!? Perché l’ha detto la televisione!!!
Per inciso ed in conclusione, voglio dire che sui media ho scritto un saggio “Mediopoli. Disinformazione, censura ed omertà”. Ho cognizione di causa. Facendo parlar loro, la cronaca diventa storia. Per il resto i miei scritti, quelli sì, pur non pubblicizzati, sono al vaglio del giudizio dei miei tanti lettori, anzi studiosi, oggetto delle loro tesi di laurea. Ad ognuno il suo.
Dr Antonio Giangrande
Presidente dell’Associazione Contro Tutte le Mafie e di Tele Web Italia
Il disastro ferroviario in Puglia sulla tratta Corato-Andria ed il Binario unico del giornalismo italiano.
Che fine hanno fatto la mamma e la figlia trovate morte avvinghiate?
La puntualizzazione del dr. Antonio Giangrande. Scrittore, sociologo storico, giurista, blogger, youtuber, presidente dell’Associazione Contro Tutte le Mafie.
Sono 23 le vittime del disastro ferroviario avvenuto in Puglia il 12 luglio 2016 sulla tratta Corato-Andria; 52 i feriti transitati dai pronto soccorsi degli ospedali; 24 le persone attualmente ricoverate, otto dei quali in prognosi riservata, tra cui il piccolo Samuele che ha 7 anni appena compiuti e che era con la nonna, morta nell'incidente ferroviario. Non ci sono dispersi. I dati sono stati ufficializzati in una conferenza stampa che si è tenuta dal presidente della Regione Puglia, Michele Emiliano e dal professor Franco Introna, primario di Medicina Legale del Policlinico di Bari il 13 luglio 2016 alle ore 14.30. Otto cadaveri individuati da dettagli: anelli, fotografie o carte che gli infermieri hanno mostrato ai familiari. Per quasi tutti i giornali Giuseppe Acquaviva è lo sfortunato contadino morto sul suo campo. Per “Andria Live”, invece, Giuseppe Acquaviva, 59 anni, di Andria, era disoccupato e viaggiava con la sorella Serafina Acquaviva, detta Lella, 62 anni, anche lei morta nell'impatto. Per “La Repubblica”, invece, era un ragioniere. E poi la chicca. Da più fonti e con più interviste si è parlato che i soccorritori si sono ritrovati anche davanti ad una scena di due corpi esanimi abbracciati: una madre e sua figlia. I loro nomi, però, non risultano tra quelli comunicati dalle autorità come vittime riconosciute o non riconosciute. Sono state ritrovate senza vita una madre e sua figlia, avvinghiate l'una all'altra in quell'ultimo abbraccio istintivo e protettivo. Una scena drammatica che i soccorritori si sono trovati dinanzi agli occhi, non appena giunti sul luogo del disastro, su quel tratto ferroviario a binario unico che collega Bari a Barletta, in Puglia. A raccontarlo sono gli stessi soccorritori all'emittente locale Telenorba ed ad altre emittenti private. Testimonianze su cui hanno ricamato i loro commenti centinaia di giornalisti. "Erano contro un ulivo, la mamma con il suo corpo proteggeva la bimba piccola ed erano in posizione fetale. Sono le prime che ho trovato, in mezzo a teste, braccia, mezzi busti sparsi ovunque sotto gli ulivi", ha raccontato Marianna Tarantini, una volontaria del Ser di Corato, una delle prime ad arrivare sul luogo dell'incidente”. Che sia una bufala a cui tutti ci sono cascati?
Dr Antonio Giangrande Scrittore, sociologo storico, giurista, blogger, youtuber, presidente dell’Associazione Contro Tutte le Mafie.
Antonio Giangrande: Politica, giustizia ed informazione. In tempo di voto si palesa l’Italietta delle verginelle.
Da scrittore navigato, il cui sacco di 40 libri scritti sull’Italiopoli degli italioti lo sta a dimostrare, mi viene un rigurgito di vomito nel seguire tutto quanto viene detto da scatenate sgualdrine (in senso politico) di ogni schieramento politico. Sgualdrine che si atteggiano a verginelle e si presentano come aspiranti salvatori della patria in stampo elettorale.
In Italia dove non c’è libertà di stampa e vige la magistratocrazia è facile apparire verginelle sol perché si indossa l’abito bianco.
I nuovi politici non si presentano come preparati a risolvere i problemi, meglio se liberi da pressioni castali, ma si propongono, a chi non li conosce bene, solo per le loro presunti virtù, come verginelle illibate.
Ci si atteggia a migliore dell’altro in una Italia dove il migliore c’ha la rogna.
L’Italietta è incurante del fatto che Nicola Vendola a Bari sia stato assolto in modo legittimo dall’amica della sorella o Luigi De Magistris sia stato assolto a Salerno in modo legale dalla cognata di Michele Santoro, suo sponsor politico.
L’Italietta non si scandalizza del fatto che sui Tribunali e nella scuole si spenda il nome e l’effige di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino da parte di chi, loro colleghi, li hanno traditi in vita, causandone la morte.
L’Italietta non si sconvolge del fatto che spesso gli incriminati risultano innocenti e ciononostante il 40% dei detenuti è in attesa di giudizio. E per questo gli avvocati in Parlamento, anziché emanar norme, scioperano nei tribunali, annacquando ancor di più la lungaggine dei processi.
L’Italietta che su giornali e tv foraggiate dallo Stato viene accusata da politici corrotti di essere evasore fiscale, nonostante sia spremuta come un limone senza ricevere niente in cambio.
L’Italietta, malgrado ciò, riesce ancora a discernere le vergini dalle sgualdrine, sotto l’influenza mediatica-giudiziaria.
Fa niente se proprio tutta la stampa ignava tace le ritorsioni per non aver taciuto le nefandezze dei magistrati, che loro sì decidono chi candidare al Parlamento per mantenere e tutelare i loro privilegi.
Da ultimo è la perquisizione ricevuta in casa dall’inviato de “La Repubblica”, o quella ricevuta dalla redazione del tg di Telenorba.
Il re è nudo: c’è qualcuno che lo dice. E’ la testimonianza di Carlo Vulpio sull’integrità morale di Nicola Vendola, detto Niki. L’Editto bulgaro e l’Editto di Roma (o di Bari). Il primo è un racconto che dura da anni. Del secondo invece non si deve parlare.
I giornalisti della tv e stampa, sia quotidiana, sia periodica, da sempre sono tacciati di faziosità e mediocrità. Si dice che siano prezzolati e manipolati dal potere e che esprimano solo opinioni personali, non raccontando i fatti. La verità è che sono solo codardi.
E cosa c’è altro da pensare. In una Italia, laddove alcuni magistrati tacitano con violenza le contro voci. L’Italia dei gattopardi e dell’ipocrisia. L’Italia dell’illegalità e dell’utopia.
Tutti hanno taciuto "Le mani nel cassetto. (e talvolta anche addosso...). I giornalisti perquisiti raccontano". Il libro, introdotto dal presidente nazionale dell’Ordine Enzo Jacopino, contiene le testimonianze, delicate e a volte ironiche, di ventuno giornalisti italiani, alcuni dei quali noti al grande pubblico, che hanno subito perquisizioni personali o ambientali, in casa o in redazione, nei computer e nelle agende, nei libri e nei dischetti cd o nelle chiavette usb, nella biancheria e nel frigorifero, “con il dichiarato scopo di scoprire la fonte confidenziale di una notizia: vera, ma, secondo il magistrato, non divulgabile”. Nel 99,9% dei casi le perquisizioni non hanno portato “ad alcun rinvenimento significativo”.
Cosa pensare se si è sgualdrina o verginella a secondo dell’umore mediatico. Tutti gli ipocriti si facciano avanti nel sentirsi offesi, ma che fiducia nell’informazione possiamo avere se questa è terrorizzata dalle querele sporte dai PM e poi giudicate dai loro colleghi Giudici.
Alla luce di quanto detto, è da considerare candidabile dai puritani nostrani il buon “pregiudicato” Alessandro Sallusti che ha la sol colpa di essere uno dei pochi coraggiosi a dire la verità?
Si badi che a ricever querela basta recensire il libro dell’Ordine Nazionale dei giornalisti, che racconta gli abusi ricevuti dal giornalista che scrive la verità, proprio per denunciare l'arma intimidatoria delle perquisizioni alla stampa.
Che giornalisti sono coloro che, non solo non raccontano la verità, ma tacciono anche tutto ciò che succede a loro?
E cosa ci si aspetta da questa informazione dove essa stessa è stata visitata nella loro sede istituzionale dalla polizia giudiziaria che ha voluto delle copie del volume e i dati identificativi di alcune persone, compreso il presidente che dell'Ordine è il rappresentante legale?
Allora io ho deciso: al posto di chi si atteggia a verginella io voterei sempre un “pregiudicato” come Alessandro Sallusti, non invece chi incapace, invidioso e cattivo si mette l’abito bianco per apparir pulito.
Dr Antonio Giangrande
Antonio Giangrande: I giornalisti di sinistra: voce della verità? L’Espresso e l’ossessione per Silvio Berlusconi.
«Quando la disinformazione è l’oppio dei popoli, che li rincoglionisce. I giornalisti corrotti ed incapaci ti riempiono la mente di merda. Anziché essere testimoni veritieri del loro tempo, si concentrano ad influenzare l’elettorato manovrati dal potere giudiziario, astio ad ogni riforma che li possa coinvolgere e che obbliga i pennivendoli a tacere le malefatte delle toghe, non solo politicizzate», così opina Antonio Giangrande, sociologo storico ed autore di tantissimi saggi, tra cui “Governopoli”, “Mediopoli” ed “Impunitopoli”.
Il declino di un’era. 20 anni di niente. Silvio Berlusconi: ossessione dei giornalisti di destra, nel difenderlo, e di sinistra, nell’attaccarlo.
1977: quell'articolo premonitore di Camilla Cederna su Silvio Berlusconi. Uno splendido pezzo di una grande firma de "L'Espresso". Che aveva già capito tutto dell'ex Cavaliere, agli albori della sua ascesa.
1977: Berlusconi e la pistola. Il fotografo Alberto Roveri decide di trasferire il suo archivio in formato digitale. E riscopre così i ritratti del primo servizio sul Cavaliere. Immagini inedite che raccontano l'anno in cui è nato il suo progetto mediatico. Con al fianco Dell'Utri. E un revolver sul tavolo per difendersi dai rapimenti, scrive Gianluca Di Feo su “L’Espresso”.
Il Caimano in prima pagina: vent'anni di copertine dell'Espresso. Sono 88. La prima, il 5 ottobre del 1993. L'ultima, ma non ultima, il 25 novembre 2013. Ecco come l'Espresso ha sbattuto il Cavaliere in prima pagina.
5 ottobre 1993. Berlusconi a destra. Nuove Rivelazioni: QUI MI FANNO NERO! Dietro la svolta: Le ossessioni, la megalomania, la crisi Fininvest….
17 ottobre 1993. Esclusivo. I piani Fininvest per evitare il crac. A ME I SOLDI! Rischio Berlusconi. Rivelazioni. Il debutto in politica e l’accordo con segni. A ME I VOTI!
21 novembre 1993. Elezioni. Esclusivo: tutti gli uomini del partito di Berlusconi. L’ACCHIAPPAVOTI.
7 gennaio 1994. BERLUSCONI: LE VERITA’ CHE NESSUNO DICE. Perché entra in politica? Forse per risolvere i guai delle sue aziende? Che senso ha definirlo imprenditore di successo? Quali sono i suoi rapporti oggi con Craxi? Cosa combina se si impadronisse del Governo? Quali banchieri lo vedono già a Palazzo Chigi? Esistono cosi occulti nella Fininvest? Chi sono? Insomma: questo partito-azienda è una barzelletta o una cosa seria?
4 marzo 1994. Speciale elezioni. CENTO NOMI DA NON VOTARE. Dossier su: buoni a nulla, dinosauri, inquisiti, riciclati, voltagabbana.
11 marzo 1994. DIECI BUONE RAGIONI PER NON FIDARSI DI BERLUSCONI. Documenti esclusivi da: commissione P2, magistratura milanese, Corte costituzionale.
29 luglio 1994. Troppe guerre inutili. Troppi giochetti d’azzardo. Troppe promesse a vuoto. Troppo disprezzo degli altri. Troppe docce fredde per lira e borsa….LA FANTASTICA CANTONATA DEGLI ITALIANI CHE SI SONO FIDATI DI BERLUSCONI.
26 agosto 1994. Tema del giorno. Atroce dubbio su Berlusconi: ci sa fare o è un…ASINO?
18 novembre 1994. Dossier Arcore: LA REGGIA. Storia di un Cavaliere furbo, di un avvocato, di un’ereditiera. Dossier alluvione. LA PALUDE. Storia di un governo ottimista e di una catastrofe.
14 aprile 1995. L’incubo di pasqua. Ma davvero la destra vince? VENDETTA!
9 giugno 1995. L’AFFARE PUBBLITALIA. Tre documenti eccezionali. 1. Dell’Utri. Viaggio tra i fondi neri. Della società che voleva conquistare un paese. 2. Berlusconi. Le prove in mano ai giudici: dal caso Berruti alla pista estera. 3. Letta. I verbali dei summit di Arcore. Con i big di giornali e televisioni Fininvest.
10 settembre 1995. Case d’oro/ esclusivo. L’ALTRA FACCIA DELLO SCANDALO. Rapporto sui raccomandati di sinistra. Rivelazioni: manovre ed imbrogli della destra.
17 settembre 1995. L’ALTRA FACCIA DI AFFITTOPOLI/NUOVE RIVELAZIONI. 745.888.800.000! Come, dove e quanto hanno incassato i fratelli Berlusconi rifilando palazzi e capannoni agli enti previdenziali.
25 ottobre 1995. SHOWMAN. Berlusconi ultimo grido. L’attacco a Dini e Scalfaro: astuzie, bugie, sceneggiate.
2 febbraio 1996. L’uomo dell’inciucio. Segreti, imbrogli, stramberie, pericoli…. SAN SILVIO VERGINE.
5 aprile 1996. Dall’album di Stefania Ariosto: festa con il cavaliere. C’ERAVAMO TANTO AMATI. Nuove strepitose foto/La dolce vita di Berlusconi & C. Caso Squillante/Tutto sui pedinamenti. E sui gioielli Fininvest. Se vince il Polo delle Vanità/Poveri soldi nostri…
24 ottobre 1996. D’Alema e Berlusconi: il nuovo compromesso. Origini, retroscena, pericoli. DALEMONI.
18 dicembre 1996. FORZA BUFALE. Rivelazioni. Chi e come alimenta la campagna contro Di Pietro. Qual è la fabbrica delle false notizie agghiaccianti sul Pool Mani Pulite. Che cosa fa acqua nei rapporti della Guardia di Finanza. I segreti dell’agenda di Pacini Battaglia. Le grandi manovre per l’impunità. E il ritorno di fiamma dell’amnistia….C’è in Italia un partito antigiudici. Ha capi, quadri, ha compagni di strada. Per vincere deve spararle sempre più grosse. Inchiesta su un malessere che non passa. E che nessuna riforma risolve.
3 maggio 1996. THE END.
10 aprile 1997. ALBANIA SHOW. Speciale/tragedie e polemiche, sceneggiate e pericoli.
3 agosto 2000. Esclusivo. Un rapporto dei tecnici della Banca d’Italia. COSI’ HA FATTO I SOLDI BERLUSCONI.
22 marzo 2001. LA CARICA DEI 121. Fedelissimi, folgorati e riciclati. Con loro Berlusconi vorrebbe governare l’Italia.
16 maggio 2001. L’AFFONDO. Berlusconi si gioca il tutto per tutto. Ma la partita è ancora aperta. Le urne diranno se sarà alba o tramonto.
24 magio 2001. E ORA MI CONSENTA. L’Italia alle prese con il Cavaliere pigliatutto.
19 dicembre 2001. GIUSTIZIA FAI DA ME. Sondaggio choc: i giudici, gli italiani e Berlusconi.
7 febbraio 2002. L’importante è separare la carriera degli imputati da quella dei giudici. L’ILLUSIONE DI MANI PULITE.
15 maggio 2003. COMPARI. Negli affari, nella politica, nei processi. Berlusconi e Previti pronti a tutto. A riscrivere le leggi e a sconvolgere le istituzioni.
11 settembre 2003. Esclusivo. GLI ZAR DELLA COSTA SMERALDA. Le foto segrete dell’incontro Berlusconi-Putin.
29 gennaio 2004. RISILVIO. Vuole rifare il governo, rifondare Forza Italia, riformare lo Stato. E per cominciare si è rifatto.
13 maggio 2004. LE 1000 BUGIE DI BERLUSCONI. Il suo governo ha stabilito il record di durata. E anche quello delle promesse non mantenute. Ecco il bilancio.
24 giugno 2004. – 4.000.000. Ha perso voti e credibilità. Ora gli alleati gli presentano il conto. L’estate torrida del cavalier Silvio Berlusconi.
3 marzo 2005. AFFARI SUOI. Società e fiduciarie nei paradisi fiscali. Falsi in bilancio. Così Silvio Berlusconi dirottava i proventi del gruppo Mediaset sui diritti Tv.
7 aprile 2005. RISCHIATUTTO. Il voto delle regionali segnerà il destino dei duellanti. Romano Prodi e Silvio Berlusconi? Ecco che cosa ci aspetta dopo il verdetto delle urne.
21 aprile 2005. FARE A MENO DI BERLUSCONI. L’ennesima sconfitta ha chiuso un ciclo. Gli alleati del Cavaliere pensano al dopo. E a chi potrà prendere il suo posto.
2 febbraio 2006. PSYCHO SILVIO. Impaurito dai sondaggi tenta di rinviare la campagna elettorale. Occupa radio e tv. Promuove gli amici nei ministeri. Distribuisce una pioggia di finanziamenti clientelari. Così Berlusconi le prova tutte per evitare la sconfitta.
6 aprile 2006. DECIDONO GLI INDECISI. Identikit degli italiani che ancora non hanno scelto. Ma che determineranno l’esito del voto del 9 aprile.
9 novembre 2006. LA CASA DEI DOSSIER. Da Telecom-Serbia alle incursioni informatiche. Ecco il filo che lega le trame degli ultimi anni. Con un obbiettivo: delegittimare Prodi e la sinistra.
29 novembre 2007. Retroscena. VOLPE SILVIO. Il piano segreto di Berlusconi per far cadere Prodi e tornare al Governo. Fini e Casini azzerati. L’Unione sorpresa. Ma Veltroni è tranquillo. Non mi fanno paura.
24 aprile 2008. Elezioni. L’ITALIA DI B&B. Il ciclone Berlusconi. Il trionfo di Bossi. Lo scacco a Veltroni. E l’apocalisse della sinistra radicale rimasta fuori dal Parlamento.
15 maggio 2008. Inchiesta. LA MARCIA SU NAPOLI. Silvio Berlusconi arriva in città con il nuovo governo. Per liberarla dai rifiuti ma anche per spazzare via la sinistra da Comune e Regione.
25 giugno 2008. DOPPIO GIOCO. Si propone come statista. Aperto al dialogo. Ma poi Berlusconi vuole fermare i suoi processi. Ricusa i giudici. Vieta le intercettazioni. Manda l’esercito nelle città. Ed è solo l’inizio.
3 luglio 2008. Esclusivo. PRONTO RAI. Raccomandazioni. Pressioni politiche. Affari. Le telefonate di Berlusconi, Saccà, Confalonieri, Moratti, Letta, Landolfi, Urbani, Minoli, Bordon, Barbareschi, Costanzo….
19 febbraio 2009. Berlusconi. L’ORGIA DEL POTERE. L’attacco al Quirinale e alla Costituzione. Il caso Englaro. La giustizia. Gli immigrati. L’offensiva a tutto campo del premier.
19 marzo 2009. Inchiesta. PIER6SILVIO SPOT. Le reti Mediaset perdono ascolto. Ma fanno il pieno di pubblicità a scapito della Rai. Da quando Berlusconi è tornato al governo, i grandi inserzionisti hanno aumentato gli investimenti sulle tivù del cavaliere.
14 maggio 2009. SCACCO AL RE. Il divorzio chiesto da Veronica Lario a Berlusconi. Tutte le donne e gli amori del Cavaliere. La contesa sull’eredità. Le possibili conseguenze sulla politica.
11 giugno 2009. SILVIO CIRCUS. Per l’Italia la fiction: tra promesse fasulle e clamorose assenze come nel caso Fiat-Opel. Per sé il reality: le feste in villa e i voli di Stato per gli amici.
17 giugno 2009. Governo. ORA GUIDO IO. Umberto Bossi è il vero vincitore delle elezioni. E già mette sotto ricatto Berlusconi e la maggioranza. Nell’opposizione Di Pietro si prepara a contendere la leadership al PD, reduce da una pesante sconfitta.
25 giugno 2009. ESTATE DA PAPI. Esclusivo. Le foto di un gruppo di ragazze all’arrivo a Villa Certosa. Agosto 2008.
9 luglio 2009. Il vertice dell’Aquila. G7 E MEZZO. Berlusconi screditato dalle inchieste e dagli scandali cerca di rifarsi l’immagine. Con la passerella dei leader della terra sulle macerie. L’attesa per un summit che conferma la sua inutilità.
16 luglio 2009. SILVIO SI STAMPI. Tenta di intimidire e limitare la libertà dei giornalisti. Ma Napolitano stoppa la legge bavaglio. E i giornali stranieri non gli danno tregua. Umberto eco: “E’ a rischio la democrazia”.
23 luglio 2009. TELESFIDA. Tra Berlusconi e Murdoch è il corso una contesa senza esclusione di colpi. Per il predominio nella Tv del futuro. Ecco cosa succederà e chi vincerà.
30 luglio 2009. Esclusivo. SEX AND THE SILVIO. Tutte le bugie di Berlusconi smascherate dai nastri di Patrizia D’Addario. Notti insonni, giochi erotici, promesse mancate, E ora la politica si interroga: può ancora governare il paese?
12 agosto 2009. Governo. SILVIO: BOCCIATO. Bugie ed escort. Conflitti con il Quirinale. Assalti al CSM. Debito Pubblico. Decreti di urgenza. Soldi al Sud. Clandestini e badanti. Bilancio del premier Berlusconi. E, ministro per ministro, a ciascuno la sua pagella.
3 settembre 2009. DOPPIO GIOCO. Montagne di armi per le guerre africane. Vendute da trafficanti italiani a suon di tangenti. Ecco la Libia di Gheddafi cui Berlusconi renderà omaggio. Mentre l’Europa chiede di conoscere il patto anti immigrati.
10 settembre 2009. SE QUESTO E’ UN PREMIER. Si scontra con la chiesa. Litiga con l’Europa. Denuncia i giornali italiani e stranieri non allineati. E, non contento, vuol metter le mani su Rai 3 e La7.
1 ottobre 2009. GHEDINI MI ROVINI. Oggi è il consigliere più ascoltato del premier. Autore di leggi ad personam e di gaffe memorabili. Storia dell’onorevole-avvocato, dai camerati al lodo Alfano.
8 ottobre 2009. SUA LIBERTA’ DI STAMPA. Attacchi ai giornali. Querele. Bavaglio alle trasmissioni scomode della tv. Così Berlusconi vuole il controllo totale dell’informazione.
15 ottobre 2009. KO LODO. La Consulta boccia l’immunità, Berlusconi torna imputato. E rischia un’ondata di nuove accuse. Ma la sua maggioranza si rivolge alla piazza. E apre una fase di grande tensione istituzionale.
19 novembre 2009. LA LEGGE DI SILVIO. Impunità: è l’obbiettivo di Berlusconi. Con misure che annullano migliaia di processi. E con il ripristino dell’immunità parlamentare. Mentre Cosentino resta al governo dopo la richiesta di arresto.
16 dicembre 2009. SCADUTO. I rapporti con i clan mafiosi. Lo scontro con Fini. I guai con la moglie Veronica e con le escort. L’impero conteso con i figli. L’anno orribile di Silvio Berlusconi.
21 gennaio 2010. Palazzo Chigi. SILVIO QUANTO CI COSTI. 4.500 dipendenti. Spese fuori controllo per oltre 4 miliardi di euro l’anno. Sono i conti della Presidenza del Consiglio. Tra sprechi, consulenze ed eventi mediatici.
4 marzo 2010. UN G8 DA 500 MILIONI DI EURO. Quanto ci è costato il vertice tra la Maddalena e l’Aquila. Ecco il rendiconto voce per voce, tra sprechi e raccomandazioni: dal buffet d’oro ai posacenere, dalle bandierine ai cd celebrativi.
18 marzo 2010. SENZA REGOLE. Disprezzo della legalità. Conflitti con il Quirinale. Attacchi ai magistrati e all’opposizione. Scandali. E ora per la sfida elettorale Berlusconi mobilita la piazza. Con il risultato di portare il paese nel caos.
31 marzo 2010. STOP A SILVIO. Le elezioni regionali possono fermare la deriva populista di Berlusconi. Bersani: “Pronti al dialogo con chi, anche a destra, vuole cambiare”.
13 maggio 2010. IL CASINO DELLE LIBERTA’. Le inchieste giudiziarie. Gli scontri interni al partito. La paralisi del Governo. Dopo le dimissioni di Scajola, Berlusconi nella bufera.
27 maggio 2010. STANGATA DOPPIA. Prima il blocco degli stipendi degli statali, i tagli sulla sanità, la caccia agli evasori e un nuovo condono. Poi la scure sulle pensioni e un ritorno alla tassa sulla casa.
8 luglio 2010. I DOLORI DEL VECCHIO SILVIO. La condanna di Dell’Utri per mafia e il caso Brancher. La rivolta delle Regioni contro i tagli e l’immobilismo del governo. Le faide nel Pdl e i sospetti della Lega. Il Cavaliere alla deriva.
15 luglio 2010. SENZA PAROLE.
11 novembre 2010. BASTA CON ‘STO BUNGA BUNGA. BASTA LO DICO IO.
18 novembre 2010. QUI CROLLA TUTTO. Le macerie di Pompei. L’alluvione annunciata in Veneto. L’agonia della maggioranza. L’economia in panne. Per non dire di escort e bunga bunga. Fotografia di un paese da ricostruire.
16 dicembre 2010. La resa dei conti tra Berlusconi e Fini è all’atto finale. Chi perde rischia di uscire di scena. FUORI UNO.
22 dicembre 2010. FINALE DI PARTITA. Voti comprati. Tradimenti. Regalie…Berlusconi evita a stento la sfiducia, ma ora è senza maggioranza e deve ricominciare daccapo. Anche se resisterà, una stagione s’è chiusa. Eccola, in 40 pagine, di foto e ricordi d’autore.
27 gennaio 2011. ARCORE BY NIGHT. Un harem di giovanissime ragazze pronte a tutto. Festini, orge, esibizioni erotiche, sesso. L’incredibile spaccato delle serate di Berlusconi nelle sue ville. Tra ricatti e relazioni pericolose.
10 febbraio 2011. PRETTY MINETTI. Vita di Nicole, ragazza chiave dello scandalo Ruby. Intima di Berlusconi, sa tutto sul suo harem. Se ora parlasse.
26 maggio 2011. MADUNINA CHE BOTTA! Milano gli volta le spalle, Bossi è una mina vagante, il PDL spaccato già pensa al dopo. Stavolta Berlusconi ha perso davvero. Analisi di una disfatta. Che, Moratti o non Moratti, peserà anche sul governo.
21 giugno 2011. Esclusivo. VOI QUORUM IO PAPI. Domenica 12 giugno l’Italia cambia, lui no. Domenica 12 giugno l’Italia corre a votare, lui a villa Certosa a occuparsi d’altro. In queste foto, la wonderland del cavaliere. Lontana anni luce dal paese reale.
7 luglio 2011. Sprechi di Stato. IO VOLO BLU MA PAGHI TU. Il governo brucia centinaia di milioni per i suoi viaggi. E Berlusconi si regala due super elicotteri. A spese nostre.
21 luglio 2011. MISTER CRACK. La tempesta economica. La borsa in bilico. La paura del default. E un premier sempre isolato. Il varo della manovra è solo una tregua. Prima della resa dei conti. E spunta l’ipotesi di un governo guidato da Mario Monti.
25 agosto 2011. LACRIME E SANGUE. Diceva: meno tasse per tutti. Ma la pressione fiscale non è mai stata così alta. Chiamava Dracula gli altri. Ma ora è lui a mordere i soliti. Processo all’iniqua manovra d’agosto. Che ci cambia la vita e non tocca gli evasori.
15 settembre 2011. E SILVIO SI TAGLIO’ 300 MILIONI DI TASSE. Il Premier impone il rigore agli italiani. Ma gli atti sulla P3 svelano le trame per evitare la causa fiscale sulla Mondadori. Dal presidente della Cassazione al sottosegretario Caliendo, ecco chi si è mosso per salvarlo dalla maximulta.
29 settembre 2011. SERIE B.
13 ottobre 2011. SQUALIFICATO. Condannato dalla Chiesa, mollato dagli imprenditori, bocciato dalle agenzie di rating. E’ l’agonia di un leader né serio né credibile che non si decide a lasciare. Denuncia Romano Prodi a “L’Espresso”: Qualsiasi governo sarebbe meglio del suo.
17 novembre 2011. THE END. Berlusconi tenterà di sopravvivere, ma ha dovuto prendere atto della fine del suo governo. Intanto la crisi economica si fa sempre più drammatica e la credibilità dell’Italia è ridotta a zero. Non c’è più tempo da perdere.
19 gennaio 2012. I GATTOPARDI. Crescita, liberalizzazioni, lotta all’evasione e alla casta…Monti è atteso alla prova più dura. Ma i partiti frenano. Come se avessero voluto cambiare tutto per non cambiare niente.
5 luglio 2012. RIECCOLO. Attacco euro e Merkel. Destabilizza il governo Monti. Blocca la Rai. E rivendica la leadership del suo partito. Così Berlusconi prova ancora una volta a farsi largo.
14 febbraio 2013. VI AFFONDO IO. Pur di risalire al china Silvio Berlusconi sfascia tutto accende la campagna elettorale con promesse da marinaio e terrorizza i mercati. Davvero può farcela? Chi lo fermerà? E come dovrebbe reagire il PD? L’Espresso lo ha chiesto a due guru.
19 settembre 2013. BOIA CHI MOLLA. Accettare il silenzio la decadenza o l’interdizione. O fare un passo indietro prima del voto. Berlusconi ha pronta una via d’uscita. Per restare il capo della destra.
29 novembre 2013. EXTRA PARLAMENTARE. Per Berlusconi si chiude un ventennio e comincia lo scontro finale: fuori dal Senato e in piazza, dalle larghe intese all’opposizione dura. Contro il governo, contro Napolitano, contro l’Europa…..
Antonio Giangrande: Le Fake News della stampa italiana sulla Turchia.
Ma è vero che in Turchia c’è la dittatura ed un sistema elettorale fondato sui brogli?
Secondo i giornalisti italiani, legittimati dalla legge ad essere i soli a scrivere e ad essere i soli ad essere letti, abilitati per concorso pubblico per raccontare fatti secondo verità, continenza, e pertinenza, sì.
Il commento del dr Antonio Giangrande. Scrittore, sociologo storico, giurista, blogger, youtuber, presidente dell’Associazione Contro Tutte le Mafie.
Premesso che proprio gli italiani sui brogli elettorali meglio che tacciano, se già ci furono dubbi sui risultati della consultazione elettorale con il referendum istituzionale del 2-3 giugno 1946, che sancì la nascita della Repubblica italiana.
Poi ci aggiungiamo le accuse periodiche di brogli per ogni tornata elettorale italiana, tralasciando quelle sulle primarie e sui tesseramenti della sinistra: "Noi abbiamo una tradizione molto negativa nel nostro passato circa le votazioni, in molte occasioni ci sono stati sottratti voti per la professionalità nei brogli della sinistra". Lo dice Silvio Berlusconi al Corriere Live spiegando che, senza un metodo tecnologicamente più avanzato, la correttezza del voto non è assoluta: "Fino a quando noi non avremo un voto diverso dalla matita i brogli sono possibili". Tuttavia, aggiunge il leader di Fi, "ritengo che quando c'è un risultato elettorale, chi perde non può non riconoscere la vittoria dell'altra parte. Poi si possono eventualmente avanzare richieste di riconteggio dello schede, una volta fatte delle verifiche". (02/12/2016 Adnkronos.com).
Broglio, da Wikipedia. La moderna espressione italiana deriva da un analogo termine veneziano. Nell'antica Serenissima era infatti consuetudine per i membri della nobiltà impoverita riunirsi in uno spazio antistante il Palazzo Ducale di Venezia per far commercio dei propri voti in seno al Maggior Consiglio che reggeva la città e nel quale sedevano per diritto ereditario. Tale spazio era allora noto col nome di Brolio dal latino Brolus, cioè "orto", retaggio del fatto che la terra su cui tuttora sorge piazza San Marco era in antico proprietà agricola del vicino monastero di San Zaccaria.
L'accusa di brogli elettorali in Italia è antica. Durante il Risorgimento, le annessioni dei regni preunitari al Regno d'Italia, vennero sempre ratificate mediante plebisciti. Tali consultazioni, a suffragio censitario, si svolsero senza tutela della segretezza del voto e talvolta in un clima di intimidazione. I "no" all'annessione furono in numero irrisorio e statisticamente improbabile. Il procedimento dei plebisciti durante il Risorgimento fu criticato da diverse personalità politiche ed il The Times sostenne che fu «la più feroce beffa mai perpetrata ai danni del suffragio popolare». Tale evento è stato anche trattato nel romanzo "Il Gattopardo" di Giuseppe Tomasi di Lampedusa.
Alla nascita della Repubblica Italiana, i monarchici attribuirono la loro sconfitta a brogli elettorali. Nella puntata del 5 febbraio 1990 della trasmissione Mixer, condotta da Giovanni Minoli, andò in onda un falso scoop secondo il quale il re avrebbe fatto in modo che il referendum proclamasse la Repubblica per evitare al paese la guerra civile, ma si trattava soltanto di un abile montaggio per esibire quanto la televisione potesse deformare la realtà dei fatti e influenzare il pensiero dei cittadini, e scatenò un mare di polemiche.
Appena conclusesi le consultazioni per il rinnovo del parlamento italiano del 2006 il premier Silvio Berlusconi, primo caso nella cinquantennale storia della Repubblica di una tale grave contestazione da parte di un esponente del governo uscente, ha paventato l'ipotesi di brogli elettorali sebbene il presidente Ciampi e il Ministro dell'interno Pisanu avessero espresso il loro compiacimento per lo svolgimento regolare delle elezioni. Durante i giorni dell'insediamento del Senato della Repubblica della XV legislatura Roberto Calderoli ha continuato ad insistere sulle ipotesi di brogli elettorali, confermando la sua convinzione secondo la quale la Casa delle Libertà è risultata vittima di un complotto che l'ha privata della vittoria elettorale. Piuttosto, forti sospetti ha destato l'insolito comportamento di Pisanu. Mai infatti, nella storia dell'Italia repubblicana, un ministro dell'interno aveva abbandonato il Viminale nel corso delle operazioni di spoglio elettorale. Convocato da Berlusconi, il ministro ha dovuto sostenere un faccia a faccia con quest'ultimo e, cosa ancora più strana, nessuno è a conoscenza di quello che fu l'oggetto della loro discussione. Sulla vicenda dei possibili brogli alle elezioni politiche italiane del 2006 sono anche usciti un romanzo e un documentario: Il broglio di Aliberti editore; Uccidete la democrazia!
Altra cosa è l’accusa di tirannia turca.
Porca miseria, mi spiegate quali poteri prende Erdogan? Si chiede Nicola Porro il 18 aprile 2017 sul suo canale youtube. «Tutti quanti i giornali oggi parlano di Erdogan e la vittoria del referendum di misura del 51%. L’intervista del Corriere della Sera sugli osservatori OCSE che avrebbero contestato e che contestano le elezioni di Erdogan sono fatte da una vecchia conoscenza del Parlamento Italiano: Tana de Zulueta. Ex corrispondente dell’Economist una vita contro Silvio Berlusconi, una parentesi contro Erdogan. Vi leggete l’intervista sul Corriere della Sera e capite che i brogli probabilmente ci sono stati, forse sono stati significativi. Non lo so. Ricordiamo che anche la nostra Repubblica è nata sui brogli. Lì è nata forse una dittatura, dicono gli osservatori più attenti, ma l’intervista di Tana De Zulueta, tutto fa, come rappresentante dell’OCSE, tranne rassicurarci sulla serietà, non solo di Erdogan, ma anche dell’Ocse. Ma questo è un discorso a parte. La domanda, che io mi faccio e che rivolgo a tutti quanti voi, è: quali sono questi poteri che Erdogan avrebbe acquistato dopo i referendum?
Porca miseria: A, B, C, secondo me, del giornalismo. Ma siete tutti quanti voi che comprate i giornali, pochi per la verità, dei fenomeni, degli esperti di geopolitica. E volete tutti vendere commenti, di leggervi Ferrari; di leggervi Sergio Romano; leggervi, son so, Montale; leggervi Kissinger; leggervi Dante Alighieri; o qualcuno di voi alza il dito: scusate, ma quali sono i poteri che Erdogan prende con questo referendum?
Non c’è un porca miseria di giornale che oggi, il giorno in cui passa il referendum, ci scrive con semplicità, quali sono questi poteri dittatoriali che ha preso Erdogan. Li avrà presi sicuramente, non lo metto in dubbio, ma almeno scrivete. Io che sono banalmente uno che legge i giornali, oggi avrei voluto vedere sui giornali che cosa succedeva alla Turchia da domani. Mentre non riesco a capirci nulla. Lego l’intervista al presidente del Parlamento Europeo, e non solo lui, Tajani, che dice “forse farà un referendum per chiedere la pena di morte. Quindi in futuro farà un referendum a cui faranno giudicare i turchi sulla pena di morte. Se dovesse fare, accettare, vincere quel referendum non potrebbe più partecipare alla discussione sull’Europa. Ma oggi, con questo referendum che poteri ha avuto Erdogan? Un solo dettaglio lo leggo.
Erdogan potrà, da presidente della Repubblica turca, potrà anche tornare a diventare segretario della AKP, che è il partito confessionale che lo ha visto leader. Quindi una delle riforme, è che lui potrà fare: Presidente della Repubblica e Segretario del partito. Mi chiedo: ma questa cosa in Italia, per esempio, che non è una dittatura, vi suona familiare? I presidenti del Consiglio che sono anche segretari di partito, non l’avete mai sentita? Lo chiedo. Perché se questa è la riforma che rende dittatura la Turchia, anche noi siamo una dittatura».
PROPOSTA DI RIFORMA COSTITUZIONALE. Da Wikipedia. Descrizione analitica delle modifiche.
1. Articolo 9. La magistratura è tenuta ad agire in condizioni di imparzialità.
2. Articolo 75. Il numero di seggi nel parlamento aumenta da 550 a 600.
3. Articolo 76. L'età minima per candidarsi ad un elezione scende da 25 anni a 18 anni. È abolito l'obbligo di aver completato il servizio militare obbligatorio per i candidati. Gli individui con rapporti militari sono ineleggibili e non possono partecipare alle elezioni.
4. Articolo 78. La legislatura parlamentare è estesa da 4 a 5 anni. Le elezioni parlamentari e presidenziali si tengono nello stesso giorno ogni 5 anni. Per le presidenziali è previsto un ballottaggio se nessun candidato ha ottenuto la maggioranza assoluta al primo turno.
5. Articolo 79. Vengono istituite le regole per i cd. «parlamentari di riserva», che vanno a sostituire i posti dei deputati rimasti vacanti.
6. Articolo 87. Le funzioni del Parlamento sono: a) approvare, cambiare e abrogare le leggi; b) ratificare le convenzioni internazionali; c) discutere, approvare o respingere il bilancio dello Stato; d) nominare 7 membri del Supremo Consiglio dei Giudici e dei Pubblici Ministeri; e) usare tutti gli altri poteri previsti dalla Costituzione.
7. Articolo 98. Il parlamento monitora il governo e il vicepresidente con ricerche parlamentari, indagini parlamentari, discussioni generali e domande scritte. L'istituto dell'interpellanza è abolito e sostituita con le indagini parlamentari. Il vicepresidente deve rispondere alle domande scritte entro 15 giorni.
8. Articolo 101. Per candidarsi alla presidenza, un individuo deve ottenere l'approvazione di uno o più soggetti che hanno ottenuto il 5% o più nelle elezioni parlamentari precedenti e di 100.000 elettori. Il presidente eletto non è obbligato a interrompere la sua appartenenza a un partito politico.
9. Articolo 104. Il presidente diventa sia il capo dello Stato che capo del governo, con il potere di nominare e rimuovere dall'incarico i ministri e il vicepresidente. Il presidente può emettere «decreti esecutivi». Se l'organo legislativo fa una legge sullo stesso argomento di un decreto esecutivo, quest'ultimo diventerà invalido, mentre la legge parlamentare entrerà in vigore.
10. Articolo 105. Il Parlamento può proporre un'indagine parlamentare nei confronti del Presidente con la maggioranza assoluta (301). La proposta va discussa per 1 mese, per poi essere aperta con l'approvazione di 3/5 (360) dei deputati (votazione segreta). Concluse le indagini, il parlamento può mettere in stato di accusa il presidente con l'approvazione dei 2/3 (400) dei parlamentari (votazione segreta).
11. Articolo 106. Il Presidente può nominare uno o più Vicepresidenti. Se la Presidenza si rende vacante, le elezioni presidenziali devono svolgersi entro 45 giorni. Se le future elezioni parlamentari si dovessero svolgere entro un anno, anch’esse si svolgono lo stesso giorno delle elezioni presidenziali anticipate. Se la legislatura parlamentare termina dopo più di un anno, allora il neo-eletto presidente serve fino alla fine della legislatura, al termine della quale si svolgono sia le elezioni presidenziali che parlamentari. Questo mandato non deve essere contato per il limite massimo di due mandati del presidente. Le indagini parlamentari su possibili crimini commessi dai Vice Presidenti e ministri possono iniziare in Parlamento con il voto a favore di 3/5 deputati. A seguito del completamento delle indagini, il Parlamento può votare per incriminare il Vice Presidente o i ministri, con il voto a favore di 2/3 a favore. Se riconosciuto colpevole, il Vice Presidente o un ministro in questione viene rimosso dall'incarico solo qualora il suo crimine è uno che li escluderebbe dalla corsa per l'elezione. Se un deputato viene nominato un ministro o vice presidente, il suo mandato parlamentare termina immediatamente.
12. Articolo 116. Il Presidente o 3/5 del Parlamento possono decidere di rinnovare le elezioni politiche. In tal caso, il Presidente decade dalla carica e può essere nuovamente candidato. Le nuove elezioni saranno sia presidenziali che parlamentari.
13. Articolo 119. La possibilità del presidente di dichiarare lo stato di emergenza è ora oggetto di approvazione parlamentare per avere effetto. Il Parlamento può estendere la durata, accorciarla o rimuoverla. Gli stati di emergenza possono essere estesi fino a quattro mesi tranne che durante la guerra, dove non ci saranno limitazioni di prolungamento. Ogni decreto presidenziale emesso durante uno stato di emergenza necessita dell'approvazione del Parlamento.
14. Articolo 123. Il presidente ha il diritto di stabilire le regole e le procedure in materia di nomina dei funzionari dipendenti pubblici.
15. Articolo 126. Il Presidente ha il diritto di nominare alcuni alti funzionari amministrativi.
16. Articolo 142. Il numero dei giudici nella Corte costituzionale scende da 17 a 15. Quelli nominati dal presidente scendono da 14 a 12, mentre il Parlamento continua a nominarne 3. I tribunali militari sono aboliti a meno che non vengono istituiti per indagare sulle azioni dei soldati compiute in guerra.
17. Articolo 159. Il Supremo Consiglio dei Giudici e dei Pubblici Ministeri viene rinominato in "Consiglio dei Giudici e dei Pubblici Ministeri". I membri sono ridotti da 22 a 13, e i dipartimenti giudiziari scendono da 3 a 2: quattro membri sono nominati dal Presidente, sette dal parlamento, gli altri 2 membri sono il ministro della giustizia e il sottosegretario del Ministero della giustizia. Ogni membro nominato dal parlamento viene eletto in due turni: nel primo necessita dell'approvazione dei 2/3 dei parlamentari, al secondo dei 3/5.
18. Articolo 161. ll presidente propone il bilancio dello Stato al Grande Assemblea 75 giorni prima di ogni nuova sessione annuale di bilancio. I membri della Commissione parlamentare del Bilancio possono apportare modifiche al bilancio, ma i parlamentari non possono fare proposte per cambiare la spesa pubblica. Se il bilancio non viene approvato, verrà proposto un bilancio provvisorio. Se nemmeno il bilancio provvisorio non approvato, il bilancio dell'anno precedente sarà stato utilizzato con il rapporto incrementale dell'anno precedente.
19. Diversi articoli. Adattamento di diversi articoli per il passaggio dei poteri esecutivi dal governo al presidente.
20. Temporaneo articolo 21. Le prossime elezioni presidenziali e parlamentari si terranno il 3 novembre 2019. L'elezione del Supremo Consiglio dei Giudici e dei Pubblici Ministeri avverrà entro 30 giorni dall'approvazione della presente legge. I tribunali militari sono aboliti con l'entrata in vigore della legge.
21. Diversi articoli. Gli emendamenti 2, 4 e 7 entreranno in vigore dopo nuove elezioni, gli altri emendamenti (tranne quelli temporanei) entreranno in vigore con il giuramento del nuovo presidente.
Se la Turchia è una dittatura, cosa dire di quella tanto decantata democrazia invidiata da tutti?
Potere esecutivo USA, da Wikipedia.
Il potere esecutivo è tenuto dal Governo federale, composto dal Presidente degli Stati Uniti (President of the United States of America), dal Vicepresidente (Vice President of the United States of America) e dal Gabinetto (Cabinet of the United States), cioè il gruppo di "ministri" (tecnicamente chiamati "Segretari", tranne colui a capo dell'amministrazione della giustizia, nominato "Procuratore generale") a capo di ogni settore della pubblica amministrazione, i Dipartimenti. Se, come è ovvio, i Segretari sono di nomina presidenziale, il Presidente e il Vicepresidente vengono eletti in occasione di elezioni presidenziali separate dalle elezioni per il rinnovo del Congresso e che si svolgono ogni quattro anni (con il limite massimo di due mandati).
I poteri del Presidente sono molto forti. Oltre ad essere a capo del governo federale ed essere sia il comandante supremo delle forze armate e capo della diplomazia, il Presidente possiede anche un forte potere di veto per bloccare la promulgazione delle leggi federali emanate dal Congresso (potere superabile soltanto quando la legge viene approvata a larga maggioranza).
Paesi democratici e non tirannici sono naturalmente anche quei paesi, come l’Olanda e la Germania, che hanno impedito i comizi di esponenti turchi presso le loro comunità, ma non hanno potuto impedire a questi (senza brogli) di esprimere un voto maggioritario di gradimento alla riforma del loro paese.
Antonio Giangrande: A COME ABUSIVISMO EDILIZIO ED EVENTI NATURALI.
La Natura vive. Alterna periodi di siccità a periodi di alluvioni e conseguenti inondazioni.
La Natura ha i suoi tempi ed i suoi spazi.
Anche l’uomo ha i suoi tempi ed i suoi spazi. Natura ed Uomo interagiscono, spesso interferiscono.
Un fenomeno naturale diventa allarmismo anti uomo degli ambientalisti.
Da sempre in montagna si è costruito in vetta o sottocima, sul versante o sul piede od a valle.
Da sempre in pianura si è costruito sul greto di fiumi e torrenti.
Da sempre lungo le coste si è costruito sul litorale.
Cosa ci sia di più pericoloso di costruire là, non è dato da sapere. Eppure da sempre si è costruito ovunque perché l’uomo ha bisogno di una casa, come gli animali hanno bisogno di una tana.
Invece, anziché pulire gli alvei (letti) dei fiumi o mettere in sicurezza i costoni dei monti per renderli sicuri, si impongono vincoli sempre più impossibili da rispettare.
Invece di predisporre un idoneo ed aggiornato Piano Regolatore Generale (Piano Urbanistico Comunale) e limitare tempi e costi della burocrazia, si prevedono sanzioni per chi costruisce la sua dimora.
A questo punto, quando vi sono delle disgrazie, l’allarmismo dell’ambientalismo ideologico se la prende con l’uomo. L’uomo razzista ed ignorante se la prende con i meridionali: colpa loro perché costruiscono abusivamente contro ogni vincolo esistente.
Peccato che le disgrazie toccano tutti: in pianura come in montagna o sulla costa, a prescindere dagli abusi o meno fatti da Nord a Sud.
Solo che al Nord le calamità sono disgrazie, al Sud sono colpe.
Peccato che i media razzisti nordisti si concentrano solo su temi che discriminano le gesta dei loro padroni.
Antonio Giangrande: Italia. Educazione civica e disservizi.
Sosta selvaggia e raccolta differenziata dei rifiuti.
Lo scrittore e sociologo storico Antonio Giangrande, nel suo ultimo libro (L’Italia allo Specchio. Il DNA degli italiani. Anno 2019. Prima parte. In vendita su Amazon in formato Book o ebook) parla dei parcheggi e della raccolta e smaltimento dei rifiuti.
Italia. Sosta selvaggia ed incompetenza.
I turisti, nel mettere piede in Italia, la prima cosa che notano è che sulla strada ognuno fa quel che gli pare. E’ abbastanza irregolare la circolazione, ma allucinante è il comportamento di chi si ferma con il suo veicolo. Un codice della strada fai da te, insomma.
Il fenomeno più appariscente è la sosta selvaggia.
Ma è possibile che in Italia ognuno parcheggia come gli pare, con il benestare dei vigili urbani e delle amministrazioni comunali?
La trasmissione televisiva di Mediaset, Striscia la Notizia, da sempre e stranamente si occupa solo dei parcheggi riservati ai disabili, occupati da chi non ne ha diritto.
Addirittura, chi si ritiene il più onesto del firmamento, cade nella tentazione della sosta selvaggia: “Multe per doppia fila al comizio della Raggi. I grillini: è un complotto - scrive il lunedì 23 maggio 2016 Carlo Marini su Secolo d’Italia.- Comizio di Virginia Raggi a Roma. A Piana del Sole, periferia romana, gli slogan sono i soliti: “Onestà, onestà”. Ma basta l’arrivo dei vigili urbani per mandare nel panico l’aspirante sindaco M5S e i suoi sostenitori. Una voce dalla platea lancia l’allarme: «Stanno a fa’ le multe». «Proprio adesso dovevano venì». I grillini, che vedono “microchip sotto la pelle” e “complotti” dappertutto, non hanno dubbi. Li palesa il deputato pentastellato al tavolo della Raggi, Stefano Vignaroli «Cioè a Piana del Sole non si vede un vigile nemmeno…». Virginia tace e sorride imbarazzata. Il rispetto delle regole dovrebbe valere per tutti. Anche per chi sa solo gridare “onestà, onestà”.
Eppure in Italia è consentito parcheggiare, ovunque, anche quando non ci sono le strisce che delimitano l’area di sosta, e comunque, come in doppia fila. Il tutto salvo che non ci sia un espresso divieto di legge od amministrativo e che ci sia qualcuno che lo faccia rispettare.
Quindi, lungo la carreggiata cittadina, anche a doppio senso di circolazione, ove l’area di sosta non è delimitata dalle strisce bianche o blu, auto, camper e roulotte, autocarri con rimorchio ed autoarticolati, autobus ed autosnodati possono parcheggiare come, quando e quanto vogliono, pur se intralciano il traffico?
Per il codice della strada e per la Corte di Cassazione: Sì. Basta che ci sia lo spazio di transito pari almeno a 3 metri.
E per quanto riguarda la sosta in seconda o terza fila?
Il parcheggio in doppia fila è una pratica piuttosto diffusa, soprattutto nelle grandi città dove la carenza cronica di parcheggi crea molti disagi soprattutto a chi ha bisogno di fare una sosta breve, “al volo”, per fare una veloce commissione. Il nostro “5 minuti e poi la sposto” può creare gravi problemi alle auto che risultano bloccate e che non possono muoversi. Oltre ad intralciare la circolazione. “La lascio qui due secondi e torno subito” pensiamo, non rendendoci conto che stiamo infrangendo non solo il Codice della Strada, ma anche il Codice Penale, commettendo un vero reato. Quante volte è capitato di vedere un’auto parcheggiata in doppia fila e di augurarsi che un vigile facesse un’improvvisa comparizione per punire il colpevole?
La sosta in doppia fila è esplicitamente vietata dal Codice della Strada, all’articolo 158, comma 2, lettera c, dove stabilisce, con la stessa occasione, anche la sanzione amministrativa pecuniaria, che oscillerà tra un minimo di 41€ e un massimo di 168€ per i mezzi a quattro ruote, e tra un minimo di 24€ e un massimo di 97€ per le due ruote a motore. L’articolo successivo (art. 159 C.P.) sancisce addirittura la possibilità per gli agenti di Polizia di provvedere ad ordinare la rimozione forzata, nel caso in cui la sosta vietata costituisca un pericolo o un grave intralcio alla circolazione degli altri veicoli. La situazione può però aggravarsi e diventare persino un reato (quindi un’infrazione del Codice Penale), almeno secondo l’interpretazione della Cassazione. I Giudici infatti hanno stabilito con le sentenze 24614/2005 e 32720/2014 che la sosta in doppia fila è idonea ad integrare il reato di violenza privata, proprio a causa dell’ostruzione dell’unica via d’uscita di un altro veicolo.
Quando la legge chiude un occhio. Attenzione però, perché esistono delle situazioni in cui il parcheggio in doppia fila è tollerato. Questo significa che, anche nel caso in cui all’automobilista venga notificata la violazione dell’articolo 158, comma 2, lett. c, del Codice della Strada, egli potrà presentare ricorso e ottenere l’annullamento della sanzione. Ma quali sono questi casi e come individuarli chiaramente? Come è facile immaginare, la legge non specifica i singoli casi in cui sia possibile adottare o meno un certo comportamento, ma si limita a definire i principi fondamentali. I quali, nello specifico, si ritrovano nell’articolo 54 del Codice Penale, che recita: “Non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di salvare sé od altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona, pericolo da lui non volontariamente causato, né altrimenti evitabile, sempre che il fatto sia proporzionato al pericolo”.
Il caso specifico delle eccezioni. Per passare dai principi generali all’applicazione della legge, quand’è che la sosta in doppia fila è consentita? Si tratta di tutti quei casi in cui si prefigurino:
Carattere d’urgenza e imminenza;
Situazione di pericolo non evitabile (non esistono soluzioni alternative);
Condizione di gravità della situazione che si vuole evitare.
Ci penserà l’italica genialità a trovare l’eccezione e la latina persuasione a porre rimedio.
Rifiuti. Affari, ma non per tutti.
Oggetto di raccolta sono i rifiuti domestici e quelli cosiddetti assimilati ovvero quelli derivanti da attività economiche, artigianali, industriali che possono essere assimilati (con decisione del comune tramite apposita delibera) per qualità a quelli domestici.
Natura della tassa sui rifiuti. Il presupposto della tassa è l'occupazione di uno o più spazi, adibiti a qualsiasi uso e giacenti sul territorio del comune dove il servizio di smaltimento rifiuti è reso in maniera continuativa. Quindi, il presupposto impositivo non è il servizio prestato dal comune, ma la potenziale attitudine a produrre rifiuti da parte dei soggetti detentori degli spazi. Infatti, fatta eccezione per i comuni con popolazione inferiore a 35.000 abitanti, l'importo da corrispondere per questa tassa non è commisurato ai rifiuti prodotti, ma alla quantità di spazi occupati. Tali presupposti danno a questa tassa natura di imposta anziché di tassa, il cui importo viene invece commisurato al servizio prestato. Un altro elemento che lascia propendere verso la natura di tributo è dato dal fatto che la Tassa non è soggetta a IVA, come lo sarebbe invece stato qualunque tipo di servizio.
Ma come mai più si differenzia, più si paga?
Più si conferiva il tal quale indifferenziato, meno si pagava. Che strano ambientalismo!
Prima c’erano i cassonetti dell’indifferenziata. Poche spese e pochi operatori ecologici. In alcune zone scatta l’emergenza dei rifiuti, più per complotti politici e speculazioni economiche per la gestione delle discariche.
Poi ai tradizionali cassonetti si sono aggiunti i contenitori per carta, plastica, vetro, formando le isole ecologiche. Più spese e più operatori ecologici, ma anche più guadagni per la vendita del differenziato. In alcune zone aumenta l’emergenza dei rifiuti, più per complotti politici, ma crescono le speculazioni economiche: per la gestione delle discariche e per gli affari sul differenziato.
La politica si inventa l’ecotassa. Tributo speciale per il deposito dei rifiuti solidi in discarica.
Poi siamo arrivati all’oggi. Raccolta porta a porta dei rifiuti. Distribuzione dei contenitori per il conferimento dei vari rifiuti, divisi per specie. In alcuni paesi cinque, ad altri solo due. I colori sono differenti da paese a paese.
Ogni bidone (utenze non domestiche) o bidoncino (utenze domestiche) avrà il suo giorno stabilito per essere svuotato.
L’utente ha bisogno di una laurea. Finisce come la parodia di Ficarra e Picone nel film: l’Ora legale. Ficarra si mangia la buccia del melone, non sapendo dove buttarla e chiede: “Voi a Milano i tovaglioli sporchi di sugo dove li buttate?”
OGNI BIDONE UN COLORE, OGNI COLORE UN TIPO DI SPAZZATURA, TU LI SAI?
Cerchiamo di capire quali sono i colori più utilizzati per i bidoni della spazzatura nella raccolta differenziata dei rifiuti, non esiste ancora uno standard, ma in linea di massima queste sono le colorazioni più usate.
Pur non essendo ancora ufficialmente uno standard, si può dire che per la raccolta differenziata i vari colori dei bidoni seguono questo schema:
Bianco: Carta, cartone (riviste, giornali e materiali cellulosici in generale)
Verde: Vetro (bottiglie, barattoli, specchi, etc.)
Rosso o marroncino: Organico (umido)
Giallo: Plastica riciclabile (bottiglie di bevande, detersivi, prodotti per l’igiene, etc.)
Blu: Alluminio (lattine, imballaggi, bombolette spray, etc.)
Va comunque detto che essendo i comuni gli assegnatari dei vari colori in alcune zone potrebbero esserci delle variazioni, infatti ci sono zone in cui i bidoni blu sono destinati a carta e cartone, quelli verdi a vetro e lattine, quelli gialli alla plastica, quelli marroni o rossi ai rifiuti non riciclabili, quelli arancioni all'indifferenziata e quelli neri ai rifiuti organici. Ma non è finita qui, ad ogni sacco un colore, ad ogni colore un tipo di spazzatura, secondo voi vale la stessa regola e lo stesso abbinamento di colori che abbiamo appena visto per i bidoni?
Sempre che i bidoni rimangano in nostro possesso in comodato d’uso, perché un nuovo sport prende piede: il furto di bidoni e bidoncini. Le denunce presentate posso riempire centinaia di questi bidoni. E la burocrazia anche in questi casi punisce in modo grave. Dopo la denuncia seguono giorni di attesa e di adempimenti per la sostituzione di un bidoncino di pochi euro di valore.
Poi bisogna combattere anche con l’arroganza degli operatori che ti riprendono per ogni errore: smaltire un certo tipo di rifiuti in giorni sbagliati o in orari sbagliati.
Se poi gli operatori minacciano di sanzione in caso di errore, allora l’ansia cresce.
Intanto le utenze domestiche diventano bombe ecologiche, con tanti contenitori sparsi per casa che non trovano posto.
E che dire delle città e dei paesi che sono delle vere bidonville maleodoranti, ossia strade invase da bidoni perenni posti sui marciapiedi (da 2 a 5 per utenza non domestica, come negozi, ristoranti, attività artigianali e professionali, ecc.).
Dove ci sono loro (i bidoni) è impedito il transito ai pedoni.
Intanto i pseudo ambientalisti osteggiano i termovalorizzatori per meri intenti speculativi.
Rifiuti organici, in Italia un giro d'affari da 1,8 miliardi di euro. Aumenta la raccolta nel 2017, a livello nazionale passa da 107 a 108 kg la raccolta annuale procapite. Lombardia in testa per produzione, scrive La Repubblica il 16 Febbraio 2019.
Sulle tariffe rifiuti, l’Italia non è unita (e i virtuosi sono pochi). I dati sulle tariffe rifiuti fotografano un Paese iperframmentato: i virtuosi pagano meno e solo al top per raccolta differenziata e tariffazione puntuale, scrive Rosy Battaglia il 14.12.2018 su valori.it. Se il giro d’affari dell’industria del riciclo è stimato in 88 miliardi di fatturato, con ben 22 miliardi di valore aggiunto, ovvero l’1,5% di quello nazionale, come riporta lo studio di Ambiente Italia (promosso da Conai e da Cial, Comieco, Corepla e Ricrea) quanto costano, invece, i rifiuti alle famiglie italiane?
I miliardi nel cassonetto: chi vince e chi perde nel grande business dei rifiuti. Un giro d’affari di 11 miliardi: i profitti tutti al Nord e all’estero, dove arrivano centinaia di treni e camion dalle regioni del Centrosud rimaste gravemente indietro, che non possono fare altro che imporre tasse più alte, scrive Daniele Autieri su La Repubblica il 22 maggio 2017.
Raccolta differenziata, tra conflitti di interesse e dati segreti: “Costi a carico delle casse pubbliche”. Tra opacità e critiche dell'Antitrust, il sistema Conai non garantisce la copertura dei costi di raccolta a carico dei Comuni con i prezzi di fatto definiti dai produttori di imballaggi. Una situazione capovolta rispetto a quella di altri Paesi europei, scrive Luigi Franco l'8 Ottobre 2016 su Il Fatto Quotidiano. Domanda numero uno: quanta plastica, carta o vetro da riciclare ha raccolto il tal comune? Domanda numero due: lo stesso comune quanti contributi che gli spettano per legge ha incassato a fronte dei costi sostenuti per la raccolta differenziata degli imballaggi? Due domande le cui risposte sono contenute nella banca dati Anci–Conai prevista dagli accordi tra l’Associazione nazionale dei comuni italiani e il Conai, ovvero il consorzio privato che è al centro del sistema della raccolta differenziata degli imballaggi. Numeri non diffusi ai cittadini, che possono contare solo su un report annuale con dati aggregati. Ma i dati aggregati non sempre vanno d’accordo con la trasparenza. E soprattutto non rendono conto delle incongruenze di una situazione su cui l’Antitrust di recente ha espresso le sue critiche, mettendo nero su bianco che “il finanziamento da parte dei produttori di imballaggi dei costi della raccolta differenziata non supera il 20% del totale, laddove invece, dovrebbe essere per intero a loro carico”. Con la conseguenza che a rimetterci sono le casse pubbliche, visto che tocca ai comuni coprire gran parte di quei costi.
Inceneritori in Italia, dove sono e qual è la differenza coi termovalorizzatori. Diversamente dai primi, i termoutilizzatori producono elettricità e non inquinano. Ma c'è il problema CO2. Da Nord a Sud, la mappa completa, scrive Paco Misale il 19 novembre 2018 su Quotidiano.net. Inceneritori e termovalorizzatori. In molti li identificano come la stessa cosa. In realtà, non è così. I primi sono impianti che bruciano i rifiuti e basta, mentre i secondi sono impianti che bruciano i rifiuti per generare energia. Gli inceneritori sono impianti vecchi, che oggi non si costruiscono più: si preferiscono i termovalorizzatori, che permettono non solo di distruggere i rifiuti, ma anche di produrre elettricità.
Termovalorizzatori e inceneritori, ecco verità e bufale, scrive Nino Galloni su Starmag il 19 novembre 2018. Perché si confondono termovalorizzatori e inceneritori? Ha ragione Matteo Salvini, per due ordini di motivi:
1) né le discariche né la differenziata rappresentano la soluzione del problema;
2) il patto o contratto di governo è fondamentale (come rispettare il sabato) ma se ti cade l’asino nel pozzo lo vai a tirar fuori anche se è sabato.
Tuttavia, sia Salvini, sia la stampa e la televisione hanno parlato di termovalorizzatori e di inceneritori. Bene, quarant’anni fa c’erano gli inceneritori e una discreta mafia se ne interessò, ma la loro capacità di inquinare e rilasciare diossina quando gli impianti si raffreddavano era massima. Vent’anni fa arrivarono i termovalorizzatori – dotati di filtri – riducevano l’inquinamento del bruciare, ma non abbastanza, in cambio fornivano energia elettrica da combustione (legno, rifiuti, gasolio, tutto può bruciare). Oggi esistono gli Apparati di Pirolisi; due brevetti italiani, Italgas e Ansaldo. Oggi, dunque, esistono Pirolizzatori di cui un tipo che emette gas combustibile, inerti ed anidride carbonica; ed un altro che non emette l’anidride carbonica perché svolge al chiuso i processi. Perché non si parla di dotare l’Italia di questi apparati attuali? Perché si confondono termovalorizzatori e inceneritori? Perché la mafia non solo non si è interessata ai Pirolizzatori, ma anzi, li ha osteggiati in tutti i modi entrando nella politica e nell’economia per impedirne la diffusione? Perché a Roma Virginia Raggi ed il suo staff non hanno voluto prendere in considerazione tale proposta? Ci sono anche altre tecniche non aerobiche – in cui, sempre al chiuso, intervengono i batteri – e che consentono di trasformare la risorsa “rifiuti” in concimi, fertilizzanti e gas naturali, combustibili, a impatto ambientale negativo (cioè risolvono più problemi dell’abbandonare i rifiuti – come tali – a sé stessi o cercare di riciclarli in modo non efficiente). Intendiamoci, la differenziata e l’economia circolare sono buonissime idee; ma perché vetro, metalli, plastica eccetera vengano recuperati occorre dotare le città di industrie adeguate, non mandare tali risorse in Svezia o in Germania (che, invece, al pari di alcuni lodevolissimi comuni italiani – ma l’eccezione conferma la regola- sanno approfittare di tali opportunità. Credo che dell’ambiente – e non solo – si debba ragionare in modo non propagandistico, valutando bene, di ogni cosa, l’impatto economico, finanziario e sociale. (Estratto di un articolo tratto da Scenari economici)
Rifiuti. Cosa fanno a Parigi. Scrive il Consorzio Recuperi Energetici. Un termovalorizzatore in parte interrato che tratta 460 mila tonnellate di rifiuti l’anno sull’argine della Senna. Vi sembra una fantasia? No è la realtà dell’impianto di Syctom Isseane, a Issy -les- Moulineeaux, un Comune della cintura di Parigi. Il progetto raggruppa 48 Comuni che hanno aderito ad un medesimo piano e si sono messi insieme per smaltire i rifiuti, realizzando quest’impianto. Dal 2007 il centro tratta i rifiuti prodotti di circa un milione di abitanti...Un’apposita carta della qualità ambientale è stata sottoscritta con il comune di Issy che garantisce le condizioni di qualità, di sicurezza e di protezione dell’ambiente. L’impatto sulla salubrità dell’ambiente è regolato da limiti rigorosissimi. Un impianto simile e forse anche più avanzato è quello di Firenze almeno sul ciclo dei rifiuti. Qui si raggiunge il 54% della raccolta differenziata ed entro il 2020 è previsto il 70%. Il termovalorizzatore di Case Passerini eviterà che i rifiuti residui, ossia quelli non riciclabili, siano inviati altrove producendo energia elettrica equivalente al fabbisogno annuo di 40 mila persone, climatizzando l’intero aeroporto ed eliminando lo smog causato dai camion che trasportano rifiuti nelle discariche.
Copenaghen, l'inceneritore con pista da sci sul tetto. Di Maio: "Ce la vedo ad Acerra..." Tutto pronto per il nuovo termovalorizzatore costato 670 milioni di dollari. Produrrà energia a impatto zero. Attorno un parco con piste ciclabili e impianti sportivi. Sul lato più alto della struttura la parete artificiale d'arrampicata più alta del mondo, scrive Paco Misale il 19 novembre 2018 su Quotidiano.net
Il Verde pubblico. Avetrana. La strage degli alberi. Il commento del Dr Antonio Giangrande, scrittore, blogger, youtuber.
Mi ero ripromesso di non occuparmi più della politica locale per la sua inutilità, ritenuta stantia e stagnante e periodicamente riproposta da gente di destra e di sinistra ambiziosa e senza alcun valore, ma di fronte alla desertificazione che l’odierna amministrazione di destra di Avetrana sta attuando al fine del suo mandato non è possibile rimanerne complici con il proprio silenzio. Questi signori stanno per finire di tagliare tutti gli alberi piantati dall’ultima amministrazione di sinistra, affinchè alla fine del loro mandato non ne rimanga nessuna testimonianza. Nessun motivo o giustificazione può essere avvalorato dalla logica. Hanno usato la scusa delle radici che spaccano il manto stradale; delle foglie che sporcano, del pericolo di cadute per cedimento. Hanno usato, addirittura, la scusa della presenza della Processionaria su qualche albero, per tagliarli tutti. Usano il metodo Xylella. Come dire: se il cane ha le pulci o le zecche, il coglione non disinfesta i parassiti, ma uccide il cane. Questi signori non hanno alcuna cultura ambientalista. Usare la potatura o la disinfestazione non è ipotesi alla loro portata. Meglio eliminare ogni pianta dal paese. Credevo che fosse il rosso il colore da costoro odiato…invece è il verde. Che peccato condividere il paese con gente che non ama la Natura, anche perché chi non ama la Natura, non ama l’uomo.
Antonio Giangrande: L'ambientalista Grillo con una casa sul bagnasciuga del mare. Per lui non ci sono vincoli ambientali, idrogeologici e distanze di rispetto? In affitto a 12.750 euro a settimana la villa in Toscana di Beppe Grillo. Maurizio Bologni su La Repubblica il 28 giugno 2021. Sulla spiaggia di Marina di Bibbona, ha segnato la storia politica del movimento 5S: dai summit al caminetto coi leader pentastellati ai faccia a faccia con Giuseppe Conte. Disponibile da settembre. Da Villa Corallina, splendida dimora di Beppe Grillo isolata dalla macchia mediterranea sulla spiaggia di Marina di Bibbona, provincia di Livorno, passa la storia politica del Movimento 5S, ma anche quella personale del comico diventato leader politico. Dai ripetuti summit del caminetto – c’è anche quello nella residenza al mare – coi vertici del partito, ai recenti faccia a faccia con Giuseppe Conte, tutto in quella che qualcuno ha definito l’ultima villa di un potere balneare, anche fatta perquisire dalla magistratura nel settembre 2019 nell’ambito dell’inchiesta giudiziaria per lo stupro di gruppo che coinvolge Ciro, figlio del leader.
Antonio Giangrande: Se l’ANPI è l’Associazione Nazionale dei Partigiani d’Italia, ed i partigiani non erano solo comunisti, chi ne fa parte quanti cazzo di anni hanno? Considerato che dovrebbero essere dei centenari, gli anni se li tengono molto bene. Se invece non sono Partigiani, ma solo gente di parte, che lo dicessero: siamo solo comunisti, che operano al di là della loro pertinenza storica.
Antonio Giangrande: Catastrofi naturali e salute. Fatalismo e prevenzione.
La demagogia degli scienziati e la sicurezza impossibile.
Prevenzione. Costi e burocrazia: la protezione irrealizzabile.
Antonio Giangrande: Razzismo e Disastri Ambientali.
Disastri Ambientali e Dissesti idrogeologici: morte e distruzione.
Alluvioni, Allagamenti, Smottamenti, Frane.
Per i media prezzolati e razzisti.
Al Nord Italia: Eventi e danni naturali imprevedibili dovuti al cambiamento climatico in conseguenza del riscaldamento globale e causati da Vortici di Bassa Pressione dovuti all'alta Pressione perenne del Sud Italia con i suoi 30 gradi anche ad ottobre.
Al Sud Italia: Disastri meritati dovuti a causa dell'abusivismo; degli incendi dolosi e del disboscamento; dell'incuria e dell'abbandono delle opere pubbliche di contenimento e prevenzione.
“Per fortuna il maltempo si è spostato al sud”: la gaffe del TG5. Da Redazione di Cefalù Web 13 novembre 2014. Elena Guarnieri, presentatrice del TG5 ieri sera si è resa protagonista di una brutta gaffe parlando di maltempo. La giornalista in diretta durante l’edizione serale del popolare tg della rete ammiraglia di Mediaset, parlando della perturbazione che imperversa su tutta la penisola ha affermato: “Il peggio sembra essere passato, la perturbazione si è spostata al Sud“. Forte lo sdegno dei telespettatori soprattutto del meridione che condannano con fermezza l’imperdonabile gaffe.
Inchiesta del Dr. Antonio Giangrande. Scrittore, sociologo storico, giurista, blogger, youtuber, presidente dell’Associazione Contro Tutte le Mafie.
Nelle tv salottiere e sui giornali gli “Esperti” si cimentano a dare le loro opinioni. "Ormai abbiamo osservato che ogni 4 o 5 anni c'è un sisma che colpisce la dorsale appenninica. Eppure gli amministratori non fanno prevenzione. Il risultato è che l'Italia è arretrata come il Medio Oriente: in un paese avanzato una scossa di magnitudo 6 non provoca crolli e vittime". Mario Tozzi, geologo e noto divulgatore scientifico in tv, non usa giri di parole contro la politica che a sette anni dal tragico terremoto dell'Aquila non ha fatto quasi nulla per prevenire il disastro di questo 24 agosto 2016 ad Amatrice e dintorni.
Scrive Maurizio Ribechini il 25 agosto 2016: “Un interessante studio su questo circa un anno e mezzo fa è stato effettuato dal "Consiglio Nazionale degli Ingegneri", il quale con una precisa valutazione dei costi economici, ha calcolato che, fino al novembre 2014, ammontavano a più di 120 miliardi di euro gli stanziamenti dello Stato per i terremoti verificatisi in Italia negli ultimi 50 anni: da quello siciliano del Belice nel 1968, all’ultimo del maggio 2012 in Emilia Romagna, passando per quello del Friuli del 1976, quello dell'Irpinia del 1980, il primo avvenuto in Umbria e Marche del 1997, quello del Molise del 2002 e quello dell'Aquila nel 2009. Per una spesa media annua di circa 2,5 miliardi di euro. Cifre ancora più elevate sono quelle che fornivano, ormai quattro anni fa (quindi senza considerare i costi del sisma del 2012 in Emilia) Silvio Casucci e Paolo Liberatore nel saggio dal titolo "Una valutazione economica dei danni causati dai disastri naturali", dove hanno stimato un costo di ben 147 miliardi di euro, per una spesa media annua di 3,6 miliardi. Tale stima arrivava da un dossier sul rischio sismico redatto dal Dipartimento della Protezione Civile che recitava "i terremoti che hanno colpito la Penisola hanno causato danni economici valutati per gli ultimi quaranta anni in circa 135 miliardi di euro (a prezzi 2005), che sono stati impiegati per il ripristino e la ricostruzione post-evento. A ciò si devono aggiungere le conseguenze non traducibili in valore economico sul patrimonio storico, artistico, monumentale". Attualizzando tale valore al 2012, si otteneva un totale complessivo pari a circa 147 miliardi. Ma appunto tale cifra non considerava i costi della ricostruzione in Emilia. Se vogliamo contare anche questi, possiamo prendere dei dati ufficiali diffusi dalla Regione Emilia Romagna nel maggio 2015, che parlavano di 1 miliardo e 770 mila euro di contributi concessi. Ecco pertanto che la somma complessiva dei costi per i terremoti lievita a circa 149 miliardi complessivi. Ma quanto sarebbe costato mettere in sicurezza il territorio? L’ex capo della Protezione Civile, Guido Bertolaso, nei mesi scorsi aveva dichiarato che per mettere in sicurezza tutto il nostro paese occorrerebbero tra i 20 e i 25 miliardi di euro. Mentre proprio ieri, l’ex ministro dell’Ambiente Corrado Clini ha dichiarato: "Nel 2012 presentai un piano da 40 miliardi per la prevenzione, oltre all'assicurazione obbligatoria per il rischio sismico. Non se ne fece nulla, ma quegli interventi sono la grande opera di cui abbiamo bisogno". Numerose altre stime tecniche ed economiche parlano tutte di cifre che oscillano appunto fra i 25 e i 40 miliardi di euro. Ovvero fra circa 1/3 e 1/4 di quanto abbiamo speso in 50 anni per ricostruire dopo i terremoti.”
Detto questo gli esperti omettono di dire che il costo della prevenzione va quasi tutto a carico del privato, salvo quella minima parte a carico del pubblico, secondo la sua pertinenza, mentre la ricostruzione, con tutte le sue deficienze, è tutta a carico del pubblico. Bene. Si dimenticano i cosiddetti esperti che i cittadini italiani non sono come i profughi, ospitati negli alberghi a 5 stelle e con vitto gratis. I cittadini italiani hanno bisogno di un tetto sulla testa, anche abusivo e prevedibilmente pericolante. Abusivo, stante l’incapacità degli amministratori locali di prevedere un Piano Urbanistico Generale. I soldi son pochi e non ci sono per lussi, burocrati e prevenzione. L'alternativa al tetto insicuro sono le arcate dei ponti. Spesso i cittadini italiani, se non ci fossero i morti a corredo, sarebbero contenti dei terremoti, in quanto gioverebbero della ricostruzione delle loro vecchie case. Lo stesso vale per le alluvioni ed altri eventi naturali.
Antonio Giangrande:
L’abbattimento delle case private. Abusivo: Condonato e distrutto.
L’inerzia delle amministrazioni pubbliche: ambientalismo militante e toghe politicizzate.
Il privato con diritto alla casa, rinunciando all’assegnazione o all’occupazione abusiva di un appartamento pubblico, non aspetta i tempi biblici degli intimoriti amministratori che, per interessi privati o per lo spauracchio dell’abuso d’ufficio, negano il diritto ad una salubre esistenza, non adottando gli strumenti urbanistici adeguati, o non approvando in tempi accettabili un progetto lecito presentato. Il buon padre di famiglia provvede, per necessità, a dare un tetto ai suoi cari, investendo i risparmi di una vita. Chi è abituato a chiedere ed a ottenere una casa senza sudore della sua fronte in conto alla comunità, si oppone a tutto ciò.
Antonio Giangrande: Fognature, depuratori, allacci e salassi.
Con questa mia, tratto di un posto, ma è riferito a tutto il territorio pugliese: imposizione dei siti di raccolta e smaltimento delle acque nere, con l’aggravante dello scarico a mare, ed imposizione di salassi per servizi non resi.
Più volte, inascoltato, ho parlato del depuratore-consortile di Manduria-Sava, viciniori alla frazione turistica di Avetrana, con il progetto dello scarico a mare delle acque reflue. L’ho fatto come portavoce dell’associazione “Pro Specchiarica” (zona di recapito della condotta sottomarina di scarico) e come presidente nazionale della “Associazione Contro Tutte le Mafie”. Il progetto sul depuratore e sullo scarico a mare fu avviato da Antonio Calò e proseguito da Francesco Saverio Massaro, Paolo Tommasino, Roberto Massafra. I governatori e le giunte regionali hanno autorizzato i depuratori e gli scarichi a mare, (quindi non solo quello consortile di Manduria-Sava posto a confine al territorio di Avetrana e sulla costa). I vari governatori sono stati Raffaele Fitto del centro destra e Nicola Vendola del centro sinistra. Entrambi gli schieramenti hanno preso per il culo (intercalare efficace) le cittadinanze locali, preferendo fare gli interessi dell’Acquedotto pugliese, loro ente foriero di interessi anche elettorali. Le popolazioni in rivolta, in particolare quelle di Avetrana, sono sobillate e fomentate da quei militanti politici che ad Avetrana hanno raccolto, prima e dopo l’adozione del progetto, i voti per Antonio Calò alle elezioni provinciali e per tutti i manduriani che volevano i voti di Avetrana. Il sindaco Luigi Conte, prima, e il sindaco Mario De Marco, dopo, nulla hanno fatto per fermare un obbrobrio al suo nascere. Conte ha pensato bene, invece, con i soldi pubblici, di avviare una causa contro Fitto per la riforma sanitaria. In più, quelli del centro destra e del centro sinistra, continuavano e continuano ed essere portatori di voti per Raffaele Fitto e per Nicola Vendola, o chi per loro futuri sostituti, e per gli schieramenti che li sostengono. Addirittura Pietro Brigante sostenitore dell’amministrazione Calò nulla ha fatto per rimediare allo scempio. Brigante, nativo di Avetrana e candidato sindaco proprio di Avetrana.
Ma oggi voglio parlare d’altro, sempre in riferimento all’acquedotto pugliese e al problema depurazione delle acque. In generale, però. Giusto per dire: come ci prendono per il culo (intercalare efficace).
Di questo come di tante altre manchevolezze degli ambientalisti petulanti e permalosi si parla nel saggio “Ambientopoli. Ambiente svenduto”. E’ da venti anni che studio il sistema Italia, a carattere locale come a livello nazionale. Da queste indagini ne sono scaturiti decine di saggi, raccolti in una collana editoriale "L'Italia del Trucco, l'Italia che siamo", letti in tutto il mondo, ma che mi sono valsi l’ostruzionismo dei media nazionali. Pennivendoli venduti all’economia ed alla politica. Book ed E-Book che si possono trovare su Amazon.it.
L’acquedotto Pugliese ha fretta per l’inizio dei lavori del depuratore di Manduria e Sava e della relativa condotta sottomarina. L’ente idrico ricorda che i finanziamenti accordati dalla Regione Puglia per la realizzazione dell’opera già appaltata, sono fruibili entro il 31 dicembre del 2015. Quindi solo di speculazione si tratta: economica per l’AQP; politica per gli amministratori regionali in previsione delle elezioni regionali??
Si parla sempre di Depurazione e scarico in mare. Perché non si parla mai di Fitodepurazione? Perché non fornire agli operatori del settore significativi spunti di riflessione attorno ai vantaggi e alle opportunità reali della fitodepurazione? La fitodepurazione non è solo una tecnica naturale di rimozione degli inquinanti utilizzabile per i reflui di provenienza civile, industriale ed agricola: è, allo stesso tempo, strumento efficace di miglioramento e salvaguardia ambientale. Rappresenta, altresì, una risposta concreta ed economicamente interessante nella gestione delle acque di scarico di derivazione civile ed industriale. Invece no. Nulla si guadagnerebbe!
Ma andiamo avanti. Il Sindaco di Avetrana Mario De Marco con Ordinanza n. 7 del 15 aprile 2014 Prot. n. 2543, impone l’allaccio obbligatorio alla rete fognaria entro luglio 2014. Tutto il paese è nel panico per quanto riguarda le opere di allaccio, tenuto conto che la maggior parte sono vecchie case ed i collegamenti partono dalla parte posteriore delle abitazioni. Migliaia di euro di spesa. Il Sindaco è a posto. I cittadini, no!
Ma la beffa è che, per chi più onesto degli altri è stato pronto a contrarre il servizio, rispetto ad altri più riottosi o addirittura omittenti, dal 1° maggio 2014 gli sono addebitati in bolletta la quota fissa e variabile di fognatura e depurazione, per sé ed anche per i terremotati. Una mazzata. Peccato, però, che l’allaccio non c’è e non si sa quando ci sarà.
Quindi i depuratori si costruiscono con i finanziamenti regionali e il servizio si paga anche se non c’è? Mi chiedo dove si impara a fare impresa in questo modo. Vorrei sapere chi sono i docenti.
Svista, speculazione, o cosa? Ma intanto il sindaco Mario De Marco è a posto con la sua coscienza e la sua responsabilità amministrativa. Così come per il depuratore di Manduria, vale anche per il depuratore di Avetrana.
Imposizione dei siti di raccolta e smaltimento delle acque nere, con l’aggravante dello scarico a mare ed imposizione di salassi per servizi non resi. Spero che questo succeda solo ad Avetrana, perché se succede in tutta la Puglia (e a me risulta di sì), be’ stiamo proprio freschi e salassati!
Dr Antonio Giangrande
Presidente dell’Associazione Contro Tutte le Mafie e di Tele Web Italia
Antonio Giangrande: DEPURATORI DELLE ACQUE E POLEMICHE STRUMENTALI. UN PROBLEMA NAZIONALE, NON LOCALE
Come si butta via l’acqua. Lo spreco di una risorsa naturale essenziale per la vita e lo sviluppo economico.
Diritto alla salute o idolatria naturista? Politica malsana o interessi economici? Disatteso fabbisogno di acqua o inquinamento delle acque superficiali? Tutto questo parlame coinvolge tutti i cittadini, mentre la magistratura sta a guardare…..
«Per secoli si sono sversate in falda sotterranea o nei canali di scolo le acque reflue di origine urbana, quando esse non erano riutilizzate. La natura auto depurava l’insano liquido. Poi con l’industrializzazione sono nati i problemi di inquinamento delle risorse idriche. E sono nati i depuratori ed il business del trattamento delle acque reflue. Oggi è una vergogna solo starne a parlare. Scegliere tra il riuso e lo spreco o l’inquinamento? Solo i mentecatti possono decidere di buttare a mare o in falda una risorsa naturale limitata! Solo i criminali scelgono di inquinare l’ambiente e impedire lo sviluppo economico!»
Questo denuncia il dr Antonio Giangrande, presidente della “Associazione Contro Tutte le Mafie” ed autore del libro “Ambientopoli” pubblicato su Amazon.
Si definisce trattamento delle acque reflue (o depurazione delle acque reflue) il processo di rimozione dei contaminanti da un'acqua reflua di origine urbana o industriale, ovvero di un effluente che è stato contaminato da inquinanti organici e/o inorganici. Le acque reflue non possono essere reimmesse nell'ambiente tal quali poiché i recapiti finali come il terreno, il mare, i fiumi ed i laghi non sono in grado di ricevere una quantità di sostanze inquinanti superiore alla propria capacità autodepurativa. Il trattamento di depurazione dei liquami urbani consiste in una successione di più fasi (o processi) durante i quali, dall'acqua reflua vengono rimosse le sostanze indesiderate, che vengono concentrate sotto forma di fanghi, dando luogo ad un effluente finale di qualità tale da risultare compatibile con la capacità autodepurativa del corpo ricettore (terreno, lago, fiume o mare mediante condotta sottomarina o in battigia) prescelto per lo sversamento, senza che questo ne possa subire danni (ad esempio dal punto di vista dell'ecosistema ad esso afferente). . Il ciclo depurativo è costituito da una combinazione di più processi di natura chimica, fisica e biologica. I fanghi provenienti dal ciclo di depurazione sono spesso contaminati con sostanze tossiche e pertanto devono subire anch'essi una serie di trattamenti necessari a renderli idonei allo smaltimento ad esempio in discariche speciali o al riutilizzo in agricoltura tal quale o previo compostaggio.
Il problema che ci si pone è: la depurazione è effettivamente eseguita? Le acque reflue depurate dove possono essere reimmesse? In grandi vasche o bacini per il riuso in agricoltura od industria, o smaltite inutilizzate in mare o nei fiumi o direttamente in falda? Quale è la valenza economica per tale decisione? Quale conseguenza ci può essere se la depurazione è dichiarata tale, ma non è invece effettuata?
L'acqua di riuso, costa di più dell'acqua primaria, sotterranea o superficiale, per questo è conveniente smaltire ed inquinare il mare o la falda con le acque che i gestori dicono essere depurate. Affermazioni infondate? No! Peggiora lo stato di salute del nostro mare. Imputato numero uno è la «mala depurazione»: 130 i campioni risultati inquinati dalla presenza di scarichi fognari non depurati - uno ogni 57 km di costa - sul totale delle 263 analisi microbiologiche effettuate dal laboratorio mobile di Goletta Verde, storica campagna di Legambiente, in quest'estate. Un dato in aumento rispetto all’anno precedente,quando era risultato inquinato 1 punto ogni 62km.
Su queste basi ultimamente è salita alla ribalta la presa di posizione con relative proteste di alcune località costiere. La popolazione non vuole lo scarico a mare. Ma come sempre nessuno li ascolta.
Ogni estate la bellezza incontaminata del nostro mare è messa a rischio dalla pessima gestione di depuratori e scarichi a mare da parte di istituzioni e amministrazioni pubbliche. Ed il turismo ne paga le conseguenze. E’ da qualche anno ormai che l’inizio della bella stagione ci pone l’inquietante dubbio di quale sarà il tratto di costa a chiazze marroni che dovremo evitare e, quel che è peggio, leggiamo distrattamente delle proteste del comitato di turno, quasi la cosa non riguardasse tutti noi. La situazione è molto delicata e non mette a rischio solo ambiente e salute, ma anche la possibilità di fare del nostro mare il principale volano di sviluppo del territorio. Le maggiori criticità riguardano i comuni di Manduria, Lizzano, Pulsano e il capoluogo Taranto ed è perciò facile capire come la situazione vada letta nel suo insieme, poiché finisce per riguardare tutta la litoranea orientale.
Oggi in Puglia il servizio di depurazione copre il 77% del fabbisogno totale, secondo i dati forniti dal Servizio di tutela delle acque della Regione e contenuti nel Piano di tutela delle acque. Numeri che evidenziano come poco meno di un milione di cittadini pugliesi scarica i propri reflui senza che questi vengano depurati. Sono 187 i depuratori che coprono il servizio su tutto il territorio regionale, ma su cui insistono ancora problemi di funzionamento, criticità e situazioni irrisolte che in alcuni casi rendono inefficace la depurazione dei reflui. Innanzitutto c’è la questione dei 13 impianti che scaricano in falda, con grave rischio di inquinamento delle acque sotterranee. Poi ci sono i depuratori che presentano problemi nel funzionamento e i cui scarichi risultano non conformi, come certificano i dati Arpa relativi al 2012. La causa di queste anomalie deriva dal cattivo funzionamento degli impianti, causato in alcuni casi anche all’ingresso nei depuratori di reflui particolari (scarti dell’industria casearia o olearia, industriali o un apporto eccessivo di acque di pioggia spesso legate alla incapacità dei tessuti urbani di drenare l’acqua). Un problema che riguarda il 39% degli impianti a livello regionale secondo i dati a disposizione dell’Acquedotto pugliese, ma che in alcune province arriva ad oltre l’80%, come nel caso dei depuratori della BAT. La Puglia, inoltre, come si evince dal dossier Mare Monstrum di Legambiente, è la quarta regione a livello nazionale per numero di illeciti legati all’inquinamento del mare riscontrati, con 261 infrazioni, pari al 10,1% sul totale, 328 fra le persone denunciate e arrestate e 156 sequestri.
Le norme violate sono quelle previste dal Decreto Legislativo 3 aprile 2006, n. 152, Norme in materia ambientale e comunque il reato contestato è il getto pericoloso di cose. Ma non tutte le procure della Repubblica si muovono all’unisono.
Avetrana, Pulsano, Lizzano, Nardò, ecc. Il problema, però, come si evince, non è solo pugliese. Il riuso delle acque nessuno lo vuole. Eppure il fabbisogno di acqua cresce. Recentemente, con la crescita della sensibilità ambientale in tutto il pianeta, il tema del riutilizzo delle acque si sta diffondendo sempre più: anche l’Unione Europea si è spesso occupata di riutilizzo delle acque reflue, ma solo recentemente questo tema è entrato nel Piano di Azione volto ad individuare criteri e priorità per il finanziamento di nuovi progetti nel campo della gestione delle risorse idriche. Il riutilizzo in agricoltura delle acque usate è una pratica diffusa in molti paesi e sempre più spesso raccomandata dagli organismi internazionali che promuovono lo sviluppo sostenibile; tra i paesi che hanno la maggior esperienza nel settore è bene ricordare gli Stati Uniti e lo Stato di Israele.
La vicepresidente e assessore all'Assetto del Territorio della Regione Puglia, Angela Barbanente, ha diffuso questa nota sulla questione della depurazione in Puglia. «La mia opinione è che “la politica si manterrà chiacchierona, rincorrendo ora l’uno ora l’altro contestatore” sino a quando, in questo come in altri campi, mancherà di una visione chiara, condivisa, realizzabile. La visione che occorre perseguire, questa sì senza tentennamenti se si hanno a cuore la salvaguardia e il risanamento dell’ambiente, e quindi la salute dei cittadini, dovrebbe innanzitutto prevedere il massimo possibile riutilizzo delle acque depurate in agricoltura o per usi civili. Non è ammissibile, infatti, che nella Puglia sitibonda si butti in mare l’acqua depurata mentre nei paesi nordeuropei ricchi di acque superficiali si adottano ordinariamente reti duali per evitare di sprecare la risorsa! Inoltre, ove possibile e specialmente nelle aree turistiche, si dovrebbe fare ricorso a tecnologie di depurazione naturale quali il lagunaggio o la fitodepurazione.»
Non ha tutti i torti e sentiamo di sposare le sue parole. Nell'ultimo decennio sono state registrate annate particolarmente siccitose con una ridotta disponibilità di risorse idriche tradizionali. Le cause sono dovute in parte ai mutamenti meteo climatici ma anche al crescente peso demografico e turistico, ai maggiori fabbisogni connessi allo sviluppo economico industriale, agricolo (anche se in questi ultimi anni pare affermarsi un'inversione di tendenza complice la crisi economica) e civile. Ciò implica la necessità di avviare cambiamenti radicali nei comportamenti e nelle abitudini di cittadini e aziende finalizzati al risparmio idrico, di reperire nuove fonti di approvvigionamento e al contempo di incentivare in tutte le forme possibili il riuso delle acque depurate. Il riutilizzo delle acque reflue costituisce una fonte di approvvigionamento idrico alternativo ai prelievi da falda, e rappresenta una buona pratica di gestione sostenibile delle acque che consente di fronteggiare lo stato di crisi quali-quantitativa in cui versa la risorsa idrica. Infatti attraverso il riutilizzo si limita il prelievo delle acque sotterranee e superficiali e si riduce la riduzione dell'impatto degli scarichi sui corpi idrici recettori.
Questa lotta di civiltà ci deve coinvolgere tutti, senza tentennamenti ed ipocrisie, fino all’estremo gesto di non votare più i nostri partiti di riferimento con gli amministratori regionali che decidono contro gli interessi della collettività.
E passiamo oltre al fatto che i sindaci ci obbligano a contrarre in termini perentori il servizio di smaltimento delle acque con i gestori locali, che sono anche i gestori dei depuratori. I sindaci si mettono a posto per eventuali screzi legali. I cittadini pagano un oneroso tributo in termini di spese di allaccio e di smaltimento per un servizio che non si sa se e quando si attiverà. Un altro balzello che si dovrebbe invece chiamare “Pizzo”. Dr Antonio Giangrande
Ed ancora in tema di prevenzione non bisogna dimenticare poi gli esperti sanitari che ci propinano consigli sulla prevenzione delle malattie, specie tumori ed infarti. Impossibile da seguire. E non stiamo parlando delle vecchie ed annose liste di attesa o dell'impedimento al ricorso del pronto soccorso ormai solo aperto ai casi pre-morte.
