Denuncio al mondo ed ai posteri con i miei libri tutte le illegalità tacitate ed impunite compiute dai poteri forti (tutte le mafie). Lo faccio con professionalità, senza pregiudizi od ideologie. Per non essere tacciato di mitomania, pazzia, calunnia, diffamazione, partigianeria, o di scrivere Fake News, riporto, in contraddittorio, la Cronaca e la faccio diventare storia. Quella Storia che nessun editore vuol pubblicare. Quelli editori che ormai nessuno più legge.

Gli editori ed i distributori censori si avvalgono dell'accusa di plagio, per cessare il rapporto. Plagio mai sollevato da alcuno in sede penale o civile, ma tanto basta per loro per censurarmi.

I miei contenuti non sono propalazioni o convinzioni personali. Mi avvalgo solo di fonti autorevoli e credibili, le quali sono doverosamente citate.

Io sono un sociologo storico: racconto la contemporaneità ad i posteri, senza censura od omertà, per uso di critica o di discussione, per ricerca e studio personale o a scopo culturale o didattico. A norma dell'art. 70, comma 1 della Legge sul diritto d'autore: "Il riassunto, la citazione o la riproduzione di brani o di parti di opera e la loro comunicazione al pubblico sono liberi se effettuati per uso di critica o di discussione, nei limiti giustificati da tali fini e purché non costituiscano concorrenza all'utilizzazione economica dell'opera; se effettuati a fini di insegnamento o di ricerca scientifica l'utilizzo deve inoltre avvenire per finalità illustrative e per fini non commerciali."

L’autore ha il diritto esclusivo di utilizzare economicamente l’opera in ogni forma e modo (art. 12 comma 2 Legge sul Diritto d’Autore). La legge stessa però fissa alcuni limiti al contenuto patrimoniale del diritto d’autore per esigenze di pubblica informazione, di libera discussione delle idee, di diffusione della cultura e di studio. Si tratta di limitazioni all’esercizio del diritto di autore, giustificate da un interesse generale che prevale sull’interesse personale dell’autore.

L'art. 10 della Convenzione di Unione di Berna (resa esecutiva con L. n. 399 del 1978) Atto di Parigi del 1971, ratificata o presa ad esempio dalla maggioranza degli ordinamenti internazionali, prevede il diritto di citazione con le seguenti regole: 1) Sono lecite le citazioni tratte da un'opera già resa lecitamente accessibile al pubblico, nonché le citazioni di articoli di giornali e riviste periodiche nella forma di rassegne di stampe, a condizione che dette citazioni siano fatte conformemente ai buoni usi e nella misura giustificata dallo scopo.

Ai sensi dell’art. 101 della legge 633/1941: La riproduzione di informazioni e notizie è lecita purché non sia effettuata con l’impiego di atti contrari agli usi onesti in materia giornalistica e purché se ne citi la fonte. Appare chiaro in quest'ipotesi che oltre alla violazione del diritto d'autore è apprezzabile un'ulteriore violazione e cioè quella della concorrenza (il cosiddetto parassitismo giornalistico). Quindi in questo caso non si fa concorrenza illecita al giornale e al testo ma anzi dà un valore aggiunto al brano originale inserito in un contesto più ampio di discussione e di critica.

Ed ancora: "La libertà ex art. 70 comma I, legge sul diritto di autore, di riassumere citare o anche riprodurre brani di opere, per scopi di critica, discussione o insegnamento è ammessa e si giustifica se l'opera di critica o didattica abbia finalità autonome e distinte da quelle dell'opera citata e perciò i frammenti riprodotti non creino neppure una potenziale concorrenza con i diritti di utilizzazione economica spettanti all'autore dell'opera parzialmente riprodotta" (Cassazione Civile 07/03/1997 nr. 2089).

Per questi motivi Dichiaro di essere l’esclusivo autore del libro in oggetto e di tutti i libri pubblicati sul mio portale e le opere citate ai sensi di legge contengono l’autore e la fonte. Ai sensi di legge non ho bisogno di autorizzazione alla pubblicazione essendo opere pubbliche.

Promuovo in video tutto il territorio nazionale ingiustamente maltrattato e censurato. Ascolto e Consiglio le vittime discriminate ed inascoltate. Ogni giorno da tutto il mondo sui miei siti istituzionali, sui miei blog d'informazione personali e sui miei canali video sono seguito ed apprezzato da centinaia di migliaia di navigatori web. Per quello che faccio, per quello che dico e per quello che scrivo i media mi censurano e le istituzioni mi perseguitano. Le letture e le visioni delle mie opere sono gratuite. Anche l'uso è gratuito, basta indicare la fonte. Nessuno mi sovvenziona per le spese che sostengo e mi impediscono di lavorare per potermi mantenere. Non vivo solo di aria: Sostienimi o mi faranno cessare e vinceranno loro. 

Dr Antonio Giangrande  

NOTA BENE

NESSUN EDITORE VUOL PUBBLICARE I  MIEI LIBRI, COMPRESO AMAZON, LULU E STREETLIB

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ABOLIZIONE DEI CONCORSI TRUCCATI E LIBERALIZZAZIONE DELLE PROFESSIONI

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WEB TV: TELE WEB ITALIA

108x36 NEWS: RASSEGNA STAMPA - CONTROVOCE - NOTIZIE VERE DAL POPOLO - NOTIZIE SENZA CENSURA

 

  

 

L’ITALIA ALLO SPECCHIO

IL DNA DEGLI ITALIANI

 

ANNO 2022

LO SPETTACOLO

E LO SPORT

NONA PARTE

 

 

DI ANTONIO GIANGRANDE

 

  

 

L’APOTEOSI

DI UN POPOLO DIFETTATO

Questo saggio è un aggiornamento temporale, pluritematico e pluriterritoriale, riferito al 2022, consequenziale a quello del 2021. Gli argomenti ed i territori trattati nei saggi periodici sono completati ed approfonditi in centinaia di saggi analitici specificatamente dedicati e già pubblicati negli stessi canali in forma Book o E-book, con raccolta di materiale riferito al periodo antecedente. Opere oggetto di studio e fonti propedeutiche a tesi di laurea ed inchieste giornalistiche.

Si troveranno delle recensioni deliranti e degradanti di queste opere. Il mio intento non è soggiogare l'assenso parlando del nulla, ma dimostrare che siamo un popolo difettato. In questo modo è ovvio che l'offeso si ribelli con la denigrazione del palesato.

 

IL GOVERNO

 

UNA BALLATA PER L’ITALIA (di Antonio Giangrande). L’ITALIA CHE SIAMO.

UNA BALLATA PER AVETRANA (di Antonio Giangrande). L’AVETRANA CHE SIAMO.

PRESENTAZIONE DELL’AUTORE.

LA SOLITA INVASIONE BARBARICA SABAUDA.

LA SOLITA ITALIOPOLI.

SOLITA LADRONIA.

SOLITO GOVERNOPOLI. MALGOVERNO ESEMPIO DI MORALITA’.

SOLITA APPALTOPOLI.

SOLITA CONCORSOPOLI ED ESAMOPOLI. I CONCORSI ED ESAMI DI STATO TRUCCATI.

ESAME DI AVVOCATO. LOBBY FORENSE, ABILITAZIONE TRUCCATA.

SOLITO SPRECOPOLI.

SOLITA SPECULOPOLI. L’ITALIA DELLE SPECULAZIONI.

 

L’AMMINISTRAZIONE

 

SOLITO DISSERVIZIOPOLI. LA DITTATURA DEI BUROCRATI.

SOLITA UGUAGLIANZIOPOLI.

IL COGLIONAVIRUS.

SANITA’: ROBA NOSTRA. UN’INCHIESTA DA NON FARE. I MARCUCCI.

 

L’ACCOGLIENZA

 

SOLITA ITALIA RAZZISTA.

SOLITI PROFUGHI E FOIBE.

SOLITO PROFUGOPOLI. VITTIME E CARNEFICI.

 

GLI STATISTI

 

IL SOLITO AFFAIRE ALDO MORO.

IL SOLITO GIULIO ANDREOTTI. IL DIVO RE.

SOLITA TANGENTOPOLI. DA CRAXI A BERLUSCONI. LE MANI SPORCHE DI MANI PULITE.

SOLITO BERLUSCONI. L'ITALIANO PER ANTONOMASIA.

IL SOLITO COMUNISTA BENITO MUSSOLINI.

 

I PARTITI

 

SOLITI 5 STELLE… CADENTI.

SOLITA LEGOPOLI. LA LEGA DA LEGARE.

SOLITI COMUNISTI. CHI LI CONOSCE LI EVITA.

IL SOLITO AMICO TERRORISTA.

1968 TRAGICA ILLUSIONE IDEOLOGICA.

 

LA GIUSTIZIA

 

SOLITO STEFANO CUCCHI & COMPANY.

LA SOLITA SARAH SCAZZI. IL DELITTO DI AVETRANA.

LA SOLITA YARA GAMBIRASIO. IL DELITTO DI BREMBATE.

SOLITO DELITTO DI PERUGIA.

SOLITA ABUSOPOLI.

SOLITA MALAGIUSTIZIOPOLI.

SOLITA GIUSTIZIOPOLI.

SOLITA MANETTOPOLI.

SOLITA IMPUNITOPOLI. L’ITALIA DELL’IMPUNITA’.

I SOLITI MISTERI ITALIANI.

BOLOGNA: UNA STRAGE PARTIGIANA.

 

LA MAFIOSITA’

 

SOLITA MAFIOPOLI.

SOLITE MAFIE IN ITALIA.

SOLITA MAFIA DELL’ANTIMAFIA.

SOLITO RIINA. LA COLPA DEI PADRI RICADE SUI FIGLI.

SOLITO CAPORALATO. IPOCRISIA E SPECULAZIONE.

LA SOLITA USUROPOLI E FALLIMENTOPOLI.

SOLITA CASTOPOLI.

LA SOLITA MASSONERIOPOLI.

CONTRO TUTTE LE MAFIE.

 

LA CULTURA ED I MEDIA

 

LA SCIENZA E’ UN’OPINIONE.

SOLITO CONTROLLO E MANIPOLAZIONE MENTALE.

SOLITA SCUOLOPOLI ED IGNORANTOPOLI.

SOLITA CULTUROPOLI. DISCULTURA ED OSCURANTISMO.

SOLITO MEDIOPOLI. CENSURA, DISINFORMAZIONE, OMERTA'.

 

LO SPETTACOLO E LO SPORT

 

SOLITO SPETTACOLOPOLI.

SOLITO SANREMO.

SOLITO SPORTOPOLI. LO SPORT COL TRUCCO.

 

LA SOCIETA’

 

AUSPICI, RICORDI ED ANNIVERSARI.

I MORTI FAMOSI.

ELISABETTA E LA CORTE DEGLI SCANDALI.

MEGLIO UN GIORNO DA LEONI O CENTO DA AGNELLI?

 

L’AMBIENTE

 

LA SOLITA AGROFRODOPOLI.

SOLITO ANIMALOPOLI.

IL SOLITO TERREMOTO E…

IL SOLITO AMBIENTOPOLI.

 

IL TERRITORIO

 

SOLITO TRENTINO ALTO ADIGE.

SOLITO FRIULI VENEZIA GIULIA.

SOLITA VENEZIA ED IL VENETO.

SOLITA MILANO E LA LOMBARDIA.

SOLITO TORINO ED IL PIEMONTE E LA VAL D’AOSTA.

SOLITA GENOVA E LA LIGURIA.

SOLITA BOLOGNA, PARMA ED EMILIA ROMAGNA.

SOLITA FIRENZE E LA TOSCANA.

SOLITA SIENA.

SOLITA SARDEGNA.

SOLITE MARCHE.

SOLITA PERUGIA E L’UMBRIA.

SOLITA ROMA ED IL LAZIO.

SOLITO ABRUZZO.

SOLITO MOLISE.

SOLITA NAPOLI E LA CAMPANIA.

SOLITA BARI.

SOLITA FOGGIA.

SOLITA TARANTO.

SOLITA BRINDISI.

SOLITA LECCE.

SOLITA POTENZA E LA BASILICATA.

SOLITA REGGIO E LA CALABRIA.

SOLITA PALERMO, MESSINA E LA SICILIA.

 

LE RELIGIONI

 

SOLITO GESU’ CONTRO MAOMETTO.

 

FEMMINE E LGBTI

 

SOLITO CHI COMANDA IL MONDO: FEMMINE E LGBTI.

 

 

 

 

 

 

 

LO SPETTACOLO E LO SPORT

INDICE PRIMA PARTE

 

SOLITO SPETTACOLOPOLI. (Ho scritto un saggio dedicato)

Il Vintage.

Le prevendite.

I Televenditori.

I Balli.

Il Jazz.

La trap.

Il musical è nato a Napoli.

Morti di Fame.

I Laureati.

Poppe al vento.

Il lato eccentrico (folle) dei Vip.

La Tecno ed i Rave.

Alias: i veri nomi.

Woodstock.

Hollywood.

Spettacolo mafioso.

Il menù dei vip.

Il Duo è meglio di Uno.

Non è la Rai.

Abel Ferrara.

Achille Lauro.

Adele.

Adria Arjona.

Adriano Celentano.

Afef Jnifen.

Aida Yespica.

Alan Sorrenti.

Alba Parietti.

Al Bano Carrisi.

Al Pacino.

Alberto Radius.

Aldo, Giovanni e Giacomo.

Alec Baldwin.

Alessandra Amoroso.

Alessandra Celentano.

Alessandra Ferri.

Alessandra Mastronardi.

Alessandro Bergonzoni.

Alessandro Borghese.

Alessandro Cattelan.

Alessandro Gassman.

Alessandro Greco.

Alessandro Meluzzi.

Alessandro Preziosi.

Alessandro Esposito detto Alessandro Siani.

Alessio Boni.

Alessia Marcuzzi.

Alessia Merz.

Alessio Giannone: Pinuccio.

Alessandro Haber.

Alex Britti.

Alexia.

Alice.

Alfonso Signorini.

Alyson Borromeo.

Alyx Star.

Alvaro Vitali.

Amadeus.

Amanda Lear.

Ambra Angiolini.

Anastacia.

Andrea Bocelli.

Andrea Delogu.

Andrea Roncato e Gigi Sammarchi.

Andrea Sartoretti.

Andrea Zalone.

Andrée Ruth Shammah.

Angela Finocchiaro.

Angelina Jolie.

Angelina Mango.

Angelo Branduardi.

Anna Bettozzi, in arte Ana Bettz.

Anna Falchi.

Anna Galiena.

Anna Maria Barbera.

Anna Mazzamauro.

Ana Mena.

Anna Netrebko.

Anne Hathaway.

Annibale Giannarelli.

Antonella Clerici.

Antonella Elia.

Antonella Ruggiero.

Antonello Venditti e Francesco De Gregori.

Antonino Cannavacciuolo.

Antonio Banderas.

Antonio Capuano.

Antonio Cornacchione.

Antonio Ricci.

Antonio Vaglica.

Après La Classe.

Arisa.

Arnold Schwarzenegger.

Asia e Dario Argento.

 

INDICE SECONDA PARTE

 

SOLITO SPETTACOLOPOLI. (Ho scritto un saggio dedicato)

Barbara Bouchet.

Barbara D'urso.

Barbra Streisand.

Beatrice Quinta.

Beatrice Rana.

Beatrice Segreti.

Beatrice Venezi.

Belen Rodriguez.

Bella Lexi.

Benedetta D'Anna.

Benedetta Porcaroli.

Benny Benassi.

Peppe Barra.

Beppe Caschetto.

Beppe Vessicchio.

Biagio Antonacci.

Bianca Guaccero.

BigTittyGothEgg o GothEgg.

Billie Eilish.

Blanco. 

Blake Blossom.

Bob Dylan.

Bono Vox.

Boomdabash.

Brad Pitt.

Brigitta Bulgari.

Britney Spears.

Bruce Springsteen.

Bruce Willis.

Bruno Barbieri.

Bruno Voglino.

Cameron Diaz.

Caparezza.

Carla Signoris.

Carlo Conti.

Carlo Freccero.

Carlo Verdone.

Carlos Santana.

Carmen Di Pietro.

Carmen Russo.

Carol Alt.

Carola Moccia, alias La Niña.

Carolina Crescentini.

Carolina Marconi.

Cate Blanchett.

Catherine Deneuve.

Catherine Zeta Jones.

Caterina Caselli.

Céline Dion.

Cesare Cremonini.

Cesare e Mia Bocci.

Chiara Francini.

Chloe Cherry.

Christian De Sica.

Christiane Filangieri.

Claudia Cardinale.

Claudia Gerini.

Claudia Pandolfi.

Claudio Amendola.

Claudio Baglioni.

Claudio Bisio.

Claudio Cecchetto.

Claudio Lippi.

Claudio Santamaria.

Claudio Simonetti.

Coez.

Coma Cose.

Corrado, Sabina e Caterina Guzzanti.

Corrado Tedeschi.

Costantino Della Gherardesca.

Cristiana Capotondi.

Cristiano De André.

Cristiano Donzelli.

Cristiano Malgioglio.

Cristina D'Avena.

Cristina Quaranta.

Dado.

Damion Dayski.

Dan Aykroyd.

Daniel Craig.

Daniela Ferolla.

Daniela Martani.

Daniele Bossari.

Daniele Quartapelle.

Daniele Silvestri.

Dargen D'Amico.

Dario Ballantini.

Dario Salvatori.

Dario Vergassola.

Davide Di Porto.

Davide Sanclimenti.

Diana Del Bufalo.

Dick Van Dyke.

Diego Abatantuono.

Diego Dalla Palma.

Diletta Leotta.

Diodato.

Dita von Teese.

Ditonellapiaga.

Dominique Sanda.

Don Backy.

Donatella Rettore.

Drusilla Foer.

Dua Lipa.

 

INDICE TERZA PARTE

 

SOLITO SPETTACOLOPOLI. (Ho scritto un saggio dedicato)

Eden Ivy.

Edoardo Bennato.

Edoardo Leo.

Edoardo Vianello.

Eduardo De Crescenzo.

Edwige Fenech.

El Simba (Alex Simbala).

Elena Lietti.

Elena Sofia Ricci.

Elenoire Casalegno.

Elenoire Ferruzzi.

Eleonora Abbagnato.

Eleonora Giorgi.

Eleonora Pedron.

Elettra Lamborghini.

Elio e le Storie Tese.

Elio Germano.

Elisa Esposito.

Elisabetta Canalis.

Elisabetta Gregoraci.

Elodie.

Elton John.

Ema Stokholma.

Emanuela Fanelli.

Emanuela Folliero.

Emanuele Fasano.

Eminem.

Emma Marrone.

Emma Rose.

Emma Stone.

Emma Thompson.

Enrico Bertolino.

Enrica Bonaccorti.

Enrico Lucci.

Enrico Montesano.

Enrico Papi.

Enrico Ruggeri.

Enrico Vanzina.

Enzo Avitabile.

Enzo Braschi.

Enzo Garinei.

Enzo Ghinazzi in arte Pupo.

Enzo Iacchetti.

Erika Lust.

Ermal Meta.

Eros Ramazzotti.

Eugenio Finardi.

Eva Grimaldi.

Eva Henger.

Eva Robin’s, Eva Robins o Eva Robbins.

Fabio Concato.

Fabio Rovazzi.

Fabio Testi.

Fabri Fibra.

Fabrizio Corona.

Fabrizio Moro.

Fanny Ardant.

Fausto Brizzi.

Fausto Leali.

Federica Nargi e Alessandro Matri.

Federica Panicucci.

Ficarra e Picone.

Filippo Neviani: Nek.

Filippo Timi.

Filomena Mastromarino, in arte Malena.

Fiorella Mannoia.

Flavio Briatore.

Flavio Insinna.

Forest Whitaker.

Francesca Cipriani.

Francesca Dellera.

Francesca Fagnani.

Francesca Michielin.

Francesca Manzini.

Francesca Reggiani.

Francesco Facchinetti.

Francesco Gabbani.

Francesco Guccini.

Francesco Sarcina e le Vibrazioni.

Franco Maresco.

Franco Nero.

Franco Trentalance.

Francis Ford Coppola.

Frank Matano.

Frida Bollani.

 

INDICE QUARTA PARTE

 

SOLITO SPETTACOLOPOLI. (Ho scritto un saggio dedicato)

Gabriel Garko.

Gabriele Lavia.

Gabriele Salvatores.

Gabriele Sbattella.

Gabriele e Silvio Muccino.

Geena Davis.

Gegia.

Gene e Charlie Gnocchi.

Geppi Cucciari.

Gérard Depardieu.

Gerry Scotti.

Ghali.

Giancarlo Giannini.

Gianluca Cofone.

Gianluca Grignani.

Gianna Nannini.

Gianni Amelio.

Gianni Mazza.

Gianni Morandi.

Gianni Togni.

Gigi D’Agostino.

Gigi D’Alessio.

Gigi Marzullo.

Gigliola Cinquetti.

Gina Lollobrigida.

Gino Paoli.

Giorgia Palmas.

Giorgio Assumma.

Giorgio Lauro.

Giorgio Panariello.

Giovanna Mezzogiorno.

Giovanni Allevi.

Giovanni Damian, in arte Sangiovanni.

Giovanni Lindo Ferretti.

Giovanni Scialpi.

Giovanni Truppi.

Giovanni Veronesi.

Giulia Greco.

Giuliana De Sio.

Giulio Rapetti: Mogol.

Giuseppe Gibboni.

Giuseppe Tornatore.

Giusy Ferreri.

Gli Extraliscio.

Gli Stadio.

Guendalina Tavassi.

Guillermo Del Toro.

Guillermo Mariotto.

Guns N' Roses.

Gwen Adora.

Harrison Ford.

Hu.

I Baustelle.

I Cugini di Campagna.

I Depeche Mode.

I Ferragnez.

I Maneskin.

I Negramaro.

I Nomadi.

I Parodi.

I Pooh.

I Soliti Idioti. Francesco Mandelli e Fabrizio Biggio.

Il Banco: Il Banco del Mutuo Soccorso.

Il Volo.

Ilary Blasi.

Ilona Staller: Cicciolina.

Irama.

Irene Grandi.

Irina Sanpiter.

Isabella Ferrari.

Isabella Ragonese.

Isabella Rossellini.

Iva Zanicchi.

Ivana Spagna.

Ivan Cattaneo.

Ivano Fossati.

Ivano Marescotti.

 

INDICE QUINTA PARTE

 

SOLITO SPETTACOLOPOLI. (Ho scritto un saggio dedicato)

J-Ax.

Jacopo Tissi.

Jamie Lee Curtis.

Janet Jackson.

Jeff Goldblum.

Jenna Starr.

Jennifer Aniston.

Jennifer Lopez.

Jerry Calà.

Jessica Rizzo.

Jim Carrey.

Jo Squillo.

Joe Bastianich.

Jodie Foster.

Jon Bon Jovi.

John Landis.

John Travolta.

Johnny Depp.

Johnny Dorelli e Gloria Guida.

José Carreras.

Julia Ann.

Julia Roberts.

Julianne Moore.

Justin Bieber.

Kabir Bedi.

Kathy Valentine.

Katia Ricciarelli.

Kasia Smutniak.

Kate Moss.

Katia Noventa.

Kazumi.

Khadija Jaafari.

Kim Basinger.

Kim Rossi Stuart.

Kirk, Michael (e gli altri) Douglas.

Klaus Davi.

La Rappresentante di Lista.

Laetitia Casta.

Lando Buzzanca.

Laura Chiatti.

Laura Freddi.

Laura Morante.

Laura Pausini.

Le Donatella.

Lello Analfino.

Leonardo Pieraccioni e Laura Torrisi.

Levante.

Liam Neeson.

Liberato è Gennaro Nocerino.

Ligabue.

Liya Silver.

Lila Love.

Liliana Fiorelli.

Liliana Cavani.

Lillo Pasquale Petrolo e Greg Claudio Gregori.

Linda Evangelista.

Lino Banfi.

Linus.

Lizzo.

Lo Stato Sociale.

Loredana Bertè.

Lorella Cuccarini.

Lorenzo Cherubini: Jovanotti.

Lorenzo Zurzolo.

Loretta Goggi.

Lory Del Santo.

Luca Abete.

Luca Argentero.

Luca Barbareschi.

Luca Barbarossa.

Luca Carboni.

Luca e Paolo.

Luca Guadagnino.

Luca Imprudente detto Luchè.

Luca Pasquale Medici: Checco Zalone.

Luca Tommassini.

Luca Zingaretti.

Luce Caponegro in arte Selen.

Lucia Mascino.

Lucrezia Lante della Rovere.

Luigi “Gino” De Crescenzo: Pacifico.

Luigi Strangis.

Luisa Ranieri.

Maccio Capatonda.

Madonna Louise Veronica Ciccone: Madonna.

Mago Forest: Michele Foresta.

Mahmood.

Madame.

Mal.

Malcolm McDowell.

Malena…Milena Mastromarino.

Malika Ayane.

Manuel Agnelli.

Manuela Falorni. Nome d'arte Venere Bianca.

Mara Maionchi.

Mara Sattei.

Mara Venier.

Marcella Bella.

Marco Baldini.

Marco Bellavia.

Marco Castoldi: Morgan.

Marco Columbro.

Marco Giallini.

Marco Leonardi.

Marco Masini.

Marco Marzocca.

Marco Mengoni.

Marco Sasso è Lucrezia Borkia.

Margherita Buy e Caterina De Angelis.

Margherita Vicario.

Maria De Filippi.

Maria Giovanna Elmi.

Maria Grazia Cucinotta.

Marika Milani.

Marina La Rosa.

Marina Marfoglia.

Mario Luttazzo Fegiz.

Marilyn Manson.

Mary Jane.

Marracash.

Martina Colombari.

Massimo Bottura.

Massimo Ceccherini.

Massimo Lopez.

Massimo Ranieri.

Matilda De Angelis.

Matilde Gioli.

Maurizio Lastrico.

Maurizio Pisciottu: Salmo. 

Maurizio Umberto Egidio Coruzzi detto Mauro, detto Platinette.

Mauro Pagani.

Max Felicitas.

Max Gazzè.

Max Giusti.

Max Pezzali.

Max Tortora.

Melanie Griffith.

Melissa Satta.

Memo Remigi.

Michael Bublé.

Michael J. Fox.

Michael Radford.

Michela Giraud.

Michelangelo Vood.

Michele Bravi.

Michele Placido.

Michelle Hunziker.

Mickey Rourke.

Miku Kojima, anzi Saki Shinkai.

Miguel Bosè.

Milena Vukotic.

Miley Cyrus.

Mimmo Locasciulli.

Mira Sorvino.

Miriam Dalmazio.

Monica Bellucci.

Monica Guerritore.

 

INDICE SESTA PARTE

 

SOLITO SPETTACOLOPOLI. (Ho scritto un saggio dedicato)

Nada.

Nancy Brilli.

Naomi De Crescenzo.

Natalia Estrada.

Natalie Portman.

Natasha Stefanenko.

Natassia Dreams.

Nathaly Caldonazzo.

Neri Parenti.

Nia Nacci.

Nicola Savino.

Nicola Vaporidis.

Nicolas Cage.

Nicole Kidman.

Nicoletta Manni e Timofej Andrijashenko.

Nicoletta Strambelli: Patty Pravo.

Niccolò Fabi.

Nina Moric.

Nino D'Angelo.

Nino Frassica.

Noemi.

Oasis.

Oliver Onions: Guido e Maurizio De Angelis.

Oliver Stone.

Olivia Rodrigo.

Olivia Wilde e Harry Styles.

Omar Pedrini.

Orietta Berti.

Orlando Bloom.

Ornella Muti.

Ornella Vanoni.

Pamela Anderson.

Pamela Prati.

Paola Barale.

Paola Cortellesi.

Paola e Chiara.

Paola Gassman e Ugo Pagliai.

Paola Quattrini.

Paola Turci.

Paolo Belli.

Paolo Bonolis e Sonia Bruganelli.

Paolo Calabresi.

Paolo Conte.

Paolo Crepet.

Paolo Rossi.

Paolo Ruffini.

Paolo Sorrentino.

Patrizia Rossetti.

Patti Smith.

Penélope Cruz.

Peppino Di Capri.

Peter Dinklage.

Phil Collins.

Pier Luigi Pizzi.

Pierfrancesco Diliberto: Pif.

Pietro Diomede.

Pietro Valsecchi.

Pierfrancesco Favino.

Pierluigi Diaco.

Piero Chiambretti.

Pierò Pelù.

Pinguini Tattici Nucleari.

Pino Donaggio.

Pino Insegno.

Pio e Amedeo.

Pippo (Santonastaso).

Peter Gabriel.

Placido Domingo.

Priscilla Salerno.

Pupi Avati.

 

INDICE SETTIMA PARTE

 

SOLITO SPETTACOLOPOLI. (Ho scritto un saggio dedicato)

Quentin Tarantino.

Raffaele Riefoli: Raf.

Ramona Chorleau.

Raoul Bova e Rocio Munoz Morales.

Raul Cremona.

Raphael Gualazzi.

Red Canzian.

Red Ronnie.

Reya Sunshine.

Renato Pozzetto e Cochi Ponzoni.

Renato Zero.

Renzo Arbore.

Riccardo Chailly.

Riccardo Cocciante.

Riccardo Manera.

Riccardo Milani.

Riccardo Scamarcio.

Ricky Gianco.

Ricky Johnson.

Ricky Martin.

Ricky Portera.

Rihanna.

Ringo.

Rita Dalla Chiesa.

Rita Rusic.

Roberta Beta.

Roberto Bolle.

Roberto Da Crema.

Roberto De Simone.

Roberto Loreti, in arte e in musica Robertino.

Roberto Satti: Bobby Solo.

Roberto Vecchioni.

Robbie Williams.

Rocco Papaleo.

Rocco Siffredi.

Rolling Stones.

Roman Polanski.

Romina Power.

Romy Indy.

Ron: Rosalino Cellamare.

Ron Moss.

Rosanna Lambertucci.

Rosanna Vaudetti.

Rosario Fiorello.

Giuseppe Beppe Fiorello.

Rowan Atkinson.

Russel Crowe.

Rkomi.

Sabina Ciuffini.

Sabrina Ferilli.

Sabrina Impacciatore.

Sabrina Salerno.

Sally D’Angelo.

Salvatore (Totò) Cascio.

Sandra Bullock.

Santi Francesi.

Sara Ricci.

Sara Tommasi.

Scarlett Johansson.

Sebastiano Vitale: Revman.

Selena Gomez.

Serena Dandini.

Serena Grandi.

Serena Rossi.

Sergio e Pietro Castellitto.

Sex Pistols.

Sfera Ebbasta.

Sharon Stone.

Shel Shapiro.

Silvia Salemi.

Silvio Orlando.

Silvio Soldini.

Simona Izzo.

Simona Ventura.

Sinead O’Connor.

Sonia Bergamasco.

Sonia Faccio: Lea di Leo. 

Sonia Grey.

Sophia Loren.

Sophie Marceau.

Stefania Nobile e Wanna Marchi.

Stefania Rocca.

Stefania Sandrelli.

Stefano Accorsi e Fabio Volo.

Stefano Bollani.

Stefano De Martino.

Steve Copeland.

Steven Spielberg.

Stormy Daniels.

Sylvester Stallone.

Sylvie Renée Lubamba.

Tamara Baroni.

Tananai.

Teo Teocoli.

Teresa Saponangelo.

Tiberio Timperi.

Tim Burton.

Tina Cipollari.

Tina Turner.

Tinto Brass.

Tiziano Ferro.

Tom Cruise.

Tom Hanks.

Tommaso Paradiso e TheGiornalisti.

Tommaso Zanello alias Piotta.

Tommy Lee.

Toni Servillo.

Totò Cascio.

U2.

Umberto Smaila.

Umberto Tozzi.

Ultimo.

Uto Ughi.

Valentina Bellucci.

Valentina Cervi.

Valeria Bruni Tedeschi.

Valeria Graci.

Valeria Marini.

Valerio Mastandrea.

Valerio Scanu.

Vanessa Incontrada.

Vanessa Scalera.

Vasco Rossi.

Vera Gemma.

Veronica Pivetti.

Victoria Cabello.

Vincenzo Salemme.

Vinicio Marchioni.

Viola Davis.

Violet Myers.

Virginia Raffaele.

Vittoria Puccini.

Vittorio Brumotti.

Vittorio Cecchi Gori.

Vladimir Luxuria.

Woody Allen.

Yvonne Scio.

Zucchero.

 

INDICE OTTAVA PARTE

 

SOLITO SANREMO. (Ho scritto un saggio dedicato)

Solito pre Sanremo.

Prima Serata.

Terza Serata. 

Quarta Serata.

Quinta Serata.

Chi ha vinto?

Simil Sanremo: L’Eurovision Song Contest (ESC)

 

INDICE NONA PARTE

 

SOLITO SPORTOPOLI. LO SPORT COL TRUCCO. (Ho scritto un saggio dedicato)

I Superman.

Il Body Building.

Quelli che...lo Yoga.

Wags e Fads.

Il Coni.

Gli Arbitri.

Quelli che …il Calcio I Parte.

 

INDICE DECIMA PARTE

 

SOLITO SPORTOPOLI. LO SPORT COL TRUCCO. (Ho scritto un saggio dedicato)

Quelli che …il Calcio II Parte.

 

INDICE UNDICESIMA PARTE

 

SOLITO SPORTOPOLI. LO SPORT COL TRUCCO. (Ho scritto un saggio dedicato)

I Mondiali 2022.

I soldati di S-Ventura. Un manipolo di brocchi. Una squadra di Pippe.

 

INDICE DODICESIMA PARTE

 

SOLITO SPORTOPOLI. LO SPORT COL TRUCCO. (Ho scritto un saggio dedicato)

I personal trainer.

Quelli che …La Pallacanestro.

Quelli che …La Pallavolo.

Quelli che..la Palla Ovale.

Quelli che...la Pallina da Golf.

Quelli che …il Subbuteo.

Quelli che…ti picchiano.

Quelli che…i Motori.

La Danza.

Quelli che …l’Atletica.

Quelli che…la bicicletta.

Quelli che …il Tennis.

Quelli che …la Scherma.

I Giochi olimpici invernali.

Quelli che …gli Sci.

Quelli che… l’acqua.

Quelli che si danno …Dama e Scacchi.

Quelli che si danno …all’Ippica.

Il Doping.

 

 

 

 

 

LO SPETTACOLO E LO SPORT

NONA PARTE

 

SOLITO SPORTOPOLI. LO SPORT COL TRUCCO. (Ho scritto un saggio dedicato)

·        I Superman.

Haaland, la dieta da 6mila calorie con cuore, fegato e lasagne. La reazione di The Rock: «È incredibile». BENNY MIRKO PROCOPIO su Il Corriere della Sera il 2 Novembre 2022.

Il campione del Manchester City continua a macinare gol sia in Champions che in Premier League. Tra i suoi segreti ci sarebbe una dieta da seimila calorie al giorno. L’unico sgarro? Le lasagne di papà Alfie 

Cuore, fegato, lasagne: Erling Haaland si mangia tutto tranne che i gol. La stella del Manchester City ha avuto un impatto devastante sulla Premier League, la massima serie del campionato di calcio inglese, realizzando la bellezza di 17 gol in undici partite. Il tutto senza dimenticare la Champions, dove ha gonfiato la rete cinque volte in quattro gare. Il merito? Talento, duro lavoro e una dieta fuori dall’ordinario, volta a coprire un fabbisogno di seimila calorie al giorno, con un’alimentazione che spazia dalle lasagne a tutti i tagli del bovino, compresi cuore e fegato.

La dieta di Haaland

A rivelarlo è stato lo stesso ex Borussia Dortmund, protagonista del documentario «Haaland: The Big Decision». Per raggiungere le calorie richieste, il giocatore consuma di tutto: pasta, pollo, pesce, verdure (banditi però olio e sale) e carne bovina. «Voi non mangiate queste cose, ma io mi preoccupo di prendermi cura del mio corpo — racconta il fuoriclasse —. Penso che mangiare cibo di qualità, che sia il più locale possibile, è la cosa più importante. La gente dice che la carne fa male, ma quale? La carne dei fast food? O la mucca locale che mangia erba proprio qui vicino? Io mangio il cuore e il fegato». 

Una dieta attenta anche ai liquidi la sua: «Ho iniziato a filtrare l’acqua che bevo. Penso che possa avere grandi benefici per il mio corpo». Il norvegese, infatti, si idrata solo con acqua filtrata e non tocca le bevande zuccherate. 

Un regime che ricorda quello di Cristiano Ronaldo, attentissimo alla dieta e alla cura del corpo. Anche Haaland, come CR7, ha l’abitudine di prendere il sole la mattina appena sveglio (lui afferma di guardarlo per regolare il ritmo circadiano) e fa i bagni nel ghiaccio.

Caloria negativa contro caloria vuota: come riconoscerle a tavola per dimagrire

Il numero nove del City ha però ammesso uno sgarro, giustificato dal fatto che si tratterebbe di un rito portafortuna: prima di ogni gara casalinga mangia le lasagne cucinate dal padre. Papà Alfie, ex giocatore (famoso soprattutto per aver subito un’entrata «killer» da Roy Keane) ha anche pubblicato su Instagram una foto del piatto propiziatorio. «Le ho mangiate prima di ogni gara casalinga — ha confessato Haaland —, e direi che hanno funzionato bene per ogni partita». Una storia che è arrivata anche all’orecchio dell’allenatore dei Citizens, Pep Guardiola, che ha detto: «Se è vero potremmo fare un’offerta al papà di Erling per venire a cucinare da noi. Convincerò il presidente ad ingaggiarlo, ma non penso che il segreto dei suoi gol sia solo questo». 

L’allenatore spagnolo non è stato l’unico a commentare le abitudini alimentari di Haaland. L’attore Dwayne «The Rock» Johnson (uno che consuma «normalmente» 5.000 calorie al giorno, arrivando fino alle 8.000 durante le preparazioni fisiche per i suoi film) ha così commentato le notizie sul calciatore: «Io adoro il cibo e mi sembra anche lui. Mangia cuori, fegato e una lasagna prima di ogni partita, ed è comunque in quella forma fisica? È incredibile».

The Rock, la dieta e gli allenamenti di Dwayne Johnson: ecco come funzionano. BENNY MIRKO PROCOPIO su Il Corriere della Sera il 5 Novembre 2022.

Dwayne Johnson, al cinema nei panni di «Black Adam», racconta la sua routine giornaliera: sette pasti e allenamenti massacranti per mantenere il suo fisico statuario. Ma quando approdò a Hollywood gli dissero di perdere peso e andare meno in palestra

The Rock: la dieta da oltre cinquemila calorie al giorno

Di Dwayne Johnson possiamo dirlo: il suo è un fisico scolpito nella roccia. A tal punto da dimenticare che l’attore ha da poco spento le cinquanta candeline. Una forma, la sua, frutto di un regime di allenamento che lo vede impegnato in palestra (ma non solo) sei giorni su sette, e ingerire la bellezza di oltre cinquemila calorie al giorno (fino a ottomila), suddivise su sette pasti.

L’allenamento mostruoso di The Rock

La routine di The Rock inizia ogni mattina alle 4:00, orario sul quale è settata la sveglia. Il suo primo impegno è un’attività cardio, una corsa di 30/50 minuti intorno all’isolato dove vive in Florida. Se non è a casa, invece, lo stesso tempo viene dedicato alla bicicletta ellittica. Una volta terminato l’allenamento, ecco che l’ex wrestler si concede la sua colazione energetica. Non aspettatevi cappuccio e brioches: si tratta di un pasto completo, composto da 225 grammi di carne di manzo (bavetta), uova, riso bianco, funghi saltati, cipolle e peperoni. Dopodiché riprende con la preparazione fisica, incentrata ogni giorno su un gruppo muscolare diverso. Si inizia la settimana con le gambe, poi in successione schiena, spalle, addominali e braccia, di nuovo gambe e muscoli del petto il sesto giorno. Gli esercizi prevedono moltissime ripetizioni ripartite in diversi set. Per esempio quattro set da 25 ripetute di affondi con le gambe. Per supportare un tale sforzo il protagonista di Black Adam consuma dalle 5mila fino alle 8mila calorie al giorno, in base al ruolo che deve ricoprire come attore. Se si parla di un personaggio «massiccio» o meno. La sua dieta, ricca di proteine e carboidrati, è composta da pollo, carne di manzo, albumi d’uovo, farina d’avena, broccoli, halibut, merluzzo, riso, asparagi, patate al forno, insalata, peperoni, funghi e cipolle, e poi anche alcune proteine della caseina.

The Rock: una giornata tipo

Per farvi un’idea, questo è un esempio del suo regime alimentare, riportato dalla rivista Muscle and Fitness:

Pasto 1: 280 grammi di merluzzo, 2 uova, 2 tazze (circa 150 g) di farina d’avena; Pasto 2: 220 grammi di merluzzo, 340 grammi di patate dolci, 1 tazza (circa 180 g) di verdure;

Pasto 3: 220 grammi di pollo, 2 tazze (circa 390 g) di riso bianco, 1 tazza (circa 180 g) di verdure;

Pasto 4: 220 grammi di merluzzo, 2 tazze (circa 390 g) di riso bianco, 1 tazza (circa 180 g) di verdure, 1 cucchiaio di olio di pesce;

Pasto 5: 220 grammi di bistecca, 340 grammi di patate al forno, spinaci;

Pasto 6: 280 grammi di merluzzo, 2 tazze (circa 390 g) di riso, insalata;

Pasto 7: 30 grammi di caseina in polvere, una frittata con 10 albumi, 1 tazza (circa 180 g) di verdure (cipolle, peperoni, funghi), 1 cucchiaio di olio omega-3.

The Rock: i pasti ad orari «fissi» e i giorni liberi

Il suo è un programma ferreo, anche per quanto riguarda gli orari dei pasti. Il regista Stephen Merchant, che ha lavorato con Johnson sul set di «Una famiglia al tappeto», ha raccontato che quando va a cena fuori con gli amici deve portarsi dietro il suo cibo al ristorante, e farlo poi riscaldare per via della dieta strutturata che deve osservare. «Ricordo di aver avuto un meeting insieme a lui in Texas. Era un incontro per parlare del film. Alle 15:17 suona la sua sveglia ed ecco che si alza e va a prendere dal frigo delle porzioni di tacchino e riso – dove c’era scritto 3:17 del pomeriggio – che poi riscalda al microonde. Non sapremo mai perché non abbia arrotondato alle 3:15 o 3:20 del pomeriggio, ma di certo ha un regime ferreo».

Una routine che viene interrotta solo nei «cheat day meal», i suoi «giorni di pasti liberi», in cui l’atleta si concede tutti gli sgarri possibili. Un’attività che gli piace molto raccontare sui social, dove lo vediamo ingurgitare valanghe di uova, bacon e pancake.

The Rock: «Ad Hollywood mi dissero di dimagrire»

Costanza, duro lavoro e dieta ferrea hanno permesso a Dwayne Johnson di reinventarsi come attore dopo essere diventato celebre come lottatore. Un percorso non semplice, come lui stesso ha raccontato in un’intervista a Good Morning America: «Quando sono arrivato a Hollywood, molte lune fa, le più grandi star in circolazione erano George Clooney, Johnny Depp e Will Smith. All’epoca, fuori dal mondo del wrestling, mi dissero che se avessi voluto diventare una star non avrei dovuto chiamarmi The Rock. ‘Non parlare di wrestling, perdi peso, mettiti a dieta, sei troppo grosso, non andare così tanto in palestra’. Mi dissero un sacco di cose simili, e quando non hai esperienza te le bevi. Ascoltai quei consigli per un paio d’anni prima di dire: ‘Basta così. Voglio essere me stesso, e se fallirò, fallirò senza negare la mia identità’». Una scelta che lo ha premiato.

Si è già operato tre volte: Mondiali a rischio. La malattia di Neuer, la rivelazione del portiere: “Ho il cancro, non posso stare all’aperto”. Redazione su Il Riformista il 2 Novembre 2022 

Il portiere del Bayern Monaco Manuel Neuer ha rivelato su Instagram di star combattendo contro un cancro della pelle. Il numero uno della squadra tedesca ha ammesso, in un video, di aver già subito tre diversi interventi chirurgici per sconfiggere la malattia: una vera e propria corsa contro il tempo, l’ha definita il portiere, che da ottobre è fermo (anche) per un problema alla spalla. Nel video, condiviso sui suoi social, il calciatore spiega le sue condizioni di salute mentre sponsorizza una crema solare insieme alla tennista tedesca Angelique Kerber.

“Ho dovuto sottopormi a tre operazioni per via di un cancro alla pelle”, ha esordito Neuer. “Dal momento che ci alleniamo e giochiamo costantemente all’aperto – e che mi piace anche trascorrere il mio tempo libero nella natura – è essenziale per me utilizzare prodotti con filtri di protezione solare moderni e con fattore di protezione solare 50+.  In questo modo sono sicuro di avere una crema solare che ci protegge continuamente e con la quale la mia pelle non si può scottare“.

Secondo quanto riportato sul sito tedesco Bild, le speculazioni su una possibile malattia dell’atleta sono iniziate nel dicembre 2021, quando il 36enne è stato visto camminare con un cerotto sul viso prima dello scontro di Champions League del Bayern Monaco con il Barcellona. Neuer ha ancora oggi una cicatrice in volto, piuttosto visibile, dopo essersi operato in tre diverse occasioni.  Considerato uno dei più grandi portieri di tutti i tempi – avendo anche vinto la Coppa del Mondo con la Germania nel 2014 – Neuer sta lottando per ricostruire la sua forma fisica in vista della Coppa del Mondo di questo mese; diversi siti sportivi tedeschi riportano che il cancro della pelle non dovrebbe influire sulla disponibilità dell’atleta a scendere in campo per la Germania, in vista della selezione della squadra di Hansi Flick.

Neuer e il tumore della pelle: il portiere del Bayern operato tre volte.  Simone Golia, Redazione Gianlucadimarzio.com il 2 Novembre 2022 

Il numero uno del Bayern e della nazionale tedesca, che in carriera ha vinto tutto, ha lanciato con la tennista Angelique Kerber una campagna di prevenzione con una linea di prodotti solari 

«Mi sono dovuto operare già tre volte per un cancro della pelle». Manuel Neuer, uno dei portieri più forti di sempre, ha sorpreso tutti annunciando il lancio di una linea di prodotti condivisa con la tennista Angelique Kerber. Il giocatore del Bayern ha deciso di attivarsi pubblicamente e promuovere la prevenzione insieme con la tennista che ha una storia simile (soffre di un'iperpigmentazione indotta dal sole) e proprio questo vissuto comune ha spinto i due sportivi a fare qualcosa di concreto: «Ecco perché non scendo a compromessi quando si tratta di protezione solare, perché mi alleno sempre all'aperto e mi piace anche trascorrere il mio tempo libero nella natura», ha ribadito il numero uno del Bayern, che con l’Inter non è sceso in campo. Sta recuperando da un infortunio alla spalla, l’ennesimo stop fisico che lo ha colpito negli ultimi cinque anni, durante i quali ha saltato la bellezza di 84 partite. 

Rivoluzionario – Malgrado tutto, Neuer fa parte di quella classe elitaria di calciatori che hanno cambiato il calcio, al pari di Johan Cruyff, Maradona o Franz Beckenbauer. Ha inventato un nuovo prototipo di portiere, abilissimo tanto con le mani quanto con i piedi. Uno stopper fra i pali: «Potrebbe tranquillamente giocare a centrocampo», si spinse a dire il ct della Germania Löw, con cui è salito sul tetto del mondo nel 2014: «Con lui in difesa potevi giocare più in alto in campo: sapevi che dietro di te c'era un portiere che poteva giocare come ultimo uomo. E quando dribbla gli attaccanti è incredibile», l’elogio di Schweinsteiger, che gli passò la fascia da capitano della nazionale. Altra virtù i rigori, ne ha parati oltre 20 in carriera, fin da quando sognava di diventare come il suo idolo Lehmann e di difendere la porta dello Schalke, la squadra del cuore. Affacciandosi dalla finestra di camera, riusciva a vedere il vecchio stadio, che si trovava accanto all’attuale Veltins Arena. Ha messo piede nel club a soli quattro anni, indossando i guantoni nonostante fosse il più basso di tutti (strano per uno che supera il metro e novanta).

Odiato e amato: oggi Neuer ha 36 anni. Ha vinto 29 trofei in Germania e in giro per il mondo, compreso un Mondiale. Nel 2014 avrebbe vinto pure il Pallone d’Oro se non ci fossero stati gli alieni Ronaldo e Messi. Da simbolo di Gelsenkirchen – dove il padre Peter, poliziotto, si trasferì dal Baden-Württemburg (sud-ovest della Germania), è diventato simbolo del Bayern Monaco. Al suo arrivo ecco una pioggia di critiche. Dai suoi vecchi tifosi, che si sentivano traditi tanto da bruciare un manichino fatto per l’occasione, ai nuovi, che non gli avevano perdonato un’esultanza sfrenata dopo una vittoria sui bavaresi nel 2009. Non poteva neanche cantare l’inno del club, gli era stato impedito dagli ultras, così come gli era vietato avvicinarsi alla loro curva o baciare la maglia. Al Bayern era costato 30 milioni di euro, tantissimi per un portiere considerando il mercato del 2011. Ma Neuer mette d’accordo tutti fin da subito, serrando la porta per ben 1.147 minuti, un record interrotto solo dallo sciagurato autogol di Badstuber in un match di Champions contro il Napoli. 

Cuore d’oro: Ha esordito in Bundesliga a 20 anni, tenendo la porta inviolata in 19 partite. E’ diventato il volto di una tradizione, quella dei portieri tedeschi, di assoluto prestigio come dimostrato dai vari Sepp Maier, Bodo Illgner, Kahn e Lehmann. Aveva 24 anni quando ha preso il posto degli ultimi due, diventando il nuovo Nummer Eins - numero uno – della sua nazionale. E’ diventato il terzo portiere più giovane di sempre della Germania al Mondiale alle spalle di Illgner e Fahrian. Ha cambiato un ruolo senza mai cambiare se stesso. Una superstar di livello globale che non si è fatto toccare da fama e soldi. Cattolico devoto, ha utilizzato la sua Fondazione - la Manuel Neuer Kids - per migliorare la vita dei bambini meno fortunati della Ruhr: «Voglio restituire loro ciò che ho avuto io, ovvero opportunità e prospettive di vita». Nel 2011 ha vinto 500.000 euro partecipando per beneficienza all’equivalente tedesco di Chi vuole essere milionario?. Ora la battaglia per prevenire il tumore, al quale non si è mai arreso. Aspettando il ritorno in campo col suo Bayern.

Salvatore Malfitano per gazzetta.it il 31 ottobre 2022.

La costante è il sorriso, qualsiasi sia l’argomento trattato. Dagli aneddoti con Abdul-Jabbar e Bird alla sua lotta che negli anni Novanta è stata decisiva per sensibilizzare le masse sull’Hiv. "Chiamatemi Magic per stasera" dice Earvin Johnson jr. a Fabio Fazio, che gli chiede come deve rivolgersi durante l’intervista a Che tempo che fa, il talk show in onda su Rai Tre. 

Proprio l’annuncio della sieropositività e tutto ciò che ne è derivato, è il tema più delicato della conversazione: "È stata la mia partita più difficile, nel 1991 c’era discriminazione. Le cure non erano adeguate, noi invece siamo riusciti a cambiare molte di queste cose, migliorandole.

Abbiamo fornito alloggi alle persone che lo avevano, interrompendo discriminazione, razzismo e tutto ciò che ne comportava, educando il mondo intero e credo che oggi le cose vadano molto meglio". Il celebre immunologo statunitense Anthony Fauci ne ha approfittato per ringraziarlo per il suo contributo fondamentale. Un apporto fatto di gesti iconici, come la partecipazione all’All-Star Game 1992, che fece storcere il naso a tanti ma servì a "dimostrare, grazie alla possibilità che mi ha dato il commissioner David Stern, che si può vivere una vita normale e produttiva anche essendo portatore di Hiv. È stato ottimo per me e per il mondo".

LE ORIGINI —   Magic ha quindi raccontato il legame con la famiglia, in particolare col padre che ha rinunciato ad una carriera da professionista nel basket per crescere la propria famiglia: "Ha sacrificato tanto per me, ha dovuto lasciare lo sport per noi e tocca a me ora ricompensarlo e ripagarlo, permettendogli di smettere di lavorare per godersi la vita e me, che sono arrivato a questi livelli. 

Ora ha 88 anni e gli ho comprato una bella casa, ogni giorno lo ringrazio perché ha significato tanto per me, come padre, eroe, mentore e probabilmente miglior amico". Le responsabilità derivanti da un soprannome così importante sono state subito chiare. "Riceverlo è stato motivo di grande gioia, mi sono reso conto che sarei dovuto essere all’altezza di questo nome sul campo. Dovevo vincere per dimostrare che fosse davvero adatto, dovevo diventare un campione ed è quello che è successo" ha proseguito.

GLI ANEDDOTI —   Al suo arrivo ai Lakers, nel 1979, la sua esuberanza giovanile si scontrò con l’atteggiamento austero di Abdul-Jabbar: "Io e Kareem eravamo molto diversi, avevo quasi 20 anni e mi piaceva molto la musica ad alto volume, mentre lui era silenzioso, tranquillo. Ascoltava jazz e io invece avevo lo stereo a tutta forza. Mi diceva sempre di abbassare la musica, ma alla fine siamo diventati molto amici. 

Lui era il giocatore più dominante della Lega, abbiamo vinto il campionato al primo anno per questo e perché sono riuscito a diventare leader di quella squadra". Memorabile la rivalità con Larry Bird, anche perché i due sono poi diventati grandi amici: "Penso che, arrivati in Nba, abbiamo cambiato il gioco, facendolo diventare più popolare. Abbiamo fatto partite memorabili.

Per Larry ho sempre avuto grande rispetto, è sempre stato uno dei miei idoli, ma da avversario non mi piaceva e nemmeno i tifosi dei Celtics. È stata una rivalità intensa. Ed è stato un bel momento sapere che alla mamma di Bird piacesse come giocavo. Convinsi Larry e Jordan a giocare nel Dream Team alle Olimpiadi di Barcellona, era un sogno per me poter essere loro compagno. Quella squadra ha aperto il mondo alla pallacanestro secondo me ed è per questo che il basket e l’Nba nello specifico sono diventati così internazionali". 

ALLA CASA BIANCA —   Il livello di celebrità lo ha reso spesso un ospite gradito della Casa Bianca, dove ha condiviso tanti momenti scherzosi con vari presidenti degli Stati Uniti. Ma il suo preferito è Barack Obama: "È quello con cui mi sono divertito di più, anche alle feste di Natale che organizzava. Un momento che ricordo bene è quando Beyoncé si è esibita davanti al presidente e alla First Lady.

Devo riconoscere che è un buon giocatore, abbiamo fatto qualche partita alla Casa Bianca e anche lui è mancino, è bravo e lo apprezzo molto anche come persona. Io invece da piccolo mi alzavo alle cinque del mattino e i miei vicini impazzivano perché palleggiavo e volevano dormire prima di andare a lavorare, io li svegliavo. Il campo era a due isolati da casa, alla Casa Bianca il campo è nelle vicinanze, in un altro edificio.

Ha invitato ex giocatori e giocatori attuali della Nba e abbiamo giocato insieme, poi siamo tornati e abbiamo fatto una grigliata in giardino". Magic non ha mai fatto segreto di adorare l’Italia per trascorrere le vacanze. Così ha voluto rivolgere un caloroso ringraziamento, prima di salutare. "Da oltre trent’anni in estate mi reco in Italia, dove trovo gente e cibo meravigliosi. Io e mia moglie siamo innamorati di Portofino, Porto Cervo, Forte dei Marmi, Capri. Ne approfitto per mostrare a tutti la mia gratitudine". Col solito splendido sorriso. 

"Non reagisce alle cure". Paura per le condizioni di Pelé. La leggenda del calcio versa in condizioni di salute drammatiche dopo l’operazione per un tumore all’intestino. Secondo la stampa brasiliana, il Re sarebbe stato trasferito nel reparto di cure palliative. Massimo Balsamo il 3 Dicembre 2022 su Il Giornale.

Brasile in apprensione per le condizioni di salute di Pelé. Secondo quanto riportato da A Folha, l’ottantaduenne non starebbe più rispondendo alle cure, alla chemioterapia per la precisione, dopo l’operazione di settembre per un tumore all’intestino. La leggenda del calcio da martedì si trova all’ospedale Albert Einstein – dove era arrivato con uno scompenso cardiaco e con un gonfiore generalizzato – il suo quadro clinico sarebbe peggiorato esponenzialmente nel corso degli ultimi giorni.

Paura per le condizioni del Re

In base a quanto riferito dal giornale brasiliano, Pelé sarebbe stato trasferito nel reparto di cure palliative. Le metastasi avrebbero aggredito anche i polmoni e il fegato, per questo motivo i medici avrebbero optato per la sospensione della chemio, optando per trattamenti in grado di alleviare il dolore e la mancanza di respiro. Stop alle terapie invasive, in altre parole. Per il momento l’ospedale Albert Einstein non ha commentato le indiscrezioni della stampa, sono attesi comunicati ufficiali nel corso delle prossime ore.

Pelè: "Gioco contro il tumore con il sorriso"

L’indiscrezione rilanciata dal Brasile è in netto contrasto con le dichiarazione di Kely Nascimento, figlia del Re. “C'è allarmismo sui media in relazione alle condizioni di salute di mio padre. Mio papà è ricoverato in ospedale, stanno aggiornando le terapie”, le sue parole da Doha: “Non salterò su un volo per correre lì. I miei fratelli sono in visita in Brasile e io andrò a Capodanno. Nessuna sorpresa o emergenza”.

La versione di Pelé

Semplici controlli di routine, dunque, secondo la famiglia di Pelé. Lo stesso ex calciatore aveva pubblicato un post sui social network per rassicurare i suoi seguaci: “Amici, sono in ospedale per la la mia visita mensile. Fa sempre piacere ricevere messaggi positivi come questo. Ringrazio il Qatar per questo pensiero e tutti coloro che mi mandano le loro energie positive”. Tanti gli attestati di vicinanza dal mondo del calcio, a partire dal ct della selezione brasiliana Tite: "Vogliamo tutti augurare buona salute a Pelé, il nostro più grande calciatore, un extraterrestre fra i terrestri. Buona salute, ha la solidarietà da parte di tutti noi". Su Twitter è arrivato anche il commento di Kylian Mbappè: "Prego per il Re".

Gaia Piccardi per il “Corriere della Sera” il 4 dicembre 2022.

Fate in fretta, l’alchimista sta esaurendo le magie. O Rei aggrappato alla vita («Sono forte, ho fede in Dio, i messaggi mi danno energia») è il viatico della Seleçao che domani affronta la Corea del Sud negli ottavi del Mondiale. Il totem resiste, verrà il tempo della saudade ma adesso l’impresa. «Una partita da fermare il battito del cuore» scriveva su Twitter il 28 novembre Edson Arantes do Nascimiento detto Pelé (lo pseudonimo non gli è mai piaciuto, preferiva Dico, il soprannome inventato dallo zio Jorge con cui la madre Celeste l’ha sempre chiamato), giorno di Brasile-Svizzera 1-0. 

Ventiquattrore dopo è stato ricoverato all’ospedale Albert Einstein di San Paolo: sembravano gli esami periodici con cui da un anno e mezzo il calciatore più famoso del mondo tiene sotto controllo un tumore al colon («Calma amici, papà sta mettendo a punto con i medici i farmaci da prendere. Nessuna sorpresa né emergenza: si tratta dei soliti test» ha postato sui social la figlia Kely Nascimento), invece la situazione sarebbe rapidamente precipitata.

«Pelé non risponde alle cure chemioterapiche, è stato spostato nel reparto di quelle palliative» titola la Folha de Sao Paulo, quotidiano paulista, aggiungendo a un quadro sanitario già allarmante l’insorgere di un’infezione respiratoria oltre alle metastasi al fegato e ai polmoni, l’ennesimo spettro per la salute già minata dell’82enne leggenda brasiliana. 

Dal Qatar, dove è al seguito della Nazionale di Tite, Kely si sforza di essere ottimista («Non salterò su un volo per correre lì: i miei fratelli sono in Brasile, io li raggiungerò a Capodanno») però il Paese tiene il fiato sospeso. A 12 mila chilometri di distanza la Seleçao di O Ney (Neymar stella infortunata, ieri ha ricominciato ad allenarsi: compagni e tifosi lo aspettano in campo per la finale) prova a conquistare il sesto Mondiale, a casa O Rei (che di Mondiali ne ha vinti tre — ’58, ’62, ’70 —, record) tenta l’ultima fuga per la vittoria.

Non c’è bossa nova di Jobim che possa lenire il dolore per il lungo addio di Pelé, davanti all’ospedale cominciano a formarsi capannelli e cori, la Fifa lo omaggia facendo alzare nel cielo di Doha cento droni che disegnano la maglia verdeoro numero 10, «guarisci presto campione» è il messaggio. Non c’è ex calciatore, erede, amico che in queste ore non ricordi il migliore, sono passati solo 373 giorni dalla scomparsa dell’altro grandissimo, Maradona, il pianeta calcio non è pronto per un secondo profondissimo lutto. 

Presente e passato si fondono in un’unica spoon river. Harry Kane, capitano dell’Inghilterra: «La Nazionale dei Tre Leoni ti augura il meglio». Jurgen Klinsmann, ex bomber e c.t. della Germania: «Sei una persona meravigliosa, prego per te». Tite, c.t. del Brasile: «Lui è il nostro maggior rappresentante, un extraterrestre diventato terrestre. Tutti i nostri pensieri sono per lui». Mbappé, il centravanti della Francia che Pelé volle conoscere dopo il trionfo al Mondiale 2018, quando a 19 anni e 207 giorni divenne il più giovane bomber in una finale, secondo solo al brasiliano (17 anni e 249 giorni nel ’58 in Svezia, doppietta): «Pray for the King».

In Qatar l’anziano campione che si rifiuta di arrendersi è sugli striscioni, sui grattacieli, nei laser che illuminano lo stadio di Lusail, dove il 18 dicembre si assegnerà la coppa, sopra le maglie celebrative di una generazione che ha imparato a conoscerlo per sentito dire, nei filmati su YouTube, grazie ai racconti dei nonni. 

Ragazzi che, pur non avendolo mai visto in azione, non hanno potuto fare altro che amarlo. Il mondo tifa per l’icona che puliva scarpe per guadagnare qualche real: il bambino che inventò il calcio prendendo a pedate un mango (e poi una palla di stracci) non può essere mortale.

Pelé compie 82 anni, i momenti iconici della sua carriera calcistica. O’ Rey compie 82 anni. Un calciatore soprannaturale: iconico, estetico, ma anche tremendamente decisivo. Il Santos, l’eterno confronto con Maradona e il mancato sbarco in Italia. Dagli esordi ai trionfi: (breve) cronistoria di un mito. Paolo Lazzari il 23 Ottobre 2022 su Il Giornale.

Josè Ramos Do Nascimento si scruta la punta delle scarpe, perplesso. Possiede mezzi tecnici discreti, ma niente di trascendentale. Al campo lo chiamano Dondinho. Gioca per il Bauru Atletico Club, ma raramente riesce a fare la differenza. Gli anni trascorrono spietati. E si sa, i padri tendono a proiettare sui figli la prospettiva di quel che avrebbero voluto essere, ma non sono mai stati. Dico – è come chiamano suo figlio lui e mamma Celeste – pare molto più promettente di lui. Nato il 23 ottobre 1940, a soli otto anni dribbla già meglio di tutti i suoi compagni. È veloce il doppio. E soprattutto segna caterve di gol. Poi corre tra le sue braccia e sfodera un enorme sorriso avorio, due gigantesche pupille che si dilatano per la gioia. Ora Josè è un po’ meno perplesso. Forse è Dico il suo lasciapassare per abbordare una vita migliore del formato favelas.

Chi è Pelé: le origini del soprannome

Dico, che poi si chiamerebbe Edson Arantes Do Nascimento, cresce in fretta. La scuola non è il suo ecosistema e nei ritagli scuce qualche spicciolo ai più grandi facendo il lustrascarpe. Il suo destino però è inciso in un pallone che rotola. Ad un certo punto gli affibbiano un altro nomignolo. Iniziano a chiamarlo Pelé. L’origine non è nitida. Per alcuni scaturirebbe dai campetti brulli su cui affina il suo talento (un campo senza erba, cioè un campo “pelado”). Altri invece ritengono che si tratti di un’assonanza cercata con il cognome di un ragazzino, tale Quele, che al tempo giocava con il portamento di un fenomeno.

Svezia 1958, il primo grande trionfo

Scatto in avanti. Nemmeno maggiorenne - è il 1958 - il Brasile lo convoca per il mondiale in Svezia. In squadra dovrebbe fare il comprimario, perché davanti a lui c’è gente del calibro di Altafini, Garrincha e Zagallo. I verdeoro sono quotati bene, ma non hanno mai sollevato la coppa. Pelé resta a guardare per le prime due gare e, nel frattempo, scruta da vicino – come racconterà lui stesso in seguito – anche le bionde native. Nei dintorni di Goteborg, dove la nazionale è in ritiro, si consuma una delle sue primissime esperienze con il sesso. Il vero flirt però giunge sul campo. Il ct Vicente Feola se lo gioca contro i bionici calciatori dell’Urss e lui ripaga la fiducia con gli interessi, trascinando la squadra al successo. Da lì in poi non si fermerà più. Giustizia il Galles di Charles con un gol fenomenale. Ne segna tre alla Francia del bomber Just Fontaine. Ne fa due in finale contro la Svezia. Oltre alla caterva di reti, sorprende per la disinvoltura con cui dribbla, per il modo in cui accarezza il pallone, per le accelerazioni che funestano le retroguardie avversarie. Il Brasile leva finalmente contro il cielo la coppa. Tutto il mondo adesso ha il suo nome sulla punta delle labbra.

Dove ha giocato

Inizia a trillare il telefono del Santos, la squadra in cui gioca. Prima il Real Madrid: andarci sarebbe un sogno, ma il club brasiliano spara altissimo per il cartellino. Sa bene che Pelé è una miniera d’oro portatile: ovunque chiedono amichevoli lautamente ricompensate. Tutti vogliono vederlo giocare dal vivo. Si fa avanti anche Gianni Agnelli. Nulla da fare, anche la Signora va in bianco. Il club che ci va più vicino in assoluto è il Napoli: Pelè ha letteralmente la maglia azzurra cucita addosso, quando arriva l’impensabile dietrofront. La società ha già venduto tutti gli abbonamenti. Il suo arrivo farebbe detonare una catastrofe in termini di ordine pubblico. Servirebbe un altro San Paolo per accogliere tutte le richieste. Non se ne fa di nulla. Il mancato approdo nel calcio europeo è perenne tema del contendere. Si può davvero definire O’ Rey uno che ha giocato soltanto in Brasile e negli Usa? Il confronto con Maradona pende spesso dalla parte del fuoriclasse argentino per questo motivo. Alcuni sostengono che ad un certo punto si sia messo in mezzo addirittura il governo brasiliano: Pelè era un’industria che non poteva levare l’ancora. Lui in seguito dirà: “avevo tante opportunità, ma in quel momento il Santos era tra i club più grandi del mondo e stavo bene lì”.

In Cile e in Inghilterra a mezzo servizio

Vince un’altra coppa del mondo in Cile, nel 1962, ma non se la sente troppo addosso perché si fa male quasi subito. Fa comunque in tempo a piazzare due gol e un assist. Quattro anni dopo, alla corte della regina, diventa il primo calciatore nella storia ad aver segnato in tre competizioni iridate diverse. Si ferma anche qui, a causa della scomposta ruvidità con cui i difensori trattano le sue caviglie. Privata del suo talento più fulgido la Seleção viene sbattuta fuori nel girone. Non una gran figura.

L’apice a Messico 1970

Quel frullato di mestizia è destinato ad essere archiviato in fretta. A mondiali messicani del 1970 il nostro si presenta all’apice della sua maturità calcistica. La sua superiorità in campo lambisce contorni oltraggiosi. Gli avversari sono ridotti in poltiglia. In finale c’è l’Italia: chi vince si aggiudica l’ultima edizione della coppa Rimet. Anche chi non l’ha visto dal vivo sa: Pelé aggancia una corrente ascensionale, sale in testa a Tarcisio Burgnich, resta sospeso in aria per un tempo infinito e sblocca la gara. Finirà in mattanza: 4-1 verdeoro, terzo successo mondiale. La versione più fulgida di Edson.

Gli oltre 1000 gol in carriera e l’epilogo a New York

Dopo quel momento la sua carriera infila il declivio scosceso che conduce verso l’epilogo. Ha l’acume per capire che gli conviene monetizzare il più possibile e diventa il frontman di un gran numero di sponsor. Nel frattempo continua comunque a segnare a manovella. A fine carriera, tra Santos e nazionale, si conteranno oltre 1000 reti. Chiuderà ai New York Cosmos, dove gli srotolano un tappeto di dollari e dove dice di essere andato per aprire le frontiere calcistiche negli States. Il più grande di sempre? Forse manca la riprova. Magari in Europa sarebbe andata diversamente. Di certo quando ci pensi è il primo nome sulla punta delle labbra.

Riconoscimenti, premi

Nel corso della sua luminosa carriera, oltre ai titoli vinti con il Santos e con la nazionale, Pelé ha fatto incetta di premi personali. Tra i principali spiccano:

Il titolo di miglior giovane dei Mondiali (Svezia 1958)

Quello di calciatore sudamericano dell’anno (1973)

L’inserimento nella National Soccer Hall of Fame (1993)

Il titolo di calciatore del secolo per la FIFA (2000)

Il Pallone d’oro FIFA – Prix d’honneur (2000)

Momenti iconici

Pelé è stato protagonista di numerosi frangenti che sono rimasti impressi nella memoria collettiva. Qui ne rammentiamo tre.

In Africa, negli anni Sessanta, infuria uno scontro sanguinario. La Nigeria è funestata dalla guerra di Secessione del Biafra, una strage da oltre un milione di morti. Quando però giunge la notizia che il fuoriclasse brasiliano potrebbe disputare una partita lì, il conflitto incredibilmente si interrompe. Vengono stabilite 48 ore di armistizio generale fra le truppe regolari e il fronte di liberazione: assurdo. Tutti assistono alla partita, in pace.

È eterna la disputa con El Pibe de Oro, Diego Armando Maradona. Meglio lui o Pelè? Il dibattito genera un attrito lungo anni. Il 15 agosto 2005 va però in onda “La notte del dieci”, show sulla tv argentina condotto proprio da Maradona. Il primo ospite? Pelé. I due conversano a lungo, tra ricordi e ampi sorrisi. Pace fatta e tensioni archiviate, ammesso che ce ne fossero mai davvero state.

Nel 1981 viene chiamato a prendere parte al cast dell’iconico film “Fuga per la vittoria”. Gioca per la formazione degli Alleati con la maglia numero 10 sulle spalle ed il nome di Luis Fernadez, recitando al fianco di attori del calibro di Sylvester Stallone e Michael Cane. 

Maurizio Crosetti per “la Repubblica” il 22 settembre 2022.  

Il paese delle ultime cose è un luogo triste, adatto all'addio, anche perché quelle cose sono quasi sempre le penultime, o le terzultime. Oppure erano davvero le ultime ma non lo sapevamo. Il campione non riesce a separarsi dal suo essere più profondo, non può, ogni ritiro è una piccola morte. Roger Federer difficilmente sfuggirà alla regola.

Ci sono addii scenografici, come quelli di Del Piero e Totti, e altri irriconoscibili: di Marco Van Basten non si poteva sapere che non lo avremmo più visto in campo, e Paolo Maldini ancora aspetta la festa di chiusura col Milan. Anche perché, certi giorni, feste non sono. C'è tanta malinconia, spesso è l'incapacità di andarsene e allora il campione ritorna ma mette tristezza, forse era meglio di no. Esistono contorni difficili da definire.

L'ultima gara di Michael Schumacher è stata la sua ultima vittoria in carriera, sulla Ferrari, nel gran premio di Cina del 2006? Oppure quella del 2012, in Brasile, primo Button, titolo a Vettel con Schumi sulla Mercedes, quando arrivava sempre dietro? Anche il più grande pilota di tutti i tempi non sapeva stare fermo, salutò, tornò e non era più lui. Chiuse ufficialmente con un settimo posto che non ricorda nessuno.

Quanto sono tragici, insostenibili per la memoria, gli ultimi scatti di Marco Pantani sulla salita del Toce, verso la cascata dove chiuse la tappa più lunga del Giro del 2003. Il Pirata partì una, due, tre volte ma senza fare il vuoto: quello, l'aveva dentro. Marco morì in solitudine, otto mesi e mezzo più tardi, in quella pensione davanti al mare di febbraio. Andarsene intristisce, a volte con un tocco di grottesco.

Diego Maradona chiuse giocando un Superclásico tra Boca e River, il 25 ottobre 1997, si presentò allo stadio in compagnia del suo preparatore atletico che si chiamava Ben Johnson. «Il doping? Io so solo che Ben è stato l'uomo più veloce del mondo». Giocò quasi da fermo, Diego, quella volta, e solo per un tempo, passando quasi sempre il pallone al compagno più vicino. L'addio può essere un pozzo, un raptus, come la testata di Zidane a Materazzi, oppure un contropiede, come quando Platini chiamò tutti nello spogliatoio dopo Juve-Brescia, era il 1987, versò spumante nei bicchieri di plastica e disse «la chiudo qui».

 O come quando Boniperti consegnò gli scarpini al magazziniere esterrefatto, «tienili tu, a me non serviranno». E quando, il 14 giugno 1998, Michael Jordan inventò the last shot che consegnò il titolo ai Bulls, doveva chiuderla lì, dentro la cornice del mito. Invece smise, poi tornò, per un nuovo addio, ma imperfetto: il 16 marzo 2003 quando entrò in campo con la maglia dei Wizards contro i Philadelphia 76ers, l'allenatore avversario Larry Brown ordinò ai suoi di fare subito fallo su Jordan per mandarlo in lunetta: due su due a 2'35" dalla fine, peccato che l'ultimo tiro Michael l'avesse scoccato cinque anni prima.

L'addio può essere plastificato e sintetico come una partita commemorativa, un circo Pace e Bene. Per salutare Pelé, nel 1977 i Cosmos allestirono un'amichevole a New York contro il Santos e il re indossò la maglia di entrambi i suoi club, giocando un tempo per parte. Segnò su punizione con una stangata di destro, lo abbracciarono, pianse, ma almeno smise una volta sola. La grandezza non è quasi mai proporzionata al senso dell'addio.

 L'ultima corsa di Fausto Coppi fu il trofeo Baracchi del 1959, meno di due mesi prima di morire: in coppia con Bobet arrivò a oltre 5 minuti da Baldini e Aldo Moser. Ma l'ultima vittoria in una corsa in linea fu il Giro dell'Appennino del 1955, Fausto arrivò da solo a Pontedecimo e nessun braccio alzato. Anche se, tecnicamente, salì in bici per l'ultima volta a Ouagadougou il 13 dicembre 1959, nella kermesse africana che gli costò la vita. Fu 2° dietro Anquetil, si prese la malaria, morì il 2 gennaio 1960. 

Il funerale sul colle di Castellania sembrava una tappa del Giro, con la folla ai bordi e lui nel mezzo, che saliva in vetta tra la neve. L'addio è materia liquida. Quello di Gigi Buffon non ci sarà mai, perché c'è già stato troppe volte: due con la Juventus (2019 e 2021), una col Psg, nessuna con la Nazionale, con il Parma si vedrà. Eterno il campione, eterna l'incapacità di smettere. Fu diverso per Valentino Rossi: il suo addio in moto durò un anno intero, ma poi basta.

Furono una manciata di secondi quelli di Federica Pellegrini a Riccione, negli ultimi 200 stile della vita, le lacrime in piscina si confondevano con l'acqua ma le sue si vedevano benissimo. L'ultima gara di Pietro Mennea fu la batteria di eliminazione ai Giochi di Seul '88: portabandiera, arriva quarto, è la quinta Olimpiade. Prima del colpo di pistola dello starter, il telecronista Paolo Rosi riepiloga la carriera dell'immenso campione, ben sapendo che sta per chiudersi un'epoca. La voce un poco gli trema.

Ronaldo: "Ero depresso". I campioni e il male oscuro che adesso non è più tabù. Non solo privilegi e copertine. Il "fenomeno" come Buffon e gli altri, modelli di umanità. Matteo Basile il 16 Ottobre 2022 su Il Giornale.

Giovani, ricchi, famosi. Cosa mai potrà mancargli? Di cosa mai si potranno lamentare? Siamo abituati a vedere i campioni dello sport come super eroi. Osservati, osannati, presi a modello. Vite da copertina invidiate dai noi comuni mortali. Eppure lontano dai riflettori, dietro a quella patina quasi di imperturbabilità, si può nascondere un mondo. Segreto, buio. Dannatamente normale. Altro che super eroi: uomini e donne come noi che vivono di dubbi, di ansie, di fragilità. E alle volte anche di buchi neri che prendono l'anima e portano lontano, in mondi ammantati da un buio profondo e da paure difficili da affrontare. E spesso difficili da confessare. Ma sempre più sportivi lo ammettono: la depressione non è più tabù. L'ultimo a raccontare le proprie debolezze è stato Luis Nazario de Lima, a tutti noto come Ronaldo, uno dei calciatori più forti, ricchi e famosi degli ultimi 50 anni.

«Sì, oggi faccio terapia. Sono passati due anni e mezzo e capisco molto meglio anche quello che avevo provato prima», ha raccontato il Fenomeno. Lui che ha conquistato il mondo con le sue giocate e il suo sorriso, anche nei momenti più difficili di una carriera condizionata dagli infortuni. Lui che ha guadagnato milioni. Lui che ha avuto donne bellissime al suo fianco. Lui che è stato ed è amato da milioni di appassionati. Eppure. Eppure nemmeno lui è un robot. «Guardo indietro e vedo che siamo stati esposti a uno stress mentale molto, molto grande e senza alcuna preparazione per questo. Anche perché non c'era alcuna preoccupazione per la salute mentale dei giocatori» ha raccontato il brasiliano, spiegando che oggi le cose sono cambiate e c'è più attenzione anche agli aspetti emotivi. «Ai miei tempi non c'era niente di questo. Molti hanno attraversato momenti terribili, anche di depressione, per mancanza di privacy, mancanza di libertà. I problemi erano molto evidenti, ma le soluzioni non erano subito disponibili».

E chi non ha radici solide e certezze a cui aggrapparsi e chiedere aiuto, da quel cono nero può essere assorbito. Perché tra depressione, attacchi di panico e paure per il futuro, in tantissimi tra atleti di primo piano hanno sofferto di disturbi della sfera emotiva. Gianluigi Buffon, per anni miglior portiere al mondo, ha raccontato che un giorno del 2003 «le gambe hanno iniziato a tremare. Non ero soddisfatto della mia vita e del calcio». Fu saggio benché giovane: si rivolse al medico della squadra e iniziò un percorso di psicoterapia. La terapia ha salvato anche Michael Phelps, icona del nuoto con le sue 28 medaglie olimpiche. «Nel 2012 passavo la vita a letto, non volevo essere vivo», ha detto, ammettendo di aver pensato più volte al suicidio. Di recente ha fatto clamore il caso della tennista Naomi Osaka, che all'improvviso ha abbandonato il Roland Garros a Parigi perché seppur vincente e giovanissima, era afflitta da un male di vivere che lacerava. Come accaduto a Josip Ilicic, talento ex Atalanta che a un certo punto si è dovuto fermare: testa e corpo non erano più in sintonia. Gli attacchi di panico di Federica Pellegrini, le dipendenze di Andre Agassi, la depressione di Marc Cavendish. Campioni, fenomeni che non ce la fanno più. Che devono affrontare i demoni del proprio animo.

La differenza è che fino a qualche anno il disagio mentale, in qualsiasi forma si presentasse, era un tabù. Andare dallo psicologo era roba per i pazzi e le fragilità venivano nascoste in cassetto buio, salvo poi pretendere il loro spazio e finire col fare ancora più male. Adesso invece se ne parla, e se a raccontare questi problemi sono personaggi famosi che, piaccia o no, fanno tendenza, ecco che l'effetto emulazione può diventare positivo. Col solo rischio, quasi opposto, di diventare frivola moda. Ma anche e soprattutto il buono di trasmettere che quel buio così brutale può capitare davvero a tutti. Fa male. Fa paura. Ma si può affrontare.

Da Serena Williams a Ibra, da Federer a Buffon: perché la vita agonistica degli atleti è sempre più longeva. Cristina Marrone su Il Corriere della Sera il 5 Settembre 2022.

I progressi nella medicina sportiva uniti alle conoscenze sui tipi di allenamento e la nutrizione ritardano l’età della «pensione» degli sportivi professionisti. Conta però anche la genetica. 

Con l’eliminazione al terzo turno agli Us Open in corso a New York si è chiusa la carriera stellare di Serena Williams che all’età di quasi 41 anni, tra sorrisi e lacrime, ha dato l’addio alle competizioni. Con i suoi 23 titoli del Grande Slam vinti non è solo la regina del tennis mondiale, ma una tra le atlete più conosciute e longeve. Dopo una pausa gravidanza Serena è tornata sui campi a un’età in cui in genere gli atleti professionisti sono già «in pensione». E non è sola: sempre più sportivi gareggiano ai massimi livelli ben oltre l’età classica del ritiro, che si aggira tra i 28 e i 32 anni di media. Per restare nell’ambito tennistico Roger Federer, a 41 anni suonati si sta allenando per tornare in campo; Rafa Nadal 36 anni, nonostante i problemi al piede ha già vinto due Grandi Slam quest’anno. Anche nel calcio giocano ai massimi livelli atleti già negli «anta»: Zlatan Ibrahimovic attaccante del Milan ha 40 anni, Gianni Buffon, 44 anni è portiere del Parma in serie B; Fabio Quagliarella , attaccante della Sampdoria fa 40 anni il prossimo gennaio; Francesco Totti ha smesso di giocare che stava per compiere 41 anni. Spostandoci in Giappone troviamo Kazuyoshi Miura, l’eterno bomber del Sol Levante che, con i suoi 55 anni è il calciatore più anziano in attività nella storia del calcio professionistico (ha superato il portiere inglese Kevin Poole che si è ritirato a 51 anni nel 2014.

Il corpo di un atleta come una macchina

Ma come mai negli ultimi anni un numero sempre crescente di atleti professionisti riesce ad allungare la stagione agonistica? La risposta va cercata nella combinazione di diversi fattori: i progressi della medicina dello sport negli ultimi 20-30 anni hanno portato a conoscere meglio la fisiologia di un atleta, le tecniche di allenamento sono migliorate , l’attenzione alla nutrizione è continua così come viene data molta importanza al recupero dopo uno sforzo intenso. «Oggi l’atleta è come un’automobile - commenta Gianfranco Beltrami , vice presidente della Federazione Italiana Medico Sportiva - se la usi bene, se fai i tagliandi programmati, se non la fai andare troppo su di giri e riempi il serbatoio con la migliore benzina durerà di più». Conta però anche la genetica: «Ci sono atleti che sono geneticamente predisposti ad essere maggiormente longevi». Infine c’è grande attenzione anche a livello giovanile ad evitare traumi le cui conseguenze potrebbero ripercuotersi nell’età adulta con conseguenze sull’integrità dell’atleta.

L’allenamento

Oggi gli atleti hanno a disposizione una serie di aiuti che li supportano nel loro allenamento, compreso il coach che li guida a capire fin dove possono spingersi senza andare incontro a infortuni, individuando anche il giusto tempo di recupero dopo una competizione. L’approccio «vecchia scuola» all’allenamento consisteva nello svolgere esercizi ad alta intensità fino allo sfinimento, cioé fino a quando l’atleta non poteva più proseguire la sessione di lavoro. Il vantaggio di questo approccio è l’efficienza in termini di tempo poiché più è intenso l’esercizio, meno tempo è necessario per ottenere i benefici dell’allenamento. Ma la ricerca negli ultimi venti anni ha mostrato che infortuni e burnout, con conseguente abbandono dell’attività sono molto più frequenti con il sovrallenamento di esercizi ad alta intensità. Proprio per evitare queste problematiche oggi gli atleti si orientano verso un allenamento che combina nella stessa sessione allenamento di forza e resistenza: anche in questo caso migliorano le prestazioni, ma con meno possibilità di burnout e infortuni. «Oggi esistono tecnologie per monitorare la variabilità della frequenza cardiaca, che è sintomo di overtraining. Inoltre gli atleti professionisti svolgono spesso esami del sangue specifici e controlli , con test per valutare la soglia aerobica, la sogli anaerobica, test di forza che orientano il preparatore nel determinare i carichi di lavoro più corretti che, oltre a dare un migliore rendimento, limitano anche gli infortuni» aggiunge il medico sportivo. Molti progressi sono stati fatti nella cura degli infortuni. «Una volta quando un atleta si strappava un tendine o si lesionava un menisco chiudeva la carriera - riflette Beltrami - mentre oggi grazie ai miglioramenti della medicina dello sport e della chirurgia ortopedica l’atleta può riprendere l’attività».

Il recupero

Oggi si conoscono meglio anche i modi per recuperare dopo uno sforzo intenso. È noto che il sonno è estremamente importante per le prestazioni di un atleta perché durante il riposo notturno viene rilasciato l’ormone della crescita , fondamentale per la crescita muscolare e il mantenimento della massa muscolare quindi dormire bene e a sufficienza è una strategia per mantenere alte le prestazioni atletiche anche quando, con l’età l’organismo secerne una quantità inferiore di ormone della crescita. «Ora sappiamo che i cicli del sonno durano 90 minuti e anche l’atleta cerca di attenersi a questi cicli cercando di andare a letto e svegliarsi sempre alla stessa ora, se le competizioni lo permettono, con un recupero migliore grazie alla secrezione notturna dell’ormone della crescita e del testosterone» conferma Beltrami che sottolinea però come di questi tempi, seppur con molti controlli medici, gli atleti siano sottoposti a ritmi molto elevati che una volta non c’erano: «Un tempo si vedevano gli sportivi professionisti andare in vacanza a giugno e tornare a settembre, ma anche questo da un lato era dannoso, mentre ora anche durante il periodo di riposo continuano a mantenere un certo livello di attività, evitando così cali di forza e rendimento che possono portare a un maggiore rischio di infortuni».

I bagni di ghiaccio o la più attuale crioterapia (Ronaldo ne ha una personale) è uno dei metodi di recupero più utilizzati dopo una competizione o un allenamento poiché riducono il dolore muscolare e possono aiutare gli atleti a riprendersi più rapidamente. Alcuni atleti utilizzano dispositivi indossabili per calcolare i tempi di recupero per poter così organizzare meglio l’allenamento successivo. Un recupero migliore significa che i professionisti hanno meno probabilità di andare incontro ad affaticamento e infortuni e questo è sicuramente un aiuto per proseguire più a lungo attività agonistica.

La nutrizione

Anche le conoscenze sulla nutrizione hanno fatto passi da gigante negli ultimi anni. Si è dimostrato ad esempio che iprobiotici aiutano a migliorare l’assorbimento dei nutrienti chiave associati al sistema immunitario e alla salute delle ossa e questo potrebbe contribuire al recupero tra una competizione e l’altra. Una buona alimentazione è la chiave per mantenersi forti e in salute più a lungo e di conseguenza allungare la carriera agonistica : è ormai noto che con l’età cambia il modo per poter mantenere la massa muscolare e questo può comportare qualche aggiustamento nell’assunzione delle proteine, a seconda del tipo di esercizio richiesto. Personalizzare le diete e modificarle nel corso della carriera consente a un atleta di mantenere salute e prestazioni sportive.

La salute mentale

Una delle ragioni principali che spingono gli atleti a ritirarsi dalle competizioni sono problemi di salute mentale come ansia e depressione, disturbi alimentari, spesso proprio quando sono al top delle prestazioni. Avere il giusto supporto psicologico può prevenire problemi di salute mentale e fornire agli atleti gli strumenti per affrontare lo stress delle gare ad alto livello e oggi, proprio per questo, moltissimi campioni si appoggiano a un mental coach per imparare a dosare l’energia mentale

Max Cassani per “la Stampa” il 27 settembre 2022.  

Per tutti gli appassionati di ciclismo il passo dello Stelvio è un traguardo da tagliare almeno una volta nella vita. Una sfida durissima, per molti impossibile: è il valico automobilistico più alto d'Italia, a quota 2.758 metri tra la Valtellina e la Val Venosta. Quarantotto tornanti da percorrere in sella, con tratti di pendenza anche dell'11%. 

Il 28enne Federico Rossi di Schio i 48 tornanti della mitica Cima Coppi è riuscito a macinarli con la sola forza della volontà e delle braccia, seduto sulla sedia a rotelle: quella su cui è costretto da quando aveva 14 anni a causa di un'infezione virale che gli ha fatto perdere l'uso delle gambe.

Un'impresa sportiva ma soprattutto umana, che nessuno aveva mai tentato prima: «L'idea mi è venuta tre anni fa guardando le foto della strada che porta al Passo: un sogno, per me. A trascinarmi fin lassù, con la pioggia e il nevischio, è stata la mia vena di follia e il desiderio di spingermi oltre i miei limiti», spiega Federico, che ha dedicato il successo «a tutti coloro che hanno disabilità molto più gravi della mia». «La cosa bella della vita - ha aggiunto - è che ti dà sempre l'opportunità di metterti alla prova: ogni circostanza può trasformarsi in una sfida con se stessi. Le barriere possono essere sempre superate: basta crederci».

Per scalare la cima simbolo di ogni ciclista, Federico Rossi ha impiegato poco meno di 8 ore. In totale ha spinto al sua carrozzina al carbonio per 25 km e 1.800 metri di dislivello. Sempre in salita, partendo da Prato allo Stelvio, sul versante altoatesino. «E questo è solo l'inizio», ride. Un "eroe", ma lui si schermisce: «Gli eroi veri sono quelli che fanno cose straordinarie nella vita di tutti i giorni, e di cui non si sa nulla». La prima parola che ha pronunciato appena tagliato il traguardo in cima allo Stelvio è stata «grazie»: a tutte le persone che l'hanno supportato nella sua impresa «ma soprattutto a me stesso, per essere riuscito a dominare il fuoco che mi brucia dentro».

Ad accompagnarlo in questa sua storia di riscatto e determinazione c'erano la fidanzata Giada, la famiglia, i medici, i compagni di squadra della Fulminea Running Team. Per realizzare il suo sogno, negli ultimi due anni Federico si è allenato «quasi ogni giorno con qualsiasi condizione meteo - racconta -. Tanta bici ma anche nuoto e palestra. Certo che quando devi uscire e fuori piove non hai voglia. A quel punto diventa una questione mentale e non mollo fin quando non ho raggiunto l'obiettivo. Perché la testa, nella mia condizione, conta almeno quanto il fisico, se non di più».

Da bambino andava a fare trekking con mamma e papà sulla Cima Carega o sul Monte Pasubio, vicino a casa. «Adoravo camminare in montagna - dice -. Sono sempre stato uno sportivo: per qualche anno ho fatto anche ciclismo su strada e arti marziali. Ancora oggi, dopo 14 anni sulla sedia a rotelle, a volte mi prende lo sconforto e vorrei lanciarla contro il muro. Se mi trattengo è solo perché poi dovrei rimanere immobilizzato finché non la riparano. D'altronde se non ci sei nato, sulla carrozzina, non potrai mai accettarla del tutto. Ecco, io questa rabbia la riverso nello sport». 

Claudio Ghezzi. Barbara Gerosa per il “Corriere della Sera” il 13 giugno 2022.

«Scendo ad aiutare un'amica. È con i figli piccoli e la salita è impegnativa. Ci vediamo dopo». Le ultime parole prima di lasciare il rifugio Brioschi, 2.403 metri di quota sulla Grigna Settentrionale, la più nota delle cime lecchesi. Ma in vetta non è più tornato. 

È precipitato mentre stava affrontando la ferrata al Sasso dei Carbonari insieme alla donna, ai ragazzini e a una famiglia impegnata nell'ascensione con lui. Li ha raggiunti perché temeva potessero trovarsi in difficoltà.

Claudio Ghezzi, 69enne di Missaglia, il «re della Grigna», come lo chiamavano tutti, è morto sulla sua montagna. La cima che aveva scalato quasi seimila volte, detenendo il record assoluto di salite sul Grignone.

La tragedia si è consumata ieri all'ora di pranzo. L'alpinista era arrivato in vetta alcune ore prima, come era solito fare quasi tutti i giorni. Poi la telefonata dell'amica che stava arrivando dal rifugio Bietti e doveva affrontare un tratto attrezzato con le catene. E allora lui, ancora una volta, si è messo in marcia. È sceso per andarle incontro e poi risalire.

In un punto particolarmente esposto, la scivolata che non gli ha lasciato scampo: è precipitato per una ventina di metri dopo aver appoggiato il piede su una roccia instabile.

La caduta terminata su una sorta di terrazzamento naturale, l'impatto devastante con il suolo.

In volo da Como si è alzato l'elicottero di Areu e squadre del Soccorso Alpino sono partite da terra. Ma i medici non hanno potuto far altro che constatare il decesso, mentre la donna e le persone che si trovavano sulla ferrata sono state accompagnate a valle.

La notizia della tragedia si è diffusa rapidamente: centinaia i messaggi di cordoglio sui social. Ghezzi per 40 anni è stato uno dei principali protagonisti del mondo della montagna lecchese: tra pochi giorni avrebbe toccato il traguardo delle seimila ascensioni sulla Grigna Settentrionale.

Lo scorso anno aveva messo a segno l'ennesima impresa. Era partito a piedi dalla sua abitazione di Missaglia per raggiungere la vetta: 85 chilometri di strada e 5.000 metri di dislivello, tra andata e ritorno, in sette ore.

Perché amava la Grigna che pure gli aveva portato via uno dei suoi più cari amici (l'alpinista Giacomo Scaccabarozzi, morto in parapendio nel 1998) e ogni ascensione la dedicava a lui, come aveva confidato ai compagni. Fisico asciutto e carattere d'acciaio, arrampicava con la velocità di un ragazzino nonostante l'età.

Già nel 2019 aveva salvato un 29enne rimasto bloccato sul Grignone senza ramponi: era stato lui a lanciare l'allarme guidando i soccorsi.

Un alpinista completo: la prima esperienza internazionale nel 1991 con una spedizione in Bolivia. Poi otto volte in Nepal. E ancora in Pakistan, Cina, Tibet, Perù, Cile.

«Credo che ci renderemo davvero conto che non c'è più solo domani quando non lo vedremo arrivare con lo zaino sulle spalle e il sorriso in volto - scuote la testa Alex Torricini, gestore del rifugio Brioschi in vetta al Grignone -.

Aveva le chiavi del rifugio e stavamo preparando la festa per i suoi 70 anni: li avrebbe compiuto il 4 luglio. Quando ci siamo accorti che non tornava e abbiamo visto l'elicottero abbiamo capito che doveva essere accaduto qualcosa di terribile». 

«Non mi sorprende che sia precipitato mentre stava aiutando qualcuno. Lui era così: altruista, generoso, preparato», dice il fotografo Alberto Locatelli, che tante volte in passato aveva immortalato le sue imprese. «La Grigna è la mia seconda casa», ripeteva spesso agli amici Claudio Ghezzi. Un amore a cui è rimasto fedele fino alla fine. 

Claudio Ghezzi, chi è il «re della Grigna» morto sulla sua montagna: i salvataggi, le imprese e le scalate dal Tibet al Perù. Barbara Gerosa su Il Corriere della Sera il 13 Giugno 2022.

L’alpinista è precipitato nel Lecchese mentre aiutava una famiglia nell’ascesa. Alex Torricini, gestore del rifugio Brioschi in vetta al Grignone: stavamo preparando la festa per i suoi 70 anni. Il fotografo Locatelli: «Uomo altruista, generoso, preparato». 

«Scendo ad aiutare un’amica. È con i figli piccoli e la salita è impegnativa. Ci vediamo dopo». Le ultime parole prima di lasciare il rifugio Brioschi, 2.403 metri di quota sulla Grigna Settentrionale, la più nota delle cime lecchesi. Ma in vetta non è più tornato. È precipitato mentre stava affrontando la ferrata al Sasso dei Carbonari insieme alla donna, ai ragazzini e a una famiglia impegnata nell’ascensione con lui. Li ha raggiunti perché temeva potessero trovarsi in difficoltà. Claudio Ghezzi, 69enne di Missaglia, il «re della Grigna», come lo chiamavano tutti, è morto sulla sua montagna. La cima che aveva scalato quasi seimila volte, detenendo il record assoluto di salite sul Grignone.

Il soccorso a una famiglia in difficoltà

La tragedia si è consumata domenica all’ora di pranzo. L’alpinista era arrivato in vetta alcune ore prima, come era solito fare quasi tutti i giorni. Poi la telefonata dell’amica che stava arrivando dal rifugio Bietti e doveva affrontare un tratto attrezzato con le catene. E allora lui, ancora una volta, si è messo in marcia. È sceso per andarle incontro e poi risalire. In un punto particolarmente esposto, la scivolata che non gli ha lasciato scampo: è precipitato per una ventina di metri dopo aver appoggiato il piede su una roccia instabile. La caduta terminata su una sorta di terrazzamento naturale, l’impatto devastante con il suolo. In volo da Como si è alzato l’elicottero di Areu e squadre del Soccorso Alpino sono partite da terra. Ma i medici non hanno potuto far altro che constatare il decesso, mentre la donna e le persone che si trovavano sulla ferrata sono state accompagnate a valle.

Il cordoglio per Claudio Ghezzi

La notizia della tragedia si è diffusa rapidamente: centinaia i messaggi di cordoglio sui social. Ghezzi per 40 anni è stato uno dei principali protagonisti del mondo della montagna lecchese: tra pochi giorni avrebbe toccato il traguardo delle seimila ascensioni sulla Grigna Settentrionale. Lo scorso anno aveva messo a segno l’ennesima impresa. Era partito a piedi dalla sua abitazione di Missaglia per raggiungere la vetta: 85 chilometri di strada e 5.000 metri di dislivello, tra andata e ritorno, in sette ore. Perché amava la Grigna che pure gli aveva portato via uno dei suoi più cari amici (l’alpinista Giacomo Scaccabarozzi, morto in parapendio nel 1998) e ogni ascensione la dedicava a lui, come aveva confidato ai compagni. Fisico asciutto e carattere d’acciaio, arrampicava con la velocità di un ragazzino nonostante l’età. Già nel 2019 aveva salvato un 29enne rimasto bloccato sul Grignone senza ramponi: era stato lui a lanciare l’allarme guidando i soccorsi.

Le spedizioni dal Nepal alla Bolivia

Un alpinista completo: la prima esperienza internazionale nel 1991 con una spedizione in Bolivia. Poi otto volte in Nepal. E ancora in Pakistan, Cina, Tibet, Perù, Cile. «Credo che ci renderemo davvero conto che non c’è più solo domani quando non lo vedremo arrivare con lo zaino sulle spalle e il sorriso in volto — scuote la testa Alex Torricini, gestore del rifugio Brioschi in vetta al Grignone —. Aveva le chiavi del rifugio e stavamo preparando la festa per i suoi 70 anni: li avrebbe compiuto il 4 luglio. Quando ci siamo accorti che non tornava e abbiamo visto l’elicottero abbiamo capito che doveva essere accaduto qualcosa di terribile». «Non mi sorprende che sia precipitato mentre stava aiutando qualcuno. Lui era così: altruista, generoso, preparato», dice il fotografo Alberto Locatelli, che tante volte in passato aveva immortalato le sue imprese. «La Grigna è la mia seconda casa», ripeteva spesso agli amici Claudio Ghezzi. Un amore a cui è rimasto fedele fino alla fine.

Claudio Ghezzi morto sulla Grigna: l’alpinista dei record stava aiutando un’amica in difficoltà. Barbara Gerosa su Il Corriere della Sera il 12 Giugno 2022.

Incidente sul Grignone, l’alpinista 69enne di Missaglia, Claudio Ghezzi (il «re della Grigna») era salito 5.600 volte in vetta dal 1975 a oggi. Domenica 12 giugno aveva già raggiunto il rifugio Brioschi: è sceso per soccorrere una donna ed è precipitato. Evacuata la ferrata.

Era già arrivato in cima, al rifugio Brioschi, 2.403 metri di quota sulla Grigna Settentrionale, la più nota delle vette lecchesi, quando un’amica lo ha chiamato per chiedergli di aiutarla nell’ascensione. E lui ancora una volta si è messo in marcia. È sceso per un tratto e ha ricominciato a salire. In un punto attrezzato con la catena la scivolata che non gli ha lasciato scampo. Claudio Ghezzi, 69 anni, di Missaglia ha perso la vita sulla montagna che aveva scalato 5.600 volte.

La ferrata al Sasso Carbonari sulla Grigna Settentrionale

La tragedia si è consumata poco prima delle 13 di domenica. L’uomo era impegnato sulla ferrata al Sasso Carbonari, che porta fino alla cima del Grignone. In un punto particolarmente esposto avrebbe messo un piede in fallo cadendo per una ventina di metri, fermandosi su una sorta di terrazzamento naturale. L’impatto è stato terribile. In volo si è alzato l’elicottero di Areu e squadre del Soccorso Alpino sono partite da terra. Ma i medici non hanno potuto fare altro che constatare il decesso. La ferrata, dove erano presenti numerosi escursionisti, è stata fatta evacuare e le persone accompagnate a valle.

Chi è Claudio Ghezzi

Ghezzi era molto noto nel mondo della montagna per il record di ascensioni sulla Grigna Settentrionale, più di 5.600 volte dal 1975 a oggi. Lo scorso anno aveva messo a segno l’ennesima impresa. Era partito a piedi dalla sua abitazione di Missaglia per raggiungere la vetta: 85 chilometri di strada e 5mila metri di dislivello. La sua prima esperienza internazionale risale al 1991 quando partecipò a una spedizione in Bolivia. A partire da quell’anno è stato otto volte in Nepal, e poi in Pakistan, Cina, Tibet, Perù, Cile. Nel 2019 aveva salvato un 29enne bloccato sul Grignone senza ramponi. «La Grigna è la mia seconda casa», aveva detto pochi mesi fa al termine dell’ennesima ascensione. Un amore a cui è rimasto fedele fino alla fine.

Reinhold Messner. Revisionismo himalayano. Via il record degli 8mila a re Messner (furibondo). "Nel 1985 la cima raggiunta sull'Annapurna era sbagliata". Lui: "Contestazione ridicola". Lucia Galli il 7 Agosto 2022 su Il Giornale.

Buona la prima. Anzi no. La mania di riscrivere la storia tocca anche l'alpinismo. Ci sono voluti dieci anni di studi e acribia, ma ora un giornalista tedesco, Eberhard Jurgalski, classe 1952, fondatore del sito 8000ers.com, ha lanciato quello che lui stesso non stenta a definire «una bomba». A conquistare i 14 Ottomila del pianeta non sarebbero la scarsa quarantina di super eroi accreditati fino ad oggi, ma solo tre o quattro. L'americano Ed Viestrus ed il finlandese Veikka Gustafsson non si discutono.

Uscirebbe, invece, dalla hit Reinhold Messner, da sempre considerato il «summiter per eccellenza». Lui il primo ad aver completato per primo il risiko di cime Himalayane, in 16 anni. Dal Nanga Parbat del 1970 in cui morì il fratello Guenther, al Lhotse del 1986, passando per la prima assoluta e in solitaria dell'Everest nel 1980. Fuori Messner, nella lista figura, invece, Nirmal Purja, giovane, forte e volitivo ex soldato gurkha nepalese che, dopo un rapido cursus honorum da portatore, oggi dirige una delle agenzie più accreditate di spedizioni commerciali. Due anni fa si inventò il «project possible» e scalò, con operazione mediatica e muscolare, tutti gli Ottomila in 12 mesi. Usò l'ossigeno come del resto altri summiter e incassò pure la benedizione di Messner, per un'impresa diversa e moderna. Sua e senza ossigeno anche la prima invernale al K2. Chapeau. Jurgalski non ha contatto che pochi dei summiter ancora vivi, per esempio non ha mai cercato il forte (sempre caustico) Denis Urubko. Il suo studio si basa piuttosto su foto, tecnologia e nuove misurazioni. Fino ad oggi, invece, un alpinista che volesse vedersi riconosciuta la sua impresa puntava ad un indirizzo in mezzo al caos di Kathmandu, sede dell'Himalayan data base centre. Prima che morisse, ormai 95enne, era l'arzilla Elizabeth Hawley, giunta da Chicago ormai negli anni Sessanta, la vera autorità in materia. Tutti la visitavano. Lei li «interrogava» davanti a un the, poi dava o meno l'imprimatur. Ora però arriva Jurgalski, con i suoi droni, i gps e la tecnologia.

A Messner, per esempio, mancherebbero 5 metri di dislivello e 65 circa di sviluppo sull'Annapurna. Insomma, in quel giorno del 1985, con Hans Kammerlander, i due si sarebbero fermati su una sorta di anticima. La parete Nord Ovest era inviolata. Non potevano esserci bandierine e cotillon a identificare una cima con cresta di neve, mutevole per sua natura.

«È ridicolo, non vado oltre» ha commentato, Messner, 78 anni, alla viglia del suo ultimo tour mondiale di conferenze dopo che il suo cuore chiede di rallentare. Non va meglio fra le donne: depennato il Dhaulagiri di Edurne Pasaban e il Manaslu di Gerlinde Kaltenbrunne, unica summiter in predicato sarebbe la nostra Nives Meroi che, in passato, proprio accortasi di non essere arrivata al top, ha ripetuto due Ottomila.

«Il ragionamento di Jurgalski è logico, una montagna ha una sua vetta geografica, ma mettere in discussione certe imprese o paragonare il passato ad oggi è una bestemmia». Meroi aggiunge che anche il suo Manaslu sarebbe sub iudice, ma di non aver nessuna intenzione di ripeterlo.

La storia dell'alpinismo è costellata di salite e misteri. C'è chi dichiara il dubbio, chi no, chi non può più farlo. Il Cerro torre di Cesare Maestri, il Nanga Parbat del povero Tomas Mackiewicz, lasciato lassù e morto di sfinimento forse scendendo. Hervé Barmasse ha subito dichiarato di aver mancato la cima dello Shisha Pangma per 3 metri nel 2017. Fu questione di vita o di morte e il suo fairplay gli ha fatto accreditare comunque la vetta.

Marco Confortola è atteso al varco da qualcuno per non aver prodotto abbastanza prove del suo Kangchenjunga, 12simo Ottomila in carnet. Uno studio di qualche anno fa proponeva di contare, come si fa sulle Alpi, non tanto il massiccio, ma ogni punta oltre gli Ottomila. In quel caso il club delle 14 vette più altre della terra salirebbe a 22. E in quel caso, Messner almeno una cima dell'Annapurna l'avrebbe scalata. E gli altri avrebbero altre «gite» a cui pensare.

Elvira Serra per il “Corriere della Sera” il 20 luglio 2022.

«Lui adesso lo chiama “il Diane Bridge”. È il ponte che li ha fatti innamorare, davanti al Castello di Brunico, il 18 agosto 2018. Non che fosse tutto chiaro da subito. Ma per certo qualcosa era scattato nella testa (e nel cuore) di Reinhold Messner, il Re degli Ottomila, vedendo camminare quella giovane donna con l'abito color pastello dal tessuto pesante, simile ai capi indossati in Nepal o in Sudamerica. 

Nel Museo Ripa si stava svolgendo la festa dei popoli della montagna, dedicata quell'anno allo Svaneti, regione storica della Georgia. Al termine della giornata, quando lei stava per andare via, si incontrano di nuovo e fanno una foto insieme. È in quel momento che lui, d'impulso, le chiede il numero di telefono. Lei glielo digita sul telefonino, perché lui non sa farlo (sarà sempre lei, dopo, a insegnargli a mandare i messaggi). Nella rubrica scrive: Diane Schumacher. L'indomani lui la chiama. Meno di tre anni dopo sono marito e moglie.

Ricordano insieme quei giorni guardandosi negli occhi. Lei si alza e versa da bere, a lui accarezza la mano. Siamo a Castel Juval, in Val Venosta, sede del Messner Mountain Museum, nella sala con gli elefanti, i tappeti tibetani, un enorme lampadario a gocce, e Flint, il Jack Russell della signora (di cui è gelosissimo). 

Vi siete sposati il 28 maggio 2021, con una cerimonia intima. Perché quella data?

Diane: «Io sono nata il 28 febbraio, per me è un numero importante. Ed è significativo anche per Reinhold: facendo ordine nel suo archivio fotografico ho trovato un'immagine di lui bambino in cui indossa una maglietta con il numero 28. Gli ho chiesto io di sposarci quel giorno». 