Il 21 gennaio 2016 è entrato in vigore il cosiddetto “decreto Lorenzin” sull’appropriatezza delle prescrizioni approvato il 9 dicembre 2015. Il decreto che porterà alla stretta sulle prescrizioni di visite mediche ed esami a rischio di inappropriatezza ed il giro di vite riguarderà oltre 200 prestazioni di specialistica ambulatoriale, scrive Rai News. E' stato infatti pubblicato in Gazzetta ufficiale il 20 gennaio il decreto "Condizioni di erogabilità e indicazioni di appropriatezza prescrittiva delle prestazioni di assistenza ambulatoriale erogabili nell'ambito del Servizio sanitario nazionale". Si tratta di prestazioni di Odontoiatria, Genetica, Radiologia diagnostica, Esami di laboratorio, Dermatologia allergologica, Medicina nucleare. Il decreto Enti locali da cui scaturisce il DM appropriatezza, prevede che le 203 prestazioni se prescritte AL DI FUORI DELLE CONDIZIONI DI EROGABILITA' contemplate dal DM saranno poste A TOTALE CARICO DEL PAZIENTE. Esempio. "Ai fini dell’applicazione delle condizioni di erogabilità nella prescrizione delle prestazioni di radiologia diagnostica di cui al presente decreto, per la definizione del «sospetto oncologico» di cui all’allegato 1, note n. 32, 34, 36, 38 e 40 devono essere considerati i seguenti fattori: 1) anamnesi positiva per tumori; 2) perdita di peso; 3) assenza di miglioramento con la terapia dopo 4-6 settimane; 4) età sopra 50 e sotto 18 anni; 5) dolore ingravescente, continuo anche a riposo e con persistenza notturna. Altro esempio. L'esame del colesterolo totale: le condizioni di erogabilità dell'esame a carico del Ssn prevedono che sia da eseguire come screening in tutti i soggetti di età superiore a 40 anni e nei soggetti con fattori di rischio cardiovascolare o familiarità per dislipidemia o eventi cardiovascolari precoci. Ma in assenza di valori elevati, modifiche dello stile di vita o interventi terapeutici, si precisa, l'esame è da ripete a distanza di 5 anni. Per quanto riguarda poi le condizioni di erogabilità delle prestazioni odontoiatriche, si valuteranno le condizioni di "vulnerabilità sanitaria" (condizioni sanitarie che rendono indispensabili le cure odontoiatriche) o di "vulnerabilità sociale" (ovvero di svantaggio sociale ed economico). Anche per l'erogazione delle dentiere sono previsti gli stessi criteri. Secondo Costantino Troise, segretario del maggiore dei sindacati dei medici dirigenti, l'Anaao-Assomed, "da oggi, per sapere come curare, i medici dovranno leggere la gazzetta ufficiale e non più i testi scientifici".
E dulcis in fundo ci sono gli esperti dei sinistri stradali. Quelli che dicono è sempre colpa dell'insobrietà, della disattenzione e della velocità dell’autista. Questi signori probabilmente non conoscono le cause dei sinistri:
riconducibili al conduttore (inabilità alla guida permanente o temporanea);
riconducibili al mezzo (malfunzionamento delle componenti tecniche per tutti i veicoli o bloccaggio del motore per le moto);
riconducibili alla strada (sconnessione o ostacoli improvvisi o non segnalati);
riconducibili ad eventi atmosferici che limitano visibilità o aderenza.
In conclusione la prevenzione spesso e volentieri è impossibile attuarla per l’imprevedibilità degli eventi, ma ancor di più per i costi e per la burocrazia esosa ed assillante ed è inutile che in tv gli esperti ce la menano sulla prevenzione: la realtà la impedisce.
Dr Antonio Giangrande Scrittore, sociologo storico, giurista, blogger, youtuber, presidente dell’Associazione Contro Tutte le Mafie.
Antonio Giangrande:
Una persona può essere sana o avere qualche malattia.
Le malattie sono curabili secondo l'evoluzione della scienza riconosciuta dalle istituzioni e dalle lobby farmaceutiche, e/o la preparazione dei medici, e/o nel caso della prevenzione e della scoperta nei tempi giusti.
La sanità italiana non permette la prevenzione o la cura adeguata, tenuto conto delle liste di attesa dovute alla gestione privatistica della sanità dei baroni e, spesso, della svogliatezza e dell’impreparazione dei medici.
Un malato: o è curabile o è terminale.
Al malato curabile si somministrano le terapie necessarie prescritte da uno specialista voglioso e preparato.
Il malato terminale, in base al censo ed alla famiglia, si abbandona o gli si somministrano le terapie palliative.
La parola palliativo deriva dalla parola latina pallium che significa mantello, protezione.
Per cure palliative si intende “l'insieme degli interventi terapeutici, diagnostici e assistenziali, rivolti sia alla persona malata sia al suo nucleo familiare, finalizzati alla cura attiva e totale dei pazienti la cui malattia di base, caratterizzata da un'inarrestabile evoluzione e da una prognosi infausta, non risponde più a trattamenti specifici”. (Legge n.38/1 Art. 2-Definizioni)
Le cure palliative, quindi, sono quell'insieme di cure, non solo farmacologiche, volte a migliorare il più possibile la qualità della vita sia del malato in fase terminale che della sua famiglia.
La cura palliativa per i pazienti agiati in Italia diventa, spesso, accanimento terapeutico. I familiari, o solo per imposizione di alcuni di essi in contrasto con il resto della famiglia, o il malato, servito e riverito, protraggono egoisticamente la cessazione della vita di qualche giorno, al costo di immani sofferenze per il malato stesso con interventi chirurgici e cure inutili, che non vuol cessare una vita, spesso inutile per sè stesso e per la società, e con molti oneri assistenziali per loro da parte dei familiari e della sanità pubblica.
Quando si decide di dire basta alle cure palliative, non è eutanasia egoistica, ma vero senso di carità per una morte dignitosa e caritatevole.
Quale valore affettivo vuol significare vedere il proprio caro sofferente in perenne stasi o in catalessi con il catetere per l'urina, la pala al culo, la flebo attaccata, il sondino per l'alimentazione. l'occhialino dell'ossigeno?
Quale interesse è per il malato terminale a cui si danno false speranze di guarigione, facendolo morire disperato, anziché accompagnarlo ad una morte serena e consapevole?
Il Diritto e la Pretesa.
La gioventù e la vecchiaia sono facce della stessa medaglia. In entrambe le fasi della vita c’è qualcuno che dipende da un altro, che se ne prende cura.
I giovani sono mantenuti, istruiti ed educati dai vecchi.
I vecchi sono mantenuti dai giovani.
Cosa vuol dire e qual è la differenza.
Vuol dire che c’è un obbligo giuridico a carico di giovani e vecchi.
La differenza è che i giovani non possono scegliere, né pretendere, ma solo, eventualmente, recriminare. A loro viene dato il mantenimento, l’istruzione e l’educazione secondo i canoni familiari di appartenenza, che la fortuna gli ha riservato, e da lì dipende il loro futuro. Lo Stato interviene ove la famiglia manca fisicamente o per incapacità, ma non è sempre un giovamento. Spesso l’intervento è tardivo, o mancante, o nocivo. Ergo: essi non si discostano dalla falsa riga culturale ed economica di appartenenza.
I vecchi, invece, possono scegliere. Si diceva: i giovani sono i bastoni della vecchiaia dei genitori. E i genitori questo dogma l’hanno preso alla lettera, tanto che si creavano più di un bastone: famiglie con tanti figli. Figli che erano bastoni anche della gioventù dei genitori, perché lavoravano per loro.
Gli odierni vecchi sono persone che hanno usufruito del pensionamento in tenera età e si son goduti la vita. Si sentono giovani e non hanno nessuna voglia di morire. Hanno una bella pensione, spesso aggiunta a quella di reversibilità del coniuge. Quindi, non hanno bisogno di mantenimento, come per legge. E lì finisce l’obbligo dei figli nei loro confronti.
Invece, ad un certo punto i vecchi, però, fanno i capricci. Vogliono l’assistenza!!! Perché così fan tutti.
Fa niente se sono stati cattivi genitori e non la meritano: loro la pretendono.
L’assistenza, secondo i vecchi, è che i figli li devono accudire come bambini: averli presenti fisicamente notte e giorno con loro. Come moderni schiavi. Fa niente che questi hanno la loro famiglia ed il loro lavoro: i loro obblighi verso i loro figli.
I vecchi pensano solo per loro. Non vogliono lasciare la loro casa per stare, per comodità, con i figli. Spesso non dormono la notte e non fanno dormire i presenti, perché hanno paura di morire nel sonno o hanno delle allucinazioni, come le apparizioni di persone care defunte. Mentre di giorno poltroneggiano, di notte si mettono a camminare in casa. Vogliono essere accompagnati al bagno, per paura di cadere, o imboccati quando mangiano, per paura di sporcarsi. Voglio essere accuditi come malati, con medico ed infermiera al seguito. Medicine e visite mediche periodiche non devono mancare. Vogliono essere ascoltati. Parlano e parlano, dicendo sempre le stesse cose. Le loro opinioni sono incontestabili. Quindi, non sono persone incapaci, per malattia di mente o di corpo, per vecchiaia, o per altra causa, di provvedere a sé stesse. E quantunque fosse, lo Stato offre l’intervento dei Servizi Sociali, la possibilità dell’accompagnamento e dell’esenzioni mediche, oltre che delle agevolazioni della legge 104. Tra pensioni ed accompagnamento si ha la possibilità della Residenza per anziani o della badante. Ma loro vogliono i figli senza pagare.
Eppure, se non fai come loro pretendono, ti minacciano di diseredarti per qualcosa che non hai ancora avuto, o ti rinfacciano qualcosa che ti hanno dato. Fosse anche niente, ma per loro è tantissimo. Comunque, non mi sembra che nell’aldilà qualcuno abbia portato le cose terrene con sé.
Insomma, alla fine, riescono a rovinare tutto quel di buono vi era stato nei rapporti in famiglia.
Io spero di non diventare come loro e, magari, di morire prima…anche se vecchio già lo sono.
I Genitori.
Art. 30 della Costituzione:
“E’ dovere dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati fuori dal matrimonio.
Nei casi di incapacità dei genitori, la legge provvede che siano assolti i loro compiti”.
Dispositivo dell'art. 147 Codice Civile (R.D. 16 marzo 1942, n. 262):
Codice Civile LIBRO PRIMO - Delle persone e della famiglia Titolo VI - Del matrimonio Capo IV - Dei diritti e dei doveri che nascono dal matrimonio
Il matrimonio impone ad ambedue i coniugi l'obbligo di mantenere, istruire, educare e assistere moralmente i figli, nel rispetto delle loro capacità, inclinazioni naturali e aspirazioni, secondo quanto previsto dall’articolo 315 bis Dispositivo dell'art. 315 bis Codice Civile
Codice Civile LIBRO PRIMO - Delle persone e della famiglia Titolo IX - Della responsabilità genitoriale e dei diritti e doveri del figlio Capo I - Dei diritti e doveri del figlio
Il figlio ha diritto di essere mantenuto, educato, istruito e assistito moralmente dai genitori, nel rispetto delle sue capacità, delle sue inclinazioni naturali e delle sue aspirazioni.
Il figlio ha diritto di crescere in famiglia e di mantenere rapporti significativi con i parenti.
Il figlio minore che abbia compiuto gli anni dodici, e anche di età inferiore ove capace di discernimento, ha diritto di essere ascoltato in tutte le questioni e le procedure che lo riguardano.
Il figlio deve rispettare i genitori e deve contribuire, in relazione alle proprie capacità, alle proprie sostanze e al proprio reddito, al mantenimento della famiglia finché convive con essa.
I Figli.
Articolo 433 Codice Civile (R.D. 16 marzo 1942, n. 262)
Codice Civile LIBRO PRIMO - Delle persone e della famiglia Titolo XIII - Degli alimenti
All'obbligo di prestare gli alimenti sono tenuti, nell'ordine:
1) il coniuge;
2) i figli;
3) i genitori e, in loro mancanza, gli ascendenti prossimi; gli adottanti;
4) i generi e le nuore;
5) il suocero e la suocera;
6) i fratelli e le sorelle germani o unilaterali, con precedenza dei germani sugli unilaterali.
Dispositivo dell'art. 591 Codice Penale:
Codice Penale LIBRO SECONDO - Dei delitti in particolare Titolo XII - Dei delitti contro la persona Capo I - Dei delitti contro la vita e l'incolumità individuale
Chiunque abbandona una persona minore degli anni quattordici, ovvero una persona incapace, per malattia di mente o di corpo, per vecchiaia, o per altra causa, di provvedere a se stessa, e della quale abbia la custodia o debba avere cura, è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni.
Alla stessa pena soggiace chi abbandona all'estero un cittadino italiano minore degli anni diciotto, a lui affidato nel territorio dello Stato per ragioni di lavoro.
La pena è della reclusione da uno a sei anni se dal fatto deriva una lesione personale, ed è da tre a otto anni se ne deriva la morte.
Le pene sono aumentate se il fatto è commesso dal genitore, dal figlio, dal tutore o dal coniuge, ovvero dall'adottante o dall'adottato.
L'obbligo di assistenza ai genitori anziani. Da studiolegalecastagna.it il 12 gennaio2023
I dati demografici degli ultimi anni, come noto, mostrano un progressivo invecchiamento della popolazione che pone spesso di fronte al problema di anziani in stato di bisogno che vivono soli o che possono essere a tutti gli effetti considerati genitori abbandonati dai loro figli.
All'interno del nostro codice civile, come è noto, è previsto l'obbligo dei genitori di prendersi cura dei propri figli e mantenerli sino al raggiungimento della loro completa autonomia economica.
Tuttavia, meno conosciuto ma non meno importante, potrebbe essere il corrispondente obbligo dei figli, nei confronti dei propri genitori, i quali si trovino in stato di bisogno e incapacità a provvedere al proprio mantenimento, sancito dall'art. 433 c.c.
Inoltre, se i genitori ormai anziani vengono lasciati a sé stessi, i figli e/o i nipoti potrebbero rischiare di incorrere nel reato previsto dall'art. 591 c.p., il quale sanziona l'abbandono di persone incapaci.
Per sapere quando questo reato sussista, occorre partire dall'articolo stesso del codice penale, secondo cui: chiunque abbandona una persona minore degli anni quattordici, ovvero una persona incapace, per malattia di mente o di corpo, per vecchiaia, o per altra causa, di provvedere a se stessa, e della quale abbia la custodia o debba avere cura, è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni.
Tali pene vengono aumentate se il fatto è commesso dal genitore, dal figlio, dal tutore o dal coniuge, ovvero dall'adottante o dall'adottato.
Tale fattispecie è stata più volte interpretata dalla Corte di Cassazione, il cui precedente orientamento, prevedeva che ai fini della sussistenza del reato di abbandono di persone incapaci, era necessario accertare in concreto l’incapacità del soggetto passivo di provvedere a sé stesso.
A differenza dei bambini, che a prescindere vengono considerati incapaci fino al compimento dei 14 anni, per quanto riguarda gli anziani va valutato caso per caso, in quanto l'età avanzata, di per sé, non può essere considerata motivo invalidante.
Con la conseguenza che, non essendoci presunzione di incapacità per la vecchiaia, in quanto condizione non patologica, abbandonare il genitore anziano senza malattie specifiche, non poteva costituire reato.
Con la sentenza n. 44098/2016 la Corte cambia orientamento: il caso trattava di un anziano, padre della ricorrente, il quale trovandosi in uno stato di precaria salute e sostanzialmente abbandonato dalla figlia, sarebbe stato posto in pericolo.
La ricorrente era, infatti, stata condannata per abbandono di incapace dal tribunale di primo grado, con sentenza confermata anche dalla Corte d’appello di Bari.
La donna tuttavia si rivolgeva alla Corte di Cassazione lamentando un'errata applicazione dell’art. 591 c.p., poiché il pericolo per l’incolumità fisica derivante dall’inadempimento dell’obbligo di assistenza, non poteva sussistere, in quanto il padre non era mai stato affidato alla sua custodia. In aggiunta, precisava che l'impossibilità di assistere il padre derivava dalla necessità di accudire i propri figli.
La Cassazione ha ritenuto tutti i motivi presentati dalla ricorrente infondati, sancendo che: "l’elemento oggettivo del reato di abbandono di persone minori o incapaci è integrato da qualsiasi condotta, attiva od omissiva, contrastante con il dovere giuridico di cura (o di custodia) gravante sul soggetto agente, da cui derivi uno stato di pericolo, anche meramente potenziale, per la vita o l’incolumità dei soggetto passivo"; sottolineando, inoltre, come dalle precedenti sentenze, soprattutto di primo grado, il Giudice abbia ampiamente motivato sul tema del dovere giuridico, oltre che morale, di cura ravvisabile in capo all’imputata verso il padre.
Tale motivazione viene fondata sull'interpretazione sistematica di diverse norme, sia di livello costituzionale, che riguardano il riconoscimento della famiglia come società naturale, il suo inquadramento tra le formazioni sociali ove si svolge la personalità dei singoli e l’adempimento dei doveri di solidarietà sociale (artt. 3 e 29 Cost.), sia di quelle del codice civile che impongono il dovere di rispetto dei figli verso i genitori, che diventa concretamente stringente in caso di stato di bisogno ed incapacità del singolo a provvedere al proprio mantenimento ( art. 433 c.c.).
La Corte di Cassazione si sofferma infine sul dovere di cura gravante sulla donna, sancendo che chi lascia il proprio genitore anziano da solo, in condizioni di grave incapacità fisica o mentale, anche senza una patologia specifica ma semplicemente per vecchiaia, risponde del reato di abbandono di persone incapaci, così come previsto dall'art. 591 c.p., sancendo che l’obbligo di accudire i genitori non è più unicamente morale, ma stabilito per legge, grazie anche ai rinvii operati alla Costituzione e al codice civile.
Legge 104 assistenza genitori anziani: come funziona? Da epicura.it 3/2/2023
Indice
1. Assistenza genitori anziani da parte dei figli
2. Legge 104: a chi spetta?
3. Legge 104 e permessi: come funziona?
4. Legge 104: come fare domanda?
5. Assistenza genitori anziani: due anni di congedo retribuito
In Italia, più di 14 milioni gli anziani necessitano di cure e assistenza continua perché non più autosufficienti.
Negli ultimi anni, infatti, la figura di Caregiver familiare ha assunto un ruolo di primaria importanza. Con questo termine, s'intende "colui che si prende cura”, ovvero tutti i familiari che assistono un loro congiunto ammalato o disabile.
Tuttavia, ad oggi chi svolge questa attività di assistenza non è ancora formalmente tutelato da un quadro normativo.
L'unica modalità concessa dallo Stato Italiano è rappresentata dalla Legge 104 per l'Assistenza di Genitori Anziani, ovvero riconoscimento per un familiare che accudisce un parente anziano, con copertura da parte dello Stato dei contributi maturati durante l'assistenza e il lavoro svolto prendendosi cura del soggetto, equiparandoli a quelli che si maturano come lavoro domestico.
Assistenza genitori anziani da parte dei figli
Un genitore, per quanto possibile, desidera trascorrere il resto della sua vita nella casa dove ha visto nascere e crescere la propria famiglia. Si sente più tranquillo e sereno se a occuparsi di lui è un figlio o comunque una figura familiare, con la quale ha confidenza e intimità.
Prendersi cura di un genitore anziano è un atto meraviglioso, dettato dall’affetto e dalla necessità di garantirgli il necessario benessere emotivo, mentale e fisico.
Un desiderio legittimo, a cui segue, però, un'attenta riflessione sul rovescio della medaglia. Si tratta di un impegno che richiede nervi saldi, tempo, lavoro e qualche sacrificio in più perché le attività da svolgere sono tante e onerose.
E se il familiare da assistere non fosse autosufficiente o affetto da gravi patologie?
In questo caso, si può usufruire dei permessi e degli strumenti descritti nella Legge 104 per l’Assistenza ai Genitori Anziani.
Legge 104: a chi spetta?
La Legge 104 si applica a qualsiasi lavoratore dipendente, con un contratto a tempo indeterminato o determinato e con a carico un familiare affetto da una grave disabilità.
I soggetti che non hanno diritto alla 104 sono i lavoratori autonomi, quelli a domicilio, i lavoratori agricoli a tempo determinato occupati a giornata e chi svolge lavori domestici e familiari.
Legge 104 e permessi: come funziona?
Le agevolazioni previste dalla legge 104 / 92 per l’Assistenza dei Genitori Anziani sono di natura fiscale, economica e lavorativa.
Uno degli aiuti più importanti stabiliti dalla Legge 104 sono i giorni di permesso. La legge stabilisce che chi ha un familiare con patologia invalidante o handicap grave, ha diritto a 3 giorni al mese di permessi retribuiti. Inoltre, è possibile frazionarli in ore purché non si superi il triplo delle ore lavorative giornaliere.
Una recente sentenza della Cassazione ha stabilito che è possibile richiedere il permesso anche se il familiare è ricoverato in una struttura residenziale, a patto che sia una casa di riposo e non una RSA dove è garantita un’assistenza sanitaria continua.
A questa agevolazione, ha diritto chi è in possesso di 3 requisiti specifici ovvero:
l'assistito deve avere più di 65 anni
il grado di parentela deve essere al massimo entro il terzo grado
il lavoratore deve essere convivente o comunque abitare vicino al familiare anziano
L’assistenza esclusiva dei genitori anziani da parte dei figli prevista dalla Legge 104 stabilisce che il permesso possa essere richiesto da un solo lavoratore dipendente che diventa a tutti gli effetti un referente. Nel caso in cui una persona debba assistere più familiari contemporaneamente, può usufruire di più permessi.
Sarà necessario, inoltre, programmare un piano accurato con le assenze previste da consegnare all’amministrazione. L’INPS o datore di lavoro sono chiamati a effettuare dei controlli finalizzati all’accertamento della presenza dei requisiti richiesti dalla normativa.
Per quanto riguarda la sede lavorativa, la Legge 104 dispone che il lavoratore abbia la facoltà di scegliere quella più vicina al proprio domicilio e non può essere trasferito senza il suo consenso. Allo stesso modo, è possibile rifiutare di lavorare in orari notturni (7 ore consecutive a partire dalla mezzanotte) se si tratta di un familiare non autosufficiente.
Legge 104: come fare domanda?
Innanzitutto, bisogna richiedere un certificato medico per attestare l’intera storia clinica del genitore anziano da assistere. A compilarlo è il medico di base che, una volta visitato il paziente, è tenuto a inviare telematicamente all’INPS l’intera documentazione e a rilasciare il numero di protocollo.
Una volta in possesso del numero di protocollo, bisogna inviare la richiesta della Legge 104 alla sede dell'INPS che, una volta visionata l’anamnesi del medico di base, convocherà l'assistito per essere visitato dalla commissione medica della ASL di appartenenza.
Se la diagnosi non è sufficientemente chiara, la commissione potrà richiedere altri accertamenti.
In caso di esisto positive, si provvederà al rilascio del verbale in cui sarà indicato in maniera chiara e inequivocabile il grado di handicap grave ai sensi della Legge 104 articolo 3 comma 3.
Assistenza genitori anziani: due anni di congedo retribuito
I lavoratori dipendenti pubblici o privati possono usufruire anche di un’altra importante agevolazione, ovvero il congedo straordinario biennale, frazionato o continuativo, da richiedere nell’arco della vita lavorativa.
Il congedo è retribuito sulla base dell’ultimo stipendio percepito, dà diritto alla tredicesima ed è coperto dai contributi ai fini pensionistici.
Il requisito per richiedere tale congedo è che l'assistito non sia ricoverato a tempo pieno e che non presti attività lavorativa per il biennio in esame.
E se il figlio non fosse convivente?
A chiarire la questione, è intervenuto l’articolo 42 del D.Lgs. n.151/2001 che ha definito "non prioritario il requisito della convivenza a patto che suddetta convivenza abbia luogo entro l’anno dalla richiesta di congedo straordinario e sia conservata per l'intera durata dello stesso".
La Legge 104 in materia di Assistenza ai Genitori Anziani dispone che il figlio, se in possesso di 20 anni di contributi, possa richiedere la pensione anticipata. L’assegno mensile in questo caso non dovrà superare il tetto massimo di 1.500 euro lordi.
Tra i diritti stabiliti dalla Legge 104 per l’Assistenza dei Genitori Anziani da parte dei figli, c'è la possibilità di richiedere:
Indennità di accompagnamento
Agevolazioni che spettano per l’acquisto di attrezzature e accessori come le poltrone speciali destinate ai non deambulanti
Detrazioni fiscali per l’assunzione della badante, per l'acquisto di farmaci o per l’eliminazione delle barriere architettoniche.
Alla base di quanto descritto, la legge 104 rappresenta quindi un quadro normativo importante al quale fare riferimento per agevolare la vita degli assistiti e dei loro figli.
In conclusione, occuparsi di un caro non autosufficiente non è semplice: per questo è fondamentale vagliare tutte le opzioni per trovare la soluzione che garantisca la serenità alla persona anziana e a tutta la sua famiglia.
Figlio si occupa da solo della madre malata, può chiedere il rimborso al fratello?
Il figlio che cura gli anziani genitori adempie ad un’obbligazione naturale (articolo 2034 del codice civile). Di Marcella Ferrari, Avvocato, Pubblicato il 19/03/202 su altalex.com
Nelle famiglie, capita spesso che uno dei figli si occupi, in via esclusiva, degli anziani genitori (o di uno solo di essi) e che il fratello, vivendo in un’altra città, se ne disinteressi. Il figlio che ha sempre assistito il genitore, che ha pagato le cure e ha investito il proprio tempo nella gestione della casa, può chiedere un rimborso all’altro?
Prima di rispondere al quesito, analizziamo gli obblighi gravanti sui figli in relazione all’assistenza degli ascendenti.
Sommario
L’obbligo degli alimenti a carico dei figli
L’obbligo di assistenza ai genitori
Le somme spese per i genitori e l’obbligazione naturale
Un figlio che si disinteressa dei genitori è indegno a succedere?
L’obbligo degli alimenti a carico dei figli
Qualora gli anziani genitori versino in stato di bisogno, poiché, ad esempio, la pensione non è sufficiente per pagare tutte le spese o perché malati, grava sui figli l’obbligo di alimenti (art. 433 c.c.). La legge richiede che il soggetto non sia in grado di sopportare le spese fondamentali, come il vitto, l’alloggio, il vestiario e i medicinali.
È irrilevante che lo stato di bisogno sia imputabile al genitore che, ad esempio, ha dilapidato il proprio patrimonio senza pensare al futuro. Il Codice civile indica un elenco di soggetti obbligati a versare gli alimenti. Primo tra tutti, l’altro coniuge (art. 433 n. 1 c.c.), anche se separato. Vi sono poi i figli e i discendenti (art. 433 n. 2 c.c.) chiamati a fornire un aiuto qualora non vi sia un coniuge o questi non possa soddisfare l’obbligo alimentare. Il diritto agli alimenti è limitato allo stretto necessario ed è proporzionato alle condizioni economiche dell’onerato.
Se il genitore ha più di un figlio, tutti sono obbligati a concorrere alla prestazione in base alle proprie capacità (art. 441 c. 1 c.c.).
Se il figlio non intende versare alcuna somma, può ospitare in casa propria il genitore, in tal modo adempiendo all’obbligo di legge (art. 443 c. 1 c.c.).
L’obbligo di assistenza ai genitori
Il Codice penale sanziona chi fa mancare i mezzi di sussistenza agli ascendenti con il reato di “violazione degli obblighi familiari” punito con la reclusione fino a un anno o con la multa da 103 a 1032 euro (art. 570 c.p.).
I mezzi di sussistenza sono quelli indispensabili a soddisfare le necessità essenziali della vita, come il cibo, l’abitazione e i medicinali. Inoltre, costituisce reato l’abbandono di una persona incapace di provvedere a se stessa, per malattia o per vecchiaia, o per altra causa, della quale si debba avere cura; la fattispecie di reato è punita con la reclusione da 6 mesi a 5 anni e le pene sono aumentate se il fatto è commesso dal figlio (art. 591 c. 4 c.p.).
Dalla norma penale emerge un generale dovere in capo ai figli di assistere i genitori.
Le somme spese per i genitori e l’obbligazione naturale
Torniamo ora alla domanda iniziale: il figlio che aiuta economicamente il genitore può chiedere il rimborso al fratello?
La risposta è negativa.
Il figlio che cura gli anziani genitori adempie ad un’obbligazione naturale (art. 2034 c.c.). Con tale espressione, ci si riferisce alle somme versate spontaneamente in esecuzione di doveri morali e sociali. Si tratta di doveri imposti dal principio di solidarietà e il loro inadempimento comporta la disistima sociale. Ebbene, simili prestazioni non sono ripetibili, ossia non è possibile chiederne la restituzione.
Allora, cosa può fare il figlio che accoglie il genitore nella propria abitazione per farsi aiutare dai fratelli?
Come abbiamo visto, tenere in casa il soggetto bisognoso rappresenta un modo in cui adempiere all’obbligazione alimentare, pertanto, il genitore, in qualità di legittimato attivo, può chiedere agli altri figli di versare gli alimenti, come prescritto dal Codice civile e, in caso di loro rifiuto, rivolgersi al Tribunale per ottenere una condanna in tal senso.
Molto spesso, il figlio che ha accudito il genitore pensa di aver diritto ad una quota maggiore dell’asse ereditario. Anche in questo caso, la risposta è negativa. Infatti, la circostanza che uno dei figli si sia occupato in via esclusiva del genitore anziano o malato, non incide sulle quote del patrimonio ereditario.
Un figlio che si disinteressa dei genitori è indegno a succedere?
La morale e il diritto non sempre vanno di pari passo. Infatti, anche se eticamente è biasimevole la condotta noncurante di un figlio, non è possibile considerarlo giuridicamente come indegno a succedere. L’istituto dell’indegnità (art. 463 c.c.) riguarda casi tassativi come, ad esempio, l’ipotesi in cui un figlio attenti alla vita del genitore. Solo in tale evenienza egli può essere escluso dall’asse ereditario, perché l’indegnità rappresenta una causa di esclusione dalla successione. Al di fuori di tali casi limite, tutti i figli succedono ai genitori in base alle quote stabilite per legge in assenza di testamento.
Quindi, il genitore che intende “ricompensare” il figlio che si è preso cura di lui può farlo tramite una disposizione testamentaria. Infatti, oltre alla quota di legittima, che spetta di diritto anche all’altro figlio, il testatore è titolare di una quota disponibile che può lasciare a chi desidera.
L’obbligo alimentare dell’art 433 codice civile. Studio Legale degli Avv.ti Berti e Toninelli. Articolo pubblicato: 17 Febbraio 2022
Chi e come deve versare gli alimenti ex art 433 codice civile
L’obbligo alimentare dell’art 433 codice civile per chi versa in stato di bisogno
Nel Titolo XIII, del primo libro del Codice Civile è contenuta la particolare disciplina inerente gli obblighi alimentari: dell’art 433 codice civile all’art. 448 bis codice civile si parla delle obbligazioni alimentari (conosciute anche come c.d. diritto agli alimenti) alle quali alcuni soggetti sono tenuti, in virtù dell’esistenza di vincoli familiari.
Presupposto del diritto agli alimenti è lo “stato di bisogno”. Una delle ipotesi più frequente è, ad esempio, quella del mantenimento genitore anziano non economicamente autosufficiente.
Il fondamento delle obbligazioni alimentari è individuato nei principi costituzionali di solidarietà e assistenza.
L’art. 433 codice civile indica i soggetti chiamati a prestare gli alimenti, secondo il principio del grado, sulla base della intensità del legame personale con il soggetto beneficiario.
In base all’elenco dell’art 433 codice civile, il primo degli obbligati è il coniuge del beneficiario. In sua assenza, sono obbligati i figli, gli ascendenti prossimi, i generi/nuore, i suoceri ed infine i fratelli/sorelle. Obbligato è altresì il donatario, cioè chi ha ricevuto una donazione dal beneficiario, ma nei limiti del valore “residuo” della donazione ricevuta.
Dopo una breve analisi generale sull’obbligazione alimentare, l’articolo si sofferma sui presupposti, sulle cause di modifica e cessazione dell’obbligo e sui soggetti obbligati.
Viene approfondita soprattutto l’obbligazione nei confronti del coniuge e dei parenti affini: l’articolo esamina se in caso di separazione consensuale gli alimenti continuano ad essere dovuti, e qual è la sorte degli alimenti dopo il divorzio (se cioè sono dovuti o meno gli alimenti al coniuge divorziato).
Viene esaminata anche la dimensione processuale: in che modo il beneficiario può richiedere il diritto agli alimenti. L’azione alimentare deve essere intrapresa dal beneficiario, oppure dal suo tutore, curatore o amministratore di sostegno (nominato tra i parenti e affini entro il quarto grado, oppure esterno alla famiglia), previa autorizzazione del Giudice Tutelare
Questi sono gli argomenti trattati:
Cos’è l’obbligo alimentare ex art 433 codice civile?
L’art 433 codice civile e le altre fonti delle obbligazioni alimentari
Quali sono i presupposti dell’obbligazione alimentare ex art 433 codice civile
Art 433 codice civile: cosa si intende per “stato di bisogno”
Gli alimenti nei confronti del fallito: art 433 codice civile e dlgs 14/2019
Chi sono i soggetti obbligati in base all’art 433 codice civile
Quando i figli (n. 2 dell’art 433 codice civile) sono obbligati al mantenimento del genitore anziano
Quando si è obbligati al mantenimento del suocero o della suocera (n. 4 dell’art 433 codice civile)?
Quale differenza tra alimenti e mantenimento
In caso di separazione consensuale gli alimenti sono dovuti?
Devono essere corrisposti gli alimenti dopo il divorzio?
Quando gli alimenti sono dovuti nelle unioni civili e nelle convivenze di fatto
Perché il donatario precede tutti i soggetti indicati all’art 433 codice civile
Quali sono le caratteristiche dell’obbligazione alimentare
Art 433 codice civile: come si calcola l’assegno alimentare
Art 433 codice civile: come devono essere versati gli alimenti
Come si richiedono gli alimenti ai soggetti ex art 433 codice civile
Gli alimenti urgenti e provvisori ex art 433 codice civile
Art 433 codice civile: quando si modifica e si estingue l’obbligazione alimentare?
Cosa si rischia per l’inadempimento ex art 433 codice civile
COS’È L’OBBLIGO ALIMENTARE EX ART 433 CODICE CIVILE?
Nel codice civile non viene fornita una vera e propria definizione di obbligo alimentare. Si tratta dell’obbligo di garantire, ad una persona che versa in “stato di bisogno”, le risorse economici sufficienti a soddisfare i bisogni primari, quali il vitto e l’alloggio.
Tale obbligo può sorgere sia in base ad una disposizione di legge, ed è il caso dell’art 433 codice civile, sia in base ad un testamento, sia infine in base ad un contratto, quale la donazione in primis.
In via generale, i caratteri distintivi dell’obbligo alimentare sono:
Lo stato di bisogno del beneficiario: questo deve essere privo di risorse economiche sufficienti a soddisfare i bisogni primari della persona e nella impossibilità oggettiva di procurarseli.
Il particolare legame che lega l’obbligato ed il beneficiario: può trattarsi di un vincolo di famiglia (obbligati in base all’art. 433 del codice civile sono il coniuge, i parenti e gli affini più prossimi) o meramente giuridico (la donazione, oppure un diverso contratto, oppure ancora un lascito testamentario). Secondo una recente pronuncia di merito (Trib. Lecce, sentenza 1418/2020) il legame particolare può sostanziarsi anche nella convivenza di fatto (da non confondere con la mera coabitazione) intesa quale vincolo affettivo.
L’entità della prestazione deve essere commisurata alla situazione personale (non solo sul piano economico, ma anche di età, salute, capacità lavorativa …) di chi la richiede ed alle condizioni economiche di chi è tenuto a tale obbligo. Non può comunque superare alcuni limiti, identificabili in base alla posizione sociale dell’alimentando e ciò che appare necessario ai fini del suo sostentamento.
Nei prossimi paragrafi saranno approfonditi i requisiti richiesti per procedere ex art. 433 codice civile all’identificazione dell’obbligato, nonché altri aspetti tecnici dell’obbligo alimentare.
L’ART 433 CODICE CIVILE E LE ALTRE FONTI DELLE OBBLIGAZIONI ALIMENTARI
Nel nostro ordinamento sono previste diverse fonti da cui può sorgere l’obbligazione alimentare.
Come anticipato la fonte principale dell’obbligo alimentare è l’art. 433 codice civile, e cioè la legge, la quale muove dal principio di assistenza e di solidarietà familiare.
La fonte dell’obbligo alimentare può altresì essere di natura convenzionale, nel rispetto del principio dell’autonomia contrattuale. Quindi è possibile, ad esempio, far sorgere un’obbligazione alimentare anche con contratto (prevedendo ad esempio un vitalizio alimentare) sulla base del principio dell’autonomia dei privati. Unico contratto previsto espressamente (articoli 437 e 438 codice civile) è la donazione, tanto che “il donatario è tenuto, con precedenza su ogni altro obbligato, a prestare gli alimenti al donante”, con esclusione della donazione fatta in riguardo di un matrimonio e della donazione remuneratoria.
Infine, l’obbligo alimentare può essere imposto per testamento: l’art. 660 codice civile stabilisce che “Il legato di alimenti, a favore di chiunque sia fatto, comprende le somministrazioni indicate dall’art. 438, salvo che il testatore abbia altrimenti disposto.”
QUALI SONO I PRESUPPOSTI DELL’OBBLIGAZIONE ALIMENTARE EX ART 433 CODICE CIVILE
Concentrandoci sull’obbligazione alimentare di fonte legale ex art. 433 codice civile e successivi, i presupposti essenziali sono:
l’oggettivo ed incolpevole stato di bisogno dell’alimentando, che deve trovarsi in una condizione tale da non poter provvedere autonomamente al proprio sostentamento. Ad esempio, sono dovuti gli alimenti per il mantenimento del genitore anziano che percepisce un reddito complessivo (ad esempio la pensione oppure altre indennità o rendite) insufficiente per il vitto e l’alloggio;
lo stato di bisogno deve essere, secondo una valutazione prognostica, non provvisorio. Il soggetto deve versare nella impossibilità oggettiva di procurarsi i mezzi necessari alla sussistenza. Ad esempio, sono dovuti gli alimenti per il mantenimento del genitore anziano che non può svolgere alcuna attività lavorativa;
Anche il soggetto obbligato al versamento degli alimenti deve presentare alcune caratteristiche. Questo deve essere il donatario o un familiare stretto del beneficiario/donante e deve risultare capace di far fronte alla prestazione economica degli alimenti, ovvero avere una posizione economica tale da potervi provvedere senza sacrificare i propri bisogni primari.
ART 433 CODICE CIVILE: COSA SI INTENDE PER “STATO DI BISOGNO”
Lo stato di bisogno dell’alimentando è il presupposto per far sorgere l’obbligazione oggetto d’esame: ai sensi dall’art. 438 codice civile “gli alimenti possono essere chiesti solo da chi versa in istato di bisogno e non è in grado di provvedere al proprio mantenimento”. Per poterne dare una definizione più precisa, viene in aiuto la giurisprudenza che, in modi diversi, ha fornito specifiche indicazioni sul punto.
Nel 2013 la Cassazione ha affermato che per stato di bisogno va fatto riferimento ad uno stato di “impossibilità per il soggetto di provvedere al soddisfacimento dei suoi bisogni primari, quali il vitto, l’abitazione, il vestiario, le cure mediche, e deve essere valutato in relazione alle effettive condizioni dell’alimentando, tenendo conto di tutte le risorse economiche di cui il medesimo disponga, compresi i redditi ricavabili dal godimento di beni immobili in proprietà o in usufrutto, e della loro idoneità a soddisfare le sue necessità primarie” (Cass., sent. 25248/2013).
Lo stato di bisogno richiede poi una valutazione prognostica sulla impossibilità, per il futuro, di ricevere fonti di reddito, quale l’attività lavorativa in primis. Questa è la parte più difficile da accertare, in concreto, poiché non si limita all’aspetto economico, ma coinvolge tutti gli aspetti della persona del beneficiario: l’età, lo stato di salute, financo il grado di istruzione.
Oltre che oggettivo, lo stato di bisogno deve essere incolpevole. Questo vuol dire che la causa della impossibilità di provvedere autonomamente ai propri bisogni deve essere non imputabile al beneficiario.
Inoltre il beneficiario deve aver tentato, in ogni modo ragionevolmente possibile, di provvedere autonomamente ai propri bisogni.
GLI ALIMENTI NEI CONFRONTI DEL FALLITO: ART 433 CODICE CIVILE E DLGS 14/2019
L’art. 147 del codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, riprendendo l’art. 47 della “vecchia” legge fallimentare, stabilisce che “Se al debitore vengono a mancare i mezzi di sussistenza, il giudice delegato, sentiti il curatore e il comitato dei creditori, può concedergli un sussidio a titolo di alimenti per lui e per la famiglia.”
Anche se la disposizione si riferisce agli “alimenti” condizionati alla mancanza dei mezzi di sussistenza, si tratta di qualcosa di diverso dall’istituto previsto dall’art 433 del codice civile.
Il sussidio a beneficio del debitore fallito e della sua famiglia, viene “concesso” dal giudice. Non si tratta quindi, in questo caso, di un diritto soggettivo, ma rimesso alla discrezionalità del giudice delegato. Inoltre, il sussidio viene attinto dal patrimonio dello stesso beneficiario, pur se destinato alla soddisfazione dei creditori.
CHI SONO I SOGGETTI OBBLIGATI IN BASE ALL’ART 433 CODICE CIVILE
Come già anticipato, soggetti obbligati a versare gli alimenti sono i familiari stretti e il donatario, cioè colui che in passato ha ricevuto una donazione da parte di chi, successivamente, si è trovato in stato di bisogno.
L’art. 433 codice civile, fornisce una elencazione tassativa dei soggetti obbligati a versare gli alimenti al familiare in difficoltà, indicandoli in ordine di “affezione” parentale. Infatti, l’art. 433 del codice civile stabilisce che all’obbligo di prestare gli alimenti sono tenuti, nell’ordine:
il coniuge;
i figli, anche adottivi (sono inclusi tutti i figli adottivi, sia quelli adottati dopo il compimento della maggiore età, sia i soggetti adottati nei c.d. casi particolari),
i discendenti prossimi (in mancanza di figli);
i genitori. Come stabilito dall’art. 436 codice civile, il genitore adottante è obbligato prima del genitore del beneficiario;
gli ascendenti prossimi (in mancanza dei genitori);
gli adottanti;
i generi e le nuore;
il suocero e la suocera;
i fratelli e le sorelle germani o unilaterali, con precedenza dei germani sugli unilaterali.
Si applica il principio del grado: la possibilità dell’adempimento da parte di chi è più prossimo al beneficiario, esclude che l’obbligo ricada su chi è meno prossimo. In altre parole, solo se il coniuge non è in grado di provvedere al pagamento degli alimenti, l’obbligo del mantenimento del genitore anziano ricade sui figli o sui nipoti, e così via.
Il primo dei chiamati agli alimenti è l’eventuale donatario, che ai sensi dell’art. 437 codice civile precede ogni altro obbligato, salvo che si tratti di una donazione obnuziale o remuneratoria.
Nel caso vi siano più persone nello stesso grado (fratelli, sorelle, figli…) o di grado diverso (coniuge e figli) chiamate congiuntamente a corrispondere gli alimenti (ad esempio per il mantenimento del genitore anziano), l’obbligo viene tra essi diviso in proporzione alle condizioni economiche di ciascuna (art. 441 codice civile). Si tratta di una obbligazione parziaria, in base a cui ciascuno risponde in proporzione alle proprie sostanze, ma ai sensi dell’art. 443 codice civile, in caso di urgente necessità, l’autorità giudiziaria può porre temporaneamente l’obbligazione degli alimenti a carico di uno solo tra quelli che vi sono obbligati, salvo il suo diritto di regresso nei confronti degli altri. Peraltro, come sancito dalla giurisprudenza di legittimità, “qualora i bisogni dell’avente diritto agli alimenti sono soddisfatti per intero da uno solo dei condebitori ex lege, questi può esercitare l’azione di regresso, senza la necessità di una preventiva diffida ad adempiere” (Cassazione civile, sentenza n. 4883/1988)
Ai sensi dell’ultimo comma dell’art. 441 codice civile, i coobbligati possono accordarsi sulla misura, sulla distribuzione e sul modo di somministrazione degli alimenti. In mancanza di accordo, provvede l’autorità giudiziaria secondo le circostanze.
QUANDO I FIGLI (N. 2 DELL’ART 433 CODICE CIVILE) SONO OBBLIGATI AL MANTENIMENTO DEL GENITORE ANZIANO
Quando i figli sono chiamati al mantenimento del genitore anziano?
In caso di un genitore anziano i doveri dei figli sono indicati all’art. 315 bis del codice civile: “il figlio deve rispettare i genitori e deve contribuire, in relazione alle proprie capacità, alle proprie sostanze e al proprio reddito, al mantenimento della famiglia finché convive con essa”.
Indipendentemente dalla convivenza, i figli devono occuparsi del mantenimento del genitore anziano, quando ricorrono alcune condizioni:
il genitore anziano si trova in uno stato di bisogno, come ampiamente descritto nei paragrafi precedenti (art. 438 codice civile);
i soggetti chiamati in via principale (il coniuge del genitore anziano, nonché un eventuale donatario, se esistenti), sono impossibilitati totalmente o parzialmente ad adempiere (art. 433 del codice civile);
i figli hanno risorse economiche sufficienti a provvedere, almeno in parte, ai bisogni elementari del genitore (art. 441 capoverso del codice civile).
Al verificarsi di queste condizioni, i figli sono obbligati al mantenimento del genitore anziano, ciascuno in proporzione alla propria capacità economica.
QUANDO SI È OBBLIGATI AL MANTENIMENTO DEL SUOCERO O DELLA SUOCERA (N. 4 DELL’ART 433 CODICE CIVILE)?
La prestazione alimentare ex art 433 codice civile coinvolge anche gli affini, ed in particolare gli ascendenti prossimi del coniuge.
È quindi possibile che il genero o la nuora siano chiamati al mantenimento del suocero o della suocera in stato di bisogno.
Rispetto all’ipotesi precedentemente descritta, tuttavia, per poter configurare la sussistenza dell’obbligo, occorre che:
il suocero o la suocera versino in stato di bisogno;
siano impossibilitati a mantenerli, in tutto o in parte, i rispettivi coniugi, i loro figli o nipoti, i loro genitori o ascendenti prossimi, nonché eventuali donatari;
Il genero o la nuora abbiano risorse economiche sufficienti per provvedere, almeno in parte, al mantenimento dei suoceri.
QUALE DIFFERENZA TRA ALIMENTI E MANTENIMENTO
In caso di separazione giudiziale o separazione consensuale gli alimenti sono dovuti? Per rispondere a questa domanda, occorre distinguere tra mantenimento ed alimenti, sebbene nel linguaggio comune tali espressioni vengano spesso confuse ed utilizzate come sinonimi.
L’obbligo di mantenimento investe una serie di situazioni diverse, tutte riconducibili al contesto dei rapporti endo-familiari. Si parla dell’obbligo di mantenimento dei genitori nei confronti dei figli (art. 147 codice civile), dell’imprenditore nei confronti del collaboratore familiare (art. 230 bis codice civile), del coniuge separando nei confronti dell’altro (art. 156 codice civile).
Come anticipato nei paragrafi precedenti, l’obbligazione alimentare è finalizzata ad assicurare a chi si trovi in “stato di bisogno”, la possibilità di provvedere al proprio sostentamento ed è dovuta in proporzione al bisogno di chi li richiede ed alle condizioni economiche di chi deve somministrarli.
Diversamente, il mantenimento che il soggetto economicamente “forte” versa all’altro, è una prestazione economica di portata molto più ampia di quella alimentare, finalizzata ad assicurare al soggetto “debole” non solo il minimo indispensabile per i bisogni vitali, ma anche un adeguato tenore di vita.
C’è quindi una differenza qualitativa e quantitativa.
IN CASO DI SEPARAZIONE CONSENSUALE GLI ALIMENTI SONO DOVUTI?
Fatta questa preliminare distinzione, alla domanda se in caso di separazione giudiziale o separazione consensuale gli alimenti sono comunque dovuti, occorre dare risposta affermativa.
Nel sistema italiano, la separazione dei coniugi non determina il venir meno del vincolo coniugale, ma solamente la sospensione di alcuni obblighi endo-familiari (come l’obbligo di coabitazione e di fedeltà tra i coniugi). Pertanto, anche in pendenza di separazione, al verificarsi dei presupposti il coniuge in stato di bisogno ha diritto a ricevere la prestazione alimentare dall’altro coniuge, e ciò a prescindere dall’eventuale addebito.
Inoltre, in materia di separazione, l’addebito (ne abbiamo parlato in questo articolo ) esclude il diritto al mantenimento, ma non quello agli alimenti.
In materia di successione, l’art. 548 comma 2 codice civile stabilisce che “Il coniuge cui è stata addebitata la separazione con sentenza passata in giudicato ha diritto soltanto ad un assegno vitalizio se al momento dell’apertura della successione godeva degli alimenti a carico del coniuge deceduto. L’assegno è commisurato alle sostanze ereditarie e alla qualità e al numero degli eredi legittimi, e non è comunque di entità superiore a quella della prestazione alimentare goduta.”
DEVONO ESSERE CORRISPOSTI GLI ALIMENTI DOPO IL DIVORZIO?
Sono dovuti gli alimenti dopo il divorzio? Se la separazione costituisce una fase di “crisi” del ménage matrimoniale, il divorzio ne segna il definitivo scioglimento, e con esso la cessazione degli effetti civili del matrimonio, ivi compresi tutti gli obblighi reciproci dei coniugi indicati all’art. 143 del codice civile.
Con la sentenza di divorzio, il “coniuge” cessa di essere tale. Perde quindi il diritto agli alimenti il coniuge divorziato, che tuttavia può ricorrere agli altri soggetti indicati dall’art 433 codice civile.
Lo stesso può dirsi in caso di annullamento del matrimonio, che a differenza del divorzio, lo cancella come se non fosse mai esistito.
Tuttavia, l’art. 5 comma 6 della legge sul divorzio n. 898 del 1970 stabilisce che “Con la sentenza che pronuncia lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, il tribunale (…) dispone l’obbligo per un coniuge di somministrare periodicamente a favore dell’altro un assegno quando quest’ultimo non ha mezzi adeguati o comunque non può procurarseli per ragioni oggettive”.
Anche in questo caso, occorre soffermarsi sulla differenza tra obbligo alimentare ed assegno divorzile, il quale ha funzione assistenziale, perequativa e compensativa (SS. UU. sent. n. 18287/2018). L’assegno divorzile ha la funzione di assicurare all’ex coniuge l’autosufficienza economica (Cass., sent. n. 11504/2017) e viene stabilito sulla base non solo dello stato di bisogno, ma anche su altri fattori, quali il contributo dato dall’ex-coniuge al nucleo familiare ed al patrimonio, alla durata del matrimonio, al nesso causale tra le scelte operate dagli ex coniugi in costanza di matrimonio e la loro situazione attuale (Cassazione, ordinanza n. 1786/2021).
QUANDO GLI ALIMENTI SONO DOVUTI NELLE UNIONI CIVILI E NELLE CONVIVENZE DI FATTO
L’art. 433 codice civile nulla dice in merito alla possibilità di poter considerare, alla stregua del coniuge, anche il soggetto convivente di fatto o unito civilmente. Orbene, l’art. 1 comma 65 della legge “Cirinnà” (legge n. 76/2016) afferma che in caso di cessazione della convivenza di fatto, il giudice adito stabilisce il diritto del convivente di ricevere dall’altro convivente gli alimenti, qualora versi in stato di bisogno e non sia in grado di provvedere al proprio mantenimento.
Peraltro il Tribunale di Lecce (sentenza n. 1418 del 18.06.2020) ha interpretato l’art. 1 comma 65 della legge 76/2016 applicandolo anche alle coppie di fatto more uxorio non registrate. Pertanto, il convivente more uxorio, anche in assenza del contratto di convivenza, ha diritto agli alimenti “qualora sia accertato lo stato di bisogno del richiedente e questi non sia in grado di provvedere al proprio mantenimento, per un periodo proporzionale alla durata della convivenza e nella misura determinata ai sensi dell’art. 438, co 2 c.c., in proporzione cioè del bisogno di chi li domanda e delle condizioni economiche di chi deve somministrarli“.
La maggiore differenza rispetto alla disciplina “ordinaria” contenuta all’art 433 codice civile sta nella durata dell’obbligo: gli alimenti devono essere versati dall’unito civilmente per un periodo di tempo determinato dal giudice, che sia proporzionale alla durata della convivenza intercorsa e nella misura determinata ai sensi dell’articolo 438, secondo comma, del codice civile.
Per quanto riguarda la “posizione” nella gerarchia dell’art. 433 del codice civile, la L. 76/2016 obbliga l’unito civilmente con precedenza su fratelli e sorelle, ma in subordine al coniuge, ai figli, ai discendenti, ai genitori, agli ascendenti prossimi, agli adottanti, ai generi e nuore, ai suoceri.
PERCHÉ IL DONATARIO PRECEDE TUTTI I SOGGETTI INDICATI ALL’ART 433 CODICE CIVILE
Come abbiamo visto nei precedenti paragrafi, l’art. 437 codice civile prevede che il donatario (colui che ha ricevuto una donazione) sia obbligato, con precedenza su ogni altro soggetto, a prestare gli alimenti al donante.
La ratio alla base è ben individuabile nel rapporto tra donante e donatario.
Quando la donazione viene fatta per assoluto spirito di liberalità, cioè in modo totalmente gratuito e fine a sé stesso, la legge ravvede nella posizione del donatario, un dovere di riconoscenza.
Tanto è vero che, ai sensi dell’art. 801 del codice civile, la donazione può essere revocata “per ingratitudine”, se il donatario rifiuta indebitamente di versare gli alimenti dovuti.
L’obbligo del donatario precede quello dei familiari, perché sarebbe irragionevole che il donatario si arricchisca, mentre la famiglia del donante, che pur ha risentito gli effetti sfavorevoli della donazione, debba provvedere al suo mantenimento. Viene tuttavia temperato nel quantum: l’art. 438 codice civile stabilisce che questo è obbligato nei limiti del valore della cosa donata, che residua al momento in cui nasce l’obbligazione alimentare.
Viceversa, laddove la donazione non sia animata da una liberalità “pura”, il donatario è escluso dall’elenco ex art 433 del codice civile e dai soggetti chiamati. È il caso delle donazioni remuneratorie ex art. 770 codice civile, cioè quelle effettuate per ricompensare il donatario di qualche merito, e quelle obnuziali ex art. 785 codice civile, effettuate in relazione alla celebrazione del matrimonio del donatario. Sono escluse anche le donazioni elargite in virtù di usi e consuetudini, e quelle di modico valore.
Rimane invece discusso se possano essere o meno escluse le donazioni indirette.
QUALI SONO LE CARATTERISTICHE DELL’OBBLIGAZIONE ALIMENTARE
Il c.d. diritto agli alimenti di cui agli art 433 codice civile e seguenti ha carattere strettamente personale. Ai sensi dell’art. 447 codice civile, il credito alimentare è indisponibile: non può essere ceduto, né usato per compensare i debiti del beneficiario ed è intrasmissibile agli eredi.
È irripetibile (non ne può essere richiesta la restituzione) e inalienabile, non potendo neanche essere sottoposto a rinuncia o transazione.
Il carattere di indisponibilità non riguarda invece l’obbligo alimentare sorto per convenzione (Cass. civ. n. 10362/1997).
Le somme dovute a titolo di alimenti non possono essere pignorate, ai sensi dell’art. 545 comma 1 codice di procedura civile, tranne che per cause di alimenti.
Infine, è escluso dalla massa fallimentare, nei limiti di quanto necessario al fine di garantire il sostentamento del fallito e della sua famiglia .
ART 433 CODICE CIVILE: COME SI CALCOLA L’ASSEGNO ALIMENTARE
Gli alimenti sono dovuti “in proporzione del bisogno di chi li domanda e delle condizioni economiche di chi deve somministrarli” (art. 438 codice civile).
Il giudice determina il quantum dell’obbligo alimentare, considerate diverse circostanze, sia oggettive che soggettive.
Occorre valutare sia la situazione economica effettiva nella quale versa l’alimentando, comprese le fonti di reddito derivanti o derivabili da diritti reali che gli consentirebbero di sopravvivere dignitosamente, sia quella di coloro i quali sono chiamati ad adempiere la prestazione alimentare.
La Suprema Corte ha precisato che, per poter individuare il quantum del diritto agli alimenti, “il raffronto fra le rispettive condizioni economiche va effettuato con riferimento alla situazione in atto, e, quindi, deve prescindere da vicende future, quale la probabile riscossione di crediti, le quali potranno avere influenza, al loro verificarsi, per un’eventuale revisione di dette statuizioni, ai sensi dell’art. 440 c.c.” (Cass., sent. n. 9432/1994).
Tra fratelli e sorelle, gli alimenti sono dovuti nella misura dello stretto necessario (a prescindere dalle condizioni economiche e sociali del beneficiario) e possono comprendere anche le spese per l’educazione e l’istruzione, se l’alimentando è minorenne.
Il variare delle condizioni economiche dell’obbligato e/o del beneficiario, giustifica una variazione dell’importo da versare. Ai sensi dell’art. 440 codice civile “se dopo l’assegnazione degli alimenti mutano le condizioni economiche di chi li somministra o di chi li riceve, l’autorità giudiziaria provvede per la cessazione, la riduzione o l’aumento, secondo le circostanze.”
L’obbligo alimentare non può eccedere quanto necessario per la vita dell’alimentando, mentre un limite specifico è previsto per l’obbligo del donatario, per il quale l’importo da versare non può superare il valore attuale e residuo della donazione accettata.
ART 433 CODICE CIVILE: COME DEVONO ESSERE VERSATI GLI ALIMENTI
In base all’art. 443 codice civile, “chi deve somministrare gli alimenti ha la scelta di adempiere questa obbligazione o mediante un assegno alimentare corrisposto in periodi anticipati, o accogliendo e mantenendo nella propria casa colui che vi ha diritto. L’autorità giudiziaria può però, secondo le circostanze, determinare il modo di somministrazione.”
Pertanto l’assegno alimentare, di regola versato mensilmente, può essere sostituito dall’accoglimento nella propria casa dell’alimentando, provvedendo così alle sue spese, garantendogli vitto, alloggio, assistenza (si pensi al mantenimento del genitore anziano) e cure mediche ove necessarie.
Nel caso in cui la scelta della convivenza non sia condivisa dal beneficiario, egli può chiedere che ai sensi dell’art. 443 comma 2 codice civile, sia l’autorità giudiziaria a determinare le modalità di somministrazione degli alimenti, anche prevedendo soluzioni alternative a quelle indicate al primo comma, come ad esempio la fornitura periodica di beni in natura, la messa a disposizione di una rendita, la stipulazione di un contratto di comodato abitativo di un immobile.
La prestazione alimentare è dovuta dal momento della domanda giudiziale o dal momento in cui si effettua la costituzione in mora dell’obbligato, se entro sei mesi dalla stessa viene iniziato il giudizio.
COME SI RICHIEDONO GLI ALIMENTI AI SOGGETTI EX ART 433 CODICE CIVILE
Per poter ottenere la prestazione alimentare, l’interessato deve rivolgersi al proprio legale di fiducia, al fine di instaurare un procedimento avanti al Tribunale competente.
Nel caso in cui al beneficiario sia affiancato un tutore, un curatore o un amministratore di sostegno, nominato tra i parenti ed affini entro il quarto grado, oppure esterno alla famiglia, è necessaria l’autorizzazione del Giudice Tutelare (art. 374 codice civile).
La domanda giudiziale, nella forma dell’atto di citazione (art. 163 codice procedura civile), instaura un giudizio ordinario di merito, nel quale il richiedente deve dimostrare il proprio stato di bisogno e l’impossibilità di provvedere al proprio sostentamento, nonché il vincolo (familiare o contrattuale) che lo lega al soggetto chiamato.
In merito al riparto dell’onere della prova, si evidenzia come sull’obbligato gravi la dimostrazione del suo stato di impossibilità economica a provvedere ai bisogni del parente in difficoltà, e/o la esistenza di altri soggetti, tra quelli indicati all’art 433 del codice civile, che lo precedono nell’obbligo del versamento.
Il deposito della domanda giudiziale segna anche l’inizio della debenza degli alimenti, che tuttavia retroagisce al momento della messa in mora dell’obbligato, se l’azione viene intrapresa entro i sei mesi successivi (art. 445 codice civile).
La sentenza che accerta l’esistenza del diritto e condanna l’obbligato è pronunciata “sic rebus stantibus”, cioè al permanere della situazione di fatto e di diritto attuale. Questo quindi non preclude la possibilità di una futura modifica della misura degli alimenti (sia in aumento, che in riduzione) o della cessazione dell’obbligo, al sopravvenire di nuove circostanze di fatto e di diritto.
GLI ALIMENTI URGENTI E PROVVISORI EX ART 433 CODICE CIVILE
Considerato che i lunghi termini del procedimento giudiziario non consentirebbero, nelle more della sua definizione, una tutela effettiva del richiedente, l’art. 446 codice civile prevede che il Presidente del Tribunale disponga, su richiesta ed in via provvisoria, la corresponsione di un assegno.
Inoltre, in base all’art. 443 codice civile, pur in presenza di più coobbligati (si è detto, in maniera parziaria, ciascuno in proporzione delle proprie capacità economiche), l’obbligo può essere temporaneamente posto interamente a carco di uno solo di essi, salvo il diritto di regresso nei confronti degli altri.
La giurisprudenza si è spesso interrogata sulla natura del provvedimento urgente e provvisorio emesso dal giudice e sulla possibilità che lo stesso possa essere reso in altri modi diversi dall’introduzione del giudizio di merito, cioè evitando la causa vera e propria in caso di disaccordo tra le parti. L’orientamento prevalente ritiene che sia necessario istaurare il giudizio di merito, non essendo possibile ottenere il provvedimento provvisorio in via cautelare, ad esempio tramite un provvedimento ex art. 700 c.p.c. (in tal senso, v. Trib. Milano ord. 3 aprile 2013; Trib. Venezia ord. 28 luglio 2004; Trib. Catania ord. 22 marzo 2005). Tuttavia, parte della giurisprudenza di merito invece ritiene ammissibile la tutela d’urgenza prima dell’inizio della causa vera e propria (v. Trib. Catania 22 marzo 2005; Trib. Trani 9 gennaio 2012).
ART 433 CODICE CIVILE: QUANDO SI MODIFICA E SI ESTINGUE L’OBBLIGAZIONE ALIMENTARE?
Come tutte le obbligazioni, anche quella alimentare può subire modifiche o estinguersi al verificarsi di svariate situazioni.
L’art. 440 codice civile stabilisce che, se le condizioni economiche di chi somministra o chi riceve gli alimenti mutano dopo la sentenza, occorre nuovamente rivolgersi al giudice per richiedere una modifica dell’importo da versare.
Tipicamente, un motivo di richiesta di modifica è la inflazione monetaria, anche se nella prassi, la misura dell’obbligo alimentare viene legata alla rivalutazione economica.
Inoltre, la prestazione alimentare può subire riduzioni anche al verificarsi di una condotta disordinata o riprovevole dell’alimentato, ad esempio, quando alimentando non utilizzi le somme di denaro corrisposte a titolo di alimenti in maniera coscienziosa. In questi casi, i parenti e gli affini entro il quarto grado possono richiedere la nomina di un amministratore di sostegno, che si occupi della gestione economica dei beni dell’alimentando.
Inoltre, è possibile chiedere la cessazione dell’obbligo in capo ai soggetti ex art. art 433 codice civile nel caso in cui vengano meno i presupposti previsti dall’art. 438 codice civile.
L’estinzione dell’obbligo alimentare si verifica anche con la morte dell’alimentando o dell’alimentante (v. art. 448 c. c. caso di estinzione per morte dell’obbligato).
Sono poi previste ipotesi speciali di cessazione dell’obbligo:
per il figlio (o i suoi discendenti prossimi) cessa l’obbligo nei confronti del genitore per il quale sia stata pronunciata la decadenza della responsabilità genitoriale (art. 434 codice civile);
per i suoceri (e del genero e della nuora) cessa l’obbligo quando il beneficiario è passata a nuove nozze; e quando il coniuge, da cui deriva l’affinità, e i figli nati dalla sua unione con l’altro coniuge e i loro discendenti sono morti (art. 448 bis codice civile). Come da pacifica giurisprudenza, la sentenza di divorzio non determina l’automatica caducazione del vincolo di affinità fra un coniuge e i parenti dell’ex coniuge: di tale vincolo viene meno, in base all’art. 78 comma 3 codice civile, solo in caso di nullità del matrimonio. Quindi, il divorzio non fa venir meno l’obbligo alimentare tra affini, che resta disciplinato dall’art. 434 c. c.: la sentenza, mentre determina la caducazione dell’obbligo alimentare tra gli affini solo ove l’avente diritto passi a nuove nozze e se non siano vivi i figli nati dal matrimonio o loro discendenti, peraltro può giustificare soltanto una richiesta di revisione dell’obbligo medesimo, ove essa sentenza si traduca, anche in relazione alle statuizioni patrimoniali conseguenziali al divorzio, in un mutamento della situazione in base alla quale gli elementi siano stati riconosciuti e liquidati (in tal senso Cass., sent. n. 2848/1978).
per il donatario, in caso di revoca o nullità della donazione;
per il coniuge, che perde il diritto agli alimenti dopo il divorzio o in caso di annullamento del matrimonio.
COSA SI RISCHIA PER L’INADEMPIMENTO EX ART 433 CODICE CIVILE
L’inadempimento dell’obbligo alimentare comporta una duplice responsabilità, sia sul piano civile che su quello penale.
Sul piano civile, l’inadempiente potrebbe subire un procedimento di esecuzione forzata, con conseguente pignoramento dei propri beni.
Sul piano penale, l’art. 570 codice penale, rubricato “obblighi di assistenza familiare”, punisce con la reclusione sino a un anno, ed una sanzione pecuniaria che va da 103 a 1.032 euro, chi fa mancare i mezzi di sussistenza agli ascendenti (…ai discendenti di età minore, inabili al lavoro, agli ascendenti o al coniuge, il quale non sia legalmente separato per sua colpa…).
Inoltre, l’art. 388 comma 2 del codice penale (mancata esecuzione dolosa del provvedimento del giudice) punisce con la reclusione fino a tre anni o con la multa da euro 103 a euro 1.032, chi “elude l’ordine di protezione previsto dall’articolo 342-ter del codice civile, ovvero un provvedimento di eguale contenuto assunto nel procedimento di separazione personale dei coniugi o nel procedimento di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio ovvero ancora l’esecuzione di un provvedimento del giudice civile, ovvero amministrativo o contabile, che concerna l’affidamento di minori o di altre persone incapaci, ovvero prescriva misure cautelari a difesa della proprietà, del possesso o del credito”.
Lo Studio Legale degli Avv.ti Berti e Toninelli opera presso i Tribunali di Pistoia, Prato, Lucca e Firenze ed in tutta Italia tramite i servizi online. Si trova a Pistoia, in Piazza Garibaldi n. 5.
Accompagnamento anziani: cosa è, a chi viene dato e come richiederlo. Da Seremy. Finalmente un pò di chiarezza sul tema dell'accompagnamento anziani, molto importante per chi si prende cura di un genitore avanti con gli anni.
Non tutti sanno esattamente cosa sia esattamente l’accompagnamento anziani, chi ne abbia diritto e a quanto ammonti la somma percepita. Per questo abbiamo deciso di fare chiarezza sul tema, molto importante per chi si prende cura di un genitore avanti con gli anni.
Chi ha diritto all’accompagnamento anziani?
La richiesta può essere fatta da tutti coloro che hanno un’età minima di 67 anni, ma non basta l’età anagrafica per ottenere l’accompagnamento anziani. In questo caso è fondamentale avere un’invalidità al 100% riconosciuta in modo permanente dall’INPS, ente nazionale di previdenza sociale.
Si tratta quindi di un beneficio che va a favore di chi ha difficoltà a compiere le attività quotidiane e necessita di costante assistenza.
Come fare domanda di indennità di accompagnamento?
Per ottenere l’accompagnamento anziani è importante avere un certificato di invalidità al 100% rilasciato dall’INPS. Successivamente il patronato correda questo documento con la dichiarazione dei redditi del richiedente e l’ASL di riferimento contatta il cittadino per la visita medica che ne certifichi il grado di invalidità.
Oltre all’invalidità al 100% è importante sapere che si deve avere un reddito inferiore a 17,340,17 euro all’anno per richiedere l’importo dell’accompagnamento anziani. Se la procedura di richiesta va a buon fine l’anziano riceve la somma dal mese successivo al recepimento del verbale.
A quanto ammonta l’assegno di accompagnamento?
Pochi sanno a quanto ammonti l’assegno di accompagnamento per anziani. Nel dettaglio si tratta di un sussidio di importo pari a 530,27€ mensili per un totale di 12 mensilità annue e che a differenza dell’indennità di invalidità civile non prevede la tredicesima.
Quali sono le differenze tra accompagnamento e invalidità?
Oltre all’importo erogato ci sono altre differenze tra accompagnamento e invalidità civile. La domanda di invalidità civile riguarda tutti coloro che – dai 18 ai 67 anni di età – sono affetti da gravi patologie o deficit fisici e psichici. La richiesta viene fatta anche dagli invalidi al 100% oltre i 67 anni di età e non più autosufficienti e bisogna rispettare alcuni requisiti di reddito.
In alcuni casi l’accompagnamento è rivolto anche ai minori di 18 anni con gravi patologie, anche in questo caso sulla base di requisiti di reddito.
In ogni caso in Italia le persone invalide hanno diritti ad un assegno di mantenimento che permette loro di vivere in modo adeguato e coprire le spese per un eventuale servizio di badante.
Vittorio Puglisi se n’è andato.
Non è ritornato a Catania in Sicilia, sua terra natia, per rinchiudersi in un ospizio, come aveva preventivato di fare. No! E’ morto.
E ad Avetrana, suo paese ospitante, nessuno ne sa niente. Nemmeno un manifesto funebre per avvisare la popolazione, eppure era conosciuto e beneamato da molti.
Non può essere che se ne vada così senza che di lui non vi rimanga un ricordo.
Era di Catania. Era un agente di commercio trasfertista, poi domiciliatosi nel barese. Era sposato con due figli.
Dopo che si era trasferito lasciò la moglie a Catania per la sua segretaria di Erchie (Br) con due figlie, che lui crebbe ed istruì. Una di loro è diventata Avvocato e poi Parlamentare.
La famiglia di Catania recise ogni rapporto con lui.
Da pensionato si trasferì con la nuova famiglia a Manduria e poi comprò casa in un condominio a San Pietro in Bevagna.
Con la seconda moglie le cose non andarono bene, tanto che lei, malata, lo lasciò per trasferirsi in una casa di riposo per anziani, fino alla sua morte. Anche le figlie di lei recisero ogni rapporto con Vittorio, salvo mantenere una lite giudiziaria per degli immobili comprati dai coniugi, ma in possesso delle figlie e non resi come quota ereditaria a Vittorio. Gesto che indusse Vittorio, per ripicca, a donare ai figli di Catania la sua casa al mare.
Lui rimase comunque solo, ultrasettantenne.
Su consiglio di un personaggio, che si autodefiniva guardiano dei condomini della litoranea in cambio di regalie, si trasferisce ad Avetrana, in un appartamento vicino al suo, affinché non fosse da solo a svernare sulla marina. Si scoprì poi che la ragione del gesto era di poter affittare l’appartamento ed intascare i soldi, senza che Vittorio ne sapesse niente.
Vittorio diventa mio vicino, spalla a spalla.
La casa vecchia presa in locazione, con lui si trasforma tutto a vantaggio del proprietario.
È autonomo, giovanile e distinto e voleva affrancarsi dai figli, assoggettandosi ad un estraneo. Non è acculturato e non riesce a capire che l’estraneo è limitato dalla legge nelle decisioni che lo riguardano, tantomeno non vi era alcun incentivo con la donazione modale, avendo dato tutto ai figli.
Lui fa amicizia con tutti quelli che si rapportano con lui.
Un giorno dalla mia cucina sento un tonfo dall’altra parte del muro divisore, con conseguenti gemiti.
Mio figlio Mirko, prima chiama il suo nome e poi, non ricevendo risposta, salta il muro e va a vedere cosa fosse successo.
Vittorio era caduto in bagno. Era scivolato nella vasca, aveva battuto la testa e si era rotto l’anca e non aveva la forza di chiedere aiuto.
Chiamammo l’ambulanza che lo ricoverò all’ospedale di Manduria. Durante la sua decenza lo assistemmo, io e la mia famiglia, e pagai le spese correnti, in quanto lui non poteva prelevare il denaro.
Gli consigliai di chiamare i figli, per l’assistenza e per poter prendere decisioni. Lui lo fece.
Loro rimasero solo un giorno, lasciando il malato da solo a letto, impossibilitato a muoversi.
Io chiamai l’OSS e l’assistente sociale di Avetrana. Non potevo assistere un malato con la spada di Damocle della circonvenzione di incapace. Io, per autotutela, rifiutai ogni forma di donazione di riconoscenza, cosa che altri, forse, non fecero dopo il mio allontanamento. Perché lui era prodigo con tutti, vantandosi della sua capacità di intendere e volere.
L’assistente sociale ed i carabinieri mi supplicarono di provvedere a Lui, ma non potevo. Non avevo la legittimità di agire dei figli o di un rappresentante legale.
Denunciai i figli per abbandono di incapace. Vittorio non poteva muoversi dal letto per l’operazione all’anca e non vi era nessuno ad aiutarlo, nemmeno per mangiare. La denuncia fu rigettata.
Vittorio sapeva della denuncia e ne rimase male. Lui voleva molto bene ai figli e soffriva per il fatto che l'amore non era ricambiato.
In questo modo Vittorio era rimasto solo, salvo la presenza della cagnolina. Comunque io non ho mai negato ogni aiuto urgente e necessario, o che altri non fossero capaci di dare.
Vittorio in cerca di qualcuno che gli facesse compagnia, cercò la sponda in un altro vicino di casa.
Intanto con me festeggia le festività e il 2 giugno 2023 festeggia con me i miei sessant’anni in famiglia.
Dopo pochi giorni vende la casa, con la firma dei figli donatari. Questi rimangono poche ore, giusto il tempo della firma: ricevono i soldi e vanno via.
Agli inizi di luglio 2023 muore la cagnolina, sua compagna per 19 anni.
La sua routine giornaliera era regolare. Incombenze casalinghe e passeggiate con la cagnolina.
E così è andato avanti, fino a che nell’ultimo anno si sentiva stanco ed affaticato. Era un po’ sordo ed aveva la prostatite. Aveva fatto l’operazione della cataratta agli occhi ed altri esami di routine. Eppure arriva un giorno che, per l’ennesima volta, chiamo insieme a lui il medico, perché era un po’ di giorni che non andava al bagno. Lei arriva, lo visita, legge le analisi fatte giorni prima e chiama l’ambulanza. Il pronto soccorso di Manduria dopo un’ora mi chiama per riprenderlo, perché gli hanno dato l’uscita. Era il 25 luglio 2023: entrata ore 16-uscita ore 18. Gli danno come cura un placebo: degli integratori che io provvedo a comprare in farmacia.
Dopo tre giorni di cura inutile, uso di purghe varie e della peretta, nulla succede, Vittorio va nuovamente al pronto soccorso con un amico. Dopo ore di attesa senza che venga visitato, ritorna a casa debilitato.
Il 31 luglio 2023 alle ore 4 del mattino Vittorio si fa riaccompagnare al pronto soccorso di Manduria dallo stesso amico coetaneo.
Questa volta lo tengono in osservazione e lo ricoverano. Solo adesso si accorgono che Vittorio ha tutti i sintomi visibili della Leucemia ed i valori dei globuli bianchi sono sfalsati. Tutto visibile da un anno a questa parte. Tanto che il medico, che lo cura in reparto dell’ospedale, si spinge a dire: come mai nessuno si era accorto prima della malattia, nonostante i reiterati esami, omettendo l’accusa ai suoi colleghi del pronto soccorso.
Il Medico, stante la situazione, dice a Vittorio di chiamare i figli.
Loro vengono e nello stesso giorno vanno via, portandosi con sé la sua Mercedes pagata qualche mese prima 16mila euro.
L’11 agosto 2023 alle ore 18.00 Vittorio muore all’ospedale di Manduria. Aveva 86 anni.
I figli ritornano e il giorno dopo vanno via.
Vittorio è rimasto ancora una volta da solo nella camera mortuaria del cimitero di Avetrana, dall’11 al 17 agosto 2023, giorno della sua cremazione a Foggia, come lui ha sempre voluto.
Il proprietario della casa di Vittorio ne prende possesso.
Delle cose di Vittorio site nella sua dimora nulla più si saprà; delle sue volontà depositate dal notaio, nulla si sa.
Questo resoconto affinchè di Vittorio non rimanga solo cenere ed oblio.
Ciao Vittorio, ci ricorderemo di te…
Estratto da open.online il 7 Settembre 2023
Domenico, il padre del cantante Michele Merlo, dice che suo figlio è stato ucciso dal sistema sanitario. E sostiene di essere rimasto basito dalla richiesta di archiviazione dell’indagine da parte della procura.
L’ex carabiniere ricorda l’accusa nei confronti del medico di base di Rosà Domenico Pantaleo. Ma poi aggiunge: «Il punto non è un giovane medico di base che ha commesso un errore madornale. Il punto è il sistema che per anni ha promosso i tagli e le politiche che hanno prodotto le condizioni perché un errore del genere fosse commesso».
Annuncia l’opposizione alla richiesta di archiviazione.
(...)
Michele Merlo è morto per una leucemia fulminante il 6 giugno 2021. Ma il padre non ci sta: «Ci sono diverse perizie che dicono la stessa cosa: con le giuste cure Michele aveva altissime probabilità di essere salvato. Eppure per il pm non è possibile stabilirlo con certezza. Lo capisco, ma che mi si venga a dire una cosa del genere dopo due anni… Io vorrei solo che il pm si mettesse anche solo per un minuto – non dico per oltre due anni, basterebbe un minuto – nei nostri panni.
Se immaginasse cos’è diventata la nostra vita…». Nel colloquio con Maria Elena Grottarelli ricorda: «Prima ci eravamo rivolti al pronto soccorso di Cittadella, in provincia di Padova e, il 26 maggio, a quello di Vergato, fuori Bologna, da cui Michele venne mandato via con un antibiotico. E allora, secondo lei, io con chi me la dovrei prendere? Con Vitaliano Pantaleo? Con un ospedale? No, questo è un problema di sanità».
Noci, turista 92enne muore dopo una caduta: 6 chiamate al 118 e una al 113 senza risposta. L'anziana vittima, Domenico Fiorelli, si era ferito alla testa scivolando da una scala esterna di un trullo. Il figlio Umberto sporge denuncia e scrive a Giorgia Meloni: «Ci pensi a portare il G7 in Puglia, qui la sanità non esiste». REDAZIONE ONLINE su La Gazzetta del Mezzogiorno l' 08 settembre 2023
. Una vacanza finita in tragedia per un 92enne di Bolzano che lo scorso 4 agosto è morto a Noci. L'uomo, Domenico Fiorelli si era ferito alla testa scivolando da una scala esterna di un trullo. Nonostante la famiglia e i vicini avessero chiamato per 6 volte il 118 e una volta il 113, non hanno ricevuto alcuna risposta. Così, i vicini decidono di portare il signor Domenico direttamente al presidio ospedaliero di Noci e, di fronte al medico, che per spostarsi ha bisogno di un’autorizzazione del servizio medico, chiamano ancora il 118. Ma ancora una volta non ottengono alcuna risposta.
Tra la prima e l’ultima chiamata passano 40 minuti. Momenti fatali visto che Domenico - secondo quanto raccontano i familiari - ha avuto un infarto. «Il medico, senza effettuare alcuna manovra di rianimazione come credo che si debba fare in queste situazioni, gli fa un elettrocardiogramma e mi annuncia che è morto. Erano in tre nell’ambulanza e nessuno ha tentato una manovra, nulla. Non so perché. Mio papà è morto così», spiega il figlio della vittima
A denunciare la vicenda alla questura di Bolzano, città di residenza dell’anziano, è stato il figlio Umberto: il caso verrà preso in gestione dai magistrati di Bari. Il figlio della vittima anche scritto a Giorgia Meloni: “Ci pensi a portare il G7 in Puglia, qui la sanità non esiste”.
Il centro operativo del servizio 118 di Bari sta ora effettuando gli accertamenti per capire cosa sia accaduto realmente. Inoltre, chi indaga sta risalendo al registro delle chiamate e ai turni di lavoro nella sala operativa per verificare se effettivamente possano esserci responsabilità da parte dei sanitari.
Malasanità, il Nas setaccia ospedali e case di cura: 3.884 liste d'attesa truccate, denunciati 26 medici. Tra le irregolarità anche prenotazioni chiuse per far fare le ferie al personale. La Stampa l'08 Settembre 2023
Ventisei, tra medici e infermieri, sono stati denunciati dai carabinieri del Nas in diverse città d’Italia a seguito di controlli effettuati tra luglio e agosto sulle liste d'attesa. Nel mirino del Nucleo Antisofisticazione dell’Arma sono finite in particolare le prestazioni ambulatoriali, ma l’indagine si è poi allargata ad altre questioni: visite specialistiche ed esami nel Servizio sanitario pubblico. Le ispezioni sono state eseguite in presidi ospedalieri e ambulatori delle aziende sanitarie, compresi gli Istituti di Ricovero e Cura a carattere scientifico e le strutture private accreditate, con l’obiettivo di accertare il rispetto dei criteri previsti dal Piano Nazionale di Governo delle Liste di Attesa.
Sono stati effettuati controlli in 1.364 tra ospedali, ambulatori e cliniche, sia pubblici sia privati in convenzione con il Servizio Sanitario Nazionale, analizzando 3.884 liste e agende di prenotazione per prestazioni ambulatoriali relative a svariate tipologie di visite mediche specialistiche e di esami diagnostici.
Tra i casi più rilevanti, i Nas di Milano, Torino, Perugia e Catania hanno denunciato 9 medici per aver favorito conoscenti e propri pazienti privati, stravolgendo le liste d'attesa, consentendo loro di essere sottoposti a prestazioni in data antecedente rispetto alla prenotazione ed eludendo le classi di priorità. Il Nas di Reggio Calabria ha denunciato, per l'ipotesi di peculato, 3 medici di Aziende Sanitarie per aver prestato in modo fraudolento servizio presso un poliambulatorio privato sebbene contrattualizzati in regime esclusivo con le aziende sanitarie pubbliche. Il Nas di Perugia ha invece individuato un medico radiologo svolgere attività privata presso un altro ospedale, pur trovandosi in malattia, oltre a due infermieri che svolgevano esami del sangue per privati, registrando falsi ricoveri.
Oltre 3 mila agende analizzate
Le ispezioni svolte sull'ingente mole di dati e riscontri relativi a oltre 3 mila 800 agende ha consentito, inoltre, di rilevare 1.118 situazioni di affanno nella gestione delle 2 liste di attesa e superamento delle tempistiche imposte dalle linee guida del Piano nazionale, pari al 29% di quelle esaminate. Tra le cause più frequenti degli sforamenti delle tempistiche sono state accertate, su 761 agende, carenze funzionali ed organizzative dei presidi ospedalieri e degli ambulatori, diffusa carenza di personale medico e tecnici specializzati che, oltre alla alla mancanza di adeguati stanziamenti e attrezzature, il che ha determinato il rallentamento dell'esecuzione di prestazioni sanitarie.
Nessun rispetto di priorità e urgenze
Slittamento che si ripercuote anche nel mancato rispetto delle classi di priorità (“Urgente”, “Breve” e “Differibile”) ricollocate, in 138 casi, in tempistiche entro i 120 gg (“Programmabili”), non compatibili con i criteri di precedenza ed urgenza. In 195 situazioni il Nas ha riscontrato la sospensione o la chiusura delle agende di prenotazione, in parte condotte con procedure non consentite, oppure determinate dalla carenza o assenza di operatori senza prevederne la sostituzione. Proprio in tale contesto, gli accertamenti svolti dai Nuclei di Palermo, Reggio Calabria, Latina e Udine hanno consentito di rilevare vere e proprie condotte dolose, con la denuncia di 14 dirigenti e medici ritenuti responsabili del reato di interruzione di pubblico servizio, per aver arbitrariamente chiuso in modo ingiustificato le agende di prenotazione a luglio/agosto, posticipando le prestazioni diagnostiche per consentire al personale di poter fruire delle ferie estive o svolgere indebitamente attività a pagamento. Alle carenze di organico si integrano anche comportamenti non allineati ad una corretta deontologia professionale, come nel caso di un dirigente medico di una Asl della provincia di Roma che - sebbene responsabile degli ambulatori di gastroenterologia e colonscopia per cui vi fosse indisponibilità presso l'intera ASL - esercitava le stesse prestazioni in attività intramoenia extramuraria – regolarmente autorizzata - presso un poliambulatorio privato, con una programmazione fino ad 8 esami giornalieri.
Tra pubblico e privato
Sono state anche individuate 21 irregolarità nello svolgimento di attività intramoenia per esubero delle prestazioni concordate con le Asl e omesse comunicazioni sullo svolgimento delle attività esterne da parte dei medici pubblici. Un ulteriore aspetto emerso dai controlli è la mancata adesione di cliniche e ambulatori privati, già convenzionati, nel sistema di prenotazione unico delle Aziende sanitarie o a livello regionale, aspetto che riduce la platea di strutture utili per l'erogazione delle prestazioni mediche specialistiche e diagnostiche.
Facebook. ZeroGas: Organizzazione di tutela ambientale
COME MUORE UN ANZIANO OGGI?
Muoiono in OSPEDALE.
Perché quando la nonna di 92 anni è un po’ pallida ed affaticata deve essere ricoverata. Una volta dentro poi, l’ospedale mette in atto ciecamente tutte le sue armi di tortura umanitaria. Iniziano i prelievi di sangue, le inevitabili fleboclisi, le radiografie.
“Come va la nonna, dottore?”. “E’ molto debole, è anemica!”.
Il giorno dopo della nonna ai nipoti già non gliene frega più niente!
Esattamente lo stesso motivo (non per tutti, sia chiaro!) per il quale da diversi anni è rinchiusa in casa di riposo.
“Come va l’anemia, dottore?”. “Che vi devo dire? Se non scopriamo la causa è difficile dire come potrà evolvere la situazione”.
“Ma voi cosa pensate?”. “Beh, potrebbe essere un’ ulcera o un tumore… dovremmo fare un’ endoscopia”.
Chi lavora in ospedale si è trovato moltissime volte in situazioni di questo tipo. Che senso ha sottoporre una attempata signora di 92 anni ad una gastroscopia? Che mi frega sapere se ha l’ulcera o il cancro? Perché deve morire con una diagnosi precisa? Ed inevitabilmente la gastroscopia viene fatta perché i nipoti vogliono poter dire a se stessi e a chiunque chieda notizie, di aver fatto di tutto per la nonna.
Certe volte comprendo la difficoltà e il disagio in certi ragionamenti.Talvolta no.
Dopo la gastroscopia finalmente sappiamo che la Signora ha solamente una piccola ulcera duodenale ed i familiari confessano che la settimana prima aveva mangiato fagioli con le cotiche e broccoli fritti, “…sa, è tanto golosa”.
A questo punto ormai l’ ospedale sta facendo la sua opera di devastazione. La vecchia perde il ritmo del giorno e della notte perché non è abituata a dormire in una camera con altre tre persone, non è abituata a vedere attorno a sé facce sempre diverse visto che ogni sei ore cambia il turno degli infermieri, non è abituata ad essere svegliata alle sei del mattino con una puntura sul sedere. Le notti diventano un incubo.
La vecchietta che era entrata in ospedale soltanto un po’ pallida ed affaticata, rinvigorita dalle trasfusioni e rincoglionita dall’ambiente, la notte è sveglia come un cocainomane. Parla alla vicina di letto chiamandola col nome della figlia, si rifà il letto dodici volte, chiede di parlare col direttore dell’albergo, chiede un avvocato perché detenuta senza motivo.
All’inizio le compagne di stanza ridono, ma alla terza notte minacciano il medico di guardia “…o le fate qualcosa per calmarla o noi la ammazziamo!”. Comincia quindi la somministrazione dei sedativi e la nonna viene finalmente messa a dormire.
“Come va la nonna, dottore? La vediamo molto giù, dorme sempre”.
Tutto questo continua fino a quando una notte (chissà perché in ospedale i vecchi muoiono quasi sempre di notte) la nonna dorme senza la puntura di Talofen.
“Dottore, la vecchina del 12 non respira più”.
Inizia la scena finale di una triste commedia che si recita tutte le notti in tanti nostri ospedali: un medico spettinato e sbadigliante (spesso il Rianimatore sollecitato di corsa per “fare di tutto”)scrive in cartella la consueta litania “assenza di attività cardiaca e respiratoria spontanea, si constata il decesso”.
La cartella clinica viene chiusa, gli esami del sangue però sono ottimi. L’ospedale ha fatto fino in fondo il suo dovere, la paziente è morta con ottimi valori di emocromo, azotemia ed elettroliti.
Cerco spesso di far capire ai familiari di questi poveri anziani che il ricovero in ospedale non serve e anzi è spesso causa di disagio e dolore per il paziente, che non ha senso voler curare una persona che è solamente arrivata alla fine della vita.
Che serve amore, vicinanza e dolcezza.
Vengo preso per cinico, per un medico che non vuole “curare” una persona solo perché è anziana. “E poi sa dottore, a casa abbiamo due bambini che fanno ancora le elementari non abbiamo piacere che vedano morire la nonna!”.
Ma perché?
Perché i bambini possono vedere in tv ammazzamenti, stupri, “carrambe” e non possono vedere morire la nonna? Io penso che la nonna vorrebbe tanto starsene nel lettone di casa sua, senza aghi nelle vene, senza sedativi che le bombardano il cervello, e chiudere gli occhi portando con sé per l’ultimo viaggio una lacrima dei figli, un sorriso dei nipoti e non il fragore di una scorreggia della vicina di letto.
In ultimo, per noi medici: ok, hanno sbagliato, ce l’hanno portata in ospedale, non ci sono posti letto, magari resterà in barella o in sedia per chissà quanto tempo. Ma le nonnine e i pazienti, anche quelli terminali, moribondi,non sono “rotture di scatole” delle 3 del mattino.
O forse lo sono. Ma è il nostro compito, la nostra missione portare rispetto e compassione verso il “fine vita”. Perché curare è anche questo, prendersi cura di qualcuno.Anche e soprattutto quando questo avviene in un freddo reparto nosocomiale e non sul letto di casa.
di Carlo Cascone (belle persona conosciuta per caso da ZeroGas)
11 ore in attesa di ricovero Covid: la precisazione del Marianna Giannuzzi. Non ha tardato ad arrivare la replica da parte della direzione medica del presidio ospedaliero “Marianna Giannuzzi” sul caso dell’uomo di Avetrana rimasto ad aspettare in ambulanza per circa 11 ore prima di essere ricoverato. Francesca Dinoi su La Voce di Manduria venerdì 27 novembre 2020. Non ha tardato ad arrivare la replica da parte della direzione medica del presidio ospedaliero “Marianna Giannuzzi” sul caso dell’uomo di Avetrana rimasto ad aspettare in ambulanza per circa 11 ore prima di essere ricoverato. A narrare l’esperienza, era stato il figlio del paziente, l’avvocato Mirko Giangrande in un’intervista rilasciata al Nuovo Quotidiano di Taranto, in cui lamentava, appunto, la lunga attesa a cui erano stati sottoposti a causa di un affollamento di ambulanze nel piazzale dell’ospedale. La direzione medica, in base alle notizie pervenute dal responsabile del Pronto Soccorso, racconta che all’arrivo del signor Giangrande in ospedale, l’assistito era stato visitato, eseguito il tampone naso-faringeo per verificare l’eventuale positività al Covid-19 e somministrata la terapia adeguata. In seguito, all’esito della positività del tampone, veniva fatto accomodare nell’area attrezzata all’osservazione breve fino a 48/72 ore e alle ore14:00 del giorno successivo, ricoverato nel reparto Medicina Covid, occupando il primo posto letto disponibile. «Al signor Giangrande non sono mai mancate le cure di cui ha avuto necessità in una giornata tuttavia congestionata per l’arrivo contestuale di numerose ambulanze del 118.», chiarisce la responsabile, riconoscendo l’imprevisto. Della stessa opinione anche la direzione Asl di Taranto che rivolge le proprie scuse al signor Giangrande ed al figlio, ribadendo che al paziente era sempre stata assicurata la massima sicurezza grazie all’esemplare competenza di tutti gli operatori sanitari presenti. Francesca Dinoi
Parla il figlio dell'uomo rimasto 11 ore in ambulanza prima del ricovero al Giannuzzi. L’avvocato Mirko Giangrande racconta in un’intervista al Nuovo Quotidiano di Taranto il calvario del padre ricoverato al Giannuzzi dopo un’attesa di 11 ore in ambulanza. La Redazione de La Voce di Manduria martedì 24 novembre 2020. Un calvario di 11 ore. Tanto è durata l’attesa in ambulanza di un uomo di Avetrana domenica scorsa. A raccontare l’incredibile vicenda al Nuovo Quotidiano di Taranto è il figlio del povero malcapitato, Mirko Giangrande. I particolari che l’avvocato riferisce hanno dell’incredibile. Il paziente, positivo già da diversi giorni, è stato prelevato dalla sua abitazione dopo aver effettuato una cura anti-Covid domiciliare. Giunto nel piazzale dell’ospedale Giannuzzi, dopo le prime ore, l’uomo - provato dall’attesa ed in evidente stato di agitazione - ha allertato il 112 ed il 113 addirittura dall’interno dell’ambulanza. Le comunicazioni con la famiglia avvenivano tramite whatsapp, visto l’affaticamento respiratorio e la difficoltà nell’effettuare chiamate vocali. Intorno alle 16.30, gli è stato effettuato un prelievo di sangue, ma il povero malcapitato – già da più di 4 ore all’interno dell’ambulanza – non dava segni di miglioramento e la febbre continuava ad aumentare. Il racconto del figlio del pover’uomo si fa sempre più inquietante: «Io vivo fuori, mi sono sentito impotente oltre che angosciato. In più – aggiunge l’avvocato – la cura intrapresa a casa si era interrotta durante le ore in ambulanza. Aveva solo l’ossigeno a sua disposizione e la febbre continuava a salire. Non sapevo cosa fare così, ormai stravolto, ho contattato il consigliere regionale Renato Perrini che si è adoperato a denunciare all’Asl di Taranto quanto stava accadendo» riferisce Giangrande. Stando a ciò che ha raccontato lo stesso avvocato durante l’intervista, sarebbero state ben cinque le ambulanze in coda per ore, così come riferitogli dal padre. L’avvocato non ci sta e promette di andare a fondo sulla vicenda: «Mi preme evidenziare che questo è accaduto ad un uomo di 57 anni in grado di comunicare con l’esterno e di mantenere lucidità. Ma se fosse capitato ad un uomo anziano? Non si può correre il rischio di morire in attesa di essere ricoverati. Questi inconvenienti potevano essere comprensibili a marzo, ma non a novembre perché, come cittadini, ci saremmo aspettati una maggiore organizzazione» aggiunge Giangrande, che poi conclude: «Tenere bloccate le ambulanze per così tante ore è inconcepibile. E se dovessero servire per un’emergenza? Non ho parole».
Verso mezzanotte, dopo la previsione di spostarmi all’Ospedale di Castellaneta, a 100 km di distanza, e la mia forte opposizione (ho preso la valigetta e stavo per scendere dall’ambulanza per recarmi al pronto soccorso), mi introducono in Pronto Soccorso. Qui mi rifanno il tampone e la radiografia. Fino alle 4 nel corridoio, poi in una stanzetta. Il ricovero effettivo in reparto avviene il giorno, 23 novembre 2020, dopo alle 14.00».
La situazione del presidio continua ad essere drammatica. Primario chirurgo in ferie, niente interventi al Giannuzzi, pazienti trasferiti altrove. La Redazione de la Voce di Manduria, giovedì 17 agosto 2023
Dal 12 agosto e sino al 21, all’ospedale Marianna Giannuzzi di Manduria non si fanno interventi chirurgici perché il primario Rocco Lomonaco è in ferie. In questo periodo dunque il pronto soccorso non accetta più patologie che necessitano di intervento di natura chirurgica, neanche quelli di estrema urgenza come emorragie interne di qualsiasi natura. Quelli che capitano che vengono trasferiti altrove.
Lo ha comunicato la responsabile della direzione sanitaria del presidio ospedaliero messapico, la dottoressa Irene Pandiani, in una circolare indirizzata al pronto soccorso e alla centrale operativa del 118 che dal 12 scorso dirotta le ambulanze con i pazienti potenzialmente chirurgici negli ospedali di Taranto, Martina Franca e Castellaneta. «Considerate le note carenze di dirigenti medici nella struttura complessa di chirurgia generale – si legge -, è possibile inserire in turno un solo chirurgo reperibile e logicamente – aggiunge la nota -, non potranno essere effettuati interventi chirurgici da un solo chirurgo». L’organico interno è quello che è: tre specialisti di cui uno con limitazioni funzionali oltre al primario Rocco Lomonaco che è in vacanza. L’alternativa sembra essere scontata per chi dirige il Giannuzzi e per la stessa Asl ionica che lascia fare: «trasferire i pazienti chirurgici agli ospedali limitrofi in assenza del primario».
In effetti a tutte le postazioni del 118, informato del caso, è stato impartito l’ordine di bypassare il Giannuzzi e portare i pazienti con accertata patologia chirurgica come primo step a Taranto e, in caso di indisponibilità di posti letto, negli altri presìdi della provincia. E per chi si reca in pronto soccorso con mezzi propri con disturbi di natura chirurgica, la storia non cambia perché, altro ordine impartito dalla direzione medica del Giannuzzi, prima di essere ricoverati tutti i pazienti devono essere valutati dall’unico chirurgo reperibile che deciderà se tenerlo o farlo trasferire altrove se i disturbi fanno prospettare una possibile implicazione di natura operatoria.
I disagi sono sotto gli occhi di tutti con ambulanze che dai comuni del versante orientale della provincia fanno su e giù a Taranto e viceversa con gli immancabili intasamenti davanti al pronto soccorso del Santissima Annunziata che si deve far carico dell’utenza «servita» dalla struttura periferica chiusa per le ferie del primario. E attendere il proprio turno, a volte lungo anche diverse ore, significa lasciare scoperta la propria area di competenza con il rischio, quasi quotidiano per la centrale operativa, di dover attivare ambulanze di altre postazioni distanti decine di chilometri dal luogo della chiamata. Questo sia per i codici di piccola o medie gravità ma anche per i codici rossi che devono anche loro attendere l’arrivo della prima ambulanza disponibile spesso distante 15 o 20 chilometri, oppure «prestata» dalla centrale operativa 118 della provincia di Brindisi o Lecce. Ovviamente questo crea disagi anche ai reparti di chirurgia degli altri ospedali il cui organico, seppure più fornito del Giannuzzi, risente sempre del calo della disponibilità dovuto allo stesso diritti delle ferie che deve essere garantito.
Sanità, «a Taranto attese per pazienti fino a 12 ore». La denuncia di Renato Perrini, vice presidente della commissione Sanità della Regione Puglia. REDAZIONE ONLINE su La Gazzetta del Mezzogiorno il 29 Agosto 2023
«La sanità pugliese è allo sbando. Lo denuncio da tempo ma, evidentemente, Emiliano e Palese hanno altro a cui pensare. Una riflessione però va fatta, oggi, alla luce di tutto quello che sta succedendo: nel 2014 è stato un errore chiudere il Pronto Soccorso del Moscati, che come struttura sanitaria, era centrale, in quando serviva non solo a sollevare il sovraccarico del Santissima Annunziata di Taranto, ma anche di altri Comuni vicini». Lo dichiara in un comunicato il vicepresidente della commissione Sanità della Regione Puglia, Renato Perrini.
«Non è possibile - continua - che il paziente oncologico, già fortemente provato fisicamente, debba girovagare nei vari Pronto soccorso ed essere rimandato al Moscati. È un’inutile sofferenza. Dopo l’ennesimo sopralluogo - effettuato ieri sera - continuerò a sollecitare l’assessore Palese affinché venga riaperto il ps dell’ospedale S.Giuseppe Moscati e il Moscati diventi davvero un polo oncologico in grado di prendersi cura dell’ammalato».
«Oggi - conclude Perrini - alla luce di quello che sta avvenendo al Santissima Annunziata, dove le attese per essere visitati arrivano anche a 12 ore, dare ai cittadini di Taranto e provincia un presidio efficiente non è solo indispensabile, ma dignitoso per i tanti pazienti che hanno diritto a una Sanità degna di questo nome.
Quant’era bella giovinezza. La sanità italiana non riesce a compensare l’invecchiamento della popolazione. Gianni Balduzzi su L'Inkiesta il 30 Agosto 2023
I medici sono in aumento, così come gli infermieri. A cambiare, negli ultimi vent’anni, è stato il rapporto tra il numero di dottori e gli anziani, cioè quelli che hanno più bisogno di cure e assistenza
Secondo i più recenti sondaggi di Eurobarometro sia per gli italiani che per gli altri popoli dell’Unione europea al primo posto tra le riforme prioritarie che i singoli Paesi, con l’aiuto di Bruxelles, dovrebbero intraprendere ci sono quelle riguardanti la sanità. Viene anche prima dell’istruzione, del mercato del lavoro, della transizione ecologica, del sostegno alle famiglie.
All’origine dell’emergenza, delle liste di attesa che si allungano, dell’assenza dei medici di famiglia, non c’è solo la maggiore consapevolezza dell’importanza del settore che il Covid ha portato, ma soprattutto una delle sfide epocali del ventunesimo secolo (e probabilmente anche dei successivi): il calo demografico. I dati, pubblicati molto di recente, sono chiari.
È importante sottolineare che i medici praticanti per adesso non sono in calo, né in Italia né altrove. Nel nostro Paese nel 2022 erano 424,9 per centomila abitanti. E facendo una media dei numeri degli ultimi tre anni siamo circa a metà classifica in Europa.
Lo stesso discorso si può fare per un’altra categoria indispensabile e spesso ignorata, quella degli infermieri, che sono 621,3, sempre ogni centomila persone.
Certo, in Italia già si nota un certo rallentamento del trend, non a caso negli anni Duemila vi erano più medici pro capite che in Spagna e in Germania, mentre ora in questi ultimi due Paesi ne sono presenti circa il sei per cento in più.
Questo è un dato importante, un sintomo del fatto che la situazione italiana è in realtà ancora più grave di quella degli altri Paesi.
Tuttavia il fatto più rilevante è il rapporto tra il numero di medici e quello di coloro che di cure sanitarie hanno più bisogno, gli anziani. È qui il principale problema, è qui che entra in gioco la transizione demografica e il suo impatto, che come si vede, è più trasversale di quello che si pensa.
Se nel 2000 vi era una ragionevole relazione diretta tra proporzione di over settantacinquenni nella popolazione e densità di medici, ovvero ve ne erano di più laddove vi erano più anziani, oggi le cose sono cambiate.
L’Italia si posiziona come il Paese in cui la percentuale di ultra-75enni, il dodici per cento degli abitanti, è di gran lunga la più ampia, eppure siamo passati dall’essere tra gli stati con più dottori a metà classifica. Ve ne sono decisamente di più in Spagna, Norvegia, Austria, Germania, Lituania, dove la quota di anziani è, di poco o di molto, più ridotta.
C’è stata un’evoluzione differente da quella che ha interessato il resto d’Europa. In alcuni (rari) casi come la Svezia il numero di medici pro-capite è cresciuto anche in assenza di invecchiamento della popolazione, in altri, come in Germania o Spagna, le due cose sono andate quasi di pari passo. In Italia, invece, la crescita della quota di over-75 è stata decisamente più rapida.
Il risultato è che oggi abbiamo il terzo peggior rapporto tra numero di medici e di popolazione con più di settantacinque anni dopo Lettonia e Francia. Ce ne sono solo 34,55 ogni mille. Non solo, scivoliamo al penultimo posto, davanti ai soli francesi, se il confronto è con gli over-80.
Ci sono 54,19 medici ogni mille ottantenni in Italia, mentre in Germania sono 63,48, in Spagna 73,78, nei Paesi Bassi 81,51, in Irlanda addirittura 115,13.
Considerando che, è pleonastico dirlo, sono questi, gli over-75, gli over-80, ad avere maggiore necessità di servizi sanitari, siamo davanti a un grande incremento di domanda di fronte a un’offerta che non aumenta abbastanza. Aggiungiamo a questo il fatto che negli anni, anche a parità di età, è cresciuta l’attenzione per la propria salute, vi è una maggiore premura di fare prevenzione, di approfondire un sintomo.
Come mai l’offerta stenta? In parte proprio per la stessa ragione che sta portando a un eccesso di domanda, la transizione demografica: i medici italiani sono i più vecchi d’Europa, più di metà, il 54,1 per cento di essi, ha più di cinquantacinque anni. Questa percentuale è del 44,1 per cento in Germania, del 44,6 per cento in Francia, del 32,7 per cento in Spagna. E questo invecchiamento è avvenuto in modo più veloce proprio nel nostro Paese che altrove.
Non si tratta solo di questo, però. Tra i motivi c’è anche il limitatissimo afflusso di medici dall’estero. Solo l’1,5 per cento di quelli presenti si è formato in altri Paesi e poi è arrivato in Italia, meno che in Romania, in Polonia, che in gran parte dei Paesi dell’Est. A questi ci accomuna, tra l’altro, un destino di emigrazione sostenuta del personale medico.
È stridente il confronto con realtà come quelle della Norvegia, dell’Irlanda, della Svizzera, dove intorno al quaranta per cento dei medici è immigrato.
Singolare è il caso della Grecia, dove un terzo dei dottori ha studiato altrove, per esempio proprio in Italia, ma si tratta in gran parte di greci che poi sono tornati.
Abbiamo grande bisogno di stranieri che si formino nel nostro Paese e ci rimangano, o che arrivino anche dopo. Come accade nel caso di tanti infermieri che sono giunti nel nostro Paese.
Ci si può consolare con il fatto che dal 2014 aumentano i laureati in medicina, e non di poco. Sono più di diciotto all’anno ogni centomilamila abitanti, erano meno di dodici un anno fa. Abbiamo fatto meglio degli altri Paesi europei da questo punto di vista.
Basterà di fronte all’invecchiamento di chi medico è già e sta per andare in pensione? Di fronte alla crescita inarrestabile della proporzione di anziani? No. La transizione demografica ci sta facendo pagare pegno anche in questo ambito, non solo in campo pensionistico, economico, fiscale.
Visto che interessa tutta Europa nel medio periodo neanche l’immigrazione da altri Paesi può essere una soluzione stabile. In una lotta a chi strappa più giovani, risorsa sempre più scarsa, all’altro, i Paesi più poveri come l’Italia sarebbero perdenti.
E di fronte all’ineluttabilità dei comportamenti riproduttivi in Occidente, non possiamo sperare in un ritorno a un numero di nascite analogo a quello di cinquant’anni fa, l’unico aiuto può venire dalla tecnologia. Anche se questo vuol dire che si tratterà soprattutto di soluzioni che importeremo, se il sistema Paese rimarrà questo, allergico alle innovazioni, allergico alla ricerca.
Insomma, il futuro non possiamo prevederlo, non sappiamo quanto l’informatizzazione e l’intelligenza artificiale potranno prendere piede nella sanità e quanto velocemente, ma una cosa appare piuttosto certa: è meglio se gli attuali over-50 che non sanno farlo comincino a imparare a usare il computer e gli strumenti digitali.
Antonio Giangrande: Covid. Immunità di gregge o Lockdown e coprifuoco?
L'Immunità di gregge è l'infezione totale ed immediata, tale da scongiurare la reinfezione, ove sussistesse come nel Coronavirus. La pandemia si estinguerebbe naturalmente in breve tempo.
Il Confinamento-Quarantena (Lockdown) e Coprifuoco è l'infezione graduale che, ove si manifestasse la reinfezione, sarebbe duratura e mai totale. La pandemia, negli anni, si fermerebbe, inibendo il protrarsi dell'infezione, tramite la prevenzione con i vaccini periodici, a secondo la variante del virus, che attivano gli anticorpi nei soggetti più forti, o con le cure con gli antivirali (combattono le cause) ed antinfiammatori (leniscono gli effetti). La quarantena è preferita per la speculazione effettuata su prevenzione e cura.
Immunità di gregge. Sarebbe un sistema che ci permetterebbe di uscire dalla crisi in tempi brevi senza restrizione. Il Virus circola liberamente. Ci sarebbero asintomatici, paucisintomatici e sintomatici lievi e gravi, i quali, quest'ultimi, sarebbero ricoverati e curati con qualsiasi cura disponibile, anche quelle osteggiate, ma efficaci. Ma è No! No. Non perchè, per media prezzolati ed allarmisti, per politici incapaci e per pseudoesperti virologi di sinistra, morirebbe troppa gente, ma perchè la malconcia sanità italiana non potrebbe sopportare lo stress dei ricoveri. Ergo: i morti sarebbero tali per la malasanità e non per il virus.
Lockdown e coprifuoco: misure per salvare vite umane? No! Misure deleterie per l'economia, ma obbligate per nascondere il fallimento della Sanità. Foraggeria e tagli. Clientelismi e nepotismi per la cooptazione e favoritismi al Privato hanno ridotto il sistema sanitario a dover adottare l'unica scelta: confinare i cittadini e centellinare i ricoveri per Covid per mancanza di personale ed infrastrutture, impedendo la cura, inoltre, di altre patologie, il cui numero di morti conseguenti è taciuto. Infartuano i pazienti per non collassare gli ospedali. Taglia, taglia che qualcosa resterà!
Insomma: confinamento e crisi economica è il prezzo da pagare per salvare la faccia ed i finanziamenti a pioggia a soggetti fisici e giuridici tutelati a fini elettorali. Finanziamenti che, se veicolati sulla sanità, porterebbe questa ad affrontare qualsiasi emergenza.
Antonio Giangrande: Il Lockdown (confinamento) visto con gli occhi di un bambino.
Bimbo: papà, perché siamo reclusi in casa come i carcerati?
Padre: per non farci ammalare…
Bimbo: ma non ci sono gli ospedali per curarci?
Padre: non ci sono posti per tutti…
Bimbo: papà, tu ti lamenti che paghi tante tasse, perché non fanno i posti per tutti?
Padre: i posti c’erano, poi li hanno tolti, perché dicevano che i soldi non bastano.
Bimbo: perché se i soldi non ci sono, tutti li vogliono senza lavorare e poi li ottengono?
Padre: perché ne vogliono di più…e tanti campano così.
Bimbo: papà, se io mi ammalo e vado in ospedale e non ci sono posti, muoio?
Padre: Non ti preoccupare, i posti disponibili li danno ai malati più giovani, mentre i malati più vecchi li fanno morire, o li mandano in quei posti dove ci sono altri vecchi.
Bimbo: ma papà, ma così fanno ammalare e morire anche quelle persone anziane che sono sane! Meno male che io sono giovane. Se vado in ospedale mi curano…
Padre: no! Se tu vai all’ospedale ti ammali. Quasi tutte le persone si sono infettate all’ospedale, dove c’erano anche i medici e gli infermieri senza mascherine.
Bimbo: papà, allora perché non chiudono gli ospedali e ci fanno uscire a noi?
Papà: non dire queste cose, perché alla tv dicono che chi lavora in ospedale sono eroi e non untori e poi sono i medici che decidono che dobbiamo essere reclusi. Per loro se andiamo in ospedale e ci ammaliamo è colpa nostra!
Antonio Giangrande: La pedanteria sanitaria. Per i medici tutto fa male. Pedante. Nell’uso moderno, e per lo più in senso spregevole, e chi, nell’insegnamento e nello studio e nella cura, si richiama continuamente alle regole, osservandole e facendole osservare con scrupolo meticoloso e scarsa intelligenza; per estensione, di chi pone una cura eccessivamente minuziosa, meticolosa, pignola in qualsiasi cosa faccia: Finalmente i medici sono riusciti a renderti la tua vita sana, ma vissuta in un inferno.
Coronavirus, non uscire di casa, non fare sesso, non mangiare le patate fritte. Arrigo D'Armiento il 10 Aprile 2020 su romadailynews.it. La sapete quella delle patate fritte? Un uomo va dal dottore per un controllo. Dopo la visita, il dottore gli dice: “Le condizioni generali sono buone, tuttavia io le raccomando vivamente di smettere di fumare”. Il paziente: “Veramente io non fumo, non ho mai fumato”.
Il medico: “Bene, ma mi raccomando, smetta di bere alcolici, al massimo mezzo bicchiere di vino ai pasti”. Il paziente: “Veramente io non bevo alcolici, sono totalmente astemio”.
Il medico: “Bene, bene. Però, non esageri con le donne, col sesso, ha una certa età, deve trattenersi”. Il paziente: “Dottore, io sono assolutamente casto, vado in chiesa tutte le mattine, ho sposato soltanto Cristo e la Madonna”.
A questo punto il medico spazientito sbotta: “Ma c’è una cosa, almeno una, che le piace?”. Il paziente: “Bè, veramente, io ho una certa predilezione per le patate fritte, le mangio spesso”. Il medico non trattiene un urlo: “Basta! Da oggi non mangi più le patate fritte!”.
Quanta saggezza nelle barzellette! Perché il medico ha proibito al malcapitato paziente di mangiare le patate fritte? Semplice, perché proibendo al paziente una cosa, qualsiasi cosa, il medico lo spinge a fare mea culpa. Se ti ammali, se hai problemi di salute, la colpa è tua, non mia che non so curarti.
È la stessa ricetta che la chiesa ci propina da millenni, vietandoci un sacco di cose a cui non sappiamo né possiamo rinunciare. La trovata più perfida e più utile, utile ai preti, è di proibirci di fare sesso se non alle condizioni stabilite da loro.
Agli adolescenti è proibito masturbarsi, ai ventenni di fornicare con le ragazze, ai mariti e alle mogli di ricorrere alle corna per rendere meno noioso il matrimonio. E hanno la faccia tosta di vietare tutte queste naturali tendenze con la trovata che sono contro natura. Contro natura le tendenze naturali? Contro natura la cosa più naturale del mondo, conseguente all’istinto di conservazione della specie?
Loro, i preti, lo sanno benissimo che contro la natura non c’è proibizione che tenga. Proprio per questo ricorrono a quei divieti, così chi non obbedisce, e non obbedisce nessuno, si sente in colpa, poi più recita il mea culpa e più si sottomette al potere dei preti.
Perché vi ho raccontato queste cose? È per ricordarvi che le autorità sanitarie e politiche ragionano alla stessa maniera: vietano al gregge di stare all’aperto, pur sapendo che il contagio di covid-19 è molto meno facile all’aperto che al chiuso. Facendo jogging o passeggiate, rimanendo a più di un metro di distanza dagli altri, non ci si infetta. Affollandoci al supermercato o sui mezzi pubblici, ci si infetta facilissimamente.
Così, se ti infetti, è colpa tua che sei uscito di casa, non colpa delle autorità che non ti hanno dato la mascherina e che hanno tagliato i fondi alla sanità non avendo l’abitudine di guardare al passato per prevenire i danni nel futuro.
Antonio Giangrande: Chi cerca trova: i misteri della coerenza della scienza.
Tasso di morbosità più alta rispetto agli altri paesi? Perché sono stati fatti più tamponi rispetto alla popolazione.
Tasso di letalità più alto rispetto altri paesi? Perché sono stati fatti meno tamponi rispetto alla popolazione.
Antonio Giangrande: La Dittatura Sanitaria.
Sono sì consulenti, ma guai a non attenersi alle loro linee guida. Gli esperti scientifici e gli enti nazionali ed internazionali di Sanità hanno dimostrato la loro inaffidabilità. Eppure a sviare dalle loro voglie si paga dazio con la magistratura, la quale alla politica deviante affibbierà le colpe di un disastro.
Antonio Giangrande: Coronavirus. I nostri esperti? Inaffidabili.
Da rivedere le misure contro il contagio.
Il virus si trasmette tramite aerosol naturale (nebbia, pulviscolo, polveri sottili) a molti metri di distanza e per parecchio tempo. Si contagiano occhi, naso, bocca. Per questo servono mascherine che coprano occhi e naso ed occhiali che proteggano gli occhi.
Antonio Giangrande: Coronavirus ed esperti. I protocolli sanitari della morte.
I protocolli adottati e resi obbligatori hanno dimostrato gli errori criminali dell’OMS (Organizzazione Mondiale di Sanità) ed dell’ISS (Istituto Superiore di Sanità) e del Comitato Tecnico Scientifico consulente del Governo.
I tamponi non previsti per gli asintomatici ed i paucisintomatici hanno fatto sì che gli infettati contagiassero tutti coloro che, prima, erano liberi di muoversi, e, dopo, era permesso di muoversi.
L’uso non previsto delle mascherine e di ogni apparato di protezione ha permesso agli infettati di contagiare ed ai sani di essere ammorbati.
La politica ha pensato bene di prevedere uno scudo penale per la sanità e per i suoi pseudo esperti scientifici.
Ergo: di questo scempio mai nessuno renderà conto, se non a Dio.
Antonio Giangrande: Gli affari della Sanità privata padana a danno di quella del Sud, sotto tutela dello Stato.
Con il principio della spesa storica (riferimento a quanto percepito negli anni precedenti), il Nord Italia si “fotte” più di quanto dovuto, a spese del Sud Italia.
In virtù, anche, di quel dipiù la Sanità padana spende di più perché è foraggiata dallo Stato a danno della Sanità meridionale, che spende di meno perchè vincolata a dei parametri contabili prestabiliti.
Poi c’è un altro fenomeno sottaciuto:
Nelle strutture private del Nord, costo pieno di rimborso;
Nelle strutture private del Sud, costo calmierato di rimborso.
Con questa situazione si crea una contabilità sbilanciata e un potere di spesa diversificato.
In questo modo i migliori chirurghi del meridione sono assoldati dalle strutture settentrionali e pagati di più. Questi, spostandosi, con armi, bagagli e pazienti meridionali affezionati, creano il turismo sanitario.
Con una finanza rinforzata la Sanità padana è pubblicizzata dalle tv commerciali e propagandata dalla tv di Stato.
Ergo: loro diventano più ricchi e reclamizzati. Noi diventiamo sempre più poveri e dileggiati.
Poi arriva il Coronavirus e ristabilisce la verità:
la presunta efficienza crea morte nei loro territori;
la presunta arretratezza contiene la pandemia, nonostante, artatamente, dal Nord per salvare la loro sanità, siano stati fatti scappare i buoi infetti con destinazione Sud.
Michele Emiliano a Stasera Italia su Rete4 (Rete Lega) del 3 maggio 2020. «Innanzitutto noi abbiamo aumentato di millecinquecento posti i posti letto autorizzati da Roma. E abbiamo subito approfittato di questa cosa. Devo essere sincero: il sistema sanitario pugliese è un sistema sanitario regolare. Noi non abbiamo mai avuto problemi sulle terapie intensive. Quindi però, Pomicino evidentemente è intuitivo, capisce che questo è il momento per cui le sanità del Sud…siccome i nostri non possono più andare al Nord per curarsi perché è troppo pericoloso, devono essere rinforzate per limitare la cosiddetta mobilità passiva. Quindi io l’ho detto chiaro: io non terrò più conto dei limiti, posti letto, assunzioni, di tutta questa roba, perché non siamo in emergenza. Farò tutte le assunzioni necessarie, assumerò tutte le star della medicina che riuscirò a procurarmi, cercherò di rinforzare i reparti. Manterrò i posti letto in aumento. Anche di più se possibile. Chiederò ai grandi gruppi privati della Lombardia per i quali c’è una norma che li tutelava in modo blindato. Immaginate: io potevo pagare senza limite i pugliesi che andavano in Lombardia presso queste strutture, se queste strutture erano in Puglia c’era un tetto massimo di spesa fatto apposta…Siccome questo tetto deve saltare, io sto proponendo a questi grandi gruppi di venire e spostarsi al Sud per evitare i rischi Covid, ma soprattutto per evitare il rischio aziendale per loro. Perché è giusto che questa mobilità passiva: 320 milioni di euro di prestazioni sanitarie che la Puglia paga alla Lombardia in prevalenza, solo perché quel sistema è stato supertutelato. Adesso tutti dovremmo trovare il nostro equilibrio e la nostra armonia».
Antonio Giangrande: Il Covid ed il Fallimento del Sistema Sanitario Nazionale.
Emergenza Covid e la paralisi della Sanità: altro che dare la colpa ai No Vax. E’ Il fallimento del sistema sanitario.
Baronato, demeritocrazia, austerity ed interessi privati nella gestione di un servizio pubblico sono la causa del fallimento.
Parola d’ordine: austerity e interessi privati. Con questi principii la sanità pubblica è stata ridimensionata e, spesso, data in mano ai privati, sostenuti dai media, dalla politica interessata e dalla finanza.
Il sistema privato accreditato è parte integrante e necessario del sistema sanitario italiano. Ed ha assunto una grande rilevanza in nome dell’austerity. Con l’epidemia il sistema sanitario limitato nel suo agire è al collasso.
Del sistema sanitario italiano fanno parte erogatori sia pubblici sia privati.
Il Sistema privato si distingue in accreditato con il Servizio sanitario nazionale (Ssn) e non accreditato.
Il primo è parte integrante dell’offerta delle cure garantite dal nostro paese. Il suo obiettivo è di essere complementare all’offerta dei servizi sanitari del pubblico in una logica di partnership istituzionale e di condivisione dei valori fondanti il Ssn: universalità, uguaglianza, equità.
Negli ultimi anni le prestazioni sanitarie private accreditate hanno assunto una rilevanza maggiore. Ma anche quelle non accreditate sono aumentate.
Il contenimento della spesa ha portato inevitabilmente a una contrazione dell’offerta del Ssn.
Il Nord Italia, capofila nell’accreditare al privato la cura pubblica, è stato quello che ha pagato più dazio alla limitazione del servizio di cura ed assistenza.
Invece i media prezzolati e la politica interessata, anziché denunciare l’anomalia costituzionale, parlano e sparlano sempre dei No Vax, incentrando su di loro le pecche del sistema e giustificando con questo ogni indirizzo politico di contrasto: obbligo vaccinale e Green Pass
Antonio Giangrande, autore del saggio “IL COGLIONAVIRUS”.
Covid-19: lo conosco; li conosco.
Il virus: mi ha colpito pesantemente. Ho rispettato tutte le regole imposte dagli incompetenti. Regole inutili visti i risultati di morti ed infetti, nonostante si voglia dare la colpa alla gente ligia al dovere. In ospedale mi hanno somministrato 15 litri di ossigeno con la saturazione del sangue a 82. Stavo per morire e non me ne rendevo conto. In ospedale ho visto morire gente che stava meglio di me. Un attimo prima scherzavano e ridevano; un attimo dopo annaspavano come se affogassero in mare. Non avevo ossigeno, ma avevo spirito, tanto da darlo agli altri. Mi sono salvato solo grazie alle cure sperimentali assunte su mia piena responsabilità, ma negate ai malati ignoranti o inconsapevoli sedati, incapaci di decidere.
Gli esperti: tutti si elevano a professoroni in tv nel parlare di qualcosa che non si conosce e quindi che non conoscono. Sballottando di qua e di là i cittadini, in base alle loro opinioni cangianti dalla sera alla mattina.
I coglioni sani, asintomatici o pauci sintomatici che non ci credono alla pericolosità del virus: dicono che sono un miracolato, perché avevo patologie pregresse, o, comunque, non curate. Tutto falso. I morti per Covid-19 sono il frutto della malasanità, specialmente quella nordica, falsamente eccelsa tanto pubblicizzata in tv, e/o di protocolli sanitari criminali. Sono menzogne divulgate da media prezzolati dal Potere incompetente ed incapace. Protocolli sanitari internazionali, giusto per dire: tutto il mondo è paese. Protocolli imposti da chi diceva che il Coronavirus non era pandemia. Ero sanissimo, più di altri. Uno sportivo di arti marziali che a 57 anni riusciva, prima, e riesce, ancora dopo, a fare 22 chilometri di corsa in un’ora e 45 minuti e con la bici da cross in 41 minuti. Per il mio lavoro ero e sono chiuso in casa da mattina a sera. Se ha colpito me, colpisce tutti.
I NoVax: cosa mi sentirei di dire a chi osteggia il vaccino? Cazzi loro. Di Covid-19 c’è ne per tutti, anche per loro. Mi spiace solo per i loro familiari, vittime inconsapevoli. Perché questa è una malattia che si trasmette, specialmente, alle persone più vicine. E poi direi che il vaccino non è solo la panacea di tutti i mali, ma sicuramente è la speranza che si possa uscire da quest’incubo. E chi non si nutre di speranza: muore disperato.
Dr Antonio Giangrande
Coronavirus. Rapporto decessi-guariti. Se la matematica è un'opinione.
Bollettino del Ministero della Salute riferito al 16 marzo 2020. Infettati 27980: Positivi 23073 (in attesa di evoluzione della malattia); Deceduti 2158; Guariti 2749.
Ad occhio sembra che il Rapporto decessi-guariti è quasi alla pari. Ergo: una metà degli infettati muore, l'altra guarisce.
Antonio Giangrande: Morire di Fame o di Virus? A proposito di arresti domiciliari. L'Italia non è tutta Milano e come tale non deve essere trattata. Perchè nei privilegi siamo diversi e nella disgrazia siamo uguali? Perchè non alleviare il peso di un'emergenza con raziocinio? Siamo reclusi in casa e liberi di muoverci in quell'ambiente chiuso per difenderci dal contagio. Se la nostra casa è immune in quanto nessuno esce e nessuno entra, perchè non considerare alla stessa stregua un luogo indenne ed incontaminato la casa allargata? Casa allargata come fortino inespugnabile può essere considerato il condominio, o il borgo isolato, o il quartiere, o il paese: nessuno entra; nessuno esce. Ma all'interno si è liberi di muoverci e lavorare.
Antonio Giangrande: I pregiudizi territoriali ed economici.
Mio nonno contadino ed analfabeta diceva: “Son ricchi. Hanno rubato. Io lavoro tutto il giorno e non divento ricco”. Ergo i ricchi sono ladri. La verità è che non aveva nè arte, nè parte, nè degni natali.
Mia zia emigrata al nord diceva: qua non è come "da voi", è meglio qua, tutta un'altra cosa. La verità è questa: è emigrata perchè non aveva nè arte, nè parte, nè degni natali. Per rivalsa è diventata rinnegata. La verità dei rinnegati è che, appunto per invidia, rinnegano le loro origini. Non sanno che sono condannati al limbo: saranno sempre terroni per i corona polentoni e corona polentoni per i terroni.
I Settentrionali puri conosciuti al Nord hanno sempre dei pregiudizi sui Meridionali: siamo tutti pregiudicati (da pregiudizio). Ergo: pregiudicati uguale a delinquente ed essendo del Sud siamo tutti delinquenti mafiosi. La verità è che sono ignoranti, resi tali dai media prezzolati dalla Finanza del Nord, e sono in malafede perchè vogliono le risorse finanziare pubbliche tutte per loro e lo sfruttamento delle risorse umane meridionali per i loro fini. E' l'invidia di non avere il mare, il sole e di non essere gente del sud solidale e con la luce nel cuore.
Quindi se per i comunisti e per i settentrionali siamo mafiosi, noi meridionali non abbiamo diritto a gestire le nostre risorse se non dimostriamo di non essere mafiosi.
In Italia l’onere della prova è ribaltata: i ricchi ed i meridionali devono dimostrare di essere onesti, mentre gli accusatori non devono dimostrare di essere bugiardi e razzisti.
Antonio Giangrande: Il Fallimento della Sanità Lombarda. Gli altezzosi, arroganti e presuntuosi padani ed i loro media amici non possono nascondere la verità. Un sistema di sanità privata promossa e pubblicizzata come "Eccellenza" dalla padana Mediaset, ma toccato da scandali e finanziato dalle Regioni meridionali per pagare i servizi resi ai loro malati con la valigia. Quei meridionali illusi che al nord Italia vi sia un'eccellenza che al Sud manca. Ma oggi con l'emergenza della pandemia si notano tutti i limiti di una menzogna. E' un ecatombe addebitabile, sì, al Coronavirus, ma causata da inefficienze strutturali. Basti pensare che le prime vittime ed i primi carnefici sono stati proprio gli operatori sanitari.
Antonio Giangrande: Il Reato di Passeggiata. Italia criminale: stai a casa immobile o ti arrestiamo. Controlli e sanzioni penali a decine di migliaia di trasgressori. Furti, omicidi ed altri efferati delitti? Sono ormai reati di second'ordine e di cui nessun Media ne parla. Nell'Italia della mafiosità è vietata la libertà di mobilità. Come se fosse l'aria a diffondere il virus. Invece sono gli uomini ad infettare. Anzi, è la stupidità del genere umano a contagiare fisico ed intelletto. I media allarmistici ed i manettari pronti ad additare i fuorvianti. I panzoni poltronari e pantofolai pronti ad accusare gli atleti. La soluzione? Basta poco, che ci vuole. Basterebbe che lo Stato garantisse la distribuzione dei dispositivi di protezione individuale (guanti, mascherine, occhiali, tute, cuffie) dai contatti di prossimità. Ma se lo Stato non riesce a fornire tali strumenti ai sanitari ed a proteggere chi sta in prima linea, trasformandoli nei principali untori, ovvio che si metta ai domiciliari un intero popolo di pavidi.
La domanda allora è: E' necessità, giustizialismo o incapacità?
Milano VS Napoli. Al Sud gli si nega anche il merito. Gli Egoisti ed Invidiosi: si fanno sempre riconoscere.
Galli (Sacco) contro Ascierto (Pascale): “Non avete scoperto nulla, protocollo testato prima al nord”. Delle due l’una:
o hanno nascosto la sperimentazione ufficiosa della cura non condividendo i risultati al resto d’Italia;
o sono dei bugiardi patentati, oltre che essere egoisti, invidiosi e razzisti.
Antonio Giangrande: Misure stringenti anticovid ad Avetrana. Siamo già in zona rossa e, quindi, sono state dette delle banalità. Le norme enunciate come più stringenti, sono già in vigore come regole nazionali, sempre che tali norme si conoscano, si rispettino e si facciano rispettare. Lo stesso sindaco, poi risultato positivo al Covid, aveva esortato la cittadinanza a rispettare tali norme con un video pubblicato l’11 aprile 2021. Probabilmente lassù, nello stesso municipio, tali norme non erano osservate, se è vero, come è vero, che i locali sono stati sanificati per tre giorni. Come si dice: il pesce puzza dalla testa.
Antonio Giangrande: Coronavirus: idiozia ed invidia vs capacità. Mediaset ed il sistema padano non possono nascondere i meriti mondiali dei professori meridionali Ascierto, Gambotto, Ranieri. rispettivamente: Cura, vaccino e tecnica salvavita. Il razzismo territoriale dei padani contro la competenza dei meridionali. Ci chiamano Terroni, potremmo chiamarli Corona, ma li apostrofiamo semplicemente: Coglioni.
Antonio Giangrande: Settentrionali vs Meridionali. La parafrasi di un atteggiamento razzista da una parte e coglionista dall'altra.
Ogni volta che aprono bocca i padani non parlano mai (o solo) dei cazzi loro.
Su ogni argomento stanno sempre lì a comparare loro ai meridionali.
Riguardo al tema del Coronavirus.
Il Nord untore ha prima infettato il Sud e poi l'ha rinchiuso in casa da sano, affamandolo.
Il Nord ha dato prova di inefficienza ed incompetenza. Ciononostante, stanno lì a chiedersi ed a trovare il cavillo calunnioso sul perchè il Sud non deborda di morti, stante, secondo loro, l'arretratezza della sanità e della società meridionale, restia a rispettare le norme di contenimento.
La litania dei "Corona" settentrionali con la moglie cozza: Quanta è bella mia moglie; ma quanta è brutta la loro.
La risposta dei "Terroni" meridionali con la moglie bella ed affascinante: Quanta è brutta mia moglie; è più bella la loro.
Non riesco a trovare nessun settentrionale che riveli la realtà dei fatti e parli male della Padania. Che dica: che racchia di femmina!
Si riscontra solo: quanto è bella, progredita, onesta, ricca che paga le tasse.
Non riesco a trovare alcun meridionale che metta in evidenza i difetti e le mancanze del Nord ed indichi le eccellenze del Sud e che, nel paragone dica: che bonazza di femmina!
Si riscontra solo: quanto è brutta, arretrata, mafiosa, povera ed evasora fiscale.
Non so chi mandare a fanculo: i razzisti o i coglioni!!
Antonio Giangrande: Bonus Spesa: l'umiliazione della domanda e l'umiliazione della spesa e la rinuncia per dignità ed orgoglio. Ne approfitteranno i soliti furbi, spendendoli in futilità, e chi ne chiederà conto politico. Se tutti, oggi, sono in emergenza, perché non distribuiscono i pacchi spesa casa per casa, salvo rifiuto? Consegna a domicilio del fabbisogno alimentare a carico degli esercizi commerciali convenzionati con l'amministrazione comunale.
Antonio Giangrande: In che mani stiamo. Un Governo che non è stato votato dal Popolo, si impegna a non rappresentarlo. Questo Governo non decide, ma per pararsi il culo per le stragi, si tiene buoni scienziati, pubblici ministeri e giornalisti. A loro fa decidere sulla carcerazione domiciliare dei cittadini e sulla scarcerazione dei detenuti. Ed ai giornalisti ha dato l'incarico di vigilanza sulle fake news (sic).
Antonio Giangrande: A proposito di Coronavirus.
Il parere del sociologo storico e scrittore, dr Antonio Giangrande.
Sul Coronavirus ho scritto “Coglionavirus”, un saggio in più parti di centinaia di pagine con fonti autorevoli ed attendibili.
Il saggio scritto a futura memoria e inteso a dimostrare come l’incapacità ed inaffidabilità del passato possa affrontare un problema nel presente, e l’incompetenza, poi, ritrovarcela nel futuro.
Perché in Italia nemmeno i disastri o le rivoluzioni cambiano le cose.
Il sunto del mio saggio sono verità che dai media prezzolati e politicizzati non sentirete mai.
Il Virus italiano non è cinese: nessun cinese o comunità razziale o etnica diversa da quella italiana, stanziata nel Bel paese, è stata origine di focolaio o di paziente zero.
Il Virus italiano non è tedesco, come qualcuno a ripicca del diniego degli euro aiuti vuole far credere. Nessun focolaio tedesco è stato acceso in Germania, così come in Italia.
Il Virus italiano è padano, per la precisione è lombardo: perché lì vi è stato il paziente uno. Lì vi è stato il focolaio principale che ha causato decine di migliaia di morti. Tanti contati, altri non conosciuti. Quel Focolaio ha dato vita alla pandemia in Italia ed all’estero. Perché gli italiani dove vai vai, lì ne trovi sempre qualcuno, chi per vacanza, chi per lavoro.
Il Virus italiano è simile, non uguale, a quello cinese ed ama umidità ed inquinamento. Attraverso le particelle dello smog o le goccioline della nebbia si trasporta per vari metri e per lungo tempo.
Il fattore principale di propagazione in tutta Italia è stata la partita a Milano tra l’Atalanta ed il Valencia, con quarantamila bergamaschi in trasferta, originari del focolaio principale. Così come è stato strumento di propagazione ogni partita che l’Atalanta ha giocato a porte aperte fuori casa, compresa quella col Lecce, in Puglia.
Per il resto si è permesso di infettare il Sud Italia, al momento immune, per alleggerire il carico sulla sanità padana. Qualche coglione padano, cosiddetto giornalista, si rallegrava del fatto che ora sì, siam diventati tutti “Fratelli d’Italia”!
Oltretutto, e non lo dicono, oltre alla mascherina omologata ci vuole l’occhiale che protegge gli occhi. Perchè se è vero, come è vero, che il virus viaggia nell’aria, può entrare da ogni pertugio del corpo umano.
La Sanità Lombarda, prima, e quella nazionale, poi, ha mostrato tutti i suoi limiti, essendo gli operatori sanitari i principali untori della pandemia. Si andava per cure e si usciva infettati.
Gli operatori sanitari, qualcuno vero eroe, altri meno, tra cui coloro che hanno preso decisioni scellerate o i disertori dalla malattia facile, hanno pensato bene di proporre la loro immunità penale, facendo leva sull’indignazione e cavalcando l’onda del momento a loro favore.
Il sistema lombardo centrico non ha avuto remore, in tempo di crisi, a privare la sanità meridionale dei macchinari salva vita per devolverli agli ospedali del nord, requisendo i respiratori già consegnati in Calabria ed in Puglia.
L’eccellenza riconosciuta all’estero, ma come al solito denigrata in Italia, è stata quella dell’ospedale napoletano: il Cutugno per mezzo del prof. Ascierto, che ha scoperto la cura testata su tanti pazienti già guariti.
I media prezzolati e politicizzati, poi, con i soliti ciarlatani, hanno allarmato il popolo per prepararlo al peggio, con decisioni risibili.
Il popolo italiano, inoltre, ha combattuto la guerra come è usuale farlo: fuggendo.
Chi di dovere, anziché relegare pochi migliaia di malati ed il proprio nucleo familiare in strutture protette, ha rinchiuso 60 milioni di sani, privandoli di libertà e ricchezza, senza soluzione di continuità e senza barlume di speranza. Non li ha rinchiusi tutti, però. Nel contempo hanno permesso a chi, infettato, era autorizzato a girare per le città su autobus e metrò, e così a continuare a contagiare ed a diffondere l’epidemia.
Bastava poco ad arginare l’emergenza. Tamponare o analizzare il sangue a tutti, o perlomeno, uno per nucleo familiare, considerato che dove lo è uno lo sono tutti quelli a lui vicino. Di conseguenza monitorare i suoi spostamenti, passati, presenti e futuri, con gli strumenti tecnologici.
Invece se coglioni eravamo prima del disastro, lo siamo durante o lo resteremo in futuro.
Per provare quello che dico, basta fare mente locale su quello che si è detto e fatto durante tutto questo periodo: il tutto ed il contrario di tutto. E nulla si sa del futuro.
Antonio Socci cinguetta: "Siccome non erano capaci di procurare le mascherine, ci dicevano che non servivano alla gente comune. Di questa splendida informazione sanitaria firmata dal governo chi risponde?"
Maria Giovanna Maglie punta il dito contro il secondo presunto fronte della menzogna, quello relativo ai tamponi. "E siccome non hanno tamponi ci dicono che i test agli asintomatici non servono. Quante bugie di Stato! Qualcuno pagherà?”
Qualcuno dice che tutto questo ci cambierà: sì, in peggio.
Dr Antonio Giangrande
Antonio Giangrande: La lezione degli Albanesi ai Lombardo-Veneti.
E’ atterrato all'aeroporto Valerio Catullo di Verona, riaperto in via straordinaria per l'occasione, il volo con a bordo il team, arrivato ieri a Fiumicino, composto da 10 medici e 20 infermieri provenienti dall'Albania per aiutare gli ospedali di Bergamo e Brescia, tra le zone più colpite dalla pandemia.
"È vero che tutti sono rinchiusi dentro le loro frontiere e anche Paesi ricchissimi hanno girato la schiena agli altri, ma forse esattamente perché noi non siamo ricchi e neanche privi di memoria, non ci possiamo permettere di non dimostrare all'Italia che gli albanesi e l'Albania non abbandonano mai l'amico in difficoltà". Ha detto il Premier Albanese.
Matteo Salvini e la coerenza, un rapporto complicato. Il leader della Lega, come tanti colleghi politici, ha ringraziato il gesto di solidarietà del premier albanese Edi Rama, che ha inviato 30 medici e infermieri in Lombardia per aiutare la sanità nostrana a fronteggiare l’epidemia di Covid-19. Bisogna andare indietro di qualche anno, è il 24 giugno del 2014, per leggere sempre sui social dell’ex ministro parole al vetriolo contro la stessa Albania. “Alla faccia della storia, dell’economia, del passato e del futuro – è il commento del leader del Carroccio, all’epoca europarlamentare – No all’Europa Supermercato”.
"Qualche giorno fa è uscita una lettera dei primari di rianimazione della Regione Lombardia, che accusavano la mancanza di solidarietà delle vicine Regioni, e credo si riferissero al Veneto, perché non avevano messo a disposizione personale medico e infermieristico fondamentale nel momento in cui qui avevamo il picco e non riuscivamo più a gestire le terapie intensive e il personale che veniva ricoverato. Mi sono chiesto, leggendo questa lettera, se esiste il Servizio sanitario nazionale, visto che ogni Regione cerca di chiudersi al proprio interno". Lo ha detto il sindaco di Brescia, Emilio Del Bono, ospite di "Che tempo che fa" il 29 marzo 2020.
«L'impresa veneta ha un Pil di 150 miliardi di euro: se crolla il Pil del Veneto crolla l'Italia». Lo ribadisce il governatore del Veneto, Luca Zaia, impegnato da questa mattina, 28 febbraio, nella sede della Protezione civile regionale a Marghera per fare il punto sulla situazione sanitaria in Veneto in merito alla diffusione del coronavirus. «In Veneto il turismo è letteralmente in ginocchio - dice Zaia -. Un comparto che, con 18 miliardi di fatturato, a livello nazionale rappresenta la più grande industria turistica in Italia. A questo settore si aggiunge la grande difficoltà che stanno vivendo le nostre 600mila partite Iva».
A questo punto ci vorrebbe un pernacchia. Ma mi esimo, ricordando la storia.
Il Veneto da prima dell'annessione al regno d'Italia era una terra con una forte tradizione migratoria soprattutto nelle zone pedemontane. Inizialmente il fenomeno fu di carattere perlopiù temporaneo o stagionale, diretto in particolare verso la Germania, l'Austria e l'Ungheria. Si emigrava soprattutto dalle zone montane, in particolare dalle province di Vicenza, Treviso e Belluno. Dopo l'Unità d'Italia, anche il Veneto subì una profonda crisi economica, la quale diede inizio alla grande emigrazione.
E dire che in momenti di estrema necessità, a mangiare i topi – e qualsiasi altro essere vivente commestibile – siamo stati anche noi italiani. E in particolare, proprio i veneti. Per ironia della sorte, era stato lo stesso Zaia a ricordarlo nel 2018 con un post su Facebook. «Topi messi ad essiccare a Belluno durante “l’an de la fam“, l’anno della fame. Questa straordinaria immagine è esposta, insieme a moltissime altre, nella straordinaria mostra documentaria, iconografica e multimediale su Belluno durante la Prima guerra mondiale appena inaugurata a Palazzo Crepadona».
Antonio Giangrande: Coronavirus: rinchiudono i sani per difenderli dai malati. La logica vorrebbe: relegare gli infettati in quarantena. Come? Individuarli col tampone a tappeto. Il costo sarebbe inferiore rispetto al blocco dell'economia. Ci hanno sottoposto alla cultura del sospetto. Diffidiamo, addirittura, dei nostri affetti. Ristretti ai domiciliari perdiamo gli ultimi momenti importanti con i nostri vecchi e i primi dei nostri giovani.
Perché il Coronavirus ha colpito in modo massiccio la Padania? Polveri sottili, nebbia e correnti d’aria, sono le zattere di permanenza e strumenti di proliferazione del contagio. Il virus si posa sulle goccioline e sulle polveri, galleggiando nel tempo e spostandosi nello spazio. Potrebbe non essere l’uomo il veicolo di diffusione, ma l’aria. E l’aria entra dappertutto.
L’inutile e dannosa autocertificazione. Sarà la quarta e ultima autocertificazione? Se consideriamo chi doveva entrare e uscire dalle prime zone rosse, senza contare il provvedimento dell’8 marzo scorso.
Stanno lì solo per fotterci. In una situazione di merda non poteva capitarci gente peggiore e giustizialista.
In un paese civile uno Stato avrebbe fiducia nei suoi cittadini che lo mantiene con le tasse, tributi e contributi.
Invece lo Stato che fa? Anziché aiutare il cittadino in difficoltà pensa solo a fotterlo.
Se uno ha necessità di uscire dal carcere dove è stato recluso senza condanna, gli si chiede oralmente qual è il motivo. Il cittadino si giustifica oralmente e finisce lì. Invece lo Stato burocrate considera tutti i suoi civici come incalliti spergiuri da perseguire. Senza alcuna distinzione e monca di difesa. La Sanzione da penale, poi, l’hanno resa amministrativa: per far pronta cassa.
Intanto i media asserviti creano tensione, ansia e stress parlando di assembramenti che non esistono. Si creano untori e delatori. Creano odio tra la gente. A morte il Runner! Le Istituzioni che non ringrazio per la situazione che hanno creato si vantano delle sanzioni elevate e dei controlli effettuati.
E’ corretto, è sacrosanto controllare e monitorare. Ma perché sempre a onerare chi è già soggetto ad una tensione psicologica? Perché lo Stato è forte con i deboli e debole con i forti? Perché stiamo pagando la sottovalutazione di un fenomeno? Perché non si sono svegliati prima nel chiedere di rompere il tabù dei tamponi che sono limitati e possono essere fatti solo dall’Istituto superiore di sanità e non nei laboratori disponibili? Perché gli asintomatici non sono stati considerati e non lo sono tutt’ora per il ministero un fenomeno scientificamente “pericoloso” per la diffusione del virus?
Noi ci autocertificheremo ancora, lo Stato si è già da solo autocertificato assente e deficiente (inadeguato), pesante, malato morente, e ancor di più correo.
Perché lo Stato ha permesso il propagarsi dell’infezione nelle sedi che meno te lo aspetti: gli ospedali; e resi i maggiori untori: gli operatori sanitari. Perché lo Stato rinchiude i suoi cittadini in casa, ma autorizza e consente il propagarsi dell’infezione dal Nord al Sud Italia. E se qualcuno lo rinfaccia, scatta la denuncia per vilipendio come per il sindaco Cateno De Luca.
Mi preoccupa altresì un fatto addivenire: cosa farà questo Stato nel momento in cui la gente sarà costretta ad uscire di casa per la fame? Non avendo né da mangiare, né soldi per comprare: ci fucileranno seduta stante? Subire e tacere? Ma andate affanculo. Sono anch’io Cateno De Luca.
Antonio Giangrande: L'inutile quarantena. Indicazioni di difesa dal contagio inefficaci e faziose.
Il parere del Dr Antonio Giangrande, sociologo storico, che ha scritto "Coglionavirus".
Ci dicono di usare la mascherina e di rimanere reclusi in casa. Inefficace la prima, inutile la seconda.
E’ ormai noto che la trasmissione del virus avviene da una persona all’altra attraverso le vie respiratorie. “Parlando si liberano nell’aria migliaia di micro-goccioline di saliva assieme al virus a uno-due metri di distanza, ma anche a sei metri di distanza dopo uno starnuto. Queste goccioline possono rimanere sospese in aria per più di mezz’ora, contagiando altre persone”, ricorda Claudio Azzolini, ordinario di malattie dell’apparato visivo presso il Dipartimento di Medicina e Chirurgia dell’Università degli Studi dell'Insubria. Il contagio avviene quando le goccioline infette entrano in bocca o nel naso, ma avviene anche attraverso gli occhi tramite le lacrime.
Quindi è necessario non solo l'uso delle mascherine, ma anche l'utilizzo di altri dispositivi di protezione (guanti, occhiali, tute, cuffie, camici) conformi.
L'uso di questi dispositivi di protezione e l'adozione del tamponamento a tappeto, comporta l'inutilità della quarantena e la circoscrivibilità dell'epidemia.
Antonio Giangrande: Chiudono i parchi per le passeggiate e liberano i treni degli infettati...
Antonio Giangrande: Coronavirs: altro che Immunità di Gregge. Con la falsa quarantena si è permesso di infettare il Sud Italia per salvare i padani.
L’opinione del sociologo storico e scrittore Antonio Giangrande che sul tema ha scritto il saggio “Coglionavirus”.
I media prezzolati e nordisti a criticare l’immunità di gregge, per giustificare le scelte del Governo italiano.
Perché si obbliga la quarantena della reclusione in casa con relative sanzioni penali e poi si agevola la fuoriuscita criminale dalle zone rosse del settentrione degli infettati, permettendo loro la mobilità verso il sud?
Scientemente si è diffuso il contagio dell’epidemia nel sud Italia? Perché?
Il virus si può combattere in due modi: il primo è il metodo cinese e nei fatti, anche se messo in atto con ritardo ed incertezze, anche il metodo italiano. Un metodo che si basa sull’isolamento delle aree urbane, o comunque dei territori, dove la malattia imperversa, e che determina il crollo della possibilità di avere contatti sociali, limitando in questo modo la circolazione della malattia.
Esiste poi un secondo metodo che è sicuramente meno “prudente” ma in presenza di determinate condizioni potrebbe essere più efficace delle quarantene. Il secondo metodo consiste nel far circolare liberamente il virus, far si che infetti rapidamente gran parte della popolazione ed raggiungere, dopo circa 3/4 mesi La cosiddetta immunità di gregge.
Un termine importante è la Curva appiattita. Questa è un qualcosa di non concreto, ma importante. Si tratta di spalmare il numero di contagi più in là nel tempo grazie ai vari interventi fatti. Se si lasciasse proseguire il contagio libero, quest’ultimo presenterebbe un picco molto più grande, ma in poco tempo. Il problema di lasciarlo libero è che si crea una pressione eccessiva sul sistema sanitario e altri collegati. Si diluisce il contagio per favorire il suo decorso. Moltissimi contagiati, in pochissimo tempo e, anche se la letalità fosse bassissima, le vittime potrebbero essere tantissime (su grandi numeri, anche una piccola percentuale è in ogni caso numerosa).
Questo, a prescindere dalla gravità dei sintomi della malattia, oltre a fare vittime, sovraccarica le strutture sanitarie. Migliaia di persone si riversano al pronto soccorso, centinaia di ricoverati, tanti in rianimazione. Serve personale, farmaci, posti letto, macchinari. Quando questo succede in sei mesi (come per l'influenza) si riesce a sopportare l'impatto (e supportare tutti), quando questo avviene in un mese potrebbe far crollare tutto. E poi diventa una reazione a catena.
Se i reparti di rianimazione fossero pieni di pazienti con polmonite da Coronavirus, non potrebbero ricevere persone in insufficienza renale, con un infarto, chi ha avuto un incidente, una donna che ha avuto un'emorragia post partum, un uomo che ha avuto un ictus con conseguente diminuzione dell'assistenza, delle cure e quindi un aumento senza precedenti della mortalità e delle complicanze, oltre che un peggioramento improvviso e pesante del livello delle cure.
L’Italia disponeva un tempo di molti più posti letto di terapia intensiva, sub intensiva e di degenza ordinaria. Poi vennero le “razionalizzazioni”, le cure dimagranti, i tagli alla sanità. Benvenuti nell’era dell’austerità.
Togliamocelo dalla testa: l'attenzione all'epidemia di coronavirus non è dovuta alla sua letalità quanto alla capacità di far «saltare» il nostro sistema sanitario. La spiegazione è nelle parole di Massimo Galli, primario infettivologo dell'Ospedale Sacco di Milano, in un'intervista rilasciata a Corriere della Sera il 23 febbraio 2020: «In quarantadue anni di professione non ho mai visto un’influenza capace di stravolgere l’attività dei reparti di malattie infettive e delle rianimazioni di un’intera regione tra le meglio organizzate e preparate alle emergenze d’Italia. Nessun sistema sanitario avanzato può essere predisposto per ricoverare tanti pazienti critici tutti assieme e per di più in regime di isolamento». Alle 18 di ieri infatti, dei 2052 casi confermati, circa l'8% è in terapia intensiva e il 36% è ricoverato con sintomi. Anche se il rischio di contrarre la malattia nella popolazione, soprattutto al di fuori dei focolai, rimane basso, la diffusione del virus va rallentata per evitare che questo rischio aumenti con il conseguente collasso degli ospedali. Più persone si ammalano - e nella maggior parte dei casi il decorso è benigno - e più individui necessiteranno di ricovero.
Conclusione.
Hanno infettato il Sud per spalmare su tutta l’Italia e le relative strutture sanitarie il picco del contagio e salvare, curandoli, così, quanto più Padani. Dr Antonio Giangrande
Antonio Giangrande: Scomparse letali. Genitori disattenti e ricerche infruttuose.
Le ricerche fallimentari degli scomparsi: dispiegamento oneroso ed inutile di uomini e mezzi, con elicotteri e cani molecolari.
Si potevano salvare! Yara, Ciccio e Tore, Gioele, Nicola...Errori madornali e ritrovamenti casuali.
Antonio Giangrande: Noi siamo quello che altri hanno voluto che diventassimo. Quando esprimiamo giudizi gratuiti, cattivi ed illogici lo facciamo con la nostra bocca ma inconsapevolmente per volontà di altri. Lo facciamo in virtù di quanto ricevuto: dall’educazione familiare, dall’istruzione di regime, dall’indottrinamento politico e religioso, dall’influenza mediatica. Niente è farina del nostro sacco. Se ci basassimo solo sulle nostre esperienze staremmo solo zitti, sapendo che nessuno sarebbe capace e disposto ad ascoltarci.
Liberale=amante della libertà propria e rispetto di quella altrui. Secondo diritto naturale, non economico. Per esempio: i poveri non si sostengono economicamente, per farli rimanere tali, ma si aiutano a diventare ricchi, eliminando ogni ostacolo posto sulla loro strada da caste e lobbies.
In parole povere. Spiegazione con intercalare efficace: Fare i cazzi propri, senza rompere il cazzo agli altri.
Attenzione, pero, a nominare il termine “liberale” invano, perché i liberali non esistono.
Si spacciano come tali quelli come Berlusconi, ma sono solo lobbisti capitalisti. E molto hanno in comune con i comunisti, leghisti e fascisti e gli inconsistenti 5 stelle. Tutti fanno solo i cazzi loro, rompendo il cazzo agli altri.
Qual è la differenza tra equità e uguaglianza?
L’uguaglianza comporta che chi non si vuole sbattere, ottenga lo stesso di chi invece si fa il mazzo.
Equità significa che se uno per esempio fa carriera (e i soldi) e l’altro no, pur avendo frequentato entrambi la stessa scuola nelle stesse condizioni, quello rimasto al palo, dovrebbe biasimare solo sè stesso, perchè hanno avuto entrambi la stessa opportunità.
Antonio Giangrande: L’ITALIA DEGLI ABILITATI. ESAME DI ABILITAZIONE ANCHE PER CORRERE
Non solo gli avvocati, o gli altri professionisti, possono svolgere la professione unicamente se abilitati, ma anche i podisti non possono correre se non abilitati FIDAL.
«Mens sana in corpore sano, dice un vecchio adagio. Che il corpo troppo sano dia alla testa? Se non sei tesserato (abilitato) FIDAL non puoi correre nelle manifestazioni da loro organizzate. Se, invece, sei un tesserato FIDAL non puoi correre nei raduni organizzati da altri.»
Questo denuncia il dr Antonio Giangrande, presidente della “Associazione Contro Tutte le Mafie” ed autore del libro “Sportopoli.”
Nell'atletica leggera, la corsa su strada comprende gare su strade comuni, generalmente in asfalto o di campagna, e su distanze che vanno dai 5 ai 100 km.
Queste corse possono essere competitive e non competitive.
Corse competitive. Le specialità più celebri tra le corse su strada sono la maratona, che si corre su una distanza di 42.195 m, e la mezza maratona, che si corre su una distanza di 21.097 m.
Sempre più diffuse sono le gare di ultramaratona, specialità che identifica gare di corsa che hanno una distanza superiore a 42,195 km (distanza ufficiale della maratona). L'ultramaratona su strada più conosciuta è la 100 km, ratificata dalla IAAF. In tutto il mondo vengono anche organizzate svariate competizioni, su distanze comprese dai 5 ai 30 km. La IAAF riconosce ufficialmente le gare su distanze di 10, 15, 20, 25 e 30 km, ratificando per ognuna di queste specialità i propri record mondiali e continentali. Data la varietà di competizioni, le gare più brevi rappresentano anche un utile e realistico allenamento per atleti normalmente impegnati su distanze maggiori, che le includono a volte nei loro programmi di allenamento. In ambito italiano, la FIDAL organizza attività su strada a livello nazionale, regionale e provinciale. Esistono anche manifestazioni agonistiche organizzate dagli enti di promozioni sportiva come UISP, CSI, LIBERTAS, AICS, ecc.
Corse non competitive. In ogni parte d'Italia si organizzano corse non competitive denominate anche marce o camminate per il fatto che sono a passo libero, cioè vi partecipano sia podisti che camminatori. Queste manifestazioni non sono riconosciute dalla FIDAL (la federazione sovrintende solo l'attività agonistica) e vengono organizzate sotto il patrocinio degli enti di promozione sportiva riconosciuti dal CONI o da organizzazioni non riconosciute come ad esempio la FIASP. Molti gruppi o comitati amatoriali organizzano corse per puro divertimento per fare sport e passare un momento di relax in compagnia ed all’aria aperta. Queste gare vedono spesso la presenza anche di atleti tesserati che le affrontano per allenamento. Esse rappresentano comunque un modo per avvicinarsi al mondo dell'atletica.
Come si è spiegato la differenza tra le corse sta nel riconoscimento degli eventuali record, nell’individuazione di eventuali futuri campioni e nell’antagonismo delle squadre iscritte. Nelle corse competitive ci sono i direttori di gara. Per entrambe le corse si paga un ticket di partecipazione.
La differenza tra Agonisti o non agonisti sta principalmente nel fatto che, per essere considerati agonisti e per partecipare all'attività competitiva (organizzata sia dalla FIDAL che da altri enti), è necessario avere l'idoneità alla pratica agonistica. L'idoneità viene rilasciata dopo un'approfondita visita medica, dalla sanità nazionale o da centri autorizzati. Nella maggior parte delle manifestazioni, comunque, oltre alla gara competitiva, viene proposta una prova non competitiva sulla stessa distanza e/o su distanza ridotta, per incentivare la partecipazione e permettere anche alle persone prive di un'adeguata preparazione atletica di vivere un momento di sport e socializzazione.
Quando questo succede, nelle manifestazioni simultanee, spesso ai non agonisti non viene riconosciuto un premio per la vittoria di categoria. Non è raro che qualcuno di questi, però, sia più forte degli agonisti. Chi partecipa alle corse lo sa.
Qualcuno dirà: Cosa si denuncia con questo articolo? Dove è l’inghippo?
Con questo articolo si da voce a tutti coloro, comitati od associazioni, che organizzano unicamente le corse non competitive e che sono destinatarie degli strali della FIDAL. Spesso e volentieri la FIDAL cerca di impedire, con diffide legali inviate agli organizzatori di corse non competitive ed alle autorità locali, lo svolgimento delle manifestazioni da questi organizzati.
Non ci si ferma qui. Nelle pagine facebook di gruppi di podisti agonisti e non agonisti vi sono intimidazioni da parte degli iscritti alla FIDAL nei confronti dei loro colleghi, avvisandoli che nel partecipare a corse non competitive comporta per loro l’adozione di sanzioni.
A riprova di ciò basta cercare “minacce FIDAL” o “polemica FIDAL” su un motore di ricerca web e si troverà tutto quello che finora non si è cercato. E cioè provare che il monopolio delle corse è in mano alla FIDAL, perché sono impedite le gare non competitive, non foss’altro, anche, inibendo la partecipazione a queste manifestazioni ai suoi tesserati. Tesserati che a loro volta, ignavi, si fanno intimorire.
La corsa podistica non è cosa loro, della FIDAL e simili.
Un abominio, non fosse altro che ognuno di noi, anche i tesserati di un organismo sportivo, siamo soggetti agli articoli 16 e 17 della Costituzione italiana e quindi liberi di muoverci in compagnia….anche di corsa.
Dr Antonio Giangrande
Antonio Giangrande: A proposito delle corse podistiche amatoriali, mi chiedo: Perché la Fidal continua ad impedire ai suoi atleti a parteciparvi e molti di loro, nonostante siano dilettanti o non siano campioni conclamati, continuano ad assecondarla, rinunciando ad una sgambata tra amici?
Perché molti podisti hanno l’insano vizio di non partecipare alle corse organizzate nei loro stessi paesi, rendendo vano il sacrificio degli organizzatori, loro compaesani, di promuovere in loco uno sport completo e sociale?
Perché i podisti non obbligano i loro amministratori locali a definire una pista pedo-ciclabile per praticare lo sport in modo sicuro?
Antonio Giangrande: Ponte Morandi. Diamo a Cesare quel che è di Cesare…
Si dica: i morti per Genova e non i morti di Genova.
L’ipocrisia italica tende a mistificare una realtà che è sotto gli occhi di tutti. Una mistificazione che non può giustificare quel logorroico fiume di parole demagogiche spese in un periodo agostano privo di notizie.
Cosa nasconde tutta quest’enfasi del dolore?
Che voglia la brigata d’arlecchini, servi di un nuovo padrone, usare la disgrazia a fini speculativi per ripicca e per rivalsa con strumenti demagogici?
Che si voglia, con il faro mediatico acceso, riavere tutto e subito, a discapito di altri disgraziati?
Il parere del dr Antonio Giangrande, che su Genova ha scritto un libro. Scrittore, sociologo storico, giurista, blogger, videomaker, presidente dell’Associazione Contro Tutte le Mafie ONLUS.
Con le tragedie si perdono cose o persone. Quanto valgono le une di più rispetto alle altre?
L’omelia di Bagnasco: “Giustizia e orgoglio. Genova non si arrende”. "Il crollo del ponte Morandi sul torrente Polcevera ha provocato uno squarcio nel cuore di Genova. La ferita è profonda" ha detto il cardinale Angelo Bagnasco, arcivescovo di Genova, sabato 18 agosto 2018 nell'omelia dei funerali delle vittime. Bagnasco ha poi riferito della telefonata fatta da Papa Francesco: "Ieri sera, con una telefonata affettuosa" il pontefice "ha voluto manifestarci la sua prossimità". "Sappiamo che qualunque parola umana, seppure sincera, è poca cosa di fronte alla tragedia, così come ogni doverosa giustizia nulla può cancellare e restituire". "Alziamo lo sguardo", ha poi esortato Bagnasco rivolto alla folla. "La Madonna Assunta al cielo ci invita anche in questo momento guardare in alto, verso Dio, fonte della speranza e della fiducia. Guardando a Lui - ha concluso l'arcivescovo di Genova - eviteremo la disperazione e potremo tornare a guardare con coraggio il mondo, la vita, la nostra amata Città. Potremo costruire ponti nuovi e camminare insieme".
Non solo Milan-Genoa e Sampdoria-Fiorentina, a fermarsi sono anche Lega Pro e Serie D. In segno di rispetto e vicinanza verso tutti coloro che sono stati colpiti dalla tragedia il presidente della Lega Pro Gabriele Gravina, ha disposto il rinvio, a data da destinarsi, delle gare di Coppa Italia che erano in programma domenica 19 agosto. "La Lega Pro ed i suoi club - si legge nel comunicato - rinnovano la vicinanza alle famiglie delle vittime e a tutti gli abitanti di Genova".
Si arriva addirittura a dire…
Una città in lutto fatica a elaborare dolore e sgomento. Un gruppo di psicologi e counselor specializzati nelle emergenze si offre di dar loro una mano, scrive Marta Buonadonna il 19 agosto 2018 su "Panorama". Siamo ancora sotto choc, e chissà per quanto durerà questa senso di vuoto che proviamo noi genovesi, che sul ponte Morandi passavamo tutti i giorni. Anche se non abbiamo perso una persona cara il 14 agosto, anche se non ci siamo salvati per miracolo, come è capitato a tanti sopravvissuti di cui abbiamo letto i racconti in questi giorni, la sensazione che proviamo è che anche un pezzo di noi sia rimasto sotto quelle macerie. Qualcuno si propone di aiutare i genovesi a elaborare la tragedia.
Ora è il momento di stabilire una verità. Se nessuno la dice, la dico io.
Parliamo di cose perse. Genova ha avuto per oltre 50 anni un ponte, che, forse, molti non l’hanno mai avuto. Oggi Genova lo ha perso in modo tragico e ne sono addolorato. Ma sicuramente chi, genovese, ha perso il ponte e la propria abitazioni, riavrà il tutto senza compromessi.
Ora parliamo di persone perse e che mai nessuno ce li ridarà.
Su 43 morti solo 7 sono di Genova. E di Genova, forse, nulla gli interessava.
Solo 7 erano di Genova: Roberto Robbiano (44), Ersilia Piccinino (41 anni) ed il piccolo Samuele (9). Bruno Casagrande (57) anni, Sandro Campora (53). Andrea Cerulli, (47). Funerale pubblico. Mirko Vicini (31). Funerale privato.
1 era di Busalla (Ge). Elisa Bozzo (33). Funerale privato.
1 era di Serra Riccò (Ge): Francesco Bello, (42). Funerale privato.
2 erano della provincia di Savona. Di Toirano Giorgio Donaggio (57). Funerale privato. Di Borghetto Santo Spirito Luigi Matti Altadonna (35) funerale pubblico.
9 erano Piemontesi: Cristian Cecala (42), Dawne Munroe e la piccola Crystal (9). La famiglia era di Oleggio in provincia di Novara. Andrea Vittone, 49 anni, sua moglie Claudia Possetti, 48 anni, e i figli della donna Manuele e Camilla Bellasio, di 16 e 12 anni. Erano di Pinerolo (No). Alessandro Robotti, 50 anni, e la moglie Giovanna Bottaro, 43 anni. Erano di Arquata Scrivia (Al). Tutti con funerali privati.
1 era lombarda. Angela Zerilli (58) di Corsico (Mi).
4 erano toscani: Jesus Erazo Trujillo (26) e Stella Boccia (24), la coppia di fidanzatini di Capolona (Ar). Funerali privati. Alberto Fanfani (32) e Marta Danisi (29) di Pisa
5 erano campani. Matteo Bertonati (26), Giovanni Battiloro (29), Gerardo Esposito (26) e Antonio Stanzione (29) di Torre del Greco (Na). Gennaro Sarnataro (43) di Casalnuovo di Napoli. Funerali privati.
1 era siciliano: Vincenzo Licata (58) Funerale privato.
7 erano francesi. Anatoli Malai (44), Marian Rosca (36). Origine moldava e rumena vivevano a Parigi. Diaz Enzo Henry (30). Nathan Gusman (20), Melissa Artus (21) William Pouza Doux (22), Axelle Nèmati Alizèe Plaze (21). Funerale di Stato.
3 cileni: Leyla Nora Rivera Castillo (48), Juan Carlos Pastena (64), Ruben Figuerosa Carrasco (68). Funerale di Stato.
2 albanesi e mussulmani: Marius Djerri, (28) e l’amico Edy Bokrina (22). Funerale pubblico.
Alla fine del conto pare chiaro che Genova abbia perso molto meno in termini di vite umane rispetto alle altre città, mai citate.
I ponti si rifanno, le persone no! Ed il rispetto per il dolore di una comunità deve essere pari per tutte.
E mai come questa volta, per il ponte Morandi di Genova, il dolore deve essere delocalizzato.
A cura del dr Antonio Giangrande. Scrittore, sociologo storico, giurista, blogger, videomaker, presidente dell’Associazione Contro Tutte le Mafie ONLUS.
Antonio Giangrande: SPRECOPOLI. L’ITALIA DEGLI SPRECHI
“Sprecopoli. L’Italia degli sprechi”. Il libro di Antonio Giangrande.
Ma quanto mi rubi? (Sprechi di Stato). Uno Stato che si fa rubare più di 565 miliardi di euro all’anno non è in crisi: è una nazione di deficienti!
Evasione fiscale, Corruzione, Sprechi, Disservizi, Speculazioni, Mafie, Estorsioni ed Usura, Contraffazione, Crac finanziari, Costo economico della burocrazia, Lentezza della giustizia.
Per un totale di 565 miliardi di euro all’anno.
Ed io pagooooo!!!......E’ la parafrasi di Totò. Frase detta nel film “47 morto che parla!” e ripresa da Striscia la Notizia. Ed è quello che ci diciamo ogni giorno quando ci rapportiamo con la vera faccia dello Stato. A fronte di un fabbisogno sempre crescente di risorse finanziarie che alimenta il debito pubblico e la pressione fiscale, di pari passo aumentano i tagli dei servizi pubblici ed i disservizi dei pochi rimasti, tanto da farci chiedere: dove cazzo vanno a finire i nostri soldi estorti in balzelli?
Ogni tanto qualcuno parla, a spizzichi e morsi, di quella o questa fonte di spreco, creando un momentaneo stato di indignazione e di rabbia, per poi ripiombare nell’indifferenza generale dell’italica ignavia. Salvo essere oggetto di strali dei buontemponi leghisti contro i soliti spreconi meridionali. Dicevo, questi qualcuno dalla penna facile scrivono dello spreco altrui, stando ben attenti, però, a non intaccare la propria fonte. Provate a pensare se tutte queste fonti di spreco fossero raccolte tutte insieme in un unico elenco. Tutte, veramente tutte. Farebbero accapponare la pelle. Ed è quello che si fa con il saggio “Sprecopoli. L’Italia degli sprechi”. Saggio che fa da contraltare all’altro saggio “Disserviziopoli. Disservizi a pagamento” ed ad un altro saggio “Speculopoli. Fisco e Monopoli”. E’ da venti anni che studio il sistema Italia, a carattere locale come a livello nazionale. Da queste indagini ne sono scaturiti decine di saggi, raccolti in una collana editoriale "L'Italia del Trucco, l'Italia che siamo", letti in tutto il mondo, ma che mi sono valsi l’ostruzionismo dei media nazionali. Pennivendoli venduti all’economia ed alla politica. Book ed E-Book che si possono trovare su Amazon.it.
Sprechi che non si esauriranno mai perché, tra stipendi da dare agli amici, clientele da alimentare, eredità da dare ai figli ed ai parenti, privilegi da difendere, è un cane che si morde la coda e fa comodo alla politica ed al sistema di potere. Alla faccia del povero fesso…Pantalone.
Dr Antonio Giangrande
Antonio Giangrande: Il Valore di una Vita: il Capitale Umano.
Il valore di una vita: «Importi come questo vengono calcolati valutando parametri specifici: l’aspettativa di vita di una persona, la sua potenzialità di guadagno, la quantità e la qualità dei suoi legami affettivi. I periti assicurativi lo chiamano il capitale umano.» Da Il Capitale Umano, film di Paolo Virzì
Antonio Giangrande. Tutta la verità su un processo:
che vede Michele Misseri condannato ad 8 anni per occultamento di cadavere, mentre da sempre si dichiara colpevole dell'omicidio di Sarah Scazzi;
che vede Cosima Serrano e Sabrina Misseri condannati all'ergastolo per un omicidio del quale si dichiarano innocenti;
dove la corda dello strangolamento si trasforma in cintura;
dove le pettegole (parole di Coppi) vengono credute;
dove i testimoni si intimidiscono (alla Spagnoletti: Sarah e Sabrina litigavano? Dì di sì);
dove i testimoni anticipano l'orario di uscita di Sarah: dalle ore 14.30 alle ore 14 circa, assecondando l'ipotesi accusatoria;
dove si fanno passare per fatti veri i sogni dei testimoni;
dove si induce Michele Misseri ad accusare la figlia Sabrina per l'ottenimento dello sconto di pena per entrambi.
Parla Concetta Serrano Spagnolo Scazzi, Claudio Scazzi, Valentina Misseri, Ivano Russo.
Marialucia Monticelli, inviata del programma “Chi l’ha visto?”, Maria Corbi, giornalista de “La Stampa”.
Walter Biscotti, Franco Coppi, Nicola Marseglia, Roberta Bruzzone.
Brani tratti dalla trasmissione “Tutta la Verità” trasmessa sull’emittente Nove il 26 aprile 2018
Omertà…Omertà! La Nenia degli scribacchini.
Il reato ha una responsabilità personale.
Chiunque è innocente fino a prova contraria.
Non si può colpevolizzare qualcuno per una prova che non esiste o che manca per incapacità degli investigatori.
Le persone lavorano, studiano o riposano: non sono comari dedite a spettegolare o a fare domande in giro.
Il giornalista che criminalizza il singolo, o, addirittura, una comunità o una categoria, non fa informazione, ma fa diffamazione.
Se questi scribacchini sono spinti da odio territoriale o ideologico, la loro diffamazione è a sfondo razzista, specie se poi nascondono discriminatamente le malefatte dei loro compagni e compaesani.
Antonio Giangrande: Se questi son giornalisti… “Ma nessuno si fa troppe domande, giù nel Basso Salentino, tra Specchia e Alessano, belle ville di vacanza della swinging Puglia e terre riarse dei poveracci, masserie rifatte a bed and breakfast e pozzi sperduti nel buio. Come ad Avetrana, del resto, l’omertoso paese di Sarah Scazzi, che dista un’ora di strada da qui, ma meno d’un sospiro di silenzio da questa trama mostruosa, quest’altra, quasi in fotocopia, di un’altra ragazzina sepolta nei campi, di altre famiglie disfunzionali o malate, di familismi amorali che diventano delitto e complicità, perché la legge non varca l’orto di casa”. Goffredo Buccini 13 settembre 2017 Corriere della Sera.
Non aspettatevi, però, tutela della comunità da parte degli amministratori locali.
Specchia. Noemi Durini e Lucio Marzo. Un film già visto, come Sarah Scazzi.
Lucio Marzo, fidanzato di Noemi, ha confessato ed ha fatto trovare il corpo.
Per il delitto di Sarah Scazzi, Michele Misseri, reo confesso, anch’egli ha fatto trovare il corpo, ma non è stato condannato per l’omicidio.
Chi sarà condannato per il delitto di Noemi Durini?
A Specchia, come ad Avetrana, si aspettavano i giornalisti con le palle, ma son arrivati solo…i coglioni.
Antonio Giangrande: Popolo di Avetrana, se avete un po’ di dignità ed orgoglio, indignatevi e condividete questo post su quanto ha scritto contro gli avetranesi Nazareno Dinoi, amico dei magistrati e direttore de "La Voce di Manduria", un giornalino locale di un paese vicino ad Avetrana. Il "mandurese" diffama indistintamente tutti gli avetranesi, e non me ne spiego l'astio, e gli amministratori locali e la loro opposizione non sono capaci di difendere l’onore di Avetrana contro la gogna mediatica programmata sin dal 26 agosto 2010 e protratta da giornalisti da strapazzo sui giornali ed in tv.
“La triste fine di Sarah Scazzi ha dato improvvisa notorietà al piccolo paese di Avetrana altrimenti sconosciuto ai più. Ha portato luce su un paese in ombra infastidendo chi vi abita. Ed è anche sugli avetranesi che il caso Scazzi si è contraddistinto per un’altra peculiarità: l’omertà, il visto e non visto, il non ricordo, il forse, il lo so ma non ne sono sicuro, il meglio farsi gli affari propri. Un popolo onesto che di fronte alla richiesta di coraggio si è tirato indietro. Anche in questo caso parlano i numeri e i dati: gli investigatori hanno ascoltato poco più di duecento persone, per la maggioranza avetranesi, poche hanno detto di aver visto qualcosa, nessuno si è presentato spontaneamente per aiutare la giustizia con l’amaro risultato che resterà negli annali delle cronache giudiziarie: dodici di loro sono stati indagati per falsa testimonianza o addirittura per favoreggiamento. Un record in negativo con cui Avetrana e gli avetranesi dovranno fare i conti.”
Il giornalista, come lui si definisce, dovrebbe sapere che i conti si fanno alla fine. Per ora omette di contare i due imputati assolti dall'accusa di favoreggiamento...o questo per omertà o censura non si può dire?
Antonio Giangrande:
Processo Scazzi a Taranto…aspettando la Cassazione.
Aste e usura: chiesta ispezione nei tribunali di Taranto e Potenza. Interrogazione dei Senatori Cinque Stelle: “Prassi illegali e vicende inquietanti”, titola “Basilicata 24” nel silenzio assordante dei media pugliesi e tarantini.
Ne parliamo con il dr. Antonio Giangrande. Scrittore, sociologo storico, giurista, blogger, youtuber, presidente dell’Associazione Contro Tutte le Mafie, che ben conosce quel foro avendo esercitato la professione forense e dalla cui esperienza ne sono usciti dei libri.
«Da presidente dell’ANPA (Associazione Nazionale Praticanti ed Avvocati) già dal 2003, fin quando mi hanno permesso di esercitare la professione forense fino al 2006, mi sono ribellato a quella realtà ed ho messo in subbuglio il Foro di Taranto, inviando a varie autorità (Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Taranto, Procura della Repubblica di Taranto, Ministro della Giustizia) un dossier analitico sull’Ingiustizia a Taranto e sull’abilitazione truccata degli avvocati. Da questo dossier è scaturita solo una interrogazione parlamentare di AN del Senatore Euprepio Curto (sol perché ricoprivo l’incarico di primo presidente di circolo di Avetrana di quel partito). Eccezionalmente il Ministero ha risposto, ma con risposte diffamatorie a danno dell’esponente. Da allora e per la mia continua ricerca di giustizia come Vice Presidente provinciale di Taranto dell’Italia dei Valori (Movimento da me lasciato ed antesignano dei 5 Stelle, entrambi a me non confacenti per mia palese “disonestà”) e poi come presidente nazionale dell’Associazione Contro Tutte le Mafie, sodalizio antimafia riconosciuto dal Ministero dell’Interno, per essermi permesso di rompere l’omertà, gli abusi e le ingiustizie, ho subito decine di procedimenti penali per calunnia e diffamazione, facendomi passare per mitomane o pazzo, oltre ad inibirmi la professione forense. Tutte le mie denunce ed esposti e la totalità dei ricorsi presentati a tutti i Parlamentari ed alle autorità amministrative e politiche: tutto insabbiato, nonostante la mafiosità istituzionale è sotto gli occhi di tutti.
I procedimenti penali a mio carico sono andati tutti in fumo, non riuscendo nell’intento di condannarmi, fin anche a Potenza su sollecitazione dei denuncianti magistrati.
Il 3 ottobre 2016, dopo un po’ di tempo che mancavo in quel di Taranto, si apre un ulteriore procedimento penale a mio carico per il quale già era intervenuta sentenza di assoluzione per lo stesso fatto. Sorvolo sullo specifico che mi riguarda e qui continuo a denunciare alla luna le anomalie, così già da me riscontate molti anni prima. Nei miei esposti si parlava anche di mancata iscrizione nel registro generale delle notizie di reato e di omesse comunicazioni sull’esito delle denunce.
L’ufficio penale del Tribunale è l’ombelico del disservizio. Non vi è traccia degli atti regolarmente depositati, sia ufficio su ufficio (per le richieste dell’ammissione del gratuito patrocinio dall’ufficio del gratuito patrocinio all’ufficio del giudice competente), sia utenza su ufficio per quanto riguarda in particolare la lista testi depositata dagli avvocati nei termini perentori. Per questo motivo è inibito a molti avvocati percepire i diritti per il gratuito patrocinio prestato, non essendo traccia né delle istanze, né dei decreti emessi. Nell’udienza del 3 ottobre 2016, per gli avvocati presenti, al disservizio si è provveduto con una sorta di sanatoria con ripresentazione in udienza di nuove istanze di ammissione di Gratuito patrocinio e di nuove liste testi (fuori tempo massimo); per i sostituiti avvocati, invece, ogni diritto è decaduto con pregiudizio di causa. Non un avvocato si è ribellato e nessuno mai lo farà, perché mai nessuno in quel foro si è lamentato di come si amministra la Giustizia e di come ci si abilita. Per quanto riguarda la gestione degli uffici non si può alludere ad una fantomatica mancanza di personale, essendo l’ufficio ben coperto da impiegate, oltretutto, poco disponibili con l’utenza.
Io ho già dato per fare casino, non foss’altro che ormai sono timbrato tra i tarantini come calunniatore, mitomane o pazzo, facendo arrivare la nomea oltre il Foro dell’Ingiustizia.
La presente, giusto per rendere edotti gli ignoranti giustizialisti e sinistroidi in che mani è la giustizia, specialmente a Taranto ed anche per colpa degli avvocati».
Antonio Giangrande: è stato presentato il ricorso contro lo Stato italiano presso la Corte Europea dei Diritti Umani.
In Italia si rileva che la Corte di Cassazione, sistematicamente, rigetta ogni istanza di rimessione da chiunque sia presentata e qualunque ne sia la motivazione.
Inoltre qui si rileva che la Corte Costituzionale legittima per tutti i concorsi pubblici la violazione del principio della trasparenza. Trasparenza, da cui dedurre l’inosservanza delle norme sulla legalità, imparzialità e buon andamento (efficienza).
Antonio Giangrande: Lettera aperta a “Quarto Grado”.
Egregio Direttore di “Quarto Grado”, dr Gianluigi Nuzzi, ed illustre Comitato di Redazione e stimati autori.
Sono il Dr Antonio Giangrande, scrittore e cultore di sociologia storica. In tema di Giustizia per conoscere gli effetti della sua disfunzione ho scritto dei saggi pubblicati su Amazon.it: “Giustiziopoli. Ingiustizia contro i singoli”; “Malagiustiziopoli”. Malagiustizia contro la Comunità”. Per conoscere bene coloro che la disfunzione la provocano ho scritto “Impunitopoli. Magistrati ed Avvocati, quello che non si osa dire”. Per giunta per conoscere come questi rivestono la loro funzione ho scritto “Concorsopoli. Magistrati ed avvocati col trucco”. Naturalmente per ogni città ho rendicontato le conseguenze di tutti gli errori giudiziari. Errore giudiziario non è quello conclamato, ritenuto che si considera scleroticamente solo quello provocato da dolo o colpa grave. E questo con l’addebito di infrazione da parte dell’Europa. Né può essere considerato errore quello scaturito solo da ingiusta detenzione. E’ errore giudiziario ogni qualvolta vi è una novazione di giudizio in sede di reclamo, a prescindere se vi è stata detenzione o meno, o conclamato l’errore da parte dei colleghi magistrati. Quindi vi è errore quasi sempre.
Inoltre, cari emeriti signori, sono di Avetrana. In tal senso ho scritto un libro: “Tutto su Taranto, quello che non si osa dire” giusto per far sapere come si lavora presso gli uffici giudiziari locali. Taranto definito il Foro dell’Ingiustizia. Cosa più importante, però, è che ho scritto: “Sarah Scazzi. Il delitto di Avetrana. Il resoconto di un avetranese. Quello che non si osa dire”. Tutti hanno scribacchiato qualcosa su Sarah, magari in palese conflitto d’interesse, o come megafono dei magistrati tarantini, ma solo io conosco i protagonisti, il territorio e tutto quello che è successo sin dal primo giorno. Molto prima di coloro che come orde di barbari sono scesi in paese pensando di trovare in loco gente con l’anello al naso e così li hanno da sempre dipinti. Certo che magistrati e giornalisti cercano di tacitarmi in tutti i modi, specialmente a Taranto, dove certa stampa e certa tv è lo zerbino della magistratura. Come in tutta Italia, d’altronde. E per questo non sono conosciuto alla grande massa, ma sul web sono io a spopolare.
Detto questo, dal mio punto di vista di luminare dell’argomento Giustizia, generale e particolare, degli appunti ve li voglio sollevare sia dal punto giuridico (della legge) sia da punto della Prassi. Questo vale per voi, ma vale anche per tutti quei programmi salottieri che di giustizia ne sparlano e non ne parlano, influenzando i telespettatori o da questi sono condizionati per colpa degli ascolti. La domanda quindi è: manettari e forcaioli si è o si diventa guardando certi programmi approssimativi? Perché nessuno sdegno noto nella gente quando si parla di gente rinchiusa per anni in canili umani da innocente. E se capitasse agli ignavi?
Certo direttore Nuzzi, lei si vanta degli ascolti alti. Non è la quantità che fa un buon programma, ma la qualità degli utenti. Fare un programma di buon livello professionale, si pagherà sullo share, ma si guadagna in spessore culturale e di levatura giuridica. Al contrario è come se si parlasse di calcio con i tifosi al bar: tutti allenatori.
Il suo programma, come tutti del resto, lo trovo: sbilanciatissimo sull’accusa, approssimativo, superficiale, giustizialista ed ora anche confessionale. Idolatria di Geova da parte di Concetta e pubblicità gratuita per i suoi avvocati. Visibilità garantita anche come avvocati di Parolisi. Nulla di nuovo, insomma, rispetto alla conduzione di Salvo Sottile.
Nella puntata del 27 settembre 2013, in studio non è stato detto nulla di nuovo, né di utile, se non quello di rimarcare la colpevolezza delle donne di Michele Misseri. La confessione di Michele: sottigliezze. Fino al punto che Carmelo Abbate si è spinto a dire: «chi delle due donne mente?». Dando per scontato la loro colpevolezza. Dal punto di vista scandalistico e gossipparo, va bene, ma solo dalla bocca di un autentico esperto è uscita una cosa sensata, senza essere per forza un garantista.
Alessandro Meluzzi: «non si conosce ora, luogo, movente ed autori dell’omicidio!!!».
Ergo: da dove nasce la certezza di colpevolezza, anche se avallata da una sentenza, il cui giudizio era già stato prematuramente espresso dai giudici nel corso del dibattimento, sicuri di una mancata applicazione della loro ricusazione e della rimessione del processo?
E quello del dubbio scriminate, ma sottaciuto, vale per tutti i casi trattati in tv, appiattiti invece sull’idolatria dei magistrati. Anzi di più, anche di Geova.
Dr Antonio Giangrande. Scrittore, sociologo storico, giurista, blogger, youtuber, presidente dell’Associazione Contro Tutte le Mafie ONLUS.
Antonio Giangrande è sui Social Network
Antonio Giangrande: Sarah Scazzi. Sabrina Misseri e Cosima Serrano. Un Giorno in Pretura e lo scandalo delle motivazioni.
Una giustizia senza vergogna. Comunque la si pensi sulle responsabilità è giustappunto scandaloso permettere tutto ciò.
La puntualizzazione del dr. Antonio Giangrande. Scrittore, sociologo storico, blogger, youtuber, presidente dell’Associazione Contro Tutte le Mafie. Antonio Giangrande di Avetrana, ha seguito il caso sin dall’inizio e sulla vicenda ha scritto ben tre libri e pubblicato decine di video.
Roberta Petrelluzzi è la ideatrice, regista e conduttrice di “Un Giorno in Pretura”. Le telecamere del programma di Rai Tre sono state le uniche ammesse nell’Aula Alessandrini del Tribunale di Taranto per riprendere in diretta tutte le fasi del dibattimento sul processo del delitto di Sarah Scazzi. “Un Giorno in Pretura” aveva l’onere di distribuire le immagini agli altri media.
Roberta Petrelluzzi, nella sua peculiarità di testimone privilegiata, ha avuto modo di seguire con imparzialità il dibattimento di primo grado, non essendo parte nel processo.
Quindi le sue parole hanno una certa importanza se pronunciate da chi, con il suo lavoro, di dibattimenti penali ne ha visionati a migliaia.
Il 25 giugno 2016, al momento dei saluti per l’ultima puntata del ciclo di stagione della trasmissione televisiva “Un giorno in pretura”, Roberta Petrelluzzi, conduttrice del programma, ha speso delle splendide parole per Cosima Serrano e Sabrina Misseri, condannate all’ergastolo per l’omicidio di Sarah Scazzi.
«Voglio richiamare la vostra attenzione su una vicenda che mi ha molto coinvolta e che mi sta molto a cuore: la storia di Sabrina Misseri e Cosima Serrano. Le due donne sono state condannate in primo grado nell’aprile del 2013, e oggi sono in attesa della sentenza della Cassazione. Ci sono voluti più di 11 mesi dopo il primo grado per scrivere le motivazioni della sentenza, cosa che è avvenuta anche per il processo d’appello. Più di 11 mesi. È stata questa la ragione che una giovane ragazza e sua madre, che si dichiarano disperatamente innocenti, sono da cinque anni in carcere. E ancora non si può dire la parola “fine” per una vicenda giudiziaria relativa a un delitto fra i più mediatici dell’ultimo decennio, dando al termine “mediatico” tutta la valenza negativa che alcune volte merita.»
Antonio Giangrande: Antonio Cosimo Stano. Manduria tra gogna mediatica ed ignominia.
I Manduriani ed i loro giornalisti provano sulla loro pelle cosa sia la gogna della vergogna.
Il commento dello scrittore Antonio Giangrande, che tra le altre cose ha scritto il libro “Sarah Scazzi. Il delitto di Avetrana”.