Reinhold, cosa l'ha spinta a chiamare Diane subito?

«Ero rimasto colpito da questa donna bellissima, desideravo conoscerla meglio. Ero un po' perso. Mia moglie mi aveva lasciato otto mesi prima e non stavo cercando una nuova compagna, sopravvivevo benissimo anche senza saper cucinare: a me bastano un po' di speck e pane secco, poi spesso mangio al ristorante, quando sono via per la mia attività di conferenziere». 

Diane: «In realtà già sul ponte mi stava facendo tante domande, credevo volesse offrirmi un lavoro. Poi quando mi ha chiamata ho capito che aveva un altro interesse...».

Reinhold: «... e tu sei caduta in trappola, perché adesso lavoriamo anche insieme!». 

Avete creato The Messner Mountain Heritage, che si occupa della Final Expedition, l'ultimo tour mondiale per raccontare cos' è l'alpinismo tradizionale.

Reinhold: «Diane è la Ceo, segue tutta la parte organizzativa. Era importante per noi costruire qualcosa di nostro».

Diane: «Questo tour finale era cominciato prima del Covid in Australia e in Nuova zelanda, poi a Mosca e a San Pietroburgo. Ora ripartiamo a settembre in Slovenia». 

Il vostro matrimonio, il terzo per Reinhold e il secondo per Diane, non è stato risparmiato da critiche. Anzitutto per la differenza di età: 36 anni (lei è del 1980, lui del 1944).

Diane: «Ripetono i soliti cliché, gli stessi che troviamo nei libri e nei film. Dicono che sono interessata al Castello, ai soldi... Noi non pretendiamo di dire agli altri come devono vivere. Però vorremmo decidere da soli della nostra vita».

Reinhold: «Questa cosa dei soldi è molto ingiusta. Ho quattro figli e le cose sono chiare: Castel Juval è di Anna; la gestione del Messner Mountain Museum è affidata a Madgalena; con Simon abbiamo lavorato alla mia società di produzione dei film, ma ora lui ha due masi in montagna e segue quello; alla primogenita, Leila, ho comprato la casa in Canada, dove vive». 

Diane, come è stata accolta dalla famiglia di Reinhold?

«I fratelli e la sorella sono stati tutti molto carini. In particolare ho un rapporto molto dolce con Hubert, che non ci ha mai giudicato, fin dall'inizio è stato dalla nostra parte. Dei figli, Leila l'ho incontrata la prima volta due anni fa, è molto creativa e carina con me. Magdalena le assomiglia, è quella che sento più vicina. Anna ha 20 anni: alla sua età io ero già sposata...». 

Con Thomas, da cui ha avuto Reto, oggi 15enne. Che rapporto ha suo figlio con Reinhold?

«All'inizio è stato difficile, mi ha chiesto perché li stavo abbandonando. Ho provato a spiegargli che tra un paio d'anni sarebbe stato lui ad andare via di casa, e non poteva desiderare che io rimanessi accanto a un uomo che non amavo più. Vive con il padre». 

Viene a trovarvi ogni tanto?

Diane: «No, non ama la montagna e diciamo che non considera Reinhold un patrigno». 

State pensando a un figlio vostro?

Diane: «No, non potrei mai fare questo a Reto. E poi Reinhold ne ha già quattro». 

Mi dite un pregio e un difetto l'uno dell'altra?

Diane: «Lui non ha pazienza. Se abbiamo un appuntamento e siamo in orario, scalpita lo stesso. Per contro, se litighiamo non me lo rinfaccia: si dimentica tutto subito».

Reinhold: «Diane è una donna bellissima ed è cento volte più pratica di me, può sistemare qualsiasi cosa. Il difetto: è molto emotiva». 

Diane: «Voglio aggiungere che nonostante lui abbia poca pazienza, quando si tratta di accompagnarmi a fare shopping, cosa che odia, non mi mette mai fretta: se devo provare gli abiti, sta lì a guardarmi a ogni cambio». 

Pensate mai che non invecchierete insieme?

Reinhold: «La nostra differenza di età non la posso cambiare. E al dopo non possiamo mai essere preparati. Però so che lei sarà capace di sopravvivere anche senza di me».

Diane: «Siamo molto innamorati anche della nostra testa, dei nostri pensieri, dei progetti che abbiamo. Non potrei mai vivere con una persona con la quale i miei pensieri non sono allineati». 

Parlate di Günther, il fratello di Reinhold scomparso nel giugno del 1970 durante la discesa dal Nanga Parbat?

Reinhold: «Per me le date non contano, mio fratello è vivo dentro di me. Ed è stato importante tornare con gli altri miei fratelli sul Nanga Parbat, far vedere loro come sono andate realmente le cose. Ogni volta che parlo di Günther è come se fosse al mio fianco». 

Diane: «Occupandomi dell'archivio di Reinhold penso di essere la persona più vicina a Günther rispetto al resto della famiglia. Leggo le sue lettere, vedo le foto, è come se lo avessi conosciuto». 

Litigate?

Reinhold: «Sì, certo. Magari quando mi fa notare che qualcuno si sta approfittando di me. E poi ha ragione lei».

Diane: «La cosa bella è che il nostro è un rapporto alla pari, sempre sullo stesso piano. Mi dà sempre l'idea che ciò che penso o faccio ha valore».

Qual è la cosa che vi piace fare di più?

Reinhold: «I viaggi per noi sono lavoro, ma il lavoro è la nostra vita. Però quando possiamo stare tranquilli in casa, sul divano a guardare un film poliziesco, quelli sono bei momenti. Ci piace prenderci la responsabilità dello stare insieme».

Diane: «Ieri Reinhold mi ha preparato un minestrone. Stavo male, avevo la febbre, gli ho dato le istruzioni e lo ha fatto da solo. Era buonissimo. Ecco, questa è la nostra felicità».

(ANSA il 9 giugno 2022) - A 52 anni dalla morte di Günther Messner sotto una valanga durante una spedizione con il fratello Reinhold sul Nanga Parbat è stato trovato anche il secondo scarpone dell'alpinista altoatesino. "La scorsa settimana, la seconda scarpa di mio fratello Günther è stata trovata ai piedi del ghiacciaio del Diamir da gente del posto. Dopo cinquantadue anni. La tragedia del Nanga Parbat rimane per sempre così come Günther", scrive Reinhold su Instagram, pubblicando una foto dello scarpone.

Nel 2005 i resti di Günther furono trovati assieme all'altro scarpone. Il Re degli ottomila all'epoca erano tornati al Nanga Parbat per cremare i resti di suo fratello. ''Mi hanno chiamato fratricida per la volonta' di alcuni di fama e soldi. Si tratta di un vero e proprio crimine'', aveva detto all'epoca Reinhold Messner con rammarico al suo ritorno in Italia. "Il ritrovamento dei resti e di uno scarpone dimostrano senza ombra di dubbio che Günther è morto durante la discesa e non è stato abbandonato da me durante la salita", aveva aggiunto l'alpinista.

(ANSA il 9 giugno 2022)  - "Il ritrovamento del secondo scarpone di mio fratello Günther sul versante Diamir del Nanga Parbat è solo la conferma della conferma e di quanto io ho sempre detto". Lo dice all'ANSA Reinhold Messner, accusato all'epoca da alcuni alpinisti di aver abbandonato suo fratello sull'ottomila, mentre lui ha sempre sostenuto che Günther è stato travolto da una valanga sul versante Diamir. "Ora il ghiacciaio ha restituito anche il secondo scarpone. Io sono in pace con me stesso e con l'intera vicenda, i dietrologi ci saranno sempre, ma questo non importa", ha aggiunto Messner.

Messner: «Lo scarpone di mio fratello Günther trovato dopo 52 anni sul Nanga Parbat». Carlotta Lombardo su Il Corriere della Sera il 9 Giugno 2022.

Spuntato ai piedi del ghiacciaio del Diamir, l’annuncio con una fotografia su Instagram. Lo scalatore morì durante una tragica spedizione nel 1970, proprio assieme a Reinhold.

A 52 anni dalla morte di Günther Messner sotto una valanga durante una spedizione con il fratello Reinhold sul Nanga Parbat è stato trovato anche il secondo scarpone dell’alpinista altoatesino. «La scorsa settimana, la seconda scarpa di mio fratello Günther è stata trovata ai piedi del ghiacciaio del Diamir da gente del posto. Dopo cinquantadue anni. La tragedia del Nanga Parbat rimane per sempre così come Günther», scrive Reinhold su Instagram, pubblicando una foto dello scarpone.

Era il 29 giugno del 1970 quando Gunther Messner venne dichiarato morto dopo essere stato travolto da una valanga mentre assieme al fratello Reinhold stava scendendo dal Nanga Parbat lungo la parete Diamir. Una tragedia che fece scaturire anche aspre polemiche nei confronti di Reinhold per, a detta di alcuni, «aver abbandonato il fratello». «Il ricordo di quell’esperienza è ancora vivo in me, anche perché sono stato costretto per 50 anni a difendermi da chi ha tentato di accusarmi di aver lasciato morire mio fratello — aveva dichiarato l’alpinista al Corriere —. Di averlo abbandonato pur di farmi notizia. Emozionalmente vivo in pace, ma quella tragedia rimarrà sempre parte della mia vita».

Nel 2005 i resti di Günther furono trovati assieme all’altro scarpone. Il Re degli ottomila all’epoca erano tornati al Nanga Parbat per cremare i resti di suo fratello. «Mi hanno chiamato fratricida per la volontà di alcuni di fama e soldi. Si tratta di un vero e proprio crimine», aveva detto all’epoca Reinhold Messner con rammarico al suo ritorno in Italia. «Il ritrovamento dei resti e di uno scarpone dimostrano senza ombra di dubbio che Günther è morto durante la discesa e non è stato abbandonato da me durante la salita», aveva aggiunto l’alpinista.

Nel 2010 il produttore bavarese Joseph Vilsmaier girò un film sulla tragedia di Gunther. I due fratelli altoatesini avevano raggiunto gli 8.125 metri della vetta del Nanga Parbat, la «montagna killer», il 27 giugno del 1970 dopo aver aperto una nuova via lungo il versante Rupal. La spedizione durò tre giorni e fu condotta dal tedesco Karl Maria Herrligkoffer con lo scopo di salire la «montagna nuda» (significato, in sanscrito, di Nanga Parbat). Una parete terribile dove tutti avevano fallito. Messner è sul Diamir con il fratello, che viene travolto da una valanga il 29 giugno quando la discesa è quasi alla fine. Gunther sparisce nella neve. Reinhold lo cerca per un giorno e una notte, poi crolla sfinito. Arriva a valle sei giorni dopo in barella soccorso da una cordata di sherpa quando i compagni li credevano morti entrambi. Subisce l’amputazione parziale delle dita dei piedi ma sopravvive. Il Nanga Parbat fu il primo dei quattordici Ottomila raggiunti da Reinhold Messner. L’impresa e il record di essere stato il primo alpinista al mondo a scalare tutte le 14 montagne sopra gli 8.000 metri si concluse il 16 ottobre del 1986 quando raggiunse gli 8.516 metri del Lhotse.

Reinhold Messner e la morte del fratello: «Mi accusarono di averlo abbandonato, ma sopravvivere a volte è impossibile» Carlotta Lombardo Il Corriere della Sera il 22 novembre 2020.

L’alpinista rievoca la spedizione del 1970 sul Nanga Parbat dove il fratello morì travolto da una valanga. I suoi resti furono ritrovati nel 2005. «Ho tentato di spostare il limite dell’alpinismo ma la mia arte è sempre stata quella di sopravvivere»

Messner: "Dal ghiacciaio la verità su mio fratello". Alessandra Ziniti su La Repubblica il 10 Giugno 2022.

Ritrovato lo scarpone dello scalatore morto nel 1970 sul Nanga Parbat. "Mi accusarono di aver abbandonato Gunther. Ora la smetteranno".

"La montagna, la mia montagna, non mente e, se ancora ce ne fosse bisogno, con quello scarpone ha definitivamente restituito la verità sulla morte di mio fratello. E la verità, ovviamente, è quella che ho sempre raccontato".

La verità di cui parla Reinhold Messner è improvvisamente riemersa, 52 anni dopo la tragica fine di suo fratello Günther, dal ghiacciaio del Damir sul Nanga Parbat, la vetta da record (8.000...

Alessandra Ziniti per “la Repubblica” il 10 Giugno 2022. 

«La montagna, la mia montagna, non mente e, se ancora ce ne fosse bisogno, con quello scarpone ha definitivamente restituito la verità sulla morte di mio fratello. E la verità, ovviamente, è quella che ho sempre raccontato».

La verità di cui parla Reinhold Messner è improvvisamente riemersa, 52 anni dopo la tragica fine di suo fratello Günther, dal ghiacciaio del Damir sul Nanga Parbat, la vetta da record ( 8.000 metri) del massiccio dell'Himalaya in Pakistan che i due fratelli raggiunsero il 27 giugno del 1970, il giorno prima che una valanga travolgesse e uccidesse Günther.

Reinhold riuscì a scendere a valle sei giorni dopo, in fin di vita. Il corpo del fratello con un solo scarpone venne ritrovato solo nel 2005. E in quei 35 anni Reinhold Messner ha dovuto difendersi anche dall'accusa di aver abbandonato il fratello Günther durante la salita per la smania di raggiungere il traguardo da solo. 

Messner, cosa dimostra oggi questo scarpone?

«È l'ultima, indiscutibile prova che Günther è scomparso durante la discesa, non durante la salita. Già nel 2005 il suo corpo venne ritrovato lungo il versante Damir del Nanga Parbat, quello che avevamo preso per tornare giù visto che, da dove eravamo saliti, era proibitivo risalire. 

Io andavo avanti ad aprire la strada, lui dietro. Poi non l'ho più visto, l'ho cercato per una notte e un giorno, ma ho trovato solo i segni di una slavina.

Ed è proprio lì che 35 anni dopo l'hanno ritrovato. Con un solo scarpone. E ora ecco l'altro». 

Chi l'ha trovato? È proprio sicuro che sia il suo?

«Ma certo, quegli scarponi erano unici. Erano stati realizzati apposta per la nostra spedizione. Io e gli altri componenti siamo riusciti tutti a tornare giù. Quello scarpone quindi non può essere che il suo. Mi hanno chiamato dal Pakistan qualche giorno fa per dirmi che è stato ritrovato da gente del posto ai piedi del Diamir e mi hanno subito mandato la foto. Adesso lo aspetto qui a Bolzano e lo metteremo al Messner Mountain Museum. Spero che tutti, a cominciare da chi ha provato a conquistare fama e soldi con queste bugie, si mettano l'anima in pace».

Perché tanti veleni attorno a questa spedizione che le ha dato il successo per lei più doloroso?

«Dovrebbe chiederlo a chi, per vendere qualche copia di un libro o solo per far parlare di sé, ha ordito questa infame calunnia. Mi hanno dato del fratricida, mi hanno accusato della cosa più orribile: aver abbandonato mio fratello per arrivare da solo in cima. Ma ora non conta più niente. Io ho perso un fratello 52 anni fa: Günther aveva solo 24 anni ed è rimasto vivo e giovane nella mia testa e nel mio cuore, in quello della mia famiglia e di tutta l'Italia che ci vuole bene e che ci è stata accanto in questi 50 anni di sofferenza».

Prova ancora tanta rabbia.

«No, ormai non più. Io e la mia famiglia abbiamo ritrovato pace e serenità. Tutti noi vogliamo sapere come sono morti i nostri cari e normalmente non è difficile saperlo. Ma quando perdi un figlio, un fratello a 24 anni, hai bisogno di sapere, di vedere, di toccare direi. Io dal primo momento ho raccontato a casa ogni particolare ma quando è stato ritrovato il corpo tutta la famiglia è andata a vedere e toccare il posto dove è morto Günther. Ed è stato molto importante per noi».

Qual è l'ultimo ricordo che conserva di suo fratello?

«Sono immagini drammatiche, quelle dell'ultimo giorno, quando abbiamo cominciato a scendere da soli perché non si poteva aspettare. Ci guardavamo con la speranza di farcela, ma con la consapevolezza che saremmo morti entrambi. È un miracolo se sono rimasto vivo, quando mi hanno trovato a valle non mangiavo da sei giorni e pesavo 56 chili. Io sono uscito dalla morte».

Reinhold Messner, il mistero del fratello Gunther: cosa è stato ritrovato 52 anni dopo, choc sul Nanga Parabat. Libero Quotidiano il 09 giugno 2022

A distanza di 52 anni dalla sua scomparsa è stato ritrovato il secondo scarpone dell'alpinista altoatesino Gunther Messner scomparso sul Nanga Parbat. Ad annunciarlo è stato il fratello maggiore Reinhold Messner che era con lui durante quella tragica spedizione. I due erano insieme il 29 giugno del 1970, quando una valanga travolse Gunther. I suoi resti furono ritrovati solamente nel 2005, sullo stesso ghiacciaio Diamir, a 4600 metri di quota. 

"La scorsa settimana, la seconda scarpa di mio fratello Gunther è stata trovata ai piedi del ghiacciaio del Diamir da gente del posto. Dopo cinquantadue anni. La tragedia del Nanga Parbat rimane per sempre così come Gunther" così ha commentato Reinhold su Instagram, allegando una foto dello scarpone ritrovato sul Nanga Parbat. Nel 2005 l'altro scarpone era stato ritrovato assieme ai resti del corpo di Gunter.

Ecco il post Instagram pubblicato da Reinhold Messner:

"Mi hanno chiamato fratricida per la volontà di alcuni di fama e soldi. Si tratta di un vero e proprio crimine" aveva dichiarato il Re degli ottomila all'epoca del fatto. Reinhold aveva poi aggiunto: "Il ritrovamento dei resti e di uno scarpone dimostrano senza ombra di dubbio che Gunther è morto durante la discesa e non è stato abbandonato da me durante la salita" 

LA SPEDIZIONE DEL 1970 FINITA IN TRAGEDIA. Trovato l’altro scarpone di Günther sul Nanga Parbat, confermata la tesi di Reinhold Messner. Il Domani il 09 giugno 2022

Reinhold ha pubblicato la foto del secondo scarpone di Günther, ritrovato dopo più di 50 anni ai piedi del versante Diamir. È un’altra prova che conferma la versione data dal fratello maggiore sulla morte dello scalatore

Un’altra prova risale in superficie dopo più di cinquant’anni. Con una foto pubblicata sul profilo Instagram, Reinhold Messner ha comunicato che il secondo scarpone di suo fratello minore, Günther, è stato ritrovato sul Nanga Parbat, ai piedi del ghiacciaio del Diamir. Un’ulteriore conferma che mette fine alla polemica sulla spedizione del 1970. Alla Bild Reinhold ha detto di essere contento «che pezzo per pezzo la storia viene ricostruita. Sono contento che gli abitanti del luogo abbiano trovato lo scarpone dopo così tanto tempo. Era esattamente dove mi aspettavo che fosse». 

I due fratelli, nel 1970, avevano affrontato la scalata dell’inviolata parete Rupal del Nanga Parbat, la nona montagna più alta del mondo, massiccio dell’Himalaya. La spedizione austriaca fu organizzata da Karl Maria Herrligkoffer. Reinhold e Gunther raggiunsero la vetta il 27 giugno di quell’anno e il giorno successivo decisero di scendere per il versante Diamir. Ma Gunther morì, travolto da una valanga, e Reinhold arrivò a valle sei giorni dopo, quando era ormai creduto morto, con congelamenti ai piedi e alle mani.

Durante gli anni successivi, Reinhold venne accusato di aver abbandonato il fratello minore in cima al Nanga Parbat, quindi prima di cominciare la discesa, perché desideroso di essere il primo ad attraversare il versante Diamir. Herrligkoffer accusò Reinhold di aver lasciato Günther, affaticato e in condizioni precarie, sulla parete Rupal prima dell’arrivo in vetta. Mentre anche gli altri due componenti della spedizione, Max von Kienlin e Hans Saler, in un libro affermarono che Reinhold avesse fatto scendere il fratello per la parete Rupal per calarsi lui in solitaria per il Diamir.

Reinhold invece raccontò di aver cercato il fratello per tre giorni prima di scendere a fatica a valle. Organizzò nel 1971 una spedizione per cercare i resti del fratello, senza però riuscire nell’intento. Solo nel 2000, alla base della parete Diamir, venne trovato un osso umano in uno scarpone, che grazie alle analisi del Dna fu associato a Günther. L’intero corpo dello scalatore fu ritrovato nel 2005, sulla parete Diamir, a circa 4.600 metri di quota, confermando di fatto la versione di Reinhold. La famiglia ha fatto cremare i resti e li ha sparsi ai piedi del Nanga Parbat. «Quel fatto e anche l’ultima scoperta ci hanno aiutato a dirgli addio» ha detto Reinhold. Nel 2010 uscì anche un film sulla spedizione finita in tragedia.

Alex Bellini. Flavio Vanetti per corriere.it il 26 maggio 2022.  

Alex Bellini, da che cosa nasce la sua voglia di estremo?

«Non è voglia di estremo, è il desiderio di conoscere e di conoscersi. Papà frequentava l’Africa in moto, io ho cominciato da lì. Poi ho aggiunto l’Alaska, gli oceani e altri luoghi capaci di far risuonare in me delle vibrazioni». 

Certe imprese scatenano un appagamento intimo?

«Quello dell’ego di sicuro: nel momento in cui realizzi qualcosa di apparentemente impossibile, ne gode. L’appagamento matura quando trovi la forza di saltare nel cerchio di fuoco. Spesso mi sono scoraggiato, ho pianto, mi sono incavolato con me stesso per aver seguito questa passione. Ma se qualcosa di negativo si trasforma in una nuova speranza, ecco quello è un appagamento che genera coraggio per la vita». 

Green influencer, mental coach, esploratore: i tre Alex Bellini da che cosa sono accomunati?

«Dall’aspetto psicologico. Comanda anche nella sfera green: l’uomo è consapevole della criticità dei temi ambientali, ma a causa di trappole mentali fatica ad agire. La lente della psicologia aiuta a leggere il divario tra teoria e pratica».

Terra e acqua (mari, fiumi e ghiacci): le mancano fuoco e aria.

«Quanto al fuoco, non ho ancora trovato un progetto. Nell’aria, invece, ho esperienza perché sono pilota di mongolfiere, mezzo romantico che richiama il passato. Però non volo da un po’, ci sono stati degli incidenti e mi sono fermato». 

Qual è la hit parade delle sue imprese?

«Al vertice c’è la traversata dell’Atlantico a remi. Il primo tentativo fallì dopo 6 ore, nel secondo naufragai a Formentera dopo 23 giorni. Nel terzo, ripartendo da Genova, arrivai in Brasile. Al secondo posto metto la corsa Los Angeles-New York: durante la gara nacque la seconda figlia, mia moglie era in Italia a partorire. A New York completai gli ultimi metri assieme alla figlia maggiore, venuta per... accompagnarmi a casa. Infine completo il podio con la traversata dell’Alaska del 2003: ero alla ricerca di un posto nel mondo, lì capii che cosa volevo fare».

Nella traversata a remi del Pacifico s’è fermato a 65 miglia dall’Australia: una rinuncia fantozziana?

«Mi sarei sentito più sfigato se avessi fatto retromarcia il giorno dopo la partenza perché travolto dai dubbi. Mollare in vista del traguardo ha qualcosa di romantico: le storie grandiose hanno epiloghi imprevedibili. Avevo superato l’inferno, sentivo di farcela. Ma mi sbagliavo: le condizioni erano diventate pericolose. Fermarmi è stato un atto di anti-coraggio che si è trasformato nel coraggio di dire basta». 

È mancata l’ultima nota di una grande sinfonia...

«L’incompletezza è stata affascinante: volevo arrivare a Sydney, ma subito dopo essermi fermato capii di aver fatto la cosa giusta. Uno sponsor non onorò l’ultima tranche del contratto, solo anni dopo saldai i debiti. Ma nemmeno quel guaio mi ha fatto pentire: gli sfigati erano quelli che parlavano di fallimento mentre io avevo percorso 18 mila chilometri, remando e “rinascendo” almeno cinque volte». 

Lei dimostra che tutto è possibile?

«È difficile lavorare a qualcosa di impossibile. Ho concluso i progetti che ho elaborato, in generale dico che tutto ciò che pensiamo è possibile».

«Conosci te stesso» è scritto nel tempio di Apollo a Delfi. Ma a fianco c’è anche «Nulla di troppo». Quale delle due frasi preferisce?

«Nulla di troppo». 

Umberto Pelizzari, il sub dei record, in fondo al mare sperimenta un’altra dimensione: capita anche a lei?

«Il mare riporta al ventre materno. Ha poi quella superficie semi-riflettente che permette di guardarti in faccia: il mare è una metafora dell’autoanalisi». 

Ha incontrato la paura? È mai stato vicino a morire?

«Sì, ho paura e temo la morte: esorcizzo entrambe facendo l’esploratore. Prima della morte fisica c’è comunque quella spirituale: si muore se si smette di sognare. Quando ho rischiato di più? 

In Islanda attraversando il Vatnajökull, il più grande ghiacciaio d’Europa. C’era il “white out”: vento, nebbia, polvere di neve che impediva di vedere bene. Mi avvicinai troppo alla bocca del vulcano, scivolai nel cratere. Cadendo, pensavo che stavo morendo da cretino. Invece atterrai su un manto morbido e riuscii a risalire. Con me c’era un fotografo, si era fermato in tempo: quando mi vide pensò di avere le allucinazioni».

Sua moglie le ha mai detto «questo non farlo»?

«Francesca cura sponsor e team di supporto, la scelta di partire è sempre di entrambi. Ma ultimamente, mentre stavo per raggiungere il Niger, mi ha detto: ho cattive sensazioni. Poiché in passato aveva visto giusto, sono rimasto a casa». 

Per il 2022 ha indicato tre espressioni chiave: gentilezza, coraggio e zero lamenti. Perché?

«Durante il lockdown ho scritto un libro, “Il viaggio più bello”. Un viaggio immaginario, a tappe, in cui invitavo il lettore a rinunciare alle cose obsolete, ad ascoltare in silenzio, ad avere pazienza, a reagire alla vulnerabilità. Competenze che dobbiamo recuperare e allenare».

Che cosa ha della gente della Valtellina?

«La permalosità. E la testardaggine». 

La testardaggine non è anche un pregio?

«Sì, se non si trasforma in ossessione».

Anche l’Italia sta facendo un viaggio avventuroso?

«Molto avventuroso. Siamo navigatori e coraggiosi, però ci fermiamo troppo ad analizzare e perdiamo le spinte dell’inizio». 

Il mondo peraltro non scherza...

«La crisi tocca pure l’individuo. Sembriamo una matrioska: tante bamboline l’una dentro l’altra, alla fine la bambola madre rimane vuota e non capisci come ricominciare. Riparti solo se sei forte nell’animo, ma stiamo trascurando alcuni valori: oggi “abbiamo”, ma non “siamo” più. Spiego così il ritorno alla spiritualità e il successo dello yoga, rifugio di chi non è preparato». 

Qual è la vera emergenza ambientale?

«Aver esiliato la natura dalla coscienza delle persone. Prendiamo il mare: l’abbiamo ridotto a un “altrove”, l’abbiamo trasformato in una pattumiera con il benestare di tutti i Paesi».

«Dieci fiumi, un oceano» è un progetto per unire l’acqua dolce a quella salata?

«È un modo per raccontare dove va la plastica, dai fiumi al mare fino a una delle tante isole-spazzatura che si incontrano negli oceani. Nel 2019 ho attraversato il Great Pacific Garbage Patch: se getti una bottiglietta nel Gange, prima o poi la ritrovi lì. Tutto è interconnesso, ce lo stiamo scordando». 

Per lei il Gange è una metafora della vita.

«Prima di tutto è una contraddizione e in quanto tale diventa metafora della vita. L’indiano ha un senso di interconnessione con “l’ultra-terrestre” attraverso il Gange. Il fiume fa da vettore per la vita dopo la vita. È una contraddizione perché l’indiano lo venera come la dea generatrice. È devoto, fa purificazione, ma con l’altra mano lo rovina. Essendo però sacro, il Gange non può inquinarsi: ecco giustificato l’atteggiamento anti-ambientalista». 

Sogni, passioni, idee non realizzate: qualcosa da dichiarare?

«Sono un solitario. Mi piace vivere a casa, mia moglie si lamenta della scarsa vita sociale e dice che sono noioso. Lo riconosco: ho poche amicizie, non sono molto di compagnia».

Si è mai immaginato manager in giacca e cravatta?

«No, mai. Mi piacerebbe però essere un manager per trasferire il “mindset” dell’esploratore in ambienti organizzativi».

Come fa a superare se stesso?

«Tanti me lo chiedono. La risposta è: con la necessità di colmare uno spazio nel cuore».

Ammira, o magari invidia, qualche collega?

«Due su tutti, che ammiro e basta. Il primo è Fedor Konyukhov, il prete ortodosso russo che ha completato il giro del mondo in mongolfiera in solitario e senza scalo. Il secondo è il sudafricano Mike Horn. Qualche anno fa ha raggiunto il Polo Nord durante la notte artica: mi sarebbe piaciuto essere in quella spedizione». 

Se incontrasse un alieno...

«Gli chiederei il segreto della telepatia. Immagino che disponga di questa forma di intelligenza, vorrei capire come usarla. Credo di averla con mia moglie, ma non riesco a controllarla».

Con Dio come la mettiamo?

«Ho un conto in sospeso. Ho perso mia mamma nel 1999, avevo 21 anni: ho subìto un torto. In mezzo agli oceani non mi sono mai sentito così vicino a lei: mi guidava tra onde, difficoltà, cadute. Rifiuto l’Assoluto, però quando non c’è nulla in cui sperare è d’aiuto credere che Dio esista». 

Ogni sconfitta genera una ripartenza o resta una sconfitta?

«Viktor Frankl, sopravvissuto ai lager nazisti e diventato psichiatra, sosteneva che nella prigionia gli avevano levato perfino l’identità. Ma non potevano togliergli l’ultima delle libertà: poter scegliere l’atteggiamento in ogni situazione. Quindi non sono le cose che ci capitano a determinare il successo o il fallimento, ma la nostra interpretazione di tali momenti. Una ripartenza è credibile a patto che ci sia la capacità di riconoscere in noi questa grande libertà umana». 

Vuole entrare in una capsula di sopravvivenza attaccata a un iceberg e farsi portare per mari gelati: quando lo farà?

«Della capsula esiste un modello in scala 1 a 3. Spero di rimettere mano presto a un progetto potente e bello. L’idea di vagare tra i ghiacci simboleggia l’umanità alla deriva. Voglio comprendere le dinamiche dell’iceberg e capire, anche sul piano psicologico, come l’uomo deve adattarsi al mutare dell’ambiente circostante. Farlo costa fatica perché si rinuncia a qualcosa, ma se capisci che è a vantaggio di tutti afferri che è un modo per sopravvivere».

Luca Beatrice per “Libero quotidiano” il 16 luglio 2022.

Se anche Cristiano Ronaldo, atleta perfetto, uomo macchina, simbolo di longevità sportiva basata sulla disciplina e sul controllo, è entrato nella china discendente della propria carriera, ciò significa che l'eroe dello sport passa più tempo nella polvere che sull'altare, perché la regola dell'agonismo non ammette eccezioni. 

Si è superuomini per un periodo piuttosto breve dell'esistenza, mentre a lungo si è altra cosa, la vita ordinaria si sovrappone al mito esaltato dai media ed emulato dai ragazzi in ogni parte del mondo. 

Nella prospettiva dell'anti-eroismo, quanto di più lontano dall'utilizzo enfatico e propagandistico dei regimi totalitari che infatti piegavano a proprio piacimento l'ideale di bellezza ellenistica, nasce questa interessante mostra dal titolo nicciano Umano troppo umano aperta da oggi e fino al 13 novembre alla Villa d'Este di Tivoli, curata dal direttore Andrea Bruciati e da Stephane Verger, a sua volta direttore del Museo Nazionale Romano (nei pressi della Stazione Termini) che ha collaborato attraverso un percorso interno ripensato e con il prestito di alcune opere.

Bruciati è un contemporaneista, appassionato di pittura, chiamato di recente a misurarsi con uno dei simboli architettonici del Rinascimento italiano dichiarato patrimonio dell'Unesco. Propone dunque uno sguardo diacronico attraverso la storia, dove il concetto lineare di tempo è messo fortemente in discussione, quasi a dire che antico o moderno in fondo non sono che convenzioni. 

Unificante, piuttosto, è la suggestione che si sforza di mettere in luce analogie e differenze nella rappresentazione di corpi "perfetti" secondo il mito greco del kalos kai agathos. Belli e valorosi perché allenati, abituati allo sforzo e alla competizione.

Tra le opere esposte, torsi e teste di atleti, mosaici con scene di palestra dal Museo Nazionale Romano, Villa Adriana e dal Parco Archeologico di Ostia, bronzetti di lottatori del Museo Archeologico di Firenze, ceramiche con scene di lotta dai Musei Capitolini, dal Museo Etrusco di Villa Giulia e dall'Antiquarium di Numana. 

Questi manufatti così preziosi per stile e testimonianza vengono messi a confronto con opere contemporanee il l;' che sull'autorialità hanno costruito il loro valore aggiunto: disegni e dipinti di De Pisis e Sironi, la riproduzione fotografica di una scultura di Brancusi, i fotogrammi di Leni Riefensthal, i lavori concettuali di Paolini e Agnetti fino al video di Douglas/Parreno che ha per protagonista assoluto Zinedine Zidane quando giocava al Real Madrid, seguito nel tempo reale dei 90 minuti di una partita dalle videocamere degli artisti. 

Non è la prima volta in cui passato e presente entrano in relazione, anche in considerazione dell'"invadenza" del nostro patrimonio, ma questa mostra offre una chiave di lettura diversa che non può tener conto di quanto è accaduto negli ultimi anni, del periodo appena trascorso che ha evidenziato la fragilità del nostro corpo di fronte ad agenti esterni invisibili e invincibili.

Prima di Umano troppo umano c'era stata un'altra esposizione a Tivoli con il titolo derivato da Nietzsche, Ecce homo, un primo capitolo. Qui però il tema portante è legato a come il valore conquistato sul campo non riesca a evitare il destino tragico per l'eroe caduto: ha perduto la forza e pur essendo ancora giovane e bello non può più competere con chi ha meno annidi lui. 

È una riflessione sul limite dell'umano, del corpo, sulla caducità, lettura decisamente inconsueta se applicata all'immortalità del dio greco o alle immagini propagandistiche utilizzate dal fascismo. L'eroe sironiano non c'è più o quantomeno non mostra soltanto il suo lato vincente, al regime quindi smette di tornare utile. 

Occasioni del genere servono per rapportarsi in maniera diversa rispetto al tempo. L'esperto d'arte potrà ammirare alcuni dipinti francesi di genere del XIX secolo accanto al torso nudo virile da Villa Adriana; le teste provenienti da Ostia Antica con i dipinti neomanieristi di Carlo Maria Marino prodotti negli anni '80 o la citazione dal Giudizio michelangiolesco da parte di Mirella Bentivoglio. 

Un dato non potrà non far riflettere: l'ideale della bellezza classica è pressoché interamente declinata al maschile perché il corpo della donna nell'antichità non si sottoponeva ad alcuna attività sportiva. Percorre dunque il catalogo delle immagini una certa tensione omoerotica che oggi si può leggere come il tentativo di rovesciare uno sguardo troppo tradizionale imposto dai secoli successivi alla fine dell'antichità classica.

Sergio Arcobelli per “il Messaggero” il 15 marzo 2022.

Una settimana da leoni. Fieri e coraggiosi: in un solo aggettivo: indomabili. Da Cr7 a Brady, da Benzema e Modric a LeBron James, sono loro, gli highlander, quelli che non mollano e, per giunta, ritornano. Perché la passione vince su tutto. E allora (ri)eccoli ancora, con qualche ruga in più, ma con la stessa fame di sempre. Pensiamo a Cristiano Ronaldo, anni 37, autore sabato di una tripletta decisiva nel match di Premier League contro il Tottenham di Antonio Conte che gli ha permesso di raggiungere quota 807 gol in carriera (e diventare il massimo goleador in partite ufficiali superando Josef Bican).

Alla faccia di chi, dopo giorni di polemiche ed illazioni su un finto infortunio, sentenziava già: «Senza Cr7 lo United può giocare meglio». Forse, può darsi di sì. Fatto sta che nessuno come lui sa far gol. L'immagine del portoghese in copertina fa da contraltare a quella del suo arcirivale Lionel Messi, che domenica veniva subissato di fischi dai propri tifosi. Cristiano, invece, era uscito dal campo con una standing ovation. 

Tra l'altro, un Ronaldo così motivato non è affatto una bella notizia per l'Italia che, probabilmente, se lo ritroverà di fronte nella partita decisiva per l'accesso al Mondiale del 2022 in Qatar. Se poi, come si dice, con Cristiano Ronaldo in campo si parte sempre dal risultato di 1-0, allora va da sé che il ct Roberto Mancini avrà bisogno di ritrovare in forma smagliante la sua coppia titolare di centrali dell'Europeo, quella formata dagli juventini Bonucci e Chiellini, che peraltro CR7 conosce bene. Altrimenti, saranno dolori per la nostra Nazionale.

Prima della tripletta di Cristiano Ronaldo, però, ce n'era stata un'altra, altrettanto magnifica: quella di Karim Benzema. Il 34enne francese è stato il grande protagonista della rimonta che ha consentito al Real Madrid di superare il PSG e di vincere il duello a distanza con l'alieno che porta il nome di Kylian Mbappé. E che presto potrebbe ritrovarsi come compagno di club, oltre che nella Francia.

Ma non ci sarebbe stata la remuntada della squadra di Carlo Ancelotti se non fosse stato pure per il croato Luka Modric che, a 37 anni, ha sublimato la sua prestazione con un assist per il secondo gol di Benzema. Nella settimana dei fuoriclasse che non hanno età, non si può non citare LeBron James. Il 37enne cestista americano, dopo aver segnato 50 punti contro Washington e, la settimana prima, averne messi 56 sua miglior performance in maglia Lakers ieri notte è diventato il primo giocatore della storia della Nba con almeno 30.000 punti, 10.000 rimbalzi e 10.000 assist.

E che dire dei mostri sacri del tennis? Rafa Nadal, 35 anni, ieri a Indian Wells ha battuto Daniel Evans qualificandosi per gli ottavi e infilando la sua 17ª vittoria stagionale di fila, miglior avvio di stagione della sua pazzesca carriera. Nella stessa giornata in cui Novak Djokovic, 34 anni, tornava numero uno del mondo grazie alla vittoria di Gael Monfils contro il russo Daniil Medvedev.

Sempre ieri, però, è arrivata la notizia che non ti aspetti: Tom Brady, dopo aver annunciato il ritiro sei settimane fa, ci ha ripensato e torna a giocare. L'annuncio del 44enne quarterback californiano, curiosamente, è arrivato proprio all'indomani dell'incontro all'Old Trafford di Manchester con Cristiano Ronaldo, fresco di tripletta.

«Negli scorsi due mesi ha scritto Brady sui social - ho realizzato che il mio posto è ancora sul campo e non in tribuna. Quel tempo arriverà. Ma non è adesso. Amo i miei compagni di squadra e la mia famiglia che mi supporta e rende tutto possibile. Torno per la mia 23ª stagione, a Tampa. Il lavoro non è finito». Un ritorno nella scia di altre leggende dello sport, come Jordan e Pelè, Schumacher e Phelps, Foreman e Ali, Lauda e Borg, ecc. Brady però non è neanche l'unico ad aver effettuato un rientro lampo.

La regina del volley, Francesca Piccinini, aveva annunciato il ritiro nel settembre 2019, ma poi nel gennaio 2020 era ritornata in campo. Lo stesso avevano fatto l'ex ferrarista Felipe Massa, il pugile Floyd Mayweather Jr ed il ciclista Tom Dumoulin. Per non parlare di Antonio Cassano che prima aveva annunciato il ritiro, poi ci aveva ripensato ed, infine, aveva deciso di chiudere definitivamente con il calcio giocato. L'hanno definita l'ultima cassanata.

Recuperi lampo degli sportivi dopo gli infortuni: da Goggia alle Olimpiadi a Marquez, Rossi, Lauda, Baresi, Lorenzo. Salvatore Riggio su Il Corriere della Sera il 15 Febbraio 2022.

La sciatrice azzurra argento in discesa ai Giochi di Pechino appena 23 giorni dopo un grave infortunio è solo l’ultima di una lunga serie di imprese. Valentino due volte nel 2010 e nel 2017. Nel 1976 Lauda con la Ferrari rischiò la vita al Nurburgring, 42 giorni dopo guidava a Monza. E Lorenzo corse dopo 35 ore da un intervento in anestesia totale, Marquez provò 5 giorni dopo una delicata operazione ma poi dovette dare forfait.

Goggia, l’argento della volontà

L’argento olimpico di Sofia Goggia nella discesa di Pechino 2022 è un’impresa che vale un oro, se consideriamo che solo 23 giorni prima, dopo l’infortunio di Cortina (successivo alla dura caduta della settimana precedente ad Altenmarkt-Zauchensee e a un recupero-lampo), l’azzurra sembrava completamente fuori da questi Giochi olimpici. «È una favola a cui ho saputo credere, perché a Cortina dopo l’infortunio sembrava un sogno andato in fumo — ha raccontato Sofia dopo la gara —. Quando la squadra partiva per i Giochi io ero in palestra e avevo il magone, le lacrime agli occhi. Mi ripetevo se riesco a superare la prova e ritrovare confidenza sugli sci la gara poi non sarà difficile. E infatti la parte dura è stata prima, riprendermi dall’infortunio». Proprio questo recupero aggiunge epica a una carriera già straordinaria, piena di vittorie ma anche di infortuni dai quali Sofia si è sempre saputa riprendere con una forza di volontà incredibile, anche se non rara nello sport. La campionessa azzurra entra così di diritto nella galleria dei grandi atleti capaci di recuperi che, spesso, hanno superato i limiti della sopportazione e la logica della medicina.

Marquez, eroismo e calvario

Marc Marquez aveva provato, senza successo, a correre il Gran premio d’Andalusia a Jerez, domenica 26 luglio 2020, dopo essere rientrato nelle qualifiche appena cinque giorni dopo l’operazione che gli ha ricomposto, con l’inserimento di una placca di titanio, la tripla frattura dell’omero destro rimediata in gara la domenica prima. Fu salutato come un’impresa eroica — non nuova nel motociclismo —, in realtà fu l’inizio di un lungo calvario — forse evitabile — che lo ha tenuto poi a lungo lontano dalle piste e sull’orlo del ritiro. In ogni caso, una storia emblematica di uno sportivo che ha bruciato le tappe previste dai medici per il recupero, superando la soglia del dolore e delle umane possibilità per tornare a fare ciò che più ama: competere. Una caratteristica comune a tutti i campioni di questa galleria.

Lorenzo, dall’anestesia totale alla gloria

Assen 2013, Jorge Lorenzo corre il gran premio di MotoGp del sabato in Olanda e arriva quinto (partendo 12°) appena 35 ore dopo avere subito un intervento alla clavicola in anestesia totale. Era caduto il giovedì, lo davano inidoneo alle corse. Lui se ne frega. va a Barcellona, si opera, torna e corre È una delle più grandi imprese della storia dello sport. Alla fine dire si non sentirsi un eroe, perché «eroi sono quelli che faticano ad arrivare alla fine del mese», e men che meno un matto, perché «matti sono quelli che rischiano a fare cose che non sono in grado di fare. Se avessi capito che non avrei potuto correre, non avrei corso». Lorenzo semplicemente è un pilota di moto. Per loro certe cose sono normali.

Valentino Rossi e la sfida di Aragon

Valentino Rossi più forte del dolore corre ad Aragon nel 2017 il 24 settembre. L’incidente in enduro nel quale si è fratturato tibia e perone è avvenuto appena il 31 agosto, ma il Dottore ha accelerato i tempi iniziando la fisioterapia immediatamente dopo l’intervento. In gara arriva quinto. Vale come una vittoria.

Valentino: nel 2010 già un rientro record

È sempre Valentino protagonista di un altro recupero in tempi velocissimi. Il 5 giugno 2010 si rompe tibia e perone nelle prove del Mugello. Lo stesso infortunio di adesso, ma ancora più brutto perché si trattava di fratture scomposte: gli danno 4 mesi dopo stop, dopo 40 giorni è di nuovo in moto. Dopo aver saltato 4 Gp al rientro in Germania Rossi chiude quarto.

Niki Lauda, dal rogo del Nurburgring al ritorno a Monza

Il 1 agosto del 1976 Niki Lauda è protagonista di un terribile incidente sul circuito del Nurburgring. Salvato dalle fiamme da Arturo Merzario, il pilota della Ferrari rischia la vita per le ustioni e per aver respirato a lungo i gas tossici sviluppati nel rogo. Nell’impatto il pilota della Ferrari aveva riportato anche diverse fratture, a un zigomo e al torace. Ci vorranno cinque giorni perché Lauda venga dichiarato fuori pericolo, ma nello stupore generale ne basteranno poco più di 40 perché ritorni alla guida della sua monoposto al Gran Premio d’Italia, a lottare per il titolo mondiale, la cui riconquista pareva quasi certa, prima dell’incidente. Nella leggendaria sfida con il pilota della McLaren James Hunt, Lauda si vedrà soffiare il titolo per un solo punto sotto il diluvio al Fuji in cui Lauda sceglie di ritirarsi perché era troppo pericoloso correre in quelle condizioni. L’incidente lascerà segni indelebili sul suo corpo, ma non intaccherà a sua passione per la velocità e la sua temibile grinta sportiva, e tra ritiri e ritorni sulle piste, vittorie e duelli all’ultimo giro con altri assi delle monoposto, segnerà la storia della Formula 1 con 177 Gran Premi disputati e 3 mondiali vinti. Oggi è presidente onorario della scuderia Mercedes con cui ha conquistato tre titoli mondiali e tre costruttori.

Mika Hakkinen: dal coma ai due Mondiali

Nell’ultima gara del campionato di F1 del 1995 ad Adelaide, Mika Hakkinen fa un bruttissimo incidente a causa di una foratura in uno dei punti più veloci della pista. I soccorritori temono il peggio, il finlandese entra in coma per risvegliarsi dopo ore di angoscia e dolore. Sostiene di voler tornare a correre nel più breve tempo possibile, nella stagione successiva, ma sono in tanti - inclusi i medici- a dubitarne. E invece è tutto vero: Hakkinen dopo aver rischiato di morire diventerà campione del mondo nel 1998 e nel 1999 dopo aver battuto Michael Schumacher.

Franco Baresi, 25 giorni per guarire dal menisco rotto

Franco Baresi ha 34 anni nel 1994 quando l’Italia di Arrigo Sacchi si gioca il Mondiale negli Stati Uniti. Nella seconda partita della fase a gironi contro la Norvegia (vinta dagli azzurri per 1-0) il capitano si rompe il menisco. Operato, torna in campo 25 giorni dopo nella finale (persa ai rigori) contro il Brasile.

Hermann Maier, «Herminator»

È stato uno degli sciatori più forti di tutti i tempi, detto “Herminator”. Nel 2001, quando aveva già vinto due coppe del mondo e due ori olimpici, viene investito da un’auto mentre era in moto. Si teme addirittura l’amputazione della gamba destra, nel 2003 l’austriaco torna sulla neve dopo un lungo periodo di riabilitazione e tante operazioni e l’anno successivo conquista la sua quarta coppa. La più difficile e attesa.

Zurbriggen, oro e argento dopo l’operazione

Il 12 gennaio del 1985 Zurbriggen si rompe il menisco sulla Streif, la pista di Kitzbuehel fra le più difficili e veloci al mondo. Ventidue giorni dopo l’operazione il rientro ai Mondiali di Bormio: due ori e un argento. Un’impresa che resterà nella storia.

Alex Zanardi. La battaglia di Zanardi. È a casa dopo due mesi. Il campione di handbike era ricoverato da agosto dopo un incendio alle macchine di riabilitazione. Patricia Tagliaferri il 21 Settembre 2022 su Il Giornale.

Torna di nuovo a casa Alex Zanardi, nella sua villa di Noventa Padovana dove vive con la moglie Daniela e il figlio Niccolò, dopo l'incendio che ad agosto aveva costretto lo sfortunato ex pilota ad un secondo ricovero perché le fiamme, provocate dal surriscaldamento dell'impianto fotovoltaico sul tetto, avevano compromesso i macchinari necessari per l'assistenza domestica.

Dopo quasi due mesi in ospedale, dove i medici hanno stabilizzato le sue condizioni, il campione paralimpico ha lasciato il San Bortolo di Vicenza, un centro di eccellenza sanitaria per la specifica situazione clinica di Zanardi, per continuare la riabilitazione a casa, già avviata dopo le prime dimissioni, lo scorso dicembre, al termine della lunga degenza a cui lo ha costretto l'incidente in handbike contro un camion durante una staffetta di beneficenza sulle colline senesi nel giugno del 2020. Un nuovo dramma, che lo ha fatto precipitare di nuovo tra la vita e la morte, come vent'anni fa sulla pista di Lausitzring, in Germania, che gli costò l'amputazione di entrambe le gambe. Da allora la sua «filosofia» è stato un esempio di vita per generazioni di sportivi e non solo: «Quando mi sono risvegliato senza gambe ho guardato la metà che era rimasta, non la metà che era andata persa», disse al suo risveglio.

Dopo l'incendio domestico, la moglie e il figlio dell'ex pilota automobilistico lo hanno voluto riportare al San Bortolo, nel reparto che resterà il suo punto di riferimento medico pure per il futuro e dove ha potuto godere di un riserbo pressoché impenetrabile, come richiesto dalla famiglia per tutelarne la privacy. È stato il primario Giannettore Bertagnoni a seguire il campione, consentendo l'accesso alla sua camera ospedaliera «blindata» solo ai familiari più stretti e a fisiatri, fisioterapisti, logopedisti, infermieri. «In questo periodo - ha spiegato il medico - il nostro principale obiettivo è stato di stabilizzare le condizioni cliniche generali di Zanardi. Ma, contestualmente, abbiamo proseguito il programma riabilitativo seguito durante il primo periodo di degenza». Sono stati anni durissimi gli ultimi due per la leggenda paralimpica, quattro medaglie d'oro ai Giochi di Londra e di Rio, che dopo l'incidente del 2020 ha dovuto affrontare un lungo percorso medico a riabilitativo. Il devastante scontro contro l'autoarticolato gli aveva provocato un grave trauma cranico che aveva reso necessario prima un delicato intervento chirurgico e poi un lungo programma di terapie neurologiche e fisiche. Cure che a giugno gli avevano consentito di riprendere a comunicare e di tornare a casa pochi giorni prima di Natale 2021, dopo oltre un anno e mezzo. Era stata la moglie ad annunciarlo, spiegando che Zanardi era in grado di comunicare ma non di parlare e che avrebbe continuato la riabilitazione a casa, nel suo ambiente familiare, alternando temporanei soggiorni in cliniche specializzate. Poi, ad agosto, l'incendio che aveva compromesso i macchinari necessari alla riabilitazione aveva costretto i familiari a ricoverarlo di nuovo. Fino a ieri. 

Incendio nella villa di Zanardi: "Macchinari a rischio". L'ex campione trasferito a Vicenza. La Repubblica il 2 Agosto 2022.

Le fiamme sono state spente, a bruciare l'impianto fotovoltaico

Un incendio è scoppiato nella villa di Alex Zanardi, a Noventa Padovana. A prendere fuoco l'impianto fotovoltaico, con le fiamme che sono state spente nelle ore successive. Si stanno valutando gli eventuali danni ai macchinari che assistono l'ex campione, che a giugno del 2020 è rimasto coinvolto in un incidente nel Senese mentre partecipava a una gara di handbike: Zanardi, per sicurezza, è stato comunque trasferito.

Zanardi trasferito a Vicenza

Alex Zanardi è stato trasferito in via precauzionale in un centro medico di Vicenza. Troppo rischioso per lui restare nella villa dopo il rogo. La decisione è stata presa dai familiari. Zanardi era tornato a casa a Natale dell'anno scorso. "È un combattente, ma in quest'anno e mezzo, col Covid, in ospedale e in clinica siamo potuti stare poco, e in pochi, vicino a lui. Ora tornare in famiglia gli farà bene e lo aiuterà lottare ancora di più", aveva spiegato la moglie. L'ex pilota di Formula 1, diventato un simbolo dello sport paralimpico, tra gennaio e febbraio si è sottoposto ad un ciclo di cura al centro iperbarico di Ravenna. 

Come sta Zanardi: le condizioni, il recupero, gli esercizi alle braccia, la logopedista, la nuova carrozzina. Giorgio Terruzzi su Il Corriere della Sera il 20 dicembre 2021.

La moglie Daniela racconta il percorso di riabilitazione a cui si sta sottoponendo Alex: «Il programma ha permesso progressi costanti. Certo, le battute d'arresto ci sono e possono ancora verificarsi». 

«Alex ha potuto lasciare l’ospedale qualche settimana fa e ora è tornato a casa con noi». Lo dice Daniela Zanardi rompendo un lungo silenzio, raccontando (attraverso il sito Bmw) di un traguardo tagliato, a 18 mesi da quel terribile incidente che ha costretto Alessandro a pedalare di nuovo lungo una interminabile salita.

Ma questo è un regalo di Natale per ciascuno di noi perché il ritorno a casa segna una tappa importante verso una ripresa ancora più rilevante mentre carica Daniela, il figlio Niccolò di una ulteriore responsabilità, abbinata al ripristino di una convivenza comunque più gioiosa: «Il recupero continua ad essere un processo lungo. Il programma di riabilitazione condotto da medici, fisioterapisti, neuropsicologi e logopedisti ha permesso progressi costanti. Naturalmente, le battute d'arresto ci sono e possono ancora verificarsi. A volte bisogna anche fare due passi indietro per farne uno in avanti. Ma Alex dimostra continuamente di essere un vero combattente».

Non è l’unico a battersi in quella casa, va detto, ma il fatto di vivere in famiglia, in un ambiente più caldo e carico di stimolazioni potrebbe dare un impulso davvero utile al tragitto che resta da compiere. Non più lunghe ore di solitudine nelle stanze delle cliniche che lo hanno accolto ma suoni e voci da ascoltare in continuazione: «Solo io, nostro figlio e la madre di Alex potevamo fargli visita, ma sempre solo una persona al giorno e questo solo per un'ora e mezza. Siamo con Alex tutto il giorno, lui è nel suo ambiente familiare e quindi potrebbe tornare un po' alla normalità. Questo gli dà ulteriore forza. Nelle cliniche, Alex è in ottime mani, ma la sua casa è ancora la sua casa».

Ecco, casa. Dove può essere aiutato, stimolato, abbracciato e accudito in un ambiente modificato per accoglierlo. Amore e la forza, straordinaria di Daniela a di Niccolò a fargli compagnia: «Diversi programmi che Alex ha fatto in ospedale, sono continuati a casa ora. Durante la settimana, un terapista lavora con lui e fanno esercizi fisici, neurologici e logopedici. Per quanto riguarda la sua condizione fisica, ci sono molti progressi. Alex ha sempre più forza nelle braccia, che è aumentata molto. E, a parte l'ospedale dove stava molto a letto, Alex ora passa la maggior parte della giornata sulla sedia a rotelle con noi».

Ciò significa disporre già di una padronanza motoria riacquisita, allude a progressi che fanno volare il cuore tutti noi, coinvolti come siamo nel destino di Alessandro. Non solo, il fatto che stia lavorando con un logopedista fa pensare al recupero della parola, anche se non ha senso in questa fase volare con la fantasia e il desiderio, presi da un eccesso di ottimismo: «Non si può ancora prevedere come il suo recupero si svilupperà ulteriormente. È ancora un percorso lungo e impegnativo che Alex affronta con molto spirito combattivo». Sì, concretezza e realismo. Sono gli ingredienti che Daniela ha utilizzato sempre, con una determinazione assoluta. Ma questa tappa profuma di qualcosa che abbiamo imparato a conoscere grazie ad Alex e a una famiglia che gli somiglia. È un invito a non rinunciare, a trattare la fatica come qualcosa che restituisce sempre. Qualcosa, viene da dire ascoltando Daniela, sta già restituendo.

Chiara Baldi per "la Stampa" il 4 febbraio 2022.

«Alessandro è un uomo magnetico, con una grandissima voglia di fare. Pensi che un giorno mi ha detto "dobbiamo lavorare, voglio star bene". E lo ha fatto davvero: ogni giorno per tutto il periodo in cui è stato da noi, per quattro, cinque ore consecutive, si è sottoposto a questa terapia con una forza che mi ha lasciato senza parole». 

Pasquale Longobardi, 60 anni, dal 1989 è direttore del Centro Iperbarico di Ravenna che dal 3 gennaio fino a fine mese ha avuto in cura Alex Zanardi. Per lui è stato organizzato un team di dieci specialisti che comprendevano, oltre a Longobardi, specializzato in medicina iperbarica con esperienze anche in Giappone, Germania e Usa, un medico specialista in rialibitazione, due neurologi, una psicologa, un fisioterapista, un logopedista, un'infermiera, un tecnico iperbarico e uno specialista in cannabis terapeutica. «Che a Zanardi è stata prescritta, seppur in quantitativi bassissimi, per evitare che le cellule danneggiate e che producono molto calcio, si rovinino ulteriormente», chiarisce Longobardi.

E poi Alex ha avuto accanto il medico-amico di sempre, Claudio Costa, colui che materialmente l'ha portato al centro di Ravenna, e la moglie Daniela Manni «che non lo abbandona mai e questo fa una grande differenza: è la sua forza». E poi i fan, sempre presenti, con striscioni fuori dalla struttura. La terapia cui il campione paralimpico è stato sottoposto prevede l'impiego di una camera iperbarica «molto più grande di quelle tradizionali, che solitamente ospita 12-13 persone, sedute. Lui l'ha usata in esclusiva visto che doveva stare steso a fare gli esercizi» e di due gas, che vengono iniettati nel corpo: l'ossigeno «che dà energia alle cellule» e l'elio «che impedisce loro di morire». In più, spiega Longobardi, «fuori dalla camera iperbarica ci sono dei dispositivi medicali che mandano impulsi elettrici in un processo che si chiama neuromodulazione».

Tradotto, «prendiamo la "corrente" del corpo e la distribuiamo verso il cervello così da far ripartire la funzione cerebrale». Infine, il team del Centro Iperbarico di Ravenna gli ha praticato la «medicina di bioregolazione del sistema, che funziona con una flebo in vena che nutre le cellule attivando le staminali». 

Ma se c'è una persona che lo ha davvero aiutato a stare meglio è sé stesso: «In queste settimane abbiamo visto una persona meravigliosa, cosciente e molto collaborativa, ha interagito sempre con ognuno dei professionisti con cui ha avuto a che fare. Per esempio - racconta Longobardi - con la fisioterapista ha lavorato assiduamente perché sa di avere un percorso davanti e vuole portarlo a termine. Ha una grande voglia e il suo atteggiamento è un forte messaggio per gli altri pazienti: non bisogna abbattersi mai».

Da un paio di giorni Zanardi ha lasciato Ravenna e Villa Maria di Cotignola, presso cui soggiornava con la moglie, per tornare a casa, a Noventa Padovana, ma tra un paio di mesi tornerà al Centro Iperbarico per sottoporsi a un secondo ciclo. «Sono sessioni molto intense a cui un corpo può essere esposto per periodi brevi, ora deve riposare. In primavera ci sarà un secondo tempo ma più breve». Dal 19 giugno 2020, giorno in cui è iniziata l'ennesima vita di Alex Zanardi, dopo l'incidente in handbike contro un camion sulla strada tra Siena e Montalcino, l'atleta paralimpico è stato operato dodici volte in cinque diversi ospedali.

Portato d'urgenza al Santa Maria alle Scotte con quella che i chirurghi definiranno una «catastrofe facciale», nei primi trenta giorni viene operato tre volte. Il 21 luglio lo trasferiscono a Villa Beretta dell'Ospedale Valduce di Como dove, in tre giorni, resta vittima di un'infezione che lo obbliga a uno spostamento immediato al San Raffaele di Milano. Qui lo operano altre due volte. Il 21 novembre lo spostano a Padova e il 21 aprile 2021 al San Bortolo di Vicenza: altre operazioni. Ma Alex migliora. E ora aspetta la primavera.

·        Il Body Building.

Estratto dell’articolo di Flavio Pompetti per “Il Messaggero” il 30 ottobre 2022.

Bicipiti e deltoidi ipertrofici, tesi fino allo spasimo. Pettorali e addominali potenti, che esplodono da bikini formato francobollo. Glutei e sartori gonfiati come camere d'aria di un pallone. La pelle ambrata da autoabbronzanti e coperta da oli che la trasformano in una superficie riflettente. 

Le donne che praticano lo sport del body building si sottopongono a centinaia di ore di palestra e a diete ferree per scolpire il corpo e renderlo competitivo sul palco dei tanti concorsi annuali ai quali partecipano. […] 

Ma dietro di loro, e spesso a loro insaputa, c'è una selva di uomini determinati a inseguire ben altri traguardi. Istigatori, ricattatori, maestri nello scoprire le debolezze e sfruttarle a loro vantaggio. Per portare una di loro a letto, o costringerla a prestazioni sessuali improvvisate e umilianti. Molto più spesso per convincerle a posare, nude o seminude, per servizi fotografici che poi diventano materiale pornografico da esibire e offrire in vendita su siti specializzati, e il cui commercio genera profitto per i soli maschi che tengono le fila dell'intera organizzazione.

Il quotidiano statunitense Washington Post ha pubblicato un'inchiesta approfondita nel mondo dei muscoli e dei corpi sessualizzati che sta dietro lo sport e ha raccolto decine di testimonianze dalle atlete che hanno fatto parte in passato della carovana. […] 

Gli investigatori del giornale hanno trovato che su un campione di 200 atlete, un terzo almeno è stato ritratto in sessioni fotografiche in bikini, mentre un quarto ha posato senza veli. Le immagini circolano su siti web a pagamento, di frequente abbinate ad altre più esplicitamente sessuali che ritraggono pornoattrici e pornoattori. Nessuna delle donne intervistate ha mai visto un centesimo di questi soldi, anche nei rari casi in cui qualcuna tra loro ha acconsentito alla pubblicazione delle foto.

L'indagine ha al suo centro la figura di J.M. Manion, figlio di un atleta di body building, e creatore dell'agenzia più influente nel panorama dello sport competitivo femminile. Sotto il suo nome nel tempo sono stati registrati anche i siti Erotic Fitness, Alluring Fitness, Fitness Diva, in un crescendo di sfruttamento delle immagini delle donne che sono passate per le file dell'organizzazione.

Ava Cowan è stata una delle poche a ribellarsi, dopo che un avvocato le aveva detto che firmare il contratto che Marion le aveva proposto equivaleva a vendergli il suo corpo. L'atleta denunciò la corruzione che permetteva all'agente di dominare il mercato, e per questo fu bandita per quattro anni da sponsor e organizzatori.

Jenn Gates si è ritirata nel 2011, tre anni dopo aver vinto il titolo di Olympia, e dopo essersi rifiutata di posare nuda per delle foto richieste da J.M. Ha scoperto solo tramite gli investigatori del Post che le sue immagini in minibikini giravano sul web a pagamento, accanto a quelle di pornoattori. 

Mandy Henderson ha ceduto alla richiesta di foto di nudo, perché si era resa conto che era l'unico modo di guadagnare, tramite l'intercessione del potente Marion, la tessera da professionista che garantisce borse più cospicue per i vincitori dei concorsi. Quando ha protestato con il manager per la lunga attesa della tessera, le è stato risposto: «Ma tu non sei ancora passata dalla mia camera da letto».

Un ricatto frequente soprattutto per le sportive che ambiscono alla vittoria dell'Olympia, il cui premio vale 60.000 dollari (contro i 650.000 a disposizione di Mister Muscolo, nella stessa competizione). La richiesta di un costume da bagno aderente per le donne, a partire dal 2010, si è trasformata nell'obbligo del bikini. È da allora che lo sfruttamento sessuale è cresciuto in modo esponenziale.

·        Quelli che...lo Yoga.

Quello che chiamiamo Yoga non è Yoga, ma una pratica coloniale.  Sara Tonini su L'Indipendente il 16 Dicembre 2022

Lo yoga, l’insieme di pratiche ascetiche e meditative di origine indiana, è da tempo in voga anche in Occidente. La sua diffusione negli Stati Uniti e poi in Europa risale alla prima metà del XX secolo, quando personaggi di spicco del mondo dello spettacolo come la ballerina americana Ruth St Denis e l’attrice Marilyn Monroe lo promossero come allenamento di bellezza. Da quel momento la popolarità di questa pratica è aumentata considerevolmente e a valicato i confini di pratica femminile cui – senza motivo – era stato relegato in Occidente. Sono nati centri non solo per la pratica, ma anche per la cultura yogica, ma in verità quella pratica che chiamiamo yoga continua ad essere una cosa molto diversa dalle pratiche ascetico-meditative inventate nell’India antica e ancora oggi praticate nel subcontinente, con tratti che – come vedremo – rientrano nel campo dell’appropriazione e della banalizzazione culturale.

Di questo avviso è ad esempio Vikram Jeet Singh, celebre istruttore di yoga a Goa e una delle voci critiche verso l’approccio occidentale alla disciplina, come ribadito in un contenuto pubblicate in un articolo pubblicato su This Week in Asia che ha avuto un importante risonanza. «La mia cultura è stata spazzata via e soppressa dalla colonizzazione – ha scritto Singh – e ora viene riconfezionata e venduta sotto un’altra forma». Per l’insegnante indiano, il giro di soldi in Occidente attorno al “mondo yoga” va contro la sua stessa natura; non dovrebbe essere né «un’esperienza di shopping né un prodotto accessibile solo a un’élite», afferma. «Lo yoga è una pratica che esiste da migliaia di anni ed è sempre stata accessibile a tutti, ma oggi è diventato sinonimo di una sessione di allenamento priva di qualsiasi tipo di background culturale, in cui bisogna presentarsi con leggings Lululemon da 100 dollari e un tappetino altrettanto costoso».

Nel 2019, l’industria globale dello yoga aveva un valore stimato di 37,46 miliardi di dollari e si prevede che entro il 2027 raggiungerà i 66,23 miliardi di dollari. Gli enormi ricavi non provengono solo dalle iscrizioni agli studi, lezioni e ritiri, ma anche dagli accessori e i prodotti correlati – vestiti, tappetini, oggetti di scena per lo yoga, cibo e bevande – che dovrebbero completare lo “stile di vita yogico”. Per quanto riguarda il nostro Paese, secondo i dati di una ricerca dell’Osservatorio Reale Mutua, nel 2020 un italiano su cinque ha praticato yoga: il boom sarebbe avvenuto con la pandemia, quando tra lockdown e restrizioni varie, moltissimi italiani si sono avvicinati a questa disciplina. «Per dirla senza mezzi termini, l’Occidente ha creato questo sistema in cui si appropria e insegna pratiche dall’Oriente – ha continuato Singh – ma non c’è una sola persona dell’Oriente che partecipi a questo tipo di corsi e che benefici delle loro entrate».

E poi c’è l’aspetto dell’appropriazione culturale: le magliette con scritto Namaste, le immagini di divinità indù trasformate in tatuaggi o i simboli om stampati sui tappetini da yoga. Per alcuni come Nadia Gilani, maestra di Yoga intervistata dal The Guardian, tutto questo vuol dire appropriarsi di una cultura senza rispettarla. Un articolo pubblicato sul Time ha parlato addirittura di un vero e proprio “sbiancamento”  dello yoga da parte dell’Occidente. Molti istruttori indiani hanno accusato i sostenitori in Occidente di averlo trasformato in un esercizio “sexy”, spesso promosso da donne bianche e magre, e di aver raccontato la pratica come uno stile di vita più che una disciplina spirituale con origini risalenti a migliaia di anni fa. Cat Meffan, insegnante online del Regno Unito, ha notato che quando mediaticamente è emerso il problema dell’appropriazione culturale, alcune aziende hanno deciso di inserire istruttori dell’Asia meridionale in prima linea nelle campagne di comunicazione, per poi smettere di farlo una volta che l’attenzione sulla questione era calata. Meffan ha aggiunto che è responsabilità soprattutto di chi promuove questa disciplina di rispettare e trasmettere la sua storia. «Se noi, come facilitatori di yoga e brand di yoga, non stiamo sostenendo i principi fondamentali dello yoga, allora dobbiamo chiederci cosa stiamo facendo», ha dichiarato. 

A non aiutare in questo percorso di riappropriazione culturale è la stessa immagine stereotipata dell’India che si è diffusa in Occidente. Spesso raffigurata come “un parco giochi esotico”, l’India è entrata nella cultura pop occidentale con i viaggi dei Beatles o più recentemente di Steve Jobs o grazie a rappresentazioni di successo come il film “Mangia, prega, ama”. E questa immagine del Paese-luna park sarebbe rafforzata dallo stesso governo indiano, felice di capitalizzare la sua storia e di dipingere la sua terra come una fusione di evasione, avventura e rinascita. Basti pensare che nel 2016 l’India ha istituito un programma di visti rivolto esclusivamente a viaggiatori facoltosi che desiderano visitare il Paese per studiare yoga. Negli Stati Uniti, questi visti per lo yoga costano il doppio di un normale visto turistico.

Anche se il dibattito è ancora aperto molti istruttori chiedono maggiore impegno da parte di chi diffonde e pratica questa disciplina: «vedete una rappresentazione diversificata del tipo di corpo, delle etnie, dei generi, della classe socio-economica e delle abilità fisiche nel vostro studio? La vostra pratica riduce la vostra sofferenza e quella di chi vi circonda? Imparate, rispettate e riconoscete le radici culturali e religiose dello yoga?» queste sono solo alcune delle domande che, secondo un movimento di istruttori di yoga e scrittori, bisognerebbe porsi prima di salire su un tappetino. [di Sara Tonini]

·        Wags e Fads.

Estratto dell’articolo di Chiara Bruschi per “Il Messaggero” il 30 ottobre 2022.

Guadagnano più di dei padri. E non ci sarebbe niente di cui stupirsi, se non fosse che i genitori calciatori professionisti svolgono un lavoro tra i più remunerativi al mondo. Sono le Fads, ovvero le Footballers' Aspirational Daughters, che tradotto dall'inglese significa le aspiranti figlie dei calciatori. 

Dopo le Wags, quindi, termine con cui invece si indicano le mogli degli sportivi diventate celebri grazie a carriere parallele come modelle e influencer, ora tocca alle figlie. Sui loro profili social hanno centinaia di migliaia e a volte milioni di follower, coi quali condividono uno stile di vita sopra le righe […]. 

La rivista Tatler le ha raccolte in una classifica che, per esempio, include Gemma Owen, divenuta celebre nel Regno Unito per la sua partecipazione al reality Love Island. Conta 2,1 milioni di seguaci su Instagram e 1 milione su TikTok.

La 19enne è figlia di Michael Owen, che negli anni novanta guadagnava 10mila sterline a settimana in campo con il Liverpool, squadra di Premier League, la nostra serie A. Secondo gli esperti, invece, Gemma Owen, guadagna mille sterline al secondo per ogni video che posta su TikTok in partnership con un marchio. Un suo post su Instagram sponsorizzato vale 50mila sterline. 

«L'aspetto interessante è che in gran parte il pubblico delle Fads non ha alcuna idea del mestiere svolto dai genitori», ha precisato al Daily Mail Sara McCorquodale, fondatrice di CORQ, che si occupa di trend digitali ed è autrice di «Influencer: How Social Media Influencers Are Shaping Our Digital Future» (come i social media stanno plasmando il nostro futuro). Secondo l'esperta, chi ha oltre 100mila follower è in grado di guadagnare anche 30mila sterline per un video di soli 30 secondi su TiKTok.

Mathilde Mourinho, 26 anni, è la figlia del celebre allenatore Jose. Ha studiato al London College of Fashion e ha creato il suo brand di gioielleria sostenibile Matilde Jewellery, che usa diamanti creati in laboratorio e oro riciclato. […] 

Nell'elenco di Tatler c'è anche Carla Ginola, 28 anni, figlia di David Ginola, giocatore francese che ha fatto parte di diverse squadre inglesi tra cui Newcastle, Spurs, Aston Villa ed Everton. E Holliw Shearer, 27 anni, figlia di Alan Shearer, capitano del Newcastle United con quasi 67mila follower su Instagram e 343mila su TikTok. Influencer e modella, rappresenta diversi brand di moda oltre a essersi lanciata nella musica. La sua cover di Leave Right Now di Will Young ha totalizzato quasi 900mila ascolti su Spotify.

Tra le figlie di, poi, ecco Bianca Gascoigne, figlia di Paul. Su Instagram vanta 345mila follower e Italia è conosciuta anche per la partecipazione a Ballando con le Stelle nel 2021, dove ha danzato accanto a Simone di Pasquale. Maria Guardiola, figlia di Pep, studia moda e ha già svolto stage in aziende come Victoria Beckham, Dior e Helmut Lang. […]

 Alicia Scholes ha 21 anni, è figlia di Paul Scholes del Manchester United e si mantiene grazie ai suoi 116mila follower su Instagram e 44mila su TikTok. Alicia è una giocatrice professionista di netball. Inoltre, gestisce una palestra di Manchester e guadagna con accordi commerciali con diversi brand sportivi. […]

Paola De Carolis per il “Corriere della Sera” il 12 maggio 2022.

La giudice preposta al caso aveva caldeggiato per il patteggiamento. La causa, aveva sottolineato Karen Steyn, sarebbe stata molto costosa. Ne valeva la pena? Niente, però, conta più della reputazione per chi vive soprattutto di fama: la parcella legale non sembra così preoccupare le due mogli di calciatori scese in campo l'una contro l'altra all'Alta corte di Londra nell'ambito di un procedimento che - come già quello tra Johnny Depp e il tabloid Sun - sta raccogliendo quotidianamente di fronte allo storico tribunale londinese una folla di giornalisti, fotografi e curiosi. 

Chi ha detto cosa sull'altra? 

Al centro della battaglia tra Coleen Rooney - moglie di Wayne, geniale e irascibile centravanti del Manchester United e della nazionale inglese ora tecnico del Derby County - e Rebekah Vardy - suo marito Jamie gioca per l'Inghilterra e il Leicester - ci sono informazioni private finite in mano ai tabloid.

Stanca di leggere sui giornali di fatti e vicende che aveva rivelato solo alle amiche più strette, Rooney, con uno stratagemma degno di Agatha Christie, aveva identificato la responsabile dando a tutte storie diverse. Il nome della colpevole era stato infine rivelato sui social nel 2019 con tanto di rullo di tamburi: su Instagram Rooney ha quasi un milione di follower, idem su Twitter. 

Non è un'accusa che poteva passare inosservata. Vardy nega di aver violato la privacy dell'ex amica. Non è stata lei a raccontare i fatti privati di Coleen al Sun , sostiene: non riuscendo a digerire la denuncia di Rooney, l'ha citata a giudizio per diffamazione. Si tratta di un caso che sta catturando l'interesse del pubblico e al quale i mezzi d'informazione britannici stanno dando grande risalto, perché le due donne sono esponenti di punta delle wags ( wives and girlfriends ), il colorito e chiacchierato gruppo delle compagne dei calciatori che popola le pagine dei tabloid (nonché i reality in tv).

Considerando il costo della causa - almeno 400.000 euro in avvocati a testa, stando alle stime - sarebbe lecito immaginare chissà quali segreti, mentre si tratta di notizie a grandi linee innocue, tipo il viaggio di Coleen in Messico alla ricerca di una formula magica per concepire una figlia femmina (dopo tre maschi). La rete e il potere oscuro dei social hanno fatto il resto e la povera Vardy è stata raggiunta da un'infinità di minacce e messaggi osceni. In più, essendo stata caratterizzata come un'amica poco affidabile è stata allontanata dal gruppo.

In sua difesa Vardy ha puntato il dito contro il suo entourage, in particolare l'ex agente Caroline Watt, che sarebbe la vera responsabile. Intanto, però, è lei a dover rispondere in tribunale alle domande pressanti in un caso che sta portando allo scoperto dettagli stravaganti di esistenze lontane anni luce dalla normalità (ieri, ad esempio, al tribunale è stata mostrata una fotografia di Rebekah con un enorme serpente sul letto), a dimostrazione che costo della causa, forse, non sarà solo finanziario.

Paola De Carolis per corriere.it il 29 luglio 2022.  

Chi ha vinto? Si è conclusa la battaglia disputata all’Alta Corte di Londra che per diverse settimane ha appassionato il Regno Unito. Nella causa tra le due Wags – acronimo che sta per mogli e compagne dei calciatori - la giudice proposta al caso ha dato ragione a Coleen Rooney, presentatrice televisiva, reginetta dei social e moglie del giocatore e allenatore Wayne. 

Si tratta di una saga che sa di celebrità e gossip — dagli abiti delle due protagoniste, alle abitudini del loro entourage, dalle vacanze esotiche all’estero, alla fragilità di una fama costruita sui social — che, se ha occupato pagine e pagine di giornali e riviste nonché ore di trasmissioni televisive, si è rivelata salatissima per chi ha prevalso così come per ha perso, con costi legali astronomici: circa 1,5 milioni di sterline a testa. 

Le origini della causa per diffamazione risalgono ad alcuni anni fa, quando Rooney rivelò sui social di aver scoperto chi era la falsa amica che continuava a passare informazioni confidenziali ai giornali. 

La colpevole era Rebekah Vardy, moglie di Jamie, calciatore dai piedi d’oro con una moglie – indicò Rooney - chiaramente incapace di rispettare la privacy altrui. Un j’accuse inappellabile: Rooney aveva infatti passato alle sue conoscenti informazioni diverse per individuare la fonte degli articoli sulla stampa, tecnica simile a quella utilizzata in un giallo di Agatha Christie cui si deve il soprannome dato alla vicenda, Wag-atha Christie. 

Vardy ha sostenuto la sua innocenza accusando Rooney di averle distrutto vita e professione: la sua immagine è stata per sempre alterata. Dai messaggi sul cellulare era emerso durante le udienze che a far filtrare informazioni su Rooney al tabloid Sun era stata l’agente di Vardy, Caroline Watt, ed è questo uno dei dettagli che ha portato la giudice a una sentenza che non ha risparmiato parole dure.

La testimonianza di Vardy — ha precisato — è stata «palesemente incoerente, evasiva o implausibile». 

La giudice ha aggiunto che è probabile che Vardy e la sua agente abbiano «deliberatamente distrutto» prove che avrebbero potuto incastrarle, ovvero una chat su WhatsApp e un telefono, «accidentalmente caduto» nel Mare del Nord. 

Rimane ora da capire perché Vardy abbia insistito su una causa costosissima ed estremamente dannosa anche quando la giudice aveva invitato le due parti a trovare un accordo: ma questo forse fa parte dei misteri delle vite dei vip. 

Antonio Murzio per true-news.it 13 settembre 2022.

Si fosse trattato di una partita, si sarebbe potuto dire che Francesco Totti era sotto di diversi gol e ha solo cercato la rimonta. Il risultato finale non è dato sapere, visto che non di reti si tratta ma di corna. La diatriba tra l’ex Pupone e Ilary Blasi, tra chi dei due è stato tradito per primo, quante volte e con quanti amanti, è scesa a livello di Bar Sport dopo l’intervista rilasciata al Corriere della Sera domenica dall’ex capitano della Roma. E meno male che entrambi volevano tutelare i figli. 

Nell’attesa che Cazzullo, in un impeto di giornalismo investigativo, scopra che fine hanno fatto i Rolex di lui e le borse di lei, e che  il quotidiano di via Solferino continui a fornirci particolari sul ruolo dell’amica-parrucchiera di Ilary, vi forniamo un breve excursus storico con alcuni precedenti di tradimenti – attuati o subiti – che hanno visto protagonisti i calciatori.

Un “Tutto il calcio cornuto per cornuto”, che spesso è stato più avvincente della trasmissione radiofonica della domenica pomeriggio. Soltanto che le partite sono sempre state giocate fuori dagli stadi e il rettangolo di gioco si riduceva alle dimensioni di un’alcova. E l’unico non cornuto è colui che istituzionalmente per i tifosi lo diventa quando prende una decisione ritenuta sbagliata: l’arbitro. 

Partite senza spettatori, ma spesso con compagni di squadra che sapevano, durata delle stesse presumibilmente molto al di sotto dei 90 minuti, forse qualche tempo supplementare giocato, ma senza l’ansia della qualificazione, esultanza per il risultato limitata a massimo due persone, niente trionfali giri di campi al termine degli incontri. 

Cominciamo con un ex compagno di Nazionale proprio di Totti e insieme a lui campione del mondo nel 2006, Gigi Buffon.

Sposato con Alena Seredova, l’ex portiere della Juventus si separò dall’ex modella ceca praticamente a mezzo stampa. La Seredova rivelò di aver scoperto il tradimento del marito con Ilaria D’Amico (poi diventata sua compagna: i due stanno insieme ancora oggi), dai giornali.

Anche un altro campione del mondo 2006, Andrea Pirlo, divorziò dalla moglie Deborah Roversi nel 2014, dopo 12 anni di matrimonio. L’ex fuoriclasse di Milan e Juve aveva a quanto sembra una relazione extraconiugale con Valentina Baldini, che sarebbe poi diventata la sua nuova compagna.

A essere tradito non una ma due volte è stato sicuramente il calciatore argentino Maxi Lopez: dalla moglie Wanda Nara e dal giovanissimo collega Mauro Icardi che lo stesso Lopez aveva preso sotto la sua ala protettiva al suo arrivo in Italia.

Ignorava che su Maurito anche la moglie Wanda avesse dispiegato… le ali, anche se lei ha sempre sostenuto che la relazione con Icardi, del quale oggi è anche procuratrice, sia cominciata solo dopo il suo divorzio. 

Fatto sta che durante un incontro di campionato Maxi Lopez rifiutò di stringere la mano al suo ex pupillo mentre l’ex moglie accusava lui di tradimento: «Non ho mai tradito il mio ex marito Maxi Lopez. 

Lo giuro sui miei figli. Anzi ho lottato fino alla fine per salvare il nostro matrimonio. Ma non ce l’ho fatta. Mi tradiva sempre, in continuazione. Quando eravamo in Argentina mi ha tradito anche con Marianna, la nostra governante che bella non era. Eravamo in casa e loro facevano l’amore mentre io dormivo in un’altra stanza con i bambini», dichiarò al settimanale Chi.

Ma non si pensi che le corna nel calcio siano roba solo recente. Josè Altafini, già sposato,  ebbe una relazione con Annamaria Galli, con la moglie di Paolo Barison quando giocava nel Napoli. Un altro campione sudamericano che ha indossato la maglia azzurra anni più tardi non gli è stato da meno. Maria Soledad Cabris nel 2007 ha sposato Edinson Cavani ma il matrimonio è durato solamente pochi anni ed è finito principalmente a causa delle scappatelle di lui, che peraltro la lasciò a mezzo mail.

In moltissimi casi accade che i tradimenti vengono consumati in ambito calcistico.  Gianluigi Lentini aveva una relazione con Rita Schillaci, moglie di Totò Schillaci. Lo si seppe nell’agosto del 1993, dopo il grave incidente stradale in cui fu coinvolto l’allora giocatore del Milan. “Stavo andando da Rita”, raccontò poi Lentini. 

Le corna non sono un’esclusiva dei calciatori italiani, anzi uniscono più dell’esperanto. Una riprova? Nel 2005  Edoardo Tuzzio e Horacio Ameli  erano molto amici e giocavano per il River Plate, squadra argentina di Buenos Aires. Ameli ebbe una relazione con la moglie di Tuzzio

Nel 2010 in Gran Bretagna, John Terry, allora capitano del Chelsea, ebbe una relazione con la fidanzata di Wayne Bridge, difensore nella sua stessa squadra. Bridge lasciò il Chelsea e  andò a giocare nel  Manchester City. 

Nel 2013 a Madrid Caroline, moglie di Kevin De Bruyne, centrocampista del Manchester City cercò i di sedurre Thibaut Courtois, giovane portiere del Chelsea, per pareggiare i conti con le corna che le aveva fatto De Bruyne. Raggiunse il suo obiettivo.

·        Il Coni.

Finanziamenti pubblici: chi lucra sullo sport sociale e gli sponsor in Parlamento. Marco Bonarrigo e Milena Gabanelli su Il Corriere della Sera il 16 Novembre 2022.

Nel 2022 lo sport italiano ha ricevuto 288 milioni di euro di finanziamento pubblico: lo Stato mette i soldi, il Coni decide a chi darli, Sport e Salute (società per azioni del ministero dell’Economia e delle Finanze) come suddividerli. Alle 45 federazioni sportive vanno 264 milioni, alle 18 federazioni associate 4 milioni, e ai 15 Enti di promozione sportiva (Eps) riconosciuti dal Coni spettano 16 milioni. Solo il Coni può assegnare la qualifica di Eps che permette alle centinaia di migliaia di società affiliate vantaggi fiscali enormi. I soci sono complessivamente 9 milioni.

Gli Enti di promozione sportiva e i partiti politici di riferimento

Gli Eps nascono nel dopoguerra come strumento di propaganda e azione sociale di partiti politici e movimenti confessionali. La Libertas alla Dc, l’Arci-Uisp (ora solo Uisp) al Pci, l’Endas ai repubblicani, la Fiamma ai missini, il Csi alla Curia e così via. La loro natura è definita per regolamento, con una regola sacra: l’assenza di fini di lucro per loro e tutte le società associate. I ricavi, se ci sono, non possono essere distribuiti ai soci né in modo diretto e né in modo indiretto e neanche in futuro.

Le indagini della Guardia di Finanza

Nella realtà le cose vanno in un altro modo: Guardia di Finanza, Agenzia delle Entrate e Ispettorato del Lavoro già nel 2010 (Operazione Ercole) avevano trovato irregolarità in 95 circoli sportivi su 100. Nel 2022 hanno aperto centinaia di verbali. Il 20 gennaio la Gdf della Toscana ha accertato evasioni per oltre un milione di euro in una struttura di Grosseto i cui soci-atleti erano in realtà clienti iscritti a corsi fitness, inconsapevoli di far parte di una società sportiva. Trecentomila euro evasi e 5 lavoratori in nero a Sassuolo, dove «le finalità non lucrative espresse nello statuto erano finalizzate esclusivamente al profitto». In una grande palestra di Pomezia, vicino Roma, sono stati trovati completamente in nero istruttori, addetti alle pulizie, impiegati di segreteria ed esperti di marketing. Verbali analoghi a Trento, Cuneo (con canoni di affitto sovrastimati per lucrare sui crediti d’imposta), Cesena, Parma e altre località.

Tutti gli «imbrogli» delle palestre

Quasi metà delle società affiliate ad alcuni Eps sono palestre. Due centri sportivi di fama nel quartiere Eur di Roma hanno sale pesi, piscine e campi da tennis a disposizione dei clienti, adulti e benestanti. Un abbonamento annuale costa dagli 800 ai 1.300 euro, a seconda dei servizi offerti. In più si paga una cifra annuale (50/70 euro) di iscrizione. Nessun scontrino o ricevuta, ma una semplice notula priva di valore fiscale perché le due palestre si sono associate al Centro Sportivo Italiano (Csi) con la qualifica di «società sportive dilettantistiche» senza fini di lucro. La più grande – a scorrere il registro del Coni – conta 3.800 «atleti». Nel momento in cui ti iscrivi alla palestra, anche se nessuno te lo dice, diventi un atleta del Csi che infatti dichiara 1,3 milioni di soci. I vantaggi: la palestra non paga tasse e Iva sulla quota incassata, può assumere allenatori senza versare contributi pensionistici o assicurativi entro i 10 mila euro, ha sconti sulle forniture di metano e sulle tasse sui rifiuti e può defiscalizzare anche i ricavi del bar sociale. Il lucro c’è ma non si vede. Il presidente della società sportiva non può incamerare gli incassi della palestra ma può, ad esempio, girarseli sotto forma di affitto in quanto proprietario dell’impianto. E gli affitti sono molto alti. Secondo Silvio Martinello, oro olimpico ad Atlanta nel ciclismo e gestore di una delle palestre più grandi del Veneto, «l’operatore può sfruttare i benefici del lavoro sportivo con i dipendenti, ma deve sempre battere lo scontrino per le prestazioni di fitness che sono un lucro e vanno tassate. I vantaggi sono riservati a chi davvero fa attività sportiva dilettantistica, individuale e di squadra».

Come vengono schivati controlli e sanzioni

Enti come Asi, Opes, Csen hanno efficientissime strutture parallele con fiscalisti e consulenti del lavoro che spiegano come schivare controlli e sanzioni: bisogna evitare in ogni modo che «l’attività sia volta solo al mantenimento della forma fisica individuale e al miglioramento estetico», recita il vademecum Asi, e non alla «partecipazione a manifestazioni o gare o preparazione sportiva». Rischiano grosso le strutture con «ampia gamma di attività assimilabili alle aziende commerciali e non di promozione dei valori sportivi». Cioè buona parte delle palestre italiane. Per evitare contestazioni e multe, Asi propone di «creare eventi sportivi dilettantistici documentabili» tra i clienti «pubblicando classifiche per categorie di età e diffondendole sul web». Insomma, simulare un’attività amatoriale fornendo anche «attestati con documentazione degli esiti sportivi». Vittorio Bosio, presidente Csi (1 milione di soci), dice: «Al Csi puntiamo allo sport sociale per i giovani, sappiamo che ci sono palestre che si affiliano a noi per risparmiare sulle tasse, ma sono poche e le scoraggiamo». Dimentica che il Csi ha firmato un accordo con Anif, l’associazione che raduna 800 grandi palestre e centri fitness italiani, cui vende pacchetti di 2.000 tessere a 3.400 euro. Giampaolo Duregon, presidente Anif, ammette: «È vero che non paghiamo tasse e Iva ma ce lo meritiamo perché svolgiamo attività sociale che migliora la salute dei cittadini». A dire il vero l’attività è sociale quando non è a fini di lucro.

Calcio canino e lancio del formaggio

Gli Eps sono anche una formidabile macchina per sdoganare attività non codificate. L’insegnamento della ginnastica posturale, ad esempio, andrebbe affidato a fisioterapisti o laureati in scienze motorie. La scorciatoia è un corso online di 13 ore proposto dallo Csen che per 300 euro offre diploma, patentino e riconoscimento Coni per esercitare l’attività. I requisiti per frequentarlo? «Aver praticato la disciplina specifica/analoga per almeno una stagione sportiva oppure avere buone competenze nell’anatomo-fisiologia di ossa, muscoli ed articolazioni». E i tecnici abilitati, spiegano allo Csen, «quando operano in una società dilettantistica, possono usufruire del regime fiscale agevolato di cui alla legge 342\2000». Enti come Csen o Asi riconoscono come attività sportiva il calcio canino, il braccio di ferro, le danze primitive e il tiro con la fionda. Il Coni ha redatto un elenco di quasi 300 discipline legittimate a definirsi sportive e l’immaginazione non ha limiti: ci sono il lancio del formaggio, il volo in dirigibile e le gare con le barchette telecomandate. C’è un altro aspetto monitorato dalla Guardia di Finanza, quello del lavoro. Il 90% di personal trainer o allenatori di palestra usufruisce di uno sgravio fiscale totale fino a 10 mila euro di reddito grazie a una norma nata per incoraggiare gli insegnanti di educazione fisica a dedicare alcune ore pomeridiane all’allenamento dei ragazzi. Succede, invece, che molte palestre fanno sottoscrivere contratti defiscalizzati e senza versamento di contributi pensionistici anche agli amministrativi, che invece vanno inquadrati nei contratti di settore pagando le tasse per intero. Il governo Draghi, consapevole degli abusi, ha riscritto la legge, introducendo i contributi nella fascia di reddito tra i 5 e i 15 mila euro per fornire più garanzie ai lavoratori. Ma il progetto potrebbe essere rimesso in discussione dal nuovo esecutivo, pressato dagli Eps che in Parlamento hanno ottimi sponsor.

Gli sponsor in Parlamento

Opes, legato a Fratelli d’Italia, ha spedito in Parlamento l’ex presidente Marco Perissa. Asi è presieduta dall’ex deputato di Lega e An Claudio Barbaro, appena nominato sottosegretario all’Ambiente e Sicurezza energetica. Sul sito Asi, Barbaro scrive che «nati in continuità con la storia della Destra sportiva italiana, noi di Asi da sempre siamo un riferimento per tutto il nostro mondo». Lo sport sociale non dovrebbe guardare a destra, sinistra o centro e fare lucro truccando le carte. Va detto che ci anche sono enti che lavorano con dedizione e onestà: tra i giovani, gli anziani, i disabili, nelle carceri e nelle periferie. Ma proprio perché lo sport fa bene alla salute si potrebbe cominciare dando la possibilità di scaricare una quota dell’abbonamento alle palestre ai cittadini che vorrebbero frequentarle, ma non possono per via di costi altissimi. Così i titolari avrebbero l’obbligo di emettere una ricevuta fiscale

Viola Giannoli per “la Repubblica” il 3 febbraio 2022.

Sul Circolo Canottieri Aniene di Roma e il suo sbarramento di genere all'ingresso si muove ora anche il governo. «Lo sport, per la sua natura, è un motore di partecipazione globale. Non si concilia, in alcun modo, con recinti ed esclusive che limitino la partecipazione femminile. E nessuna associazione sportiva, ovviamente, può avere statuti in cui la partecipazione sociale delle donne è discriminata», dice a Repubblica la sottosegretaria di Stato con delega allo Sport, Valentina Vezzali.

E invece, come raccontato su queste pagine, all'Aniene, il club ultracentenario in riva al Tevere in cui le strette di mano e il sudore sui campi di padel oliano affari e conoscenze, lo Statuto del 1892 riscritto tre anni fa vuole come "soci effettivi" (1500 in tutto) i soli maschi over 25, lasciando alle donne la possibilità di essere ospiti se "mogli o figlie di", di diventare "socie per meriti sportivi" (sono 38), con il solo uso degli impianti, o "socie onorarie" (5), le uniche con diritti pari agli uomini di voto e di ascesa alle cariche sociali.

Un circolo privato, certo, dove, dicono alcuni dei soci storici, «ci associamo con chi ci pare per difendere l'identità, la storia, l'appartenenza a questo club dove domina la goliardìa e non la misogninìa». Ma che, da privato, è affiliato alle Federazioni sportive nazionali e vanta un presidente onorario, Giovanni Malagò, che rappresenta anche il Coni ed è membro del Cio. 

E lì, nel Comitato olimpico internazionale, siede pure Federica Pellegrini, la regina del nuoto socia onoraria dell'Aniene, secondo la quale «lo statuto è una cosa che riguarda la tradizione» e «non è giusto cercare il pelo nell'uovo» perché «io faccio parte del circolo Aniene, quindi non è vero che è vietato alle donne: per meriti sportivi o per meriti speciali una donna può entrare».

Assist, l'associazione nazionale delle atlete, non ci sta: «Pellegrini gode di un privilegio, di una deroga, ma la parità e l'articolo 3 della Costituzione dicono che non deve funzionare così. In un circolo sportivo, affiliato alle Federazioni e che gode peraltro di concessioni comunali non può esistere alcuna barriera tra genere ». Sulla sponda del fiume si vedono in verità signore in vasca e altre a pranzo, le campionesse dello sport nei quadri alle pareti e sulle copertine del magazine.

Nelle foto delle assemblee e nell'elenco di presidenti, probiviri e revisori, invece, solo baffi e cravatte. All'Aniene come altrove, a Roma e non solo. E dopo le trenta parlamentari dell'intergruppo donne per i diritti e le pari opportunità della Camera che hanno depositato un'interrogazione al premier Mario Draghi e alla ministra Elena Bonetti «affinché vengano superate situazioni discriminatorie e del tutto anacronistiche », la polemica continua. Dal Lazio, la consigliera del Pd Sara Battisti parla di Statuto inaccettabile, la sua collega Eleonora Mattia dice che «non ci cono giustificazioni».

 Interviene pure Carolina Morace, allenatrice ed ex calciatrice della nazionale italiana: «Diranno che è tradizione, ma i segnali sono molto importanti, da donna non frequenterei mai quel circolo. È questione di educazione e di cultura, siamo un Paese che non si evolve».

Ricorda la sottosegretaria Vezzali che «nell'ambito della legge che limita a tre mandati la figura del presidente del Coni e dei presidenti federali si prevede una presenza femminile all'interno dei Consigli federali del 30 per cento». «Oggi - aggiunge l'ex schermitrice - per la prima volta nella storia abbiamo due presidenti federali donne e all'interno della giunta Coni tante donne. Abbiamo chiesto anche una maggiore presenza femminile nell'ambito dei revisori dei conti. Sono fiduciosa che tra qualche anno si vedranno i frutti di questo lavoro». Forse anche al Circolo Aniene.

Valentina Lupia per “la Repubblica” il 4 febbraio 2022.

«Quello dell'Aniene è uno statuto patriarcale, pesantone, medievale, antico». Valentina Vignali, cestista professionista con un passato in serie A e in nazionale, ora alla Virtus Pavona ai Castelli Romani, interviene sul caso del Circolo chiuso alle donne, se non per meriti sportivi o speciali. Per lei, che è anche modella, personaggio della tv e influencer da 2,4 milioni di follower, «sarebbe ora di evolversi, superando anche gli stereotipi». 

I soci del Circolo si trincerano dietro al fatto che lo statuto sia da sempre così: non discriminazione, dicono, ma tradizione. Che ne pensa?

 «Che ciò non toglie che si possa evolvere ed essere migliori di prima. Accettare le donne non solo per meriti speciali o sportivi non sarebbe violare le regole, bensì un passo in avanti verso l'inclusione e la parità. Si andrebbe a limare questo contesto patriarcale, pesantone, medievale, antico, perché per me questo è».

Quindi, potesse decidere lei, lo statuto andrebbe cambiato.

«Sì. Sacrificarlo darebbe un buon esempio, un segnale e un messaggio forti. Come donna da tempo auspico un grande cambiamento in tal senso: qualche passo in avanti lo vedo anche, ma ce n'è di strada da fare. Questo potrebbe essere un altro tassello. A questo punto è ora che il Circolo dia il buon esempio. E poi dobbiamo darci una svegliata». 

In che senso?

«Nel senso che, in primis, gli uomini e le donne si allenano allo stesso modo, faticano nella stessa maniera: io mi sono allenata anche tre volte al giorno e ho fatto trasferte sfiancanti. Come i maschi. E poi, tornando al Circolo Aniene, una distinzione tra donne che hanno meriti sportivi o speciali e tutte le altre non deve esistere: qui parliamo di diritti e parità. 

Dovrebbe bastare l'human being di ciascuna: io sono stanca di dover lavorare il triplo per essere considerata al pari di un uomo. Dobbiamo evolverci verso la parità e l'inclusione, ma di tutti: mica ci sono solo uomini e donne. Ma tante sfaccettature, tante persone che non si riconoscono in nessuno dei due sessi o che stanno attraversando una fase di cambiamento». 

«È tradizione, non cerchiamo il pelo nell'uovo», ha detto ai microfoni di Radio Capital Federica Pellegrini, difendendo a spada tratta il club di cui fa parte. Di questo che ne pensa?

« Un po' dispiace per quello che ha detto: la stimo molto sia come atleta che come personaggio del mondo dello spettacolo. Una stima riconfermata quando ho visto il suo documentario». 

Eppure prima di partire per Pechino ha detto che "fa impressione" che nelle posizioni di responsabilità nello sport vi sia solo il 10% di donne. Ma da donna non si indigna per quanto accade all'Aniene di cui è socia.

«Non so se sono cose dette di fretta, senza pensarci troppo, ma sono delusa dalle sue parole. Da una delle rappresentanti dello sport femminile nel mondo mi aspettavo più sensibilità».

Michele Serra per “la Repubblica” il 4 febbraio 2022.  

Sui club per soli maschi, come la Canottieri Aniene, si potrebbe spendere un numero quasi illimitato di battute, quasi tutte a sfondo sessuale, con la certezza (entusiasmante) che sui social un mucchio di persone si incazzerebbe a vuoto, poiché la vera, tragica esclusione in corso, ai giorni nostri, è quella del senso dell'umorismo. (Lo sa bene Checco Zalone, che si fida solo del suo non tenendo in alcun conto quello degli altri: e fa benissimo).

Benché maschio, l'unica volta nella vita in cui mi capitò di entrare in quel luogo caratteristico (invitato al compleanno di uno dei miei pochissimi amici importanti) provai pure io la bruciante esperienza dell'esclusione. Informato in ritardo del dress code, che prevedeva l'abito scuro, rimediai all'ultimo momento, grazie alla complicità di una costumista della Rai, un orrido completino nocciola, di due misure più stretto rispetto allo status quo del mio addome, e mi presentai con un vestito doppiamente sbagliato: perché niente affatto scuro (mi resi conto troppo tardi che virava tragicamente sul beige) e perché strippava da ogni parte.

Mi sentii come Peter Sellers in Hollywood Party, ma trovai quasi immediata consolazione riflettendo su questo: ai quattro quinti dei presenti non avevo nulla da dire, né loro a me. Il restante quinto avrei potuto tranquillamente incontrarlo, vestiti da persone normali, in cento altri luoghi. In fin dei conti, questo penso della Canottieri Aniene come di qualunque altro club privato: non è così necessario farne parte. 

Se il regolamento prevede solo obesi, o solo signore in vestaglia rossa, o solo fantini, o solo amanti dei gatti, o solo maltesi, o solo masochisti, il resto del mondo non si deve turbare: può semplicemente dirigersi altrove.

Da gazzetta.it il 18 gennaio 2022.

"Avevo una seria complicazione cardiaca", la rivelazione del presidente del Coni Giovanni Malagò, parlando al Consiglio nazionale al Foro Italico. "Il 24 dicembre - dice Malagò - sono andato a fare un piccolo intervento programmato in day hospital all'occhio, avevo una aritmia atriale, una fibrillazione, siccome sono brachicardico non l'ho mai sentita. Sono stato a rischio di trombo e ictus, l'ho capito quando al termine mi hanno fatto elettrocardiogramma a raffica". 

Nella lettera indirizzata al sottosegretario Vezzali "tutti gli organismi ricorderanno la situazione drammatica delle società professionistiche e di base. La crisi pandemica e il caro energetico stanno mettendo a serio rischio molte associazioni, che potrebbero o chiudere o non riaprire. Il nuovo protocollo? Sembra aver messo molto ordine, sembrerebbero tutti contenti". Lo ha detto il presidente del Coni Giovanni Malagò al termine della Giunta di oggi.

Fortunatamente, però, il pericolo è stato individuato prima che potesse trasformarsi in qualcosa di grave: "Mi hanno prescritto dei farmaci, sono tornato dopo qualche giorno di riposo a Sabaudia e la diagnosi è stata confermata. Mi è andata bene, sono fuori pericolo". Il numero 1 del Coni, però, non ha ancora capito l'origine del problema: "Ora non ce l'ho più ma il problema adesso è capire perché: al 75% è un sovraccarico di stress, al 24% può essere un problema di coronarie, all'1% poteva essere una miocardite da vaccino ma è stata esclusa dagli esami. Quindi ho fatto bene a fare la terza dose di vaccino. Non potevo non raccontarvi questa storia perché siete la mia famiglia", ha concluso Malagò. 

Gianluca Cordella per "il Messaggero" il 19 gennaio 2022.  

«Ho rischiato l'ictus, ora per fortuna sono fuori pericolo. Non potevo non dirvelo: siete la mia famiglia». La verità di Giovanni Malagò scuote il Consiglio e la Giunta nazionale del Coni. A poco più di due settimane dal via delle Olimpiadi di Pechino, il presidente ha raccontato a Palazzo H i momenti di paura trascorsi durante le festività natalizie. 

Motivo: una complicazione cardiaca scoperta per caso e che avrebbe potuto generare una serie di complicazioni pericolose. «La sera del 24 dicembre sono andato a fare un piccolo intervento programmato in day hospital all'occhio e i medici hanno scoperto che avevo un'aritmia atriale. 

È una fibrillazione molto comune, che normalmente si sente ma siccome io sono brachicardico non l'ho mai sentita - ha raccontato il numero uno dello sport italiano - Mi hanno detto che per qualche settimana sono stato a rischio di trombo, di ictus, l'ho capito quando al termine mi hanno fatto elettrocardiogramma a raffica. Mi hanno prescritto dei farmaci, sono tornato dopo qualche giorno di riposo a Sabaudia e la diagnosi è stata confermata».

Da allora il presidente è stato tenuto sotto osservazione, l'ultimo controllo sabato scorso. «Mi è andata bene, sono fuori pericolo» ha annunciato Malagò, sottolineando come adesso sia importante capire l'origine del problema. «Al 75% è un sovraccarico di stress, al 24% può essere un problema di coronarie, all'1% poteva essere una miocardite da vaccino ma è stata esclusa dagli esami. Quindi ho fatto bene a fare la terza dose». 

L'ALLARME Percentuali a parte, la pista dello stress ha una forte base di razionalità, considerando il biennio durissimo affrontato dallo sport tutto, che come tanti altri settori è stato fortemente provato dalla pandemia mondiale. Una crisi che qualche mese fa sembrava poter mollare un minimo la presa e che, al contrario, adesso si sta riproponendo in tutta la sua veemenza.

Ragion per cui ieri lo stesso Malagò ha annunciato la volontà di inviare una lettera alla sottosegretaria allo Sport Valentina Vezzali per chiedere sostegno, alla luce del «grido di dolore e di allarme di società professionistiche e di base che si aspettano un supporto coi ristori e che si trovano sul baratro con il rischio di non farcela». 

«Tutti hanno bisogno di aiuto, più grande sei e più problemi hai, a cominciare dalle squadre di calcio - ha spiegato Malagò -. Si devono dare criteri e vincoli sul supporto e l'aiuto. Oggi c'è oggettivamente la possibilità per ottenere sgravi fiscali che è già qualcosa. C'è poi il tema caro bollette, molte società o non riaprono o rischiano di chiudere».

In questo clima l'Italia si appresta a vivere le Olimpiadi invernali di Pechino, con obiettivi importanti e ricordi - quelli di Tokyo - che lo sono ancora di più. L'obiettivo è fare meglio di Pyeongchang dove gli azzurri chiusero con 10 medaglie, tra cui 3 ori. «Sul numero mi sento tranquillo, sugli ori non è preventivabile perché parliamo di gare che si vincono o si perdono sui centesimi», ha spiegato il presidente, che guiderà una spedizione anche numericamente simile: 122 atleti in Sudcorea, contro i 119 attuali, «aspettando le quote di riallocazione, tra Covid e infortuni». Già, quel Covid che anche in Cina vieterà l'ingresso agli spettatori. «Era preventivabile, ma quello che conta è che le Olimpiadi ci saranno».

La lettera. Cosa ha avuto Giovanni Malagò, il presidente del Coni ha rischiato un ictus per il troppo stress. Fulvio Abbate su Il Riformista il 20 Gennaio 2022.  

Caro Giovanni Malagò, ti scrivo da amico, di più, da cardiopatico (sebbene lieve) e ancora, già che ci siamo, da residente quarantennale (sebbene palermitano di nascita) della nostra ormai comune città, Roma. Luogo eletto di cui tu sei indubitabilmente, antropologicamente, posturalmente una figura apicale, radiosa del suo paesaggio pubblico. Mi rivolgo dunque a te, non in quanto presidente del Coni (sia detto per inciso, non ho mai coltivato amore per gli sport, nonostante mia madre fosse giudice d’atletica leggera e mio padre commissario di gara ai box dell’ormai tramontata Targa Florio) piuttosto per ciò che rappresenti, dal punto di vista dell’aura “mondana”, ossia come incarnazione vivente nel meraviglioso cittadino, sia detto nel senso più alto e assoluto della parola.

Guardando te, e qui parlo da scrittore che ha raccontato Roma, meglio, ha provato a restituirla in quasi tutti i suoi spicchi rilevanti: dagli autisti dei politici in attesa, metti, a Montecitorio, creature in blazer ordinario che danno la misura della realtà ministeriale più dei loro “principali”, anzi, di ciò che Pasolini chiamava “il Palazzo”, ai cardinali immobili davanti alle tavole calde di via del Mascherino, dietro San Pietro, nei giorni di Conclave, senza infine dimenticare la leggenda dei cocainomani dei Parioli in smart. Sappi che per anni mi sono detto che per essere socialmente “realizzati” a Roma, anzi, per sentire la pienezza sociale della città nel suo modello base affluente, sarebbe bastato esserti amico: sì, uscire di sera con te, magari a bordo di una Ferrari, sfiorando il paesaggio circostante, anche quello femminile, aggiungendo che tuttavia questo non era il mio desiderio, in quanto la mia storia di “comunista” (dico così per semplificare, ma ci siamo capiti, no?) non si sarebbe mai conciliata con una serata al “Jackie O’” o, che so, al “Notorius”, sempre che questi luoghi esistano ancora. Aggiungendo infine che non era affatto questo il mio “sogno”.