Devo dire che a meno di 9 anni di distanza le frasi “omertà del paese”, “tutti sapevano”, sono atti di accusa per un intero territorio e risuonano per tutta Italia per mano di scribacchini che, venuti da lontane sponde, nulla sanno della verità, se non quella filtrata da veline giudiziarie. La denigrazione del paese di origine dei responsabili meridionali di un reato è la pena accessoria di cui tenere conto.
Devo dire che, scartando la gogna di giornalastri forestieri, è proprio dalla medesima Manduria che son venuti attacchi alla stessa Avetrana, quando vi fu l’aggressione con conseguente morte di Salvatore Detommaso, ovvero vi fu il mediatico omicidio di Sarah Scazzi.
«Continuano le indagini dei carabinieri di Avetrana per individuare i responsabili della brutale aggressione che questa mattina ha ridotto in fin di vita un avetranese di 63 anni colpito alla testa con delle bottiglie di vetro. Il violento pestaggio è avvenuto davanti al bar Mojito alla presenza di numerosi testimoni che hanno dichiarato di non aver visto niente o di non ricordare particolari utili. E sugli avetranesi ritorna il fantasma dell’omertà venuto fuori durante le indagini del delitto di Sarah Scazzi, un episodio che ha fatto parlare e fa parlare ancora l’Italia intera e che ha visto il coinvolgimento di una quarantina di persone tra sospettati, indagati, imputati, condannati e sognatori. Nessuna ammissione, nessun aiuto concreto agli inquirenti e alla verità sulla morte della quindicenne uccisa dai parenti». Così scriveva Nazareno Dinoi il 27 marzo 2016 su “La Voce di Manduria” in riferimento all’aggressione avvenuta a danno di Salvatore Detommaso la mattina presto del giorno di Pasqua, ricoverato poi in prognosi riservata. Aggressione su una via di passaggio per chi, proveniente da Manduria, è diretto a Nardò od a Torre Colimena. Lo stesso Dinoi continua con la solita litania anche il 29 marzo 2016: «Il bruttissimo episodio è ora materia degli investigatori dell’Arma che stanno incontrando difficoltà a raccogliere testimonianze dei presenti. Sino a ieri il maresciallo Fabrizio Viva che comanda la stazione di Avetrana ha sentito diverse persone che erano presenti nelle vicinanze, ma nessuno di loro ha detto di ricordare o di aver visto niente. Un atteggiamento omertoso che ha spinto gli amministratori pubblici e il parroco a lanciare appelli a parlare (di questo parliamo a parte). I militari hanno già ritirato le registrazioni delle telecamere di sorveglianza installate nei punti commerciali della zona, ma nessuna di loro era puntata sulla zona dell’aggressione. Un testimone che avrebbe visto tutto, avrebbe detto di aver visto delle persone fuggire a bordo di una piccola utilitaria di colore scuro di cui non ricorda la marca. Ancora poco per dare un nome e un significato a tanta violenza.» A quell'ora del dì di festa ovviamente non potevano esserci tanti avventori del bar, nè, tantomeno, numerosi testimoni, ma parlare di omertà ad Avetrana fa notizia.
Chi fa la professione di giornalista dovrebbe sapere che i curiosi, accorsi in massa, non possono essere definiti testimoni. Non si può parlare di omertà se la stessa vittima non ha potuto fornire notizie utili alle indagini, né tanto meno si può parlare di indagini. Le indagini vengono svolte alla notizia di reato e, a quanto pare, al momento del fatto il reato palesato (lesioni) era perseguibile per querela, che non vi è stata. E comunque l’indagine fatta bene, anche successivamente attivata per querela o denuncia per fatto più grave, i responsabili li trova.
Nazareno Dinoi, come corrispondente del Corriere della Sera ha scritto sempre articoli su Avetrana dello stesso tenore quando riferiva sul caso di Sarah Scazzi, come tutti d’altronde. Rispetto agli altri, però, Dinoi è di Manduria, paese a 17 chilometri da Avetrana, non certo un canonico razzista settentrionale.
Nazareno Dinoi, amico dei magistrati di Taranto è direttore de "La Voce di Manduria", un giornalino locale di un paese vicino ad Avetrana. Il "mandurese" diffama indistintamente tutti gli avetranesi e non me ne spiego l'astio. Gli amministratori locali e la loro opposizione, poi, non sono capaci di difendere l’onore di Avetrana contro la gogna mediatica programmata sin dal 26 agosto 2010 e protratta da giornalisti da strapazzo sui giornali ed in tv.
«La triste fine di Sarah Scazzi ha dato improvvisa notorietà al piccolo paese di Avetrana altrimenti sconosciuto ai più - scriveva già il 29 luglio 2015 il nostro Dinoi - Ha portato luce su un paese in ombra infastidendo chi vi abita. Ed è anche sugli avetranesi che il caso Scazzi si è contraddistinto per un’altra peculiarità: l’omertà, il visto e non visto, il non ricordo, il forse, il lo so ma non ne sono sicuro, il meglio farsi gli affari propri. Un popolo onesto che di fronte alla richiesta di coraggio si è tirato indietro. Anche in questo caso parlano i numeri e i dati: gli investigatori hanno ascoltato poco più di duecento persone, per la maggioranza avetranesi, poche hanno detto di aver visto qualcosa, nessuno si è presentato spontaneamente per aiutare la giustizia con l’amaro risultato che resterà negli annali delle cronache giudiziarie: dodici di loro sono stati indagati per falsa testimonianza o addirittura per favoreggiamento. Un record in negativo con cui Avetrana e gli avetranesi dovranno fare i conti.»
Detto questo sui corsi e ricorsi storici ed a discolpa dei manduriani andiamo ad analizzare i fatti.
«Chiederemo pene esemplari. Siamo di fronte a una violenza senza limiti». Lo ha detto al Tg1 il procuratore di Taranto Carlo Maria Capristo in merito alle aggressioni subite da Antonio Cosimo Stano da ragazzini tra i 16 e i 23 anni, tutti di Manduria. «L’intervento è stato tempestivo ma sarebbe stato ancora più tempestivo se chi sapeva avesse avvisato prima le forze dell’ordine – ha aggiunto – Saremmo intervenuti in tempo e oggi Stano sarebbe ancora vivo».
«Se i bulli invece che con quel pover’uomo se la fossero presa con un cane, ci sarebbe stata la rivolta popolare. E invece tutti zitti, in un silenzio assordante che oggi mi lascia amareggiato. Quanto subiva Stano è stato chiuso e isolato in una casa, in una strada, in una comunità: un essere umano che abitava davanti a una parrocchia lasciato solo. Il prete ha detto di essere intervenuto più volte, ma perché non ha segnalato subito ai servizi sociali?». E' lo sfogo, forte e appassionato, del prefetto Vittorio Saladino, uno dei tre commissari prefettizi di Manduria che, all’AdnKronos, parla di un "silenzio assurdo" che ha avvolto e cullato la brutalità delle aggressioni subite nel tempo. «Stano era sconosciuto ai servizi sociali perché nessuno, per quanto ne dicano oggi, ha mai fatto segnalazioni - aggiunge - La cosa strana è che il soggetto era preso di mira da tanto tempo e nonostante questo anche il responsabile dei servizi sociali ne era all’oscuro. Manduria tra l’altro è capofila nell’efficienza dei servizi sociali, è un paese ricco tra i primi posti di quelli con cittadini risparmiatori, preso di mira da turisti inglesi e tedeschi». Nessuna giustificazione, dunque, e l’annuncio: «Alla manifestazione di sabato 4 maggio per la legalità - ha detto Saladino - parteciperemo con il gonfalone come Commissione straordinaria. Le colpe le ha una comunità distratta, chiusa, coi giovani bombardati dai media e da episodi negativi. Come si fa a rendere oggetto di gioco un uomo, un soggetto indifeso?».
Allora, Chi mente?
Silvia Mancinelli 27 aprile 2019 Adnkronos. I vicini avevano segnalato, si erano rivolti alle forze dell’ordine per denunciare i soprusi, subiti troppo spesso da Antonio Cosimo Stano. La prova è in un esposto presentato al commissariato di Manduria e firmato da 7 residenti di via San Gregorio Magno, la stessa strada dove viveva il 66enne, e da don Dario. “Da alcune settimane, durante le ore serali e le prime ore del mattino – si legge in una prima denuncia – si stanno verificando diversi episodi di atti illeciti commessi da ignoti (circa 5/6 persone) a danno del signor Antonio Cosimo Stano”. “Nello specifico – si legge ancora – segnaliamo continui e reiterati danneggiamenti che tali ignoti stanno perpetrando a danno dell’abitazione (…) con lancio di pietre e oggetti vari al prospetto dell’abitazione e dando calci e colpi diretti alla porta d’ingresso e agli infissi della medesima casa”. Secondo quanto denunciato dai residenti, la vittima aveva confessato loro quanto stava subendo: “Il signor Stano, da quanto ci ha riferito, ha subito altresì vessazioni, soprusi e lesioni anche fisiche da parte di questi soggetti, i quali in una occasione sono anche riusciti a introdursi in casa. Tale condotta illecita, lesiva della sicurezza e della quiete pubblica, cagiona, inoltre, stati d’ansia, malessere e agitazione soprattutto nei minori residenti nel vicinato”. “In piena notte sentivamo urlare. Erano grida strazianti, terribili. La sera tardi e in piena notte. Mia moglie e con lei altri 7 residenti di via San Gregorio Magno e don Dario, ha così presentato l’esposto, per paura soprattutto, ma anche per tutelare quel povero Cristo”. A raccontarlo all’Adnkronos è Cosimo, che abita due cancelli più avanti rispetto all’abitazione di Stano, al civico 8. “Non tutti hanno voluto firmare, ma noi non ce la siamo sentita di restare inermi”.
Cesare Bechis, Giusi Fasano su Corriere.it. 26 aprile 2019. Era un uomo malato, Antonio. La sua mente era confusa e tutti, in paese, lo conoscevano come «il pazzo», «quello del Villaggio del fanciullo», dal nome dell’oratorio della chiesa di San Giovanni Bosco che sta proprio di fronte a casa sua. Dicono che fosse in cura al Centro di igiene mentale ma di fatto era abbandonato a se stesso, non seguito dai servizi sociali, come avrebbero richiesto le sue condizioni, né aiutato nella sua vita quotidiana dai parenti che vivono a un passo da lui. Si manteneva con la pensione che si era guadagnato lavorando all’arsenale di Taranto come operaio e tutti, a Manduria, sapevano che ormai da molti anni passava gran parte del suo tempo a coltivare la sua solitudine, aiutato in questo dalle sue condizioni psichiche. Le segnalazioni sono arrivate, ai servizi sociali. Ma lui è rimasto a casa sua, nella sporcizia e nell’indifferenza, sempre più isolato dal mondo. E i bulli hanno capito che era un bersaglio facile. Lo hanno preso di mira e lo hanno vessato senza pietà. I vicini di casa vedevano le bande arrivare, non sempre le stesse. L’ultima volta, prima di quel 6 aprile, dev’essere stata più dura del solito. Perché quando «quelli» se ne sono andati lui si è chiuso in casa e non è più uscito. Niente spesa, niente cibo, niente di niente pur di non incrociarli mai più. I vicini non l’hanno visto uscire e hanno avvisato la polizia. Gli agenti si sono appostati lì fuori nel tentativo di sorprendere qualcuno dei ragazzini ma quel giorno non si è visto nessuno e alla fine la parte più difficile dell’intervento è stato convincere lui, Antonio, ad aprire la porta per lasciarsi aiutare. Da allora in poi è stato in ospedale fino al giorno della morte, con gravi problemi fisici oltre quelli mentali.
Nazareno Dinoi La Voce di Manduria venerdì 26 aprile 2019. Il povero Stano, insomma, era diventato (e così lo chiamavano nel branco), «il pazzo del Villaggio del fanciullo», dal nome dell’oratorio e della chiesa di San Giovanni Bosco situato proprio di fronte alla sua abitazione. La notizia degli indagati sta scuotendo le coscienze dei manduriani che si interrogano sul «come sia potuto accadere». Molto significativo è l’intervento di un educatore della parrocchia in questione, Roberto Dimitri che su Facebook ha pubblicato un lungo intervento che prova quanto le vessazioni e le violenze su Stano fossero conosciute da molti. Nel descrivere «un tessuto sociale che si sta deteriorando sempre di più», l’educatore confida le sue difficoltà di interagire con i ragazzi e poi ammette: «personalmente – scrive - ho ripreso tante volte i ragazzi che bullizzavano il signore, chiamato le forze dell'ordine e chiamando i genitori, ma senza risultati.
Il Fatto Quotidiano. 29 Aprile 2019. Le aggressioni duravano da almeno sette anni, secondo i vicini: uno dei video sequestrati dalla procura risale al 2013. Eppure, stando a quanto emerso finora, nessun segnale è arrivato alle autorità su Stano, conosciuto in paese come “il pazzo del Villaggio del fanciullo”, in riferimento al nome dell’oratorio di fronte casa sua. “Mai ci è arrivata, né formalmente né informalmente, fosse almeno in maniera anonima, alcuna segnalazione su Antonio Cosimo Stano”, riferisce Raffaele Salamino, responsabile dei servizi sociali del comune di Manduria. “Sarebbe bastata una chiamata – aggiunge – e un assistente avrebbe preso in carico la cosa, coinvolgendo il servizio di igiene mentale”. Un anno e mezzo fa gli operatori del 118 intervennero su segnalazione della polizia davanti alla casa di Stano. L’uomo era a terra, con delle ferite alla testa. Forse, anche in quel caso, era stato preso di mira dai ragazzini. Il 66enne venne medicato sul posto perché, vinto dal paura, rifiutò il trasporto in ospedale.
Quindi già un anno e mezzo fa le istituzioni avevano conoscenza dei fatti e non sono intervenuti. Allora perché si continua a nascondere una omissione di atti di ufficio ed accusare la cittadinanza ed il clero di omertà?
A due anni dalla morte di Sarah Scazzi Don Dario De Stefano sul suo profilo facebook il 25 agosto 2012 ha annunciato il suo trasferimento alla parrocchia di San Giovanni Bosco a Manduria. Avetrana in segno di disapprovazione ha reagito. Una raccolta di migliaia di firme tenta di far smuovere il vescovo di Oria dalla sua decisione di trasferire Don Dario De Stefano, il parroco della parrocchia Sacro Cuore di Avetrana. Sua destinazione la parrocchia di San Giovanni Bosco a Manduria. Don Dario va via, viva Don Dario e fortunati quei manduriani che lo avranno come parroco. Non è una nota stampa, né un commento ad un fatto di cronaca, ma un ringraziamento pubblico a Don Dario De Stefano, parroco della parrocchia del Sacro Cuore di Avetrana e futuro parroco della parrocchia di San Giovanni Bosco a Manduria. Lo faccio io che dovrei essere l’ultimo a farlo, in quanto molto cristiano sì, ma poco frequentante le chiese. Anche se non c'è bisogno di essere cristiani per apprezzare Gesù Cristo: non per i suoi natali, ma per il suo insegnamento e, cosa più importante, per il suo esempio. Eppure non frequento molto la sua casa perché si accompagnano a Gesù in quei posti cattive compagnie. Laici peccatori che sulle panche consacrate sembrano angioletti che con un piccolo obolo si lavano la coscienza od usano le amicizie ivi coltivate a fini elettorali. E’ vero: il parroco raccoglie le pecorelle smarrite, ma mi trovo in disagio a frequentare interi greggi di ovini smarriti. Don Dario è un personaggio votato alle iniziative sociali, ma non alle lotte sociali. Eppure sono convinto che Don Dario, nonostante abbia nessun rapporto con me, merita di essere ringraziato. Una mia poesia dialettale contiene queste strofe:
“Ma ccapì: simu nisciunu e tutti ti passaggiu,
l’aitrana resta pi sempri e no ti tai aggiu.
Ci no lassi operi ca restunu,
tutti ti te si ni scordunu.
Pi l’autri paisi puè quistu ca ticu no iè diversu,
lu tiempu passa, nienti cangia e iè tuttu tiempu persu.”
Bene! Don Dario al suo arrivo era un giovane di Oria ambizioso, tenace, diplomatico fino ad un certo punto e con tanta voglia di fare. Io che guardo l’aspetto materiale, ossia i fatti, elenco alcune delle sue opere che resteranno alla storia sua e di Avetrana. Opere che vanno oltre la competenza parrocchiale, di cui tutta Avetrana ne ha tratto benefici: il rinnovo della sua chiesa e la costruzione del campanile, l’oratorio dove i giovani si educano e passano il loro tempo libero; i campi scuola; “il presepe vivente”; “la grande calza della Befana”; la squadra di calcio di Avetrana; la festa compatronale di Sant’Antonio; “Certe notti qui…”, ossia la “Notte Bianca”: evento agostano dove Avetrana per una notte è invasa dai turisti estasiati da decine di piccole e grandi manifestazioni culturali, culinarie, musicali, ecc…Non dimentichiamoci che ha gestito anche le funzioni religiose per la povera Sarah Scazzi ed avrebbe potuto fare di più se non fosse che la madre di Sarah è dei Testimoni di Geova ed il vescovo ha evitato inutili polemiche con nuove iniziative in suo ricordo. Questo è solo piccola cosa di quanto lui abbia fatto per la sua parrocchia e per tutta Avetrana. Non è stato facile per Don Dario fare tutto ciò in un piccolo paese con piccole vedute, molte maldicenze e con il braccino corto, specie da parte degli imprenditori che fanno affari con gli eventi organizzati da Don Dario.
Non sono mancati sin dall’inizio tra i suoi fedeli fazioni contrarie che spinte da gelosie prima hanno cercato di allontanarlo, per poi, non riuscendoci si sono allontanati loro stessi. Così come Don Dario è stato frenato e si è scontrato con degli amministratori poco illuminati e spesso incapaci a sostenere le sue o le altrui iniziative. Così come è stato vittima dei contrasti politici tra le avverse fazioni.
Intanto, a parità di fondi finanziari gestibili, ha fatto più Don Dario (orietano) in nove anni che tutti i politici avetranesi messi insieme per tutta la loro vita. Lui ha tirato dritto. Si è accompagnato con giovani fidati che lui stesso ha cresciuto. (In nove anni i bambini diventano ragazzi). Naturalmente lui ha i suoi pregi, ma anche i suoi inevitabili difetti, che sono infimi e non si notano pensando alla sua instancabile operosità. Avetrana perderà un attivissimo parroco, nella speranza che il nuovo, con la scomoda eredità, non lo faccia rimpiangere. Ecco perché a lei ed ai suoi lettori, per i passati di Don Dario posso dire: Don Dario va via, viva Don Dario e fortunati quei manduriani che lo avranno come parroco. E pensate un po’ cosa sarebbe una diocesi guidata da gente come lui……..
Il parroco di Avetrana che, come spiega Nazareno Dinoi su “La Voce Di Manduria”, smaschera i difensori “preventivi”. Don Dario De Stefano è furioso. Qualcuno gli ha fatto leggere il suo nome su un articolo che lo indica come colui che ha segnalato alla famiglia Misseri, per la difesa di Sabrina, l’avvocato del foro di Taranto, Vito Russo. «Io ho consigliato chi? Assolutamente no. Non conosco questo avvocato», commenta il sacerdote visibilmente contrariato.
Rilegge la notizia e la pressione gli alza. «Ecco un’altra delle cose che non mi piacciono di questa storia, ormai non se ne può più», sospira don Dario il cui volto è stato tra quelli più diffusi nei primi giorni della scomparsa di Sarah Scazzi. Da qualche settimana però, il parroco di Avetrana, fugge ai mezzi d’informazione perché, si dice, la curia vescovile di Oria ha consigliato di tenersi lontano dal circolo mediatico. Non può però tacere o celare la rabbia e, seppure con molto risparmio di parole, si lascia sfuggire dei commenti.
«Come si chiamerebbe questo avvocato? Russo? E di dov’è, chi lo ha mai conosciuto?». Il nome e il volto del legale, ben noto oggi grazie alle trasmissioni televisive, era saltato fuori all’improvviso la mattina del 15 ottobre quando la villa dei Misseri fu circondata dai carabinieri del Ris, inquirenti e investigatori che indagano sulla morte della quindicenne. Via Deledda fu dichiarata off limit e a nessuno fu consentito avvicinarsi al luogo delle operazioni.
Nemmeno all’avvocato Russo che con la sua grossa auto fu invitato da un carabiniere ad attendere poco distante da lì. Qualche giornalista lo riconobbe così il suo nome cominciò a circolare senza che nessuno riuscisse a spiegarsi la ragione della sua presenza.
Anche l’avvocato Daniele Galoppa, il giorno dopo, difensore della controparte, Michele Misseri, si chiedeva come mai il suo collega il giorno prima si trovasse a venti metri da via Deledda se Sabrina, sua futura assistita, non era stata nemmeno interrogata né poteva sapere che dodici ore dopo sarebbe stata addirittura arrestata per la confessione del padre che coinvolgeva nel delitto. In effetti fu lo stesso avvocato Russo, successivamente, a dichiarare pubblicamente che la sua venuta ad Avetrana era stata caldeggiata dal suo «amico don Dario». Il religioso, però, è pronto a smentire.
«Per favore non mi mettete in mezzo a queste cose, per questi comportamenti mi rifiuto di rilasciare interviste, questo modo di fare non mi piace proprio». E non che le richieste siano poche. «Sto dicendo di no a tutti e mi dispiace perché per colpa di pochi debbano patire tutti», afferma don Dario che torna sull’argomento.
«Questa notizia dell’avvocato o è una sua invenzione o un’invenzione del giornalista». L’avvocato Russo, informato del risentimento del parroco, spiega meglio e raddrizza il tiro. «Come? Don Dario non mi conosce? Ho qui i tabulati di due telefonate che personalmente gli ho fatto il giorno prima il mio arrivo ad Avetrana», informa il legale non spiegando, però, il contenuto e il tono di quelle conversazioni».
Si accusa una comunità di omertà. Perche? Perché è molto facile accusare una comunità di omertà. Ma non è omertà, è solo assuefazione al disservizio. Perché, come è ampiamente dimostrato, ma non dai media asserviti al potere, è inutile denunciare: o le indagini si insabbiano o i responsabili restano impuniti.
Questa è l’Italia e tutti lo sanno, ma fanno finta di ignorarlo.
Noi siamo quello che altri hanno voluto che diventassimo. C’è sempre qualcuno pronto a dirci quello che dobbiamo fare: la Famiglia, la Scuola, lo Stato, la Confessione religiosa, ecc.
Nei testi di Filosofia si legge che bisogna separare l’Osservazione dalla Valutazione: “Quando mescoliamo l’osservazione e la valutazione gli altri saranno propensi a udire una critica e quindi a porsi sulla difensiva. Al contrario le osservazioni dovrebbero essere circostanziate nel tempo e nel contesto. Il nostro repertorio di parole utili per affibbiare etichette alle persone è spesso assai più grande del nostro vocabolario di parole che ci permettono di descrivere con chiarezza il nostro stato emotivo. Ciò che gli altri dicono o fanno può essere stimolo, ma mai causa dei nostri sentimenti”.
Nel valutare ed esprimere giudizi ci si deve affidare ai pareri degli esperti di chiara credibilità ed attendibilità, discernendole dalle opinioni di gente ignorante sul tema in discussione.
La Criminologia studia l’autore di un crimine sotto ogni aspetto. In questo campo, le ricerche puntano non solo sull’individuazione del fatto e sull’identità del responsabile, ma anche sulla sua condotta, nonché sulle modalità di controllo dei comportamenti illegali (o socialmente devianti) e delle vittime. Il Criminologo si differenzia dall’Investigatore in quanto quando ti rivolgi al primo, ti affidi a un esperto che si avvale di metodi d’indagine standard, mentre il secondo si addentra di più nelle dinamiche psico-sociali.
La Criminologia applicata al caso concreto è conosciuta come Criminalistica. Conosciuta anche come scienza forense o delle tracce, la criminalistica ha l’intento di ricostruire i mezzi e le dinamiche messe in atto sulla scena del delitto. L’approccio alla materia è di tipo tecnico: si avvale di conoscenze e competenze acquisite in campo chimico, fisico, bio-tecnologico, informatico, balistico e perfino matematico.
La Sociologia Storica, studia la Società contemporanea, attraverso il suo passato che si evolve nel futuro.
La Sociologia Storica non guarda la Forma degli atti o l’Apparenza dei Fatti o delle Persone, ma guarda nella Sostanza delle cose. Guarda sul retro della medaglia, cosa che nessuno studioso o mediologo fa.
Il Principio di Legalità, in base al quale nessuno può essere punito se un fatto non è considerato reato da un’apposita dello Stato, è sancito dall’art 25 e dal Codice Penale agli articoli 1 e 199. Da questo si deduce che il Principio di Legalità non è altro che il rispetto della Legge.
Invece no!
Il Principio di Legalità non è solo in rispetto della Legge, ma ogni atteggiamento e comportamento conforme al principio di quella Legge.
Per esempio. Prendiamo il caso di un Giudice che presiede un processo. Lui con sua esclusiva discrezione esamina e condanna un imputato.
Ma se il Giudice è tale in virtù di un concorso truccato;
Ma se il Giudice ha picchiato la moglie;
Non si evince nulla di tutto questo, perché un suo collega dell’Ufficio del Pubblico Ministero ha insabbiato tutto.
Altro esempio. Il Giudice ammette le prove. Sarà veritiero il verdetto frutto di una esclusione di una prova fondamentale a discrimine?
Non ci sono state conseguenze per nessuno...Luca Palamara nelle chat parlava da solo: tempi scaduti e tutto è finito a tarallucci e vino. Paolo Pandolfini su Il Riformista il 17 Maggio 2023
I sempre più frequenti richiami ai magistrati da parte del capo dello Stato a svolgere la propria attività con correttezza e imparzialità, l’ultimo in ordine di tempo questa settimana in occasione dell’inaugurazione della sede di Napoli della Scuola superiore della magistratura, finiscono puntualmente in un nulla di fatto. Se ne è accorto l’ex sostituto procuratore generale della Cassazione Rosario Russo, ora in pensione, che nelle scorse settimane ha presentato una istanza al Consiglio superiore della magistratura per conoscere che fine avessero fatto gli eventuali procedimenti aperti nei confronti dei magistrati che chiedevano favori e incarichi a Luca Palamara.
Antonio Giangrande: Siamo tutti mafiosi, ma additiamo gli altri di esserlo. La mafia che c’è in noi. Quando i delinquenti dicono: “qua è cosa nostra!”; quando i politici dicono: “qua è cosa nostra!”; quando le istituzioni ed i magistrati dicono: “qua è cosa nostra!”; quando caste, lobbies e massonerie dicono: “qua è cosa nostra!”; quando gli imprenditori dicono: “qua è cosa nostra!”; quando i sindacati dicono: “qua è cosa nostra!”; quando i professionisti dicono: “qua è cosa nostra!”; quando le associazioni antimafia dicono: “qua è cosa nostra!”; quando i cittadini, singoli od associati, dicono: “qua è cosa nostra!”. Quando quella “cosa nostra”, spesso, è il diritto degli altri, allora quella è mafia. L’art. 416 bis c.p. vale per tutti: “L'associazione è di tipo mafioso quando coloro che ne fanno parte si avvalgono della forza di intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e di omertà che ne deriva per commettere delitti, per acquisire in modo diretto o indiretto la gestione o comunque il controllo di attività economiche, di concessioni, di autorizzazioni, appalti e servizi pubblici o per realizzare profitti o vantaggi ingiusti per sé o per altri”.
Antonio Giangrande: “Un paese di coglioni sarà sempre governato, amministrato, giudicato da coglioni.” Antonio Giangrande dal libro “L’Italia allo specchio. Il DNA degli italiani”.
"Il popolo cornuto era e cornuto resta: la differenza è che il fascismo appendeva una bandiera sola alle corna del popolo e la democrazia lascia che ognuno se l'appenda da sé, del colore che gli piace, alle proprie corna... Siamo al discorso di prima: non ci sono soltanto certi uomini a nascere cornuti, ci sono anche popoli interi; cornuti dall'antichità, una generazione appresso all'altra...- Io non mi sento cornuto - disse il giovane - e nemmeno io. Ma noi, caro mio, camminiamo sulle corna degli altri: come se ballassimo..." Leonardo Sciascia dal libro "Il giorno della civetta".
La moglie di Cesare deve non solo essere onesta, ma anche sembrare onesta.
E’ a tutti noto il detto:
La moglie di Cesare deve non solo essere onesta, ma anche sembrare onesta.
Dovrebbe non solo essere pura e fedele ma anche apparire impeccabile e seria a tutti coloro che la frequentano.
Quale è l’origine del celebre modo di dire?
Ci viene tramandato da Plutarco, che, nel decimo capitolo della Vita di Giulio Cesare, ci dice che in occasione di una festa dedicata alla dea Bona, cui potevano partecipare soltanto le donne, Pompea, moglie di Cesare, accolse nella sua abitazione, un suo spasimante, Publio Clodio, travestito da suonatrice.
L’inganno tuttavia venne scoperto e Clodio fu scacciato via ei trascinato in tribunale.
Cesare, fu citato come testimone. Alla domanda del pubblico ministero, rispose che non conosceva personalmente Clodio e che non sapeva nulla delle sue malefatte. Il magistrato non sembrò’ convinto di quella risposta e pregò il dittatore di essere più chiaro.
Al che, l’illustre testimone rispose che la moglie di Cesare doveva essere al di sopra di ogni sospetto.
Insomma l’apparenza prima di tutto.
E’ giusto domandarsi se nell’esercizio di un mandato pubblico oltre la legge debba esservi anche un codice deontologico che sanzioni quei comportamenti inopportuni anche se non penalmente rilevanti.
Certo se la moglie di Cesare apparisse solamente onesta, sarebbe ancor più grave e sarebbe ben accolta soltanto nelle società” puritane”.
Mai come in questi tempi sembra calzante questo celebre modo di dire.
Perché bisogna essere uomini giusti? La (non) risposta di Platone.
Qual è il motivo per cui l’uomo onesto si deve comportare onestamente? L’idea di Platone e la critica di Aristotele. La sesta puntata della Letteratura greca raccontata da Walter Lapini. Iacopo Gori CorriereTv su Il Corriere della Sera il 06 giugno 2023
La Repubblica di Platone è un trattato sullo Stato ma il punto di partenza è la riflessione sulla giustizia. La domanda se l’uomo onesto ha qualcosa da guadagnare dalla sua onestà o ha tutto da perdere. Platone osserva che nella vita quotidiana l’uomo onesto ha tutto da perdere mentre il disonesto ha sempre tutto da guadagnare.
Qual è il motivo per cui l’uomo onesto debba comportarsi onestamente? Può accadere che l’uomo più giusto possa passare per il peggiore dei malfattori (come è successo a Socrate) e viceversa.
La risposta è tranciante: in questo mondo non c’è coincidenza tra utile e giusto. Ma si può pensare a una società diversa, una società dove tutti gli uomini siano cointeressati alla cosa comune, al bene comune, una società dove non c’è la proprietà privata né dei beni ma neppure delle mogli e dei figli.
Ma può esistere una società così? Per Platone quello è il modello. Il grande allievo Aristotele criticherà il maestro Platone per quella teoria, specie la parte sulla proprietà privata. E qui si torna al celebre quadro di Raffaello con Platone che indica l’alto e Aristotele che frena indicando il basso.
Walter Lapini, filologo classico e grecista, è professore ordinario di letteratura greca all’università di Genova. È autore di numerosi saggi e monografie sul mondo classico.
Qualcuno potrebbe dire: se tutti sono criminale, allora nessuno è criminale.
Parliamo di statistiche: ufficiali.
Il reato che fa flop: su 5.418 processi solo 27 condanne. Stefano Zurlo il 19 Maggio 2023 su Il Giornale.
I dati sono impressionanti: "Nel 2017, 6.500 procedimenti finiti in nulla salvo che in 57 casi. Il 97% di assoluzioni". L'Anci: "Bisogna intervenire". Ma il Carroccio adesso frena.
I numeri non mentono. Nel 2017 in Italia sono stati avviati 6500 procedimenti per abuso d'ufficio. Ma solo 57 volte si è arrivati a una condanna definitiva. Una percentuale bassissima. Il dossier presentato ieri dall'ex ministro Enrico Costa in parlamento parla con le tabelle più che con i discorsi.
E' il fenomeno più sottovalutato. Tre innocenti arrestati o condannati ogni giorno: gli errori giudiziari e i risarcimenti beffa dello Stato. Benedetto Lattanzi e Valentino Maimone su Il Riformista il 11 Maggio 2023
Quando avrete finito di leggere questo articolo, dalle casse dell’Erario saranno usciti circa cinquecento euro per risarcimenti alle vittime di errori giudiziari. Al ritmo di 55 euro al minuto, lo Stato cerca di arginare il fenomeno dei propri cittadini arrestati o condannati da innocenti, versando loro somme di denaro il più delle volte risibili, sempre e comunque inadeguate per riparare la tragedia personale che hanno vissuto.
Il fenomeno degli errori giudiziari è il più sottovalutato, misconosciuto e trascurato problema della giustizia in Italia. Negli ultimi trent’anni ha colpito 30.231 persone, l’equivalente di un “tutto esaurito” in uno stadio di calcio di serie A come quello del Torino. Alla media di 975 casi l’anno, tutti gli anni, da un trentennio. Significa tre innocenti arrestati o condannati (e per questo risarciti dallo Stato) ogni giorno. Uno ogni otto ore.
Correggiamo la storia distorta dalle indagini di mafia e di Tangentopoli. La sentenza della Cassazione sulla Trattativa segna la fine della pretesa della magistratura di essere protagonista nelle vicende sociali e politiche. Giuseppe Gargani su Il Dubbio il 7 maggio 2023
La recente sentenza sulla trattativa tra lo Stato e la mafia non ha avuto un adeguato commento dalla grande stampa eppure si tratta di una decisione della Cassazione eclatante e fondamentale per la storia civile, politica e umana del nostro Paese.
È una sentenza che non può soltanto essere pubblicata nel Massimario e dare lustro a magistrati che hanno dimostrato la loro serena indipendenza come prevista dall’art. 104 della Costituzione, ma deve avere conseguenze nella valutazione attenta da parte della cultura giuridica e del mondo giudiziario. Come è noto la Cassazione ha stabilito che il fatto “trattativa” non è stato commesso e non costituisce reato; e quando un “fatto” non è reato e non è stato compiuto il processo penale non ha consistenza.
Viene da dar ragione a chi si pone la domanda perché è stato intentato un processo lungo venti anni che ha costruito una storia che non esiste. La magistratura non può inquinare le vicende della storia con cronache non vere che incidono fortemente sul tessuto sociale e sulla convivenza dei cittadini.
Figura chiave nei processi è il Testimone. La Testimonianza è il mezzo di prova. Il Contenuto della Testimonianza è la Prova.
Antonio Giangrande: La sorte di Cosimo Cosma, presunto innocente
Parla di lui Antonio Giangrande, autore del libro “Sarah Scazzi, il delitto di Avetrana, il resoconto di un avetranese” e del sequel “La condanna e l’Appello”.
Avetrana, contrada Centonze. 7 aprile 2014. E’ morto Cosimo Cosma, 46 anni. Per i suoi parenti ed amici: il gigante buono. Un tumore repentino e violento in pochi mesi ha chiuso la sua breve vita e ha chiuso la bocca ai cattivi d’animo sempre in cerca del mostro da dileggiare. Nel necrologio i giornali fanno a gara a rinvangare quella condanna comminata dai giudici di Taranto. Condanna resa a tutti coloro che erano stati rinviati a giudizio, anzi di più, perché altri processi sono stati aperti a margine, specialmente per chi ha testimoniato contro la tesi accusatoria del tutti dentro. Se ne va da presunto innocente, come lui stesso si è sempre professato, e questo a noi basta. Dopo 11 mesi sono arrivate le motivazione della condanna e ciò ha impedito di presentare l’appello a quella condanna che a lui sembrava ingiusta, tramite il suo difensore, l’avv. Raffaele Missere. Se innocente, a lui tutto il nostro rispetto; se colpevole, a lui tutto il nostro perdono. Saranno altri giudici, forse più illuminati di quelli terreni, a doverlo ora giudicare. Funerali ad Avetrana, tumulazione ad Erchie. Forse, a torto o a ragione, per disprezzo dei suoi compaesani. Tutti i suoi familiari ed amici lo hanno accompagnato nel viaggio dove cala per sempre il sipario su uno dei nove imputati condannati dalla Corte di Assise di Taranto al processo di primo grado per l’omicidio della quindicenne di Avetrana Sarah Scazzi, strangolata e gettata in un pozzo nelle campagne del paese il 26 agosto 2010. Mimino, come lo chiamavano gli amici, che si era sempre proclamato innocente, venne arrestato insieme a Carmine Misseri il 23 febbraio 2011, ma il successivo 10 marzo il provvedimento restrittivo fu annullato dal Tribunale del Riesame. «Sono stato in carcere 16 giorni da innocente – furono le prime parole di Cosma, riferite dal suo legale Raffaele Missere, una volta tornato in libertà – ora sono felice, ma spero che finisca tutto al più presto. Mi devono spiegare perchè è accaduto tutto questo. Non avrei mai fatto quello che mi contestano, occultare il cadavere di una bambina. E' stata una esperienza terribile. Sono stato diversi giorni in isolamento senza televisioni, senza giornali. Spero che sia fatta giustizia». Cosma, con la sentenza emessa dalla Corte il 20 aprile 2013, era stato condannato a sei anni di reclusione perchè ritenuto colpevole di soppressione di cadavere. Reato che, secondo la tesi dell’accusa fatta propria dalla Corte, Cosma avrebbe commesso insieme a Carmine Misseri, fratello di Michele, allo stesso Michele, alla moglie e alla figlia di quest’ultimo, Cosima Serrano e Sabrina Misseri. Per la Procura della Repubblica di Taranto, Cosma aiutò lo zio Michele Misseri ad occultare il corpo di Sarah in un pozzo-cisterna in contrada Mosca, nelle campagne di Avetrana. Sul suo coinvolgimento nell’inchiesta giocarono un ruolo una serie di intercettazioni telefoniche e ambientali che per gli inquirenti – tesi accolta poi dalla Corte di Assise di Taranto - avrebbero dimostrato la partecipazione di Cosma alla fase successiva al delitto. Cosimo Cosma si è sempre detto “innocente”. Non avrebbe mai aiutato suo zio ad occultare il corpo della piccola Sarah: «Andava a scuola con mio figlio, aveva la sua stessa età. Come avrei potuto fare una cosa del genere? Non sapevo neanche dov’era quel pozzo… la contrada Mosca sì, ci passo due volte all’anno… Mi hanno indagato per una telefonata, perché mio zio, quel giorno, mi cercò sul cellulare di mia moglie dopo aver trovato spento il mio». Ma a dimostrazione che Mimino osteggiasse i molestatori di bambine, nel novembre 2013 Cosma era incappato in un’altra disavventura giudiziaria: condannato ad un anno e quattro mesi perchè avrebbe partecipato, insieme a due parenti, ad una spedizione punitiva nei confronti di un uomo accusato di aver molestato la nipote di 16 anni. Ora che le motivazioni della sentenza Scazzi sono state depositate dopo 11 mesi, attendeva con il suo legale di ricorrere in appello per cercare di dimostrare di non aver aiutato lo zio a nascondere il corpo di Sarah. Troppo tardi, al cospetto del destino, troppo tardi per ristabilire dignità ed onore.
Antonio Giangrande.
Al Presidente del Consiglio Comunale di Avetrana
Per il sindaco di Avetrana e la Giunta Comunale
Per i consiglieri comunali
Avetrana lì 3 giugno 2015
Oggetto: Art. 47/49 Statuto di Avetrana. Richiesta di convocazione di un Consiglio Comunale monotematico attinente il Caso Sarah Scazzi per la ricerca di strumenti di tutela dell’immagine e della reputazione del paese e dei suoi cittadini di fronte alla gogna mediatica a cui è perennemente sottoposto.
Il sottoscritto Dr Antonio Giangrande, scrittore, nato ad Avetrana il 02/06/1963 ed ivi residente alla via Manzoni, 51, presidente nazionale della Associazione Contro Tutte le Mafie, sodalizio antimafia riconosciuto dal Ministero dell’Interno, direttore di Tele Web Italia e vice presidente della Associazione Pro Specchiarica, sodalizio di promozione del territorio, con sede legale in via Piave 127 ad Avetrana, tel 0999708396 cell. 3289163996,
premesso che
sin dal 26 agosto 2010, dal momento della scomparsa di Sarah Scazzi in Avetrana, i cittadini del paese sono oggetto di una gogna mediatica senza soluzione di continuità che non trova pari in nessun altro caso di cronaca nazionale ed internazionale. Da allora ho scritto 3 libri sul delitto, rendicontando giorno per giorno eventi avvenuti e commenti elargiti in tutta Italia. Per gli effetti ho verificato che di Avetrana si è fatta carne da macello. Se da una parte, per quanto riguarda i protagonisti della vicenda, il diritto di cronaca è tutelato dalla Costituzione italiana, quantunque per esso non vi è giustificazione quando per loro questo si travalica. E’ criminale, però, quando si coinvolgono in questa matassa tutti gli altri cittadini di Avetrana che nulla centrano con la vicenda. Eppure dal 26 agosto 2010 tutti gli avetranesi sono stati dipinti come retrogradi, omertosi e mafiosi. Chi riesce ad andare oltre i confini della “Cinfarosa” si accorge che Avetrana è conosciuta in tutto il mondo e certo non in toni lusinghieri. Tanto da far mortificare i suoi cittadini e far pagare loro fio per colpe non commesse. Non basta il mio prodigarmi a favore di Avetrana attraverso la pubblicazione dei miei libri o di video o di note stampa sui miei o altrui blog per ristabilire la verità. Io sono sempre un semplice cittadino che non fa testo e questo è un limite, oltretutto, chi mi segue, per come mi conosce, non pensa che io sia di Avetrana e ciò rende meno efficace la posizione da me assunta. D’altra parte, però, a difesa dei diritti di Avetrana si è notato una certa mancanza di iniziativa adeguata da parte dell’Amministrazione Comunale, tanto meno la minoranza ha adottato misure opportune di pungolo o di critica. Il tutto per mancanza di coraggio o di impreparazione comunicazionale. E per questo nei libri non ho mancato di rilevare l’ignavia atavica degli amministratori. Poco si è fatto e quel poco è risultato al di più dannoso. Se da una parte può essere considerato opportuno, con oneri per la comunità, costituirsi parte civile nei confronti di chi si addita prematuramente come responsabile e comunque non ha nulla da risarcire, intollerabile è che Pasquale Corleto, avvocato per il Comune di Avetrana, che dovrebbe tutelare l’immagine degli avetranesi, dica in pubblica udienza inopinatamente: «Avetrana è una città di gente che lavora e vi preannunzio per andare sempre più in fretta LA GENTE DI AVETRANA E’ COME MICHELE MISSERI. Se ad Avetrana non ci fosse stata gente sana, non avremmo potuto parlare della contestazione d'accusa di sequestro di persona». Io non sono come Michele Misseri. Io non mi accuso di essere un assassino!
Comunque, l’inadeguato contrasto da parte del Comune di Avetrana ha portato all’apice dell’ignominia.
In occasione della notifica dei 12 gli avvisi di conclusione delle indagini preliminari fatti notificare a quanti, secondo l’accusa, erano a conoscenza di fatti e particolari riguardanti l’omicidio e hanno taciuto, o peggio detto il falso, dinanzi ai pubblici ministeri o alla corte d’assise, i media si sono sbragati.
Nel caso dell'omicidio di Sarah Scazzi, trattato molto spesso da “Quarto Grado” su “Rete 4” di Mediaset la redazione (guidata da Siria Magri) si è attestata su una linea prevalentemente conforme agli indirizzi investigativi della pubblica accusa, cioè della Procura della Repubblica di Taranto. Tanto che i suoi ospiti, quando sono lì a titolo di esperti (pseudo esperti di cosa?) o, addirittura, a rappresentare le parti civili, pare abbiano un feeling esclusivo con chi accusa, senza soluzione di continuità e senza paura di smentita. A confermare questo assioma è la puntata del 15 maggio 2015 di “Quarto Grado”, condotto da Gianluigi Nuzzi ed Alessandra Viero e curato da Siria Magri.
A riprova della linea giustizialista del programma, lo stesso conduttore è impegnato a far passare Ivano come bugiardo, mentre il parterre è stato composto da:
Alessandro Meluzzi, notoriamente critico nei confronti dei magistrati che si sono occupati del processo, ma che sul caso trattato è stato stranamente silente o volutamente non interpellato;
Claudio Scazzi, fratello di Sarah;
Nicodemo Gentile, legale di parte civile della Mamma Concetta Serrano Spagnolo Scazzi.
Solita tiritera dalle parti private nel loro interesse e cautela di Claudio nel parlare di omertà in presenza di cose che effettivamente non si sanno.
Per il resto ospite è Grazia Longo, cronista de “La Stampa”, che si imbarca in accuse diffamatorie, infondate e senza senso: «…e purtroppo tutto questo è maturato in seno ad una famiglia ed anche ad un paese dove mentono tutti…qui raccontano tutti bugie».
Vada per i condannati; vada per gli imputati; vada per gli indagati; ma tutto il paese cosa c’entra?
Ospite fisso del programma è Carmelo Abbate, giornalista di Panorama, che anche lui ha guizzi di idiozia: «Io penso che da tutto quello che ho sentito una cosa la posso dire con certezza: che se domani qualcuno volesse scrivere un testo sull’educazione civica, di certo non dovrebbe andare ad Avetrana, perché al di là della veridicità o meno della dichiarazione della ex compagna di Ivano, al di là della loro diatriba, è chiaro che qui c’è veramente quasi un capannello di ragazzi che nega, un’alleanza tra altri che si mettono d’accordo: mamma ha visto questo, mamma ha visto quest’altro. Ma ci rendiamo conto di quanto sia difficile scalfire, scavalcare questo muro, veramente posto tra chi deve fare le indagini e la verità dei fatti? E’ difficilissimo. Cioè, la sicurezza, la nostra sicurezza è nelle mani di noi.»
Complimenti ad Abbate ed alla sua consistenza culturale e professionale che dimostra nelle sue affermazioni sclerotiche. Cosa ne sa, lui, dell'educazione civica di Avetrana?
Fino, poi, nel prosieguo, ad arrivare in studio, ad incalzare lo stesso Claudio, come a ritenere egli stesso di essere omertoso e reticente. Grazia Longo: «..però Claudio anche tu devi parlare, anche tu, scusa se mi permetto, dici delle cose e non dici. Io non ho capito niente di quello che hai detto. Tu sai qualcosa e non lo vuoi dire!»
Accuse proferite al fratello della vittima…assurdo! Tutto ciò detto di fronte a milioni di spettatori creduloni.
Si noti bene: nessun ospite è stato invitato per rappresentare le esigenze della difesa delle persone accusate o condannate o addirittura estranee ai fatti contestati.
Per questi motivi
SI CHIEDE ALLA SV VOSTRA
Non essendoci fin qui, colpevolmente, nessun provvedimento adottato per motu proprio, ossia d’ufficio, nonostante le segnalazioni verbali al presente ufficio di presidenza, al sindaco, al vice sindaco ed ad esponenti della minoranza, di convocare ai sensi dello Statuto del Comune di Avetrana, come previsto dagli artt. 24 comma 3, 29, 37, attraverso la presente richiesta di pubblico interesse inoltrata in virtù del dettato dello Statuto del Comune di Avetrana, ex art. 47, in qualità di presidente di una associazione ed ex art. 49 da semplice cittadino, un consiglio comunale monotematico per le motivazioni in oggetto, opportunamente pubblicizzato e partecipato. In tale sede si ricerchino e si adottino, finalmente all’unanimità ed in unione, adeguati e netti strumenti di tutela dell’onorabilità di Avetrana e dei suoi cittadini, come per esempio una denuncia per diffamazione a mezzo stampa e relativa azione civile contro i giornalisti ed al direttore del programma televisivo citati. Altresì aggiungersi una campagna stampa istituzionale, affinchè, a tale delibera adottata, sia data ampia rilevanza nazionale in modo tale che la querela non sia fine a se stessa ma attivi un clamore mediatico. In questo modo, dal dì di approvazione in poi, sia di monito a tutti e, finalmente, tutti si possano lavare la bocca prima di pronunciare qualsivoglia considerazione malevola sul nostro paese.
Comunque qualcosa va fatto, in quanto la misura è abbondantemente colma e con vostra responsabilità.
Mi è stato consigliato di soprassedere alla mia proposta, ovvia e normale in altri luoghi, ma forse considerata estemporanea ad Avetrana. Io non dispero, considerando, nonostante tutto, Avetrana un paese normale.
Con ossequi.
Dr Antonio Giangrande
NATURALMENTE: LETTERA MORTA
Giunta Municipale sotto la presidenza del Sindaco Avv. Mario DE MARCO e nelle persone dei Signori seguenti:
1) DE MARCO Mario Presidente
2) SCARCIGLIA Alessandro Assessore
3) MINO’ Antonio Assessore
4) TARANTINO Enzo Assessore
5) PETARRA Daniele Assessore
Consiglio Comunale
DE MARCO Mario
TARANTINO Enzo
PETARRA Daniele
BALDARI Antonio
MAGGIORE Vito
GIANGRANDE Pietro
DERINALDIS Cosimo
MANNA Cosima
SARACINO Francesco
CONTE Luigi
LANZO Antonio
MICELLI Emanuele
PETRACCA Rosaria
Antonio Giangrande: Quarto Grado. Nuzzi, Longo ed Abbate, Avetrana vi dice: vergogna!
Per il resto ospite è Grazia Longo, cronista de “La Stampa”, che si imbarca in accuse diffamatorie, infondate e senza senso: «…e purtroppo tutto questo è maturato in seno ad una famiglia ed anche ad un paese dove mentono tutti…qui raccontano tutti bugie».
Vada per i condannati; vada per gli imputati, ma tutto il paese cosa c’entra?
Ospite fisso del programma è Carmelo Abbate, giornalista di Panorama, che anche lui ha guizzi di idiozia: «io penso che da tutto quello che ho sentito una cosa la posso dire con certezza: che se domani qualcuno volesse scrivere un testo sull’educazione civica, di certo non dovrebbe andare ad Avetrana, perché al di là della veridicità o meno della dichiarazione della ex compagna di Ivano, al di là della loro diatriba, è chiaro che qui c’è veramente quasi un capannello di ragazzi che nega, un’alleanza tra altri che si mettono d’accordo: mamma ha visto questo, mamma ha visto quest’altro. Ma ci rendiamo conto di quanto sia difficile scalfire, scavalcare questo muro, veramente posto tra chi deve fare le indagini e la verità dei fatti? E’ difficilissimo. Cioè, la sicurezza, la nostra sicurezza è nelle mani di noi.»
Complimenti ad Abbate ed alla sua consistenza culturale e professionale che dimostra nelle sue affermazioni sclerotiche. Cosa ne sa, lui, dell'educazione civica di Avetrana?
Fino, poi, nel prosieguo, ad arrivare in studio, ad incalzare lo stesso Claudio, come a ritenerlo egli stesso di essere omertoso e reticente. Grazia Longo: «..però Claudio anche tu devi parlare, anche tu, scusa se mi permetto, dici delle cose e non dici. Io non ho capito niente di quello che hai detto. Tu sai qualcosa e non lo vuoi dire!»
Accuse proferite al fratello della vittima…assurdo!
Antonio Giangrande: Sarah Scazzi. Il delitto di Avetrana. Processo ai Misseri. Quando la Giustizia non convince, ma la televisione sì.
Una farsa dove i media sono la pubblica accusa ed i loro spettatori sono i giudici popolari. La difesa è un optional assente.
Intervista al dr Antonio Giangrande. Scrittore, sociologo storico, giurista, blogger, youtuber, presidente dell’Associazione Contro Tutte le Mafie, autore avetranese che sulla vicenda ha scritto tre libri: sulla scomparsa, il ritrovamento, gli arresti ed il processo di primo grado; sull’appello; sui giudizi penali ai testimoni non conformi alla linea accusatoria.
Dr. Antonio Giangrande lei su quali basi può essere ritenuto un relatore attendibile della vicenda?
«Sono di Avetrana ed ho esercitato la professione forense nel foro di Taranto, finchè me lo hanno permesso, non essendo conforme, quindi conosco i luoghi e le persone al di là dell’aspetto processuale specifico. Nella mia peculiare situazione ho raccolto in testi ed in video tutto il materiale attinente la vicenda».
E quale idea si è fatto?
«Nonostante abbia consultato tutti gli atti processuali ed extraprocessuali difensivi ed accusatori, le sentenze, finanche quella definitiva, mi lasciano il dubbio, oltre che l’amaro in bocca».
L’amaro in bocca?
«Sì. Perché gli studenti che vogliono presentare una tesi scolastica o universitaria sulla vicenda di Sarah Scazzi, spesso mi chiedono il materiale video della requisitoria dell’accusa, non essendo interessati minimamente alle arringhe della difesa. Dico loro che tutto il materiale accusatorio e difensivo da me raccolto può essere consultato anche in testi e gratuitamente. Questi, pur non conoscendo la posizione della difesa delle parti in causa, mi rispondono: “Grazie, ma la vicenda mi è già ben chiara.” Capite? È chiara una vicenda sol perché si è seguita mediaticamente tramite i portavoce dei PM, o perché si è visionata la requisitoria accusatoria. Questo è per la vicenda di Sarah Scazzi, come lo è per tutti i grandi processi mediatici».
Lei che conosce tutto il materiale probatoria, cosa, invece, ha da aggiungere per completezza di informazione?
«Gli elementi giudiziari principali su cui basare un giudizio di logica sono:
Arma del delitto. Non vi è certezza. La difesa dice corda. L’accusa dice cintura.
Orario del delitto. Vi è contraddizione. L’orario incerto e non provato dell’accusa è prima delle 14.00 di quel giovedì 26 agosto 2010, basato su testimoni che si son contraddetti (il vicino, la coppietta, i genitori di Sarah e la badante) ed il consulente contestato; l’orario certo della difesa è circa le 14.30, provato da un testimone attendibile.
Movente del delitto. Non vi è certezza. Passionale da parte di Sabrina, per l’accusa, però senza riscontro o conferme degli amici ascoltati. Sessuale da parte di Michele, per la difesa, con il riscontro dei precedenti di Misseri con la cognata.
Gli elementi spuri. Il fantomatico furgone visto da Massari ed il fantastico sogno del fioraio Buccolieri. Il furgone non prova né l’omicidio, né il rapimento. Il Sogno non prova l’omicidio, ma solo il coinvolgimento di Cosima Serrano nell’eventuale rapimento di Sarah. Sogno che non è stato mai indicato come realtà. Solo la Pisanò ed i pubblici ministeri hanno ritenuto che quel sogno fosse realtà, nonostante vi sia stata immediata ritrattazione o puntualizzazione del Buccolieri, il cui procedimento penale per false dichiarazioni al Pubblico Ministero, sicuramente morirà di prescrizione, non arrivando a definire una verità assoluta sull’eventuale abbaglio accusatorio o sulla falsità della ritrattazione. Per aver sostenuto che era sogno molti parenti ed amici del Buccolieri sono finiti sotto la scure giudiziaria. Per questo non si capisce l’incaponimento di questi a sostenere una versione che l’accusa ritiene falsa, se effettivamente falsa non sia.
Le confessioni di rei ritenuti innocenti. Cosima ha sempre sostenuto la sua estraneità all’omicidio ed al fantomatico rapimento onirico. Anche per mancanza di tempo, ribadita da un testimone, perchè rientrata alle 13.30 circa dal lavoro in campagna. Sabrina ha sempre negato il suo coinvolgimento al delitto, confermate dagli sms alle Spagnoletti, e la sua gelosia per Ivano, confermando il suo affetto per Sarah. Michele ha confessato il delitto, con riscontro di fatti, facendo trovare prima il cellulare, poi il corpo e palesando la sua colpa nella prima telefonata genuina intercettata tra lui e la figlia Sabrina durante il suo arresto nella caserma di Taranto, in seguito del quale ha fatto ritrovare il corpo. Ha deviato sulla sua versione solo quando non era presente coscientemente a causa dei farmaci somministrati ed indotto dal carabiniere presente all’audizione, ovvero quando è stato indotto dal suo avvocato difensore, Daniele Galoppa, consigliato a Michele dal pubblico ministero Pietro Argentino, componente dell’accusa, ed indotto dalla consulente Roberta Bruzzone. Così come dichiarato dallo stesso Misseri. Bruzzone che nel processo ha rivestito le vesti di consulente di Michele Misseri, testimone dell’accusa e persona offesa (logicamente astiosa) nei confronti di Michele.
Testimoni fondamentali dell’accusa. L’unica super testimone: Anna Pisanò, sedicente amica di Sabrina Misseri. La sua testimonianza collide con tutte le altre versioni degli amici e parenti di Sabrina che sono stati ascoltati nel processo. Sarah la mattina dell’omicidio era felice? Per la Pisanò no, per gli altri sì. Sabrina era gelosa di Sarah per Ivano Russo? Per la Pisanò sì, per gli altri, no. Dopo la scomparsa vi sono elementi colpevolizzanti per Sabrina? Per la Pisanò, sì, per gli altri, no. Chi ha parlato per prima del sogno? La Pisanò che sospettava una relazione sentimentale tra sua figlia Vanessa e il fioraio, suo datore di lavoro. La Pisanò ha detto di tutto su tutto, anche contraddicendosi, come per la questione del sogno. La Pisanò, testimone e detective allo stesso modo ed allo stesso tempo. La Pisanò, con cui Sabrina non si confidava perché non la riteneva amica, in quanto considerata “pettegola”, si arrogava il merito di sapere tutto su Sabrina stessa. Franco Coppi, l’avv. di Sabrina, ebbe a dire nell’arringa di primo grado: “Sabrina ammette di essere colpevole. Sabrina con la casa invasa dai giornalisti ammette la sua responsabilità …con chi? Con la più pettegola delle donne di Avetrana, Con la Pisanò!”»
In sintesi ha raccontato i processi. Cosa ne deduce?
«Se già io che ho studiato, cercato, approfondito tutti gli elementi del processo. Ho conosciuto tutti i fatti exatraprocessuali che ne hanno minato la credibilità. Se già io conosco tutto ciò e ho dei dubbi sull’esito processuale, come fanno gli sbarbatelli che poco conoscono l’argomento a dire: “ho le idee chiare”?»
Si farà un docufiction sulla vicenda da parte di Mediaset…
«Già. Ma non sono io il consulente della regia o degli autori. Sicuramente si saranno avvalsi di qualcuno più autorevole ed attendibile di me… senza stereotipi, pregiudizi e superficialità. Sicuramente la redazione di Quarto Grado fornirà il suo apporto. Sicuramente si farà riferimento al fatto, come spesso dichiarato impunemente in quella trasmissione, che Avetrana è un paese omertoso…sol perché non sono stati tutti pettegoli…».
Antonio Giangrande: Ad Avetrana, il paese di Sarah Scazzi, non sono omertosi, sempre che non si tratti di poteri forti. Ma qualcuno certamente vigliacco e codardo lo è. Sapendo che io ho le palle per denunciare le illegalità, questi deficienti usano il mio nome ed appongono falsamente la mia firma in calce a degli esposti che colpiscono i poveri cristi rei di abusi edilizi o commerciali. I cretini, che poi fanno carriera politica, non sanno che i destinatari dei miei strali sono magistrati, avvocati, forze dell’ordine, e comunque pubblici ufficiali o esercenti un pubblico servizio. Che poi queste denunce finiscono nell’oblio perché “ cane non mangia cane” e per farmi passare per mitomane o pazzo o calunniatore o diffamatore, è un’altra cosa. Però da parte di questi coglioni prendersela con i poveri cristi per poi far addossare la colpa a me ed essere oggetto di ritorsioni ingiustificate è da veri vigliacchi. D'altronde un paese di coglioni sarà sempre governato, amministrato, giudicato da coglioni.
Antonio Cosimo Stano. Manduria tra gogna mediatica ed ignominia.
I Manduriani ed i loro giornalisti provano sulla loro pelle cosa sia la gogna della vergogna.
Il commento dello scrittore Antonio Giangrande, che tra le altre cose ha scritto il libro “Sarah Scazzi. Il delitto di Avetrana”.
Devo dire che a meno di 9 anni di distanza le frasi “omertà del paese”, “tutti sapevano”, sono atti di accusa per un intero territorio e risuonano per tutta Italia per mano di scribacchini che, venuti da lontane sponde, nulla sanno della verità, se non quella filtrata da veline giudiziarie. La denigrazione del paese di origine dei responsabili meridionali di un reato è la pena accessoria di cui tenere conto.
Devo dire che, scartando la gogna di giornalastri forestieri, è proprio dalla medesima Manduria che son venuti attacchi alla stessa Avetrana, quando vi fu l’aggressione con conseguente morte di Salvatore Detommaso, ovvero vi fu il mediatico omicidio di Sarah Scazzi.
«Continuano le indagini dei carabinieri di Avetrana per individuare i responsabili della brutale aggressione che questa mattina ha ridotto in fin di vita un avetranese di 63 anni colpito alla testa con delle bottiglie di vetro. Il violento pestaggio è avvenuto davanti al bar Mojito alla presenza di numerosi testimoni che hanno dichiarato di non aver visto niente o di non ricordare particolari utili. E sugli avetranesi ritorna il fantasma dell’omertà venuto fuori durante le indagini del delitto di Sarah Scazzi, un episodio che ha fatto parlare e fa parlare ancora l’Italia intera e che ha visto il coinvolgimento di una quarantina di persone tra sospettati, indagati, imputati, condannati e sognatori. Nessuna ammissione, nessun aiuto concreto agli inquirenti e alla verità sulla morte della quindicenne uccisa dai parenti». Così scriveva Nazareno Dinoi il 27 marzo 2016 su “La Voce di Manduria” in riferimento all’aggressione avvenuta a danno di Salvatore Detommaso la mattina presto del giorno di Pasqua, ricoverato poi in prognosi riservata. Aggressione su una via di passaggio per chi, proveniente da Manduria, è diretto a Nardò od a Torre Colimena. Lo stesso Dinoi continua con la solita litania anche il 29 marzo 2016: «Il bruttissimo episodio è ora materia degli investigatori dell’Arma che stanno incontrando difficoltà a raccogliere testimonianze dei presenti. Sino a ieri il maresciallo Fabrizio Viva che comanda la stazione di Avetrana ha sentito diverse persone che erano presenti nelle vicinanze, ma nessuno di loro ha detto di ricordare o di aver visto niente. Un atteggiamento omertoso che ha spinto gli amministratori pubblici e il parroco a lanciare appelli a parlare (di questo parliamo a parte). I militari hanno già ritirato le registrazioni delle telecamere di sorveglianza installate nei punti commerciali della zona, ma nessuna di loro era puntata sulla zona dell’aggressione. Un testimone che avrebbe visto tutto, avrebbe detto di aver visto delle persone fuggire a bordo di una piccola utilitaria di colore scuro di cui non ricorda la marca. Ancora poco per dare un nome e un significato a tanta violenza.» A quell'ora del dì di festa ovviamente non potevano esserci tanti avventori del bar, nè, tantomeno, numerosi testimoni, ma parlare di omertà ad Avetrana fa notizia.
Chi fa la professione di giornalista dovrebbe sapere che i curiosi, accorsi in massa, non possono essere definiti testimoni. Non si può parlare di omertà se la stessa vittima non ha potuto fornire notizie utili alle indagini, né tanto meno si può parlare di indagini. Le indagini vengono svolte alla notizia di reato e, a quanto pare, al momento del fatto il reato palesato (lesioni) era perseguibile per querela, che non vi è stata. E comunque l’indagine fatta bene, anche successivamente attivata per querela o denuncia per fatto più grave, i responsabili li trova.
Nazareno Dinoi, come corrispondente del Corriere della Sera ha scritto sempre articoli su Avetrana dello stesso tenore quando riferiva sul caso di Sarah Scazzi, come tutti d’altronde. Rispetto agli altri, però, Dinoi è di Manduria, paese a 17 chilometri da Avetrana, non certo un canonico razzista settentrionale.
Nazareno Dinoi, amico dei magistrati di Taranto è direttore de "La Voce di Manduria", un giornalino locale di un paese vicino ad Avetrana. Il "mandurese" diffama indistintamente tutti gli avetranesi e non me ne spiego l'astio. Gli amministratori locali e la loro opposizione, poi, non sono capaci di difendere l’onore di Avetrana contro la gogna mediatica programmata sin dal 26 agosto 2010 e protratta da giornalisti da strapazzo sui giornali ed in tv.
«La triste fine di Sarah Scazzi ha dato improvvisa notorietà al piccolo paese di Avetrana altrimenti sconosciuto ai più - scriveva già il 29 luglio 2015 il nostro Dinoi - Ha portato luce su un paese in ombra infastidendo chi vi abita. Ed è anche sugli avetranesi che il caso Scazzi si è contraddistinto per un’altra peculiarità: l’omertà, il visto e non visto, il non ricordo, il forse, il lo so ma non ne sono sicuro, il meglio farsi gli affari propri. Un popolo onesto che di fronte alla richiesta di coraggio si è tirato indietro. Anche in questo caso parlano i numeri e i dati: gli investigatori hanno ascoltato poco più di duecento persone, per la maggioranza avetranesi, poche hanno detto di aver visto qualcosa, nessuno si è presentato spontaneamente per aiutare la giustizia con l’amaro risultato che resterà negli annali delle cronache giudiziarie: dodici di loro sono stati indagati per falsa testimonianza o addirittura per favoreggiamento. Un record in negativo con cui Avetrana e gli avetranesi dovranno fare i conti.»
Detto questo sui corsi e ricorsi storici ed a discolpa dei manduriani andiamo ad analizzare i fatti.
«Chiederemo pene esemplari. Siamo di fronte a una violenza senza limiti». Lo ha detto al Tg1 il procuratore di Taranto Carlo Maria Capristo in merito alle aggressioni subite da Antonio Cosimo Stano da ragazzini tra i 16 e i 23 anni, tutti di Manduria. «L’intervento è stato tempestivo ma sarebbe stato ancora più tempestivo se chi sapeva avesse avvisato prima le forze dell’ordine – ha aggiunto – Saremmo intervenuti in tempo e oggi Stano sarebbe ancora vivo».
«Se i bulli invece che con quel pover’uomo se la fossero presa con un cane, ci sarebbe stata la rivolta popolare. E invece tutti zitti, in un silenzio assordante che oggi mi lascia amareggiato. Quanto subiva Stano è stato chiuso e isolato in una casa, in una strada, in una comunità: un essere umano che abitava davanti a una parrocchia lasciato solo. Il prete ha detto di essere intervenuto più volte, ma perché non ha segnalato subito ai servizi sociali?». E' lo sfogo, forte e appassionato, del prefetto Vittorio Saladino, uno dei tre commissari prefettizi di Manduria che, all’AdnKronos, parla di un "silenzio assurdo" che ha avvolto e cullato la brutalità delle aggressioni subite nel tempo. «Stano era sconosciuto ai servizi sociali perché nessuno, per quanto ne dicano oggi, ha mai fatto segnalazioni - aggiunge - La cosa strana è che il soggetto era preso di mira da tanto tempo e nonostante questo anche il responsabile dei servizi sociali ne era all’oscuro. Manduria tra l’altro è capofila nell’efficienza dei servizi sociali, è un paese ricco tra i primi posti di quelli con cittadini risparmiatori, preso di mira da turisti inglesi e tedeschi». Nessuna giustificazione, dunque, e l’annuncio: «Alla manifestazione di sabato 4 maggio per la legalità - ha detto Saladino - parteciperemo con il gonfalone come Commissione straordinaria. Le colpe le ha una comunità distratta, chiusa, coi giovani bombardati dai media e da episodi negativi. Come si fa a rendere oggetto di gioco un uomo, un soggetto indifeso?».
Allora, Chi mente?
Silvia Mancinelli 27 aprile 2019 Adnkronos. I vicini avevano segnalato, si erano rivolti alle forze dell’ordine per denunciare i soprusi, subiti troppo spesso da Antonio Cosimo Stano. La prova è in un esposto presentato al commissariato di Manduria e firmato da 7 residenti di via San Gregorio Magno, la stessa strada dove viveva il 66enne, e da don Dario. “Da alcune settimane, durante le ore serali e le prime ore del mattino – si legge in una prima denuncia – si stanno verificando diversi episodi di atti illeciti commessi da ignoti (circa 5/6 persone) a danno del signor Antonio Cosimo Stano”. “Nello specifico – si legge ancora – segnaliamo continui e reiterati danneggiamenti che tali ignoti stanno perpetrando a danno dell’abitazione (…) con lancio di pietre e oggetti vari al prospetto dell’abitazione e dando calci e colpi diretti alla porta d’ingresso e agli infissi della medesima casa”. Secondo quanto denunciato dai residenti, la vittima aveva confessato loro quanto stava subendo: “Il signor Stano, da quanto ci ha riferito, ha subito altresì vessazioni, soprusi e lesioni anche fisiche da parte di questi soggetti, i quali in una occasione sono anche riusciti a introdursi in casa. Tale condotta illecita, lesiva della sicurezza e della quiete pubblica, cagiona, inoltre, stati d’ansia, malessere e agitazione soprattutto nei minori residenti nel vicinato”. “In piena notte sentivamo urlare. Erano grida strazianti, terribili. La sera tardi e in piena notte. Mia moglie e con lei altri 7 residenti di via San Gregorio Magno e don Dario, ha così presentato l’esposto, per paura soprattutto, ma anche per tutelare quel povero Cristo”. A raccontarlo all’Adnkronos è Cosimo, che abita due cancelli più avanti rispetto all’abitazione di Stano, al civico 8. “Non tutti hanno voluto firmare, ma noi non ce la siamo sentita di restare inermi”.
Cesare Bechis, Giusi Fasano su Corriere.it. 26 aprile 2019. Era un uomo malato, Antonio. La sua mente era confusa e tutti, in paese, lo conoscevano come «il pazzo», «quello del Villaggio del fanciullo», dal nome dell’oratorio della chiesa di San Giovanni Bosco che sta proprio di fronte a casa sua. Dicono che fosse in cura al Centro di igiene mentale ma di fatto era abbandonato a se stesso, non seguito dai servizi sociali, come avrebbero richiesto le sue condizioni, né aiutato nella sua vita quotidiana dai parenti che vivono a un passo da lui. Si manteneva con la pensione che si era guadagnato lavorando all’arsenale di Taranto come operaio e tutti, a Manduria, sapevano che ormai da molti anni passava gran parte del suo tempo a coltivare la sua solitudine, aiutato in questo dalle sue condizioni psichiche. Le segnalazioni sono arrivate, ai servizi sociali. Ma lui è rimasto a casa sua, nella sporcizia e nell’indifferenza, sempre più isolato dal mondo. E i bulli hanno capito che era un bersaglio facile. Lo hanno preso di mira e lo hanno vessato senza pietà. I vicini di casa vedevano le bande arrivare, non sempre le stesse. L’ultima volta, prima di quel 6 aprile, dev’essere stata più dura del solito. Perché quando «quelli» se ne sono andati lui si è chiuso in casa e non è più uscito. Niente spesa, niente cibo, niente di niente pur di non incrociarli mai più. I vicini non l’hanno visto uscire e hanno avvisato la polizia. Gli agenti si sono appostati lì fuori nel tentativo di sorprendere qualcuno dei ragazzini ma quel giorno non si è visto nessuno e alla fine la parte più difficile dell’intervento è stato convincere lui, Antonio, ad aprire la porta per lasciarsi aiutare. Da allora in poi è stato in ospedale fino al giorno della morte, con gravi problemi fisici oltre quelli mentali.
Nazareno Dinoi La Voce di Manduria venerdì 26 aprile 2019. Il povero Stano, insomma, era diventato (e così lo chiamavano nel branco), «il pazzo del Villaggio del fanciullo», dal nome dell’oratorio e della chiesa di San Giovanni Bosco situato proprio di fronte alla sua abitazione. La notizia degli indagati sta scuotendo le coscienze dei manduriani che si interrogano sul «come sia potuto accadere». Molto significativo è l’intervento di un educatore della parrocchia in questione, Roberto Dimitri che su Facebook ha pubblicato un lungo intervento che prova quanto le vessazioni e le violenze su Stano fossero conosciute da molti. Nel descrivere «un tessuto sociale che si sta deteriorando sempre di più», l’educatore confida le sue difficoltà di interagire con i ragazzi e poi ammette: «personalmente – scrive - ho ripreso tante volte i ragazzi che bullizzavano il signore, chiamato le forze dell'ordine e chiamando i genitori, ma senza risultati.
Il Fatto Quotidiano. 29 Aprile 2019. Le aggressioni duravano da almeno sette anni, secondo i vicini: uno dei video sequestrati dalla procura risale al 2013. Eppure, stando a quanto emerso finora, nessun segnale è arrivato alle autorità su Stano, conosciuto in paese come “il pazzo del Villaggio del fanciullo”, in riferimento al nome dell’oratorio di fronte casa sua. “Mai ci è arrivata, né formalmente né informalmente, fosse almeno in maniera anonima, alcuna segnalazione su Antonio Cosimo Stano”, riferisce Raffaele Salamino, responsabile dei servizi sociali del comune di Manduria. “Sarebbe bastata una chiamata – aggiunge – e un assistente avrebbe preso in carico la cosa, coinvolgendo il servizio di igiene mentale”. Un anno e mezzo fa gli operatori del 118 intervennero su segnalazione della polizia davanti alla casa di Stano. L’uomo era a terra, con delle ferite alla testa. Forse, anche in quel caso, era stato preso di mira dai ragazzini. Il 66enne venne medicato sul posto perché, vinto dal paura, rifiutò il trasporto in ospedale.
Quindi già un anno e mezzo fa le istituzioni avevano conoscenza dei fatti e non sono intervenuti. Allora perché si continua a nascondere una omissione di atti di ufficio ed accusare la cittadinanza ed il clero di omertà?
A due anni dalla morte di Sarah Scazzi Don Dario De Stefano sul suo profilo facebook il 25 agosto 2012 ha annunciato il suo trasferimento alla parrocchia di San Giovanni Bosco a Manduria. Avetrana in segno di disapprovazione ha reagito. Una raccolta di migliaia di firme tenta di far smuovere il vescovo di Oria dalla sua decisione di trasferire Don Dario De Stefano, il parroco della parrocchia Sacro Cuore di Avetrana. Sua destinazione la parrocchia di San Giovanni Bosco a Manduria. Don Dario va via, viva Don Dario e fortunati quei manduriani che lo avranno come parroco. Non è una nota stampa, né un commento ad un fatto di cronaca, ma un ringraziamento pubblico a Don Dario De Stefano, parroco della parrocchia del Sacro Cuore di Avetrana e futuro parroco della parrocchia di San Giovanni Bosco a Manduria. Lo faccio io che dovrei essere l’ultimo a farlo, in quanto molto cristiano sì, ma poco frequentante le chiese. Anche se non c'è bisogno di essere cristiani per apprezzare Gesù Cristo: non per i suoi natali, ma per il suo insegnamento e, cosa più importante, per il suo esempio. Eppure non frequento molto la sua casa perché si accompagnano a Gesù in quei posti cattive compagnie. Laici peccatori che sulle panche consacrate sembrano angioletti che con un piccolo obolo si lavano la coscienza od usano le amicizie ivi coltivate a fini elettorali. E’ vero: il parroco raccoglie le pecorelle smarrite, ma mi trovo in disagio a frequentare interi greggi di ovini smarriti. Don Dario è un personaggio votato alle iniziative sociali, ma non alle lotte sociali. Eppure sono convinto che Don Dario, nonostante abbia nessun rapporto con me, merita di essere ringraziato. Una mia poesia dialettale contiene queste strofe:
“Ma ccapì: simu nisciunu e tutti ti passaggiu,
l’aitrana resta pi sempri e no ti tai aggiu.
Ci no lassi operi ca restunu,
tutti ti te si ni scordunu.
Pi l’autri paisi puè quistu ca ticu no iè diversu,
lu tiempu passa, nienti cangia e iè tuttu tiempu persu.”
Bene! Don Dario al suo arrivo era un giovane di Oria ambizioso, tenace, diplomatico fino ad un certo punto e con tanta voglia di fare. Io che guardo l’aspetto materiale, ossia i fatti, elenco alcune delle sue opere che resteranno alla storia sua e di Avetrana. Opere che vanno oltre la competenza parrocchiale, di cui tutta Avetrana ne ha tratto benefici: il rinnovo della sua chiesa e la costruzione del campanile, l’oratorio dove i giovani si educano e passano il loro tempo libero; i campi scuola; “il presepe vivente”; “la grande calza della Befana”; la squadra di calcio di Avetrana; la festa compatronale di Sant’Antonio; “Certe notti qui…”, ossia la “Notte Bianca”: evento agostano dove Avetrana per una notte è invasa dai turisti estasiati da decine di piccole e grandi manifestazioni culturali, culinarie, musicali, ecc…Non dimentichiamoci che ha gestito anche le funzioni religiose per la povera Sarah Scazzi ed avrebbe potuto fare di più se non fosse che la madre di Sarah è dei Testimoni di Geova ed il vescovo ha evitato inutili polemiche con nuove iniziative in suo ricordo. Questo è solo piccola cosa di quanto lui abbia fatto per la sua parrocchia e per tutta Avetrana. Non è stato facile per Don Dario fare tutto ciò in un piccolo paese con piccole vedute, molte maldicenze e con il braccino corto, specie da parte degli imprenditori che fanno affari con gli eventi organizzati da Don Dario.
Non sono mancati sin dall’inizio tra i suoi fedeli fazioni contrarie che spinte da gelosie prima hanno cercato di allontanarlo, per poi, non riuscendoci si sono allontanati loro stessi. Così come Don Dario è stato frenato e si è scontrato con degli amministratori poco illuminati e spesso incapaci a sostenere le sue o le altrui iniziative. Così come è stato vittima dei contrasti politici tra le avverse fazioni.
Intanto, a parità di fondi finanziari gestibili, ha fatto più Don Dario (orietano) in nove anni che tutti i politici avetranesi messi insieme per tutta la loro vita. Lui ha tirato dritto. Si è accompagnato con giovani fidati che lui stesso ha cresciuto. (In nove anni i bambini diventano ragazzi). Naturalmente lui ha i suoi pregi, ma anche i suoi inevitabili difetti, che sono infimi e non si notano pensando alla sua instancabile operosità. Avetrana perderà un attivissimo parroco, nella speranza che il nuovo, con la scomoda eredità, non lo faccia rimpiangere. Ecco perché a lei ed ai suoi lettori, per i passati di Don Dario posso dire: Don Dario va via, viva Don Dario e fortunati quei manduriani che lo avranno come parroco. E pensate un po’ cosa sarebbe una diocesi guidata da gente come lui……..
Il parroco di Avetrana che, come spiega Nazareno Dinoi su “La Voce Di Manduria”, smaschera i difensori “preventivi”. Don Dario De Stefano è furioso. Qualcuno gli ha fatto leggere il suo nome su un articolo che lo indica come colui che ha segnalato alla famiglia Misseri, per la difesa di Sabrina, l’avvocato del foro di Taranto, Vito Russo. «Io ho consigliato chi? Assolutamente no. Non conosco questo avvocato», commenta il sacerdote visibilmente contrariato.
Rilegge la notizia e la pressione gli alza. «Ecco un’altra delle cose che non mi piacciono di questa storia, ormai non se ne può più», sospira don Dario il cui volto è stato tra quelli più diffusi nei primi giorni della scomparsa di Sarah Scazzi. Da qualche settimana però, il parroco di Avetrana, fugge ai mezzi d’informazione perché, si dice, la curia vescovile di Oria ha consigliato di tenersi lontano dal circolo mediatico. Non può però tacere o celare la rabbia e, seppure con molto risparmio di parole, si lascia sfuggire dei commenti.
«Come si chiamerebbe questo avvocato? Russo? E di dov’è, chi lo ha mai conosciuto?». Il nome e il volto del legale, ben noto oggi grazie alle trasmissioni televisive, era saltato fuori all’improvviso la mattina del 15 ottobre quando la villa dei Misseri fu circondata dai carabinieri del Ris, inquirenti e investigatori che indagano sulla morte della quindicenne. Via Deledda fu dichiarata off limit e a nessuno fu consentito avvicinarsi al luogo delle operazioni.
Nemmeno all’avvocato Russo che con la sua grossa auto fu invitato da un carabiniere ad attendere poco distante da lì. Qualche giornalista lo riconobbe così il suo nome cominciò a circolare senza che nessuno riuscisse a spiegarsi la ragione della sua presenza.
Anche l’avvocato Daniele Galoppa, il giorno dopo, difensore della controparte, Michele Misseri, si chiedeva come mai il suo collega il giorno prima si trovasse a venti metri da via Deledda se Sabrina, sua futura assistita, non era stata nemmeno interrogata né poteva sapere che dodici ore dopo sarebbe stata addirittura arrestata per la confessione del padre che coinvolgeva nel delitto. In effetti fu lo stesso avvocato Russo, successivamente, a dichiarare pubblicamente che la sua venuta ad Avetrana era stata caldeggiata dal suo «amico don Dario». Il religioso, però, è pronto a smentire.
«Per favore non mi mettete in mezzo a queste cose, per questi comportamenti mi rifiuto di rilasciare interviste, questo modo di fare non mi piace proprio». E non che le richieste siano poche. «Sto dicendo di no a tutti e mi dispiace perché per colpa di pochi debbano patire tutti», afferma don Dario che torna sull’argomento.
«Questa notizia dell’avvocato o è una sua invenzione o un’invenzione del giornalista». L’avvocato Russo, informato del risentimento del parroco, spiega meglio e raddrizza il tiro. «Come? Don Dario non mi conosce? Ho qui i tabulati di due telefonate che personalmente gli ho fatto il giorno prima il mio arrivo ad Avetrana», informa il legale non spiegando, però, il contenuto e il tono di quelle conversazioni».
Si accusa una comunità di omertà. Perche? Perché è molto facile accusare una comunità di omertà. Ma non è omertà, è solo assuefazione al disservizio. Perché, come è ampiamente dimostrato, ma non dai media asserviti al potere, è inutile denunciare: o le indagini si insabbiano o i responsabili restano impuniti.
Questa è l’Italia e tutti lo sanno, ma fanno finta di ignorarlo.
“Manduria: nuova vittima della gogna mediatica”. Azione Liberale, giovane movimento politico nazionale, attraverso il suo presidente, l’avv. Mirko Giangrande, l'1 maggio 2019 si esprime riguardo alla gogna mediatica di cui è vittima la cittadinanza di Manduria, a seguito della morte di Antonio Cosimo Stano. “Negli ultimi giorni nelle case degli italiani è entrata la follia. La follia di un gruppo di ragazzini, molti di buona famiglia, che, in stile “Arancia Meccanica”, ha perseguitato e pestato Antonio Cosimo Stato, un sessantaseienne di Manduria (TA), fino, molto probabilmente, a causarne la morte. Una follia irrazionale ed immotivata, posta in essere solo per puro divertimento e passatempo. Ma al peggio non c’è mai fine. Alla follia si aggiunge follia. Ecco che, puntuale, arriva la gogna mediatica. Noi Avetranesi la conosciamo bene. Incurante di qualsiasi etica, si abbatte sulle cittadine, specie quelle del sud. Manduria sta per entrare nella “lista nera” delle località italiane. È iniziata la fase dell’omertà e si finirà con la complicità. Si addita un’intera cittadina (quasi 35.000 abitanti) come omertosa: come facevano a non sapere? A questa accusa noi non ci stiamo! Quante volte, nel periodo dell’omicidio Scazzi, ce lo siamo sentiti ripetere. Ma che significa? Le persone che erano a conoscenza della situazione (i vicini, il parroco) hanno parlato, hanno agito. Esatto, loro. E le istituzioni? Sarà forse che con l’invenzione dell’omertà si voglia far ricadere sull’ignara cittadinanza le colpe di chi, a livello istituzionale, doveva (ripeto, doveva) intervenire? Ma poi, pur ammettendo il fatto che tale situazione persecutoria fosse veramente di dominio pubblico, è mai possibile che la voce sia arrivata alle orecchie di tutti tranne a quelle di chi doveva intervenire? E’ chiaro, quindi, che dietro al già inquietante fatto di cronaca si nasconde uno sciacallaggio mediatico e giornalistico, mirante a farne di Manduria la cornice omertosa, vile e arretrata. Le istituzioni, i cittadini, la società civile fa ancora in tempo a ribellarsi e a non subire passivamente ciò che Avetrana ha subito quasi dieci anni fa. Altrimenti rimarrà negli annali non come la capitale della Messapia, la Terra del Primitivo, la custode di chilometri di spiagge e mare cristallino ma come un’accozzaglia di vili ed omertosi che ha lasciato morire un pover’uomo, in balia delle angherie di un gruppetto di piccoli delinquenti.” Avv. Mirko Giangrande Presidente di Azione Liberale
Caro Domenico Sammarco, presidente della Proloco, la tua “lettera aperta”, indirizzata alle istituzioni che avrebbero infangato Manduria e i manduriani, è indirizzata solo ai due procuratori. Non manca un altro destinatario che prima di loro lo avrebbe fatto? Come mai ti è sfuggito? Nazareno Dinoi. La Voce di Manduria giovedì 2 maggio 2019.
Omertà! Omertà! Ergo: tutti mafiosi.
Una dissertazione dedicata ai giornalisti di cronaca nera che raccontano il meridione d’Italia.
L’uso dell’intercalare rende l’idea dello stato d’animo di un meridionale che si sente diffamato su ogni articolo o servizio tv.
Gli spocchiosi ed ignoranti giornalisti del nord, o quei pennivendoli rinnegati meridionali, vanno a fare domande nel cazzo alla gente del Sud.
Gli intervistati li ignorano o li sbeffeggiano.
I cronisti di rigetto parlano di omertà.
Cosa ne sanno i pennivendoli e startv, inviati sul posto, della reticenza.
Ignoranti non conoscono i pettegolezzi paesani.
Qui la gente non è reticente o omertosa.
La gente qua parla e sparla sempre, altro che omertà. La notizia, vera, falsa o alterata/ingrossata è sulla bocca di tutti. Dalle comari, in visita ai vicini, ai loro mariti, fino alle orecchie di parroci e carabinieri ed infine il Sindaco. Tutto si mostra e si sputtana in piazza, senza alcun timore. Perché nel meridione ancora esistono le piazze come punto di ritrovo sociale. Il detto comune, appunto, per legittima difesa contro le malelingue è: fatti i cazzi tuoi!
Che puntualmente non avviene.
Nessuno si nasconde dietro la tenda della finestra a sbirciare i fatti del vicino ed a delare nell’anonimato alle autorità.
Nulla è segreto.
Che ne sanno i pennivendoli, loro che vivono in casermoni e che non conoscono i loro dirimpettai.
La nostra, gente del sud, non è omertà.
O abbiamo da lavorare, nonostante quello che al nord pensano, e non abbiamo tempo da perdere in chiacchiere o in innumerevoli citazioni di testimonianze nei tribunali per udienze rinviate per una malfunzionante giustizia.
O abbiamo il timore di passare da carceriere a carcerato per una parola fuoriposto usata dalla giustizia contro di noi.
Oppure non ci piace essere presi per il culo con domande del cazzo da giornalisti improvvisati in cerca di notorietà per un immeritato scoop.
Oppure, semplicemente, non sappiamo, perché, come tutti, viviamo in casa nostra e non in quella degli altri.
Quindi, anziché mandarli affanculo platealmente, educatamente preferiamo il silenzio.
E’ educazione, non è omertà!
Dr Antonio Giangrande: Deindicizzazione: cosa significa.
Il deindicizzare significa non rimuovere la pubblicazione, ma significa impedire che il contenuto venga trovato tramite motori di ricerca.
Quindi basta una lieve modifica al nome, affinché si impedisca la ricerca.
Spesso, però la deindicizzazione non è dovuta se il diritto di cronaca sovrasta il diritto alla privacy.
Se qualcosa ha modificato lo status del richiedente, in questo caso, il diritto di cronaca si modifica. Intervengono integrazioni, aggiornamenti o rettifiche.
Ce l’hanno tutti con il Sud e le sue genti! Verità o vittimismo? Antonio Giangrande
“Giornalisti, mafiosi ed omertosi siete voi!”
Quando il rigurgito del brodo primordiale dell’ignoranza produce conati di vomito di razzismo.
Un fatto di cronaca diventa lo stimolo per condannare una comunità.
Ci sedemmo dalla parte del torto visto che tutti gli altri posti erano occupati. Ci sono uomini che lottano un giorno e sono bravi, altri che lottano un anno e sono più bravi, ci sono quelli che lottano più anni e sono ancora più bravi, però ci sono quelli che lottano tutta la vita: essi sono gli indispensabili.
Il giornalista per essere tale deve essere abilitato: ossia deve essere conforme ed omologato ad una stessa linea di pensiero.
E’ successo ad Avetrana dove i pennivendoli a frotte si son presentati per dare giudizi sommari e gratuiti, anziché raccontare i fatti con continenza, pertinenza (attinenza) e verità. Hanno estirpato dichiarazioni a gente spesso non del posto e comunque con una bassa scolarizzazione, o infastidita dalla loro presenza, cestinando le testimonianze scomode per il loro intento. Certo è che a Brembate di Sopra, per il caso di Yara Gambirasio, hanno trovato impedimento alle loro scorribande per la meritoria presa di posizione del sindaco del luogo.
E’ successo a Melito Porto Salvo dove il fatto di cronaca è divenuto secondario rispetto all’intento denigratorio dei pseudo giornalisti, sobillato dai soliti istinti razzisti di genere o di corporazione o di interesse politico. E certo, che come a Mesagne per la vicenda di Melissa Bassi, dove la mafia era estranea, non poteva mancare l’intervento di “Libera” per dare una parvenza di omertà e ‘ndranghetismo sulla vicenda. Non c’è migliore visibilità se non quella di tacciare di mafiosità una intera comunità.
Nel render conto della vicenda nei miei libri sociologici ho avuto enorme difficoltà, fino all’impossibilità, a trovare un pezzo che riportasse la testimonianza di tutte quelle persone per bene di Melito, assunte tutto ad un tratto, dalle penne malefiche e conformi, a carnefici di una ragazzina.
Il tarlo che pervade i pennivendoli è sempre quello: MAFIA ED OMERTA’.
Eppure il sindaco di Melito ha espresso totale solidarietà alla 13enne abusata e ciononostante non poteva non difendere il suo paese e la sua comunità, cosa che a Mesagne ed ad Avetrana non è successo. “Nel paese c’è una parte di omertà e una parte di ‘ndrangheta ma il paese non è tutto ‘ndrangheta e non è tutto omertà, nel paese c’è una parte sana che è la stragrande maggioranza”. Così il sindaco di Melito Porto Salvo, Giuseppe Salvatore Meduri, commenta le polemiche che si sono scatenate intorno alla vicenda della ragazza vittima di violenza sessuale di gruppo. Libera, nei giorni scorsi, ha organizzato per la ragazza una fiaccolata a cui però hanno partecipato poche persone. “Alla fiaccolata, è vero, ha partecipato solo il 10% della popolazione, io avrei gradito una presa di posizione forte ma non posso condannare chi non se l’è sentita di venire, devo rispettare la volontà di ognuno”, ha detto il sindaco. Quello che è successo, ha sottolineato il primo cittadino, “è la cosa peggiore accaduta nella storia melitese in assoluto, da parte mia c’è una ferma e piena condanna e totale solidarietà alla ragazzina. La cosa principale adesso è salvaguardare il suo interesse con ogni forza e ogni mezzo. Come sindaco e come genitore mi sento corresponsabile per quello che è accaduto e in questa vicenda ci sono responsabilità di tutti, la scuola, la chiesa, la società civile – ha aggiunto – Tutti ci dobbiamo interrogare”. “Adesso quello che posso fare è spendermi per vedere cosa si può fare per la ragazza – ha detto il sindaco – ho già fatto la delibera di indirizzo per la costituzione di parte civile quando si farà il processo. Ci siamo impegnati per sostenere le spese legali. L’indirizzo è quello di aiutare la famiglia. I ragazzi che hanno causato questa situazione vanno condannati a prescindere, quello che è stato fatto è inimmaginabile ma auguro loro un futuro migliore e apro loro la porta del perdono”.
Questa presa di posizione ai pennivendoli è di intralcio. Su “Stretto web” del 13 settembre 2016 si legge. “Il Comitato di redazione della Tgr Calabria, in una nota a firma dei suoi componenti, Livia Blasi, Gabriella d’Atri e Maria Vittoria Morano, “respinge con forza – è detto in un comunicato – gli ingiustificati e reiterati attacchi da parte del primo cittadino di Melito Porto Salvo, Giuseppe Salvatore Meduri, al servizio pubblico, colpevole, a suo dire, di sciacallaggio mediatico. Il riferimento è al modo in cui il nostro giornale avrebbe trattato la vicenda di abusi e violenze di gruppo ai danni di una ragazzina”. “In particolare, in occasione della marcia silenziosa organizzata da Libera – aggiunge il Cdr – dal palco, il sindaco ha fortemente criticato i servizi realizzati sul caso dalla Tgr Calabria sostenendo: “Certe ricostruzioni uscite sul servizio pubblico ci hanno offesi”, come riportato anche dall’inviato de “La Stampa”, Niccolo’ Zancan, autore di un reportage pubblicato in data 11 settembre sul quotidiano torinese. Testimone degli attacchi, il service per le riprese “Bluemotion”, nella persona della nostra collaboratrice Giusy Utano, presente alla fiaccolata per conto della Tgr Calabria e alla quale va tutta la nostra solidarietà”. “La posizione assunta dal primo cittadino di Melito – è detto ancora nella nota – ci colpisce e ci sorprende. La Tgr Calabria, infatti, come testimoniano i servizi andati in onda e visionabili sul sito on-line della testata, ha trattato sin dal primo momento il caso con tutte le cautele possibili, nel rispetto sia della vittima che dei suoi presunti carnefici. Nostra volontà, inoltre, è stata quella di raccontare di una comunità ferita e darle voce e questo abbiamo fatto. Ne è emerso un contesto assai complesso in cui non sono mancati atteggiamenti di chiusura, di condanna, di riflessione ma anche di vicinanza e solidarietà ai ragazzi del branco. Fedeli al dovere di cronaca, abbiamo “fatto parlare” le immagini e dato spazio alle diverse testimonianze raccolte. Pertanto, non crediamo che questo corrisponda a denigrare la comunità di Melito. D’altronde, lo stesso Sindaco, ai nostri microfoni, ha sottolineato come nella vicenda tutti abbiano la loro parte di responsabilità. “Sono mancate – ha detto – la famiglia, la scuola, la chiesa, la società’ civile, la politica, le associazioni sportive. Nessuno può dirsi esente da responsabilità. Tutti dobbiamo recitare un mea culpa’”. “A questo punto – conclude il Cdr della Tgr Calabria – ci chiediamo, qual è l’offesa da noi arrecata alla comunità di Melito? E’ evidente che non ne abbiamo alcuna in una vicenda di per sè talmente dolorosa da essere capace, da sola, di scuotere l’opinione pubblica e sollecitare non poche riflessioni”.