Invece mi sbagliavo. L’ho capito una sera che ci siamo incrociati a casa di un comune amico, Roberto D’Agostino: era in corso la semifinale dei campionati europei di pallone, e tutti o quasi stavano davanti a un teleschermo a vedere la penultima partita decisiva, tu invece, nonostante il distintivo con i cerchi olimpici all’occhiello, sei rimasto a cazzeggiare con me, e abbiamo parlato all’universo mondo, ci siamo regalati anche una foto insieme, dove ridiamo allegramente, con noi anche Paolo Sorrentino. Al nostro selfie si è aggiunto piratescamente un altro ospite, ritenendo sicuramente che comparire con voi due desse, come dire, un buon punteggio di considerazione sociale. Al contrario, io in quel momento mi sono accorto del tuo talento umano, della capacità di trascendere anche l’ordinaria, perdona se mi ripeto, mondanità amichettistica dell’Urbe. Da quel momento esatto mi sono detto che le mie valutazioni precedenti sulla tua persona erano errate, anzi, che volentieri sarei uscito con te, e avremmo trascorso una splendida serata nella gratuità del perder tempo, così, per puro spleen.

Perfino, metti, raggiungendo in piena notte Monte Mario, dov’è “Lo Zodiaco”, per guardare la skyline di Roma dall’alto per riflettere sul senso, gli splendori e le miserie della nostra città. Forse lo ignori, ma quel locale leggendario è chiuso da anni, e perfino il vialetto degli Innamorati è in stato d’abbandono, una selva, una giungla di sterpaglie. Ho appena letto che sei stato poco bene: hai rischiato un ictus, e la notizia mi ha suggerito questa lettera. Perché con le tue parole dove racconti la fibrillazione atriale mostri la necessità di sottolineare il senso del “limite”, ciò che è contrario alla cultura dominante dell’ambizione. Dunque, così dicendo, hai scelto di trascendere l’ordinaria percezione delle cose, anche in questo caso romane, ministeriali, andando oltre l’immagine, il feticcio, l’ossessione già citati del Palazzo. E del suo presidio.

Mentre leggevo del malore che ti ha riguardato, sono tornati in mente i giorni del mio ricovero all’ospedale “San Camillo” di Roma (lo stesso nosocomio dove periodicamente finisce Adelaide, la protagonista di Dramma della gelosia, tutti i particolari in cronaca di Ettore Scola), per un intervento a una valvola mitrale, nulla di che, intendiamoci. Così ritrovando a mia volta il senso, la percezione del limite. Nei giorni del ricovero, devi sapere, non potevo non fare caso a una lettera di ringraziamento affissa nella bacheca della medicheria, scritta qualche mese prima da Giuliano Gemma, sì, proprio dal già pistolero “Ringo” e partigiano indomabile “Corbari”, nella quale ringraziava le ragazze del personale, avendo deposto la colt sul comodino, accanto all’asta della flebo. Ora, mettendo da parte ogni riflessione sull’ambizione che governa le meccaniche poco celesti di questa nostra città, Roma, proprio per la sua prossimità con il potere, dai politici all’ultimo dei portinai, anzi del capo fabbricato, così come veniva chiamato al tempo del littorio, proprio in questa città di palazzine e palazzinari, mi sembra che invece questa tua confessione a cuore semichiuso, diciamo così, ti abbia sollevato oltre l’orrore quotidiano del mondo delle relazioni, parlo delle relazioni interessate.

Ci pensi che esistono (e se solo potessimo ascoltarle sarebbe un racconto irresistibile di denuncia “civile”), ci pensi che in questo nostro mondo circoscrizionale esistono creature il cui primo pensiero del mattino non riguarda, non inquadra la nostra assoluta impermanenza, anzi, l’impermanenza delle cose stesse, ma piuttosto il capofitto della conversazione interessata, in nome dell’ambizione ancora una volta ministeriale. Ecco, perdona se mi sono dilungato quasi letterariamente, eppure mi è sembrato che proprio le tue parole riferite proprio al limite fisico, mi è davvero sembrato che grazie a quelle tue parole per un istante almeno il volto pietoso dell’altrui ambizione capitolina abbia brillato un po’ di meno del solito, del sempre. Un abbraccio e ogni bene, Fulvio.

Fulvio Abbate. Fulvio Abbate è nato nel 1956 e vive a Roma. Scrittore, tra i suoi romanzi “Zero maggio a Palermo” (1990), “Oggi è un secolo” (1992), “Dopo l’estate” (1995), “La peste bis” (1997), “Teledurruti” (2002), “Quando è la rivoluzione” (2008), “Intanto anche dicembre è passato” (2013), "La peste nuova" (2020). E ancora, tra l'altro, ha pubblicato, “Il ministro anarchico” (2004), “Sul conformismo di sinistra” (2005), “Pasolini raccontato a tutti” (2014), “Roma vista controvento” (2015), “LOve. Discorso generale sull'amore” (2018), "I promessi sposini" (2019). Nel 2013 ha ricevuto il Premio della satira politica di Forte dei Marmi. Teledurruti è il suo canale su YouTube.

·        Gli Arbitri.

AGI il 21 novembre 2022. Altri tre arbitri, tra i quali l'assistente Alessandro Giallatini nella terna di Daniele Orsato alla partita inaugurale del Mondiale in Qatar, avrebbero gonfiato i rimborsi delle loro trasferte, un'accusa che è già costata la sospensione o la dismissione a Federico La Penna, Fabrizio Pasqua, Ivan Robilotta e Piero Giacomelli. 

A indagare nel 2021 sulla 'Rimborsopoli' dei fischietti era stato l'allora procuratore dell'Aia, Rosario D'Onofrio, che pochi giorni fa, il 12 novembre, è finito in carcere nell'ambito di un'indagine della Dda di Milano su un presunto traffico di droga. 

Stando a una denuncia visionata dall'AGI arrivata sul tavolo di D'Onofrio e della Presidenza dell'AIA nei mesi scorsi, oltre a Giallatini avrebbero presentato delle spese 'taroccate' anche Alessandro Costanzo e Valentino Fiorito, quest'ultimo l'unico dei 4 che poi è stato sospeso.

In un'intervista a 'Repubblica' seguita all'arresto di D'Onofrio, Giacomelli ha accusato l'ex procuratore di avere agito "come un ras" elargendo "premi e punizioni" e di avere penalizzato lui fino alla dismissione e altri arbitri sospesi "attaccandosi ai rimborsi non potendo farlo per il rendimento sul campo".

Nella denuncia, proveniente dalla sezione di Salerno dell'AIA, sono segnalati rimborsi artefatti da due assistenti internazionali: oltre a Giallatini per due voli in occasione delle partite Udine-Lecce e Cagliari-Inter, c'è anche Costanzo per 3 parcheggi in tre partite. Tutte i match sono stati giocati nel 2020 e nel 2021.

Da ilnapolista.it il 12 novembre 2022.

Trentalange ne ha annunciato oggi le dimissioni. Tra le 42 persone arrestate due giorni fa a Milano per traffico internazionale di droga c’è anche il procuratore capo dell’Associazione Italiana Arbitri, Rosario D’Onofrio. Lo scrive la Gazzetta dello Sport. I 42 arrestati sono tutti accusati di aver introdotto in Lombardia più di sei tonnellate di droga, tra marijuana e hashish. Trentalange, numero uno dell’Aia, ha già annunciato le dimissioni di D’Onofrio, senza dare ulteriori spiegazioni in merito. 

“C’è anche il procuratore capo dell’Aia (associazione italiana arbitri), Rosario D’Onofrio, ex ufficiale dell’esercito, tra i 42 arrestati nell’operazione di due giorni fa della Guardia di Finanza nell’ambito dell’inchiesta della Dda milanese per traffico internazionale di droga”. 

Secondo le indagini condotte dalla Dda dal 2019 al 2021, i 42 arrestati, tra cui italiani, albanesi e spagnoli, avrebbero introdotto in Lombardia più di sei tonnellate di marijuana e hashish. Durante l’operazione, scrive la Gazzetta, è stata sequestrata quasi mezza tonnellata di droga, più mille ricariche per sigarette elettroniche a base di cannabinoidi.

D’Onofrio, procuratore capo dell’Aia, era già stato deferito ad ottobre dalla Procura Figc di Chiné. 

“I vertici dell’Aia hanno appreso con stupore e sgomento la notizia. Già oggi in Comitato nazionale, il presidente Trentalange avrebbe annunciato le dimissioni di D’Onofrio, senza entrare nel merito delle motivazioni. D’Onofrio era stato scelto per la guida della Procura arbitrale con la nuova gestione e lo scorso 28 ottobre era stato deferito dalla Procura Figc, guidata da Chinè, per la mancata apertura di un formale procedimento disciplinare dopo la denuncia dell’ex assistente di A Avalos che contestava l’attribuzione di diversi voti. Tra D’Onofrio e Avalos ci sarebbero stati alcuni contatti telefonici. Una vicenda che aveva destato qualche malumore nell’Aia, ma che per la Procura Figc non poteva non essere portata avanti”.

Procuratore capo degli arbitri di calcio italiani arrestato per traffico internazionale di droga. Redazione CdG 1947 1947 su Il Corriere del Giorno il 12 Novembre 2022.

L’accusa nei confronti dell’ex ufficiale medico dell’Esercito, D'Onofrio è di essere un corriere della droga. Il procuratore nazionale degli arbitri di calcio è tra i 42 fermati che secondo le indagini della Dda, avrebbero introdotto in Lombardia oltre sei tonnellate di marijuana e hashish tra il 2019 e il 2021.

Il procuratore capo dell’ AIA l’ Associazione Italiana Arbitri Rosario D’Onofrio, è tra i 42 arrestati (italiani, albanesi e spagnoli) dalla Guardia di Finanza nell’operazione portata avanti dalla Dda di Milano per traffico internazionale di droga. Secondo le indagini condotta dai pm  Rosario Ferracane e Sara Ombra della procura milanese, la “banda”, composta da italiani, albanesi e spagnoli, tra il 2019 e il 2021 avrebbe introdotto in Lombardia oltre sei tonnellate di marijuana e hashish. Durante l’operazione è stata sequestrata quasi mezza tonnellata di droga, più mille ricariche per sigarette elettroniche a base di cannabinoidi.

Tra gli arrestati anche il narcotrafficante Giovanni Neviera, ritenuto affiliato ad un clan mafioso barese, gli Abbaticchio, e già condannato per associazione mafiosa e traffico di droga. Da quanto si apprende, inoltre, negli atti e nelle conversazioni intercettate nell’inchiesta si parla anche di una persona vicina al noto trapper 29enne, Sfera Ebbasta, e di un’altra che cura gli interessi di Izi, rapper 27enne. Entrambi gli artisti, però, non sono indagati.

E’ in corso di esecuzione con ordinanza del Gip Massimo Baraldo del Tribunale di Milano, per 6 persone destinatarie della misura cautelare uno “specifico mandato di arresto Europeo in Spagna e Olanda”, con il supporto di Eurojust ed Europol . Le indagini della Fiamme Gialle, “con l’ausilio tecnico del Servizio Centrale Investigazione Criminalità Organizzata (S.C.I.C.O.)”, hanno ricostruito “l’operatività di due distinte associazioni criminali transnazionali.

Immaginabile lo stupore da parte dei vertici dell’Aia che, una volta appresa la notizia, hanno provveduto a prendere dei provvedimenti: il presidente Trentalange, infatti, avrebbe annunciato le dimissioni di D’Onofrio, senza entrare nel merito delle motivazioni. D’Onofrio era stato scelto per la guida della Procura arbitrale con la nuova gestione e lo scorso 28 ottobre era stato deferito dalla Procura Figc, guidata da Chinè, per la mancata apertura di un formale procedimento disciplinare dopo la denuncia di Avalos l’ex assistente di serie A, che contestava l’attribuzione di diversi voti. Tra D’Onofrio e Avalos ci sarebbero stati alcuni contatti telefonici. Una vicenda che aveva destato qualche malumore nell’Aia, ma che per la Procura Figc non poteva non essere portata avanti. Lo stesso direttore di gara, nei giorni scorsi, era stato anche deferito alla Federcalcio per una questione legata a un’indagine su un assistente di Serie A. Da quanto trapela l’Associazione Italiana Arbitri si ritiene parte lesa e starebbe valutando azioni legali per danni di immagine.

D’Onofrio era stato anche premiato nel luglio scorso dal Comitato Nazionale dell’Associazione Italiana Arbitri come “Dirigente Arbitrale nazionale particolarmente distintosi” : nelle carte processuali della magistratura antimafia invece viene invece tratteggiato il profilo di un personaggio perfettamente integrato in una banda che gestiva il narcotraffico sulle rotte spagnole, responsabile di pestaggi e in grado di fornire armi. Accertato nelle indagini “l’utilizzo di vaste, capillari e articolate reti logistiche di approvvigionamento, trasporto, stoccaggio e distribuzione” della droga “realizzate attraverso la costituzione di plurime società di comodo e il ricorso a numerose spedizioni di copertura”

Il 30 marzo del 2020 D’Onofrio, vestito con la tuta militare, è intercettato sul suo Suv Volvo XC 60. A bordo dell’auto trasportava 35 kg di hashish. Entrato in un cancello in via Giuditta Pasta 94 a Milano, apre il portellone del suo suv e completa la consegna: “Prendi, sono 25 e 10″. Dopodichè si dirige subito a Paderno Dugnano in via San Martino , località poco distante. Un uomo sale sulla vettura: “Veramente vestito da militare!” ed esclama sorpreso. D’Onofrio gli risponde: “Se una cosa la devi fare, la devi fare fatta bene!” spiegando come, indossando quella divisa che si è fatto prestare da un suo amico e collega dell’Esercito (la sua non l’aveva a disposizione essendo stato temporaneamente sospeso per motivi disciplinari dal servizio), poteva girare liberamente e fare le consegne anche durante il lockdown.

Secondo quanto ricostruito dalle indagini coordinate dai pm Rosario Ferracane e Sara Ombra nella maxi inchiesta del Gico della Guardia di Finanza di Milano che ha portato a 42 misure (di cui 39 in carcere), sono stati cinque mesi di lavoro intensi quelli di D’Onofrio come corriere della banda che gestiva il narcotraffico tra la Spagna e Milano, tonnellate di hashish e marijuana fatti arrivare sui camion di una ditta di spedizioni ed il primo compito di D’Onofrio era quello di smistare al dettaglio i carichi dopo che erano arrivati in deposito.

Per il Gip Massimo Baraldo, che ha firmato l’ordinanza era lui “la persona incaricata (…) di organizzare la parte logistica delle importazioni di stupefacente e tra queste attività (…) di reperire luoghi ove poter effettuare lo scarico in sicurezza dei bancali all’interno dei quali era contenuto lo stupefacente”. Dai messaggi che gli uomini della banda si scambiavano su Encrochat, emerge anche che l’ex militare era l’uomo che doveva procurare “il ferro”, cioè una pistola. All’occorrenza D’Onofrio è anche uomo di pestaggi: “Dice che se lo prende lo tortura con corrente … – si scrivono su messaggistica criptata due del gruppo, riferendosi al pestaggio e al ruolo di D’Onofrio – tanto prima o poi lo prendiamo.. Dovevo ammazzarlo quel giorno… Invece mi sono fatto prendere dal dispiacere… stava morendo… mi ha detto Rambo che solo per te si è fermato”. Lo stesso “Rambo“, in un’altra telefonata dice: “Ma tu non puoi immaginare quante gliene ho date“.

Che D’Onofrio chiamato “Rambo” nel giro del narcotraffico, sia uno “bravo” è opinione dei suoi stessi soci: “Era in gamba di brutto…E di famiglia mia…Sapeva cosa faceva”. Parla così intercettato Daniele Giannetto, uno dei capi dell’organizzazione, anche lui finito agli arresti. In quella conversazione. Giannetto usava il passato perché lo stesso giorno viene arrestato una prima volta, in flagranza. E’ il 21 maggio del 2020 e la Guardia di Finanza lo ferma al casello di Lainate con a bordo 40 kg di “ganja”.

Tra i vari incarichi che Rosario D’Onofrio corriere “tuttofare” assolve egregiamente per conto dell’organizzazione, c’era anche la consegna del denaro frutto dei traffici di hashish e Marijuana al riciclatore cinese in via Canonica 29 a Milano, specializzato in “Fen-Chei”, una tecnica di pulizia del denaro simile alla Hawala: D’ Onofrio trasporta “rilevanti somme di denaro contante” per far si che il passaggio di soldi potesse “eludere la normativa antiriciclaggio e far giungere in Spagna i profitti dei reati commessi”.

Il Presidente della Figc Gabriele Gravina commentando la notizia dell’arresto ha dichiarato: “Sono sconcertato, ho subito chiesto riscontro al presidente Trentalange sulle modalità di selezione del Procuratore, in quanto la sua nomina è di esclusiva pertinenza del Comitato Nazionale su proposta del presidente dell’Aia. Una cosa è certa, la Figc assumerà tutte le decisioni necessarie a tutela della reputazione del mondo del calcio e della stessa classe arbitrale“. Redazione CdG 1947

Chi è Rosario D’Onofrio, l’ex procuratore arbitri arrestato: l’esercito, la finta laurea. Marco Letizia su Il Corriere della Sera il 12 Novembre 2022.

La doppia vita di D’Onofrio, colui che doveva controllare gli arbitri, finito in carcere perché coinvolto in un’inchiesta di traffico di droga. Nel mondo degli spacciatori veniva chiamato «Rambo», era stato sospeso dall’Esercito. L'Aia: «Non ci aveva detto nulla»

L’uomo dai due volti. E dalla doppia vita. La vicenda umana e giudiziaria di Rosario D’Onofrio, l’ormai ex presidente della procura dell’Aia, l’Associazione nazionale arbitri, arrestato per associazione per delinquere nell’ambito di un’inchiesta della Dda milanese che ha portato a smantellare un traffico di stupefacenti tra Italia e Spagna, ha dell’incredibile. L’11 marzo 2021 la Sezione di Cinisello Balsamo comunica: «Il nostro associato Rosario D’Onofrio è stato meritatamente nominato Procuratore Nazionale. Per Rosario una grande gratificazione che gli consentirà di poter pienamente esprimere le sue qualità personali e professionali. Il presidente Giuseppe Esposito, il consiglio direttivo e tutti gli associati inviano a Rosario le migliori congratulazioni e un sentito ringraziamento per l’immagine di prestigio che la sua nomina conferisce a tutta la sezione Cinisellese!». Peccato che si trattasse dello stesso Rosario D’Onofrio che era già stato arrestato una prima volta nel maggio 2020 per essere stato trovato in possesso di un carico di 40 chili di marijuana.

Come la doppia vita di D’Onofrio potesse essere stata finora invisibile all’Aia resta un mistero, tanto che il presidente della Figc Gabriele Gravina non usa mezze parole: «Sono sconcertato, ho subito chiesto riscontro al presidente Trentalange sulle modalità di selezione del Procuratore, in quanto la sua nomina è di esclusiva pertinenza del comitato nazionale su proposta del presidente dell’Aia. Una cosa è certa, la Figc assumerà tutte le decisioni necessarie a tutela della reputazione del mondo del calcio e della stessa classe arbitrale».

Del resto D’Onofrio, che per l’Aia era al di sopra di ogni sospetto, tanto da meritarsi nel luglio di quest’anno il premio «Concetto Lo Bello», nel giro degli spacciatori era invece conosciuto come «Rambo», uno se serve pronto ad usare le mani: «Dice che se lo prende lo tortura con corrente ...» si scrivono su messaggistica criptata due della banda, riferendosi al ruolo di D’Onofrio in un pestaggio.

In serata l’Aia ha diffuso un comunicato in cui esprime «sorpresa e sgomento», si dice «vittima» di un «tradimento», cioè le mancate dichiarazioni di D’Onofrio che avrebbe dovuto segnalare le sue disavventure con la giustizia e se n’è ben guardato («Per assumere la qualifica di arbitro, l’interessato deve dichiarare l’assenza di procedimenti penali nonché di condanne superiori a un anno per reati dolosi in giudicato. L’articolo 42 infine del Regolamento Aia impone l’immediata comunicazione al Presidente di sezione di avvisi di garanzia, pendenze di procedimenti penali e misure restrittive della libertà personale») e rammenta che «non ha a disposizione poteri istruttori per esercitare un’opera di verifica e controllo di quanto dichiarato dagli associati».

Ma a scavare nella vita di D’Onofrio di ambiguità se ne trovano parecchie. Innanzitutto la professione, quella di ufficiale dell’ Esercito. Che non esercitava più in quanto era stato sospeso: ma non per un problema da poco. Era ufficiale medico, ma si era scoperto che non aveva mai conseguito la laurea in medicina.

E anche la sua attività collaterale di arbitro prima e di procuratore arbitrale poi era terminata con D’Onofrio deferito il 28 ottobre scorso dal procuratore federale della Figc Chiné per non aver instaurato un formale procedimento disciplinare nella vicenda relativa all’assistente arbitrale Robert Avalos. Insomma il procuratore che viene indagato: una vicenda che ben rappresenta il doppio volto di D’Onofrio.

Caso Rosario D'Onofrio, la Figc provò già a cacciare il procuratore. Ma l’Aia si oppose. Luca De Vito, Matteo Pinci su La Repubblica il 15 Novembre 2022.

Tramava per favorire o bloccare la carriere dei fischietti. E a luglio Gravina chiese di rimuoverlo

L'Aia sapeva. L'Associazione italiana arbitri sapeva da luglio che il suo procuratore, Rosario D'Onofrio, intratteneva consulenze "private" con un guardalinee che invece avrebbe dovuto indagare. E ha deciso di non fare nulla. Il narcos che dai domiciliari gestiva le udienze sulle condotte disciplinari degli arbitri italiani, è il protagonista di sei file audio registrati da un ex guardalinee, Robert Avalos.

"I presidenti di serie A? Delinquenti veri", le intercettazioni di Giovanni Malagò sui diritti tv. Giuliano Foschini, Marco Mensurati su La Repubblica il 16 Novembre 2022.

Lo sfogo del presidente del Coni con il dirigente di Sky Andrea Zappia: "Preziosi un pregiudicato, Lotito il capo. Juventus e Roma colpevoli come lui". Le telefonate trascritte dalla Guardia di Finanza sono anche quelle con Massimo Bochicchio, il broker che ha truffato mezza Italia dello sport

I presidenti di serie A? "Dei delinquenti veri". La Lega Calcio? "Come ha detto Greco (ndr, Francesco, ex procuratore capo di Milano), è un'organizzazione di diritto privato... perché altrimenti li arrestavano tutti perché li avevano trovati colpevoli di corruzione sei anni fa con noi...".

Preziosi, ex presidente del Genoa? "Un vero pregiudicato". Il presidente della Lazio, Claudio Lotito? Il capo.

Giuliano Foschini,Marco Mensurati per “la Repubblica” il 17 novembre 2022.

La rabbia del presidente del Coni, Giovanni Malagò, nei confronti di «quei delinquenti» dei presidenti di Serie A non era dettata da motivi personali. Ma dalla convinzione che l'accordo sui diritti tv che la Lega aveva appena chiuso con Dazn fosse sbagliato e controproducente. «Mi odiano perché, io dico, sia con l'Uefa, sia con i calciatori, sia con i broadcaster, ma fate un accordo Niente. È l'arroganza fatta persona». 

Un riferimento specifico. «La vicenda è complessivamente demoralizzante e io non voglio circoscrivere a un soggetto, però fino a che non si risolve quel problema lì, non se ne viene fuori?». Quale problema? «Quel signore lì» dice Andrea Zappia, il manager di Sky con cui Malagò è al telefono. «Claudio Lotito, il presidente della Lazio» annota il nucleo di polizia economica-finanziaria della Guardia di Finanza di Milano. 

Negli atti depositati nell'inchiesta, archiviata, sulla presunta tangente pagata per i diritti tv c'è uno spaccato chiaro di come il mondo dello sport abbia affrontato un affare storico, la vendita a Dazn e non a Sky. Come Repubblica ha raccontato ieri, tra le conversazioni trascritte ci sono quelle di Malagò che nei giorni in cui viene fuori la notizia di un suo coinvolgimento nell'indagine si muove con una serie di telefonate per rivendicare la correttezza del suo operato.

A fronte, a suo dire, di un comportamento sbagliato da parte dei presidenti dei club. «Gli avevo trovato una persona di livello », dice a Zappia facendo riferimento al banchiere Gaetano Micciché, eletto presidente di Lega. «E guarda questi che cazzo fanno sono delinquenti veri () Il soggetto che ha fatto la denuncia è Preziosi», «un vero pregiudicato» interviene Zappia, «certo, certo» dice Malagò, «ti rendi conto? Se uno la racconta non ci si crede () è la ciliegina sulla torta». Ieri Enrico Preziosi, all'epoca presidente del Genoa, non è stato contento di leggere le conversazioni: «Il fatto che oggi Malagò mi giudichi un pregiudicato mi sorprende perché anche pochi mesi fa ci siamo incontrati e abbracciati. Mi sembra che lui si debba difendere da un'accusa di corruzione, forse il delinquente è lui».

In realtà ogni accusa a Malagò, così agli indagati, è stata archiviata. Lo aveva chiesto la Procura e lo ha deciso la gip Chiara Valori a maggio ma tutti, compresi gli avvocati delle persone coinvolte, lo hanno saputo soltanto ieri. Nel provvedimento il gip condivide le conclusioni alle quali era arrivata la Procura nell'indagine coordinata dal procuratore aggiunto Maurizio Romanelli e dai sostituti Paolo Filippini e Giovanni Polizzi. E cioè che date le «relazioni strettissime tra i decisori dell'assegnazione dei diritti e gli aggiudicatari finali, allo stato gli elementi non appaiono sufficienti per promuovere l'azione penale in relazione all'ipotesi corruttiva ». 

«Difetta la prova» scrive infatti la gip. Non ci sono i soldi. Stesso discorso anche sul falso che avrebbe portato all'elezione di Micciché. «Non appare configurabile - scrive il gip - il reato e ciò a prescindere dalla effettiva possibilità di dimostrare che la nomina a presidente - indubbiamente agevolata da Malagò - fosse stata funzionale a favorire Sky nella procedura di aggiudicazione, a fronte di un'indebita remunerazione. Il verbale dell'assemblea di Lega per quanto riporti evidenti irregolarità non può dirsi falso e corrisponde a quanto realmente accaduto ».

Leonardo Iannacci per “Libero quotidiano” il 17 novembre 2022.

Le intercettazioni telefoniche, si sa, talvolta hanno cambiato la storia. Sin dai tempi dello scandalo Watergate quando portarono, addirittura, alle dimissioni del presidente degli Stati Uniti, Richard Nixon. Ora, non è che la vicenda che vede al centro di tutto il presidente del Coni, Giovani Malagò, abbia lo stesso spessore di quelle che virarono i destini del mondo. 

Ma è innegabile che le sue parole emerse dalle intercettazioni telefoniche effettuate nell'ambito dell'inchiesta (ieri archiviata) su una presunta tangente pagata per l'assegnazione dei diritti televisivi, abbiano creato un terremoto politico nel paludato mondo del calcio. 

In queste intercettazioni il numero 1 dello sport italiano, al telefono con Andrea Zappia, manager Sky che all'epoca non aveva più ruoli operativi in Italia e che era finito dentro all'inchiesta, definisce alcuni presidenti di club calcistici dei «delinquenti veri», aggiungendo giudizi poco lusinghieri nei confronti di Enrico Preziosi, ex presidente del Genoa («È un pregiudicato...»), di Claudio Lotito, attuale n.1 della Lazio («È lui il capo») e di altri club («E i nostri amici di Juventus e Roma sono colpevoli quanto lui. Perché alla fine, per un motivo o per un altro, hanno rinunciato a lottare o lo hanno assecondato diventando complici delle sue avventure...»).

A proposito di Lotito, Zappia aggiunge: «Sono stupito che questo signore che ha un business nano, che ormai campa solo di calcio e che è quello che fa vivere tutte le sue aziende, maramaldeggi». 

«Non c'è dubbio», conviene Malagò. La vicenda è stata portata a galla da Repubblica che, nel giornale di ieri, si è occupata di diritti televisivi e di aste per l'assegnazione degli stessi. Come quella del 2014 che aveva portato a una maxi multa sanzionata dall'Antitrust per Mediaset, Infront, Lega e Sky. Anche all'epoca la prima inchiesta della Procura svanì nel nulla. Giudizi pesanti, indubbiamente, quelli del numero 1 del Coni, un signore che non ha mai avuto il timore di dire quello che pensa e che, non dimentichiamolo, mentre (stra)parlava di Preziosi, Lotito e di altri presidenti, non stava rilasciando una pubblica intervista ma telefonava privatamente a un amico.

In regime di guerra segreta neppure la Stasi - la famigerata polizia della Germania Democratica ai tempi della Guerra Fredda- avrebbe spiato così a fondo il numero 1 dello sport italiano. Malagò, che conosciamo da tempo e stimiamo quale uomo di sport, uscendo bene dall'inchiesta di cui sopra, avrà avuto le sue ragioni per trinciare tali giudizi su presidenti che ha conosciuto da vicino. 

Non siamo noi, di certo, deputati a difenderlo perché, avendo detto certe cose, le pensa. Esistono sedi opportune per dirimere tali faccende. Malagò e Zappia, in tutto questo polverone, hanno soltanto una colpa: in un mondo paludato e falso, nel quale tutti non dicono mai quello che pensano, si sono dimenticati di vivere in un Truman Show nel quale si è spiati, schedati e controllati come in un film di 007. Anche quando si fanno due chiacchiere tra amici.

Malagò intercettato e il condominio serie A. Il n°1 Coni: "I presidenti delinquenti veri". Ieri replica di Preziosi: "Forse lo è lui". Franco Ordine il 18 Novembre 2022 su Il Giornale. 

L'inchiesta penale (ipotesi di corruzione tesa a favorire Sky) in merito alla trattativa per i diritti tv del calcio di serie A del triennio 2018-2021, su richiesta della stessa procura di Milano, è stata archiviata dal gip Chiara Valori nel mese di maggio 2022 con la spiegazione che «non è configurabile il reato». Identico provvedimento fu adottato per i sei personaggi coinvolti nella vicenda: Giovanni Malagò, presidente del Coni e all'epoca commissario straordinario della Lega calcio, Gaetano Miccichè ex presidente della Lega serie A, Andrea Zappia ex manager di Sky, Massimo Bochicchio, il noto broker morto in un incidente di moto il 19 giugno scorso, Giampaolo Letta produttore tv e Giovanni Barbara, allora presidente dei revisori della stessa Lega. Eppure, a molti mesi di distanza, dal fascicolo, secondo antica e nota tradizione della giustizia italiana, sono spuntate fuori alcuni intercettazioni telefoniche tra due dei personaggi coinvolti nell'indagine, pubblicate dal quotidiano la Repubblica, che hanno riportato a galla la vicenda e avvelenato nuovamente il clima nel calcio italiano.

In una di queste conversazioni, avvenute tra Giovanni Malagò e il manager Sky Zappia, il presidente del Coni avrebbe definito i presidenti di serie A «delinquenti veri» citando espressamente alcuni di essi, tra cui Enrico Preziosi, in quei mesi presidente del Genoa, e Claudio Lotito, attuale senatore di Forza Italia nonché presidente della Lazio. Nella ricostruzione dei fatti sottoposti a indagine, firmata dalla stessa procura milanese, venne anche riconosciuto che l'elezione di Gaetano Miccichè, candidato da Malagò alla presidenza della Lega, contestata come formalmente irregolare secondo qualche presidente, «non può dirsi falso e corrisponde anzi a quanto realmente accaduto come documentato da una registrazione audio». La prima reazione registrata al telefono dall'agenzia Ansa, è arrivata da Enrico Preziosi uscito dal calcio dopo la cessione delle quote di maggioranza del Genoa al fondo americano 777 Partners. Ha dettato Preziosi: «Il fatto che oggi Malagò mi giudichi un pregiudicato mi sorprende perché anche mesi fa ci siamo incontrati e abbracciati. Mi sembra che lui si debba difendere da un'accusa di corruzione, forse il delinquente è lui... Non riesco a capire come possa fare così un essere umano, ci siamo rivisti tante volte e ci siamo sempre abbracciati, forse abbracciava un delinquente».

Per chi ha frequentato le assemblee della Lega di serie A dei tempi più o meno recenti e il clima litigioso da assemblea condominiale, lo scenario descritto non è assolutamente una novità. Dissidi e polemiche aspre sono sempre state all'ordine del giorno, anche durante la pandemia. Dopo le dimissioni di Miccichè, venne eletto per due volte il manager Paolo Dal Pino che ha vissuto la stessa atmosfera prima di decidere il trasferimento negli Usa.

D'Onofrio, signorsì agli ordini dei boss. Il procuratore degli arbitri sempre sull'attenti quando arrivavano le chiamate dei capi. Luca Fazzo il 15 Novembre 2022 su Il Giornale.  

«A me mi vedono così e mi fanno andare, hai capito, non mi fermano nemmeno. Io vado in giro e faccio quello che voglio!». Nella sua doppia vita da corriere della droga, il procuratore nazionale degli arbitri Rosario D'Onofrio portava la stessa sicurezza di sè che gli aveva consentito di fare carriera tra i fischietti del calcio italiano. Le intercettazioni contenute nella voluminosa (1.024 pagine) ordinanza ottenuta dal pool antimafia della Procura milanese contro D'Onofrio e altri tredici accusati di associazione a delinquere finalizzata al narcotraffico raccontano un uomo che non se la passa benissimo, costretto a viaggiare come un rappresentante di commercio per incassare provvigioni da mille euro. Ma che fa il suo mestiere con la certezza di farla franca. Sia quando si presenta - lui, sospeso dall'esercito per indignità - con una mimetica a prestito e con i gradi da capitano. Sia quando opera in borghese, ricevendo sotto il nickname di Moistwaw gli ordini dai suoi capi. Convinti di essere protetti da un criptatore di conversazione, D'Onofrio e i capiclan parlavano apertamente di ordini, quantitativi, prezzi. Mairjuana e hashish, ma anche la nuova devastante Amnesia: «erba» addizionata di eroina o metadone, in grado di creare rapidamente dipendenza.

La maggiore soddisfazione di D'Onofrio era circolare liberamente con i suoi carichi di morte nel baule anche nei giorni del lockdown. «I controlli ci saranno sempre per strada, a noi che c... ce ne frega!», si vanta il 30 marzo 2020, mentre il mondo è alle prese con la prima ondata della pandemia. Il giorno dopo chiama la sua donna: «Oh mi ha appena fermato la polizia locale, mi ha visto in divisa, mi ha salutato militarmente e mi ha lasciato andare». È così entusiasta del successo che subito dopo chiama un'amica e poi un amico per vantarsi del successo: «Mi ha visto in divisa e mi ha subito lasciato andare». «Non ti hanno detto niente?» «Eh, sto andando al lavoro!».

Protetto da mimetica e tesserino (che a quanto pare è riuscito a conservare) «Rambo» D'Onofrio batte la provincia di Milano consegnando droga. Sistemi da film: il 9 aprile Francesco Cestana alias Typicalmask gli ordina «via Matteotti, trova un suv grigio scuro Audi q5, bisogna aprire baule, lasciare 5 di erba e prendere soldi». «Ok», risponde pronto D'Onofrio. «Poi un'altra da 5 kili a Bresso, ora ti mando la via», aggiunge il boss. E il procuratore dell'Aia esegue.

Non sembra che si arricchisca. «Con cinque chili di fumo ti faccio venire fuori mille euro di guadagno», gli promette Cestana. Nelle intercettazioni i capi dell'organizzazione indicano chiaramente tra la merce affidata a D'Onofrio anche l'amnesia, la marijuana taglia con la droga pesante. «Bro, hai visto il prezzo dell'amnesia, così vedi che non t'inganno», si scrivono due dei capi. Il 31 marzo Typicalmask scrive a D'Onofrio: «Però non dare amnesia, quella di oggi era amnesia».

Sul telefono del solerte D'Onofrio la Guardia di finanza scova anche le foto dei carichi di droga e dei mucchi di banconote versate in contropartita, che il procuratore manda ai suoi superiori a riscontro del buon esito dell'operazione. Che un uomo di sport possa trasformarsi nel rappresentante di commercio dei trafficanti di morte certo fa uno strano effetto. Ma ancora più effetto fa, leggendo le carte, che della doppia vita di D'Onofrio nessuno abbia colto segnali.

Doppia vita di D'Onofrio. L'ex giudice dei fischietti era un narcotrafficante. È tra i 43 arrestati in una maxi inchiesta Bare e libri usati per far viaggiare l'hashish. Stefano Vladovich il 13 Novembre 2022 su Il Giornale.

Arrestato per narcotraffico, si dimette da procuratore capo dell'Aia. Rosario D'Onofrio, ex militare, già indagato per traffico internazionale di droga, da giovedì di nuovo in manette con altri 42 narcos di mezz'Europa per aver importato sei tonnellate fra hashish e marijuana dalla Spagna in Lombardia in due anni era a capo dell'ufficio che indaga sulle irregolarità degli arbitri di calcio. Ieri ha firmato le sue dimissioni.

Già nel mirino della Figc, la Federazione Italiana Gioco Calcio, per la mancata apertura di un procedimento disciplinare e la «messa in opera di attività inquirenti in assenza di un formale procedimento», D'Onofrio era da tempo intercettato dalla Guardia di Finanza assieme ad altri. Un giro a sei zeri: denaro a palate sotto forma di bitcoin, riciclato all'estero con complicati meccanismi di compensazione informale, l'hawala e il fei chien, sistemi di trasferimento valori basati su una rete di mediatori in Medio Oriente, Nord Africa, Corno d'Africa e Asia meridionale.

Tutte operazioni underground, all'apparenza sotto traccia. Non abbastanza da sfuggire agli esperti del Gico e dello Scico della Gdf che, coordinati dalla Dda di Milano, li hanno seguiti per mesi attraverso le rotte che dai Paesi produttori portano nell'Italia settentrionale. Nascosta nei carri funebri, mescolata alla frutta e verdura, la droga veniva smistata e distribuita ovunque. Venduta anche a personaggi del mondo della musica rap, come un paio di clienti legati ad artisti famosi come Sfera Ebbasta o Izi, non indagati.

In un'intercettazione si parla di un debito di 2mila euro di un certo Tano del giro del primo cantante, in un'altra di un cliente abituale, manager del secondo. D'Onofrio, in questa storia di narcos, avrebbe avuto un ruolo di primo piano. Soprattutto durante il lockdown quando, indossando la vecchia divisa per aggirare i controlli, viene bloccato mentre consegna droga e soldi a oscuri cittadini cinesi perché li trasferissero illegalmente in Spagna. Nonostante questo D'Onofrio prosegue il suo incarico nell'Aia: entrato nella «disciplinare» nel 2013 con la presidenza Nicchi, poi nominato sotto quella di Alfredo Trentalange a capo dell'ufficio che indaga su eventuali irregolarità degli arbitri.

Una storia degna di una fiction, che ricalca quella dei carichi milionari portati dal Marocco attraverso la penisola iberica dal clan Fasciani. Nascosti nei camper usati per le vacanze, disciolta nei parabrezza o spalmata sulle pagine di libri antichi. Un affiliato, Giovanni Tilleni, dipendente di un'impresa di pompe funebri, arrestato con altri italiani, spagnoli e albanesi, le partite di droga le metteva direttamente nelle bare, assieme al defunto. Fra i soci di D'Onofrio, considerato un tipo «in gamba di brutto», Cesare Guido, Andrea Buffa, Daniele Giannetto, Vito Colonna, Cristian Ruiz Tudela e Giovanni Neviera, affiliato al clan mafioso Abbaticchio di Bari. Per rifarsi dei carichi persi il gruppo intensifica investimenti e spedizioni. Sconcerto nel mondo del calcio. «Ho subito chiesto riscontro al presidente Trentalange - commenta Gabriele Gravina, presidente della Figc - sulle modalità di selezione del Procuratore, in quanto la sua nomina è di esclusiva pertinenza del Comitato Nazionale su proposta del presidente dell'Aia. Una cosa è certa, la Figc assumerà tutte le decisioni necessarie a tutela della reputazione del mondo del calcio e della stessa classe arbitrale».

Da ilnapolista.it il 13 novembre 2022.

Intervistato da La Repubblica, l’ex arbitro Piero Giacomelli accusa il procuratore capo dell’Aia, Rosario D’Onofrio di avergli stroncato la carriera. D’Onofrio è stato arrestato alcuni giorni fa per traffico internazionale di droga. Giacomelli dichiara che all’Aia D’Onofrio agiva come se fosse un Ras. Giacomelli fu sospeso e poi dismesso dalla Serie A per lo scandalo rimborsi. 

«È D’Onofrio che ha deciso la mia estromissione. Negli ultimi due anni decideva, sotto le vesti di Procuratore dell’Aia, con i suoi provvedimenti, promozioni e dismissioni degli arbitri di Serie A e Serie B». 

Giacomelli spiega che non potendo punirlo per gli errori sul campo, D’Onofrio agì sulla strada dei rimborsi.

«Non potevo essere punito per il rendimento in campo e allora si è attaccato ai rimborsi. Lo ha fatto anche con altri come Pasqua, Massa, La Penna, Robilotta». 

Si dice convinto del fatto che D’Onofrio gestisse le dismissioni degli arbitri, sottraendole al designatore e agli organi direttivi dell’Aia. Gli chiedono: era così importante D’Onofrio nell’Aia?

«Tanto che fu premiato a luglio come miglior dirigente nazionale degli arbitri».

Il presidente Aia Trentalange, il vice Baglioni e il designatore Rocchi erano solo spettatori?

«Diciamo che assecondavano le punizioni decise da D’Onofrio. Che entrava anche nella parte tecnica del designatore, quella relativa ai giudizi. Il guardalinee Avalos un anno fa ha prodotto un’intercettazione dove D’Onofrio gli diceva cosa fare e cosa non fare per scalare le classifiche di giudizio. L’arbitro La Penna sarebbe dovuto diventare internazionale al posto di un altro arbitro. Ma anche lui è stato accusato di rimborsi irregolari, squalificato, fatto fuori e poi reintegrato da D’Onofrio».

Ma cosa portava D’Onofrio ai vertici Aia?

«Era il loro grimaldello politico. Comminando sanzioni indirizzava le carriere degli arbitri. Favorendo alcuni e punendone altri decideva a tavolino le classifiche di merito. Una dinamica che portata al tavolo politico per le elezioni delle cariche, poteva spostare i voti delle sezioni regionali premiate»

Da open.online il 13 novembre 2022.  

Resta al momento un mistero come la doppia vita di Rosario D’Onofrio sia rimasta sconosciuta all’Aia, l’associazione degli arbitri che dal 2013 aveva fatto entrare nella sezione disciplinare l’ex militare arrestato ieri 12 novembre con l’accusa di essere stato un corriere della droga in un’inchiesta a Milano.

Entrato sotto la presidenza di Marcello Nicchi, è con il presidente degli arbitri Alfredo Trentalange che D’Onofrio riesce a farsi nominare procuratore nazionale dell’Aia, cioè il “magistrato” che dovrebbe indagare sulle eventuali irregolarità degli arbitri. La carriera nel mondo del calcio partita dalla sezione di Cinisello Balsamo andava di pari passo con quella nell’ambiente militare, dove D’Onofrio era conosciuto come «Rambo», capace di fornire armi e sostegno logistico a una banda che gestiva il narcotraffico dalla Spagna e nel caso anche a superare con pestaggi eventuali ostacoli. 

Le consegne con il lockdown

Il 30 marzo 2020, in pieno lockdown per il Covid, D’Onofrio viene intercettato mentre, vestito con la tuta militare a bordo della sua Volvo XC60, va a consegnare 35 kg di hashish a Milano. Subito dopo va a Paderno Dugnano, nell’hinterland milanese, e raccoglie in auto un conoscente: «Veramente vestito da militare!», dice stupito l’uomo a D’Onofrio che risponde: «Se una cosa la devi fare, la devi fare fatta bene!». Il procuratore capo degli arbitri si era fatto prestare la tuta militare da un collega dell’Esercito, visto che la sua non l’aveva più dopo essere stato sospeso per questioni disciplinari. In quel modo sperava di circolare liberamente e continuare a fare le consegne. 

I compiti

I compiti di D’Onofrio per la banda di narcotrafficanti erano diversi e cruciali, secondo quanto emerso dalle indagini. A cominciare dallo smistamento al dettaglio delle tonnellate di carichi che arrivavano dalla Spagna. Era lui a «organizzare la parte logistica delle importazioni di stupefacente – scrive nell’ordinanza di arresto il giudice – e tra queste attività… di reperire luoghi ove poter effettuare lo scarico in sicurezza dei bancali all’interno dei quali era contenuto lo stupefacente». 

Stimato dai capi

Nella banda, D’Onofrio godeva di grande stima e rispetto. Stando ai messaggi nelle chat, l’ex militare era la persona giusta da chiamare se fosse servito «il ferro», cioè la pistola. Uno dei capi dell’organizzazione, Daniele Giannetto, anche lui agli arresti, ne aveva un’altissima considerazione: «Era in gamba di brutto… sapeva cosa faceva», diceva dopo il 21 maggio 2020, cioè quando D’Onofrio era stato già arrestato dalla Guardia di Finanza perché trovato con 40 kg di marijuana vicino Linate.

D’Onofrio si occupava anche di consegnare ingenti somme in contanti al riciclatore cinese. E poi poteva vantare grande affidabilità nel risolvere con le spicce le questioni più svariate di impasse: «Dice che se lo prende lo tortura con la corrente – emerge da una chat con D’Onofrio a proposito di un pestaggio – tanto prima o poi lo prendiamo… Dovevo ammazzarlo quel giorno… Invece mi sono fatto prendere dal spiacere… stava morendo… mi ha detto Rampo che solo per te si è fermato». Ed è proprio «Rambo» D’Onofrio a chiamare poco dopo per confermare: «Ma tu non puoi immaginare quante gliene ho date».

Ivan Zazzaroni per il Corriere dello Sport il 29 settembre 2022.

«Noi non siamo la mafia». Così il presidente degli arbitri Alfredo Trentalange ha reagito dopo settimane ai sospetti di Maurizio Sarri. L’allenatore della Lazio aveva parlato di “arbitri prevenuti” e di avvocati pronti a dare battaglia, invitando i vertici dell’Aia a intervenire. La risposta (tardiva) di Trentalange mi è sembrata - almeno per il termine usato , mafia - eccessiva e non risolutiva: purtroppo il linguaggio corrente ha acquisito le parole proibite indipendentemente dal contesto. 

Gli arbitri esercitano il potere decisionale e “la prima cosa che devono imparare quelli che aspirano al potere - questo è Seneca , non Sarri - è di essere capaci di sopportarne l’odio”. Nel calcio non si parla di odio, bensì di contestazion i , protest e , denunce e il solo modo per limitarle resta il confronto costante e alla pari. Sempre. Arbitri, allenatori, dirigenti , calciatori e giornalisti fanno parte dello stesso universo che non può autorizzare superiorità e inferiorità. L e “caste” , i circoli chiusi, non hanno più senso di esistere: il miglioramento dei rapporti e del clima generale passa esclusivamente   attraverso la chiarezza.   

Benvenuta Maria Sole Ferrieri Caputi

Il sito di un quotidiano titola nel modo che segue la designazione di Maria Sole Ferrieri Caputi per Sassuolo-Salernitana: “Storico”. E vada per la novità, vada anche per la sorpresa. Ma cosa c’è di storico, oggi, nel dare il fischietto di una partita di calcio a una donna? Mi viene il dubbio che una tale enfasi abbia un sottinteso senso politico: se è storico l’arbitraggio femminile, sarà almeno epica la premiership di Giorgia Meloni.  

Comunque sia, mi pare che la retorica della parità, quand’è esibita come un dogma, ci porti dritti dritti dentro un “sessismo di ritorno”. Sacralizzare il protagonismo delle donne è un modo per renderlo più difficile, e quindi per negarlo. Allo stesso modo censurare l’ironia bonaria è il modo per burocratizzare anche le relazioni tra i sessi.  

Sono finito nel tiro al piccione del web per un siparietto con una giovane collega , Claudia Mercurio, con cui a Napoli ho condiviso per otto anni, da fratello maggiore e amico , un talk televisivo. Rivendico il diritto a ironizzare sugli attributi maschili e femminili, con uomini e con donne, senza subire la gogna del perbenismo fondamentalista, figlio dei tempi. La parità che auguro alle donne è anzitutto leggerezza. E libertà. Di dire, di fare, e di ricevere. 

  Per questo considero che l’arbitraggio di Maria Sole sia un’azzeccata sorpresa, ma soprattutto un tentativo di rimediare alle disastrose performance dei fischietti maschili, che prima della sosta hanno falsato il risultato di Juve-Salernitana, e non solo. È di un’evidenza incontestabile che non ci sono ragioni per una pregiudiziale di genere in un’attività, l’arbitraggio, dove non entra in gioco l’unica discriminante sportivamente apprezzabile tra i sessi: la forza fisica. Per dirigere bene una partita di calcio servono occhio, prontezza intuitiva, autorevolezza, controllo emotivo e misura, qualità che la natura ha distribuito in maniera equanime tra gli umani, e che la cultura ha coltivato con privilegio proprio nell’universo femminile. Quanto all’esperienza, che nel calcio è l’unico punto di debolezza del confronto tra i sessi, prima la facciamo fare alle donne e meglio è. 

    Questo per dire che Maria Sole Ferrieri Caputi è benvenuta, ancorché tardivamente, su un campo di serie A. C’è da augurarsi che non sia la sola, e non finisca per trasformarsi nel classico specchietto per le allodole con cui si vuole mostrare, come avvenuto, un cambiamento ancora tutto da fare. C’è bisogno delle donne nel calcio maschile, e viceversa. E chiudiamola qui, perché l’ovvietà mi spaventa almeno quanto il moralismo. 

Matteo Dalla Vite per gazzetta.it il 28 settembre 2022.

E venne il giorno. Maria Sole Ferrieri Caputi racconterà - ai nipotini o semplicemente a chi le chiederà come si sta dentro la storia - che il 2 ottobre 2022 una ragazza-arbitro ha diretto per la prima volta una gara nel campionato di Serie A: la gara designata dovrebbe essere Sassuolo-Salernitana, domenica, ore 15. 

Il giorno è arrivato insomma e già da tempo (con voci sempre più insistenti prima di quest’ultima sosta) si era ipotizzato che prima dello stop per il Mondiale ci sarebbe stato il Grande Passo da parte di una donna-direttore di gara, anche se poi Maria Sole preferisce - giustamente - essere chiamata solamente arbitro.

All’interno della Sala “Paolo Rossi” in FIGC, Alfredo Trentalange, presidente dell’AIA, ha commentato l’esordio storico di Ferrieri Caputi: "Non è una giornata banale e sono anche emozionato. Maria Sole debutterà in Serie A per meriti, senza scorciatoie, per capacità, skills, è in virtù di un progetto che è partito come Aia. 

Fra l’altro Maria Sole ha un appuntamento mondiale con il femminile U17 in India. Ci apprestiamo a vivere un momento storico dopo più di 110 anni: ringraziamo chi ha creduto in lei quindi anche la Fifa e chi prima di lei, penso a Rosetti e alla Uefa. Non diamo privilegi, Maria Sole si è guadagnata questo percorso, ed è un successo di tutto il movimento”.

Insomma, l’inizio di una Nuova Era è arrivato e il passo, pur se eccezionale, deve essere considerato normale e propedeutico al futuro femminile del settore. La scelta definitiva di Maria Sole è figlia del merito, come hanno sempre stabilito e affermato i vertici arbitrali dal presidente Trentalange al designatore Gianluca Rocchi. Per Maria Sole Ferrieri Caputi (finora 23 gare in C, 3 in serie B, una coppa Italia e Quarto Uomo in Monza-Udinese alla terza) sono stati anticipati i tempi perché è stata designata al Mondiale femminile Under 17 in India che si terrà dall’11 al 30 ottobre.

Nel frattempo, il designatore Gianluca Rocchi si è espresso sul rendere pubblici o meno i dialoghi Arbitro-Var. “Se i dialoghi pubblici tra arbitro e assistenti possono funzionare? Se lo facciamo come il rugby sì, nella Formula 1 sono filtrati. La prima cosa che verrebbe chiesta sarebbe cosa è stato tagliato. È complesso, chi sta in campo e chi sta fuori deve avere una preparazione comunicativa adeguata. Stiamo migliorando tantissimo, anche rispetto all’anno scorso, ma ci vuole ancora tempo. Da parte degli arbitri c’è apertura totale. Non ci sono segreti. Il problema di trasmettere live è che non c’è un filtro. Quello che avviene in campo lo sentirebbe il mondo intero…”. Intanto c’è Ferrieri Caputi nella storia.

Da ilnapolista.it il 22 luglio 2022.

Quest’anno in Serie A debutterà un arbitro donna, Maria Sole Ferrieri Caputi. Ha 32 anni. Oggi ha rilasciato un’intervista alla Gazzetta dello Sport e una a La Stampa. Alla Gazzetta dichiara: 

«L’importante è che si giudichi la Maria Sole arbitro e non la Maria Sole arbitro donna: spero che tutte queste attenzioni ora positive rimangano anche quando sbaglierò». 

Racconta cosa si aspetta dal suo debutto.

«Sono ancora nella fase in cui spero che arrivi: diciamo che sono curiosa di vedere da vicino giocatori visti solo allo stadio o in tv, capire che persone sono. Le difficoltà che troverò? Saranno legate alla velocità del gioco, degli eventi, ai ribaltamenti di fronte, al mestiere di calciatore: più si sale più il giocatore ha mestiere». 

In passato ha dovuto sopportare diverse offese perché donna.

«Nei campionati provinciali ne ho sentite tante, poi da anni non succede più fortunatamente. Da “Tr…” a “Put…”, da “Vai a rigovernare” a “datti al pattinaggio artistico”, da “Non ci capisci di calcio” a “Hai un contatto facebook?” me ne sono capitate. Come reagivo? Mi faceva sorridere e basta. Una volta un calciatore mi fissava e gli ho detto che la palla era altrove… In passato più che la paura ricordo il dispiacere: un paio di allenatori, ai tempi degli Allievi, nei campi polverosi di Livorno al freddo delle sei di sera, hanno dato spettacoli impietosi. In campo in qualche modo posso ristabilire la giustizia con i provvedimenti, con tutto il contorno è più difficile. Culturalmente bisogna fare ancora molto». 

C’è vanità negli arbitri donna?

«In ogni arbitro un minimo c’è, sei in uno spettacolo mediatico». 

A La Stampa spiega cosa porteranno in più le donne in Serie A. Dà ragione a Trentalange, che ha dichiarato che le donne sono più curiose e meno presuntuose.

«Sì, sono d’accordo. Aggiungerei che siamo predisposte alla fatica: per raggiungere, nei test fisici, i risultati dei nostri colleghi dobbiamo sudare il triplo» 

E le donne sono anche più empatiche.

«Più empatiche. Penso che gli arbitri donna possano aiutare con il loro atteggiamento». 

Da ilnapolista.it il 3 ottobre 2022.

La prima di Ferrieri Caputi? Paolo Casarin non regge più la retorica sulla prima donna arbitro in Serie A: Maria Sole Ferrieri Caputi che ieri ha diretto Sassuolo-Salernitana 5-0 (ne ha parlato anche Rocchi). All’Adn Kronos dice: 

“Ha diretto una partita ridicola, mi pare che si stia esagerando con gli elogi. È troppo presto, quando avrà diretto una decina di partite di Serie A di difficoltà maggiori potremo dare un giudizio. Per quel poco che si è visto ha dimostrato di essere sicura, sempre nel vivo dell’azione. Ha di sicuro delle qualità ma smettiamola di parlare di lei, secondo me anche lei si è stancata di questa attenzione mediatica assolutamente esagerata”. 

Peraltro sul Corsera, nella consueta rubrica del lunedì, Casarin non è stato tenere con l’arbitraggio pur se non sono mancati gli apprezzamenti nei confronti del primo fischietto donna nella massima serie.

Con la personale autorevolezza di cui dispone ha esaurito l’emozione dopo pochi passi sul terreno di gioco. Al sorteggio era già a suo agio: la partita di calcio, in effetti, trasmette forza anche all’arbitro. La prima impressione, dopo il fischio iniziale, è stato il bisogno di spostarsi con generosità, quasi sentisse il bisogno di rincorrere il gioco. In gara con i giocatori. 

Così concede un piccolo rigore: sulla linea di fondo il contatto tra Maggiore e Ceide è lieve, ma soprattutto è difficile decidere se ti trovi alle spalle dei due e a circa 18 metri di distanza. Non è stato un rigore inventato, ma il calcio di rigore deve rappresentare il risarcimento tecnico per un fallo subito che può impedire un gol possibile. Quel braccio rigido che indicava il rigore mi è sembrato il gesto della liberazione. Una sfida, un atto coraggioso, una misura di se stessa. In quel momento sei diventata un arbitro vero, che può anche sbagliare. Ora studia, lavora e arbitra. Sei brava.

Giulia Zonca per “la Stampa” il 3 ottobre 2022.

Verrà un giorno in cui sarà banale sapere che l'arbitro di una partita di serie A è una donna, ma non è oggi, non è adesso. Non è Sassuolo-Salernitana finita con un 5-0 che, di media, sarebbe garanzia di tranquillità e invece stavolta è uno scossone. Maria Sole Ferrieri Caputi lo regge, non doveva fare altro. 

Da qui in poi sarà più semplice, è successo e quindi può ricapitare. La voce del Mapei Stadium ha declamato: «Arbitra la signora Ferrieri Caputi» e ha interrotto un'esclusività durata oltre 110 anni e ormai diventata becera. Prima gli arbitri erano solo uomini, adesso non più. Adesso sono solo arbitri, senza genere, senza zavorra, non ancora liberi da pregiudizio. Ci vorrà del tempo però esiste una data di inizio: 2 ottobre 2022, ottava giornata del campionato in cui una donna ha portato il pallone in campo, ha spezzato il pane del calcio che ha una liturgia persino più radicale di quella della Chiesa.

Si parte da lei, Maria Sole Ferrieri Caputi, 32 anni, designata come pioniera: dalla sezione di Livorno allo stadio Città del Tricolore, guarda la coincidenza. Il nome del luogo in cui si fa un pezzetto di storia d'Italia definisce pure la bandiera che è nata qui, a Reggio Emilia, la città che ci porta un'altra novità e nulla può, ancora, essere considerato normale perché l'esordio è sempre un fatto straordinario: «Un'emozione indicibile, ho coltivato questo sogno per 16 anni. Comunque ero più tesa in Eccellenza. Lì io me la sono cavata con qualche insulto, però gira vera violenza e quando sei giovane non hai gli strumenti per contrastare le offese». 

L'arbitra non è così sicura di voler essere chiamata così («la questione linguistica vedetevela voi»), ma fare pace con la grammatica è un modo per arrivare all'abitudine. Suona strano solo perché non è stato mai detto. Lei ha la coda di cavallo e la testa ricoperta di gel come quella di una sincronetta, è chiaro che in quella pettinatura così tirata, mollette, lacca, elastico strizzato, c'è tutta la cura del dettaglio. Nessuna ciocca deve sfuggire e infastidire la visuale.

Nessun contropiede rimarrà incontrollato, nessuna regola disattesa. L'intento è chiaro e comprensibile: la gestione diventa quasi scolastica, con il cronometro che scatta anche sulle esultanze dopo i gol. Fin dalla prima rete Ferrieri Caputi spinge i giocatori del Sassuolo a riprendere posizione, ligia al libro delle istruzioni, dettagli.

Giusto essere rigidi quando si è osservata speciale e infatti pure il rigore fischiato potrebbe essere inteso come interpretazione severa, poco importa, la moviola consegna il disturbo di Maggiore su Ceide agli archivi. Il fallo tecnicamente esiste indipendentemente dal peso che gli si può dare, la Var non ha nulla da obiettare, i social ingaggiano una poco convinta invettiva in nome del credo «gli arbitri sono scarsi e le donne si allineano». Va bene così, un passo verso la parità effettiva.

Il primo fischio, davanti al responsabile degli arbitri Uefa Rosetti, seduto in tribuna, arriva dopo 14 minuti, corretta valutazione di un'entrata in ritardo Di Daniliuc su Pinamonti, la prima svista meno di dieci minuti dopo, un'ammonizione mancata per Dia, i gialli sono l'unico problema perché l'arbitra perde un cartellino alla fine del primo tempo, recuperato e sbandierato dal capitano del Sassuolo Ferrari e uno all'inizio del secondo tempo, pure quello riconsegnato con molta enfasi da Thorstvedt.

Irrilevanti, sbavature di una conduzione tenuta a un guinzaglio stretto. Servirà della pratica per allentare la presa, per fidarsi dell'istinto, per usare l'autorevolezza che al debutto è più ruolo che carisma. Sarebbe pure difficile sfoggiarlo visto che alla pressione di un'attenzione fuori dal segno si abbina la volontà collettiva di far girare tutto bene. Assistenti premurosi, tecnici trattenuti, giocatori educati che si lasciano andare giusto quando devono restituire i benedetti cartellini e indicano, sbracciano, sottolineano l'insignificante incidente di percorso.

Alla fine, Ferrieri Caputi ne userà solo due, gialli entrambi, per un totale di 18 falli rilevati. La statistica non lascia graffi sulla svolta e le parole non sanno bene come inquadrarla. Il tecnico della Salernitana Nicola se la cava così: «Io non mi sono accorto di chi fosse l'arbitro, lei ha fatto la sua partita, noi non abbiamo fatto la nostra», Dionisi parte assai peggio con un poco comprensibile «Esiste il calcio femminile e pure gli arbitri donna in serie A» e poi pesca un classico «non do mai importanza agli arbitri e non lo voglio fare neanche in questa occasione, altrimenti userei un atteggiamento diverso».

Andata, passata, il prossimo giro sarà più semplice e quando Ferrieri Caputi non sarà più la sola, il nome e il genere non faranno questo effetto. È successo qualcosa di speciale che può portarci alla normalità, bisogna solo dargli un po' di fiato e questa arbitra ne ha parecchio.

Maria Sole Ferrieri Caputi rivela: "Cosa mi urlava da dietro la rete". Libero Quotidiano il 04 ottobre 2022

Domenica scorsa il primo storico esordio di una donna arbitro in Serie A. Stiamo parlando di Maria Sole Ferrieri Caputi, che ha diretto il match delle 15 tra Sassuolo e Salernitana, finito 5-0 per i neroverdi. Intervenuta poi alla Domenica Sportiva in serata, insieme al presidente dell’Aia, Alfredo Trentalange. "Arbitro o arbitra? Risolvetela voi, a me non fa differenza – ha risposto la 32enne — Rimane l’emozione di un debutto che ciascun arbitro sogna dall'inizio della carriera, che coltivo da 16 anni e oggi s'è realizzato”.

Prosegue così il fischietto nel suo racconto del match del Mapei: “È stato bellissimo, per il clima che c’è stato per tutta la partita e allo stadio — ha aggiunto — Le tifoserie mi hanno accolto benissimo, in parte è stata una festa. Quello che dicono sugli arbitri in tv? Non mi provoca tensione. Mi fa piacere ascoltare i giudizi che possono essere espressi sul mio lavoro, per capire se ci sono spunti da prendere in considerazione per migliorare. Ma non parlerei di pressione”. La Caputi non nasconde che arbitrare non sempre è facile, visti gli episodi di violenza spesso i finiti in cronaca nelle serie minori:  "È così — ha proseguito — È uno dei problemi che viviamo nella nostra associazione, quotidianamente. E con questi gli episodi di violenza sugli arbitri più giovani”. 

Alla 32enne livornese, per fortuna, “è sempre andata bene, oggi ero così concentrata sulla gara che non ho sentito nulla. Ho sentito solo le bambine che mi chiamavano dalla tribuna e mi ha fatto molto piacere”. E ancora: “Quando c'è quell’urlo sguaiato di quella persona attaccata alla rete, che ce l'ha con te e neanche tu sai il perché. Solo perché stai seguendo la tua passione, ti stai impegnando in qualcosa e la domenica mattina sei là dopo aver rinunciato a qualcosa. È difficile da capire, ma aiuta a crescere. Auspico un mondo in cui si vada culturalmente verso l'accettazione dell’arbitro”.

Quanto ai modelli preferiti, "attualmente il riferimento è Frappart a livello internazionale – spiega la 32enne toscana – Ma mi piace ricordare anche Carina Vitulano, ex arbitro attualmente osservatore Uefa che ci segue per la parte tecnica in Italia. Tra i maschi? Ce ne sono tanti, ma direi Orsato che ci rappresenterà ai Mondiali". Alla Caputi non dà fastidio tutto il clamore che ha circondato il suo esordio in Serie A, inclusa qualche attenzione anche al suo look: "È bello e giusto che se ne parli quando una donna fa qualcosa, perché questo può fare in modo che sempre più donne seguano questa squadra. Se il prezzo da pagare è che qualcuno sottolinei se sorrido o meno, va bene".

L'esordio in Sassuolo-Salernitana, ora l'obiettivo è la Champions. Chi è Maria Sole Ferrieri Caputi, primo arbitro donna in serie A e ricercatrice all’Università. Giovanni Pisano su Il Riformista il 2 Ottobre 2022 

Il prossimo 20 novembre compirà 32 anni ed oggi ha diretto la sua prima gara in serie A, vinta con un roboante 5-0 dal Sassuolo contro la Salernitana. Maria Sole Ferrieri Caputi è il primo fischietto donna a debuttare nella massima serie italiana. C’era molta curiosità per l’esordio dell’arbitro originario di Livorno. La sua prima gara è stata promossa a pieni voti anche se, a prescindere dalla direzione di gara (considerato, nonostante l’avvento del Var, il livello mediocre della maggior parte dei fischietti italiani), quel che conta è che finalmente ci saranno anche le donne ad arbitrare le partite del campionato italiano.

In un semi-deserto Mapei Stadium di Reggio Emilia, la sua direzione, coadiuvata dai due assistenti, Ranghetti e Vivenzi, e dal quarto ufficiale Chiffi, è stata autoritaria e senza sbavature. Sempre vicina all’azione, ha concesso un rigore al Sassuolo alla fine del primo tempo dopo essersi consultata con i colleghi in cabina di regia al Var, ha placato le proteste dei giocatori della Salernitana e ha concluso la gara, particolarmente tranquilla e a senso unico, con due ammoniti sul taccuino e appena 18 falli fischiati.

Ferrieri Caputi in precedenza aveva già diretto una squadra della massima serie italiana in Coppa Italia: era il 15 dicembre di un anno fa quando il Cagliari superò nei sedicesimi il Cittadella. La sua direzione venne promossa a pieni voti.

“L’ho salutata come faccio con tutti gli arbitri: per me lei e un arbitro uomo sono la stessa cosa” commenta a fine partita il tecnico del Sassuolo, Alessio Dionisi.  “Complimenti a lei, ha fatto una buona partita. Sicuramente meglio della nostra…”, il commento del tecnico della Salernitana, Davide Nicola. 

L’auspicio è che Ferrieri Caputi arrivi ai livelli di Stephanie Frappart, il fischietto francese che si avvia a diventare una presenza fissa della Champions dopo aver diretto addirittura una finale di Supercoppa europea.

Sogno che probabilmente racconterà in serata quando sarà ospite alla Domenica Sportiva dalle 22.40 su Rai 2. Con lei, in studio, anche il presidente dell’AIA, Alfredo Trentalange.

Chi è Maria Sole Ferrieri Caputi: l’arbitro-ricercatrice

Nata a Livorno il 20 novembre del 1990 da genitori pugliesi, si è laureata alla triennale in Scienze politiche e Relazioni Internazionali all’Università di Pisa e poi ha conseguito una laurea magistrale in Sociologia all’Università di Firenze: attualmente lavora alla Fondazione Adapt (Associazione per gli studi internazionali e comparati sul diritto del lavoro e sulle relazioni industriali) e collabora come ricercatrice all’Università di Bergamo.

A 17 anni Ferrieri Caputi entra nella sezione Aia di Livorno e dopo l’inevitabile, lunga trafila a livello provinciale e regionale, il 15 novembre 2015 debutta in serie D: di fronte Levico e Atletico San Paolo. Nel maggio 2019 arbitra una partita della Poule Scudetto di quarta serie tra Bari e AZ Picerno dopo aver esordito, pochi mesi prima, nel Torneo di Viareggio. E il 2019 è anche l’anno della promozione a internazionale che apre a Maria Sole la direzione di due partite di qualificazione all’Europeo femminile: Scozia-Cipro e Macedonia del Nord-Serbia. 

Con la successiva promozione in C (esordio in Pro Patria-Pro Sesto), il livello di impegno si alza ulteriormente ma Maria Sole Ferrieri Caputi non sbaglia un colpo o quasi guadagnandosi la fiducia dei designatori e il rispetto dei calciatori.

Il 17 ottobre 2021, arriva anche il debutto in B, in un Cittadella-Spal che fa di lei il quarto arbitro di sesso femminile a dirigere una partita di seconda divisione a pochi giorni dall’esordio nella categoria della collega Maria Marotta. Il primo luglio 2022 Alfredo Trentalange, presidente dell’Aia, ufficializza quello che tanti ormai prevedevano da tempo: con l’ingresso nei ruoli Can, Maria Sole si guadagna il diritto ad essere la prima donna ad arbitrare nel campionato di calcio di Serie A maschile a partire dalla stagione 2022/23.

“E’ un momento storico – sottolinea Trentalange – è stata promossa perché se lo merita. Sarà il designatore a decidere il suo percorso, niente privilegi” precisa. 

Giovanni Pisano. Napoletano doc (ma con origini australiane e sannnite), sono un aspirante giornalista: mi occupo principalmente di cronaca, sport e salute.

«Juve e favori arbitrali». Pairetto querela il professor Taormina. Massimiliano Nerozzi su Il Corriere della Sera il 6 Luglio 2022.

Processo al via, il dirigente bianconero: mi ha diffamato.

Arrivato a palazzo di giustizia da loquace star, per difendere alcuni ultrà bianconeri, al professor Carlo Taormina scappò una battuta (al veleno): «Mi ha sorpreso la presenza di un Pairetto, figlio e fratello di cotanti personaggi arbitrali, dentro la Juve, non pensavo si fosse giunti a tanto. Io che ho sempre urlato per i vantaggi arbitrali, ho ritrovato un riscontro oggettivo di quelli che non finiscono mai». L’uscita non poteva invece essere relegata a «commento da bar sport» per Alberto Pairetto, dirigente del club delegato ai rapporti con il tifosi, che ha querelato il legale per diffamazione, nel processo iniziato ieri: «Utilizzare la mia persona come “riscontro oggettivo” di un sinallagma corruttivo fra mondo arbitrale e società, è oltremodo lesivo della mia reputazione, della mia integrità personale, professionale ed è un tentativo di screditare la mia attendibilità come testimone». All’epoca, era una mattina dell’ottobre 2019, si era nel pieno dell’inchiesta «Last Banner», partita proprio dalla denuncia di Pairetto contro alcuni leader della curva sud, con l’accusa di estorsioni (di biglietti) al club.

Nell’attesa di riprendere il dibattimento (a dicembre), il difensore di Taormina, l’avvocato Ennio Galasso, ha depositato una lista testi da puntata di Porta a Porta: oltre al querelante, ci sono il presidente Andrea Agnelli, l’ex direttore generale Luciano Moggi, il numero uno della Federcalcio Gabriele Gravina, Pier Luigi e Luca Pairetto, rispettivamente designatore arbitrale fino alla stagione 2004/05 e attuale fischietto di serie A. Le parole di Taormina furono riportate da diversi quotidiani, con effetto diffamatorio, secondo la querela del dirigente, assistito dall’avvocato Maria Turco: «Per chi legge o sente, Alberto Pairetto personaggio discutibile per ragioni famigliari, sarebbe capace di incidere sui risultati delle partite per la sua vicinanza di sangue con il fratello arbitro, così spiegandosi i favori arbitrali di cui la Juve sarebbe gratificata». Sarebbe stato questo l’effetto di quelle parole — sempre secondo l’esposto — anche perché «provenienti da una figura qualificata, quale quella del difensore». Che, al contrario, sostiene di non aver mai sottinteso alcunché.

Di certo, già di buon mattino, Taormina aveva annunciato il suo arrivo al palagiustizia con un tweet: «Può un gigante come la Juve essere vittima di estorsione?» E ancora, con il gusto per l’ironia che l’ha fatto diventare (anche) personaggio televisivo: «La Juve faccia la Signora e ritiri le denunce». Anche se, aveva ammesso, i bianconeri non gli sono mai stati simpatici: «Sono romanista, e nemico giurato della Juve». Fatto sta che, dopo qualche mese, il professore uscì dal collegio difensivo degli ultrà, ben prima del processo di primo grado, finito nell’ottobre scorso con sei condanne e sei assoluzioni. Come ricordo torinese gli resta il suo, di dibattimento, davanti al giudice della quarta sezione penale, Riccardo Ricciardi.

Carlos Passerini per il “Corriere della Sera” il 28 giugno 2022.

Si può e si deve fare meglio. Serve una nuova fase, una versione «pro». Perché così com' è la Var rischia di andare in tilt, se non lo è già. E sarebbe un peccato, visti gli incontrovertibili benefici che la videoassistenza ha portato in queste prime 5 stagioni. «È stata un'annata bellissima ma anche molto complessa» ha ammesso il designatore Gianluca Rocchi. Il dettaglio delle statistiche conferma l'importanza dello strumento: errori ridotti in serie A dell'86%.

C'è poco da girarci intorno: grazie alla Var, il calcio è più giusto. Il problema è che i meccanismi ancora troppo spesso s' inceppano, finendo per creare cortocircuiti inaccettabili. La Var, come ogni tecnologia, è invecchiata presto. Il protocollo appare già superato, troppo rigido, limitativo. Ha ragione Rocchi quando dice che arrivare al 100% di precisione è impossibile, perché l'errore umano è inevitabile, specie se - come sta succedendo ora - la generazione di arbitri è giovane e inesperta, ma proprio per questo serve accelerare il percorso di perfezionamento di chi deve gestire lo strumento.

Il primo passo, già allo studio, è proprio la creazione di una figura specializzata, che si occupi solo di fare il varista, con tanto di ranking. Un orientamento che all'estero e già stato avviato. Siamo stati i pionieri della Var, tutti ci hanno copiato, ora rischiamo di restare indietro. Non va bene.

Va fatto tesoro dei casi più clamorosi di questa stagione.

Varisti che parlano troppo o troppo poco, arbitri troppo sicuri o troppo incerti, immagini poco chiare o troppo chiare per sbagliare. Un episodio iconico è il cortocircuito di Spezia-Lazio alla 35ª: gol vittoria di Acerbi in evidente fuorigioco. Per quell'errore vennero sospesi arbitro, assistenti, quarto uomo, Var. Tutti puniti insomma. E poi? Il problema è che la punizione non corregge l'errore. L'unica soluzione, come sempre, è la prevenzione. Oltre alla specializzazione dei ruoli, la cosiddetta «divisione delle carriere», occorre una linea più condivisa e chiara su rigori e fuorigioco: ancora troppi episodi valutati in maniera diversa.

Il fuorigioco semiautomatico che debutterà al Mondiale in Qatar può essere un grande passo avanti: 12-18 telecamere, 50 fotogrammi al secondo e un software basato sull'intelligenza artificiale che riceve le immagini e le analizza in 20 secondi, spedendole alla sala Var. Una tecnologia che pare infallibile, ma che dovrà comunque fare i conti con l'elemento umano: a decidere fra una posizione attiva o passiva sarà comunque l'arbitro.

 Torniamo sempre lì: il problema della Var non è la Var, ma chi la adopera e come. C'è poi anche il tema del challenge: è sempre più diffusa l'idea che concedere la possibilità di «chiamata» alle squadre potrebbe avere un effetto positivo, a patto di non farla diventare «un'arma tattica» spezzare il ritmo e perdere tempo. L'idea è ottima, ma l'Ifab per ora non ci sente. Alla base di tutto, la finalità è la trasparenza: ai tempi della Var tutto si vede, perciò è giusto che tutto si spieghi.

La nuova governance Aia del presidente Trentalange in questo senso ha già fatto molto e bene: la comunicazione è migliorata moltissimo. Ma si può fare di più. Un progetto allo studio riguarda la riproposizione degli episodi sui maxischermi degli stadi, in modo che i tifosi dal vivo possano capire cosa accade. L'altra innovazione è una app con i dialoghi arbitri-Var, scaricabile ogni lunedì dai tifosi. La Var è tecnologia. E come tutte le tecnologie se non s' aggiorna s' impalla. Tutto qui.

Chi è Byron Moreno, ex arbitro di calcio Silvia Curletto. Newsmondo.it il 17 aprile 2022.

Scopriamo cosa si sa sulla vita professionale e sulla vita privata di Byron Moreno, classe ’69, ex arbitro di calcio.

Byron Moreno è figura nota nel mondo del calcio, soprattutto dopo il suo discusso arbitraggio nella partita giocata tra Corea del Sud e l’Italia. Moreno nasce in Ecuador e fin da subito si dedica alla sua passione per il mondo calcistico. Durante la sua carriera infatti ricopre il ruolo di arbitro, commentatore sportivo e infine di insegnante in una scuola per arbitri.

La biografia di Byron Moreno

Byron Aldemar Moreno Ruales nasce il 23 novembre del 1969, a San Francisco de Quito, capitale dell’Ecuador.

Byron Moreno e la carriera

Nel 1996 Moreno diviene arbitro internazionale e viene scelto per la Copa America nel 1997 e nel 1999. Diresse la semifinale svoltasi tra Messico e Brasile e successivamente venne assegnato al Mondiale Under 17, per la Confederations Cup del 2001 e nel 2002 per il Mondiale disputati in Corea del Sud e in Giappone. Byron accresce la sua notorietà nel 2002 quando viene assegnato per l’ottavo di finale tra le Corea del Sud e l’Italia, occasione in cui il suo arbitraggio venne molto discusso in Italia.

Tra le sue decisioni finite in mezzo alla polemica anche un generoso rigore accordato ai coreani e l’espulsione di Totti, ammonito per la seconda volta a causa di una simulazione presunta. Successivamente un’indagine della FIFA reputò la partita regolare. Questo arbitraggio però lo condusse all’interno del mondo dello spettacolo, partecipando a diversi programmi televisivi e facendosi così conoscere dal grande pubblico. Ricevette anche il Tapiro d’Oro dal programma Striscia la notizia.

Continuò ad arbitrare fino alla sua ultima gara il 23 maggio del 2003, il 10 giugno venne ufficializzata la sua sospensione definitiva. In seguito lavorò presso una radio e un canale televisivo dell’Ecuador come commentatore sportivo. L’espulsione arrivò dopo una sospensione dovuta alla sua partecipazione ad un programma televisivo italiano di cui i dirigenti federali criticarono il suo eccesso di protagonismo. Byron infatti partecipò alla trasmissione “Stupido Hotel” e durante il programma danzò con Carmen Russo e altre ballerine.

Dopo la sospensione definitiva Moreno ha fondato una scuola di arbitri in Ecuador dove insegna le regole, le tecniche, l’assistenza medica e la psicologia sportiva.

La vita privata di Byron Moreno

Non ci sono notizie certe riguardanti la sua vita privata, tranne che pare sia stato sposato. Non si hanno informazioni precise riguardo al suo patrimonio economico.

3 curiosità su Byron Moreno

Nel 2002 il gruppo italiano di musica parodistica Gem Boy gli dedicò il brano “Schiatta Moreno” sulle note di Baila di Zucchero Fornaciari.

Venne arrestato nel 2010 all’aeroporto JFK di New York in possesso di circa sei chilogrammi di eroina.

Ha un profilo Twitter.

Davide Desario per leggo.it il 2 marzo 2022.

«Non esiste separazione definitiva finché esiste il ricordo. 23 maggio 2017. Non ti dimenticherò mai». È lo status su WhatsApp del diciottenne Nello Francesco Farina. E quella data è il giorno il cui è morto a soli 54 anni, colpito da una malattia incurabile, il suo papà, l’arbitro di Serie A Stefano Farina. Nello Francesco, giocava a calcio, ma un giorno, appena diciottenne, ha deciso di seguire le orme del padre. E oggi è un arbitro federale.

Ma non le piace, come tutti i suoi coetanei, giocare a calcio?

«Certo. Ero un centrale difensivo. Prima con la Lupa Roma e poi con il Palocco».

Cosa è successo, allora?

«Il Covid ha fermato tutto. I provini sono stati posticipati di mesi. E il giorno che dovevo farli mi sono rotto il polso. Sono rimasto a casa un mese. Ho pensato tanto. E ho sentito che avevo voglia di fare l’arbitro. Come papà. Ho fatto il corso, il mio insegnante è stato Massimo Piaggesi. E a ottobre del 2021 ho esordito, e ora arbitro nel campionato juniores». 

In campo i giocatori lo sanno?

«Finora nessuno me lo ha mai detto». 

In Federazione?

«Lo sanno tutti. Quando sono diventato arbitro mi hanno chiamato molti colleghi di papà. Tra gli altri Daniele Orsato, Maurizio Mariani, Pierluigi Pairetto, Fabio Maresca ma anche il presidente Alfredo Trentalange, Eugenio Abbattista, Duccio Baglioni e Maurizio Ciampi». 

Chi l’ha colpita di più?

«Mario Pastorello. Era quello che scoprì mio padre. È stato bello». 

Un ricordo della carriera di papà.

«Tanti. La finale di supercoppa europea Siviglia-Barcellona, i match di Champions Real Madrid- Arsenal. Ma anche l’aver arbitrato Messi e Cristiano Ronaldo. Però la cosa più bella era quando è diventato designatore della Serie B e ogni sabato pomeriggio guardavamo tutte le partite insieme a casa, abbracciati sul divano». 

Si arrabbiava?

«Ricordo solo una volta. Era un derby campano. Un calciatore calpestò un avversario a terra. Glielo feci notare proprio io. Chiamò imbufalito il direttore di gara che non se ne era accorto».

E la volta che lo ha visto più felice?

«Quando arrivò la telefonata che lo avevano nominato designatore di Serie B. È stato bellissimo. Eravamo tutti orgogliosi di lui». 

Sua madre è contenta?

«Molto. Perché è un mondo meritocratico. Ma lei non mi ha mai spinto a farlo: voleva che se accadesse fosse per una decisione solo mia».

Troppe aggressioni e minacce, gli arbitri scappano dal calcio. Francesco Storace su Il Tempo il 07 febbraio 2022.

Non sparate sull'arbitro, perché poi qualcuno che vi prende sul serio si trova. Soprattutto nei campionati minori, dove ci sono solo schiaffoni e anche di peggio e non certo moviolone e dibattito sugli errori, veri o presunti, delle giacchette nere. Nei piani bassi del calcio tutte le settimane è un'avventura arbitrare una partita di calcio. Sotto la vetta dei campionati professionisti, la malapianta della violenza contro gli arbitri è pesantissima e ogni domenica si registrano guai per chi si avventura nell'impresa. Sta diventando una tragedia sociale per l'impatto che lo sport - e in particolare il calcio - ha in mezzo a noi. Ma quei quattromila arbitri che in pochi anni sono spariti fanno riflettere. Spariti nel senso di dimessi, mica rapiti. Non hanno più voglia di rischiare. Non ne vogliono più sapere, proprio per troppa violenza, non ne vale la pena. E se valessero davvero i regolamenti in vigore, si fermerebbero i campionati. Essi negano il diritto di reagire - anche perché uno contro undici o addirittura una tifoseria, non sarebbe conveniente, diciamo - e soprattutto esigono che di fronte ad una situazione in cui la sicurezza è assente bisogna chiamare la polizia. Figurati dove la trovano, al massimo le pattuglie (poche) in circolazione fanno una perlustrazione sui campi dei paesi e poi tornano alle attività ordinarie.

Recentemente è dovuto finire in ospedale in Sicilia l'arbitro Melodia di Trapani. Per Altofonte-Iccarense si è beccato un cazzottone come si deve. A Benevento il pubblico ha assistito in terza categoria alla testata di un calciatore al direttore di gara. Si sentono isolati gli arbitri, specie nelle serie minori. Perché i professionisti, almeno loro, almeno hanno fama e quattrini grazie ai diritti d'immagine. Nelle sfide di strapaese, solo botte e lividi. Con rimborsi da una cinquantina di euro a seconda dei chilometri percorsi. Il «chi me lo fa fare» prevale. Anche perché la funzione di questi giudici è sempre contestata in ragione della faziosità del tifoso. Per dirla con Ennio Flaiano, «l'italiano ha un solo vero nemico: l'arbitro di calcio, perché emette un giudizio». Ne rimangono 29mila, dicono gli amanti della statistica. Ma qualche danno serio c'è ancora, se addirittura arbitri di livello superiore vengono ogni tanto designati per supplire alle assenze nei campi del calcio minore. Per un arbitro diventa impossibile tutelarsi. Insulti dagli spettatori. Dai dirigenti. Dai calciatori. E i giornali che appiccano il fuoco. Fermarsi. Dovranno capirlo gli zucconi che aggrediscono gli arbitri che le partite non ci saranno più. Fantastico l'epitaffio vergato da un umorista, scrittore e attore della vicina Spagna: «Un paese avrà raggiunto il suo massimo grado di civiltà quando le partite si terranno senza arbitri». Ma così, ahinoi, il problema non si risolve. Il fenomeno della violenza contro gli arbitri va avanti da troppo tempo. Addirittura dal 2007 l'Associazione italiana arbitri ha istituito l'Osservatorio sulla violenza agli ufficiali di gara quale strumento di monitoraggio degli atti di violenza in danno dei propri associati. Si devono essere stufati di monitorare: gli ultimi dati disponibili si fermano alla stagione 2018-2019 e restano impressionanti con 457 episodi di violenza censiti. E fu la stessa media del triennio precedente. Quegli oltre 450 episodi di violenza, si verificarono nelle categorie inferiori (prima, seconda e terza categoria) o in quelle in cui giocano i più piccoli (juniores, allievi e giovanissimi) ad opera di giocatori, dirigenti o soggetti estranei. È rilevante notare come gli episodi di violenza fisica e violenza fisica grave superarono il 60 per cento del totale e che una percentuale significativa riguarda atti di violenza contro le donne.

In Calabria il maggior numero di episodi, seguita dalla Sicilia e dal Lazio. Trentino Alto Adige e Molise i territori più «tranquilli» per giocare a pallone. C'è pure qualche numero recente, comunque. Le cifre delle violenze subite dagli arbitri sono impressionanti anche in questa stagione. A dicembre ne sono state rese note 85; in 4 di queste situazioni la vittima era una donna. Si sono verificati 25 atti gravi, che hanno portato a 126 giorni di prognosi prescritta dalle emergenze sparse in tutta Italia. Questa volta 12 episodi in Campania, 10 in Piemonte, 9 in Toscana, 8 nel Lazio, 7 in Lombardia e Umbria. E può raggiungerti da qualsiasi gruppo: calciatori (47), dirigenti (29), anche estranei (9), e tra questi ultimi i genitori. Già i genitori. Non ci sono solo quelli dei calciatori, che sognano carriere fantastiche per i loro figli e non sopportano di vederle troncate da una punizione non fischiata. Ma anche quelli degli arbitri, per i quali sarebbe già sufficiente un tantinello di serenità. I loro genitori vanno alle sezioni Aia e sembrano contenti: «Mio figlio è più riflessivo a scuola, più ordinato a casa. E tra voi ha trovato nuovi amici. Però temiamo di mandarlo in campo e vivere ogni domenica con il terrore di essere chiamati al pronto soccorso», è il tenore delle principali testimonianze a verbale. Si sono messe nero su bianco anche le principali forme di violenza. Anzitutto la violenza fisica grave, cioè la violenza che procura un danno fisico all'ufficiale di gara, accertato mediante refertazione sanitaria. La violenza fisica, senza accertamento da parte di un presidio ospedaliero. La violenza tentata da parte di tesserati (calciatori, allenatori e dirigenti) che, però, non cagiona danni fisici all'ufficiale di gara. La violenza morale, ossia condotte discriminatorie in danno degli ufficiali di gara poste in essere da soggetti tesserati. Racconta un arbitro ultraquarantenne che ha deciso di chiuderla qui e dedicarsi all'attività imprenditoriale: «Gli stessi giovani non hanno più voglia di mettersi in campo. Sei sempre solo nelle decisioni. E pure quando arriva la violenza».

Ora comincia a discuterne anche il Parlamento, con una proposta di legge di vari gruppi, tesa ad inasprire le pene. Ci si chiede se possa essere sufficiente: recentemente il gran capo degli arbitri, Alfredo Trentalange, ha parlato dell'assenza di una cultura della legalità. Quello che è il giudice della gara diventa l'anello debole della partita, indifeso e bersagliato da tutti. Ma se non si recupera un senso di civiltà a partire dai campi minori e se non si smette di frignare per un rigore in più o in meno persino nelle serie superiori, il calcio rischia di veder ridotte sempre di più le sue potenzialità. Se l'espressione «crisi di vocazione» coniata proprio da Trentalange è reale, il fenomeno non può più essere sottovalutato.

Gli arbitri non si trovano più, è crisi delle vocazioni: ne mancano 4mila. Colpa anche delle violenze. Stefano Agresti su Il Corriere della Sera il 19 gennaio 2022.

Settembre 2021, Cus Torino contro Resistenza Granata, campionato di Terza categoria: il primo — oppure l’ultimo — livello del calcio italiano, sotto non c’è niente. Arbitro: Marco Serra. Lui, l’uomo di San Siro, del fischio frettoloso, del Milan sconfitto dallo Spezia (anche) per un gol ingiustamente negato. Quattro mesi fa era su un campetto del Torinese e la star della partita era lui, non Ibra, tanto che alla fine i calciatori lo hanno fermato: scusi, si fa un selfie con noi?

L’Aia, l’Associazione italiana arbitri, aveva rispedito Serra e un’altra ventina di suoi colleghi a dirigere partite in periferia, durante quel fine settimana. Due i motivi. Primo, inviare un messaggio: c’è il massimo rispetto anche per i campionati minori. Secondo, colmare una falla: se non si fossero mossi i professionisti del fischietto, quelle partite di dilettanti e ragazzi non si sarebbero giocate. Perché? Perché di arbitri non ce n’erano più. Finiti. Azzerati.

In cinque anni sono spariti quattromila arbitri. Nel 2016 erano 33 mila, all’inizio di questa stagione ne sono rimasti 29 mila. Crisi di vocazione, la chiamano. Colpa del Covid? Anche, chiaramente. E dei rimborsi: bassi, quasi ridicoli, in media 30 euro a partita tutto compreso.

Ma non è solo questo il problema. Colpa delle botte, della violenza, della paura. «I genitori vengono nelle sezioni e ci dicono: da quando mio figlio arbitra è più sereno, più riflessivo a scuola, più ordinato in casa. E tra di voi ha trovato amici nuovi. Però non possiamo mandarlo nei campi e vivere ogni domenica con il terrore di essere chiamati dal Pronto soccorso». Alfredo Trentalange, presidente dell’Aia da meno di un anno — da quando è riuscito a mettere fine all’interminabile (e discusso) regno ultradecennale di Nicchi — racconta una realtà di cui molti non si accorgono, o fingono di non accorgersi, ma che rischia di mettere in seria difficoltà l’intero movimento. Perché per giocare a calcio, a tutti i livelli, gli arbitri sono indispensabili, un po’ come il pallone. E se non ci sono, non si gioca.

I numeri delle violenze subite dagli arbitri sono impressionanti anche in questa stagione, benché per fortuna ci sia un calo rispetto al recente passato. A dicembre gli episodi erano già stati 85; in 4 di queste situazioni, la vittima è stata una donna. Gli atti gravi sono stati 25, che hanno determinato 126 giorni di prognosi prescritti dai Pronto soccorso sparsi per l’Italia. Già, perché la violenza non conosce confini: 12 episodi in Campania, 10 in Piemonte, 9 in Toscana, 8 nel Lazio, 7 in Lombardia e Umbria. E può arrivarti addosso da qualsiasi parte: calciatori (47), dirigenti (29), anche «estranei» (9), e tra questi ultimi rientrano i genitori.

Crisi di vocazione: come combatterla? Da questa stagione si sta sperimentando una strada nuova, almeno per il nostro calcio (non per quello inglese oppure per il basket, che già la percorrono da tempo e con successo): il doppio tesseramento. In pratica un ragazzo che gioca a pallone, dai 14 ai 17 anni, può anche arbitrare. In questo modo innanzitutto si amplia la possibilità di reperire direttori di gara: se un adolescente deve scegliere tra giocare e arbitrare, è quasi sicuro che punti sulla prima possibilità; se può praticare entrambe le attività, è tentato pure dal fischietto. C’è però anche una questione culturale, educativa. «L’arbitro viene ancora visto come uno diverso, come l’uomo nero. Ma quando un giovane calciatore entra nello spogliatoio e racconta l’esperienza differente che sta facendo, avvicina i compagni al ragazzo che la domenica successiva dirigerà la loro partita. E poi può spiegare il regolamento perché — parliamoci chiaro — quasi nessuno lo ha mai letto», aggiunge Trentalange. L’impatto del doppio tesseramento è interessante, non ancora rilevante sul piano numerico: «Una dozzina di ragazzi ha sfruttato questa opportunità, tra loro un paio di donne, e tutti sono soddisfatti». Il passo successivo sarebbe quello di incentivare le società a tesserare calciatori-arbitri: «In Inghilterra succede».

A Trentalange è rimasta in mente una frase di Ibrahimovic. «Ha raccontato che in passato scendeva in campo contro dodici nemici: gli avversari e l’arbitro. E che ora ha cambiato idea». Se n’è accorto Serra, addirittura consolato da Zlatan dopo l’errore fatale in Milan-Spezia. «Bisogna umanizzare la figura dell’arbitro, perché non siamo tutti presuntuosi e arroganti come ci dipingono. Anche se non siamo infallibili».

Da ilnapolista.it il 3 febbraio 2022.

La musica che cupa avvolge l’arbitro Serra mentre s’incammina verso l’intervista-verità con Sky. Il tono desaturato delle immagini, mentre quest’uomo a capo chino passeggia ancora vinto dal dolore, la coscienza al seguito come un trolley piombato. Si sistema su una seggiola da pentito di mafia, e finalmente parla. Parla di quella sera in cui fischia un fallo su Rebic con l’ansia interventista di chi era chiamato a condurre il Milan per 7 minuti di recupero alla ricerca del 2-1 allo Spezia. Confessa di aver “pregato” che quella palla rotolata fino a Messias non terminasse in gol il suo viaggio. Che quell’incubo non stesse davvero accadendo a lui. Come in una faticosa seduta psicanalitica Serra ha dei flash: 

«Non vedo Messias che sta per tirare in porta. Ricordo di aver pensato “speriamo che non la butti dentro”» 

«Mi ricordo di aver detto in auricolare “non ci credo”, quando il giocatore dello Spezia ha calciato in porta»

Sembra la tv del dolore che i contenitori generalisti del pomeriggio trasmettono da anni, cavalcando il voyerismo del gossip e del dramma, la prurigine di certe intimità svelate, lo “scandalo”. Invece è Sky Sport, e quello è solo un arbitro di Serie A che ha precocemente fischiato un fallo, senza concedere la regola del vantaggio. La tragedia successiva – il pianto, i giocatori del Milan che in processione lo consolano, l’Aia che prima si scusa e poi si scusa di essersi scusata – sono una sovrastruttura, un artefatto che vale più della sostanza stessa. Così nell’immediato post-partita, tanto nella rilettura ad un mese dal “fattaccio”. 

È proprio così che ci torna su Sky, trattandola come una “storia maledetta” di Franca Leosini. Serra risponde, trasparente, puccioso così come l’avevamo lasciato a San Siro. Un peluche. Una storia che giustamente Sky capitalizza spezzettando “l’esclusiva” in tre tronconi, per aumentare l’hype. Serra si presta, perfettamente a suo agio nel ruolo di vittima, ma anche di carnefice redento. Le domande sono tagliate a puntino per scavare nel disagio della persona: “Hai dormito?”, “cosa ti ha fatto più male di questa vicenda?”, “qualcuno ti ha strappato un sorriso?”. Serra in pratica elabora un lutto, per copione. 

«Passa Florenzi e addirittura mi abbraccia, poi passa Calabria, da capitano. Poi Theo e Diaz, anche loro a darmi una parola di conforto. Il succo era quello: mi invitavano a tirarmi su perché si sbaglia tutti. Ibrahimovic? La sostanza del suo intervento fu “ora dimostra di essere forte, reagisci”» 

Tutta così. Un uomo denudato del fischietto, della compostezza altezzosa e antipatica che il ruolo impone. Trafitto dai sensi di colpa. Martire d’una sventura. Serra è il nuovo volto comunicativo della classe arbitrale: un avamposto sentimentale, una freccia d’empatia al cuore d’un sistema che non perdonava niente a nessuno. L’operazione Sky-Serra apre una nuova fase: dal silenzio stampa alla Vita in Diretta.

Perché Serra non è stato trattato come qualche anno fa Massa e Valeri? Aldo Grasso su Il Corriere della Sera il 20 Gennaio 2022.  

Giustizia vorrebbe che all’arbitro di Milan-Spezia venisse riservato lo stesso trattamento che a suo tempo fu riservato ai suoi illustri colleghi che non furono puniti. 

L’arbitro Marco Serra ha commesso un grave errore, non ci sono dubbi, e l’Aia, ammesso lo sbaglio, lo fermerà per diverse settimane per poi retrocederlo almeno temporaneamente in serie B. Ecco, non per difendere Serra, ma giustizia vorrebbe che all’arbitro venisse riservato lo stesso trattamento che a suo tempo fu riservato agli arbitri Davide Massa e Paolo Valeri. Allora nessuno si mise le mani nei capelli, allora tutto passò quasi sotto silenzio.

Stagione 2017-18, prima partita di campionato, Torino contro Bologna. Ad Alejandro Berenguer viene annullato un gol regolare: lo spagnolo segna dopo una respinta del portiere su conclusione di Belotti, ma nel frattempo l’arbitro Massa aveva raccolto la segnalazione del suo collaboratore e fischiato un fuorigioco dell’attaccante granata. Che però aveva ricevuto il pallone da un avversario. Si fosse atteso qualche secondo, la Var sarebbe potuta intervenire e far convalidare il gol, ma col fischio arrivato prima che il pallone entrasse in porta la frittata era fatta. Gol annullato. Stagione 2018-19, partita Udinese-Torino. Berenguer, su assist di Iago Falque, porta in vantaggio gli ospiti con un colpo di testa che scavalca Scuffet. L’assistente alza la bandierina segnalando una posizione di off-side, mentre l’arbitro Valeri fischia, interrompendo il gioco, pochissimi istanti prima che il pallone superi la linea di porta. La segnalazione del suo assistente era sbagliata: non c’era alcuna posizione di fuorigioco, come la Var avrebbe potuto attestare. Gol annullato. Nell’antica Grecia la giustizia aveva una benda sugli occhi per rappresentare l’imparzialità. Ma ai tempi non era ancora stata inventata la Var.

VITTORIO FELTRI per Libero Quotidiano il 19 gennaio 2022.

Confesso di essere anche io un appassionato di calcio, oltretutto innamorato dell'Atalanta, per cui comprendo lo stato d'animo dei milanisti i quali, a causa di un errore arbitrale, hanno perso la partita di campionato con una squadra, lo Spezia, che non è il Real Madrid. Al loro posto sarei furente anche io, ma moderatamente. Perché è la prima volta nella lunga e tribolata storia del pallone che un arbitro ammette di essersi sbagliato in un giudizio preso lì per lì. 

E questo fatto, sebbene non annulli l'arrabbiatura dei tifosi rossoneri, dovrebbe almeno attenuarla. Ovvio, i tre punti perduti sul campo per uno scivolone del direttore di gara non sono rimborsabili e il danno per la formazione di Pioli è insanabile. Tuttavia vorrei spendere una parola a favore del primo arbitro sul pianeta che abbia avuto il coraggio di riconoscere un proprio clamoroso fallo.

Siamo cioè di fronte a un atto di onestà intellettuale inedito nello sport più popolare. E la sincerità, quantunque non elimini il granchio che ha recato nocumento a un club importante quale il Milan, che combatte per il primato in classifica, va sempre apprezzata, sia pure a denti stretti. Insomma, l'arbitro Serra, invece di nascondersi dietro al fischietto, che emette sentenze inappellabili, ha allargato le braccia e ha dichiarato, sia pure tardivamente, di aver calpestato una buccia di banana.

Non contestare dopo la partita di aver steccato non è da tutti, tanto è vero che non lo ha mai fatto nessuno, pertanto consiglio alla tifoseria milanista di manifestare clemenza nei riguardi del pentito, e se possibile di perdonarlo. So che non è facile, eppure è giusto essere indulgenti con chi, svolgendo il proprio lavoro, una tantum, non nasconde di avere cannato. Certamente questo inedito episodio costituisce un precedente che farà discutere da qui all'eternità, e non sarà agevolmente digeribile.

Ad ogni modo preferisco Serra, che esprime una coscienza pulita, rispetto alla spocchia di tutti gli arbitri che ne combinano di ogni colore senza mai battersi il petto allorché hanno preso un abbaglio. Invito i magistrati che emettono verdetti a capocchia a imitare Marco, ma mi rendo conto di pretendere troppo: le toghe sono infallibili per decreto. Credono di essere Dio. Mentre Serra è un uomo non soltanto di pallone bensì pure con le palle.

Franco Ordine per "il Giornale" il 20 gennaio 2022.

48 ore dopo il fattaccio di Milan-Spezia, si sono capovolti i ruoli. Marco Serra, 39 anni, torinese, il fischietto che ha inciso nel finale della partita, ha riconosciuto pubblicamente l'errore e a fine partita, disperato, è stato colto da una crisi di pianto.

Di qui l'intervento consolatorio di Ibra che in delegazione è andato nello spogliatoio del fischietto piemontese per dirgli «capita a tutti di sbagliare». In quel clima rovesciato, si è verificato il successivo fraintendimento. Perché la home page della gazzetta.it ha pubblicato, a poche ore dalla fine della partita, la notizia delle scuse dell'Aia al Milan.

E quel post, "cliccatissimo", ha preso a fare il giro di siti, trasmissioni tv, e social provocando una sorta di terremoto mediatico nel mondo arbitrale. Perché, dopo puntuale ricostruzione, si è capito che, negli spogliatoi, a caldo, il vice del designatore Gianluca Rocchi, Andrea Gervasoni, ex arbitro mantovano, incrociando i dirigenti del Milan ha espresso le scuse e probabilmente, nel completare il ragionamento, per testimoniare lo stato d'animo, può aver aggiunto la frase «ho parlato con Rocchi, anche lui è dispiaciuto».

Riferita all'esterno, è diventata un colloquio diretto tra i due. Finiti in pasto al pubblico questi spezzoni di verità, è toccato all'Aia e allo stesso Rocchi, attraverso la comunicazione del settore, ristabilire i contorni autentici della vicenda. 

Le scuse di Gervasoni sono state ridimensionate in «a titolo personale», l'Aia - qui intesa come il presidente Trentalange - non è mai entrata nella vicenda e Gianluca Rocchi con Maldini non ha parlato al telefono perché tra l'altro, la pratica è vietata dalle norme interne.

In mancanza di una nota ufficiale ma solo di un colloquio informale, dal mondo arbitrale non poteva arrivare una nota altrettanto ufficiale di smentita ma tutto il dibattito polemico successivo («perché le scuse al Milan sì e a noi no?») ha reso indispensabile il chiarimento sulla frase di Gervasoni e sul colloquio diretto con l'ex capitano del Milan.

A dire il vero, nel segno della trasparenza voluta da Trentalange, un intervento chiarificatore era già avvenuto in occasione di Atalanta-Roma e delle proteste di Gasperini per il gol annullato (fuorigioco di Palomino).

Allora fu spiegato all'interessato l'errore formale commesso poiché la decisione finale anziché essere presa dal varista (Nasca) poi sospeso, doveva toccare all'arbitro in campo (Irrati) che avrebbe - secondo la valutazione dell'organo tecnico - confermato il provvedimento per fuorigioco.

Scavando nella vicenda Serra si è infine raccolto un altro curioso retroscena. L'arbitro torinese non ha un curriculum molto promettente ed è stato designato per Milan-Spezia anche perché nel frattempo, alla squadra di Rocchi e Gervasoni, sono venuti a mancare tre arbitri (tra cui Orsato capo-delegazione) spediti a Dubai per partecipare a uno stage pre-mondiale organizzato dalla Fifa.

Per questo stesso motivo - numeri contati in una settimana piena anche di coppa Italia - Serra già designato come varista per Sassuolo-Cagliari di coppa Italia è stato riconfermato.

Marco Serra, dopo il disastro contro il Milan il dramma: durante la notte... com'è ridotto, indiscrezioni sconcertanti. Lorenzo Pastuglia su Libero Quotidiano il 19 gennaio 2022.

Sin dal fischio prima del tiro a giro di Messias, il 39enne arbitro torinese Marco Serra ha subito capito di aver sbagliato. Alzando il braccio e scusandosi con i giocatori del Diavolo. Subito ha stupito il grande gesto di Rebic, che ha capito e compreso l’arbitro, afferrando dolcemente con entrambe le mani il suo viso. Ma per Serra, dopo l’evidente errore di San Siro che ha compromesso la vittoria al Milan, deve partire obbligatoriamente il periodo “di purgatorio” per mettere da parte la tensione e le incertezze dovute all’errore, come regolarmente fa l'Aia dopo uno sbaglio evidente di un proprio tesserato. Ecco dunque che ripartirà dalla Serie B dopo un turno di stop e la pausa Nazionali, prima però sarà al Var oggi in Sassuolo-Cagliari di Coppa Italia, già designato in precedenza.  Secondo il Corriere dello Sport, Serra sarebbe disperato, prostrato, tanto da aver trascorso l'intera notte successiva alla partita senza riuscire a chiudere occhio. 

Serra ripartirà dalla B dopo un turno di stop - Dopo il prossimo turno di campionato, dove sarà fuori una giornata, il fischietto torinese ripartirà dalla Serie B, secondo le indicazioni dei vertici arbitrali arrivate nella giornata di mercoledì a La Gazzetta dello Sport. L’Aia intanto, non si è scusata ufficialmente sul proprio sito con il Milan, ma lo ha fatto indirettamente a San Siro dopo il match con i dirigenti rossoneri. Sbagli, quelli di Serra, compiuti tra l'altro di fronte ad Andrea Gervasoni, il vice del designatore fiorentino Gianluca Rocchi, presente in tribuna allo stadio. Il club rossonero ha riconosciuto che l'arbitro ha avuto una giornata decisamente storta, come avevano testimoniato anche le immagini del finale, con alcuni giocatori quasi a 'rincuorare' il direttore di gara, cosciente dei propri sbagli. 

Il Codacons chiede la ripetizione del match - Se la partita non si può rigiocare perché l’arbitro ha commesso un errore “di interpretazione del gioco” e non “tecnico” — con il Milan costretto a mettersi il cuore in pace e a giocarsi il tutto per tutto contro Juve (questa domenica) e Inter (il 6 febbraio) — il Codacons non si arrende e chiederà ufficialmente la ripetizione di Milan-Spezia. "La gara è stata condizionata da un gravissimo errore tecnico dell’arbitro — ha scritto il Codacons — Si tratta senza dubbio di un episodio che danneggia i tifosi, gli scommettitori ed il regolare svolgimento del campionato di calcio”. Il presidente del Codacons, Marco Donzelli, ha poi rincarato la dose: "Chiederemo formalmente alla Figc la ripetizione della partita, a tutela del regolare svolgimento della competizione sportiva e dei tifosi, i quali hanno diritto ad assistere ad uno spettacolo sportivo esente da errori tecnici”.

Roberto Avantaggiato per il Messaggero il 19 gennaio 2022.  

Nessuna scusa ufficiale al Milan, solo un intervento a titolo personale quello fatto da Andrea Gervasoni, uno dei vice di Gianluca Rocchi (designatore di A e B), lunedì sera negli spogliatoi di San Siro.  

Infatti, più che essere imbarazzati per l'errore in sé di Marco Serra - sul fallo di Bastoni a Rebic non ha concesso il vantaggio ai rossoneri, vanificando la rete di Messias -, che non dovrebbe ma può sempre capitare, i vertici arbitrali dell'Aia sono stati presi in contropiede dall'iniziativa di Gervasoni (ha sbagliato, gli è stato fatto notare) e dalle polemiche che ha generato. 

Gli arbitri possono riconoscere l'errore, non chiedere scusa. Può accadere, informalmente, in campo (lo ha fatto Serra prima di cedere al pianto), ma non può farlo un dirigente. Pericoloso, oltretutto, perché potrebbe diventare un precedente. Cosa dire alla prossima società che si sente danneggiata da un errore? E a tutte quelle prima? Per dire, la faccenda delle scuse di Gervasoni a Roma non è andata giù. Club perplesso, tifosi indignati. 

Del resto, è ancora vivo il ricordo di Daniele Orsato, che nell'intervallo di Juventus-Roma del 17 ottobre scorso liquidò con sarcasmo Cristante che gli chiedeva conto del perché non avesse dato il vantaggio ad Abraham, in rete dopo aver subito fallo da rigore.  

Questo non significa che in via Campania non ci sia disappunto per quanto accaduto in Milan-Spezia, ma non c'è nessuna intenzione di gettare in pasto alle polemiche uno degli arbitri che Rocchi sta lanciando, nell'ambito di un profondo rinnovamento della squadra arbitrale, in serie A. Il designatore non cambierà la mission della sua gestione, che è quella di responsabilizzare i direttori di gara più giovani affidandogli anche partite di cartello o con le big impegnate. 

L'ESEMPIO 

Certo, questo non significa che Serra non abbia sbagliato. Se ne è accorto subito e, provato dal punto di vista psicologico, ha chiesto scusa. È tornato sotto choc negli spogliatoi, in lacrime, ed è stato consolato da una delegazione di giocatori, con a capo Ibrahimovic, quasi suo coetaneo (lo svedese è più grande di un anno). Così come era già successo in campo con Rebic che lo ha quasi abbracciato tenendogli la testa tra le mani. 

Infatti, l'Aia ha apprezzato molto l'atteggiamento tenuto dai calciatori rossoneri, che si sono resi conto della frustrazione di Serra. Ed è questo episodio che può essere preso come esempio per il clima di civiltà e solidarietà nei confronti dell'arbitro. Rabbia e amaro in bocca sì, ma nessuna protesta plateale. Né da parte dei dirigenti del Milan né da parte di Stefano Pioli, che nel post gara ha cercato di comprendere seppur dispiaciuto l'errore di un arbitro giovane, partito dalla Terza Categoria piemontese e sbarcato in A nel 2018.  

UN PO' DI RIPOSO 

Adesso cosa accadrà? Serra oggi è confermato al Var in Sassuolo-Cagliari di Coppa Italia, era una designazione già fatta. Poi, avrà un periodo di riposo. Quanto sarà lungo lo stop per il direttore di gara torinese, Rocchi e i suoi collaboratori lo decideranno con calma, del resto la sosta di fine mese viene in soccorso. 

Sicuramente il percorso riservato al direttore di gara sarà in linea con quello usato in passato con altri arbitri che hanno vissuto una giornata storta (come, ad esempio, Maresca dopo Roma-Milan del 31 ottobre): stop di un paio di settimane (in questo caso potrebbero essere tre), poi rientro graduale prima in serie B e dopo come Var o quarto uomo in A.

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Gli Stadi. Stadi o cattedrali nel deserto? Alessia Di Bella su Il Corriere del Giorno il 7 Dicembre 2022

L'inchiesta del CORRIERE DEL GIORNO. Il discorso degli stadi è da sempre controverso,  sono troppi gli stadi non adatti alle necessità di un club di calcio moderno, nella nostra Serie A gli impianti sono di proprietà di enti pubblici che non hanno intenzione o possibilità di investire in ammodernamenti.

Il calcio è la disciplina più praticata e seguita ed è la voce più importante per gli introiti del Coni, praticamente finanzia buona parte dello sport italiano. I “templi” del calcio sono i suoi stadi, luoghi che alimentano l’appartenenza, la solidarietà e l’identità sociale, di chi condivide felicità e sofferenza attorno alla dedizione per i propri beniamini.  Eppure la domanda che oggi ci poniamo è: lo stadio si avvicina all’idea di un tempio o di una cattedrale nel deserto?

Gli stadi italiani non godono di buona salute per la presenza di impianti antiquati e non funzionali ad una completa ed ottimale fruizione dell’evento sportivo. Mentre in tutta Europa i campionati sono ripartiti con il pienone negli impianti, in Italia la Serie A è ricominciata con il 73% dei posti occupati, nella prima giornata, percentuale lontanissima dalla Premier League o dalla Bundesliga, con stadi moderni e gremiti che sfiorano costantemente il tutto esaurito. 

Tuttavia qualcosa si sta muovendo anche nel “sistema Italia”, tanto che alcune società hanno presentato progetti di ricostruzione o rinnovamento dei propri impianti. Si tratta di un timido segnale anche rispetto ai numerosi vincoli burocratici e amministrativi con i quali si devono confrontare le società calcistiche italiane.  Nello specifico la costruzione di impianti sportivi è disciplinata dalla legge di conversione n. 96 del 21 giugno 2017 che ha convertito il Decreto Legge del 24 aprile 2017, n. 50 che, con l’art. 62, ha introdotto una serie di interventi normativi in riforma alla disciplina di cui al comma 304 dell’art. 1 della Legge del 27 dicembre 2013, n. 147 (cd. Legge di stabilità 2014).

Il discorso degli stadi è da sempre controverso,  sono troppi gli stadi non adatti alle necessità di un club di calcio moderno, nella nostra Serie A gli impianti sono di proprietà di enti pubblici che non hanno intenzione o possibilità di investire in ammodernamenti. Spesso la soluzione perché i club possano arrivare ad avere un impianto moderno è l’investimento privato.  Nel campionato di massima serie, il più celebre degli stadi di proprietà in Italia è l’Allianz Stadium di Torino, si tratta dello stadio di proprietà della Juventus: non si tratta di uno stadio particolarmente grande, sono solo poco più di 41.000 i posti a sedere disponibili. Il progetto è stato affidato agli studi GAU e Shesa sotto il coordinamento degli architetti Hernando Suárez e Gino Zavanella, e agli ingegneri Francesco Ossola e Massimo Majowiecki.

La Dacia Arena (Stadio Friuli) di Udine. Dal 2015, la nuova struttura ha sostituito il vecchio Stadio Friuli, un progetto costato circa 25 milioni di euro, il riammodernamento dello stadio Friuli-Dacia Arena. A questa cifra bisogna aggiungere quanto speso dall’Udinese calcio per le opere antecedenti all’abbattimento degli spalti. I primi lavori, infatti, risalgono all’estate del 2013 quando, con una spesa di 976 mila 743 euro, il terreno di gioco venne avvicinato agli spalti di undici metri, attaccandolo alla tribuna. Successivamente il rifacimento degli spogliatoi è costato 622 mila 936 euro. Poi è arrivata la demolizione degli spalti, a partire dalla curva Nord, la posa della prima pietra a giugno 2014, la ricostruzione e installazione dei seggiolini colorati sul modello dell’Alvalade di Lisbona. 

Altro impianto di proprietà è l’Atleti Azzurri d’Italia, lo stadio dell’Atalanta e dell’ Albinoleffe, i due maggiori club calcistici della città di Bergamo. E’ l’impianto sportivo più grande della città, e fu costruito nel 1928 nel quartiere di Conca Fiorita, a poco più di 2 chilometri a nord-est del centro, lungo il Viale Giulio Cesare. Lo stadio ha una capacità di circa 21.000 posti a sedere. L’Atalanta ha comprato lo stadio nel 2017 e l’accordo prevedeva che la riqualificazione fosse completata entro cinque anni e mezzo dalla concessione dei primi permessi. Nell’estate 2019 è stata rifatta la Pisani, poi c’è stato il Covid che ha bloccato tutto e allungato i tempi concessi per finire queste opere. Nell’estate del 2020 si è scelto di riqualificare la Tribuna Rinascimento e grazie ai seggiolini (costati 1,5 milioni di euro e oltre a nuovi servizi) in Curva Morosini si è ottenuto l’ok della Uefa per giocare le partite di Champions (e poi di Europa League) a Bergamo. Con il passare del tempo, i costi  per la realizzazione della nuova Morosini e del parcheggio interrato, sono lievitati in modo esorbitante: a fronte di una stima di 20-23 milioni per l’ultimo lotto di lavori si è arrivati a costi effettivi che dalle ultime stime superano i 45 milioni (la stima iniziale, per tutta la riqualificazione, era di 30-35 milioni di euro). 

Lo stadio Benito Stirpe di Frosinone fu progettato nei primi anni settanta ed edificato a partire dalla seconda metà degli anni 1980, ma rimase incompiuto per circa trent’anni. Fu ultimato tra il 2015 e il 2017 su iniziativa del Frosinone Calcio, che ricevette dal comune il diritto di usufrutto della struttura. Esso è così diventato il terzo impianto moderno gestito direttamente da un club calcistico in Italia. Capace di 16. 227 posti tutti al coperto, è la più capiente arena scoperta della provincia, nonché la terza del Lazio dopo i due maggiori stadi di Roma (Olimpico e Flaminio). Il costo totale dell’impianto dall’origine alla sua ultimazione è di circa 20 milioni di euro, di cui circa 15 relativi all’opera di ristrutturazione e completamento eseguita nel terzo millennio.

Il Mapei Stadium-Città del Tricolore è lo stadio di Reggio Emilia in cui giocano il Sassuolo e la Reggio Audace (la vecchia Reggiana) e, per un certo periodo, anche il Carpi. Si trova a nord del centro storico di Reggio Emilia ed è noto anche con il suo vecchio nome di Stadio Giglio, ed è il primo stadio italiano ad essere di proprietà di un club calcistico: era infatti proprietà della Reggiana prima del fallimento. La storia del Mapei Stadium ebbe origine nel 1994, quando l’amministrazione cittadina, d’accordo con l’amministratore delegato della Reggiana Franco Dal Cin, decise di realizzare un nuovo stadio, che avrebbe sostituito il vecchio Mirabello, che causava un grosso disagio ai residenti in quanto situato in centro città. Lo stadio fu costruito da privati, e la spesa totale per la sua realizzazione fu di circa 11 milioni di euro. Di questi, una parte vennero versati direttamente da oltre 1000 tifosi della Reggiana, che sottoscrissero abbonamenti pluriennali. Inoltre, una parte del costo fu sostenuto dalla Giglio, principale azienda lattiero-casearia di Reggio Emilia, la quale diede il nome allo stadio. 

Lo stadio ha una capacità di quasi 22.000 posti a sedere, diminuiti dai circa 26.000 originari dopo la ristrutturazione del 2010, per renderlo adeguato alle nuove normative sulla sicurezza negli stadi. Oggi il principale utilizzatore dello stadio di Reggio Emilia è il Sassuolo, unica squadra della zona che gioca in Serie A, che ce l’ha in affitto dall’azienda Mapei, proprietaria dello stadio. 

Nel caso del Monza, lo Stadio Brianteo (o U-Power Stadium) è di proprietà del comune di Monza, che lo ha dato in gestione alla squadra di Berlusconi fino al 2062. Non si tratta quindi di uno stadio di proprietà.

Lo Stadio San Nicola è il maggiore impianto sportivo della città di Bari, della regione Puglia e del sud Italia. Di proprietà del Comune di Bari, è il terzo stadio più grande d’Italia (dietro al “Meazza” di Milano e all’”Olimpico” di Roma) e il 34esimo impianto europeo per capienza.  La carenza di fondi per coprire le cospicue spese di mantenimento che la struttura comporta (circa 450.000€ annui per la sola manutenzione ordinaria) e il passare del tempo hanno comportato la crescente obsolescenza e il repentino decadimento dell’impianto, il cui riscontro più evidente è rilevabile nella copertura in teflon: danneggiata progressivamente dagli agenti atmosferici a partire dall’ottobre 2009.

In generale lo stadio, fin dalla sua progettazione, si è dimostrato concettualmente errato, sovradimensionato rispetto alle reali esigenze della città e dell’utenza e inadatto ad un uso prettamente calcistico per via della presenza della pista d’atletica: non essendosi mai realizzata la circostante “cittadella dello sport” prevista in fase di progettazione, il San Nicola è una vera “cattedrale nel deserto”, immersa in un contesto di abbandono e degrado. Vari progetti sono sempre stati accantonati con un nulla di fatto.

Lo stadio comunale Ezio Scida (già Campo sportivo Città di Crotone) è il terzo impianto sportivo più grande della Calabria, situato nella città di Crotone. I lavori di costruzione dell’impianto terminarono nel 1946. Nella sua conformazione originaria, l’arena poteva ospitare fino a circa 5000 spettatori, suddivisi su due tribune laterali (delle quali una coperta) e una singola curva sul lato meridionale del prato (sede dei collettivi della tifoseria organizzata crotonese). Complici le crescenti fortune del calcio crotonese, nel 2000, in seguito alla promozione in Serie B, venne riedificata la curva sud (ampliata a 2940 posti). La capienza totale passò a 9.400 spettatori,  presto ulteriormente aumentati a 11.640.

Dopo la promozione in Serie A, conseguita nel 2016, si è infine provveduto ad ampliare lo stadio a circa 16.500 posti: tale risultato è stato ottenuto mediante l’implementazione di nuove gradinate in tubi metallici e la modernizzazione degli spalti preesistenti. 

Lo stadio Erasmo Iacovone, già noto come stadio Salinella, dal nome del quartiere cittadino nel quale è situato, è lo stadio di  calcio della città di Taranto. Con i suoi 27.584 posti è il terzo impianto più capiente della regione, nonché uno dei più grandi del Mezzogiorno d’Italia. E’ nei sogni dell’attuale sindaco di Taranto, un esagerato progetto di stadio per la ventesima edizione dei Giochi del Mediterraneo che, con 26 Paesi partecipanti e 4mila atleti attesi, si terranno a Taranto a giugno 2026.

Il progetto presentato da privati che al momento di bilanci da noi consultati non hanno alcuna capacità finanziaria ed esperienza necessaria per la realizzazione del nuovo stadio con una proposta di project financing da 85 milioni di euro di investimenti. Un follia totale per la realtà tarantina. Il reale obiettivo è quello attingere ai fondi (circa 20 milioni di euro pubblici) destinati alla ristrutturazione dello stadio Iacovone e mettere le mani su in impianto per 90 anni e per mettere le mani anche sulle aree adiacenti, realizzando 3 aree parcheggi, spazi commerciali, centro congressi, centro di medicina sportiva, aree uffici e coworking e persino un hotel a 5 stelle alto 80 metri con piscina scoperta, bar panoramico e servizi vari. 

Nonostante le critiche sull’obsolescenza degli impianti sportivi in Italia, il dato sulla media spettatori sulla stagione 21/22 della Lega Pro è incoraggiante. Il terzo campionato professionistico italiano ha chiuso i conti riuscendo a portare allo stadio durante tutto l’arco della stagione oltre 1 milione e 600 mila persone, tra i 59 club dei tre gironi, Catania escluso.

Secondo questi dati il calcio rimane lo sport più seguito al sud Italia, in fatto di presenze allo stadio.

L’affluenza nel girone C di Serie C ha fatto registrare oltre 792 mila presenze durante tutto l’arco della stagione con Bari, Palermo e Foggia al comando di questa classifica. Anche nel girone B si sono registrati ottimi numeri con una presenza totale sui seggiolini dei vari impianti che ha superato di poco i 604 mila tifosi, qui invece il podio è rappresentato da Modena, Reggiana e Cesena.

Nel girone A invece il totale delle presenze registrate è stato di 252.400 su 20 club/impianti.

Ecco il dettaglio girone per girone di Lega Pro

GIRONE A

Padova “Stadio Euganeo” – Capacità: 19.376, Totale spettatori annuo: 35.697, Media: 1.879;

Piacenza “Stadio L. Garilli” – Capacità: 21.668, Totale spettatori annuo: 30.596, Media: 1.610;

Sudtirol “Stadio Druso” – Capacità: 5.500, Totale spettatori annuo: 25.600, Media: 1.347;

Mantova “Stadio D. Martelli” – Capacità: 7.500, Totale spettatori annuo: 22.826, Media: 1.201;

Lecco “Stadio Rigamonti-Ceppi” – Capacità: 4.997, Totale spettatori annuo: 17.170, Media: 904.

GIRONE B

Modena “Stadio Braglia” – Capacità: 21.151, Totale spettatori annuo: 98.148, Media: 5.166;

Reggiana “Mapei Stadium” – Capacità: 21.584, Totale spettatori annuo: 87.933, Media: 4.628;

Cesena “Orogel Stadium” – Capacità: 23.860, Totale spettatori annuo: 84.108, Media: 4.427;

Pescara “Stadio Adriatico” – Capacità: 20.476, Totale spettatori annuo: 46.017, Media: 2.422;

Siena “Stadio Franchi” – Capacità: 15.373, Totale spettatori annuo: 43.408, Media: 2.285.

GIRONE C

Bari “Stadio San Nicola” – Capacità: 58.270, Totale spettatori annuo: 191.666, Media: 10.648;

Palermo “Stadio Barbera” – Capacità: 36.365, Totale spettatori annuo: 103.641, Media: 5.758;

Foggia “Stadio Zaccheria” – Capacità: 25.085, Totale spettatori annuo: 69.000, Media: 3.833;

Taranto “Stadio Iacovone” – Capacità: 12.154, Totale spettatori annuo: 58.106, Media: 3.228;

Avellino “Stadio Lombardi” – Capacità: 26.308, Totale spettatori annuo: 50.603, Media: 2.811.

Ritrovare l’entusiasmo di andare allo stadio: la storia di un club risorto dalle proprie ceneri

Riprendendo il discorso sulle criticità dei nostri impianti, non è facile riempire gli stadi: un fattore che sicuramente incide sull’ipotetica scelte di andare allo stadio o godersi la partita comodamente da casa, è l’entusiasmo intorno a un progetto, la cultura sportiva di una città, senza considerare poi variabili più estemporanee come data, orario e giorno del match.

Un esempio di genuina passione e ritrovato entusiasmo è il progetto del nuovo Catania calcio nato dalle ceneri del fallimento e attualmente al comando della Serie D.  Poco importa che il palcoscenico sia quello dei Dilettanti: oltre 11.000 abbonati sotto il segno dell’elefante, segno tangibile della passione viscerale per i colori rossazzurri ma anche di supporto e fiducia nei confronti del progetto del Catania SSD presieduto da Ross Pelligra.

ABBONAMENTI – I NUMERI PIU’ ALTI RAGGIUNTI IN SERIE D

Catania, 11.427

Palermo, 10.446

Parma, 10.089

Cesena, 8.354

Bari, 7.680

Modena, 5.573

Siena, 3.774

Pisa, 3.004

Candidatura all’Europeo 2032, stadi: Supereremo i fardelli burocratici?

Lo sport italiano e il calcio in particolare, potrebbe cogliere l’occasione per cancellare fardelli burocratici, sfruttando la candidatura all’Europeo del 2032 per realizzare nuovi impianti e rimettere a nuovo quelli esistenti.  Sono 187 gli stadi costruiti e consegnati in Europa tra il 2007 e il 2021, 22 i miliardi investiti che hanno però comportato un aumento dell’affluenza del 50% e generato flussi e ricavi extra-partite perché sono impianti open tutta la settimana.

Secondo un dato presente nel report annuale della Figc, nella realizzazione degli stadi, l’Italia è scivolata oltre il decimo posto in Europa, sorpassata sì dalla Russia che aveva ospitato i Mondiali del 2018 ma anche da Polonia, Turchia, Ungheria e Israele. Nel dossier impianti, in prospettiva degli Euro2032 si lavora anche alla costruzione di strutture che garantirebbero patrimonializzazione alle società. Un’occasione da non perdere, per togliere strati e strati di polvere dallo sport più amato e ripartire con buoni propositi, cancellando anni e anni di rendering e ritardi. Alessia Di Bella

Paola Del Vecchio per “Avvenire” il 3 dicembre 2022.

Il modello è simile al Fantacalcio, si parte gratuitamente, ma per salire di livello si finisce in meccanismi che alimentano la ludopatia. L'ultima esca, le «figurine» Nft Slot machine mascherate da videogiochi per agganciare bambini e adolescenti. Esperti e agenzie di controllo del gioco da tempo mettono in guardia contro le applicazioni che impiegano tecniche da casinò nelle app utilizzate da minorenni, coscienti del potenziale di dipendenza che inducono.

L'ultima esca nel mondo dei videogames è l'uso di Nft, sigla di non fungibile token, ossia un oggetto virtuale la cui unicità e proprietà è autenticata attraverso la tecnologia blockchain, la stessa che serve a creare criptovalute come i Bitcoin. Per dirla in parole semplici, si tratta di un'opera digitale unica, che non può essere copiata né sostituita. Il mercato è fiorente e in ascesa per collezionisti di ogni genere e cacciatori del "pezzo unico" o a tiratura limitata, soprattutto dall'alto potere acquisitivo e con tendenza alle spese compulsive.

Non solo. Piattaforme digitali di fantasy game hanno mosso all'assalto del mondo del calcio, sfruttando la passione calcistica e quella per le raccolte delle figurine di calciatori e gli scambi trasmessa da generazioni da nonni a figli e nipoti. Fino a poco tempo fa con scarso successo nella comunità dei "gamer", che vedeva minacciata dal profitto l'essenza ludica dei videogiochi.

Era già accaduto nei confronti della pratica dei Loot Boxes, che consiste nell'acquisto da parte del giocatore di un pacchetto misterioso - in senso letterale "cassa del bottino" - del quale non conosce il contenuto, che varia in base al videogioco. Si tratta in generale di oggetti o "passaggi di livello" utili a progredire nel corso delle partite, completamente virtuali ma pagati con soldi veri e che, secondo uno studio dell'Europarlamento del 2020, può diventare l'anticamera della ludopatia, soprattutto per adolescenti e bambini, le fasce più indifese, che li assimilano alle vecchie bustine di figurine di Pokémon o Magic.

Alcuni paesi dell'Unione Europea come Belgio, Olanda e Slovacchia li hanno equiparati al gioco d'azzardo coperto, mentre altri paesi, fra cui l'Italia, si sono limitati a stilare linee guida per parenti e videogiocatori. Ma, data la velocità vertiginosa di Internet, la storia è cambiata. E pur fra le critiche delle stesse comunità di giocatori, contrarie a chi compra la vittoria invece che conquistarla per bravura, anche la moda degli Nft si è aperta strada fra youtubers e streamers. 

L'universo cripto negli Stati Uniti ha scoperto per primo che associarsi a personaggi noti, soprattutto a sportivi della Nba, era un ottimo metodo per avvicinare il grande pubblico agli investimenti in cripto. Soprattutto dopo le vendite record all'asta di Christie' s di opere d'arte digitali, come quella del graphic designer americano Mike Winkelmann, noto come Beeple, battuta nel febbraio 2021 per 69,3 milioni di dollari. 

Mentre la politica e la regolazione sono come sempre un passo dietro, lasciando le porte spalancate alla speculazione. E ora, nell'imminenza dei Mondiali di calcio del Qatar, il mercato si è galvanizzato sui gadget di videogames e delle stelle calcistiche globali che inducono i giovani alla dipendenza dal "trading", dal commercio, proprio come nei giochi d'azzardo. E se voi siete rimasti agli scambi fisici di figurine Panini la domenica in piazza, astenetevi dalla successiva lettura. Oppure no...

Sorare, il gioco di Fantacalcio che crea più dipendenza del caffè e con il quale puoi vincere soldi (o no)". L'obiettivo di fabbricare ludopati - nel senso definito dall'Organizzazione mondale della salute degli affetti da gioco-dipendenza - è in apertura del blog dei fan di Sorare. Che inizia con una domanda e una promessa: «Ti piace il calcio e hai l'anima del mister (come il 95% dei calcisti)? Allora Sorare ti rapirà, come in un buco nero. Sei stato avvertito». La startup francese, valutata oggi 4 miliardi di euro, è l'ultima evoluzione del fantasy game, nato dall'incontro fra la passione per il calcio e la tecnologia Nft. 

Come analoghe piattaforme, acquista i diritti d'immagine dei calciatori dei principali campionati per portare criptomonete e le meccaniche dell'azzardo al grande pubblico. Offre ai giovani giocatori la prospettiva di "promuovere il proprio potenziale" nella speranza di un "colpaccio" con le immagini dei calciatori, scommettendo su un buon rendimento futuro e speculando quando il loro valore aumenta.

Dai gol di Mbappé ai dribbling di Leo Messi - le cui effigi non scendono mai sotto i mille euro - la possibilità di scommessa è sconfinata, i gol sono premiati e le perdite penalizzate, e la vincita è in criptomoneta o nella cessione di figurine. Il tutorial nel blog spiega come entrare nel gioco, ovviamente gratis all'inizio, per indurre l'abitudine. 

«La monetarizzazione esasperata è il lato oscuro del modello "free to play", che di gratuito ha ben poco, serve per adescare e immettere nella cultura della scommessa e con una logica aleatoria, che crea problemi di dipendenza», spiega ad "Avvenire" Juan Lamas, direttore della Federazione Spagnola dei Giocatori d'azzardo riabilitati, che nei suoi 30 centri sul territorio iberico tratta ogni anni 8.000 ludopati. 

Lamas conferma che il gioco online è diretto «ai più giovani e più influenzabili »: «Se non c'è l'identificazione del giocatore per impedire l'accesso ai minori di 18 anni, nessun divieto di pagamento con carte prepagate o la verifica delle carte di credito non c'è nessun filtro d'entrata», osserva.

A ogni giocatore sono concessi 100 punti, per impostare una squadra base di 5 calciatori con la quale partecipare alla Global Cup. Automaticamente si crea un portafogli che mostra il saldo in ethers, la criptovaluta della rete blockchain di Ethereum - la seconda più diffusa dopo Bitcoin - ricaricato dopo ogni compravendita di calciatori, sulla quale Sorare percepisce una commissione minima di 2,49 euro. Le carte si possono collezionare o utilizzare per giocare e ottenere premi in criptovaluta e/o carte nuove. E sì, si possono comprare e vendere anche le celebri "figurine" Panini - incluse le rare o rarissime - in versione Nft, "tokenizzate" su Ethereum.

La carta più cara finora su Sorare è stata quella del norvegese Erling Haaland, venduta per 614.000 euro in eather che, come tutte le cripto, sono soggette alle enormi fluttuazioni del mercato. E, seppure le regole prevedano il divieto di gioco ai minori di 18 anni, questo è sistematicamente ignorato. Del resto, basta entrare per comprovare che l'età del gamer non è mai verificata né all'inizio né in nessuno degli altri livelli del fantacalcio, giocato da oltre 600mila persone nel mondo, delle quali il 40% in Europa.

Dopo quello con la Nba, la startup ha chiuso un accordo con la Premier League come sponsor per un anno, che comprende la creazione di contenuti digitali per il mercato di Nft nel Regno Unito. Mentre in Spagna, dove già nel 2020 Sorare annunciò l'associazione con Gerard Piqué, anche LaLiga - che gestisce il campionato - ha chiuso un'intesa con un'impresa cripto per vendere in Nft le migliori giocate dei calciatori anche durante i Mondiali.

Già a giugno il ministro spagnolo del Consumo, Alberto Garzón, annunciò che stava lavorando a un progetto di legge per regolare come giochi d'azzardo loot boxes e videogiochi con «meccanismi aleatori di ricompensa» e «una pratica comune al gambling o alle scommesse». Una regolamentazione che ingloberà anche il mercato degli Nft e le criptomonete, anche se non ha specificato in che modo. « È stato avviato un processo di consultazione - spiegano ad Avvenire fonti del ministero - e l'obiettivo è che la legge sia operativa al più tardi nei primi mesi del 2023».

“Ma te ce l’hai Volpi e Poggi?”. Il più grande mistero del 1997. L’album delle figurine Dolber irruppe sul mercato contrastando lo strapotere della Panini, ma lo conclusero in pochissimi. Paolo Lazzari il 26 Novembre 2022 su Il Giornale.

Volpi e Poggi rigorosamente mancanti all'appello

Tendine di corda che si lacerano, cricca di ragazzini che entra. Pavimentazione rigorosamente low cost, con quel motivo a granella che non ti fa mai capire se per terra c’è sporco o pulitissimo. Zaffate di negroni ad irrorare l’aria pomeridiana. E ciurme di baristi che si sfregano le mani, gettando piogge di chewing gum tra le mani di un’orda di adolescenti sognanti. Non sarà la trama di un noir nonsense di provincia, ma forse quel che è successo nell’estate del 1997 ci si avvicina abbastanza.

Un'estate italiana

Al governo c’è Romano Prodi, ma non gli è ancora venuta la pensata dell’euro. Nelle tasche italiche tintinnano le vecchie lire. Politica, certo, ma parliamo di quel che va per la maggiore nel Belpaese. Che poi, espungendo l’interesse debordante per l’altro sesso, il discorso si riduce al calcio. In quel tempo, del resto la fase storica è biblica, la Serie A è tutt’altro che il tiepido intruglio odierno. Sono gli anni delle Sette Sorelle. Dei campioni che fanno la fila implorando di venire da noi. Dei bilanci traballanti e di Mai dire gol. Internet è ancora il grande assente: la scriminatura storica è interessante, perché significa che servono cumuli di fantasia per comunicare in fretta.

Come quando ci si devono scambiare le figurine. Perché gli album attirano ancora un target scolare che trascorre le sue giornate a passarsi i doppioni sotto al banco, gingillandosi con il pensiero adesivo di finire la raccolta prima degli altri, come se all’impresa corrispondesse una qualche onorificenza.

Una concorrente inattesa per la Panini

Troneggia, sul mercato, la draconiana Panini. Eppure, in quel tempo appunto, irrompe un concorrente inatteso e formidabile: la misconosciuta Dolber. L’intuizione è fenomenale: un album tascabile, solo le 18 squadre di Serie A, solo 11 titolari accuratamente selezionati tramite un metodo comprovatamente scientifico – cioè a caso – e le figurine arrotolate intorno all’involucro rettangolare di gomme da masticare sui toni del rosa, dalle proprietà organolettiche imprecisate. Una miscela deflagrante, per la gioia dei dentisti di tutta Italia.

Tutti, ma proprio tutti, acquistano l’album. Lo possiedono come una propaggine che, al contrario dell’ingombrante e completissimo fascicolo Panini, può essere sfoggiata con disinvoltura in ogni contesto sociale. Da Milano a Randazzo, una nazione intera viene cosparsa da un diluvio di chewing gum, carie, cartacce e doppioni. Fila comunque tutto liscio, fino ad un certo punto. Fino a che, nelle classi, dentro ai bar di paese ed a casa degli amichetti filtra la solenne e fatidica domanda: “Ma te ce l’hai Volpi e Poggi?”.

Contesto doveroso. Sergio Volpi all’epoca è un mediano vecchio stampo, uno di quei ruvidi factotum che si piazzano lì nel mezzo, randellano e a sprazzi costruiscono. Gioca nel Bari di Fascetti. Paolo Poggi, invece, forma un tridente offensivo effervescente e prolifico, in quel di Udine. Segni particolari: nessuno trova le loro figurine. Nessuno pare riuscire a completare l’album della Dolber, che in palio ha messo ricchi premi: palloni e maglie della Serie A firmate.

La domanda rimbalza senza risposta. In un paese ancora agganciato alla comunicazione via cavo, la notizia potrebbe metterci parecchio a diffondersi; non fosse che tutti ne parlano. Si impennano ulteriormente le vendite. A fine estate chiunque è riuscito a riempire tutti gli slot. Mancano solo loro due. Ad alcuni teenager viene un collasso nervoso. Altri provano ad eludere la malasorte improvvisandosi falsari: ritagliano le foto dal Guerin Sportivo o altri rotocalchi del genere, le appiccicano in modo indegno e sventolano vittoriosi il prezioso libriccino. È una truffetta che dura il tempo di una gazosa stappata.

Truffa o concorso legale

Le famiglie chiedono pietà, ma poi quasi tutti soprassiedono e continuano a sganciare, tanto mica mi mandano in rovina due gomme. Duemila però forse si. Duemila è anche il numero di premi che la Dolber giura di avere riconosciuto in tutta Italia, sfatando il mito delle figurine introvabili. È costretta a uscire allo scoperto dopo che la vicenda giunge addirittura in Parlamento, tramite un’interrogazione del deputato del Gruppo Misto Mauro Paissan, il quale denuncia “un'anomala situazione relativamente alle figurine contenute negli incarti del chewing-gum Campionato di calcio serie A". Paissan circostanzia: "Nei mesi scorsi, infatti, bambini e ragazzi hanno trangugiato una quantità smisurata di gomma da masticare per l'esplodere della raccolta delle figurine dei calciatori 'regalate' nell'incarto della gomma; ma, ciò che ha fatto esplodere la mania, è stata la promessa contenuta nelle figurine, di una maglia della propria squadra del cuore oppure di un pallone di football, a coloro i quali avessero completato la collezione."

A questo punto la Dolber, che si dichiarerà mero distributore, riesce a provare che in effetti duemila premi sono stati consegnati in tutto il Paese: goccia che intride di legalità un’oceanica disperazione. Pare, emergerà in seguito, che alcune figurine fossero state stampate in tiratura limitata: tutto perfettamente legale, verrà provato, perché il Ministero era a conoscenza che si trattasse a tutti gli effetti di un concorso a premi.

Oggi quegli album mutilati si annidano in chissà quali soffitte. Non ci sono più la lira, le Sette Sorelle e le tendine di corda quando entri nei bar. Però se qualche illuminato nipote li ripescasse, la domanda resterebbe intatta: “Dove sono Volpi e Poggi?”.

L’ETERNA RIVALITÀ. Adidas-Puma, la battaglia infinita: da Cruijff a Gulden, il ceo che cambia «maglia». Michelangelo Borrillo su Il Corriere della Sera il 4 Novembre 2022.

La battaglia infinita Adidas-Puma sintetizzata dalle 2 strisce della maglia di Crujff La battaglia infinita Adidas-Puma sintetizzata dalle 2 strisce della maglia di Crujff La battaglia infinita Adidas-Puma sintetizzata dalle 2 strisce della maglia di Crujff La battaglia infinita Adidas-Puma sintetizzata dalle 2 strisce della maglia di Crujff La battaglia infinita Adidas-Puma sintetizzata dalle 2 strisce della maglia di Crujff La battaglia infinita Adidas-Puma sintetizzata dalle 2 strisce della maglia di Crujff La battaglia infinita Adidas-Puma sintetizzata dalle 2 strisce della maglia di Crujff

Una battaglia lunga un secolo. Nata in famiglia — tra due fratelli — allargatasi ai campi di calcio — quelli calcati da Johan Cruijff e Franz Beckenbauer — e adesso estesa agli uffici dei piani alti delle due aziende, quelli occupati dai ceo. Con effetti anche sui listini di Borsa, in particolare di quella tedesca di Francoforte. Adidas, infatti, ha deciso di strappare alla concorrente Puma l’amministratore delegato Bjorn Gulden. È bastata un’indiscrezione di Bloomberg, una prima mezza conferma di Adidas — che ha definito Gulden un «potenziale successore» dell’attuale ceo Kasper Rorsted — e una seconda mezza conferma di Puma — che ha annunciato Arne Freundt , attuale chief commercial officer come successore di Gulden — per infiammare la Frankfurter Börse: le azioni Adidas hanno chiuso in rialzo del 21%. 

Le origini della rivalità commerciale

Gulden, quindi, è pronto a tornare a casa: il manager, prima di approdare in Puma nel 2013, aveva infatti lavorato per l’Adidas con il ruolo di senior vice president dell’abbigliamento e degli accessori. Strapparsi a vicenda i manager non sorprende chi conosce la lunga rivalità tra Adidas e Puma. originata addirittura da una storia che dura da 100 anni. Da quando, negli anni ‘20 del secolo scorso, i fratelli Rudolf e Adolf — detto Adi — Dassler iniziano a produrre scarpe in cuoio: prima cucendole a mano nella lavanderia della madre, poi aprendo una piccola fabbrica di calzature — la Gebrüder Dassler Sportschuhfabrik — vicino Norimberga, specializzandosi in scarpe da calcio con i tacchetti e scarpe da atletica chiodate, da utilizzare per l’Olimpiade del 1928 di Amsterdam. Il successo, però, arriverà da un’altra Olimpiade, quella del 1936 a Berlino: Jesse Owens vince quattro medaglie d’oro calzando proprio le scarpe dei due fratelli. All’apice del successo, però, arriva la Seconda guerra mondiale e anche i due fratelli si separano, divisi anche dalle differenti opinioni politiche. Ognuno va per la sua strada, fondando due diverse società seppur rimanendo nella stessa città, il piccolo comune bavarese di Herzogenaurach: Rudolf fonda la Puma, Adi l’Adidas. 

Prima di diventare manager, Bjorn Gulden è stato un calciatore professionista norvegese. E proprio sui campi di calcio la rivalità tra Adidas e Puma ha vissuto le sue battaglie più epiche. L’avvenimento che spiega meglio la concorrenza tra i due colossi dell’abbigliamento sportivo ha come cornice proprio la Baviera: il 7 luglio del 1974, all’Olympiastadion di Monaco, si gioca la finale tra Olanda e Germania Ovest. Le due squadre hanno come sponsor tecnico Adidas, ma il capitano degli Orange, Cruijff, si presenta in campo con una divisa diversa da quella dei compagni, con due sole strisce sulle braccia e non le tre che da sempre caratterizzano l’Adidas. Puma, in quegli anni, aveva infatti deciso di puntare sulle sponsorizzazioni individuali, decidendo proprio di investire sul Pelè bianco d’Olanda. Che, in virtù del legame commerciale, decide di scendere in campo con gli scarpini Puma, la maglia arancione senza una delle tre strisce e con del nastro adesivo sul petto a copertura del caratteristico fiore che distingue il marchio Adidas. Storie d’altri tempi, di un calcio romantico che cominciava, però, a essere governato dagli sponsor. La cornice fatta di maglie bianche e arancioni sul tappeto verde della finale mondiale, però, rendono quella battaglia commerciale immortale: c’è da scommettere che il cambio di casacca di Gulden — sebbene in Borsa abbia incrementato la capitalizzazione di Adidas di qualche miliardo — fra qualche anno non susciterà la stessa nostalgia.

Da corriere.it il 2 ottobre 2022.

Almeno 174 persone sono rimaste uccise nella città di Malang, nella provincia indonesiana di Giava Orientale, a seguito degli scontri scoppiati in uno stadio al termine di una partita di calcio. A confermare la cifra è stato il vicegovernatore della regione. «Trentaquattro persone sono morte all’interno dello stadio e le altre sono morte in ospedale. Negli scontri sono morti anche due agenti di polizia», ha aggiunto il capo della polizia di Giava Orientale, Nico Afinta. I feriti, secondo i bilanci provvisori, sono oltre 200. Si tratta di uno dei più sanguinosi incidenti mai avvenuti all’interno di un impianto sportivo.

Secondo la ricostruzione della polizia, i tifosi dell’Arema FC hanno preso d’assalto il campo dello stadio Kanjuruhan dopo che la loro squadra aveva perso 3-2 contro il Persebaya Surabaya, la prima sconfitta in più di due decenni contro l’acerrima rivale. Gli agenti, dopo aver visto cadere per terra due colleghi, hanno cercato di convincere i tifosi a tornare sugli spalti sparando gas lacrimogeni, che però hanno provocato il caos generale. Molte delle vittime sono state calpestate a morte mentre cercavano una via di fuga. «Quando i poliziotti hanno lanciato i lacrimogeni le persone sono corse istintivamente verso le uscite: tutti si spingevano, ho visto molti morire», ha raccontato all'Afp uno spettatore. Uno dei medici che ha soccorso i feriti ha raccontato a una televisione locale che una delle vittime che tentato di salvare aveva 5 anni. 

Gli spalti erano riempiti alla massima capacità: secondo la polizia, dei 42mila presenti spettatori almeno 3.000 hanno invaso il terreno di gioco. Nelle foto e nei video che circolano sui social si vedono tifosi che cercano di scavalcare le recinzioni per fuggire, persone che trasportano a braccio i feriti e poliziotti che agitano i manganelli, in scene da vera e propria guerriglia urbana. Negli scontri sono stati distrutti almeno 13 veicoli dentro lo stadio e nelle strade limitrofe, compresa una camionetta delle forze dell'ordine.

Il governo indonesiano si è scusato e ha promesso di indagare sulle circostanze dell’incidente. Il presidente del Paese, Joko Widodo, ha già ordinato agli inquirenti di mettersi al lavoro per stabilire le cause e le dinamiche di quella che la polizia ha definito una vera e propria «rivolta». «Sono profondamente dispiaciuto per questa tragedia e spero che sia l'ultima legata al calcio nel nostro Paese», ha affermato Widodo, che ha poi disposto la sospensione di tutte le altre partite fino a quando «non saranno completati i miglioramenti nella sicurezza». «Siamo dispiaciuti - ha dichiarato il ministro indonesiano dello Sport e della Gioventù Zainudin Amali all’emittente Kompas -. Valuteremo a fondo l’organizzazione della partita e la presenza dei tifosi. Torneremo a vietare ai tifosi di assistere alle partite? Questo è ciò che discuteremo».

Quello della violenza legata agli eventi sportivi è un problema di vecchia data in Indonesia. Ai tifosi del Persebaya Surabaya è stato proibito l'acquisto dei biglietti per la partita, proprio per la paura di scontri tra le tifoserie. Ma per il match erano state previste altre misure di sicurezza, che però sono state ignorate: il governo aveva suggerito di giocare la partita nel pomeriggio invece che la sera, e di vendere biglietti solo per 38mila posti. Per ora, l'associazione calcistica indonesiana (che sta riferendo in queste ore ai vertici della Fifa) ha confermato la sospensione per una settimana di tutte le partite e ha annunciato che l'Arema Fc non potrà più ospitare nessun match durante questa stagione.

Il prossimo maggio, l'Indonesia ospiterà i campionati mondiali di calcio under-20. Le partite si giocheranno in sei stadi: l'impianto dove sono avvenuti gli scontri non è uno tra questi. Quello di questa notte è uno dei peggiori disastri in uno stadio di calcio che si ricordino: un precedente con un bilancio più pesante fu una partita disputata a Lima nel 1964 per le qualificazioni olimpiche, quando sempre in una fuga di massa morirono sugli spalti 320 persone e un migliaio furono ferite

Maria Strada per corriere.it il 14 settembre 2022.  

Tre uomini di una ventina d’anni sono stati arrestati mercoledì mattina nell’ambito dell’inchiesta sull’aggressione alla centrocampista del Paris Saint-Germain Kheira Hamraoui, avvenuta dieci mesi fa. La calciatrice era stata assalita per strada lo scorso 4 novembre a Chatou, e colpita alle gambe con delle spranghe da uomini incappucciati. 

I tre — sospettati di avere preso parte all’azione — sono stati arrestati a Villeneuve-Saint-Georges e a Yerres , nella Marna, l’area a sud di Parigi dalla parte opposta della Capitale rispetto a dove si verificò l’aggressione. Uno, rivelano fonti di polizia, ha precedenti giudiziari. Le accuse sono di associazione a delinquere e di violenza aggravata.

Quel 4 novembre Hamraoui era in macchina insieme ad alcune compagne di squadra, tra cui Aminata Diallo, che era stata sospettata di essere la mandante per questioni di rivalità sportive, ma è stata pienamente scagionata. 

In seguito era emersa una relazione tra Hamraoui ed Eric Abidal, che aveva portato al divorzio di quest’ultimo. Lo stesso Abidal a dicembre era stato interrogato dalla procura che indaga sull’aggressione in qualità di testimone.

La relazione con l’ex calciatore del Barcellona — emersa anche pubblicamente solo dopo l’aggressione — ha reso la posizione di Hamraoui in squadra insostenibile, tanto che il Psg le ha comunicato tre giorni fa di ritenerla fuori dalla rosa: «Non è stato facile per noi, né per lei, ma Hamraoui non fa parte dei progetti sportivi del Psg e rimarrà così per tutta la stagione», ha affermato l’assistente del ds, Sabrina Delannoy, senza fornire altre spiegazioni. 

Hamraoui, che ha un contratto in scadenza nel 2023, ha avuto rapporti tesi con alcune compagne di club e Nazionale francese, in particolare con le attaccanti Marie-Antoinette Katoto e Kadidiatou Diani.

Caso Hamraoui, arrestata di nuovo Amina Diallo, sospettata di essere la mandante dell’aggressione. Salvatore Riggio su Il Corriere della Sera il 16 Settembre 2022

Le due erano compagne di squadra nel Psg. Diallo fu fermata nel novembre del 2021 poi rilasciata. ma dopo l’arresto di 3 uomini accusati di essere gli autori materiali del fatto la polizia ha fatto scattare le manette per la centrocampista 

Ennesimo colpo di scena nel caso Kheira Hamraoui, la calciatrice del Psg assalita per strada lo scorso 4 novembre a Chatou, e colpita alle gambe con delle spranghe da uomini incappucciati. Dopo l’arresto di tre persone avvenuto mercoledì 14 settembre, stamattina – secondo fonti della polizia giudiziaria francese – Aminata Diallo, ex centrocampista del Psg, è finita nuovamente in manette. In questo momento è sotto custodia della polizia per la seconda volta, dopo il primo arresto (poi fu liberata) del novembre 2021. Come riportano i media francesi, quasi un anno dopo, Diallo si ritrova di nuovo nel mirino degli inquirenti, che hanno indagato sulla rivalità tra le due per capire se la Diallo possa essere stata la mandante dell’aggressione. In particolare belle indagini gli agenti stanno cercando di capire se tra le due esistesse una diatriba privata o sportiva. Adesso Diallo deve spiegare ancora una volta il suo presunto coinvolgimento in questa vicenda.

La centrocampista – che ha lasciato il Psg alla fine della scorsa stagione – era già stata interrogata a lungo poco dopo l’aggressione. Naturalmente, respinse le accuse e dopo le prime indagini fu apparentemente scagionata. Le indagini, però, non si sono di certo fermate. Anzi, sono proseguite facendo notevoli progressi, fino all’arresto dei tre uomini il 14 settembre a quello di Diallo di oggi, venerdì 16. I fatti risalgono, come detto, al 4 novembre 2021: dopo una cena di gruppo della squadra, il Psg appunto, in un ristorante del Bois de Boulogne, Hamraoui era salita in macchina, guidata da Aminata Diallo, con Sakina Karchaoui. Dopo aver lasciato quest’ultima nella sua casa di Chatou, prima di ripartire, c’era stato l’arrivo di due uomini mascherati che avevano tirato fuori Hamraoui dalla vettura e l’avevano aggredita colpendola alle gambe.

In seguito era emersa anche l’esistenza di una relazione tra Hamraoui ed Eric Abidal, ex terzino e dirigente del Barcellona, che aveva portato al divorzio di quest’ultimo. Lo stesso Abidal a dicembre era stato interrogato dalla Procura – che indaga sul caso – in qualità di testimone. La relazione con l’ex calciatore blaugrana ha reso la posizione di Hamraoui in squadra insostenibile, tanto che il Psg le ha comunicato qualche giorno fa di averla messa fuori dalla rosa: «Non è stato facile per noi, né per lei, ma Hamraoui non fa parte dei progetti sportivi del Psg e rimarrà così per tutta la stagione», le dichiarazioni dell’assistente del d.s., Sabrina Delannoy, senza fornire altre spiegazioni.

Hamraoui, che ha un contratto in scadenza nel 2023, ha avuto rapporti tesi con alcune compagne di club e Nazionale francese, in particolare con le attaccanti Marie-Antoinette Katoto e Kadidiatou Diani. Adesso l’ennesimo colpo di scena di questa vicenda intricata.

La Superstizione. Marco Consoli per “il Venerdì di Repubblica” il 22 luglio 2022.  

Se l'11 luglio 2021 l'Italia ha vinto gli Europei di calcio è stato anche grazie al rito messo in scena da Gianluca Vialli. Arrivato sul pullman in ritardo, rischiando di restare a terra prima della partita inaugurale finita poi 3-0, il capo delegazione ha ripetuto il siparietto scaramantico fino alla finale.

Perché il mondo del pallone, sempre più dominato da tecnologia, finanza e media, non riesce a rinunciare alla superstizione, come racconta il giornalista di Repubblica Francesco Fasiolo nello sfizioso libriccino Calcio magico (edizioni Ultra Sport). «Le manifestazioni dell'irrazionale nel calcio», dice l'autore, «sono molteplici: ad esempio la ripetizione degli stessi gesti è molto diffusa tra i calciatori. 

Basti pensare al bacio dato da Blanc sulla testa del portiere Barthez prima di ogni partita della Francia ai mondiali '98 poi vinti. Un altro elemento riguarda il potere dei numeri, come dimostra l'avversione per il 17 dell'ex presidente del Cagliari Cellino, che chiese ai tifosi di vestirsi di viola, colore considerato sfortunato, per contrastare la iella di un Cagliari-Novara in programma il 17 settembre 2011. 

Infine il calcio è pieno di maghi e oracoli: il più bizzarro è stato il polpo Paul, che dall'acquario di Oberhausen in Germania sembrava predire i risultati delle partite dell'Europeo 2008 e del Mondiale 2010».

Pieno di aneddoti, dal sale sparso sui campi di calcio, agli orinatoi usati in un dato ordine negli spogliatoi, dalla distruzione di pullman simbolo di sfiga, a rane sepolte, statue distrutte, proclami di fede e orribili maledizioni, il libro viaggia tra Europa e Sudamerica, anche per tentare di capire perché ci si appelli a tutto questo in un mondo che oggi più che mai si affida alla scienza dei dati per garantirsi la vittoria. 

«Il calcio di oggi è stato normato in Inghilterra nell''800, ma deriva da antichi giochi con la palla come l'episkyros greco, l'harpastum romano, il cuju cinese e il calcio fiorentino, tutte espressioni di società in cui il magico era elemento della quotidianità e che riemerge nel momento clou della partita in cui prevale l'emotività», dice Fasiolo. 

«Negli ultimi decenni poi il moltiplicarsi della copertura mediatica di ogni aspetto del calcio inteso come show business ha permesso di rilanciare e amplificare queste manifestazioni magiche private, con l'effetto paradossale di rafforzarne la portata». 

s i gesti ripetuti prima delle partite, i colori contro la iella, un polpo indovino: un libro raccoglie stranezze e scaramanzie che i giocatori mettono in atto quando scendono in campo. 

I Soldi. Da repubblica.it il 3 settembre 2022.

Dopo giorni di ansiosa attesa per Inter, Juventus, Milan e Roma, sono arrivate le sentenze dell'Uefa per le violazioni del vecchio fair-play finanziario: da questa edizione delle coppe europee entrerà in vigore il nuovo sistema. E le ultime punizioni, che passano attraverso il settlement agreement (il patteggiamento concordato con Nyon) hanno colpito le italiane con gradazioni diverse. Inter e Roma si sono accordate per un rientro nei parametri in 4 anni, Milan e Juventus in tre. 

A quanto ammontano le multe? Per il Milan a 2 milioni di euro (15 se non rientra in tempo), per la Juventus (3,5 (rischio 23), per l'Inter 4 (potrebbero diventare 26), la Roma 5 (o 35 se fallisce l'obiettivo). Il Psg, degli otto club sotto indagine, è quello più esposto: deve sborsare subito 10 milioni di euro e rientrare nei parametri per non rischiare di doverne tirare fuori 65.

Ecco il comunicato della Uefa. "La prima sezione del Club Financial Control Body (CFCB), presieduta da Sunil Gulati, ha annunciato oggi una serie di decisioni che coinvolgono i club che hanno partecipato alle competizioni per club della Uefa nella stagione 2021/22. Si è rilevato che AC Milan (ITA), AS Monaco (FRA), AS Roma (ITA), Besiktas JK (TUR), FC Internazionale Milano (ITA), Juventus (ITA), Olympique de Marseille (FRA) e Paris Saint-Germain (FRA) non hanno rispettato il requisito del pareggio. 

L'analisi ha riguardato gli esercizi 2018, 2019, 2020, 2021 e 2022. Gli esercizi 2020 e 2021 sono stati oggetto delle misure di emergenza Covid volte a neutralizzare gli effetti negativi della pandemia. In base a queste misure, gli esercizi finanziari 2020 e 2021 sono stati valutati come un unico periodo e ai club sono stati concessi adeguamenti specifici per il covid-19 e per calcolare la media del disavanzo combinato del 2020 e del 2021. Questi otto club - si prosegue - hanno accettato un contributo finanziario di 172 milioni di euro. Tali importi saranno trattenuti da eventuali entrate che questi club guadagnano dalla partecipazione alle competizioni Uefa per club o pagati direttamente. Di tale importo, 26 milioni di euro (15%) saranno interamente pagati mentre il saldo residuo di 146 milioni di euro (85%) è condizionato al rispetto da parte di questi club degli obiettivi indicati nel rispettivo accordo transattivo". 

In che modo le squadre sotto osservazioni si metteranno in regola? "Il quadro dell'accordo transattivo è identico per tutti i club. Gli accordi transattivi coprono un periodo di 3 o 4 anni. In base all'accordo transattivo di 3 anni, i club si impegnano a rispettare la regola del guadagno calcistico durante la stagione 2025/26. Si impegnano a raggiungere obiettivi annuali intermedi e all'applicazione di misure finanziarie e sportive condizionate qualora tali obiettivi non fossero raggiunti. L'accordo transattivo di 4 anni si differenzia in quanto prevede una stagione aggiuntiva per conformarsi alla regola degli utili calcistici, ma include restrizioni sportive incondizionate sulla registrazione di nuovi giocatori applicabili a partire dalla stagione 2022/23. AS Roma e FC Internazionale Milano hanno optato per un accordo transattivo di 4 anni mentre tutti gli altri club hanno optato per un periodo di 3 anni.

Proprietà più ricche del calcio italiano: Hartono (Como), Berlusconi (Monza), Cardinale (Milan), Rosso (Vicenza) e gli altri. La top ten. Salvatore Riggio su Il Corriere della Sera il 29 Luglio 2022.

La classifica delle 10 proprietà più ricche del calcio italiano. A sorpresa non sono sempre le più vincenti. Al contrario, le prime due sono in serie B e una sta addirittura in serie C (e la famiglia Zhang con l’Inter non c’è)

Le 10 proprietà più ricche d’Italia

Non sempre i soldi rendono le squadre di calcio più forti. Spesso infatti il rapporto ricchezza-risultati non è quello che ci aspetteremmo. Seguendo la classifica stilata da Forbes, il sito Cronache di spogliatoio ha creato la classifica delle 10 squadre «tecnicamente» più ricche di Italia. Come si può vedere, gli esiti sono sorprendenti. Il presidente al primo posto ha infatti 6 volte il patrimonio di quello che occupa la seconda piazza e, soprattutto, non sta in serie A. La proprietà della squadra campione d’Italia, il Milan, non è nelle prime posizione e dalla top ten è fuori la famiglia Zhang con la sua Inter. Mentre non manca, naturalmente, un grande habitué dei primi posti, neanche lui in serie A. Ecco allora i nomi svelati, partendo dal decimo fino ai primi.

10) Gerry Cardinale (Milan) – 1,27 miliardi

Di origini italiane, negli Stati Uniti Gerry Cardinale è cresciuto e ha studiato, conseguendo un Master in filosofia, politica ed economia. È il 2014 quando dà vita a RedBird, specializzandosi nel settore dello sport e investendo nel business sportivo in tutto il mondo. L’imprenditore americano detiene l’85% del Tolosa in Ligue1 e il 10% della società che controlla la maggioranza delle azioni del Liverpool. Adesso è azionista di maggioranza del Milan (closing previsto a settembre) e i tifosi rossoneri sognano di restare in alto e, perché no, tornare grandi in Europa.

9. Antonio Percassi (Atalanta) – 1,37 miliardi

Nel febbraio 2022 la famiglia Percassi ha ceduto il 55% delle quote de La Dea Srl, la sub-holding che detiene circa l’86% del capitale sociale dell’Atalanta, a un gruppo di investitori capitanati da Stephen Pagliuca, uno dei principali fondi di investimento al mondo. Un passo importante per la società nerazzurra, che grazie alla famiglia Percassi negli ultimi anni ha fatto grandi cose in Italia e in Europa come i quarti di finale di Champions dell’agosto 2020 (sconfitta per 2-1 solo in pieno recupero, al minuto 93).

8. John Elkann (Juventus) – 2,06 miliardi

Molti gli investimenti negli ultimi 10 anni della famiglia Elkann/Agnelli. Con tanto di accelerazione nell’autunno 2019 con 300 milioni di euro. La Juventus, per coprire le perdite della crisi pandemica e rilanciare il progetto sportivo, ha investito un’ulteriore somma di capitali. Ma se in Italia ha vinto così tanto (dal 2012 al 2020 nove scudetti di fila), in Europa continua a inseguire il sogno Champions che manca dal 1996 ed è stato sfiorato nel 2015 (sconfitta per 3-1 con il Barcellona) e nel 2017 (k.o. contro il Real Madrid per 4-1).

7. Renzo Rosso (Vicenza) – 3,43 miliardi di euro

Accolto dai tifosi del Vicenza come un salvatore, spese 1 milione e 100 mila euro per acquisire il ramo d’azienda del vecchio e storico Vicenza Calcio nel maggio 2018. Ma di successi sul campo non ne sono arrivati. Adesso per il fondatore del capo di abbigliamento Diesel una nuova sfida: riportare in B il club biancorosso dopo l’ultima retrocessione.

6. Famiglia Squinzi e Simona Giorgetta (Sassuolo) – 3,82 miliardi

Dopo la morte di Giorgio Squinzi il 2 ottobre 2019, i figli Marco e Veronica hanno ereditato anche la proprietà del club insieme a Simona Giorgetta, nipote dello storico patron di Cisano Bergamasco. Il Sassuolo è da anni un modello sostenibile del nostro calcio, che offre qualità sul campo ma anche grande concorrenza quando si parla di mercato. L’ultima cessione, ricca, quella di Scamacca al West Ham per 42 milioni.

5. Dan Friedkin (Roma) – 4,21 miliardi

È sbarcato a Roma nell’agosto 2020, mettendo fine alla parentesi straniera più lunga registrata finora in Italia da parte della stessa famiglia: l’era di James Pallotta, durata per ben 9 anni e che non ha portato i trofei tanto promessi alla vigilia. L’arrivo di José Mourinho ha scatenato i sogni dei tifosi giallorossi che nel maggio scorso hanno festeggiato la conquista della Conference League contro il Feyenoord. E adesso con lo sbarco di Dybala si può continuare a sognare.

4. Famiglia Saputo (Bologna) – 4,7 miliardi

È il 2014 quando un gruppo di investitori nord-americani, rappresentati dall’imprenditore canadese Joey Saputo e dall’avvocato statunitense Joe Tacopina, decidono di rilevare la proprietà del Bologna, appena retrocesso in B. Tacopina dura però poco in Emilia e decide di lasciare, acquisendo poi la Spal, mentre Joey resiste rimanendo presidente . Il suo arrivo ha regalato alla piazza una costante presenza in A, ma il salto di qualità ad alto livello non è ancora avvenuto.

3 . Rocco Commisso (Fiorentina) – 5,97 miliardi

Gradino più basso del podio per Rocco Commisso, fondatore di Mediacom (quinta azienda fornitrice di Tv via cavo negli Stati Uniti), e presidente e proprietario dei New York Cosmos e della Fiorentina dal 6 giugno 2019 (rilevata dai fratelli Della Valle per una cifra stimata tra i 160 e i 170 milioni di euro). Al club viola sta dando tanto. Molti investimenti sul mercato come per Gollini, Jovic e Dodó. E un sogno: riportare la Fiorentina in Champions, con uno stadio nuovo che rilanci incassi e investimenti.

2. Silvio Berlusconi (Monza) – 6,95 miliardi di euro

Al secondo posto c’è Silvio Berlusconi, ex patron del Milan che nel 2018 ha acquistato il Monza: quest’anno il club brianzolo è salito per la prima volta in A grazie ai suoi investimenti. E sta facendo le cose in grande con tanti acquisti tra i quali Cragno, Ranocchia, Sensi e Pessina. L’obiettivo è rimanere stabilmente in serie A e, nel medio periodo, competere con le big.

1. Robert e Michael Hartono (Como) – 44,54 miliardi

Secondo Forbes al primo posto c’è il Como, in serie B. Con i fratelli indonesiani Robert e Michael Hartono che hanno un patrimonio di 44,54 miliardi di euro. I due patron — che hanno acquistato il Como nell’aprile 2019 — sono fondatori del marchio di sigarette Djarum, uno dei più famosi di tutta l’Asia. I due multimiliardari guadagnano 4 milioni di euro all’ora. Hanno appena portato a termine l’acquisto dell’ex campione del Barcellona Cesc Fabregas.

Valerio Piccioni per “la Gazzetta dello Sport” il 14 luglio 2022.

Debiti, tanti. Stadi nuovi, pochi. In questo telegramma c'è un bel po' della fotografia scattata dal centro studi della Figc con Arel e Pwc nel ReportCalcio. Il pallone professionistico spende anche ciò che non produce. Bastano pochi numeri per capirlo, i costi che aumentano e i ricavi che non crescono. La perdita aggregata che scavalca il miliardo e 200 milioni, l'indebitamento complessivo che arriva ai 5,4 miliardi. 

Fino a una cifra shock: negli ultimi anni il calcio italiano ha perso un milione di euro al giorno. Gabriele Gravina, che ha presentato ieri lo studio a Sky,parla di numeri «onestamente impietosi». E spiega: «Dobbiamo controllare i costi - dice il presidente federale - Ci stiamo lavorando con proposte sulle quali c'è un confronto serrato. È mia intenzione portare al consiglio del 28 luglio una nuova formula delle licenze nazionali - i requisiti per le iscrizioni - impostato sul piano triennale». 

Speranze e ritardi Il ReportCalcio insiste naturalmente sul costo economico della pandemia, i 23,1 milioni di spettatori potenziali perduti con più di mezzo miliardo al «botteghino» andato in fumo, il tutto con un più 18,4 per cento degli stipendi (non solo dei calciatori). Ma ci sono anche «rimbalzi» positivi che portano a un altro scenario. Dopo il meno 15,4 per cento del 2020, il business dello sport mondiale si è ripreso con un confortante più 13,5 nel 2021. E le proiezioni per il 2025 e il 2030 sono incoraggianti. 

Ma come il calcio, in particolare quello italiano, può intercettare queste tendenze? Qui le cose si complicano. Il fattore nuovi stadi è considerato da tutti determinante. Ormai il nostro parco impianti è davvero vecchio (età media 62 anni in Serie A e B). La ricerca prende in considerazione la possibilità che i 12 progetti «in corsa» relativi a nuovi stadi possano andare in porto. I risultati sarebbero molto significativi: 1,9 miliardi di euro di ricavi e 10mila posti di lavoro. Inevitabile pensare che un grande evento, vedi Europeo 2032, possa darci la spinta per una svolta. Ma il tema è anche quello di combinare semplificazione di procedure e investimenti realistici (senza invasioni di cemento).

Ritorno al milione Scrivevamo di rimbalzi positivi. Ce n'è uno che forse è il più importante di tutti. I ragazzi sono tornati sul campo di calcio. In realtà il ReportCalcio in sé descrive una grande fuga con 220mila tesserati perduti nella prima stagione Covid. Le proiezioni sul 2021-2022 sono però incoraggianti: con 1.050.976 tesserati calciatori siamo a soli 12mila dai livelli prepandemia (oggi Coni e Istat presenteranno l'ultimo aggiornamento dei numeri della pratica sportiva).

Occhio, però. Perché c'è anche un fenomeno di disaffezione che va tenuto a bada. Gli italiani che si dichiarano interessati al calcio sono 55 su 100. Due anni fa erano 64. Certo il pallone più diffuso è nettamente davanti alle altre discipline. Dietro c'è un grande equilibrio: tennis a 28; nuoto, atletica e motori a 26; pallavolo a 25; ciclismo a 21. 

Bergamo Nell'oceano delle cifre ce n'è una che colpisce. E riguarda la ripartizione geografica dei calciatori italiani schierati nella Serie A 2020-2021. Fra le province, Roma è in testa con 145 calciatori davanti ai 144 di Napoli. Ma è Bergamo, la provincia più tragicamente colpita dalla pandemia, ad avere il migliore rapporto giocatori di serie A/abitanti: sono 66. Un dato che sa di speranza.

Calciomercato, la mappa dei luoghi chiave a Milano: alberghi, ristoranti, bar (e ville lontano da occhi indiscreti). Monica Colombo su Il Corriere della Sera l'11 luglio 2022.

Da Palazzo Parigi all’hotel Melia, dalla Langosteria al Salumaio di via Montenapoleone, ecco dove si decide il futuro dei club. Senza badare agli orari. 

Per scoprire i luoghi cult del calciomercato spesso basta inseguire il nugolo di telecamere e di telefonini illuminati che si sposta per Milano. In fin dei conti, nell’era dei social e delle breaking news, poche sono le notizie che risultano segrete o che lo restano per troppo tempo. Hotel, ristoranti, uffici: quali sono le sedi in cui dirigenti e procuratori vanno a caccia di privacy per condurre le trattative?

Il quartier generale della Juve

Ogni club ha il suo quartier generale ben definito: la Juventus, dai tempi di Fabio Paratici, ha eletto Palazzo Parigi, un cinque stelle nel quadrilatero della moda, la propria base operativa. Anche l’attuale direttore sportivo Federico Cherubini sta negoziando con la Roma per Zaniolo nello stesso hotel. Occhio però agli uffici di piazza San Babila dove è situato lo studio legale del club bianconero: parecchie tappe del colpo Ronaldo si sono consumate lì.

I luoghi chiave per il Milan

Maldini e Massara preferiscono ricevere agenti e intermediari nella sede di Casa Milan ma non è raro incontrarli all’hotel Me. È la struttura in piazza della Repubblica divenuta negli ultimi anni il centro di gravità permanente di incontri, colloqui, negoziazioni. Lì risiedono Thiago Pinto, l’uomo mercato della Roma, quando sbarca a Milano e il potentissimo agente Fali Ramadani, procuratore tra gli altri di Kalidou Koulibaly.

L’albergo simbolo

Restando nel giro di pochi metri, attenzione all’hotel Principe di Savoia: i vecchi draghi del mercato, da Ariedo Braida ad Adriano Galliani, si rifugiano ancora nei salottini dello storico albergo. È peraltro la sede di affari per Diego De Laurentiis quando arriva a Milano e un tempo anche dell’ex presidente del Genoa Enrico Preziosi.

Le altre squadre

La Lazio di Igli Tare e Claudio Lotito punta sull’hotel Palace mentre l’ad nerazzurro Giuseppe Marotta quando intende condurre affari senza l’incubo delle telecamere si rifugia al Bulgari. Giovanni Carnevali, ad del Sassuolo, riceve negli uffici della Master Group in via Manzoni, mentre il presidente del Cagliari Tommaso Giulini ha venduto Cragno e Carboni al Monza nella sede della Fluorsid, in zona Fiera.

Gli indirizzi «notturni»

E poiché il calciomercato vive soprattutto di notte, ecco gli indirizzi dove gli affari non vanno mai a dormire. La Risacca 6 e la Langosteria — dove non è raro incontrare Beppe Marotta — hanno soppiantato ristoranti che un tempo erano crocevia imperdibile di contrattazioni. Ovvero il mitico Giannino, dove Galliani sviluppò e concluse mille trattative, fra cui quella per Ronaldinho (ora preferisce infilarsi nella saletta in fondo del Kaimano, la pizzeria in zona Brera) e l’osteria Cavallini, un tempo meta di agenti e giocatori.

Discussioni a tavola

A pranzo però il locale più à la page è il Salumaio di Montenapoleone, il preferito di Paolo Maldini ma anche di Jorge Mendes, il procuratore di Leao, Cr7 e Renato Sanches. È l’approdo sicuro dei dirigenti del Psg quando hanno trattative da condurre in città. Poi per gli incontri segreti, dai quali non deve trapelare un sospiro o un’immagine, bisogna spostarsi fuori Milano. Beppe Marotta, varesino di nascita, utilizza Villa Bellini, location situata a Somma Lombardo, a due passi dall’aeroporto di Malpensa. In quella sede è andato in scena anche il travagliato vertice con Antonio Conte dell’agosto del 2020 quando l’allenatore fu convinto a restare all’Inter e più recentemente una puntata del tormentone Dybala. Dove si girerà l’episodio finale della saga? 

Raimondo Lanza di Trabia, il nobile che inventò il calciomercato: gli affari al Gallia tra eccessi, aste e «bidoni». Andrea Galli su Il Corriere della Sera l'11 luglio 2022.

La storia dell'ex presidente del Palermo, che nel dopoguerra lanciò la moda di ritrovarsi in un posto preciso per trattare calciatori, inseguendo lusso, vizi e feste esclusive. Un personaggio letterario, anche diplomatico, morto suicida a 39 anni

Ci fossero stati allora, i social, sai che sermoni, moralismi, pretese di pubbliche scuse… Ma era l’Italia, o meglio la Milano del dopoguerra, che tutto voleva e a nulla badava, figurarsi un nobile quale Raimondo Lanza di Trabia, presidente del Palermo e inventore del calcio mercato inteso come il ritrovarsi in un preciso punto per trattare i giocatori anziché logorarsi in lunghe telefonate. Di fatto Lanza di Trabia, che fu insieme diplomatico, volontario in guerra, amico di Potenti, cultore di intense relazioni da una notte — e anche meno —, ebbene egli, nelle trasferte estive dalla Sicilia dimorava nel lussuoso (anche all’epoca) hotel Gallia, sul lato della stazione Centrale, e qui scendeva le scalinate nudo, teneva riunioni d’affari nella suite dentro la vasca da bagno, e intorno a lui vorticava un mondo compiacente e complice, adulante e ondeggiante, trasformandosi le riunioni di lavoro in feste di vini costosi e di sesso, tra continue soffiate alla Buoncostume della questura e altrettante pressioni politiche affinché gli agenti si dimenticassero l’albergo, e con una generale intensità nella gestione del tempo, quantomeno dei diretti interessati, ovviamente impossibile da replicare, foss’anche per tentativi di generazione in generazione, da parte della maggioranza delle comuni (r)esistenze.

Il nobile aveva avuto un’origine sofferta — nato da una storia clandestina del papà, era stato abbandonato, iscritto all’anagrafe come «figlio di ignoti» e infine riportato in famiglia grazie alla tenacia di una nonna —, e se andò giovane, suicida a 39 anni, l’animo divorato dalla depressione anche se le modalità del decesso a lungo innescarono dubbi e misteri. Nell’hotel Gallia, dove quelle stagioni degli anni Cinquanta il personale faceva letteralmente a botte nelle retrovie per prendersi i servizi e i clienti migliori, cioè quelli che garantivano la supremazia nelle mance, Lanza di Trabia, un evidente personaggio letterario (numerosi infatti libri che gli hanno dedicato), lanciò dunque la moda dell’estensione al pallone del mercato delle vacche o — a seconda delle sensibilità — delle battute d’asta di statue e quadri, come pure della trasformazione della compravendita dei calciatori in una sorta di casinò, buttando d’istinto i soldi, tanti soldi, su presunti campioni per sentito dire dal parrucchiere, o per amore dell’azzardo se non per raccomandazioni della cartomante di fiducia. Allenatori e patron iniziarono a prenotare al Gallia, mentre all’esterno dell’hotel s’ammassavano lenoni, maghi dello scippo, ragazze di campagna, ragionieri in cerca di un impiego, colossali bidoni convinti d’essere al contrario le future promesse del pallone e meritevoli di una chance, preti che gridavano allo scandalo e alla mano del Demonio, avventurieri che narravano di mirabolanti talenti scoperti negli angoli del pianeta dove avevano combattuto da mercenari. Per fortuna non c’erano i social. Almeno quelli.

I Giornalisti. Da posticipo.it il 30 luglio 2022.

Da quando è diventato l'allenatore del Bayern Monaco, Julian Nagelsmann è ulteriormente sotto i riflettori. Il mini-Mourinho di Landsberg am Lech, che si è fatto le ossa all'Hoffenheim e ha fatto benissimo con l'RB Lipsia prima di accasarsi a Säbener Straße, è certamente il più quotato dei tecnici della nuova generazione. Ecco perché il club bavarese ha pagato un'importante clausola per liberarlo dalla sua squadra precedente e portarlo all'Allianz Arena. 

Ma essere l'allenatore del Bayern significa che ogni mossa viene seguita e sottoposta a scrutinio. Persino quelle che riguardano la sfera sentimentale. E quindi fa scalpore in Germania il fatto che Nagelsmann sia stato pizzicato in dolce compagnia. Ma soprattutto che la donna in questione sia una giornalista.

A spiegarlo, paradossalmente, è esattamente la testata per cui lavora la giornalista in questione. La Bild, attraverso un tweet, fa sapere al mondo che Nagelsmann ha una nuova fidanzata che lavora proprio per il quotidiano più celebre di Germania. Niente nomi, ma altre testate non si sono fatte problemi e Sport1 ha spiegato che la nuova fiamma dell'allenatore del Bayern è Lena Wurzenberger, con cui il tecnico è stato pizzicato mano nella mano su una barca durante le vacanze a Ibiza. Il primo incontro, neanche a dirlo, è arrivato per motivi di lavoro, ma la situazione si è parecchio evoluta da quando il classe 1988 è diventato allenatore del Bayern.

Anzi, come racconta AS, lo scorso mese la giornalista ha pubblicato un articolo su Nagelsmann con così tanti particolari che era sembrato quasi impossibile che tra i due non ci fosse un rapporto più avanzato di quello tra una reporter e un allenatore. Dunque, ora la nuova coppia è uscita allo scoperto e in Germania già ci si chiede se, visto l'evidente conflitto di interessi, Lena Wurzenberger lascerà la Bild o se perlomeno smetterà di seguire il Bayern. 

Di certo c'è che non ci saranno assalti di curiosi sui social, considerando che il suo profilo Instagram è privato e ha appena 800 follower. Quello che la reporter lascia trasparire è che è vegetariana e che i suoi interessi sono il Bayern e il Werder Brema. E ora che i biancoverdi sono tornati in Bundesliga... per chi tiferà quando incontreranno Nagelsmann? 

Dagonews il 30 luglio 2022.

La Bild ha deciso di sospendere la giornalista sportiva Lena Wurzenberger, la reporter che seguiva il Bayern Monaco e che, si è scoperto oggi, ha una relazione con l’allenatore Julian Nagelsmann.  All’inizio del mese Nagelsmann aveva comunicato di essersi separato dalla moglie Verena dopo 15 anni insieme. L’allenatore, che compirà 35 anni il prossimo mese, ha due figli con Verena, un maschio e una femmina, e sono sposati dal 2018. 

Wurzenberger è stata costretta a rinunciare a coprire il Bayern per evitare qualsiasi conflitto di interessi tra la sua vita privata e quella professionale. Si dice che il suo rapporto con Wurzenberger sia "serio" e che anche il Bayern Monaco sia stato informato della coppia.

Altri precedenti casi di calciatori che si sono innamorati di giornaliste sono stati quelli del portiere della Spagna Iker Casilla, che ai Mondiali del 2010 in Sudafrica baciò in diretta tv durante un’intervista la giornalista Sara Carbonero, con cui da qualche mese aveva una storia d’amore tenuta segreta, e quello dell’allenatore della Roma Rudy Garcia con la giornalista Francesca Brienza. I due vennero allo scoperto nel 2013 pubblicando contemporaneamente una foto di loro due sui social.

Gli allenatori. Serie A, gli stipendi degli allenatori: in testa Allegri e Mourinho, sorpresa Sottil. Gregorio Spigno su Il Corriere della Sera il 28 Settembre 2022

Il tecnico dell’Udinese, 3° in campionato, occupa le ultime posizioni di questa speciale classifica. Costa caro Giampaolo, «economico» Gotti, aumento per Pioli, Inzaghi e Italiano

Massimiliano Allegri — Juventus

«Allegri out!», «Lo paghi tu quello che viene dopo?». Aveva reagito così Maurizio Arrivabene, amministratore delegato della Juve, all’invito di un tifoso bianconero di cacciare Max Allegri. Effettivamente, non sarebbe — finanziariamente parlando — una grande operazione, tenendo conto del fatto che l’allenatore livornese guadagna 7 milioni netti a stagione.

José Mourinho — Roma

C’è una particolarità nel contratto di José Mourinho, perché se è vero che dalla Roma percepisce 7 milioni netti — tanti quanti Allegri —, nella scorsa stagione il portoghese ne ha incassati altri 10 dal Tottenham, club con cui era sotto contratto prima di diventare giallorosso. Gli Spurs, di fatto, l’anno scorso hanno pagato allo «Special One» la differenza tra l’ingaggio inglese (17 milioni l’anno) e quello italiano (7, appunto). Ovvero altri 10 milioni, ma solo per la stagione 2021-22.

Simone Inzaghi — Inter

Da 4 milioni a 5,5. Simone Inzaghi, dopo aver concluso la stagione 2021-22 senza scudetto ma comunque con due trofei in bacheca, ha rinnovato con il club nerazzurro nel giugno scorso, migliorando il suo ingaggio.

Stefano Pioli — Milan

Artefice della rinascita del Milan, anche Stefano Pioli ha migliorato il suo contratto con il club rossonero. Attualmente percepisce un ingaggio da 4 milioni fino al 2023, ma c’è l’opzione di rinnovo — che, ad oggi, verrà molto probabilmente esercitata — anche per la stagione successiva.

Luciano Spalletti — Napoli

Lontano dal podio Luciano Spalletti, nonostante sia proprio il suo Napoli a comandare la classifica di serie A attuale: l’allenatore di Certaldo percepisce uno stipendio di 3,2 milioni netti all’anno.

Gian Piero Gasperini — Atalanta

Aveva esteso il proprio contratto nel novembre scorso fino al 2024, Gian Piero Gasperini. E c’è l’opzione per prolungare anche fino al 2025. Dopo le voci dell’estate scorsa, che vedevano Gasp e la dirigenza nerazzurra più distaccati rispetto a qualche anno prima, gli apparenti screzi sono stati superati. Gasperini guadagna 3 milioni netti a stagione, senza contare i bonus che lui e la sua Atalanta potrebbero raggiungere.

Maurizio Sarri — Lazio

Come per l’ex Lazio Inzaghi, anche Maurizio Sarri ha rinnovato il suo contratto con i biancocelesti nello scorso giugno: accordo fino al 2025, a 3 milioni a stagione.

Sinisa Mihajlovic/Thiago Motta — Bologna

L’esonerato Sinisa Mihajlovic percepiva un ingaggio da circa 2 milioni a stagione. Salutato il tecnico serbo, la dirigenza rossoblù ha puntato sul profilo di Thiago Motta, raggiungendo un accordo sull’ingaggio a quota 1,2 milioni l’anno.

Ivan Juric — Torino

Il tecnico granata, approdato a Torino lo scorso anno dopo le ottime stagioni con il Verona, guadagna 2 milioni l’anno.

Vincenzo Italiano — Fiorentina

Le voci su un possibile addio di Vincenzo Italiano alla Fiorentina, complice una clausola rescissoria presente sul vecchio contratto che avrebbe permesso al tecnico di liberarsi nel caso in cui qualche società avesse sborsato 10 milioni per il suo «cartellino», sono state spazzate via dal rinnovo: oggi, l’ex Spezia guadagna circa 1,7 milioni a stagione, che potrebbero diventare 2 con i bonus.

Marco Giampaolo — Sampdoria

Costa caro alla Samp Marco Giampaolo. «Il Maestro», infatti, ha un ingaggio di 1,2 milioni. Che, di fatto, rappresenta il freno principale ad un suo possibile esonero per la dirigenza blucerchiata, obbligata a fare i conti con una situazione societaria piuttosto grigia.

Alessio Dionisi — Sassuolo

Continua il lavoro di Alessio Dionisi al Sassuolo, che nonostante gli addii eccellenti della scorsa estate non ha abbandonato il club neroverde. Il tecnico ex Empoli percepisce un ingaggio di circa 850 mila euro a stagione.

Davide Nicola — Salernitana

Il miracolo salvezza della scorsa stagione è valso a Davide Nicola un rinnovo con adeguamento. Scelto la scorsa stagione come sostituto di Colantuono, il tecnico aveva firmato un contratto di 4 mesi a circa 200 mila euro bonus esclusi. Poi, con la miracolosa salvezza, l’allenatore piemontese si è guadagnato la conferma. Contratto biennale fino al 2024 a 800 mila euro a stagione, con clausola: il club si riserva la facoltà di non confermare Nicola a fine campionato, liberandolo pagando una penale da 200 mila euro.

Paolo Zanetti — Empoli

Detto addio al Venezia dopo l’esonero della scorsa stagione, Paolo Zanetti è ripartito da Empoli, dove non ha abbandonato la sua filosofia di calcio. Il tecnico guadagna 600 mila euro l’anno.

Gabriele Cioffi — Verona

Un ex Udinese, che però dalla famiglia Pozzo non è stato esonerato: dopo la grande seconda parte di stagione in cui ha guidato i bianconeri, Gabriele Cioffi è stato scelto dal Verona come sostituto di Igor Tudor, accasatosi al Marsiglia. Guadagna una cifra tra 500 e 600 mila euro, bonus più bonus meno.

Luca Gotti — Spezia

Dopo l’esonero di Udine, Luca Gotti si è accasato a La Spezia, dove percepisce un ingaggio vicino a quello precedente: circa 500 mila euro a stagione.

Marco Baroni — Lecce

Ha raddoppiato il suo stipendio, Marco Baroni, dopo la promozione ottenuta la scorsa stagione: attualmente percepisce 450 mila euro all’anno, mentre nella scorsa stagione ne guadagnava 175 mila netti + il premio da 50 mila.

Andrea Sottil — Udinese

Terza l’Udinese in campionato, terzultimo Sottil in questa speciale classifica. L’uomo sorpresa in questo avvio di stagione è proprio lui: i bianconeri volano in campionato, e il grande artefice è il tecnico. Che guadagna meno, molto meno di tanti suoi colleghi: il suo ingaggio si attesta sui 300 mila euro l’anno.

Giovanni Stroppa/Raffaele Palladino — Monza

Giovanni Stroppa, esonerato dalla coppia Berlusconi—Galliani poco prima della metà di settembre, guadagna (tutt’ora, essendo — ovviamente — ancora sotto contratto) 1 milione netto. Il suo sostituto Palladino, vincente all’esordio contra la Juve, ha un ingaggio cinque volte più basso: 200 mila euro.

Massimiliano Alvini — Cremonese

La Cremonese se lo è dovuto comprare, Massimiliano Alvini, proprio come fosse un calciatore. L’estate scorsa, infatti, la dirigenza grigiorossa ha deciso di puntare sul suo profilo dopo l’addio a sorpresa di Pecchia, artefice della promozione della Cremo ma conquistato dalle lusinghe del Parma in cadetteria. Così la scelta è ricaduta su Alvini, all’epoca sotto contratto con il Perugia. Il club umbro, per liberarlo (e prima di prendere Castori, oggi già esonerato), chiese un indennizzo — si diceva da 500/600 mila euro — che la Cremonese decise di pagare. Non è chiaro, però, quale sia l’ingaggio del tecnico grigiorosso oggi.

Perché si usa l'espressione Zona Cesarini? Da twnews.it il 21 giugno 2022.

Sentiamo spesso espressioni e modi di dire, ma non capisco . Da dove vengono? È il caso della "zona Cesarini". Queste sono due parole che descrivono l'azione intrapresa all'ultimo momento. Ad esempio, tra due amici che alla fine sono riusciti a fare una festa.

"Zona Cesarini" è un'espressione calcistica che nasce negli anni '30 e mostra i gol segnati all'ultimo minuto. Inutile dire che il gergo è usato abitualmente in tutto il mondo del calcio per renderlo più facile da indovinare.

Da lì è nato il "Premio Cesarini", che viene assegnato ai giocatori che riescono a segnare gol in prossimità della scadenza dei 90 minuti. Nel 2021Senigallia premia Kevin Lasagna per un gol in Zona Cesarini: il 21 aprile dello stesso anno, l'attuale giocatore dell'Hellas Verona, vince il premio battendo il Cagliari al 98° posto. .. Quest'anno invece è stato assegnato a Petagna del centravanti del Napoli. Andrea ha segnato 100 punti contro il Venezia di quella cifra. Il gol dell'ultimo minuto che corrisponde al nuovo record della Serie A.

Ma perché si chiama? Controlliamo.

La "zona Cesarini" nasce grazie all'impresa della Juventus Sesalini

La famosa espressione prende il nome dal calciatore autoctono Renato Sesalini. Classe 1906, giocò nella Juventus dal 1929 al 1935. La potente Mezza Ala argentina è uno dei cinque anni d'oro protagonisti di un'anziana signora che ha vinto uno scudetto tra i 31 e i 35 anni. Come titolare regolare, ha giocato 128 partite con 46 gol. Insieme alla squadra di Agneri, ha segnato molti gol (anche se non sempre decisivi) al termine dei tempi regolamentari. Era il suo vero vizio quello di riuscire a metterlo a fine partita.

Un incidente impressionante si è verificato sulla nazionale italiana. La partita è Italia-Ungheria ed è valida per l'International Cup. Era il 13 dicembre 1931, quando Azuri vinse 3-2 a Torino e segnò il 90° di Renato Cesarini. Ha usato un buco nelle Regole del Gioco, che non considerava un fallo una violazione dei suoi compagni di squadra, per segnare un gol decisivo.

In particolare, a lui è stata dedicata l'espressione "zona Cesarini" dopo un valido match contro la nazionale italiana contro l'Ungheria in Coppa Internazionale (predecessore del Campionato Europeo di Calcio). La partita si svolse a Torino il 13 dicembre 1931, con l'Italia che vinse 3-2 grazie al gol di Renato Cesarini al 90°.

Domenica prossima, il giornalista sportivo Eugenio Danese ha dichiarato: "Cesery, dopo il match tra Ambrosiana Inter e Roma (gol a fine secondo tempo e 2-1 per i lombardi). "Nicase" si riferisce alla rete estrema. Da quel momento si cominciò ad usare il termine, cambiando da "caso" a "zona" e prendendo il termine dal ponte.

Da allora commentatori e tifosi parleranno di "Area Cesarini" a partita quasi finita, permettendo a qualsiasi giocatore di ripetere l'abuso della mitica mezzala autoctona. ..

Perché si usa l’espressione Zona Cesarini? Da ligurianotizie.it il 22 Giugno 2022 

Capita spesso di sentire in giro espressioni e modi di dire che però non sappiamo mai da dove nascono. È il caso di “zona Cesarini”, due parole che rimandano ad un’azione fatta all’ultimo momento: ad esempio fra due amici che riescono ad organizzare una festa all’ultimo minuto.

Per “Zona Cesarini” si intende un’espressione calcistica nata negli anni ’30 dove si indicava un gol segnato all’ultimo minuto. Ovviamente com’è facile da intuire il gergo ha superato il mondo del pallone per entrare nell’uso quotidiano.

Da lì è nato anche un premio, ovvero “Premio Cesarini”, consegnato al giocatore capace di segnare una rete vicina allo scadere dei 90 minuti. Nel 2021 Senigallia premia Kevin Lasagna per il suo goal in Zona Cesarini: l’attuale giocatore dell’Hellas Verona, il 21 aprile di quell’anno riuscì a segnare al 98esimo contro il Cagliari, aggiudicandosi il riconoscimento. Quest’anno, invece, è stato conferito a Petagna, centravanti del Napoli. Andrea ha realizzato al minuto 100 contro il Venezia. Una rete last-minute che equivale peraltro ad un nuovo record per la Serie A.

Ma perché si chiama così? Scopriamolo.

La nascita della “zona Cesarini” grazie alle prodezze dello juventino Cesarini

La famosa espressione prende il nome dal calciatore oriundo Renato Cesarini. Classe 1906, militò nella Juventus dal 1929 al 1935. La forte mezz’ala italo-argentina è una dei protagonisti del quinquennio d’oro della Vecchia Signora, vincendo dal ’31 al ’35 lo Scudetto. Titolare fisso, giocò 128 partite con 46 gol. Con la squadra degli Agnelli segnò molti gol allo scadere dei tempi regolamentari (seppur non sempre decisivi). Era un vero e proprio vizio il suo, quello di riuscire a metterla dentro sul finale della partita.

Caso eclatante avvenne con la Nazionale italiana: la partita è Italia-Ungheria, valida per la Coppa Internazionale. Era il 13 dicembre del 1931 e gli Azzurri si imposero per 3 a 2 a Torino, proprio con un gol al 90esimo di Renato Cesarini. Segnò il gol decisivo sfruttando un buco nel regolamento calcistico che non considerava le infrazioni sui propri compagni di squadra come fallo.

L’espressione “zona Cesarini” in particolare gli venne dedicata dopo una partita valida per la Coppa Internazionale (il torneo precursore degli Europei di calcio) giocata con la nazionale italiana contro l’Ungheria. La partita si giocò il 13 dicembre del 1931 a Torino e venne vinta dall’Italia per 3 a 2, grazie a un gol segnato al 90esimo proprio da Renato Cesarini.

La domenica successiva, il giornalista sportivo Eugenio Danese, dopo la partita tra Ambrosiana Inter e Roma (finita 2-1 per i lombardi con un gol allo scadere del secondo tempo), parlò di “Caso Cesarini” per riferirsi alla rete in extremis. Da quel momento in poi si iniziò ad usare questa locuzione, cambiando da “caso” a “zona”, prendendo il termine dal bridge.

Da allora telecronisti e tifosi, quando vedono la partita ormai allo scadere, parlano di “zona Cesarini”, con la speranza che qualsiasi giocatore riesca a riproporre le imprese della mitica mezz’ala oriunda.

I Tifosi. Gianni Santucci per il Corriere della Sera il 9 novembre 2022. 

Nessuno ha intenzione di fare a botte. Ma si scende al fiume « pe' fasse 'na botta ».

(Pillola di romanesco: «farsi una botta», tirare una riga di cocaina). 

Un tizio urla all'amico che s' attarda: « Ahoooo ». Mano destra in alto, mano sinistra ad accarezzarsi la narice. Sorrisone. Non serve il fumetto per interpretare l'invito. Alle sue spalle, dietro un'auto grigia, quattro ragazzi accalcati intorno a un motorino. Hanno girato lo specchietto verso l'alto. Ne hanno ricavato un piano d'appoggio. Uno acchitta le righe (sminuzza e dispone la sostanza), con una tessera da supermercato. Poi, a turno, come un balletto, tutt' e quattro si chinano sullo specchietto. Si rialzano su con uno scatto. Si strofinano rapidi il naso.

Nessuno ha il raffreddore.

Domenica scorsa, 6 novembre, giorno di derby romano; ore 14.20, quasi quattro ore all'inizio della partita, sponda romanista. Popolo di curva Sud. Preparazione al match. Lungotevere maresciallo Diaz è una distesa d'asfalto larga come una piazza d'armi e già militarizzata. Una dozzina di camionette della polizia, due mezzi spara-acqua, quattro jeep, otto cavalli con poliziotti cavalieri. È l'unico punto di possibile contatto con i laziali che sciamano da Tor di Quinto verso la curva Nord. Da una parte, verso lo stadio, gli uffici del Comitato olimpico, viale del Foro italico, l'obelisco Mussolini. Dall'altra, verso il Tevere, i bar ritrovo dei romanisti. Sono qualche centinaio. Ne arrivano sempre più. «Ciao ci ». Aumentano. « Abbello ». Si radunano. « Oh frate' ». Si trovano. « Anvedi chi cce sta ». Molti vanno giù, a pippare tra i bambù.

Dietro i bar c'è una scarpata. Una scaletta di ferro con 25 gradini conduce in via Capoprati: più bassa e riparata (si fa per dire) rispetto al lungotevere stracolmo di polizia; una pista ciclabile, l'asfalto, una fitta corona di vegetazione (fogliame e canne di bambù, appunto). Al di là delle piante scorre l'acqua del fiume. Sopra, davanti ai bar, si tracanna birra da bicchieroni di plastica. Sulla scaletta è una processione.

I quattro del motorino risalgono. Uno rolla subito una canna. L'accende. La passa all'amico in maglietta nera con scritta gialla sulla schiena: «Quando la rabbia diventa azione/Ultras Roma Casal Bertone» (quartiere tra il cimitero del Verano e il Collatino). Il terzo rifiuta di fumare: « Lascia perde', io botta e canna nun je la faccio più ». Due metri più in là, un uomo sulla cinquantina scende da uno scooter. Si sta togliendo il casco. Un amico lo invita giù. Risposta: « Aspetta, nun ce l'ho, c'è ito l'amichetto mio a pjalla » (prenderla). Davanti ai bar ormai è folla fitta. Qualche fumogeno. Alle 14.55 tre ragazzini scendono a farsi la botta ; altri quattro pippano là vicino, appena nascosti tra le piante. 

Due che non hanno neanche voglia di scendere, il pezzo (sassolino di cocaina) se lo scambiano sulla scaletta. Il primo, occhiali Ray-Ban neri a goccia, si ri-infila la bustina di cellophane azzurro nelle mutande, sotto i testicoli: là dove non arriverà mai alcuna mano in caso di perquisizione (l'hashish negli stadi entra da sempre così).

Esplodono due petardoni.

Urla di olé . Risate. « Dajeee ».

Non si scompone chi sta intento a urinare all'ombra dei bambù: la birra alimenta fiotti giallastri sempre più consistenti che luccicano al sole.

Partono i cori: «Noi odiamo la Lazio, noi odiamo la Lazio. Uccidiamoli». Il canto sulla mamma del laziale che intreccia pratiche sodomite e sesso orale non serve ripeterlo, perché a Roma lo conoscono pure i bambini. Alle 16 (cancelli dello stadio aperti), giù al fiume si continua a pippare sugli gli schermi degli iPhone. Unica differenza da prima: ormai nessuna remora. Si pippa en plein air , in mezzo alla strada, inondati dalla meravigliosa luce del sole calante su Roma, che resta struggente qualsiasi spettacolo umano scenda ad accarezzare. 

Cattivissimi Domanda: cosa ha a che fare questo consumo di cocaina indegno e smodato con il calcio? È uno specifico delle vituperate curve? Risposta onesta: no. Chi pippa prima della partita, pippa anche prima della discoteca, della serata, dell'uscita con gli amici. La droga arriva allo stadio perché inonda le città. E così anche per le derive d'estrema destra. Sui marmi ingrigiti del Foro italico campeggiano ancora centinaia di manifesti che commemorano il recente centenario della marcia su Roma. Niente a che fare col derby. È la città.

Solo un po' più visibile, più concentrata qua all'Olimpico: dove s' addensano tutti questi ragazzini che al posto di giallo e rosso sfoggiano sempre più nero nelle felpe e nei giubbotti. Che fondano piccoli clan come «Rnp», ovvero «Roma non perdona» (emblema: un teschio con bavaglio giallorosso). Che s' atteggiano tutti a «sono cattivissimo». E che si mescolano ai quaranta/cinquantenni con gli abiti lisciati, le barbe lunghe, i cappelli da pescatore sulle facce abbronzate di chi porta storie di strada incavate nelle prime rughe, look e modi da vecchia borghesia romana nera e spietata.

Stanno vicini, lupi e lupetti. 

A godersi il brivido da branco del famo paura : che è uguale in tutta Italia, ma a Roma si impasta con un caput mundi da accatto, uno spruzzo di mistica imperial/fascista, un pomposo ricorso al latino (sulle maglie dei «Boys», che hanno appena compiuto 50 anni, sta scritto «ab aeterno»).

L'aggressività galleggia, ma non esplode neppure verso l'intrepido imbecille che alle 16.30 passa da solo accanto a questa massa e urla: « Ammerde! », poi scappa verso la curva laziale, incespica, cade, si rialza e viene infine preso in consegna dalla Digos.

Tempo di entrare allo stadio. Cancelli 18 e 19. L'ingresso è una tonnara. Caos utile a qualcuno. Perché c'è ancora gente che prova a entrare senza biglietto.

Spintarelle Ressa asfissiante. Urla. Per soli due ingressi, una dozzina di steward, altrettanti poliziotti, sei agenti della digos. Buttarsi in due nel tornello è la norma.

Vecchio andazzo delle spintarelle . Roba da anni Ottanta.

Non debellata da biglietti nominali e leggi sulla sicurezza. 

Quando passano in due, vanno fermati per un ri-controllo.

Il flusso s' intasa. La rabbia monta. Bilancio su soli 25 minuti (16.50-17.15:) trentasette persone buttate fuori (perché senza biglietto, o con tagliandi o abbonamenti di altri settori) e sei «saette», ragazzi che nel caos riescono a intrufolarsi e schizzano da centometristi verso lo stadio, dove sarà poi impossibile trovarli (chi scappa è dato per perso, impensabile rincorrere). 

Si sale. Due rampe di scale. Sbocco sui gradoni. Veduta del campo. Sguardo intorno. La curva Sud. Tredicimila persone, al 97-98 per cento uomini, migliaia di sciarpe e magliette della Roma, centinaia di bandiere; tanti bambini e bambine, tra cui una di tre anni che resterà per tutta la partita in braccio al padre: e la domanda più insulsa sarebbe chiedersi se la curva è un posto (solo) di gente che pippa, fuma e entra senza biglietto. La risposta sale dall'energia di questa catasta di esseri umani che urla, sorride, sbraita, inveisce, fischia, canta. Condivide emozioni: e ingloba il male di fuori che si ritrova vicino allo stadio senza averci nulla, ma proprio nulla a che spartire.

PS. Il ricorso a una pratica irrituale c'è stato anche per realizzare questo servizio. Lo stadio era sold out. Il biglietto «introvabile» l'abbiamo recuperato il 31 ottobre su viagogo.com, società svizzera, piattaforma mondiale del secondary ticketing. Il vecchio bagarinaggio. Settore 18 AD, fila 55. Costo: 247,93 euro (30,68 di commissioni e 6,75 di Iva), oltre cinque volte il prezzo nominale, 45 euro. Chi lucra sulla rivendita andrebbe perseguito: ma sguscia regolarmente via, come i ragazzi che sgattaiolano ai tornelli. PS bis. Alla coreografia della curva laziale, la Sud ha risposto con un insistito: «Sembra Napoli». I cori antisemiti degli ultrà biancocelesti a fine partita, dall'altra parte dello stadio, non si sono sentiti.

Milano, il capo ultrà Inter Vittorio Boiocchi e il business di San Siro: «Faccio 80 mila euro al mese con biglietti e parcheggi». Cesare Giuzzi su Il Corriere della Sera il 25 Giugno 2022

Vittorio Boiocchi è stato arrestato nel marzo 2021 per un tentativo di estorsione. Le intercettazioni della polizia svelano gli affari attorno allo stadio Meazza: «Ho fatto avere il posto a due paninari e mi danno una somma ad ogni partita»

«Quando sono entrati sti ca... di cellulari qua sembra di avere...».

«La rovina! Questa è una rovina veramente».

«Eh certo, che è una rovina! Sembra di avere una...».

«Una microspia addosso!».

«Sembra di avere un carabiniere dietro!».

Su due cose sbagliavano Gerardo Toto e il capo ultrà nerazzurro Vittorio Boiocchi. Il problema non erano i cellulari ma la microspia piazzata nell’auto del 69enne e soprattutto quelli che avevano «dietro», in realtà, non erano carabinieri ma poliziotti della squadra Mobile. Boiocchi era stato arrestato il 3 marzo di un anno fa con il «socio» Paolo Cambedda dopo essere uscito dagli uffici dell’imprenditore vittima dell’estorsione da due milioni di euro. In auto avevano uno storditore elettrico, una pistola, e pettorine della guardia di Finanza. Un arresto in flagranza compiuto proprio per il timore che quella sera potessero portare a termine il loro piano. Le indagini però erano già avviate da mesi. E tra le molte intercettazioni registrate dalle cimici piazzate dai poliziotti, guidati da Marco Calì, ce n’è una in particolare, che risale a febbraio 2021, in cui Boiocchi si lamenta con Toto perché «sta perdendo un sacco di soldi con il blocco delle partite e dei concerti».

Boiocchi, le condanne e la Curva Nord

Boiocchi ha trascorso in carcere 26 anni complessivi: 10 condanne definitive per associazione finalizzata al traffico internazionale di stupefacenti, associazione a delinquere, porto e detenzione illegale di armi, rapina, sequestro di persona e furto. Nel 2019 era tornato non solo sugli spalti del Meazza ma aveva ripreso il controllo della Curva Nord interista come negli anni Ottanta e nei primi Novanta quando era tra i capi dei «Boys San». Al suo ritorno era stato protagonista di una scazzottata con il portavoce del tifo organizzato nerazzurro Franchino Caravita. Storia conclusa, ma solo di facciata perché di fatto la corona è rimasta sulla testa di Boiocchi, con una foto «a dito medio alzato» in ospedale tra i due litiganti: il 69enne era stato ricoverato la notte stessa per un attacco di cuore. Il ritorno di un nome tanto pesante aveva sconvolto, e parecchio, le dinamiche del mondo ultrà. Poi il nuovo arresto e i domiciliari concessi a Boiocchi dopo una condanna a 3 anni e 2 mesi.

La gestione dei parcheggi di San Siro

Nelle intercettazioni richieste dai pm Carlo Scalas e dall’aggiunto Laura Pedio, il capo ultrà racconta «che prende circa 80 mila euro al mese tra parcheggi e altre cose. Dice che finalmente erano riusciti a fare una bella cosa con la gestione dei parcheggi, con 700-800 biglietti in mano, due paninari a cui hanno fatto avere il posto che gli danno una somma ad ogni partita». In sostanza, annotano gli inquirenti riportando le parole di Boiocchi «10 mila euro ogni partita». Il business intorno allo stadio Meazza non c’entra nulla con le accuse mosse nei confronti del capo ultrà e degli altri quattro arrestati. E non ha rilievi penali nell’indagine. Possibile si tratti solo di millanterie? La presunzione d’innocenza impone che sia così e lo stesso vale per tutte le accuse mosse dalla procura nei confronti degli indagati. Sempre nelle intercettazioni Boiocchi racconta i vecchi tempi della malavita a Milano con nostalgia, parlando di Guglielmo Fidanzati e di inchieste antidroga che lo hanno coinvolto: «Ringraziamo il signore che li ha fatti vivere questi periodi qui».

Giovanni De Luna per “la Stampa” il 21 giugno 2022.

I tifosi del Torino mi hanno sempre incuriosito. I riti, i lutti, le passioni che li attraversano mi sono sembrati da sempre un'anomalia da guardare anche con una punta di invidia. La loro fedeltà alla squadra è stata modellata sulle sconfitte, su un "albo d'oro" che sembra un necrologio, con le uniche gioie ossessivamente legate agli insuccessi dei rivali bianconeri. In realtà, come tifoso della Juventus, ho scoperto di condividere con loro la stessa malattia, anzi, come scrive Eduardo Galeano, di essere animato dall'identica, «certezza di essere miglior degli altri, che tutti gli arbitri sono venduti, che tutti i rivali sono imbroglioni». 

In una parola siamo tutti tifosi o, se volete, tutti convinti fedeli dello stesso culto. La frase di Galeano è l'incipit del nuovo libro (Tifo. La passione sportiva in Italia) di Daniele Marchesini e Stefano Pivato che ci racconta nei dettagli le modalità della passione sportiva, di come si siano trasformate a seconda delle varie fasi storiche attraversate dall'Italia e, più in generale, dal mondo occidentale. 

Tifo è un termine che designa un male ora debellato dai progressi della medicina ma che ha imperversato a lungo nelle nostre contrade con altissime temperature provocate da febbri che portavano anche a momentanee alterazioni mentali. Di qui l'ovvio paragone con la febbre sportiva che, «contagiosissima, esplode negli stadi e negli altri luoghi dello sport». 

Il termine usato in questo senso, e i suoi derivati come tifoso, tifoseria, tifare, esistono però solo nella lingua italiana; in questa accezione è entrato nel nostro vocabolario nel periodo successivo alla prima guerra mondiale; per la precisione, come ci informa il libro, nel 1923, quando Giovanni Dovara, sulla rivista II calcio di Genova, ne scrisse come di un «fenomeno di passione acuta a tal punto da rivestire e da assumere, in certi casi e in certe persone, i fenomeni più strani, più patologici». 

Dall'universo calcistico la parola transitò poi negli altri sport così che, alla fine degli anni Trenta, veniva ormai usata senza virgolette quando nel gergo sportivo si trattava di indicare «proprio il fatto di parteggiare, simpatizzare in forme accese per qualcuno».

Questi tratti si diffusero in maniera così larga da indurre Pivato e Marchesini a usare, al posto del tifo, termini che rinviano direttamente al mondo del sacro e del divino - si parla comunemente di una "fede" granata, o bianconera o giallorossa - così da attribuire a quello stato d'animo una dimensione decisamente religiosa. Religio etimologicamente significa qualcosa che lega, che tiene insieme, che indica i confini di un perimetro all'interno del quale ci si riconosce tutti in una comune appartenenza fondata sul medesimo "credo".

 Noi tifosi, più che dalla stessa malattia, siamo quindi uniti dal fatto di condividere forme specifiche di adorazione nei confronti degli idoli dello sport, eroi della moderna società di massa, che ne «rispecchiano e interpretano valori e attese diffusi»... 

Quando i romanisti inneggiano alla "magica Roma" trasportano il mondo della magia in quello del sacro restando sempre nella sfera del soprannaturale, adepti di un culto in cui «tutti desiderano partecipare alla natura semidivina dei propri eroi» (Edgar Morin).

Come tutte le religioni il tifo va esplorato studiandone i miti, i luoghi di culto - gli stadi, i ring, le palestre, le salite delle gare di ciclismo - e di memoria, i riti che si strutturano e i comportamenti che ne conseguono, l'adorazione dei corpi degli atleti che si spinge fino alle loro camere da letto, le manifestazioni di cordoglio per la loro morte, le fotografie usate come santini, i tappi, le biglie, le figurine che ne amplificano il mito, le canzoni (ricordate il Bartali di Paolo Conte) fino ai mezzi di comunicazione di massa della modernità novecentesca (stampa, radio, cinema, televisione), la loro più diffusa cassa di risonanza. 

Oggi è la rete ad amplificarne la presenza in modo quasi ossessivo: Cristiano Ronaldo può arrivare a guadagnare 975 mila dollari per ogni post pubblicato sul suo profilo personale di Instagram. 

La ricognizione di Marchesini e Pivato parte da lontano, dall'ottocentesco gioco del pallone a bracciale che propose gli sferisteri come i primi templi dove si celebrava il culto dell'eroe... Trasposizione pacifica degli antichi tornei cavallereschi quel tipo di sport non comportava necessariamente spargimenti di sangue ma restava ancora intriso di tutta violenza che derivava dalle sue origini belliche. 

Poi questa carica di aggressività andò assottigliandosi, imbrigliata in regole e procedure che accompagnarono il processo di civilizzazione che investì tutto il costume del mondo occidentale, e anche lo sport, nell'intento di «espellere dai giochi pubblici non solo il ricorso alla violenza ma anche di plasmare l'individuo di una società più raffinata» (Norbert Elias).  

La violenza, però, non è mai stata cancellata del tutto e si è ripresentata, enorme, eccessiva, con la fine del '900. Dal 1990, la curva dei tifosi della Stella Rossa Belgrado era stata il vivaio delle "Tigri di Arkan. eljko Ranatovi, "Arkan", fu incriminato dall'Onu per crimini contro l'umanità, essendosi reso protagonista di atti di genocidio e di pulizia etnica nel corso delle guerre che insanguinarono la ex Jugoslavia. Aveva cominciato la sua carriera proprio sugli spalti del Marakana (lo stadio dove gioca la Stella Rossa) diventando il leader indiscusso degli ultrà e schierando tutta la curva sulle posizioni nazionaliste più radicali.

 Quando iniziò la guerra con la Croazia fu incaricato di organizzare una milizia di volontari reclutando i suoi uomini tra i tifosi più violenti; furono tremila che risposero al suo appello; con il nome ufficiale di Guardia Volontaria Serba (successivamente modificato in Tigri), a partire dall'autunno 1991 questa unità paramilitare fu schierata lungo la frontiera serbo-croata massacrando migliaia di persone. Nel 2000, eljko Ranatovi fu assassinato nell'Hotel Intercontinental di Belgrado. In quell'occasione, nella curva della Lazio si materializzò uno striscione con su scritto "Onore alla Tigre Arkan".

I versi della passione. Il carattere tutto italiano di tifare (calcio e ciclismo) con gli striscioni. Daniele Marchesini e Stefano Pivato su L'Inkiesta il 9 Giugno 2022.