L’offesa più grande arrecata alla comunità non è quello che si è voluto far vedere, anche artatamente, istigando i commenti più crudeli e sprezzanti su di essa, ma quello che si è taciuto per poter meglio screditarla. L’omertà è in voi, non nei Militesi. Avete omesso di raccontare quel paese pulito con una comunità onesta, coinvolta inconsapevolmente in una cruda vicenda. Ecco perché non ci dobbiamo meravigliare di trovare e leggere solo articoli fotocopia con un fattore comune: ’Ndrangheta ed omertà. Lo stesso atteggiamento avete avuto con Avetrana. Sembra un film già visto.
Cari giornalisti, parlare di un semplice fatto di cronaca come quello contemporaneo di Tiziana Cantone, suicida per il video hot nel napoletano, senza coinvolgere la Comunità locale? Non ce la potete proprio fare? Godete ad infangare le comunità del sud? E che soddisfazione si trae se a scrivere nefandezze è proprio quella gente del sud che condivide territorio, lingua, cultura, tradizioni, usi di quella stessa gente che denigra?
Un’ultima cosa. In queste stravaganti e bizzarre liturgie delle fiaccolate che servono per far sfilare chi è in cerca di notorietà io non ci sono mai andato: a Mesagne ed a maggior ragione ad Avetrana, perché cari giornalisti: mafiosi ed omertosi siete voi ed io dai mafiosi mi tengo lontano!”
Dr Antonio Giangrande
Antonio Giangrande: Quelli che…ed io pago le tasse per il Sud. E non è vero.
Le grandi aziende che lavorano nel Sud Italia hanno la sede legale al Nord e lì pagano le tasse.
Le grandi aziende del Nord Italia hanno la sede legale nei paradisi fiscali e lì pagano le tasse.
Antonio Giangrande: A proposito del Titolo di Libero sui “Terroni”.
Gli opinionisti del centro-nord Italia “po’ lentoni” (lenti di comprendonio, anche se oggi l’epiteto, equivalente a “Terrone”, da rivolgere al settentrionale è “Coglione”) su tutti i media la menano sulla terronialità. Cioè l’usare il termine “terrone” come una parola neutra. Come se fossero un po’ tutti leghisti.
Scandali e le mani della giustizia sulla Lega Padania. Come tutti. Più di tutti. I leghisti continuano a parlare, anziché mettersi una maschera in faccia per la vergogna. Su di loro io, Antonio Giangrande, ho scritto un libro a parte: “Ecco a voi i leghisti: violenti, voraci, arraffoni, illiberali, furbacchioni, aspiranti colonizzatori. Non (ri)conoscono la Costituzione Italiana e la violano con disprezzo”. Molti di loro, oltretutto, sono dei meridionali rinnegati. Terroni e polentoni: una litania che stanca. Terrone come ignorante e cafone. Polentone come mangia polenta o, come dicono da quelle parti, po’ lentone: ossia lento di comprendonio. Ergo: COGLIONE. Comunque bisognerebbe premiare per la pazienza il gestore della pagina Facebook “Le perle di Radio Padania”, ovvero quelli che per fornire una “Raccolta di frasi, aforismi e perle di saggezza dispensate quotidianamente dall’emittente radiofonica “Radio Padania Libera” sono costretti a sentirsela tutto il giorno. Una gallery di perle pubblicate sulla radio comunitaria che prende soldi pubblici per insultare i meridionali.
Si perde se si rincorre il Sud come prossimo passato, si vince se il Sud è vissuto oggi come consapevolezza di non poterne fare a meno. Accettare di essere comunque meridionale e non terrone a qualunque latitudine. Il treno porta giù, un altro mezzo ti può portare in qualunque altro luogo senza farti dimenticare chi sei e da dove vieni. A chi appartieni? Così si dice al Sud quando ti chiedono chi sia la tua famiglia. È un'espressione meravigliosa: si appartiene a qualcuno, si appartiene anche ai luoghi che vivono dentro di te.
Essere orgogliosi di essere meridionali. Il meridionale non è migrante: è viaggiante con nostalgia e lascia il cuore nella terra natia.
Ciononostante i nordisti, anziché essere grati al contributo svolto dagli emigrati meridionali per il loro progresso sociale ed economico, dimostrano tutta la loro ingratitudine.
Antonio Giangrande: Il nostro cavallo di battaglia è l’istituzione del difensore civico giudiziario che possa operare con i poteri giudiziari, contro gli abusi e le omissioni dei magistrati e degli avvocati e degli apparati ministeriali a tutela dei cittadini. Sposiamo la causa e divulghiamo l’iniziativa concreta.
Antonio Giangrande: “La gente non legge, non sa, ma sceglie, decide e parla”.
Intervista al sociologo storico Antonio Giangrande, autore di un centinaio di saggi che parlano di questa Italia contemporanea, analizzandone tutte le tematiche, divise per argomenti e per territorio.
Antonio Giangrande: Chi dice Terrone è solo un coglione.
La sperequazione inflazionata di un termine offensivo come nota caratteristica di un popolo fiero.
L’approfondimento del dr Antonio Giangrande. Scrittore, sociologo storico, giurista, blogger, youtuber, presidente dell’Associazione Contro Tutte le Mafie, che sul tema ha scritto “L’Italia Razzista” e “Legopoli”.
Sui media spopola il termine “Terrone”. Usato dai razzisti del centro Nord Italia in modo dispregiativo nei confronti degli italiani del Sud Italia ed usati dai deficienti meridionali come caratteristica di vanto.
Così è sempre, così è stato a Pontida il 22 aprile 2017. Sono più di 1500 e molti di loro vestono la t-shirt “terroni a Pontida” o anche “terroni del Nord”. Sono accorsi a Pontida, in provincia di Bergamo, da tutta Italia, ma soprattutto da quella Napoli che l’11 marzo 2017 aveva ospitato Matteo Salvini, leader della Lega Nord che proprio qui a Pontida ha la sua roccaforte. «Abbiamo espugnato Pontida, questa terra considerata della Lega Nord. Siamo qui per raccontare che per noi non esistono i feudi della Lega Nord e del razzismo, vogliamo costruire ponti e lo facciamo con questa festa, che richiama l’orgoglio antirazzista e terrone», ha spiegato Raniero Madonna di Insurgencia a “La Stampa”. E mentre il sindaco di Napoli Luigi De Magistris invita sui social i "terroni" a unirsi da Lampedusa a Pontida si pensa al bis. Il clou del concertone è la canzone "Gente d'ò Nord", brano che i 99 Posse hanno firmato con una serie di altri artisti che insieme hanno inciso un doppio cd con il nome di "Terroni uniti". "C'è tantissima gente. E' un bel posto - ha concluso Luca O'Zulú dei 99 Posse - perché non farlo diventare da simbolo della Lega a sede del Concerto Nazionale Antirazzista Migrante e Terrone?".
Un contro-concertone del Primo Maggio gratuito e dal sapore terrone con 10 ore di musica, interventi e colori degli artisti del Sud, scrive “La Repubblica” il 26 aprile 2017. In scena in piazza Dante, dalle 14 a mezzanotte, il festival dell'orgoglio antirazzista e meridionale che ha iniziato il suo tour a Pontida lo scorso 22 aprile. E in programma c'è una già terza tappa: Lampedusa. L'annuncio è arrivato dalla voce del sindaco de Magistris, durante una conferenza stampa che dal Comune si è spostata in piazza Municipio. "E' un progetto talmente bello - ha detto il sindaco - che lo riteniamo un progetto della città: ogni primo maggio si dovrà tenere nella capitale del Mezzogiorno un concerto che abbia come obiettivo i sud del mondo, i diritti, la solidarietà, l'antirazzismo, il lavoro e la lotta per la liberazione dei nostri popoli". Un Primo Maggio "terrone" perché "i terroni difendono il proprio territorio dai rifiuti, dalla malavita, dallo sfruttamento, dalla finanza predatoria". Ed è proprio sul palco del Primo Maggio che i Terroni Uniti continueranno il loro tour dopo Pontida, perché "a Napoli la festa dei lavoratori diventa la festa ribelle dei lavoratori a nero, dei lavoratori sfruttati, della manodopera dell'informale, delle vittime clandestine del caporalato".
Interverranno anche gli scrittori “Terroni uniti” come Maurizio de Giovanni e Antonello Cilento. Una maratona di musica e impegno sociale che avrà come tema il lavoro, la difesa dei diritti dei lavoratori, dei disoccupati e delle vittime del caporalato, e l'orgoglio meridionale.
Che figure di merda…più che terroni si è coglioni. Se già da sé ci si chiama terroni, cosa faranno chi li vuol denigrare?
«Non è un reato dare dei terroni ai terroni, indi per cui i terroni sono terroni, punto. Arrivano dalla Terronia, terra di mezzo», diceva al telefono, parlando di un calabrese, una delle campionesse della Capitale Morale, quella Maria Paola Canegrati che smistava affarucci e mazzette per appalti nella Sanità, per circa 400 milioni di euro, a quanto è venuto fuori sinora. Naturalmente, lady Mazzetta, non sa che, invece, dire “terrone” con l'intento di offendere, è reato: ci sono sentenze, anche della Cassazione. Ma a lei deve sembrare un'ingiustizia! «Che cazzo ti devo dire, se adesso è un reato dare del terrone a un terrone, a 'sto punto qui io voglio diventare cittadina omanita»...., scrive Pino Aprile il 22 febbraio 2016.
«Io litigioso? È vero, ma sono migliorato… Mi chiamavano terun, africa, baluba, altro che non incazzarsi…» Dice Teo Teocoli in un intervista a Gian Luigi Paracchini il 22 luglio 2016 su "Il Corriere della Sera".
Gli opinionisti del centro Italia “po’ lentoni” (lenti di comprendonio, anche se oggi l’epiteto, equivalente a “Terrone”, da rivolgere al settentrionale è “Coglione”) su tutti i media la menano sulla terronialità. Cioè l’usare il termine “terrone” come una parola neutra. Come se fossero un po’ tutti leghisti.
Scandali e le mani della giustizia sulla Lega Padania. Come tutti. Più di tutti. I leghisti continuano a parlare, anziché mettersi una maschera in faccia per la vergogna. Su di loro io, Antonio Giangrande, ho scritto un libro a parte: “Ecco a voi i leghisti: violenti, voraci, arraffoni, illiberali, furbacchioni, aspiranti colonizzatori. Non (ri)conoscono la Costituzione Italiana e la violano con disprezzo”. Molti di loro, oltretutto, sono dei meridionali rinnegati. Terroni e polentoni: una litania che stanca. Terrone come ignorante e cafone. Polentone come mangia polenta o, come dicono da quelle parti, po’ lentone: ossia lento di comprendonio. Comunque bisognerebbe premiare per la pazienza il gestore della pagina Facebook “Le perle di Radio Padania”, ovvero quelli che per fornire una “Raccolta di frasi, aforismi e perle di saggezza dispensate quotidianamente dall’emittente radiofonica “Radio Padania Libera” sono costretti a sentirsela tutto il giorno. Una gallery di perle pubblicate sulla radio comunitaria che prende soldi pubblici per insultare i meridionali.
Si perde se si rincorre il Sud come passato, si vince se il Sud è vissuto oggi come consapevolezza di non poterne fare a meno. Accettare di essere comunque meridionale e non terrone a qualunque latitudine. Il treno porta giù, un altro mezzo ti può portare in qualunque altro luogo senza farti dimenticare chi sei e da dove vieni. A chi appartieni? Così si dice al Sud quando ti chiedono chi sia la tua famiglia. È un'espressione meravigliosa: si appartiene a qualcuno, si appartiene anche ai luoghi che vivono dentro di te.
Essere orgogliosi di essere meridionali. Il meridionale non è migrante: è viaggiante con nostalgia e lascia il cuore nella terra natia.
Ciononostante i nordisti, anzichè essere grati al contributo svolto dagli emigrati meridionali per il loro progresso sociale ed economico, dimostrano tutta la loro ingratitudine.
Il Terrone visto dai Polentoni, scrive Gianluca Veneziani. Dopo Vieni via con me è la volta di Sciamanninn, la versione terrona del programma di successo condotto da Fazio e Saviano. Anche in questo programma ci saranno degli elenchi. Ma non riguarderanno né i valori di destra, né quelli di sinistra, e tantomeno i 27 modi di essere gay. Avranno a che fare, piuttosto, con le caratteristiche tipiche di un meridionale. A stilare la tassonomia ci penserà un padano. Ecco allora il dodecalogo del terrone visto da un uomo del Nord. Terrone è:
Barbuto. Pregiudizio in voga soprattutto nei confronti delle donne. Si perpetua l’idea che le donne meridionali abbiano i baffi. Il pelo nell’ovulo riecheggia lo stato selvaggio e ferino del nostro Meridione.
Barbaro. Il terrone è considerato un ostrogoto. Per due ragioni: è rozzo, incurante di ciò che tocca e vede. E, quando apre bocca, non lo capisce nessuno. Credono che parli ostrogoto.
Barbone. Il meridionale è pensato come un mendicante, uno che questua soldi e vive a scrocco altrui. Magari un finto invalido che si mette agli angoli delle strade durante il giorno e la sera va a ballare con i soldi ricavati dall’elemosina.
Borbone. Pregiudizio storico. Il sudista è ancora assimilato alla vecchia dinastia pre-unitaria. Contribuiscono al cliché i cosiddetti neo-borbonici che, con grande tempismo, si fanno sentire adesso che l’Italia deve spegnere 150 candeline.
Lo sfaticato, che non vuole lavorare. Terrone non indica più la provenienza geografica, ma un’attitudine lavorativa. È terrone non chi viene dal Sud, ma chi sgobba poco. Il fannullone, il perdigiorno, chi lavora con lentezza. Fatto curioso, se si pensa che i terroni vanno al Nord, appunto, per lavorare. Ma il pregiudizio resta. Terùn, va a lavurà!
Il cafone, il tamarro, il che cozzalone. Fare una “terronata” significa fare una pacchianata, qualcosa di kitsch e di trash. Anche se chi la fa è un brianzolo, il nome “terrone” gli si appicca addosso.
Chi a colazione chiede cornetto ed espressino. Il barista lo guarda perplesso, senza capirlo. In Padania si dice brioche e marocchino. Occorre adeguarsi. Altrimenti vieni scambiato per un terrone o, peggio, per un marocchino.
Chi, il venerdì sera, fa il pendolare Nord-Sud e torna a casa in cuccetta, mentre i lumbard escono per fare l’happy hour Il terrone fugge dal Nord nel fine settimana: il sabato e la domenica va a consacrare le feste altrove.
Chi il lunedì mattina torna con lo stesso treno a Nord. Con un bagaglio però, pesante il doppio, perché la mamma lo ha caricato di tutte le sue delizie fatte in casa. Quella che si chiama “roba genuina”.
Chi al rientro in ufficio, offe ai colleghi specialità tipiche del suo Paese (magari le stesse che la mamma gli ha sbattuto in valigia). Una mia collega di Cava de’ Tirreni ci ha offerto mozzarelle di bufala campane. È stata festa grande, quel giorno.
Chi è legato alla terra, come dice il nome. Ama la terra, nel senso dei campi da coltivare: ama la terra, nel senso della propria terra; e ama la Terra, con la t maiuscola, perché il terrone è soprattutto un terrestre. Anche se qualcuno lo considera un extraterrestre.
Chi è legato al cielo. Il terrone è umile, cioè vicino all’humus, alla terra. Ma degli umili è il regno dei cieli.
Da “La Gazzetta del Mezzogiorno” del 19 novembre 2010.
C’è sempre, però, chi è più terrone di un altro.
L’infelice battuta di Mandorlini. Il suo Verona giocò e vinse quella finale playoff contro la Salernitana, conquistando la serie B. Nel dopo partita si lasciò andare a frasi poco carine (Ti amo terrone…), che scatenarono una disgustosa rissa in sala stampa. E quando Agroppi, opinionista Rai, lo bacchettò in televisione invitandolo a chiedere scusa per aver offeso il Sud, replicò in modo beffardo: «Tu sei fuori dal mondo». Mandorlini, ravennate di nascita, ha giocato in sei squadre, Ascoli quella più a Sud. E allenato dodici club, più giù di Bologna non è mai sceso. Spesso comportamenti e dichiarazioni sono state tipiche del leghista, il suo capolavoro resta la festa promozione in B, ottenuta contro la Salernitana. Saltellava e ballava con i tifosi gialloblù cantando «Ti amo terrone»: festival del razzismo puro. Travolto da critiche e polemiche, fece spallucce. Qualche mese più tardi ci pensò un napoletano, Aniello Cutolo, a rispondergli per le rime a nome di tutti i terroni: giocava con il Padova, derby veneto a Verona, gol pazzesco del partenopeo da venticinque metri e di corsa ad esultare in faccia a Mandorlini: «Ti amo coglione».
“Ti amo terrone, ti amo terrone, ti amo”. Ve lo ricordate quel coro di Mandorlini? Beh di certo in pochi lo avranno dimenticato. Per questo ieri ne abbiamo scritto. E’ il simbolo di questo Paese dove in uno stadio si canta la Marsigliese per ricordare le vittime degli attentati di Parigi, poi un minuto dopo in quello stesso stadio si consente a quegli stessi tifosi di inneggiare il solito coretto “Vesuvio lavali col fuoco”. Certo, se poi un allenatore del Verona, che lavora in una città ad alto tasso di razzismo, soffia sul fuoco anziché cercare di educare la propria tifoseria, allora la battaglia è proprio persa. “Ti amo terrone”, “Lavali col fuoco”, “Napoli colera”. Per quanto tempo ancora vogliamo andare avanti in questo modo? Fatecelo sapere. Lo capiremo quando anche stavolta, l’ennesima, non arriverà nessuna sanzione realmente incisiva verso chi canta queste schifezze insopportabili.
Giovani padani: "Siamo invasi dai terroni" , scrive Daniele Sensi su “L’Unità”. «Non è giusto, siamo invasi! Ovunque ti giri sei sommerso da ‘sti qui che vogliono comandare loro, mi fanno venire la nausea», sbotta una novarese. «Troppi, ce ne sono troppi, meglio con contarli», ribatte un utente di Mondovì. «Ce ne sono tanti, ma molti dei loro figli crescono innamorati del territorio in cui sono nati e cresciuti», replica un magnanimo iscritto ligure. Ennesimo dibattito su immigrazione e presunte invasioni islamiche? No. Il sito è quello dei Giovani Padani, e l'oggetto della discussione è quanti siano i meridionali residenti nel nord Italia. Non si tratta solo di un divertito passatempo: lamentando la mancanza di dati ufficiali («Purtroppo nessuno ha mai pensato di fare un censimento etnico in Padania, poiché siamo tutti "fratelli italiani"»), sul forum del movimento giovanile leghista con cura e dovizia vengono incrociate fonti diverse per tentare di fornire una risposta all'inquietudine che pare togliere il sonno ad alcuni simpatizzanti. Così, ricorrendo ad una terminologia allarmante e servendosi del censimento del 2001, delle analisi di alcuni studiosi dialettali e di quelle relative alle migrazioni interne del dopoguerra (con una certa approssimazione dovuta all'impossibilità di conteggiare con precisione i «meridionali nati al nord da genitori immigrati o da matrimoni misti padano-meridionali») alla fine, tenendo comunque conto «del tasso di fecondità dei centro-meridionali in base al quale è possibile stimare 3 milioni di discendenti meridionali nati in Padania, compresi i bambini nati da coppie miste», il verdetto è di «9 milioni di individui, tra centro-meridionali etnici e loro discendenti puri o misti». Una stima al ribasso secondo un utente milanese che arriva a denunciare, nelle statistiche, «la mancanza dei clandestini, cioè di quelli che sono qui di fatto ma non hanno domicilio o residenza padane». Dati eccessivamente gonfiati, al contrario, per un altro giovane lombardo, perché «credo proprio che il meridionale al nord, specie se sposato con una padana, figli meno rispetto al meridionale che sta al sud». Una ragazza di Reggio Emilia, invece, pare poco interessata a parametri e variabili: «Non so quanti siano, non mi interessa il numero, so solo che sono troppi e che stanno rovinando una zona che era un'isola felice. Girando per strada difficilmente si incontra un reggiano! Purtroppo stiamo diventando una minoranza e i meridionali la fanno da padrone».
La Lega, si sa, ha oramai ampliato il proprio bacino elettorale, pertanto pure un simpatizzante salernitano si inserisce nella conversazione, e, quasi invocando clemenza («Io sono meridionale ma amo la Lega e odio i terroni che vengono qui al nord per spadroneggiare e per rompere i coglioni»), finisce col cedere allo stesso meccanismo di autodifesa visto attivarsi durante la recente campagna mediatica e politica anti-rom, quando, per riflesso, non pochi cittadini rumeni quasi si sono messi rivendicare distinzioni etniche dai loro connazionali residenti nei campi nomadi, poiché nel gioco all'esclusione c'è sempre chi sta un po' peggio: «Certi meridionali non possono essere espulsi perché italiani, ma, se si potesse fare una bella barca, sopra ci metterei i meridionali che non lavorano e gli extracomunitari, che sono più bastardi dei meridionali». Qualche nordico animatore del forum non indugia nel mostrare comprensione e solidarietà al fratello salernitano, e si affretta a precisare come sia possibile ravvisare differenza tra "meridionali" e "terroni", spiegando che «terrone è colui che arriva e pensa di essere nel suo luogo di origine, e si comporta di conseguenza, tanto che nemmeno si offende se lo chiami terrone». Per taluni, addirittura, il luogo di origine non c'entra proprio nulla, perché «non è la provenienza che fa l'individuo, e nemmeno il sangue o il colore della pelle, ma unicamente l'atteggiamento». L'insistenza dei più ostinati («Se ne dicono tante sui cinesi ma sicuramente li rispetto più di certi meridionali o marocchini o slavi perché almeno lavorano e si fanno i fatti loro») incontra obiezioni dalle quali emergono ulteriori sfumature d'opinione tra i giovani padani, quelli più "cosmopoliti", coinvolti nella surreale disamina, tanto che tra essi diviene possibile distinguere tra filantropi («Di meridionali ne conosco tanti e tanti miei amici sono meridionali, per me un meridionale è colui che è venuto e lavora onestamente»), progressisti («Esempi di integrazione con il passare degli anni si fanno più frequenti, sono esempi da non snobbare ma anzi da far diventare casi di scuola: piano piano li integreremo»), e possibilisti («Un meridionale che lavora e interagisce con gli altri vale quanto un settentrionale»). Su tutti, però, inesorabile cade il richiamo ad un maggior pragmatismo da parte dei realisti: «Siete in ritardo di 40 anni, c'è bel altra gente che invade le nostre città, purtroppo!». Trascorso qualche giorno, sul forum viene avviata una nuova discussione: «Un test per capire a quale sottogruppo della razza caucasica apparteniamo». Un test scientifico, affidabile, perché «per una volta non ci si basa sul colore della pelle, dei capelli e degli occhi, ma sulla forma del cranio».
Non siamo noi razzisti, sono loro che sono napoletani, scrive Francesco Romano su “Onda del Sud”. Trento: “Terrone di merda”. Operaio reagisce all’insulto con un pugno: licenziato. Al centro della discussione fra l’uomo e il caporeparto un ritardo dopo una pausa. Il giudice ha dato ragione all’azienda. “Il Gazzettino.it” di Trento ha riportato la seguente notizia: - Il caporeparto dell’azienda trentina per la quale lavorava lo ha appellato “terrone di merda” e lui, un operaio di origini meridionali, ha reagito all’insulto con un pugno. Per questo è stato licenziato. Al centro della discussione c’era il presunto ritardo dell’operaio dopo una pausa. Al termine dell’accesa discussione, il caporeparto avrebbe mandato via l’operaio dicendo “terrone di merda”. L’operaio avrebbe così reagito sferrando un cazzotto contro il collega, raggiungendolo di striscio. Dopo dieci giorni è arrivato il licenziamento in tronco. Da qui la causa intentata dall’operaio. La sentenza di primo grado del giudice del lavoro di Trento ha dato ragione al caporeparto in quanto «non è possibile affermare anche nei rapporti di lavoro la violenza fisica come strumento di affermazione di sé, anche quando si tratti della mal compresa affermazione del proprio onore». Un concetto ribadito dalla sentenza d’appello che ribadisce come «la violenza fisica non può mai essere giustificata da una provocazione rimasta sul piano verbale». Questo è quello che accade nel profondo Nord. Se non è mobbing questo, che cos’è. “Non siamo noi razzisti, sono loro che sono napoletani” era una vecchissima battuta comica di Francesco Paolantoni. La violenza certamente non ci appartiene ma forse è arrivato il momento di rivoluzionare il significato delle parole. Passare da negativo ad uno positivo. Questa è la cultura leghista che si è affermata al Nord. Dobbiamo subire la discriminazione dell’emigrazione e ci è impedita l’integrazione in questa nazione proprio quando ci apprestiamo a festeggiare i 150 anni dell’unità d’Italia.
Mutuiamo il titolo del libro di Lino Patruno “Alla riscossa Terroni” e “Terroni” di Pino Aprile per farne un motivo di orgoglio meridionale che deve portarci ad invertire una tendenza che data 150 anni. Non rivendichiamo un passato di benessere del Meridione, rivendichiamo un presente migliore per un Sud messo alle corde.
I terroni nascono anche a Gemonio e nelle valli bergamasche, scrive "L'Inkiesta" il 6 aprile 2012. Leggendo le cronache, ma, soprattutto, vedendo le immagini, relative al marciume che sta venendo a galla dai sottoscala leghisti, mi par che si possa dire una grande verità: l'aggettivo spregiativo "terrone" non si può appioppare solo ai meridionali, ma, con grande precisione, anche ai miei conterronei nordici. Devo dire la verità. Io - nordico e fieramente antileghista da molto tempo - che le storie di roma ladrona, dell'uccello duro, del barbarossa, dell'ampolla sul diopò (che, a dire il vero, mi par più una saracca che un rito), di riti celtici, di fazzolettini verdi come il moccio, erano tutte una rozza e ignorante presa per il culo per ammansire i buoi e farsi in comodo i sollazzi propri, ne ero convinto da tempo. Da ben prima che si svegliassero i soliti magistrati (verrà il giorno, in questo paese dei matocchi, che qualche rivoluzione la farò il popolo?), bastava un po' di fiuto per capire che il sottobosco era questo. Ma le vedete le facce del cerchio magico? Ma avete presente la pacchianità della villa di Gemonio? E poi, la priorità alla "family", come la più bieca usanza del troppo noto familismo amorale, perchè parlare di "famigghia" era troppo terrone. Ma il dato è che questi sono - culturalmente, esteticamente e antropologicamente - terroni. Perchè terrone, per me, non è un epiteto riferibile a una provenienza geografica I.G.P.; è uno stile deteriore di rappresentarsi, chiuso, retrivo, in cui il dialetto non è cultura, ma rozzume esibito con orgoglio (e questo vale tanto per i napoletani, quanto per i veneti), in cui prevale la logica del clan su quella della civile società, in cui si deve fare sfoggio dell'ignoranza perchè questo è "popolare". Terrone è un ignorante retrogrado, cafone, ineducato. Con il risultato che il Bossi e la family sprofondano, il terronismo impera e un peloso, stantio e pietistico meridionalismo riprende fiato. Grazie Bossi, grazie leghisti: avete ucciso non solo la dignità del nord, ma anche la speranza vera che una riforma moderna di questo paese, tenuto insieme con una scatarrata, si potesse fare. Ah, dimenticavo. Se qualcuno mi dovesse dire "parla lui, di ignoranza presentata con orgoglio.
Da che pulpito vien il sermone!", dico: "Non perdete tempo in analisi: son diverso e me ne vanto. Si vuol che dica che sono ignorante e delinquente. Bene lo sono, in un mondo di saccenti ed onesti mafiosi, sono orgoglioso di esser diverso. Cosa concludere, di fronte a tali notizie di carattere storico? Questo: trovo triste che i nostri bravi leghisti rinneghino le proprie radici arabe, albanesi, meridionali, mediterranee. Da loro, così orgogliosi della Tradizione, non me lo aspettavo. Anzi dirò di più. Buon per loro avere origini meridionali, perchè ad essere POLENTONI si rischia di avere una considerazione minore che essere TERRONE.
Secondo Wikipedia Il termine polentone è un epiteto, con una connotazione negativa, utilizzato per indicare gli abitanti dell'Italia settentrionale. Origine e significato. Letteralmente significa mangiatore di polenta, un alimento, questo, storicamente molto diffuso nella cucina povera dell'Italia settentrionale. Fino ai primi anni del XX secolo, infatti, la polenta rappresentava l'alimento base, se non esclusivo, delle popolazioni del nord Italia (Lombardia, Veneto, Piemonte ecc.) con conseguenze nefaste sulla salute di molti soggetti spesso vittime della pellagra. Polentone, come stereotipo linguistico, ha assunto, quindi, un significato spregiativo, e sta ad indicare una persona zotica un pò lenta di comprendonio (po' lentone). Il termine si è inserito nella dialettica campanilistica fra abitanti del nord e del sud della penisola, essendo usato in contrapposizione all'appellativo terrone: ambedue le parole hanno connotazioni antietniche, tese a rimarcare una asserita inferiorità etnica e culturale. Lo stesso epiteto è utilizzato in Val Padana, soprattutto in Lombardia (pulentùn), per indicare una persona lenta e dai movimenti goffi e impacciati.
Analisi dei termini offensivi. Il termine polentone è un epiteto, con una connotazione negativa, utilizzato dagli abitanti dell'Italia meridionale per indicare gli abitanti dell'Italia settentrionale, scrive Wikipedia. Letteralmente significa mangiatore di polenta, un alimento, questo, storicamente molto diffuso nella cucina povera dell'Italia settentrionale. Fino ai primi anni del XX secolo, infatti, la polenta rappresentava l'alimento base, se non esclusivo, delle popolazioni del nord Italia (Lombardia, Veneto, Piemonte ecc.) purtroppo con conseguenze nefaste sulla salute di molti soggetti spesso vittime della pellagra, anche se li ha salvati da tante carestie alimentari. Polentone, come stereotipo linguistico, ha assunto, quindi, un significato spregiativo nell'Italia del Sud, e sta ad indicare una persona zotica. Il termine si è inserito nella dialettica campanilistica fra abitanti del nord e del sud della penisola, essendo usato in contrapposizione all'appellativo terrone: ambedue le parole hanno connotazioni antietniche, tese a rimarcare una asserita inferiorità etnica e culturale, anche se spesso usate solo in modo bonario. Lo stesso epiteto è utilizzato in Val Padana, soprattutto in Lombardia (pulentùn), per indicare una persona lenta di comprendonio (tonta) e dai movimenti goffi e impacciati.
La Padania o Patanìa (lett. Terra dei Patanari, coltivatori di patate) si estende in tutte le regioni del nord Italia: dalla Val d'Aosta alla Toscana fino al Friuli Venezia Giulia. È facile collocare geograficamente la Patanìa vera e pura: si traccia una retta che attraversa interamente il Po, passando rigorosamente al centro, perché solo la parte nord del Po è padana. La Padania si definisce anche Barbaria, cioè terra di barbari. Il mito di una terra popolata da eroi celtici, circondata da terribili barbari di matrice slava, è il concetto su cui si basa la Lega Nord. Trascurabile il dettaglio che un tempo la Padania fosse abitata da un'accozzaglia di popoli oltre ai Celti.
Terrone è un termine della lingua italiana, utilizzato dagli abitanti dell'Italia settentrionale e centrale come spregiativo per designare un abitante dell'Italia meridionale, talvolta anche in senso semplicemente scherzoso, scrive Wikipedia. In passato il termine era utilizzato con un altro significato e valenza; solo nel corso degli anni sessanta ha acquisito il senso attuale. Con il termine "terrone" (da teróne, derivazione di terra) si indicava nel XVII secolo un proprietario terriero, o meglio un latifondista. Già tra le Lettere al Magliabechi, l'erudito bibliotecario Antonio Magliabechi (1633-1714) il cui lascito, i cosiddetti Codici Magliabechiani costituiscono un prezioso fondo della Biblioteca Nazionale di Firenze, scriveva (CXXXIV -II - 1277): «Quattro settimane sono scrissi a Vostra Signoria illustrissima e l'informai del brutto tiro che ci fanno questi signori teroni di volerci scacciare dal partito delle galere, contro ogni equità e giustizia, già che ho lavorato tant'anni per terminarlo, e ora che vedano il negozio buono, lo vogliono per loro». Il termine in seguito fu utilizzato per denominare chi era originario dell'Italia meridionale e con particolare riferimento a chi emigrava dal Sud al Nord in cerca di lavoro, al pari dei nordici milanesi, etichettati come baggiani, che emigravano nelle valli del Bergamasco, come menzionato da Alessandro Manzoni. Il termine si diffuse dai grandi centri urbani dell'Italia settentrionale con connotazione spesso fortemente spregiativa e ingiuriosa e, come altri vocaboli della lingua italiana (quali villano, contadino, burino e cafone) stava per indicare "servo della gleba" e "bracciante agricolo" ed era riferita agli immigrati del meridione. Gli immigrati venivano quindi considerati, sia pure a livello di folklore, quasi dei contadini sottosviluppati. Il termine, che deriva evidentemente da "terra" con un suffisso con valore d'agente o di appartenenza (nel senso di persona appartenente strettamente alla terra) è stato variamente interpretato come frutto di incrocio fra terre (moto) e (meridi)one, come "mangiatore di terra" parallelamente a polentone, "mangiapolenta", cioè l'italiano del nord; come "persona dal colore scuro della pelle, simile alla terra" o anche come "originario di terre soggette a terremoti" ("terre matte", "terre ballerine"). Il suo maggiore utilizzo data comunque essenzialmente agli anni sessanta e settanta e limitatamente ad alcune zone del nord Italia, in seguito alla forte ondata di emigrazione di lavoratori e contadini del meridione d'Italia in cerca di lavoro verso le industrie del nord e in particolare del triangolo industriale (Genova – Milano – Torino). In tale ambito si spiega anche la diffusione del termine: storicamente, grossi movimenti di popolazioni hanno sempre portato con sé anche fenomeni di intolleranza o razzismo più o meno larvati. Successivamente, allo stesso modo è sorta la locuzione "terrone del nord", generalmente per indicare gli italiani del nord-est (principalmente i veneti, detti "boari"), che per ragioni simili cominciarono negli stessi anni ad emigrare verso il nord-ovest, venendo così accomunati agli emigranti meridionali. Il riconoscimento di terrone come insulto e non come termine folkloristico è un processo che storicamente ha subito molte battute d'arresto e incomprensioni, probabilmente dovute al fatto che solo una parte della popolazione italiana ne riconosceva pienamente la gravità e il suo carattere offensivo. La Corte di Cassazione ha ufficialmente riconosciuto che tale termine ha un'accezione offensiva, confermando una sentenza del Giudice di Pace di Savona e confermando che la persona che l'aveva pronunciata dovesse risarcire la persona offesa dei danni morali. Spesso vengono associati a questo epiteto caratteristiche personali negative, tra le quali ignoranza, scarsa voglia di lavorare, disprezzo di alcune norme igieniche e soprattutto civiche. Analogamente, soprattutto in alcune accezioni gergali, il termine ha sempre più assunto il significato di "persona rozza" ovvero priva di gusto nel vestire, inelegante e pacchiana, dai modi inurbani e maleducata, restando un insulto finalizzato a chiari intenti discriminatori. Inoltre vengono spesso associati al termine anche tratti somatici e fisici, come la carnagione scura, la bassa statura, le gote alte, caratteristiche fisiche storicamente preponderanti al Sud rispetto al Nord Italia.
In conclusione c’è da affermare che bisogna essere orgogliosi di essere meridionali. Il meridionale non è migrante: è viaggiante con nostalgia e lascia il cuore nella terra natia.
Chi proferisce ingiurie ad altri o a se stesso con il termine terrone non resta che rispondergli: SEI SOLO UN COGLIONE.
Antonio Giangrande: “LEGOPOLI. LEGA DA LEGARE. TUTTO SULLA LEGA NORD. QUELLO CHE NON SI OSA DIRE”.
Il libro di Antonio Giangrande.
Il paradosso di chi, bue, chiama cornuto l’asino. I barbari padani si son sempre lavati la bocca a suon d’insulti sul popolo meridionale, per nascondere la loro insipienza. Con il libro “Legopoli. Lega da legare. Tutto sulla Lega nord. Quello che non si osa dire” si butta una luce abbagliante non solo sulla Lega ed i suoi elettori, ma su tutto il nord Italia in generale. Il saggio non parla di politica ma di un modo di pensare insito nella gente del nord: indica la pagliuzza negli occhi altrui e non vede la trave nei suoi occhi.
Vediamo chi sono.
Da quando esiste l’Unità d’Italia esiste la diatriba, politica o meno, fondata o meno, sulla differenza, prima culturale e poi economica, tra il Nord ed il Sud d’Italia. Questa lotta fratricida rende più debole una nazione con enormi potenzialità. Di sicuro ne esce malconcia la credibilità del paese e delle sue istituzioni, come se non bastasse quanto già avvenuto prima con gli scandali. E’ da venti anni che studio il sistema Italia, a carattere locale come a livello nazionale. Da queste indagini ne sono scaturiti decine di saggi letti in tutto il mondo, ma che mi sono valsi l’ostruzionismo dei media nazionali. Pennivendoli venduti all’economia ed alla politica.
Quante volte ci hanno umiliato con i loro giudizi sferzanti. Chi? Ma la civilissima gente del Nord. Sud che vai, degrado che trovi: dicono loro. Se poi sono solo loro ad avere voce nel mondo dell’informazione. Be’ allora. Ma ora nel mondo dell’editoria alternativa c’è un saggio che parla di loro, e rende pan per focaccia. Non è un libro che parla della civilissima gente del nord che da turista, ospite in casa nostra, esprime tutta la sua inciviltà: che fanno la pipì dentro un cestino, che decidono di lavarsi nelle fontane artistiche. Ne vediamo di tutti i colori: dalle auto che si ritrovano in fondamenta o sulle scalinate, ai campeggiatori tra i parcheggi, dalle docce di svariata natura, nudi dietro un camper, o, appunto, con il solo costume a due passi dalle piazze più belle, o ai tuffi sotto i ponti cittadini. Da quelli che si presentano nelle piazze architettoniche col pranzo al sacco e tavolino da pic-nic sotto braccio. Come andassero a una scampagnata fuori porta. Quante volte abbiamo visto frequenti bivacchi a base di riso o pasta. Di gente che cambia il pannolino ai bambini lavandoli alla fontanella o di altri che si fanno la pedicure proprio lì. Non sono sempre barbari che vengono da lontano, da oltre le alpi, o che viaggiano col passaporto. Quante volte i turisti sono finiti su YouTube filmati dai cellulari dei passanti mentre facevano l'amore vicino alle statue o che prendevano il sole nelle aiuole come fossero in spiaggia: asciugamano disteso, bikini e crema solare. E quelli che con firme e pensieri lasciano la traccia della loro imbecillità sui muri dei monumenti? C’è chi fa pipì in strada incurante dei divieti. Di giorno c'è chi usa le fontane per refrigerare i piedi, chi i ponti per lasciare scritte a pennarello o lucchetti e buttare via la chiave. Tanto c' è sempre qualcuno che rimedia, ripulisce, raccoglie. Quelli che di notte schiamazzano e di giorno vanno in giro in costume da bagno lungo le vie o le piazze del paese. Capita spesso di trovare visitatori con le scarpe appoggiate ai muri dei musei o delle opere d’arte o di qualunque manufatto o che si debbano ripulire le panchine dai chewingum. E poi quelli che contestano i prezzi del soggiorno o del servizio, minacciando ricorsi, con l’intento di scroccare la vacanza. Che abbiano bisogno di noi meridionali per saper come ci si deve comportare? Lezione di stile o soltanto di educazione?
Secondo i documenti ufficiali, quando i piemontesi “occuparono” Caserta appropriandosi della Reggia, nell’inventario ufficiale delle bellezze e dei tesori ritrovati all’interno delle stanze, il bidet non fu riconosciuto. Assolutamente ignari della funzione di quello strano arnese, i piemontesi scrissero nel loro registro “Oggetto sconosciuto a forma di chitarra”. Basta fare due conti, anche abbastanza approssimativi, per trarre una conclusione inevitabile: “Quando a Napoli ci lavavamo il sedere, nel resto d’Italia proliferavano piattole, sporcizia e sudiciume..” e poi quelli che hanno bisogno di una lavata, saremmo noi?
Proprio per questo nel libro si parla di loro, ma in casa loro. Tutto quello che non si dice.
Dr Antonio Giangrande: Quando qualcuno, bianco o nero, cristiano, mussulmano o induista, ricco o povero, gay o etero, italiano o straniero, entra in casa nostra senza permesso è occupazione.
Quando questo qualcuno ci occupa casa e ci impone di sostentarlo è assoggettamento.
Quando qualcuno ci assoggetta e ci obbliga di abbracciare la sua cultura e la sua religione è invasione.
Quando qualcuno ci invade e noi ci rifiutiamo e reagiamo e questo poi ci mette la bomba in casa e/o ci uccide è conquista.
Bene. Se la legge è uguale per tutti, per tutti va applicata anche in caso di conquista di beni e persone. Quindi, di cosa stiamo parlando?
Io non sono razzista e fascista: chiedo solo rispetto! A chiunque suoni alla mia porta e chiede permesso io lo faccio entrare! E se chiede aiuto io lo aiuto.
Però non voglio essere occupato, assoggettato, invaso, conquistato o addirittura ucciso: sono razzista e fascista?
Antonio Giangrande: Inglesi e padani. Quello che sono e quello che appaiono.
Oggi 12 luglio 2021. All’indomani dello spettacolo indegno del razzismo inglese contro gli italiani, ma ancor più grave, contro i loro neri che hanno sbagliato i rigori.
I tifosi inglesi hanno dileggiato l’inno e la bandiera italiana e picchiato gli italiani allo stadio.
I giocatori hanno rifiutato la medaglia ed i reali hanno rifiutato di premiare gli avversari.
Gli arroganti se ne fottono se gli altri del Regno Unito tifavano contro di loro.
Così era in tutta Europa.
Essere Razzisti significa essere coglioni (cafoni ignoranti).
La mia constatazione: gli italiani ed in special modo i meridionali nel ‘900 erano poveri, ignoranti e cafoni. E ci stava sopportare le angherie.
La mia domanda è: nel 2021 cosa costringe la gente italiana e meridionale scolarizzata ed emancipata ad essere sfruttata e votata ad arricchire dei coglioni?
Per poi diventare come loro?
Return Home- tornate a casa. Create ricchezza nel vostro paese. Lì, al nord o all'estero, sarete sempre dei profughi.
Hanno solo i media che li esaltano e per questo si decantano. Ma la loro natura la si conosce quando perdono: non sanno perdere, perché si sentono superiori. Peccato che non lo sono. Forse nel ‘900. Non nel 2021.
Ricordate: da loro si va solo per lavorare e non per visitare. Per questo sono cattivi.
Da noi si viene (forse in troppi) per vivere bene e conoscere la bellezza che loro non hanno. Per questo siamo buoni.
Foibe: le vittime della realpolitik. Il silenzio degli ignavi italiani sotto il giogo occidentale. Il comunista dittatore sanguinario Tito per battere il comunista dittatore sanguinario Stalin.
Contro l’estinzione dell’italianità. Un fiocco o nastro nero per gli emarginati, diseredati, gli ingiustamente condannati o detenuti, i tartassati e le vittime dei reati impuniti e comunque vittime di ingiustizie. Italiani dimenticati dal politicamente corretto e dalla politica oligarchica che li valuta meno di gay ed immigrati. Basta con il comunismo di destra (fascismo) ed il comunismo di sinistra (stalinismo) e con l’ostentazione fuori luogo della loro religione.
La Democrazia non è la Libertà.
La libertà è vivere con libero arbitrio nel rispetto della libertà altrui.
La democrazia è la dittatura di idioti che manipolano orde di imbecilli ignoranti e voltagabbana.
Per questo un popolo di coglioni sarà sempre governato ed amministrato, giudicato ed informato, educato ed istruito da coglioni.
Se questa è democrazia…
Riportiamo l’opinione del sociologo storico Antonio Giangrande, autore del saggio “Governopoli” e di tanti saggi dedicati per ogni fazione politica presente in Parlamento.
Se questa è democrazia…
I nostri politici sono solo mediocri amministratori improvvisati assetati di un potere immeritato. Governanti sono coloro che prevedono e governano gli eventi, riformando ogni norma intralciante la modernità ed il progresso, senza ausilio di leggi estemporanee ed improvvisate per dirimere i prevedibili imprevisti.
I liberali sono una parte politica atea e senza ideologia. Credono solo nella libertà, il loro principio fondante ed unico, che vieta il necessario e permette tutto a tutti, consentendo ai poveri, se capaci, di diventare ricchi. Io sono un liberale ed i liberali, sin dall’avvento del socialismo, sono mal tollerati perché contro lobbies e caste di incapaci. Con loro si avrebbe la meritocrazia, ma sono osteggiati dai giornalisti che ne inibiscono la visibilità.
I popolari (o populisti) sono la maggiore forza politica fondata sull’ipocrisia e sulle confessioni religiose. Vietano tutto, ma, allo stesso tempo, perdonano tutto, permettendo, di fatto, tutto a tutti. Sono l’emblema del gattopardismo. Con loro non cambia mai niente. Loro sono l’emblema del familismo, della raccomandazione e della corruzione, forte merce di scambio alle elezioni. Si infiltrano spesso in altre fazioni politiche impedendone le loro peculiari politiche ed agevolano il voltagabbanesimo.
I socialisti (fascisti e derivati; comunisti e derivati) sono una forza politica ideologica e confessionale di natura scissionista e frammentista e falsamente moralista, a carattere demagogico ed ipocrita. Cattivi, invidiosi e vendicativi. La loro confessione, più che ideologia, si fonda sul lavoro, sulle tasse e sul fisco. Rappresenterebbe la classe sociale meno abbiente. Illude i poveri di volerli aiutare, carpendone i voti fiduciari, ma, di fatto, impedisce loro la scalata sociale, livellando in basso la società civile, verso un progressivo decadimento, in quanto vieta tutto a tutti, condanna tutto e tutti, tranne a se stessi. Si caratterizzano dalla abnorme produzione normativa di divieti e sanzioni, allargando in modo spropositato il tema della legalità, e dal monopolio culturale. Con loro cambierebbe in peggio, in quanto inibiscono ogni iniziativa economica e culturale, perché, senza volerlo si vivrebbe nell’illegalità, ignorando, senza colpa, un loro dettato legislativo, incorrendo in inevitabili sanzioni, poste a sostentare il parassitismo statale con la prolificazione di enti e organi di controllo e con l’allargamento dell’apparato amministrativo pubblico. L’idea socialista ha infestato le politiche comunitarie europee.
Per il poltronificio l’ortodossia ideologica ha ceduto alla promiscuità ed ha partorito un sistema spurio e depravato, producendo immobilismo, oppressione fiscale, corruzione e raccomandazione, giustizialismo ed odio/razzismo territoriale.
La gente non va a votare perché il giornalismo prezzolato e raccomandato propaganda i vecchi tromboni e la vecchia politica, impedendo la visibilità alle nuove idee progressiste. La Stampa e la tv nasconde l’odio della gente verso questi politici. Propagandano come democratica l’elezione di un Parlamento votato dalla metà degli elettori. Ed un terzo di questo Parlamento è formato da un movimento di protesta. Quindi avremo un Governo di amministratori (e non di governanti) che rappresenta solo la promiscuità, e la loro riconoscente parte amicale, ed estremamente minoritaria.
Nord e Sud ed i ladri e razzisti dentro. "Sbagliato dare gli stessi stipendi a Milano e Reggio Calabria" dice il sinistro Beppe Sala, sindaco di Milano. Dovrebbe sapere, lui, se fosse solo ignorante e non in malafede, che a parità di stipendio il maggiore costo della vita elevato al Nord va a pareggiare i maggiori costi dei diritti negati al Sud, a causa del ladrocinio padano dei Fondi nazionali e comunitari destinati al meridione. Da buoni comunisti (Padani) per loro vale il detto: “quello che è mio è mio; quello che è tuo è pure mio”. Antonio Giangrande
Antonio Giangrande: Il Turista fai da te. Il Salento e l’orda dei profughi.
Arrivano in massa, senza soldi e con la litania lamentosa e diffamatoria: perché qua è diverso?
L’osservazione del dr. Antonio Giangrande. Scrittore, sociologo storico, giurista, blogger, youtuber, presidente dell’Associazione Contro Tutte le Mafie.
La meta del turista fai da te che arriva in Salento è il mare, il sole, il vento ma è stantio a metter mano nel portafogli e nell’intelletto. C’è tanta quantità, ma poca qualità.
Il turista fai da te che arriva nel Salento è come un profugo in cerca spasmodica di benessere gratuito. Crede nei luoghi comuni e nei pregiudizi, nelle false promesse e nelle rappresentazioni menzognere mediatiche.
E’ un emigrante con la seconda casa abusiva, oppure con prenotazione diretta last minute, al netto dell’agenzia, prende un appartamento con locazione al ribasso e con pretesa di accesso al mare. Si aggrega in gruppo per pagare ancora meno. Ma a lui sembra ancora tanto. Poi si meraviglia della sguaiatezza di ciò che ha trovato. Tutto l’anno fa la spesa nei centri commerciali e pretende di trovarli a ridosso del mare. Non vuol fare qualche kilometro per andare al centro commerciale più vicino, di cui i paesi limitrofi son pieni, e si lamenta dei prezzi del negozietto stagionale sotto casa. Durante l’anno non ha mai mangiato una pizza al tavolo e quando lo fa in vacanza se ne lamenta del costo. Vero è che il furbetto salentino lo trovi sempre, ma anche in Puglia c’è la legge del mercato: cambia pizzeria per il prezzo giusto.
Il turista fai da te tutto l’anno vive in palazzoni anonimi, arriva in Salento e si chiude nel tugurio che ha affittato con poco e poi si lamenta del fatto che in loco non c’è niente, nonostante sia arrivato nel Salento, dove ogni dì è festa di sagre e rappresentazioni storiche e di visite culturali, che lui non ha mai frequentato perché non si sposta da casa sua. Comunque una tintarella a piè di battigia del mare cristallino salentino è già una soddisfazione che non ha prezzo.
Il turista fai da te si lamenta del fatto che sta meglio a casa sua (dove si sta peggio per cognizione di causa) e che qui non vuol più tornare, ma, nonostante il piagnisteo, ogni anno te lo ritrovi nella spiaggia libera vicino al tuo ombrellone. Si lamenta della mancanza di infrastrutture. Accuse proferite in riferimento a zone ambientali protette dove è vietato urbanizzare e di cui egli ne gode la bellezza. A casa sua ha lasciato sporcizia e disservizi, ma si lamenta della sporcizia e della mancanza di servizi stagionali sulle spiagge. Intanto, però, tra una battuta e l’altra, butta cicche di sigaretta e cartacce sulla spiaggia e viola ogni norma giuridica e morale. La raccolta differenziata dei rifiuti, poi, non sa cosa sia. Ogni discorso aperto per socializzare si chiude con l’accusa ai meridionali di sperperare i soldi pagati da lui. Lui, ignorante, brutto e cafone, che risulta essere, anche, evasore fiscale.
Il turista fai da te lamentoso è come il profugo: viene in Salento e si aspetta osanna, vitto e alloggio gratis di Boldriniana fattura. Ma nel Salento accogliente, rispettoso e tollerante allora sì che trova un bel: Vaffanculo…
Dr Antonio Giangrande
Antonio Giangrande: Turismo e risorse ambientali. “Ci vogliono brutti, sporchi e cattivi”
19 settembre 2016. Dibattito pubblico a Otranto, in Puglia, sul tema: "Prospettive a Mezzogiorno".
Il resoconto del dr. Antonio Giangrande. Scrittore, sociologo storico, giurista, blogger, youtuber, presidente dell’Associazione Contro Tutte le Mafie.
Nel Salento: sole, mare e vento. Terra di emigrazione e di sotto sviluppo economico e sociale dei giovani locali. Salentini che emigrano per mancanza di lavoro…spesso con un diploma dell’istituto alberghiero. Salentini che perennemente si lamentano della mancanza di infrastrutture per uno sviluppo economico e che reiteratamente protestano per i consueti disservizi sulle coste e sui luoghi di cultura. Salentini con lo stipendio pubblico che si improvvisano ambientalisti affinchè si ritorni all’Era della pietra. Salentini con la sindrome di Nimby: sempre no ad ogni proposta di sviluppo sociale ed economico, sia mai che i giovani alzino la testa a danno delle strutture politiche padronali. Il fenomeno, ben noto, si chiama “Nimby”, iniziali dell’inglese Not In My Backyard (non nel mio cortile), ossia la protesta contro opere di interesse pubblico che si teme possano avere effetti negativi sul territorio in cui vengono costruite. I veti locali e l’immobilismo decisionale ostacolano progetti strategici e sono il primo nemico per lo sviluppo dell’Italia. Le contestazioni promosse dai cittadini sono “cavalcate” (con perfetta par condicio) dalle opposizioni e dagli stessi amministratori locali, impegnati a contenere ogni eventuale perdita di consenso e ad allontanare nel tempo qualsiasi decisione degna di tale nome. La fotografia che emerge è quella di un paese vecchio, conservatore, refrattario ad ogni cambiamento. Che non attrae investimenti perché è ideologicamente contrario al rischio d’impresa. Il risultato, sotto gli occhi di tutti, è la tendenza allo stallo. Quella che i sociologi definiscono “la tirannia dello status quo”, cioè dello stato di fatto, quasi sempre insoddisfacente e non preferito da nessuno. Salentini che dalla nascita fin alla morte si accompagnano con le stesse facce di amministratori pubblici retrogradi che causano il sottosviluppo e che usano ancora il metro di misura dei loro albori politici: per decenni sempre gli stessi senza soluzione di continuità e di aggiornamento.
Presente al convegno Flavio Briatore, fine conoscitore del tema, boccia il modello turistico italiano, partendo proprio dalla Sardegna del suo Billionaire. Intanto per il caro trasporti: «Hanno un'isola e non lo sanno - dice Briatore alla platea del convegno - pensano che la gente arrivi per caso. La gente arriva o via mare o via aerea: sono due monopoli, per cui fanno i prezzi (che vogliono). Se tu vai da Barcellona a Maiorca, quattro persone sul traghetto spendono 600 euro. Da Genova ad Alghero ne spendono 1600. L'80 per cento degli amministratori - aggiunge ancora Briatore - non ha mai preso un aereo. Come si fa a parlare di turismo senza averlo mai visto?».
Briatore è poi passato alla Puglia, dove nell’estate 2017 aprirà il Twiga Beach di Otranto grazie a una cordata di imprenditori locali ed ha criticato l'offerta turistica del territorio, sottolineando in particolare la mancanza di servizi adeguati alle esigenze dei turisti più facoltosi, sorvolando sulla mancanza di infrastrutture primarie: «Se volete il turismo servono i grandi marchi e non la pensione Mariuccia, non bastano prati, né musei, il turismo di cultura prende una fascia bassa di ospiti, mentre il turismo degli yacht è quello che porta i soldi, perché una barca da 70 metri può spendere fino a 25mila euro al giorno. Masserie e casette, villaggi turistici, hotel a due e tre stelle, tutta roba che va bene per chi vuole spendere poco - ha affermato Briatore - ma non porterà qui chi ha molto denaro. Ci sono persone che spendono 10-20mila euro al giorno quando sono in vacanza, ma a questi turisti non bastano cascine e musei, prati e scogliere - ha continuato l'imprenditore - io so bene come ragiona chi ha molti soldi: vogliono hotel extralusso, porti per i loro yacht e tanto divertimento». Non poteva essere altrimenti: Briatore ha puntato il dito sulle mancanze di infrastrutture a sostegno di quelle strutture turistiche mancanti ad uso e consumo di un’utenza diversificata e non solo mirata ad un turismo di massa che non guarda alla qualità dei servizi ed alla mancanza di infrastrutture. Una semplice analisi di un esperto. Una banalità. Invece...
Sulle affermazioni di Briatore si è scatenato un acceso dibattito, in particolare sui social: centinaia i commenti, quasi tutti contro.
I contro, come prevedibile, sono coloro che sono stati punti nel nerbo, ossia gli amministratori incapaci di dare sviluppo economico e risposte ai ragazzi che emigrano e quei piccoli imprenditori che con dilettantismo muovono un giro di affari di turismo di massa a basso consumo con scarsa qualità di servizio.
L’assessore regionale Sardo Maninchedda: «A parole stupide preferisco non rispondere».
Francesco Caizzi, presidente di Federalberghi Puglia replica alle parole dell’imprenditore: «La Puglia non è Montecarlo, Briatore si rassegni. La Puglia ha hotel che vanno dai 2 stelle ai 5 stelle, dai bed & breakfast agli affittacamere. Sono strutture per tutte le tasche e le esigenze, ma con un unico denominatore comune: rispettano l’identità del luogo. Questo significa che non ci si può aspettare un’autostrada a 4 corsie per raggiungere una masseria. È probabile che si dovrà percorrere un tratto di sterrato, ma nessuno ha mai avuto da ridire su questo. Anzi, fa parte del fascino del luogo».
Loredana Capone, assessore imperituri (governo Vendola per 10 anni e con il Governo Emiliano), che ha concluso da poco un lavoro di diversi mesi sul piano strategico del turismo, ha illustrato il punto di vista di un eterno amministratore pubblico: «Dobbiamo partire da quello che abbiamo per puntare ai mercati internazionali. Come stiamo nei mercati? Prima di tutto evitando qualsiasi rischio di speculazione e abusivismo. È puntando sulla valorizzazione del patrimonio, residenze storiche, masserie, borghi, che saremo in grado di offrire un turismo di qualità, capace di portare ricchezza. Non i grandi alberghi uguali dappertutto, modelli omologati e omologanti. Anche gli investimenti internazionali puntano al recupero più che alla nuove costruzioni».
La visione di Briatore proprio non piace a Sergio Blasi, altro esponente eterno del Pd che si è detto disponibile a concorrere alla primarie del centrosinistra a Lecce: «Briatore punta alla creazione di non-luoghi riservati all’accesso esclusivo di una élite economica ad altissima qualità di spesa, nei quali conta chi sei prima di entrare e non quello che sarai diventato alla fine del tuo viaggio o della tua vacanza. Io la ritengo una prospettiva poco interessante per il Salento. E lo dico da persona che ha criticato fortemente la svolta “di massa” di alcune attrazioni, che a furia di sbandierare numeri sempre più alti finiscono per rovinare più che per valorizzare le opportunità di crescita. Ma esiste un mezzo – ha proseguito nel suo post l’ex segretario regionale del Pd - nel quale collocare un’offerta turistica che sia in grado di valorizzare le potenzialità inespresse, e sono tante, garantendo al contempo una “selezione” non in base al ceto sociale quanto agli interessi e alle aspettative del turista. Noi dobbiamo guardare ad un turismo che apprezza la cultura, anche quella popolare, la natura e il paesaggio. Che apprezza i musei e i centri storici tanto quanto il buon vino e il buon cibo. Che sia in grado di apprezzare e rispettare la terra che visita e di non farci perdere il rispetto per noi stessi».
Per Albano Carrisi: “La Puglia piace così!”
Naturalmente l’Italia degli invidiosi, che odiano la ricchezza, quella ricchezza che forma le opportunità di lavoro per chi poi, senza quell’occasione è costretto ad emigrare, non ha notato la luna, ma ha guardato il dito. Il discorso di Briatore non è passato inosservato sul web dove alcuni utenti classisti, stupidi ed ignoranti hanno manifestato subito il loro disappunto. "Tranquillo Briatore, i parassiti milionari che viaggiano e non pagano non ce li vogliamo in Puglia", ha commentato un internauta, "Noi vogliamo musei e prati perché vogliamo gente che ami cultura e natura. Gli alberghi di lusso fateli a Dubai", ha ribattuto un altro.
Ci vogliono brutti, sporchi e cattivi. E’ chiaro che il Salento quello ha come risorsa: sole, mare e vento. E quelle risorse deve sfruttare: in termini di agricoltura, ma anche in termini di turismo, essendo l’approdo del mediterraneo. E’ lapalissiano che le piccole e le grandi realtà turistiche possono coesistere e la Puglia e il Salento possono essere benissimo l’alcova di tutti i ceti sociali e di tutte le esigenze. E se poi le grandi strutture turistiche incentivano opere pubbliche eternamente mancanti a vantaggio del territorio, ben vengano: il doppio binario, strade decenti al posto delle mulattiere, aeroporti, collegamenti ferro-gommati pubblici accettabili per i pendolari ed i turisti, ecc.. Ma il sunto del discorso è questo. Salento: sole, mare e vento. Ossia un luogo di paesini e paesoni agricoli a vocazione contadina con il mito tradizionale della “taranta” e della “pizzica”. E da buoni agricoltori, i salentini, da sempre, la loro costa non la considerano come una risorsa turistica da sfruttare, (né saprebbero come fare, perché non è nelle loro capacità), ma bensì semplicemente come dei terreni agricoli non coltivati a vigna od ulivi ed edificati abusivamente, perciò da trascurare. Ed i contadini poveri ed ignoranti, si sa, son sottomessi al potere dei politicanti masso-mafiosi locali.
Stesso discorso va ampliato in tutto il Sud Italia. Gente meridionale: Terroni e mafiosi agli occhi dei settentrionali, che invidiano chi ha sole, mare e vento, e non si fa niente per smentirli, proprio per mancanza di cultura e prospettive di sviluppo autonomo della gente del sud: frignona, contestataria e nel frattempo refrattaria ad ogni cambiamento e ad una autonoma e propria iniziativa, politica, economica e sociale.
Allora chi è causa del suo mal, pianga se stesso.
Dr Antonio Giangrande Scrittore, sociologo storico, giurista, blogger, youtuber, presidente dell’Associazione Contro Tutte le Mafie.
Antonio Giangrande: I cinquestelle, nel loro totale giustizialismo, inesperienza, imperizia, non aiutano i poveri con il reddito di cittadinanza.
Il loro sistema di sostegno populista aiuta i nullatenenti ritenuti in apparenza onesti, non i poveri, non gli emarginati.
Se, per esempio, un disoccupato riceve dai genitori in eredità un vecchio rudere, che per il fisco valuta più dei limiti di valore dai pentastellati stabiliti, non ha diritto al reddito di cittadinanza, sempre che non rinuncia all’eredità.
Non può accettarlo e cederlo. Se lo vende supera il reddito previsto o la giacenza in banca.
Se, per esempio, una vittima di ingiustizia o oggetto delle circostanze, si ritrova emarginato e bisognoso, ad esso il reddito di cittadinanza è escluso, tanto da reindurlo al crimine per campare.
Antonio Giangrande: Buon Primo maggio. La festa dei nullafacenti.
Editoriale del Dr Antonio Giangrande. Scrittore, sociologo storico, giurista, blogger, youtuber, presidente dell’Associazione Contro Tutte le Mafie ONLUS, che sul tema ha scritto alcuni saggi di approfondimento come "Uguaglianziopoli. L'Italia delle disuguaglianze" e "Caporalato. Ipocrisia e speculazione".
Il primo maggio è la festa di quel che resta dei lavoratori e da un po’ di anni, a Taranto, si festeggiano i lavoratori nel senso più nefasto della parola. Vogliono mandare a casa migliaia di veri lavoratori, lasciando sul lastrico le loro famiglie. Il Governatore della Puglia Michele Emiliano, i No Tap, i No Tav, il comitato “Liberi e Pensanti”, un coacervo di stampo grillino, insomma, non chiedono il risanamento dell’Ilva, nel rispetto del diritto alla salute, ma chiedono la totale chiusura dell’Ilva a dispregio del diritto al lavoro, che da queste parti è un privilegio assai raro.
Vediamo un po’ perché li si definisce nullafacenti festaioli?
Secondo l’Istat gli occupati in Italia sono 23.130.000. Ma a spulciare i numeri qualcosa non torna.
Prendiamo come spunto il programma "Quelli che... dopo il TG" su Rai 2. Un diverso punto di vista, uno sguardo comico e dissacrante sulle notizie appena date dal telegiornale e anche su ciò che il TG non ha detto. Conduttori Luca Bizzarri, Paolo Kessisoglu e Mia Ceran. Il programma andato in onda il primo maggio 2018 alle ore 21,05, dopo, appunto, il Tg2.
«Primo maggio festa dei lavoratori. Noi abbiamo pensato una cosa: tutti questi lavoratori che festeggiano, vediamo tutte ste feste. Allora noi ci siamo chiesti: Quanti sono quelli che lavorano in Italia. Perchè saranno ben tanti no?
Siamo 60.905.976 (al 21 ottobre 2016). Però facciamo così.
Togliamo quelli sotto i sei anni: 3.305.574 = 57.600.402 che lavorano;
Togliamo quelli sopra gli ottant’anni: 4.264.308 = 53.336.094 che lavorano;
Togliamo gli scolari, gli studenti e gli universitari: 10.592. 685 = 42.743.409 che lavorano;
Togliamo i pensionati e gli invalidi: 19.374.168 = 23.369.241 che lavorano;
Togliamo anche artisti, sportivi ed animatori: 3.835.674 = 19.533.567 che lavorano;
Togliamo ancora assenteisti, furbetti del cartellino, forestali siciliani, detenuti e falsi invalidi: 9.487.331 = 10.046.236 che lavorano;
Togliamo blogger, influencer e social media menager: 2.234.985 = 7.811.251 che lavorano;
Togliamo spacciatori, prostitute, giornalisti, avvocati, (omettono magistrati, notai, maestri e professori), commercialisti, preti, suore e frati: 5.654.320 = 2.156.931 che lavorano;
Ultimo taglietto, nobili decaduti, neo borbonici, mantenuti, direttori e dirigenti Rai: 1.727.771 = 429.160 che lavorano».
Questo il conto tenuto da Luca e Paolo con numeri verosimili alle fonti ufficiali, facilmente verificabili. In verità a loro risulta che a rimanere a lavorare sono solo loro due, ma tant’è.
Per non parlare dei disoccupati veri e propri che a far data aprile 2018 si contano così a 2.835.000.
In aggiunta togliamo i 450.000 dipendenti della pubblica amministrazione dei reparti sicurezza e difesa. Quelli che per il pronto intervento li chiami ed arrivano quando più non servono.
Togliamo ancora malati, degenti e medici (con numero da precisare) come gli operatori del reparto di ortopedia e traumatologia dell’Ospedale di Manduria “Giannuzzi”. In quel reparto i ricoverati, più che degenti, sono detenuti in attesa di giudizio, in quanto per giorni attendono quell’intervento, che prima o poi arriverà, sempre che la natura non faccia il suo corso facendo saldare naturalmente le ossa rotte.
A proposito di saldare. A questo punto non solo non ci sono più lavoratori, ma bisogna aspettare quelli futuri per saldare il conto.
Al primo maggio, sembra, quindi, che a conti fatti, i nullafacenti vogliono festeggiare a modo loro i pochi veri lavoratori rimasti, condannandoli alla disoccupazione. Ultimi lavoratori rimasti, che, bontà loro, non fanno più parte nemmeno della numerica ufficiale.
La morte della Politica: L’Opinionismo. Ideologia personale e forma di Governo:
Una volta si parlava di ideologia. Lo spunto era economico:
1 Comunismo-Economia pianificata a tutela dei più deboli.
2 Liberismo o Liberalismo-Economia basata sul libero Mercato.
La scelta di Governo era data da quella maggioranza di cittadini che sposava una Ideologia, anziché l'altra.
Oggi domina il primato del parere personale.
I Fatti son fatti oggettivi naturali e rimangono tali.
Chi conosce i fatti si chiama esperto ed esprime pareri.
Chi non conosce i fatti esprime opinioni e si chiama opinionista.
Le opinioni sono atti soggettivi cangianti.
Le opinioni se sono oggetto di discussione ed approfondimento, in TV diventano testimonianze.
Nel valutare ed esprimere giudizi ci si deve affidare ai pareri degli esperti di chiara credibilità ed attendibilità, discernendole dalle opinioni di gente ignorante sul tema in discussione.
Le opinioni si identificano in varie forme secondo da chi vengono profuse:
Editoriale per i giornalisti.
Corrente di pensiero per gli Intellettuali.
Motivazione per i Giudici.
Parere per gli esperti.
La cronaca e quell’irresistibile corsa a creare mostri: senza linciaggio vi sentite meno buoni?
Secondo Piero Sansonetti fior di intellettuali mobilitati per spiegarci come è possibile la loro perfidia, chi l’ha generata, quanto sta degenerando la nostra gioventù, i telefonini, i videogiochi, la droga… È stato un incidente stradale, e quando si svolgerà il processo vedremo quanta e quale fosse la colpa di chi guidava la Lamborghini. Noi oggi non lo sappiamo. E allora inventiamo, inventiamo, inventiamo. È il bisogno di linciaggio che mi colpisce. Il linciaggio come liberazione dai propri incubi. Il linciaggio come gioia e prova della propria innocenza. Il linciaggio come dimostrazione di forza. Di eticità. Di incorruttibilità. Di sapienza. Sostenuto e lodato e magnificato e amplificato dall’intero sistema dell’informazione.
Secondo Maurizio Assalto: “Narrazione” è uno dei termini chiave della comunicazione pubblica contemporanea. C’è la narrazione di Giorgia Meloni «underdog» e la narrazione di Elly Schlein che «non ci hanno visti arrivare». C’è la narrazione di Giuseppe Conte “avvocato del popolo”, quella di Matteo Renzi “rottamatore” e ci sono state le metamorfiche narrazioni di Silvio Berlusconi “presidente imprenditore”, “operaio”, “contadino”, “ferroviere”… Anziché affidare come un tempo le loro idee a soporiferi saggi che nessuno legge, o a deprimenti articoli su riviste che nessuno compra (e che del resto neppure si pubblicano più), i leader politici hanno scoperto il business (anche commerciale) delle biografie e pseudo-autobiografie che, attraverso il racconto di una vicenda proposta come implicitamente esemplare, trasmettono la propria visione dell’Italia e del mondo (del resto, oggetto tipico delle narrazioni sono le storie, le favole, fole, spesso sinonimo di “balle”).
Non ci sono però soltanto le narrazioni della politica: c’è la narrazione d’impresa (variante più manageriale: la narrazione strategica d’impresa), la narrazione del brand, la narrazione del prodotto, la narrazione dei beni culturali, la narrazione dei musei, la narrazione della scienza, la narrazione enogastronomica, la narrazione ecologista, la narrazione pacifista e quella bellicista, la narrazione terrapiattista, le narrazioni complottiste, le narrazioni no vax, no tav, no tap… A ognuno la sua narrazione.
Ma anche Platone, in epoca ormai risolutamente letteraria, intercala volentieri la sua opera filosofica, che è già in sé una filosofia narrata, con la narrazione di un mito che ha lo scopo dichiarato di sciogliere i nodi concettuali più intricati: nel Protagora, al celebre sofista che si accinge a esporre la sua tesi sull’insegnabilità della virtù politica, viene messa in bocca la domanda «Preferite che io, come anziano che parla ai giovani, ve la dimostri narrando un mito, oppure con un ragionamento?»; e poiché gli interlocutori gli rimettono la scelta, Protagora opta per la prima soluzione, in quanto «più piacevole». La forma narrativa assolve in questo modo a una funzione didattico-esplicativa, che in altri casi si specifica ulteriormente come più efficace in termini persuasivi-emozionali.
Secondo Matteo Giangrande, il buon debater può usare il riferimento all’autorità nella parte del discorso argomentativo dedicata alle “evidenze” e, insieme, non può usare il riferimento all’autorità nella parte dell’argomento dedicata al “ragionamento”. E ciò perché il ricorso all’opinione di un esperto è un modo ragionevole per rendere “credibile” un’affermazione. Ma, al contempo, non la “dimostra”.
L’argomento dell’autorità (o argomento ad verecundiam) diventa una fallacia subito dopo aver illustrato la funzione di evidenza che la citazione del parere di un esperto può svolgere all’interno dell’argomento complessivo.
Gli esperti: tutti si elevano a professoroni in tv nel parlare di qualcosa che non si conosce e quindi che non conoscono. Sballottando di qua e di là i cittadini, in base alle loro opinioni cangianti dalla sera alla mattina.
I giornalisti in ogni dove, ormai, esprimono opinioni partigiane del cazzo. Alcuni di loro dicono che il movimento 5 stelle ha sfondato al sud con i voti dei nullafacenti per il reddito di cittadinanza: ossia la perpetuazione dell’assistenzialismo. Allora dovrebbe essere vero, anche, che al nord ha stravinto il razzismo della Lega di Salvini, il cui motto era: "Neghèr föra da i ball", ossia immigrati (che hanno preso il posto dei meridionali) tornino a casa loro. La verità è che l’opinione dei giornalisti vale quella degli avventori al bar; con la differenza che i primi sono pagati per dire stronzate, i secondi pagano loro la consumazione durante le loro discussioni ignoranti.
La cronaca è fortemente inquinata da un forte pregiudizio mediatico e fa sentire i suoi effetti presso una parte dell’opinione pubblica disposta a bersi qualunque dichiarazione. Ciò nonostante, la parte anomala è quel “ci dovrebbe essere un contraddittorio”, ossia, ogni volta che qualcuno esprime un’opinione su qualcun altro deve esserci anche l’altro. E’ macchinoso come metodo ed è sempre disatteso.
Quindi esprimere un’opinione senza che l’oggetto dell’opinione sia presente non è corretto.
E’ opinione, quindi, quella tesi oratoria fine a se stessa senza portare evidenze documentali che la sostengano.
«Siamo noi». Dove quel «noi» sta per opinione pubblica. Le leadership per emergere devono prima sparare cazzate per bucare lo schermo e poi consolidarsi con un ruolo di guida assoluta, attorniandosi con gli uomini più leali. Naturalmente queste ascese repentine e di gruppo segnalano, una volta al governo, le difficoltà a risolvere i problemi della collettività
Antonio Giangrande: I brogli del referendum della Repubblica.
Il senso della democrazia secondo i resistenti antifascisti:
Assoluta assenza della par conditio e il palese condizionamento dei media nel nord Italia. La campagna elettorale fu a senso unico, con la stampa del nord apertamente repubblicana, mentre i giornali al sud erano poco diffusi. Il solo a fare campagna elettorale per i monarchici era il Re Umberto, effettuata solo con la propria presenza. I manifesti per la monarchia affissi sulla pubblica via, quando non erano strappati, erano inutili dato l'alto tasso di analfabetismo.
L'intimidazione diffusa. Le voci fuori dal coro non erano tollerate ed erano sconsigliati i comizi di piazza opposti, mentre le piazze erano continuamente piene con innumerevoli eccelsi oratori di tutti i rispettivi partiti antimonarchici. Le ritorsioni contro i commercianti e gli imprenditori erano all'ordine del giorno.
La minaccia della guerra civile in caso di vittoria dei monarchici. Il fronte antimonarchico era già dilaniato nel suo interno, mentre era già martoriato tra fascisti ed antifascisti.
I brogli, o presunti tali, erano superflui in tale clima di condizionamento dove la vittoria era imperativa per i repubblicani. Il fatto che si parli di brogli, comunque, mina la fiducia nell'esito finale. Atto di nascita di una Repubblica già difettata.
Antonio Giangrande: 25 aprile. Non era guerra di Liberazione (ci hanno pensato gli Alleati) ma una miserabile guerra civile per il Potere.
Antonio Giangrande: 25 APRILE. DATA DI UN INGANNO. COME SI FALSIFICA LA STORIA. LETTERA SEGRETA AI COMPAGNI MILITANTI. MESSAGGIO CHE CHIARAMENTE INCITA ALL’ODIO E ALL’ANTI-CATTOLICESIMO. La seguente lettera è stata consegnata dal Comitato Centrale del Partito Comunista Italiano, diretto da Palmiro Togliatti (1893-1964), ai quadri propagandisti rivoluzionari nel 1947. Rileggendola è facile capire l’odio che ha guidato la mano omicida di tanti partigiani durante la guerra e nell’immediato dopoguerra.
Antonio Giangrande: A proposito di primarie ad Avetrana ed in tutta Italia…fascismo e comunismo facce della stessa medaglia: sete di potere o di poltrone.
Cosa accomuna gli interisti ai comunisti? Quando si perde è perché gli altri hanno rubato.
Ad Avetrana, tanti anni fa, il sottoscritto emergeva in politica. Presidente di Alleanza nazionale, non sono stato mai accettato perché non avevo il sangue nero ed i miei sostenitori non erano di destra, ma erano dei moderati. Per la nomenclatura ero buono solo a portare voti ai soliti noti. Li mandai a fanculo…e sostenni Conte a sinistra che con i voti dei miei sostenitori vinse le Comunali.
Ad Avetrana, a sinistra c’è Emanuele Micelli, mai accettato dai comunisti perché non ha sangue rosso. Alle primarie 2016 tutta la nomenclatura comunista era schierata contro di lui in previsione di una futura scissione del PD e la cui figura della Petracca, (con i soliti 200 voti degli ultracomunisti) era solo specchio per le allodole. Il vero intento era contarsi per valere. Micelli per la nomenclatura è buono solo a portare i voti dei moderati alle elezioni…per Conte e per altri. Voti dell’aria moderata che, però, non sono accettati alle primarie: perché fanno schifo ai comunisti.
Lo schifo per i voti moderati ha fatto sì che il mio interesse per chi si professa diverso è cessato e da allora la sinistra ad Avetrana ha sempre perso, nonostante, per fottersi i miei voti, hanno messo mio fratello nelle loro liste e che io stesso non ho votato. Fino a che, a sinistra come a destra, le nomenclature locali saranno più interessate alle poltrone che alle cose reali, perderanno sempre, perché non è vittoria quella con il 50% di astensione. Messaggio di gente che manda a fanculo gli schieramenti con le solite facce.
… fascismo e comunismo facce della stessa medaglia: sete di potere o di poltrone per persone incapaci.
Antonio Giangrande: Amministrative di Avetrana: 5 giugno 2016. Un bravo a tutti i candidati da parte di un incompetente ed inesperto.
Un bravo ai candidati della lista Minò (centrodestra), che pur apprezzati e votati, per quello che sono e per quello che fanno, da soli 1601 avetranesi su 8279, sono riusciti a vincere ed a festeggiare, a dispetto dei loro 2656 elettori del 2011. Essi continueranno imperterriti a dimostrare la loro competenza e la loro esperienza a vantaggio del loro paese che non li stima.
Un bravo ai candidati della lista Micelli e della lista Petracca (centrosinistra), che pur con il favore di 2810 avetranesi su 8279 (1418+1392), in più rispetto ai 2438 del 2011, sono riusciti a perdere divisi…ma da “liberi”. Senza alcun rimorso. Giustificati con la solita tracotanza, essi continueranno, imperterriti, a non riconoscere i loro errori ed a non dimostrare la loro capacità a vantaggio del loro paese che li ha voluti più dell’altra lista. Bravi per aver fatto continuare ad amministrare Avetrana con la competenza e l’esperienza della precedente amministrazione.
Un bravo al 32,6 % dell’elettorato avetranese che non è andato a votare, incrementato rispetto al 25,42 del 2011. Primi della provincia di Taranto. Questi, in aggiunta a chi si reca per consegnare scheda bianca o scarabocchiata da imprecazioni, sono la maggioranza degli avetranesi, di cui a nessuno gliene frega niente. Maggioranza che disprezza questa classe politica basata sull’odio e l’ideologia e che si fa eleggere non sui programmi reali, ma sugli attacchi personali agli avversari. Penso che questi avetranesi che non votano, darebbero prova di saggezza e coraggio, se venissero fuori con una loro lista, per formattare la politica avetranese. Solo allora, per loro, sarebbe un bravo sincero.
Antonio Giangrande: Una considerazione sociologica a margine di quanto già rendicontato dal punto di vista politico in riferimento alle amministrative del 5 giugno 2016. La maggioranza della gente di Avetrana, (così come del resto dell'Italia) se da una parte è disposta a vendere il suo voto, più che in cambio di denaro, in termini di favori, al contrario si dimostra essere alquanto irriconoscente, una volta che è stata soddisfatta. Prendiamo per esempio dei casi limite ad Avetrana dove, sicuramente, da parte dei candidati si è ottenuto molto meno di quanto elettoralmente si valesse, senza nulla togliere agli altri candidati di pari valore intellettuale e politico.
Antonio Minò. La sua lista ha preso 1601 voti di lista rispetto ai 2656 voti di lista del suo predecessore, Mario De Marco. Rispetto al De Marco, però, il Minò esercita nel sociale (presidente di Avetrana Soccorso) ed a rendere un favore chiesto, anche al di là della sua sfera professionale, non si tira mai indietro. Probabilmente ha ricevuto molta irriconoscenza.
Daniele Fedele Saracino. 143 voti, il penultimo dei votati della lista Minò. Il fatto che sia un imprenditore, non è indicativo di consenso, ma essere il presidente della locale squadra di calcio che ha appena ottenuto con i suoi sacrifici un risultato insperato per un piccolo paese, quale l’approdo in Eccellenza, e non essere ricambiato in termini di consenso, almeno da parte dei tifosi che numerosi calcavano gli spalti, ciò è significativo di estrema irriconoscenza.
Anna Maria Katia Maggiore. 165 voti con la lista Petracca. Il fatto che sia imprenditrice non é indicativo di consenso. Essere la figlia di Giovanni, il più facoltoso imprenditore di Avetrana, non si tramuta in termini di voti. Però, il fatto che ad ogni manifestazione pubblica che si tiene ad Avetrana od ad ogni altro evento sociale in cui la comunità è coinvolta, si chieda il suo appoggio e Giovanni non faccia mai mancare il suo sostegno economico in termini di contributi o di sponsor, questo dovrebbe significare un po' di consenso. E quando questo manca, come è mancato per sua figlia Anna Maria, questo denota somma irriconoscenza.
Come si dice "a fani beni...". E con questo ho detto tutto.
Antonio Giangrande: Noi siamo quello che altri hanno voluto che diventassimo con la discultura e la disinformazione. Ci si deve chiedere: perchè a scuola ci hanno fatto credere con i libri di testo che Garibaldi era un eroe ed i piemontesi dei salvatori; perché i media coltivano il luogo comune di un sud Italia cafone ed ignorante; perché la prima cosa che insegnano a scuola è la canzone “bella ciao”? Per poi scoprire da adulti e solo tramite il web: che il Sud Italia è stato depredato a causa proprio di Garibaldi a vantaggio dei Piemontesi; che solo i turisti che scendono a frotte nel meridione d’Italia scoprono quanto ci sia tanto da conoscere ed apprezzare, oltre che da amare; che “Bella ciao” è solo l’inno di una parte della politica italiana che in nome di una ideologia prima tradì l’Italia e poi, con l’aiuto degli americani, vinse la guerra civile infierendo sui vinti, sottomettendoli, con le sue leggi, ad un regime illiberale e clericale.
Antonio Giangrande: Il moralismo fasciocomunistoide ipocrita e giustizialista tende a stratificare di norme l’ordinamento giuridico dello Stato senza soluzione di continuità, nonostante cambino i Governi. L’eccesso di norme liberticide mi porta a pensare al colesterolo. Tanto più si accumula sulle pareti delle arterie, tanto aumenta il rischio di coronaropatie.
Facciamo sempre il solito errore: riponiamo grandi speranze ed enormi aspettative in piccoli uomini e donne senza vergogna.
Antonio Giangrande: Facciamo sempre il solito errore: riponiamo grandi speranze ed enormi aspettative in piccoli uomini senza vergogna.
Antonio Giangrande: Dove si sentono alti anche i nani e dove anche i marescialli si sentono generali, non conta quanti passi fai e quali scarpe indossi, ma conta quante tracce lasci del tuo percorso.
Il difetto degli intelligenti è che sono spinti a cercare le risposte ai loro dubbi. Il pregio degli ignoranti è che non hanno dubbi e qualora li avessero sono convinti di avere già le risposte.
Un popolo di “coglioni” sarà sempre governato ed amministrato da “coglioni”.
Un chierico medievale si imbatté in un groviglio di serpi su cui spiccava un ramarro che già da solo sarebbe bastato a spaventarlo. Tuttavia, confrontata a quelle serpeggianti creature, la bestiola gli parve graziosa ed esclamò: «Beati monoculi in terra caecorum», nella terra dei ciechi anche l’orbo è re.
Noi siamo quello che altri hanno voluto che diventassimo. Quando esprimiamo giudizi gratuiti, cattivi ed illogici lo facciamo con la nostra bocca ma inconsapevolmente per volontà di altri. Lo facciamo in virtù di quanto ricevuto: dall’educazione familiare, dall’istruzione di regime, dall’indottrinamento politico e religioso, dall’influenza mediatica. Niente è farina del nostro sacco. Se ci basassimo solo sulle nostre esperienze staremmo solo zitti, sapendo che nessuno sarebbe capace e disposto ad ascoltarci.
E’ comodo definirsi scrittori da parte di chi non ha arte né parte. I letterati, che non siano poeti, cioè scrittori stringati, si dividono in narratori e saggisti. E’ facile scrivere “C’era una volta….” e parlare di cazzate con nomi di fantasia. In questo modo il successo è assicurato e non hai rompiballe che si sentono diffamati e che ti querelano e che, spesso, sono gli stessi che ti condannano. Meno facile è essere saggisti e scrivere “C’è adesso….” e parlare di cose reali con nomi e cognomi. Impossibile poi è essere saggisti e scrivere delle malefatte dei magistrati e del Potere in generale, che per logica ti perseguitano per farti cessare di scrivere. Devastante è farlo senza essere di sinistra. Quando si parla di veri scrittori ci si ricordi di Dante Alighieri e della fine che fece il primo saggista mondiale.
Da sempre diffido di chi, vestito da lupo, è pecora genuflessa alla magistratura. I saccenti giustizialisti dei 5 stelle che provino a proporre la figura del difensore civico giudiziario con poteri di magistrato, senza essere uno di loro, per poter metter le mani nelle carte dei fascicoli e poterle sparigliare. Io da anni mi batto inascoltato per questo. I signori dei 5 stelle non si degnano nemmeno di rispondere ai messaggi degli esperti: tanto san tutto loro. A sbraitare son bravi, ma a proporre leggi sensate, mi sa che non son capaci. Parlan solo di soldi, soldi, soldi ed onestà, certificata dai loro magistrati, e mai parlano di libertà ed opportunità senza concorsi ed esami pubblici truccati.
Ad ogni azione umana nefasta si trova sempre una giustificazione...lo si fa per le piante...lo si fa per gli animali...lo si fa per le persone! Ma, alla fine, rimane solo un'azione nefasta che fa male al prossimo...e, spesso, il prossimo siamo noi. A parte il partito preso, noi siamo tutti responsabili delle azioni nefaste di uno, quando gli permettiamo di farle.
Parlare nei miei libri del caso singolo del semplice cittadino significa incorrere nell’accusa di mitomania, pazzia o calunnia, oltre che ne disinteresse. Invece parlo di loro, delle istituzioni che delinquono impunite. Parlo della vera mafia. Cosa posso dire di più di quello che ho scritto e che altri non dicono? Credo che quanto divulgato possa essere di grande soddisfazione per le vittime, non potendo avere altro che quella in questa Italia con italiani di merda a cui interessa solo di loro stessi e se ne fottono degli altri.
"PADRI DELLA PATRIA" VITTIME E COMPLICI DELLA NOSTRA ROVINA.
Lettera da Crispi a Garibaldi - Caprera. Torino, 3 febbraio 1863.
Mio Generale! Giunto da Palermo, dove stetti poco men che un mese, credo mio dovere dirvi qualche cosa della povera isola che voi chiamaste a libertà e che i vostri successori ricacciarono in una servitù peggiore di prima. Dal nuovo regime quella popolazione nulla ha ottenuto di che potesse esser lieta. Nissuna giustizia, nissuna sicurezza personale, l'ipocrisia della libertà sotto un governo, il quale non ha d'italiano che appena il nome. Ho visitate le carceri e le ho trovate piene zeppe d'individui i quali ignorano il motivo per il quale sono prigionieri. Che dirvi del loro trattamento? Dormono sul pavimento, senza lume la notte, sudici, nutriti pessimamente, privi d'ogni conforto morale, senza una voce che li consigli e li educhi onde fosser rilevati dalla colpa. La popolazione in massa detesta il governo d'Italia, che al paragone trova più tristo del Borbonico. Grande fortuna che non siamo travolti in quell'odio noi, che fummo causa prima del mutato regime! Essa ritien voi martire, noi tutti vittime della tirannide la quale viene da Torino e quindi ci fa grazia della involontaria colpa. Se i consiglieri della Corona non mutano regime, la Sicilia andrà incontro ad una catastrofe. E' difficile misurarne le conseguenze, ma esse potrebbero essere fatali alla patria nostra. L'opera nostra dovrebbe mirare ad evitare cotesta catastrofe, affinchè non si sfasci il nucleo delle provincie unite che al presente formano il regno di Italia. Con le forze di questo regno e coi mezzi ch'esso ci offre, noi potremmo compiere la redenzione della penisola e occupar Roma. Sciolto cotesto nucleo, è rimandata ad un lontano avvenire la costituzione d'Italia. Della vostra salute, alla quale tutti c'interessiamo, ho buone notizie, che spero sempre migliori. Di Palermo tutti vi salutano come vi amano. Abbiatevi i complimenti di mia moglie e voi continuatemi il vostro affetto e credetemi. Vostro ora e sempre. F. Crispi.
La verità è rivoluzionaria. Gli oltraggi subiti dalle popolazioni meridionali sono incommensurabili. Non credo di aver fatto del male. Nonostante ciò, non rifarei oggi la via dell'Italia meridionale, temendo di essere preso a sassate, essendosi colà cagionato solo squallore e suscitato solo odio. Giuseppe Garibaldi (da una lettera scritta ad Adelaide Cairoli, 1868)
Cronologia moderna delle azioni massoniche e mafiose.
27 marzo 1848 - Nasce la Repubblica Siciliana. La Sicilia ritorna ad essere indipendente, Ruggero Settimo è capo del governo, ritorna a sventolare l'antica bandiera siciliana. Gli inglesi hanno numerosi interessi nell'Isola e consigliano al Piemonte di annettersi la Sicilia. I Savoia preparano una spedizione da affidare a Garibaldi. Cavour si oppone perchè considera quest'ultimo un avventuriero senza scrupoli (ricordano impietositi i biografi che Garibaldi ladro di cavalli, nell' America del sud, venne arrestato e gli venne tagliato l'orecchio destro. Sarà, suo malgrado, capellone a vita per nascondere la mutilazione) [Secondo altre fonti l’orecchio gli sarebbe stato staccato con un morso da una ragazza che aveva cercato di violentare all’epoca della sua carriera di pirata, stupratore, assassino in America Latina, NdT]. Il nome di Garibaldi, viene abbinato altresì al traffico di schiavi dall'Africa all'America. Rifornito di denaro inglese da i Savoia, Garibaldi parte per la Sicilia.
11 maggio 1860 - Con la protezione delle navi inglesi Intrepid e H.M.S. Argus, Garibaldi sbarca a Marsala. Scrive il memorialista garibaldino Giuseppe Bandi: I mille vengono accolti dai marsalesi come cani in chiesa! La prima azione mafiosa è contro la cassa comunale di Marsala. Il tesoriere dei mille, Ippolito Nievo lamenta che si trovarono pochi spiccioli di rame. I siciliani allora erano meno fessi! E' interessante la nota di Garibaldi sull'arruolamento: "Francesco Crispi arruola chiunque: ladri, assassini, e criminali di ogni sorta".
15 maggio 1860 - Battaglia di Calatafimi. Passata alla storia come una grande battaglia, fu invece una modesta scaramuccia, si contarono 127 morti e 111 furono messi fuori combattimento. I Borbone con minor perdite disertano il campo. Con un esercito di 25.000 uomini e notevole artiglieria, i Borbone inviano contro Garibaldi soltanto 2.500 uomini. E' degno di nota che il generale borbonico Landi, fu comprato dagli inglesi con titoli di credito falsi e che l'esercito borbonico ebbe l'ordine di non combattere. Le vittorie di Garibaldi sono tutte una montatura.
27 maggio 1860 - Garibaldi entra a Palermo da vincitore!....Ateo, massone, mangiapreti, celebra con fasto la festa di santa Rosalia.
30 maggio 1860 - Garibaldi dà carta bianca alle bande garibaldine; i villaggi sono saccheggiati ed incendiati; i garibaldini uccidevano anche per un grappolo d'uva. Nino Bixio uccide un contadino reo di aver preso le scarpe ad un cadavere. Per incutere timore, le bande garibaldine, torturano e fucilano gli eroici siciliani.
31 maggio 1860 - Il popolo catanese scaccia per sempre i Borbone. In quell'occasione brillò, per un atto di impavido coraggio, la siciliana Giuseppina Bolognani di Barcellona Pozzo di Gotto (ME). Issò sopra un carro un cannone strappato ai borbonici e attese la carica avversaria; al momento opportuno, l'avversario a due passi, diede fuoco alle polveri; il nemico, decimato, si diede alla fuga disordinata. Si guadagnò il soprannome Peppa 'a cannunera (Peppa la cannoniera) e la medaglia di bronzo al valor militare.
2 giugno 1860 - Con un decreto, Garibaldi assegna le terre demaniali ai contadini; molti abboccano alla promessa. Intanto nell'Isola divampava impetuosa la rivoluzione che vedeva ancora una volta il Popolo Siciliano vittorioso. Fu lo stesso popolo che unito e compatto costrinse i borbonici alla ritirata verso Milazzo.
17 luglio 1860 - Battaglia di Milazzo. Il governo piemontese invia il Generale Medici con 21.000 uomini bene armati a bordo di 34 navi. La montatura garibaldina ha fine. I contadini siciliani si ribellano, vogliono la terra promessagli. Garibaldi, rivelandosi servo degli inglesi e degli agrari, invia loro Nino Bixio.
10 agosto 1860 - Da un bordello di Corleone, Nino Bixio ordina il massacro di stampo mafioso di Bronte. Vengono fucilati l'avvocato Nicolò Lombardo e tre contadini, tra i quali un minorato! L'Italia mostra il suo vero volto.