Come spiegano Daniele Marchesini e Stefano Pivato nel loro ultimo libro (Il Mulino), l’abitudine proviene dal mondo della politica e, all’inizio, distingue gli ultras dagli hoolingas inglesi. Fino a pochi anni fa era possibile esporre scritte offensive e macabre che oggi, per fortuna, sono proibite

Se si sfogliano i settimanali sportivi fino agli anni Sessanta e si fissa lo sguardo sulle fotografie che ritraggono gli spalti degli stadi un dato balza immediatamente agli occhi: le immagini restituiscono una sequenza di volti senza soluzione di continuità. A partire dall’inizio degli anni Settanta il panorama cambia decisamente: soprattutto nelle curve fanno la loro comparsa quegli elementi scenografici destinati a mutare per sempre lo scenario: gli striscioni. Inneggianti alle squadre o ai propri beniamini, offensivi nei riguardi dei presidenti o delle squadre avversarie, diventano presenze familiari delle domeniche calcistiche degli italiani.

È a partire dall’inizio degli anni Settanta che la politica entra negli stadi e importa dai cortei studenteschi o dalle manifestazioni dei metalmeccanici il tazebao introdotto dalla rivoluzione culturale cinese come strumento di dialettica politica. Quella che viene allora definita la «democrazia sui muri» si trasferisce dalle piazze e dalle strade nelle curve degli stadi. Lo striscione diventa da quel momento un elemento caratteristico che contraddistingue il tifo degli italiani: infatti mentre in Inghilterra o in altri paesi europei la passione calcistica si esprime prevalentemente in maniera verbale, in Italia lo striscione rappresenta, assieme all’abbigliamento (sciarpe e cappelli) o a congegni sonori (tamburi e strumenti a fiato), uno dei mezzi di comunicazione principali della fede sportiva. Anzi, uno dei discrimini per distinguere gli ultras dagli hooligans è proprio quello dello striscione. Mentre il tifo degli hooligans è rappresentato da forme clandestine, spesso non prive di manifestazioni di violenza, quello degli ultras si palesa attraverso una chiassosa visibilità.

Le scritte impiegano spesso forme linguistiche del tutto originali che si adattano a essere recitate attraverso canti e cori la cui finalità è quella di esprimere sentimenti diffusi di esaltazione e partecipazione.

Fra il 2007 e il 2010 una serie di disposizioni e divieti ha regolamentato l’uso del linguaggio proibendo il ricorso a un lessico che suonasse come allusione o incitamento alla violenza. Fino a quella data non è raro notare sugli spalti, allorché a giocare è la squadra del Torino, allusioni macabre alla tragedia di Superga del maggio 1949: «Quando volo penso al Toro», «Da Lisbona a Torino era meglio il motorino» o «Solo uno schianto» accompagnano il tifo contrario alla squadra granata. A quei cartelli i torinisti rispondono spesso con pesanti allusioni alla tragica finale di Coppa dei Campioni giocata fra la Juventus e il Liverpool il 29 maggio 1985, in striscioni nei quali campeggiano scritte come «Disonore ai morti dell’Heysel» o «Grazie Heysel».

A volte quelle scritte rinviano a uno storytelling che si dipana nel corso delle varie partite. Agli inizi degli anni Ottanta, in una partita in cui il Napoli ospita il Verona, i due amanti più famosi del mondo entrano nella contesa calcistica con «Giulietta è ’na zoccola», a cui sarebbe seguito «Romeo è cornuto».

Ma le partite fra le squadre del Sud e quelle del Nord sono spesso occasione per striscioni non sempre benevoli come quelli appena menzionati. I tifosi del Nord replicano spesso a quelli del Napoli e di altre squadre del Meridione con feroci slogan come «Vesuvio lavali col fuoco» e il suo omologo «Vesuvio facci sognare». O ancora, «Dai quartieri spagnoli ai Campi Flegrei Vesuvio regalaci un’altra Pompei». Oppure «Napoli colera», quest’ultimo in allusione all’epidemia che colpì la città partenopea nel 1973. Di analogo tenore lo slogan che la tifoseria del Verona dedica a quella del Catania durante una partita di un campionato degli anni Novanta: «Forza Etna». 

Spesso gli striscioni celebrano gli idoli del calcio, come quello, rimasto famoso, che i tifosi del Brescia dedicano a Roberto Baggio durante il campionato 2001-2002 e che allude alla singolare acconciatura del giocatore: «Dio c’è e ha il codino». Di tenore opposto e di sapore vagamente darwiniano è invece la scritta rivolta a Rino Gattuso, noto per la sua grinta agonistica: «L’uomo discende da Gattuso».

Più rare sono forme di idolatria espresse dal pubblico nei confronti dei campioni del pedale. Fra tutte quella rivolta a Marco Pantani: «Dio c’è ed è pelato».

E quando il campione scompare le tifoserie sono pronte a ricordarlo ai lati della strada o nelle curve degli stadi. Come succede quando per le strade del Giro compaiono scritte come «I tuoi scatti sono leggenda. Il tuo sorriso è nei nostri cuori. Grazie Pirata!!!» o «Bandana al vento e sguardo in salita nel tuo ricordo per tutta la vita! Marco vive!».

Anche nel calcio lo striscione rievoca spesso le figure dei campioni prematuramente scomparsi. Fra tutte le dediche alla tragedia di Superga che puntualmente rivivono negli striscioni dei tifosi torinisti: «Onore ai caduti di Superga» o «Maggio 1949: Lisbona non dimentica. Onore al Grande Torino».

Presenti anche ironiche allusioni sessuali allorché i tifosi della Fiorentina espongono uno striscione rivolto alla squadra del Barcellona in occasione di una partita dell’edizione 1999-2000 della Champions League: «Voi avete Figo, noi la Figa».

Ai tifosi viola viene attribuita una vena goliardica del tutto particolare che qualche studioso fa risalire alla poesia burlesca di Cecco Angiolieri. Come quando, nel 2005, Lapo Elkann, nipote di Gianni Agnelli, nume tutelare della Juventus, è coinvolto in una storia di droga con contorni di carattere sessuale. In quell’occasione i tifosi viola esibiscono striscioni che recitano: «Nuova panda trans: stupefacente!»; «Mancano strisce? Chiedi a Lapo» (accompagnato da una zebra privata delle strisce bianche); «La dieta Lapo: il giorno in bianco, la sera tre finocchi». I tifosi viola hanno la memoria lunga se oltre dieci anni dopo quell’episodio innalzano uno striscione nel quale si legge: «Se Lapo aveva i’naso di Chiellini dovevate vendere la Fiat pe’ mantenerlo».

L’allusione sessuale sembra meno ricorrente nelle scritte e negli striscioni dei tifosi del ciclismo. Nello sport delle due ruote, che per anni ha tifato attraverso l’asciuttezza di scritte come «Viva Coppi e Abbasso Bartali», recentemente ha fatto capolino un linguaggio di impronta decisamente più goliardica. Come in occasione della tappa del Giro d’Italia Tolmezzo-Sappada del 21 maggio 2018 allorché sull’asfalto un anonimo tifoso scrive: «Tenete duro che in cima c’è la figa».

La differenza tra gli slogan degli appassionati di calcio e quelli del ciclismo sembra rinviare alla diversa natura delle tifoserie dei due sport: se sugli spalti degli stadi si respira spesso un clima di violenza, sulle strade del Giro, o del Tour, regna un’atmosfera di festa e di sagra paesana. Come nel 1949, quando Dino Buzzati sulle pagine del «Corriere della Sera» assimila il Giro a una favola destinata a durare nel tempo davanti alla quale gli italiani si trasformano in bambini, quasi fossero di fronte a «una delle ultime città della fantasia»:

Dalla sperduta baita scenderà ancora il taglialegna a gridarvi evviva, i pescatori saliranno dalla spiaggia, i contabili abbandoneranno i libri mastri, il fabbro lascerà spegnere il fuoco per venire a farti festa, i poeti, i sognatori, le creature umili e buone ancora si assieperanno ai bordi delle strade, dimenticando […] miserie e stenti.

da “Tifo. La passione sportiva in Italia”, di Daniele Marchesini e Stefano Pivato, Il Mulino, 2022, pagine 280, euro 22 

I Commentatori. Alessio Pediglieri per fanpage.it il 15 aprile 2022.

"Andiamo a Berlino!". Tre parole che racchiudono un intero universo attorno all'evento più importante di tutti gli sport, un Mondiale. Una frase che – dall'oramai lontano 2006 – è entrata a fare parte dell'immaginario collettivo calcistico italiano, nella quale convergono emozioni, gioie e ricordi straordinari della cavalcata azzurra in Germania. Merito di Fabio Caressa, giornalista, conduttore, autore, commentatore, la cui voce ci ha accompagnato in quell'estate dorata in cui abbiamo potuto partecipare al trionfo della nostra Nazionale su tutto e su tutti.

Come anche la scorsa estate agli Europei, a 15 anni di distanza. Insieme a Caressa, in una lunga chiacchierata esclusiva nella redazione di Fanpage.it, abbiamo rivissuto quei momenti irripetibili e tanti altri, tra il suo mondo e il calcio di ieri, oggi e domani. Affrontando anche l'amarezza dell'ultima esclusione dell'Italia dai Mondiali, che lo stesso Caressa senza mezzi termini o giri di parole ha definito "la più grande sconfitta di sempre del calcio italiano".

Fabio, nel 2006 come nacque quella frase, "Andiamo a Berlino", che ancora oggi ti identifica?

"Ha segnato una buona parte della mia carriera, ma non c'era alcunché di preparato o artefatto. Tutto nasce da un carissimo amico, che non c'è più, con cui viaggiavo nel 2006 e che mi ripeteva sempre: "Facciamo le valigie e andiamo qui e là". E allora mi è venuta questa frase, che è stata poi quella che ha trascinato me e Beppe. Mi ricordo che prima della partita, mentre ci avvicinavamo allo stadio, parlavo con un collega e dicevo: "Oggi la faccio così, andiamo come viene, la faccio di pancia perché gli italiani oggi la sentono di pancia"".

E della finale cosa ti ricordi?

"Tutto. Ricordo che faceva caldo, che abbiamo fumato una sigaretta di nascosto prima della partita, che prima dell'inizio dei supplementari cercavo di fumarne una seconda e arrivò un inserviente che mi disse che non potevo. Gli risposi malissimo. Dopo quella partita ero sfatto: c'è una foto in cui sono abbracciato con Beppe, stremati per le emozioni e il caldo. L'avevamo giocata anche noi e finita in piedi, urlando".

A proposito di Beppe Bergomi: siete una coppia inscalfibile.

"Praticamente è come se fosse mio marito, siamo sposati dal 1999. Facemmo una prova di telecronaca commentando un vecchio Juventus-Milan, uscimmo da quella saletta e io dissi subito a Beppe: "Sei nato per fare questo mestiere qui". Nessuno ha i tempi di Beppe, l'intervento secco, il non parlare più del 30% tempo. Non parla tanto, ma dice le cose: è portato, ha un dono naturale".

Un altro compagno di viaggio, che però ha preso una strada differente, è stato Lele Adani.

"Lele è molto preparato, se mi posso permettere un po' preconcettuale in alcune cose, ma è tipico di chi ha un pensiero molto forte. Lele è un emotivo e con grande trasporto cerca di trasmettere agli altri. Il suo addio a Sky? Credo che nella vita arrivino dei momenti professionali in cui certe idee, tra linee editoriali e libertà di pensiero, non collimano più. In quei casi è meglio separarsi, piuttosto che proseguire con la bocca storta. Ora lui ha trovato anche uno spazio importante e sono molto contento".

Lo stesso spazio che ospita le opinioni di Antonio Cassano, a volte molto critico anche con voi di Sky.

"Spesso le cose che urla vengono riferite a noi del Club ["Sky Calcio Club", programma d'approfondimento condotto da Fabio Caressa, ndr], un po' come se ce l'avesse con noi. Recentemente si è detto che ce l'avesse con Di Canio, fatto che lui stesso ha smentito. Io penso che parlasse in generale: un uomo che ha fatto del coraggio espressivo tutto il suo credo e la sua vita, nel caso parlasse di qualcuno in particolare, avrebbe avuto il coraggio di dire con chi ce l'aveva".

Tornando al percorso al fianco della Nazionale: in cosa sono stati diversi gli ultimi Europei?

"Io ci credevo abbastanza, ma chi ci credeva per davvero era Beppe. Io ero l'unico che ci credeva nel 2006. La scorsa estate invece era Beppe, dalla prima partita. La finale è stata una grande emozione, forse anche più grande del 2006. Primo, perché avevo consapevolezza; secondo, perché venivamo dalla pandemia; terzo, perché era la prima finale che vedeva mio figlio a casa, partecipe quindi partecipava; quarto, perché non sapevamo con Beppe se avremmo continuato dopo degli Europei ancora insieme; e quinto, perché sentivamo con Beppe che il percorso era molto simile a quello del 2006, a livello di emozione crescente".

Ti sei fatto un'idea di cosa sia successo contro la Macedonia?

"Bisognava ricostruire quella bolla e non è facile. Ti resta in testa la memoria della finale, ma nella partita dopo devi ricominciare da capo e non trovando quella stessa emozione poi la paghi, come è accaduto agli azzurri. Cercavano nella testa le stesse emozioni che però non potevi ritrovare, perché non eri alla fine di un percorso ma all'inizio di uno nuovo. Pensare adesso solo al 2026 è un grande dolore, ma abbiamo deciso di rimanere con gli stessi uomini che avevamo. Credo sia giusto che Mancini abbia deciso del suo futuro perché è un uomo che ha vinto. Ma non escludo che avverranno novità: è stata nettamente la più grande sconfitta della storia del calcio italiano e nei prossimi due mesi diventeremo un po' più razionali su quello che bisogna fare per colmare questo vuoto".

Un vuoto che abbraccia due generazioni di ragazzi, che cresceranno senza sapere cosa significa avere l'Italia ai Mondiali.

"La cosa che mi dà più fastidio è mio figlio che è del 2009 e non ha ancora visto un Mondiale con l'Italia. Hai voglia a dire che ce ne sono talmente tanti davanti che non te ne accorgerai neanche: invece sono proprio quelli gli anni in cui i ragazzi si avvicinano al calcio. Il primo Mondiale ce lo ricordiamo tutti, generalmente è la prima cosa che vedi del pallone e quindi questo lascerà un buco incolmabile. Poi Mancini decide liberamente, la Federazione decide liberamente, però non la liquidiamo come fosse una cosa normale perché se no è un dramma. Significherebbe che ci stiamo abituando a non giocare un Mondiale".

Intanto ci stiamo abituando ad un nuovo racconto dello sport e del calcio. Nuovi player, streaming, i social…

"Credo moltissimo nei nuovi canali. Ritengo che possano diventare una forte community e una forte aggregante di opinioni sul pallone. Si può fare indirizzando le scelte sulla strada di ciò che vogliono i fruitori del calcio, ovvero i tifosi che abbiamo abbandonato in questi anni. È cambiato il rapporto di fruizione e l'ha cambiato internet. C'è bisogno di interattività, intesa come un pensiero comune, per dare forza ai cambiamenti. Un atteggiamento proattivo, una circolazione di idee proficua".

Si è fatto un errore in questi anni?

"Credo che oggi si sia andati troppo oltre sul numero di partite che vengono trasmesse. Alcune partite di scarso interesse bisogna metterle tutte insieme. E il prodotto va lavorato ancora di più, non farlo sarebbe un errore. Soprattutto sulla presentazione e il post delle partite. La creazione dell'evento, insomma. Perché oggi quello che funziona sono gli eventi in diretta". 

Claudio Savelli per “Libero quotidiano” il 13 aprile 2022.

Le pagelle de L'Equipe, primo quotidiano sportivo francese, sono famose perché particolarmente spietate. È consuetudine vedere dei voti come 1, 2 o 3 che in Italia, invece, sono una sorta di tabù per i giornalisti. 

Il nostro sistema di valutazione deriva da quello scolastico ed è prigioniero delle sue contraddizioni: occupa una scala da uno a dieci ma non usa gli alti né i bassi, riducendo lo scarto a disposizione a quattro voti, dal 4 all'8, e aggiungendo i mezzi voti per ripristinare un numero dignitoso di sfumature. Un controsenso. A quel punto, meglio creare un sistema di valutazione alternativo e ambizioso, in grado di offrire una visione meno banale delle partite. 

In un articolo online ripreso da Rivista Undici, The Athletic ha descritto i particolari voti de L'Equipe, provando a spiegarne le ragioni e le conseguenze che possono avere sui calciatori. Perché se da un lato quel tipo di valutazione può portare valore al dibattito, dall'altro i giocatori possono risentirne in termini psicologici.

Un noto nome della Premier League, che ha preferito l'anonimato, ha ammesso che «tutti i giocatori danno importanza alle valutazioni dei giornalisti: un voto può farti arrivare perfino a dubitare delle tue sensazioni, della tua analisi critica, quindi della certezza di aver giocato bene o male». 

Lorenzo Pellegrini, capitano della Roma, ha di recente spiegato che «se non leggiamo le pagelle sui giornali, le scoviamo sui social». Gigi Riva ha ricordato come la sua conoscenza con Brera, colui che elevò le pagelle a genere letterario, fosse iniziata proprio con un 5. Dagli archivi di Repubblica si legge che Filippo Inzaghi telefonava ai giornalisti per chiedere lumi sui voti: cercava spunti per lavorarci su in allenamento. Si dice che Maradona, dopo un 3,5 in pagella, attese un cronista sotto la sede di una tv privata per dirgliene quattro. Ecco perché non si va più sotto il 4, forse.

Chissà come avrebbe preso un voto de L'Equipe, allora. Lionel Dangoumau, caporedattore del quotidiano, ha spiegato che «Dieci è perfetto, 9-eccezionale, 8-molto buono, 7-buono, 6-sufficiente, 5-medio, 4-insufficiente 3-cattivo, 2-molto cattivo, 1-catastrofico. Lo zero è riservato agli antisportivi o ai violenti». Spietati. «Non basta segnare un gol per avere un 8 o un 7»: è un punto chiave, questo, perché in Italia il bonus condiziona troppo il voto.

Conta più la prestazione o il gesto? Serve una riflessione visto che una cosa è certa: i giornali non rinunciano alle pagelle perché attraggono tutti: chi le scrive (i giornalisti leggono quelle dei colleghi), chi ne è oggetto (i giocatori, gli allenatori e gli arbitri) e il pubblico. Sono più semplici da capire e veloci da leggere rispetto ad un'analisi. E se il pagellista è capace, attraverso le sue poche righe si vede una partita o la si rivede da un'altra prospettiva. In tal caso, merita un 10. Altrimenti un 2 in stile Equipe.

Aldo Grasso per il Corriere della Sera il 13 aprile 2022.

Supertele. Leggero come un pallone è il nuovo programma di Pierluigi Pardo su Dazn, a completare il weekend calcistico. 

Nel titolo c'è l'omaggio al pallone più diffuso in Italia, quello con cui tutti abbiamo dato due calci ovunque, prodotto ad Alba (tanto per sottolineare il primato delle Langhe). 

Mi sto ancora chiedendo perché Mediaset abbia tolto Tiki Taka a Pardo per affidarla a Piero Chiambretti ma the answer, my friend, is blowin'in the wind. Mi sto anche chiedendo perché ogni volta che vedo Marcello Lippi cambio canale (la risposta è in Sampdoria-Torino del 12 marzo 1972 quando l'arbitro Barbaresco di Cormons non convalidò il pareggio di Agroppi che avrebbe permesso al Toro di vincere il campionato. A respingere il tiro dentro la porta fu Lippi che, da vero sportivo, non disse nulla).

Mi chiedo anche perché Pardo, così bravo a scivolare da un tema all'altro, ad affrontare l'alto e il basso che il calcio offre, inviti tanta gente. Sembra di partecipare a una di quelle tavolate all'aperto con venti o trenta ospiti dove ognuno parla per conto suo e non si riesce a imbastire un discorso; sembra di andare sull'ottovolante («È tutto un giro in tondo» ammette lo stesso conduttore). Se solo elencassi i presenti mi brucerei tutto lo spazio della noterella. C'era persino Stefano Boeri a spiegare architettonicamente le punizioni di Roberto Carlos, ma siccome con l'archistar ci ho giocato, sia assieme sia contro, mi astengo da ogni commento. Da tempo ho deciso di dare consigli solo a chi ne sa più di me, solo così i suggerimenti possono apparire preziosi. Quando in un programma si invitano troppe persone si crea l'effetto «club degli amici» e lo spettatore tende a sentirsi escluso (se invita il figlio di Lippi perché non invita anche me?). Pardo fu sommerso dal suo stesso senso di ospitalità e se questa non è una finezza, non so proprio cosa sia.

Da tuttomercatoweb.com l'11 aprile 2022.

"Simeone, che catenaccio. È il vecchio calcio degli anni '60". Intervistato da La Gazzetta dello Sport, Arrigo Sacchi torna sulla sconfitta dell'Atletico Madrid contro il Manchester City in Champions League: "È un modo di giocare che stanca il pubblico. La gente chiede chiede bellezza, emozioni. Che emozioni regala un lancio di cinquanta metri?". 

L'aneddoto su Pelé. Sacchi poi racconta un episodio che lo ha visto protagonista insieme a Pelé: "Ho seguito con lui Italia-Olanda agli Europei del 2000. Vincemmo ai rigori, dopo una gara passata tutta nella nostra metà campo. Mi disse: 'Peccato, avete dei buoni giocatori ma non sapete giocare a calcio'. Ecco, l'Atletico gioca allo stesso modo".

Ivan Zazzaroni per il “Corriere dello Sport” l'8 aprile 2022.

«Villarreal, Atletico, Real Madrid… oggi mi ha telefonato un giornalista spagnolo, mi ha detto che dalle sue parti va forte il calcio all’italiana». Fabio Capello aggiunge ogni volta una battuta, una frase, un tono, una prospettiva capaci di illuminare perfino il passaggio più scontato, la più elementare delle valutazioni. Lo trovo in gran forma, dentro ogni sua risposta c’è un sorrisetto tra l’ironico e il caustico.  

Fabio, ma l’hai visto l’Atletico? 

«Eh».  

Che risposta è, “eh”? Primo sorrisetto.

«Divertente, sì, molto».  

Mi prendi in giro. 

Secondo sorrisetto.

«Si è messo lì per non consentire al City di fare quello che voleva. Sai come diceva Ancelotti?».  

Li abbiamo chiusi nella nostra area? È di Mancini, se non sbaglio, non di Carlo.

«L’obiettivo di Simeone era quello di non subire gol. Uno l’ha preso, ma adesso a Madrid può giocarsi la qualificazione». 

Sacchi sulla Gazzetta l’ha definito un calcio preistorico. 

«Noi siamo quelli della costruzione dal basso. I passaggini laterali, tanti simpatici scambi col portiere moltiplicati dalla regola che consente di passarsi il pallone all’interno dell’area. La ricerca immediata della superiorità numerica, come dicono quelli più bravi di me. Ah, importante... (Terzo sorrisetto, poi non li conto più, promesso). Alla fine nel calcio vince la qualità, non c’è discussione. Foden fa due dribbling, serve De Bruyne e il gioco è fatto».  

È la stessa cosa che l’altra sera mi ha scritto un importante allenatore di serie A. Ti leggo il suo messaggio: «Palla a Foden, ne salta 2, vincono...». 

«Oggi non esistono più i difensori forti e i portieri fanno bei regali, vedi uno dei tre gol di Benzema. Gli avversari non vanno aiutati a batterti e gente come Carlo (Ancelotti, nda), Simeone e Emery lo sa bene. Guarda un po’ come sono finite le tre partite delle spagnole. Quelli che dicono “noi siamo noi e ce la giochiamo alla pari con i più forti” mi fanno ridere. Giocano alla pari per retrocedere». 

Un quadretto sconsolante. 

«Da noi la palla non gira velocemente, saltella, non scorre in modo fluido. E non farmi parlare degli arbitri».  

Parliamone invece. 

«Sono tutta un’interruzione. Fermano il gioco ad ogni secondo, i contrasti per loro sono sempre punibili e puniti e così le nostre squadre non imparano a tenere alto il ritmo. Siamo rimasti indietro, in tutti i sensi, il problema principale però è che quelli bravi non vengono più in Italia, così manca il confronto con i migliori. Io non imparo nulla se quello che dovrebbe aiutarmi a crescere è del mio stesso livello, ha le mie stesse conoscenze, esperienze identiche».  

La qualità, già.

«Vlahovic è tra i migliori insieme a Haaland e Mbappé».

Lo dice Allegri. 

«Vlahovic mi piace molto, ha velocità, struttura, voglia di fare e di migliorare, la testa è a posto, si muove da attaccante da area, ma sa anche lavorare per la squadra. Max ha ragione quando dice che deve imparare a giocare in un top club. E quindi, oltre che per la squadra, con la squadra, governando tensioni e pressioni, le tante fasi della partita».  

Prova a dare un consiglio a Dybala che a ventotto anni si ritrova “esodato”. 

«Faccia un salto da Padre Pio».  

La soluzione è a San Giovanni Rotondo? 

«Deve pregare di non farsi più male, è solo questo il suo problema. Lo vogliamo discutere tecnicamente? Negli ultimi due anni ha avuto noie di ogni genere, anche un’infezione urinaria, e ha giocato troppo poco. Se in salute - sì, la salute - è un top». (Fa una pausa) «Un consiglio? Stai bene a Torino? Proponi alla Juve un contratto di un anno, sfidala, rimettiti in gioco e dimostrale di nuovo quanto vali».   

Approfitto della tua consulenza: a Zaniolo cosa diciamo? 

«Stesso discorso, ha avuto due infortuni gravi, è stato fermo 18 mesi, un anno e mezzo in due tempi, capisci? Deve solo ritrovarsi atleticamente. Recuperi la fiducia nel proprio fisico, l’esuberanza, la buona tecnica non gli manca. Fino a poco tempo fa parlavamo di lui come di uno dei talenti del nostro calcio. Cosa è cambiato?».  

Deve risintonizzarsi con Mourinho. A proposito del quale, ti rileggo la frase pronunciata dopo la partita con la Samp: «Se ci fosse un altro allenatore, secondo me, si parlerebbe di gioco fantastico. Siccome sono io..»». 

«Ha ragione. A Genova ho visto una bella Roma. Ha fatto la partita perfetta. Ha pressato, rubato palla, è ripartita rapidamente e ha segnato. Ha vinto bene, senza tante storie».  

Anche Mou rientra nella categoria dei preistorici? 

«Voi giornalisti vi divertite ad appiccicare etichette, alimentando pregiudizi. Non farmi dire». 

Cosa? 

«Niente nomi, ma quando sento parlare di spartito, di percorso, quelle cose lì insomma, mi viene l’orticaria».  

Ho capito. Ma non avendo più un euro, come facciamo a risalire? 

«Gli stadi, ci vogliono, le infrastrutture. Lì siamo giurassici».  

Vuoi dire che per i prossimi cinque, sei anni non se ne parla. 

«Anche otto anni. Da noi intervengono i comitati di quartiere, la politica, le Belle Arti, il tale assessore che segnala le speculazioni da evitare. Blocchi, solo blocchi... I settori giovanili? Suggerisco a chi di dovere di fare un bel viaggetto in Spagna dove la formazione dei ragazzi è in prevalenza tecnica, non tattica».  

«Da molto tempo ripeto che stiamo copiando il calcio di Guardiola di quindici anni fa. Fino a quando non avremo capito che il modello al quale ispirarsi è quello tedesco non andremo avanti, perché se vogliamo fare come gli spagnoli, che hanno una tecnica superiore, non otteniamo che il 50 per cento del loro risultato. Dobbiamo copiare i tedeschi nella determinazione, nel gioco in verticale e nella profondità. In Italia lo fa solo l’Atalanta». 

Chi l’ha detto? 

«Non fare il furbo».  

Hai dimenticato il Toro, il Verona. 

«Vero, ma con minore qualità e non certo per colpa di Juric e Tudor».  

Continui a puntare sul Napoli per lo scudetto? 

«È la mia favorita, lo dissi in tempi non sospetti e lo ripeto ora che è in corsa».  

In tempi non sospetti, certo. 

«Arrivo prima degli altri. Ha l’allenatore giusto, Spalletti possiede l’esperienza e la convinzione che servono. Il punto di forza è la difesa, concede poco».  

La notte del 24 marzo invocasti anche tu le dimissioni di Mancini? 

«Roberto è l’unico che può risollevare la Nazionale, ne conosce pregi, difetti, limiti, potenzialità».  

Toglimi una curiosità: ti hanno mai invitato a tenere una lezione a Coverciano? 

«No... Ho vinto troppo poco. Fammi un favore».  

Anche due. 

«Scrivi che sono di Sky».  

Perché, pensi che non si sappia?

Aldo Grasso per il "Corriere della Sera" il 18 febbraio 2022.

Una modesta proposta. Provo a lanciare un invito alla direzione sportiva della Rai, di Mediaset, de La7, di Sky, di Dazn, di Prime Video e di tutte le piattaforme che trasmettono partite di calcio. E se provassimo a contingentare i tempi d'intervento della seconda voce? Qualche parola di spiegazione al 20° e al 40° di ogni tempo (minuto più o minuto meno non importa), giusto per illustrare le tattiche delle squadre e aggiungere qualche osservazione non proprio scontata.

Provo a spiegare i motivi della stravagante richiesta. C'è stato un momento (anni fa) in cui la seconda voce serviva a vivacizzare il racconto della partita e le cose per un po' sono andate bene. Il telecronista, però, ha cominciato a patire la presenza dell'esperto (come se lui non lo fosse) e a coprire con la sua voce l'intera partita, senza un attimo di respiro. La qual cosa, prima di tutto, è fastidiosa per l'udito, impedisce di sentire i rumori del campo, sancisce il ritorno alla radiocronaca, come se le immagini fossero un inutile orpello. 

Un secondo motivo è che non tutti gli ex calciatori o gli ex allenatori (e non parliamo degli allenatori che sognano ancora un posto) sono capaci di far emergere la loro imparzialità e di astenersi, all'orecchio del tifoso, da quella pratica sgradevole che va sotto il nome di «gufaggine».

Ma non è questo il vero problema: la foga di spiegare tutto e l'ansia di interpretare ogni singola azione, tolgono al calcio una delle componenti più seducenti, la casualità. A volte (Liverpool-Inter), una partita non è altro che il risultato naturale di un'assurda, e talvolta persino triviale, concatenazione di eventi (i famosi «episodi»). Quasi tutte le telecronache mostrano un'ancestrale paura del silenzio, non capendo che la pausa serve per attribuire un giusto e autentico valore alle parole, il più delle volte logore e superficiali (quando sento la frase «l'inerzia della partita» sto male).

Ivan Zazzaroni per corrieredellosport.it il 19 febbraio 2022.

Se la Juve fosse davvero questa e se Vlahovic, sotto trattamento Bremer dopo una potente dose di Demiral, non fosse la cura sperata (solo una breve crisi di rigetto?) risulterebbe dura anche col Villarreal. D’accordo, ieri le assenze erano numerose e concentrate in un solo settore, al punto che Alex Sandro è stato impiegato da centrale, ma la squadra di Allegri si è fatta sottomettere troppo spesso dal Toro, più aggressivo, equilibrato, superiore numericamente a centrocampo e uscito vincente da quasi tutti i duelli. Anche Zakaria non ha dato quel che gli è stato richiesto e sul piano dinamico la mediana è tornata a subire l’irruenza degli avversari.

Alla vigilia Allegri aveva sottolineato l’importanza del punto, del pari, nell’arco di una stagione. Ma troppi punti unici, cinque nelle ultime dodici partite, non fanno volume e possono complicare qualsiasi inseguimento. Proseguo con i se. Con le ipotesi, toccando più punti, temi, protagonisti e momenti. Tanto è sabato. 

Se tra metà ottobre e metà dicembre il Napoli non avesse dovuto fare a meno di Osimhen, Koulibaly e Anguissa, sarebbe primo in classifica oggi? E se il Milan, e se fibra come Ibra... vabbeh, non si finisce più. 

Se, dopo l’Atalanta - di queste ore la trattativa per la cessione - un’altra società di serie A dovesse passare allo straniero il campionato risulterebbe diviso in parti uguali: 10 italiane e altrettante di fuori. Con un’eventuale undicesima, poi, le proprietà straniere rappresenterebbero la maggioranza semplice, addio frenate di blocco (va detto che la gestione del club bergamasco resterebbe nelle mani di Luca Percassi, molto ascoltato in via Rosellini, ma non tanto quanto l’avvocato Cappellini).

Ricordo quando mesi fa - da New York - Massimo Basile scrisse su questo giornale che negli Stati Uniti stava partendo un progetto di multiacquisizione dei club italiani. Qualcuno sorrise, allora, qualcun altro potrebbe presto piangere sul potere perduto. Se il più volte evocato - e puntualmente abbandonato - canale della Lega dovesse soffrire degli stessi, enormi, ancorché prevedibili, disturbi di fibra di Dazn e Amazon, piattaforme giuste nel Paese sbagliato, temo che il progettino naufragherebbe in fretta. 

Se qualche appassionato dovesse seguire il torneo americano delle squadre di serie A organizzato dalla Lega per tenere in forma i calciatori durante i Mondiali, sarei costretto a prendere un gattino a Lucia.

Se in questa fase Valentina Vezzali avesse evitato di aprire gli Internazionali d’Italia a Djokovic - consapevole, dopo il caso Australia, di aver scelto il percorso a rischio - ieri non avremmo registrato richieste di dimissioni del sottosegretario con delega allo sport. Vero è che a Djoko non servirebbero deroghe, ma ci sono momenti in cui l’istituzione dovrebbe tener conto dei criteri di opportunità. Se Ninna Quario, mamma di Federica Brignone, ci avesse risparmiato la seconda manche del gigante di antipatia nei confronti di Sofia Goggia, probabilmente avrebbe ottenuto qualche consenso in più. E invece si è beccata il Tapiro dalla stessa Goggia: «Parla sempre di me e dice che sono egocentrica: il Tapiro dovremmo darlo a lei», ha spiegato l’argento olimpico a Staffelli di Striscia. «Una madre fa tutto per il figlio, ma non deve fare anche il figlio e la parte del figlio» (cit. Aldo Busi).

Se Arianna Fontana si fosse goduta il frutto delle sue fantastiche imprese senza riproporci la litania di lamentele nei confronti della squadra e della Federazione, la spedizione olimpica e l’umore di Malagò ne avrebbero tratto giovamento. 

Se non avessi perculato il curling durante una trasmissione radiofonica, mi sarei risparmiato un sacco di offese: purtroppo non so tenere a freno la lingua. Resta inteso che il curling non mi piace. Ma rispetto i 333 curlinghi e il loro prezioso oro. Se mio nonno avesse avuto le ruote sarebbe stato mio nonno con le ruote, non una carriola, e l’avrei amato ugualmente tantissimo.

Se aveste lavorato con il gigante della tipografia Orlandone Zelinotti, che ci ha appena lasciato, potreste dire di aver conosciuto un uomo di altissimo valore, un maestro di giornali.

Calciatori anni 80, le mogli: da Cabrini a Zenga e Paolo Rossi. Prima di Wags, veline e influencer com’erano le compagne. Carlos Passerini su Il Corriere della Sera il 12 febbraio 2022.

Dalla signora Maradona alla prima delle cinque mogli di Matthaeus: le Wags prima delle Wags. Un viaggio nell’epoca d’oro del calcio italiano.

Le Wags prima delle Wags

Che bello il calcio anni Ottanta. E che belle le Wags degli anni Ottanta. Wags è l’acronimo di «Wives And Girlfriends», ovvero mogli e fidanzate, un termine nato qualche anno fa, massimo una decina. E che onestamente non rende molto l’idea, se parliamo delle mogli e delle fidanzate dei calciatori dei magnifici anni Ottanta. Che, almeno a vedere queste splendide fotografie raccolte dall’imperdibile pagina Facebook «soloanni80 il calcio più bello del mondo», erano parecchio diverse da quelle di oggi.

Walter Zenga con Roberta Termali

Walter Zenga con Roberta Termali, da cui il portiere ha avuto due figli, Nicolò e Andrea. Zenga ai tempi giocava nell’Inter. Conduttrice televisiva, aveva affiancato nel 1995 su TELE+ Aldo Biscardi nella conduzione de Il processo di Biscardi. Era stata inoltre valletta anche a L’appello del martedì, trasmissione sportiva presentata da Maurizio Mosca. I due hanno anche lavorato in tv assieme, al fianco di Fabio Fazio.

Maradona con Claudia Villafane

Claudia è stata per anni la moglie di Diego Maradona. Il 7 novembre 1989, con una cerimonia storica per Buenos Aires, si sposò con Diego. Alle nozze furono invitati circa 200 invitati tra cui star del calcio, giornalisti e due famosi artisti italiani: Fausto Leali e Franco Califano. Oggi lavora in tivù in Argentina.

Van Basten e il matrimonio in un castello a Utrecht nel 1993

Il grande Marco Van Basten con la moglie Liesbeth, ai tempi del Milan. Liesbeth van Capelleveen il nome completo. Olandese come il Cigno di Utrecht, dove si sono sposati nel 1993 in un castello alla periferia della città. La coppia ha tre figli: Rebecca, Angela e Alexander.

I riccioli di Prytz

Robert Prytz e la signora ai tempi dell’Atalanta. Il centrocampista svedese giocò nella squadra bergamasca nel 1988/89, poi andò al Verona e ci restò fino al 1993. Ha chiuso la carriera nel 2002/01, in Scozia, all’Hamilton Academical. Nel 1986 vinse anche il Guldbollen, il premio calcistico assegnato dal quotidiano Aftonbladet e dalla Federcalcio svedese per premiare il miglior giocatore di Svezia.

Cvetkovic (prende gol) sul divano

L’attaccante serbo arrivò all’Ascoli nel 1988. Qui «gioca» con la moglie nel salotto di casa. Notare il divano di finta pelle, grande classico dell’epoca. «In attacco abbiamo Cvetkovic, un giocatore di valore europeo», disse il mitico Costantino Rozzi, suo presidente. Ma in verità il serbo faticava parecchio a segnare: sbagliava troppi gol. I tifosi marchigiani lo chiamavano «l’Anguilla di Karlovac», per la sua abilità nello sgusciare tra le difese avversarie.

Breheme (aiuta) ai fornelli

Andreas Brehme qui con la moglie ai fornelli di casa. Il tedesco ha giocato nell’Inter dal 1988 al 1992. In Italia ha vinto anche il Mondiale del 1990, segnando il gol vittoria nella finale con l’Argentina di Maradona all’Olimpico di Roma.Poi ha avuto una serie di disavventure che lo hanno portato a essere in grosse difficoltà economiche.

Il matrimonio di Vignola

Beniamino Vignola ha giocato con Juventus, Avellino, Verona e Empoli. Con Madama ha vinto uno scudetto e una Coppa Campioni. Eccolo il giorno delle nozze. Oggi «Franco», come lo chiamavano tutti, gestisce insieme proprio alla moglie e ai figli un’azienda di ricambi e riparazioni di vetri per auto. Il calcio è un lontano ricordo: «Molti miei colleghi di allora lavorano in tv, ma io non ho tempo per prepararmi bene e se non ti prepari fai brutte figure, non sai cosa dire».

Andrea Carnevale e Paola Perego

Andrea Carnevale, ex attaccante, oggi lavora per l’Udinese. Quando giocava, è stato sposato con la showgirl Paola Perego. Una delle prime coppie che univano calcio e mondo dello spettacolo. Fu una delle coppie più cool del tempo. Hanno avuto due figli, Giulia e Riccardo, ma nel 1997 la Perego chiese il divorzio. Nel 2011 Paola Perego si è sposata con il suo compagno e agente Lucio Presta.

Le cinque mogli di Matthaus

La sua vita sentimentale è stata a dir poco movimentata. È stato sposato per cinque volte. Con Silvia, la prima moglie, dal 1981 al 1992 e ha avuto due figlie, Alisa e Viola. Dopo è arrivata Lolita Morena, presentatrice tv svizzera, per cui ai tempi dell’Inter faceva delle piccole fughe da Appiano Gentile al termine di ogni allenamento. Con lei Lothar ha avuto Loris, il terzo figlio. La storia finisce nel ‘99, e nella vita del tedesco irrompe Marijana Kostic, che diventa la sua terza moglie il 27 novembre 2003. Quattro anni e va in fumo anche questo matrimonio. Così Lothar durante l’Oktoberfest conosce la modella ucraina Kristina Liliana Chudinova, di 27 anni più giovane di lui, e se ne innamora: la sposa a Las Vegas, il 3 gennaio del 2009. Non andrà bene neanche stavolta.

I baffi di Schachner

Walter Schachner, attaccante austriaco, ha giocato in Italia a metà anni Ottanta con Torino e Avellino. Qui con la moglie al mare.

Il balletto di Juary

Il brasiliano Juary (1959) è stato uno dei simboli del calcio anni Ottanta. I suoi balletti attorno alla bandierina sono tuttora un cult anche su Youtube. Qui è con la compagna Marcia ai tempi dell’Avellino. Oggi allena i ragazzini nelle scuole calcio. Sempre col suo irresistibile sorriso.

Il gioco di Rijkaard

Franck Rijkaard è stato uno dei fari del Milan degli anni Ottanta: dominatore assoluto del centrocampo. Indimenticabile il suo gol vittoria nella finale di Coppa Campioni 1990 contro il Benfica al Prater di Vienna. Qui è con la prima moglie, Carmen Sandries, alla quale era legato ai tempi del Diavolo. Dopo il divorzio si è risposato una seconda volta, poi ha divorziato di nuovo. Ora sta con la terza moglie, Stephanie Rucker. Rijkaard ha avuto successo anche da allenatore vincendo una Champions col Barcellona nel 2005, ma nel 2014 ha detto basta. Si è ritirato.

Il televisore di Tricella

Roberto Tricella, difensore, ha giocato con Inter, Verona, Juventus e Bologna. Notare la televisione dell’epoca. Iinsieme a Garella e Volpati, è stato uno dei leader del Verona scudettato del 1985. Dopo la carriera da calciatore è tornato a vivere nella sua Cernusco sul Naviglio intraprendendo una carriera nel settore immobiliare.

Pablito, ci manchi

Simonetta Rizzato è la prima moglie di Paolo Rossi, scomparso nel 2020. La conobbe a Vicenza e dal loro matrimonio nacque Alessandro. Nel 2010 Pablito aveva sposato in seconde nozze Federica Cappelletti: con lei ha avuto altre 2 figlie, Maria Vittoria e Sofia Elena.

La difesa di Ferri

Riccardo Ferri, difensore di Inter e Sampdoria, oggi è un apprezzato opinionista televisivo. Riccardo è stato sposato con Viviana Tirelli, dalla quale ha avuto due figli: Marco Ferri e Stefano. Oggi la sua compagna si chiama Giada Manfredini.

Voeller in gita

Rudi Voeller, mito della Roma, a passeggio nel centro della città che lo accolse e lo coccolò. Quando il 7 giugno 1987 arrivò nella Città Eterna, il tedesco scelto dal presidente Dino Viola aveva con sé la moglie tedesca Angela e i figlioletti Marco e Laura. Nella capitale il loro rapporto si sciolse amichevolmente e Rudi si mise con una ragazza romana, Sabrina Adducci. «Vola tedesco vola, la curva s’innamora» cantava la Sud.

La spiaggia di Neumann

Herbert Neumann, centrocampista tedesco, su una spiaggia italiana. Aveva giocato con Udinese e Bologna.

Il tempo di Rizzitelli

Ruggero Rizzitelli, attaccante. Bandiera della Roma, giocò anche nel Bayern Monaco in Germania. Rizzitelli ha raccontato di recente di avere seri problemi economici, dopo una truffa subita: «Tra il 1989 e il 2000 ho investito tra i 2 milioni e mezzo ed i 3 milioni di euro, tutto quello che ho guadagnato nella mia intera carriera di calciatore. Non mi resta più nulla».

L’indimenticato Scirea con Mariella

Il grande Gaetano (1953-1989) con la moglie Mariella e il figlio Riccardo.Univa la grandezza d’animo all’essere campione. In un’intervista al Corriere, la signora Mariella ha detto: «Gae era un uomo speciale e allo stesso tempo normalissimo. Uno di noi. No, non lo sto idealizzando, non è una favola. Oggi i calciatori fanno i divi, si atteggiano da grandi e gratta gratta sotto non c’è niente»

Il «condor» Agostini

Massimo Agostini, detto il Condor, ha giocato anche con Milan e Napoli.

I guantoni di Lorieri

Fabrizio Lorieri ha difeso la porta di Inter, Roma e Torino. Ha chiuso nel 2004 col Cuoio Cappiano

Il mitico Marulla, re di Cosenza

Gigi Marulla è stato una bandiera Cosenza, in cui militò per 11 campionati. Scomparso nel 2015, gli hanno dedicato lo stadio di Cosenza. Qui è cona moglie Antonella. Nel settembre s orso a Marulla è stata consegnata cittadinanza onoraria post mortem di Cosenza.

Il mare di Bianchi

Alessandro Bianchi, centrocampista, ha militato sa lungo nell’Inter

Lo scudetto di Lombardo

Attilio Lombardo è stato uno dei simboli della Samp scudettata

Briegel

Hans-Peter Briegel, tedesco, in serie A ha giocato con Verona e Sampdoria.

Il dribbling di Baccalossi

Evaristo Beccalossi con la famiglia sul balcone di casa. Il «Becca» è cresciuto nel Brescia, ma ha giocato nei suoi anni migliori con l’Inter. Idolo indimenticato di San Siro.

La tuta da sci di Mark Hateley

Il mitico «Attila» (al secolo Mark Hateley) sulle nevi con la famiglia. Notare la tuta da sci perfettamente anni Ottanta.

Calciatori anni 80: com'erano. Dalla Lancia Thema di Gullit all’autoradio di Garella al montone di Baggio: le foto (irresistibili). Carlos Passerini su Il Corriere della Sera il 2 Febbraio 2022. 

Uno spaccato dell’epoca d’oro del nostro pallone. La Vespa di Rummenigge, la Mercedes di Baggio con la collezione di audiocassette, fino alla mitica Ferrari nera di Maradona.

Baggio, radica e montone

Montone due taglie più largo, gel nei capelli, musicassette, interni in radica, ciondolo della Fiorentina lungo mezzo metro. Era la fine degli anni 80, Roberto Baggio scorazzava per le vie di Firenze con la sua Mercedes: un’epoca, un mondo, in una foto. Nostalgia canaglia. Quanto era bello il calcio di quell’epoca. E quanto erano belli i calciatori. Su Facebook, per i cultori del genere, segnaliamo una pagina eccezionale dove queste immagini abbondano: «soloanni80 il calcio più bello del mondo».

Garella con l’autoradio sotto il braccio

Con l’autoradio sempre nella mano destra, cantava Toto Cotugno. Mica era un modo di dire: ecco il mitico Claudio Garella, uno dei simboli del calcio anni 80. Celeberrime le sue parate con i piedi. «Garella è il più forte portiere del mondo. Senza mani, però» disse di lui Gianni Agnelli. Beppe Viola coniò il termine «garellate» per certi suoi interventi naif. Garellik comunque ha vinto due scudetti: col Verona nel 1985 e col Napoli nell’97.

La Saab turbo di Vialli

Quando nel 1992 Gianluca Vialli passa dalla Sampdoria alla Juventus, guida una Saab Turbo.

Gullit a Milanello con la sua Lancia Thema

Due dita di fango. Ma Ruud Gullit alla sua Lancia Thema 2.4 TD ci teneva un mondo, assicura chi lo vedeva arrivare a Milanello. Era il 1987.

Rummenigge sulla Vespa (in due)

Paul Breitner e Karl-Heinz Rummenigge in sella a una Vespa Primavera rossa. Era di Breitner, che possedeva anche un Maggiolone.

Beccalossi che lava l’auto

Evaristo Beccalossi ai tempi dell’Inter (1978-1986) lava l’auto. Chissà se qualche calciatore di oggi lo fa.

Bersellini e Bergomi che spingono un’auto in panne

Bersellini e Bergomi si prestano anche a spingere un'auto in panne. Notare, in alto a sinistra, un giovane e magrissimo Spillo Altobelli che osserva la scena.

Voeller, affidabilità tedesca

Rudi Voeller (Roma, 1987-1992) indica la targa della sua Bmw. L’affidabilità tedesca, in una foto.

Maradona con la Ferrari (del colore sbagliato)

Diego Maradona con la sua Ferrari nera nel ritiro di Storo, in Trentino, dopo il Mondiale vinto nel 1986. Il suo manager Guillermo Coppola dovette convincere Enzo Ferrari a produrre un modello di colore nero, che non era previsto.

Calciatori anni 80: com’erano. Dalla tromba di Conti alla naja di Vialli alle galline di Vignola. Carlos Passerini su Il Corriere della Sera l'8 Aprile 2022.

Uno spaccato dell’epoca d’oro del nostro pallone, dove tutto sembrava più semplice. Dalla naja di Ferrara e Vialli a Matteoli pescatore, dal maglione di Bruscolotti ai Rui Barros versione giullare.

Canà in barriera con la Roma

Basta la parola: calcio anni 80. Nostalgia canaglia. Quanto era bello il pallone di quell’epoca. E quanto erano belli i calciatori. Su Facebook, per i cultori del genere, segnaliamo una pagina eccezionale dove queste immagini abbondano: «soloanni80 il calcio più bello del mondo». Eccone una serie. Partiamo con questa chicca: Lino Banfi (alias ovviamente Oronzo Canà) in barriera con Carletto Ancelotti e Odoacre Chierico.

Ferrara e Vialli: quando c’era la naja

Queste foto sono lo spaccato d’un tempo lontano. Allora c’era il servizio di leva obbligatorio. E toccava anche ai calciatori professionisti, che infatti poi giocavano nella «mitica» Nazionale Militare. Qua sotto, da sinistra Paolo Baldieri (ex Roma), Ciro Ferrara e Gianluca Vialli.

Zico sbarca a Udine (e niente Austria)

Nell’estate del 1983 il presidente dell’Udinese, Lamberto Mazza, annuncia il trasferimento di Zico per 6 miliardi di lire. L’affare venne però inizialmente bloccato dalla Federcalcio e questo provocò la sollevazione dei tifosi friulani: molti di essi scesero infatti in piazza in città agitando dei cartelli con la scritta «O Zico o Austria». Alla fine il tesseramento fu approvato. L’arrivo di Zico in città è ricordato ancora oggi.

Le galline di Valigi

Claudio Valigi, 60 anni, iniziò a giocare nella Ternana nel 1976. Al termine del campionato 1981-82 si trovò nel mirino di alcune squadre di serie A, finendo per essere acquistato dalla Roma che precedette di un soffio il Milan. Nel 1983 vinse lo scudetto con i giallorossi. Liedholm gli affibbiò il nomignolo «erede di Falcão» per via di una certa somiglianza nello stile di gioco con il campione brasiliano. ma l’etichetta non gli portò bene. Oggi fa l’allenatore.

I baffi di Boniek

Zibì Boniek con le sue maglie «italiane»: Juventus (1982-1985) e Roma (1985-1988). Polacco, oggi è vicepresidente dell’Uefa. Indimenticabile il nomignolo che gli riservò Gianni Agnelli: Bello di Notte, perché segnava sempre in Coppa, le uniche partite che si giocavano di sera.

Il Bologna di Maifredi, Corioni e... Tomba

Una festa al Dall’Ara di Bologna con... Alberto Tomba, bolognese e tifoso doc. A destra, Gino Corioni, allora presidente del club rossoblù, che portò dalla serie C all’Europa grazie a Gigi Maifredi in panchina. Nel 1992, Corioni passò poi al Brescia, la squadra della sua città.

La tromba di Bruno Conti

Mondiale spagnolo del 1982, che finì come ricordiamo bene: qui un momento di allegria con Bruno Conti che suona la tromba. Il grande Gaetano Scirea sullo sfondo sorride. Che squadra, quella del Mundial.

Simone con mamma e papà (e la maglia dell’Under 21)

Gel, capello a spazzola. Corre l’anno 1988 e Marco Simone, ai tempi al Como, festeggia con mamma e papà la prima convocazione con la Nazionale Under 21. La partita era contro Malta: 8-0, Simone andò a segno. Il 6 luglio 1989 viene acquistato per 6 miliardi di lire dal Milan di Arrigo Sacchi.

Rui Barros vestito da giullare?

L’aggettivo «funambolico», oggi in disuso, gli calcava alla grande: Rui Barros aveva un dribbling diabolico. La Juventus lo acquista nel luglio 1988 per 7,5 miliardi di lire. Nella prima stagione in maglia bianconera segna 15 reti, nella successiva è tra i protagonisti del double continentale Coppa Italia-Coppa Uefa. Dopo 19 gol in oltre 90 partite durante il suo biennio a Torino, verrà ceduto al Monaco.

I maestri della panchina traditi dai rigori

Azeglio Vicini e Arrigo Sacchi: qui il primo era commissario tecnico della Nazionale, mentre il secondo guidava il Milan. Anni di grandi successi per entrambi, ma più in generale per il nostro calcio, che ai tempi dettava legge. Vicini, un gentiluomo vero, è scomparso il 30 gennaio del 2018. Arrivò terzo al Mondiale di Italia ’90. Sacchi prese il suo posto e perse ai rigori il Mondiale americano del 1994.

Beccalossi lava l’auto

Evaristo Beccalossi ai tempi dell’Inter (1978-1986) lava l’auto. Chissà se qualche calciatore di oggi lo fa. (Dubitiamo)

Il maggiolone di Klinsmann

All’Inter dal 1989 al 1992, Jurgen Klinsmann è uno dei simboli dell’età dell’oro del nostro calcio, quello dei tre stranieri per squadra. All’Inter erano lui, Lothar Matthaus e Andreas Brehme. Klinsmann, che quelli della Gialappa’s avevano ribattezzato la Pantegana Bionda, tornò in Italia nel 1997 per giocare nella Sampdoria.

I Vignola Brothers

I fratelli Vignola giocano a pallone davanti a papà e mamma. Beniamino, classe 1959, ha giocato con Verona, Avellino, Juventus, Empoli e Mantova. Nella foto è quello di destra. Oggi è imprenditore: ha lasciato completamente il calcio.

I ricci di Salsano

Oggi Fausto salsano ha 59 anni. Centrocampista, giocò con Empoli, Parma, Sampdoria, Roma e Spezia. Curiosità: ha vinto la bellezza di cinque Coppe Italia. Oggi è uno dei collaboratori più stretti di Roberto Mancini, commissario tecnico della Nazionale azzurra. Salsano era all’Europeo vinto nel 2021.

Bruscolotti, fedelissimo di Diego

Giuseppe Bruscolotti, qui con la moglie, ha legato la sua carriera agonistica principalmente al Napoli, squadra nella quale militò dal 1972 al 1988 per 16 stagioni, di cui 5 da capitano. Ha vinto il primo e storico scudetto (1986-87), due Coppe Italia (1975-76 e 1986-87). Era legatissimo a Diego Maradona.

Matteoli il pescatore

Gianfranco Matteoli è nato nel centro esatto della Sardegna, a Ovodda. nel Cagliari ha giocato dal 1990 al 1994, dopo i 4 anni all’Inter. Centrocampista offensivo, vinse con i nerazzurri di Giovanni Trapattoni lo scudetto dei record. Nel 2016 a Palmas Arborea, in provincia di Oristano, apre il Centro Sportivo Simba, centro di formazione ufficiale dell’Inter per la crescita di giovani calciatori.

Uomini e allenatori d’altri tempi

Enzo Bearzot e Carlos Bilardo: il primo vinse il Mondiale del 1982 con l’Italia, il secondo quattro anni dopo in Messico guidò al trionfo l’Argentina di Diego Maradona. Qui la stretta di nano fra i due all sorteggio del Mondiale 1986. Bearzot è morto nel 2010.

Il gusto di Balbo

Abel Balbo, argentino di Empalme Villa Constitución, classe 1966, attaccante, sbarcò in Italia dal River Plate nel 1989: l’Udinese fu la sua prima squadra in serie A. Poi giocò con Roma, Parma, Fiorentina. Oggi fa il procuratore.

Baggio, radica e montone

Montone due taglie più largo, gel nei capelli, musicassette, interni in radica, ciondolo della Fiorentina lungo mezzo metro. Era la fine degli anni 80, Roberto Baggio scorazzava per le vie di Firenze con la sua Mercedes: un’epoca, un mondo, in una foto. Nostalgia canaglia. Quanto era bello il calcio di quell’epoca. E quanto erano belli i calciatori. Su Facebook, per i cultori del genere, segnaliamo una pagina eccezionale dove queste immagini abbondano: «soloanni80 il calcio più bello del mondo».

L’autoradio di Garella

Con l’autoradio sempre nella mano destra, cantava Toto Cotugno. Mica era un modo di dire: ecco il mitico Claudio Garella, uno dei simboli del calcio anni 80. Celeberrime le sue parate con i piedi. «Garella è il più forte portiere del mondo. Senza mani, però» disse di lui Gianni Agnelli. Beppe Viola coniò il termine «garellate» per certi suoi interventi naif. Garellik comunque ha vinto due scudetti: col Verona nel 1985 e col Napoli nell’87.

Il ceffone di Rosati a Cozzella

Serie B 1983/84. I protagonisti sono l’allenatore del Pescara, Domenico Rosati e l’estroso attaccante biancazzurro Vittorio Cozzella. È il 2 ottobre 1983 e allo Stadio Adriatico si gioca la partita Pescara-Como. I padroni di casa conducono 2-0. Cozzella è colpito da una testata di un giocatore comasco e finisce a terra, reagisce e si fa espellere. L’arbitro, il signor Giancarlo Pirandola della sezione di Lecce, non ci pensa due volte ed estrae il cartellino rosso all’indirizzo di Cozzella, che prende la via degli spogliatoi. Tom Rosati prima gli rifila un violento ceffone. Amarcord anni 80.

La banda di Schachner

L’austriaco Walter Schachner fra i componenti della banda di Caldaro dove il Torino si trova in ritiro. Data: 5 agosto 1985. Schachner era arrivato in Italia nel 1981 a Cesena.

Maradona intervista Galeazzi

Chi non la ricorda? Diego Maradona e Giampiero Galeazzi negli spogliatoi del San Paolo dopo la vittoria del primo indimenticabile scudetto del Napoli, anno 1986.

L’Ascoli del mitico Rozzi

Costantino Rozzi, presidente Ascoli, insieme al suo allenatore Carlo Mazzone. Era inizio anni Ottanta.

La discoteca di Tacconi

Campionato 1983-84, la Juventus festeggia lo scudetto numero 21: Stefano Tacconi e Paolo Rossi scatenati in discoteca. Anche la disco è perfettamente anni Ottanta: notare le luci.

L’impresa di Pierino Fanna

È uno dei sei calciatori italiani (insieme a Giovanni Ferrari, Filippo Cavalli, Sergio Gori, Aldo Serena e Attilio Lombardo) ad aver conquistato lo scudetto con tre società differenti: nel suo caso Juventus, Verona e Inter.

I corner contro la fisica di Palanca

Massimo Palanca, classe 1953, il re di Catanzaro. Era un fuoriclasse assoluto sui calci d’angolo: ben 13 gol dalla bandierina. Iconico.

Le trecce di Gullit

Ruud Gullit con Yvonne, la prima moglie sposata ad Amsterdam nell’86. Ruud ha giocato col Milan dal 1987 al 1994.

Storie di numeri uno

Giuliano Giuliani, a sinistra, col collega Walter Zenga. Il primo è scomparso nel 1996.

Berlusconi & Liedholm

Nils Liedholm, a destra,nel 1986 col presidente Silvio Berlusconi. Il Barone svedese guidò il Milan dal 1984 al 1987. È morto il 5 novembre 2007 ad 85 anni a Cuccaro Monferrato, dove possedeva dal 1973 un’azienda agricola: la tenuta “Villa Boemia”.

Ivan Zazzaroni per corrieredellosport.it il 29 gennaio 2022.

Sarà perchè è sceso - o salito, fate voi - da un altro pianeta, quello dei motori, ma nel ruolo di amministratore di una società di calcio, Maurizio Arrivabene ha appena completato un importantissimo acquisto seguendo alla lettera le regole (incredible but true) e correndo scientemente qualche rischio anche personale: se non gli fosse riuscito il colpaccio, apriti cielo: nel giro di tre giorni sarebbe passato da bravo ragazzo (peana a go go in corso d’opera) a testa di cazzo (cit. Guido Mazzetti, il guru di Galliani). Non a caso nella fase più complicata della trattativa qualcuno gli ha sentito pronunciare questa frase con la tipica inflessione bresciana: «Io non posso cambiare il calcio, ma il calcio non può cambiare me».

E allora ho pensato: rispettare le norme e fare comunque centro è dunque possibile. E io che credevo che in Italia bisognasse agire sempre al contrario per avere successo... Da tempo - lo ricordo - la Juve pensava a Vlahovic. Ma per giugno: una grande punta figurava in cima ai desiderata dell’allenatore. All’inizio della scorsa settimana, verificati i limiti offensivi della squadra e le urgenze finanziarie del club, Arrivabene ha tentato l’accelerazione - questa, sì, da Formula 1 - provando ad anticipare i tempi.

Ha mostrato i numeri che aveva elaborato a Andrea Agnelli, il quale li ha girati al Cfo. Nel preciso momento in cui è arrivato il via libera di Elkann il Nostro - che da oggi è Partebene - ha preso contatto con la Fiorentina e incontrato il suo omologo Barone per capire se ci fossero i margini per sviluppare la trattativa. Trovata facilmente l’intesa, è passato al secondo step avvicinando gli “amici” di Vlahovic, il cui contratto scadeva nel giugno 2023. 

Per un paio di giorni, proprio sulla scorta dell’accordo tra le società, Ristic, agente con un solo assistito, e compagni han giocato al rialzo tanto sulle commissioni quanto sull’ingaggio del calciatore, ma poi il clima (pessimo) che si era creato a Firenze, le attese della tifoseria juventina e la prospettiva di perdere un contratto principesco (da 1 milione netto bonus inclusi a 7 più bonus) e una commissione monstre li hanno indotti a favorire la conclusione dell’affare, giunta nel tardo pomeriggio di giovedì 27.

L’aspetto delle commissioni, inquadrato ieri nel fondo di Barbano, mi porta a ribadire un concetto: fino a quando i club verseranno cifre folli per le mediazioni non potranno fare le vittime. La crociata generalizzata contro gli agenti è un paravento che non regge più. La stragrande maggioranza dei procuratori non strangola i club: anzi, aspetta da anni di essere saldata. I limiti oltre i quali non si può andare dovranno imporli per primi i club e, in seconda battuta, le istituzioni. Gli agenti, quelli “buoni” ma soprattutto quelli “cattivi”, non potranno fare altro che adeguarsi.

In meno di una settimana alla Salernitana il 66enne Walter Sabatini ha mosso - e fatto - più cose che nei due anni bolognesi. Ora è finalmente libero: libero di testa e libero di operare in totale autonomia. Niente più controlli: deve solo rispettare gli equilibri più naturali, il suo e quello del club per il quale lavora. A Bologna era entrato nel posto giusto, sbagliato era il momento. A Salerno è giusto tanto il posto quanto il momento. Dice: cosa c’entra Sabatini con Vlahovic? Nulla, ma ce l’avevo sulla punta del polpastrello ingobbito (altra cit. Vladimiro Caminiti).

Giustizia sportiva, quando il Senato nel 59 d. C. squalificò l’arena di Pompei. Dal primo caso, raccontato da Tacito, al codice del 2014 e alle norme che mirano a garantire un “giusto processo” e autonomia per l’intero sistema. Lucio Giacomardo, Avvocato, segretario dell’associazione “Sport e Diritto, su Il Dubbio il 23 maggio 2022.

Sport è vocabolo inglese dall’incerta o quanto meno dubbia etimologia. Secondo una tesi, l’origine sarebbe neolatina, dal desport francese, corrispondente, più o meno, all’italiano “diporto”. C’è pure chi, partendo dal notevole sviluppo presso i popoli anglosassoni di tale attività, rivendica alla lingua inglese non solo la maggior diffusione ma l’introduzione stessa del vocabolo. In ogni caso, comunque, tutti concordano sull’origine illustre e remota dell’Educazione Fisica e dello Sport, sì da poter considerare il fenomeno sportivo nato con l’uomo. E tale affermazione non appaia azzardata se messa in relazione ai primitivi bisogni dell’uomo che si allenava nella corsa, nel lancio, nella caccia e nella pesca per potersi procacciare da vivere e, nel contempo, imparare a difendersi efficacemente.

La linea di sviluppo dell’idea di sport comincia così lentamente a delinearsi: dalla corsa, il salto, il lancio, ispirati da istinti naturali, si passa ad esercizi più complessi come l’attraversamento di corsi d’acqua, il correre montando su animali solo per il gusto del gioco, del divertimento. Può dunque affermarsi, senza tema di smentite, che lo sport accompagna il corso di epoche storiche. Lo studio della materia rimanda alle manifestazioni in auge presso le antiche civiltà, con la nascita dei giochi pan-ellenici, sino all’istituzione, nel 776 avanti Cristo da parte di Ifito, re di Elide, delle Olimpiadi. Ed è a partire da tale data che, per concorde ammissione, si fa risalire la pratica sportiva organizzata, disciplinata secondo precise regole per lo svolgimento delle gare e per la stessa partecipazione ad esse.

È sin troppo semplice affermare che all’epoca erano del tutto sconosciuti concetti quali la distinzione tra dilettantismo e professionismo, la corruzione, gli abbinamenti pubblicitari, le plusvalenze, il doping e la violenza, termini che purtroppo appare oggi quasi “naturale” accoppiare alla pratica sportiva. Anche se, ricercando attentamente, si possono ritrovare di tanto in tanto tracce di episodi che sembrano di scottante attualità, come la violenza negli stadi. Racconta infatti Tacito nel libro XIV degli Annales che all’incirca nel 59 d.C. ci fu una furibonda rissa tra Pompeiani e Nocerini per lo spettacolo di Gladiatori che tale Livineio Regolo organizzava. L’episodio, per quanto riferito dallo storico latino, ebbe una insolita conclusione decretata dal Senato dell’epoca, in veste quasi di Giudice sportivo ante litteram che “squalificò” l’arena per dieci anni e mandò in esilio l’organizzatore Livineio.

In una concezione ideale dell’attività sportiva, fondata sul rispetto del principio di lealtà e correttezza che, come condivisibilmente ebbe a scrivere il professor Raffaele Caprioli, “deve ispirare il comportamento dei singoli e dei gruppi nei rapporti con gli altri soggetti della comunità sportiva e nell’applicazione delle regole del gioco” forse non vi sarebbe spazio, se non per la semplice omologazione dei risultati delle competizioni agonistiche, per gli organi di Giustizia sportiva. Viceversa, proprio in ragione della necessità di regolamentare il fenomeno e per la risoluzione delle (troppe?) controversie che insorgono in relazione all’attività sportiva, si è sempre più sentita, anche nel nostra Paese, l’esigenza di organizzare e disciplinare un “sistema” di Giustizia sportiva. Il quale, basato sul piano concettuale sulla teoria della pluralità degli ordinamenti giuridici sostenuta da autorevole dottrina a partire da Santi Romano, Cesarini Sforza, Massimo Severo Giannini, trova il suo principale riferimento nel cd. ”vincolo di giustizia”, norma presente in tutti gli Statuti delle Federazioni sportive e che il professor Andrea Manzella considerò, in un suo famoso scritto, non come forma di autosospensione della giustizia comune ma, viceversa, zona di riserva originaria, concreta attuazione dell’autonomia affidata ai congegni dell’autodichia.

D’altro canto, con una pregevolissima sentenza (n.18919 del 28.9.2005) la Corte di Cassazione, relatrice l’attuale Giudice della Corte Costituzionale San Giorgio, ebbe ad affermare che fondandosi l’autonomia dell’ordinamento sportivo sugli articoli 2 e 18 della Costituzione, il vincolo di giustizia, di natura negoziale, faceva sì che la rinunzia preventiva alla tutela giurisdizionale statuale si basasse sul consenso delle parti, attesa peraltro la natura privatistica delle Federazioni sportive. Vicende legate a provvedimenti disciplinari e ai successivi interventi di diversi Tar, indussero poi il legislatore a intervenire con il Decreto Legge 220, poi convertito con la Legge 280/2003, al fine di delimitare le aree di rispettiva competenza tra Giustizia sportiva e giurisdizione statuale. Tuttavia, nonostante le buone intenzioni del legislatore, non sempre i “confini” sono stati rispettati, con talune decisioni dei Giudici amministrativi che, per usare un gergo sportivo, qualcuno ha ritenuto al limite dell’invasione di campo. Investita della questione di legittimità costituzionale della citata legge 280/2003, per ben due volte la Corte Costituzionale, con le sentenze dell’11 febbraio 2011 n.49 e del 26.6.2019 n. 160, è intervenuta a chiarire limiti e competenze della giurisdizione statuale in materia sportiva.

Oggi, soprattutto grazie alla decisione del Coni del 2014 di introdurre un Codice di Giustizia sportiva che può considerarsi il testo di riferimento per l’intero sistema giustiziale sportivo, può affermarsi che per quanto attiene l’attività sportiva esiste un “processo sportivo” con regole che non solo mirano a garantire l’autonomia e la terzietà dei componenti dei vari Organi ma che disciplinano lo svolgimento dei procedimenti secondo quelli che, per richiamare il titolo di una pregevole opera dei professori Piero Sandulli e Mauro Sferrazza, possono definirsi i principi del “giusto processo sportivo”. Intuibili motivi di spazio impediscono, in questa sede, di esaminare nel dettaglio il complesso normativo esistente, ma deve comunque evidenziarsi che oggi, per tutte le discipline sportive, esiste un giudizio endofederale, con Tribunali Federali e Corte di Appello, sia sportive che “federali”, a seconda delle materie di competenza, per taluni sport sia a livello Nazionale che territoriale, ed un giudizio esofederale innanzi al Collegio di Garanzia dello Sport presso il Coni.

Con la doverosa precisazione che si utilizza il termine “presso” e non “del” Coni, per rimarcare l’autonomia e l’indipendenza rispetto all’Ente esponenziale dello sport italiano, del citato Collegio di Garanzia dello Sport. Il quale, da giudice di legittimità, è chiamato a svolgere funzioni nomofilattiche. All’interno dell’ordinamento sportivo, sempre per utilizzare una metafora sportiva, la “partita” della giustizia dovrebbe ritenersi conclusa con la pronuncia del Collegio di Garanzia dello Sport. Tuttavia, nei limiti delineati dalle citate sentenze della Corte costituzionale, può sempre invocarsi l’intervento del Tar del Lazio, competente in via esclusiva in relazione a tutti gli atti e provvedimenti del Coni e delle Federazioni Sportive, e del Consiglio di Stato in grado di appello. Un sistema, dunque, fondato su norme, decisioni, sempre più numerosi approfondimenti dottrinari che sembra smentire clamorosamente l’opinione di chi, come il processualista Furno, nel 1952 affermava che vi era totale, intrinseca incompatibilità tra sport e diritto. 

Giustizia sportiva: magistrati scelti dalla politica dello sport e si archiviano anche gli abusi. Marco Bonarrigo e Milena Gabanelli su Il Corriere della Sera il 7 Dicembre 2022

Se la giustizia ordinaria avesse così tanto personale e così poco lavoro come quella sportiva, i processi penali e civili in Italia sarebbero velocissimi. Le 45 federazioni dispongono di ben 248 procuratori e sostituti (equivalenti ai pubblici ministeri), 287 giudici di primo grado, 329 d’appello, e di 113 «magistrati» di garanzia, a cui vanno aggiunti gli 89 applicati tra Procura Generale del Coni e Collegio di Garanzia. Tutto questo per gestire gli appena 1.534 fascicoli l’anno (dati 2021) che vengono chiusi con archiviazioni in istruttoria (nel 41% dei casi), ammonizioni e condanne.

Gli incarichi federali sono un secondo lavoro per oltre mille tra avvocati (con minimo 5 anni di iscrizione all’albo), professori di materie giuridiche, magistrati e avvocati dello Stato. I compensi sono modesti: da 100 a 250 euro a fascicolo o a udienza. Lo status di procuratore o giudice federale permette però ai professionisti più ambiziosi di procacciarsi incarichi più redditizi: consulente legale, difensore in giudizio, gestore dei procedimenti elettorali, commissario ad acta.

L’asso pigliatutto

Principe incontrastato del settore è il salernitano Pierluigi Matera. Nel suo sterminato curriculum (è professore di Diritto Privato e titolare di uno studio legale romano), Matera spiega di essere stato vicecommissario della Federazione Hockey, viceprocuratore generale del Coni, commissario ad acta di «oltre 35 Federazioni», presidente di «oltre 25 Assemblee elettive federali». E ancora «componente dei gruppi di lavoro sulla Giustizia Sportiva del Coni e di quello per gli Statuti e Regolamenti federali, sul Professionismo sportivo e della Commissione consultiva per la riforma della Giustizia Sportiva». A lui la Federginnastica ha appena affidato la guida del nuovo Safeguarding Officer dopo le recenti denunce di maltrattamenti delle atlete. Come tanti colleghi, Matera è socio dell’esclusivo Circolo Canottieri Aniene di Giovanni Malagò.

Cosa fanno i giudici sportivi

I giudici federali (da non confondere con quelli sportivi, che si occupano di fatti di gioco) indagano e valutano sulla regolarità dei tesseramenti e delle affiliazioni, sui comportamenti dei tesserati, su abusi, molestie, violenze, combine sportive e irregolarità in modo indipendente dalla giustizia penale. Le loro sentenze vanno dall’ammonizione alla (rarissima) radiazione. La materia è delicata: una sentenza può sconvolgere la carriera di un’atleta, di un dirigente o di una società o destabilizzare una federazione. Vuol dire che non puoi permetterti di affidare incarichi con superficialità. Nessuno si era accorto che il procuratore degli arbitri del calcio di Serie A Rosario D’Onofrio quando è stato nominato era agli arresti domiciliari. Si è scoperto il giorno in cui è stato trasferito in carcere per un’altra inchiesta sul traffico di stupefacenti. Sui temi dell’inchiesta penale che sta travolgendo la Juventus, la Corte di Appello della Figc (forte di 219 tra procuratori e magistrati) a maggio ha prosciolto decine di dirigenti, compreso il presidente Agnelli, a dispetto di «numerose criticità» per «l’assenza di parametri di giudizio».

Il vigilato nomina chi lo vigila

La fragilità della giustizia sportiva italiana è la dipendenza assoluta dal potere politico: procuratori e giudici li sceglie (a suo piacimento) il presidente federale appena viene eletto, ma assieme al Consiglio è anche la prima persona su cui il procuratore dovrebbe vigilare considerata l’ampiezza del suo potere. La prassi dimostra che in molte federazioni tutto fila liscio finché i procuratori processano un dirigente che trucca il tesseramento di un atleta o insulta un giudice di gara su Facebook. Quando indagano sul potere politico invece le cose si complicano. Tre anni fa Salvatore Scarfone, procuratore della tormentata Federazione Danza Sportiva (quattro commissariamenti e una radiazione presidenziale in vent’anni), raccolse decine di denunce contro i suoi vertici politici (poi indagati anche penalmente) che deferì al tribunale interno. Come ricompensa, trovò cambiata la serratura del suo ufficio e mandato a casa.

La fragilità della giustizia sportiva italiana è la dipendenza assoluta dal potere politico.

Vita dura per il procuratore puntiglioso

Un caso recentissimo è quello della Federazione Rugby dove, lo scorso 14 maggio, il Consiglio Federale ha designato nella Commissione Federale di Garanzia (l’organo di controllo dei magistrati sportivi) una dipendente Sport e Salute priva dei requisiti di cassazionista previsti per quel ruolo dall’ordinamento sportivo del Coni. Il procuratore Roberto Pellegrini e l’aggiunto Salvatore Bernardi se ne accorsero e si accorsero che il Consiglio aveva modificato il regolamento di giustizia introducendo (unica federazione su 45) il requisito ad personam di «avvocato che ricopre la direzione affari legali di società o soggetti istituzionali rilevanti nell’ordinamento sportivo». Insomma, una dirigente di alto rango di una società per azioni del Ministero dell’Economia e delle Finanze (dove si occupava di contrattualistica) cooptata in un organo di giustizia superiore della federazione grazie a una modifica statutaria mirata e non consentita dal Coni. Perché il Consiglio Federale ha ignorato alcune segnalazioni che avevano evidenziato il problema il 10 giugno, spiegando che la designata non aveva risposto alla richiesta di esibire i suoi titoli di studio? La procura federale (dopo una scrupolosa indagine con dieci audizioni) il 7 ottobre ha rinviato a giudizio, presso il tribunale interno il presidente Marzio Innocenti, dieci consiglieri federali e il segretario Musiani per violazioni multiple del Codice di Giustizia e del Codice Etico. Risultato? Al procuratore Bernardi, già in scadenza di mandato, sono state tolte all’istante le password del sistema di giustizia interno mentre chi l’ha rimpiazzato ha prontamente chiesto l’archiviazione del procedimento. Insomma, l’articolo 25 della Costituzione («Nessuno può essere distolto dal giudice naturale precostituito per legge») nella giustizia sportiva non è scontato. Sulla vicenda il Coni non ha aperto bocca.

Ginnastica: gli abusi archiviati

Anche quando non si indaga su fatti che riguardano i vertici, ma su vicende che comunque colpiscono il buon nome della federazione, molti procuratori ci vanno con i piedi di piombo. È il caso drammatico della ginnastica dove da un mese atlete ed ex atlete della ritmica raccontano situazioni di abusi verbali, violenze e body shaming. Analizzando l’archivio delle sentenze federali (mantenute solo pochi mesi sul sito web, invocando la difesa della privacy) si scopre che molte denunce sono state archiviate e la maggior parte delle altre sanzionate con pene non superiori a tre mesi. In alcune situazioni è stato poi adottato l’istituto del <patteggiamento senza colpa>. È il caso di una bambina veneta di 9 anni, schiaffeggiata dalla sua allenatrice per aver sbagliato un esercizio alla trave. Dopo la denuncia dei genitori (che avevano citato altre due ragazzine destinatarie dello stesso trattamento e pronte a testimoniare) il procuratore ha chiuso il caso, senza sentire i testimoni, patteggiando un mese e la non menzione per l’allenatrice. Il Codice di Giustizia interna consente di patteggiare se i «danni fisici cagionati» non sono «gravi» ovvero con prognosi superiore a 40 giorni. Per essere condannati bisogna fare davvero male. Il patteggiamento va approvato dal presidente federale e dalla Procura Generale del Coni: nel caso della ginnastica entrambi l’hanno fatto prontamente. Nel rispetto dei genitori ma anche a tutela dell’allenatrice, il processo andava almeno celebrato. E magari in pubblico, cosa espressamente prevista dal Codice del Coni almeno per la stampa; peccato che la maggior parte dei giudici sportivi rifiuti sistematicamente l’accesso in aula ai cronisti. La giustizia sportiva è sempre e solo a porte chiuse. Non esistono registri delle sanzioni a livello centrale: una società dell’atletica rischia così di ingaggiare senza saperlo un tecnico squalificato per molestie nel volley.

L’unica soluzione efficace è quella adottata in molte nazioni straniere: la giustizia sportiva va amministrata da chi non ha alcuna relazione con il potere sportivo.

La giustizia sportiva deve stare fuori dallo sport

Per sottrarre la giustizia sportiva al potere dei presidenti, nel 2014 il presidente del Coni Malagò introduce l’istituto dell’avocazione, rappresentato da due organi superiori: Procura Generale e Collegio di Garanzia. Se un procuratore federale non è abbastanza solerte o incisivo, quello del Coni (sulla cui scrivania passano tutti i fascicoli aperti) può sostituirlo nel ruolo di pubblico ministero sia nei processi federali che in quelli davanti al Collegio di Garanzia per ottenere giustizia. L’avocazione, però, non è mai stata utilizzata, e quelle rare volte riguarda ragioni tecniche e in sport minori. Il primo procuratore nominato fu Enrico Cataldi, ex generale dell’Arma dei Carabinieri e comandante del Racis, che si dedicò all’incarico senza guardare in faccia a nessuno: venne rapidamente accompagnato all’uscita. L’unica soluzione efficace è quella adottata in molte nazioni straniere: la giustizia sportiva va amministrata da chi non ha alcuna relazione con il potere sportivo.

Da sport.sky.it l'1 aprile 2022.

L'inchiesta sul caso plusvalenze portata avanti dalla Procura Figc entra nel vivo e lo fa attraverso 11 notifiche di deferimento, ovvero di rinvio a giudizio, per 11 club, nei confronti dei quali nei mesi scorsi erano state condotte indagini accurate da parte del Procuratore Federale.

Si tratta di Juventus, Sampdoria, Napoli, Pro Vercelli, Genoa, Parma, Pisa, Empoli, Chievo Verona, Novara e Pescara, colpevoli secondo l'accusa, come si legge dalla nota ufficiale pubblicata sul sito della Figc, di avere contabilizzato nelle Relazioni finanziarie plusvalenze e diritti alle prestazioni dei calciatori per valori eccedenti quelli consentiti dai principi contabili in misura tale da incidere significativamente, per alcune delle predette Società, sui requisiti federali per il rilascio della Licenza Nazionale, violando in tal modo anche l’art. 31 comma 2 del Codice di Giustizia Sportiva. 

"Le stesse Società - prosegue il dispositivo - sono state deferite a titolo di responsabilità diretta, ai sensi dell’art. art. 6, comma 1, del Codice di Giustizia Sportiva, per gli atti e comportamenti posti in essere da propri soggetti apicali dotati di potere di rappresentanza e per responsabilità oggettiva, ai sensi dell’art. art. 6, comma 2, del Codice di Giustizia Sportiva, per gli atti e comportamenti posti in essere da soggetti apicali non dotati di poteri di rappresentanza. 

Con le predette società sono state deferite anche 61 persone fisiche che a vario titolo hanno ricoperto l’incarico di consigliere di amministrazione o di dirigente dotato dei poteri di rappresentanza".

Giuseppe Legato per "La Stampa" il 24 febbraio 2022.  

Plusvalenze «in tutto o in parte fittizie». Per decine di operazioni di scambio delle prestazioni di calciatori. Con valori gonfiati per tantissimi milioni di euro che hanno finito per alterare i conti delle società, i bilanci dal 2019 al 2021. 

È di nuovo bufera sul mondo del calcio, quello che conta e quello di provincia. Juventus. Sampdoria, Napoli, Genoa, Empoli, Parma, Pisa. Novara, Chievo Verona, Delfino Pescara, Pro Vercelli sono finite nel mirino della Procura Federale della Figc che, 48 ore fa, ha notificato l'avviso di conclusione indagini. 

Sessanta pagine per descrivere «operazioni contraddistinte da una sistematica sopravvalutazione del corrispettivo di cessione dei diritti delle prestazioni dei calciatori e dall'altrettanta sistematica corrispondenza e conseguente sostanziale compensazione finanziaria tra i valori attribuiti dalle società ai diritti scambiati».

Cinque giorni per fare copia degli atti, 15 per produrre memorie o chiedere di essere sentiti. E stavolta rischiano anche i calciatori. Tra le operazioni principali finite sotto la lente della giustizia sportiva ne figurano 35 della società Juventus dalle quali sono state escluse quelle che hanno portato il centrocampista Arthur dalla Juve al Barcellona e Miralem Pjanic nel binario, da Torino ai blaugrana e i trasferimenti incrociati «Moreno, Andrade, Danilo e Cancelo sull'asse Juventus-Manchester City».

Ci sono invece i trasferimenti di quattro giocatori di cui tre delle giovanili incastonati nella trattativa che ha portato alla corte di Luciano Spalletti il centravanti nigeriano Victor Osimhen al prezzo di 71,2 milioni di euro. 

Valori gonfiati per la Covisoc prima e la Procura Federale adesso. Le contestazioni - che in questa sede sono disciplinari (ma che a Torino, ad esempio sono oggetto di un'inchiesta della magistratura ordinaria ancora in fase preliminare che ipotizza il falso in bilancio per la società Juventus e che contempla invece lo scambio Pjanic-Arthur come punto di contestazione) «appaino far emergere - si legge agli atti del procedimento - fattispecie rilevanti».

Addebitate, ad esempio a Fabio Paratici, ex dirigente Juve oggi in forza al Tottenham in Premier League. Quasi tutti giovani - e semisconosciuti in alcuni casi - talenti valutati cifre molto importanti. Pompate per la procura federale.

Contestazioni sul lato del bilancio, sono mosse anche al presidente del cda Andrea Agnelli e a tutti i membri del consiglio di amministrazione a partire dal Pavel Nedved. Figurano insieme a loro Aurelio De Laurentis, presidente del Napoli, Massimo Ferrero suo omologo alla Sampdoria fino al 27 dicembre scorso, Enrico Preziosi ex presidente del cda del Genoa Calcio.

Le condotte contestate avrebbero «consentito alle società di rappresentare un patrimonio netto superiore al reale e in alcuni casi - Pescara, Parma e Pisa - di ottenere il rilascio per la licenza nazionale per l'iscrizione al campionato pur in assenza dei requisiti prescritti dalle norme federali».

La Figc, intanto sta facendo passi avanti nel progetto che dovrebbe permettere di approvare una nuova norma specifica sul tema delle plusvalenze che potrebbe entrare in vigore già nella prossima stagione.

Nell'ipotesi fin qui nota - alla voce dei ricavi - non si prenderebbero più in considerazione le plusvalenze a «costo zero», ovvero a flusso di cassa, ma soltanto quelle con un reale passaggio di denaro. E questo andrebbe ovviamente a limitare lo scambio di cartellini in sostituzione all'effettivo versamento di denaro del valore dei giocatori.

Juventus, nuove accuse di falso in bilancio: perquisiti gli studi degli avvocati. Massimiliano Nerozzi su Il Corriere della Sera il 23 Marzo 2022.

La Guardia di Finanza ha perquisito gli studi dei legali di Torino, Milano e Roma: le indagini sarebbero sulle 4 mensilità non incassate dai giocatori durante la prima ondata di Covid nel 2020. 

Dagli accertamenti della Guardia di Finanza di Torino sono emersi «elementi concreti a supporto di ulteriori condotte di falso in bilancio che hanno consentito a Juventus Fc di registrare una riduzione dei costi nei bilanci al 30 giugno 2020 e al 30 giugno 2021, omettendo la contestuale rilevazione, a livello patrimoniale, di una posizione debitoria».

Quella che, secondo gli investigatori, riguarderebbe le modalità di iscrizione nei conti di quegli stipendi dei calciatori che slittarono durante la prima ondata del Covid. È questa la novità, nell’ambito dell’inchiesta sulle plusvalenze del club bianconero già aperta a dicembre dalla Procura di Torino, che oggi (23 marzo), ha portato le Fiamme gialle a perquisire gli uffici di alcuni grandi studi legali, tra Torino, Milano e Roma. Dove lavorano i professionisti ai quali alcuni giocatori si erano rivolti per «la predisposizione e la formalizzazione di scritture private non depositate».

Dall’incrocio tra i documenti contabili della Juve e quelli depositati alle Lega nazionale professionisti di serie A — secondo le verifiche fatte dai militari del nucleo di polizia economico finanziaria della guardia di finanza — «sono emersi indizi concreti in ordine all’esistenza di plurime scritture private, variamente denominate, predisposte e sottoscritte nell’ambito delle cosiddette “manovre stipendi”, attuate negli esercizi 2019/20 e 20/21, e non depositate presso gli organi competenti».

In particolare, sarebbero state due le strategie messe in piedi dalla società, e quindi i rilievi d’accusa, secondo i pubblici ministeri Mario Bendoni, Ciro Santoriello e l’aggiunto Marco Gianoglio. Per il 19/20, «non si sarebbe di fronte alla “rinuncia di quattro mensilità”, ma a mero differimento del pagamento di tre dei quattro ratei in questione, indipendentemente dalla ripresa dell’attività sportiva».

E per la stagione successiva, ci sarebbero stati «accordi di riduzione stipendi»; «accordi di integrazione; e «separate scritture integrative». Le prime depositate in Lega calcio, le seconde «solo in parte», le terze «mai depositate».

È dalla corrispondenza con il capo dell’ufficio legale juventino, Cesare Gabasio, che gli investigatori sono arrivati ai nomi dei professionisti degli studi legali oggetto di perquisizioni (e non indagati): studio Weigmann di Torino, Winthers di Milano, Legance di Milano e avvocato Paolo Rodella, a Roma. C’è poi un particolare che i pm sottolineano nel decreto di perquisizione autorizzato dal gip Ludovico Morello: «È emersa la prassi di custodire all’esterno della sede (Juve, ndr), alcuni documenti riservati, poi destinandoli alla "distruzione" una volta esaurita la funzione di "garanzia"». Perquisiti alla ricerca di documenti anche due studi di commercialisti, a Milano e Torino, e la World soccer agency, di Roma, in particolare gli uffici dell’agente Alessandro Lucci.

Fabiana Della Valle per gazzetta.it il 24 marzo 2022.

Continua il lavoro della Procura di Torino nell’ambito dell’inchiesta 'Prisma', che a fine novembre aveva portato all’iscrizione nel registro degli indagati dei vertici della società bianconera (Andrea Agnelli, Pavel Nedved, l’ex Fabio Paratici più 3 tra dirigenti ed ex dell’area finanza e l’avvocato della Juve Cesare Gabasio) per emissione di fatture per operazioni inesistenti e false comunicazioni delle società quotate in borsa.

L’accusa adesso sta indagando sull’accordo legato alla riduzione degli stipendi che i giocatori della Juventus avevano raggiunto con il club in piena pandemia, nel marzo 2020: dopo le perquisizioni di ieri, oggi è stato chiamato a testimoniare Paulo Dybala.

Il giocatore argentino non è indagato ma è stato sentito come persona informata sui fatti, come era accaduto per Cherubini ed Arrivabene, e di sicuro non sarà l’unico giocatore convocato.

Alle 15 avrebbe dovuto essere alla Continassa per l’allenamento, il primo dopo la rottura con la Juve, invece ha dovuto cambiare programmi. Sono già stati chiamati vari agenti e legali a cui i giocatori si sarebbero appoggiati per le scritture private legate agli accordi tra giocatori e club. 

Secondo l’accusa la Juve avrebbe concordato la riduzione di 4 mensilità e contestualmente anche l’integrazione negli stipendi degli anni successivi, senza però inserirlo correttamente nel bilancio. 

Secondo i pm Ciro Sartoriello, Mario Bendoni e l’aggiunto Marco Gianoglio sarebbe un altro elemento che proverebbe le accuse di falso in bilancio su cui stanno indagando, oltre alle plusvalenze fittizie che hanno dato il via all’inchiesta.

Dybala è arrivato intorno alle 15, accompagnato dall’autista Mariano. I magistrati vogliono vederci chiaro sugli accordi intercorsi con la società, in particolare sui tempi, e i calciatori ma soprattutto i procuratori (che a loro volta non risultano coinvolti) possono fornire informazioni utili da aggiungere alle carte che hanno trovato nelle perquisizioni in studi di Milano, Torino e Roma (tra cui quella dell’agente Alessandro Lucci, che segue Cuadrado, Bonucci e l’ex Kulusevski ed già stato convocato) a cui i bianconeri si sarebbero appoggiati per le scritture private.

A questo punto la chiusura dell’inchiesta, prevista tra qualche settimana, potrebbe slittare. I pm sono in attesa della relazione del consistente economico (Enrico Stasi) che ha il compito di analizzare tutti i documenti sequestrati nelle due perquisizioni di novembre e dicembre. L’obiettivo è chiudere entro la primavera.

Estratto dell'articolo di Ottavia Giustetti per “la Repubblica” il 24 marzo 2022.

Da una parte rinunciavano ufficialmente agli stipendi per non aggravare l'impatto della crisi causata dalla pandemia sulle casse della Juventus. Dall'altro stipulavano scritture private e le custodivano presso avvocati o procuratori sportivi, per concordarne il pagamento sotto traccia, fuori dal bilancio.

Non era autentico, secondo la procura di Torino, il patto stretto con i giocatori per il taglio agli emolumenti della primavera 2020: tra i documenti sequestrati a dicembre scorso, sarebbero emersi infatti indizi dell'esistenza di numerosi accordi riservati, non custoditi negli archivi della società e neppure depositati presso gli organi competenti.

In particolare, da appunti manoscritti e email trovati nell'ufficio e nel computer del responsabile legale bianconero Cesare Gabasio (uno dei sette indagati), si capirebbe come il pagamento dei compensi delle stagioni 2019-20 e 2020-21 sia passato in parte da vie non ufficiali. 

Consentendo tra l'altro alla società di ridurre l'importo delle uscite dai bilanci, riducendo fittiziamente i costi per il monte stipendi e rinviando all'anno successivo le integrazioni formalmente concordate. 

Gli uomini della guardia di finanza su ordine dei pm torinesi che indagano sul falso in bilancio della Juve si sono presentati ieri nelle sedi di alcuni studi legali e procuratori sportivi tra Torino, Milano e Roma.

Accendendo un faro su un nuovo capitolo dell'inchiesta, dopo quello delle sospette plusvalenze e la carta segreta di Ronaldo: un'operazione che ora viene definita come "manovre stipendi" e che riguarda quattro importanti studi legali e i professionisti che gestiscono i destini dei giocatori Danilo, Bonucci, Cuadrado, Ramsey e Kulusevski (questi ultimi due ora in prestito, ai Rangers e al Tottenham). 

«Dal confronto tra i documenti acquisiti presso la Juventus - scrivono i pm torinesi Marco Gianoglio, Mario Bendoni e Ciro Santoriello nei decreti di perquisizione - e i contratti depositati presso la Lega Serie A, sono emersi indizi concreti in ordine all'

Simona Lorenzetti per il “Corriere della Sera” il 25 marzo 2022.

Alle tre avrebbe dovuto presentarsi alla Continassa per l'allenamento. Ci teneva, Paulo Dybala: sarebbe stata la prima occasione per incontrare Max Allegri dopo la scelta della società di non rinnovargli il contratto in scadenza a fine stagione. A quell'ora, invece, l'attaccante argentino era in Procura per incontrare i magistrati che indagano sui bilanci della Juventus. Il tema, oggi, non sono più le plusvalenze: non si tratta di capire quanto valga Dybala sul mercato. Al calciatore è stato chiesto di spiegare gli accordi riservati siglati con il club per calmierare e differire il pagamento di quattro mesi di stipendio del campionato 2020.

L'audizione del n. 10 bianconero è il seguito delle perquisizioni avvenute mercoledì nelle sedi di alcuni studi legali e di procuratori sportivi tra Torino, Milano e Roma. In ballo ci sono milioni di euro che sembrano essere spariti tra le pieghe dei rendiconti societari. L'accusa di falso in bilancio è contestata a sette persone, tra cui il presidente Andrea Agnelli, Pavel Nedved e Fabio Paratici.

Nella primavera del 2020, la Juve annunciò che i calciatori avevano rinunciato a quattro mensilità per la pandemia. Secondo l'accusa non si trattò di una vera rinuncia, ma di un mero «differimento del pagamento di tre dei quattro stipendi in questione». Una movimentazione di denaro che avrebbe dovuto essere iscritta nel bilancio 2019-2020. Invece il club avrebbe computato i 90 milioni di retribuzioni risparmiati, ma «dimenticato» i 67 di debiti maturati. Il sistema diventa più nebuloso nel bilancio 2020-21.

La Juve avrebbe rinegoziato l'accordo: non più collettivamente, ma individualmente. Compaiono e spariscono a stretto giro di posta - stando alla ricostruzione dei pm - scritture private stipulate con i singoli giocatori sulla rimodulazione delle mensilità. Il procuratore aggiunto Marco Gianoglio e i sostituti Mario Bendoni e Ciro Santoriello parlano di «manovre stipendi». Alcuni accordi, però, non sono nella sede del club - dove dovrebbero essere - e non sono stati depositati in Lega. Da qui la necessità di cercarli altrove. 

Perché nel rendiconto 2020-21 paiono non esserci. Il sospetto è che le mensilità siano state spalmate sotto false spoglie: bonus, premi partite e voci analoghe. Ridefinizioni, però, che dovrebbero conoscere i diretti interessati: come Dybala. Ed è a questo punto della storia che nasce il sospetto che anche la famosa carta di Ronaldo - mai trovata - sia una di queste scritture private. 

Altri giocatori potrebbero essere sentiti, tra cui Giorgio Chiellini e Leonardo Bonucci. Resta sullo sfondo il silenzio della Juventus. Due giorni fa, quando la Finanza si è presentata in sede, i vertici avrebbero scelto di non chiedere la sospensione del titolo alla Consob, limitandosi a rinegoziarlo l'indomani. E neanche una parola è stata spesa - come invece a novembre - per esprimere fiducia nella magistratura.

Massimiliano Nerozzi e Simona Lorenzetti per il “Corriere della Sera” il 13 dicembre 2022.

Sulla «carta» di Ronaldo si potrebbe ormai girare una serie tv: l'ultimo particolare è una mail del ds juventino, Federico Cherubini, ad altri dirigenti del club, il 14 ottobre 2021, nella quale si parla di un imminente incontro con Jorge Mendes, l'agente del portoghese. Si discuterebbe anche di 6,7 milioni di euro in ballo con lo stesso procuratore. 

L'impressione (degli investigatori) è che l'appuntamento fosse per trovare una soluzione alle pendenze che CR7 vanta con la società. «In occasione delle trattative precedenti al trasferimento» di Ronaldo al Manchester United - scrivono i pm di Torino che indagano sui conti della Juve - «sono emersi riferimenti al fatto che al calciatore andrebbero ancora corrisposti circa 29 milioni di euro lordi, in stipendi maturati nel periodo di sospensione della serie A, a causa della pandemia».

Ne discutono, in un'intercettazione, il capo dell'ufficio legale Cesare Gabasio, e lo stesso Cherubini. Parlano, nello specifico, di «quella carta lì che, quella carta famosa che non deve esistere teoricamente, no? (...) quindi sai se salta fuori (...) ci saltan alla gola tutto sul bilancio i revisori e tutto (...) poi magari dobbiamo fare una transazione finta». Sarebbe l'accordo, tra club e giocatore, per garantire, appunto, il pagamento delle mensilità residue, almeno secondo la ricostruzione fatta dai militari della guardia di finanza.

Di seguito, nella telefonata si sente anche: «Non arriverei all'estremo () di fare causa perché poi quella carta lì che loro devono tirar fuori non è che ci aiuti tanto a noi () nel nostro bilancio». Perché un'altra copia dell'accordo ce l'avrebbe in mano anche CR7: firmata da un dirigente bianconero, probabilmente l'allora capo dell'area tecnica Fabio Paratici, ma non dalla stella portoghese. 

La soap opera Ronaldo è al centro anche di un'altra intercettazione del 6 settembre, tra l'ad Maurizio Arrivabene e il presidente Andrea Agnelli. Il primo spiega, in sintesi, lo stato della trattativa con il Manchester: «Abbiamo valutato bene tutti i numeri, anche perché ci sono i pregressi dei suoi stipendi maturati col Covid (...) stiamo definendo il meccanismo per fare la nostra controfferta allo United (...) la controfferta è lasciare il fisso e aumentare la parte dei bonus visto che i pregressi di Ronaldo (...) ci abbiam provato in tutti i modi con Jorge (Mendes, ndr ) ma non riusciamo a toccargli gli stipendi».

Insomma, nessun taglio, quei quattrini arretrati li pretendeva tutti. Ronaldo non avrebbe firmato la «carta» forse per non rischiare eventuali squalifiche, ma l'ha affidata ai suoi commercialisti, a garanzia del debito. Debito di cui parlano anche i sindaci della società, nella relazione al bilancio.

Plusvalenze Juve, convocati Bernardeschi e Alex Sandro. Simona Lorenzetti su Il Corriere della Sera il 25 Marzo 2022.

Stando all’accusa, le scritture private avrebbero permesso alla Juventus di mascherare le uscite nei bilanci e ottenere un risultato d’esercizio e un patrimonio netto migliore rispetto alla reale situazione finanziaria. 

Continua in Procura la sfilata dei calciatori bianconeri. Dopo l’audizione di giovedì 24 marzo, di Paulo Dybala, ascoltato per tre ore dai magistrati torinesi, oggi è il turno del centrocampista Federico Bernardeschi e del difensore brasiliano Alex Sandro. L’indagine è quella sul presunto falso in bilancio commesso dalla Juventus negli anni 2019/20 e 2020/21 in relazione alla contabilizzazione delle quattro mensilità alle quali i giocatori avevano ufficialmente rinunciato a causa della pandemia dovuta al Covid. Una rinuncia di facciata, però, secondo la magistratura, che indaga su presunti accordi segreti tra atleti e società per posticipare i pagamenti in anni successivi. Stando all’accusa, le scritture private avrebbero permesso alla Juventus di mascherare le uscite nei bilanci e ottenere un risultato d’esercizio e un patrimonio netto migliore rispetto alla reale situazione finanziaria.

Il primo accordo collettivo sarebbe stato siglato nella primavera del 2020 e prevedeva da parte dei giocatori la rinuncia a quattro stipendi per un valore di 90 milioni di euro. Contestualmente, però, la società si era impegnata a restituire tre mensilità, circa 67 milioni. Entrambe le voci avrebbero dovuto essere indicate nel bilancio 2019/20, ma in realtà nei documenti compaiono solo i 90 milioni risparmiati e non i 67 in uscita. L’anno successivo, la vicenda si complica. E questa volta la Juve avrebbe fatto ricorso ad accordi individuali e segreti per la restituzione delle mensilità sospese. Apparentemente nei bilanci non vi è traccia di come il club abbia pagato i quattro stipendi. Gli inquirenti, infatti, sospettano che siano state usate alchimie finanziarie per riuscire a spalmare le cifre con voci differenti.

Le scritture private, che racconterebbero una sorta di gestione economica parallela a quella ufficiale, non sono state trovate nella sede della Juventus, dove invece avrebbero dovuto essere. Per evitare di lasciare tracce, la società – secondo i magistrati – avrebbe affidato le contrattazioni «segrete» a noti studi legali e commercialisti esterni, dando indicazioni di distruggerle una volta terminata la loro «funzione di garanzia». I professionisti, che al pari di alcuni procuratori avrebbero avuto un ruolo attivo nella redazione degli accordi, hanno subito una perquisizione mercoledì. E ora i documenti trovati, al vaglio della Guarda di Finanza, sono al centro anche delle audizioni dei calciatori. I giocatori dovranno spiegare i termini degli accordi e come e quando sono state versate le quattro mensilità sospese per il Covid. Ieri è toccato a Dybala, che percepisce uno stipendio di 7,3 milioni a stagione, dettagliare come gli sono state pagate le mensilità al centro dell’indagine. Oggi tocca a Bernardeschi e ad Alex Sandro. E nei prossimi giorni, al rientro dalla sfortunata parentesi legata all’impegno con la Nazionale, potrebbero essere convocati altri giocatori.

Giuseppe Legato per “La Stampa” il 26 marzo 2022.

Il focus dell'inchiesta sui conti della Juventus è sulle scritture private tra tesserati e società per definire le modalità di restituzione di 3 mensilità a cui i calciatori - tutti e insieme all'ex allenatore Maurizio Sarri - avevano rinunciato temporaneamente per via della difficile congiuntura economica nella prima ondata della pandemia.

La spiegazione del notaio

 C'è un mistero tra le maglie di questa traccia investigativa: uno degli accordi intercorsi con un tesserato sarebbe già stato distrutto quando i militari della guardia di Finanza si sono presentati nell'ufficio di un notaio torinese per acquisirlo. Niente. Sparito, distrutto come lei stessa ha spiegato ai militari: «Lo prevedevano gli accordi al termine del periodi di garanzia».

A quale giocatore facesse riferimento quell'accordo economico non lo sa nessuno, ma è da quella traccia che origina il filone degli accordi privati. Che dagli atti di indagini avrebbero permesso alla società di segnare a bilancio 2020 un risparmio netto di ingaggi pari a 90 milioni di euro.

Non sarebbero però stati contabilizzati i conseguenti 67 milioni di debiti corrispondenti alla cifra da restituire l'anno successivo ai tesserati. Vi sarebbe stata inoltre una «prassi» a custodire queste scritture al di fuori della sede societaria. Per questo tre giorni fa sono stati perquisiti gli uffici di alcuni avvocati « che - si legge agli atti - si sono interfacciati coi dirigenti della Juve per le posizioni dei singoli calciatori». 

Per ricostruire queste fasi sono stati ascoltati prima Paulo Dybala e ieri Federico Bernardeschi e Alex Sandro. Hanno spiegato di essere rientrati (quasi totalmente) di quelle mensilità rimaste in sospeso nell'era Covid. Resta un ultimo scenario, non legato al penale. C'è un articolo del codice di giustizia sportiva che aleggia come un convitato di pietra. Recita che «la società che pattuisce o comunque corrisponde ai suoi tesserati compensi, premi o indennità in violazione delle disposizioni federali è punita con un ammenda cui può aggiungersi una penalizzazione di uno o più punti».

È uno scenario credibile per la Juventus? Non si sa. Una risposta potrebbe arrivare quando tutti gli atti finora secretati saranno trasmessi a Roma. In questo senso - anche se non strettamente collegato - è fissata per il prossimo 2 aprile l'audizione del presidente della Figc Gabriele Gravina.

Elisabetta Esposito per La Gazzetta dello Sport il 13 aprile 2022.

Richieste pesanti per cercare di smantellare un sistema, quello delle plusvalenze gonfiate, che non aiuta un mondo del calcio che mai come adesso vuole ritrovare sostenibilità e stabilità e su cui fino ad oggi non si è mai riusciti a intervenire davvero. Ieri mattina a Roma, nella prima giornata del processo sulle plusvalenze fittizie (tutto in videoconferenza), la Procura Figc guidata da Giuseppe Chinè ha chiesto al Tribunale federale sanzioni importanti soprattutto per i dirigenti (salvaguardando in qualche modo i club) che, stando all'accusa sportiva, plusvalenza dopo plusvalenza, sono riusciti ad avere significativi vantaggi nel bilancio. 

La Juve Delle 11 società e dei 61 soggetti deferiti, la posizione più difficile è quella della Juventus, presente in 15 operazioni delle 18 su cui ruota l'inchiesta. Sono stati richiesti 12 mesi per il presidente Agnelli, 16 mesi e 10 giorni di inibizione per Fabio Paratici (oggi al Tottenham, ma li sconterebbe anche lì), 6 mesi e 20 giorni per Cherubini, 8 per Nedved e gran parte del Cda bianconero. Per il club un'ammenda di 800 mila euro.

Nelle stagioni 2018-19 e 2019-20, quelle oggetto d'indagine, Paratici ha sottoscritto 32 contratti di giocatori "supervalutati" in base ai criteri stabiliti dalla Procura che, per la prima volta, ha provato a dare una valutazione reale ai calciatori (chiamata all'interno del deferimento "valore rettificato"). Si tratta soprattutto di giocatori poco noti (ad esempio Elia Pietrelli, classe 2001 oggi alla Carrarese, passato dalla Juve al Genoa per 8 milioni ma valutato dalla Procura 1 milione), mentre i nomi più importanti sono quelli di Nicolò Rovella (prezzo 18 milioni, valore rettificato 6) e Emil Audero (prezzo 20 milioni, valore rettificato 13).

Non ci sono Pjanic e Arthur, i cui costi sono apparsi congrui anche all'accusa, ma compaiono Marques e Pereira, inseriti con valutazioni "anomale" nella famosa operazione tra i bianconeri e il Barcellona. Sono poi 3 i contratti con i valori gonfiati firmati da Cherubini: in tutto i giocatori del mercato juventino con valutazioni ritenute troppo alte sono 35. 

Il Napoli Anche il Napoli è stato colpito duro per l'affare con il Lilla che ha portato in azzurro Osimhen: chiesti 11 mesi e 5 giorni per il presidente Aurelio De Laurentiis, 6 mesi e 10 per la moglie e i figli Edoardo e Valentina e 9 mesi e 15 giorni per l'a.d. Andrea Chiavelli. 

Per il club multa da 329 mila euro. In quella operazione, non solo ballano oltre 21 milioni sul costo di Osimhen (71,2 contro 52 di valore rettificato), ma a far sgranare gli occhi sono le valutazioni dei giocatori spediti (con scarso successo) in Francia: Karnezis (5,13 milioni contro 500 mila euro), Liguori e Manzi (4 milioni contro 100 mila) e Palmieri (7 milioni contro 100 mila). Restando alle società di A: chiesti 12 mesi per Massimo Ferrero e 195 mila euro alla Samp; per l'Empoli 11 mesi e 15 giorni al presidente Corsi e 42 mila al club; per il Genoa 6 mesi e 10 giorni per Preziosi più una multa di 320 mila euro.

In Serie B È andata bene invece a Parma e Pisa. Ai due club di Serie B era contestato infatti anche il comma 2 dell'articolo 31 del Codice di giustizia sportiva (secondo la Procura le plusvalenze gonfiate avevano permesso l'iscrizione al campionato), che prevede come sanzione minima una penalizzazione di punti. Chiné ha però considerato il cambio delle proprietà come attenuante e chiesto solo due ammende. 

Il processo di primo grado riprenderà domattina, quando saranno ascoltate anche Juventus e Napoli ed è atteso l'intervento diretto di alcuni dei maggiori protagonisti dell'inchiesta a partire da Paratici. La difesa è chiara: viene contestato in particolare il metodo con cui la Procura ha definito il "valore rettificato" dei giocatori.

I criteri scelti (età, ruolo, storia sportiva, storia dei trasferimenti, contratto di lavoro) non vengono ritenuti validi e attendibili, quindi il risultato sarebbe privo dell'oggettività richiesta per poter parlare di illeciti e sanzioni. È questo il nodo principale del processo: l'inedita impalcatura costruita dalla Procura reggerà? E se tenesse in primo grado (venerdì la sentenza), riuscirà a farlo anche davanti alla Corte sportiva d'appello a metà maggio?

Marco Iaria per la Gazzetta dello Sport il 13 aprile 2022.

Di per sé la plusvalenza non è il male assoluto, tutt' altro. Nel conto economico di una società rappresenta una componente positiva, cioè il guadagno dalla vendita di un calciatore, inteso come bene aziendale, derivante dalla differenza tra il prezzo di cessione e il costo residuo a bilancio. E se un asset viene venduto a un importo superiore a quello di acquisto (al netto degli ammortamenti), in teoria vuol dire che il processo di ricerca, selezione e valorizzazione di quel talento ha funzionato. 

Dipendenza italiana Un'attività, questa, che storicamente è stata appannaggio soprattutto delle cosiddette provinciali e che, negli ultimi anni, ha accomunato grandi e piccole, tutte bisognose di utilizzare la leva del player trading per far quadrare i conti e alimentare i sogni di gloria. Soprattutto in Serie A dove le plusvalenze, in epoca pre-Covid, sono arrivate a incidere per un quarto sul fatturato aggregato.

Quella che era una voce straordinaria del reddito si è così trasformata, in Italia, in una componente organica, al pari dei diritti tv, del botteghino e degli sponsor. Un conto, però, è parlare di uso abnorme e malsano di questo strumento, un altro è evocare le famigerate plusvalenze fittizie. 

Quantificazione Qual è il confine tra una plusvalenza reale e una fittizia? Molto labile. Questo perché stiamo parlando di calciatori, la cui valutazione è soggetta a una serie di variabili aleatorie. 

All'epoca del processo sugli scambi tra Chievo e Cesena, nel 2018, i giudici lo scrissero chiaramente. Così il Tribunale federale nazionale: «Questo collegio ritiene non sia possibile aderire ai criteri di quantificazione operati dalla procura federale, condividendo sul punto la tesi difensiva dei deferiti scaligeri, secondo la quale difettano uniformi e oggettivi criteri di valutazione dell'effettivo valore del calciatore. 

Ciò in quanto non vi sono dei parametri certi di riferimento o unanimemente condivisi in ordine all'oggettivo valore dei diritti di cessione di un calciatore in quanto frutto di una libera contrattazione fra le parti, ancorché nel caso di specie apparentemente sovrastimati».

La Corte federale d'appello aggiunse: «Se è lecito sanzionare l'imprudenza di una condotta gestionale non corretta e non conforme alle regole contabili, non può, invece, sostituirsi una valutazione meramente ipotetica dei valori di cessione degli atleti (quale quella ricavabile dai siti consultati dalla procura federale) a quella riservata alle parti in una libera contrattazione di mercato; a diverse conclusioni si potrebbe addivenire solo all'esito di una riforma normativa che imponesse valori standard a simili contrattazioni. 

Conseguentemente, nel caso di specie non è possibile addivenire ad un esatto computo delle plusvalenze conseguenti all'imprudente e scorretta gestione delle suddette transazioni da parte delle citate società e, conseguentemente, non è possibile addivenire ad un'esatta valutazione dei valori di bilancio conseguenti ad una diversa determinazione del prezzo di cessione dei diritti e del relativo valore iscritto a bilancio». 

Controlli Visto che le plusvalenze contribuiscono, spesso in misura decisiva, al rispetto dei criteri economico-finanziari richiesti ai club ai fini dell'iscrizione alle competizioni, il problema di una sopravvalutazione artificiale dei calciatori si pone all'atto dei controlli federali. L'attuale sistema di norme non pone alcun paletto, non coglie alcuna differenza tra una plusvalenza e un'altra. Da tempo le istituzioni studiano correttivi per arginare il fenomeno. 

Il presidente federale Gravina aveva dato l'input affinché la Covisoc potesse segnalare agli organi di vigilanza e alle società di revisione quegli scambi di giocatori senza finanza dai corrispettivi anomali. Da qui è nata la relazione della Covisoc su cui si è basata la procura Figc per imbastire l'attuale processo. 

Parliamo di un'attività di monitoraggio che mira a segnalare eventuali usi impropri delle plusvalenze. Altra cosa sono i regolamenti relativi al rilascio delle licenze. L'idea di via Allegri è di scorporare dai conteggi ai fini dell'iscrizione quelle plusvalenze realizzate senza un effettivo flusso di cassa, quindi con un mero impatto contabile. Ma, come per l'indice di liquidità, non sarà semplice trovare un compromesso. 

Inchiesta plusvalenze. Juventus sotto accusa. Giovanni Capuano il 25 Ottobre 2022 su Panorama.

La Procura di Torino voleva arrestare Andrea Agnelli e chiede il processo per tutti i vertici bianconeri: falso in bilancio per le plusvalenze fittizie e la manovra stipendi dal 2018 al 2020 

Volevano arrestare Andrea Agnelli e metterlo ai domiciliari ma la richiesta è stata respinta dal Gip che si occupa dell'inchiesta sul presunto falso in bilancio della Juventus. Il risvolto clamoroso emerge dalle carte che accompagnano la notifica di chiusura indagine per il numero bianconeri e per altre 14 persone più la società juventina i cui conti dal 2017 al 2020 sono nel mirino della Procura di Torino da quasi un anno. Falso in comunicazioni sociali e false comunicazioni rivolte al mercato sono le ipotesi d'accusa che rischiano di portare a processo i vertici del club più titolato d'Italia e che, se dimostrate, provocherebbero un autentico terremoto mettendo in discussione l'intero sistema Juventus.

Il Giudice per le indagini preliminari lo scorso 12 ottobre ha respinto la richiesta di misure cautelari per Andrea Agnelli non ritenendo ci fossero pericoli di fuga, reiterazione del reato o inquinamento delle prove e la Procura ha già depositato appello a conferma della durezza dello scontro in atto intorno all'inchiesta. Dopo mesi di inchiesta, con anche l'audizione di diversi testimoni, gli investigatori sono arrivati alla conclusione che per tre anni consecutivi (bilanci della stagione 2017/2018, 2018/2019 e 2019/2020) il club abbia utilizzato sistemi contabili irregolari per alterare le poste di bilancio e, quindi, sistemare i conti riducendo le perdite ingenti di quel periodo. L'ACCUSA: PLUSVALENZE FITTIZIE PER RIDURRE LE PERDITE Nel mirino, in particolare, le cosiddette plusvalenze fittizie, "operazioni di scambio che, non generando flussi finanziari di sorta, risultano concluse a valori stabiliti dalle parti in modo arbitrario e con lo scopo di far fronte alle necessità di bilancio del momento" si legge nel comunicato dove il reticolo di trattative di mercato di quel triennio porta, secondo l'accusa, a un "ricorso anomalo" alle stesse e ad operazioni definite "distoniche nel panorama nazionale". Non ci sarebbe solo la ricostruzione di quanto fatto dai dirigenti dell'area sportiva della Juventus, ma anche la conferma emersa nel contenuto di alcune intercettazioni tra gli stessi. LE DUE MANOVRE SUGLI STIPENDI DELL'ERA COVID E poi la manovra stipendi della primavera 2020, quella che in pieno lockdown per emergenza pandemica consentì alla Juventus di alleggerire il bilancio riducendo il peso degli ingaggi da marzo a giugno. Per la Procura di Torino ci sono elementi che provano come i calciatori non rinunciarono alle quattro mensilità ma solo a una, differendo le altre senza che di questo ci fosse traccia in maniera ufficiale e corretta nel bilancio di quella stagione. E nel 2020/2021 reiterando l'operazione con accordi privati depositati in Lega e scritture, invece, tenute segrete e sequestrate al di fuori della sede sociale "contenenti l'impegno incondizionato della società al pagamento degli stessi anche in caso di trasferimento del calciatore a un club terzo" smentendo quanto contenuto nelle carte ufficiali depositate presso la Lega Serie A. L'IMPATTO SUI BILANCI DAL 2018 AL 2020 Tutto per ridurre l'impatto della crisi su esercizi già fortemente provati e in disequilibrio, come dimostra la scelta della proprietà di sottoscrivere un aumento di capitale maxi da 400 milioni di euro nel novembre 2021. Secondo i consulenti della Procura, plusvalenze e manovra stipendi consentirono di presentare bilanci migliori in maniera sensibile: -39,8 invece di -84,5 nel 2017/2018, -89,6 invece di -236,7 nel 2018/2019 e -209,5 invece di -222,4 nel 2019/2020 con modifiche sostanziali anche sul patrimonio netto che sarebbe risultato addirittura negativo in due dei tre esercizi presi in esame. Ad alcuni degli indagati è stata contestata anche l'ipotesi di reato di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture per operazioni inesistenti: compensi per agenti sportivi per l'accusa non dovute e senza alcun riscontro nelle prestazioni effettivamente rese alla società.

L'elenco di chi ha ricevuto la notifica di chiusura indagine e ora rischia il processo è più lungo e articolato di quello noto in precedenza. Oltre al presidente Agnelli ci sono il numero due Pavel Nedved e l'allora capo dell'area sportiva Fabio Paratici con l'aggiunta di Maurizio Arrivabene, amministratore delegato dal 2021 oltre al revisore dei conti che firmò il via libera a quegli esercizi e ai componenti del collegio sindacale. Sotto accusa, insomma, tutto il sistema Juventus. La società ha già più volte chiarito di ritenere di aver sempre operato correttamente nella gestione dei propri conti. Gli indagati hanno ora una ventina di giorni per depositare le proprie memorie difensive e farsi interrogare: poi il giudice si pronuncerà sull'opzione di mandare tutti a processo o archiviare il fascicolo.

Juventus, inchiesta sui conti: per Agnelli chiesti (e respinti) i domiciliari. Simona Lorenzetti e Massimiliano Nerozzi su Il Corriere della Sera il 25 Ottobre 2022.

Si parla di plusvalenze sul valore di scambio dei calciatori, stipendi dei giocatori ufficialmente annullati per l’emergenza Covid e in realtà solo posticipati, false fatturazioni per prestazioni inesistenti. 

La richiesta di misura cautelare (gli arresti domiciliari) per Andrea Agnelli — bocciata il 12 ottobre scorso dal gip — e l’iscrizione tra gli indagati dell’ad Maurizio Arrivabene sono le novità dell’ultimo passo della Procura di Torino nell’ambito dell’inchiesta sui conti della Juve, per la quale ieri sono stati notificati gli avvisi di fine indagine. Si parla di plusvalenze sul valore di scambio dei calciatori, stipendi dei giocatori ufficialmente annullati per l’emergenza Covid e in realtà solo posticipati, false fatturazioni per prestazioni inesistenti. In sostanza, falso in bilancio e false comunicazioni al mercato. E per ultimi, ostacolo agli organi di vigilanza Consob e aggiotaggio informativo. 

Sono i reati che il procuratore aggiunto Marco Gianoglio e i pm Mario Bendoni e Ciro Santoriello, contestano ai vertici del club. Dopo 11 mesi di verifiche — coordinando i militari del nucleo di polizia economico finanziaria della guardia di finanza — i magistrati chiudono così l’inchiesta a carico di 16 indagati, la società e 15 persone. Oltre ad Arrivabene ci sono Francesco Roncaglio ed Enrico Vellano (entrambi nel cda); con il presidente Agnelli, il vice Pavel Nedved, l’ex ds Fabio Paratici. Alla luce degli accertamenti delle Fiamme gialle di Torino, alla lista degli indagati si aggiungono esponenti del collegio sindacale e il revisore dei conti.

Secondo l’ipotesi della Procura, nei tre anni compresi tra il 2018 e il 2020 (a cui son seguiti l’approvazione dei bilanci) sarebbero state eseguite operazioni di scambio «distoniche» rispetto al panorama nazionale. In pratica per un determinato numero di atleti, i valori di scambio sarebbero stati decisi in maniera «arbitraria» allo scopo di far fronte «alle necessità di bilancio del momento». E per lo stesso motivo sarebbero state ideate le «manovre stipendi» per la stagione sportiva 2019/2020 e la successiva 2020/2021: i giocatori — molti dei quali sono sfilati nei mesi scorsi in Procura come testimoni — avrebbero rinunciato (a causa della pandemia) a percepire una sola mensilità invece delle quattro comunicate. La prova sarebbe in scritture private e segrete, rivenute in uffici esterni alla società, contenenti l’impegno incondizionato del club a pagare gli stipendi anche in caso di trasferimento del calciatore. Tra queste operazioni rientrerebbe la famosa «carta segreta» di Ronaldo: il documento che — stando ad alcune intercettazioni — «non deve esistere». La Procura aveva depositato una rogatoria internazionale per ascoltare il fuoriclasse portoghese, ma lui ha fatto sapere tramite i legali che non avrebbe raggiunto Torino.

Le manovre stipendi avrebbero avuto ripercussioni sul bilancio approvato nell’ottobre 2021 per un importo di 27 milioni di euro, che non sarebbe stato comunicato alla Consob nel momento in cui l’organo di garanzia inviò una richiesta d’informazioni: da qui le false comunicazioni sociali e ostacolo alla vigilanza contestato. Plusvalenze e stipendi ufficialmente annullati e solo differiti avrebbero prodotto un maquillage del bilancio: nel 2020 è stata dichiarata una perdita di esercizio di 209 milioni, anziché di 222, e un patrimonio netto positivo di 28 milioni, anziché un patrimonio netto negativo di 175 milioni. L’anno precedente 89 milioni, invece di 236, e patrimonio netto di 239 milioni, invece dei 47 stimati dai finanzieri. Morale, per l’accusa: aggiotaggio informativo e false fatturazioni per operazioni inesistenti. Ora gli indagati hanno venti giorni per depositare memorie difensive e farsi interrogare dai pm.

Plusvalenze Juve, chiusa l’inchiesta: tra i 16 indagati c’è anche l’ad Arrivabene. Simona Lorenzetti e Massimiliano Nerozzi su Il Corriere della Sera il 24 Ottobre 2022.

Altra novità: la richiesta di misura cautelare personale (gli arresti domiciliari) per Andrea Agnelli, bocciata il 12 ottobre scorso dal gip. La Procura contesta i reati di falso in bilancio e false comunicazioni al mercato 

La richiesta di misura cautelare personale (gli arresti domiciliari) per Andrea Agnelli — bocciata l’ottobre scorso dal gip — e l’iscrizione tra gli indagati dell’ad Maurizio Arrivabene sono le novità dell’ultimo passo della Procura di Torino nell’ambito dell’inchiesta sui conti della Juve, per la quale lunedì 24 ottobre sono stati notificati gli avvisi di fine indagine. Si parla di plusvalenze sul valore di scambio dei calciatori, stipendi dei giocatori ufficialmente annullati per l’emergenza Covid e in realtà solo posticipati, false fatturazioni per prestazioni inesistenti. In sostanza, falso in bilancio e false comunicazioni al mercato. E per ultimi, ostacolo agli organi di vigilanza Consob e aggiotaggio informativo.

Sono i reati che il procuratore aggiunto Marco Gianoglio e i pm Mario Bendoni e Ciro Santoriello, contestano ai vertici del club. Dopo 11 mesi di verifiche — coordinando i militari del nucleo di polizia economico finanziaria della guardia di finanza — i magistrati chiudono così l’inchiesta a carico di 16 indagati, la società e 15 persone. Oltre ad Arrivabene ci sono Francesco Roncaglio ed Enrico Vellano (entrambi nel cda); con il presidente Agnelli, il vice Pavel Nedved, l’ex ds Fabio Paratici. Alla luce degli accertamenti delle fiamme gialle di Torino, alla lista degli indagati si aggiungono anche esponenti del collegio sindacale e il revisore dei conti. Secondo l’ipotesi della Procura, nei tre anni compresi tra il 2018 e il 2020 ( a cui son seguiti l’approvazione dei bilanci) sarebbero state eseguite operazioni di scambio «distoniche» rispetto al panorama nazionale.

In pratica per un determinato numero di atleti, i valori di scambio sarebbero stati decisi in maniera «arbitraria» allo scopo di far fronte «alle necessità di bilancio del momento». E per lo stesso motivo sarebbero state ideate le «manovre stipendi» per la stagione sportiva 2019/2020 e la successiva 2020/2021: i giocatori — molti dei quali sono sfilati nei mesi scorsi in Procura come testimoni — avrebbero rinunciato (a causa della pandemia) a percepire una sola mensilità invece delle quattro comunicate. La prova sarebbe in scritture private e segrete, rivenute in uffici esterni alla società, contenenti l’impegno incondizionato del club a pagare gli stipendi anche in caso di trasferimento del calciatore. Tra queste perazioni rientrerebbe la famosa «carta segreta» di Ronaldo: il documento che — stando ad alcune intercettazioni — «non deve esistere».

La Procura aveva depositato una rogatoria internazionale per ascoltare il fuoriclasse portoghese, ma lui ha fatto sapere tramite i legali che non avrebbe raggiunto Torino. Le manovre stipendi avrebbero avuto ripercussioni sul bilancio approvato nell’ottobre 2021 per un importo di 27 milioni di euro, che non sarebbe stato comunicato alla Consob nel momento in cui l’organo di garanzia inviò una richiesta d’informazioni: da qui le false comunicazioni sociali e ostacolo alla vigilanza contestato. Plusvalenze e stipendi ufficialmente annullati e solo differiti avrebbero prodotto un maquillage del bilancio: nel 2020 è stata dichiarata una perdita di esercizio di 209 milioni, anziché di 222, e un patrimonio netto positivo di 28 milioni, anziché un patrimonio netto negativo di 175 milioni. L’anno precedente 89 milioni, invece di 236, e patrimonio netto di 239 milioni, invece dei 47 stimati dai finanzieri. Morale, per l’accusa: aggiotaggio informativo e false fatturazioni per operazioni inesistenti. Ora gli indagati hanno venti giorni per depositare memorie difensive e farsi interrogare dai pm.

Giuseppe Legato per “La Stampa” il 27 Ottobre 2022.

Il 22 luglio del 2021 Federico Cherubini, attuale direttore sportivo e uomo mercato della Juventus, dirà al collega Stefano Bertola dirigente preposto alla redazione dei documenti contabili societari: «Fortuna che alla luce delle recenti visite… ci siamo fermati». Aggiunge che con Fabio (Paratici ex ds Juve ndr) si sono sempre parlati perché «bisognava cambiare strategia». Dice che il loro lavoro «è di scovare talenti, valorizzarli e poi venderli» facendo «plusvalenze sane, in casa» senza ricorrere a quelle «artefatte nei valori».

Per la procura di Torino è questa una delle conversazioni chiave che proverebbe il dolo nella presunta ipervalutazione di 21 calciatori fatte dalla Juventus negli ultimi anni con scambi alla pari «senza flusso di denaro» con altre società: da Arthur a Pjanic, da Cancelo a Danilo ai giovanissimi della primavera, la lista è lunga. 

E ad avviso degli inquirenti (procuratore aggiunto Marco Gianoglio, sostituti Mario Bendoni e Ciro Santoriello) c’era consapevolezza di ciò che si faceva per «celare l’erosione del capitale sociale» e risanare un bilancio dai numeri complicati per via degli elevati costi già prima del Covid.

Ne farebbe fede una comunicazione del presidente Agnelli (agli atti dell’inchiesta) del 21 febbraio 2020, quindi poco prima della pandemia, della chiusura degli stadi, della sospensione dei campionati, in cui spiega come «la situazione del Rol (differenza tra entrate e uscite delle operazioni caratteristiche) è meno 177 (milioni di euro ndr) e saranno necessarie manovre correttive». Ecco, per i pm il ricorso a plusvalenze «artefatte» prima e le cosiddette due «manovre stipendi» poi sarebbero la conseguenza di questo quadro. 

E anche il sentore di un «indice delinquenziale» a fondamento della richiesta di domiciliari per Andrea Agnelli respinta dal gip. Vengono ripercorsi i conti: dal 24 maggio al 30 giugno, con Paratici ancora al timone, saltano fuori 66 milioni di scambi per l’accusa «gonfiati». Poi si sarebbe agito sugli stipendi in due step. Il primo, in piena prima ondata di pandemia, è stata cosi ricostruito grazie a una chat di squadra agli atti dell’inchiesta.

La Juve propone il taglio netto degli emolumenti di più mensilità, diversi giocatori non ci stanno, Giorgio Chiellini (non indagato), all’epoca capitano della squadra avrebbe fatto da mediatore tra società e gruppo squadra. Scriverà a tutti di stare tranquilli perché alla fine la rinuncia sarà di un solo mese e gli altri tre saranno restituiti ma – questo il senso generale delle interlocuzioni - il giorno dopo sarebbe uscito un comunicato «diverso nei contenuti».

Con l’ulteriore raccomandazione di «non parlarne coi giornali». Il comunicato uscirà davvero, parlerà di quattro mensilità ridotte, di un risparmio a bilancio di 90 milioni, ma i pm ne indicano come reali «solo 22». Seguirà l’anno successivo un ulteriore intervento sugli stipendi. 

I debiti di Ronaldo del primo accordo (13,5 milioni) sono stati pagati, ma il secondo che la procura avrebbe trovato in una scrittura privata vale altri 19,97 milioni. In Lega però non ce ne sarebbe traccia o in questi termini. E siccome a bilancio non compaiono, è mistero. Ronaldo non li ha ancora ricevuti e peseranno sui prossimi equilibri finanziari?

E se – è l’interrogativo degli inquirenti – erano debiti incondizionati come pare sia scritto nelle carte trovate dalla guardia di finanza di Torino, perché non sono stati postati nel documento economico di giugno 2022? Da ambienti investigativi si apprende che in Lega figurano scritture integrative, ma solo per 9 calciatori, pare. La procura ha trovato invece 17 scritture private su 17, molte firmate da Paratici, con le cosiddette «side letter» che assicurano la restituzione senza condizioni.

G.Leg. per “la Stampa” il 27 Ottobre 2022.  

«Non si rinvengono attuali e concrete esigenze cautelari per emettere le misure richieste dalla pubblica accusa, nè misure meno afflittive». Così il gip Lodovico Morello ha rigettato - tra gli altri - la richiesta di arresti domiciliari formulata dai pm per il presidente della Juventus Andrea Agnelli.

Motivo: «tutti gli indagati e l'ente sono a piena conoscenza dell'indagine nei loro confronti e la discovery pressoché totale delle contestazioni a loro mosse fa sì che, già di per se, i pericoli di reiterazione del reato e di inquinamento probatorio siano difficilmente ipotizzabili». 

Va aggiunto che «la società in questione (la Juve ndr) è una delle più importanti in ambito calcistico nazionale e internazionale, quotata in bora e quindi ragionevolmente molto attenta alle conseguenze di indagini a suo carico anche solo per ragioni di opportunità e di presenza sul mercato azionario». Nemmeno il pericolo di inquinamento delle prove è stato ravvisato alla luce del fatto che già «complesse indagini sono state largamente effettuate acquisendo corposa documentazione».

Sulle plusvalenze: «Gli stessi indagati hanno già di fatto interrotto l'utilizzo di tale metodologia e il riscontro è che si è passati dai 126 milioni del bilancio 2019 ai 29 milioni del 2021». E ci sono dubbi «sul dolo richiesto dalla legge» per le plusvalenze «giacché, se fosse vero che i medesimi criteri di contabilizzazione adottati dalla Juve sono quelli utilizzati da tutte le società calcistiche, allora la società non avrebbe fatto altro che fare uso di criteri contabili adottati nell'intero settore dei calciatori».

Il giudice definisce le manovre stipendi «certamente illecite in termini di indizi» ma sono legate a un periodo storico (quello della pandemia) non più attuale». Sulle richieste di sequestri anche queste rigettate, il giudice chiosa. «Non vi sono pericoli di dispersione o alienazione dei beni considerati i recentissimi e consistenti aumenti di capitale dimostrazione della solidità di fatto della società». 

Massimiliano Nerozzi e Simona Lorenzetti per il “Corriere della Sera” il 28 ottobre 2022.

Chiusa l'inchiesta penale sulle plusvalenze e le «manovre stipendi» della Juve, con l'avviso di fine indagini (e il contestuale deposito degli atti), si muove anche la giustizia sportiva: il procuratore federale della Figc, Giuseppe Chiné, ha infatti chiesto alla Procura di Torino di conoscere la documentazione depositata, come intercettazioni telefoniche e ambientali. Finora gli 007 della Federcalcio avevano ricevuto solo due decreti di perquisizione poiché, appunto, il resto era coperto da segreto investigativo. 

Ora venuto meno nell'inchiesta che vede indagati i vertici del club, tra cui il presidente Andrea Agnelli. «Ma solo in presenza di atti nuovi e ritenuti decisivi per la revisione della decisione pronunciata dalla corte d'Appello federale il procuratore potrebbe impugnare per revocazione» la sentenza sportiva, filtra dagli uffici Figc. 

L'inchiesta sportiva si era chiusa lo scorso primo aprile con il deferimento al Tribunale nazionale federale di 11 società, tra le quali la Juve, prosciolte in giudizio. Decisione poi confermata in Appello. Stavolta, teoricamente, tra plusvalenze ed eventuali irregolarità sui contratti, ci potrebbe essere il rischio di una penalizzazione. 

Plusvalenze e «manovre stipendi» - per i magistrati torinesi - rappresentano gli escamotage per riuscire a migliorare i conti dei bilanci, già in sofferenza ben prima della pandemia da Covid. Agli atti dell'inchiesta ci sarebbero infatti decine di documenti interni alla società in cui si parla di notevoli perdite. Del resto, il 21 febbraio 2020 - prima ancora che l'Italia scoprisse di dover affrontare la pandemia - in una mail, Agnelli evidenziava come la situazione fosse in negativo per diversi milioni di euro.

E che erano necessarie manovre «correttive». Un mese dopo, il Covid avrebbe rappresentato lo scudo per attuare - nello stesso anno e pure in quello successivo - le «manovre stipendi» oggi nel mirino della magistratura. La Juve, sempre secondo la ricostruzione dei pm, rischiava un patrimonio netto negativo. Ieri Agnelli ha parlato a tutti i dipendenti del club, alla Continassa spiegando che la società è compatta e unita, e che ha sempre agito nel rispetto delle norme e delle leggi.

Juve, la trattativa Agnelli-Chiellini: «Questioni di Borsa, non parlatene nelle interviste». L’accordo nella chat. Massimiliano Nerozzi su Il Corriere della Sera il 29 Ottobre 2022.

L’ex capitano bianconero informava i compagni: «Uscirà la nota sulla rinuncia a 4 stipendi». Per i pm fu solo uno

A un certo punto, siamo all’inizio della pandemia, l’allora capitano della Juve Giorgio Chiellini scrive un messaggio nella chat di squadra: «Per questioni legislative di Borsa la comunicazione che uscirebbe è solo della rinuncia a 4 mesi, è chiesto di non parlare nelle interviste — quest’ultima raccomandazione scritta tutta a caratteri maiuscoli, ndr — sui dettagli di questo accordo».

Si parla — secondo la ricostruzione fatta da Procura e guardia di finanza — della trattativa tra giocatori e club sui compensi dei mesi eventualmente travolti dal Covid, la cosiddetta «manovra stipendi». Ce ne saranno due, la prima di squadra e la seconda fatta con accordi singoli: ma in entrambi i casi — sempre secondo l’ipotesi dell’accusa — il club bianconero avrebbe «diffuso notizie false circa la situazione patrimoniale, economica e finanziaria della società». Idonee a «provocare una sensibile alterazione del prezzo delle azioni ordinarie quotate» in Borsa. Di contro, la Juve ribadisce invece di aver sempre osservato norme e leggi.

Proseguiva così Chiellini, nella chat a suo tempo acquisita dai militari del nucleo economico finanziario della guardia di finanza: «In caso di ok domani avrei un foglio firmato dal presidente dove si fa garante di quanto detto sopra». Prima, appunto, il capitano aveva riassunto le condizioni. «La proposta finale è questa: ci mancano 4 mesi di salario, 3 mesi pagati in caso che riusciamo a finire il campionato, 2 mesi e mezzo in caso di stop. Il presidente ha garantito il pagamento di una mensilità il primo luglio ed il resto nella stagione 2020/21. Ringraziamo davvero tutta la squadra per la sensibilità».

Poi però, c’erano altre indicazioni, indizianti, secondo le valutazioni del procuratore aggiunto Marco Gianoglio e i pm Mario Bendoni e Ciro Santoriello, che coordinano l’inchiesta sui conti del club: «I prossimi passi sono questi: vi arriverà nei prossimi giorni un foglio che vale tutto e niente, come quello che abbiamo firmato io e il presidente dove ci impegniamo a lasciare i restanti mesi di questa stagione». E ancora: «Successivamente saranno contattati i vostri avvocati o agenti e nello stesso momento — anche questo tutto in maiuscolo, ndr — saranno firmati i contratti validi per questa stagione e la prossima. La Juventus farà un comunicato stampa dove dirà che rinunciamo a 4 mensilità per aiutare il club, ribadisco di comunicare solo questo a mezzo stampa». In pratica, secondo i pm, la società avrebbe deciso una cosa, comunicandone un’altra. Soprattutto, l’accordo privato avrebbe garantito ai giocatori «un recupero certo e incondizionato di tre mensilità nelle stagioni successive, a prescindere dalla ripresa» del campionato o del trasferimento del giocatore ad altro club.

Estratto da repubblica.it il 30 ottobre 2022.  

Trentaquattro milioni di euro in stipendi ancora da restituire ai calciatori e di cui, per l’accusa, non c’è traccia nei bilanci della Juventus, nemmeno nell’ultimo. Di questi 19,97 sono quelli di Ronaldo, secondo quanto stabilito nella sua side letter, ritrovata, insieme a quelle di altri sedici calciatori: erano tutte catalogate, nome per nome, in un fascicolo riposto su una mensola nello studio legale Weigmann. La procura ritiene di essere riuscita a ricostruire anche grazie a questi documenti le manovre stipendi della società bianconera, intraprese per evitare il tracollo dei conti. [...]

La prima manovra sugli stipendi, quella del lockdown, sarebbe stata scissa in due step, con due accordi, uno di riduzione degli stipendi, (quattro mensilità), un altro per il reintegro di tre ratei. Gli accordi, diversi da quelli trovati in Lega, sarebbero stati fatti firmare ai calciatori “in bianco”, perchè poi la data veniva messa dalla Juventus a seconda delle esigenze di bilancio. [...] 

Ma una mail, scritta dall’avvocato Cesare Gabasio, indicava proprio ai calciatori di firmare “whitout date”, senza data. A inguaiare ancor di più la Juventus però è stato un calciatore, Cuadrado, a cui sarebbero state spedite le carte via email. Ma lui si sarebbe sbagliato e avrebbe apposto la data del 29 aprile nel foglio della sua integrazione degli stipendi arretrati. 

In Lega però risulterebbe depositato quello con la data del 19 luglio. Lo aveva del resto scritto anche Giorgio Chiellini nella chat con i compagni di squadra: «Vi arriverà nei prossimi giorni un foglio che vale tutto e niente come quello che abbiamo firmato io e il presidente dove ci impegniamo a lasciare i restanti mesi di questa stagione. Successivamente saranno contattati i vostri avvocati o agenti e nello stesso momento (in maiuscolo, ndr) saranno firmati i contratti validi per questa stagione e la prossima. La Juventus farà un comunicato stampa dove dirà che rinunciamo a 4 stipendi per aiutare il club». Ed infatti bozze di accordi con agenti e avvocati avevano iniziato a circolare vorticosamente.

Ai calciatori sarebbe stato indicato di andare alla Continassa a firmare, a maggio 2020, fidandosi degli accordi pattuiti con i procuratori. Interrogati, i giocatori avrebbero quasi tutti avuto difficoltà a ricordare i dettagli del periodo. Meno smemorato è stato Danilo che ha ammesso di essere andato una sola volta, sebbene la riduzione fosse datata a maggio e l’integrazione a luglio. 

In mano ai pm c’è anche un appunto trovato a Roma dall’avvocato di Bonucci e Cuadrado (che non è indagato) che per gli investigatori costituisce il riassunto di una sua “call” con il club, riassunta così: «Secondo i revisori contabili Juve, levare quest’anno per rimettere il prossimo anno fisso su fisso non risolve i problemi bilancistici che hanno e dunque devono sottoporre a condizione e farlo diventare variabile».

Irene Famà per “La Stampa” l'1 novembre 2022.

Il «bilancio d'esercizio al giugno 2021» della Juventus, per la Consob non è «conforme alle norme che ne disciplinano la redazione». È quanto emerge dalla relazione, firmata dal presidente Paolo Savona, frutto dell'ispezione fatta nel luglio 2021 e notificata nei giorni scorsi alla società. Gli ispettori della Consob hanno fatto le pulci ai bilanci della Juventus per accertare le anomalie dei «proventi dalla gestione dei diritti dei calciatori».

Proprio in quei giorni, la procura di Torino intercettava staff e dirigenti nell'ambito dell'inchiesta penale. Gli atti raccontano di uno scontro aperto di contabilità sulla valutazione del valore commerciale dei giocatori. E anche delle manovre per salvare i bilanci bianconeri sotto la pressione dell'ondata del Covid. 

La Consob conclude: «La dichiarazione di non conformità ai principi contabili internazionali e le informazioni supplementari...dovranno inoltre essere fornite negli altri documenti rivolti al mercato nei quali venga riportata la rendicontazione contabile relativa al bilancio d'esercizio al 30 giugno 2021». 

Un duro colpo per la società che nell'ultimo anno ha perso in Borsa oltre il 50% del valore delle sue azioni. La Juventus ribatte punto per punto, affermando che «la Società valuterà le azioni a tutela dei propri diritti presso le competenti autorità giurisdizionali».

Il terreno di scontro è articolato: dalle plusvalenze, operazioni di alchimie contabili prive di contenuto monetario, alle cosiddette «manovre stipendi». La Consob sostiene infatti che «le stime fornite» sulle operazioni che riguardano gli ingaggi dei giocatori «sono risultate basate esclusivamente sui flussi in uscita legati ai singoli calciatori. Quanto ai flussi in entrata derivanti dalle prestazioni sportive dei calciatori, la Società si è limitata ad affermare che i futuri ricavi sono inevitabilmente influenzati oltre che dalle prestazioni sportive anche da altre voci di ricavo».

In altre parole, secondo la Consob le operazioni di acquisizione e cessione dei giocatori sono state concluse in contemporanea, in modo concordato con la controparte, così da allineare i pagamenti e ridurre le compensazioni monetarie. «In tal modo Juventus e la sua controparte, solo formalmente acquisivano i diritti alle prestazioni sportive, a fronte del corrispettivo monetario indicato contrattualmente». Operazioni incrociate sospette per gli ispettori. 

La Juve, entrando nel merito, replica che «gli eventuali effetti dei rilievi sollevati dalla Consob sarebbero nulli sui flussi di cassa e sull'indebitamento finanziario netto, sia degli esercizi pregressi che di quello appena concluso».

Altre repliche riguardano i rilievi al piano economico e patrimoniale che, secondo i consulenti bianconeri, «si azzererebbero» nell'arco del quinquennio per le operazioni incrociate e nell'arco del quadriennio per le manovre stipendi. Nelle pagine della relazione si ripercorrono decine di contratti, compreso quello di Ronaldo, già sotto la lente della procura. I magistrati Marco Gianoglio, Mario Bendoni e Ciro Santoriello sono convinti che la società abbia utilizzato degli stratagemmi per salvare il bilancio e ingannare il mercato.

Massimiliano Neirozzi per corriere.it il 6 novembre 2022.

Saltò fuori dalla prima perquisizione, il 26 novembre di un anno fa, tra documenti contabili, atti e contratti: «Il libro nero di F. Paratici», così c’era appuntato su un quaderno, trovato dalla guardia di finanza nell’ufficio del ds della Juve Federico Cherubini. 

Uno che, di Fabio Paratici, all’epoca capo dell’area tecnica, era collaboratore da quasi dieci anni. Da legal thriller di John Grisham. Come il resto del materiale cartaceo, era stato sequestrato e analizzato dai militari del nucleo di polizia economico finanziaria di Torino, che stanno indagando sui conti della Juve.

Secondo gli investigatori, si tratta di una serie di appunti sui «rilievi fatti alla gestione Paratici». Essendo osservazioni attribuite a un dirigente della società, Cherubini appunto, va da sé che per gli inquirenti si tratta di un indizio non secondario, nell’ambito delle ipotesi formulate dal procuratore aggiunto Marco Gianoglio e dai pubblici ministeri Mario Bendoni e Ciro Santoriello. 

I magistrati che, la scorsa settimana, hanno firmato e notificato l’avviso di fine indagini nei confronti del presidente Andrea Agnelli, dell’ad Maurizio Arrivabene e di altri ex amministratori, dirigenti e sindaci del club, chiamato in causa in qualità di responsabile amministrativo: per le accuse, a vario titolo, di false comunicazioni sociali, false informazioni al mercato, ostacolo agli organi di vigilanza e utilizzo di false fatture per operazioni inesistenti.

Tra i «rilievi» annotati nel quaderno ce n’è uno in particolare che aveva attirato l’attenzione degli inquirenti, pure perché scritto a caratteri maiuscoli: «Eccessivo ricorso a plusvalenze artificiali». Letti invece con gli occhi di Cherubini, si suppone, quegli appunti non erano altro che valutazioni messe giù in vista di una riunione tecnica, per confrontarsi con quello che, a quei tempi, era il suo diretto superiore.

Un documento di lavoro, insomma. Quello delle presunte plusvalenze, è uno dei filoni lungo i quali s’è sviluppata l’inchiesta della Procura di Torino. L’altro riguarda le cosiddette «manovre stipendi», due operazioni messe in atto dalla Juve — così fu sostanzialmente spiegato — per affrontare la crisi dovuta alla pandemia: taglio o posticipazione di mensilità dovute ai giocatori, a proposito delle quali i pm contestano le modalità di eventuale pagamento e, soprattutto, di iscrizione o meno nei bilanci. 

Per dire, secondo la stima della guardia di finanza, per le «manovre stipendi» mancherebbero dai conti circa 34 milioni di euro, tra cui i 19,975 milioni relativi al solo Cristiano Ronaldo.

Da open.online l’8 novembre 2022. 

C’è un appunto che inguaia la Juventus nell’inchiesta sulle plusvalenze. Un biglietto scritto dal dirigente Federico Cherubini in cui va all’attacco dell’allora direttore sportivo Fabio Paratici. Lo critica perché non rispetta gli orari, fa riunioni in sauna o dal barbiere, annulla gli incontri. Ma soprattutto perché fa «acquisti senza senso» e «plusvalenze artificiali». Lo scritto, racconta oggi Repubblica, è stato ritrovato dalla Guardia di Finanza durante le perquisizioni in sede a Torino. 

Su carta intestata della società. Il titolo era “Libro nero FP” (le iniziali di Paratici, ndr). E la procura lo ha trasformato in uno degli elementi d’accusa nei confronti della società. Insieme alla chat di Chiellini con i compagni e alla scrittura privata con Cristiano Ronaldo. Mentre il processo sportivo rischia la riapertura grazie alle carte dei pubblici ministeri.

Il biglietto riporta critiche sulla gestione di Paratici — «Giudizi e valutazioni cambiano ogni giorno» — e sulle strategie finanziarie: «Piano recupero bilancio disastroso, — forma +sostanza». «Come siamo arrivati qui?», si chiede e cita «acquisti senza senso» e investimenti «fuori portata (Kulusevski??)». Accusandolo anche della «distruzione di una generazione: Kean, Spinazzola, Audero….». 

Insieme ad altri elementi. Come il messaggio di Stefano Bertola, dirigente che si occupava di contabilità, ad Andrea Agnelli: «On track ma su una bumpy road. Riduzione stipendi e plusvalenze sono operazioni chiave per la messa in sicurezza. Speriamo nel vaccino per lo stadio ma è difficile». Secondo i pm la frase è la conferma che i cartellini gonfiati dei calciatori e gli accordi paralleli per la restituzione (sotto forma di buonuscita o di premio fedeltà) degli stipendi a cui avevano rinunciato per il Covid siano stati la strategia per far quadrare i conti.

Intanto anche la Consob accende un faro sui bilanci 2020 e 2021. E parla di carenze e criticità, accertandone la «non conformità». Sulla base di 15 scambi sopravvalutati di giocatori. Ovvero «operazioni incrociate» con altre società. La difesa dei bianconeri punta tutto sulla soggettività: non ci sono prezzi stabiliti per i cartellini dei giocatori. E quindi ognuno è libero di comprarli e venderli al costo che desidera. Ma l’autorità della Borsa non è d’accordo. E usa Transfermarkt per sottolineare che Pjanic e Arthur vengono scambiati con il Barcellona al 40 e 29% oltre il valore dato dal sito. Mentre altri si trovano con sovrapprezzi del 900, del 1600 e del 2500% in più. 

Consob parla anche delle manovre sugli stipendi: «Si osserva un modus operandi singolare con la società che firma e fa firmare accordi con i propri dipendenti e poi giudica quegli stessi accordi come irrilevanti». Mentre la Juventus «rimane convinta di aver operato nel rispetto delle leggi – è la nota della società -. I rilievi di Consob si basano su interpretazioni di elementi soggettivi e applicazioni delle regole contabili giudizi e valutazioni che Juventus non condivide».

Giovanni Albanese per gazzetta.it il 28 novembre 2022.

Il consiglio di amministrazione della Juventus si è dimesso in blocco. Alle prime indiscrezioni del tardo pomeriggio sono seguite le azioni ufficiali: a rassegnare le proprie dimissioni in serata, in un consiglio straordinario che si è tenuto alla Continassa, sono stati il presidente Andrea Agnelli, il suo vice Pavel Nedved, l’amministratore delegato Maurizio Arrivabene e i membri Laurence Debroux, Massimo Della Ragione, Katryn Fink, Daniela Marilungo, Francesco Roncaglio, Giorgio Tacchia e Suzanne Keywood. 

Il consiglio di amministrazione della Juventus si è dimesso in blocco. Andrea Agnelli abbandona il vertice del club bianconero dopo oltre 12 anni: decisive le contestazioni della Consob sulle plusvalenze. Era il 19 maggio 2010 quando iniziò la sua presidenza. Ripercorriamo le tappe più significative

Il coinvolgimento dell'organo nell'indagine Prisma, aperta dalla Procura di Torino con l’accusa di falso in bilancio, e le ultime contestazioni della Consob, che hanno spinto a rivedere il progetto di bilancio da approvare e far slittare per due volte l'assemblea degli azionisti (fissata adesso il 27 dicembre) hanno portato alla decisione unanime di fare un passo indietro. Si chiude una delle epoche più vincenti del club, che dall'insediamento di Andrea Agnelli alla presidenza (19 maggio 2010) ha raggiunto tra gli altri il record di nove scudetti consecutivi.

Andrea Agnelli ed il cda si dimettono. Andrea Soglio su Panorama il 28 Novembre 2022.

La mancata approvazione del bilancio, un campionato non brillante e soprattutto l'inchiesta sulle plusvalenze che potrebbe avere esiti pesanti hanno portato al gesto clamoroso

Una vera e propria tempesta scuote il calcio italiano e soprattutto la Juventus. In serata l’intero cda della società bianconera si è dimesso dalla carica, compreso il suo Presidente, Andrea Agnelli. Una scelta storica comunicata con un rapido comunicato dopo che dal pomeriggio erano circolate voci in tal senso. Dimissioni in blocco che arrivano nel pieno di un’inchiesta giudiziaria sul tema delle plusvalenze per cui, va ricordato, la procura aveva addirittura chiesto gli arresti domiciliari per il Presidente bianconero. Inchiesta per la quale, si dice a Torino, siano a breve in arrivo le iscrizioni nel registro degli indagati. Non solo. La Juventus ha, anche per il lavoro della magistratura, ha rinviato più volte l’approvazione del bilancio, uno dei più pesanti della sua storia che si dovrebbe chiudere con un passivo di 250 milioni di euro.

Via quindi Andrea Agnelli, via Pavel Nedved, via Cherubini. Unico che dovrebbe rimanere alla Continassa è Maurizio Arrivabene, voluto, portato dalla Ferrari alla Juventus da John Elkann. La società è stata per il momento affidata a Maurizio Scanavino con il ruolo di Direttore Generale. Scanavino è uomo di fiducia di John Elkann ed è attuale amministratore delegato del Gruppo Gedi Nel testo del comunicato si percepisce chiaramente il tentativo di salvaguardare la società da un’inchiesta che davvero può minare le fondamenta di quella che è la principale squadra di calcio italiana. La lunghezza del comunicato è la prova che si tratta di una notizia di certo non improvvisa, presa, dicono in molti, in prima persona dalla proprietà (che contemporaneamente si trova a dover gestire anche il cambio al vertice della Ferrari). Prima delle dimissioni Andrea Agnelli ha mandato una mail di saluti e ringraziamenti a tutti i dipendenti in cui ha ricordato l'impegno, i successi, i primati (lo stadio di proprietà) spiegando la scelta sua e del cda per «contenere i danni». Da domani la Juventus, dopo 12 anni di controllo di Andrea Agnelli, cambia pelle. Si chiude un’era ricca di successi come poche altre che però rischia di finire con una macchia altrettanto pesante sulla società, sulla sua storia e su quella della proprietà. Il Comunicato Bianconero Il Consiglio di Amministrazione di Juventus Football Club S.p.A. (la “Società” o “Juventus”), riunitosi oggi sotto la Presidenza di Andrea Agnelli, acquisiti nuovi pareri legali e contabili degli esperti indipendenti incaricati ai fini della valutazione delle criticità evidenziate da Consob ai sensi dell’art. 154-ter TUF sui bilanci della Società al 30 giugno, ha nuovamente esaminato le contestazioni della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Torino, le carenze e criticità rilevate dalla Consob e i rilievi sollevati da Deloitte & Touche S.p.A., società di revisione di Juventus. Con riferimento alle criticità relative alle c.d. “manovre stipendi” realizzate negli esercizi 2019/2020 e 2020/2021, il Consiglio di Amministrazione ha rilevato che si tratta di profili complessi relativi ad elementi di valutazione suscettibili di differenti interpretazioni circa il trattamento contabile applicabile e ha attentamente considerato i possibili trattamenti alternativi. All’esito di tali complessive analisi e valutazioni, sebbene il trattamento contabile adottato rientri tra quelli consentiti dagli applicabili principi contabili, la Società, per un approccio maggiormente prudenziale, ha: - anzitutto ritenuto di rivedere al rialzo la stima di probabilità di avveramento delle condizioni di permanenza in rosa per quei calciatori che nel biennio 2019/20-2020/21 hanno rinunciato a parte dei compensi e con cui sono state successivamente concluse integrazioni salariali o “loyalty bonus” (rispettivamente, a luglio/agosto 2020 per la prima c.d. “manovra stipendi” e a settembre 2021 per la seconda c.d. “manovra stipendi”); - sulla base delle sopramenzionate possibilità di adozione di legittime metodologie di contabilizzazione alternative, valutato di far decorrere l’accrual pro-rata temporis degli oneri per le integrazioni salariali di luglio/agosto 2020 (per la prima c.d. “manovra stipendi”) e i c.d. “loyalty bonus” di settembre 2021 (per la seconda c.d. “manovra stipendi”) a partire dalla data più remota tra quelle di partenza di una c.d. “constructive obligation” ipotizzate dagli esperti indipendenti (e così, rispettivamente, da giugno 2020 e maggio 2021). Tali revisioni di stime e di assunzioni comportano pertanto rettifiche delle stime di oneri di competenza a fine giugno 2020, fine giugno 2021 e fine giugno 2022 per effetto delle integrazioni salariali siglate a luglio/agosto 2020 e dei “loyalty bonus” siglati a settembre 2021, prevedendone l’accrual pro-rata temporis, secondo il c.d. “straight line approach” (che è uno tra gli approcci ammessi dai principi contabili), a far data, rispettivamente, da giugno 2020 e da maggio 2021; gli effetti di tali rettifiche sono sostanzialmente nulli sui flussi di cassa e sull’indebitamento finanziario netto, sia degli esercizi pregressi che di quello appena concluso e futuri, e non sono material sul patrimonio netto al 30 giugno 2022. Gli effetti contabili di quanto sopra illustrato, saranno riflessi in un nuovo progetto di bilancio di esercizio e in un nuovo bilancio consolidato al 30 giugno 2022 che saranno esaminati e approvati in una prossima riunione consiliare, resi noti al mercato ai sensi di legge e sottoposti all’Assemblea degli Azionisti già convocata per il 27 dicembre 2022. Il Consiglio di Amministrazione ha, quindi, approvato, all’unanimità, il comunicato stampa contenente le considerazioni sui bilanci al 30 giugno 2022 richieste da Consob ai sensi dell’art. 114, comma 5, del TUF, disponibile presso il sistema di diffusione delle informazioni regolamentate “1Info” (1info.it) e sul sito internet della Società (www.juventus.com), all’interno della sezione “Investitori”. Gli amministratori hanno, inoltre, richiesto alle funzioni interne della Società, con particolare riguardo all’attività dell’Area Sport, di concludere le analisi e procedere all’attuazione nei tempi più brevi possibili del già avviato processo di ulteriore implementazione e miglioramento delle procedure e dei presidi interni in modo tale da contribuire al processo di rafforzamento delle prassi contabili volte alla misurazione e contabilizzazione degli asset e delle operazioni della Società. Tutto quanto sopra considerato, al fine di rafforzare il management della Società, il Consiglio di Amministrazione ha deliberato di conferire l’incarico di Direttore Generale al dott. Maurizio Scanavino. Si allega al presente comunicato stampa il curriculum vitae del dott. Scanavino. Inoltre, i membri del Consiglio di Amministrazione, considerata la centralità e rilevanza delle questioni legali e tecnico-contabili pendenti, hanno ritenuto conforme al miglior interesse sociale raccomandare che Juventus si doti di un nuovo Consiglio di Amministrazione che affronti questi temi. A tal fine, su proposta del Presidente Andrea Agnelli e onde consentire che la decisione sul rinnovo del Consiglio sia rimessa nel più breve tempo possibile all’Assemblea degli Azionisti, tutti i componenti del Consiglio di Amministrazione presenti alla riunione hanno dichiarato di rinunciare all’incarico. Per le stesse ragioni, ciascuno dei tre amministratori titolari di deleghe (il Presidente Andrea Agnelli, il Vicepresidente Pavel Nedved e l’Amministratore Delegato Maurizio Arrivabene) ha ritenuto opportuno rimettere al Consiglio le deleghe agli stessi conferite. Il Consiglio ha, tuttavia, richiesto a Maurizio Arrivabene di mantenere la carica di Amministratore Delegato. In ragione di quanto precede, è venuta meno la maggioranza degli Amministratori in carica e, pertanto, ai sensi di legge e di statuto, il Consiglio di Amministrazione deve intendersi cessato. Il Consiglio proseguirà la propria attività in regime di prorogatio sino all’Assemblea dei soci che è stata convocata per il 18 gennaio 2023 per la nomina del nuovo Consiglio di Amministrazione (eccezion fatta per l’amministratore Daniela Marilungo che ha rassegnato le proprie dimissioni con dichiarazione separata; cfr. infra per ulteriori informazioni)1. Juventus continuerà a collaborare e cooperare con le autorità di vigilanza e di settore, impregiudicata la tutela dei propri diritti in relazione alle contestazioni mosse contro i bilanci e i comunicati della Società dalla Consob e dalla Procura. Si segnala, ai sensi dell’Articolo IA.2.6.7 delle Istruzioni al Regolamento dei mercati organizzati e gestiti da Borsa Italiana S.p.A., che: - con riferimento alle dimissioni della dott.ssa Daniela Marilungo, la stessa ricopriva la carica di consigliere non esecutivo e indipendente della Società, nonché di membro del “Comitato Controllo e Rischi” e del “Comitato ESG” di Juventus. La dott.ssa Marilungo ha motivato le sue dimissioni sostenendo l’impossibilità di esercitare il proprio mandato con la dovuta serenità e indipendenza anche, ma non solo, per il fatto di ritenere di non essere stata messa nella posizione di poter pienamente “agire informata” a fronte di temi di sicura complessità. Il Consiglio di Amministrazione ha preso nota dei commenti della dott.ssa Marilungo, non condividendoli. Ciononostante il Consiglio di Amministrazione ringrazia la dott.ssa Marilungo per i suoi sette anni in Juventus; - sulla base delle comunicazioni effettuate alla Società e al pubblico, né la dott.ssa Marilungo né gli altri consiglieri risultano detenere, alla data odierna, azioni Juventus, ad eccezione di Andrea Agnelli, che detiene alla data odierna n. 96711 azioni Juventus; Il Consigliere Giorgio Tacchia è stato nominato quale componente del “Comitato Controllo e Rischi” in sostituzione di Daniela Marilungo. Sulla base delle comunicazioni effettuate alla Società, il dott. Scanavino non risulta detenere, alla data odierna, azioni Juventus. La lettera aperta di Andrea Agnelli "Cari tutti, giocare per la Juventus, lavorare per la Juventus; un unico obiettivo: Vincere. Chi ha il privilegio di indossare la maglia bianconera lo sa. Chi lavora in squadra sa che il lavoro duro batte il talento se il talento non lavora duro. La Juventus è una delle più grandi società al mondo e chi vi lavora o gioca sa che il risultato è figlio del lavoro di tutta la squadra. Siamo abituati per storia e Dna a vincere. Dal 2010 abbiamo onorato la nostra storia raggiungendo risultati straordinari: lo Stadium, nove scudetti maschili consecutivi, i primi in Italia ad aver una serie Netflix e Amazon Prime, il J|Medical, cinque scudetti femminili consecutivi a partire dal giorno zero. E ancora, il deal con Volkswagen (pochi lo sanno), le finali di Berlino e Cardiff (i nostri grandi rimpianti), l'accordo con Adidas, la Coppa Italia Next Gen, la prima società a rappresentare i club in seno al Comitato Esecutivo Uefa, il J|Museum e tanto altro. Ore, giorni, notti, mesi e stagioni con l'obiettivo di migliorare sempre in vista di alcuni istanti determinanti. Ognuno di noi sa richiamare alla mente l'attimo prima di scendere in campo: esci dallo spogliatoio e giri a destra, una ventina di scalini in discesa con una grata in mezzo, un'altra decina di scalini in salita e ci sei: 'el miedo esce'nico' e in quell'attimo quando sai di avere tutta la squadra con te l'impossibile diventa fattibile. Bernabeu, Old Trafford, Allianz Arena, Westfallen Stadium, San Siro, Georgios Karaiskaks, Celtic Park, Camp Nou: ovunque siamo stati quando la squadra era compatta non temevamo nessuno. Quando la squadra non è compatta si presta il fianco agli avversari e questo può essere fatale. In quel momento bisogna avere la lucidità e contenere i danni. La nostra consapevolezza sarà la loro sfida: essere all'altezza della storia della Juventus. Io continuerò a immaginare e a lavorare per un calcio migliore, confortato da una frase di Friedrich Nietzsche: 'And those who were seen dancing were thought to be insane by those who could not hear the music' (ovvero ' quelli che non potevano sentire la musica pensavano che quelli che ballavano fossero matti"). Ricordate, ci riconosceremo ovunque con uno sguardo: Siamo la gente della Juve! Fino alla fine...".

Il Cda della Juventus si è dimesso. Lascia anche il presidente Andrea Agnelli. Redazione CdG 1947 su Il Corriere del Giorno il 28 Novembre 2022

Il consiglio di amministrazione della Juventus ha lasciato il club. Decisive le contestazioni della Consob sulle plusvalenze. Restano le deleghe da a. d. per Maurizio Arrivabene, Maurizio Scanavino nuovo direttore generale

Il consiglio di amministrazione della Juventus si è dimesso . Dopo le prime indiscrezioni del tardo pomeriggio sono seguite le decisioni ufficiali: in un consiglio straordinario di amministrazione che si è tenuto in serata alla Continassa a rassegnare le proprie dimissioni sono stati il presidente Andrea Agnelli, che lascia la guida del club dopo 12 anni, il suo vice Pavel Nedved, l’amministratore delegato Maurizio Arrivabene e i consiglieri Laurence Debroux, Massimo Della Ragione, Katryn Fink, Suzanne Heywood, Daniela Marilungo, Francesco Roncaglio e Giorgio Tacchia. Restano le deleghe da amministratore delegato per Maurizio Arrivabene, mentre a Maurizio Scanavino è stato conferito l’incarico di direttore generale.

Il Consiglio proseguirà la propria attività in regime di “prorogatio” sino all’assemblea dei soci convocata per il prossimo 18 gennaio 2023. Si chiude una delle epoche più vincenti del club, che dall’insediamento di Andrea Agnelli alla presidenza (19 maggio 2010) ha raggiunto tra gli altri il record di nove scudetti consecutivi.

Il coinvolgimento dell’organo societario nell’indagine Prisma, condotta dalla Procura di Torino con l’accusa di falso in bilancio, e le ultime contestazioni della Consob, che hanno spinto a rivedere il progetto di bilancio da approvare e far slittare per due volte l’assemblea degli azionisti (fissata adesso il 27 dicembre) hanno portato alla decisione unanime di fare tutti un passo indietro. La Juventus, nel comunicato diffuso in serata, spiega che “continuerà a collaborare e cooperare con le autorità di vigilanza e di settore, impregiudicata la tutela dei propri diritti in relazione alle contestazioni mosse contro i bilanci e i comunicati della Società dalla Consob e dalla Procura”.

Questo il comunicato del club

Il Consiglio di Amministrazione di Juventus Football Club S.p.A. (la “Società” o “Juventus”), riunitosi oggi sotto la Presidenza di Andrea Agnelli, acquisiti nuovi pareri legali e contabili degli esperti indipendenti incaricati ai fini della valutazione delle criticità evidenziate da Consob ai sensi dell’art. 154-ter TUF sui bilanci della Società al 30 giugno 2021, ha nuovamente esaminato le contestazioni della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Torino, le carenze e criticità rilevate dalla Consob e i rilievi sollevati da Deloitte & Touche S.p.A., società di revisione di Juventus.

Con riferimento alle criticità relative alle c.d. “manovre stipendi” realizzate negli esercizi 2019/2020 e 2020/2021, il Consiglio di Amministrazione ha rilevato che si tratta di profili complessi relativi ad elementi di valutazione suscettibili di differenti interpretazioni circa il trattamento contabile applicabile e ha attentamente considerato i possibili trattamenti alternativi.

All’esito di tali complessive analisi e valutazioni, sebbene il trattamento contabile adottato rientri tra quelli consentiti dagli applicabili principi contabili, la Società, per un approccio maggiormente prudenziale, ha:

– anzitutto ritenuto di rivedere al rialzo la stima di probabilità di avveramento delle condizioni di permanenza in rosa per quei calciatori che nel biennio 2019/20-2020/21 hanno rinunciato a parte dei compensi e con cui sono state successivamente concluse integrazioni salariali o “loyalty bonus” (rispettivamente, a luglio/agosto 2020 per la prima c.d. “manovra stipendi” e a settembre 2021 per la seconda c.d. “manovra stipendi”);

– sulla base delle sopramenzionate possibilità di adozione di legittime metodologie di contabilizzazione alternative, valutato di far decorrere l’accrual pro-rata temporis degli oneri per le integrazioni salariali di luglio/agosto 2020 (per la prima c.d. “manovra stipendi”) e i c.d. “loyalty bonus” di settembre 2021 (per la seconda c.d. “manovra stipendi”) a partire dalla data più remota tra quelle di partenza di una c.d. “constructive obligation” ipotizzate dagli esperti indipendenti (e così, rispettivamente, da giugno 2020 e maggio 2021).

Tali revisioni di stime e di assunzioni comportano pertanto rettifiche delle stime di oneri di competenza a fine giugno 2020, fine giugno 2021 e fine giugno 2022 per effetto delle integrazioni salariali siglate a luglio/agosto 2020 e dei “loyalty bonus” siglati a settembre 2021, prevedendone l’accrual pro-rata temporis, secondo il c.d. “straight line approach” (che è uno tra gli approcci ammessi dai principi contabili), a far data, rispettivamente, 2 da giugno 2020 e da maggio 2021; gli effetti di tali rettifiche sono sostanzialmente nulli sui flussi di cassa e sull’indebitamento finanziario netto, sia degli esercizi pregressi che di quello appena concluso e futuri, e non sono material sul patrimonio netto al 30 giugno 2022. Gli effetti contabili di quanto sopra illustrato, saranno riflessi in un nuovo progetto di bilancio di esercizio e in un nuovo bilancio consolidato al 30 giugno 2022 che saranno esaminati e approvati in una prossima riunione consiliare, resi noti al mercato ai sensi di legge e sottoposti all’Assemblea degli Azionisti già convocata per il 27 dicembre 2022.

                                                                                                           ***

Il Consiglio di Amministrazione ha, quindi, approvato, all’unanimità, il comunicato stampa contenente le considerazioni sui bilanci al 30 giugno 2022 richieste da Consob ai sensi dell’art. 114, comma 5, del TUF, disponibile presso il sistema di diffusione delle informazioni regolamentate “1Info” (www.1info.it) e sul sito internet della Società (www.juventus.com), all’interno della sezione “Investitori”.

Gli amministratori hanno, inoltre, richiesto alle funzioni interne della Società, con particolare riguardo all’attività dell’Area Sport, di concludere le analisi e procedere all’attuazione nei tempi più brevi possibili del già avviato processo di ulteriore implementazione e miglioramento delle procedure e dei presidi interni in modo tale da contribuire al processo di rafforzamento delle prassi contabili volte alla misurazione e contabilizzazione degli asset e delle operazioni della Società.

Tutto quanto sopra considerato, al fine di rafforzare il management della Società, il Consiglio di Amministrazione ha deliberato di conferire l’incarico di Direttore Generale al dott. Maurizio Scanavino.

Inoltre, i membri del Consiglio di Amministrazione, considerata la centralità e rilevanza delle questioni legali e tecnico-contabili pendenti, hanno ritenuto conforme al miglior interesse sociale raccomandare che Juventus si doti di un nuovo Consiglio di Amministrazione che affronti questi temi.

A tal fine, su proposta del Presidente Andrea Agnelli e onde consentire che la decisione sul rinnovo del Consiglio sia rimessa nel più breve tempo possibile all’Assemblea degli Azionisti, tutti i componenti del Consiglio di Amministrazione presenti alla riunione hanno dichiarato di rinunciare all’incarico.

Per le stesse ragioni, ciascuno dei tre amministratori titolari di deleghe (il Presidente Andrea Agnelli, il Vicepresidente Pavel Nedved e l’Amministratore Delegato Maurizio Arrivabene) ha ritenuto opportuno rimettere al Consiglio le deleghe agli stessi conferite. Il Consiglio ha, tuttavia, richiesto a Maurizio Arrivabene di mantenere la carica di Amministratore Delegato.

In ragione di quanto precede, è venuta meno la maggioranza degli Amministratori in carica e, pertanto, ai sensi di legge e di statuto, il Consiglio di Amministrazione deve intendersi cessato. Il Consiglio proseguirà la propria attività in regime di prorogatio sino all’Assemblea dei soci che è stata convocata per il 18 gennaio 2023 per la nomina del nuovo Consiglio di Amministrazione (eccezion fatta per l’amministratore Daniela Marilungo che ha rassegnato le proprie dimissioni con dichiarazione separata; cfr. infra per ulteriori informazioni).

Juventus continuerà a collaborare e cooperare con le autorità di vigilanza e di settore, impregiudicata la tutela dei propri diritti in relazione alle contestazioni mosse contro i bilanci e i comunicati della Società dalla Consob e dalla Procura.

                                                                                                                ***

Si segnala, ai sensi dell’Articolo IA.2.6.7 delle Istruzioni al Regolamento dei mercati organizzati e gestiti da Borsa Italiana S.p.A., che:

– con riferimento alle dimissioni della dott.ssa Daniela Marilungo, la stessa ricopriva la carica di consigliere non esecutivo e indipendente della Società, nonché di membro del “Comitato Controllo e Rischi” e del “Comitato ESG” di Juventus. La dott.ssa Marilungo ha motivato le sue dimissioni sostenendo l’impossibilità di esercitare il proprio mandato con la dovuta serenità e indipendenza anche, ma non solo, per il fatto di ritenere di non essere stata messa nella posizione di poter pienamente “agire informata” a fronte di temi di sicura complessità. Il Consiglio di Amministrazione ha preso nota dei commenti della dott.ssa Marilungo, non condividendoli. Ciononostante il Consiglio di Amministrazione ringrazia la dott.ssa Marilungo per i suoi sette anni in Juventus;

– sulla base delle comunicazioni effettuate alla Società e al pubblico, né la dott.ssa Marilungo né gli altri consiglieri risultano detenere, alla data odierna, azioni Juventus, ad eccezione di Andrea Agnelli, che detiene alla data odierna n. 96711 azioni Juventus;

Il Consigliere Giorgio Tacchia è stato nominato quale componente del “Comitato Controllo e Rischi” in sostituzione di Daniela Marilungo. Sulla base delle comunicazioni effettuate alla Società, il dott. Scanavino non risulta detenere, alla data odierna, azioni Juventus.

Redazione CdG 1947

DAGOREPORT il 29 novembre 2022.

Da tempo John Elkann aveva provato a far capire al cugino Andrea che il capolinea era arrivato con l’indagine della Procura di Torino: dimettiti, corri il rischio di essere arrestato. Un buco nell’acqua. Il nipote dell’Avvocato non poteva crederci: io sono un Agnelli… Allora Yaki ha provato a convincere la madre di Andrea, Allegra, che dimettersi era l’unica cosa da fare. Altro flop.

Poi, via Procura, tutto è precipitato. Non era infatti ieri la giornata giusta per terremotare il cda della Juve. Volevano che le dimissioni avvenissero dopo i mondiali del Qatar. Infatti la scelta di Scanavino ne è la prova: una soluzione tampone, temporanea visto che l’alter ego di Elkann è straimpegnato con la Gedi editoriale.

Da gazzetta.it il 29 novembre 2022. 

John Elkann parla per la prima volta sul terremoto in casa Juve: "Le dimissioni dei consiglieri di amministrazione della Juventus rappresentano un atto di responsabilità, che mette al primo posto l’interesse della società - ha detto l'a.d. di Exor -.   Il nuovo consiglio che nascerà a gennaio sarà formato da figure di grande professionalità sotto il profilo tecnico e giuridico, guidati del presidente Gianluca Ferrero: insieme agli altri  amministratori, avrà il compito di affrontare e risolvere i temi legali e societari che sono sul tavolo oggi. Confido che la società riuscirà a dimostrare di aver agito sempre correttamente".  

"Maurizio Scanavino, che ha dimostrato solide capacità manageriali in tutte le società dove ha lavorato, metterà a frutto l’esperienza maturata soprattutto in ambito media e digitale per accelerare lo sviluppo della Juventus, uno dei brand più forti al mondo - ha proseguito Elkann -.   Massimiliano Allegri rimane il punto di riferimento dell’area sportiva della Juventus: contiamo di lui e su tutta la squadra per continuare a vincere come hanno dimostrato di saper fare nelle ultime giornate, mantenendo alti i nostri obiettivi sul campo.    

Voglio ringraziare mio cugino Andrea per averci dato emozioni straordinarie, che non dimenticheremo mai.  In questi 12 anni abbiamo vinto tanto. Il merito è soprattutto suo, oltre che delle donne e degli uomini che sotto la sua guida hanno raggiunto obiettivi memorabili.   La nostra storia parla di vittorie e ci dà la forza che serve proprio in questi momenti. Con il sostengo e l’affetto dei nostri tifosi, abbiamo l’occasione di costruire un futuro straordinario".

Andrea Agnelli e John Elkann, come è nata la resa dei conti nella Juventus. Storia di Massimiliano Nerozzi su Il Corriere della Sera il 29 Novembre 2022

A un certo punto, Andrea Agnelli non ha più avuto alternative: «Se portate in assemblea questo bilancio, dobbiamo andare in Procura», hanno detto nella sostanza i sindaci della Juve, entrati in carica da poco più di un anno, davanti all’insistenza del management. Professionisti (tre) di un certo livello, come Maria Cristina Zoppo, equity partner di Bdo-Tax e componente del comitato per il controllo sulla gestione nel cda di Intesa Sanpaolo. Poco prima, lunedì a pranzo e già nel week end, il presidente bianconero si era confrontato, sinceramente e ruvidamente, con il cugino, John Elkann, ad di Exor, la holding di famiglia che controlla il club. Morale: la situazione, contabile e giudiziaria, non era più sostenibile.

Non siamo agli Agnelli Coltellidi un libro appena uscito, ma business is business. Difatti, martedì pomeriggio, sono arrivate le parole dell’azionista di maggioranza: «Le dimissioni dei consiglieri di amministrazione rappresentano un atto di responsabilità, che mette al primo posto l’interesse della società». Ogni cosa ha il suo tempo, dalla giustizia (incombente) agli affari (pure di più): oggi è in menù una conference call con analisti e investitori istituzionali di Exor, e le faccende juventine, ultimamente, stavano turbando l’impero. Nonostante il club (quotato) valga sui 700 milioni di euro, il 2 per cento del valore patrimoniale netto di Exor, sui 31 miliardi.

Come sibilò un dirigente sotto la tempesta di Calciopoli, «la Juve è l’insegna del locale»: la conoscono tutti, in tutto il mondo. E da un ciclo prodigioso, la gestione Agnelli aveva imboccato un vicolo disastroso, tra campo e, soprattutto, bilancio, con un rosso arrivato a 254 milioni. Nonostante aumenti di capitale per 700 milioni in tre anni. Così, Elkann ha detto stop, lasciando all’ormai presidente dimissionario tre righe del comunicato: «Voglio ringraziare mio cugino Andrea per averci dato emozioni straordinarie, che non dimenticheremo mai. In questi 12 anni abbiamo vinto tanto. Il merito è soprattutto suo, oltre che delle donne e degli uomini che sotto la sua guida hanno raggiunto obiettivi memorabili».

Che si fossero scontrare due linee d’azione non l’ha nascosto Agnelli, nella mail a dipendenti e giocatori, colti di sorpresa, chi al Mondiale chi alle Maldive: «La compattezza è venuta meno». Dopodiché, sarebbe sbagliato ridurre il tutto a rarefatte affinità elettive, o a Duellanti alla Ridley Scott (non da ieri), se il punto è anche un altro: . Nel dubbio, la proprietà si prepara alla battaglia, pur con diverso approccio del muro contro muro invocato da Agnelli e messo nero su bianco, solo una settimana prima: «Il nuovo consiglio sarà di figure di grande professionalità sotto il profilo tecnico e giuridico — spiega Elkann — che avrà il compito di affrontare e risolvere i temi legali e societari che sono sul tavolo oggi. Confido che la società riuscirà a dimostrare di aver agito sempre correttamente».

Oltre alla forma, c’è la sostanza di certe cose: il lancio della Superlega, l’esame di Suarez, le plusvalenze prima agognate e ora sospettate. Colpi all’immagine, mica solo al salvadanaio. Resta chi governa sul prato: «Allegri rimane il punto di riferimento dell’area sportiva: contiamo su di lui e su tutta la squadra per continuare a vincere, come hanno dimostrato di saper fare nelle ultime giornate, mantenendo alti i nostri obiettivi sul campo». Ciò che, per la proprietà, non riusciva più a fare questa società. E ora, chiude Elkann, «abbiamo l’occasione di costruire un futuro straordinario». Con un Agnelli in meno.

Da corrieredellosport.it il 29 novembre 2022. 

Deniz Akalin, compagna di Andrea Agnelli, ha scritto un lungo post sui social, dopo la decisione dell'ormai ex presidente della Juventus, di dimettersi dalla sua carica, insieme a tutto il cda bianconero. Post che ha ricevuto i like di Miralem Pjanic e di Carolina Bonistalli, compagna di Giorgio Chiellini

"Da dove iniziare.. Dopo 12 anni di lavoro giorno e notte, oggi chiudi un capitolo della tua vita da Presidente della Juventus. Solo io e te sapremo tutti i sacrifici che hai fatto, tutti gli sforzi che ci hai messo.. 9 campionati consecutivi di serie A, 5 coppe italia di cui 4 di fila, 4 vittorie supercoppa, 5 campionati femminili consecutivi, 2 coppe italia femminili, 3 supercoppe femminili, 1 coppa Italia serie C.. Nessuno te li può togliere e dubito che qualcuno riuscirà mai ad avvicinarsi alla vittoria di 29 trofei.

Mi chiedi sempre cosa amo di più di te ed io rispondo sempre come lavori: tu non fermarti; sei coerente, e insistente. Perseverante, determinato. La responsabilità ce l'hai nel sangue - mai una volta che te ne sei scappato, anche quando significava prenderti la colpa per gli altri o errori che non erano tuoi. Ci metti sempre la faccia sulle sconfitte, sui momenti difficili, sulle decisioni difficili. Vorrei avere la metà del coraggio, dell'integrità e della decenza che hai tu.

Oggi, non solo sono al tuo fianco, ma sono con orgoglio e ti ringrazio per tutto quello che hai realizzato in questi anni per la Juventus, per la tua famiglia, per noi. C'è solo un Presidente, e per me lo sarai per sempre tu. Non vedo l'ora di vedere cosa ci riserva il futuro amore mio. Sono semplicemente certo che fianco a fianco lo renderemo migliore di qualsiasi cosa ci aspettiamo. Ti amo! Ieri, oggi, e domani".

Pierluigi Panza per giornalistinelpallone.corriere.it il 29 novembre 2022.

Sparare adesso contro Andrea Agnelli, padre dei 9 scudetti consecutivi e del rinnovamento delle strutture della Juventus, è squallido. Il 6 luglio 2018, pochi giorni prima del suo acquisto, in questo blog che ospita le nostre frivolezze da tifosi scrissi un articolo intitolato “Perché da juventino dico no a Cr7”, sottolineando che Cr7 sarebbe stato l’inizio della fine. A far fuori squadra e conti ha poi proseguito Paratici, come più volte scritto. Agnelli è stato il responsabile della “svolta dei quarantenni” e ora, giustamente, deve lasciare. La malafine era un pronostico facilissimo.  

John Elkann – che, dicono, non ami il cugino – riesce con queste dimissioni a evitare che Andrea finisca nella tempesta come responsabile di una società accusata di ostacolare le indagini nella ricerca di falso in bilancio. Il nuovo presidente – commercialista collaborerà con la Consob, il Tribunale procederà nelle indagini e la vicenda si chiuderà con ammende e rinvii a giudizio che andranno a perdersi in un futuro senza tempo. 

La parte sportiva è altra cosa e resterà nelle mani di Allegri con valutazione a fine anno. Penso che già a gennaio cercheranno di vendere giocatori validi che vanno in scadenza (tipo Rabiot e Cuadrado…) e di tagliare contratti con giocatori a fine corsa inutilmente acquistati (tipo Di Maria, Paredes, persino Pogba) se troveranno uno spiraglio-cavillo. Dopo gli sciaguratissimi anni di Paratici, anche le ultime campagne acquisti (quella dei giovani Locatelli e Kean con l’aggiunta di Vlahovic e Zacharia, e quella dei pronti subito Di Maria, Paredes e Pogba) sono state una peggio dell’altra.

L’ultimo tentativo di uscire dall’accerchiamento fu il disperato lancio della Superlega alla quale, da principio, aderirono anche squadre mai colpite dal Tribunale o dal Financial fair-play. Ma Agnelli, vinto il sesto, poi il settimo scudetto di fila ha fatto proprio male a tentare il tutto per tutto? E perché lo ha fatto? Lo ha fatto per hybris, certo, ma anche per i tifosi o perché tutti, una volta nella vita, hanno mandato una macchina fuori giri per raggiungere un traguardo altrimenti irraggiungibile. E questo è il punto: perché alle squadre del Sud Europa, dell’Europa Latina, è diventato impossibile competere ad alto livello ad eccezione del Real Madrid? Perché l’asse delle europee nutrite dai sudamericani di lingua latina, che per tutto il Novecento ha sfidato e vinto gli inglesi inventori del football, è stato cancellato? È stato sabotato dall’alleanza globalista tra inglesi e arabi, che controllano la finanza londinese. Fifa e Uefa, con l’Europeo a Londra (salvato dall’Italia di Chiellini) e il mondiale in Qatar, hanno benedetto la Nuova alleanza, alla quale partecipa anche il Psg, squadra qatariota che milita in un campionato inesistente.

Spazzato via il calcio balcanico, greco, ridimensionato quello iberico, inesistente quello francese erano restate quattro squadre che potevano competere contro la Nuova alleanza anglo-araba. Due sono, per ora, sopravvissute, Real e Bayern e due sono uscite dal Grande gioco massacrate da Ceferin, Al-Thani e diritti tv della Premier League: Juve e Barcellona. 

Agnelli è stato un Lancillotto della ribellione contro questo sistema. Come tutti gli eroi tragici ci ha rimesso le penne. La sua scelta, che sconsigliai, non si può dire tuttavia non coraggiosa, anzi coraggiosissima sino all’azzardo pokeristico. Tutto o niente, titolo del cortometraggio sulla Juve, è anche quello del presidente Agnelli: dapprima tutto, poi niente, in barricata a sistemare bilanci, lettere, plusvalenze e altre disdicevoli operazioni nell’età del Covid. Ma tutto ciò è conseguenze di una coraggiosa battaglia, che ha colpito, guarda a caso, lui e nel 2019 il Milan (consent award con la Uefa davanti al Tas). Gli altri rispettano tutti il Financial fair-play

Maurizio Crosetti per “la Repubblica” il 29 novembre 2022. 

C'è un bambino biondo accanto al suo papà, un bambino abbracciato a un pallone. È il 1981: la Juventus sta cominciando l'allenamento a Villar Perosa, e il bambino la guarda assorto. Nella fotografia ha una maglia a righe orizzontali bianche e celesti e l'espressione seria dei piccoli quando giocano. 

Si chiama Andrea Agnelli. Il suo papà Umberto lo osserva poco distante. Una trentina di anni più tardi, quel bambino diventerà presidente della Juve. 

È stata una stagione lunga, gloriosa e tumultuosa quella del quarto Agnelli alla presidenza dei bianconeri dopo Edoardo (1923), Giovanni (1947) e Umberto (1955). Andrea succederà al padre quasi mezzo secolo dopo. Arriva molto giovane a guidare la Juventus in quel 19 maggio 2010, ed è un tempo di enormi tormenti, con la Juve quasi non più Juve, offesa nella sua leggenda dagli errori e dagli inganni di Calciopoli, costretta all'onta della retrocessione in B e a una difficilissima risalita, ormai una squadra sfocata. Due settimi posti consecutivi, una catena di allenatori e dirigenti sbagliati, infine la scelta della famiglia: tornare a metterci il nome, il volto e il peso di una storia. 

Il ciclo di Andrea nasce da una scelta perfetta: Antonio Conte, essenza di juventinità, l'unico davvero capace di una trasfusione d'anima nel corpo stanco. Così comincia la cavalcata che porterà allo Stadium, ai nove scudetti consecutivi, grazie anche ad Allegri e Sarri. 

Diciannove titoli in 12 anni (anche 5 Coppe Italia e altrettante Supercoppe nazionali, più 5 scudetti femminili, ma col vuoto perenne della Champions: due finali raggiunte e perdute) fanno di Andrea Agnelli uno dei presidenti più vittoriosi di sempre, anche se non è tutto oro quello che luccica. In questo lasso di tempo si contano anche il progetto della Superlega, finito ancor prima di nascere, e l'operazione Cristiano Ronaldo, un successo a metà: esaltante per l'immagine, molto meno per il bilancio che sotto il peso di un immane contratto ha cominciato a soffrire.

Ma l'ombra davvero enorme è la gestione delle ultime contabilità, che ha dato origine all'inchiesta su plusvalenze fittizie e falso in bilancio, quindi alle dimissioni. «Stiamo affrontando un momento delicato societariamente e la compattezza è venuta meno. Meglio lasciare tutti insieme, dando la possibilità ad una nuova formazione di ribaltare quella partita», scrive il presidente nella lettera di commiato. Fino alla fine: stavolta sì. L'addio di Andrea alla Juventus, otto mesi prima che si celebri il centenario tra gli Agnelli e il club bianconero (ed è centrale, questa scelta) si è svolto in pieno accordo tra il presidente e il cugino John Elkann. 

Le dimissioni collettive sono apparse inevitabili. L'emotività del momento e il clamore non devono però mutare l'analisi di una presidenza personalissima e controversa, appassionata e muscolare. Andrea è stato un duro. Non ha perdonato le uscite mediatiche di Del Piero, non ha insistito per Dybala. Ha litigato con Conte, ha voluto a ogni costo Ronaldo, sebbene Marotta non fosse della stessa idea. Ha deciso che Allegri fosse superato, si è diretto su Sarri e Pirlo ma poi ha richiamato Max: l'unica retromarcia in 12 anni.

Non ha avuto fortuna, il presidente, quando ha deciso di accelerare il futuro alle porte del Covid che ha bloccato idee e progetti, pesando in modo drammatico sui conti della società. Così, tra tagli più o meno autentici agli stipendi dei calciatori e manovre troppo disinvolte nei libri contabili, è cominciata la fine della presidenza del giovane Andrea. 

Assai simile, nei tratti somatici, a Edoardo che nel 1923 avviò l'epopea per poi morire drammaticamente in un incidente aereo a Genova. Impossibile per chiunque confrontarsi con il carisma dell'Avvocato, per questo Andrea è stato un presidente più simile al padre Umberto, decisionista e quasi mai sotto i riflettori, poche parole ma definitive. 

I tifosi lo hanno percepito come uno di loro, e Andrea Agnelli in effetti lo è. Per anni ha seguito da ragazzino la squadra in tutte le trasferte in giro per l'Europa, ha sofferto la perdita del fratello Giovannino e del cugino Edoardo, la storia dei Kennedy d'Italia è tutta un passaggio tra sogno e dramma, luce e buio, dove la Juve rappresenta i giorni forse più felici, quelli della gioventù che combatte e vince. Non sempre e non per sempre, anche se la regola che vale per ogni giocatore e allenatore non può fare eccezione per i presidenti e per chi comanda: le persone passano, la Juventus resta. Siamo sicuri che lo starà pensando anche Andrea, il bambino abbracciato al pallone in quel giorno lontano.

Antonio Barillà per “La Stampa” il 29 novembre 2022.

Una lunga storia di successi, nell’ultimo tratto di eccessi. Oro di trofei e rosso di bilanci. Andrea Agnelli, con 19 titoli in 12 anni, è il presidente bianconero più titolato di sempre: soltanto nell’ultima stagione il palmares non è stato aggiornato, ma la collana di 9 scudetti consecutivi e i 4 double nazionali di fila rimarranno scolpiti nel tempo. Senza contare due finali di Champions League, testimonianza della dimensione internazionale ritrovata dopo gli anni oscuri della ricostruzione sulle macerie di Calciopoli. 

Riemersa dalla Serie B con campioni fedeli alla maglia nonostante la corte dei top club d’Europa, alcuni con la medaglia di campioni del mondo sul petto, la Juventus s’illude di riallacciare subito il filo della tradizione e precipita invece in un tunnel nerissimo: risultati cattivi, contestazioni e tensioni, l’immagine vincente in frantumi. È in questo momento duro che John Elkann annuncia l’impegno diretto della Famiglia, attraverso il cugino Andrea; è il 28 aprile 2010, il 19 maggio segue la nomina.

Andrea si mette subito al lavoro, rinnovando area dirigenziale e tecnica: si affida a Beppe Marotta, amministratore delegato della Sampdoria, che porta con sé Fabio Paratici come direttore sportivo e Gigi Del Neri in panchina. Progettano insieme la rifondazione, sacrificano campioni ormai appagati o al tramonto e bonificano lacerazioni interne, rastrellano il mercato per adattare la squadra al 4-4-2 classico dell’allenatore, però ogni rivoluzione richiede tempo e pazienza, così la prima stagione diventa strascico del momento buio.

Sfuma l’Europa e paga Del Neri, strappo doloroso ma necessario in nome di una strategia che non ammette sentimenti, e qui c’è la prima, grande intuizione del presidente, la scelta di Antonio Conte, il vecchio capitano, che da tecnico ha vinto in Serie B con Bari e Siena ma in Serie A è stato soltanto meteora a Bergamo. È lui a candidarsi, a chiedere un appuntamento per convincerlo di essere l’uomo giusto, in grado di insegnare juventinità e non solo tattica: è di sicuro persuasivo, Agnelli però bravissimo a comprenderne in pochi istanti la forza. 

Comincia così il ciclo d’oro, con uno scudetto inatteso davanti al Milan favorito, dentro uno stadio di proprietà che ancora oggi è gioiello raro nell’Italia delle strutture obsolete e fatiscenti: è una vecchia idea di Giraudo, un progetto di Cobolli Gigli e Blanc, ma è Agnelli a dare impulso alla realizzazione e a tagliare il nastro, perché la sua Juve vuole essere un modello non solo sul campo: è la prima a pianificare un liceo su misura per i ragazzi delle giovanili, i cui impegni agonistici mal si sposano con i tradizionali orari scolastici, ad allestire il Museum, a istituire il J Medical, a fondare la squadra B, a investire con forza sulle Women, a costruire una cittadella dello sport attigua allo stadio.

Conte vince tre scudetti di fila, poi, all’alba della quarta stagione, per incomprensioni e frizioni sul mercato divorzia: la squadra che lui ritiene logora è in ritiro da un paio di giorni, c’è aria di sfiducia e sbando, ma il presidente e Marotta indovinano la mossa scegliendo Massimiliano Allegri: è inviso ai tifosi per il passato milanista, ma la società non si lascia condizionare, si comincia con le manate sul suv con cui varca i cancelli di Vinovo e si finisce in trionfo: ancora cinque campionati consecutivi, i sogni sfiorati a Berlino e Cardiff. È in questa fase, nella sua ultima parte, che qualcosa si rompe, che le intuizioni felici si intrecciano con gravi errori.

Forse comincia tutto con l’acquisto di Ronaldo, affascinante ma assai costoso: la Juve si espone troppo e perde quel virtuosismo economico che era andato di pari passo con le vittorie, l’optimum tecnico e insieme finanziario come ama ripetere Marotta. L’ad è perplesso su CR7 e ne sconsiglia l’ingaggio, probabilmente paga anche questo: anche il suo addio, datato 2018, pesa, lo dicono i fatti, da quel momento la Juve si smarrisce tra sprofondi economici – complice, giusto ricordarlo, la pandemia - e crisi tecniche: ancora uno scudetto con Maurizio Sarri, poi due coppe con Andrea Pirlo ingaggiato per l’Under 23 e promosso d’improvviso in prima squadra, poi nulla.

Nessun ciclo può essere eterno, ma in questo caso influiscono scelte confuse: l’esonero del vincente Allegri, la rivoluzione estetica del Sarrismo rinnegata, il giovane rampante sacrificato, la restaurazione di Max che non risolve i problemi. Eppoi la nuova struttura societaria che prevede tre giovani ai vertici dei settori nevralgici, annunciata in pompa magna e azzerata dopo pochi anni con il ripristino della figura di un ad di lungo corso: Maurizio Arrivabene. E in mezzo il caso Suarez da cui la società esce pulita legalmente ma imbarazzata, le plusvalenze esagerate oggi al centro di un’inchiesta, il golpe fallito della Superlega. Un declino che graffia un ciclo bellissimo, comunque fatto di successi che passeranno alla storia.

G. Odd. per “la Stampa” il 29 novembre 2022.

Da tempo i conti non tornavano nella Juventus e il doppio rinvio dell'assemblea degli azionisti, chiamata ad approvare il bilancio al 30 giugno 2022 con un passivo da 254 milioni di euro (record per il calcio italiano), era il segnale che qualcosa non stava andando per il verso giusto. 

Le contestazioni della Consob e l'inchiesta della Procura di Torino, nel mirino le plusvalenze sospette degli ultimi anni e la "manovra stipendi" causa Covid, hanno ulteriormente complicato i piani del club e anche per questo è maturata la decisione di una svolta drastica. 

Il rischio di approvare un altro bilancio e vederlo nuovamente contestato era troppo grande, considerando che la Procura aveva già chiesto l'arresto di Andrea Agnelli (proposta respinta dal Gip) per questo motivo.

Via tutti, allora, e così l'assemblea del 18 gennaio 2023 dovrà eleggere un nuovo Consiglio d'Amministrazione e ovviamente un nuovo presidente. In attesa di capire se ci saranno novità anche sul bilancio, magari con un aumento di capitale, gli azionisti il 27 dicembre dovranno confrontarsi su un documento che presenta oltre 250 milioni di euro di passivo dopo un crollo costante negli ultimi esercizi. L'ultimo bilancio positivo risale alla stagione 2016/17, chiusa con il sesto scudetto consecutivo e la Champions persa solo nella finale di Cardiff contro il Real Madrid, con 42 milioni all'attivo. Poi è stato un lungo scavare: -19,2 milioni nel 2017/18, -39,9 milioni nel 2018/19 e -89,7 milioni nel 2019/20.

L'ingaggio di Cristiano Ronaldo (proprio durante l'ultimo Mondiale: così si chiude un cerchio) ha inceppato una macchina che funzionava bene dentro e fuori il campo, mentre il coronavirus e gli stadi vuoti hanno dato il colpo di grazia a un conto economico già compromesso. 

Così al 30 giugno 2021 la Juventus ha dichiarato un "rosso" da 209,9 milioni di euro e un anno dopo le perdite hanno superato la quota di 254 milioni. 

La Juventus nel comunicato di ieri sera ha già rettificato i propri conti, su indicazione della Consob. 

«Tali revisioni di stime e di assunzioni comportano pertanto rettifiche delle stime di oneri di competenza a fine giugno 2020, fine giugno 2021 e fine giugno 2022 per effetto delle integrazioni salariali siglate a luglio/agosto 2020 e dei "loyalty bonus" siglati a settembre 2021», mentre «sono sostanzialmente nulli sui flussi di cassa e sull'indebitamento finanziario netto, sia degli esercizi pregressi che di quello appena concluso e futuri, e non sono material sul patrimonio netto al 30 giugno 2022».

Da lastampa.it il 29 novembre 2022. 

«Cari tutti, giocare per la Juventus, lavorare per la Juventus. Un unico obiettivo: vincere. Chi ha il privilegio di indossare la maglia bianconera lo sa. Chi lavora in squadra sa che il lavoro duro batte il talento se il talento non lavora duro. 

La Juventus è una delle più grandi società al mondo e chi vi lavora o gioca sa che il risultato è figlio del lavoro di tutta la squadra». Si apre così la mail inviata da Andrea Agnelli a tutti i dipendenti. «Siamo abituati per storia e Dna a vincere. 

Dal 2010 abbiamo onorato la nostra storia raggiungendo risultati straordinari: lo Stadium, nove scudetti maschili consecutivi, i primi in Italia ad aver una serie Netflix e Amazon Prime, il JMedical, cinque scudetti femminili consecutivi. 

E ancora, il deal con Volkswagen (pochi lo sanno), le finali di Berlino e Cardiff (i nostri grandi rimpianti), l'accordo con Adidas, la Coppa Italia Next Gen, la prima società a rappresentare i club in seno al Comitato Esecutivo Uefa, il JMuseum e tanto altro. Ovunque siamo stati, quando la squadra era compatta non temevamo nessuno».

E ancora: «Quando la squadra non è compatta si presta il fianco agli avversari e questo può essere fatale. In quel momento bisogna avere la lucidità e contenere i danni. 

La nostra consapevolezza sarà la loro sfida: essere all'altezza della storia della Juventus. Io continuerò a immaginare e a lavorare per un calcio migliore, confortato da una frase di Friedrich Nietzsche: “And those who were seen dancing were thought to be insane by those who could not hear the music” (ndr: “E coloro che furono visti ballare furono considerati pazzi da quelli che non potevano sentire la musica”). Ricordate: ci riconosceremo ovunque con uno sguardo: Siamo la gente della Juve! Fino alla fine...».

Da ilnapolista.it il 29 novembre 2022. 

Il direttore di Sky Sport Federico Ferri dichiara a proposito delle dimissioni del cda Juventus e del presidente Agnelli:

«”Quello che sta accadendo in queste ore è totalmente collegabile alla vicenda dell’inchiesta Prisma, alle plusvalenze, all’ipotesi del falso in bilancio, ai rilievi della Consob. La prospettiva è un rinvio a giudizio, un processo, e quindi la Juventus cambia strategia di fronte all’inchiesta della Procura sul falso in bilancio. C’è in ballo qualcosa di molto grosso. 

È stata richiesta una misura cautelare, fin qui non concessa. La proprietà deve prendere decisioni per difendere l’azienda. È in arrivo con tutta probabilità un rinvio a giudizio. Ci sono le intercettazioni, abbiamo avuto i dettagli dell’inchiesta. Non c’entra nulla con la parte sportiva. Ma c’entra col futuro aziendale della Juventus. Il livello di emergenza dal punto di vista della proprietà, di senso di responsabilità della proprietà, il paragone è con il 2006». 

Ancora Ferri: «Sono dimissioni definitive, non è che sono formali per tornare indietro». 

È molto chiaro: Elkann ha dimissionato Agnelli. L’inchiesta Prisma fa paura, potrebbe arrivare il rinvio a giudizio, anche l’arresto (pure se in prima istanza è stata respinta la richiesta)

Da ilnapolista.it il 29 novembre 2022.

Su Libero Fabrizio Biasin commenta le dimissioni del Consiglio di Amministrazione della Juventus, arrivate ieri sera come un fulmine a ciel sereno. Una decisione, scrive, probabilmente arrivata non per un gesto di responsabilità dei diretti interessati (Agnelli e gli altri amministratori), ma perché gli stessi sono stati consigliati da esperti in materia legale. 

Non c’è dubbio che la vicenda sia legata all’inchiesta Prisma, come già ieri dichiarava il direttore di Sky Sport, Federico Ferri. Con le dimissioni del Cda, il club ha come teso una mano alla Procura, come se Agnelli e compagni avessero voluto dire: va bene, abbiamo capito, ci facciamo da parte.

“Ognuno ovviamente la vedrà dal suo punto di vista, ma un primo dato di fatto è piuttosto evidente: in Casa-Juve c’è chi ha pensato bene di cambiare improvvisamente strada, forse per un eccesso di scrupolo, forse perché ha capito che il campo era più che minato ed era il caso di fare rapidamente dietrofront e venire incontro alla procura di Torino. Una sorta di “mano tesa” per dire a coloro che stanno spulciando le carte “ok, abbiamo capito, ci facciamo da parte”“. 

Oppure, le dimissioni del presidente Agnelli e dei consiglieri sono stati un tentativo estremo per evitare di finire in situazioni peggiori, ovvero un arresto.

“Oppure, al contrario, trattasi di tentativo estremo per togliersi dal guano ed evitare di finire in situazioni parecchio peggiori. Per intenderci, la possibilità – concreta – è che le dimissioni siano arrivate non solo per un gesto di responsabilità nei confronti della Juventus stessa e di chi la ama, ma perché i diretti interessati sono stati cortesemente consigliati da esperti della materia. Diciamola tutta: le ipotesi di reato sono serie e continuare ad amministrare una società in queste condizioni non aveva e non avrebbe avuto alcun senso, anche solo da un punto di vista “strategico” e anche se hai un cognome pesantissimo come quello del presidente bianconero”. 

Il direttore di Sky Sport, Federico Ferri, ieri aveva commentato:

«”Quello che sta accadendo in queste ore è totalmente collegabile alla vicenda dell’inchiesta Prisma, alle plusvalenze, all’ipotesi del falso in bilancio, ai rilievi della Consob. La prospettiva è un rinvio a giudizio, un processo, e quindi la Juventus cambia strategia di fronte all’inchiesta della Procura sul falso in bilancio. C’è in ballo qualcosa di molto grosso. È stata richiesta una misura cautelare, fin qui non concessa. La proprietà deve prendere decisioni per difendere l’azienda. È in arrivo con tutta probabilità un rinvio a giudizio. Ci sono le intercettazioni, abbiamo avuto i dettagli dell’inchiesta. Non c’entra nulla con la parte sportiva. Ma c’entra col futuro aziendale della Juventus. Il livello di emergenza dal punto di vista della proprietà, di senso di responsabilità della proprietà, il paragone è con il 2006».

Da ilnapolista.it il 29 novembre 2022.

Il Messaggero con Alessandro Catapano delinea un quadro chiaro di quel che è accaduto e sta accadendo in casa Juventus. È stata un’epurazione, per Elkann troppe sono state le vicende imbarazzanti della gestione del cugino. 

Vietato sorprendersi, l’epurazione – perché di questo si tratta – era nell’aria da mesi, forse da anni. Invocata da più parti, sicuramente dalla parte sana della Juventus, e forse è troppo azzardato dire – ma chissà – dalla parte sana della famiglia.

A John Elkann non sono mai piaciuti granché certi metodi gestionali applicati alla Juventus dal cugino Andrea Agnelli. Si è sempre sussurrato, con certa discrezione torinese, in questo decennio di successi sportivi, ma anche tante, troppe vicende imbarazzanti. Su tutte, i rapporti ambigui con pezzi di tifoseria legati alla ndrangheta e, negli ultimi mesi, mentre i risultati del campo venivano meno e il passivo in bilancio saliva alla cifra monstre di 253 milioni di euro, lo scandalo delle plusvalenze fittizie e degli stipendi “manovrati” che rischia seriamente di portare la Juventus a processo. 

Non la Juventus che nascerà nei prossimi giorni, ma quella su cui è calato il sipario ieri sera. Conti in rosso, scandali, insuccessi: un mix cui, stavolta, la Juventus di Agnelli non è sopravvissuta. Con l’inquietante prospettiva che la vicenda “stipendi” abbia degli strascichi penali pesanti. La sensazione, pure abbastanza facile da ricavare, è che Elkann abbia rotto gli indugi anche per dare un segnale ai naviganti (e ai tribunali?): abbiamo fatto piazza pulita, ripartiamo con uomini e metodi nuovi. Anche per ripulire l’immagine, sotto questo aspetto avrebbe un senso riportare alla Continassa Alex Del Piero. E per tornare a vincere, forse sarebbe utile riprendere Marotta. 

L’inchiesta Prisma è alla base di tutto: un’inchiesta che rischia di travolgere il club. E quindi Elkann ha protetto l’azienda cambiando strada.

Da corrieredellosport.it il 29 novembre 2022. 

Le dimissioni in blocco del CdA della Juventus hanno fatto il giro del mondo. E nel giro di poco tempo sono scattate reazioni. La notizia del presunto falso in bilancio del club bianconero ha subito mosso i dirigenti della Liga spagnola che chiedono a gran voce delle sanzioni da parte dell’Uefa. 

IL COMUNICATO DELLA LIGA

I dirigenti della Liga spagnola non hanno perso tempo e hanno pubblicato un comunicato ufficiale in cui chiedono l’intervento dell’Uefa. “La Liga - si legge nella nota - chiede l'immediata applicazione delle sanzioni sportive al club. La Liga aveva già presentato nell'aprile 2022 alla UEFA una denuncia ufficiale contro la Juventus in cui denunciava violazioni del regolamento del fair play finanziario su cui stava indagando la Guardia di Finanza italiana. La sostenibilità finanziaria è fondamentale per proteggere il business del calcio. Proteggiamo il nostro calcio”. Lo scorso aprile la Liga spagnola aveva già sporto denuncia per violazione del fair play finanziario alla UEFA contro la Juventus, il Manchester City e il Paris Saint Germain.

Estratto da ilnapolista.it il 2 dicembre 2022.

(…) Persino Allegri aveva capito che la campagna acquisti fatta di plusvalenze gonfiate era inutile. A Cherubini dice:

«Devi capire che il mercato dell’anno scorso era fatto solo di plusvalenze, quindi era un mercato del cazzo».

E il manager gli dà ragione: «bravo!».

Da ilnapolista.it il 2 dicembre 2022.

Paratici sistemava tutte le trattative, lo dice lui stesso al telefono col direttore generale del Pisa nella trattativa per Luca.

Dalle intercettazioni emergono «partnership» con altre società non esattamente trasparenti. Negli atti vengono citate Sampdoria, Atalanta, Sassuolo, Empoli e Udinese, oltre a squadre delle serie inferiori e straniere.

Al telefono con il direttore generale del Pisa, Giovanni Corrado, l’ex capo dell’area tecnica della Juventus, Fabio Paratici, parla del giovane Lucca.

«L’ho sempre fatto, l’ho fatto con Caldara (…) l’operazione devi farmela fare a me! Dammi retta, l’operazione la faccio io anche per il Pisa! Tu devi darmi solo le linee, il resto lo metto a posto io. L’ho fatto per il Genoa tutta la vita, l’ho fatto per l’Atalanta tutta la vita, l’ho fatto per il Sassuolo tutta la vita (…) Quando io ho i parametri dopo sistemo tutto (…)».

Nei giorni scorsi i quotidiani raccontavano che sono in corso delle indagini su un debito fuori bilancio della Juventus verso l’Atalanta. Si tratterebbe di una cifra tra i 6 e i 7 milioni maturati nell’ambito delle acquisizioni e cessioni di Kulusevsky, Romero e Demiral. Vi fa riferimento l’amministratore delegato della Juventus, Arrivabene, in un’intercettazione agli atti dell’inchiesta.

In un’intercettazione Arrivabene ammettere: «Sappiamo cosa gli dobbiamo all’Atalanta».

Nell’inchiesta sulle plusvalenze della Juventus potrebbero essere coinvolti altri club, come Atalanta e Genoa, ovvero società con cui la Juventus ha fatto affari.

Su Corriere della Sera e Gazzetta dello Sport alcune intercettazioni che riguardano l’ex presidente della Juventus, Andrea Agnelli e l’amministratore delegato dell’Atalanta, Luca Percassi. Si parla di trattative di mercato. Dalle intercettazioni sembra emergere che alcune operazioni di mercato venivano portate avanti sotto traccia.

Agnelli dice a Percassi:

«Su un numero di elementi che abbiamo, io in questo momento devo stare fermo perché abbiamo Consob, Guardia di Finanza e qualsiasi cosa che ci stan guardando (…) su gli ultimi due anni. Allora io vorrei chiudere questa roba qua e poi tornare a mettere a posto, consapevole di quello che abbiamo, le varie situazioni».

Da ilnapolista.it il 2 dicembre 2022.

Tra le tante intercettazioni che ogni giorno spuntano sui quotidiani ce n’è una che riguarda un dialogo tra Leonardo Bonucci e l’ex direttore sportivo della Juventus, Fabio Paratici. Risale al 2020. La manovra stipendi del club bianconero è in atto. Bonucci parla a Paratici. Gli dice:

«Scusa Fabio, io mi fido di te ma se poi arriva un altro?».

Paratici lo invita alla calma: la Juve è quotata in borsa, appartiene agli Agnelli, che cosa può mai succedere per un paio di stipendi?

«Leo, la Juventus è quotata in Borsa, è della famiglia Agnelli. Vuoi che succeda il finimondo per due stipendi?». La conversazione tra Bonucci e Paratici, scrive La Repubblica, è stata raccontata dallo stesso calciatore Juve agli investigatori durante la sua audizione, il 4 aprile di quest’anno. A Bonucci fu chiesto conto della prima manovra stipendi. La Guardia di Finanza aveva già perquisito gli uffici Juventus alla Continassa, aveva già analizzato i conti in rosso e ascoltato le intercettazioni dei manager bianconeri. Insomma, era già esploso il caso. A gestire la manovra stipendi dal lato dei calciatori era stato l’allora capitano della Juve, Giorgio Chiellini.

Le carte dell’inchiesta, scrive La Repubblica, "raccontano di accordi segreti tenuti nei cassetti di avvocati e notai, con la paura che qualcuno possa scoprirli". Nelle intercettazioni si sente: «È meglio che non ci fosse quel carteggio. E ancora grazie che Ronaldo non ha fatto dei pizzini pericolosi».

Nelle perquisizioni, i finanzieri hanno trovato diversi foglietti manoscritti, "appunti cifrati per dare a tavolino valori «artefatti» ai calciatori, sostengono gli investigatori, necessari per ripianare «investimenti oltre le previsioni di budget», «mercati pirotecnici» e «arroganti»".

Federica Cravero e Sarah Martinenghi per "la Repubblica" il 2 dicembre 2022.

«Scusa Fabio, io mi fido di te ma se poi arriva un altro?». «Leo, la Juventus è quotata in Borsa, è della famiglia Agnelli. Vuoi che succeda il finimondo per due stipendi?». La conversazione tra Bonucci e il direttore sportivo Fabio Paratici è del 2020, ma il calciatore ne parla agli investigatori il 4 aprile di quest' anno, quando viene sentito a proposito della "prima manovra stipendi".

Il finimondo a quel punto è già scoppiato, la guardia di finanza ha già perquisito gli uffici della Continassa, analizzato i conti in rosso della società e dalle conversazioni intercettate dei manager bianconeri i pm hanno avuto conferme ai loro sospetti che i bilanci siano stati truccati per arginare le perdite, almeno sulla carta, utilizzando vari stratagemmi. Una è la "manovra stipendi", decurtazione immediata di quattro mensilità giustificata dal lockdown a fronte di una prospettiva per i giocatori di recuperarne tre spalmate in futuro, come ha spiegato ai compagni di squadra il capitano Chiellini in una chat su WhatsApp.

Poi ci sono le plusvalenze gonfiate nella compravendita di giocatori. «Dobbiamo essere aperti su tutto - si lascia andare in un messaggio Paratici con il suo braccio destro Federico Cherubini - La priorità sarà vendere in prima squadra ma allo stesso tempo prepariamo cessioni giovani. Facciamoci trovare pronti, così potremmo scegliere e non essere costretti a restare a piedi. In qualche modo faremo e arriveremo a dama... ne sono sicuro, siamo troppo bravi e troppo allenati».

Ieri le accuse mosse dai pm Marco Gianoglio, Mario Bendoni e Ciro Santoriello sono state formalizzate in una richiesta di rinvio a giudizio per 13 indagati: l'ex presidente Andrea Agnelli, il vice Pavel Nedved, l'ad Maurizio Arrivabene, il responsabile finanziario Stefano Cerrato, il ds Paratici, i dirigenti Marco Re e Stefano Bertola, l'avvocato Cesare Gabasio, gli ex consiglieri del Cda Francesco Roncaglio ed Enrico Vellano, i revisori dei conti Stefania Boschetti e Roberto Grossi, oltre alla società Juventus come persona giuridica.

Le contestazioni sono di false comunicazioni sociali, ostacolo alla vigilanza Consob, aggiotaggio e false fatturazioni. Rispetto alla prima rosa di indagati sono state invece stralciate le posizioni dei tre componenti del collegio sindacale. Si tratta di Silvia Lirici (difesa dall'avvocato Marco Calleri), Nicoletta Paracchini e del presidente Paolo Piccatti, entrambi assistiti dal legale Luigi Giuliano.

Le carte dell'inchiesta raccontano di accordi segreti tenuti nei cassetti di avvocati e notai, con la paura che qualcuno possa scoprirli: «È meglio che non ci fosse quel carteggio - si sente nelle intercettazioni -. E ancora grazie che Ronaldo non ha fatto dei pizzini pericolosi». Ma i finanzieri hanno anche trovato diversi foglietti manoscritti, appunti cifrati per dare a tavolino valori «artefatti» ai calciatori, sostengono gli investigatori, necessari per ripianare «investimenti oltre le previsioni di budget», «mercati pirotecnici» e «arroganti». «Giuro ho avuto delle sere - si sfoga Cherubini al telefono - c he tornavo a casa e mi veniva da vomitare solo a pensarci».

C'era, per i pm, una «allarmante situazione economica, patrimoniale e finanziaria» alla Juventus, di cui era a conoscenza anche Agnelli. «Non c'è criterio nel modo in cui spendiamo i soldi - dice Bertola in occasione del rinnovo di Chiellini -. Non c'è da stupirsi se in due anni abbiamo chiesto 700 milioni di euro agli azionisti». Due aumenti di capitale a distanza di così poco tempo e ancora non è bastato.