21 ottobre 1860 - Plebiscito di annessione della Sicilia al Piemonte. I voti si depositano in due urne: una per il "Sì" e l'altra per il "No". Intimorendo, come abitudine mafiosa, ruffiani, sbirri e garibaldini controllano come si vota. Su una popolazione di 2.400.000 abitanti, votarono solo 432.720 cittadini (il 18%). Si ebbero 432.053 "Sì" e 667 "No". Giuseppe Mazzini e Massimo D'Azeglio furono disgustati dalla modalità del plebiscito. Lo stesso ministro Eliot, ambasciatore inglese a Napoli, dovette scrivere testualmente nel rapporto al suo Governo che: "Moltissimi vogliono l'autonomia, nessuno l'annessione; ma i pochi che votano sono costretti a votare per questa". E un altro ministro inglese, Lord John Russel, mandò un dispaccio a Londra, cosí concepito: "I voti del suffragio in questi regni non hanno il minimo valore".
1861 - L'Italia impone enormi tasse e l'obbligo del servizio militare, ma per chi ha soldi e paga, niente soldato. Intanto i militari italiani, da mafiosi, compiono atrocità e massacri in tutta l'Isola. Il sarto Antonio Cappello, sordomuto, viene torturato a morte perchè ritenuto un simulatore, il suo aguzzino, il colonnello medico Restelli, riceverà la croce dei "S.S. Maurizio e Lazzaro". Napoleone III scrive a Vittorio Emanuele: "I Borbone non commisero in cento anni, gli orrori e gli errori che hanno commesso gli agenti di Sua Maestà in un anno”.
1863 - Primi moti rivoluzionari antitaliani di pura marca indipendentista. Il governo piemontese instaura il primo stato d'assedio. Viene inviato Bolis per massacrare i patrioti siciliani. Si prepara un'altra azione mafiosa contro i Siciliani.
8 maggio 1863 - Lord Henry Lennox denuncia alla camera dei Lords le infamie italiane e ricorda che non Garibaldi ma l'Inghilterra ha fatto l'unità d'Italia.
15 agosto 1863 - Secondo stato d'assedio. Si instaura il terrore. I Siciliani si rifiutano di indossare la divisa italiana; fu una vera caccia all'uomo, le famiglie dei renitenti furono torturate, fucilate e molti furono bruciati vivi. Guidava l'operazione criminale e mafiosa il piemontese Generale Giuseppe Govone. (Nella pacifica cittadina di Alba, in piazza Savona, nell'aprile 2004 è stato inaugurato un monumento equestre a questo assassino. Ignoriamo per quali meriti.)
1866 - In Sicilia muoiono 52.990 persone a causa del colera. Ancora oggi, per tradizione orale, c'è la certezza che a spargervi il colera nell'Isola siano state persone legate al Governo italiano. Intanto tra tumulti, persecuzioni, stati d'assedio, terrore, colera ecc. la Sicilia veniva continuamente depredata e avvilita; il Governo italiano vendette perfino i beni demaniali ed ecclesiastici siciliani per un valore di 250 milioni di lire. Furono, nel frattempo, svuotate le casse della regione. Il settentrione diventava sempre più ricco, la Sicilia sempre più povera.
1868 - Giuseppe Garibaldi scrive ad Adelaide Cairoli:"Non rifarei la via del Sud, temendo di essere preso a sassate!". Nessuna delle promesse che aveva fatto al Sud (come quella del suo decreto emesso in Sicilia il 2 giugno 1860, che assegnava le terre comunali ai contadini combattenti), era stata mantenuta.
1871 - Il Governo, con un patto scellerato, fortifica la mafia con l'effettiva connivenza della polizia. Il coraggioso magistrato Diego Tajani dimostrò e smascherò questa alleanza tra mafia e polizia di stato e spiccò un mandato di cattura contro il questore di Palermo Giuseppe Albanese e mise sotto inchiesta il prefetto, l'ex garibaldino Gen. Medici. Ma il Governo italiano, con fare mafioso si schiera contro il magistrato costringendolo a dimettersi.
1892 - Si formano i "Fasci dei Lavoratori Siciliani". L'organizzazione era pacifica ed aveva gli ideali del popolo, risolvere i problemi siciliani. Chiedeva, l'organizzazione dei Fasci la partizione delle terre demaniali o incolte, la diminuzione dei tassi di consumo regionale ecc.
4 gennaio 1894 - La risposta mafiosa dello stato italiano non si fa attendere: STATO D'ASSEDIO. Francesco Crispi, (definito da me traditore dei siciliani a perenne vergogna dei riberesi) presidente del Consiglio, manda in Sicilia 40.000 soldati al comando del criminale Generale Morra di Lavriano, per distruggere l'avanzata impetuosa dei Fasci contadini. All'eroe della resistenza catanese Giuseppe De Felice vengono inflitti 18 anni di carcere; fu poi amnistiato nel 1896, ricevendo accoglienze trionfali nell'Isola.
Note di "Sciacca Borbonica": Sono molti i paesi del mondo che dedicano vie, piazze e strade a lestofanti e assassini. Ma pochi di questi paesi hanno fatto di un pirata macellaio addirittura il proprio eroe nazionale. Il 27 luglio 1995 il giornale spagnolo "El Pais", giustamente indignato per l’apologia di Garibaldi fatta dall’allora presidente Scalfaro (quello che si prendeva 100 milioni al mese in nero dal SISDE, senza che nessuno muovesse un dito) nel corso di una visita in Spagna, così gli rispose a pag. 6: “Il presidente d'Italia è stato nostro illustre visitante...... Disgraziatamente, in un momento della sua visita, il presidente italiano si è riferito alla presenza di Garibaldi nel Rio della Plata, in un momento molto speciale della storia delle nazioni di questa parte del mondo. E, senza animo di riaprire vecchie polemiche e aspre discussioni, diciamo al dott. Scalfaro che il suo compatriota [Garibaldi] non ha lottato per la libertà di queste nazioni come egli afferma. Piuttosto il contrario". Il 13 settembre 1860, mentre l'unificazione italiana era in pieno svolgimento, il giornale torinese Piemonte riportava il seguente articolo. (1): «Le imprese di Garibaldi nelle Due Sicilie parvero sin da allora così strane che i suoi ammiratori ebbero a chiamarle prodigiose. Un pugno di giovani guidati da un audacissimo generale sconfigge eserciti, piglia d'assalto le città in poche settimane, si fa padrone di un reame di nove milioni di abitanti. E ciò senza navigli e senz'armi... Altro che Veni, Vedi, Vici! Non c'è Cesare che tenga al cospetto di Garibaldi. I miracoli però non li ha fatti lui ma li fecero nell'ordine: 1°)-L'oro con il quale gli inglesi comprarono quasi tutti i generali borbonici e col quale assoldarono 20.000 mercenari ungheresi e slavi e pagarono il soldo ad altri 20.000 tra carabinieri e bersaglieri, opportunamente congedati dall'esercito sardo-piemontese e mandati come "turisti" nel Sud, altro che i 1000 scalcinati eroi...... 2°)-il generale Nunziante ed altri tra ufficiali dell'esercito e della marina che, con infinito disonore, disertarono la loro bandiera per correre sotto quella del nemico eccovi servito un piccolo elenco di traditori al soldo degli anglo-piemontesi, oltre al Nunziante: Generale Landi, Generale Cataldo, Generale Lanza, Generale Ghio, Comandante Acton, Comandante Cossovich,ed altri ancora; 3°)-i miracoli li ha fatti il Conte di Siracusa con la sua onorevolissima lettera al nipote Francesco II° (lettera pubblicata in un post a parte); 4°)-li ha fatti la Guardia Nazionale che, secondo il solito, voltò le armi contro il re che gliele avea date poche ore prima; 5°)-)li ha fatti il Gabinetto di Liborio Romano il quale, dopo aver genuflesso fino al giorno di ieri appié del trono di Francesco II, si prostra ai piedi di Garibaldi; 6°)- La quasi totalità della nobiltà siciliana. Beh, Con questi miracoli ancor io sarei capace di far la conquista, non dico della Sicilia e del Reame di Napoli, ma dell'universo mondo. Dunque non state a contare le prodezze di Sua Maestà Garibaldi I. Egli non è che il comodino della rivoluzione. Le società segrete (la massoneria) che hanno le loro reti in tutto il paese delle Due Sicilie, hanno di lunga mano preparato ogni cosa per la rivoluzione. E quando fu tutto apparecchiato si chiamò Garibaldi ad eseguire i piani [...]. Se non era Garibaldi sarebbe stato Mazzini, Kossuth, Orsini o Lucio della Venaria: faceva lo stesso. Appiccare il fuoco ad una mina anche un bimbo può farlo. Di fatto vedete che dappertutto dove giunge Garibaldi la rivoluzione è organizzata issofatto, i proclami sono belli e fatti, anzi stampati. In questo modo credo che Garibaldi può tranquillamente fare il giro del mondo a piantare le bandiere tricolori del Piemonte. Dopo Napoli Roma, dopo Roma Venezia, dopo Venezia la Dalmazia, dopo la Dalmazia l'Austria, caduta l'Austria il mondo è di Garibaldi, cioé del Piemonte! Oh che cuccagna! Torino capitale dell'Europa, anzi dell'orbe terracqueo. Ed i torinesi padroni del mondo!». Dai Savoia agli Agnelli, da una famiglia di vampiri ad un altra.....per il Sud sempre lo stesso destino.......dar loro anche l'ultima goccia di sangue. Comunque la Giustizia Divina arriva sempre........i savoia son finiti nella merda e nel ludibrio, gli Agnelli nella tomba e nella droga che certamente sarà il mezzo con quale ci libereremo di questa gente maledetta.
Le Redazioni Partigiane.
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Antonio Giangrande: LA PAROLA CAZZO NEL DIALETTO SALENTINO.
Nessuno se ne abbia a male se il contenuto di questo scritto è un po' volgare... nel nostro dialetto molti concetti, anche molto diversi, vengano riassunti da un'unica semplice parola: "cazzo" ....diciamo come i puffi sostituivano tutti i verbi con il verbo puffare. "Cazzo" in italiano è una brutta parola, ma nel nostro dialetto è molto importante in quanto insieme ad altre spiega chiaramente il senso della vita....In Italiano la parola CAZZO risulta volgare, nel dialetto salentino invece è usata comunemente per sottolineare e accentuare i concetti. Scopriamo degli esempi:
Non saprei = cce cazzu ne sacciu
Chi se ne importa = cce cazzu me na futtu
La situazione è grave = mo su cazzi
Sei proprio testardo = sinti propriu na capu de cazzu
Hai la faccia tosta = tieni la facci ti cazzu
Chi sei? = ci cazzu sinti?
Non ti ho mai visto prima = chi cazzu te canusce
Chi ti credi di essere = ci cazzu ti criti ca sinti?
Non valete niente = non baliti nu cazzu
Mi fai cadere le braccia = e cce cazzu
Grazie, ma lo sapevo già = grazie allu cazzu
Ti stai ponendo con aria un po’ troppo saccente = sta ‘rrivi bellu bellu cazzu cazzu
Chi ti autorizza a parlarmi in questo modo? = ma ci cazzu sinti tie?
Mi stai chiedendo qualcosa che io posso darti = ma cce cazzu vuej de mie?
Non dovresti interessarti ai fatti che non ti riguardano = fatti li cazzi toj
Sei una persona un po’ assillante = sinti propriu nu cacacazzi
Non ti stai impegnando a sufficienza = nnu ‘mbali nu cazzu
Non ti ho mai visto prima = chi cazzu te canusce
Dove sei? = addu cazzu stai
Dove sei stato? = a du cazzu si statu??
Dove sei andato? = addo cazzzu sisciutu
Con chi sei uscito? = cu ci cazzu si statu?
Non riesci a masticare? = non dai cazzu?
Hai un’ottima capacità di schiacciare (le noci con i denti) = Tei nu bellu cazzu
Schiacciare mandorle = addu fatichi allu cazzu e quanto guadagni 5 lire e lu cazzu francu
Non riesco a masticare = mi manca lu cazzu
Che disgrazia ci è capitata = Capu ti stu cazzu!!! Ce cazzanculu ca mu cappatu!!!!
Ti hanno fatto un bidone= hai piatu nu cazzunculu
Ti hanno fatto un regalo = ce cazzu ete? ci cazzu l'ave ndutu?
Mi hai pestato il piede = m'ha cazzatu lu pede
Che mangi oggi? = ci cazzu mangi osci?...
Non sono affari tuoi = nu su cazzi toi
E mo li rivedi i soldi prestati = Cu lu cazzu ca me tae li sordi
Niente di niente! = Cazzi ttaccati cu li mazzi
Caspita! Accipicchia! = Capu de stu cazzu
Adesso basta! = m'a cagatu lu cazzu?
Mi offenderei. Oltre al danno, La beffa = lu cazzu nun è ca te ncazzi...ete ca te toli
Con chi mi pare = cu ci cazzu me pare... e cu ci cazzu voiu
Non ho niente = No tegnu nu cazzu
Chi ti vuole = ma ci cazzu ti voli
Fatti i fatti tuoi- fatte li cazzi toi!
Non devi guardare proprio niente = no a uardare propriu nu cazzu
Dove andiamo? = a du cazzu amu scire???
Non abbiamo capito niente = imu kina nà casa de cazzi ma nn imu capitu nu cazzu!!
E ti pareva = e nà cazzuu!!
Oggi sarà dura = osce so cazzi amari
Questo sì che è un bel pasticcio = quistu si ca è nu bellu cazzunculu!
Che brutto tempo!! = Che cazzu de tiempu
Non abbiamo risolto niente = imu dittu missa allu cazzu
Non saprei che cosa fare = che cazzu aggiu fare?????
L'hai fatto male! = l'ha fattu a cazzu!
Quando lo si usa troppo la parola cazzo nel discorso = ma sempre cu lu cazzu m'ucca stai?!
Non prendermi in giro = lu cazzu ca te futte!!!!
Prendi quel coso =- piya du cazzunculu
Se mi arrabbio sono fatti tuoi = ci mi incazzu so cazzi toi
Relatore che continua a parlare fino a farti arrivare allo sbadiglio = sinceramente ma'ggiù ruttu lu cazzu
Persona che ti deride e maltratta = e basta mo ma'ggiu cacatu lu cazzu
Espressione di meraviglia = Stu cazzu!
Sono entusiasta se penso che la volgarità intesa come “vulgus” (dal latino: popolo, plebe, massa) rappresenta anche il lato più intimo di un popolo: il linguaggio. Ad oggi troppi volgari provano ad arrampicarsi sull’inutile montagna della raffinatezza o eleganza millantata. Ogni stile, cultura e usanza ci deve appartenere per rappresentarla al meglio, altrimenti è più rispettoso studiarla, ammirarla e rispettarla. Volgare non è qualcosa da evitare, ma da custodire, facendo in modo che non si mescoli facilmente con altri termini come maleducazione, ignoranza e menefreghismo. Per questo in Salento la parola cazzo è usata sempre: come il cacio su tutti i tipi di pietanza.
Rapace sul volontariato. Antonio Giangrande: Imu e Tasi. Quando il Volontariato “va a farsi fottere”.
Gennaio, tempo di notifica delle cartelle esattoriali inviate il 31 dicembre, per impedirne la prescrizione quinquennale. Gennaio tempo di scoperte e di sorprese.
Il “No Profit” paga Imu e Tasi dei locali dove svolge la sua attività.
Intervento del Sociologo storico, dr Antonio Giangrande, autore, tra gli altri, anche del saggio UGUAGLIANZIOPOLI e relativi aggiornamenti annuali.
L’Italia è il Paese del foraggiamento a pioggia, dove tutti chiedono e dove tutti ottengono. Eppure si trascura quel mondo fatto di centinaia di migliaia di associazioni di volontariato: il cosiddetto “No Profit”.
Mondo che supplisce a tutte quelle mancanze statali a sostegno dei diritti inalienabili dei cittadini.
La Costituzione, appunto, prevede la tutela del Principio di solidarietà e di Uguaglianza, ma, come sempre in questa Italia, tutti i principi costituzionali vengono sempre calpestati. Per inciso con l’intercalare: vanno a farsi fottere.
Il “No Profit”, proprio per sua stessa definizione, non produce reddito. La sua attività si basa sull’opera di milioni di volontari che, gratuitamente, prestano la loro opera materiale ed intellettuale.
Il Volontariato, non producendo reddito, va da sé, logicamente, non può acquistare nulla per sé, né essere proprietario di alcunché.
La sede legale è spesso sita presso un locale messo a disposizione gratuitamente dal presidente dell’associazione, o da un suo componente, o da terzi benefattori.
Quindi di quel locale con il COMODATO si ha l’UTILIZZO e non il POSSESSO.
Il Dlgs 504/1992 (Riordino della finanza degli enti territoriali), al Titolo I, Capo I (Imposta Comunale sugli Immobili), art. 7 comma 1 lett. I (Esenzioni), in ossequio alla Costituzione prevedeva la dicotomia Utilizzo e Possesso, prevedendo l’esenzione dell’Imu/Tasi sia per i possessori sia per gli utilizzatori, se diversi dai proprietari. In questo caso viene premiato il COMODATO D’USO a fini solidaristici.
Invece, i Comuni hanno pensato bene di non distinguere i possessori dagli utilizzatori, inquadrando l’esentato in una sola figura: ossia il proprietario deve essere l’utilizzatore.
A tal riguardo si riporta, a titolo esemplare, la Deliberazione del Consiglio Comunale di Avetrana con oggetto l'approvazione del Regolamento per l’applicazione dell’Imposta municipale propria IMU del 15/06/2012, nell'art. 5(Immobili utilizzati dagli enti non commerciali), discostandosi dai principi previsti dal legislatore, che recita “L'esenzione prevista dall'art. 7, comma 1, lettera i) del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, si applica soltanto ai fabbricati ed a condizione che gli stessi, oltre che utilizzati, siano anche posseduti dall’ente non commerciale utilizzatore”. Regolamento adottato dai Consiglieri Mario De Marco, sindaco, Enzo Tarantini, assessore al ramo, Antonio Minò, Daniele Petarra, Antonio Baldari, Vito Maggiore, Pietro Giangrande e Cosimo Derinaldis, presidente del Consiglio. Il Funzionario del servizio ragioneria, Antonio Mazza, esprimeva parere favorevole.
La casistica riporta i casi in cui vi sia l’utilizzo indiretto di un beneficiario. Prendendo in esame solo i casi in cui i beni ecclesiastici, di per sé esentati, vengono utilizzati da terzi, con le stesse finalità solidaristiche. Non si parla di possessori privati che prestano i loro beni gratuitamente alle associazioni di Volontariato.
Si denota con stupore che, se da una parte le commissioni tributarie ed il Ministero dell’Economia e Finanze si esprimono in ossequio ai principi del legislatore del 1992, prevedendone la dicotomia POSSESSO ED UTILIZZO, la Corte Costituzionale e la Corte di Cassazione se ne discostano, riconoscendo l’esenzione solo a quei “No Profit” che oltre ad essere utilizzatori siano anche possessori.
Va da se che termine più aleatorio nel diritto civile è quello del POSSESSO, ma in questo caso si intende PROPRIETA’ O USUFRUTTO, e non COMODATO.
Il Legislatore, con la sua profonda saggezza, ha insistito sul punto, in ossequio ai fini solidaristici costituzionali.
Con riferimento agli Enti non commerciali, la Legge di Bilancio 2020 non modifica la precedente agevolazione prevista dall’art. 7 co. 1 lett. i) del D.Lgs. 504/1992, ovvero per tali enti prevista l’esenzione dal pagamento dell’Imu qualora ricorrano i seguenti requisiti:
· L’immobile sia posseduto e/o utilizzato da enti non commerciali di cui all’art. 73 co 1 lettera c) del TUIR;
· Lo stesso sia destinato, in via esclusiva, allo svolgimento, con modalità non commerciali, di una o più delle attività elencate all’art. 7, co1 lett. a) del D.lgs. 504/1992 (assistenziali, previdenziali, sanitarie, di ricerca scientifica, didattiche, ricettive, culturali, ricreative e sportive).
Per la legge di bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2020 e bilancio pluriennale per il triennio 2020-2022, n. 160/2019, nell'art. 1 comma 759 “Sono esenti dall'imposta, per il periodo dell'anno durante il quale sussistono le condizioni prescritte: g) gli immobili posseduti e utilizzati dai soggetti di cui alla lettera i) del comma 1 dell'articolo 7 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504, e destinati esclusivamente allo svolgimento con modalità' non commerciali delle attività' previste nella medesima”. Con questa enunciazione la legge di Bilancio 2020 sembra discostarsi dai principi previsti dal legislatore del 1992.Ma la vera novità è introdotta dalla Legge di Bilancio 2020 nell'art. 1 comma 777 che prevede la possibilità per i Comuni di prevedere l’esenzione del pagamento IMU sugli immobili dati in comodato d’uso gratuito alle associazioni, a prescindere dall’attività svolta dall’ente.
Art. 1 comma 777. “Ferme restando le facoltà di regolamentazione del tributo di cui all'articolo 52 del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, i comuni possono con proprio regolamento: (…)
e) stabilire l'esenzione dell'immobile dato in comodato gratuito al comune o ad altro ente territoriale, o ad ente non commerciale, esclusivamente per l'esercizio dei rispettivi scopi istituzionali o statutari”.
Questo significa la possibilità di un’esenzione del pagamento IMU sugli immobili che spesso il presidente e / o altri dirigenti cedono a titolo gratuito. Ricordiamo che la scelta in merito a questa esenzione viene rimandata ai comuni, quindi sarà fondamentale verificare i regolamenti comunali e, se ce ne sono le condizioni, fare pressione affinché il Comune si muova in tal senso.
Degna di nota è la citazione del Comune di Falconara, in nome del vice sindaco Raimondo Mondaini, con delega al Bilancio. Comune che tra i primi, con merito, ha previsto l’esenzione IMU per quegli immobili ceduti gratuitamente alle associazioni di volontariato.
Quando il Legislatore ha configurato l’ipotesi di esenzione da Imu e Tasi per la platea degli enti non commerciali lo ha fatto con riferimento agli immobili che vengono direttamente utilizzati nella loro attività “istituzionale”.
In particolare, è l’articolo 9, comma 8, D.Lgs. 23/2011 a disporre che si applica all’Imu l’esenzione prevista dall’articolo 7, comma 1, lett. i), D.Lgs. 504/1992 recante disposizioni in materia di imposta comunale sugli immobili “destinati esclusivamente allo svolgimento con modalità non commerciali di attività assistenziali, previdenziali, sanitarie, di ricerca scientifica, didattiche, ricettive, culturali, ricreative e sportive, nonché delle attività di cui all’articolo 16, lettera a), della legge 20 maggio 1985, n. 222”.
Con il D.L. 16/2014, invece, al fine di assimilare il trattamento della Tasi a quello dell’Imu, l’articolo 1, comma 3 del citato decreto rende applicabili alla Tasi quasi tutte le esenzioni applicabili all’Imu, tra le quali certamente spicca quella riservata agli enti non commerciali, stabilendo che “Sono esenti dal tributo per i servizi indivisibili (Tasi) gli immobili posseduti dallo Stato, nonché gli immobili posseduti, nel proprio territorio, dalle regioni, dalle province, dai comuni, dalle comunità montane, dai consorzi fra detti enti, ove non soppressi, dagli enti del servizio sanitario nazionale, destinati esclusivamente ai compiti istituzionali. Sono altresì esenti i rifugi alpini non custoditi, i punti d’appoggio e i bivacchi. Si applicano, inoltre, le esenzioni previste dall’articolo 7, comma 1, lettere b), c), d), e), f), ed i) del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504; ai fini dell’applicazione della lettera i) resta ferma l’applicazione delle disposizioni di cui all’articolo 91-bis del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27 e successive modificazioni”. E nel richiamo alla lett. i) dell’articolo 7 D.Lgs. 504/1992 c’è proprio la citata esenzione prevista per gli enti non commerciali ai fini Imu. Dr Antonio Giangrande
Antonio Giangrande: IMU e ONLUS ad Avetrana. Comodato e Proprietà del Volontariato.
Disuguaglianza ed Estorsione tra i No Profit più deboli presso tutte le Avetrana d’Italia.
Il Possesso e l’Ipocrisia della Politica. La Violazione dei principi costituzionali nel silenzio dei media e del Volontariato d’Elite. Una questione non di poco conto.
La denuncia pubblica del saggista Antonio Giangrande, presidente della Associazione Contro Tutte Le Mafie ONLUS, già iscritto presso la Prefettura di Taranto nell'elenco delle Associazioni Antiracket ed Antiusura. Associazione che non riceve sovvenzionamenti pubblici o privati.
Ed a quanto pare nemmeno risposte dagli Uffici preposti dei Ministeri interpellati del Walfare e delle Finanze.
Oggetto: chiarimento ed interpretazione.
Riferimento: Il presidente di una associazione di volontariato - onlus – ente non commerciale deve pagare l’Imu-Tasi, essendo usufruttuario di un immobile dato in comodato gratuito, presso il quale si è eletta sede legale dell’associazione e per il quale locale l’associazione se ne fa uso gratuito?
La legge stabilisce il no. L’alta giurisprudenza e la burocrazia impone il sì.
Di questo si fa forte il Comune di Avetrana, nella persona del Dr Mazza, che ha voluto precisare: “difenderemo gli interessi comunali in ogni stato e grado del giudizio. L’eventuale costituzione in giudizio comporta il pagamento del contributo unificato. Inoltre, la parte che perde in giudizio può essere condannata al rimborso delle spese sostenute dalla controparte, maggiorate del 50% a titolo di spese del procedimento di mediazione".
Cosa è l’Imu? L'IMU, Imposta Municipale Propria, è il tributo istituito dal governo Monti nella manovra Salva-Italia del 2011 e si paga a livello comunale sul possesso dei beni immobiliari. È operativa a decorrere dal gennaio 2012, e fino al 2013 è stata valida anche sull'abitazione principale. L'ICI (Imposta comunale sugli immobili) era la vecchia tassa applicata al possesso dei beni immobiliari prima dell'arrivo dell'IMU, a partire dal gennaio 2012. L'IMU in buona sostanza ne ha replicato i regolamenti e i sistemi di calcolo. La tassa sulla proprietà della prima casa:
prima del 2012: non si pagava più dal 2007, quando si chiamava ICI
2012: IMU con 0,4% di aliquota standard. Detrazione di 200 euro + 50 euro per ogni figlio
2013: mini IMU di gennaio, la differenza fra l’IMU calcolata con aliquota allo 0,4% e con quella del comune. Niente detrazioni. In discussione l’eliminazione di questo conguaglio.
Dal 2014: Tasi con aliquota standard allo 0,1%, detrazioni 200 euro + 50 euro per ogni figlio.
Cos’è il Volontariato? Il Volontariato è quell’insieme di sodalizi che operano sussidiariamente nei vari campi dei servizi pubblici, laddove lo Stato non vuole o non può operare. A favore del Volontariato sono previste delle agevolazioni fiscali e dei sostegni economici a ristoro di progetti inclusivi ed accoglibili. Da questo quadro d’insieme, però, sono osteggiate le piccole realtà solidaristiche, spesso non incluse nel grande sistema della solidarietà partigiana, foraggiata dalla politica amica. I grandi nomi, sponsorizzati con partigianeria dai media e sostenuti economicamente dalla politica, non hanno difficoltà ad acquistare gli immobili dove hanno la sede locale o dove operano. Le miriadi piccole realtà, distribuite sul territorio e con maggior valore per l’intervento di prossimità, non hanno sostentamento e quindi si sorreggono con le liberalità degli associati. Gli immobili dove operano sono dati in comodato dagli stessi membri del sodalizio.
Qual è il sostegno al Volontariato? 5XMille; Finanziamento pubblico di progetti per ogni ramo di intervento; donazioni private
Quali sono e agevolazioni ed esenzioni fiscali al Volontariato? I benefici fiscali per le organizzazioni di volontariato e le onlus (Da ipfonlus.it). Oltre che dalla legge istitutiva, sono stati riconosciuti, a favore delle organizzazioni di volontariato, numerosi vantaggi anche da parte di una serie di altri provvedimenti legislativi, fra i quali assume particolare rilievo il decreto legislativo 460/97, relativo al riordino ed alla disciplina tributaria degli enti non commerciali e delle organizzazioni non lucrative di utilità sociale (Onlus). Tali vantaggi sono estesi alle organizzazioni di volontariato, in forza di esplicito rinvio con il quale vengono considerate Onlus le organizzazioni di volontariato, purché iscritte nei registri regionali. I benefici riconosciuti con il suddetto decreto possono essere suddivisi in due parti: agevolazioni ed esenzioni.
Agevolazioni. Le agevolazioni riguardano:
le imposte sui redditi;
le erogazioni liberali;
l’imposta sul valore aggiunto;
le ritenute alla fonte;
l’imposta di registro;
le lotterie, le tombole, le pesche e i banchi di beneficenza.
È il caso di fare qualche accenno su ognuna di esse. Le agevolazioni ai fini delle imposte sui redditi riguardano il solo reddito di impresa e non si riferiscono ad altre categorie reddituali che concorrono alla formazione del reddito complessivo.
Per le erogazioni liberali, il decreto legislativo pone, da una parte, le persone fisiche e gli enti non commerciali e, dall’altra, le imprese. I primi possono detrarre dall’imposta lorda le erogazioni liberali in denaro, fatte a favore delle organizzazioni di volontariato, per un importo fino a quattro milioni di lire.
Per le imprese è prevista una serie di deduzioni che riguardano:
– le erogazioni liberali in denaro per un importo non superiore a quattro milioni di lire o al due per cento del reddito di impresa dichiarato;
– le spese relative all’impiego dei lavoratori dipendenti assunti a tempo indeterminato, utilizzati per prestazioni di servizi a favore delle organizzazioni di volontariato, nel limite del cinque per mille dell’ammontare complessivo delle spese per prestazioni di lavoro dipendente;
– la cessione gratuita alle organizzazioni di volontariato, in alternativa alla usuale eliminazione dal circuito commerciale, di derrate alimentari, di prodotti farmaceutici e di beni alla cui produzione o al cui scambio è diretta l’attività dell’impresa.
Le disposizioni relative all’imposta sul valore aggiunto (Iva) prevedono una serie di agevolazioni per prestazioni effettuate da organizzazioni di volontariato o a favore delle stesse organizzazioni. Esse attengono a:
– divulgazione pubblicitaria;
– cessioni di beni-merce;
– trasporto di malati o feriti con veicoli all’uopo equipaggiati;
– educazione dell’infanzia e della gioventù e didattica di ogni genere anche per la formazione, l’aggiornamento, la riqualificazione e la riconversione professionale. In esse sono comprese anche le prestazioni relative all’alloggio, al vitto ed alla fornitura di libri e materiali didattici come pure le lezioni relativi a materie scolastiche e universitarie impartite da insegnanti a titolo personale;
– attività socio sanitarie, di assistenza domiciliare o ambulatoriale, in comunità, in favore di persone svantaggiate, rese dalle organizzazioni di volontariato sia direttamente sia in esecuzione di appalti,
convenzioni e contratti in genere.
Le organizzazioni di volontariato inoltre, non sono soggette all’obbligo di certificazione dei corrispettivi mediante ricevuta o scontrino fiscale.
Per quanto riguarda la ritenuta alla fonte, non viene applicata la ritenuta del quattro per cento a titolo di acconto sui contributi corrisposti alle organizzazioni di volontariato dagli enti pubblici. Inoltre, la ritenuta sui redditi di capitale corrisposti alle organizzazioni di volontariato viene considerata a titolo di imposta anziché di acconto.
Relativamente all’imposta di registro, occorre distinguere fra Onlus e organizzazioni di volontariato. Per quanto riguarda le prime, è da sottolineare che tutti gli atti traslativi a titolo oneroso della proprietà di beni immobili in genere e gli atti traslativi o contributi di diritti reali immobiliari di godimento, compresa la rinuncia ad essi, destinati ad essere utilizzati nell’ambito delle attività statutarie, deve essere corrisposta, per la registrazione, la cifra fissa di lire 250 mila.
Per quanto concerne le organizzazioni di volontariato, occorre fare riferimento alla legge-quadro la quale prevede la totale esenzione dall’imposta di registro. Con l’autorizzazione dell’Intendenza di finanza e previo nulla osta delle prefetture, le organizzazioni di volontariato possono effettuare lotterie, tombole, pesche e banchi di beneficenza, con le seguenti limitazioni:
per le lotterie è previsto che la vendita di biglietti deve riguardare il solo territorio della provincia. I biglietti vanno staccati da registri a matrice in numero determinato. L’importo complessivo di ogni lotteria non può superare i 100 milioni di lire;
per le pesche e i banchi di beneficenza, le operazioni sono limitate al territorio del comune in cui esse hanno luogo. Il ricavato complessivo non può superare i 100 milioni di lire.
Esenzioni. Le esenzioni riguardano:
l’imposta di bollo;
le tasse sulle concessioni governative;
l’imposta sulle successioni e sulle donazioni;
l’imposta sostitutiva;
l’imposta sull’incremento di valore degli immobili e della relativa imposta sostitutiva;
l’imposta sugli spettacoli;
le raccolte pubbliche occasionali di fondi;
i contributi per lo svolgimento convenzionato dell’attività.
Anche su ognuna di esse si ritiene utile fare qualche accenno.
Sono esenti dall’imposta di bollo:
gli atti, i documenti, le istanze, i contratti, le copie anche se dichiarate conformi, gli estratti, le certificazioni, le dichiarazioni e le attestazioni poste in essere oppure richieste dalle organizzazioni di volontariato.
Sono esenti dalle tasse sulle concessioni governative
tutti gli atti ed i provvedimenti concernenti le organizzazioni di volontariato.
Sono pure esenti dall’imposta sulle successioni e sulle donazioni i trasferimenti a favore delle organizzazioni di volontariato.
Agli immobili acquistati a titolo gratuito, anche per causa di morte, non si applica l’imposta sull’incremento di valore. Lo stesso trattamento è riservato all’imposta sostitutiva di quella comunale sull’incremento di valore degli immobili.
L’imposta sugli spettacoli non è dovuta per le attività spettacolistiche svolte occasionalmente dalle organizzazioni di volontariato in concomitanza di celebrazioni, ricorrenze o campagne di sensibilizzazione. Per ottenere l’esenzione è necessario dare comunicazione, prima dell’inizio della manifestazione, all’ufficio accertatore territorialmente competente.
Sono da considerarsi attività spettacolistiche:
– gli spettacoli cinematografici e misti di cinema e avanspettacolo, comunque ed ovunque dati, anche se in circoli e sale private;
– gli spettacoli sportivi di ogni genere, ovunque si svolgano, nei quali si tengano o meno scommesse;
– gli spettacoli teatrali; le esecuzioni musicali di qualsiasi genere, escluse quelle effettuate a mezzo di elettrogrammofoni a gettone o a moneta; i balli, le lezioni di ballo collettive, i veglioni e altri trattenimenti di ogni natura ovunque si svolgano e da chiunque organizzati; i corsi mascherati e in costume, le rievocazioni storiche, le giostre e tutte le manifestazioni similari;
– gli spettacoli teatrali di opere liriche, balletto, prosa, operetta, commedia musicale, rivista, concerti vocali e strumentali; le attività circensi e dello spettacolo viaggiante;
– gli spettacoli di burattini e marionette ovunque tenuti;
– le mostre e le fiere campionarie;
– le esposizioni scientifiche, artistiche e industriali, rassegne cinematografiche riconosciute con decreto del Ministero per le finanze e altre manifestazioni similari di qualunque specie.
Il Ministro delle finanze può stabilire, con proprio decreto, quando le suddette attività sono da considerarsi occasionali.
Le raccolte pubbliche occasionali di fondi non concorrono alla formazione del reddito delle organizzazioni di volontariato anche se esse avvengono mediante offerte di beni di modico valore o di servizi ai sovventori in concomitanza di celebrazioni, ricorrenze o campagne di sensibilizzazione.
Anche in questo caso, il Ministero delle finanze può stabilire, con proprio decreto, condizioni e limiti atti a definire occasionali le predette attività.
Non concorrono alla formazione del reddito i contributi corrisposti alle organizzazioni di volontario da amministrazioni pubbliche per lo svolgimento convenzionato di attività aventi finalità sociali esercitate in conformità ai fini istituzionali.
Altre agevolazioni
Tutti i vantaggi e le esenzioni finora segnalati sono riconosciuti dalla normativa nazionale. Ci sono, però, alcuni tributi che sono di pertinenza di comuni, provincia, regioni e province autonome. Per essi, i predetti enti possono prevedere la riduzione oppure, addirittura, l’esenzione. (Da ipfonlus.it)
IMU e ONLUS. Qual è la discrepanza tra Norme, Principi Costituzionali e pratica burocratica?
Il Dlgs 504/1992 (Riordino della finanza degli enti territoriali), al Titolo I, Capo I (Imposta Comunale sugli Immobili), art. 7 comma 1 lett. I (Esenzioni), recita: “Sono esenti dall'imposta:
a) gli immobili posseduti dallo Stato, dalle regioni, dalle province, nonchè dai comuni, se diversi da quelli indicati nell'ultimo periodo del comma 1 dell'articolo 4, dalle comunità montane, dai consorzi fra detti enti, dalle unità sanitarie locali, dalle istituzioni sanitarie pubbliche autonome di cui all'articolo 41 della legge 23 dicembre 1978, n. 833, dalle camere di commercio, industria, artigianato ed agricoltura, destinati esclusivamente ai compiti istituzionali;
(…)
i) gli immobili utilizzati dai soggetti di cui all'articolo 73, comma 1, lettera c), del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917,e successive modificazioni, fatta eccezione per gli immobili posseduti da partiti politici, che restano comunque assoggettati all'imposta indipendentemente dalla destinazione d'uso dell'immobile, destinati esclusivamente allo svolgimento con modalità non commerciali di attività assistenziali, previdenziali, sanitarie, di ricerca scientifica, didattiche, ricettive, culturali, ricreative e sportive, nonché delle attività di cui all'articolo 16, lettera a), della legge 20 maggio 1985, n. 222”. L'esenzione spetta per il periodo dell'anno durante il quale sussistono le condizioni prescritte (art. 7, comma 2 Dlgs 504/1992).
Per la legge di bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2020 e bilancio pluriennale per il triennio 2020-2022, n. 160/2019, nell'art. 1, comma 777. “Ferme restando le facoltà di regolamentazione del tributo di cui all'articolo 52 del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, i comuni possono con proprio regolamento: (…)
e) stabilire l'esenzione dell'immobile dato in comodato gratuito al comune o ad altro ente territoriale, o ad ente non commerciale, esclusivamente per l'esercizio dei rispettivi scopi istituzionali o statutari”.
Questa è una Interpretazione autentica: Proviene dallo stesso soggetto che ha emanato la norma, al fine di eliminare incertezze e dubbi. Essendo contenuta in un atto avente forza di legge è vincolante per tutti; alla norma in questione non sarà più attribuibile un significato diverso da quello fissato dalla legge interpretativa.
Questa è una interpretazione EVOLUTIVA E’ necessario interpretare una disposizione normativa non solo facendo riferimento al contesto passato in cui è stata emanata ma anche a quello attuale in cui è in vigore.
Cassazione civile, sezione lavoro, sentenza del 10.03.2020, n. 6752. E' bene al riguardo rammentare che l'attività ermeneutica, in consonanza con i criteri legislativi di interpretazione dettati dall'art. 12 preleggi, deve essere condotta innanzitutto e principalmente, mediante il ricorso al criterio letterale; il primato dell'interpretazione letterale è, infatti, costantemente ribadito dalla giurisprudenza di legittimità (vedi ex multis, Cass. 4/10/2018 n. 241651 , Cass. 21/5/2004 n. 97002 , Cass. 13/4/2001 n. 3495) secondo cui all'intenzione del legislatore, secondo un'interpretazione logica, può darsi rilievo nell'ipotesi che tale significato non sia già tanto chiaro ed univoco da rifiutare una diversa e contraria interpretazione. Alla stregua del ricordato insegnamento, l'interpretazione da seguire deve essere, dunque, quella che risulti il più possibile aderente al senso letterale delle parole, nella loro formulazione tecnico giuridica.
L’Intenzione del legislatore è chiara, ma racchiusa in quella deleteria delega agli enti locali, che sistematicamente disapplicano lo scopo ed i principi della legge.
Inoltre la mancata applicazione dell’art. 1, comma 777, della legge 160/2019 comporta la violazione dell’art. 3 della Costituzione. L’ampia discrezionalità concessa ai singoli Comuni circa la possibilità di esentare da IMU – o meno – gli immobili concessi in comodato unita all’assenza di criteri univoci utili a garantire un trattamento di eguaglianza nei confronti degli enti interessati, potrebbe portare disparità di trattamento - verso gli immobili concessi in comodato - per i diversi contribuenti che risiedono all’interno di un raggio territoriale limitato a pochi km di distanza l’un l’altro, ovvero ad eventuali calcoli di convenienza tra le parti nello svolgere le proprie attività in territori comunali con immobili ad “esenzione garantita” a favore del comodante, verso il quale sarebbe auspicabile un chiarimento sia a livello legislativo, oltre che di prassi, al fine di evitare il proliferarsi di eventuali contenziosi nei confronti dei Comuni interessati a non concedere il beneficio agevolativo di esenzione in parola.
Si denota con stupore che, se da una parte le commissioni tributarie ed il Ministero dell'Economia e Finanze si esprimono in ossequio ai principi del legislatore del 1992, prevedendone la dicotomia POSSESSO ED UTILIZZO, la Corte Costituzionale e la Corte di Cassazione se ne discostano, riconoscendo l'esenzione solo a quei "No Profit" che oltre ad essere utilizzatori siano anche possessori.
Va da sè che termine più aleatorio nel diritto civile è quello del POSSESSO, ma in questo caso si intende PROPRIETA' O USUFRUTTO, e non COMODATO. Il Legislatore, con la sua profonda saggezza, ha insistito sul punto, in ossequio ai fini solidaristici costituzionali.
A tal riguardo, di contro, la Deliberazione del Consiglio Comunale di Avetrana con oggetto l'approvazione del Regolamento per l’applicazione dell’Imposta municipale propria IMU del 15/06/2012, nell'art. 5 (Immobili utilizzati dagli enti non commerciali), discostandosi dai principi previsti dal legislatore, recita “L'esenzione prevista dall'art. 7, comma 1, lettera i) del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, si applica soltanto ai fabbricati ed a condizione che gli stessi, oltre che utilizzati, siano anche posseduti dall’ente non commerciale utilizzatore”.
Giunte di destra e di sinistra si sono succedute. Ma ad Oggi le Avetrana di tutta Italia non hanno nessuna intenzione di allargare le magie dell’esenzione.
Sul tema è intervenuta anche la giurisprudenza che, discostandosi dai principi previsti dal legislatore, ha circoscritto l’ambito applicativo dell’esenzione ai soli immobili che risultano posseduti ed utilizzati allo stesso tempo dall’ente non commerciale.
Con le ordinanze 19.12.2006 n. 429 e 26.1.2007 n. 19, la Corte costituzionale ha dichiarato manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 59 co. 1 lett. c) del DLgs. 15.12.97 n. 446, in relazione all’art. 7 co. 1 lett. i) del DLgs. 30.12.92 n. 504. Secondo la Consulta, tale disposizione non innova la disciplina dei requisiti soggettivi richiesti dalla richiamata lett. i), in quanto “l’esenzione deve essere riconosciuta solo all’ente non commerciale che, oltre a possedere l’immobile, lo utilizza direttamente per lo svolgimento delle attività ivi elencate”.
La Corte di Cassazione, in più sentenze, ha espressamente subordinato il riconoscimento del diritto all’esenzione alla duplice condizione soggettiva che l’ente non commerciale possieda ed utilizzi l’immobile; e tale orientamento troverebbe fondamento nella “costante giurisprudenza di questa Corte” che in materia duplice condizione “dell’utilizzazione diretta degli immobili da parte dell’ente possessore e dell’esclusiva loro destinazione ad attività peculiari che non siano produttive di reddito”.
Chiarimenti sono pervenuti anche dall’Amministrazione finanziaria. La circolare Min. Economia e Finanze 26.1.2009 n. 2/DF si è limitata a richiamare le ordinanze della Corte Cost. 19.12.2006 n. 429 e 26.1.2007 n. 19, ravvisandovi elementi atti a sostenere che l’esenzione “deve essere riconosciuta solo all’ente non commerciale che, oltre a possedere l’immobile, lo utilizza direttamente per lo svolgimento delle attività … elencate” alla lett. i) dell’art. 7 co. 1 del DLgs. 504/92. Nello stesso senso si è espressa anche la ris. Min. Economia e Finanze 4.3.2013 n. 4/DF che ha ritenuto applicabili all’IMU le sopra richiamate sentenze della Corte costituzionale, oltre alla Cass. 30.5.2005 n. 11427.
Di senso opposto ed in ossequio ai principi previsti dal legislatore, si è conformata la giurisprudenza prevalente successiva. Si sta formando in giurisprudenza un indirizzo per cui l’esenzione da Imu e Tasi non spetta solamente ai soggetti che utilizzano direttamente l’immobile per il soddisfacimento dei propri fini istituzionali, ma anche a coloro che concedono in uso gratuito lo stesso immobile a realtà che lo utilizzano nel perseguono delle medesime finalità istituzionali del soggetto concedente.
Con riferimento al vincolo dell’utilizzo “diretto” dell’immobile, quale requisito inderogabile per riconoscere l’esenzione, recente giurisprudenza sta mettendo in crisi tale concetto, riconoscendo il beneficio anche nei casi in cui lo stesso immobile sia stato concesso in comodato a soggetti che, a loro volta, lo utilizzano per il perseguimento dei propri fini istituzionali, anch’essi meritevoli di tutela. L’esenzione spetta anche per gli immobili in comodato.
La gratuità del comodato giustifica l'esenzione dal pagamento dell'Imu per gli enti non commerciali che svolgono attività meritevole. Questa la conclusione "progressista" cui giunge il Mef nella risoluzione 4DF del 4.3.2013. Nella risoluzione 4/DF del 4.3.2013, il Mef tratta il caso di un ente non commerciale che concede in comodato gratuito un immobile di sua proprietà ad un altro ente non commerciale, per lo svolgimento di attività meritevoli. Il Mef stravolge l'orientamento prevalente della Corte di Cassazione e della Corte costituzionale, che hanno da sempre richiesto la coincidenza soggettiva tra proprietario e utilizzatore dell'immobile, sostenendo che ciò che conta è la gratuità della concessione, e quindi la non formazione di reddito in capo all'ente. Secondo alcune pronunce della Corte Costituzionale e della Corte di Cassazione, l'esenzione per gli enti non commerciali si applica a condizione che l'immobile sia posseduto e utilizzato per attività meritevoli (articolo 7 comma 1 letera i del D.lgs. 504/1992) direttamente dallo stesso ente non commerciale, circostanza che non avviene in caso di concessione in comodato ad un altro ente non commerciale. Per attività meritevoli si intendono quelle assistenziali, previdenziali, sanitarie, didattiche, ricettive, culturali, ricreativi, sportive, di religione e di culto.
In netto contrasto con questa soluzione il Ministero, nella risoluzione 4/DF, conclude affermando che l'esenzione Imu si applica nel caso di immobili concessi in comodato a titolo gratuito ad altri enti dello stesso tipo. Secondo il Mef, infatti, l'elemento decisivo per l'applicazione o meno dell'Imu è la presenza di un reddito determinato dall'immobile, che nel caso del comodato a titolo gratuito non sussiste.
A sostegno di questa tesi, nella risoluzione si richiama la sentenza n. 11427/2007 della Corte di Cassazione che ha trattato il caso di un immobile dato in locazione. Anche in questo caso si verificava la non coincidenza tra soggetto proprietario e soggetto utilizzatore dell'immobile, che secondo il principale orientamento della giurisprudenza escludeva l'applicabilità dell'esenzione. In tale sentenza però la Corte di Cassazione, esclude l'applicabilità dell'esenzione per il fatto che la locazione determinava un reddito in capo all'ente, indice di una determinata capacità contributiva, non idonea a giustificare l'agevolazione.
Nel caso del comodato gratuito, invece, a differenza della locazione non si genera alcun reddito in capo all'ente, e pertanto l'esenzione si applica.
Ovviamente l'ente utilizzatore non deve pagare l'Imu perché non è soggetto passivo, ma deve fornire all'ente non commerciale che gli ha concesso l'immobile, tutti gli elementi necessari per consentirgli l'esatto adempimento degli obblighi tributari sia di carattere formale che sostanziale.
D'altra parte l'orientamento "elastico" del Mef è da apprezzare, considerando che ha voluto cogliere la ratio più profonda della norma. L'esenzione, infatti, è il giusto riconoscimento del valore sociale apportato dagli enti no profit attivi in settori particolarmente delicati della vita dei cittadini. È proprio il carattere non lucrativo l'elemento che giustifica l'esenzione, e che tra l'altro, esprimendosi in termini di umanizzazione, costituisce un "ritorno" nelle tasche dei cittadini. E' pertanto la natura del contratto di comodato e la sua non onerosità a consentire al ministero di giustificare l'esenzione Imu. Restano ovviamente soggetti a tassazione gli immobili locati in quanto l'affitto rappresenta un reddito e una fonte di ricchezza che è oggettivamente incompatibile con gli obiettivi che le norme sull'esenzione dall'Imu tutelano.
Peraltro l’Amministrazione Finanziaria, contrariamente a quanto affermato dalla su indicata giurisprudenza, con le Risoluzioni n. 3 e 4 del 4 marzo 2013 ha chiarito che un ente commerciale che conceda in comodato un immobile ad un altro ente non commerciale per l’esercizio di attività non commerciale gode ugualmente dell’esenzione IMU.
È infatti con la sentenza n. 3528/2018 che la suprema Corte di Cassazione ha stabilito che gli enti non commerciali non sono esonerati dal pagamento delle imposte locali per il fatto di essere accreditati o convenzionati con la pubblica amministrazione. La sottoscrizione di una convenzione con l’ente pubblico, quindi, non garantisce che l’attività venga svolta in forma non commerciale e che i compensi richiesti siano sottratti alla logica del profitto. In tutte queste situazioni, pertanto, al fine di valutare l’esenzione, si dovranno verificare con molta attenzione le caratteristiche dell’attività svolta dall’ente non commerciale, non essendo sufficiente limitarsi alla verifica dell’esistenza di una convenzione con la pubblica amministrazione. In sintonia con l’ultima sentenza citata anche l’ordinanza n. 10754/2017 con la quale, sempre la Cassazione, ha affermato che le scuole paritarie sono soggette al pagamento dei tributi locali, e quindi non godono dell’esenzione, se l’attività non viene svolta a titolo gratuito o dietro richiesta di una somma simbolica.
In condizioni normali, dopo l’istanza in autotutela, rigettato, e dopo il reclamo-ricorso, rigettato, si potrebbe agire in giudizio presso la Commissione Tributaria Provinciale, ove si ponesse fiducia nel giudice illuminato e preparato sicuri della vittoria. Però il Comune di Avetrana, nella persona del Dr Mazza ha voluto precisare: “difenderemo gli interessi comunali in ogni stato e grado del giudizio. L’eventuale costituzione in giudizio comporta il pagamento del contributo unificato. Inoltre, la parte che perde in giudizio può essere condannata al rimborso delle spese sostenute dalla controparte, maggiorate del 50% a titolo di spese del procedimento di mediazione".
Ciò significa che trovato il giudice illuminato a Taranto, ritrovato un ulteriore giudice illuminato a Bari, per forza di cose ci ritroviamo a Roma dove gli ermellini si guarderebbero bene a rinnegare i loro precedenti.
Quindi il novello Davide “Antonio Giangrande”, pur in una famiglia di avvocati e con pochezza di risorse, contro il Golia “Comune di Avetrana”, con risorse comunali illimitate, pur nella ragione, soccomberebbe.
Gli avversari troppo forti, quali sono la burocrazia e la giurisprudenza.
Il legislatore inane, che in assenza di una politica rappresentativa degli interessi diffusi, che non afferma i suoi principi e metta fine a questa sperequazione, favorisce l’intimazione, l’oppressione e l’omertà.
Ergo: Dr Antonio Giangrande, paga, subisci e taci!
Dr Antonio Giangrande
Antonio Giangrande: “SPECULOPOLI. FISCO E MONOPOLI”. Il libro di Antonio Giangrande.
COME SI COMBATTE LA CRISI E L’EVASIONE FISCALE? UCCIDENDO LAVORO ED IMPRESA E SPOLPANDO I POVERI CRISTI.
Quale è la nazione dove di permette ai professionisti, come per esempio gli avvocati, di sfruttare i praticanti, non pagandoli o pagandoli poco od a nero, ed omettendo di pagare loro i contributi, mentre si rastrellano i poveri coltivatori, artigiani, commercianti, al fine di estorcere loro quel poco che hanno ed inibendo il proseguo dell’attività, costringendoli al suicidio economico e spesso anche fisico? Come si chiama quella nazione dove i giornali vanno dietro alle veline dei magistrati ed al gossip ed ignorano le richieste di aiuto dei poveri contribuenti per far cessare la mattanza?
In Italia naturalmente. Basta denunciare il fatto. Ed è quello che si fa con il saggio “Speculopoli. Fisco e Monopoli”. E’ da venti anni che studio il sistema Italia, a carattere locale come a livello nazionale. Da queste indagini ne sono scaturiti decine di saggi, raccolti in una collana editoriale "L'Italia del Trucco, l'Italia che siamo", letti in tutto il mondo, ma che mi sono valsi l’ostruzionismo dei media nazionali. Pennivendoli venduti all’economia ed alla politica. Book ed E-Book che si possono trovare su Amazon.it.
Siamo basiti, scrive Vittorio Feltri su “Il Giornale”. «Ieri (20 agosto 2014) apriamo il Corriere della Sera a pagina 17 e leggiamo il seguente titolo: “Due uomini dai pm: siamo stati amanti di Marita Bossetti”. Chi è costei? La moglie di Massimo Giuseppe Bossetti, sospettato di essere l'assassino di Yara Gambirasio, l'adolescente di Brembate (Bergamo), in galera da un paio di mesi per via del suo Dna rilevato sul corpo della vittima. Non riassumiamo la vicenda perché è stata raccontata mille volte e supponiamo che il lettore ne sia a conoscenza. Ci limitiamo a esprimere stupore e indignazione davanti a questa ennesima incursione nella vita privata di una famiglia - quella dei Bossetti, appunto - che avrebbe diritto a essere lasciata in pace, ammesso che possa trovarne, avendo il proprio capo chiuso in una cella senza che esista la minima probabilità che questi reiteri il reato attribuitogli, inquini le prove (che non ci sono) e si appresti a fuggire, visto che in quattro anni non ha mai provato a farlo. Stando a Giuliana Ubbiali, la cronista che ha rivelato quest'ultimo particolare piccante sui coniugi, due gentiluomini si sono presentati (spontaneamente? ne dubito) in Procura e hanno confidato agli inquirenti di avere avuto rapporti intimi con la signora Marita. Hanno detto la verità o no? Non è questo il punto. La suddetta signora ha facoltà di fare ciò che vuole con chi vuole e quando vuole senza l'obbligo di giustificarsi con nessuno, tranne il marito. Perché le toghe ficcano il naso nelle mutande di una sposa già distrutta dagli eventi? A quale scopo? Sarebbe interessante che qualcuno ci spiegasse che c'entrano due supposte (non accertate) relazioni avute dalla donna in questione con il delitto di Yara commesso - forse - dal coniuge. Il gossip non ha alcuna importanza - fondato o infondato che sia - ai fini di accertare la verità. Questo lo capisce chiunque. Nonostante ciò, gli investigatori hanno infilato negli atti processuali che due linguacciuti asseriscono di essersi divertiti, sessualmente parlando, con la consorte di Bossetti. Cosicché questi, oltre a essere inguaiato per un omicidio, nonché detenuto, adesso è anche formalmente cornuto agli occhi di chi si pasce di pettegolezzi. Non solo. Marita ha il suo uomo agli arresti, tre figli da mantenere (in assenza di un reddito), un futuro nebuloso, gli avvocati da pagare e, dulcis in fundo, ci ha smenato pure la reputazione passando ufficialmente (zero prove) per puttana».
A fronte di uno stillicidio mediatico rispetto ad una notizia con valore zero, dall’altra parte troviamo uno dei tanti, troppi casi, di ordinaria pazzia, che non meritano l’attenzione dei media.
La storia di Salvatore Lo Cascio di Monte Porzio Catone, in provincia di Roma.
Roma. Italia. “Dopo una vita di fatica, costretto alla fame ed al freddo. E nessuno mi dà retta”.
Questa lettera mi è arrivata da un signore che scrive dal Lazio, ma che può pervenire da qualsiasi località italiana.
«Dr Antonio Giangrande, da semplice ed onesto cittadino sto vivendo la più assurda situazione:
1° -Servizi idrici totalmente chiusi da 33 mesi.
2° -Lavoro bloccato, il Comune mi ha tolto la licenza di vendita di ciò che produco da 33 mesi.
3° -L’Inps mi ha cancellato da coltivatore diretto iscrivendomi alla categoria commercianti e, tassandomi per tale, ha ipotecato tutto ciò che ho e per gli effetti Equitalia minaccia espropriazioni. Ho denunciato ogni casa a Carabinieri, Guardia di Finanza, Polizia di Stato, tribunali. Tutto giace archiviato, ne letto ne ascoltato, messo a tacere. Ho inviato denuncia al C.S.M. per occultamento della denuncia nel Tribunale di Velletri, ho inviato messaggi scritti al Capo dello Stato, messaggi email a Matteo Renzi, a Pietro Grasso. Una lettera è stata inviata alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea. Tutte le richieste alle testate giornalistiche e televisive non hanno avuto risposta. Non posso cercare soluzione tramite un bravo avvocato perchè non ho alcun mezzo economico. Io non chiedo aiuti economici, me li hanno offerti dalla Calabria dopo la mia esternazione in TV su Rete 4 a “5ª Colonna.” Chiedo esclusivamente di non essere messo a tacere. Ho inviato email e lettere alla Merkel, all'ambasciatore Germanico a Roma, al Tribunale Diritti Umani di Strasburgo. Ho cercato sostegno agli avvocati delle associazioni dei consumatori e dei sindacati. Nulla.»
Dopo questa richiesta di aiuto ho fatto delle ricerche per conferma ed approfondimento, rinunciando alla marea di carte inutili che in casi simili le vittime son pronte ad inondarti. In effetti solo un giornale locale ne ha parlato. E’ stata la giornalista Lucrezia La Gatta su “La fiera dell’est” del 21 dicembre 2013. Essa parla di come il sistema spolpa i poveri cristi ed io le do rilevanza nazionale. Non gliene fregherà niente a nessuno e non si caverà un ragno dal buco. Intanto io il mio dovere l’ho fatto, altri chissà…..
“La storia di Salvatore Lo Cascio, residente a Monte Porzio Catone, è una storia di privazioni ed ingiustizie. Con una casa ipotecata e la licenza agricola revocata a 62 anni. La sua vita avanti tra una battaglia e l’altra. «Lavoro come agricoltore da quando ero ragazzo - spiega Salvatore - ho iniziato vendendo i prodotti del mio terreno all'ingrosso poi, a seguito delle nuove leggi, ho dovuto optare per la Convenzione di Tipo A per l'occupazione di suolo pubblico presso la Piazza del Mercato di Monte Porzio Catone». Ci viene mostrata una fotocopia della licenza nella quale si legge che la Convenzione di Tipo A permette la vendita dei prodotti agricoli quotidianamente. Il 25 novembre 2011 è arrivata, però, una lettera da parte del Comune dove si fa presente che l'accordo con Salvatore Lo Cascio prevede che la vendita dei suoi prodotti avvenga esclusivamente di martedì. Il 1 dicembre 2011, inoltre, arriva una lettera da parte del Comune dove si annuncia la revoca dell'occupazione del suolo pubblico. Quello che viene detto, dunque, è che la sua licenza fosse stata di tipo B, la quale prevede la vendita dei prodotti per uno o più giorni a settimana, in base agli accordi. «Ho mandato lettere al Comune di Monte Porzio Catone, ho sporto denuncia al Tribunale di Velletri, ho protestato davanti Montecitorio, ma nessuno mi ha mai risposto» continua a spiegarci mostrandoci tutte le lettere e le denunce sporte negli ultimi anni. Il periodo in cui viene revocata la Licenza Agricola al sig. Lo Cascio coincide con la fondazione di un'Associazione Commercianti di Monte Porzio, la quale utilizza proprio la Piazza del Mercato. Da quel giorno Salvatore ha smesso di lavorare all'età di 62 anni: «Dopo anni di sacrifici mi sarei aspettato una pensione ed una vita tranquilla, invece ora mi ritrovo senza un lavoro e con una casa ed il terreno ipotecati». Negli anni, il signor Lo Cascio ha accumulato 120.000 euro di arretrati: una cifra che l'INPS, tempo fa, aveva richiesto di riunire nel giro di soli cinque giorni. Non avendo le disponibilità economiche per coprire il debito, Equitalia ha proceduto con l'ipoteca. Neanche le lettere inviate all'Agenzia Delle Entrate, alla Regione Lazio, alla Federconsumatori ed alla Confesercenti hanno saputo porre rimedio al danno subìto. «Mi hanno distrutto la vita e la famiglia - ci racconta - mia moglie è costretta a lavorare come badante e donna delle pulizie per guadagnare quel poco che ci fa andare avanti». Salvatore ha sempre portato avanti le sue battaglie personalmente, non avendo le disponibilità economiche per assumere un legale. Dopo l'ennesima opposizione alla richiesta di archiviazione della sua pratica, risalente al 9 ottobre 2013, il 20 novembre arriva finalmente una lettera protocollata 796/13 PM e 5914/13 GIP dove si annuncia la prima seduta del 13 marzo 2014, al Tribunale di Velletri, dove verrà analizzata la revoca della licenza agricola del sig. Lo Cascio. Un piccola soddisfazione per l'agricoltore, dopo anni di silenzi e di indifferenza totale. Nonostante la bella notizia, non si può affermare che ora Lo Cascio possa vivere in tranquillità: tra il terreno ipotecato e la mancanza di lavoro, i sacrifici e le sofferenze non terminano qui. In lacrime, conclude: «Il problema di un singolo non fa notizia».
Dr Antonio Giangrande
Presidente dell’Associazione Contro Tutte le Mafie e di Tele Web Italia
Antonio Giangrande: ITALIA DA ROTTAMARE. GIUGNO. LA FARSA DEL PAGAMENTO DELLE TASSE
Giugno tempo di tasse e di prese per il culo. Imu, Tari, Tasi, Tares, Redditi, ecc. Chi più ne ha, più ne mette. Non si capisce cosa pagare a chi? Però alla fine nulla si può pagare. Perché i burocrati sono sempre in ritardo. E poi dicono che i cittadini evadono….
Se ne occupa Antonio Giangrande, noto autore di saggi pubblicati su Amazon, tra cui “Speculopoli. L'Italia delle speculazioni. Fisco e monopoli”. Libri che raccontano questa Italia alla rovescia. Giangrande per una scelta di libertà si pone al di fuori del circuito editoriale. Libri dettagliati che fanno la storia, non la cronaca, perché fanno parlare i testimoni del loro tempo.
«Sono orgoglioso di essere diverso. In un mondo caposotto (sottosopra od alla rovescia) gli ultimi diventano i primi ed i primi sono gli ultimi. L’Italia è un Paese caposotto. Io, in questo mondo alla rovescia, sono l’ultimo e non subisco tacendo, per questo sono ignorato o perseguitato. I nostri destini in mano ai primi di un mondo sottosopra. Che cazzo di vita è? Già ho rinunciato a chiedere l’iscrizione all’elenco dei beneficiari del 5X1000, in qualità di presidente di una associazione antimafia ONLUS, per i disservizi dell’Agenzia delle Entrate. Cosa che ha già promosso una interrogazione parlamentare. Tra ladrocini a go go, (vedi Expo e Mose) e puttanizi vari, dove ognuno si prostituisce per un favore indebito - dice Giangrande - con la regola da rispettare degli appalti pubblici taroccati ed i concorsi ed esami pubblici truccati, ci tocca pure pagare i boiardi di Stato. Ci fanno una testa così a proposito dell’evasione fiscale. Si sono inventati gli studi di settore e cazzate varie. Ciononostante, anche se non hai incassato un euro, ti tocca addossarti l’onere di farlo sapere all’agenzia delle entrate che, guarda caso, ti complica la vita. Da buon cittadino onesto, cerco di far da me la dichiarazione Unico Persone Fisiche 2014. Il primo di giugno mi metto di buona lena, consapevole del fatto che, mai sia, si superi i termini di presentazione ed allora son cavoli amari. Mi metto a scaricare tutta la massa di software che l’agenzia indica nelle pagine più disparate. E’ come cercare il tesoro. Bene. Una volta che pensi di aver fatto tutto quanto precede la benedetta dichiarazione on line, cominci a compilarla, con in allegato lo studio di Settore, pensato da lunatici burocrati. Arrivati alla fine di Unico, al modello RX, la schermata mi informa che è impossibile completare l’operazione, in quanto non si può effettuare il controllo. Provo e riprovo per giorni e notti. Riscarico i programmi, casomai ci sono errori nel mio PC. Niente. Sono depresso e stanco. A quel punto mi chiedo: ma son veramente un coglione? Sbaracco tutto e vado da un Caf o un commercialista, pago la tangente di Stato per la compilazione di Unico e così sto a posto? Ma mi viene un dubbio: vuoi vedere che i coglioni sono altri? E mi metto a cercare i forum dei disgraziati come me. E cerca, che trovi, sul forum di fisco e tasse mi ritrovo qualcuno con lo stesso mio problema.
Scrive Re Artù. “Ciao. Sono un artigiano ex minimo, in contabilità supersemplificata ma soggetto agli studi di settore. Ho elaborato il mio Unico PF - il mio quadro " G " - elaborato con Gerico2014 il tutto risultato congruo e coerente - allego il relativo file all'Unico2014, vado in RN e RX per stampare in miei bravi mod. F24 ed andare in banca a pagare, cosa mi dice il programma di UNICO: "Il modulo di controllo dei record relativi agli studi di settore non è ancora disponibile, non è pertanto possibile eseguire il controllo completo della dichiarazione". Ma possibile che ogni anno si debbano mettere in difficoltà una intera categoria di artigiani che vogliono fare il loro dovere, cioè pagare onestamente le tasse e nel giusto termine imposto dalla legge, senza arrivare col fiatone ad eventuali proroghe (che ci saranno vedrete). Cosa fanno i programmatori dell'ADE, perché non perfezionano in tempo questi programmi messi in rete ogni anno sempre più in ritardo. Sapete se debbo essere io a scaricarmi questo modulo di controllo e se sì dove debbo andare a ricercarlo, oppure l'aggiornamento avviene automaticamente nel pacchetto di UNICO2014? Scusate ma non se ne può più. Ciao a tutti.”
Risponde Rocco, un buon samaritano. “Stai calmo, non ti arrabbiare. Innanzitutto è in arrivo la proroga dei versamenti di UNICO per i contribuenti che applicano gli studi di settore. Il modulo di controllo degli studi di settore non è ancora disponibile; trattasi di modulo superato da quello di controllo di UNICO. Pertanto, in presenza di mod. UNICO con allegato il modello sds, non potrai trasmettere la dichiarazione se il modulo di controllo non viene reso disponibile. Devi pazientare ancora un po', considerando che la scadenza per l'invio telematico è il 30/09/2014. Saluti.”
“E' la solita "farsa" di ogni anno. Grazie Rocco. Saluti.” Risponde rassegnato Re Artù. Allora mi chiedo. Ma per quanto tempo ancora ci devono prendere per il cu…….e non perdere la pazienza?»
Dr Antonio Giangrande
Presidente dell’Associazione Contro Tutte le Mafie e di Tele Web Italia
LA SOLITA INVASIONE BARBARICA SABAUDA. (Ho scritto un saggio dedicato)
Storia d’Italia.
Non abbiamo una memoria nazionale, abbiamo una memoria familiare. Storia di Aldo Cazzullo su Il Corriere della Sera mercoledì 6 dicembre 2023.
Caro Aldo, lei trova mortificante che molti italiani ignorino il Risorgimento; concordo. Ho iniziato le scuole nel 1939 e, sin dalle elementari, ci venne inculcato il mito e la retorica del Risorgimento; leggevamo Cuore, ammiravamo i Padri della Patria (da Cavour a Garibaldi, persino da Vittorio Emanuele II a Mazzini), ci rattristava ma ci esaltava il ricordo dei martiri (Antonio Sciesa, fratelli Bandiera ecc.), da bambini «odiavamo» austriaci e Borbone, ecc. Tutto questo è stato gradualmente rimosso dalla cultura generale dopo gli anni 50 (vedi sostituzione della festa nazionale della Vittoria con quella della Liberazione). Lei queste cose le sa meglio di me, ma purtroppo non può dirle perché frenato dal politically correct. Francesco Milazzo, Milano
Caro Francesco, Contrariamente a quel che pensano i neoborbonici — che mi stanno riempiendo di improperi, dalle ingiunzioni giudiziarie alle sfide a duello —, a scuola almeno noi in Piemonte non odiavamo affatto i Borbone. Gli austriaci però sì. Gli austriaci erano davvero i malvagi, che avevano impiccato i martiri di Belfiore, sparato sui milanesi in rivolta, affamato i veneziani, perseguitato Garibaldi, combattuto quattro guerre contro diverse generazioni di nostri antenati. Ci commuoveva e insieme ci inorgogliva la storia di Antonio Sciesa, che si chiamava in realtà Amatore, il tappezziere milanese che avviato al patibolo risponde «tiremm innanz» all’austriaco che lo porta sotto casa promettendo che rivedrà i familiari se denuncerà i compagni (anche se pare che la frase l’abbia detta al prete che gli chiedeva di confessare; comunque la disse, e pagò con la vita). Oggi il Risorgimento è del tutto assente dalla memoria nazionale, se si fa un film ambientato in quel periodo è un’orrenda rivalutazione dei briganti, tutto quello che di giusto e di coraggioso hanno fatto gli italiani di ogni regione viene vilipeso e denigrato oppure ignorato e dimenticato. E non è colpa del 25 aprile, che non ha sostituito il 4 novembre. Semplicemente, noi italiani non abbiamo una memoria nazionale, ma familiare, o al più municipale. Le persone muoiono, i discendenti ne perdono memoria, e la storia viene riscritta e ripensata per placare le ansie del presente: per cui i problemi del Sud sono colpa di Garibaldi e dei bersaglieri; e si stava meglio con il Duce che in democrazia.
Salvaci Signore dal furore dei normanni. Ma soprattutto dalla loro furbizia politica. Lo storico Levi Roach racconta i segreti del successo degli "uomini del Nord". Matteo Sacchi il 21 Novembre 2023 su Il Giornale.
Secondo alcune versioni, leggendarie come quasi tutte le cronache altomedioevali, iniziò tutto con un re di Francia buttato gambe all'aria. Sì, Carlo il semplice (879 d.C. 929 d.C.) finì ribaltato al suolo ed iniziò la storia del ducato di Normandia. Sia chiaro, nessuno voleva offendere Sua Maestà, solo idee diverse sul protocollo. Ma andiamo con ordine. Sul finire del IX secolo un'orda di vichinghi, sotto la guida di un certo Rollone, che nei documenti vanta il non proprio lusinghiero titolo di princeps piratorum (un modo di scrivere pendaglio da forca con eleganza), aveva provveduto a mettere a ferro e fuoco la bassa Senna plurime volte, spingendosi quasi sino a Parigi. Carlo aveva deciso di negoziare una bella pace con il riottoso invasore, visto che prendendosi a spadate non si arrivava a nessuna soluzione definitiva. Terra in cambio di omaggio, terra in cambio di una difesa del confine marittimo da altri, e magari peggiori, predoni venuti dal Nord. Ovviamente il tutto dopo che Rollone avesse accettato anche di diventare cristiano. Si decise secoli dopo che Parigi valeva ben una messa, Rollone reputò che lo valessero anche tutte quelle terre che gli venivano promesse e che poi avrebbero assunto il nome di Normandia (la terra degli uomini del Nord). Mugugnò un po' per inginocchiarsi davanti al re, ma lo fece. Poi gli spiegarono che doveva anche baciargli un piede. Gli sembrò davvero un po' troppo e ordinò ad uno dei suoi uomini di farlo al posto suo. Il vichingone si accinse di buona lena ma - scarsa contezza della cultura di corte o della flessibilità delle articolazioni delle gambe di Carlo il Semplice? - afferrò il piede del monarca e lo tirò verso l'alto per baciarlo. Il risultato fu una bella piroetta del sovrano. Ma il patto stipulato a Saint-Claire-sur-Epte fu comunque ritenuto valido da tutte le parti in causa.
Andò davvero così? Non lo sapremo mai. Di sicuro la Normandia divenne il punto di contatto che favorì l'ingresso di queste popolazioni nordiche nel cuore della cultura europea. E, per quanto a mano armata, va detto che fu un ingresso morbido, con una assimilazione piuttosto rapida. I normanni tendevano ad essere mimetici, ad assorbire gli usi locali alla velocità di un destriero in corsa. Sia sposando donne del luogo, sia correndo a far educare figli e figlie agli usi locali. Il risultato fu un indubbio successo il cui culmine fu la salita al trono imperiale di Federico II di Svevia nel 1212. Il puer Apuliae, nipote di Federico Barbarossa, di tedesco aveva pochissimo e di normanno, per discendenza e cultura, moltissimo. Per guardare nel dettaglio questa ascesa degli uomini del Nord, niente di meglio del nuovo volume pubblicato da Mondadori: I normanni. Storia dei conquistatori d'Europa (pagg. 354, euro 28). Scritto da Levi Roach, medievista di punta dell'università di Exeter. Il volume è una lunga carrellata, scritta con penna divertente e largo uso delle fonti antiche, delle rotte e delle strade che partendo dalla Normandia hanno condotto questi vichinghi di Francia in ogni luogo. Largo spazio è data anche all'avventura italiana degli Altavilla.
Fu del resto proprio il loro successo ad ispirare Guglielmo il conquistatore a tentare la rischiosa impresa di mettere le mani sul trono inglese e che portò alla battaglia di Hastings nel 1066. Guglielmo, duca di Normandia, non riusciva a capacitarsi del fatto che dei suoi ex vassalli, nemmeno poi così ricchi o potenti, fossero riusciti a procurarsi un così bel dominio nel cuore del Mediterraneo. E quella mediterranea è forse la parte più bella della narrazione. La vicenda parte con Guglielmo «Braccio di Ferro», il primo dei dodici figli avuti da Tancredi d'Altavilla (de Hauteville, nell'originaria versione franconormanna del cognome). Guglielmo partì per l'Italia dove il mercenariato rendeva bene. Venne rapidamente seguito dai fratelli verso il Mezzogiorno d'Italia, che era ricco ma politicamente diviso. Insomma, un posto dove una buona guerra non mancava mai. Guglielmo e i suoi fratelli iniziarono a lavorare di spada per il principe longobardo di Capua. Ma a dare la svolta definitiva furono i suoi fratellastri Roberto e Ruggero, figli delle seconde nozze di Tancredi (la cui prolificità ha enormemente influenzato la storia). Riuscirono a scardinare la potenza araba in Sicilia. Tanto da diventare addirittura un modello appunto per il loro duca, il futuro Guglielmo il conquistatore, un esempio da replicare in Inghilterra. Ma cosa è rimasto di questa ascesa normanna molto sicula? Moltissimo ma sotto traccia. I normanni vincevano ma amavano assimilare le culture altrui, a partire anche dalla lingua. Uno dei rari casi di vincitori così saggi da essere assimilati dal meglio della cultura dei vinti.
Mirella Serri per la Stampa - Estratti mercoledì 15 novembre 2023.
«Forsan et haec olim meminisse iuvabit»: di fronte a una platea di giovani imprenditori che la lingua di Virgilio non la mastica per niente, Mark Zuckerberg discetta in latino. Proprio così: per esortare i giovani a non perdere la fiducia neanche nei momenti più drammatici, il creatore di Facebook va a scomodare un verso del primo libro dell'Eneide. Zuckerberg considera l'impero di Facebook una sorta di riedizione dell'impero romano attualmente però in grado di raggiungere quasi tre miliardi di cives.
Per via della sua passione per la romanità ha dato alle figlie nomi altamente simbolici: Maxima, August, Aurelia. L'attrazione fatale per l'Urbe, Zuckerberg la condivide con Elon Musk che si è proclamato «imperator of Mars» e che, di recente, tra il serio e il faceto ha pensato di sfidare lo stesso Zuckerberg nell'agone del Colosseo.
Nell'elenco degli appassionati delle vestigia romane c'è pure Bill Gates, che ammira l'imperatore Claudio e che, dopo la pandemia, ha suggerito di creare una task force mondiale sul modello suggerito dal pater patriae Augusto il quale diede vita al corpo dei pompieri dopo che Roma fu distrutta da incendi devastanti.
Questa civiltà, che dovrebbe aver esaurito quasi sedici secoli fa il suo potenziale di influenza e di suggestione, è oggi più che mai operante tra noi e continua a condizionarci non solo nel linguaggio ma anche nell'arte, nel business e nella comunicazione. Ora, nel suo ultimo suggestivo excursus storico, Quando eravamo i padroni del mondo. Roma: l'impero infinito (HarperCollins), Aldo Cazzullo ripercorre con dovizia di aneddoti quanto questa fondamentale eredità ci condizioni ancora.
(...)
I romani ignoravano il concetto di razzismo: si diventava cittadini indipendentemente dal luogo in cui si era nati, dal colore della pelle, dal dio in cui si credeva. «Al limite prendevano un po' in giro i Goti perché erano troppo alti e troppo biondi», spiega il saggista. Roma non fu mai una democrazia in senso moderno. La politica escludeva le donne. Ma rispetto ad altre civiltà antiche, compresa quella greca, le romane godevano di maggiore libertà, non erano relegate in casa, frequentavano le arene e le terme, cenavano con gli uomini. Inoltre, le mogli non prendevano il nome del marito e potevano possedere, comprare, vendere; avevano i diritti che alle nostre nonne furono riconosciuti circa cent'anni fa.
La civiltà romana è stata antesignana della nostra modernità anche dal punto di vista degli usi e dei costumi sessuali. Vi si celebravano i matrimoni omosessuali, come quello dell'imperatore Nerone che si sposò due volte, sempre con uomini. Giulio Cesare era bisessuale. I suoi soldati facevano dell'ironia: «Ha sottomesso i Galli, ma Nicomede, re di Bitinia, ha sottomesso lui».
La clamorosa vittoria del mito neoborbonico. Storia di Aldo Cazzullo su Il Correre della Sera mercoledì 15 novembre 2023.
Caro Aldo, nella risposta al lettore Uggè cita la «favola consolatoria neoborbonica». Grazie a tale favola si leggono le assurdità più disparate. Vorrei la sua opinione su qualche considerazione: come mai il decantato esercito professionale borbonico, narrato come moderno ed efficiente, composto da oltre 7.000 uomini si sciolse come neve al sole davanti a 1.084 volontari tra cui pochissimi erano i militari ma vi si contavano panettieri, falegnami, agricoltori ecc.? L’esercito borbonico fece una delle più brutte figure della Storia, rivelando uno Stato debole, corrotto e imbelle. Si tratta dello stesso Stato che subiva continuamente rivolte popolari (numerose nel 1700 e poi 1820, 1848 e 1860); uno Stato che non ci pensò due volte a cannoneggiare dal mare la popolazione insorta. Ma i neoborbonici in quale galassia vivono? Alfio Vasta
Caro Alfio, La rivalutazione dei Borbone rappresenta il più gigantesco falso storico degli ultimi vent’anni, e nello stesso tempo uno straordinario successo ideologico. Prodigi dell’era digitale. Nelle Filippine la Rete, accuratamente manipolata, ha cancellato il ricordo della dittatura di Ferdinando Marcos, tanto che adesso al potere c’è suo figlio. In Italia qualcosa del genere è accaduto con il fascismo, che in Rete è molto rimpianto, anche se con qualche problemino in più: ad esempio i 441 mila morti della seconda guerra mondiale in cui ci trascinò il Duce, con due milioni di case distrutte e gli ebrei italiani deportati ad Auschwitz. Ma il mito neoborbonico in Rete trionfa incontrastato. Non si tratta qui di dimostrare la sua inconsistenza. L’hanno già fatto storici come Alessandro Barbero, Juri Bossuto, Carmine Pinto. Discutere con i neoborbonici non è difficile; è inutile. Come fai a discutere con chi trasforma quattro cadaveri trovati a Fenestrelle in quattromila, anzi, che dico, quarantamila? Sono riusciti persino a vendere la storia dei Borbone come di una monarchia napoletana, quando i Borbone di sangue napoletano — o siciliano — non avevano una goccia, essendo come tutti sanno o dovrebbero sapere una dinastia straniera, il ramo spagnolo di una famiglia di origine francese; non a caso il monarca appena ne aveva l’occasione lasciava Napoli per salire sul trono di Spagna. I napoletani erano talmente borbonici e anti-Savoia che nel referendum del 1946 votarono in massa per la monarchia, mentre Torino votava per la Repubblica. È chiarissimo come il mito neoborbonico sia recente. Eppure ha vinto su tutta la linea. Il massimo poi sono i neoborbonici siciliani, che è come dire ghiaccio bollente: un ossimoro, visto che i siciliani furono in ogni occasione ribelli ai re Borbone, che li prendevano a cannonate. Ma certo attribuire i propri guai a Garibaldi, a Cavour, a Vittorio Emanuele II, ai bersaglieri, è una bella consolazione.
"PADRI DELLA PATRIA" VITTIME E COMPLICI DELLA NOSTRA ROVINA.
Lettera da Crispi a Garibaldi - Caprera. Torino, 3 febbraio 1863.
Mio Generale! Giunto da Palermo, dove stetti poco men che un mese, credo mio dovere dirvi qualche cosa della povera isola che voi chiamaste a libertà e che i vostri successori ricacciarono in una servitù peggiore di prima. Dal nuovo regime quella popolazione nulla ha ottenuto di che potesse esser lieta. Nissuna giustizia, nissuna sicurezza personale, l'ipocrisia della libertà sotto un governo, il quale non ha d'italiano che appena il nome. Ho visitate le carceri e le ho trovate piene zeppe d'individui i quali ignorano il motivo per il quale sono prigionieri. Che dirvi del loro trattamento? Dormono sul pavimento, senza lume la notte, sudici, nutriti pessimamente, privi d'ogni conforto morale, senza una voce che li consigli e li educhi onde fosser rilevati dalla colpa. La popolazione in massa detesta il governo d'Italia, che al paragone trova più tristo del Borbonico. Grande fortuna che non siamo travolti in quell'odio noi, che fummo causa prima del mutato regime! Essa ritien voi martire, noi tutti vittime della tirannide la quale viene da Torino e quindi ci fa grazia della involontaria colpa. Se i consiglieri della Corona non mutano regime, la Sicilia andrà incontro ad una catastrofe. E' difficile misurarne le conseguenze, ma esse potrebbero essere fatali alla patria nostra. L'opera nostra dovrebbe mirare ad evitare cotesta catastrofe, affinchè non si sfasci il nucleo delle provincie unite che al presente formano il regno di Italia. Con le forze di questo regno e coi mezzi ch'esso ci offre, noi potremmo compiere la redenzione della penisola e occupar Roma. Sciolto cotesto nucleo, è rimandata ad un lontano avvenire la costituzione d'Italia. Della vostra salute, alla quale tutti c'interessiamo, ho buone notizie, che spero sempre migliori. Di Palermo tutti vi salutano come vi amano. Abbiatevi i complimenti di mia moglie e voi continuatemi il vostro affetto e credetemi. Vostro ora e sempre. F. Crispi.
La verità è rivoluzionaria. Gli oltraggi subiti dalle popolazioni meridionali sono incommensurabili. Non credo di aver fatto del male. Nonostante ciò, non rifarei oggi la via dell'Italia meridionale, temendo di essere preso a sassate, essendosi colà cagionato solo squallore e suscitato solo odio. Giuseppe Garibaldi (da una lettera scritta ad Adelaide Cairoli, 1868)
Cronologia moderna delle azioni massoniche e mafiose.
27 marzo 1848 - Nasce la Repubblica Siciliana. La Sicilia ritorna ad essere indipendente, Ruggero Settimo è capo del governo, ritorna a sventolare l'antica bandiera siciliana. Gli inglesi hanno numerosi interessi nell'Isola e consigliano al Piemonte di annettersi la Sicilia. I Savoia preparano una spedizione da affidare a Garibaldi. Cavour si oppone perchè considera quest'ultimo un avventuriero senza scrupoli (ricordano impietositi i biografi che Garibaldi ladro di cavalli, nell' America del sud, venne arrestato e gli venne tagliato l'orecchio destro. Sarà, suo malgrado, capellone a vita per nascondere la mutilazione) [Secondo altre fonti l’orecchio gli sarebbe stato staccato con un morso da una ragazza che aveva cercato di violentare all’epoca della sua carriera di pirata, stupratore, assassino in America Latina, NdT]. Il nome di Garibaldi, viene abbinato altresì al traffico di schiavi dall'Africa all'America. Rifornito di denaro inglese da i Savoia, Garibaldi parte per la Sicilia.
11 maggio 1860 - Con la protezione delle navi inglesi Intrepid e H.M.S. Argus, Garibaldi sbarca a Marsala. Scrive il memorialista garibaldino Giuseppe Bandi: I mille vengono accolti dai marsalesi come cani in chiesa! La prima azione mafiosa è contro la cassa comunale di Marsala. Il tesoriere dei mille, Ippolito Nievo lamenta che si trovarono pochi spiccioli di rame. I siciliani allora erano meno fessi! E' interessante la nota di Garibaldi sull'arruolamento: "Francesco Crispi arruola chiunque: ladri, assassini, e criminali di ogni sorta".
15 maggio 1860 - Battaglia di Calatafimi. Passata alla storia come una grande battaglia, fu invece una modesta scaramuccia, si contarono 127 morti e 111 furono messi fuori combattimento. I Borbone con minor perdite disertano il campo. Con un esercito di 25.000 uomini e notevole artiglieria, i Borbone inviano contro Garibaldi soltanto 2.500 uomini. E' degno di nota che il generale borbonico Landi, fu comprato dagli inglesi con titoli di credito falsi e che l'esercito borbonico ebbe l'ordine di non combattere. Le vittorie di Garibaldi sono tutte una montatura.
27 maggio 1860 - Garibaldi entra a Palermo da vincitore!....Ateo, massone, mangiapreti, celebra con fasto la festa di santa Rosalia.
30 maggio 1860 - Garibaldi dà carta bianca alle bande garibaldine; i villaggi sono saccheggiati ed incendiati; i garibaldini uccidevano anche per un grappolo d'uva. Nino Bixio uccide un contadino reo di aver preso le scarpe ad un cadavere. Per incutere timore, le bande garibaldine, torturano e fucilano gli eroici siciliani.
31 maggio 1860 - Il popolo catanese scaccia per sempre i Borbone. In quell'occasione brillò, per un atto di impavido coraggio, la siciliana Giuseppina Bolognani di Barcellona Pozzo di Gotto (ME). Issò sopra un carro un cannone strappato ai borbonici e attese la carica avversaria; al momento opportuno, l'avversario a due passi, diede fuoco alle polveri; il nemico, decimato, si diede alla fuga disordinata. Si guadagnò il soprannome Peppa 'a cannunera (Peppa la cannoniera) e la medaglia di bronzo al valor militare.
2 giugno 1860 - Con un decreto, Garibaldi assegna le terre demaniali ai contadini; molti abboccano alla promessa. Intanto nell'Isola divampava impetuosa la rivoluzione che vedeva ancora una volta il Popolo Siciliano vittorioso. Fu lo stesso popolo che unito e compatto costrinse i borbonici alla ritirata verso Milazzo.
17 luglio 1860 - Battaglia di Milazzo. Il governo piemontese invia il Generale Medici con 21.000 uomini bene armati a bordo di 34 navi. La montatura garibaldina ha fine. I contadini siciliani si ribellano, vogliono la terra promessagli. Garibaldi, rivelandosi servo degli inglesi e degli agrari, invia loro Nino Bixio.
10 agosto 1860 - Da un bordello di Corleone, Nino Bixio ordina il massacro di stampo mafioso di Bronte. Vengono fucilati l'avvocato Nicolò Lombardo e tre contadini, tra i quali un minorato! L'Italia mostra il suo vero volto.
21 ottobre 1860 - Plebiscito di annessione della Sicilia al Piemonte. I voti si depositano in due urne: una per il "Sì" e l'altra per il "No". Intimorendo, come abitudine mafiosa, ruffiani, sbirri e garibaldini controllano come si vota. Su una popolazione di 2.400.000 abitanti, votarono solo 432.720 cittadini (il 18%). Si ebbero 432.053 "Sì" e 667 "No". Giuseppe Mazzini e Massimo D'Azeglio furono disgustati dalla modalità del plebiscito. Lo stesso ministro Eliot, ambasciatore inglese a Napoli, dovette scrivere testualmente nel rapporto al suo Governo che: "Moltissimi vogliono l'autonomia, nessuno l'annessione; ma i pochi che votano sono costretti a votare per questa". E un altro ministro inglese, Lord John Russel, mandò un dispaccio a Londra, cosí concepito: "I voti del suffragio in questi regni non hanno il minimo valore".
1861 - L'Italia impone enormi tasse e l'obbligo del servizio militare, ma per chi ha soldi e paga, niente soldato. Intanto i militari italiani, da mafiosi, compiono atrocità e massacri in tutta l'Isola. Il sarto Antonio Cappello, sordomuto, viene torturato a morte perchè ritenuto un simulatore, il suo aguzzino, il colonnello medico Restelli, riceverà la croce dei "S.S. Maurizio e Lazzaro". Napoleone III scrive a Vittorio Emanuele: "I Borbone non commisero in cento anni, gli orrori e gli errori che hanno commesso gli agenti di Sua Maestà in un anno”.
1863 - Primi moti rivoluzionari antitaliani di pura marca indipendentista. Il governo piemontese instaura il primo stato d'assedio. Viene inviato Bolis per massacrare i patrioti siciliani. Si prepara un'altra azione mafiosa contro i Siciliani.
8 maggio 1863 - Lord Henry Lennox denuncia alla camera dei Lords le infamie italiane e ricorda che non Garibaldi ma l'Inghilterra ha fatto l'unità d'Italia.
15 agosto 1863 - Secondo stato d'assedio. Si instaura il terrore. I Siciliani si rifiutano di indossare la divisa italiana; fu una vera caccia all'uomo, le famiglie dei renitenti furono torturate, fucilate e molti furono bruciati vivi. Guidava l'operazione criminale e mafiosa il piemontese Generale Giuseppe Govone. (Nella pacifica cittadina di Alba, in piazza Savona, nell'aprile 2004 è stato inaugurato un monumento equestre a questo assassino. Ignoriamo per quali meriti.)
1866 - In Sicilia muoiono 52.990 persone a causa del colera. Ancora oggi, per tradizione orale, c'è la certezza che a spargervi il colera nell'Isola siano state persone legate al Governo italiano. Intanto tra tumulti, persecuzioni, stati d'assedio, terrore, colera ecc. la Sicilia veniva continuamente depredata e avvilita; il Governo italiano vendette perfino i beni demaniali ed ecclesiastici siciliani per un valore di 250 milioni di lire. Furono, nel frattempo, svuotate le casse della regione. Il settentrione diventava sempre più ricco, la Sicilia sempre più povera.
1868 - Giuseppe Garibaldi scrive ad Adelaide Cairoli:"Non rifarei la via del Sud, temendo di essere preso a sassate!". Nessuna delle promesse che aveva fatto al Sud (come quella del suo decreto emesso in Sicilia il 2 giugno 1860, che assegnava le terre comunali ai contadini combattenti), era stata mantenuta.
1871 - Il Governo, con un patto scellerato, fortifica la mafia con l'effettiva connivenza della polizia. Il coraggioso magistrato Diego Tajani dimostrò e smascherò questa alleanza tra mafia e polizia di stato e spiccò un mandato di cattura contro il questore di Palermo Giuseppe Albanese e mise sotto inchiesta il prefetto, l'ex garibaldino Gen. Medici. Ma il Governo italiano, con fare mafioso si schiera contro il magistrato costringendolo a dimettersi.
1892 - Si formano i "Fasci dei Lavoratori Siciliani". L'organizzazione era pacifica ed aveva gli ideali del popolo, risolvere i problemi siciliani. Chiedeva, l'organizzazione dei Fasci la partizione delle terre demaniali o incolte, la diminuzione dei tassi di consumo regionale ecc.
4 gennaio 1894 - La risposta mafiosa dello stato italiano non si fa attendere: STATO D'ASSEDIO. Francesco Crispi, (definito da me traditore dei siciliani a perenne vergogna dei riberesi) presidente del Consiglio, manda in Sicilia 40.000 soldati al comando del criminale Generale Morra di Lavriano, per distruggere l'avanzata impetuosa dei Fasci contadini. All'eroe della resistenza catanese Giuseppe De Felice vengono inflitti 18 anni di carcere; fu poi amnistiato nel 1896, ricevendo accoglienze trionfali nell'Isola.
Note di "Sciacca Borbonica": Sono molti i paesi del mondo che dedicano vie, piazze e strade a lestofanti e assassini. Ma pochi di questi paesi hanno fatto di un pirata macellaio addirittura il proprio eroe nazionale. Il 27 luglio 1995 il giornale spagnolo "El Pais", giustamente indignato per l’apologia di Garibaldi fatta dall’allora presidente Scalfaro (quello che si prendeva 100 milioni al mese in nero dal SISDE, senza che nessuno muovesse un dito) nel corso di una visita in Spagna, così gli rispose a pag. 6: “Il presidente d'Italia è stato nostro illustre visitante...... Disgraziatamente, in un momento della sua visita, il presidente italiano si è riferito alla presenza di Garibaldi nel Rio della Plata, in un momento molto speciale della storia delle nazioni di questa parte del mondo. E, senza animo di riaprire vecchie polemiche e aspre discussioni, diciamo al dott. Scalfaro che il suo compatriota [Garibaldi] non ha lottato per la libertà di queste nazioni come egli afferma. Piuttosto il contrario". Il 13 settembre 1860, mentre l'unificazione italiana era in pieno svolgimento, il giornale torinese Piemonte riportava il seguente articolo. (1): «Le imprese di Garibaldi nelle Due Sicilie parvero sin da allora così strane che i suoi ammiratori ebbero a chiamarle prodigiose. Un pugno di giovani guidati da un audacissimo generale sconfigge eserciti, piglia d'assalto le città in poche settimane, si fa padrone di un reame di nove milioni di abitanti. E ciò senza navigli e senz'armi... Altro che Veni, Vedi, Vici! Non c'è Cesare che tenga al cospetto di Garibaldi. I miracoli però non li ha fatti lui ma li fecero nell'ordine: 1°)-L'oro con il quale gli inglesi comprarono quasi tutti i generali borbonici e col quale assoldarono 20.000 mercenari ungheresi e slavi e pagarono il soldo ad altri 20.000 tra carabinieri e bersaglieri, opportunamente congedati dall'esercito sardo-piemontese e mandati come "turisti" nel Sud, altro che i 1000 scalcinati eroi...... 2°)-il generale Nunziante ed altri tra ufficiali dell'esercito e della marina che, con infinito disonore, disertarono la loro bandiera per correre sotto quella del nemico eccovi servito un piccolo elenco di traditori al soldo degli anglo-piemontesi, oltre al Nunziante: Generale Landi, Generale Cataldo, Generale Lanza, Generale Ghio, Comandante Acton, Comandante Cossovich,ed altri ancora; 3°)-i miracoli li ha fatti il Conte di Siracusa con la sua onorevolissima lettera al nipote Francesco II° (lettera pubblicata in un post a parte); 4°)-li ha fatti la Guardia Nazionale che, secondo il solito, voltò le armi contro il re che gliele avea date poche ore prima; 5°)-)li ha fatti il Gabinetto di Liborio Romano il quale, dopo aver genuflesso fino al giorno di ieri appié del trono di Francesco II, si prostra ai piedi di Garibaldi; 6°)- La quasi totalità della nobiltà siciliana. Beh, Con questi miracoli ancor io sarei capace di far la conquista, non dico della Sicilia e del Reame di Napoli, ma dell'universo mondo. Dunque non state a contare le prodezze di Sua Maestà Garibaldi I. Egli non è che il comodino della rivoluzione. Le società segrete (la massoneria) che hanno le loro reti in tutto il paese delle Due Sicilie, hanno di lunga mano preparato ogni cosa per la rivoluzione. E quando fu tutto apparecchiato si chiamò Garibaldi ad eseguire i piani [...]. Se non era Garibaldi sarebbe stato Mazzini, Kossuth, Orsini o Lucio della Venaria: faceva lo stesso. Appiccare il fuoco ad una mina anche un bimbo può farlo. Di fatto vedete che dappertutto dove giunge Garibaldi la rivoluzione è organizzata issofatto, i proclami sono belli e fatti, anzi stampati. In questo modo credo che Garibaldi può tranquillamente fare il giro del mondo a piantare le bandiere tricolori del Piemonte. Dopo Napoli Roma, dopo Roma Venezia, dopo Venezia la Dalmazia, dopo la Dalmazia l'Austria, caduta l'Austria il mondo è di Garibaldi, cioé del Piemonte! Oh che cuccagna! Torino capitale dell'Europa, anzi dell'orbe terracqueo. Ed i torinesi padroni del mondo!». Dai Savoia agli Agnelli, da una famiglia di vampiri ad un altra.....per il Sud sempre lo stesso destino.......dar loro anche l'ultima goccia di sangue. Comunque la Giustizia Divina arriva sempre........i savoia son finiti nella merda e nel ludibrio, gli Agnelli nella tomba e nella droga che certamente sarà il mezzo con quale ci libereremo di questa gente maledetta.
Dagospia giovedì 28 settembre 2023. Estratto dell’introduzione di Filippo Ceccarelli a “Manualetto del candidato, istruzioni per vincere le elezioni”, di Quinto Tullio Cicerone (ed. Manni)
Gli antichi romani siamo noi, o forse no. La faccenda è più complicata, ci sono troppi impicci fra loro e noi, il Cristianesimo, le invasioni barbariche, il Medioevo, il Rinascimento, la rivoluzione scientifica e via di seguito.
Troppi secoli sono passati, per cui anche solo pensare a un’eredità è uno sproposito storico, culturale, concettuale, eppure... Eppure siamo impastati con gli antichi romani, sono dentro di noi, senza che ce ne rendiamo conto governano i nostri pensieri, i nostri sogni, ma soprattutto regolano in via prioritaria e come una clessidra scandiscono il confronto, il paragone, l’affinità, la somiglianza, l’assonanza di cose che sono insieme lontane e approssimative, ma che sempre ci saranno, amen.
Al luna park della storia
Una di queste risonanze è il Commentariolum petitionis di Quinto Tullio Cicerone. L’analogia, come riflesso mentale, ha un che di ingovernabile. Non distingue immediatamente fra monarchia etrusca, res publica, principato, guerra civile, imperium, eccetera. L’analogia fa un tutt’uno, afferra il cucuzzaro delle vicende umane e lo trasporta nel parco giochi dell’approssimazione perforando e al tempo stesso scavalcando i codici imposti da Sua Maestà il Tempo.
Per quanto tutto sia qui già accaduto, sull’onda di questo libricino – “commentariolum” suona graziosamente diminutivo – la Città eterna restituisce un senso di appartenenza e un’entità psichica che continuano a vivere dentro di noi. Roma stessa, per chi ci abita e per chi ci capita, reca un’immediata suggestione archeo, rovine cosparse di rampicanti, colonne mozze, marmi che trasudano avventure: basta grattare per trovarsi dinanzi al mistero della coincidenza e a quello della continuità. Ma letteralmente.
Così proprio sotto il Quirinale, accertata a mezzo di tecnosonde ed ecostratigrafo, è la presenza del tempio del dio Quirino, mitica proiezione di Romolo, il fondatore di tutto. Dietro Montecitorio è stato ritrovato l’obelisco che oggi gli sta davanti. Dalle parti del Senato c’erano fastose terme e laghetto, con opportuni natanti; all’interno di Palazzo Madama, nella Sala Maccari, c’è un affrescone un po’ da sussidiario in cui Cicerone inveisce contro Catilina.
Mentre nell’angolo più riparato del Transatlantico fino a qualche anno fa c’era un quadro – forse è ancora lì, sopravvissuto alle periodiche rotazioni – che pure raffigura pari pari ciò di cui si parla in queste pagine, il rito della visita dei clientes al potente di turno.
La targhetta in ottone reca: Salutatio matutina. Sotto il dipinto, accomodatisi su un divano di color rosso pompeiano, gli onorevoli seguitano a discutere, conversare e tramare. Forse è anche per questi lampi che nel leggere e rileggere il Commentariolum proto-elettorale ci si ritrova naturalmente sprofondati nel luna park della storia.
E per lo stesso riverbero ti pare di rivedere nel bagno di folla del leader di turno, in prima e seconda serata televisiva, il rito antichissimo del trionfo, così come nel boato degli stadi di calcio riconosci la potenza delle masse da intrattenere, con provvigioni e spettacoli circensi, da che mondo è mondo. Si sarà fatto caso che gli studi dei talk show ricordano le arene; e che l’infotainment s’incrocia con i duelli dei gladiatori, le belve da trafiggere, l’imperatore che fa su o giù col pollicione.
Sul Colosseo si accendono golose fantasie di ministri, presidenti e sindaci, chi l’ha illuminato, chi vi ha progettato giochi e concerti, chi ci ha portato Obama in visita, a parte la consegna della lupa capitolina a Russell Crowe da parte dell’assessore municipale. Poi tutto naturalmente a Roma prende un’altra piega. Presso i monumenti i centurioni saltafila insidiano i turisti; alcuni sono autoctoni, altri rumeni, non molto tempo fa si sono presi a botte fra loro, una scena pazzesca.
[…] Anche la vita mondana ricalca i moduli folkloristici di un’antichità che gioca a rimpiattino con il presente. La cafè society in decadenza attizza qui e là fuocherelli di estetica dissennata e pacchiana. Quando Roberto D’Agostino cominciò a pubblicare i suoi Cafonal venne spontaneo pensare al Satyricon di Petronio con i suoi tipi buffi, smodati. In epoca tardo-berlusconiana oltre a qualche toga-party fece scalpore una festona di argomento classico – “Ulisse torna a casa” era il titolo – in cui alcuni dei partecipanti, fotografatisi insieme con la presidente della regione Lazio, nascondevano il volto dietro maschere di maiali.
Le statue del Cavaliere
Tutto questo non c’entra con i consigli elettorali del fratello minore di Cicerone, ma c’entra. Più in generale nella politica tra il XX e il XXI secolo pare rinverdirsi una romanità approssimativa, orecchiata, di pronto uso, sostanzialmente ingenua, quasi infantile. […]
Novello Bruto, a suo tempo Fini mandò in frantumi il centrodestra per avversione al “cesarismo”, disse proprio così. A un certo punto Bossi […] si sperticò in lodi per Annibale; poi, forse influenzato dai cinepanettoni, declinò Spqr “Sono Porci Questi Romani” – e la rappacificazione venne celebrata con un incredibile pranzo a base di polenta e pajata fuori Montecitorio.
[…] Di solito, quando qualcuno vince bene le elezioni municipali viene proclamato “l’ottavo re di Roma”, per quanto l’appellativo si estenda a calciatori, attori, sportivi. Ma chi veramente andò in fissa con l’antica Roma, nell’accezione più vistosamente superficiale, fu Silvio Berlusconi, che dopo la vittoria del marzo 1994 esordì raccontando nei corridoi della Camera la vieta storiella “quando voi eravate sugli alberi noi eravamo già froci”.
Nel suo secondo governo s’innamorò delle statue romane. Del Toro Farnese fece fare calchi in bronzo che spedì a Mosca e Washington. Per gli addobbi del vertice di Pratica di Mare impose ai suoi architetti di “ricreare un’atmosfera romana”, ne venne fuori un miscuglio di Arcadia combinata con i casinò di Las Vegas su fondali disneyani; un certo numero di statue autentiche, per lo più pensosi giureconsulti, riempirono i capannoni del meeting; altre ne fece costruire in vetroresina; alle une e alle altre, per ingentilirle, vennero messi in braccio mazzi di fiori.
Fu in quell’occasione, 2002, che gli scappò di bocca il magnifico “Romolo e Remolo”. Una vera passione, che forse Cicerone non gli avrebbe fatto passare liscia. Nel suo terzo governo il Cavaliere pretese di installare in un vano dello scalone di Palazzo Chigi un’opera colossale che ritraeva Marte e Venere, ma siccome Marte mancava del pisello, anche di quello ordinò il rifacimento risolvendo la congiunzione al marmo attraverso un complicato sistema di calamite che, con la supervisione del ministro della Cultura Bondi, le divinità pagane lo perdonino, sarebbe venuto a costare la modica cifra di 70.000 bombi.
Mentre per l’università del pensiero liberale il Cavaliere si mise in testa di piazzare il busto di un imperatore e allora cominciò a sondare i giornalisti per sapere chi fosse “il più liberale”. Va da sé che dal berlusconismo triumphans alla campagna elettorale repubblicana di ventuno secoli orsono siamo molto lontani; ma ancora una volta fino a un certo punto, se è vero che da un ciclo di intercettazioni, la P3, venne fuori che alcuni amici di amici del presidente del Consiglio, per lo più interessati a far soldi con le discariche, chiamavano Berlusconi con il soprannome di “Cesare”, che giusto ai tempi di Cicerone stava scaldando i motori.
Non solo, ma una volta emersi gli scandali sessuali, sull’onda del massivo bunga bunga ecco che il “Guardian”, prestigioso quotidiano britannico, richiamò l’esempio lussurioso di Tiberio; d’altra parte fu Umberto Eco, e non esattamente Pizza&Fichi, a richiamare a proposito di Berlusconi la figura di Nerone (il cui Apicella, come scoprii, si chiamava Terpno).
Forse per puntiglio, forse per convinzione Dell’Utri riesumò il settecentesco Elogio di Nerone del Cardano, che venne ripubblicato con una sua puntuta introduzione nella quale magnificava l’imperatore, “superiore a supposti modelli di saggezza come Cicerone”. E dunque, ancora una volta siamo lì.
Marco e suo fratello
Il manualetto elettorale che senza colpa segue a queste strampalate osservazioni dovrebbe averlo scritto il fratello minore di Marco, a nome Quinto. Il condizionale è obbligatorio dopo che generazioni di studiosi si sono lacerati sull’ipotesi che potrebbe essere un fake, sia pure maturato in epoca classica e comunque databile nel I secolo a.C.
Storicamente accertato è d’altra parte il ruolo che Quinto ebbe accanto al già affermato Marco Tullio in funzione di consigliere, ambasciatore, spin doctor e campaign manager. Siamo a cavallo tra il 64 e il 63 a.C.
Cicerone senior è un prodigio di eloquenza e cultura, ha svolto con successo delicati incarichi in periferia e ora intende perfezionare la sua carriera politica puntando al vertice delle istituzioni: il consolato.
L’handicap – ma non è detto che lo sia del tutto – è che non appartiene alla casta dei nobili provenendo per nascita dall’or- dine dei cavalieri. Questa sua origine lo colloca nella condizione, di cui nel manualetto si parla assai, dell’homo novus: oggi lo diremmo un outsider o addirittura, secondo l’autopresentazione di Giorgia Meloni, un underdog.
Allo stesso modo si può dire che il Commentariolum può equipararsi a un paper elettorale, una via di mezzo tra analisi di rischio e prontuario how-to, come tanti se ne sfornano da parte delle agenzie di comunicazione prima del voto.
[…] Non si infliggerà qui al lettore una disamina del sistema elettorale vigente al tempo della tarda Repubblica romana […]. In compenso vale forse segnalare che l’etimologia di “candidato” proviene dalla candida veste di colui che si sottoponeva al giudizio degli elettori; a tale indicazione di ordine visivo si può aggiungere il malizioso dubbio di Plutarco secondo cui la toga, priva di pieghe e tasche, era scelta anche per evitare che il candidato nascondesse bustarelle – e qui irresistibilmente il ricordo va agli albori di Tangentopoli quando, giusto a Roma, una mazzetta (per l’apertura di un chiosco) venne poi recuperata dentro le mutande di un consigliere circoscrizionale illegittimamente beneficato.
E tuttavia, come qui si intuisce dalle stesse parole di Quinto, il cosiddetto voto di scambio era già allora nella forza delle cose. Il programma elettorale ciceroniano appariva d’altra parte decisamente vago, se non inconsistente.
Inutile cercare in queste pagine qualche indicazione anche solo minimamente ideologica. […] Ma ciò che più impressiona per vicinanza al nostro tempo è la concezione della politica come “arte di far credere”, e di conseguenza praticamente identica appare l’atmosfera che si respira in campagna elettorale, vissuta come un tempo psico- logicamente compresso e insieme sospeso; un periodo nel quale ogni parola, ogni gesto, ogni mezzo e ogni racconto, o arcaico storytelling che fosse, è insieme lecito e spasmodicamente finalizzato a buscare voti.
Sorridere, promettere, diffidare, diffamare
In questa prolungata recita, in questa messinscena che avrà termine solo dopo la proclamazione dei nuovi consoli, occorreva in ogni caso apparire – più che esserlo – competenti ed empatici, determinati e disponibili; e tutto ciò in modo da mostrarsi, suggerisce Quinto con la sfrontatezza dell’occasione, da sembrare sinceri.
L’obiettivo di fondo è la trasformazione del candidato in un amicone di tutti. D’altra parte, finisce per argomentare con impudica eleganza: “L’appellativo ‘amici’ durante la campagna elettorale ha un valore più ampio che nel restante arco della vita” […]-
Perché gli elettori vanno soprattutto lusingati, convenientemente nutriti in fastosi banchetti e comunque impressionati da codazzi di fan e assembramenti di devoti questuanti fin sotto casa. È consigliabile in questo senso l’utilizzo di claques e figuranti, presenze che ai nostri tempi […] sono mai mancate. Di più: si fanno notare […]dettagliati comportamenti e tecnicalità elettoralistiche più che famigliari a un giornalista che sappia valutare l’importanza del marketing emozionale.
Là dove Quinto fratello, per esempio, raccomanda di sorridere come oggi nei selfie di ordinanza, evitare smorfie di fastidio e sforzarsi di chiamare i votanti per nome – e a tale proposito, ancora una volta, non si può fare a meno di richiamare la seguente perla pedagogica berlusconiana: “E ricordatevi sempre che per ciascuno c’è una musica prediletta: il proprio nome e cognome. Se lo fate – insisteva il Cavaliere – l’interlocutore vi prenderà in simpatia perché in quella musica avrà ascoltato l’espressione del vostro interessamento, vero e sincero”.
Ai limiti del cinismo risulta d’altra parte l’attenzione con cui viene suggerito di maneggiare il tema delle promesse, con l’implicito sottinteso che una volta eletto sarà impossibile mantenerle – e anche su questo non c’è bisogno di ricordare il disinteresse, i voltafaccia e le lacrime di coccodrillo degli odierni potenti che se ne infischiano di qualunque controllo di coerenza. […]
[…] Da Mussolini ad Andreotti
Con qualche sicurezza si può ritenere che gli assassini politici siano una costante nelle umane vicende. Ma forse solo qui da noi qualcuno ha potuto notare che il sequestro di Aldo Moro è avvenuto intorno alle Idi di marzo. Il punto, per ritornare all’entità psichica che segna il complicato rapporto degli italiani con il loro ingombrante passato, è che la storia, come diceva proprio Cicerone, non è solo maestra di vita, ma anche “testimone dei tempi, luce della verità, vita della memoria e messaggera dell’antichità”.
[…] questo affanno divinatorio spiega per quale ragione, da Cola di Rienzo in poi, non c’è vero potente che, alla ricerca di gloria, non vada a battere e a sbattere con l’antica Roma. Sintomatico è l’esempio di Mussolini, che fin dal fascio littorio e dal saluto a braccio teso […] lavorò di fervida fantasia per costruirsi e sfruttare una romanità come al solito densa di luoghi comuni, ma certamente a sua immagine e somiglianza.
[…] Che poi si sa come è andata a finire, questa romanità da baraccone: la guerra, i bombardamenti, la fame, l’anonima mano che una notte, sulla Via dell’Impero che collegava piazza Venezia al Colosseo, appese al collo di un imperatore un cartello che diceva: “Tu che ciai lo stomico de fero, puoi magnà er pane dell’Impero!”
E però, nemmeno tanti anni dopo, succede che quello stesso mito della latinità affascinò i capi comunisti ritornati dall’esilio e dalle galere; ed ecco che in una delle prime Tribune politiche come in un sogno si vede Palmiro Togliatti che con sguardo acuto e sorriso fin troppo rassicurante cita un verso di Virgilio: “Voi fate il miele, o api, ma sono altri che lo colgono”.
Un po’ per vezzo, un po’ per pedanteria, ma un po’ anche nella convinzione che la cultura classica fosse uno strumento per dare dignità al proletariato i dirigenti delle Botteghe Oscure adoravano il latino […].
[…] Fra tutti Alessandro Natta era rinomato per sfoggiare le più impeccabili citazioni, anche orgogliosamente sconosciute allo stesso Togliatti, come pure fece colpo al momento di dare il via alla politica di solidarietà nazionale, 1976, uscendosene con Cesare: “Etiam nunc regredi possumus”, ancora adesso possiamo tornare indietro – anche se il Pci non lo fece e appoggiò il governo Andreotti.
Già, Andreotti, capitolo a parte e per giunta imparentato ai due Ciceroni di questo manualetto: come dimenticare che proprio lui nel 1987, e dunque nella stagione più matura della Prima Repubblica, accettò volentieri di scrivere la prefazione di questo stesso Commentariolum petitionis? Così comincia quella sua ben più illustre praefatio: “Credo che Quinto Tullio Cicerone, allorché scrisse il Commentariolum petitionis, questo ‘piccolo prontuario di propaganda elettorale’ ad uso del fratello Marco Tullio, candidato al consolato per l’anno 63 a.C., non avrebbe mai immaginato che il suo scrittarello potesse essere letto a distanza di oltre duemila anni e risultare straordinariamente interessante […] anche, e forse soprattutto, per una sorta di imprevedibile attualità delle situazioni che descrive” – e come ti sbagli: ci risiamo. […] forse perché appassionato cittadino dell’Urbe, forse perché anche devoto fedele di Santa Romana Chiesa, che il latino usava più di ogni altra istituzione, in due diverse occasioni, e certamente importanti per lui, il Divo ritenne di celebrare le Olimpiadi del 1960 e poi trent’anni dopo di difendersi dalle gravi accuse di Leoluca Orlando con un discorso e un’invettiva nella lingua di Cicerone.
Pare di cogliere in questa scelta qualcosa di più che civetteria culturale, forse una inconfessabile, per quanto scomoda volontà di immedesimazione. D’altra parte sempre Andreotti […] aveva fondato nel 1953 il Centro Studi Ciceroniani di cui fu a lungo presidente. In tale qualità, all’inizio degli anni Settanta, fece dono di tutte e diciotto le opere dell’Arpinate a Giuliana Longari, divenuta popolare come vincitrice del quiz televisivo Rischiatutto proprio come esperta di storia romana.
Le tecno-riemersioni della post-politica
[…] a trentacinque anni dallo scritto andreottiano l’impressione è che le osservazioni e i consigli di Quinto Tullio Cicerone o di chi per lui sono divenuti oggi ancora più attuali in questa Terza, forse, Repubblica comunque priva di veri partiti, desertificata sul piano degli ideali e ormai sotto il dominio della più evidente personalizzazione della vita pubblica.
Per dirla tutta, viviamo nel mezzo di una grande confusione, sperduti in una sorta di labirinto, spesso atterriti da elementi regressivi e ritorni tribali; questo spinge a rivolgerci con lo sguardo al grado minimo della politica, ai suoi inizi, alle sue basi fondanti, all’inconfessabile fisiologia del comando che ardono, fin dai tempi di Cicerone, come carboni sotto la cenere e la polvere della storia.
La televisione prima, poi la rete e adesso i social hanno moltiplicato e insieme impoverito l’offerta. La conquista dell’attenzione vede gli odierni leader gareggiare con gli spettacoli, i consumi, lo sport; la concorrenza è spietata e sempre meno numerosi gli elettori.
[…] Da quasi trent’anni si sono raccolti con metodica passione curiosi spunti, bizzarri dettagli, strane coincidenze e sovrapposizioni negli angoletti delle cronache politiche. Per quel poco che può interessare del lavoro dell’indegno prefatore, la cospicua messe di notizie e notiziole è confluita in un database che ha preso il nome – non per caso doppiamente in latino – di Annales Ceccarius, quest’ultimo lo pseudonimo di mio nonno, illustre studioso di Roma.
Ebbene, si trova lì dentro, in quella massa di memoria accumulata, l’evidenza di come gli attuali politici consultino i sondaggi con lo stesso spirito con cui i loro e nostri antenati si rivolgevano agli oracoli. Allo stesso modo è dimostrato, con nomi e cognomi, date e testate, che pervicacemente chi si trova al governo progetta stadi di calcio o si prodiga in massive donazioni di cibo, specie in periodo elettorale, secondo il preciso modulo che duemila anni orsono Giovenale sintetizzò nella formula panem et circenses.
D’altra parte le bianche poltroncine di Porta a porta sono i troni e i tronetti di questa fase, i caschi da pompieri e operai indossati dai potenti nei cantieri assomigliano alle corone dell’antichità, i candidati paracadutati nei collegi elettorali sicuri fanno pensare a prebende e investiture.
Tuonano dagli studi o dalle piazze televisive i leader populisti come moderni tribuni della plebe; ed ecco che ritornano le corti con maestri e giuristi di palazzo, poeti encomiastici, servi, guardie, cortigiane e buffoni. Qui e là ricorrono nelle pagine e sui siti della politica sogni, prodigi, vaticini e reliquie cui si assegna il potere di influire sulla realtà; e maledizioni, giuramenti, inginocchiamenti, baci della mano.
È tornata sotto altre forme l’apologetica e perfino i calendari con le attrici seminude sembrano l’equivalente degli antichi riti di fertilità. In un paio di casi, cioè nella Lega e in Forza Italia, si è sfiorata la successione del sangue, con buona pace dell’idea repubblicana. C’è chi sogna il presidenzialismo senza rendersi conto – si spera – che assomiglia parecchio al principato. Che sarebbe come dire che in questo futuro remoto l’esperienza di Cicerone e i consigli elettorali del suo fratello possono esserci, se non di aiuto o di consolazione, almeno di sicuro interesse.
«Il ruolo di Milano capitale dell'Impero romano», il nuovo libro di Aldo Cazzullo su Mediolanum: segreti e rivelazioni. Gianni Santucci su Il Corriere della Sera giovedì 12 ottobre 2023.
Il punto di caduta tra la storia dell'impero romano e quella di Milano è il cuore del libro di Aldo Cazzullo, «Quando eravamo i padroni del mondo. Roma: l'impero infinito»
«Per porre termine a questa anarchia, un grande imperatore, Diocleziano, divide l’impero in due. È il 286 dopo Cristo». C’è un momento in cui, per capire le radici della storia antica e moderna, tra la fine dell’impero romano e l’affermazione del cristianesimo, più che a Roma bisogna guardare a Milano. Diocleziano «a sé riserva la parte orientale... E affida la parte occidentale a un suo commilitone, Massimiano, con capitale Mediolanum, insomma Milano». E se si può affermare che «l’impero romano non è mai caduto davvero, né mai cadrà», perché «ha continuato a vivere nelle menti, nelle parole, nei simboli degli imperi venuti dopo»; se si può riconoscere che dentro questa «vicenda immensa, durata dodici secoli... le questioni che Roma dovette affrontare — i flussi migratori, l’integrazione degli stranieri, lo stato di guerra permanente — sono le stesse che noi dobbiamo affrontare»; si deve anche, infine ricordare che «se oggi siamo cristiani, è perché Roma diventò cristiana». Ecco il punto di caduta nel quale la storia dell’impero romano e la storia di Mediolanum convergono: anche nel nuovo libro di Aldo Cazzullo, Quando eravamo i padroni del mondo. Roma: l’impero infinito (edito da HarperCollins).
Primo, lo scenario. «All’inizio del quarto secolo dopo Cristo, l’impero è stremato. Non dalle invasioni dei barbari, né dalle insurrezioni dei ribelli; ma dalle guerre civili. Il vero nemico si nasconde dentro le frontiere dell’impero; ed è il crollo della coesione interna». Usurpatori, pretendenti, imperatori che non stanno più a Roma ma in giro per l’impero con i loro eserciti. Ecco da dove ha origine la decisione di Diocleziano. L’occidente con capitale Mediolanum si ritrova così con Massimiano imperatore e Costanzo Cloro suo «vice»: Massenzio è figlio di Massimiano, Costantino di Costanzo Cloro. Si contendono il titolo. Finirà con la vittoria di Costantino dopo la marcia su Roma, e la battaglia di Pinte Milvio, il 28 ottobre del 312. Ma per tornare a Milano, bisogna rifarsi al sogno che Costantino fece quella notte: la mattina, ricorda Cazzullo, «l’imperatore annuncia ai soldati che il segno celeste è arrivato. Sotto forma di un sogno. Gli è apparsa una croce... “In hoc signo vinces”. Dio gli ha detto: in questo segno, nel segno della croce, vincerai». La storia non permette d’affermare se Costantino fosse già cristiano. Ma l’anno dopo, nel 313, il cristianesimo diventa una fede legittima. «Le persecuzioni sono finite. I cristiani sono liberi; di più, stanno per prendere il potere. Perché la religione che gli altri imperatori volevano estirpare, grazie al nuovo imperatore, sta per diventare la religione di Stato». La decisione di Costantino passerà alla storia come l’editto di Milano.
Sarà poi la madre di Costantino, Elena, a fare il primo pellegrinaggio della storia a Gerusalemme, tornando con le reliquie più venerate della cristianità. Si trovano nella basilica di Santa Croce in Gerusalemme, a Roma, ma secondo la tradizione uno dei chiodi della crocefissione è quello oggi conservato nel Duomo di Milano. Nel 387, nel battistero ancora visitabile, sempre sotto il Duomo, Sant’Ambrogio battezzò Sant’Agostino. Molti secoli dopo, in una lettera del 31 marzo 1883, Nietzsche scriverà che «leggendo Agostino, si vede il “cristianesimo nel ventre”». Scrive Cazzullo poco prima della conclusione del libro: «Roma, almeno nella versione idealizzata da scrittori, artisti, poeti, è il più alto dei nostri pensieri. Soprattutto nella stagione breve e straordinaria in cui la classicità incontra la cristianità; e in fondo quell’incontro è la base della civiltà occidentale». Ecco perché è necessario guardare Roma, e Mediolanum dentro Roma: si vede l’Occidente «nel ventre».
Estratto dell’articolo di Alberto Fraja per “Libero Quotidiano” mercoledì 27 settembre 2023.
La caduta della pars occidentis dell'Impero romano la si fa formalmente coincidere con la deposizione dell'ultimo imperatore Romolo Augusto, detto Augustolo (piccolo Augusto, aveva 14 anni appena) da parte di Odoacre, un barbaro capo di altri barbari detti Eruli. Correva l'anno 476 dC In realtà, come giustamente sostiene Aldo Cazzullo nel suo ultimo saggio appena arrivato in libreria Quando eravamo i padroni del mondo.
Roma: l'Impero infinito (Harper Collins, 320 pagine, 19 euro) l'Impero romano non è mai caduto davvero, né mai cadrà. «Ha continuato a vivere nelle menti, nelle parole, nei simboli degli imperi venuti dopo. Noi italiani non siamo i discendenti diretti degli antichi romani: ci siamo mescolati con molti altri popoli, dai barbari agli arabi.
Ma dei romani possiamo rivendicare l'eredità- scrive Cazzullo -. Non soltanto abitiamo la stessa terra, viviamo nelle città da loro fondate, percorriamo strade da loro tracciate; Roma vive nella nostra lingua, nei nostri palazzi, nei nostri pensieri. Nel nostro modo di parlare, di costruire, di pensare, qualcosa dell'antica Roma è rimasto. E se oggi siamo cristiani, è perché Roma diventò cristiana».
Non esiste regime apparso sul palcoscenico della storia che non abbia rivendicato una qualche eredità dal mirabile assetto politico, istituzionale, religioso e valoriale messo su nei secoli dai romani antichi: dall'Impero romano d'Oriente al Sacro romano Impero di Carlo Magno; da Mosca, autodefinitasi terza Roma (zar viene da Czar che viene da Caesar) all'Impero napoleonico (Napoleone adorava Cesare, scrisse un libro su di lui, e non volle farsi incoronare re dei francesi, bensì imperatore).
E poi ancora: dall'impero austro-asburgico ai regimi fascista e nazista (anche kaiser viene da Caesar) all'impero americano fino a quello virtuale di Mark Zuckerberg, grande ammiratore di Augusto. «L'idea di riunire e “governare” una comunità vasta come il mondo fa sentire Zuckerberg una sorta di Augusto contemporaneo (... ) Facebook è nella sua mente una sorta di riedizione dell'Impero romano», scrive Cazzullo. E «come l'Impero romano selezionava la classe dirigente nelle proprie colonie, così la Silicon Valley ha individuato i migliori talenti del mondo».
Da Palladio fino a Canova, alcuni tra i più grandi artisti dell'Occidente hanno disegnato, dipinto, scolpito come facevano (o pensavano che facessero) gli antichi romani – scrive ancora l'autore -. Quello che oggi chiamiamo Occidente è una costruzione eretta sulle fondamenta dell'antica Roma. In tutto l'Occidente, la lingua della politica e del potere è la stessa che si parlava a Roma due millenni fa. Imperatore e popolo sono parole latine. Vieni dominio e libertà. Dittatore e cittadino. Legge e ordine (sia pure in un'accezione diversa). Re e giustizia. Eroe e traditore. Cliente e patrono. Candidato ed eletto. […]
«Lo stile dell'antica Roma non è mai morto, e periodicamente risorge nella storia. Dal Rinascimento al Neoclassicidiatori, quelli veri, si continuano a fare grandi film.
«Anche la lingua della religione nasce nella città eterna. Fede, religione, pontefice sono parole latine – spiega Cazzullo -. Vieni a credere. Come dio (dal greco Zeus). Come, per venire al linguaggio della guerra, arma, esercito, militare, generale, soldato (da solidarius: colui che riceve una paga). E sono parole latine anche concordia, amicizia, amore, famiglia, matrimonio; anche se la sposa non si vestiva di bianco, ma di giallo». […]
Aldo Cazzullo, il nuovo libro: l’impero romano non è mai caduto. ALDO CAZZULLO su Il Corriere della Sera il 23 settembre 2023.
Le prime pagine di «Quando eravamo i padroni del mondo», in uscita martedì 26 per HarperCollins. Le parole, il diritto, l’urbanistica e l’arte, la politica: la fortuna di un’epopea che arriva fino agli Usa e a Facebook
Una ricostruzione di Roma imperiale all’epoca dell’imperatore Costantino I (274-337). Il plastico è conservato presso il Museo della Civiltà romana
Roma non è mai caduta.
L’impero romano non è mai caduto davvero, né mai cadrà. Ha continuato a vivere nelle menti, nelle parole, nei simboli degli imperi venuti dopo.
Noi italiani non siamo i discendenti diretti degli antichi romani: ci siamo mescolati con molti altri popoli, dai barbari agli arabi. Ma dei romani possiamo rivendicare l’eredità. Non soltanto abitiamo la stessa terra, viviamo nelle città da loro fondate, percorriamo strade da loro tracciate; Roma vive nella nostra lingua, nei nostri palazzi, nei nostri pensieri. Nel nostro modo di parlare, di costruire, di pensare, qualcosa dell’antica Roma è rimasto. E se oggi siamo cristiani, è perché Roma diventò cristiana.
Roma ha ispirato i romanzi, i fumetti, i film che abbiamo visto da ragazzi: da Quo Vadis ad Asterix a Ben Hur (molto prima del Gladiatore). Nessuna epoca storica ha influenzato così tanto le generazioni successive; anche perché gli anni della fondazione dell’impero sono gli stessi di un altro evento che ha cambiato la storia dell’uomo, la nascita e la crocifissione di Gesù.
Lo stile dell’antica Roma non è mai morto, e periodicamente risorge nella storia. Dal Rinascimento al Neoclassicismo, da Palladio fino a Canova, alcuni tra i più grandi artisti dell’Occidente hanno disegnato, dipinto, scolpito come facevano — o pensavano che facessero — gli antichi romani.
Ogni impero della storia si è creduto e si è presentato come l’erede dei romani. Bisanzio. Mosca: la «Terza Roma». Il Sacro Romano Impero di Carlo Magno. L’impero austroungarico e quello tedesco, che del Sacro Romano Impero si proclamarono continuatori.
E poi l’impero britannico, che teneva l’India con un pugno di soldati quasi tutti indiani, così come Roma teneva a bada i barbari con eserciti composti e comandati da barbari, che spesso potevano mantenere il loro grido di guerra.
Napoleone adorava Cesare, scrisse un libro su di lui, e non volle farsi incoronare re dei francesi, bensì imperatore.
L’impero americano, proprio come quello romano, si è costruito stringendo alleanze e patti diversi con diversi popoli, e considerando l’influenza militare e culturale più importante dell’occupazione dei territori; poiché il vero potere non è quello sulla terra ma quello sulle anime, oltre che sull’economia.
Il nuovo libro di Aldo Cazzullo, «Quando eravamo i padroni del mondo», esce martedì 26 per HarperCollins (pp. 288, euro 19)
Non a caso, oggi anche gli imperatori digitali — in modo dichiarato Mark Zuckerberg ed Elon Musk, ma non soltanto loro — guardano agli imperatori romani: i primi che si trovarono a governare immense comunità di persone che non si sarebbero mai incontrate fisicamente, parlavano lingue diverse, pregavano diverse divinità, ma nascevano, vivevano e morivano sotto lo stesso cesare; e quindi avevano bisogno di riconoscersi negli stessi volti, nelle stesse storie, nelle stesse idee.
Perché si poteva diventare romani qualunque fosse la propria origine, qualunque fosse il colore della propria pelle, qualunque fosse il proprio dio. E si poteva diventare romani restando ispanici, galli, traci, siriani, greci, egiziani, nubiani... Le questioni che Roma dovette affrontare — i flussi migratori, l’integrazione degli stranieri, lo stato di guerra permanente — sono le stesse che noi dobbiamo affrontare. E va ricordato che i romani, per quanto intimamente convinti della propria superiorità, non erano razzisti; tranne che con i goti, presi in giro perché troppo alti e troppo biondi.
Le radici dell’Occidente
Quello che oggi chiamiamo Occidente è una costruzione eretta sulle fondamenta dell’antica Roma.
In tutto l’Occidente, la lingua della politica e del potere è la stessa che si parlava a Roma due millenni fa. Imperatore e popolo sono parole latine. Come dominio e libertà. Dittatore e cittadino. Legge e ordine (sia pure in un’accezione diversa). Re e giustizia. Eroe e traditore. Cliente e patrono. Candidato ed eletto. Autorità e dignità. Patrizi e plebei. Potenti e proletari. Pretore e principe. Ira e clemenza. Infamia e onore. Congiura e sedizione.
Colonia è una parola romana, come trattato, come società, come suffragio, da cui presero il nome le donne che si batterono per il diritto di voto, le suffragette. Il Palazzo trae origine dal Palatino, il colle di Roma su cui sorgeva la reggia. Il fascismo prende il nome e il simbolo dai fasci portati dai littori: bastoni legati a una scure, a simboleggiare il potere di vita e di morte. Anche socialismo e comunismo discendono da parole latine: societas e communio. La stessa parola presidente viene dal latino «praesidere», presiedere. Gladiatori erano i volontari che nei piani della Cia avrebbero dovuto resistere all’invasione sovietica; oggi sui gladiatori, quelli veri, si continuano a fare grandi film.
E molti leader, pur di garantirsi il «consensus», si fanno «propaganda» e continuano a distribuire «panem et circenses», espressione coniata da uno dei padri della satira, Giovenale.
Gli Stati Uniti, la Francia, la Spagna, oltre ovviamente all’Italia oggi hanno il Senato, come l’antica Roma. Zar e Kaiser derivano da Cesare, e quindi ogni imperatore si è sentito discendente del vero fondatore dell’impero romano. Ma questo vale un po’ anche per molti presidenti degli Stati Uniti d’America. «Civis Romanus sum», sono un cittadino romano, ripeté John Kennedy. Molti leader americani hanno sentito di avere in comune con i romani il «destino manifesto» di reggere e governare il mondo. E il simbolo del potere dell’America è lo stesso di quello di Roma: l’aquila.
Anche la lingua della religione nasce nella città eterna. Fede, religione, pontefice sono parole latine. Come credere. Come dio (dal greco Zeus). Come, per venire al linguaggio della guerra, arma, esercito, militare, generale, soldato (da solidarius: colui che riceve una paga). E sono parole latine anche concordia, amicizia, amore, famiglia, matrimonio; anche se la sposa non si vestiva di bianco, ma di giallo.
Molte città italiane hanno nomi romani, perché dai romani furono fondate. Aosta evoca Augusto, Torino la tribù dei taurini, Mediolanum è la città che sta in mezzo, Cividale del Friuli il Foro di Giulio Cesare, Firenze la città del fiore...
Ovviamente, non è solo questione di parole. Dietro le parole ci sono le cose. Chi in ogni epoca della storia si è trovato a governare vasti territori e a influenzare diversi popoli ha visto nell’impero romano un modello. Le leggi. Le strade. Il calendario: in tutte le lingue dell’Occidente sono latini i nomi dei giorni (tranne il sabato, che viene dall’ebraico) e dei mesi, da gennaio a dicembre; e milioni di persone nascono e muoiono nei mesi che hanno preso il nome da Giulio Cesare — luglio — e da Ottaviano Augusto, ovviamente agosto. E poi la strategia militare. L’arte di dividere e comandare; ma anche l’arte di includere gli stranieri, di accogliere gli immigrati, di creare nuovi cittadini. La capacità di rispettare usanze e divinità locali, ma anche di mettere in comune un’idea di giustizia e di civiltà; sia pure a costo di tanta sofferenza, di crudeltà, di quel sangue di cui sono lastricate le vie della storia.
L’era di Cristo
Molto di quel sangue è stato versato dai primi cristiani. Martiri: testimoni di una fede professata in silenzio, nell’ombra, al prezzo del dolore e della morte. Gli imperatori romani sono pensati come crudeli persecutori dei seguaci di Gesù; e qualcuno, da Nerone a Diocleziano, lo fu davvero. Ma se oggi il cristianesimo è la religione dell’Occidente, se il Papa è a Roma, se in molti pensiamo Gesù come il nostro Dio incarnato tra noi, lo dobbiamo all’impero. A Costantino e a sua madre Elena, che portò a Roma la vera croce, il legno cui secondo la tradizione Gesù era stato inchiodato. Lo dobbiamo a quella straordinaria scelta politica, se non messianica, di rendere cristiano l’impero di Roma.
La storia romana non è solo storia di vittorie militari e di sapiente esercizio del potere. È anche storia di valori morali e civili. Di donne e uomini disposti a morire per la patria, per la comunità, per qualcosa che andava oltre se stessi. Noi oggi non sappiamo se davvero Clelia sia fuggita a nuoto dal campo del re etrusco Porsenna portando in salvo le compagne, per poi consegnarsi di nuovo come ostaggio; o se Attilio Regolo sia davvero tornato a Cartagine a farsi uccidere in modo atroce, solo per tenere fede alla parola data. Ma certo gli antichi romani lo credevano fermamente.
Anche Repubblica è una parola latina. Come Costituzione. E a Roma nacque l’embrione di quella che oggi chiamiamo democrazia. È vero che le assemblee del popolo si riunivano già nell’antica Grecia. Ma soltanto Roma creò un sistema codificato e duraturo di elezioni, con i comizi, le campagne elettorali, le strette di mano dei candidati, le votazioni, le proclamazioni. Al tempo di Cicerone era il popolo, non il Senato, a eleggere i magistrati; era il popolo, non il Senato, a fare le leggi. La plebe aveva i suoi rappresentanti, i suoi diritti, i suoi poteri, compreso quello di veto: altra parola latina entrata nel linguaggio universale della politica.
Repubblica del resto significa cosa pubblica: nasce a Roma l’idea che lo Stato sia di tutti. E se per i greci la dimensione politica era la città, per i romani divenne il mondo; e un uomo di un altro colore, di un’altra lingua, di un’altra religione poteva diventare romano.
Naturalmente Roma non fu mai una democrazia in senso moderno.
Matrone
La politica escludeva le donne; anche se rispetto ad altre civiltà antiche, compresa quella greca, le donne romane godevano di maggiore libertà, non erano relegate in casa, frequentavano le arene e le terme, cenavano con gli uomini; inoltre le mogli non prendevano il nome del marito e potevano possedere, comprare, vendere; tutti diritti che alle nostre nonne furono riconosciuti soltanto nel 1919, poco più di cent’anni fa.
La politica escludeva anche gli schiavi, che i romani chiamavano servi, altra parola ancora viva. Ma gli schiavi talora venivano liberati (e potevano diventare molto potenti). Talora si ribellarono. Anche la rivolta di Spartaco ha ispirato generazioni di rivoluzionari: spartachisti si chiamarono i comunisti tedeschi che insorsero alla fine della Grande Guerra. Proprio come Spartaco, Rosa Luxemburg e Karl Liebknecht fecero una brutta fine; ma è incredibile che nella Berlino del 1918 ci fossero ribelli pronti a battersi e a morire in nome di un misterioso schiavo che aveva fatto lo stesso duemila anni prima.
Una vicenda immensa, durata dodici secoli — dalla leggendaria fondazione di Roma a quella che viene definita la caduta dell’impero —, non si può raccontare per intero. Si rischierebbe la fine di Funes El Memorioso, il personaggio di Borges dotato o meglio condannato a una memoria prodigiosa: ricordando tutto, in realtà non sapeva niente; e si perdeva in milioni di dettagli trascurabili, senza trattenere le cose importanti. Anche se ci sono storie che non si possono non raccontare. A cominciare da quella di Giulio Cesare — forse il più grande uomo mai esistito — e del suo erede Augusto, dei loro nemici Pompeo e Marco Antonio, dei loro nobili oppositori Cicerone e Catone, di donne potenti come Cleopatra e Livia. Ricordando sempre che, pur popolata da figure eccezionali, Roma fu innanzitutto un sistema: una cultura politica, una macchina militare, una costruzione segnata da un terribile realismo e da una grande carica mitica e letteraria.
Di Roma restano molte vestigia, che sono soprattutto segni. I templi dell’antica capitale sono stati in gran parte distrutti: l’unico che resiste integro è il Pantheon, in quanto dedicato a tutti gli dei, compreso l’unico Dio che aveva preso il sopravvento. Di quella che fu la più grande e splendida piazza, il Foro, restano colonne smozzicate, oltre a tre grandi archi (e in quello di Tito è scolpita la Menorah, il candelabro a sette braccia trafugato dal tempio di Gerusalemme e finito forse a Bisanzio). Lo stesso Colosseo rischia di rivelarsi una delusione: è il monumento più visitato d’Italia; dentro però non c’è niente, ed è incredibile che niente vi sia mai organizzato, a parte la presentazione del libro di Totti. Qualche solone dice: così il Colosseo diventerebbe un’arena. Ma il Colosseo è un’arena! E ha senso solo se rimane tale.
Come non capire che la differenza tra le vestigia romane e quelle di altre grandiose civiltà è proprio nel fatto che quelle romane sono vive? Anche le piramidi sono straordinarie; ma sono monumenti morti a una civiltà morta. La civiltà romana non è morta; e non soltanto perché il Pantheon è diventato una chiesa, vi riposa un artista meraviglioso come Raffaello, vi è sepolto il re che ha fatto l’Italia.
L’unica chiave per raccontare oltre mille anni di storia è capire quel che ci resta. Raccontare i motivi, le cose, le storie per cui la civiltà romana è viva; e noi italiani, per quanto molto diversi, ne siamo indegnamente gli eredi, e di questo dovremmo essere più consapevoli e più orgogliosi.
Roma è anche storia di grandi artisti. Pittori, scultori, architetti. E poeti, che hanno appreso la lezione dei greci, l’hanno fatta propria e portata sino alle frontiere del mondo conosciuto, e sino ai confini di ciò che è in noi.
Per questo, per capire come Roma faccia ancora parte delle nostre vite e delle nostre anime, dobbiamo partire dall’origine.
Tutto, come sempre, comincia da un grande viaggio. Da una città in fiamme, sulla costa occidentale di quella che oggi chiamiamo Turchia. Da un eroe in fuga con il padre e con il figlio, alla ricerca di una nuova patria, sull’altra sponda del mare. E da un poeta, Virgilio, che molti secoli dopo ha inventato quella storia, e scrivendola l’ha resa vera.
Gli appuntamenti
Aldo Cazzullo presenta il libro domani a Roma (Galleria Borghese, ore 17) in un incontro su invito con letture di Valeria Solarino. Seguono: mercoledì 27 (ore 21, Brescia, Festival Librixia, Auditorium San Barnaba); sabato 30 (ore 17.30, Napoli, Feltrinelli di Piazza dei Martiri); mercoledì 4 ottobre (ore 18.30, Roma, Festival delle città, Pio Sodalizio dei piceni); venerdì 6 (ore 18, Sacile, Teatro Zancanaro; ore 21, Treviso, libreria Canova); sabato 7 (ore 11, Padova, Fiera delle parole; ore 17, Bologna, Sala Borsa; ore 21, Reggio Emilia, Palazzo Palazzi Trivelli); domenica 8 (ore 16.30, Tramezzina, Como, Villa Mainona); venerdì 13 (ore 18, Milano, Libreria Rizzoli, con Luciano Fontana, Vittorio Feltri, il sindaco Giuseppe Sala; modera Elvira Serra); sabato 14 (ore 17, Gallarate, Festival Duemilalibri); lunedì 16 (ore 18, Bergamo, Libreria Legami Mondadori); sabato 21 (ore 12, Roma, Libreria Nuova Europa I Granai); domenica 22 (ore 17.30, Modena, Forum Monzani; ore 21, Vignola, Rocca, Sala dei Contrari).
Lavinio, Alba Longa e infine Roma: i 3 miti della fondazione della Città Eterna. Angela Leucci il 30 Aprile 2023 su Il Giornale.
La leggenda della fondazione di Roma poggia su 3 miti principali: l'approdo a Lavinio, la fondazione di Alba Longa e il ruolo di Romolo e Remo
Tabella dei contenuti
Leggenda di Lavinio
Leggenda di Alba Longa
Leggenda di Romolo e Remo
Sono tre le leggende sulla fondazione di Roma, ovvero la leggenda di Alba Longa, la leggenda di Lavinio, e naturalmente la leggenda di Romolo e Remo. È interessante cercare di capire come queste leggende in realtà mescolino mito e inoffensiva propaganda: la loro genesi affonda infatti le radici in epoca imperiale, quando Ottaviano Augusto promosse le arti, in particolare la letteratura, in modo da trasmettere al popolo la magnificenza e la nobiltà della sua posizione politica. Oltre che il suo diritto divino: Enea, capostipite della stirpe del primo re, era figlio della dea Venere, il primo re Romolo era invece figlio di Marte. Così l'Impero Romano sarebbe caratterizzato per sempre da bellezza e forza.
Furono diversi e importanti i poeti e letterati che fecero parte di questa propaganda, che non va intesa nel senso contemporaneo del termine: qui è diventata una sorta di mito cristallizzato, che nulla toglie e molto aggiunge al fascino della Città Eterna. In fondo sono trascorsi 2000 anni, ma queste storie trasmettono forza e bellezza appunto, ma anche tradizione e valori umani senza tempo.
Leggenda di Lavinio
Lavinio è una frazione di Anzio. E allora cosa c'entra con Roma? Per capire bisogna ragionare in modo che la leggenda venga considerata un po' come la Storia: in altre parole, se la storia è un continuum, anche il mito può essere raccontato allo stesso modo, passo dopo passo, tappa dopo tappa: è una delle tappe della fondazione di Roma e sicuramente la fondazione di Lavinio.
Il condottiero Enea, dopo la sconfitta nella guerra di Troia, cercò rifugio nella penisola italica insieme a diversi profughi. Nelle sue peregrinazioni, era capitato che le varie vicissitudini venissero assunte a modello, da quelle innegabilmente virtuose, come la pietà verso una degna sepoltura o il rispetto per gli anziani, a quelle pensate per fini propagandistici, come l'abbandono dell'amore per andare incontro al Fato.
La nuova casa di Enea fu stabilita appunto a Lavinio, località che ospitò i rifugiati sopravvissuti alla guerra di Troia. Enea la scelse dopo aver assistito a una lotta tra un lupo, un’aquila e una volpe, le diede appunto il nome di Lavinio in onore di Lavinia, la figlia del re Latino che gli era stata data in sposa. Un'altra leggenda non parla invece di questa lotta animalesca, ma del ritrovamento da parte di Enea di una scrofa incinta sfuggita al sacrificio e sopravvissuta con i 30 porcellini che portava in grembo.
Leggenda di Alba Longa
A un certo punto della storia di Lavinio, questa località avrebbe iniziato a risentire di problemi di densità abitativa. Per questa ragione, a trent'anni dalla sua fondazione, Ascanio, figlio di Enea, decise di fondare un'altra città poco distante: si trattava appunto di Alba Longa, sempre stando alla leggenda. Naturalmente Ascanio fu il primo re di Alba Longa, dando vita a una lunga dinastia di re albani, il che porta a la più nota leggenda successiva.
Leggenda di Romolo e Remo
L'ultimo dei re albani noti in questa leggenda è Proca, nel momento di passare il trono al figlio. Proca aveva due figli, Amulio e Numitore, ma solo il secondo era il suo legittimo erede. Accadde però, stando al mito chiamo, che Amulio spodestò dal trono il fratello. Non solo: una profezia gli aveva detto che un discendente di Numitore lo avrebbe spodestato a propria volta, e per scongiurare il pericolo della discendenza di Numitore, costrinse la nipote Rea Silvia a diventare una sacerdotessa di Marte. Le sacerdotesse di Marte erano infatti tenute al voto di castità ma Amulio non aveva messo in conto che proprio il dio l’avrebbe messa incinta.
Rea Silvia partorì due gemelli, cui diede il nome di Romolo e Remo. Amulio la fece quindi seppellire viva (ma venne resuscitata dall’Aniene) e ordinò che anche i gemelli fossero uccisi, ma gli aguzzini abbandonarono i neonati nel Tevere che li portò in salvo su una sua riva. Qui vennero allattati da una lupa e crebbero nel migliore dei modi, anche grazie a un picchio e una coppia, Faustolo e Acca Larenzia.
Quando scoprirono la verità sui propri natali, Romolo e Remo deposero Amulio, ripristinando Numitore come legittimo erede al trono. Fu lo stesso Numitore a dare il permesso ai nipoti di fondare una nuova città, a partire dal Palatino, dove i gemelli avevano vissuto con la coppia.
Per capire chi dei due dovesse essere il primo re, ci si affidò agli aruspici: chi dei gemelli avesse visto più avvoltoi sarebbe diventato il re della nuova città. Le leggende qui si moltiplicano: c’è chi riporta che Remo vide più avvoltoi nel tempo stabilito, chi che Romolo ne vide di più dopo che furono tratti gli auspici, chi che i due gemelli giunsero alla lotta per un inganno o per una presa in giro, o forse ancora per ignoranza di una norma fissata dall’uno di cui l’altro non era a conoscenza.
Il mito si conclude così: Romolo fonda Roma, che racchiude 7 colli, 7 come i re che sarebbero stati sul trono prima che la città diventasse una repubblica oligarchica e poi un impero. E questo basterebbe a capire come tutto sia frutto di un'accurata simbologia letteraria. Questo impero, in cui furono partorite queste leggende affascinanti, viene studiato oggi a scuola e, quando si è bambini, si finisce per credere che i miti rappresentino in toto la storia.
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Creare un nemico ...per dare una "giustificazione" ai propri delitti
Con quale animo le DIVISE piemontesi dovevano andare a casa altrui (NOSTRA) e compiere massacri ?
Per dare un "sostegno morale" alle loro DIVISE ecco che avevano bisogno di
CREARE UN NEMICO con una narrazione che fu poi la ossatura di tutta la propaganda massonica del risorgimento che ha il suo punto più basso con il museo criminale di ezechiele lombroso a torino in piemonte, nella terra di bergoglio.
Questa tecnica ha accompagnato il potere massonico fino ad oggi ed ogni volta che deve distruggere una vittima ha avuto bisogno di aggiornare la sua propaganda passando dai lazzari, ai briganti, poi ai mafiosi con la coppola, poi a quelli con il gessato, poi ai gomorristi ed oggi ai complottisti , negazionisti etcetera.
Crearsi un nemico è necessario per chi è carnefice . Ieri 1860 come oggi 2022.
Questi CRIMINALI a servizio dei fratelli (della massoneria) d'italia sono in mala fede e senza legittimazione tanto da avere bisogno di crearsene una e la cercano inventandosi un difetto dentro al nemico.
Quando vi tappano la bocca dicendo che siete brigante, lazzaro e tutte le declinazioni possibili vuol dire che stanno ripetendo questo metodo per continuare ad imporsi su di voi .
..."diremo che sono stati i briganti" ...
Se capiamo la funzione delle etichette che i giornalai della stampa igienica usano ancora oggi per zittire le vittime prescelte , allora li abbiamo disarmati
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LEGGERE PER CAPIRE! AL BANDO I MERIDIONALI
di Gianni Lannes
Il dovere della memoria: per non dimenticare mai ciò che hanno patito i figli del Sud. Dal 1870 al 1930 ben 30 milioni di persone nate in Italia sono state costrette dalla miseria e dalle persecuzioni dello Stato tricolore a lasciare la propria patria. Quello che tanti non sanno è che il piano di deportazione dei Savoia è ancora oggi un segreto di Stato, sepolto nei documenti diplomatici conservati all’Archivio storico della Farnesina.
Repetita iuvant - Come avevo già scritto e documentato in passato, i lager non sono un’invenzione dei nazisti: più di un secolo e mezzo fa i Savoia, hanno massacrato migliaia di soldati borbonici, rei di non essersi sottomessi al loro dominio. Vi dice qualcosa Fenestrelle? In seguito, i savoiardi pensarono di estendere il trattamento all’intero Mezzogiorno recalcitrante con la famigerata legge Pica. Comunque «i meridionali dovrebbero essere deportati in un luogo disabitato e lontano migliaia di chilometri dall’Italia. In Patagonia, per esempio». Non si tratta dell’ultima provocazione leghista di qualche politicante razzista. E’ una cosa seria ammantata ancora oggi dall’eterno segreto di Stato. Provate a fare richiesta di atti e documenti in materia al ministero degli Esteri. Intenzioni e progetto portano la firma di un Presidente del Consiglio italiano: Luigi Federico Menabrea (che era nato nell’estremo Nord Italia, a Chambéry, oggi in territorio francese). Imperversa il 1868: l’Italia “unita” con la violenza, il saccheggio, l’inganno e il denaro dei massoni inglesi – certo non i Mille di Garibaldi – muove i suoi primi passi e deve affrontare il brigantaggio al Sud. Nemmeno la pena di morte senza processo (con la famigerata legge Pica) sembra dissuadere i briganti, vale a dire i partigiani dell’epoca che sempre più numerosi si riuniscono in bande. Così il governo italiano, avendo già sterminato interi paesi, compresi i neonati (ad esempio: a Casalduni e Pontelandolfo) decide di cambiare strategia: deportare i briganti e loro sostenitori dall’altra parte del globo terrestre, in modo da recidere affetti e rapporto con il territorio. Un progetto perseguito per oltre un decennio e che fallì solo per la ritrosia dei Paesi stranieri a cedere aree per impiantare mattatoi per meridionali italiani.
Deportazione di massa - Il piano di deportazione è scritto nero su bianco: il progetto delle «Guantanamo» di casa Savoia si rintraccia nei documenti diplomatici conservati all’Archivio storico della Farnesina. Secondo alcune carte seppellite dall’oblio, il presidente Menabrea provò prima a sondare gli inglesi, chiedendo loro un’area nel Mar Rosso, senza riuscirci. Quindi, il 16 settembre del 1868, il capo del governo italiano contatta il Ministro Della Croce a Buenos Aires, perché domandi al governo argentino la disponibilità di una zona «nelle regioni dell’America del Sud e più particolarmente in quelle bagnate dal Rio Negro, che i geografi indicano come limite fra i territori dell’Argentina e le regioni deserte della Patagonia». Anche questo secondo tentativo, però, annega in un buco nell’acqua, perché tre mesi più tardi, il 10 dicembre, Menabrea è già all’opera per trovare soluzioni alternative. Contatta il console generale a Tunisi, Luigi Pinna, e gli chiede di «studiare la possibilità di stabilire in Tunisia una colonia penitenziaria italiana». Ma anche i tunisini oppongono un no. A questo punto Menabrea ritorna alla carica con gli inglesi. Prima chiede loro di poter costruire un «carcere per meridionali» sull’isola di Socotra (tra la Somalia e lo Yemen), quindi domanda loro di farsi perlomeno da tramite con l’Olanda, perché conceda un’autorizzazione identica per un’area del Borneo. Menabrea e il governo italiano sono assolutamente convinti della necessità di deportare lontano dalla terra madre i criminali del Sud. Il senatore Giovanni Visconti Venosta, più volte ministro degli Esteri, incontrando il ministro d’Inghilterra sir Bartle Frere, si spingerà a dirgli: «Presso le nostre impressionabili popolazioni del Mezzogiorno la pena della deportazione colpisce più le fantasie e atterrisce più della stessa pena di morte».
È l’idea di abbandonare la famiglia, il Paese natale, il deterrente che il governo considera la carta giusta per sconfiggere la lotta contadina. Tanto più che in quegli anni sta nascendo il mito di alcune figure come Carmine Crocco (detto Donatelli) brigante che riesce a riunire intorno a sé una banda composta di almeno 2500 uomini e che viene visto come un eroe dalla popolazione locale e lo stratega imprendibile Michele Caruso di Torremaggiore.
Campi di concentramento - Le istanze del governo italiano, però, cadono nel vuoto. Il 3 gennaio 1872 il governo inglese fa sapere di non vedere di buon occhio la creazione di un enorme centro penitenziario per i meridionali italiani. Il 20 dicembre di quell’anno anche l’Olanda si defila: concentrare criminali italiani in un luogo circoscritto viene visto come un problema per la sicurezza interna. Gli ultimi tentativi risalgono al 1873. Il lombardo Carlo Cadorna, Ministro a Londra, prende contatto con il conte Granville, Ministro degli Esteri inglese, ancora per il Borneo. E ancora una volta, da Londra, arriva un rifiuto. Nel frattempo, le carceri dell’Italia Unita traboccavano di meridionali e i briganti continuavano a combattere. L’11 settembre 1872, il “Times” pubblicò una lettera giunta da Napoli che metteva in luce la recrudescenza del brigantaggio in Italia. Il “Times” ci aggiunse un articolo di fondo in cui non si risparmiavano sferzate ai Piemontesi per l’incapacità di «eradicare completamente una così grave piaga».
Oltre il patibolo - Convinto che la paura della deportazione in terre lontane avrebbe spaventato i meridionali più di qualunque tortura e perfino della morte, il Ministro degli Esteri, Visconti Venosta, decise di mettere alle strette gli inglesi. Il 19 dicembre 1872, a Roma, incontrò il ministro d’Inghilterra Sir Bartle Frere e gli parlò chiaro. Il suo discorso è ancora agli atti, negli Archivi della Farnesina. Disse: «Se ci ponessimo in Italia ad applicare la pena di morte con un’implacabile frequenza, se ad ogni istante si alzasse il patibolo, l’opinione e i costumi in Italia vi ripugnerebbero, i giurati stessi finirebbero o per assolvere, o per ammettere in ogni caso le circostanze attenuanti. Bisogna dunque pensare – disse il Ministro della neonata Italia – ad aggiungere alla pena di morte un’altra pena, quella della deportazione, tanto più che presso le nostre impressionabili popolazioni del Mezzogiorno la pena della deportazione colpisce più le fantasie e atterrisce più della stessa pena di morte. I briganti, per esempio, che sono atterriti all’idea di andar a finire i loro giorni in paesi lontani, ed ignoti, vanno col più grande stoicismo incontro al patibolo». Sir Bartle Frere prese tempo ma i piemontesi non si arresero. È del 3 gennaio 1873 un documento confidenziale in cui Cadorna ragguaglia Visconti Venosta sul colloquio avuto col conte Granville relativamente alla «cessione di una parte della Costa Nord Est dell’isola di Borneo». Il rappresentante del Governo italiano disse al Ministro degli Esteri inglese che i briganti «avvezzi a mettere la loro vita in pericolo, resi più feroci dalla stessa lor vita, salgono spesso il patibolo stoicamente, cinicamente (esempio tristissimo per le popolazioni!). Invece la fantasia fervida, immaginosa di quelle popolazioni rende ad essi ed alle loro famiglie terribile la pena della deportazione. In Italia, e massime nel Mezzodì, ove è grande l’attaccamento alla terra, ed al proprio sangue, il pensiero di non vedere più mai il sole natale, la moglie, i figli, di passare, e finire la vita in lontano ignoto paese, lontani da tutto, e da tutti, è pensiero che atterrisce». Granville però fu irremovibile: l’Inghilterra non avrebbe aiutato l’Italia a deportare i Meridionali.
Sepolti vivi - Ma quanti erano i detenuti del Sud che marcivano nelle galere italiane? Secondo la rivista «Due Sicilie» (diretta da Antonio Pagano), un’indicazione si trova in una lettera del savoiardo Menabrea, al Ministro della Marina, il nizzardo Augusto Riboty. Menabrea sostiene che sarebbe stato «utile e urgente» trovare «una località dove stabilire una colonia penitenziaria per le molte migliaia di condannati» che popolavano gli stabilimenti carcerari. A proposito della Marina Militare, la Forza armata si prestò ad esplorare una serie di luoghi adatti alla deportazione dei meridionali. Il Borneo e le isole adiacenti, innanzitutto, ma anche – secondo documenti pubblicati da «Due Sicilie» – «l’est dell’Australia». L’anarchico Giovanni Passannante che la sera del 17 novembre 1878 attenta con un temperino alla vita di Umberto I di Savoia, rimedia decenni di segregazione e torture fino a quando muore nel 1910 all’interno del manicomio di Montelupo Fiorentino. Il suo cranio ed il cervello sono stati esposti fino a qualche anno fa in un museo criminologico, ma ora riposano a Salvia di Lucania. I libri di storia tricolore dopo un secolo e mezzo ancora nascondono la verità. Chissà perché? Altro che “Unità d’Italia”: è in atto ancora la morte civile. Infatti, solo negli ultimi dieci anni, ben 700 mila giovani laureati sono stati costretti ad abbandonare il Sud. E anche se non vige più la pena di morte, va in scena la morte per pena.
Stato Magna Grecia - Due Sicilie
Le regioni più industrializzate d’ Italia, prima del 1860, erano la Campania, la Calabria e la Puglia: per i livelli di industrializzazione le Due Sicilie si collocavano ai primi posti in Europa.
In Calabria erano famose le acciaierie di Mongiana, con due altiforni per la ghisa, due forni Wilkinson per il ferro e sei raffinerie, occupava 2.500 operai.
L’industria decentrata della seta occupava oltre 3.000 persone.
La più’ grande fabbrica metalmeccanica del Regno era quella di Pietrarsa, (fra Napoli e Portici), con oltre 1200 addetti: un record per l’Italia di allora.
Dietro Pietrarsa c’era l’Ansaldo di Genova, con 400 operai.
Lo stabilimento napoletano produceva macchine a vapore, locomotive, motori navali, precedendo di 44 anni la Breda e la Fiat.
A Castellammare di Stabia, dalla fine del XVIII secolo, operavano i cantieri navali più importanti e tecnologicamente avanzati d’Italia.
In questo cantiere fu allestita la prima nave a vapore, il Real Ferdinando, 4 anni prima della prima nave a vapore inglese.
Da Castellammare di uscirono la prima nave a elica d’ Italia e la prima nave in ferro. La tecnologia era entrata anche in agricoltura, dove per la produzione dell’olio in Puglia erano usati impianti meccanici che accrebbero fortemente la produzione.
L’ Abruzzo era importante per le cartiere (forti anche quelle del Basso Lazio e della Penisola Amalfitana), la fabbricazione delle lame e le industrie tessili.
La Sicilia esportava zolfo, preziosissimo allora, specie nella provincia di Caltanissetta, all’ epoca una delle città più ricche e industrializzate d’ Italia. In Sicilia c’erano porti commerciali da cui partivano navi per tutto il mondo, Stati Uniti ed Americhe specialmente. Importante, infine era l’industria chimica della Sicilia che produceva tutti i componenti e i materiali sintetici conosciuti allora, acidi, vernici, vetro.
Puglia e Basilicata erano importanti per i lanifici e le industrie tessili, molte delle quali già motorizzate. La tecnologia era entrata anche in agricoltura, dove per la produzione dell’olio in Puglia erano usati impianti meccanici che accrebbero fortemente la produzione.
Le macchine agricole pugliesi erano considerate fra le migliori d’Europa. La Borsa più importante del regno era, infine, quella di Bari.
Una volta occupate le Due Sicilie, il governo di Torino iniziò lo smantellamento "cinico e sistematico" del tessuto industriale di quelle che erano divenute le “province meridionali”. Pietrarsa (dove nel 1862 i bersaglieri compirono un sanguinoso eccidio di operai per difendere le pretese del padrone privato cui fu affidata la fabbrica) fu condannata a un inarrestabile declino.
Nei cantieri di Castellammare furono licenziati in tronco 400 operai.
Le acciaierie di Mongiana furono rapidamente chiuse, mentre la Ferdinandea di Stilo (con ben 5000 ettari di boschi circostanti) fu venduta per pochi soldi a un "colonnello garibaldino", giunto in Calabria al seguito dei “liberatori”.
Franco Anelli
Stato Magna Grecia - Due Sicilie
Queste erano le nostre Eccellenze:
1735. Prima Cattedra di Astronomia in Italia
1737. Costruzione S.Carlo di Napoli, il più antico teatro d’Opera al mondo ancora operante
1754. Prima Cattedra di Economia al mondo
1762. Accademia di Architettura, tra le prime in Europa
1763. Primo Cimitero Italiano per poveri (Cimitero delle 366 fosse)
1781. Primo Codice Marittimo del mondo
1782. Primo intervento in Italia di Profilassi Antitubercolare
1783. Primo Cimitero in Europa per tutte le classi sociali (Palermo)
1789. Prima assegnazione di “Case Popolari” in Italia (San Leucio a Caserta)
1789. Prima assistenza sanitaria gratuita (San Leucio)
1792. Primo Atlante Marittimo nel mondo (Atlante Due Sicilie)
1801. Primo Museo Mineralogico del mondo
1807. Primo Orto Botanico in Italia a Napoli
1812. Prima Scuola di Ballo in Italia, gestita dal San Carlo
1813. Primo Ospedale Psichiatrico in Italia (Real Morotrofio di Aversa)
1818. Prima nave a vapore nel mediterraneo “Ferdinando I”
1819. Primo Osservatorio Astronomico in Italia a Capodimonte
1832. Primo Ponte sospeso, in ferro, in Europa sul fiume Garigliano
1833. Prima Nave da crociera in Europa “Francesco I”
1835. Primo Istituto Italiano per sordomuti
1836. Prima Compagnia di Navigazione a vapore nel mediterraneo
1839. Prima Ferrovia Italiana, tratto Napoli-Portici
1839. Prima illuminazione a gas in una città città italiana, terza dopo Parigi e Londra
1840. Prima fabbrica metalmeccanica d’ Italia per numero di operai (Pietrarsa)
1841. Primo Centro Sismologico in Italia, sul Vesuvio
1841. Primo sistema a fari lenticolari a luce costante in Italia
1843. Prima Nave da guerra a vapore d’ Italia “Ercole”
1843. Primo Periodico Psichiatrico italiano, pubblicato al Reale Morotrofio di Aversa
1845. Primo Osservatorio meteorologico d’Italia
1845. Prima Locomotiva a vapore costruita in Italia a Pietrarsa
1852. Primo Bacino di Carenaggio in muratura in Italia (Napoli)
1852. Primo Telegrafo Elettrico in Italia
1852. Primo esperimento di illuminazione elettrica in Italia, a Capodimonte
1853. Primo Piroscafo nel Mediterraneo per l’America (il “Sicilia”)
1853. Prima applicazione dei pricìpi della Scuola Positiva Penale per il recupero dei malviventi
1856. Expò di Parigi, terzo paese al mondo per sviluppo industriale
1856. Primo Premio Internazionale per la produzione di Pasta
1856. Primo Premio Internazionale per la lavorazione di coralli
1856. Primo sismografo elettrico al mondo, costruito da Luigi Palmieri
1860. Prima Flotta Mercantile e Militare d’Italia
1860. Prima Nave ad elica in Italia “Monarca”
1860. La più grande industria navale d’Italia per numero di operai (Castellammare di Stabia)
1860. Primo tra gli stati italiani per numero di orfanotrofi, ospizi, collegi, conservatori e strutture di assistenza e formazione
1860. La più bassa mortalità infantile d’Italia
1860. La più alta percetuale di medici per numero di abitanti in Italia
1860. Primo piano regolatore in Italia, per la città di Napoli
1860. Prima città d’Italia per numero di Teatri (Napoli)
1860. Prima città d’Italia per numero di Tipografie (Napoli)
1860. Prima città d’Italia per di Pubblicazioni di Giornali e Riviste (Napoli)
1860. Primo Corpo dei Pompieri d’Italia
1860. Prima città d’Italia per numero di Conservatori Musicali (Napoli)
1860. Primo Stato Italiano per quantità di Lire-oro conservata nei banchi Nazionali (443 milioni, su un totale 668 milioni messi insieme da tutti gli stati italiani, compreso il Regno delle Due Sicilie)
1860. La più alta quotazione di rendita dei Titoli di Stato
1860. Il minore carico Tributario Erariale in Europa
Estratto dell'articolo di Luca Josi per “Oggi” il 21 aprile 2023.
Cinquecento anni fa, venerdì 21 aprile del 1523, nasceva a Venezia Marcantonio Bragadin. Un eroe per alcuni, un nemico per altri; uno sconosciuto per i più. Qualche via dedicata, pochi busti e l’anfibio dei “Serenissimi” (quei secessionisti veneti che nel 1997 conquistarono il campanile di Piazza San Marco sbarcando dal loro “Tanko Marcantonio Bragadin 007”).
Chi era allora? Un martire, cristiano, che con le sue scelte consentì alla nostra storia di prendere la direzione che ci ha portato fin qui; rinunciando alla propria vita e ricevendone le chiavi che aprono le porte alla leggenda.
Sapete perché alcuni miti funzionano e rinascono, generazione dopo generazione, migrando di popolo in popolo? Perché racchiudono elementi che l’uomo cerca da sempre nelle sue aspirazioni, immaginando che da qualche parte quei valori esistano. E soprattutto che qualcuno li incarni.
[…]
Apparteneva alla nobiltà veneziana: alto, muscoloso, instancabile nuotatore; una folta barba e capelli mossi di un colore castano rossiccio incastonavano occhi azzurro chiaro, limpidissimi. Predestinato a un matrimonio aristocratico, vi rinunciò per inseguire la donna amata, dedicarle la vita e crescere con lei, nella fedeltà, i loro sei figli. Ma a ridosso del 1570 fu inviato dalla Repubblica di
Fu inviato a Cipro come governatore e, tra atrocità, resistette all’attacco turco per 14 mesi, dando il tempo al mondo cristiano di allearsi e fermare l’avanzata ottomana nel mare di Lepanto Venezia a Cipro, come Governatore di Famagosta. Quell’isola, estremo avamposto della capitale veneta di fronte alla Turchia, veniva rivendicata dal sultano Salim II (figlio di Solimano il Magnifico e l’esperienza insegna a diffidare dei rampolli inadeguati a sostenere il confronto coi padri).
[…]
Intorno a quella terra in mezzo all’acqua, per 14 mesi, si consumerà una delle più feroci resistenze umane che la storia abbia conosciuto. I turchi invieranno su quei mari quasi 250 mila uomini (come se rispetto alla popolazione di oggi si fosse riversato un esercito di 2 milioni di uomini). Seguiranno mesi di orrori disumani, durezze e violenze inenarrabili e l’assedio arriverà ai titoli di coda il 31 luglio del 1571. Bragadin, spinto dai suoi ufficiali, si piegherà a consegnare la fortezza non prima di aver trattato una capitolazione che garantisse la salvezza dei pochi sopravvissuti.
Si presenta al Serdar, il comandante dell’esercito turco, in alta uniforme, ma dopo un primo approccio conviviale il clima degenera nell’incubo: tutti i dignitari militari in sua compagnia vengono ammazzati; il Serdar taglia, brutalmente, il suo orecchio destro e ne fa recidere il sinistro e il naso da un suo armigero. Rinchiuso in una gabbia, esposto al sole agostano, privato di acqua e cibo, viene lasciato a macerarsi nelle infezioni delle sue ferite e preparato al supplizio.
Il boia comincia a scorticarlo dalla testa, poi dalla schiena e dalle spalle, lontano dai punti vitali. Poi passa alle braccia, al collo e infine al ventre. A quel punto, Bragadin, trapassa, ma prima perdona i suoi aguzzini e raccomanda la loro anima a Dio.
Il suo corpo squartato in quattro parti viene mandato agli angoli della città, mentre la testa è alzata su una picca nella piazza. Tutto questo non è pornografia del dolore, ma memoria umana. La pelle del Governatore impagliata e vestita con i suoi abiti militari, viene portata a Costantinopoli come trofeo di guerra.
[…]
Dopo peripezie e vicissitudini epiche le spoglie del Governatore riusciranno a tornare a Venezia dove ancora oggi riposano nella basilica della Serenissima Santi Giovanni e Paolo (il pantheon di Venezia). Grazie a quei mesi di resistenza il Papa Pio V ebbe il tempo di unire i litigiosi mondi delle Repubbliche di Venezia e di Genova al conflittuale regno di Filippo II e dar vita alla Lega Santa che il 7 ottobre del 1571, nel mare di Lepanto, fermò un’espansione, armata, dell’Islam che ciclicamente si riaffaccia.
Nei giorni scorsi ho ricordato questa storia e il suo anniversario a un primario, eminentissimo, uomo della comunicazione cattolica. Ha ascoltato il racconto battendo il tempo, ritmicamente, con un concerto di leonini sbadigli. Non sono un gran narratore. Ne sono consapevole, ma m’è rimasto il solido dubbio che il Santo Padre, al mio posto, gli avrebbe rifilato un papagno papale.
La pace è bellissima. Soprattutto se a conquistarla e difenderla è qualcun altro. E prima del sonno della memoria, arriva sempre ad annunciarlo lo sbadiglio. Per “Quelli che”, ricordava Jannacci, «con una bella dormita, passa tutto … anche il cancro». Figuriamoci le guerre e la violenza.
Sinistra, amnesie storiche: quando il Partito comunista invocava l'Autonomia. Francesco Carella su Il Riformista il 27 giugno 2023
Tra le tante costanti della vita politica del nostro Paese ve n’è una che affonda le radici addirittura nell’epoca preunitaria. Infatti, la riflessione sui rapporti fra lo Stato centrale e il sistema delle autonomie locali è al centro del dibattito fin dal 1851, quando Carlo Cattaneo scrisse che «il federalismo è l’unica via della libertà». Il teorico degli “Stati Uniti d’Italia” ha influito non poco sulla formazione della nostra classe politica dall’Unità ai giorni nostri. In tal senso, si può dire che vi è un lungo filo che parte da Luigi Carlo Farini, esponente di spicco della Destra storica, e raggiunge Roberto Calderoli, padre del Disegno di legge sull’autonomia differenziata.
Il ministro Farini nell’agosto 1860, dopo avere ricevuto l’imprimatur di Cavour, propose di conciliare «l’autorità centrale dello Stato con le necessità dei comuni, delle province e dei centri più vasti». Se, però, per il progetto Farini e subito dopo con quello del suo successore all’Interno Marco Minghetti gli ostacoli che ne impedirono la realizzazione avevano un fondamento storico rilevante (la fragilità di uno Stato giovane e la spinta disgregatrice lanciata nel Mezzogiorno dal brigantaggio) per ciò che riguarda la riforma del ministro Calderoli le ragioni sembrano meno nobili e più legate a un approccio demagogico da parte di una sinistra che ha dimenticato la sua stessa storia. Vale la pena di ricordare a Elly Schlein che la questione dell’autonomia era già al centro dell’attenzione di Palmiro Togliatti ed è sempre stata presente nel dibattito politico interno al Partito comunista. Del resto, già nel lontano 6 novembre 1975 in un’intervista a “La Stampa” il presidente della regione Emilia Romagna Guido Fanti individuava nella «forma decentrata dello Stato l’unica possibilità per il Paese di uscire dalla crisi che stava attraversando».
Egli propose di lavorare attorno a un «progetto di aggregazione tra le cinque regioni della Valle Padana che avrebbero dovuto avere un ruolo fondamentale in una politica di programmazione regionale e nazionale». Un altro leader di primo piano del Pci, Renato Zangheri, nel corso di un dibattito parlamentare sulle riforme istituzionali nel maggio 1988, afferma che «il Pci auspica un energico decentramento legislativo con una reale rivitalizzazione degli organismi locali per mezzo di una concreta autonomia finanziaria e impositiva». Lo spartito non muta con il Pds. Il 12 dicembre 1994, in assemblea, il segretario Massimo D’Alema presenta «il federalismo come l’unico strumento in grado di realizzare una nuova unità del Paese». A rileggere le polemiche delle ultime settimane vengono in mente le parole del meridionalista Guido Dorso: «Occorre augurarsi che non ci siano più cervelli che concepiscano l’unità nazionale, sacra ed inviolabile per tutti gli italiani, come mezzo per continuare con lo sgoverno attuale». Quei cervelli sono ancora in mezzo a noi pronti a fare danni.
Antonio Giangrande: Quelli che…o tutti o nessuno e poi vogliono la secessione!
Lo sproloquio del saggista e sociologo storico Antonio Giangrande. Da far riflettere…
2 e 3 giugno: Si festeggiano il giorno della Repubblica ed il giorno della libera circolazione tra regioni.
Il tutto sotto diktat della Padania.
I Padani hanno voluto l’Unità d’Italia per depauperare l’Italia meridionale.
I Padani comunisti hanno voluto la Repubblica per continuare a saccheggiare l’Italia Meridionale.
I Padani con le sedi legali delle loro aziende nei paradisi fiscali vogliono continuare a dettar legge con la scusa della secessione.
L’Italia divisa in due.
Storie Romane: Le regioni dell'Italia Augustea. Augusto riformò l'amministrazione dell'Italia, dividendola in undici regioni. Alcune ricalcano quelle attuali, altre come quelle Appenniniche e del Settentrione, più sconvolte dalle invasioni barbariche, meno. L'unica regione che ha preso un nome non romano è la Lombardia, il cui nome viene dai Longobardi. Inoltre Sicilia, Sardegna e Corsica formavano delle province sottomesse, che però nella riforma di Diocleziano vennero accorpate all'Italia.
Historia Magistra Vitae: Dopo che, uccisi Bruto e Cassio, non vi furono più eserciti della repubblica e dopo che Pompeo fu vinto presso la Sicilia, neppure al partito giuliano, spogliato Lepido e ucciso Antonio, rimase altro capo se non Cesare Ottaviano, che, deposto il nome di triumviro, si chiamò console, pagò dell'autorità di tribuno a difesa della plebe. Quando questi ebbe attratto a sè i soldati coi donativi, il popolo con le distribuzioni di grano, tutti con la dolcezza della pace, cominciò a elevarsi a poco a poco, a concentrare in sè le competenze dello Senato, dei magistrati, delle leggi, senza che alcuno gli si opponesse, poichè gli avversari più fieri erano scomparsi o sui campi di battaglia o nelle proscrizioni, e gli altri patrizi colmati di ricchezze e onori quanto più erano pronti a servire ed innalzati dalle nuove circostanze, preferivano la sicurezza delle condizioni presenti ai pericoli delle antiche. Le province non si opponevano a quello stato di cose, poichè diffidavano del dominio del Senato e del popolo a causa della rivalità fra i potenti, della cupidigia dei magistrati, senza che le leggi sconvolte dalla violenza, dall'intrigo, alla fine della corruzione, fossero di valido aiuto. Per altro Augusto, a sostegno del suo potere, elevò alla dignità di pontefice e di edile curule Claudio Marcello, figlio della sorella, ancor giovinetto, e con due successivi consolati accrebbe l'autorità di M. Agrippa, di famiglia oscura, buon soldato e compagno nelle vittorie, e che, appena morto Marcello, volle come genero; innalzò poi, col titolo di "imperatores" i figliastri Tiberio Nerone e Claudio Druso, pur essendo ancora fiorente la sua discendenza. Non si combatteva più, in quel tempo alcuna guerra guerra se non contro i Germani. Nella città tranquillo era lo stato delle cose, le magistrature conservavano gli stessi nomi; i più giovani erano nati dopo la vittoria d'Azio, la maggior parte dei vecchi nel pieno delle guerre civili: quanti mai rimanevano che avessero conosciuto la repubblica? Mutate, dunque, le condizioni della città, in nessun luogo più rimaneva qualche cosa dell'antico incorrotto costume: scomparsa l'eguaglianza fra i cittadini, tutti attendevano gli ordini del principe, senza nulla temere per il momento, finchè Augusto nel pieno fiore dell'età, potè mantenere in vigore sè, la sua famiglia, la sua pace.
Tacito, Annali
Terminata la guerra civile con Marco Antonio, l'impero di Ottaviano prende vigore. Sostenitore del Mos Maiorum, Ottaviano ottiene un lungo periodo di prosperità, in cui pian piano, Roma cancella l'idea di Repubblica per dare spazio all'Impero che conquisterà il mondo!
Umberto Li Vigni
MAGGIO 1860, IL RUOLO DELLA GRAN BRETAGNA NELL’ATTACCO ALLA SICILIA E AL REGNO DELLE DUE SICILIE. Michele Eugenio Di Carlo, Giovedì, 28 Maggio 2020 su retegargano.it. Uno dei più dettagliati resoconti della spedizione garibaldina - tanti ne hanno tratto informazioni senza citare la fonte - resta quello di Giacinto de’ Sivo. Con precisione assoluta lo scrittore di Maddaloni descrive l’apparato di sicurezza che il Governo aveva disposto per proteggere la Sicilia dall’invasione ritenuta certa: quattro fregate a vapore, due a vela, nove piroscafi da guerra, che navigavano incessantemente lungo le coste siciliane. Considerate anche le forze di Polizia e le Guardie Urbane, supporre che Giuseppe Garibaldi, nel caso fosse riuscito a sbarcare, potesse andare oltre Marsala non era proprio possibile. Per de’ Sivo era del tutto chiaro: la forza di Garibaldi era stata costruita a tavolino, in particolare dalla potentissima macchina della propaganda inglese. E quanto Cavour, convintosi a favorire la spedizione, cercò di metterne a capo Nino Bixio, «allora dolentissimo il Nizzardo, scordò la venduta patria, e scrisse umilissime lettere al La Farina, scongiurandolo d’aiutarlo… ». Sicuramente era stata proprio l’azione di mediazione di Giuseppe La Farina a spingere Garibaldi ad incontrare Camillo Cavour e Vittorio Emanuele II a Bologna il 2 maggio, al fine di addivenire ad un accordo, come già supposto dallo storico Pietro Pastorelli. Ed è così che «quel marinaio già dalla stampa mazziniana magnificato, quasi promesso da’ fati, per patti segreti tra reggitori di popoli potenti, con l’oro del Piemonte indebitato a posta, doveva lanciarsi a portar guerra civile nelle Sicilie».
Dopo l’unificazione artefatta e truffaldina dell’Unità d’Italia venne la nascita della Repubblica, altrettanto artefatta e truffaldina voluta sempre dalla gente del nord.
L’Italia divisa in due.
REGIONE NORD SEZIONI REPUBBLICA MONARCHIA
Piemonte 3529 1.250.070 938.945
Liguria 1470 633.130 284.692
Lombardia 5241 2.270.335 1.275.183
Venezia Tridentina
(Escluso Bolzano e Trieste) 465 191.450 33.728
Veneto 3636 1.403.441 954.372
Emilia Romagna 2928 1.526.838 454.589
Toscana 2781 1.280.815 506.167
Marche 1126 498.607 213.621
Umbria 631 301.209 117.755
TOTALE 21.807 9.355.895 4.779.052
REGIONE SUD SEZIONI REPUBBLICA MONARCHIA
Lazio 2212 753.978 795.501
Abruzzo e Molise 1264 347.578 459.478
Campania 2770 435.844 1.427.038
Puglie 1950 465.620 954.754
Lucania 394 107.653 158.210
Calabria 1337 337.244 514.633
Sicilia 2827 708.109 1.301.200
Sardegna 859 206.098 319.557
TOTALE 13613 3.362.124 5. 930.371
Con la Repubblica inizia il declino dell’Italia Meridionale e la differenza tra le due Italie si perpetua.
Lo scippo della Spesa Storica che toglie al Mezzogiorno e regala al Nord è l’origine del declino italiano. E tutti i Governatori del Sud tacciono. Come sempre. Roberto Napoletano il 30 aprile 2020 su Il Quotidiano del Sud. Tutti tacciono. Come hanno fatto negli ultimi venti anni. Hanno sempre qualche emergenza di cui occuparsi. Spicciano pratiche. Hanno una conference call dietro l’altra (prima incontravano gente). Zitti e muti. I soldi loro vanno da un’altra parte, ma loro non se ne accorgono. Se glielo spieghi, ti guardano strano. Preferiscono il silenzio. Dopo diranno che non hanno capito. Si spartiranno le briciole – se ci sono – che i ricchi lasceranno cadere dai tavoli imbanditi con le pietanze rubate ai poveri. Che sono loro. Quelli che stanno zitti quando dovrebbero urlare e strepitano o piagnucolano quando non serve a nulla. Facciamo presente che se avere chiuso un occhio con 60 e passa miliardi di spesa pubblica dovuti al Sud e regalati al Nord ogni anno negli ultimi dieci anni è stato grave. Lo scippo della Spesa Storica che toglie al Sud e regala al Nord – è l’origine del declino italiano – lo si vuole replicare approfittando della Pandemia, nonostante il disastro della superforaggiata Lombardia. Mi raccomando – lo dico provocatoriamente ma vale per tutti e per chiunque abbia un po’ di sale in zucca della classe dirigente meridionale – non disturbiamo il manovratore e occupiamoci di distanze in casa e al bar.
Quando il Governo Letta penalizzò le Università del Sud per favorire quelle del Nord. Michele Eugenio Di Carlo su I Nuovi Vespri il 6 maggio 2020. La sottrazione di risorse alle Università povere (quelle del Sud) per favorire le università ricche (quelle del Nord, che non sono affatto le migliori) ha determinato la migrazione di studenti (e di risorse finanziarie) dal Sud al Nord. Una vergogna infinita e uno scandalo ignorato. Sentire che tanti nostri studenti universitari, e i propri familiari, in questi giorni si lamentano di dover pagare affitti mentre le università sono praticamente chiuse, mi fa proprio male e mi costringe a riferire quello di cui pochi sono a conoscenza. Fu un provvedimento del governo di Enrico Letta e della ministra dell’Istruzione di allora, Maria Grazia Carrozza, a penalizzare fortemente le università del Sud con una sorta di decreto ammazza università meridionali che ha dato soldi alle università ricche e li ha sottratti a quelle povere. Badate bene, non a quelle migliori, a quelle più ricche. Lo scrive peraltro l’amico Pino Aprile nel suo ultimo testo “L’Italia è finita”, come sempre una miniera di informazioni. Tanto che l’economista barese Gianfranco Viesti – ricordo che è anche cittadino onorario della città di Vieste – ne scrisse un libro di denuncia: “La laurea negata”, arrivando a dire che tanto valeva farle chiudere. Un decreto che andò a peggiorare le già antimeridionali norme dei precedenti ministri Profumo e Gelmini. Ora uno studente meridionale su due (8 su 10 in Basilicata) sceglie un università del Nord e questo comporta l’ennesimo esborso di miliardi che passano da Sud a Nord, quasi non bastasse la tristissima e abominevole emigrazione sanitaria.
Michele Emiliano a Stasera Italia su Rete4 (Rete Lega) del 3 maggio 2020. «Innanzitutto noi abbiamo aumentato di millecinquecento posti i posti letto autorizzati da Roma. E abbiamo subito approfittato di questa cosa. Devo essere sincero: il sistema sanitario pugliese è un sistema sanitario regolare. Noi non abbiamo mai avuto problemi sulle terapie intensive. Quindi però, Pomicino evidentemente è intuitivo, capisce che questo è il momento per cui le sanità del Sud…siccome i nostri non possono più andare al Nord per curarsi perché è troppo pericoloso, devono essere rinforzate per limitare la cosiddetta mobilità passiva. Quindi io l’ho detto chiaro: io non terrò più conto dei limiti, posti letto, assunzioni, di tutta questa roba, perché non siamo in emergenza. Farò tutte le assunzioni necessarie, assumerò tutte le star della medicina che riuscirò a procurarmi, cercherò di rinforzare i reparti. Manterrò i posti letto in aumento. Anche di più se possibile. Chiederò ai grandi gruppi privati della Lombardia per i quali c’è una norma che li tutelava in modo blindato. Immaginate: io potevo pagare senza limite i pugliesi che andavano in Lombardia presso queste strutture, se queste strutture erano in Puglia c’era un tetto massimo di spesa fatto apposta…Siccome questo tetto deve saltare, io sto proponendo a questi grandi gruppi di venire e spostarsi al Sud per evitare il rischi Covid, ma soprattutto per evitare il rischio aziendale per loro. Perché è giusto che questa mobilità passiva: 320 milioni di euro di prestazioni sanitarie che la Puglia paga alla Lombardia in prevalenza, solo perché quel sistema è stato supertutelato. Adesso tutti dovremmo trovare il nostro equilibrio e la nostra armonia».
Tgnorba Il Fatto del 29-05-2020. Editoriale a cura del direttore Enzo Magistà di venerdì 29 maggio. Nel presentare il “decreto rilancio” e le riaperture del 18 maggio il presidente Conte annunciò che il 3 giugno, cioè da mercoledì prossimo, sarebbe stato possibile prevedere la ripresa anche della libera circolazione tra le regioni italiane. Però precisò: tutto sarebbe stato collegato alle condizioni della pandemia territorio per territorio, regione per regione. Tanto che si creò una specie di misuratore che indicava il rischio: alto, medio, oppure, assente. Le regioni a rischio alto, disse Conte, sarebbero rimaste chiuse; quelle senza rischio sarebbero state riaperte. Avrebbero potuto collegarsi fra loro. In pochi giorni, però, le cose sono cambiate. Ieri le regioni hanno fatto sapere al Governo di non essere d’accordo sulle riaperture differenziate. O tutti o nessuno. Il Governo si è un po’ spazientito, però, sembra essere disponibile. Però non tutte le regioni italiane sono a rischio controllato, è molto probabile che la libera circolazione sull’intero territorio nazionale possa slittare di una settimana: non più il tre, ma il 10 giugno. Non ci cambia la vita, però ci fa rabbia lo stesso. Perché ancora una volta ci si inchina al volere, per non dire al diktat, delle regioni del nord: Lombardia e Veneto in particolare. Sono le regioni italiane più a rischio. E quindi Fontana e Zaia sono stati loro a cavalcare la tesi del “tutti o nessuno”, perché, altrimenti, sarebbero rimaste chiuse. A loro, stavolta, fa comodo, sposare questa tesi, “tutti o nessuno”. Ma in altre occasioni non è stato così. Anzi, in tantissime altre occasioni non hanno fatto altro che rivendicare il contrario, fino a chiedere una autonomia esagerata. Vogliono l’autonomia su tutto: sulle tasse, sulla salute, la scuola, ecc.. Però quando si deve riaprire, siccome loro non possono riaprire: no! O tutti o nessuno. Sarebbero le sole a restare chiuse: allora no! O tutti o nessuno. Purtroppo, però, questo è il dramma: vincono sempre loro.
Dr Antonio Giangrande
La grande epopea dei Vichinghi dalla Groenlandia alla Sicilia. Qual è stata la vera storia dei Vichinghi? Alberto Massaiu ne parla nel saggio "Vichinghi - Storia degli uomini del Nord" edito da Diarkos. Alberto Massaiu il 17 Marzo 2023 su Il Giornale.
Le gesta dei vichinghi affascinano per la loro portata mitica e geografica e negli ultimi anni hanno avuto una grande popolarità anche a livello di cultura pop. Ma qual è la vera storia dei guerrieri nordici che nel Medioevo spopolarono in Europa? Lo storico Alberto Massaiu ne parla nel saggio "Vichinghi - Storia degli uomini del Nord" edito da Diarkos di cui oggi presentiamo un estratto.