«In assenza di una seria politica di riduzione dei costi - scrivono i pm nelle 544 pagine di richiesta di misura cautelare (respinta poi dal gip) - quel rafforzamento patrimoniale non solo era insufficiente, ma aprirà le porte a un preoccupante scenario presente e futuro». Lo diceva anche l'ad Arrivabene: «Fatti i conti della serva noi dovevamo fare per star tranquilli, un aumento di 650 milioni, non di 400... per sanare».

E Bertola aveva commentato: «Siamo andati decisamente in over spending». In più c'erano i debiti extra bilancio con gli altri club e da ultimo la pandemia con gli stadi vuoti e le partite bloccate. Anche se, come aveva detto Re: «Con la favola di dire che il Covid ha mangiato 340 milioni si allunga il naso a chiunque». Il lockdown, secondo l'accusa, era stato il paravento dietro a cui nascondere i guai pregressi.

Andrea Agnelli il 3 settembre 2021 ne parla con Arrivabene: «Non era solo il Covid e questo lo sappiamo bene. Dall'altro abbiamo ingolfato la macchina con ammortamenti e soprattutto la merda... perché è tutta la merda che sta sotto che non si può dire». I pm rilevano: «La crescita dei costi (in particolare degli acquisti e degli stipendi dei calciatori tesserati) non è stata casuale, ma una ben precisa scelta aziendale».

Lo ha sostenuto Cherubini in una conversazione con Agnelli parlando del «progetto che è stato fatto da Higuain in poi» per far fronte a «una rosa che sta tendendo a invecchiare». E Cerrato conferma: «Poi è stato fatto un all in con Ronaldo, De Ligt e così via e subito dopo è arrivato il Covid».

Torino, la grandeur bianconera e il sogno sfumato. «Come se fosse sparita la Mole Antonelliana».  Christian Benna su Il Corriere della Sera il 30 Novembre 2022

Indagini, milioni bruciati e cause decennali. Per la prima volta dal 1899 Torino non trova un Agnelli alla presidenza di un simbolo della città, tra Fiat e Juve

Ieri Torino, versante bianconero o granata poco importa, si è svegliata quasi come se non ci fosse più la Mole. Senza la Juventus, dopo il terremoto che ha azzerato il Cda bianconero, e senza quel sogno di «grandeur» (dallo stadio fino all’idea Superleague) accarezzato e coltivato da Andrea Agnelli. E per la prima volta la città ha aperto gli occhi senza un Agnelli alla guida di uno dei simboli di Torino. Non succedeva da prima del 1899 quando il senatore Giovanni Agnelli insieme a una dozzina di aristocratici fonda la Fiat. Tutto il resto è storia di una città targata Agnelli per quasi un secolo e mezzo. Del resto lo stesso Andrea Agnelli, in privato, nel corso dei 12 anni alla guida della società – costellati di successi sportivi – si sfogava sentendo l’importanza e il peso di quel cognome ereditato dal padre Umberto, considerandosi il primo azionista singolo nella holding di famiglia Giovanni Agnelli BV, con l’11,9% delle quote. L’altro ramo di famiglia guidato dal cugino John Elkann, che come capo famiglia il 38% delle quote, prende in carico il futuro della società sportiva. Questa volta: niente aumenti di capitale (700 milioni sono stati investiti negli ultimi anni), nessun paracadute, ma un consiglio di amministrazione che ti si rivolge contro.

«Voglio ringraziare mio cugino Andrea per averci dato emozioni straordinarie, che non dimenticheremo mai. In questi 12 anni abbiamo vinto tanto — ha scritto in una lettera John Elkann presidente di Exor —. Il merito è soprattutto suo, oltre che delle donne e degli uomini che sotto la sua guida hanno raggiunto obiettivi memorabili». Le dimissioni dei componenti del Cda, secondo Elkann, sono state «un atto di responsabilità che mette al primo posto l’interesse della società» pur «confidando che la società riuscirà a dimostrare di aver agito sempre correttamente». Intanto il nuovo consiglio, che nascerà a gennaio, «sarà formato da figure di grande professionalità sotto il profilo tecnico e giuridico», come il presidente Gianluca Ferrero e il direttore generale Maurizio Scanavino, e «avrà il compito di affrontare i temi legali e societari che sono sul tavolo oggi».

Molti in città interpretano le dimissioni come inevitabili, qualcuno ci legge l’epilogo del braccio di ferro tra cugini, forse una resa di conti nei giorni in cui gli assetti di potere sono minacciati dalla causa civile avviata a Torino da Margherita Agnelli; altri perfino ci vedono una riedizione dello scontro tra Gianni e Umberto Agnelli, quando quest’ultimo fu estromesso dai vertici di Fiat su pressione di Enrico Cuccia e di Mediobanca. Andrea Agnelli, 47 anni da compiere domenica prossima, resta il secondo azionista della galassia Agnelli. E rimane a capo di Lamse la holding con cui amministra diverse partecipazioni, per un valore superiore a 8 milioni di euro e nel complesso 22 milioni di asset (tra titoli e investimenti). Alcune partecipazioni, come Investimenti Industriali in coabitazione con Roberto Ginatta (l’altro ieri condannato a 7 anni per il crac Blutec) ha provocato qualche imbarazzo; altre più fortunate per prestigio e rivalutazioni degli asset come la società britannica del lusso Liberty Zeta Limited società tra i cui azionisti e membri del cda figurava anche Enrico Letta, segretario del Pd, ora valgono 5,7 milioni di euro. 

Oggi alle 16 si apre davvero il nuovo corso. John Elkann, presidente di Exor, spiegherà in video call agli investitori e agli analisti il valore della società che ha ramificazioni sparse nel mondo, tra lusso (Louboutin), biotech e sanità, auto (Ferrari e Stellantis) e anche Juventus, uno degli ultimi simboli di Torino nell’anno in cui ci si prepara a celebrare i cento anni dei bianconeri a guida Agnelli.

Del Piero e la Juventus: «Sono scioccato, ma stavolta non è come il caso Calciopoli». Paolo Tomaselli, inviato a Doha su Il Corriere della Sera il 30 Novembre 2022

La bandiera della Juventus segue il Mondiale in Qatar: «Senza l’Italia è una tristezza, ma il calcio è cambiato e serve alzare l’asticella per tornare ad essere quelli che eravamo»

Sulla t-shirt di Alessandro Del Piero c’è una Coppa del Mondo, souvenir di giorni lontani. La bandiera della Juve e della Nazionale, campione nel 2006, sventola nell’Adidas brand center, a due passi dal centro Aspire, cuore del progetto sportivo del Qatar. Ma il suo cuore è in tumulto da lunedì scorso.

Del Piero, la sua prima reazione qual è stata alla notizia delle dimissioni di tutto il Cda bianconero?

«Sono scioccato. Dovrei conoscere meglio la situazione, ma è una cosa triste perché sono tutti amici, da Agnelli a Nedved. Abbiamo condiviso tante cose belle, li ho visti anche di recente».

Per gli juventini sembra di essere tornati al 2006, l’estate di Calciopoli.

«No, non è come nel 2006. Non credo che tutto questo avrà effetti sulla squadra, ma riguarda i dirigenti. È incredibile che una società storica come la Juventus debba vivere questi alti e bassi così drammatici. Sono iniziati con la Serie B, il momento peggiore della storia bianconera, ma poi ci sono stati 9 scudetti di fila».

È molto colpito…

«Ho passato vent’anni alla Juventus, sono stato in serie B e il legame con i tifosi è molto profondo, abbiamo attraversato qualsiasi tipo situazione, dalle più belle a quelle più difficili. È stato un grande viaggio e qualsiasi notizia sul club mi coinvolge molto. Sono triste».

I tifosi sognano il suo ingresso in società. Possibile?

«È molto presto per dirlo. Nessuno mi ha chiamato, non conosco il piano ma conosco bene il club. E a Torino ho ancora casa».

Da una tristezza all’altra. Cosa si prova senza Italia al Mondiale?

«Leggerezza, perché sei qui per vedere la squadra migliore e non c’è coinvolgimento emozionale. Ma mancano tensione ed energia. Non esserci per due edizioni di fila è assurdo».

Del Piero, che cosa si prova senza Italia?

«Un sacco di cose: innanzitutto leggerezza, perché sei qui per vedere la squadra migliore e non c’è coinvolgimento emozionale. Ma mancano tensione ed energia. Triste: non è esserci per due edizioni di fila è assurdo».

L’Italia se la sarebbe giocata?

«L’Italia non è qui perché non ha meritato di vincere le partite importanti, a differenza dell’Europeo. E poi non è questo il punto».

Qual è?

«Il calcio è cambiato e ci sono nazioni che pensavamo fossero piccole e invece arrivano a certi livelli tecnici, tattici e fisici: a volte vinci, altre perdi. Bisogna cercare di alzare l’asticella per tornare ad essere quelli che eravamo».

C’è molto più equilibrio?

«Se non sei attento e preparato anche a livello psicologico, rischi. Alla Germania è andata di lusso che il Giappone non ha battuto la Costa Rica: hanno venti stelle e ha fatto gol quello più inaspettato. È la bellezza del calcio. E anche la sua tragicità».

L’ha colpita la forma di Mbappé?

«Più che i singoli, mi impressiona l’intensità fisica. Forse c’entra l’anomalia del calendario. Ma la novità è rappresentata anche da squadre che se la giocano, come Canada, Arabia, Marocco».

Cosa pensa dei maxi recuperi? Si va verso il tempo effettivo?

«Sì e mi piace questa cosa, perché si vedono perdite di tempo che non hanno senso. Si preserva il gioco».

Cosa pensa di gesti come quello dei tedeschi che si sono tappati la bocca per protesta?

«Sono gesti forti e credo che ognuno sia in condizione di esprimere se stesso nel modo migliore. Questa è una piattaforma di grande visibilità, che diventa una opportunità per andare ovunque».

Le sudamericane non vincono da 20 anni. Sarà ancora così?

«C’è molta attesa su di loro e questo può essere un vantaggio in più per le europee».

Messi è schiacciato dalle responsabilità?

«La Copa America sembrava una liberazione, adesso hanno raddrizzato una situazione complicata, ma devono ancora vincere la prossima. Adesso vediamo l’ultimo atto anche di qualche altro ragazzotto che ha fatto abbastanza bene». (Si riferisce a Ronaldo, ndr).

Il Brasile può vincere senza Neymar?

«Ha il talento per andare avanti anche senza di lui. Ma per vincere secondo me deve averlo in campo».

Che ne pensa del rodeo di falli contro O Ney di cui ha parlato il c.t. Tite?

«È una battaglia che facevo già ai miei tempi, ma era peggio allora: oggi i campioni mi sembrano tutelati. I pestoni portano al giallo, una volta erano il benvenuto in campo. Quindi non esageriamo».

Ha consigli per quell’altro «ragazzotto»? Sulla prossima destinazione?

«Non dico niente, anche se so dove va…».

E lei, cosa farà da grande?

«Sto preparando la seconda parte della mia vita, ma non è il momento di svelarla».

Le indagini e la fine di un'era. Dimissioni Juventus, la lettera di Andrea Agnelli ai dipendenti: “La compattezza è venuta meno, meglio lasciare”. Antonio Lamorte su Il Riformista il 29 Novembre 2022

La Juventus ha annunciato ieri sera le dimissioni di nove membri del suo consiglio di amministrazione in seguito alle indagini per le cosiddette “plusvalenze false” e altre presunte irregolarità nel pagamento degli stipendi dei calciatori e nei bilanci societari che hanno coinvolto i vertici della società. A dimettersi anche il Presidente Andrea Agnelli e il vicepresidente Pavel Nedved.

La Procura di Torino aveva dichiarato conclusa l’indagine lo scorso 24 ottobre. Le accuse sono di falso in bilancio, manipolazione del mercato, ostacolo all’esercizio delle funzioni delle autorità di pubblica vigilanza e dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture per operazioni inesistenti. Il giudice dell’udienza preliminare, dopo le indagini preliminari, deciderà se avviare un processo nei confronti degli indagati.

Agnelli ha scritto una lettera ai dipendenti della società in cui ha rivendicato i “risultati straordinari” durante la sua gestione a partire dalla costruzione dello Stadium ai nove scudetti consecutivi in Serie A maschile e ai cinque nella massima serie femminile. E quindi le finali di Champions League perse a Berlino e Cardiff contro Barcellona e Real Madrid, “i nostri grandi rimpianti”. Agnelli sarà sostituito da Gianluca Ferrero.

Cari tutti,

Giocare per la Juventus, lavorare per la Juventus; un unico obiettivo: Vincere.

Chi ha il privilegio di indossare la maglia bianconera lo sa. Chi lavora in squadra sa che il lavoro duro batte il talento se il talento non lavora duro. La Juventus è una delle più grandi società al mondo e chi vi lavora o gioca sa che il risultato è figlio del lavoro di tutta la squadra.

Siamo abituati per storia e DNA a vincere. Dal 2010 abbiamo onorato la nostra storia raggiungendo risultati straordinari: lo Stadium, 9 scudetti maschili consecutivi, i primi in Italia ad aver una serie Netflix e Amazon Prime, il J|Medical, 5 scudetti femminili consecutivi a partire dal giorno zero. E ancora, il deal con Volkswagen (pochi lo sanno), le finali di Berlino e Cardiff (i nostri grandi rimpianti), l’accordo con adidas, la Coppa Italia Next Gen, la prima società a rappresentare i club in seno al Comitato Esecutivo UEFA, il J|Museum e tanto altro.

Ore, giorni, notti, mesi e stagioni con l’obiettivo di migliorare sempre in vista di alcuni istanti determinanti. Ognuno di noi sa richiamare alla mente l’attimo prima di scendere in campo: esci dallo spogliatoio e giri a destra, una ventina di scalini in discesa con una grata in mezzo, un’altra decina di scalini in salita e ci sei: “el miedo escénico” e in quell’attimo quando sai di avere tutta la squadra con te l’impossibile diventa fattibile. Bernabeu, Old Trafford, Allianz Arena, Westfallen Stadium, San Siro, Geōrgios Karaiskakīs, Celtic Park, Camp Nou: ovunque siamo stati quando la squadra era compatta non temevamo nessuno.

Quando la squadra non è compatta si presta il fianco agli avversari e questo può essere fatale. In quel momento bisogna avere la lucidità e contenere i danni: stiamo affrontando un momento delicato societariamente e la compattezza è venuta meno. Meglio lasciare tutti insieme dando la possibilità ad una nuova formazione di ribaltare quella partita.

La nostra consapevolezza sarà la loro sfida: essere all’altezza della storia della Juventus.

Io continuerò a immaginare e a lavorare per un calcio migliore, confortato da una frase di Friedrich Nietzsche: “And those who were seen dancing were thought to be insane by those who could not hear the music”.

Ricordate, ci riconosceremo ovunque con uno sguardo: Siamo la gente della Juve!

Fino alla fine…Andrea

Antonio Lamorte. Giornalista professionista. Ha frequentato studiato e si è laureato in lingue. Ha frequentato la Scuola di Giornalismo di Napoli del Suor Orsola Benincasa. Ha collaborato con l’agenzia di stampa AdnKronos. Ha scritto di sport, cultura, spettacoli.

Juventus, cambia tutto: Gianluca Ferrero sarà il nuovo presidente. Commercialista e uomo fidato di Exor, succede ad Andrea Agnelli alla guida del club bianconero. Paolo Lazzari il 30 Novembre 2022 su Il Giornale.

Exor ha scelto in fretta. Dopo il sisma che ha squassato interiormente la Juventus nella serata di ieri, con le dimissioni in blocco dell'intero Cda - la cassaforte di famiglia di casa Agnelli comunica che sarà Gianluca Ferrero a ricoprire l’incarico lasciato vacante da Andrea. Sarà lui il nuovo Presidente del club. Le voci che si rincorrevano e si accavallavano dal quartier generale bianconero, già a partire dalle primissime ore dopo la fuoriuscita della notizia, parevano indicare una soluzione di tutt'altro tenore. Un profilo di rappresentanza pura, che avesse inciso nel dna un profondo legame nato sul campo. Per dirla senza ulteriori dribbling, uno tra Alessandro Del Piero e Michel Platini. Il primo spurio da qualsivoglia esperienza di di carattere dirigenziale, ma idolatrato dai tifosi. Il secondo più abituato a passeggiare in quel mondo, dal quale a dire il vero è uscito illeso, ma contuso.

Si è scelto invece di virare altrove. Il profilo selezionato risponde al requisito del "rischio zero" in una situazione già oggettivamente intricata. L'esperienza maturata nel trattare una materia che, mai come adesso, si fa incandescente, ha inciso notevolmente. Così la decisione è ricaduta su un tecnico puro. Commercialista, revisore, sindaco e amministratore di molteplici società di spessore, Ferrero è nato a Torino nel 1963. Laureato in economia e commercio, si è iscritto nel 1989 all’Ordine dei dottori commercialisti e degli esperti contabili di Torino e dal 1995 è iscritto al Registro dei revisori legali. È inoltre Consulente tecnico del giudice presso il medesimo Tribunale. Un bagaglio di competenze e conoscenze che pare manna celeste in un frangente che vede proprio le manovre finanziarie del club bianconero sotto la lente d'ingrandimento della procura torinese: la miccia che poi, sostanzialmente, ha fatto saltare il banco.

Secondo la società che inietta abitualmente liquidità nelle vene bianconere, Ferrero è il profilo ideale per sedersi ad una scrivania rimasta senza proprietari dopo dodici intensi anni. "Ferrero - spiega Exor - possiede una solida esperienza e le competenze tecniche necessarie, oltre a una genuina passione per il club bianconero, che lo rendono la persona più adeguata a ricoprire l'incarico". Exor fa anche sapere che comunicherà la lista completa dei candidati per il rinnovo del cda entro i termini di legge, cioè 25 giorni prima dell'assemblea del 18 gennaio.

Una carriera che pare un mosaico di intarsi preziosi, quella di Ferrero: è presidente del Collegio sindacale di Fincantieri, Luigi Lavazza, Biotronik Italia, Praxi Intellectual Property, P. Fiduciaria, Emilio Lavazza, Gedi Gruppo Editoriale, Nuo e Lifenet. Ricopre inoltre la carica di Sindaco effettivo in Fenera Holding ed è vicepresidente del cda della Banca del Piemonte, oltre che componente del cda di Italia Independent Group e di Pygar.

Un profilo avvezzo alla pressione ed al flirt abituale con responsabilità monumentali. La gemma più luminosa però arriva adesso: dovrà strofinarla e metterla al riparo.

Elkann si prende la Juve tra fedelissimi e Allegri. Film già visto nel 2006. Come dopo Calciopoli, piazza i suoi uomini: Gianluca Ferrero presidente. E blinda Max. Tony Damascelli il 30 Novembre 2022 su Il Giornale.

La Juventus è di John Elkann. Lo era già sotto la presidenza di Andrea Agnelli ma l'epilogo di lunedì sera consegna definitivamente e ufficialmente il club all'azionista di riferimento. Il suo saluto istituzionale, attraverso un comunicato, spiega il cambio, avvenuto dopo le dimissioni come segno di grande responsabilità, accarezza e ringrazia il cugino Andrea che ha regalato risultati eccezionali, garantisce la presenza di professionisti e tecnici di altissimo censo, infine rassicura Allegri a proseguire negli ultimi positivi risultati. L'azionista di riferimento ha dunque concluso il primo capitolo della sua operazione.

Come nel 2006 è lo stesso Elkann a segnare la svolta; allora, con l'ombra di Gabetti e Franzo Stevens alle spalle, scaricò i due massimi dirigenti della società, Antonio Giraudo e Luciano Moggi con una scelta differente da quella adottata durante tangentopoli con i dirigenti Fiat coinvolti nella vicenda. Ma quella era ancora l'epoca di Gianni e Umberto Agnelli, questa è segnata dall'ingegnere che ha ricevuto l'eredità dell'impero imprenditoriale e che prosegue nella sua marcia senza ostacoli.

Il consiglio di amministrazione juventino di lunedì ha visto spaccarsi la compattezza che lo aveva contraddistinto negli anni migliori, tre figure, Daniela Marilungo (le cui dimissioni hanno anticipato quelle degli altri componenti e sono state un atto clamoroso), Suzanne Heywood e Laurence Debroux non hanno aderito all'intenzione del presidente di proseguire nell'azione a contrasto di Consob, Deloitte e della Procura. La convinzione di Andrea Agnelli è stata da sempre alimentata dalla sua assoluta fede bianconera, il tifoso ha avuto la prevalenza sul dirigente, la stessa lettera di commiato è la testimonianza di chi ritiene di avere realizzato un sogno, lanciando addirittura una sfida a fare meglio e rivolta a chi prenderà il suo posto. Lo stesso pensiero si ripete nel post scritto dalla compagna Deniz che esalta le doti professionali, il sacrificio e la lealtà del consorte. Inimmaginabile un simile comportamento da parte di Marella Caracciolo di Castagneto o Allegra Caracciolo di Castagneto nei confronti di Gianni e di Umberto Agnelli ma i tempi sono cambiati, anche velocemente, eppure l'immagine di una famiglia offre ora nuovi e opachi fotogrammi. Non va dimenticato che al di là delle dimissioni, resta aperta la strada del processo nel quale sono coinvolti sedici figure della Juventus, dal presidente ai legali, ai membri del management, il dibattimento avrà, come al solito, tempi lunghissimi e non dovrebbero esserci rischi clamorosi per le parti in causa.

John Elkann ha già provveduto a sistemare le sue due prime pedine, il direttore generale Maurizio Scanavino e ha indicato Gianluca Ferrero come presidente, ruolo che dovrà essere ratificato in sede assembleare il 18 gennaio prossimo quando sarà completato l'intero consiglio di amministrazione, comunque già disegnato, anche se non ufficialmente, da Elkann. I due nuovi dirigenti sono vicini alla famiglia, a donna Allegra e rappresentano le professionalità necessarie per affrontare una situazione drammatica. Il resto, il folklore di propaganda di vecchie glorie, non è altro che auto-candidatura alla ricerca di gloria e denari smarriti. Nel frattempo verrà corretto il bilancio che sarà in linea con i suggerimenti di Consob e Deloitte e risponderà all'inchiesta della Procura di Torino, che avrebbe intenzione di ritirare il ricorso alla decisione del gip che aveva respinto la richiesta di misure cautelari per Agnelli, Paratici e l'avvocato Gabasio. La Juventus va sotto controllo di Ferrero e Scanavino ma già la presenza di alcuni profili, come Suzanne Heywood che l'1 di novembre è stata nominata da Elkann come Chief Operating Officer di Exor, dunque un ruolo a fianco del maggiore azionista, questa presenza, dicevo, è stato il segnale dell'intervento dell'Ingegnere in Juventus.

La storia della famiglia Agnelli aggiunge nuovi capitoli che contraddicono la sua stessa tradizione, l'uscita di Andrea è un ulteriore passaggio, il suo futuro professionale si presta a mille ipotesi, il titolo bianconero in Borsa non è crollato, la squadra di calcio è a riposo mondiale, l'assenza dei protagonisti è un buon alibi per riflettere e decidere. Sta ad Allegri prendere in mano la squadra e il mercato, con un ruolo di manager all'inglese (Ferguson, secondo l'idea di Andrea Agnelli), affiancato dal suo uomo di fiducia Federico Cherubini. Sopra di lui, sopra tutto e sopra tutti, John Elkann.

Stipendi, Procura Figc apre un procedimento sulle scritture private tra club e calciatori. È ancora presto per capire il peso sportivo dei faldoni spediti dalla procura della Repubblica di Torino. Franco Ordine il 30 Novembre 2022 su Il Giornale.

È ancora presto per capire il peso sportivo dei faldoni spediti dalla procura della Repubblica di Torino - fronte magistratura ordinaria - alla procura federale guidata dal dott. Chinè (nella foto) - fronte giustizia sportiva -. I documenti da consultare, giunti due giorni fa, sono tanti e ci vorrà almeno un mese per analizzarli. Comunque la Procura della Federcalcio ha già aperto un procedimento sulle scritture private tra la Juventus e i suoi calciatori, attraverso le quali, secondo l'ipotesi della Procura della Repubblica di Torino, si sarebbe ottenuto un taglio fittizio degli stipendi e una riduzione dei costi nei bilanci del 30 giugno 2020 e 30 giugno 2021 omettendo la posizione debitoria nei confronti dei tesserati.

I fronti aperti sono essenzialmente due: 1) plusvalenze; 2) illecito amministrativo. Nel primo caso bisogna ricordare e partire dal fatto che in due gradi giudizio la Juve, per questa contestazione, è stata già prosciolta. Come si sa in nessun modo può essere processata una seconda volta per lo stesso reato. È invece possibile, da parte del procuratore federale, proporre ricorso per revocazione solo nel caso emergessero, dal materiale dell'indagine penale, fatti nuovi e incontestabile. Tale materiale, in mancanza di un tariffario riconosciuto per determinare il valore di un calciatore, potrebbe rappresentare la classica pistola fumante, la prova della plusvalenza fittizia. Di qui scatterebbe l'eventuale processo sportivo con penalizzazione nel caso di riconosciuta colpevolezza del club.

Il secondo fronte aperto è invece quello relativo all'illecito amministrativo. La giurisprudenza calcistica, sul punto, ha sempre adottato lo stesso criterio: ammende a seconda della gravità dell'illecito stesso. C'è una sola eccezione sul tema ed è costituita dal caso in cui emergesse una gravità tale dell'illecito amministrativo commesso tale da alterare i criteri utili a ottenere l'iscrizione al campionato. L'esame dei faldoni si concluderà intorno a Natale, nelle prime settimane del 2023 avremo dunque il pronunciamento della procura federale sui due capitoli di questa vicenda. Subito dopo capiremo le contestazioni della procura federale e la fissazione degli eventuali processi sportivi.

Da corrieredellosport.it  il 30 novembre 2022.

Attacco durissimo da parte di Javier Tebas ad Andrea Agnelli, all'indomani delle dimissioni di tutto il Cda della Juve. Il presidente della Liga, che in passato si era già scagliato contro l'ormai ex presidente bianconero per il progetto Superlega, non si è risparmiato e tramite Twitter ha esultato pubblicamente per le sue dimissioni.

Javier Tebas ha pubblicato un tweet allegando il comunicato del club bianconero sulle dimissioni e anche quello della Liga sull'accaduto: "Caro Andrea Agnelli, avete "manipolato" bilanci, valutazioni, documenti, per "ingannare" le autorità pubbliche, gli sportivi, gli azionisti, i tifosi... e avete anche voluto ingannare il mondo del calcio con la bontà della SUPERLEGA, le vostre dimissioni sono una GRANDE NOTIZIA".

Il presidente del campionato spagnolo non è stato l'unico ad attaccare la Juve all'indomani delle dimissioni del Cda. I dirigenti della Liga hanno infatti chiesto a gran voce delle sanzioni da parte dell’Uefa: "La Liga chiede l'immediata applicazione delle sanzioni sportive al club. La Liga aveva già presentato nell'aprile 2022 alla UEFA una denuncia ufficiale contro la Juventus in cui denunciava violazioni del regolamento del fair play finanziario su cui stava indagando la Guardia di Finanza italiana. La sostenibilità finanziaria è fondamentale per proteggere il business del calcio. Proteggiamo il nostro calcio".

Massimiliano Nerozzi per corriere.it il 30 novembre 2022.

A un certo punto, Andrea Agnelli non ha più avuto alternative: «Se portate in assemblea questo bilancio, dobbiamo andare in Procura», hanno detto nella sostanza i sindaci della Juve, entrati in carica da poco più di un anno, davanti all’insistenza del management. Professionisti (tre) di un certo livello, come Maria Cristina Zoppo, equity partner di Bdo-Tax e componente del comitato per il controllo sulla gestione nel cda di Intesa Sanpaolo. Poco prima, lunedì a pranzo e già nel week end, il presidente bianconero si era confrontato, sinceramente e ruvidamente, con il cugino, John Elkann, ad di Exor, la holding di famiglia che controlla il club. Morale: la situazione, contabile e giudiziaria, non era più sostenibile.

Non siamo agli Agnelli Coltelli di un libro appena uscito, ma business is business. Difatti, martedì pomeriggio, sono arrivate le parole dell’azionista di maggioranza: «Le dimissioni dei consiglieri di amministrazione rappresentano un atto di responsabilità, che mette al primo posto l’interesse della società». Ogni cosa ha il suo tempo, dalla giustizia (incombente) agli affari (pure di più): oggi è in menù una conference call con analisti e investitori istituzionali di Exor, e le faccende juventine, ultimamente, stavano turbando l’impero. Nonostante il club (quotato) valga sui 700 milioni di euro, il 2 per cento del valore patrimoniale netto di Exor, sui 31 miliardi.

Come sibilò un dirigente sotto la tempesta di Calciopoli, «la Juve è l’insegna del locale»: la conoscono tutti, in tutto il mondo. E da un ciclo prodigioso, la gestione Agnelli aveva imboccato un vicolo disastroso, tra campo e, soprattutto, bilancio, con un rosso arrivato a 254 milioni. Nonostante aumenti di capitale per 700 milioni in tre anni. Così, Elkann ha detto stop, lasciando all’ormai presidente dimissionario tre righe del comunicato: «Voglio ringraziare mio cugino Andrea per averci dato emozioni straordinarie, che non dimenticheremo mai. In questi 12 anni abbiamo vinto tanto. Il merito è soprattutto suo, oltre che delle donne e degli uomini che sotto la sua guida hanno raggiunto obiettivi memorabili».

Che si fossero scontrare due linee d’azione non l’ha nascosto Agnelli, nella mail a dipendenti e giocatori, colti di sorpresa, chi al Mondiale chi alle Maldive: «La compattezza è venuta meno». Dopodiché, sarebbe sbagliato ridurre il tutto a rarefatte affinità elettive, o a Duellanti alla Ridley Scott(non da ieri), se il punto è anche un altro: dove sta la ragione tra quel che sostengono Consob e Procura, e ciò che ha combinato la Juve . Nel dubbio, la proprietà si prepara alla battaglia, pur con diverso approccio del muro contro muro invocato da Agnelli e messo nero su bianco, solo una settimana prima: «Il nuovo consiglio sarà di figure di grande professionalità sotto il profilo tecnico e giuridico — spiega Elkann — che avrà il compito di affrontare e risolvere i temi legali e societari che sono sul tavolo oggi. Confido che la società riuscirà a dimostrare di aver agito sempre correttamente».

Oltre alla forma, c’è la sostanza di certe cose: il lancio della Superlega, l’esame di Suarez, le plusvalenze prima agognate e ora sospettate. Colpi all’immagine, mica solo al salvadanaio. Resta chi governa sul prato: «Allegri rimane il punto di riferimento dell’area sportiva: contiamo su di lui e su tutta la squadra per continuare a vincere, come hanno dimostrato di saper fare nelle ultime giornate, mantenendo alti i nostri obiettivi sul campo». Ciò che, per la proprietà, non riusciva più a fare questa società. E ora, chiude Elkann, «abbiamo l’occasione di costruire un futuro straordinario». Con un Agnelli in meno.

Da ilnapolista.it il 30 novembre 2022.

Le dimissioni del Consiglio di Amministrazione della Juventus hanno già un primo risvolto sul piano giudiziario: i pm rinunciano all’appello contro il rigetto della richiesta di domiciliari per Agnelli e altri dirigenti del club bianconero. Con la decadenza delle loro cariche, infatti, viene meno il pericolo di reiterazione del reato, cioè del falso in bilancio.

Il Corriere dello Sport scrive: "Dalla procura di Torino, infatti, filtra l’intenzione da parte dei pm (i sostituti procuratori Ciro Santoriello e Mario Bendoni e il procuratore aggiunto Marco Gianoglio), di rinunciare all’appello contro la decisione del gip Lodovico Morello che lo scorso 12 ottobre aveva respinto la richiesta di misure cautelari e l’interdizione delle cariche societarie di alcuni indagati, tra cui proprio Agnelli. Non essendo più in carica, infatti, cadrebbe la possibilità di reiterazione dei presunti reati contestati agli indagati, con l’approvazione di un ulteriore bilancio (2021-22) su cui gli inquirenti nutrono forti dubbi: in particolare la rinuncia dei magistrati riguarderebbe il provvedimento di interdizione dalle cariche societarie, nella richiesta della pubblica accusa erano già state eliminate le misure cautelari".Inizialmente la Procura di Torino voleva arrestare Agnelli. Lo scriveva settimane fa in modo molto chiaro Il Giornale.

All’inizio della settimana scorsa il giudice preliminare ha respinto la richiesta, non perché non ci fossero indizi di colpevolezza ma perché il clamore suscitato dagli avvisi di garanzia e delle perquisizioni del novembre scorso era stato tale da rendere improbabile che gli indagati potessero colpire ancora. Nei tre bilanci annuali sotto accusa (2018, 2019, 2020) la Procura ha individuato 216 milioni di perdite non dichiarate. Da parte del club sono state diramate notizie false sullo stato di salute aziendale, rese ancora più inaccettabili trattandosi di una società per azioni quotata in Borsa: per cui all’accusa di falso in bilancio per Agnelli & C si aggiunge anche il reato di aggiotaggio informativo. In sostanza, bugie raccontate per tenere alto il valore delle azioni bianconere.

Juventus, le intercettazioni: «Questa è come Calciopoli, ma ce la siamo creati da soli...». Simona Lorenzetti e Massimiliano Nerozzi su Il Corriere della Sera l’1 dicembre 2022.

I dialoghi intercettati che hanno portato alle dimissioni del Cda, da Agnelli a Nedved ad Arrivabene: «Tanto la Consob la supercazzoliamo...» «Un solo paragone: Calciopoli. Lì c’era tutto il mondo che ci tirava contro, questa ce la siamo creata noi».

«Tanto la Consob la supercazzoliamo», diceva a un collega il direttore finanziario della Juve Stefano Cerrato, parlando dello scambio con il Marsiglia Tongya/Aké e valso una plusvalenza di 8 milioni. L’intercettazione è del 15 ottobre 2021 e l’ispezione dell’organo di vigilanza, avviata tre mesi prima, era ormai alle battute finali. Ma era stato l’innesco per la richiesta di intercettazioni firmata dall’aggiunto Marco Gianoglio e dai pm Mario Bendoni e Ciro Santoriello. Tema della verifica sono le presunte plusvalenze sui giocatori. E in quei mesi si scatena un giro di telefonate nei quali i dirigenti parlano a ruota libera di quanto sta accadendo e studiano manovre difensive per uscire indenni da quella verifica. Ignari che, dal 14 luglio, in ascolto c’è la guardia di finanza.

È dalle telefonate intercettate che emergerebbe come la Juve speri di arginare la Consob, o meglio di «supercazzolare» gli ispettori. L’espressione, da Amici Miei, è appunto di Cerrato. Dopo aver parlato dell’affare Arthur-Pjanic con il suo predecessore Stefano Bertola (capo dell’area business), solleva la cornetta per fare la stessa cosa con Roberto Grossi, revisore di Ernst&Young per dirgli di aver preparato la relazione: «Penso, che però, sarebbe opportuno dargli (alla Consob, ndr) un riferimento più o meno di principio contabile o di qualche cosa, cioè posso io supercazzolarli in modo più raffinato? Invece di dire solo questo?». Si tratta di memorie che, secondo i magistrati, sarebbero state scritte proprio con l’aiuto del revisore: una presunta stesura a quattro mani che sarebbe confermata da un’altra intercettazione, del 26 ottobre. Il momento è delicato, perché gli ispettori stanno sollevando contestazioni sul principio contabile della permuta. La memoria — stando ai documenti sequestrati — sarebbe stata inviata al revisore via mail «per condividerla». E il giorno dopo, Grossi consiglia Cerrato di non usare il termine «aleatorietà», che «è troppo forte», ma di prediligere «soggettività». E aggiunge: «Non dite che non usate Transfermarkt, dite che qualche volta lo usate». Tutti dialoghi catturati dai finanzieri, che un mese più tardi si presenteranno negli uffici della Juve con un mandato di perquisizione firmato dai pm.

Morale: intercettare i dirigenti bianconeri durante l’ispezione della Consob si rivelerà estremamente prezioso per gli inquirenti che ora contestano ai vertici del club — Andrea Agnelli, Pavel Nedved e Maurizio Arrivabene e ad altri manager — false comunicazioni sociali per tre bilanci (dal 2018 al 2020), ostacolo alla vigilanza, aggiotaggio e false fatturazioni. Sotto accusa ci sono le presunte «plusvalenze artificiali» e le «manovre stipendi» sul differimento delle mensilità dovute ai calciatori nei mesi di pandemia. E proprio le plusvalenze sono al centro di una lunga conversazione tra il ds Federico Cherubini e Bertola. La sera del 22 luglio i due prenotano un tavolo al ristorante «Cornoler», a due passi dal centro e dalla vecchia sede della Juve. Poco prima dell’appuntamento i militari del nucleo di polizia economico finanziaria riescono a piazzare le microspie. Sarà l’unica intercettazione ambientale dell’inchiesta, ma una delle più produttive, dal punto di vista investigativo, con oltre tre ore di conversazione captate. Ovviamente, si parla di pallone e affari, di plusvalenze e del capo dell’area tecnica Fabio Paratici, che da pochi giorni aveva lasciato il club. «Io l’ho detto a Fabio (Paratici, ndr): è una modalità lecita ma hai spinto troppo», dice Cherubini. «E lui mi rispondeva: "Non ci importa nulla, perché negli scambi se metti 4 o metti 10 è uguale, nessuno ti può dire nulla"». Il ds insiste: «Fabio ha avuto carta libera». La discussione è tale che Bertola confida: «La situazione è davvero delicata. Io in 15 anni faccio un solo paragone: Calciopoli. Lì c’era tutto il mondo che ci tirava contro, questa invece ce la siamo creata noi».

Parole inequivoche per gli investigatori, ma che secondo un’interpretazione difensiva potrebbero avere un’altra chiave di lettura: un parallelo tra le difficoltà della società nel periodo post Calciopoli — con i calciatori in fuga e la squadra in B — e l’attuale, con il caos Superlega e i bilanci in crisi per il Covid. Bertola non è mai andato a parlare con i magistrati. Per ora, per lui e gli altri indagati, parlano le intercettazioni. Come quella di un altro manager che sottolinea la necessità di dare risposte alla Consob perché non si può dire agli ispettori che «il bilancio è un atto di fede».

Simona Lorenzetti e Massimiliano Nerozzi per corriere.it l’1 Dicembre 2022.

C’è un punto fermo nell’inchiesta sui conti della Juventus, almeno secondo la tesi degli investigatori, coordinati dall’aggiunto Marco Gianoglio e dai pm Mario Bendoni e Ciro Santoriello: tutti sapevano tutto, dal presidente Andrea Agnelli ai manager. Una convinzione nata setacciando documenti scoperti nelle perquisizioni, analizzando mail, ascoltando telefonate.

Del resto, in una chiacchierata intercettata dai militari del nucleo di polizia economico finanziaria di Torino, l’allora capo dell’area tecnica così sintetizzava, in una battuta: «Erano tutti contenti quando Paratici veniva e portava plusvalenze». Un modo lecito di cui la Juve ha finito per abusare, se poi in maniera lecita o meno lo stabilirà un eventuale processo.

Di certo, è un modus operandi utilizzato da altri club, tanto che i pm torinesi stanno valutando se e quali atti trasmettere ai colleghi di altre città. A breve formuleranno la richiesta di rinvio a giudizio per i vertici del club bianconero — mentre per alcuni ex sindaci e revisori c’è l’ipotesi di una richiesta di archiviazione — ma altre Procure potrebbero poi avviare a loro volta accertamenti: l’impressione è che si stia soppesando l’esistenza di reati, ma che quasi certamente siano configurabili violazioni del codice di giustizia sportiva. In ballo ci sono alcune società che, negli anni sotto inchiesta, hanno fatto affari con la Juve, a partire da Atalanta e Genoa. Nell’attesa, ieri con una lunga nota, il club bianconero ha sottolineato la propria posizione: «Le contestazioni della Procura non paiono fondate e non paiono, peraltro, né quanto a presupposti, né quanto a conclusioni, allineate con i rilievi contenuti nella delibera Consob del 19 ottobre 2022».

Ovvero: «La Procura — sostiene la Juve — afferma l’artificialità di plusvalenze e la fittizietà delle rinunce stipendi, mentre Consob contesta un valore considerevolmente minore di plusvalenze, peraltro senza menzione di falso in bilancio, e non contesta l’efficacia giuridica delle rinunce stipendi, né, con specifico riguardo alla "manovra stipendi" 2020/2021, la natura giuridicamente non-vincolante delle scritture integrative in corso di negoziazione nell’aprile/maggio 2021».

La società interviene anche sull’eventuale procedimento sportivo: «Juventus confida che, proprio in ragione della ritenuta assenza di qualsivoglia alterazione dei bilanci contestati, le conclusioni delle autorità sportive (che già si sono espresse, con riguardo al tema plusvalenze, in senso favorevole ai bianconeri) non cambieranno: in assenza di alcuna alterazione contabile, ogni sanzione sportiva risulterebbe del tutto infondata». Ma secondo la tesi dei pm, dal tenore di alcune mail su «debiti residui» con altri club ed agenti e le mensilità posticipate ai giocatori, il club potrebbe avere debiti fuori bilancio per circa 70 milioni di euro.

Juventus, le news sulle intercettazioni. Elkann ad Agnelli: «Avevi detto che da parte della direzione sportiva si sono allargati. Ricordi?». Storia di Simona Lorenzetti e Massimiliano Nerozzi su Il Corriere della Sera l’1 Dicembre 2022.

Della gestione sportiva bianconera «foriera di perdite», Andrea Agnelli ne parlò con John Elkann, ad di Exor, azionista di maggioranza della Juve (non indagato): «Il tema qua — dice il presidente nella telefonata del 6 settembre 2021 — e torniamo alla genesi, all’anamnesi della situazione: noi abbiamo sempre preso dei rischi e il consiglio è sempre stato informato che siano stati presi. E si sono sempre trovati dei correttivi strada facendo». Al che Elkann replica: «(…) Sì, però come ricordi, tu avevi detto che alla fine c’è stato, da parte della direzione sportiva, (...) si sono allargati. Ci sono tutta un serie di operazioni che loro hanno fatto». Agnelli riprende il concetto espresso dal cugino: «(...) Esatto, facendo eccessivo ricorso allo strumento delle plusvalenze: se ti crolla il mercato, ti crolla il mercato! Questo è un dato di fatto». A margine della conversazione — annotano i militari del nucleo di Polizia economico finanziaria della Guardia di Finanza — Elkann riferisce di aver avuto un colloquio con Massimiliano Allegri. Che, ad avviso del numero uno di Exor, deve far attenzione «a non dire che le politiche che sono state fatte in questi anni erano dissennate, si è speso un sacco di soldi per dei giocatori che non sanno (...)». Per poi proseguire: «E poi quelle che erano le prerogative di mercato, erano prerogative dei mercati in quel momento. Adesso bisogna gestire le cose al meglio (...) tanto alla fine di quello che hanno fatto gli altri prima, chi se ne frega». Chiude Agnelli: «Sì, sì sono d’accordo, sono perfettamente d’accordo».

Rivelato il segreto di una famiglia ricca: fare soldi da casa

Le 544 pagine dei pm

Somigliano alla summa dell’inchiesta sui conti della Juve le 544 pagine della richiesta di misure cautelari fatta dai pm (e respinta dal gip), tra intercettazioni, documenti, mail. E paiono tratteggiare uno scenario nel quale, certe cose, è meglio non farle alla luce del sole. Compresa la definizione di alcune trattative, come emerge da un’altra chiamata intercettata, tra Agnelli e Luca Percassi, ad dell’Atalanta (non indagato): «Su un numero di elementi che abbiamo, io in questo momento devo stare fermo — dice il presidente — perché abbiamo Consob, Guardia di Finanza e qualsiasi cosa che ci stan guardando (...) su gli ultimi due anni. Allora io vorrei chiudere questa roba qua e poi tornare a mettere a posto, consapevole di quello che abbiamo, le varie situazioni». Con l’inchiesta penale ancora segreta, spiegano i finanzieri, Agnelli si dovrebbe riferire ai colleghi del nucleo speciale di Polizia valutaria, che opera con l’autorità di vigilanza.

La conversazione «a cornetta aperta»

In un’occasione, gli investigatori sono aiutati dalla fortuna, perché al termine di una telefonata, la chiamata rimane attiva, consegnando una «conversazione a cornetta aperta». Prima vengono captati rumori, poi le voci dei capi dell’area finanza, Stefano Bertola e Stefano Cerrato, con il responsabile dell’ufficio legale, Cesare Gabasio. Tutti e tre parlano dell’assenza di documentazione riguardante le cessioni oggetto della richiesta avanzata dalla Consob e, a proposito, Gabasio introduce il discorso su Pjanic: «Han fatto uno scambio e te la dico tutta? È meglio che non ci fosse quel carteggio». Bertola concorda: «No, quel carteggio lì meglio di no». Prosegue Gabasio: «Anche con l’altro, Genoa ovviamente, no? Son quelli che loro stanno cercando, no?». Dopodiché, Cerrato parla di CR7: « E ancora grazie che Ronaldo non ha fatto dei pizzini pericolosi». Esclamazione di Bertola: «Moggi, Moggi! Però hai fatto magia». Chiude Gabasio: «Però all’epoca Giraudo non faceva ste cose qui».

L’ansia per la Consob

L’incubo, siamo al 14 settembre 2021, è il ritorno del personale ispettivo della Consob nella sede della Juve. Al che, Cerrato spiega: «Se questi se ne andassero sarei un po’ più sereno anche sul processo di aumento di capitale no? Perché poi vanno a ravanare nelle mail di tutti eh. Cioè, se, se, se beccassero…». Poco dopo, ribadisce: «Volevo un po’, domani andare in un modo un po’ suadente e mafioso, provare a sentire un pochettino come butta (...) perché comunque nell’operazione aumento di capitale, essere nelle more di una loro qualche forma di, di verifica e cosi via, non è bello eh».

I club in «partnership»

Dalle intercettazioni, secondo gli investigatori, emergono «partnership» con società terze, con conseguente «opacità dei rapporti debito/credito», oltre al rischio di «porre in pericolo la lealtà della competizione sportiva». Nell’atto si citano Sampdoria, Atalanta, Sassuolo, Empoli e Udinese, oltre a squadre delle serie inferiori e straniere. Illuminante una telefonata tra l’allora capo dell’area tecnica Fabio Paratici e il dg del Pisa, Giovanni Corrado (non indagato), parlando di Lucca, giovane punta: «L’ho sempre fatto, l’ho fatto con Caldara (...) l’operazione devi farmela fare a me! Dammi retta, l’operazione la faccio io anche per il Pisa! Tu devi darmi solo le linee, il resto lo metto a posto io. L’ho fatto per il Genoa tutta la vita, l’ho fatto per l’Atalanta tutta la vita, l’ho fatto per il Sassuolo tutta la vita (...) Quando io ho i parametri dopo sistemo tutto (...)». Ci sono pure cose inconfessabili, come l’affare Romero, tra Atalanta e Tottenham, dove si era trasferito Paratici, al quale Percassi dice: «Quella lettera lì non potrò mai tirarla fuori, perché dovessimo andare in giudizio, viene fuori che ho fatto il bilancio falso».

Juventus, il documento con i conti in nero: 8 milioni a favore degli agenti «spariti» dal bilancio. Simona Lorenzetti su Il Corriere della Sera il 3 Dicembre 2022.

Spunta un documento in cui sono indicati i debiti verso gli agenti di cui non c’è traccia nei conti. Federico Cherubini ai magistrati: «Sì, conosco questa pratica»

La prima ammissione è del ds Federico Cherubini: «Sì, sono a conoscenza di questa pratica». La «pratica» consisterebbe in «mandati artificiali» agli agenti per appianare debiti maturati in anni precedenti.

«Contabilità in nero della Juventus», scrivono i pm (che hanno depositato la richiesta di rinvio a giudizio) a commento di un documento excel (sequestrato negli uffici del club) dal quale emergerebbe in maniera plastica l’esposizione debitoria della società, al 25 gennaio 2020, per 8 milioni di euro a favore degli agenti. Denaro di cui non vi sarebbe traccia nei bilanci. Il file riporta le operazioni di mercato per cui sono maturati i crediti e la differente causale con i quali sarebbero stati onorati.

«Tu lo sai che cosa c’ho pendente ancora in ballo? C’ho 450 mila per aria di due anni fa! Devo sistemare quelli e Giorgio (Chiellini, ndr) lo sa», spiega Davide Lippi (titolare della Reset Group e non indagato) a Cherubini il 27 luglio 2021. Tre giorni dopo insiste: «… sono due anni che sto aspettando di mettere a posto i soldi vecchi… cioè l’operazione di due anni fa di Spinazzola».

Il primo agosto il ds riferisce ad Andrea Agnelli, che ribatte: «… di fatto dico, che ha fatto? Niente. Ha fatto una telefonata a Spinazzola». Il giorno dopo Cherubini parla di nuovo con Lippi e spiega che non è possibile spostare la cifra sul rinnovo di Chiellini: «Ma lo mettono sul giornale e lo sputtanano, cioè noi siamo tutto quotato, siamo trasparenti su tutto. Famme ragionà a me, trovo io una soluzione». Il debito, stando alle indagini della guardia di finanza, sarebbe maturato nel 2019 con il trasferimento di Spinazzola alla Roma e il conseguente acquisto di Pellegrini. Ma dai contratti di mandato risulta che il club si sia avvalso non della Reset Group, ma della GG11 di Gabriele Giuffrida.

In un’altra intercettazione, Agnelli insiste che non si può inserire Lippi nel rinnovo di Chiellini: «… e di Giorgio non ha fatto un c....o Davide… le ultime due volte Giorgio l’ho fatto io… quindi non è che». Alla fine, i soldi sarebbero stati spalmati «fittiziamente» nella cessione di Hamza Rafia allo Standard Liegi. «Ho visto il mandato per Rafia, grazie… insomma si comincia a vedere qualcosa» commenta Luca Albano (dipendente della Reset). E anche sul rinnovo di Chiellini.

Il 16 agosto 2021, Stefano Bertola, capo dell’area business, commenta: «… questi rinnovano Chiellini e scopri che c’è… si parla di una procura a Lippi per 300 mila euro… non sapete che fatica si fa a far fare 300 mila euro di margine no? Non sapete la fatica che si fa e li volatilizzate così per uno che non... non ha fatto niente…». Rapporti «opachi» (ma non contestati) sia sotto «il profilo patrimoniale che sportivo», sarebbero stati ricostruiti negli accordi con Mino Raiola. E con altri agenti: tra loro Giuffrida, Giorgio Parenti, Giuseppe Galli e Silvio Pagliari (non indagati). Alcuni di loro avrebbe favorito acquisti e cessioni di calciatori minorenni per i quali la legge non prevede provvigioni. Da qui la necessità — secondo i pm — di «scaricare» il debito su altre iniziative di mercato.

Sono 22 le fatture «inesistenti» (dal 2018 al 2021) contestate per un valore «fittizio» di quasi 2 milioni di euro. «Sento Fede se ci fa mettere qualcosa, ma tu mi dici il totale per favore? Se ciò qualche operazione scarica…da recuperare… quanti sono?», spiega un dirigente delle giovanili a un agente. Il quale, una ventina di giorni dopo, richiama: «Ti volevo ringraziare per avermi messo dentro a qualche operazione… che non abbiamo fatto nulla».

Juve, Agnelli incontrò altri presidenti: «Spero nasca qualcosa di utile sennò ci schiantiamo». Redazione online su Il Corriere della Sera il 2 Dicembre 2022.

Un «incontro organizzato in via riservata» al parco della Mandria tra Agnelli ed esponenti di sei squadre di serie A alla presenza dei vertici della Lega di serie A e Figc

Un «incontro organizzato in via riservata» tra Andrea Agnelli ed esponenti di sei squadre di serie A alla presenza dei vertici della Lega di serie A e Figc, che il presidente bianconero, all'indomani, commenta così: «Spero nasca qualcosa di utile sennò ci schiantiamo pian pianino». C'è anche questo episodio (risalente al 23 settembre 2021) nelle carte dell'inchiesta sui conti della Juventus, inserite. 

La cena segreta al parco della Mandria

I magistrati hanno ricostruito l'incontro attraverso il monitoraggio, effettuato dalla guardia di finanza, dell'utenza telefonica di Agnelli. Secondo quanto ricostruito, la riunione si tenne in una tenuta a Fiano (Torino), all'interno del parco della Mandria. «Vi avrebbero partecipato - si legge nel dossier - Luca Percassi, amministratore delegato dell'Atalanta; Enrico Preziosi, presidente del Genoa; Giuseppe Marotta, ex ad della società bianconera e attuale ad dell'Inter; Paolo Scaroni, presidente del cda del Milan; Stefano Campoccia, vicepresidente dell'Udinese; Claudio Fenucci, amministratore delegato del Bologna». 

La conversazione telefonica

«All'incontro - proseguono i magistrati - risultano altresì avere preso parte Paolo Dal Pino, presidente della Lega calcio serie A, e Gabriele Gravina, presidente della Figc». I magistrati annotano che all'indomani dell'incontro, in una conversazione telefonica, Agnelli «riferisce testualmente: "spero solo che da ieri sera... la presenza di Gabriele e Paolo era utile... Spero che nasca qualcosa perché se no non so cosa fare, ne abbiamo parlato io e te quando ci siamo visti qua in ufficio. Adesso bisogna che questo elemento sia foriero di qualcosa di utile perché se no ci schiantiamo piano piano». «A margine della conversazione - continuano i pm - Andrea Agnelli ribadisce che l'obiettivo fondamentale è aumentare i ricavi del calcio italiano».

Ottavio Cappellani per mowmag.com il 30 novembre 2022.

Le dimissioni choc di Andrea Agnelli e dell’intero Cda della Juventus sono state un terremoto a Torino, che però si è sentito distintamente in tutto il mondo del calcio. Anche perché è risaputo: ti dimetti per evitare guai peggiori (l’arresto?). Ma dopo un trauma del genere per la vecchia signora è il momento di cambiare non solo look, ma proprio sesso: spazio quindi a uno stile gender fluid, sadofetish, Drag-Queer in linea con i tempi. E chi è il più juventino di tutti che potrebbe traghettare la società nella trasformazione? Sì, proprio lui. Date la Juve in mano a Lapo. Cappellani: "Se fossi io, lo farei"

Si aprono spiragli per Lapo alla presidenza della Juve? Noi ci speriamo.

Chi frequenta il mondo – e non c’è dubbio che la dirigenza della Juventus "frequenti" - sa che le dimissioni si danno soltanto ove si prospetti la possibilità di "reiterazione del reato" che è una delle tre cause per cui la magistratura può decidere per le misure cautelari (prigione o arresti domiciliari).

Ti dimetti, insomma, per non farti arrestare. Lo sanno tutti, dall’Eight Members Club di Londra, nella City (prima si andava al Mook in Notting Hill, ma hanno chiuso, uffa) al Baccarat di New York (anche se io – e qualcun altro - preferiamo l’Olive Tree Cafe per motivi che non sto qui a spiegarvi): se stanno per arrestarti devi dimetterti. Per cui è abbastanza ovvio che in Juventus l’abbiano combinata grossa. (Poi, per carità, può darsi soltanto che Andrea Agnelli e tutto il Cda si fossero soltanto annoiati, vai a sapere, riferisco soltanto quello che si mormora e si suppone in giro).

Il nuovo Dg, nominato in contemporanea con le dimissioni del presidente e del Cda, è Maurizio Scanavino, al vertice di Gedi: ci voleva un uomo di comunicazione, esperto nella "strategia delle crisi" - quei momenti in cui l’immagine di una società vale più dei conti, perché dei conti è meglio non parlarne, se non in presenza di un avvocato.

I consigli, come i bicchieri d’acqua non si offrono mai. Categorico. Ma il "se io fossi..." è permesso dal bonton delle buntan e quindi se io fossi Scanavino prenderei la patata bollente al balzo facendo in maniera che il prossimo presidente della Juve fosse Lapo Elkann, che – ditegli quello che volete – ma di immagine e di rialzarsi dopo una brutta caduta e di gestione della crisi ne sa sulla sua pelle più di chiunque altro.

Sarebbe l’occasione per trasformare la "vecchia signora" nella "nuova signora", perché oramai – e si sa – il calcio non è fatto più soltanto di vittorie e la "vecchia" signora, anche se vincente, aveva iniziato ad annoiare: i bilanci si fanno su tante voci non solo, oramai, su quelle relative alle vittorie in campo (cosa che, per carità, avveniva anche prima, ma lo "stile" Juventus" sapeva oramai di stantìo) e Lapo sarebbe la persona adatta a traghettare la Juventus nel nuovo mondo, lontano dalla carta stampata, dell’ultraverso multimediale dello slogan e del "pensiero breve" (copyright di Manlio Sgalambro in un libro pubblicato da Adelphi, che con la "vecchia signora" aveva molto a che fare fino a un recente passato).

Siamo in un tempo di gender fluid, di sadofetish, di Diletta Leotta, di commentatori che mostrano augelli in mutande. Innanzitutto la divisa: basta con gli stilisti, gli stilisti sono superati, erano arte applicata alla moda ma oramai l’arte esonda persino da se stessa e così facendo ritorna a se: bisogna applicare l’arte all’arte e forse Lapo sarebbe l’unico a dare l’incarico di disegnare la nuova divisa Drag-Queer a Pedro Almodovar. Minchia lo scrivo e già mi eccito da solo: qualche squadra ha la divisa Drag-Queer? No, sarebbero i primi.

E vogliamo parlare dei "tacchetti"? Ma perché a nessun designer di queste minchie di scarpette da calcio che si fanno sempre più ingegneristiche e noiose ha mai pensato alla moltitudine di rivoli semiotici insiti nella parola "tacchetti"? Sono Drag nane? E si può dire "nane"? Si può dire "tane"? Non lo so, non sono la Murgia. Ma il concetto è chiaro no?

A proposito di ingegneria richiamerei De Benedetti, l’ingegnere inventore della Panda, che lo ha raccontato milioni di volte, di avere detto a Giugiaro: "Voglio una macchina jeans" (tutta bella stretta, però larga in fondo, così ci viene l’orchite) quando dire "jeans" era come ballare nudi. Ecco, De Benedetti al design delle scarpette e dei tacchetti, al posto di "Domani" per entrare direttamente nel dopodomani degli sponsor e degli influencer senza l’orchite perché oramai il culo si fa vedere, come insegna il frontman di Victoria la bassista, e per fare mostrare il culo ai giocatori, sì, ci vuole De Benedetti.

Giocatori alla George Best ne esistono ancora? Di quelli che una volta dilapidavano tranne che per alcol e donne (che dovrebbero essere spese deducibili) ma che adesso dovrebbero avere passatempi assai più complessi, come il mago del trading appena fallito, come si chiama, Bankman-Fried, con la fidanzata nerdissima, Caroline Ellison, che al posto di nerdare come noi conosciamo il termine vivevano un una comune strafatti di anfetamine praticando il poliamore (e c’era gente che praticava poliamore con la Ellison, ma siccome è donna non possiamo dire che se te la poliamoravi era per soldi, per soldi si poliamorano solo i maschi) e – dicevo – se c’è qualcuno che può conoscere, dico in maniera intima, giocatori che poliamorano gender fluid strafatti di metanfetamina questi può essere soltanto Lapo (che non dico che poliamori o usi anfetamine, anzi, secondo me, con la moglie è rinato ed è rinato sano, ma un po’ di esperienza in più – dico, di come gira il fumo di questi tempi – rispetto ad Andrea Agnelli e a suo fratello John, dico, ce l’avrà o no?

E insomma che aspettate a darci una nuova signora, maestra del nuovo stile, con capoufficio stampa Gianni Minoli e allenatore Paul Gascoigne? Date la Juventus in mano a Lapo: se io fossi… lo farei.

Da mowmag.com il 30 novembre 2022.

Il tempismo è tutto. Meno di un mese fa Gigi Moncalvo, già firma del Corriere della Sera, caporedattore dei Tg Fininvest, direttore del quotidiano La Padania e capostruttura informazione di Rai2, è uscito per Vallecchi con Agnelli coltelli, libro nel quale dedica un capitolo alla resa dei conti tra John Elkann e Andrea Agnelli. Dopo la notte che ha consegnato le dimissioni del Consiglio di Amministrazione della Juventus, proprio a Moncalvo – piemontese e juventino, che negli anni ha pubblicato anche I lupi e gli agnelli. Ombre e misteri della famiglia più potente d’Italia e Agnelli segreti – abbiamo chiesto di tradurre la notte che ha azzerato il CdA del club, chiudendo la storia di Andrea Agnelli alla presidenza, nel bel mezzo di una bufera che coinvolge la Juventus a causa delle accuse di Procura e Consob sulla "manovra stipendi" e le plusvalenze.

Come si può leggere ciò che è accaduto lunedì sera nel CdA straordinario della Juventus?

Si tratta di un’autentica rivoluzione, un vero e proprio colpo di Stato fatto in maniera subdola e portato avanti dagli uomini e dalle donne di John Elkann. Ci sono le sue impronte digitali, si intravedono i suoi metodi di comportamento.

Da cosa lo evince?

Due aspetti lo confermano. Il primo è la nomina del nuovo direttore generale, Maurizio Scanavino, che non sa nulla di calcio ed è ora amministratore delegato e direttore generale del gruppo editoriale Gedi, gruppo che si trova in crisi finanziaria e continua a perdere copie. Il secondo è in queste righe del comunicato: "Il Consiglio ha, tuttavia, richiesto a Maurizio Arrivabene di mantenere la carica di amministratore delegato", insomma la richiesta ad Arrivabene, che fu voluto da Elkann, di rimanere al suo posto.

Chi comanda alla Juventus?

Il CdA uscente rappresenta in tutto e per tutto, per l’80%, John Elkann. La cosa strana è che, nel silenzio e nell’omertà dei media, Andrea Agnelli formalmente comandava, ma il CdA non era nelle sue mani o sotto suo controllo e ieri stato messo in minoranza. Ha dovuto rassegnarsi alle dimissioni.

Perché?

Perché non è passata la sua linea di proseguire il braccio di ferro con Procura e Consob, senza tenere conto peraltro dei grossi rilievi sollevati anche dalla società di revisione pagata dalla Juventus, Deloitte & Touche.

Ricapitoliamo: qual è l’accusa della Procura contro la quale Agnelli avrebbe proseguito la linea dura?

L’accusa principale della Procura è quella di avere alterato i bilanci. La Procura stessa ritiene di poterlo provare attraverso la famosa carta segreta di Ronaldo, che ha fatto saltare il coperchio pretendendo le quattro mensilità rimanenti, attraverso la mail con cui Chiellini scrive ai compagni di squadra sui pagamenti differiti e nella quale si dice che il denaro ai calciatori sarebbe comunque stato saldato, infine attraverso quello che potremmo chiamare il libro nero di Cherubini, nel quale elencava come promemoria interno una serie di appunti nei confronti delle mosse di Paratici.

Cosa si evince traducendo il comunicato dal burocratese?

Qualcosa la Juventus lo dice. Parla di successive "integrazioni salariali" e "loyalty bonus", sostiene insomma che quei denari siano stati versati e si sa che verrà fatta una correzione di bilancio in merito alla "manovra stipendi".

Nel CdA dimissionario figura anche il nome di Daniela Marilungo, alla quale viene dedicata una nota specifica. Si legge: "La dott.ssa Marilungo ha motivato le sue dimissioni sostenendo l’impossibilità di esercitare il proprio mandato con la dovuta serenità e indipendenza anche, ma non solo, per il fatto di ritenere di non essere stata messa nella posizione di poter pienamente ‘agire informata’ a fronte di temi di sicura complessità. Il Consiglio di Amministrazione ha preso nota dei commenti della dott.ssa Marilungo, non condividendoli".

Quello di Marilungo è un nome di prestigio, basta guardare il suo curriculum e la sua esperienza. Venne nominata su volere di Elkann e quanto si legge, messo per iscritto, è particolarmente sintomatico della situazione.

In definitiva, qual è la colpa di Andrea Agnelli?

Avere accentrato i poteri nelle sue mani, con risultati catastrofici sotto l’aspetto contabile. Elkann era stato costretto a chiamare Andrea Agnelli alla guida della Juventus dopo quei cinque anni fallimentari successivi a Calciopoli, che ci mandò dove ricordiamo. Avrebbe dovuto chiamarlo cinque anni prima però, ma allora quel cognome era troppo ingombrante. Andrea ha ottenuto grandissimi risultati sportivi ed economici, poi si è montato la testa e non ha tenuto conto degli equilibri e della vaselina da utilizzare nei rapporti con il cugino, uno che ha il volto angelico ma gli artigli da lupo.

E la Juventus, in tutto questo?

Alla Juventus non pensa nessuno, lo sconquasso è gigantesco. L’ultima volta che Elkann vi ha messo mano sono stati cinque anni all’inferno.

Gigi Moncalvo per "La Verità" il 30 novembre 2022.

A guidare le operazioni è stata una donna. Si chiama Suzanne Heywood, è managing director di Exor e presidente di Cnh Industrial Nv. È la nuova luce della pupille di John Elkann. Sul sito della Juventus è indicata come «amministratore» del club. In realtà da pochi mesi è il braccio armato di Jaky e plenipotenziaria per gli affari anche della Juve, che ormai era diventato un ex-assett.

È nata a Southampton, in Inghilterra, e ha conseguito un master in Scienze presso l'Università di Oxford e un dottorato di ricerca presso l'Università di Cambridge dopo un'infanzia trascorsa a navigare intorno al mondo su una barca. Suzanne ha iniziato la sua carriera professionale nel Tesoro del Regno Unito.

Nel 1997, è entrata a far parte di McKinsey & Company, dove ha ricoperto posizioni sempre più importanti, tra cui senior partner e co-leader della linea di servizi globali di McKinsey sul cambiamento del modello operativo per diversi anni, lavorando a lungo su questioni strategiche. Suzanne è anche membro del consiglio di amministrazione del settimanale inglese The Economist.

È stata lei a costruire la trappola in cui è caduto Andrea Agnelli. Diciamolo subito: l'ex presidente della Juve non si è dimesso, è stato «dimesso», lo hanno costretto ad andarsene, si è trovato in minoranza nel consiglio (si parla di sei voti contro, un indeciso a tutto, Pavel Nedved, e solo due a favore, lo stesso Agnelli e il suo fedele Francesco Roncaglio).

Secondo una ricostruzione di buona fonte, l'ex presidente della Juve si era presentato pieno di certezze e sicuro di sfangarla un'altra volta. Contava sul fatto che il cugino John Elkann - il vero proprietario della Juve -, non volesse affondare il colpo decisivo. Si basava su questa errata convinzione: «Fino a che non sarà terminata l'inchiesta della Procura della Repubblica, Jaki non avrà il coraggio di farmi fuori: sarebbe ingiusto e di cattivo gusto colpevolizzarmi e non credere nella mia innocenza fino a prova contraria e fino all'eventuale rinvio a giudizio o all'esito dell'eventuale processo. Sarebbe una sorta di dichiarazione di colpevolezza ancor prima del termine delle indagini».

E invece John non solo ha impugnato il «coltello» ma questa volta non è nemmeno andato, come all'inizio dell'estate scorsa, alla Mandria chiamato da Allegra Agnelli, la vedova di Umberto, che era interceduta positivamente a favore del figlio Andrea il cui destino era già segnato.

Questa volta John ha lasciato le sue impronte: dopo aver suggerito ai suoi consiglieri come comportarsi, e aver fatto piazza pulita, «Agnelkann» - come vorrebbe essere chiamato - con la pistola ancora fumante ha fatto subito nominare dal cda un suo uomo di fiducia ed ex compagno al Politecnico, Maurizio Scanavino, già a capo di Gedi, direttore generale.

In più, dato che una spa non può restare senza un consigliere, ha «ordinato» a un altro suo uomo, Maurizio Arrivabene, di restare in carica. E il cda ha subito eseguito (tra l'altro nei giorni scorsi l'entourage di John aveva fatto circolare la voce che proprio Arrivabene e Andrea sarebbero stati mandati a «risanare», pensa te, la Ferrari).

Andrea non si sarebbe mai aspettato un «golpe» di questo genere. Era entrato in consiglio baldanzoso come sempre e sicuro di far approvare il suo piano («Nuovo progetto di bilancio») da inviare a Procura della Repubblica, Consob e Deloitte & Touche (la società di revisione, ovviamente pagata dalla Juventus) per confutare le accuse di aver truccato i bilanci, reso false comunicazioni al mercato nascondendo le perdite prima con plusvalenze fittizie e poi con manovre poco trasparenti sugli stipendi dei calciatori e infine con false fatturazioni per «ripagare» alcuni procuratori sportivi per le loro trattative sui calciatori minorenni.

Agnelli in sostanza con questo piano di fatto riconfermava di voler portare avanti, anzi di inasprire, il suo braccio di ferro con la magistratura e farsi forte di un voto unanime del cda. Non gli era bastato capire la determinazione dei pm allorché avevano chiesto addirittura il suo arresto, scongiurato dalla decisione del gip di non convalidare la misura cautelare.

Lunedì Andrea, inoltre, intendeva ottenere l'appoggio del cda anche per ragioni finanziarie di carattere personale. Attraverso le sue società londinesi possiede un bel pacchetto di azioni del club (le ha prese in quota a poco più di 1 euro e ora valgono poco più di 20 centesimi, con una perdita di quasi l'80%) e per salvare il gruzzoletto aveva bisogno di allungare i tempi della sua permanenza.

Possibile che Andrea non avesse capito che era riuscito ad accentrare e fare suo il settore tecnico-sportivo della Juve ma aveva consentito a John di avere in pugno la maggioranza del cda (almeno quattro membri su nove e altri due pronti a saltare sul suo carro) visto che è lui, attraverso la Exor, ad aver aperto e ad aprire il portafoglio ormai da cinque anni a questa parte?

Le cose per Andrea si sono subito messe male, nel pomeriggio di lunedì. Molti dei consiglieri covavano dentro di sé da mesi, forti di autorevoli pareri legali, il timore di finire nei guai con la magistratura per aver «accompagnato» Andrea nelle sue «acrobazie» ed erano pronti ad abbandonare un presidente che li aveva sempre tagliati fuori dalle decisioni. In queste occasioni è importante trovare chi ha il coraggio di aprire il fuoco. Ci hanno pensato tre donne sotto la regia-ombra (ma non tanto) di Suzanne Heywood.

Ad aprire le ostilità è stata Daniela Marilungo, 52 anni, bolognese e con un curriculum di grande prestigio: ha lavorato alla Commissione europea, a Goldman Sachs e Merril Lynch, l'Abi (Associazione bancaria italiana) l'ha incaricata di curare le relazioni con l'Ue, ha vinto il premio come «Best european lobbist» (un riconoscimento tanto caro a gente come John). Marilungo deve aver pensato: «Perché devo rischiare di sporcare il mio curriculum? Ne vale la pena?».

Ai suoi rilievi, che ha voluto fossero messi a verbale e diffusi pubblicamente in un comunicato ufficiale, si sono subito accodate Assia Grazioli Venier e Caitlin Mary Hughes, che non si intendono di calcio ma hanno seguito i suadenti e delicati «suggerimenti» di John, che li aveva a suo tempo indicate in quel posto. Assia, comunque, è una investor nel calcio femminile americano (possiede quote della squadra Washington Spirit) ed ha convinto della validità di questo business le figlie di Bush e di Clinton.

Inoltre è stata consulente di Spotify (il principale sponsor del Barcellona) e fondatrice del Muse Capital, un fondo che investe su start-up tecnologiche. Caitlin Mary Hughes (moglie di Saverio Grazioli Venier, un executive coach, e quindi cognato di Assia, visti i cognoni?) a sua volta è amministratore delegato del famoso gruppo Magnum, il nome più famoso tra le agenzie fotografiche del mondo. Inoltre ha lavorato a Bbc Europe ed è tesoriere della David Nott Foundation che si occupa di medici e infermieri nelle zone di guerra.

La vera first lady della Juve, Suzanne Heywood, insieme alle sue tre «scudiere» (altro che la turca moglie di Andrea; Evelina Christillin, la regina delle Madamin; e le signore Pirlo e Storari!), hanno fatto capire coi loro voti che Andrea non aveva capito nulla di come si stessero mettendo le cose. A quel punto i voti contrari sono saliti a quattro con quello di Enrico Vellano, chief financial officer di Exor, il manager cui John ha affidato un portafoglio di nove miliardi di investimenti da fare nel mondo.

Paolo Garimberti, detto «l'ardito» per il coraggio che ha sempre mostrato al servizio della Juventus (sia in Rai che, soprattutto a Repubblica), si è subito accodato. Arrivabene ha farfugliato qualcosa e ha recitato la parte di colui che pur prendendo le distanze dalle parole accusatorie della Marilungo metteva anche la sua possente mano e il suo vocione al servizio di John. Pavel Nedved tentennava e pensava allo stipendio e alla fine rimaneva sospeso.

Con Andrea restava solo il fido Francesco Roncaglio. Finale: sei a due (o sei a due e mezzo). John assapora la vittoria e sembra dimenticare i guasti che ha procurato alla Juve quando la gestì direttamente (tramite Blanc e Cobolli Gigli) nei famigerati anni dopo Calciopoli (o Farsopoli). Ora alla Juventus è giunta l'ora dei contabili, dei commercialisti, degli esperti di bilanci, dei «risanatori» o presunti tali.

Alla faccia dei risultati sul campo, della competenza calcistica, delle esigenze sportive, della necessaria resurrezione tecnica, senza rispetto dei milioni di tifosi attesi da un futuro che sarà, ahimè, avaro di soddisfazioni. Per porre fine alla gestione di Andrea Agnelli, ormai inguaribilmente affetto dal disturbo noto come «perdita della trebisonda», John ha messo in atto la sua resa dei conti personale, con la speranza di riuscire a far tornare anche gli altri, di conti, quelli veri.

Il nuovo «ministro della sanità» è Gianluca Ferrero, che in Famiglia - da Gianni Agnelli in giù - hanno sempre chiamato «il contabile» poiché si occupava, insieme a suo padre Cesare (scomparso alla fine di luglio) di tutte le faccende fiscali, dalla compilazione della denuncia dei redditi in giù. Anche se, o lui o suo padre, in un Modello unico di Marella Agnelli, dopo la morte dell'Avocato, «dimenticarono» di compilare il quadro Rw in cui occorre denunciare i beni posseduti all'estero e i redditi da essi derivanti. Ma questo ormai non ha più importanza, se non per confermare che Gianluca Ferrero è un perfetto e impeccabile esecutore, sempre e comunque, ma le direttive le dà Suzanne Heywood, beninteso dopo averne parlato con John.

Simona Lorenzetti e Massimiliano Nerozzi per corriere.it il 30 novembre 2022.

A un anno dalle prime perquisizioni della guardia di finanza, la Procura di Torino ritiene di avere tutti gli elementi per chiedere il rinvio a giudizio - a giorni - per gli ex componenti del cda della Juve: tra loro il presidente dimissionario Andrea Agnelli, il vice Pavel Nedved, l'ad Maurizio Arrivabene e il capo dell'ufficio legale Cesare Gabasio.

L'inchiesta, coordinata dall'aggiunto Marco Gianoglio e dai pm Mario Bendoni e Ciro Santoriello, ipotizza bilanci truccati (dal 2018 al 2020), plusvalenze artificiali, false fatturazioni e «manovre stipendi», sul pagamento posticipato dei calciatori, fuori bilancio.

Reati che avrebbero potuto essere reiterati nel bilancio 2021/22, fosse stato approvato: rischio che le dimissioni del cda hanno azzerato, tanto che la Procura ha deciso di rinunciare all'appello al Riesame, con cui chiedeva misure interdittive per gli indagati.

Ormai il timone è passato nella mani del nuovo dg Maurizio Scanavino e del presidente designato, Gianluca Ferrero, commercialista e revisore di fiducia di Exor, l'azionista di maggioranza.

Nel bilancio da votare - stando agli accertamenti - non sarebbero ancora inseriti i 34 milioni derivanti dalla seconda «manovra stipendi»: una sorta di spada di Damocle sulla regolarità del documento contabile.

Oltre la metà di questa cifra, 19,9 milioni, sarebbe nella famosa «carta segreta» firmata con Ronaldo, che ora pare intenzionato a chiederne il pagamento. La carta che non doveva esistere, secondo l'intercettazione ormai famosa: «Se salta fuori ci saltano alla gola tutto sul bilancio, i revisori e tutto», dice Cesare Gabasio, legale rappresentante del club. Per poi aggiungere: «Poi va a finire che ci tocca fare una transazione finta».

Transazione, che fino ad ora, non sarebbe avvenuta. Ma il solo pensiero di risolvere così la questione, per i pm dimostrerebbe il dolo dell'operazione.

Ma le side letter con i calciatori non sarebbero le uniche scovate nel corso delle perquisizioni.

L'analisi dei documenti sequestrati e le dichiarazioni di alcuni testimoni avrebbero messo in luce altri debiti fuori bilancio. Cherubini, sentito il 29 novembre 2021, racconta che ci sarebbero «tra i 6-7 milioni di debiti con l'Atalanta» che non sarebbero mai stati iscritti.

Parole che troverebbero conferma in una mail datata 10 luglio 2020 in cui si parla di «debiti residui» - secondo i pm non contabilizzati - pari a «30 milioni + agenti»: tra le società con cui sarebbero maturati i debiti c'è l'Atalanta con accanto la cifra di 3,5. In un'altra intercettazione Arrivabene ammetterebbe: «Sappiamo cosa gli dobbiamo all'Atalanta».

Presunte anomalie su cui sono in corso accertamenti e che al momento non sono contestate agli indagati. Al pari di altre stranezze emerse sulle plusvalenze e che inducono gli investigatori a parlare di side letter anche in questo filone investigativo.

Il tema è quello del «call di riacquisto» per alcuni calciatori ceduti in prestito con obbligo di riscatto. Tra i contratti sotto esame ci sarebbe quello che nel 2018 portò Alberto Cerri al Cagliari, che avrebbe fruttato una plusvalenza di 8 milioni. Parallelamente all'obbligo di riscatto, ci sarebbe una mail del 12 luglio che garantisce al club torinese il riacquisto: in pratica, secondo gli investigatori, la plusvalenza non avrebbe dovuto essere iscritta a bilancio.

Estratto dell’articolo di Claudia Guasco e Valeria Di Corrado per “Il Messaggero” il 3 dicembre 2022.

Persino la pandemia è stata sfruttata dalla dirigenza della Juve per alimentare «le manovre illecite, finalizzate a gonfiare i ricavi e rinviare la rilevazione di debiti già maturati». Insomma, con la scusa del Covid, i dirigenti del club bianconero hanno potuto mettere in atto la manovra stipendi per far quadrare i bilanci, nonostante i «costi scriteriati ed eccessivi». 

«L'esplosione dell'epidemia da Covid-19 ha offerto copertura formale a tale disegno societario, finendo per costituire, più che un danno, un'autentica opportunità, ovviamente di natura illecita, per la società», spiegano i pm di Torino nella richiesta di misure cautelari presentata a giugno (e poi respinta dal Tribunale) nei confronti dei vertici di Juventus Fc.

Non solo l'ex presidente del cda Andrea Agnelli, per il quale erano stati chiesti i domiciliari, ma anche l'azionista di maggioranza John Elkann (non indagato) «appare pienamente a conoscenza delle problematiche finanziarie e soprattutto delle cosiddette manovre correttive», che poi per la Finanza sono «manovre illecite», «studiate al fine di alleggerire i bilanci e consentire la permanenza sul mercato della Juventus, senza perdere i pezzi pregiati». […]

A confermarlo è lo stesso Fabio Paratici, ex responsabile dell'area sportiva, parlando di sé in terza persona: «Perché non è che Paratici faceva le plusvalenze perché c'aveva voglia di fare plusvalenze, ma perché qualcuno gli diceva di farle». Emerge, secondo la Procura, «un contesto criminale di allarmante gravità» e una «pronunciata capacità delinquenziale», tra contabilità in nero per i rapporti con gli agenti sportivi, reticenza dei dirigenti juventini interrogati, pizzini in cui si parla di valori «reali e virtuali» dei giocatori, decine di documenti «occultati al di fuori della sede legale» e custoditi presso studi legali coperti da guarentigie. Ma i finanzieri sono riusciti a trovarli, tanto che un dirigente commenta così: «Qui ci fanno le pulci». 

Quando le ispezioni della Consob cominciano a diventare un problema, in casa Juve il clima si surriscalda. E l'ex direttore finanziario Stefano Bertola è dell'idea di tirare fuori i documenti, per non incappare in guai peggiori: «Lasciano le persone sulla graticola. È uno stile di conduzione della casa. Ma ci sono di mezzo anch' io, che tra l'altro firmo il bilancio 2019-2020 e so il c..o che mi sono fatto per stare dietro a quei numeri. Sembriamo una manica di servi imbecilli». È il sistema Juventus quello che emerge dalle carte dell'inchiesta, con la Procura che contesta agli indagati notizie false sugli stipendi dei calciatori, perdite di esercizio inferiori a quelle reali, manipolazione del mercato e plusvalenze artificiali per 155 milioni di euro.

È la famosa bolla: «Ci sono le plusvalenze che migliorano le perdite nette dei prossimi anni. Questo genera un tornado, ma abbiamo bisogno del tornado», dice un manager intercettato a febbraio 2021. Bertola è preoccupato: «Vedo riaffacciarsi le ombre del passato». L'ex presidente Andrea Agnelli ammette: «Abbiamo ingolfato la macchina con gli ammortamenti e la me..a che sta sotto», e l'ad di Exor, John Elkann, avverte: «Attenzione a non dire che le politiche che sono state fatte in questi anni erano dissennate». 

L'ex consigliere Enrico Vellano, il 26 agosto 2020, scrive una mail ad Agnelli, in vista di un bilancio in perdita per 369 milioni e una posizione finanziaria netta negativa per 600 milioni: «Questi numeri non includono le plusvalenze da cessioni, quest' ultimo valore (come discusso tante volte e sai meglio di me) è probabilmente il più critico e il più importante da gestire».

Cifre peraltro riviste ieri dal cda juventino che, riunitosi ieri ancora sotto la dirigenza Agnelli, ha riapprovato alla luce degli ultimi sviluppi il bilancio relativo al 2022, stabilendo una chiusura in perdita di 239,3 milioni di euro. 

ACCORDO CON LA ROMA La summa di acquisti «senza senso», di un «piano disastroso di recupero bilancio» e di «un utilizzo eccessivo di plusvalenze artificiali» che danno un «beneficio immediato» costringendo però a un «carico ammortamenti» per gli anni successivi è rappresentata dal Libro nero FP, foglio scritto a mano dall'attuale direttore sportivo Federico Cherubini (non indagato) che attacca la strategia del suo predecessore Fabio Paratici.

Operazioni a specchio, ravvicinate, a somma zero per dare sollievo ai bilanci. Come i 29 milioni incassati dalla Roma per la cessione di Leonardo Spinazzola che a sua volta ha venduto alla Juve Luca Pellegrini per 22 milioni: le cifre della transazione sono state iscritte a bilancio dalle società, in realtà si sono mossi solo 7 milioni. […] 

Il colpo finale per i bianconeri arriva con l'acquisto di Cristiano Ronaldo e l'ex ad Maurizio Arrivabene spiega così il disastro che sta per abbattersi sul club più titolato d'Italia: «Il primo aumento di capitale serviva per puntellare le operazioni già nate ai tempi di Higuain, noi invece l'abbiamo usato per comprare Ronaldo. Poi è chiaro che è scoppiata la gomma, eravamo a 300 all'ora».

Antonio Barillà per “La Stampa” il 3 dicembre 2022.

Il "Libro nero di Fabio Paratici" è il racconto di una gestione sfrontata e arrogante, inizio della fine della Juventus di Andrea Agnelli. È Federico Cherubini, stretto collaboratore e poi erede, a titolare così gli appunti su carta intestata, diventati dopo il sequestro pesanti elementi d'accusa. 

C'è ancora di più, in verità, tra righe che impastano critiche, impotenza e stupore: c'è il ritratto di un ragazzo mite, studioso di calcio e abile talent scout, che all'improvviso vuol trasformarsi in squalo della finanza e del pallone, gonfiando valutazioni di mercato ed esagerando senza accettare confronto, sedotto dal potere fino a confonderlo con onnipotenza e impunità. 

Cherubini scrive di un utilizzo eccessivo di plusvalenze artificiali, di un piano recupero bilancio disastroso, di una generazione di calciatori distrutta e di acquisti senza senso, ma anche di orari non rispettati e di riunioni dal podologo o in sauna. Sindrome da re. Dura da arginare. Ancora più chiara una sua intercettazione: «Con Fabio non si poteva ragionare. Finché c'è stato Marotta gli metteva un freno. Quando è andato via ha avuto carta libera. Io gliel'ho detto più volte: qui stiamo esagerando. Cioè è una modalità lecita ma hai spinto troppo. E lui rispondeva: a noi non importa. O fai 4 o fai 10, nessuno ti può dire nulla».

Nessuno ti può dire nulla. Un pensiero assurdo. Ripetuto a Bonucci («La Juve è quotata in Borsa, appartiene agli Agnelli, cosa può succedere per due stipendi?») come al dg del Pisa, Corrado, a proposito del centravanti Lucca, oggi all'Ajax: «L'ho sempre fatto, dammi retta, quando ho i parametri sistemo tutto io». E d'altronde, già ai tempi del caso Suarez, imbarazzante ma senza strascichi giudiziari, l'idea di un potere sfrenato già affiorava in una sua intercettazione: «Siamo la Juve e non ci ricevono» si sfogava meravigliato.

Finché c'è stato Marotta… L'inizio della fine è anche nell'addio. Perché lui Fabio l'aveva cresciuto e sapeva guidarlo e perché aveva esperienza, competenza specifica e carattere opposto. L'aveva conosciuto a cena, quando svernava a Brindisi da difensore – carriera mediocre per colpa d'un infortunio – ed era rimasto stupito dalla conoscenza globale del calcio e dall'aplomb: l'aveva portato alla Samp, osservatore e poi responsabile, quindi alla Juve come ds. 

Binomio perfetto per anni, finché Marotta, da sempre attento a coniugare risultati e bilanci, si mostra perplesso davanti all'operazione Ronaldo e viene bollato come pavido e "vecchio", non come savio: finisce con il divorzio e la promozione del delfino, che nemmeno brilla per gratitudine. Lui però è uomo di campo, non di finanza, e mal sopporta le scartoffie preferendo battere i campi: difatti colleziona errori, non guarda al futuro, non accetta i consigli. S'allarga troppo, prendendo in prestito il verbo scelto da John Elkann.

Valentina Errante per “Il Messaggero” il 4 dicembre 2022.

Poco più di un anno fa, i vertici e azionisti Juve pensavano ancora che, alla fine, le cose si sarebbero sistemate. Era settembre del 2021 quando in una telefonata (intercettata) l'allora presidente del club, Andrea Agnelli e John Elkann, amministratore delegato di Exor, discutono del rinnovo del cda della Juventus e soprattutto delle nomine nel comitato controllo e rischi, al quale spetta il monitoraggio degli investimenti. 

Dice Agnelli: «Noi abbiamo sempre preso dei rischi, il consiglio è stato informato e si sono sempre trovati dei correttivi strada facendo». I due concordano «sull'eccessivo ricorso allo strumento delle plusvalenze» ed Elkann detta la linea: «Quelle erano le prerogative dei mercati in quel momento, adesso bisogna gestire le cose al meglio, tanto alla fine di quello che hanno fatto gli altri prima chi se ne frega!».

Non è andata così, considerato che la Procura di Torino ha chiesto il processo per i vertici della squadra e per la stessa Juventus per operazioni di bilancio del triennio 2018/20. Illuminante, sottolineano i pm, la descrizione dell'ex ad Maurizio Arrivabene sul lavoro messo a punto dell'area finanza della società: «Ormai sono diventati talmente esperti a fare i trucchetti». Risposta del consigliere Francesco Roncaglio: «Te l'ho detto, sono dei professionisti».

I due discutono poi della situazione economica della squadra. «Dire che abbiamo bruciato 4 milioni quest' anno significa non saper leggere i numeri dell'azienda, perché noi ne abbiamo bruciati 100. Capisco che è lui che si vuol fare bello, vuol far vedere che ha tenuto in equilibrio i conti - si infervora Roncaglio presumibilmente parlando di Agnelli - ma i conti li hai tenuti perché hai venduto un credito, perché non hai pagato i debiti e perché non tieni in considerazione gli impegni finanziari che hai preso. Questo non è generare cassa, è prendere tempo con i fornitori, vendersi gioielli di famiglia o ipotecarsi la casa. Ancora più imbarazzante il cash flow calcolato includendo gli aumenti di capitale, ormai li consideriamo come se fosse un fatturato». 

Quando manager e consulenti vengono ascoltati dai magistrati, la musica cambia: le dichiarazioni di molti di loro vengono definite dai pm «fortemente parziali e condite da forse, mi sembra, non so nulla al riguardo». È quella che l'accusa definisce «ottica militaresca» della società, efficacemente descritta dall'ex direttore sportivo Fabio Paratici che, parlando con l'ad dell'Atalanta Luca Percassi, afferma: «Sono stato soldato».

Nella compattezza del club però si aprono delle crepe, come nel caso della famigerata manovra stipendi. A novembre di un anno fa, nell'ufficio di Andrea Agnelli, viene sequestrata una scrittura privata datata 28 marzo 2020, firmata da Agnelli e Chiellini. Mai resa pubblica, perché dice tutt' altro rispetto ai documenti ufficiali della società: nessuna rinuncia dei giocatori a quattro mesi di stipendio durante il lockdown, bensì di una sola mensilità con dilazione degli altri tre.

Per questo deve restare nel cassetto, come scrive capitan Chiellini alla squadra in un whatsapp del 27 marzo: «Per questioni legislative di Borsa, è chiesto di non parlare nelle interviste sui dettagli di questo accordo». A consegnare ai pm la schermata del messaggio sono i giocatori De Sciglio e De Ligt. 

Alla fine accettano tutti, la questione però è divisiva, soprattutto quando arriva la seconda manovra. Riferisce l'attaccante Paulo Dybala: «Io non volevo aderire, volevo ricevere tutti i mesi lo stipendio. Poi il mio gruppo di lavoro mi ha detto: meglio se lo facciamo, abbiamo un buon rapporto con la società, per avere migliori prospettive per il rinnovo». Anche in questo caso, maggio 2021, firma alla Continassa davanti a Fabio Paratici.

Stefano Carina per “Il Messaggero” il 4 dicembre 2022.

Così fan tutti. Vero, in parte. Perché il problema non è andare alla ricerca di plusvalenze ma farle con giovani sconosciuti (che rimarranno tali anche negli anni a seguire), gonfiando oltremodo i costi delle cessioni, per poi avere il tempo di ammortizzarli nei bilanci successivi, sistemando intanto quelli attuali.

In tal senso se l'apparato accusatorio della Procura difficilmente potrà scalfire valutazioni legate a compravendite di calciatori d'elité come Cancelo o Pjanic - pur sottolineando come il prezzo di vendita dei suddetti è superiore del 4% e del 23% se rapportato ai siti specializzati Transfermarkt, Cies e Football Benchmark - diverso il discorso per i vari ragazzini della Primavera bianconera, ceduti dal 2019. Pur non avendo un valore ufficiale per le compravendite, il sito Transfermarkt regala una fotografia esaustiva di quanto un giocatore può costare.

E la differenza, in molti casi, tra il prezzo al quale è stato ceduto e il valore del ragazzo aveva già fatto storcere il naso al Procuratore federale Giuseppe Chinè. Elia Petrelli, ad esempio, classe 2001, nel 2021 viene trasferito (insieme a Portanova, valutato 10 milioni) al Genoa nell'affare per l'acquisto di Nicolò Rovella, costato 18. Petrelli in quel giro di scambi viene valutato 8 milioni, più o meno il 3100% in più del reale valore dell'attaccante, che si aggira all'epoca sui 250mila euro. Non è il solo. Lanini, Francoforte, Gerbi, carneadi ai più, vedono il loro cartellino gonfiarsi con rincari che oscillano tra il 400% e il 1600%.

Tuttavia come con il Genoa, gli scambi continuano. Pablo Taboada nel 2019 è ceduto al Manchester City per 10 milioni. In cambio i bianconeri acquisiscono Félix Correia per 10,5 milioni. E poco importa che entrambi per i siti di riferimento valgano un milione: la doppia operazione produce una plusvalenza per i club di 9,5 milioni. 

Accade anche con Franco Tongya e Marley Aké con il Marsiglia. Uno entra, l'altro esce, entrambi valutati 8 milioni. Non si muove quindi un euro ma la manovra regala ossigeno ai rispettivi bilanci. Si dirà: ma poi i club dovranno caricarsi il valore dei cartellini. Vero, ma queste operazioni vengono effettuate sempre con ragazzi giovanissimi. Tempo per ammortizzare i costi non mancherà.

Da leggo.it il 4 dicembre 2022.

Una scrittura privata, sottoscritta dall'amministratore delegato dell'Atalanta, Luca Percassi, secondo i magistrati che indagano sui conti della Juventus, smentirebbe le dichiarazioni rese da Fabio Paratici, allora dirigente del club bianconero, agli ispettori Consob a riguardo di un impegno soltanto morale assunto dalla società bergamasca in occasione dell'acquisto da parte della Juventus di Dejan Kulusevski, pagato 35 milioni più 9 di bonus nel gennaio 2020. 

Nella scrittura privata, secondo i magistrati derivante non da impegni morali ma da negozi giuridici non resi pubblici, l'ad s'impegna - il 30 dicembre 2019 - ad acquistare a titolo definitivo un giocatore della Juventus, suggerito dalla stessa società bianconera, per il valore di 3 milioni di euro.

L'Atalanta acquistò nel giugno 2020 Simone Muratore, per 7 milioni. La cessione del calciatore ha determinato la rilevazione di una plusvalenza di oltre sei milioni nella relazione finanziaria del 30 giugno 2020. A parlare dell'operazione è la Procura di Torino nella richiesta di custodia cautelare, avanzata a giugno, per quanto riguarda le partnership tra la società bianconera e altre squadre.

Da leggo.it il 4 dicembre 2022.

Ci sono anche 'vuoti di memoria' e diversi 'non ricordo' nelle dichiarazioni rese da consulenti del club bianconero davanti ai pm torinesi che per mesi hanno indagato sui conti della Juventus. Emergono dalle testimonianze di professionisti, agenti sportivi e calciatori interessati dalle manovre stipendi rese nei giorni successivi alle perquisizioni effettuate dagli investigatori nel marzo del 2022. 

Ma ci sono anche dialoghi emblematici tra i dirigenti juventini anche attuali, come Maurizio Arrivabene, il ds Federico Cherubini e Stefano Cerrato, che spiegano bene la situazione difficile dei conti e gli investimenti sbagliati degli ultimi anni.

La crescita dei costi (in particolare, degli acquisiti e degli stipendi dei calciatori tesserati), non è stata casuale ma una ben precisa scelta «aziendale»; parlando con il Presidente Andrea Agnelli, l'attuale direttore sportivo Federico Cherubini (non indagato) afferma: «Il progetto che è stato fatto quando abbiamo cercato di alzare il livello da Higuain [...] era legato al fatto mi ricordo le valutazioni abbiamo una rosa della prima squadra che sta tendendo ad invecchiare: o facciamo un all in due/tre anni oppure questa rosa non reggerà [...]».

Proprio il concetto dell'all-in è ripetuto anche da Stefano Cerrato nell'ambito di due conversazioni consecutive avute con Cesare Gabasio e Roberto Spada (non indagato), rispettivamente General Counsel & Chief Legal Officer e presidente del collegio sindacale di Juventus F.C. (nominato in data 29.10.2021). Lo stesso Cerrato poi afferma che sono stati assunti «dei rischi economici in un momento sfortunato» in quanto «[...] noi abbiamo fatto grossissimi investimenti, bilanci in utile fino al 2018, performance sportive eccellenti, poi nella 18/19 è stato fatto un all in con Ronaldo, De Ligt e così via e subito dopo è arrivato il Covid, quindi c'è stata una situazione che si son presi oggettivamente dei rischi». 

Tra «non ricordo» e «non so niente»

Quanto ai 'non ricordo', spunta il caso di un consulente che, sentito dagli investigatori - scrive l'Adnkronos - si legge nelle carte della procura «ha sostanzialmente dichiarato di non ricordare alcunché delle trattative e degli accordi inerenti le cosiddette manovre stipendi, pur a fronte di documenti (e-mail) e dichiarazioni testimoniali che lo collocano a pieno nel ruolo di riferimento del club per le questioni fiscali». 

I pm quindi, riportano, «a mero titolo di esempio, le dichiarazioni, connotate da lacune e reticenze non bisognose di ulteriore commento». Alla domanda se con riguardo ai calciatori ha ricevuto richieste da parte di Juventus nella stagione 2019/2020, il consulente risponde «non me lo ricordo. Sicuramente si è parlato di rinuncia a parte di stipendio ma non degli aspetti fiscali».

E ancora alla domanda se per quanto di sua conoscenza si trattava di una rinuncia tout court a quattro mensilità, il professionista ha spiegato «mi sembra di ricordare che fosse così. Non ho memoria di una risposta precisa». 

«Non ricordo niente in proposito, oltre a quello che ci siamo detti (competenza e deducibilità)», risponde, poi, quando gli viene chiesto se fosse mai occupato degli aspetti fiscali del trattamento stipendiale di calciatori tesserati con la Juventus per la stagione 2020-2021 e sempre uguale è la risposta «non ricordo nello specifico» quando gli viene chiesto di riferire se vi era stata, per quanto a sua conoscenza, una manovra stipendi analoga a quella dell'anno precedente. E ancora sebbene dichiari «sono stato coinvolto per gli aspetti fiscali» nel trattamento stipendiale dei calciatori di Juventus nella stagione 2020/2021, alla domanda su cosa gli è stato rappresentato e da chi, osserva «non me lo ricordo».

La Juventus nei guai con la giustizia italiana e la Uefa. Andrea Soglio su  Panorama l’1 Dicembre 2022

 Presentate la richiesta di iscrizione nel registro degli indagati per gli ex vertici della società bianconera. E anche Ceferin fa sentire la sua voce aprendo una seconda indagine La Juventus ha vissuto oggi un’altra giornata terribile per quello che riguarda l’inchiesta che ha portato allo scioglimento dell’intero cda a partire dal Presidente, Andrea Agnelli. In mattinata infatti, come ci si attendeva, la procura ha depositato la richiesta di rinvio a giudizio per tutti gli ex componenti del vertice della società bianconera. Si parte ovviamente con l’ex presidente, poi il vice, Pavel Nedved, l’ex ad, Maurizio Arrivabene ed altri 10 indagati, tra cui la società stessa. Esclusi dal provvedimento invece i tre componenti dell’ex collegio sindacale che hanno dimostrato la loro estraneità ai fatti contestati.

Le accuse sono quelle note da ottobre, dal giorno della divulgazione del documento di chiusura indagini: false comunicazioni sociali, in merito ai bilanci 2018-2019 e 2019- 2020, ostacolo alla vigilanza Consob, aggiotaggio e false fatturazioni, tutto questo legato alle presunte plusvalenze artificiali per un totale di quasi 160 milioni e quella che è stata denominata «manovra stipendi» dell’anno della pandemia, cioè i presunti accordi segreti con i giocatori per la dilazione del versamento dei loro stipendi negli anni successivi. Tra queste quella famosa (mai trovata) con Cristiano Ronaldo che da sola varrebbe quasi 20 milioni di euro A questo vanno aggiunte le notizie di cronaca con i giornali che hanno riportato diverse intercettazioni dai contenuti piuttosto imbarazzanti per i bianconeri. In uno addirittura, due alti dirigenti parlano della situazione contabile come di una nuova «Calciopoli, con la differenza che questa volta ce la siamo creata da soli…». Insomma, una bufera giudiziario-economica in piena regola che dovrebbe proseguire nei prossimi giorni con la decisione del giudice sulla data dell’udienza preliminare o sull’eventuale archiviazione (che però alla luce di quanto emerso sembrerebbe davvero remota). Per la Juventus però i guai non sono finiti qui. Nel tardo pomeriggio una nota della Uefa gettava nuova benzina sul fuoco. L’organo del calcio europeo infatti ha aperto un’indagine sulla società bianconera per potenziali violazioni delle norme sulle licenze per club e sul Fair Play Finanziario. Da Nyon infatti scrivono che tra Uefa e la squadra era stato trovato il 23 agosto scorso un «settlement agreement» basato sulle informazioni sulla situazione finanziaria del club fornite dalla società stessa. «Nel caso che, dopo la conclusione delle indagini, la situazione finanziaria del club dovesse risultare differente da quella presentata all’epoca della stesura dell’accordo la Uefa potrebbe decidere la cancellazione dell’accordo stesso ed imporrà le misure disciplinari necessarie in accordo con le norme della Uefa».

Una lettera dura, dietro cui ci potrebbe anche essere la tensione esistente e pesante tra Andrea Agnelli ed il Presidente Uefa, Ceferin, nata con la nota vicenda della Superlega voluta da Agnelli e osteggiata da Ceferin. Insomma, inchiesta su inchiesta contro i bianconeri che nel loro percorso di ricostruzione societaria sembrano essere sempre più vicini a proporre un posto di rilievo ad Alex Del Piero, bandiera, se ce n’è una, del club di questi ultimi due decenni. Anche qui però non mancano le perplessità. Se per un Paolo Maldini che al Milan sta facendo benissimo da dirigente, come aveva fatto da calciatore, ci sono diversi casi in cui il passare dal campo alla scrivania non ha portato fortuna. Ma oggi come oggi, giorni in cui i tifosi vedono solo grigio, brutte notizie, potenziali penalizzazioni e punizioni, fare il nome di «Pinturicchio» è forse l’unico modo per recuperare un po’ di entusiasmo.

(ANSA l’1 Dicembre 2022) Le modalità con cui sono state portate avanti dalla Juventus le cosiddette 'manovre stipendi' del 2020 e del 2021 si possono considerare "certamente illecite", al punto che "si condivide con la pubblica accusa la sussistenza di gravi indizi". E' quanto scrive il gip Ludovico Morello. Il giudice ha però respinto le richieste di misura cautelare presentate dalla procura per mancanza di rischio di reiterazione del reato: le 'manovre' erano legate all'emergenza covid e quindi a un "periodo storico non più attuale". 

(ANSA) Sulla questione delle plusvalenze la Juventus potrebbe essere in buona fede.

È quanto osserva Ludovico Morello, il gip del Tribunale di Torino che lo scorso 12 ottobre ha respinto le richieste di misure interdittive per Andrea Agnelli e altri indagati dell'inchiesta sui conti della società bianconera.

Alla luce degli atti disponibili in quel momento, il giudice ha scritto che se la Juventus si è davvero attenuta alla prassi standard "risulterebbe difficile ipotizzare un discostamento consapevole, e quindi in definitiva doloso, dai corretti criteri di contabilizzazione delle poste". Per Morello è comunque opportuno "un accurato approfondimento". (ANSA).

Franco Vanni per repubblica.it l’1 Dicembre 2022.

Dopo la Consob, la procura di Torino e quella della Figc, sui conti della Juventus ora indaga anche la Uefa. In una nota ufficiale, l'organo di controllo finanziario della federcalcio europea (CFCB) comunica: "La prima sezione ha aperto un'indagine sulla Juventus FC. Coopererà con le autorità nazionali e si concentrerà sulle presunte violazioni finanziarie recentemente rese pubbliche".

A rischio l'accordo di settlement agreement stretto in agosto

Al centro dell'indagine Uefa ci sono "potenziali violazioni delle norme sulle licenze per club e sul fair play finanziario, recentemente rese pubbliche a seguito del procedimento condotto dalla Consob e dalla procura della Repubblica di Torino".

Nel comunicato si precisa che la Juventus, al pari di altri club europei, ha concordato con l'istituzione di Nyon il settlement agreement: "In data 23 agosto 2022 la prima sezione CFCB ha concluso un accordo transattivo con Juventus FC. Il presente accordo transattivo è stato concluso sulla base delle informazioni finanziarie precedentemente presentate dalla Società relative agli esercizi chiusi nel 2018, 2019, 2020, 2021 e 2022". Esattamente il periodo su cui ha indagato la procura torinese.

Se i dati saranno diversi la Uefa è "pronta ad azioni legali"

Quello che la Uefa vorrà verificare è la corrispondenza fra i dati comunicati dalla Juventus al fine di definire i contorni del settlmenent agreement e quello che verificheranno le autorità italiane nel corso delle indagini: "Nel caso in cui, dopo la conclusione di questa indagine, la situazione finanziaria del club fosse significativamente diversa da quella valutata dalla prima sezione CFCB al momento della conclusione dell'accordo transattivo, o se emergessero o venissero a conoscenza fatti nuovi e sostanziali, la prima pezione CFCB si riserva il diritto di rescindere l'accordo transattivo, intraprendere qualsiasi azione legale ritenuta opportuna e imporre misure disciplinari in conformità con le regole procedurali UEFA CFCB applicabili".

Guglielmo Buccheri per "la Stampa" l’1 Dicembre 2022.

La partita della giustizia sportiva con la Juve al centro del campo si è chiusa 0-0 lo scorso maggio: plusvalenze impossibili da valutare in modo oggettivo, il verdetto sia in primo grado sia in appello delle corti federali, e non solo per il tema bianconero. Di partita, però, se ne è aperta un'altra, dentro al fascicolo del procuratore della Federcalcio Chinè e con le carte della manovra stipendi in attesa di essere lette e tradotte in qualcosa che possa, nell'eventualità, diventare terreno di riflessione e azione.

La Juve non ha dubbi: "in assenza di alcuna alterazione contabile, ogni sanzione sportiva risulterebbe del tutto infondata", si legge in calce alla nota della società. Sarà così? Il risultato della seconda sfida nel campo della giurisdizione della Figc è ancora tutto da scrivere e lo sarà non prima della prossima primavera perché anche la giustizia sportiva si è dotata di un cammino simile a quello della giustizia ordinaria in fatto di fase inquirente: indagine e, poi, nel caso, capo di imputazione ben definito nel momento della richiesta di processo davanti alle toghe del pallone. Tradotto: per arrivare al traguardo, archiviazione o passo successivo, ci vorranno tre, quattro mesi almeno.

Già sottolineato come non sia possibile giudicare due volte per lo stesso motivo qualsiasi soggetto, la manovra stipendi resta l'unica ancora aperta. Quale, eventuale, sanzione rischierebbe la Juventus se dovesse finire sotto giudizio della corte Figc? Il punto di partenza per graduare le possibili pene ruota attorno agli effetti contabili che avrebbe avuto la correzione dei bilanci con la già citata più volte manovra stipendi 2020 e 2021: non rilevanti sul patrimonio netto della società e non rilevanti alla luce dei 700 milioni di aumento di capitale in tre anni.

Una volta usciti dalla prima curva, in scena entra l'articolo 31, quello sulle violazioni in materia contabile e gestionale, in particolar modo il comma 4 dove, in teoria, si può passare dall'ammenda ad uno, o più, punti di penalizzazione fermo restando il principio dell'afflittività delle sanzioni: se si dovesse arrivare ad una penalità dovrebbe comportare la perdita di un obiettivo raggiunto al termine di questa stagione. «Prima si fanno i processi, poi le possibili sentenze. No ai giudizi di piazza...», sottolinea il numero uno della Federcalcio Gabriele Gravina.

M. Ner. Per il "Corriere della Sera" l’1 Dicembre 2022.

C'è un punto fermo nell'inchiesta sui conti della Juve, almeno secondo la tesi degli investigatori, coordinati dall'aggiunto Marco Gianoglio e dai pm Mario Bendoni e Ciro Santoriello: tutti sapevano tutto, dal presidente Andrea Agnelli ai manager. Una convinzione nata setacciando documenti scoperti nelle perquisizioni, analizzando mail, ascoltando telefonate. Del resto, in una chiacchierata intercettata dai militari del nucleo di polizia economico finanziaria di Torino, l'allora capo dell'area tecnica così sintetizzava, in una battuta: «Erano tutti contenti quando Paratici veniva e portava plusvalenze». Un modo lecito di cui la Juve ha finito per abusare, se poi in maniera lecita o meno lo stabilirà un eventuale processo.

Di certo, è un modus operandi utilizzato da altri club, tanto che i pm torinesi stanno valutando se e quali atti trasmettere ai colleghi di altre città. A breve formuleranno la richiesta di rinvio a giudizio per i vertici del club bianconero - mentre per alcuni ex sindaci e revisori c'è l'ipotesi di una richiesta di archiviazione - ma altre Procure potrebbero poi avviare a loro volta accertamenti: l'impressione è che si stia soppesando l'esistenza di reati, ma che quasi certamente siano configurabili violazioni del codice di giustizia sportiva. In ballo ci sono alcune società che, negli anni sotto inchiesta, hanno fatto affari con la Juve, a partire da Atalanta e Genoa.