L’epoca vichinga ricopre un vasto periodo, che comunemente spazia dal 793, anno del saccheggio dell’abbazia di Lindisfarne, fino al 1066, anno della sconfitta delle forze norvegesi di Harald Hardråde a Stamford Bridge. In questo lungo lasso di tempo i normanni navigarono il Mar Baltico, il Mare del Nord, l’Atlantico e il Mar Mediterraneo, oltre che nei grandi fiumi dell’attuale Russia, e qui saccheggiarono, colonizzarono, commerciarono e condussero epici scontri che avrebbero plasmato la memoria e le tradizioni collettive di tanti popoli venuti a contatto con loro. I vichinghi giungeranno a conquistare e a popolare una parte della Scozia, dell’Inghilterra – creando il Danelaw – e buona parte dell’Irlanda.
Fondarono una colonia in Islanda, esplorarono la Groenlandia e stabilirono un insediamento in America settentrionale, ben cinque secoli prima di Cristoforo Colombo, presso l’Anse aux Meadows, sull’isola di Terranova. Saccheggiarono la Francia e la Spagna e in Normandia fondarono l’omonimo ducato dal quale un loro diretto discendente, Guglielmo il Bastardo, nel 1066 partirà per conquistare l’Inghilterra. Crearono un potente e ricco regno nel Meridione d’Italia, strappandolo ai duchi longobardi, ai romani d’oriente in Puglia e Calabria e agli arabi di Sicilia.
Stabilirono la loro potestà su una parte di quelle sconfinate terre nell’Europa dell’Est che proprio da una tribù norrena – i rus’ – avrebbero preso il nome, Russia, e nella quale fondarono le antiche città di Novgorod e di Kiev. Viaggiarono infine fino a Baghdad, Gerusalemme e Costantinopoli, in cui per almeno tre secoli militarono nella celebre Guardia Variaga – varangoi era il termine con cui i bizantini definivano gli scandinavi - dei basilei di Bisanzio, uno dei corpi militari scelti più longevo e celebri del Medioevo. Ma come fecero a compiere tutte queste gesta? E soprattutto, quando e perché iniziarono? La spiegazione data per buona per molto tempo fu di natura ambientale.
Alla fine dell’VIII secolo si verificò un irrigidimento del già non mite clima scandinavo che unito a un aumento della popolazione, costrinse queste genti a emigrare. Fortuna – per loro – volle che all’epoca l’Europa e il Mediterraneo si trovassero squassati dalle invasioni degli avari a Est e dei musulmani a Sud. La morte di Carlo Magno nell’814, inoltre, aveva aperto il campo alla stagione di frammentazione, anarchia e guerre civili che avrebbe portato alla disgregazione del suo grande impero. L’intero scacchiere che un tempo, con Roma, era stato forte, difeso e unito, ora mostrava immense opportunità per i popoli del Nord, che ne seppero approfittare al meglio.
Belisario, il "fulmine di guerra" dell'Impero. Il 2 marzo del 537 iniziò l'assedio a Roma. Capolavoro militare di Belisario, generale bizantino che fu artefice del tentativo di rinascita dell'Impero. Andrea Muratore il 2 Marzo 2023 su Il Giornale.
Il 2 marzo 537 Roma fu cinta d'assedio dagli Ostrogoti nel cuore della guerra gotica che vedeva l'Impero romano d'oriente confrontarsi con i dominatori dell'Italia: la Città Eterna, ridotta da secoli di declino all'ombra di sé stessa, fu salvata dal genio militare di Belisario, fulmine di guerra bizantino e padre della "rinascita" di Costantinopoli, nel cuore della Renovatio Imperii di Giustiniano.
Così Roma piegò i suoi nemici
In un anno di assedio, Belisario fiaccò e mise alle strette gli Ostrogoti di Vitige, si trasformò da assediato in artefice di una guera asimmetrica e di logoramento, fece dell'attacco la migliore difesa. Nel cuore della guerra gotica, che precipitò l'Italia in diciotto anni di scontri (535-553) conclusi dalla vittoria finale bizantina l'assedio di Roma è l'episodio più studiato in un conflitto oscuro in cui la carenza di fonti lascia molti vuoti storiografici. Procopio di Cesarea, cantore dell'era di Giustiniano, ci ha lasciato la testimonianza oculare di un anno di campagna militare durante la quale Belisario sconfisse gli assedianti goti.
30mila guerrieri ostrogoti cinsero d'assedio Roma, occupata a fine 536 da Belisario, generale nativo dell'odierna Bulgaria, uomo di fiducia di Giustiniano per la corsa alla ricostruzione della sfera di dominio di Roma sotto la sfera d'influenza della sua erede, Costantinopoli. Belisario attese dunque Vitige a Roma, demolì il Ponte Salario, aprì agli Ostrogoti la strada per un confronto diretto e poi si ritirò nella città da poco liberata. La strategia era duplice. Da un lato, serviva la necessaria fermezza per chiamare alle armi la corte di Costantinopoli. Dall'altro, era necessario sfidare i goti a un tipo di guerra a cui non erano abituati. Belisario si trincerò a Roma e scrisse a Giustiniano: "Secondo i vostri ordini, sono entrato nei domini dei Goti, e ho ridotto alla vostra obbedienza l’Italia, la Campania, e la città di Roma. […] Fin qui abbiamo combattuto contro sciami di barbari, ma la loro moltitudine può alla fine prevalere. […] Permettetemi di parlarvi con libertà: se volete che viviamo, mandateci viveri, se desiderate che facciamo conquiste, mandateci armi, cavalli e uomini. […] Quanto a me la mia vita è consacrata al vostro servizio: a voi tocca a riflettere, se […] la mia morte contribuirà alla gloria e alla prosperità del vostro regno".
Trincerarsi a Roma, chiamare gli Ostrogoti all'assedio era per Belisario un modo per non disperdere buona parte delle sue forze e concentrare su un obiettivo le disorganizzate turme dei barbari. Lasciando dunque libere di rifiatare le guarnigioni bizantine a Napoli, Cuma e le altre città occupate. Un assedio autoimposto che si rivelò un disastro per gli Ostrogoti. La cavalleria bizantina, per un anno intero, bersagliò i sette accampamenti di Vitige costruiti attorno Roma. 1.600 mercenari giunti da Costantinopoli rafforzarono il corpo di spedizione bizantino mentre da Roma Belisario, a costo di una grande sofferenza per i civili, continuava la strategia di inchiodare i Goti alle mura della Città Eterna.
Guerra asimmetrica e guerra di logoramento: così letta con le dottrine odierne potrebbe essere analizzata la strategia di Belisario. Asimmetrica, perché la deviazione di forze gote dal resto del teatro italiano le portò a arenarsi sotto Roma esponendole agli attacchi degli arcieri a cavallo bizantini. Di logoramento, inteso come atto militare e politico, perché l'approssimarsi dell'inverno 537 fu salutato dai guerrieri goti con stanchezza e esaurimento, mentre Procopio guidava una spedizione da Napoli per rifornire di viveri Roma. Alla fine, le forze accumulate da Belisario alle spalle di Vitige furono sfruttate dal prefetto Giovanni per conquistare il Piceno e le Marche, spingendo a un anno dall'assedio Vitige a togliere l'assedio. Quello di Belisario a Roma è un raro caso di assedio volutamente costruito per ingannare un nemico e evitare a una potenza in guerra di essere travolta dall'inferiorità numerica nei confronti del nemico.
La guerra gotica avrebbe potuto risolversi in una tragica rotta per Costantinopoli se Vitige avesse affrontato le varie guarnigioni separatamente, eliminandone una a una. L'assedio di Roma fece rifiatare le retrovie, concentrò l'avanzata bizantina a Est in Italia, salvò Roma dalla riconquista. Il fulmine di guerra di Belisario colpì i Goti. E prima che l'Italia vedesse l'alternanza tra Belisario e il suo rivale Narsete, che finì la guerra, Costantinopoli poté continuare a programmare la riconquista della penisola. Destinata a impiegare lunghi anni di guerra che costarono atroci sofferenze alla Penisola. Ma che mantenne l'Italia nella sfera della romanità. Fino ai giorni nostri.
Segui Enea per scoprire le radici turche di romani ed etruschi. L’eroe in fuga da Troia con il padre invalido e il figlio piccolo. E il misterioso popolo partito via terra dall’Anatolia. Una mostra al Foro aiuta a mettere a fuoco le origini multietniche dell’antica Roma. Dalla newsletter de L’Espresso sulla galassia culturale arabo-islamica. Angiola Codacci-Pisanelli su L’Espresso il 31 gennaio 2023.
Per chi abita a Roma la mostra “Il viaggio di Enea. Da Troia a Roma” è un’occasione per tornare a visitare il Parco archeologico del Colosseo. Per chi viene da fuori, è una gemma in più in una visita turistica che è già un gioiello. Ospitata nel Tempio di Romolo, che secondo la tradizione fu fatto costruire dall’imperatore Massenzio per ricordare il figlio morto in tenera età, e che in seguito divenne l’anticamera della vicina chiesa dei santi Cosma e Damiano, la mostra riesce a rendere scenografica una delle leggende fondamentali per la nascita di Roma. Quella di Enea, arrivato nel Lazio da Troia, sulle coste dell’odierna Turchia, dopo un lungo viaggio attraverso e coste del Mediterraneo.
Entrando nell’edificio dalla pianta circolare si viene accolti da una bellissima processione di statue di argilla: sono la dea Minerva e alcune donne devote, capolavori in terracotta provenienti dal santuario di Minerva a Lavinio, alcune delle quali esposte al pubblico per la prima volta. Intorno, la storia della fortuna di Enea è raccontata da vasi decorati, statuette, sculture, affreschi provenienti da Pompei. Affascinanti ed enigmatiche sono le due sculture del Palladio (sia la statua in sé che la riproduzione tenuta dalla mano gigantesca di un frammento di statua), talismano della salvezza che da Troia arrivò a Roma.
Un frammento di un fregio proviene dalla decorazione della basilica Emilia, che sta proprio lì accanto. Come spiega bene Darius Arya in un capitolo del suo “Roma antica” (Rizzoli), la basilica era decorata con storie delle virtù romane (virtus, iustitia, clementia e pietas): e di tutte queste virtù Enea era il modello più antico e significativo.
Le peregrinazioni di Enea da Troia al Lazio hanno una quantità di tappe che ricordano il viaggio di Ulisse raccontato nell’Odissea: Troia, Delo, Creta, la Grecia, poi il Salento, la Calabria, la Sicilia, Cartagine e le coste della Campania, per arrivare a Lavinio e da lì a quella che sarebbe diventata Roma.
Enea è accompagnato da due persone che hanno bisogno del suo aiuto: il padre Anchise e il figlio Ascanio. Anchise, che da giovane con la sua bellezza aveva conquistato Afrodite, era stato punito da Zeus per essersene vantato: colpito da un fulmine, rimase cieco e zoppo. Per questo Enea, che di quell’amore era figlio, fuggendo da Troia conquistata dai greci lo portava sulle spalle. E così, con il padre sulle spalle e il figlio bambino per mano viene rappresentato sempre Enea: ben diverso da Ulisse, eroe solitario ed egoista.
E del resto, è opposto lo scopo della peregrinazione dei due eroi: Ulisse cerca di tornare a casa, Enea invece è un esule in fuga verso una nuova patria. Per questo è diventato un simbolo delle migrazioni moderne sulle coste del Mediterraneo, e della multiculturalità che lega ogni civiltà alle altre come ricorda l’Associazione Rotta di Enea, che ha collaborato alla mostra.
È curioso pensare che le radici turche della civiltà romana e il viaggio per mare di Enea si saldano con le radici degli etruschi, che si stabilirono in Italia dopo un lungo viaggio dall’Anatolia in compagnia dei loro cavalli: lo racconta con documentazione e leggerezza Giorgio Caponetti in “Venivano da lontano” (Marcos y Marcos), uno dei gialli della serie di Alvise Pavari del Canal.
Non dimenticate, prima di uscire dal Tempio di Romolo, di alzare gli occhi verso la cupola, che custodisce un affresco a sorpresa.
La mostra, curata da Alfonsina Russo, Direttrice del Parco archeologico del Colosseo, insieme a Roberta Alteri, Nicoletta Cassieri, Daniele Fortuna e Sandra Gatti, rientra nel circuito della visita al Foro (e nel relativo biglietto) e resterà aperta fino al 10 aprile 2023. Sono in programma passeggiate guidate a tema lungo il percorso che nel racconto di Virgilio compiono Enea e il suo compagno Evandro, dal Foro Boario fino al Campidoglio e al Palatino.
Estratto dell'articolo di Paolo Travisi per leggo.it il 29 gennaio 2023.
[…] Sarebbe in Romania, il sepolcro che custodisce i resti di Attila, rinvenuto durante i lavori per la realizzazione di un'autostrada nel paese dell'Europa orientale.
Secondo l'analisi degli studiosi, il luogo del rinvenimento potrebbe essere compatibile, con quello che è stato tramandato dalla storia sul seppellimento di Attila, morto nel V secolo dopo Cristo, sotterrato in una fossa scavata dagli schiavi, vicino al letto di un fiume[…]
Gli operai che stavano lavorando alla costruzione dell'arteria stradale ad alta velocità, hanno portato alla luce una tomba ricca di tesori, insieme ai resti umani di un guerriero e del suo cavallo. […] armi, oggetti ricoperti di oro e gioielli con pietre preziose oltre a decine di manufatti, tra cui una spada di ferro, punte di freccia e una maschera d'oro che probabilmente un tempo copriva il volto di Attila.
[…] Ancora non è nota l'etnia del presunto Attila, ma la ricchezza del corredo funerario suggerisce che fosse un membro ricco dei cavalieri nomadi, originari dell'Asia centrale che occuparono l'estremo oriente dell'Europa[…]
Da roma.repubblica.it il 22 dicembre 2022.
Lo chiamavano il "flagello di Dio" e il suo è un nome che, nonostante i secoli trascorsi, fa ancora paura, evoca distruzione e disperazione, violenza e follia senza senso. Tanto che Attila, condottiero degli unni nel V secolo dopo Cristo, si ritiene all'origine della caduta dell'Impero Romano d'Occidente, avvenuta nel 476 d.C.
Roma non ha retto, in sostanza, ai continui e ripetuti attacchi e alle orde barbariche che ne devastarono i vastissimi confini, facendo a pezzi intere popolazioni, lasciando sul terreno, dopo il passaggio delle sue orde, soltanto morte. Le frontiere romane si indebolirono e alla fine si sgretolarono. L'impero crollò.
Ma c'è uno studio che racconta un'altra storia. O, almeno, la racconta inserendo un elemento non da poco, che getta una luce nuova. Attila non era un folle sanguinario che voleva conquistare e annientare, comandare e schiacciare: ma il risultato di una calamità naturale, combinata ad altri fattori, che non lasciò alternative.
Le incursioni unne nell'Europa centrale e orientale nel IV e V secolo dopo Cristo sono dunque storicamente considerate uno dei fattori chiave nella fine all'Impero Romano. Tuttavia, sia le origini degli Unni che il loro impatto sulle province tardo romane sono ancora poco conosciute.
Tanto che questo nuovo studio, The role of drought during the Hunnic incursions into central-east Europe in the 4th and 5th c. CE (Il ruolo della siccità nel corso delle incursioni unne nell'Europa centrale e dell'Est nel corso dei secoli 4 e 5 dopo Cristo) di Susanne E. Hakenbeck e Ulf Büntgen, del Dipartimento di Archeologia e del Dipartimento di Geografia dell'università britannica di Cambridge, grazie a nuova valutazione delle prove archeologiche, storiche e ambientali, avanza appunto nuove, inedite ipotesi.
I due studiosi sostengono che le siccità che si sono verificate tra il 430 e il 450 d.C. nell'area geografica dell'attuale Ungheria, abbiano avuto un ruolo chiave: non più la violenza apparentemente inspiegabile degli Unni, la loro folle sete di sangue - tanto che ancora oggi "unni" significa distruzione, invasioni barbariche e per indicare uno stato di calamità inarrestabile. Si sarebbe trattato, al contrario, di una strategia per far fronte agli eventi climatici estremi da valutare nell'ambito di un contesto più ampio dei cambiamenti sociali ed economici del periodo.
"Le fluttuazioni climatiche del periodo, in particolare le estati secche dal 420 al 450 d.C., hanno avuto con tutta probabilità un impatto sulle capacità di carico sia dell'agricoltura che dei pascoli, almeno nelle aree che non si trovavano direttamente nelle pianure alluvionali ricche di umidità", scrivono in due studiosi.
"Le fonti storiche ci dicono che la diplomazia romana e unna era estremamente complessa con accordi reciprocamente vantaggiosi, almeno inizialmente, con il risultato che le élite unne ottenevano l'accesso a grandi quantità di oro. Questo sistema di collaborazione si interruppe negli anni 440, portando a regolari incursioni di terre romane, crescenti richieste di oro e, a un certo punto, una richiesta di una striscia di territorio lungo il Danubio "larga cinque giorni di viaggio". Fatti che coincisero con la crescente aridità nel bacino dei Carpazi. Se la datazione di questi eventi è affidabile, allora le più devastanti incursioni unne, nel 447, 451 e 452 d.C., avvennero durante estati estremamente secche. Ciò solleva la questione se le offerte ambientali alterate abbiano provocato cambiamenti alla sussistenza, all'economia e forse anche all'organizzazione sociale".
Il metodo per misurare la siccità è quello di verificare i segnali biochimici negli anelli degli alberi. "I dati sugli anelli degli alberi ci offrono una straordinaria opportunità di collegare le condizioni climatiche all'attività umana anno dopo anno. Abbiamo scoperto che i periodi di siccità registrati nei segnali biochimici negli anelli degli alberi hanno coinciso con un'intensificazione dell'attività di incursione nella regione", ha spiegato il professor Büntgen.
Le popolazioni furono addirittura costrette a cambiare dieta per la situazione di siccità scoperta fatta attraverso analisi isotopoche sugli scheletri dell'epoca. "Se la scarsità di risorse divenne troppo estrema, le popolazioni stanziali potrebbero essere state costrette a spostarsi, diversificare le loro pratiche di sussistenza e passare dall'agricoltura all'allevamento nomade di animali", ha sottolineato la professoressa Hakenbeck.
Aureliano e quella mano al ferro che riunificò e restaurò l’Impero. Redazione su L'Identità il 24 Aprile 2023
Il fascino di una figura del passato che non solo ha lasciato il segno del suo passaggio, nella storia, ma ha contribuito in modo importante e a scriverne un capitolo di grande valore.
Lo scrittore milanese Alberto Magnani, con una penna piacevolmente acuta e con la passione per i dettagli che tracciano una regia di eventi che ti fa passare di pagina in pagina con grande curiosità, ha pubblicato un volume dedicato al grande imperatore.
Lucio Domizio Aureliano (214 /215 – 275) apparteneva a una famiglia di agricoltori.
La sua carriera militare venne favorita dall’imperatore Valeriano e si affermò durante l’impero di Gallieno.
Il fascino di una figura del passato che non solo ha lasciato il segno del suo passaggio, nella storia, ma ha contribuito in modo importante e a scriverne un capitolo di grande valore.
Lo scrittore milanese Alberto Magnani, con una penna piacevolmente acuta e con la passione per i dettagli che tracciano una regia di eventi che ti fa passare di pagina in pagina con grande curiosità, ha pubblicato un volume dedicato al grande imperatore.
Lucio Domizio Aureliano (214 /215 – 275) apparteneva a una famiglia di agricoltori.
La sua carriera militare venne favorita dall’imperatore Valeriano e si affermò durante l’impero di Gallieno. Era di spirito pronto, d’indole impetuosa e inesorabile, tanto che i compagni d’arme gli rifilarono il nomignolo di “mano al ferro “.
Nel 270 le truppe lo acclamarono Imperatore. L’Impero pareva prossimo allo sfacelo. Aureliano riuscì nei primi tre anni a rinsaldare la compagine dello stato romano e a salvarlo e poté celebrare un trionfo (274 d. C.) dei più fastosi che Roma abbia veduto e uno dei più meritati, ricevendo il titolo di restitutor orbis (riunificatore dell’Impero).
L’opera restauratrice di Aureliano ebbe largo campo anche nella pubblica amministrazione e in particolare nella parte finanziaria. La sicurezza e gli abbellimenti di Roma, il mantenimento e l’igiene della popolazione occuparono molta parte dell’attività di questo imperatore che, inoltre, diede inizio alla costruzione di quelle mura attorno a Roma che portano ancora il suo nome.
Si legge nelle pagine del libro:
Aureliano dovette ricevere un’educazione essenziale, frequentando una scuola dove si imparava a leggere, a scrivere e a far di conto. Sappiamo di un altro Imperatore, Diocleziano, anch’egli originario della zona balcanica e di estrazione sociale molto modesta, che conosceva a memoria versi dell’Eneide. Possiamo quindi ritenere che anche Aureliano ricevesse qualche rudimento di cultura letteraria, probabilmente su testi che celebravano le virtù degli antichi e la grandezza di Roma. Il giovane dovette trarne un profondo senso di appartenenza all’Impero, l’attaccamento alla tradizione e un forte orgoglio di essere romano, sentimenti che avrebbero caratterizzato la sua azione politica.
Il doge cieco che conquistò Costantinopoli. Andrea Muratore il 22 Giugno 2023 su Il Giornale.
Enrico Dandolo divenne doge di Venezia più che ottantenne e la portò alla gloria. Nel 1204, quasi centenario, fu protagonista della presa di Costantinopoli
Sbucato fuori dalle nebbie della storia in età già avanzata, Enrico Dandolo si conquistò a fine XII e inizio XIII secolo grande notorietà nella Repubblica di Venezia ambiziosa e espansionista nel Mediterraneo. Tanto da diventare una delle figure più importanti della sua epoca storica e, nel 1204, il primo comandante a guidare, assieme a Baldovino IX delle Fiandre, Bonifacio del Monferrato e gli altri militari alla guida della Quarta Crociata, un assedio vittorioso di Costantinopoli, "Regina delle Città" e capitale dell'Impero bizantino. Tutto questo alla veneranda età di novantasette anni.
Quella di Enrico Dandolo è una vita forse unica nella storia dei comandanti militari. Una vita di cui si conoscono gli estremi, essendo il futuro doge nato nel 1107 e morto nel 1205, un anno dopo la presa di Costantinopoli, ma non buona parte degli avvenimenti. Erede di una nobile famiglia di mercanti veneziani e cresciuto sulla loro strada tra Venezia e l'Oriente, Dandolo inizia ad apparire nelle cronache della Serenissima solo nel 1170, oltre i sessant'anni. In quell'anno fu proprio Costantinopoli, la città che gli avrebbe dato la gloria, a renderlo noto: Dandolo si trovò nel gruppo di 10mila veneti che l'imperatore Michele I Comneno aveva fatto fermare perché accusati di concorrenza commerciale sleale. Una provocazione che avrebbe dato origine a una breve, violenta guerra tra veneziani e bizantini e durante le cui dirette conseguenze, nel corso di una visita di una delegazione di mercanti al Palazzo Imperiale bizantino, Dandolo perse quasi completamente la vista dopo un alterco con il sovrano.
Dopo decenni passati per mare navigando fino alle colonie crociate del Levante e ad Alessandria d'Egitto commerciando spezie e seta e, secondo le cronache, conquistando la carica più che simbolica di "nobilomo da mar", cioé di esperto navigatore, Dandolo si trovò costretto a un impedimento fisico che, però, andò di pari passo con la creazione di un mito di martirio attorno alla sua figura. Nel 1172 il neo-insediato doge Sebastiano Ziani lo nominò a tal proposito ambasciatore in Sicilia per stipulare un'alleanza anti-bizantina. Andò a buon fine l'accordo col sovrano normanno Guglielmo II, che portò Costantinopoli a tornare a più miti consigli e a sfuggire il confronto cercando un accordo per la restituzione dei beni a Venezia. Mercante e diplomatico, Dandolo divenne uno dei più esperti e rodati "boiardi" della Serenissima. Da Federico Barbarossa a Ferrara, più che settantenne e ultra-ottantenne divenne il regista della diplomazia veneta e mediò tregue e alleanze.
Per questo motivo e per una straordinaria tempra fisica che lo portarono a eccedere la vita media di qualsiasi cittadino dell'epoca, il Maggior Consiglio scelse Dandolo come doge nel 1192, alle dimissioni del predecessore Orio Mastropiero. Venezia necessitava di mediazione e di maggior proiezione militare e commerciale. Da un lato era in equilibrio tra imperi e potentati dell'epoca, dall'altro aveva una sfida diretta ai confini nazionali con le incursioni pisane nell'Adriatico e la spinosa questione di Zara, porta mediterranea del Regno d'Ungheria. Dandolo diede prova di ambizione notevole colpendo nelle prime battute i pisani a Pago, Ossero e Arbe, tre isole dell'attuale litorale croato che furono riconquistate tra il 1192 e il 1195, con il doge semicieco e anziano al comando delle sue galee in ogni battaglia.
Dandolo promosse anche una riforma monetaria per apprezzare la divisa di Venezia, coniando il grosso veneziano, stampato in argento come prima moneta di questo tipo dai tempi di Carlo Magno in Europa occidentale. La moneta divenne il simbolo del potere veneto sui mari e nei commerci. Parimenti, appena eletto Dandolo diede ordine ai cittadini di cacciare, pena una multa, gli stranieri residenti nella città da meno di due anni per sequestrarne i beni e dare vita all'accumulazione di riserve che servirà a potenziare la flotta per le future imprese.
Nel 1202 Venezia sostenne ampiamente l'impresa della Quarta Crociata, proclamata da Papa Innocenzo III per riconquistare Gerusalemme. Come ha ricordato l'associazione Mare Nostrum, di fronte ai comandanti Baldovino e Bonifacio "Venezia s’impegnava a fornire ai crociati, entro la fine di giugno 1202, il trasporto delle truppe crociate: 33mila. soldati, un numero ambizioso, in cambio di un sostanzioso pagamento; il contratto fu ratificato dal papa. Era un vero e proprio contratto di trasporto e rifornimento e, per soddisfare la corposa richiesta, i veneziani garantirono anche la costruzione di 50 navi da guerra e 450 vascelli da carico".
Oltre a ciò, "la Repubblica di Venezia si sarebbe assunta l’onere di armare in proprio 50 galere partecipando ai rischi dell’impresa ed agli eventuali profitti nella misura del cinquanta per cento, con la clausola del possesso delle terre conquistate durante la spedizione". Le difficoltà dei crociati a ottenere da feudatari e sovrani la somma pattuita portò Dandolo a deviare la crociata, dopo la partenza, su Zara, che fu assediata e conquistata a beneficio del pagamento mancante. Giunti in direzione di Costantinopoli, il trasbordo verso la Terrasanta fu bloccato dalla "guerra civile" bizantina che vide i crociati schierarsi al fianco del pretendente Alessio IV Angelo, che spodestò lo zio Alessio III, autore della deposizione di suo fratello Isacco II, imprigionato e accecato.
Dandolo capì che fermare la crociata a Costantinopoli avrebbe prodotto molti più vantaggi. Accettò l'offerta di Alessio IV di guidare, nel 1203, la crociata, ormai dipendente da Venezia, al suo insediamento sul trono. E dopo che Alessio IV Angelo fu fatto deporre e uccidere da un suo ufficiale, diventato basileus col nome di Alessio V Ducas, il 97enne doge ordinò, nel febbraio 1204, di muovere nuovamente sulla Regina delle Città. In poche settimane assediata e occupata dai crociati, ormai diventati mercenari alla conquista di città - cristiane! - molto lontane da Gerusalemme. Costantinopoli cadde il 13 aprile 1204, per la prima volta dalla fondazione ad opera di Costantino. Baldovino fu insediato come imperatore latino, il successore di Alessio V, Costantino XI Lascaris, si rifugiò a Nicea e fino al 1261 i domini bizantini furono spezzettati con la città sottoposta a un governo cattolico.
Dandolo negoziò forti ampliamenti territoriali per Venezia. La Serenissima annesse buona parte della Grecia, compreso il Peloponneso, ottenne il controllo di Adrianopoli e dei Dardanelli e di tre ottavi della città di Costantinopoli. Venezia divenne la signora del Mediterraneo per iniziativa delle mosse corsare e dinamiche di un anziano novantasettenne, che proprio a Costantinopoli sarebbe morto, trionfante, un anno dopo. La scomunica papale caduta sui veneziani per la conquista di Costantinopoli fu rimessa e Dandolo fu sepolto a Santa Sofia, nel cuore del potere di Bisanzio. Vi sarebbe rimasto fino al 1453, anno della conquista turca della città. Mentre ancora più a lungo durò Venezia. Che riuscì a vivere di rendita dell'espansione targata Dandolo per diversi secoli, fino alla caduta dello Stato ad opera di Napoleone Bonaparte nel 1797. L'uomo venuto dal nulla e dalle tenebre di una vita a lungo oscura prima e della semi-ciecità poi aveva saputo, dunque, influire in profondità nella storia della sua città.
Le guerre infinite di Venezia per dominare l'Adriatico. Tra IX e XVII secolo, quindici guerre segnarono la corsa della Serenessima per la conquista del mare tra Italia e Balcani. Gli avversari? Principalmente croati e ungheresi. Andrea Muratore il 24 Agosto 2023 su Il Giornale.
La Repubblica di Venezia è stata fino al tramonto del XVIII secolo lo Stato simbolo della marittimità italiana e, soprattutto a cavallo tra la parte finale del Medioevo e l'Età Moderna, una protagonista della politica del Mediterraneo. Il cuore del dominio veneto dei commerci fu, per lunghi secoli, l'Adriatico. Uno spazio marittimo che in Europa fu considerato sostanzialmente un "lago" veneto ma che la Serenissima dovette, in realtà, contendere per lunghi secoli a due importanti rivali: i regni di Croazia e Ungheria.
Nella lunga storia della Repubblica di Venezia, le quindici guerre combattute tra IX e XVII secolo per assicurarsi il dominio degli spazi costieri che andavano dalla Dalmazia all'attuale Ungheria, per consolidare le roccaforti e le basi navali e per evitare la temuta saldatura tra rivali marittimi e terrestri hanno rappresentato delle compagne di viaggio costanti da quando, nell'829, il doge Giovanni I Partecipazio armò una flotta di 30 galee per colpire i pirati narentani, abitanti della Dalmazia e futuri sudditi della corona di Croazia.
L'allora Ducato di Croazia fu il primo Stato a contendere ai veneti la supremazia adriatica, e dopo essersi costituito come regno nel X secolo ebbe, a partire dal 1102, il sostegno dell'ambiziosa Ungheria, che dopo essersi consolidata sulla scia dell'invasione degli ungari nei secoli precedenti aveva mostrato forti ambizioni marittime.
La sconfitta di Macarsca, in Dalmazia, nell'887 portò i veneziani a dover pagare un tributo per la navigazione in Adriatico che la Serenissima lavorò a lungo per invertire. L'uomo del destino sarebbe stato, nel 991, il doge Pietro II Orseolo, che approfittando delle guerre civili interne al giovane regno croato iniziò a programmare la fine del tributo secolare e l'espansione egemonica, militare oltre che commerciale, di Venezia: caddero prima e dopo l'anno Mille in mano a Venezia snodi strategici come le città di Arba e Ragusa nell'attuale Croazia, le isole di Issa, Lagosta e Curzola prima, Pago e Veglia poi.
L'unione personale tra i regni di Croazia e Ungheria dopo l'ascesa al trono di Colamanno a Buda portò a inizio XII secolo l'Ungheria stessa a entrare duramente nel conflitto. Per due secoli e mezzo il regno pannonico sarebbe stato il nemico numero uno dei veneti nella corsa all'egemonia regionale. E per l'Ungheria iniziò quella lunga fase da potenza navale che si sarebbe conclusa solo nel 1918, con la caduta dell'Impero austro-ungarico. A cui i navigatori croati e slavi avrebbero contribuito a lungo.
L'intervento ungherese portò nel XII secolo i croato-magiari a mettere sotto il loro controllo Zaravecchia (oggi Biograd), Sebenico, Trau e Spalato, certificati da un trattato di pace dopo una guerra breve ma intensa nel 1108, e a sognare di strappare a Venezia Zara, da allora città più contesa nell'Adriatico.
Una guerra nel 1125 mantenne Zara a Venezia, ma nel 1183 la città si ribellò e si dichiarò leale ai croato-ungheresi. Questo fu la miccia per l'allarme a Venezia: con l'ingresso della città nei domini di Bela III, allora sovrano d'Ungheria, la minaccia di un'interdizione alla Serenissima nel Nord dell'Adriatico e di una chiusura ai commerci si fece sempre più concreta. Specie considerato il fatto che a quel tempo Venezia soffriva anche l'attivismo della rivale italiana Genova.
L'idea di una saldatura ungherese-genovese contro Venezia portò la Serenissima a tenere duro per vent'anni nel conflitto con i nemici d'Oriente. L'intervento di Enrico Dandolo e la "deviazione" della Quarta Crociata su Zara, prima del definitivo sbarco a Costantinopoli, come pegno per il passaggio a oriente dei guerrieri desiderosi di riconquistare Gerusalemme segnò il ritorno della città in mano veneziana e scongiurò questo incubo. Ma inaugurò al contempo un secolo e mezzo di rivolte della città contesa, l'ultima delle quali, nel 1345-1346 vide il re Luigi I d'Ungheria sognare la zampata contro Venezia, non riuscita.
La guerra di Chioggia vide la saldatura tra genovesi e ungheresi tanto temuta da Venezia. La pace di Torino del 1381 mostrò la sofferenza della Serenissima, costretta a cedere l'intera Dalmazia a Buda. Ma nel 1409 la Serenissima operò la riconquista del territorio, espandendosi poi a Montenegro, Bocche di Cattaro e una parte dell'attuale Albania. Da allora in avanti il monopolio della navigazione fu sostanzialmente veneto, con concessioni locali alla neo-indipendente Ragusa. Lo Stato da Mar veneto non sarebbe più stato messo in discussione fino alla calata di Napoleone, nel 1797, che segna la fine della Repubblica di Venezia. L'avanzata dei Turchi, nel XVI secolo, sostituì all'Ungheria gli Asburgo d'Austria, che però nel 1615 dopo l'inconcludente guerra di Gradisca accettarono sostanzialmente l'eredità dell'egemonia veneta sulla regione.
In quelle guerre durate quasi un millennio si plasmò molta dell'identità regionale dell'Adriatico. Si segnarono, di fatto, i confini della presenza delle genti italiane nei Balcani, che sarebbero rimasti invariati fino all'esodo giuliano-dalmata post-seconda guerra mondiale; si creò d'altro canto l'unione stretta tra Ungheria e Croazia che avrebbe tenuto fino ai giorni nostri, con la solidarietà magiara a Zagabria dopo la dichiarazione d'indipendenza nella guerra dei Balcani.
Si plasmò un'ibridazione tra Italia nord-orientale, Mitteleuropa e Balcani che avrebbe poi fatto la fortuna di centri come Trieste, sulla scia della contaminazione culturale e del tratto distintivo della cultura marinara, che gli Asburgo dopo il 1797 padroni della regione seppero e vollero incentivare. Al tempo stesso, per molti secoli si fissò il limite della penetrazione ottomana e dunque dell'Islam in Europa centro-meridionale a seguito della definizione dei confini tra mondo centroeuropeo e Serenissima alla vigilia della calata turca sull'Europa.
Insomma, le guerre veneto-croato-ungheresi rappresentano una fase dimenticata ma decisiva di una componente non secondaria di storia europea. Hanno plasmato più di ogni altro conflitto l'identità marittima veneta. Hanno mostrato la complessità di un'Europa in cui ogni terra è stata a lungo oggetto di ambizioni divergenti. E, cosa più importante, hanno messo in campo la tendenza di popoli diversi a cercare le vie del mare, dell'esplorazione, del commercio. Favorendo in prospettiva quei contatti proficui che nascono non solo dall'incontro ma anche dallo scontro tra Stati e collettività. Dunque definendo la storia dell'Adriatico come uno dei mari più contesi nel quadrante, già denso di complesse dinamiche, del Mediterraneo.
Assedio e caduta di Costantinopoli: così morì l'Impero. Il 29 maggio 1453 cadeva Costantinopoli. Segnando il passaggio fondamentale tra l'era bizantina e quella ottomana. Andrea Muratore l'1 Giugno 2023 Su Il Giornale.
Il 29 maggio 1453 i soldati dell'Impero Ottomano guidati dal Sultano Mehmet II entravano a Costantinopoli. La conquista turca della "Regina delle Città" poneva fine alla storia dell'impero nato dalla divisione dei domini di Roma nel 395 e ultimo erede della Res Publica. La seconda e definitiva caduta della città dopo quella ad opera di Venezia e degli esponenti della Quarta Crociata nel 1204 aprì alla denominazione della città nel nome attuale di Istanbul e allo spostamento della capitale ottomana sulle sponde del Bosforo. Finiva l'epopea dell'Impero bizantino, o meglio dei Romanoi (mai i greci di Costantinopoli si chiamarono infatti bizantini esplicitamente), e iniziava quella del Kayser-i Rum. "L'Impero di Roma", come i turchi chiamarono informalmente il loro Stato per porsi in continuità con l'antichità dei Cesari e di Costantinopoli.
Mehmet II divenne "Fatih", il conquistatore. La sua vittoria coincise con l'onorevole, tragica morte di Costantino XI, vero ultimo dei romani, ultimo Imperatore bizantino, che cadde proprio in quel giorno fatale per la modernità. La fine di quello che era solo un pallido, triste e fragile erede dello Stato che aveva dominato i Balcani e il Mediterraneo orientale fu percepita in Occidente come un vero e proprio terremoto geopolitico e uno spartiacque storico.
Costantino XI morì combattendo coraggiosamente dopo aver rifiutato la resa, Mehmet vinse e fu clemente nel ridurre il tempo dato a disposizione ai suoi soldati per saccheggiare la città espugnata, sua futura capitale. La battaglia sulle mura giustinianee fu violenta e si protrasse per 53 giorni, dal 6 aprile al 29 maggio. Con un rapporto di forze di otto a uno, gli Ottomani predisposero l'assedio per prendere per sfinimento la città, ma per lunghe settimane la battaglia fu animatissima.
Desideroso di risolvere definitivamente la grana di Costantinopoli, Mehmet aveva arruolato i giannizzeri migliori delle terre cristiane dei Balcani e le truppe più fresche provenienti dall'Anatolia e dalle tribù turche fedeli agli ottomani. Aveva portato con sé i migliori artigiani, primo fra tutti il rinnegato ungherese Orban, celebre forgiatore di cannoni. Uno dei tanti uomini eternati alla memoria della storia come protagonista militare di quelle settimane di fuoco. Assieme a loro, quello che assieme a Mehmet e Costantino XI è il vero terzo grande di questa battaglia: Giovanni Giustiniani Longo, che 35enne si era arruolato con un corpo di volontari genovesi che la Repubblica della città ligure aveva scelto di inviare in soccorso agli storici rivali per difendersi dall'assedio. 2-3mila "latini", come erano chiamati a Costantinopoli, principalmente italiani prestarono servizio assieme a 7mila bizantini, e Giustiniani fu il loro comandante.
Il combattente ligure sedeva vicino a Costantino XI alla vigilia della caduta della città, il 28 maggio, quando a Costantinopoli la cattedrale di Santa Sofia vide celebrata l'ultima messa solenne della sua storia alla presenza del patriarca Isidoro e di pressoché l'intera popolazione. Giustiniani continuò a presidiare quella Porta di San Romano che i suoi uomini avevano reso una fortezza inespugnabile per settimane anche il giorno successivo, quando le cannonate ottomane aprirono la strada all'invasione massiccia della città. Ferito gravemente ed evacuato mentre i turchi imperversavano in città, spirò a Chio due giorni dopo, tra il 31 maggio e l'1 giugno. Tanto ammirato dai difensori della città assediata, ricevette l'onore delle armi dallo stesso Mehmet che concesse una messa a suo nome in ricordo dell'avversario.
L'assedio aveva mostrato l'ascesa di veri e propri prodigi militari. Dalla passerella costruita da Mehmet per far doppiare alle navi ottomane, fatte navigare a spinte e traini sulla terraferma, la catena del Corno d'Oro agli enormi cannoni di Orban, nessuna fu davvero decisiva per piegare la città. I bizantini e i latini di Giustiniano contrattaccavano, compivano razzie, incendiavano barche e accampamenti. Costantinopoli fu travolta per inerzia e slancio, per il logorio della storia. Cedette perché il tempo giocava a favore degli ottomani. Fu una vittoria con poco eroismo da parte degli attaccanti e molto sul fronte della difesa. L'antistorica volontà di difesa di Costantinopoli contro ogni mezzo, ogni prospettiva e ogni realistica possibilità di successo eternò le figure di Costantino XI come imperatore chiamato a rispondere al ruolo a cui la storia l'aveva chiamato e di Giustiniani come guerriero nobile, la cui patria coincideva con il suo ideale. In questo caso, la difesa della cristianità e del vincolo di amicizia che lo univa al sovrano di Costantinopoli.
Ma anche Mehmet II emerse, poco più che 21enne, come grande sovrano. Forgiò un impero facendo della più ambita preda di guerra la sua capitale. Capì il ruolo storico del passaggio di mano di Costantinopoli. Segnò con dei versi persiani che chiamavano alla fine degli antichi regni turanici sulle Vie della Seta il suo ingresso nel Palazzo Imperiale che fu di Costantino, a testimonianza della caducità di potentati e sovrani di fronte ai flussi della storia: "Il ragno monta la guardia nei portici della cupola di Khusraw. La civetta suona il silenzio nel Palazzo di Afrasiyab [Samarcanda, ndr]. Così va il mondo, destinato ad aver fine". Il 29 maggio 1453 segnò una di queste fini. La fine di un'epopea iniziata nel 395 con la spartizione dei domini di Roma. O forse addirittura prima, il 753 a.C. sulle sponde del Tevere. Ma da un impero decaduto ne nacque un altro, che sarebbe durato fino alla Grande Guerra. Ponendo Costantinopoli, divenuta Istanbul, al centro di una nuova, grande storia. Della quale l'assedio ottomano fu un picco, forse il più alto, drammatico e simbolico. Ma in fin dei conti una componente. Ancora oggi fondamentale.
Tanto che il primo atto simbolico di Mehmet II fu quello di riconsacrare Hagia Sofia, il tempio della divina sapienza, a moschea. E che sulle sue tracce si è mosso, pochi anni fa, nientemeno che Recep Tayyip Erdogan, che ha annullato la decisione di Ataturk di farne un museo. Re-ottomanizzare per ricordare alla Turchia che in passato fu impero, in forma islamica e mediterranea, prendendo possesso della più simbolica delle eredità del predecessore dell'Impero ottomano. A suo modo mai morto nonostante la fine dei domini dei Romaioi.
“Io confesso...”: un documento inedito riscrive la storia della Congiura dei Pazzi. Trovato nell’Archivio di Stato di Firenze il documento autografo originale con cui Antonio Maffei da Volterra racconta l’agguato a Lorenzo de’ Medici: sarà esposto il 3 maggio. Il Dubbio il 24 aprile 2023
“Io Antonio Maffei di mio pugno confesso...”: è stato scoperto il documento autografo con la confessione scritta dal curiale di Volterra che era stato incaricato all'ultimo momento di uccidere Lorenzo Il Magnifico nella Congiura dei Pazzi il 26 aprile 1478 durante la messa della domenica successiva alla Pasqua a cui tutta Firenze assistette in Santa Maria del Fiore.
Il manoscritto, che arricchisce il quadro del complotto ordito per rovesciare il regime dei Medici, è stato ritrovato all'Archivio di Stato di Firenze dal professor Marcello Simonetta, membro del Medici Archive Project e docente di storia nella sede fiorentina della New York University. Il documento inedito con la confessione di Antonio Maffei da Volterra, il sicario scelto per assassinare Lorenzo de' Medici, sarà esposto all'Archivio di Stato di Firenze mercoledì 3 maggio, dove alle ore 11.30 sarà presentato dallo stesso Simonetta.
La confessione seguì all'arresto di Maffei, avvenuto il 3 maggio 1478 presso la Badia Fiorentina, dove il volterrano si era rifugiato dopo aver fallito nel tentativo di pugnalare Lorenzo. Maffei ricostruisce dinamiche e antefatti della congiura, svelando le circostanze del suo coinvolgimento, l'incontro a Firenze con i Pazzi, le sue perplessità sulla conduzione caotica dell'impresa e, quindi, il piano per il suo concretizzarsi e la lista delle forze militari messe in campo.
Il resto è noto. L'attentato ebbe luogo nel Duomo fiorentino il 26 aprile del 1478: durante la messa dell'ultima domenica di Pasqua, Giuliano fu pugnalato a morte da Francesco de' Pazzi; Lorenzo invece, ferito leggermente da Maffei, sopravvisse e ordinò una spietata repressione della congiura. Datosi alla fuga, Maffei trovò rifugio presso la Badia fFiorentina, dove fu arrestato il 3 maggio (il giorno in cui Niccolò Machiavelli compiva il suo nono compleanno). Contrariamente a quanto ritenuto fino a oggi, però, non fu subito giustiziato, ma fu sottoposto a un duro interrogatorio e costretto a redigere la confessione che oggi Simonetta ha riportato alla luce dopo oltre cinque secoli.
Nella confessione, Antonio Maffei da Volterra 'assolve' il giovane cardinale Raffaele Riario, appena diciassettenne, che ignaro - così dice il congiurato - stava celebrando la messa, eppure vicino alle famiglie anti Medici; e indica chiaramente i mandanti politici della congiura: Papa Sisto IV (Francesco della Rovere), il Re di Napoli Ferdinando Ferrante d'Aragona e il Duca di Montefeltro che aveva giurato guerra ai Medici ma le cui truppe non sono mai riuscite ad arrivare a Firenze: tutti e tre vedevano nel governo di Lorenzo Il Magnifico un grosso ostacolo per i loro affari.
Il manoscritto di una pagina e mezzo mette la parola fine alla disputa fra ciò che aveva raccontato Angelo Poliziano e quello che sosteneva Niccolò Machiavelli. Il poeta, in prima fila durante la cerimonia, nel suo "Pactianes Coniurationis Commentarium" aveva parlato di Maffei ucciso post confessione, senza avere però la prova della stessa, un "sentito dire"; mentre lo storico, ancora bambino ma che provò sulla propria pelle quelli che ha poi definito "sanguinosi tumulti di strada", nelle sue "Istorie Fiorentine" sposava la tesi che il congiurato fosse stato linciato dalla folla.
Il manoscritto studiato da Marcello Simonetta mette ogni tassello al proprio posto e corregge anche la data in cui era stata identificata la morte di Maffei: non più il 3 maggio che è riscritta come quella dell'arresto alla Badia Fiorentina vicina a Palazzo Pazzi dove si era rifugiato, ma almeno dieci giorni dopo, quanto è durato il processo al quale è stato sottoposto dai magistrati. Un processo nel quale è stato allo stesso tempo interrogato e torturato e, prima di essere impiccato, gli sono stati tagliati naso e orecchie. La stessa sorte è toccata all'altro congiurato anch'esso curiale, Stefano da Bagnone.
Una particolarità della carta ritrovata sono i due incipit della confessione. Il cambiamento è dovuto - spiega Simonetta - al fatto che Maffei non avrebbe cominciato il racconto dei fatti nella forma giuridica giusta; così ha girato il foglio e riformulato quella ricostruzione del 26 aprile che l'ha portato alla morte. Maffei covava da cinque anni il suo risentimento verso Lorenzo de' Medici, che con una missione militare aveva saccheggiato Volterra che aveva osato ribellarsi a Firenze. Ma non era stato la prima scelta per affondare i colpi sul Magnifico. Il sicario avrebbe dovuto essere Giovanni Battista di Montesecco, che all'ultimo momento per questioni politiche si tirò indietro fornendo però alla congiura i suoi due più fidi fanti; ciò non impedì che venisse poi ucciso il 4 maggio durante le retate di massa.
Nella congiura, che avrebbe dovuto svolgersi qualche tempo prima con un invito trappola ai Medici presso la Badia Fiesolana, morì il fratello di Lorenzo, Giuliano, che a causa di un'ernia inguinale non poté essere presente alla prima circostanza quando i Pazzi decisero di 'salvare' Lorenzo per poterlo giustiziare con il congiunto; che era invece in Santa Maria del Fiore, non ancora rimesso del tutto, zoppicante, e per questo facilmente raggiunto e ucciso con 19 compulsive coltellate - una anche sul proprio piede - da Francesco de' Pazzi assistito da Francesco Salviati. Maffei invece si buttò su Lorenzo.
Il professore Simonetta spiega anche che la decisione fu presa in fretta e furia da Jacopo de' Pazzi che vide nell'occasione della messa domenicale la più ghiotta pensando che il popolo plaudisse alla morte dei Medici, cosa che invece non accadde. Tutt'altro. Il curiale volterrano fece l'errore di fare precedere il proprio gesto dal grido "Ah, traditore" udito il quale Lorenzo si girò riuscendo a evitare una coltellata alla carotide, finita invece sulla spalla. Il resto lo fece il sacrificio di Franceschino Nori che si beccò i colpi indirizzati al suo amico che fece in tempo a rifugiarsi nella Sacrestia Vecchia.
L'ultimo "lampo" di Napoleone. Storia di Andrea Muratore il 29 Marzo 2023 su Il Giornale.
Il 30 marzo 1814 le forze della coalizione avversa a Napoleone Bonaparte, reduci dalla vittoria di Lipsia l'anno precedente, entrarono a Parigi accelerando la fine dell'epopea del Corso. L'impero proclamato solennemente il 2 dicembre 1804 e plasmato col sangue e il sacrificio di centinaia di migliaia di uomini, ma anche con ideali di libertà e emancipazione portati in tutta Europa, collassò in pochi giorni e si avviò, dopo il Trattato di Fontaineblau, verso un precipitoso declino. A cui avrebbe fatto seguito, come ultima coda, la fugace parabola dei Cento Giorni del 1815 conclusasi a Waterloo.
La rapida dissipazione del potere napoleonico seguito a quell'evento e la vittoria di forze soverchianti contro una Francia che aveva subito i contraccolpi della sciagurata invasione della Russia del 1812 cancellarono nella memoria storica quella che fu, paradossalmente, la più vittoriosa delle campagne di Napoleone, almeno sul fronte dei risultati ottenuti fatto salvo il rapporto di forze con i nemici. La campagna del Nord-Est della Francia del 1814 fu paragonabile alle grandi epopee rivoluzionarie di resistenza alle monarchie europee ai tempi di Valmy, valorizzò il fiuto strategico di Napoleone e lo condusse di vittoria in vittoria.
Ma Bonaparte dimenticò i precetti di Sun Tzu sul fatto che il grande stratega è colui che, in fin dei conti, vince senza scendere in battaglia. E così per il novero soverchiante delle forze e l'assedio su più lati, alla fine una serie di vittorie tattiche non evitarono una sconfitta strategica. Napoleone, comprese le furerie e i reparti logistici, poteva contare su 80mila uomini. Al suo fianco alcuni dei più bei nomi dell'epopea militare del decennio precedente: Michel Ney, figura di tragica grandezza; Louis Alexandre Berhier, vincitore di Wagram e capo di Stato Maggiore dal 1812; Nicolas Oudinot, veterano di Austerlitz. Contro, le forze di Russia, Austria, Prussia, Svezia e diversi alleati minori, dalla Sassonia ai Paesi Bassi, per un totale di circa 350-400mila soldati schierati su tre colonne. L'austriaco Karl Philipp Schwarzenberg, con metà delle forze, avanzava da Sud, mentre da Est e da Nord avanzavano prussiani, russi e svedesi guidati da Carlo Giovanni di Svezia, già maresciallo dell'Impero come Jean-Baptiste Bernadotte, e dai marescialli prussiani Gebhard von Blucher e Friedrich Wilhelm von Bülow. Al seguito, anche lo zar Alessandro I di Russia, desideroso della vittoria definitiva dopo la cacciata del Corso dal suo Paese.
Napoleone, contro queste armate convergenti, si mosse come fulmine di guerra per ritardare l'inevitabile. Le truppe della Vecchia Guardia, i coscritti delle leve 1814 e 1815 chiamati in anticipo e le poche truppe straniere fedeli all'Impero combatterono, dopo il passaggio nemico del Reno, nelle terre che un secolo dopo sarebbero state teatro della Grande Guerra. Le valli della Mosella e della Marna, ben conosciute dai veterani francesi, furono teatro della battaglia di retroguardia di Napoleone. Alla testa delle sue truppe, forse cercando un'eroica morte sul campo in patria, Napoleone colpì il 28 gennaio i prussiani a Brienne, fu costretto dal gelo a concedere l'occupazione di Troyes, travolse i russi a Champaubert il 10 febbraio, un contingente russo-prussiano guidato dai generali Osten-Sacken e Yorck a Montmirail il giorno successivo e cercò di anticipare, una settimana dopo, il ricongiungimento con la colossale colonna austriaca guidata da Schwarzenberg.
Quest'ultimo affrontò Napoleone a Mormant, tra la Senna e la Marna, il 17 febbraio 1814. Napoleone schierò l'intera Vecchia Guardia contro i corpi d'armata dell'Impero Austriaco. Il muro di fuoco dei fucilieri francesi infranse le cariche nemiche, i cannoni in fuoco incrociato fecero strage delle truppe di Vienna e 3mila austriaci restarono sul campo. Napoleone aveva nella sua difesa in profondità fermato un altro assalto. Tutte queste battaglie erano però accomunate da un dato di fatto: il Corso doveva gettarsi muovendo a marce forzate le sue truppe sempre più stanche contro singole unità o corpi separati delle forze nemiche, evitando con disperazione che esse unissero le loro forze. Ma la tecnica poteva essere solo dilatatoria.
A Monterau, il giorno dopo Mormant, gli austriaci furono di nuovo respinti e Napoleone colpì, il 21 febbraio a Mery-sur-Seine. Sei vittorie in un mese avrebbero inchiodato qualsiasi invasore, ma non quello preponderante numericamente della Sesta Coalizione, ben rifornito via mare dal Regno Unito e con una solida retrovia. Oltre che - ovviamente - in controllo del fattore più importante: il tempo. Napoleone non poteva essere ovunque, le città francesi cadevano comunque per mano delle colonne rimaste indisturbate dai rapidi movimenti di fronte. Mentre Bonaparte conduceva con sé il grosso delle sue armate, le giovani reclute di guarnigione indietreggiavano non ingaggiando i nemici. Così cadde una delle principali città di Francia, Reims, che Napoleone riconquistò il 13 marzo. A Bonaparte erano però rimasti meno di 40mila uomini. Quattro giorni prima, a Laon, per la prima volta i francesi erano stati colpiti da un'armata unita, prussiana in questo caso, in netta superiorità numerica. 85mila prussiani respinsero ogni tentativo nemico di incunearsi nel loro fronte. Del resto, combattevano contro soli 35mila francesi: Napoleone si ritirò combattendo, riconquistando come detto Reims, ma il tempo giocava a suo sfavore.
Mancato il successo definitivo, ovvero il flop politico della coalizione, la più rapida e vittoriosa delle guerre di Bonaparte ebbe il canto del cigno ad Arcis-sur-Aube, vicina Parigi, tra il 20 e il 21 marzo, quando Oudinot dovette ritirarsi di fronte a Schwarzenberg. Napoleone tentò l'ultima difesa ordinando alla cavalleria di disturbare le linee logistiche degli alleati, che però piuttosto che disperdere le sue truppe, ridotte a 25-30mila, scelsero di conquistare il gioiello più prezioso: Parigi. La capitale dell'Impero era ritenuta strategicamente non decisiva. Ma l'ingresso di russi e prussiani fu uno choc per tutti i residui fedeli di Napoleone.
Il 30 marzo ci fu l'entrata in forze. Il 31 marzo i pochi combattimenti cessarono. Il 6 aprile Napoleone era caduto: firmò il Trattato di Fontaineblau, accettando il temporaneo esilio all'Elba prima del colpo di coda dei Cento Giorni. I principi Metternich e Nesselrode per Austria e Russia confezionarono una pace onorevole, che però non nascondeva la realtà dei fatti: Napoleone era sconfitto dopo una sequela inevitabile di vittorie. A testimonianza del trionfo degli obiettivi politici su quelli militari in un Impero francese ormai al tramonto.
Il 1799 e le 4 Giornate I veri eroi napoletani. Storia di Aldo Cazzullo su Il Correre della Sera il 9 maggio 2023.
Caro Aldo, voglio difendere il Sud non con ritornelli, bensì con i fatti, come appunto la conquista manu militari di un grande Regno del Sud da parte di uno staterello indebitato del Nord retto da una dinastia che, nei tempi a noi più vicini, ha dato ampia prova della sua inettitudine. Fatti, indagati dagli storici accademici ma sui quali ci sarebbe ancora molto da discutere. Sono lontano discendente di un ministro degli Interni del Regno di Ferdinando II di Borbone (Nicola Intonti), non sono un neoborbonico ma della storia del Regno di Napoli conosco forse qualcosa più di lei. Pasquale Intonti Putignano (Bari)
Caro Pasquale, Con tutto il rispetto per il suo avo, non sarebbe male ricordare anche la memoria di Domenico Cirillo, scienziato e illuminista. Davanti al tribunale che lo condannerà alla forca, si presentò come «medico e, al tempo della Repubblica, ministro della Sanità». Lo sbirro del Borbone, per umiliarlo, gli chiese: «E in faccia a me, chi sei?». Lui rispose: «In faccia a te, io sono un eroe». Così almeno racconta Vincenzo Cuoco. Storici moderni danno una versione diversa; ma del resto quasi tutte le frasi celebri della storia non sono in realtà mai state pronunciate, o almeno non come sono state riportate. Di sicuro, però, la Repubblica napoletana del 1799 fu il primo Stato europeo a iniziare una campagna di vaccinazione contro il vaiolo a carico dell’erario. Non è inutile ricordare che l’oro dei Borbone esisteva, certo; ma era patrimonio privato del re, un re assoluto, non costituzionale, che poteva dire con il Re Sole «lo Stato sono io». Così come la Napoli-Portici serviva alla corte per andare dalla reggia di Napoli a quella di Portici. Il lodatissimo bidet lo usava il re, che però per il popolo non faceva costruire neppure le fogne. E i cannoni erano rivolti contro la città, non contro il mare; il vero nemico era all’interno. Del resto, come avrebbero fatto mille straccioni ad abbattere una grande potenza? Ricevo molte lettere dal Sud di lettori di eccellente formazione culturale, in cui viene evocato un fiabesco Regno borbonico caratterizzato da prosperità, buon governo, libertà e felicità per i suoi sudditi. Storici scrupolosi, anche loro di origini meridionali, come Carmine Pinto o Pino Ippolito Armino, hanno riportato la questione alla realtà. È giusto cercare nella storia del Mezzogiorno fatti cui guardare con legittimo orgoglio. Ma sono meglio i sanfedisti e i briganti o i patrioti che nel 1799 seppero affrontare il patibolo? Tra loro vi erano alcune delle più brillanti intelligenze italiane, come il giurista Mario Pagano, e grandi donne, come Eleonora de Fonseca Pimentel. Ma per i neoborbonici sono soltanto collaborazionisti dei francesi. Un altro esempio? Il 29 settembre del 1943, in un città prostrata e ridotta alla fame, antifascisti e ufficiali dell’esercito si mettono a capo di gruppi di popolani male armati e attaccano con coraggio i tedeschi. Malgrado l’evidente sproporzione di mezzi, combatte tutta la città, compresi i ragazzini che cadono mentre assaltano i panzer con le bottiglie molotov. Pochi ricordano che Napoli è la prima città europea ad insorgere contro i nazisti.
In una modesta casa del Quai Lunel, poi Quai Cassini in Nizza Marittima, allora sotto il dominio napoleonico, nasce da Domenico Garibaldi, esperto marinaio e negoziante, e da Rosa Raimondi il piccolo Joseph Marie, così battezzato il 19 luglio, nella chiesa parrocchiale di San Martino. Il padre vorrebbe che il figlio, cresciuto, divenisse avvocato o medico, ma il giovane a quindici anni sceglie la vita del marinaio e si imbarca come mozzo su una nave diretta a Odessa. Si tratta solo dell’inizio delle avventure di Giuseppe Garibaldi, grande condottiero, trascinatore di folle, figura centrale della democrazia europea ottocentesca, sintesi non solo italiana dei valori di libertà e nazionalità.
Facebook. Da Simboli e curiosità del mondo: PERCHÉ SAN MARINO NON FU UNIFICATO AL RESTO D’ITALIA?
All’interno della penisola italiana si trovano attualmente quattro stati indipendenti: l’Italia, la Città del Vaticano, il Principato di Monaco e San Marino. Quest’ultimo tra l’altro è la Repubblica più antica del mondo e vanta il più lungo periodo democratico dell’intero globo. La sua nascita si fa risalire al 301 d.C ed è una peculiarità a cui tengono molto gli abitanti del piccolo stato ai piedi del Monte Titano.
Una domanda che però ci si pone spesso è perché durante il processo di unificazione dell’Italia non sia stata inglobata anche la piccola repubblica arroccata fra le attuali Emilia-Romagna e Marche? Con la Restaurazione (1815), dopo il ciclone Napoleone, l’Italia era composta da 12 stati indipendenti. Fra tutti questi staterelli, l’unica repubblica era proprio San Marino. Tutti gli altri stati erano monarchie assolute o principati e solo nei decenni successivi di inizi ‘800, dopo vari moti insurrezionali, questi regimi assolutistici si “addolcirono” un po'.
Cosa permise alla piccola repubblica di rimanere indipendente durante l’epopea del Risorgimento? Ricordiamo che dal 1860 al 1870 di quei 12 stati ne rimasero solo 4 e il Regno d’Italia ne inglobò ben 8. Tutti conosciamo la spedizione dei mille guidata da Garibaldi che pose fine al regno dei Borbone a Sud, così come i plebisciti del centro Italia e la discesa dei piemontesi verso lo Stato della Chiesa che fecero sì che nel 1861 nacque il Regno d’Italia.
Prima di questa unificazione i tentativi di rivoluzione per avere più diritti e un paese unitario si registrarono in tutta Italia e spesso i fautori venivano giustiziati e perseguitati. Lo spirito che guidava i vari Mazzini e Garibaldi era di una Italia unita, ma soprattutto repubblicana.
Come dicevamo i tentativi di moti repubblicani furono molti prima del 1861. Uno su tutti fu la Repubblica di Roma del 1849 guidata tra gli altri da Garibaldi e Mazzini. Un esperimento soffocato nel sangue dall’esercito dello Stato della Chiesa con il supporto di Austria e Francia che schiacciarono la neonata Repubblica capitolina. Così Garibaldi fu costretto alla fuga verso Venezia che anch’essa stava sperimentando una Repubblica ribelle. Ed è qui che entra in gioco San Marino.
Nell’agosto del 1849, Garibaldi, ormai accerchiato dagli eserciti stranieri, era pronto a capitolare. Gli era rimasta però un'ultima carta da giocare per salvare la pelle. Transitare in uno stato straniero con un esercito di ribelli. Infatti, la sorte volle che i ribelli si trovassero proprio in prossimità della piccolo stato sammarinese. Non era però scontato il supporto viste le tensioni internazionali e anche perchè l’Austria aveva minacciato chi avesse aiutato Garibaldi. San Marino però per sua vocazione repubblicana più volte aveva già accolto rifugiati politici provenienti da tutta Italia pur mantenendo lo stato di neutralità. Così dopo un po’ di discussione San Marino diede parere positivo al transito dei garibaldini.
Così in quell'agosto del 1849, grazie al supporto della piccola repubblica, Garibaldi riuscì a fuggire tramite il Monte Titano e mettersi in salvo dall’esercito austriaco che voleva la testa dell’eroe dei due mondi. Questa cosa Garibaldi non la dimenticò mai e non perse occasione per elogiare la Repubblica più antica del mondo. Gli stessi sammarinesi gli diedero anche la cittadinanza onoraria. Fu proprio anche grazie a questi fatti, alla lunga storia repubblicana e alla neutralità (almeno sula carta) che a nessuno venne in mente di invadere il Monte Titano e così la piccola repubblica rimase indipendente durante tutta l’epopea del Risorgimento.
Oggi nel centro di San Marino si trovano tante targhe in memoria del passaggio di Garibaldi. Su una campeggia la frase detta dall’eroe risorgimentale all’indomani dell’unità d’Italia riferendosi al piccolo stato: “Vado superbo di essere cittadino di cotanto virtuosa repubblica”.
Le chitarre di Mazzini e i suoi gusti musicali. Giuseppe Mazzini è stato uno dei personaggi politici della storia d'Italia e del Risorgimento maggiormente attenti alla musica. Mattia Rossi l'1 Settembre 2023 su Il Giornale.
Giuseppe Mazzini è stato uno dei personaggi politici della storia d'Italia e del Risorgimento maggiormente attenti alla musica. Chitarrista provetto, nel 1836 pubblicò a Parigi nientemeno che Filosofia della musica, un breve trattato in cui la musica, «sola favella comune a tutte le nazioni, unica che trasmetta esplicito un presentimento d'umanità», viene elevata a fondamento dell'educazione civile, morale e patriottica. Essendo anche musicista, conosceva profondamente il linguaggio musicale e nel suo scritto sostiene che «la musica è nata in Italia, nel XVI secolo con Palestrina» quale compimento della monodia antica: la melodia «rappresenta l'individualità», l'armonia «il pensiero sociale» e dunque «nell'accordo perfetto di questi due termini fondamentali d'ogni musica sta il segreto dell'Arte, il concetto della musica europea davvero che noi tutti, consci o inconsci, invochiamo».
Adriano Lualdi, nella sua introduzione di un'edizione del 1943 di Filosofia della musica, rivelò anche che Mazzini «era attentissimo a tutto ciò che di nuovo usciva nel mondo musicale». In effetti, ciò è confermato nelle lettere alla madre, Maria Drago, dove spesso il teorico della Giovine Italia non manca di richiedere corde per le sue chitarre e, non di rado, spartiti. Sono lettere che denotano una non scontata conoscenza del repertorio, come in questo passo del maggio 1835: «Quando mi inviate qualche cosa, inviate pure qualche poca musica che deve rimanervi - mi distrarrebbe - intendo sempre di autori: Giuliani, Legnani, Moretti, etc. - Carulli no, per amor di Dio».
Ora, grazie a un originale disco appena pubblicato da Tactus, Musica dalle lettere di Mazzini suonata sulle sue chitarre, è possibile riascoltare quella letteratura citata nelle lettere mazziniane: Niccolò Paganini, Luigi Moretti, Mauro Giuliani, Giulio Regondi, Caspar Joseph Mertz, Luigi Rinaldo Legnani. L'unicità del cd di Marco Battaglia è garantita dal fatto che i brani sono stati incisi, per la prima volta in un'unica registrazione, proprio sulle tre chitarre appartenute a Mazzini.
Padova, il liceo "Tito Livio" censura il nipote di Cadorna (e noi gli diamo parola). Andrea Cionci il 18 Marzo 2023 su Libero Quotidiano
Andrea Cionci. Storico dell'arte, giornalista e scrittore, si occupa di storia, archeologia e religione. Cultore di opera lirica, ideatore del metodo “Mimerito” sperimentato dal Miur e promotore del progetto di risonanza internazionale “Plinio”, è stato reporter dall'Afghanistan e dall'Himalaya. Ha appena pubblicato il romanzo "Eugénie" (Bibliotheka). Ricercatore del bello, del sano e del vero – per quanto scomodi - vive una relazione complicata con l'Italia che ama alla follia sebbene, non di rado, gli spezzi il cuore
Tornano alla grande tre estenuanti cliché nazionali: la rissa perpetua sull’antifascismo, la vulgata mistificatoria sul generale Cadorna e il solito “cuor di leone” dei dirigenti scolastici. Frullate tutto insieme e avrete l’episodio che, qualche giorno fa, ha visto protagonista il prestigioso liceo classico “Tito Livio” di Padova. Unica vittima, e illustre: la cultura.
Stando al sito, il liceo “mira a dare agli studenti una preparazione articolata e approfondita sul piano culturale”, così avevano invitato il colonnello Carlo Cadorna, nipote del nostro Comandante Supremo durante la Grande Guerra, a partecipare a un incontro autogestito dagli studenti per discutere di storia.
Il colonnello, tra i massimi esperti mondiali di equitazione, già presidente dell’Associazione d’Arma di Cavalleria, è da anni in prima linea per difendere la memoria di suo nonno Luigi, tra le figure più travisate e meno conosciute del ‘900.
Era un’occasione d’oro, quella in programma al Tito Livio: superare l’ideologica sbobba emozional-antimilitarista del duo Lussu-Rosi e del seguito di compiacenti storici di sinistra, stimolando i ragazzi a ragionare sui documenti dell’epoca che il colonnello Carlo – figlio del generale Raffaele Cadorna, comandante del Corpo Volontari della Libertà durante la Seconda Guerra mondiale - ha scrupolosamente riportato nella fortunata edizione del suo “libro "Caporetto? Risponde Cadorna", (Bastogi, 2020)”, già presentato al Senato.
Eppure, al primo baccagliare di qualche manifestazione tra gli “Antifascisti” e il “Blocco studentesco”, (nomi di organizzazioni giovanili di un anacronismo vecchiarino) il Consiglio dei Docenti ha cordialmente messo alla porta il colonnello “per evitare qualsiasi tipo di polemica”. Un’occasione persa per affermare il primato dello studio sul teppismo-bullismo.
A Padova, infatti, giorni fa, gli studenti avevano voluto imporre al “Tito Livio” l’adesione alla nota lettera-predicozzo antifascista della preside della scuola Leonardo da Vinci di Firenze; i ragazzi di destra si erano ribellati appendendo uno striscione con scritto “la scuola è libera”, ma avevano torto. La scuola non è libera: è – da sempre - ostaggio dei soliti noti che, per uno sbilenco sillogismo, siccome la Repubblica vieta la ricostituzione fisica del partito fascista, allora tutti devono ideologicamente proclamarsi antifascisti. In realtà la Costituzione, all’articolo 21, sancisce la libertà di pensiero e di espressione.
“Ma qui si sarebbe parlato di Grande guerra– sbotta il colonnello Cadorna – avevo concordato con la scuola di fare una chiacchierata sulla strategia, questa grande sconosciuta, in Italia”.
Abbiamo così deciso di dare voce al colonnello, in una breve intervista.
D. Colonnello, spesso Lei ha fatto causa a storici e giornalisti che hanno denigrato il Generalissimo…
R. “I limiti del diritto di critica storica sono la continenza - cioè l'utilizzo di termini non ingiuriosi - e il rispetto della verità documentata: uno dei querelati è stato condannato a un risarcimento di 10 mila euro.
D. Ma qual è la più grande incomprensione su Suo nonno?
R. “Sulla strategia, questa grande sconosciuta, almeno in Italia: la scienza che determina tutte le vittorie belliche. Cadorna è dovuto entrare in guerra per decisione politica con un esercito inesistente nella qualità e numericamente insufficiente per il fronte da difendere, troppo lungo e vantaggioso per gli austriaci che l'avevano oculatamente scelto nel 1866. I nostri Alleati, per alleggerire il fronte occidentale, ritenuto quello decisivo, ci assegnarono il compito di tenere impegnati - e logorare - gli austriaci da Sud. Cadorna sviluppò artiglierie, mitragliatrici ed aerei, fortificando la linea del Grappa e costruendo 2000 km di vie di comunicazione logistica. «Tolse» così dal fronte occidentale 16 divisioni tedesche”.
D. Entrata in guerra per ultima, con un ruolo laterale, l’Italia assestò, tuttavia, il colpo decisivo…
R. “Cadorna aveva sempre previsto ogni possibilità, compreso quello che successe a Caporetto, (per l’improvviso crollo della Russia), preparando e attuando la ritirata strategica sulla linea del Grappa, definita da Vittorio Emanuele Orlando «un miracolo». Grazie a questa linea abbiamo vinto perché eravamo finalmente in situazione di predominio di fuoco, logistico e di riserve, con un fronte ridotto di un terzo. Questo consentì a Diaz – che sostituì Cadorna dopo Caporetto - di migliorare le condizioni di vita dei soldati, anche perché il Governo, spaventatosi, finalmente aprì i cordoni della borsa. Gli austroungarici, penetrati troppo in profondità in territorio italiano, si arenarono sulla linea del Grappa, fino alla resa finale con Vittorio Veneto, il 4 novembre ‘18. La Germania del Kaiser si arrese una settimana dopo, temendo un’invasione italiana dalla Baviera. Così, la Grande guerra l’ha vinta la strategia di Cadorna (per tutta l’Intesa, facendola terminare un anno prima rispetto alle previsioni degli Alleati) tanto che Diaz non la cambiò di una virgola. Oggi viene ancora studiata nelle Scuole di Guerra americane”.
D. E la famosa questione delle fucilazioni?
R. “Un uso comune a tutti gli eserciti belligeranti, e pochi sanno che, proporzionalmente, furono in numero maggiore sotto Diaz. Il Comandante Supremo doveva consentire agli ufficiali di mantenere la disciplina ad ogni costo. Quindi, soltanto in presenza di gravissimi reati che prevedessero la pena di morte, nell'impossibilità di riunire un tribunale e, talora, di identificare i colpevoli per l'omertà del reparto, con i poteri derivanti dall'art. 251 del codice vigente, Cadorna autorizzò i Comandanti a procedere per fucilazioni sommarie. Esse furono in totale 300 (su 5 milioni di uomini in armi): cose "orribilmente disgustose e ripugnanti", come scrisse lo stesso Cadorna, ma purtroppo necessarie e che servirono a dare un esempio indispensabile per il mantenimento della disciplina contribuendo alla vittoria finale”.
Parole interessanti, che riguardano la nostra storia, eppure oscurate dagli inutili berci su fascismo-antifascismo.
Antonio Giangrande: I brogli del referendum della Repubblica.
Il senso della democrazia secondo i resistenti antifascisti:
Assoluta assenza della par conditio e il palese condizionamento dei media nel nord Italia. La campagna elettorale fu a senso unico, con la stampa del nord apertamente repubblicana, mentre i giornali al sud erano poco diffusi. Il solo a fare campagna elettorale per i monarchici era il Re Umberto, effettuata solo con la propria presenza. I manifesti per la monarchia affissi sulla pubblica via, quando non erano strappati, erano inutili dato l'alto tasso di analfabetismo.
L'intimidazione diffusa. Le voci fuori dal coro non erano tollerate ed erano sconsigliati i comizi di piazza opposti, mentre le piazze erano continuamente piene con innumerevoli eccelsi oratori di tutti i rispettivi partiti antimonarchici. Le ritorsioni contro i commercianti e gli imprenditori erano all'ordine del giorno.
La minaccia della guerra civile in caso di vittoria dei monarchici. Il fronte antimonarchico era già dilaniato nel suo interno, mentre era già martoriato tra fascisti ed antifascisti.
I brogli, o presunti tali, erano superflui in tale clima di condizionamento dove la vittoria era imperativa per i repubblicani. Il fatto che si parli di brogli, comunque, mina la fiducia nell'esito finale. Atto di nascita di una Repubblica già difettata.
L’Unità del 28 luglio 1971. Il diritto al picchettaggio: lotte operaie e polizia. Lo sciopero non può essere ridotto alla semplice possibilità di astenersi dal lavoro. Paolo Persichetti su L'Unità il 29 Giugno 2023
Il ciclo di lotte operaie iniziato nel 1969 non investì solo i distretti industriali del Nord, città fabbriche come Torino, Milano o Genova, ma ebbe un respiro nazionale investendo anche città come Roma cresciuta a dismisura nelle sue sterminate periferie sotto la spinta della migrazione interna.
Le tradizionali lotte dei lavoratori edili, che avevano segnato la sua vita politica e sociale negli anni del dopoguerra, cominciavano ad essere accompagnate dai movimenti di lotta per la casa, da crescenti occupazioni di immobili di proprietà dei grandi imprenditori edili che avevano messo al sacco l’agro romano e dai ceti operai delle aziende della zona sud-est della città. Nei giorni del natale 1971 un violento assalto della polizia aveva tentato di impedire l’apertura di un enorme tendone in piazza di Spagna, nel centro ricco della città, per chiedere solidarietà e aiuto economico alle famiglie dei lavoratori in lotta di aziende come la Coca Cola, le Camicerie Cagli, le Cartiere Tiburtine, la Pantanella, l’Aereostatica, il Lanificio Luciani, oltre alla Fatme, Voxson e Autovox.
Una realtà che l’urbanista Italo Insolera descriveva in questo modo nel suo Roma moderna: «Le tute degli operai sono comparse in città in lunghi e frequenti cortei che hanno portato nel paesaggio impiegatizio le parole “scioperò”, “occupazione”. Nomi di prodotti industriali – Fatme, Autovox – sono diventati nomi di problemi che la città ignorava. […] Nel 1968 nei vari baraccamenti e borghetti risultavano abitare 62.351 persone in 16.506 nuclei familiari. Dall’estate del ’69 i baraccati hanno occupato metodicamente palazzi in demolizione in vari quartieri della città e nuovi edifici ancora disabitati nella periferia, dando contemporaneamente fuoco alle baracche per sottolineare la volontà di rottura con il passato. Poi sono stati sloggiati dalla polizia – in genere all’alba, quando non solo dormono i baraccati, ma anche i cittadini “per bene”, i fotografi, i giornalisti, e i camion targati Ps, con sopra le povere masserizie, non rischiano di intralciare il traffico – e altre baracche sono sorte».
I presìdi davanti ai posti di lavoro per svolgere assemblee, rafforzare gli scioperi o mantenere alto lo stato di agitazione sono parte del repertorio d’azione storico della working class. Strumenti antichi di lotta operaia, democrazia in azione o forme di «contropotere» che hanno incontrato sempre la dura repressione delle forze di polizia schierata in difesa degli interessi padronali. Sul finire degli anni Sessanta i settori più progressivi di una magistratura sociologicamente rinnovata dai nuovi concorsi che avevano permesso l’ingresso di ceti sociali un tempo esclusi e per questo più sensibili alle idee di rinnovamento, rivolsero un’attenzione diversa ai conflitti del lavoro. Una giurisprudenza innovativa interpretò questi fermenti ancorandoli ad alcuni dettami costituzionali rimasti inattivi. Il divario tra costituzione materiale e costituzione formale tendeva così a restringersi, anzi in molte parti del Paese la prima sopravanzava di gran lunga la seconda.
Il clima mutò bruscamente alla fine degli anni 70 quando sotto la pressione dell’emergenza antiterrorismo gli strumenti della democrazia operaia persero legittimità e all’idea di sindacato conflittuale si sostituì il sindacato concertativo. La profonda ristrutturazione produttiva modificò i rapporti sociali e politici a cui seguì una giurisprudenza restaurativa ispirata al nuovo paradigma economico ultraliberale. La conseguenza fu una violenta criminalizzazione degli strumenti di lotta operaia. La vicenda dei 61 operai Fiat licenziati per ragioni politiche nell’ottobre 1979, 40 della Mirafiori, 13 di Rivalta e 8 della Lancia di Chivasso, accusati di «violenze fisiche e minacce», fece da battistrada.
Una situazione analoga si ripresenta oggi nel comparto della logistica, uno dei settori strategici del capitalismo attuale dove vigono forme di lavoro neoschiavile: sfruttamento intensivo della forza lavoro, in prevalenza straniera, unitamente a condizioni contrattuali precarie, un uso sistematico degli straordinari con orari che toccano le 12-13 ore senza periodi di riposo, la presenza di intimidazioni, minacce, abusi verso i lavoratori, violazioni delle norme in materia di sicurezza e igiene. Una giungla dove l’organizzazione del lavoro è costituita da pseudocooperative sottoposte al dominio degli algoritmi dei grandi hub dell’ecommerce, appalti e subappalti, forme di caporalato, interinali, mancanza di diritti sindacali, bassi salari. Per tentare di porre freno a questa situazione di oppressione e sfruttamento alcune sigle del sindacalismo di base hanno organizzato i lavoratori innescando cicli di lotte molto conflittuali per migliorare le loro condizioni di vita e tutelare i loro diritti politici e sindacali.
Una fortissima repressione antisindacale si è abbattuta su di loro. Nel 2013, Adil Belakhdim, un delegato sindacale del SiCobas, è stato travolto da un camion nel corso di un presidio davanti ai cancelli del centro di distribuzione della Lidl a Biandrate, in provincia di Novara. Nel luglio del 2021, la procura di Piacenza ha fatto arrestare sei sindacalisti dell’Usb e del SiCobas: tra i capi di imputazione c’erano «le attività di picchettaggio illegale all’esterno degli stabilimenti». Secondo la procura le forme di lotta sindacale impiegate nel corso delle vertenze altro non erano che strumenti di «coercizione e ricatto», le rivendicazioni una mera «attività estorsiva» e l’organizzazione sindacale una «associazione per delinquere».
L’iniziativa anche se poi ridimensionata dal tribunale segnala la forte regressione della giurisprudenza sul lavoro sul tema degli scioperi, ormai nella stragrande maggioranza dei casi i picchetti vengono considerati forme di violenza privata. Addirittura in una recente sentenza un giudice ha ritenuto che anche nel settore privato lo sciopero debba essere preannunciato a questura e controparte.
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Questo articolo di Fausto Tarsitano è apparso sull’Unità del 28 luglio 1971
Contro le lotte ingaggiate dai lavoratori romani per la difesa del posto di lavoro e la conquista di più umane condizioni di vita vi è stato in queste ultime settimane un massiccio e brutale intervento di ingenti forze di polizia e di carabinieri. L’ondata di violenze s’è dapprima abbattuta contro i picchetti costituiti dagli operai davanti agli ingressi della filiale della Fiat di Viale Manzoni, ha poi investito i picchetti delle commesse dei grandi magazzini davanti alle sedi di Standa e di Upim e non ha risparmiato quelli degli alberghieri.
L’aggressione ed il pestaggio sono stati ripetuti contro una pacifica manifestazione degli operai della Pantanella che si stava svolgendo davanti al Parlamento ed in altre città italiane. Tutti questi episodi ed altri consimili stanno ad indicare che è in atto nel paese un grave attacco al diritto di riunione e di sciopero che si manifesta anche attraverso la aggressione poliziesca ai picchetti operai, come se essi non fossero consentiti e protetti dal nostro ordinamento giuridico. La migliore giurisprudenza ha già da tempo riconosciuto che il diritto di sciopero non può essere ridotto alla semplice possibilità di astenersi dal lavoro. Quel diritto, perché non rimanga svuotato del tutto nella sua essenza di arma sindacale, deve accompagnarli alla facoltà di coordinare una somma di comportamenti omogenei per fare acquisire allo sciopero stesso quella efficacia e quella capacità di pressione che ne costituiscono l’ineliminabile presupposto.
I lavoratori devono dunque poter organizzare l’astensione e constatare che essa verrà attuata da tutti i compagni o almeno da una parte apprezzabile di essi anche perché la singola defezione può essere interpretata come un indebito rifiuto dell’attività lavorativa suscettibile di gravi ritorsioni. L’insegnamento che viene dalla stessa magistratura, quando essa giudica in aderenza ai principi costituzionali, ha perciò spesso sottolineato che le decisioni operaie, i modi per attuarle non possono essere stabiliti se non nel luogo di naturale convegno delle maestranze, cioè nelle sedi sindacali o davanti i cancelli delle fabbriche, dove è consentito dalla legge di scoraggiare l’ingresso di eventuali crumiri.
Nessun funzionario di polizia può sostenere che siffatti indirizzi giurisprudenziali siano rimasti isolati: il pretore di Pinerolo infatti ha affermato «che è lecito in occasione di uno sciopero, formando una barriera umana, fermare un pullman sul quale si trovano impiegati ed operai che si recano al lavoro, al fine di consentire loro di rendersi conto della riuscita dello sciopero e di decidere insieme agli altri lavoratori rima di entrare nello stabilimento, se aderire o meno allo sciopero. Pertanto, non è legalmente dato l’ordine di desistere dal formare tale barriera».
La Corte di assise di Foggia ha precisato che «il persuadere gli altri lavoratori ad astenersi dal lavoro costituisce il mezzo migliore per l’esercizio del diritto di sciopero e pertanto non solo non costituisce reato ma è un diritto garantito dalla Costituzione». E di recente il Tribunale di Catanzaro ha avvertito che «il picchettaggio non può non rientrare nello esercizio del diritto di sciopero. rappresentandosi come uno dei tanti mezzi con cui si realizza e sì articola l’astensione collettiva dal lavoro e risolvendosi in una azione di persuasione svolta da scioperanti e sindacalisti davanti agli ingressi della sede di lavoro ed intesa appunto ad ottenere che tutti i lavoratori partecipino alla fase più critica della dinamica della normativa sindacale».
Un potere dello Stato, la magistratura, in attuazione dei principi costituzionali, considera quindi il picchettaggio un diritto dei lavoratori. La polizia invece impiega i suoi reparti per disperdere i picchetti, procede al fermo o all’arresto degli attivisti sindacali che li hanno promossi e li persegue penalmente. A nulla serve che lo stesso presidente della Corte Costituzionale proclami la legittimità di quelle forme di lotta e intervenga per affermarne la necessità. «Al fondo e nelle arterie della Costituzione — scrive Giuseppe Branca — vi è una grande sete di giustizia sociale. Ora, la giustizia sociale non si può attuare tutta in una volta. Una parte è attuata dalla stessa Costituzione, una parte è affidata al legislatore ordinario, parte infine devono realizzarla gli stessi lavoratori».
E’ facile dimostrare che i dirigenti delle forze di polizia in tutti questi anni hanno assunto nei confronti delle lotte operaie e contadine un atteggiamento del tutto opposto. Le giuste rivendicazioni dei lavoratori e le agitazioni che ne sono derivate sono state infatti considerate momenti di gran turbamento dell’ordine pubblico, della pace sociale, dell’ordine economico. Avola rimane l’esempio più recente di una pratica repressiva sciagurata. Ma oggi, anche per merito dell’azione del nostro Partito sempre più larga, va facendosi tra le forze politiche e sindacali l’esigenza di un vasto dibattito nel Parlamento e nel Paese su questioni così scottanti.
Una polizia non assoggettata agli indirizzi repressivi e antipopolari, rispettosa delle norme costituzionali, che persegua i grandi ideali e gli obiettivi di fondo che la legge fondamentale propone di raggiungere all’intera collettività è quanto chiediamo noi comunisti. Chi invece come l’on. Restivo si adopera solo per rafforzarne la capacità di aggressione ai diritti dei lavoratori e per tutelare direttamente o indirettamente il privilegio economico, non soltanto continua a separarla dal resto della nazione ma fallisce lo scopo della repressione del crimine cui la polizia si dice destinata. Paolo Persichetti 29 Giugno 2023
Dall’Unità del 3 agosto 1947. Cesare Pavese spiega il ‘mito americano’ in un articolo del 1947. Paolo Persichetti su L'Unità il 18 Maggio 2023
Nell’immediato dopoguerra non esisteva una redazione centrale dell’Unità. Il 2 gennaio del 1945 apparve a Roma la prima edizione non clandestina per l’Italia meridionale liberata dai Angloamericani. Dopo il 25 aprile escono dalla clandestinità le altre redazioni settentrionali, l’edizione genovese, torinese e milanese. Sul numero dell’edizione piemontese del 28 aprile 1945, Ludovico Geymonat, redattore capo, scrive: «Il giornale è stato redatto nella notte, mentre infuriava l’ultima battaglia. In Torino liberata passiamo dalla nostra tipografia clandestina alla nuova sede, conservata dal valore dei combattenti che l’hanno strappata al nemico. Mentre in città gli ultimi criminali sono ridotti alla ragione, l’Unità, edizione piemontese, inizia una nuova vita». Solo nel 1957 si fondono le edizioni di Genova, Torino e Milano, dando vita ad un’unica redazione settentrionale ed è nel marzo del 1962 che vengono unificate le direzioni di Milano e Roma sotto la guida di Mario Alicata, con Aldo Tortorella responsabile dell’edizione settentrionale e Luigi Pintor di quella centro-meridionale.
L’edizione piemontese viene ricordata per il particolare prestigio dei suoi collaboratori, oltre a Geymonat, Andrea Ugolini che ne fu direttore, esule già direttore in Francia della Voce degli italiani, arrestato dalla Gestapo e scarcerato dopo la liberazione, Davide Lajolo, Ada Gobetti, Cesare Pavese, Italo Calvino, Elio Vittorini, Paolo Spriano, Raf Vallone e altri ancora.
Iscrittosi nell’aprile del 1945, dopo aver visto morire nella lotta antifascista i suoi amici Leone Ginzburg, Gaime Pintor e Gaspare Pajetta, Cesare Pavese inizia a collaborare con l’Unità. Nell’articolo che vi proponiamo ricostruisce il clima culturale che aveva dato vita al «mito americano», sorto negli anni del provincialismo asfissiante, autoreferenziale e autoritario del regime fascista. Il realismo vitale della letteratura americana, il linguaggio innovativo, l’uso dello slang, la lingua reale, apparivano un modello di anticonformismo, un antidoto a un’accademia controllata da un potere intriso di roboante retorica. Inevitabilmente tutto questo si era subito trasformato in una passione sovversiva che aveva permesso a una generazione di giovani intellettuali di sopravvivere e sognare il newdeal americano. Tuttavia negli ultimi anni della sua vita, prima del suicidio, che coincisero con la non facile militanza nel Pci trascinata dalle polemiche mosse dai cultori dello zadnovismo, iniziò a guardare la società e la cultura americana con grande disincanto. La cortina di ferro e l’avvio della Guerra fredda avevano mutato drasticamente il contesto, gli Stati Uniti apparivano ormai il centro della modernizzazione capitalistica e di pulsioni reazionarie, i grandi della letteratura americana brillavano ormai nel cielo dei classici, ma quella società non appariva più l’eden. Per Pavese la fine della grande cultura americana coincideva con la fine della lotta antifascista, poiché «senza un fascismo a cui opporsi, senza cioè un pensiero storicamente progressivo da incarnare, anche l’America, per quanti grattacieli e automobili e soldati produca, non sarà più all’avanguardia di nessuna cultura».
Questo articolo è apparso sull’edizione piemontese dell’Unità del 3 agosto 1947.
Verso il 1930, quando il fascismo cominciava a essere «la speranza del mondo», accadde ad alcuni giovani italiani di scoprire nei suoi libri l’America, una America pensosa e barbarica, felice e rissosa, dissoluta, feconda, greve di tutto il passato del mondo, e insieme giovane, innocente.
Per qualche anno questi giovani lessero tradussero e scrissero con una gioia di scoperta e di rivolta che indignò la cultura ufficiale, ma il successo fu tanto che costrinse il regime a tollerare, per salvare la faccia.
[…]
Per molta gente l’incontro con Caldwell, Steinbeck, Saroyan, e perfino col vecchio Lewis, aperse il primo spiraglio di libertà, il primo sospetto che non tutto nella cultura del mondo finisse coi fasci. Va da sé che, per chi seppe, la vera lezione fu più profonda. Chi non si limitò a sfogliare la dozzina o poco più di libri sorprendenti che uscirono oltreoceano in quegli anni ma scosse la pianta per farne cadere anche i frutti nascosti e la frugò intorno per scoprirne le radici, si capacitò presto che la ricchezza espressiva di quel popolo nasceva non tanto dalla vistosa ricerca di assunti sociali scandalosi e in fondo facili, ma da un’ispirazione severa e già antica di un secolo a costringere senza residui la vita quotidiana nella parola.
[…]
A questo punto la cultura americana divenne una sorta di grande laboratorio dove con altra libertà e altri mezzi si perseguiva lo stesso compito di creare un gusto uno stile un mondo moderni che, forse con minore immediatezza ma con altrettanta caparbia volontà, i migliori tra noi perseguivano.
Quella cultura ci apparve insomma un luogo ideale di lavoro e di ricerca, di sudata e combattuta ricerca, e non soltanto la Babele di clamorosa efficienza, di crudele ottimismo al neon che assordava e abbacinava gli ingenui e, condita di qualche romana ipocrisia, non sarebbe stata per dispiacere neanche ai provinciali gerarchi nostrani.
Ci si accorse, durante quegli anni di studio, che l’America non era un altro paese, un nuovo inizio della storia, ma soltanto il gigantesco teatro dove con maggiore franchezza che altrove veniva recitato il dramma di tutti. E se per un momento c’era apparso che valesse la pena di rinnegare noi stessi e il nostro passato per affidarci corpo e anima a quel libero mondo, ciò era stato per l’assurda e tragicomica situazione di morte civile in cui la storia ci aveva per il momento cacciati.
La cultura americana ci permise in quegli anni di vedere svolgersi come su uno schermo gigante il nostro stesso dramma. Ci mostrò una lotta accanita, consapevole, incessante, per dare un senso un nome un ordine alle nuove realtà e ai nuovi istinti della vita individuale e associata, per adeguare ad un mondo vertiginosamente trasformato gli antichi sensi e le antiche parole dell’uomo. Com’era naturale in tempi di ristagno politico, noi tutti ci limitammo allora a studiare come quegli intellettuali d’oltremare avessero espresso questo dramma, come fossero giunti a parlare questo linguaggio, a narrare, a cantare questa favola. Parteggiare nel dramma, nella favola, nel problema non potevamo apertamente, e così studiammo la cultura americana un po’ come si studiano i secoli del passato, i drammi elisabettiani o la poesia del dolce stil novo. Ora, il tempo è mutato e ogni cosa si può dirla, anzi è più o meno stata detta. E succede che passano gli anni e dall’America ci vengono più libri che una volta, ma noi oggi li apriamo e chiudiamo senza nessuna agitazione. Una volta anche un libro minore che venisse di là, anche un povero film, ci commoveva e poneva problemi vivaci, ci strappava un consenso. Siamo noi che invecchiamo o è bastata questa poca libertà per distaccarci ? Le conquiste espressive e narrative del ‘900 americano resteranno – un Lee Masters, un Anderson, un Hemingway, un Faulkner vivono ormai dentro il cielo dei classici, – ma quanto a noialtri nemmeno il digiuno degli anni di guerra è bastato a farci amare d’amore quel che di nuovo ora ci giunge di laggiù. Succede talvolta che leggiamo un libro vivo che ci scuote la fantasia e fa appello alla nostra coscienza, poi guardiamo la data: anteguerra. A esser sinceri insomma ci pare che la cultura americana abbia perduto il magistero, quel suo ingenuo e sagace furore che la metteva all’avanguardia del nostro mondo intellettuale. Né si può non notare che ciò coincide con la fine, o sospensione, della sua lotta antifascista.
Paolo Persichetti 18 Maggio 2023