Nell'attesa, ieri con una lunga nota, il club bianconero ha sottolineato la propria posizione: «Le contestazioni della Procura non paiono fondate e non paiono, peraltro, né quanto a presupposti, né quanto a conclusioni, allineate con i rilievi contenuti nella delibera Consob del 19 ottobre 2022». Ovvero: «La Procura - sostiene la Juve - afferma l'artificialità di plusvalenze e la fittizietà delle rinunce stipendi, mentre Consob contesta un valore considerevolmente minore di plusvalenze, peraltro senza menzione di falso in bilancio, e non contesta l'efficacia giuridica delle rinunce stipendi, né, con specifico riguardo alla "manovra stipendi" 2020/2021, la natura giuridicamente non-vincolante delle scritture integrative in corso di negoziazione nell'aprile/maggio 2021».

La società interviene anche sull'eventuale procedimento sportivo: «Juventus confida che, proprio in ragione della ritenuta assenza di qualsivoglia alterazione dei bilanci contestati, le conclusioni delle autorità sportive (che già si sono espresse, con riguardo al tema plusvalenze, in senso favorevole ai bianconeri) non cambieranno: in assenza di alcuna alterazione contabile, ogni sanzione sportiva risulterebbe del tutto infondata». Ma secondo la tesi dei pm, dal tenore di alcune mail su «debiti residui» con altri club ed agenti e le mensilità posticipate ai giocatori, il club potrebbe avere debiti fuori bilancio per circa 70 milioni di euro.

Da gazzetta.it l’1 Dicembre 2022.

Appuntamento in tribunale per Andrea Agnelli e il resto dello staff dirigenziale (dimissionario) della Juventus. I magistrati della procura di Torino hanno firmato e depositato la richiesta di rinvio a giudizio nel procedimento sui conti della società bianconera. L'atto, oltre all'ormai ex presidente e al suo vice Pavel Nedved, riguarda altre undici persone. Escono di scena, secondo quanto è trapelato, i componenti del collegio sindacale, la cui posizione è stata stralciata: è probabile che per loro il caso verrà archiviato.

L'atto d'accusa ricalca quello contenuto nell'avviso di conclusione delle indagini preliminari che era stato notificato agli indagati lo scorso 24 ottobre: le plusvalenze artificiali per 155 milioni di euro, le notizie false sulla manovra stipendi, le perdite di esercizio inferiori a quelle reali. False comunicazioni sociali, manipolazione del mercato, dichiarazioni fraudolente con utilizzo di fatture per operazioni inesistenti, ostacolo alle autorità di vigilanza.

La posizione degli indagati però potrebbe aggravarsi perché nell'ultimo mese sono emersi altri elementi. Si tratterebbe di un `giro´ di denaro di cui non c'è traccia nel bilancio: debiti extra per decine di milioni sulla compravendita dei calciatori, compresi i 19 milioni da restituire a Cristiano Ronaldo sulla base dell'ormai famosa `carta segreta´ (mai trovata, che gli inquirenti sono convinti di avere ricostruito nei suoi contenuti essenziali). La procura avrà il tempo e il modo per aggiornare i capi d'accusa.

Da calciomercato.com l’1 Dicembre 2022.

(…) La sera del 22 luglio l'attuale ds bianconero, Federico Cherubini, è stato intercettato al ristorante 'Cornoler', dove i militari del nucleo di polizia economico finanziaria sono riusciti a piazzare le microspie. Cherubini parla con l'ex direttore finanziario della Juve, Stefano Bertola, e non usa mezzi termini su Paratici: "Con Fabio non si poteva ragionare, finché c'è stato Marotta gli metteva un freno... Si poteva svegliare la mattina e firmare 20 milioni senza che nessuno gli dicesse niente. Gliel'ho detto più volte: stiamo esagerando", riporta Repubblica. Ulteriori frasi arrivano da Il Corriere della Sera: "Io l'ho detto a Fabio: 'E' una modalità lecita, ma hai spinto troppo'. E lui mi rispondeva: 'Non ci importa nulla, perché negli scambi se metti 4 o metti 10 è uguale, nessuno ti può dire nulla'. Fabio ha avuto carta libera".

Andrea Rinaldi per il "Corriere della Sera" l’1 Dicembre 2022.

«La Juventus non ha bisogno di nuovo capitale». John Elkann getta acqua sul fuoco che sta divampando attorno al club in questi giorni e lo fa incalzato dalle domande degli analisti dal palco dell'investor day di Exor ad Amsterdam.

«La situazione è molto chiara, così come la direzione verso cui proseguire», ha minimizzato il Ceo della finanziaria di casa Agnelli, azionista del club: «La Juventus avrà un nuovo consiglio di amministrazione presieduto da un professionista di qualità come Gianluca Ferrero, un valido direttore generale che guiderà la società e ha ottime capacità nelle aree in cui la Juventus è presente: Maurizio Scanavino. E un allenatore molto forte, Massimiliano Allegri». «Il calcio - ha spiegato Elkann - è un settore di valore e pensiamo che con gli ingredienti che ha la Juventus possa diventare una società di valore ancora maggiore rispetto a quello che ha oggi».

La squadra ha chiuso il 2021 con 254,3 milioni di euro di debito che porta il rosso degli ultimi cinque anni a 612 milioni. Numeri che fanno a pugni con la patrimonializzazione, attestatasi a 169,4 milioni dopo tre aumenti capitali in crescendo negli ultimi dieci anni: 120 milioni nel 2011, 300 milioni nel 2019 e 400 milioni nel dicembre scorso. (...)

Da ilnapolista.it l’1 Dicembre 2022.

La famosa carta Ronaldo non è una sola, ma tre. Lo scrive Il Fatto Quotidiano. Ci sono tre scritture private che garantiscono al portoghese il pagamento dei 19,5 milioni di stipendio tagliati sia nel caso che resti alla Juventus sia nel caso vada via prima del 2021. Soldi che ovviamente non sono contabilizzati a bilancio e mai avrebbero potuto esserlo. Soldi che ora Ronaldo reclama.

Il Fatto scrive:

"Per la precisione le "carte" scoperte dalla Guardia di Finanza e dalla Procura di Torino sono tre. E sono proprio queste a mettere la Juventus in un angolo".

Il Fatto ricostruisce la questione relativa agli stipendi. Tra il 2020 e il 2021, 17 giocatori della Juventus accettano una riduzione dello stipendio che il club mette a bilancio, registrando così una riduzione dei costi. Nel 2020 alcuni calciatori si riducono lo stipendio di quattro mensilità salvo poi recuperarle in seguito. La trattativa sindacale fu condotta, all’epoca, da Chiellini. Nell’ambito di questo accordo con il club rientra la carta Ronaldo. Anzi, le carte Ronaldo. Simile agli accordi con gli altri giocatori.

Il Fatto scrive di aver visto i tre documenti. Parla della prima carta, firmata da Paratici, allora direttore sportivo.

"Egregio Dos Santos Aveiro Cristiano Ronaldo" esordisce la prima, di poche righe, che nel classico linguaggio burocratico spiega in sostanza: "Con la presente le consegniamo" i successivi due documenti. E precisa che il loro contenuto sarà "ritrascritto" sui moduli federali della Federcalcio indicando una data: luglio. Stando alla prima scrittura privata, quindi, Ronaldo dichiara di ricevere le altre due e viene informato che a luglio sarà tutto depositato in Figc. Non è un dettaglio neutro. Depositare tutto prima, cioè a maggio, avrebbe comportato l’obbligo di segnalare tutto in bilancio. Invece tutto slitta al successivo".

Il quotidiano passa ad esaminare la seconda carta.

"Qui non c’è alcun "egregio" e si va al sodo. Il "sodo" è una "condizione": potremmo chiamarla un premio fedeltà. O una "integrazione salariale" legata al "caso in cui" Ronaldo nel luglio 2021 sia ancora "tesserato con la Juventus Football club Spa". Bene: cosa accade se questa condizione si realizza? Ronaldo riceve un premio. A rate. Nella scrittura il premio viene scaglionato in più mensilità, a partire da luglio, che moltiplicate danno questa cifra: 19,5 milioni lordi.

Esattamente la riduzione di stipendio che Ronaldo aveva pattuito. Se nel luglio 2021 Ronaldo è ancora bianconero, quindi, "all’avveramento della condizione" recupera tutto. E se invece va via? Qui entra in gioco la terza carta, ed è meraviglioso".

Il Fatto esamina anche quella.

"Si ricomincia: "Egregio Dos Santos Aveiro Cristiano Ronaldo…". e poche righe dopo si torna al sodo: se non "matura" il premio citato nella carta numero due, avrà diritto a "percepire" un "importo pari" al premio stesso. Ma per un altro motivo: "incentivo all’esodo"".

Insomma, in base ai tre documenti, sia che resti sia che vada via, Ronaldo sarà pagato 19,5 milioni di euro, la cifra pattuita all’inizio. Un accordo tra i dirigenti Juve e il portoghese di cui gli azionisti non sanno nulla, visto che si sono fermati alla riduzione dello stipendio di Ronaldo messo a bilancio.

Juventus, l’inchiesta sui conti: dalle plusvalenze agli stipendi fuori bilancio, le tappe della vicenda. Simona Lorenzetti e Massimiliano Nerozzi su Il Corriere della Sera il 29 Novembre 2022

Emersa con le perquisizioni nella sede della Juve, un anno fa, l’inchiesta aveva portato alle richieste di arresto per Andrea Agnelli e Paratici. Il prossimo passo? La richiesta di rinvio a giudizio

Emersa con le perquisizioni della Guardia di finanza nella sede della Juve, a fine novembre del 2021, l’inchiesta della Procura di Torino sui bilanci bianconeri è arrivata a un primo punto fermo lo scorso 24 ottobre, con la notifica dell’avviso di fine indagini: 15 persone indagate – tra il presidente Andrea Agnelli, il vice Pavel Nedved e l’ad Maurizio Arrivabene, con altri manager, sindaci ed ex del club – oltre alla stessa società, accusati, a vario titolo, di false comunicazioni sociali e al mercato, ostacolo agli organi di vigilanza e false fatture per operazioni inesistenti. La Juve, tramite comunicati ufficiali, ha invece sempre ribadito di aver agito nel rispetto delle normative. Sia rispetto alle contestazioni dei magistrati – il procuratore aggiunto Marco Gianoglio e i pm Mario Bendoni e Ciro Santoriello – sia davanti ai rilievi fatti dalla Consob.

Gli accertamenti fatti dai militari del nucleo di polizia economico finanziaria della guardia di finanza di Torino si sono sostanzialmente sviluppate lungo due filoni principali: le plusvalenze fatte dal club che – secondo gli investigatori – non sarebbero altro che scambi; e le cosiddette «manovre stipendi», fatte dalla Juve per affrontare gli effetti della pandemia, ma che avrebbero prodotto non corrette contabilizzazioni a bilancio. Nella sostanza, ufficialmente il club avrebbe sottoposto ad alcune condizioni il pagamento di alcune mensilità arretrate ai giocatori, mentre con scritture private gli stessi sarebbero diventati debiti incondizionati e, quindi, da iscrivere tra le passività a bilancio. Le ipotesi di accusa si basano su una vasta mole di documenti acquisiti e sequestrati, anche negli uffici di alcuni professionisti, oltre a tre mesi di intercettazioni telefoniche.

A un certo punto, davanti ai gravi indizi raccolti – sempre secondo l’accusa – i pm avevano chiesto al gip la misura cautelare degli arresti domiciliari per Agnelli, l’ex capo dell’area tecnica Fabio Paratici e il capo dell’ufficio legale del club, oltre a misure interdittive anche per altri manager, ma il gip aveva respinto le richieste. Per quelle interdittive, la Procura ha fatto appello al tribunale del Riesame, che ancora deve pronunciarsi.

Dopo la notifica dell’avviso di conclusione dell’inchiesta, gli indagati avevano la possibilità di depositare memorie difensive o farsi interrogare, facoltà che fino a ieri hanno scelto in pochi, tra ex sindaci e revisori dei conti. Difatti, in questi giorni in Procura, sono appunto sfilati i componenti del collegio sindacale e i revisori dei conti che negli anni (dal 2019 al 2021) avrebbero avvallato i presunti bilanci falsificati dalla Juve. In pratica, secondo quanto contestato dai magistrati torinesi, gli organi di controllo avrebbero dato il loro ok ai rendiconti, lasciando che venissero contabilizzate le presunte plusvalenze «artificiali» e cancellati i debiti incondizionati maturati dalla società nei confronti dei calciatori con le cosiddette «manovre stipendi» (il differimento di quattro mensilità negli anni della pandemia).

CR7 e quelle 4 mensilità da 20 milioni fuori dal bilancio: le carte segrete

I sindaci Paolo Piccatti (presidente del collegio) Silvia Lirici e Nicoletta Paracchini (difesi dagli avvocati Luigi Giuliano e Marco Calleri) sono stati i primi – venerdì scorso – a comparire davanti ai pm. Agli indagati è rimproverato di non «aver vigilato» sul rispetto «dei principi di corretta amministrazione», limitandosi «a prestare acquiescenza all’operato» dei vertici del club sportivo. Per i magistrati, avrebbero avuto «l’obbligo giuridico» di effettuare verifiche, invece si sarebbero limitati a esprimere «un giudizio positivo».

I tre professionisti hanno quindi spiegato – per quando riguarda la voce plusvalenze – che non spettava a loro la verifica dei singoli contratti di «permuta» dei calciatori. E che erano completamente all’oscuro delle «manovre stipendi» e delle «side letter» (gli accordi segreti con gli atleti per il pagamento delle mensilità), che avrebbero modificato i termini di contabilizzazione. Allo stesso tempo hanno ribadito di aver applicato tutte le regole deontologiche previste nelle fasi di controllo dei bilanci. Anche ai revisori Stefania Boschetti e Roberto Grossi (Ernst & Young), è contestato il mancato controllo delle regole contabili della Juventus e di aver dato parere positivi ai bilanci, nonostante le verifiche richieste dalla Consob. Il prossimo passo della Procura, dopo aver soppesato dichiarazioni, atti e memorie, sarà quello di formulare l’eventuale richiesta di rinvio a giudizio o, a seconda dei casi, quella di archiviazione.

Da tuttojuve.com il 5 dicembre 2022.

Stando a quanto afferma il Corriere dello Sport, spunterebbero nuovi elementi in merito all'indagine sui conti della Juventus. In particolare ci sarebbe una scrittura privata firmata dall'ad dell'Atalanta Luca Percassi tra il club bianconero e l'Atalanta in merito all'operazione Kulusevski. Questa scrittura sarebbe stata nascosta e smentirebbe quanto affermato da Fabio Paratici agli ispettori della Consob. L'allora dirigente juventino avrebbe spiegato che tra la Juventus e l'Atalanta ci sarebbe stato un accordo di natura verbale in merito al passaggio in bianconero di Kulusevski.

Ma secondo i magistrati, in questa scrittura privata, non derivante da impegni morali ma da negozi giuridici non resi pubblici, Percassi si sarebbe impegnato ad acquistare un giocatore indicato dalla Juventus per il valore di 3 milioni. L'Atalanta nel giugno 2020 ha acquistato dai bianconeri Muratore pagando 7 milioni e generando di fatto per la Vecchia Signora una plusvalenza di sei milioni inserita nella relazione finanziaria del 30 giugno 2020. Questo è quanto afferma la procura di Torino nella richiesta di custodia cautelare avanzata lo scorso giugno in merito alla partnership tra la Juventus e altre società.

Da eurosport.it il 5 dicembre 2022.

L'inchiesta Prisma che da settimane sta tenendo banco nell'ambiente Juventus potrebbe presto allargarsi a macchia d'olio su altri club. Lo rende noto La Stampa, secondo cui gli atti potrebbero presto essere inviati alle procure di Bergamo e Genova. Nel mirino degli inquirenti, infatti, sono finite anche Atalanta e Genoa, società che hanno negli ultimi anni imbastito diverse operazioni maggiori e minori con il club bianconero. Sono però in particolare due quelle sotto i riflettori.

La prima, che riguarda tutte e tre le società, è la trattativa per Cristian Romero. Nel luglio 2019 il Cuti si è trasferito in bianconero dal Genoa, restando però poi in prestito in Liguria in Liguria per un'ulteriore stagione; l'Atalanta se lo assicura così in prestito biennale, al costo di 4 milioni con riscatto fissato a 16, rivendendolo poi al Tottenham a circa 50 sotto la supervisione del ds dei londinesi Paratici e chiudendo una plusvalenza notevole. 

Altrettanto vantaggioso per i bergamaschi è stato l'affare Kulusevski, che la Juventus ha prelevato proprio dal club bergamasco per 35 milioni più 9 di bonus: un'operazione che ha coinvolto anche Simone Muratore, approdato in nerazzurro e messo a bilancio per circa 7 milioni (cifra, anche questa, che ha insospettito non poco).

Gianluca Oddenino per “la Stampa” il 5 dicembre 2022.

Provare a fare finta di nulla è impossibile, dopo tutto quel che è successo in questa settimana nella Juventus, ma estraniare la squadra diventa la prima missione di Massimiliano Allegri alla ripresa degli allenamenti, in programma domani alla Continassa. Il tecnico bianconero domenica 20 novembre aveva congedato i suoi giocatori con un bel sorriso, grazie alla sesta vittoria consecutiva in campionato, e pregustava la lunga sosta mondiale per recuperare gli infortunati (Pogba e Chiesa su tutti) in vista di un 2023 ricco di sfide. 

Pensieri e auspici naufragati all'improvviso lunedì scorso, quando una cena di lavoro con il ds Cherubini si è trasformata in una riunione d'emergenza per organizzare la Juve dopo le dimissioni di Agnelli, Nedved, Arrivabene e tutto il Cda.

Allegri per senso di responsabilità non ha mai pensato di fare un passo indietro e si è subito messo a disposizione, confrontandosi con il nuovo direttore generale Maurizio Scanavino e incassando la totale fiducia di John Elkann. «Rimane il punto di riferimento dell'area sportiva della Juventus - così l'ad di Exor, la holding della famiglia Agnelli che detiene la maggioranza del club, in un comunicato -: contiamo su di lui e su tutta la squadra per continuare a vincere come hanno dimostrato di saper fare nelle ultime giornate, mantenendo alti i nostri obiettivi sul campo». 

Allegri era lo juventino più in bilico e contestato dopo aver toccato il fondo con la clamorosa sconfitta di Haifa in Champions dell'11 ottobre, mentre adesso è la scialuppa di salvataggio a cui i bianconeri si aggrappano per evitare che la tempesta perfetta - scatenata dalle inchieste di Procura di Torino, Consob, Procura federale e Uefa - possa colpire anche la squadra. Tocca all'allenatore livornese tenere a galla la Juve, blindandola dalle voci esterne e cercando di farla ripartire senza contraccolpi.

«È importante gestire i momenti di negatività con grande lucidità - ha spiegato in un recente convegno all'Università politecnica delle Marche sul lavoro di squadra -, rimanendo un po' staccati da quello che possono essere coinvolgimenti emozionali». Allegri solitamente nelle difficoltà si esalta, anche se la destabilizzazione non ha nulla a che fare con il pallone e dunque dovrà tirare fuori il massimo a tutti i livelli. In questi giorni ha parlato a lungo con i calciatori per rassicurarli, visto che hanno saputo dell'addio di Andrea Agnelli direttamente dalla sua lettera di addio senza alcun preavviso, e con il ds Cherubini è l'unico uomo di calcio rimasto in società. Per questo Allegri dovrà essere un leader dentro e fuori il campo, diventando praticamente un manager alla Ferguson con pieni poteri grazie a quel contratto che lo blinda fino al 30 giugno 2025.

«È sempre molto positivo sentire la vicinanza degli azionisti - aveva detto il tecnico nei giorni scorsi - e il mondo bianconero deve rimanere concentrato sul lavoro per ottenere i risultati che tutti vogliamo». 

A gennaio la Juve si giocherà la possibilità di riaprire la lotta scudetto, venerdì 13 c'è lo scontro con il Napoli allo stadio Maradona, e varerà un nuovo Consiglio d'Amministrazione con Gianluca Ferrero presidente al posto di Andrea Agnelli (assemblea degli azionisti convocata per mercoledì 18). 

Allo stesso tempo il club e gli indagati rischiano di andare a processo dopo l'inchiesta Prisma sulle plusvalenze e il falso in bilancio, mentre si aprirà il calciomercato per trovare alcuni rinforzi (in primis un esterno difensivo). Saranno giorni complessi per i bianconeri, ma almeno una certezza c'è ed è quella su cui in pochi avrebbero scommesso solo due mesi fa.

Franco Vanni per repubblica.it il 5 dicembre 2022.

Nella richiesta di misure cautelari per tredici indagati, respinta dal gip, la procura di Torino approfondisce i rapporti fra Juventus e Atalanta, in particolare per quanto riguarda le compravendite di due giocatori: l’argentino Cristian Romero, premiato come miglior difensore nella stagione 2020/21, e Merith Demiral, anche lui difensore centrale, da tempo nel giro della nazionale turca.

Due ottimi giocatori, quindi, non semplice “materiale da plusvalenza”. Però, secondo i pubblici ministeri torinesi, il passaggio di mano dei due cartellini da un club all’altro sarebbero serviti alla “definizione di partite pregresse di credito a favore del club bergamasco” di “natura non pubblica”. In pratica, secondo la procura, la Juventus avrebbe usato le transazioni relative ai cartellini dei due calciatori per compensare un pregresso debito con l’Atalanta, di cui non c’è traccia nei bilanci. La figura centrale della vicenda è l’indagato Fabio Paratici, dal 2018 direttore dell’area sportiva della Juventus, nel 2020 promosso ad amministratore delegato dell’area Sport, poi passato nell’estate 2021 al Tottenham, dove ricopre il ruolo di direttore generale.

Cristian Romero, nato nell’aprile del 1998 a Cordoba in Argentina, nel 2019 passa dal Belgrano, nella seconda divisione del suo Paese, al Genoa per 4,25 milioni di euro. Da allora, si registrano ben nove diverse variazioni fra passaggi di proprietà del suo cartellino e concessione in prestito delle sue prestazioni sportive. Romero esordisce in Serie A il 20 ottobre 2018 in maglia rossoblù contro la Juventus, che il 13 luglio 2019 lo acquista per 26 milioni, ma lo lascia in prestito al Genoa fino all’inizio della stagione 2019/20. 

Con  il Genoa, in due stagioni gioca 62 partite. Con la maglia della Juventus invece non mette mai piede in campo. Finito il prestito al Genoa, il 5 settembre 2020 viene infatti girato a titolo temporaneo all’Atalanta per 4 milioni, con riscatto fissato a 16 più bonus. A Bergamo gioca, benissimo, per una stagione appena: 42 partite, tre gol, cinque assist. E a maggio viene premiato: nessuno in Serie A difende come lui. Il 5 agosto 2021 l’Atalanta lo acquista dalla Juventus pagando 17 milioni per il suo riscatto e il giorno successivo lo presta al Tottenham, che il 30 agosto 2022 lo riscatterà a sua volta per 50 milioni. In pratica Paratici prima cede il giocatore all’Atalanta, da dirigente juventino, poi dall’Atalanta lo riacquista, da dirigente degli Spurs.

La tesi della procura: i debiti non dichiarati

In una conversazione telefonica intercettata dalla guardia di finanza il 30 luglio 2020 Paratici, già uomo del Tottenham, al telefono con l’ad atalantino Luca Percassi dice: “C’hai un giocatore che paghi 16 milioni e il giorno dopo lo rivendi a 50!”. Percassi risponde di volere trattare della questione direttamente con Agnelli, e aggiunge: “Sono qui a dirti che sono pronto a pagarti un giocatore, ti chiederei però di non far finta che non esistano altri impegni sennò rinviamo tutto all’infinito”. Quali sono questi altri impegni? Per i pubblici ministeri sarebbero appunto quelle “partite pregresse di credito a favore del club bergamasco” di “natura non pubblica” a cui fanno riferimento nella richiesta di misure cautelari.  Nell’intercettazione del 30 luglio Paratici, che alla Juve ha lavorato a lungo, rassicura Percassi: “Andrea (Agnelli Ndr) è uno che sistema”. Lo stesso Agnelli, intercettato dalla finanza l’8 agosto 2021, a Percassi parla dell’opportunità di “chiudere questa roba qua e poi tornare a mettere a posto … le varie situazioni”. 

Merih Demiral e le modalità di pagamento

Nelle manovre per sanare il presunto debito non dichiarato della Juventus nei confronti dell’Atalanta, secondo la procura rientrerebbe anche la compravendita di Merih Demiral. Intercettato il 4 agosto 2021, dopo il passaggio del calciatore dalla Juve all’Atalanta, l’ex direttore sportivo bianconero Federico Cherubini suggerisce al dirigente del club torinese Paolo Morganti: “Siccome adesso sta uscendo che il prestito è oneroso con 28 (milioni Ndr) di riscatto, ci fa comodo che esca con due numeri più sostenibili, perché ci stanno massacrando, perché questi hanno venduto Romero a 50 milioni. Se escono i numeri veri, siccome non è che gli puoi dire come stanno le cose!”. Al telefono con un giornalista esperto di calciomercato, Cherubini spiega poi che le condizioni e i tempi dei pagamenti per il trasferimento del giocatore sono diverse da quelle comunicate pubblicamente, circostanza che ricorre anche in altre intercettazioni fra dirigenti juventini. L’eventuale processo chiarirà se l’impianto dell’accusa reggerà in un eventuale processo. Di sicuro però la lettura delle conversazioni captate dalla guardia di finanza aiuta a capire le dinamiche complesse dei rapporti fra Juventus e Atalanta, tradotte in un puzzle di prestiti e riscatti. 

Ok il prezzo è giusto (ma dipende cosa metti a bilancio)

La storia italiana di Demiral comincia nel 2019, quando passa per 8 milioni dall’Alanyasport, squadra turca, al Sassuolo, dove gioca 14 partite. Nello stesso anno si trasferisce per 19,5 milioni alla Juventus, dove mette piede in campo per 32 volte, fra le varie competizioni. Il trasferimento all’Atalanta come abbiamo visto avviene nel 2021, con un meccanismo di prestito e riscatto, per 20 milioni. A Bergamo trova finalmente un posto da titolare: 53 partite fino a oggi, fra campionato, Coppa Italia e competizioni europee. 

Secondo le stime di valore riportate dal sito Transfermarkt, non c’è niente di strano né di scandaloso nelle quotazioni del giocatore negli anni. Anzi. Già ai tempi dell’ Alanyasport il giusto prezzo di Demiral, al tempo diciannovenne, veniva stimato dal portale in 15 milioni. È quindi indubbio che, pagandolo 8, il Sassuolo abbia fatto un affare. E così l’Atalanta, che riscattandolo a 20 dalla Juventus lo paga di fatto 5 milioni meno della stima di Transfermarkt - che non è la bibbia, non dà quotazioni ufficiali ma è spesso utilizzato dalle procure come benchmark nelle carte delle tante inchieste aperte (e quasi sempre concluse in nulla) sul tema delle plusvalenze da calciomercato. 

Un filo che da Bergamo arriva a Sassuolo

L’affare Demiral è il filo che unisce i rapporti della Juventus con l’Atalanta e quelli che il club bianconero aveva con il Sassuolo, altro club con cui secondo la procura torinese i dirigenti juventini avrebbero avuto rapporti tali da “influenzare le operazioni di acquisto/cessione dei calciatori talvolta concluse a condizioni di favore”. Rapporti che, sempre secondo i pm, nel periodo coperto dall’indagine, “sfociavano in rapporti debito/credito tra le società opachi”, a testimonianza della “inattendibilità delle comunicazioni sociali fornite ai terzi”.

Intercettato mentre parla con Giovanni Carnevali, amministratore delegato del Sassuolo, Paratici gli chiede condizioni di favore per nuovi affari di mercato, e gli ricorda: “Se io mi siedo e le condizioni che tu mi dai sono esattamente quelle che tu dai a Edu dell’Arsenal, che non hai mai visto in vita tua, qual è il valore aggiunto della nostra relazione decennale? Che fine ha fatto gli otto milioni che hai guadagnato in sei mesi con Demiral, che non sapevi chi era?”.

Estratto dell’articolo di Stefano Carina per “Il Messaggero” il 5 dicembre 2022. Così fan tutti. Vero, in parte. Perché il problema non è andare alla ricerca di plusvalenze ma farle con giovani sconosciuti (che rimarranno tali anche negli anni a seguire), gonfiando oltremodo i costi delle cessioni, per poi avere il tempo di ammortizzarli nei bilanci successivi, sistemando intanto quelli attuali.

In tal senso se l'apparato accusatorio della Procura difficilmente potrà scalfire valutazioni legate a compravendite di calciatori d'elité come Cancelo o Pjanic […] diverso il discorso per i vari ragazzini della Primavera bianconera, ceduti dal 2019. Pur non avendo un valore ufficiale per le compravendite, il sito Transfermarkt regala una fotografia esaustiva di quanto un giocatore può costare. E la differenza, in molti casi, tra il prezzo al quale è stato ceduto e il valore del ragazzo aveva già fatto storcere il naso al Procuratore federale Giuseppe Chinè.

Elia Petrelli, ad esempio, classe 2001, nel 2021 viene trasferito (insieme a Portanova, valutato 10 milioni) al Genoa nell'affare per l'acquisto di Nicolò Rovella, costato 18. Petrelli in quel giro di scambi viene valutato 8 milioni, più o meno il 3100% in più del reale valore dell'attaccante, che si aggira all'epoca sui 250mila euro. Non è il solo. Lanini, Francoforte, Gerbi, carneadi ai più, vedono il loro cartellino gonfiarsi con rincari che oscillano tra il 400% e il 1600%. 

Tuttavia come con il Genoa, gli scambi continuano. Pablo Taboada nel 2019 è ceduto al Manchester City per 10 milioni. In cambio i bianconeri acquisiscono Félix Correia per 10,5 milioni. E poco importa che entrambi per i siti di riferimento valgano un milione: la doppia operazione produce una plusvalenza per i club di 9,5 milioni. [...]

 Non si muove quindi un euro ma la manovra regala ossigeno ai rispettivi bilanci. Si dirà: ma poi i club dovranno caricarsi il valore dei cartellini. Vero, ma queste operazioni vengono effettuate sempre con ragazzi giovanissimi. Tempo per ammortizzare i costi non mancherà.

Le plusvalenze della Juventus e il listino prezzi: «Siamo leggeri, così si fanno cattive idee di noi».  Massimiliano Nerozzi su Il Corriere della Sera il 6 Dicembre 2022.

A Emre Can era stato attribuito un valore di 60 milioni di euro nell’ambito di un’operazione incrociata poi non realizzatasi. Poi è stato venduto a 26 milioni

Dietro l’arte delle plusvalenze c’era un listino prezzi che pare non aver convinto la Consob, partita dagli appunti del ds della Juve: «Gli intervalli di valore attribuiti ai vari calciatori da Cherubini mostrano un’ampiezza significativa che oscilla dal 20 al 200%», scrive l’autorità di vigilanza, nella delibera sulla non conformità del bilancio al 31 giugno 2021. Peggio dell’inflazione. Idem funzionava in sede di vendita, tra colpi riusciti e altri meno. Per dire: «A Emre Can era stato attribuito un valore di 60 milioni di euro nell’ambito di un’operazione incrociata poi non realizzatasi, significativamente superiore al valore, 26 milioni, a cui pochi mesi dopo è stato ceduto». Cosa che avvenne, «in un’operazione singola, con corrispettivo unicamente monetario».

Il documento con i conti in nero: 8 milioni a favore degli agenti «spariti» dal bilancio

Tra baratto e cash c’era una bella differenza, tant’è che la Consob ipotizza una regola: in caso di scambio, i prezzi di vendita «hanno sempre coinciso con il limite superiore dell’intervallo indicato da Cherubini o sono risultati significativamente superiori»; mentre «per i giocatori ceduti a fronte di denaro i prezzi di cessione erano significativamente inferiori a quelli indicati» dal ds. A volte, saltava fuori un guadagno da broker di Wall Street anni Ottanta, come nel caso di Pablo Taboada Moreno, 20 anni, ceduto il 30 giugno 2020 al Manchester City «in un’operazione incrociata con l’acquisto di Felix Correia». Morale: plusvalenza di 9,5 milioni, dietro «un corrispettivo contrattuale superiore del 900% al valore pagato due anni prima dalla Juve (1 milione, ndr)».

I pm: Elkann e Agnelli sapevano

Nel corso dell’ispezione, la Consob chiedeva di indicare «i criteri seguiti per la determinazione del valore di cessione e di acquisizione» dei calciatori e sul punto, i dirigenti bianconeri hanno fatto riferimento a «prassi», «ordinario iter valutativo» e «criteri comunemente applicati». Dunque, osservano i pm della Procura di Torino, «è la stessa società a evidenziare l’estrema mutevolezza delle valutazioni». Guai poi a fidarsi di siti come Transfermarkt, contro il cui utilizzo la Juve si era scagliata durante il processo sportivo: perché i dati non erano «oggettivi e predeterminabili». La cosa curiosa è che la guardia di finanza ha trovato una mail interna del club, in cui vengono messi a confronto il «players book value» (valore contabile) con il «market value», ricavato da Transfermarkt e dal database Kpmg Football Benchmark. Difatti, il direttore finanziario, Stefano Cerrato, si preoccupa: «Consob si fa l’idea che noi siamo un po’ leggeri dal punto di vista della formalizzazione su tematiche che valgono decine di milioni e questo inevitabilmente a loro fa venire in mente cattive idee no?».

Risposta del collega Stefano Bertola, capo dell’area business: «Non è che posso andare a scrivere delle cose che non sono (...) vere no?». Poi, riferito all’ispezione: «Bisognerebbe cercare (...) di fare in modo che oltre ai dati tecnici abbiano anche dei dati economici perché sennò veramente sul prezzo non abbiamo nessuna linea di difesa». Chiede chiarezza Andrea Abodi, ministro dello sport: «La Juve probabilmente non rimarrà sola. Bisogna fare pulizia evitando il giustizialismo. Abbiamo bisogno di sapere presto cosa è successo e assumere decisioni per dare credibilità al sistema nel segno dell’equa competizione e questo negli ultimi anni non è capitato».

Estratto dell’articolo di Valeria Di Corrado e Valentina Errante per “il Messaggero” il 6 dicembre 2022. il 6 dicembre 2022.

Mentre i vertici bianconeri nascondevano dai bilanci le perdite, iscrivendo gli stipendi dei giocatori negli anni successivi, il club usufruiva di un regime fiscale agevolato: il cosiddetto Rientro dei cervelli previsto dal decreto crescita del 2019, che prevede un abbattimento dell'imponibile del 50 per cento ai fini Irpef nel caso di calciatori professionisti che tornino dall'estero dopo almeno due anni. E la Juventus lo aveva applicato, tra, gli altri, per il ritorno di Gigi Buffon. È un altro elemento che emerge dagli atti della procura di Torino, che, dopo avere chiesto il processo per 12 indagati, attende la fissazione dell'udienza preliminare.

Secondo la ricostruzione dei pm, per l'anno 2019-2020 Andrea Agnelli e Giorgio Chiellini avevano chiesto ai giocatori di rinunciare a una mensilità, con l'intesa che altre tre sarebbero state pagate a partire dalla successiva stagione. 

Anche sotto forma di incentivo all'esodo (in caso di trasferimento del calciatore) e a prescindere dalla ripresa futura del campionato. Un modo per sistemare il bilancio nascondendo le perdite.

Proprio sulla base di questa premessa falsata, anche l'applicazione della norma sul Rientro dei cervelli - secondo l'accusa - risulta inficiata, e quindi sbagliata. Si legge negli atti: «Gli accertamenti svolti dalla Finanza hanno dimostrato che sono state contestualmente predisposte le scritture di riduzione e di successiva integrazione successivamente: le scritture di riduzione sono state depositate presso Lega nazionale professionisti serie A nel maggio 2020, con effetti sul bilancio d'esercizio al 30 giugno 2020 per una riduzione complessiva pari a euro 89.356.333 (ovvero pari a euro 84.639.840 in caso di applicazione, per taluni calciatori, di regime fiscale agevolato, cosiddetto rientro dei cervelli». 

Due mesi dopo, presso la Lega sono state depositate le integrazioni, con effetti sul bilancio d'esercizio del 2021 «per una integrazione pari a complessivi euro 64.221.937 (ovvero pari a euro 60.684.568 in caso di applicazione, per taluni calciatori, del regime fiscale agevolato da corrispondere nelle stagioni sportive 2020/2021 e 2021/2022».

Somme alle quali va aggiunta l'integrazione di un milione e 605mila euro riconosciuta a Buffon ed inclusa nella parte fissa della retribuzione del calciatore per la stagione 2020-2021. Alla fine «la somma realmente rinunziata» dai giocatori, scrive il consulente, è dunque pari ad euro 25 milioni e 134 mila euro. Quasi 24 milioni con le riduzioni fiscali. (...)

Estratto dell’articolo di Valentina Errante per “il Messaggero” il 6 dicembre 2022. 

Sullo scoglio degli stipendi non pagati e della super liquidazione: 29 milioni di euro in tutto, i vertici della Juve rischiavano di arenarsi nell'estate del 2021. Quando il giocatore è stato venduto al Manchester United. Gli accordi per l'anno precedente, rivelato a metà dal management bianconero per nascondere le perdite dal bilancio, per CR7 prevedevano, come incentivo all'esodo, una liquidazione di 19 milioni nell'eventualità che non fosse più tesserato. Ed è proprio Andrea Agnelli a suggerire la strategia: se non li chiede non li diamo.

Ma adesso il giocatore, attraverso i suoi legali, batte cassa. E così mentre ai senatori, Giorgio Chiellini e Gigi Buffon, che avevano mediato con i compagni di squadra per lasciare alla Juve gli stipendi (salvo recuperarli negli anni successivi), per nascondere le perdite in bilancio, il club aveva riservato un trattamento speciale, tentava di non rispettare gli accordi con il bomber. Nuovi elementi che emergono dalla richiesta della procura di Torino che, oltre a sollecitare gli arresti domiciliari per il presidente Andrea Agnelli e l'interdizione per altri dirigenti, voleva sequestrare alla Juve 437mila euro, frutto della presunta evasione fiscale.

È dal verbale di una riunione del 20 settembre 2021 che emerge la trappola a Ronaldo. In una email sequestrata dalla Finanza Action list.docx. One company e inviata ai vertici del club si riassume l'incontro di qualche giorno prima sulle Manovre stipendi 20-21.

«Leonardo Bonucci - si legge - ha chiesto a nome della squadra, le integrazioni pattuite sulla base degli accordi dell'anno precedente». 

I conti per Ronaldo sono stati fatti: occorre liquidare le mensilità non pagate, pari a «28 lordi di Covid» a cui si aggiungerebbero «4 maturati ad agosto». All'incontro di settembre riassunto nell'email il presidente Andrea Agnelli chiede informazioni su CR7. «Sottolinea - si legge nel sunto della seduta - come questi sia andato via senza curarsi di finalizzare la sua posizione riguardo alla manovra stipendi. Suggerisce di non rincorrerlo ma di aspettare che sia lui a sollevare la questione se interessato». 

Il direttore sportivo Federico Cherubini «segnala che nessuno ha sollecitato CR7 su questo tema. L'importo della manovra che lo riguarda è pari a 19 milioni di euro».

 Emerge che l'accordo, rivelato a metà dal management bianconero per nascondere le perdite dal bilancio, non riguardava allo stesso modo Giorgio Chiellini e Gigi Buffon, che contestualmente firmavano contratti Ambassador. È Maurizio Sarri a riferire a verbale: «L'accordo viene raggiunto a marzo-aprile 2020, l'intesa sulla riduzione viene formalizzata al rientro alla ripresa degli allenamenti a maggio 2020 e, poi, a luglio 2021, sono state firmate le integrazioni». La proposta iniziale secondo il teste era arrivata da Agnelli e Paratici: «In generale sono andati i senatori, i tre capitani, Chiellini, Bonucci e Buffon».

Estratto dell’articolo di Franco Vanni per repubblica.it il 6 dicembre 2022.

Fra i rapporti che la procura di Torino ha approfondito c'è quello fra Juventus e Sassuolo. Nella richiesta di misure cautelari per tredici indagati, presentata dai pm e respinta dal gip, si fa riferimento in particolare alla compravendita di Manuel Locatelli. 

Parlando con Giovanni Carnevali, amministratore delegato del Sassuolo, l'amministratore delegato dell'area Sport bianconera Fabio Paratici chiede condizioni di favore, in nome dei tanti affari fatti in precedenza: "Se io mi siedo e le condizioni che tu mi dai sono esattamente quelle che tu dai a Edu dell'Arsenal - si legge nelle intercettazioni - che non hai mai visto in vita tua, qual è il valore aggiunto della nostra relazione decennale? Che fine hanno fatto gli otto milioni che hai guadagnato in sei mesi con Demiral, che non sapevi chi era? Il nostro decisivo appoggio quando hai preso Sensi? I 13 milioni che hai preso con Lirola?". [...]

Più rilevante potrebbe essere il modo in cui la Juventus ha messo a bilancio l'acquisto di Locatelli dopo averlo completato. Nel comunicato in cui annuncia l'acquisto del giocatore, il 18 agosto 2021, la Juventus precisa "di avere raggiunto un accordo per l'acquisizione gratuita, a titolo temporaneo fino al 30 giugno 2023". E aggiunge che l'acquisizione a titolo definitivo si sarebbe perfezionata con il versamento di 25 milioni, pagabili in tre esercizi, oltre a premi sportivi per 12,5 milioni complessivi. 

I pubblici ministeri nella richiesta di misure riferiscono di avere ricostruito, grazie alle intercettazioni, alcuni dettagli del trasferimento che potrebbero confliggere con i dati comunicati pubblicamente. Al Sassuolo la Juventus avrebbe infatti promesso bonus talmente facili da raggiungere  - bastava fare un solo punto in campionato fra febbraio e marzo 2023 - da non potere essere considerati premi di risultato. 

In particolare, l'accordo avrebbe previsto un "fidelity bonus" da 5 milioni non legato al verificarsi di alcuna condizione. Perché allora non registrarlo come quota fissa? La Juventus inoltre si sarebbe impegnata a versare al Sassuolo il 20 per cento sul valore della eventuale futura rivendita del cartellino del giocatore. [...]

Analizzando la struttura della compravendita di Locatelli - che al Sassuolo ha giocato 99 partite in tre stagioni e alla Juve finora 48 -  la procura torinese arriva a concludere che "l'intera operazione è congegnata secondo la concreta esigenza di bilancio perseguita". E a tal proposito cita una frase di Cherubini, che intercettato il 16 agosto 2021 indica la necessità di "trasformare quel prestito in premi di rendimento, che non vanno nei conteggi". Ce n'è abbastanza perché sia configurato il reato di falso in bilancio? Per la procura sì: "L'effetto è la non piena e veritiera rappresentazione in bilancio degli oneri finanziari assunti da Juventus Fc", scrivono i magistrati.

Gianluca Oddenino per lastampa.it il 6 dicembre 2022.

Botta e risposta tra Deloitte e Juventus sull’ultimo bilancio bianconero, che dovrà essere approvato nell’assemblea degli azionisti il 27 dicembre, e il titolo in Borsa chiude con oltre il 5% di perdite. I revisori dei conti oggi hanno pubblicato il loro parere sui dati, corretti dal club lo scorso lunedì, e il giudizio parla di “bilancio che fornisce una rappresentazione veritiera e corretta della situazione patrimoniale e finanziaria del gruppo al 30 giugno 2022”, ma “ad eccezione degli effetti di quanto descritto nel paragrafo ‘Manovre sui compensi del personale tesserato relative alle stagioni sportive 2019/20 e 2020/2021’ e dei possibili effetti di quanto descritto nel paragrafo 'Rapporti con altra squadra di calcio'”.

Il club, nella nota di accompagnamento, ha specificato come “i rilievi della società di revisione si basano su interpretazioni e applicazioni di regole contabili e giudizi e valutazioni che Juventus non condivide, anche tenuto conto degli ulteriori approfondimenti di natura legale e contabile svolti dalla società sulla base di pareri rilasciati da esperti indipendenti". 

Per quanto riguarda le manovre sui compensi del personale tesserato, a giudizio di Deloitte la perdita dell'esercizio e il patrimonio netto al 30 giugno 2022 risultano sovrastimati rispettivamente di 44 milioni e 5 milioni. Viceversa con riferimento ai dati riesposti presentati ai fini comparativi, la perdita dell'esercizio chiuso e il patrimonio netto al 30 giugno 2021 risultano sottostimata di 21 milioni e sovrastimato 49 milioni, mentre il patrimonio netto all'1 luglio 2020 risulta sovrastimato di 28 milioni. “Solo oggi - scrivono i revisori - abbiamo ricevuto risposta alle nostre richieste di informazioni inoltrate a tale società” e la risposta evidenzia delle partite a credito per fatture da emettere nei confronti della Juventus per 3 milioni, che non risultano rilevate nelle registrazioni contabili dell'emittente.

Probabile il riferimento alla promessa dell’Atalanta di acquistare un giocatore per quella cifra all’interno dell’affare Kulusevski. “La Direzione della società - dice Deloitte - non è stata in grado di fornirci spiegazioni in merito alla natura di tali partite né la stessa è descritta nella risposta a noi pervenuta da tale terza parte; conseguentemente, non siamo stati in grado di stabilire se fosse necessario apportare eventuali rettifiche al bilancio consolidato al 30 giugno 2022".

Daniele Savelli per “Libero quotidiano” il 7 Dicembre 2022.

«Fabio ha drogato il mercato. Anche Kulusevski o Chiesa, che sono ottimi giocatori, li abbiamo pagati troppo (...)»: così parlò Federico Cherubini, ora direttore sportivo della Juventus, commentando l'operato del suo ex capo Fabio Paratici. Per fortuna solo alcuni affari sono andati in porto: se fossero stati esauditi tutti i desiderata, in che situazione economica si troverebbe la società? E, di conseguenza, in che posizione giudiziaria? 

Leggendo le trascrizioni delle telefonate tra l'attuale ds Cherubini e l'ormai ex presidente Andrea Agnelli e incrociandole con alcune mail datate 2019 dell'allora ds Paratici, si può intuire il modus operandi della dirigenza bianconera sul mercato e tracciare una Juventus dei sogni. I sogni dei dirigenti, ancor prima che dei tifosi. Paratici indica «Milik e Donnarumma» come «profili in scadenza da seguire per il 2021». Lo fa in una mail del 20 novembre 2019 indirizzata a Cherubini e Claudio Chiellini, fratello di capitan Giorgio e ai tempi parte dello staff.

Sappiamo che il portiere si è svincolato dal Milan per firmare un ricco contratto da oltre 8 milioni all'anno con il Psg e che l'attaccante polacco è arrivato in estate dal Marsiglia, che aveva offerto 12 milioni al Napoli a pochi mesi dalla scadenza. 

L'unico della lista andato in porto è Kulusevski, che ha spaccato la dirigenza: «Ha fatto cinque mesi in A e l'abbiamo pagato 35 più 9 di bonus: sono 44 milioni!», fa notare Cherubini. In difesa uno dei nomi era Kumbulla, rivelazione del Verona poi finito alla Roma, che l'ha pagato ben 29,5 milioni e ora lo tiene in panchina. Si legge di uno scambio con il Tottenham, club in cui è finito Paratici una volta epurato dalla Juve, tra De Sciglio e Rose. Entrambi erano fuori dai progetti tecnici e per questo erano perfetti per un giro di plusvalenze: la valutazione sarebbe stata di 20 milioni ciascuno, superiore a quella reale.

Si scopre anche che l'idea della dirigenza per la difesa del futuro non è mai stata De Ligt-Demiral come invece immaginava una parte del tifo bianconero perché il turco, ora all'Atalanta in un rapporto che oggi pare piuttosto oscuro, era stato di fatto ceduto al Milan. Si aspettava l'offerta ma poi quest' ultimo ha virato su Tomori del Chelsea - non a caso visto che il prezzo, circa 30 milioni, e le caratteristiche sono simili.

Uno dei designati alle plusvalenze era Emre Can, che in effetti è stato ingaggiato da svincolato per poi essere rivenduto al Borussia Dortmund. 

Prima, però, «interessava all'Arsenal» ma era stato quasi piazzato al Psg in cambio di Paredes, arrivato in estate: entrambi sarebbero stati valutati 60 milioni. Stessa strategia portata avanti con il Manchester United: McKennie per Van de Beek, ai margini dei Red Devils, per una valutazione reciproca di 50 milioni. Sono due manovre in stile Pjanic-Arthur per dare respiro al bilancio, a conferma che la logica del mercato bianconero era spesso finanziaria prima che tecnica.

In mediana si parlava di Tonali, su cui però era forte la concorrenza delle milanesi. In attacco si è cercato più volte di piazzare Bernardeschi al Chelsea prima che andasse a scadenza. Per il ruolo da centravanti, la dirigenza ragionava in ottica futura per rimpiazzare Higuain e Cristiano Ronaldo: si parlava con il Basilea per Okafor (ora al Salisburgo), con l'Everton per il ritorno di Kean (tornato nel 2021 post-Paratici), con il Psv per Malen (ora al Borussia) e si seguiva un giovane norvegese del Salisburgo, giudicato però troppo caro per finire nell'Under 23: tale Erling Braut Haaland, che ora vale più di 100 milioni. Per davvero.

Emiliano Fittipaldi e Giovanni Tizian per “Domani” il 7 Dicembre 2022.

I dettagli dell’inchiesta giudiziaria sui vertici (dimissionari) della Juventus, accusati a vario titolo di manipolazione del mercato, falso in bilancio, fatture false e ostacolo all’esercizio delle funzioni dell’autorità di vigilanza, continuano da giorni a terremotare la Juventus e il calcio italiano.

Non solo perché i reati contestati ad Andrea Agnelli, Pavel Nedved e Fabio Paratici sono gravi e, se accertati, potrebbero condurre a pene pesanti. Ma anche perché non è impossibile – come segnalato da esperti di diritto sportivo come l’avvocato Mattia Grassani – che se i crimini fossero infine accertati anche la squadra potrebbe essere sanzionata. Con il rischio di ammende e penalizzazioni, fino alle ipotesi più severe come «l’esclusione dal campionato di Serie A e la conseguente retrocessione».

Uno scenario da incubo causato dalle accuse incrociate della procura di Torino, della Consob e perfino dei revisori dei conti di Deloitte, che la Juventus rifiuta con sdegno considerandolo non realistico. La preoccupazione, in casa dei soci di maggioranza di Exor, è comunque enorme. 

Così da giorni, dopo aver allontanato suo cugino Andrea dalla presidenza facendo decadere l’intero cda, John Elkann e i suoi consiglieri stanno cercando di capire chi può essere l’uomo o la donna giusta a cui affidare il timone della Juventus in tempi che si annunciano, eufemisticamente, impegnativi.

Il nuovo consiglio di amministrazione è previsto tra poco più di un mese, il 18 gennaio 2023, e i nomi sul tavolo che potrebbero prendere le redini della società sono più di uno. Il nuovo direttore generale Maurizio Scanavino, manager di cui Elkann si fida ciecamente, ha il profilo giusto. Ma difficilmente potrebbe rimanere anche amministratore delegato del gruppo editoriale Gedi. Dunque in molti credono che la sua nomina potrebbe essere pro tempore, a meno che da Exor non decidano di lasciare Scanavino alla Juventus come nuovo ad, trovando contemporaneamente un nuovo manager per guidare il colosso che controlla Repubblica, La Stampa e Radio Deejey. 

Tra i papabili alla successione dell’ad uscente Maurizio Arrivabene, oltre a Scanavino, c’è Alessandro Nasi: vicepresidente di Exor, cugino di John e Andrea e finanziere che ha lavorato per lustri a Wall Street, potrebbe puntare però anche alla presidenza (Alessandro Del Piero è dato possibile vicepresidente in sostituzione di Nedved). In alternativa, qualcuno fa il nome di Evelina Christillin, membro del Fifa Counsil e manager da sempre stimata in casa Agnelli.

Ma in pole position oggi, risulta a Domani, ci sarebbe Francesco Calvo. La sua biografia dice poco al grande pubblico, ma i tifosi che seguono la Juve lo conoscono bene: bocconiano, ex direttore del marketing della Philip Morris (dove ha gestito anche i rapporti con la Ferrari), entra nella società bianconera nel 2011. Considerato competente e rigoroso, viene promosso direttore commerciale dopo soli tre anni, finché qualcosa tra lui e il presidente Agnelli (di cui Calvo è sempre grande amico) si rompe.

Alcuni giornali ipotizzarono al tempo che i dissapori siano legati a questioni extra professionali: è un fatto che la moglie di Calvo, l’ex modella turca Deniz Akalin, dal 2015 sia diventata la compagna di Agnelli. Il Fatto ipotizzò lo scandalo e parlò pure di buonuscite milionarie. «Si tratta di totali inesattezze. Con Francesco c’è stata una risoluzione consensuale», disse Andrea Agnelli.

Sia come sia, Calvo nel 2015 va al Barcellona e poi passa alla Roma, prima di rientrare alla Juventus ad aprile di quest’anno come chief of staff. Mossa voluta fortemente da Arrivabene. Nel recente tsunami che ha travolto tutto lui è rimasto in piedi, tanto che qualche giorno fa è stato Calvo a rappresentare la Juventus all’assemblea di Lega. Vedremo se il dirigente riuscirà davvero, come vaticinava qualcuno dentro Exor, a prendersi la sua rivincita con una promozione che fino a pochi anni fa mai nessuno avrebbe potuto immaginare.

Del manager che potrebbe essere chiamato a timonare la società in mari perigliosi, tuttavia, è necessario ricordare anche un inciampo avvenuto quattro anni fa: Calvo è stato deferito insieme ad Agnelli e altri due dirigenti per la vicenda dei biglietti alla curva e dei rapporti con il tifo organizzato, talvolta infiltrato da esponenti considerati vicino alla ‘ndrangheta. 

Calvo e Agnelli (mai indagati nell’inchiesta della procura di Torino sui clan e gli ultras),sono stati però giudicati dalla corte d’appello federale della Figc, che nel 2018 ha confermato la tesi d’accusa della procura sportiva, e condannato l’attuale capo dello staff della Juve a pagare una multa di 20mila euro, condita con un anno di inibizione.

Calvo ha giustificato i rapporti con le frange estreme della tifoseria adducendo motivazioni pratiche: nella sua memoria difensiva evidenziava «come l’attività di intrattenimento con i gruppi organizzati fosse stata dettata dalla tutela dell’ordine pubblico all’interno degli impianti sportivi». Negava invece ogni ingerenza o semplice contatto con le organizzazioni criminali organizzate. 

Alla fine la corte d’appello ha concluso confermando solo la responsabilità “sportiva” di Calvo e come «Calvo (e altri…) abbiano verosimilmente agito in una condizione, soggettiva, vicina alla “coercizione psicologica” che li ha indotti, nella situazione di intimidazione di cui si è ampiamente detto, ad operare un “autonomo” (i.e. personale) bilanciamento di interessi, all’esito del quale hanno ritenuto preferibile cedere alle pressanti richieste di benefit provenienti da alcuni gruppi ultras, così pensando di evitare un male peggiore, contestazioni, disordini e altro che potessero portare nocumento alla Juventus FC Spa e/o pregiudicare l’ordine pubblico e le normali condizioni di sicurezza all’interno dello stadio)». Calvo comunque non si muoveva mai di propria iniziativa, tanto che la corte federale ha riconosciuto la responsabilità della società.

Intanto, la lettura delle carte dell’accusa regala ogni giorno dettagli inediti dell’inchiesta sulle plusvalenze. Nelle informative della guardia di Finanza emergeva già nell’estate del 2021 l’insofferenza degli azionisti di maggioranza nei confronti della gestione «dissennata» della dirigenza bianconera, soprattutto nel periodo in cui il ras del mercato era Fabio Paratici, le cui modalità operative con cessioni e acquisti spesso usati come mere operazioni di compensazione per generare plusvalenze fittizie, erano contestate dagli altri suoi colleghi intercettati.

È in questo contesto di allerta rossa per i conti della Juventus, con la Consob (la commissione di vigilanza delle società quotate in borsa) già alle calcagna, che i soci optano per un aumento di capitale sostanzioso: 400 milioni di euro, 75 versati subito, gli altri entro il 2022. Liquidità necessaria non a ripartire, ma «a sanare il vecchio», come ammesso dal successore di Paratici, Federico Cherubini. E lo sostiene, intercettato, pure dal nuovo ad Arrivabene: «L’aumento di capitale non è servito ad andare sul mercato ma è servito a coprire! A coprire una situazione estremamente negativa dal punto di vista finanziario».

L’intercettazione-simbolo del caos interno e delle guerre latenti tra dirigenti e società è un’altra. Si tratta della telefonata, finora inedita, tra Paratici e Luca Percassi, patron dell’Atalanta calcio. In riferimento al presidente Agnelli, il direttore sportivo juventino, dice: «Non gliene frega niente, perché fanno la ricapitalizzazione. Quello che lui non deve far vedere adesso non è che lui butta via soldi, una questione di immagine non di soldi…stan facendo una ricapitalizzazione da 400 milioni ... è già accordata, è già fatta …. L’unica cosa la società visto che vi diamo 400 milioni comandiamo noi, quindi amministrazione controllata, quindi lui non deve far vedere che da soldi, che butta via soldi». In pratica Paratici dice che l’iniezione di capitale ha una funzione anche strategica: limitare il potere del presidente Agnelli e del suo gruppo. 

Tutti sapevano, peraltro, cosa aveva prodotto il disastro finanziario. È lo stesso Agnelli a dirlo mentre parla con Arrivabene: «Sì ma non era solo il Covid e questo lo sappiamo bene! Perché noi abbiamo due elementi fondamentali: da un lato il Covid, ma dall’altro abbiamo ingolfato la macchina con ammortamenti… E soprattutto la merda ... perché è tutta la merda che sta sotto che non si può dire». La risposta dell’amministratore delegato è laconica: «Ne sono al corrente e non si può dire!».

Juventus, Claudio Chiellini era il «contabile» delle plusvalenze. Redazione Sport su Il Corriere della Sera l’8 Dicembre 2022

Il fratello dell’ex capitano bianconero Giorgio figura negli atti della Procura: «Mancano 120 milioni per arrivare a zero» scrisse in una mail a Paratici e Cherubini

Da un lato Giorgio, storico capitano, citato nelle carte dell’inchiesta sui conti della Juventus della Procura di Torino per la chat di squadra in cui spiega ai compagni le «manovre stipendi» nel periodo Covid; dall’altro Claudio, on loan players manager (responsabile dell’area prestiti) del club bianconero, definito dalla Procura «contabile delle plusvalenze». Giorgio e Claudio sono i fratelli Chiellini (entrambi non indagati), con il ruolo del dirigente che, secondo gli inquirenti, andava oltre la sua carica ufficiale ed era determinante negli ingranaggi di quel sistema di compravendita dei giocatori (soprattutto i più giovani) che la Procura contesta al club bianconero.

DOMANDE E RISPOSTE

Inchiesta Juventus: cosa è successo, perché e cosa rischia il club

Dagli atti emerge che come il dirigente «con cadenza periodica (addirittura settimanale in prossimità della chiusura dell’esercizio) ha ricordato ai dirigenti, in particolare dell’area sportiva (Paratici e Cherubini) le previsioni di perdita e le conseguenti plusvalenze da conseguire (“to do” come si vedrà) entro la fine del bilancio di ogni anno per colmare il valore negativo di partenza». La Consob, per esempio, sintetizza così una serie di riunioni presiedute proprio da Chiellini: «Nel corso di tali riunioni, partendo dal dato, comunicato dai vertici aziendali, della perdita da conto economico stimata (…) il sig. Paratici forniva ai suoi collaboratori il valore delle plusvalenze da realizzare per raggiungere l’obiettivo di pertinenza dell’Area Sportiva e quello ipotetico per raggiungere il pareggio di bilancio». Il fratello dell’ex capitano della Juve riassume così un incontro del 27 febbraio 2020: «Restante plusvalenze 70 M (milioni, ndr) per arrivare a obiettivo Area Sportiva». E, per raggiungere l’ipotetico pareggio di bilancio: «Restante Plusvalenze 120 M per arrivare a 0». E definisce un «piano di recupero» che prevedeva operazioni di «vendita calciatori giovani», «scambi calciatori giovani», «scambi calciatori giovani con calciatori 1ª squadra».

L’INCHIESTA

Juventus, da Deloitte rilievi sul bilancio. La replica: «Valutazioni non condivise»

Alla Consob Cherubini ha spiegato il ruolo di Chiellini: «Redigeva tali analisi sulla base di valutazioni/decisioni che erano state discusse durante le nostre riunioni. A tali riunioni ognuno partecipava nello specifico delle proprie attribuzioni e lui aveva questa sorta di delega da parte di Paratici». E lo stesso Chiellini ha aggiunto che «la finalità di questo tipo di operazioni era principalmente tecnica, da cui poi derivavano dei risultati economici ovviamente, sia in entrata che in uscita, quindi migliorativi o peggiorativi della situazione». Anche se la Commissione nazionale per le società e la borsa ritiene che il suo ruolo fosse più centrale: «Il messaggio di posta elettronica inviato dal sig. Chiellini, concernente le manovre correttive, riveste una particolare significatività — si legge ancora nelle carte dell’inchiesta —. Difatti il documento, che costituisce una sintesi della riunione dell’Area Sportiva, fornisce un momento di raccordo tra la situazione economica della società a quella data, gli obiettivi societari delineati nel forecast al 30 giugno 2020 e le azioni correttive ipotizzate a quella data dalla stessa Area Sportiva. Alcune di dette ‘possibili tipologie di operazioni’, tra le quali le plusvalenze da scambi di calciatori, si sono poi realizzate».

L’ESPERTO DI DIRITTO SPORTIVO

Inchiesta Juventus, l’avvocato Grassani: «Rischia la retrocessione»

Secondo gli inquirenti, Chiellini aveva anche il compito di individuare i club con cui imbastire le trattative per ottenere plusvalenze vantaggiose, tanto che in una mail inviata a il 27 maggio 2020, elenca una serie di società (italiane e straniere) con cui interfacciarsi, sconsigliandone anche alcune per via di «opportunità meno concrete». Alcune delle operazioni suggerite dal dirigente poi vanno in porto ed è su questo che insiste la Procura.

Monica Colombo per il “Corriere della Sera” il 9 dicembre 2022.

I controlli della Consob, l'inchiesta Prisma, la lente d'ingrandimento della procura federale, il contenzioso con la Uefa per la Superlega ma ora anche il rischio di esclusione dalle coppe per la violazione delle norme del fair play finanziario. 

Si salvi chi può. Non ha requie la Juventus dopo che l'inchiesta della procura di Torino ha già condotto alle dimissioni di Andrea Agnelli e alla richiesta di rinvio a giudizio per dodici indagati. In ultimo nella relazione finanziaria del club presentata martedì agli azionisti si paventa il rischio «di sanzioni, esclusione o limitazione all'accesso alle competizioni Uefa» facendo riferimento al contenzioso relativo alla Superlega.

Non solo, però. Nella stessa relazione il club avverte che la Juve, addirittura, potrebbe «non essere in grado di partecipare alle competizioni nazionali e/o europee», qualora emergessero palesi violazioni del fair play finanziario. 

Va ricordato infatti che la Juventus ha firmato con Nyon in agosto un settlement agreement sulla base di informazioni finanziarie presentate dai bianconeri in relazione agli esercizi chiusi nel 2018, 2019, 2020, 2021 e 2022. Grosso modo, lo stesso periodo su cui ha indagato la procura torinese.

Va da sé che qualora la Uefa non riscontrasse corrispondenza fra i dati comunicati dalla Juve e quelli emersi nel corso delle indagini il ventaglio di sanzioni sarebbe ampio, dall'ammenda all'esclusione dalle coppe. 

A livello italiano cosa rischia invece la Juventus? È bene ricordare che i bianconeri sono oggetto di inchiesta dal pool dei magistrati di Torino per aver truccato i bilanci con plusvalenze artificiali e per le due «manovre stipendi». Sul piano sportivo i torinesi sono già stati assolti in primo e secondo grado per le plusvalenze: il procuratore Chinè potrà ora riaprire l'inchiesta solo nel caso in cui emergano dalle intercettazioni fatti nuovi. 

Non è un caso perciò che in questi primi giorni la procura federale, nello studio delle diecimila pagine provenienti da Torino, stia concentrando l'attenzione proprio su questo tema: a Natale scadono infatti i termini per riaprire il processo (ha trenta giorni a disposizione dal momento della ricezione del fascicolo). 

Discorso diverso va affrontato per la manovra stipendi, ovvero la mossa secondo la quale il club avrebbe comunicato alla Borsa un taglio degli stipendi di 90 milioni quando il risparmio in realtà sarebbe stato di 22. La risposta va cercata nell'art 31 del codice di giustizia sportiva che prevede una gamma di sanzioni che va dalla semplice ammenda e inibizione dei dirigenti coinvolti alla penalizzazione di uno o più punti in classifica. Nel caso in cui il falso in bilancio sia stato determinante per l'iscrizione al campionato addirittura la retrocessione.

Maurizio Caverzan per la Verità l’11 Dicembre 2022.

Sarebbe il leader perfetto del Paj, Partito anti Juventus. Che lui correggerebbe in Pcp, Partito calcio pulito. Un partito che ha un certo seguito tra le tifoserie, un po’ meno sui media ufficiali che, pur con mille, giuste prudenze, ci informano sull’inchiesta che la Procura di Torino ha aperto sui bilanci della Juventus football club. Gag a parte, Paolo Ziliani è il massimo fustigatore del malcostume (juventino) nel gioco più amato dagli italiani. 

Laureato in psicologia a Padova, inizia come giornalista al Guerin sportivo, passa al Giorno, dov’è autore di un’esilarante rubrica sui cronisti di Novantesimo minuto. Infine approda a Mediaset. Attualmente collabora con il Fatto quotidiano, vive buona parte dell’anno a Cascais, in Portogallo, e nel 2020 ha pubblicato Cristiano Ronaldo nel paese degli Agnelli (Indiscreto), un libro che aveva previsto molte delle accuse di cui si legge in questi giorni. 

Ziliani, lei è il giornalista sportivo meno stupito del mondo?

«Potrei rispondere di sì, per farmi bello, ma direi una bugia. Salvo pochi casi clinici, 99 giornalisti sportivi su 100 sanno perfettamente cos’è successo e cosa succede nel calcio italiano. Semplicemente, di norma preferiscono raccontare Alice nel paese delle meraviglie».

Che cosa aveva previsto di ciò che sta accadendo alla Juventus?

«Io non prevedevo: osservavo e scrivevo. Senza prove, perché non sono un magistrato e non posso intercettare, perquisire, mettere cimici. Ma faccio un esempio. Oggi i pm torinesi contestano alla Juventus la galassia di “club amici”, parola di Arrivabene, come Sampdoria, Sassuolo, Atalanta, Empoli, Udinese che colludono con la Juventus in giochi di mercato spericolati e altro. Bene.

Nel luglio 2020 scrivevo per il Fatto quotidiano di Audero acquisto più costoso della storia della Samp, di Mandragora acquisto record per l’Udinese, di Sturaro per il Genoa, di Zaza per il Sassuolo, di Orsolini per il Bologna, di Cerri per il Cagliari. Tutti giovani pagati alla Juventus come fuoriclasse. Di pezzi-denuncia come questo ne ho scritti cento». 

Tra plusvalenze fasulle, manovre occulta-stipendi e scritture private, come quella di Cristiano Ronaldo, quali sono i reati più gravi?

«Tutti. Quelli finanziari perché la Juventus, truccando sistematicamente i bilanci, ha falsato ogni stagione il principio dell’equa competizione. Agnelli comprava chi voleva, Higuain, Ronaldo, De Ligt, Vlahovic, mentre la concorrenza cedeva i campioni senza poterli sostituire; e i reati etici, imperdonabili. Per dire, Fabio Paratici faceva la campagna acquisti per la Juventus, ma condizionava anche quella di Atalanta, Sassuolo e altri club. Chiedo: c’è uno scudetto pulito nei nove vinti dalla Juventus dal 2012 al 2020?». 

Il peccato originale di questa seconda inchiesta è stato l’acquisto fuori misura di CR7?

«Direi che l’operazione Ronaldo, che tra ammortamento e stipendio costava 81 milioni a stagione, ha portato tutti alla disperazione anche perché la squadra giocava male e naufragava regolarmente in Champions, il sogno a occhi aperti di Agnelli. Ma era scandaloso tutto, Alex Sandro che guadagna 6 milioni, Arthur che ne guadagna 7». 

Come funziona la carta privata di Ronaldo, che adesso chiede il pagamento di quasi 20 milioni?

«Nel marzo 2020, in pieno Covid, la Juventus raccontò la balla dei giocatori che rinunciavano a quattro mensilità per un risparmio a bilancio di 90 milioni. Ma non era vero, tre stipendi sarebbero stati pagati poi a fari spenti, fuori bilancio. La manovra venne ripetuta anche l’anno dopo e quando Ronaldo nell’agosto 2021 se ne andò era creditore di 19,9 milioni. 

Della carta-Ronaldo hanno parlato con terrore alcuni dirigenti intercettati; ora il portoghese è venuto allo scoperto chiedendo il pagamento pattuito. Quello che ieri era il messia della Juventus, oggi potrebbe essere colui che le dà il colpo di grazia». 

John Elkann sapeva, come scrive Dagospia, o ha fatto dimettere il Cda per evitare gli arresti al cugino Andrea Agnelli?

«Elkann sapeva e gli andava bene tutto, perché quelli della Real Casa pensano solo ai propri interessi. Ha però sottovalutato il delirio di onnipotenza che si è impossessato del cugino Andrea facendolo uscire di senno. Il senso d’impunità tipico di quella stirpe ha fatto il resto. Ora Andrea Agnelli è stato buttato a mare». 

Cosa le fa pensare la citazione di Nietzsche usata dall’ex presidente: «E quelli che ballavano erano visti come pazzi da quelli che non potevano sentire la musica»?

«Siamo alla patologia; non per niente i magistrati parlano di “contesto criminale di allarmante gravità”. Con Agnelli sono avvenute cose immonde: la ’ndrangheta che gestisce la curva, il tifoso-collaboratore finito giù da un ponte in piena inchiesta, gli striscioni su Superga introdotti allo stadio, l’esame farsa di Luis Suárez, l’idea abortita della Superlega con tradimento dei 245 club dell’Eca da lui presieduta, l’orrido scandalo di oggi. Una danza macabra». 

De Ligt e De Sciglio hanno confermato l’esistenza dell’accordo per il rinvio degli stipendi. De Sciglio potrà giocare ancora nella Juventus?

«Non glielo auguro. La tifoseria, quella che in piena Calciopoli ringraziava Luciano Moggi, Antonio Giraudo e Roberto Bettega con lo striscione “Il fine giustifica i mezzi: grazie Triade”, ha già iniziato a linciarlo al grido di infame, sbirro e traditore. Spero che il ragazzo possa andarsene a giocare altrove, per il suo bene». 

In Cristiano Ronaldo nel paese degli Agnelli denuncia il comportamento compiacente dei media italiani. È iniziato con l’arrivo di CR7 in Italia o viene da più lontano?

«Comportamento compiacente è un eufemismo. Nel libro cito a piene mani, a centinaia, esercitazioni di adulazione e servilismo – capolavori nel genere – da far impallidire l’Istituto Luce. I media italiani nei tre anni di Ronaldo sono stati, come da sempre, disgustosi». 

C’è connivenza anche da parte di altri organismi e istituzioni?

«Si potrebbe chiedersi se ci sono Paesi in cui scudetti e titoli sono ricordati col nome di un arbitro piuttosto che di un campione. Non ci sono. Noi abbiamo invece gli scudetti di Bergamo, Ceccarini, Tagliavento, Orsato, le Champions di Calvarese, le Supercoppe di Mazzoleni, sempre con la Juventus protagonista e beneficiata. Una combinazione che ha dell’incredibile». 

Il 26 ottobre del 2021 lei ha postato una foto su Twitter con sua moglie e suo figlio e ha smesso di cinguettare fino a pochi giorni fa: cos’era successo?

«È una ferita grande: difficile parlarne. Diciamo che la parte marcia del mondo del calcio, dopo avermi portato in tribunale una dozzina di volte, allenatori, dirigenti, arbitri, giocatori, capi Ufficio Inchieste eccetera, ha pensato bene di scatenare sulla mia famiglia la più classica delle shitstorm, infamità che niente avevano a che fare con la mia sfera professionale. Barbarie pura».

Ora ha ripreso l’attività social perché è meno minacciato?

«L’ho ripresa perché oggi stanno emergendo le illegalità e gli scandali che per anni ho denunciato quasi in totale solitudine. Nelle carte di Torino non c’è nulla di cui non abbia scritto. Ora attendo l’esito dei processi fiducioso in quello penale, meno in quello sportivo della giustizia Fjgc, come l’ho ribattezzata dopo il caso Suarez, e ho riaperto il libro. Ultimo capitolo, poi lo chiuderò». 

Che lei sappia, anche altri colleghi sono stati monitorati?

«Ho lavorato a Mediaset con Maurizio Pistocchi e lui è stato un altro bersaglio di questo calcio in cui i giornalisti liberi hanno vita difficile». 

La sua crociata anti Juventus è una monomania?

«Nel 1983 lavoravo al Giorno di Milano una mia inchiesta, in coppia col collega Claudio Pea, sulla partita combinata Genoa-Inter 2-3, diede vita all’apertura di un’inchiesta penale a Genova, magistrato Roberto Fucigna, sulle scommesse clandestine fatte da tesserati sul pareggio poi saltato e a un’inchiesta sportiva. 

Per salvare dalla B per illecito Inter e Genoa la Figc introdusse per l’occasione la formula dell’assoluzione per insufficienza di prove non contemplata dall’ordinamento sportivo. L’Italia aveva appena vinto il Mundial ’82, ci ho scritto un libro – Non si fanno queste cose a 5 minuti dalla fine – mi permetto di dire: da leggere. Non ce l’ho con gli juventini, ma con i disonesti». 

Se la Juventus è la punta dell’iceberg vuol dire che se si tocca la società torinese cade tutto il sistema?

«Se la Juventus viene punita, ma punita davvero, il sistema del calcio italiano rinasce. Oggi facciamo pena, per non dire schifo, al mondo».

Il fatto che ci siano altri club coinvolti è la conferma che il sistema calcio fatica a reggersi sulle proprie gambe?

«I club coinvolti sono quelli che gravitano nella galassia juventina. La fatica a reggersi sulle proprie gambe è solo di chi non è capace di amministrare i propri conti. Per esempio, oltre alla Juventus, il Barcellona, guarda caso due club che vogliono la Superlega. Il Bayern Monaco, al contrario, benissimo amministrato e vincente in Europa, chiude i bilanci in attivo da  29 anni».

Che cosa rischia la Juventus?

«Di andare fuori dall’Europa per un paio di anni. In quanto a noi, sarebbe importante radiare Agnelli e Paratici e far ripartire la Juventus dalla serie D. Se poi la famiglia Agnelli liberasse il club dalla sua morsa secolare, allora potremmo davvero parlare di rinascita del club».

Il modello di giustizia sportiva cui rifarsi sono i sette Tour de France tolti a Lance Armstrong perché vinti da dopato?

«Sì, ma non succederà».

Sapeva che Zdenek Zeman era tifoso juventino?

«Sì. E soprattutto che è un uomo onesto».

Lei vive molti mesi dell’anno a Cascais: com’è il mondiale del Portogallo visto dal Portogallo?

«È dai tempi di Eusebio che non c’era una fioritura di campioni come oggi. I portoghesi sono un popolo umile: i loro idoli giocano all’estero e ritrovarli insieme in nazionale a un mondiale per loro è una festa. Comunque vada».

E quello di Cristiano Ronaldo?

«Di Ronaldo si sono stufati anche qui. È sui giornali più per i suoi abusi edilizi e per le discutibili gesta extra calcio che altro». 

Massimiliano Allegri può essere l’uomo della rinascita?

«Assolutamente no. Per lui è bravo chi vince e fesso chi perde. Con questi presupposti non si va da nessuna parte».

Molti tifosi bianconeri staranno patendo: cosa direbbe loro?

«Che all’origine di tutte le disavventure c’è il motto “Vincere è la sola cosa che conta”. Come direbbe Fantozzi, una cagata pazzesca».

Inchiesta Juventus: cosa è successo, perché e cosa rischia il club. Pierfrancesco Catucci su Il Corriere della Sera il 6 Dicembre 2022.

Tutto quello che c’è da sapere sull’inchiesta Prisma: stipendi, plusvalenze e bilanci. Dalle accuse della Procura di Torino, alla richiesta di rinvio a giudizio al filone della Procura federale. Cosa c’entra Andrea Agnelli, il ruolo di tutti i dirigenti

Il 28 novembre 2022, il consiglio di amministrazione della Juventus ha dato le dimissioni. Dietro la decisione del presidente Andrea Agnelli, dell’amministratore delegato Maurizio Arrivabene e il vicepresidente Pavel Nedved una inchiesta della Procura di Torino sui conti della società.

Ecco la ricostruzione di quanto avvenuto, e cosa potrebbe succedere ora .

Di cosa è accusata la Juventus?

La Procura di Torino ha aperto un’inchiesta sui conti della Juventus e giovedì 1° dicembre ha chiesto il rinvio a giudizio di 12 dirigenti o ex dirigenti bianconeri (tra cui l’ex presidente Andrea Agnelli e il suo vice Pavel Nedved, l’ex amministratore delegato Maurizio Arrivabene e l’ex responsabile dell’area sportiva Fabio Paratici, dalla scorsa estate al Tottenham). Quattro le ipotesi di reato: false comunicazioni sociali, manipolazione del mercato, ostacolo agli organi di vigilanza e false fatture per operazioni inesistenti. Secondo l’accusa, il club ha utilizzato «manovre correttive» con l’obiettivo di «alleggerire» i bilanci e consentire quindi la «permanenza sul mercato» senza la «perdita» dei giocatori più importanti. Le «manovre correttive» incriminate sarebbero state di due tipi: da un lato le plusvalenze «artificiali» legate al calciomercato, dall’altra le due «manovre stipendi» operate nella stagione 2019/20 e nella successiva, per far fronte all’emergenza Covid con la rinuncia pubblica di alcuni giocatori ad alcune mensilità dello stipendio a fronte di un accordo privato che ne garantiva il versamento anche a fronte di una eventuale cessione. Elemento determinante in questo quadro è la quotazione in borsa del club bianconero (è l’unica società di serie A quotata).

Cosa c’entra Andrea Agnelli?

Fino alle dimissioni di tutto il consiglio di amministrazione della Juventus del 28 novembre, Andrea Agnelli era il presidente del club. Nell’ambito dell’inchiesta Prisma è indagato per manipolazione del mercato, false comunicazioni sociali di società quotata in Borsa, emissione di fatture false, ostacolo dell’esercizio delle funzioni dell’Autorità di vigilanza.

Cosa sono le plusvalenze?

Per plusvalenza si intende l’incremento del valore di un asset o un bene di una società. Nel caso del calcio, si verifica quando un club vende un proprio tesserato a un prezzo maggiore rispetto al valore registrato in quel momento a bilancio (che decresce anno dopo anno per via dell’ammortamento), generando di conseguenza un guadagno contabile. In Italia più che in altri campionati le plusvalenze rappresentano una delle principali fonti di entrata dei club. Le plusvalenze fittizie — di cui si parla da tempo nel mondo del calcio — si verificano nel momento in cui le squadre vendono giocatori per cifre non ritenute congrue rispetto al valore reale di mercato (comunque difficilmente dimostrabile in maniera analitica) oppure si scambiano giocatori «alla pari», quindi con la stessa valutazione (gonfiata) e senza un reale flusso di cassa, solo con l’obiettivo di iscrivere a bilancio un valore patrimoniale superiore rispetto a quello precedentemente a bilancio. Si tratta, in sintesi, di operazioni che nei fatti non arricchiscono un club. Piuttosto, servono a mascherare eventuali perdite e mostrare solo in apparenza una migliore salute finanziaria della società.

Quali sono le plusvalenze su cui indagano gli inquirenti?

Prevalentemente si tratta di scambi di giocatori giovani o poco noti. Tra quelle ritenute sospette c’è anche l’operazione che ha portato Pjanic al Barcellona e Arthur alla Juventus nell’estate 2020.

Cosa sono le manovre stipendi?

La prima «manovra stipendi» è datata marzo 2020: il calcio è fermo a causa della pandemia e poi, alla ripresa, si gioca a porte chiuse (e quindi senza l’incasso del botteghino) e le società sono in forte difficoltà finanziaria. La Juventus sabato 28 marzo 2020 diffonde un comunicato a borse chiuse con cui annuncia di «aver raggiunto un’intesa con i calciatori e l’allenatore della prima squadra in merito ai loro compensi per la restante parte della corrente stagione sportiva. L’intesa prevede la riduzione dei compensi per un importo pari alle mensilità di marzo, aprile, maggio e giugno 2020. Nelle prossime settimane saranno perfezionati gli accordi individuali con i tesserati, come richiesto dalle normative vigenti. Gli effetti economici e finanziari derivanti dall’intesa raggiunta sono positivi per circa euro 90 milioni sull’esercizio 2019/2020». In realtà, dalle carte dell’inchiesta emerge che il presidente Agnelli e il capitano dell’epoca Chiellini (che non è tra gli indagati) avevano sottoscritto un accordo che prevedeva il regolare pagamento di uno di quei quattro stipendi e il recupero degli altri tre l’anno successivo, come confermato anche da giocatori e allenatore ascoltati in Procura. «Il declamato beneficio di quattro mensilità (e quindi di 90 milioni di euro, ndr) non è reale» si legge nelle carte dell’inchiesta. Beneficio confermato dalla relazione finanziaria del club al 30 giugno 2020.

Perché si parla di aggiotaggio?

Il comunicato con cui la Juventus annuncia benefici per il bilancio per 90 milioni di euro è arrivato a borse chiuse, come da prassi. Il lunedì mattina successivo il valore del titolo del club bianconero ha un’impennata del 5,07%. La Procura, quindi, accusa il club di false comunicazioni al mercato perché il comunicato non veritiero avrebbe presentato agli investitori un quadro diverso dalla realtà e quindi potrebbe averli portati a investire sulla base di informazioni false.

Qual è la seconda «manovra stipendi»?

La pandemia caratterizza anche la stagione 2020/2021, con le partite giocate a porte chiuse fino a maggio 2021 e poi con gli stadi a lungo a capienza ridotta. La Juve ha ancora il problema di posticipare quattro mensilità, ma stavolta dai giocatori arriva un rifiuto. La soluzione, secondo la ricostruzione degli inquirenti, consiste in un documento (depositato in Lega calcio e quindi registrato a bilancio) in cui i giocatori accettano la riduzione dell’ingaggio e un secondo accordo (depositato a luglio, quindi da registrare nell’esercizio di bilancio successivo) con cui la società si impegna a pagare gli stipendi nelle stagioni successive in caso di permanenza in bianconero. Poi ci sarebbe un terzo documento, una «scrittura integrativa» con cui la società garantiva a tutti il pagamento di tutte le mensilità anche in caso di cessione. Quest’ultimo documento sarebbe stato «occultato» nello studio del capo dell’area legale del club Cesare Gabasio.

Cosa c’è scritto nella «carta segreta» di Cristiano Ronaldo?

Tra i giocatori coinvolti in entrambe le «manovre stipendi» c’è anche Cristiano Ronaldo, il giocatore più pagato della Juventus in quegli anni (con un ingaggio intorno ai 31 milioni di euro netti a stagione). La «carta segreta» di Cristiano Ronaldo non è altro che il documento che attesta il credito del portoghese nei confronti della Juventus. Nei file sequestrati dalla guardia di finanza emergono le cifre relative alla «manovra stipendi» 2019/2020 e 2020/2021 per «complessivi 29.322.499,33 euro». Cifra da intendersi lorda: si tratta di 20 milioni di euro netti circa a cui il portoghese non intende rinunciare . Per questa ragione Cristiano Ronaldo, tramite i suoi avvocati, ha chiesto di avere le carte del processo e le trascrizioni delle intercettazioni in cui è coinvolto, ma al momento la Procura gliele ha negate.

Perché anche la Uefa indaga sulla Juventus?

La Uefa ha aperto un’indagine nei confronti della Juventus per possibili violazioni del «fair play finanziario», l’insieme di regole sul pareggio di bilancio che i club che partecipano alle competizioni internazionali devono rispettare. La società bianconera ad agosto 2022 aveva sottoscritto con la confederazione europea dei club un «settlement agreement», un accordo (basato sui bilanci dal 2018 al 2022) con cui — a fronte di una multa di 3,5 milioni di euro (decurtata dai ricavi derivanti dalla partecipazione alle competizioni europee) — il club si impegna a raggiungere gli obiettivi di bilancio previsti dalla Uefa nelle prossime quattro stagioni (inclusa quella in corso), pena una sanzione per altri 19,5 milioni di euro. Se dovesse emergere che le informazioni sui bilanci fornite non sono veritiere, il club andrebbe incontro alle sanzioni previste dall’ordinamento Uefa che vanno dalle multe alla limitazione sul numero di giocatori tesserabili, fino al divieto di tesserare nuovi giocatori e all’esclusione dalle coppe internazionali (importante fonte di guadagno per i club grazie alla vendita dei diritti televisivi).

Cosa emerge dalle intercettazioni? Ci sono altre squadre coinvolte?

Le intercettazioni trascritte nelle carte dell’inchiesta hanno convinto gli inquirenti che in casa Juve ci fosse un sistema operativo volto a far quadrare i conti con l’ausilio delle plusvalenze, anche in concorso con altri club, con conseguente «opacità dei rapporti debito/credito». Nei documenti sono citate Sampdoria, Atalanta, Sassuolo, Empoli e Udinese, oltre a squadre delle serie inferiori e straniere. In una conversazione tra Paratici e il direttore generale del Pisa Giovanni Corrado (che non è indagato) l’ex direttore sportivo della Juventus, a proposito del 22enne attaccante Lorenzo Lucca (ora all’Ajax), spiega come agire: «L’ho sempre fatto, l’ho fatto con Caldara (...) l’operazione devi farmela fare a me! Dammi retta, l’operazione la faccio io anche per il Pisa! Tu devi darmi solo le linee, il resto lo metto a posto io. L’ho fatto per il Genoa tutta la vita, l’ho fatto per l’Atalanta tutta la vita, l’ho fatto per il Sassuolo tutta la vita (...) Quando io ho i parametri dopo sistemo tutto (...)». Ascoltando le intercettazioni gli investigatori si sono convinti anche che nel club tutti i vertici fossero a conoscenza di questo sistema di lavoro.

Qual è il ruolo dei procuratori?

Dalle intercettazioni, scrivono i pm, emerge anche una «contabilità in nero della Juventus» che avrebbe generato anche un debito di 8 milioni di euro nei confronti di alcuni procuratori. La pratica era quella di conferire «mandati artificiali» agli agenti per appianare debiti maturati in anni precedenti per intermediazioni a cui avevano partecipato a vario titolo, anche per il tesseramento di giocatori minorenni per i quali la legge non prevede provvigioni.

Di recente la giustizia sportiva si è occupata di plusvalenze fittizie? E come è andata a finire?

Il processo sportivo sul caso plusvalenze celebrato ad aprile di quest’anno ha portato al proscioglimento di tutte le società, i dirigenti e gli amministratori dei club «che erano stati deferiti dalla Procura Federale per avere contabilizzato nelle relazioni finanziarie plusvalenze e diritti alle prestazioni dei calciatori per valori eccedenti a quelli consentiti dai principi contabili». Sono cadute, dunque, le accuse sulle presunte plusvalenze fittizie, che vedevano coinvolte 11 società italiane (Juventus, Sampdoria, Napoli, Pro Vercelli, Genoa, Parma, Pisa, Empoli, Chievo, Novara e Pescara) e 61 dirigenti (tra cui anche Agnelli, Nedved, Arrivabene e Paratici). Alla base della sentenza, la difficoltà di dare un valore di mercato univoco ai calciatori, in mancanza di prove che dimostrassero l’illecito. Come accaduto invece nel caso di Chievo e Cesena, condannate nel 2018 proprio per plusvalenze fittizie.

Cosa rischia la Juventus?

Ora la Procura della Federcalcio dovrà valutare se ci sono gli estremi per la revoca della sentenza e la riapertura delle indagini (nel caso in cui emergano prove che documentino un illecito) e del processo davanti alla Corte federale. Sul caso Ronaldo (e più in generale la questione stipendi), le sanzioni possono andare da un’ammenda con diffida, fino a punti di penalizzazione o anche alla retrocessione o esclusione dal campionato, nel caso in cui si dimostri che la falsificazione dei documenti contabili sia stata propedeutica all’iscrizione al campionato.

Sacro e profano. Quelli che vomitano contro la Juventus, non sapendo di che cosa si parla, ma tacciono sui veri scandali. Cataldo Intrieri su L’Inkiesta il 5 Dicembre 2022

Il processo al cda bianconero deve ancora iniziare ma la gogna pubblica è inappellabile, malgrado si tratti di materia tecnica e di poco conto (e peraltro secondo la Cassazione non di competenza dei pm di Torino). È la memoria corta di un analfabetismo giudiziario che ha già dimenticato il simile caso Scaglia e che tace di fronte a Chiesa e magistratura

Un efficace termometro della condizione di un paese che si vorrebbe libero e democratico può essere anche l’analisi della sua stampa giudiziaria. In Italia la condizione è particolarmente miserevole e gli esempi si sprecano. Nell’ultima settimana ce ne sono stati due particolarmente significativi per la totale diversità di trattamento.

Sono due vicende giudiziarie che mischiano, come si suol dire, sacro e profano. La prima riguarda la più amata e odiata squadra di calcio italiano, la Juventus. La seconda un minuscolo ma grande Stato conficcato nel cuore d’Italia, il Vaticano.

La stampa italiana si è scaraventata in massa su una modesta storia di presunte irregolarità contabili la cui comprensione richiederebbe una robusta competenza legale e contabile, mentre ignora un inizialmente strombazzato scandalo finanziario (di maggiore entità economica) che dopo mesi di silenzio rischia di trasformarsi in un imbarazzante caso politico-giudiziario per il governo della più antica delle istituzioni, per la Chiesa romana.

I vertici societari della Juventus si sono dimessi in massa dopo un decennio di ininterrotti trionfi perché la procura di Torino ha loro contestato tre anni di asserite manipolazioni di bilanci che avrebbero fornito un’immagine finanziaria del club assai più florida di quella reale, con grave danno per gli investitori.

Il processo deve ancora iniziare, ma sulle prime pagine fioccano condanne inappellabili che le dimissioni degli amministratori (raro esempio di sensibilità) hanno alimentato.

Vano è far notare che a oggi nessun giudice (quel tizio, per intenderci, che deve essere terzo equidistante tra le ragioni dell’accusa e quelle della difesa) si sia ancora pronunciato e anzi, quando è stato chiamato in causa per emettere misure restrittive contro Andrea Agnelli e altri membri del Consiglio di amministrazione della Juventus, ha disatteso le istanze dei pubblici ministeri. Per liquidare ogni presunzione d’innocenza bastano, invece, gli estratti delle immancabili intercettazioni, qualche talk calcistico e un pugno di incomprensibili articoli del Codice penale.

Eppure si parla dell’ostica materia dei numeri e di bilanci complessi di società molto grandi, della valutazione di beni immateriali così fuggevoli come le prestazioni di calciatori per le quali, figurarsi, bisogna arrivare a un “fair value” che comporta la valutazione comparata di dati estremamente volatili.

Il quadro contabile e finanziario delle società quotate in Borsa come la Juventus deve essere redatto secondo i criteri dello IAS, un complesso di norme contabili adottate come standard internazionale e la cui applicazione concreta lascia ampio margine alle interpretazioni soggettive.

Eppure nel campo del diritto vigono due principi fondamentali: quello di legalità e di offensività, senza i quali non è possibile ipotizzare alcun reato.

Essi richiedono, per farla breve, intanto che ogni cittadino debba sapere prima di assumerle quali condotte siano illecite e, poi, che per essere punito debba aver arrecato, volontariamente o per colpa, un danno concreto agli altri.

In Italia esistono invece forme di reato – come appunto i delitti di manipolazione del mercato, falso in bilancio, e su un altro versante l’abuso di ufficio che flagella sindaci e pubblici amministratori – totalmente aleatori e vaghi nei termini per cui è pressoché impossibile trovare delle linee di condotta uniformi tra due procure.

Nel caso Juventus ancora non è dato capire, se non come ipotesi, l’entità della manipolazione e il danno arrecato agli azionisti.

Forse si potrebbe pensare a una alterazione delle regole di concorrenza sportiva se non fosse che l’inchiesta della procura calcistica c’è già stata e si è conclusa con un nulla di fatto (da qualche parte esiste una regola che vieta la possibilità di processare due volte lo stesso soggetto per la medesima infrazione, anche se diversamente qualificata e di diversa natura).

Senza contare che peraltro non si ha neanche la certezza che la procura di Torino abbia la legittimità a indagare visto che il più grave dei reati contestati (la manipolazione del mercato finanziario) si è consumato a Milano, sede della Borsa telematica. Non esattamente un particolare da poco.

Con decreto numero 532/18, la Procura generale della Cassazione testualmente sancisce che il «locus commissi delicti» (del reato di manipolazione informativa) deve «individuarsi a Milano, in quanto luogo dal quale la comunicazione diffusa al mercato divenendo accessibile ad una cerchia indeterminata di soggetti, …assume quella necessaria connotazione di concreto pericolo per gli investitori che il reato intende sanzionare».

Con ciò si sottolinea che il reato esiste solo se gli investitori sono stati realmente ingannati (e dei guai contabili bianconeri abbondantemente si sapeva anche senza origliare le chiacchiere dei cugini Agnelli).

Dunque come mai Torino ha ritenuto di distaccarsi da questo indirizzo e non ha invece attivato i colleghi di Milano?

Eppure dovrebbe essere ancora vivo il ricordo di quello che capitò a uno dei grandi pionieri delle moderne telecomunicazioni italiane, Silvio Scaglia, il fondatore di Fastweb, incriminato per reati fiscali e societari, arrestato e costretto a dimettersi dalle sue cariche (come il presidente della Juve) sotto la minaccia di misure cautelari, poi assolto da quello che il pm dell’epoca aveva definito «una colossale truffa allo Stato».

Memoria corta di un paese e del suo  giornalismo che anticipa sentenze di condanna in automatico per mostri e potenti in disgrazia, ma per antico riflesso condizionato tace di fronte al potere della magistratura.

Solo due editorialisti, Emiliano Fittipaldi e Lucetta Scaraffia, hanno raccontato che cosa sta succedendo in un’insolita aula di giustizia nella Città del Vaticano dove si sta celebrando l’unico storico processo a un cardinale di Santa Romana Chiesa e ad alcuni cittadini italiani secondo regole che presentano una non trascurabile differenza da quelle dello Stato di diritto.

Il locale rappresentante della pubblica accusa ha depositato dei documenti che dimostrano la manipolazione non del mercato ma di uno dei principali testi di accusa che ha denunciato le pressioni subite da una signora già nota alle cronache giudiziarie ma ancora libera, a quanto pare, di operare e condizionare disinvoltamente, senza che nessuno si stupisca e si ponga delle domande.

Per di più la donna in questione, già condannata dalla giustizia vaticana, ha contattato direttamente il super teste assumendo di ricevere dagli alti vertici informazioni di prima mano sull’inchiesta.

La stampa che si è avventata per riflesso pavloviano su una registrazione telefonica del tutto ininfluente per il processo tra il Pontefice e il cardinale Becciu, il principale imputato, si è dimenticata della clamorosa rivelazione dell’ex grande accusatore e ha fatto finta di niente.

Per dire, che cosa succederebbe se in Italia un leader politico venisse falsamente accusato da testimoni oscuramente manipolati?

Ecco anche nella risposta e nella connotazione di questa amara realtà c’è il momento non felice di una democrazia condizionata e in sofferenza

Caos Juve, la Procura porta Agnelli a processo. L'ora di faide e linciaggi. Pronto il rinvio a giudizio per l'ex presidente. John Elkann esclude aumenti di capitale. Tony Damascelli su Il Giornale l’1 Dicembre 2022

La piazza, stranamente deserta fino a lunedì scorso, si riempie di folla pronta ad applaudire l'esecuzione capitale. La domanda è puntuale, per qualunque cosa accada nel Paese: che cosa rischia la Juventus? La folla che ha scoperto quel pasticciaccio brutto di via Druento (La Continassa, sede sociale e sportiva del club e della squadra) ha già disegnato i prossimi scenari apocalittici che prevedono vari stazioni di passaggio, di arrivo, fino al binario morto: dunque, ammenda, penalizzazione, retrocessione, galera, vendita. La Juventus vive la sua consueta faida esterna ed interna. Sulle pagine de Il Foglio, a firma di Michel Masneri, un famigliare e azionista del gruppo, attacca ferocemente la gestione di Andrea Agnelli ma parla senza rivelare la propria identità che è facilmente riconoscibile nel ramo araldico che vive a Roma e faceva capo a Susanna Agnelli, la più illustre sorella di Gianni e Umberto. Lo sfogo dell'ignoto 1 non è isolato, è un idem sentire di gran parte dei parenti e affiliati, la gestione contabile della dirigenza juventina ha raggiunto un limite oltre il quale non è più possibile andare, le dimissioni sono arrivate in ritardo di almeno un mese, ora si tratta di affrontare il momento più delicato, sotto lo schiaffo pesante della Procura, con la preoccupazione, se non la paura, che il tribunale calcistico intervenga con sanzioni gravi, ribadendo il verdetto del duemila e sei, la serie B con tutte le conseguenze di immagine e di colpo ferale al bilancio della società, già devastato dalle perdite oltre ai debiti.

Questo è il quadro nel quale le tricoteuses sferruzzano dinanzi all'impalcatura dove è collocata la ghigliottina, la Juventus colpita e affondata laverebbe la coscienza dei moralisti che si stanno affannando nei commenti sul malaffare torinese, trascurando quello che da anni intossica altri club e altri presidenti imprenditori ma è la legge della vita, la Juventus è carne di porco per qualunque inchiesta, dal doping agli arbitri, dalla corruzione alla collusione, all'uso indebito del denaro, nei secoli i magistrati torinesi hanno saputo occupare il loro tempo libero mentre altrove i loro sodali non trovavano lo spazio per affrontare uguali temi. Ritornando all'intervista a Ignoto 1 apparsa sul Foglio, l'ipotesi di una vendita della Juventus non è affatto da escludere, appunto conoscendo l'attitudine dell'Ingegnere a capo di Exor ma lo stesso Elkann ieri, parlando con analisti finanziari, ha escluso un nuovo finanziamento e ha ribadito la fiducia di un futuro che avrà connotazioni ancora più grandiose di quelle attuali.

La Juventus di John Elkann si appresta ad affrontare impegni gravosi sul piano legale e societario come lo stesso presidente di Exor ha affermato. Ieri il club ha emesso un comunicato con il quale conferma la trasparenza del proprio operato e ribadisce che Le contestazioni della Procura non paiono fondate e non paiono, peraltro, né quanto a presupposti, né quanto a conclusioni, allineate con i rilievi contenuti nella delibera Consob del 19 ottobre 2022. La nota è stata scritta sulla base di un solido set di pareri di primari professionisti legali e contabili. Juventus confida, infine, che, proprio in ragione della ritenuta assenza di qualsivoglia alterazione dei bilanci contestati, le conclusioni delle autorità sportive (che già si sono espresse, con riguardo al tema plusvalenze, in senso favorevole a Juventus) non cambieranno: in assenza di alcuna alterazione contabile, ogni sanzione sportiva risulterebbe infondata. Nella convinzione di aver operato sempre correttamente Juventus FC intende far valere le proprie ragioni e difendere i propri interessi, societari, economici e sportivi, in tutte le sedi.

La squadra riprenderà i giochi il 4 gennaio a Cremona ma prima di allora arriveranno i rinvii a giudizio per tredici indagati, stralciata la posizione dei componenti del collegio sindacale, previsti per venerdì. Allegri è un uomo solo al comando, Cherubini dovrà essere impegnato anche come teste. La partita sarà infinita, con tempi di recupero eterni.

Calcio e procure, quarant’anni di show giudiziario. Dall’inchiesta sulle scommesse del 1980 ai guai di Agnelli, passando per Calciopoli. Quella che ha portato alle dimissioni della dirigenza juventina dimostrerà qualcosa o sarà l’ennesimo buco nell'acqua? Daniele Zaccaria su Il Dubbio l’1 dicembbre 2022

I meno giovani ricorderanno l’allucinante domenica del 23 marzo 1980: alla fine delle partite nei principali stadi della Serie A arrivano le camionette delle forze dell’ordine. Sembrava una cartolina del Cile di Pinochet. E invece non erano lì per fronteggiare gruppi di ultras ma per arrestare i calciatori. Un blitz immortalato in diretta da Novantesimo minuto che ha fatto la storia della nostra tv, il compianto Paolo Valenti mostra un’Alfetta della polizia che solca la pista d’atletica dell’Olimpico di Roma e si fa prendere la mano dal giustizialismo: «Erano nomi chiacchierati, finalmente un po’ di chiarezza» ma dagli studi di Domenica In Pippo Baudo lo redarguisce in un sussulto garantista: «Scusa Valenti, ma non bisogna essere colpevolisti ed emettere sentenze prima della magistratura».

La scena si ripete in altre città: Milano, Genova, Palermo, Pescara. Ad Avellino l’attaccante Stefano Pellegrini viene arrestato subito dopo aver finito un’intervista. Altri 11 finiscono in manette, tra cui nomi molto noti come Albertosi e Morini del Milan, Wilson, Giordano e Manfredonia della Lazio. I mandati di cattura, erano stati spiccati la sera prima dal giudice Arnaldo Bracci della Procura di Roma. Più una ventina di mandati di comparizione che coinvolgono campioni affermati come Paolo Rossi, Savoldi, Damiani, Dossena. È l’inchiesta Calcio scommesse o Totonero che scosse l’Italia del pallone. Ed è anche uno dei primi esempi di giustizia spettacolo nel suo fatale connubio con lo Stato di polizia.

D’altra parte era l’Italia delle leggi speciali, della lotta al terrorismo e alla criminalità organizzata, pompata e allenata alla violazione sistematica del diritto di difesa e della dignità delle persone arrestate. Sui giornali e nelle tv non si parla d’altro, il "pallone è in manette" titolano i principali quotidiani, e chi più chi meno, tutti a cavalcare l’onda colpevolista. Nel dicembre del 1980 però arrivano le sentenze dopo mesi di udienze nell’aula Bunker del Foro Italico, la stessa del processo ai rapitori di Aldo Moro: tutti gli indagati vengono prosciolti poiché il fatto non sussiste. Ci saranno diverse e pesantissime squalifiche, ma la giustizia sportiva fondata sull’indecifrabile "principio di lealtà" è un obbrobrio foracaiolo che farebbe rimpiangere il Codice di Hammurabi.

Per anni ci saranno inchieste "minori" sulle scommesse clandestine come un tentativo di combine tra Atalanta e Pistoiese in una partita di Coppa Italia del 2001, inchieste che raramente saliranno agli onori delle cronache nazionali. Fino allo scandalo di Calciopoli, l’altro grande terremoto che nella primavera del 2006 ha sconquassato il mondo del pallone. Squalifiche e penalizzazioni durissime per decine di squadre e la clamorosa retrocessione in Serie B della Juventus di Giraudo, Bettega e Moggi. Con quest’ultimo a giocare il ruolo di supercattivo, di grande vecchio della corruzione e del malaffare calcistico italiano, descritto dai i media come una personaggio onnipotente, un incrocio tra il cardinale Richelieu e Toto Riina.

L’inchiesta penale è affidata alla procura di Napoli che teorizza il reato di associazione a delinquere, ed è un calvario che dura nove anni. Fino al marzo del 2015 quando i giudici napoletani prosciolgono tutti gli imputati, Moggi e Giraudo, i presidenti Lotito e Della Valle, gli arbitri Bertini, Dattilo, De Santis e Racalbuto e il designatore Pairetto. Un altro scandalo di cui oggi si parla troppo poco fu quello di "Scommessopoli" del 2012, emerso dopo le indagini della procura di Cremona; oltre 150 indagati un’ondata di arresti (17) e perquisizioni per un presunto giro di partite truccate che coinvolge anche l’allenatore Antonio Conte e diversi calciatori di spicco. Il capitano della Lazio Stefano Mauri viene addirittura arrestato dalla polizia mentre è in ritiro con la nazionale nel centro federale Coverciano, ripreso impietosamente da un video che fa il giro della rete. La gran parte degli indagati (tra cui il povero Mauri) in particolare calciatori e tecnici verrà poi assolta dalla giustizia ordinaria mentre le accuse di truffa si attenuano in quelle di omessa denuncia. L’inchiesta su plusvalenze e stipendi che ha portato alle dimissioni della dirigenza juventina dimostrerà qualcosa o sarà l’ennesimo buco nell’acqua?

Punire la Juve per educare tutti. Per i bianconeri è di nuovo gogna. Il processo ancora non è iniziato, ma la sentenza mediatica è già arrivata. E non solo in Italia, dove già si invoca la retrocessione, ma anche in Spagna, dove i vertici della Liga chiedono alla Uefa di usare il pugno duro. Simona Musco su Il Dubbio il 30 novembre 2022

Il processo ancora non è iniziato, ma la sentenza mediatica per la Juventus è già arrivata. E non solo in Italia, dove i giornali già valutano tutte le possibili conseguenze sul piano sportivo, ipotizzando (e augurando, in alcuni casi) anche la retrocessione del club bianconero. Ma anche in Spagna, dove i dirigenti della Liga hanno chiesto a gran voce sanzioni da parte dell’Uefa. Il tutto mentre la vicenda è ancora agli inizi. Il clima, però, è già quello di Calciopoli. E la parola d’ordine è sempre la stessa: la Juventus deve pagare e farlo per tutti.

Una sorta di azione moralizzatrice a mezzo procura per "educare" anche gli altri club, tutti col fiato sospeso a giorni alterni per via delle tanto temute plusvalenze. Un tema scivoloso, come chiarito ieri dal presidente della Lega Nazionale Dilettanti, Giancarlo Abete: «Il mondo del calcio è complesso, non ha parametri di oggettività sulla valutazione dei valori dei giocatori». Insomma, serve cautela. Tant’è vero che è lo stesso presidente della Federazione italiana calcio, Gabriele Gravina, a mettere in guardia contro il "linciaggio" della Juventus. «Se vogliamo il linciaggio per strada non c’è problema, ma dobbiamo calmarci perché temo che la questione possa riguardare anche altri soggetti – ha detto a margine del convegno "Calcio & Welfare" a Napoli -. Noi non dichiariamo colpevoli i soggetti e li puniamo prima delle indagini». Una frase che ha fatto saltare sulle sedie in molti, tanto da spingere il presidente Gravina ad una precisazione: «Il tema che questo argomento può riguardare altri club non è riferito all’indagine in corso sulla Juventus ma ad una reazione esasperata che in Italia, in generale, rende colpevole chi ancora non è stato condannato», ha spiegato.

L’indagine "Prisma", che ha scatenato un vero e proprio terremoto in casa Juventus portando alle dimissioni dell’intero CdA, verte sulle plusvalenze degli anni 2018/2019/2020, la manovra stipendi di marzo-aprile del 2020 e del 2021 e sulle fatture per compensi ad agenti. Le ipotesi di reato sono falso in bilancio, manipolazione del mercato, ostacolo all’esercizio delle funzioni delle autorità di pubblica vigilanza e dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture per operazioni inesistenti. E le dimissioni dei vertici bianconeri avrebbero evitato, così, un duplice rischio: da un lato la possibilità per la procura di chiedere nuovamente e questa volta ottenere misure cautelari, e dall’altro evitare una richiesta di un’ispezione finalizzata al controllo giudiziario della società. Il tutto mentre in procura è già pronta la richiesta di rinvio a giudizio per l’ex presidente Andrea Agnelli e quasi tutti gli indagati – 16 in totale -, mentre sarebbe stata stralciata la posizione di alcuni in vista di una probabile richiesta di archiviazione.

Ma mentre sui giornali impazzano le tesi della procura, con tanto di intercettazioni decontestualizzate – «una situazione così brutta si è vista solo con Calciopoli», avrebbe detto un dirigente – il club si difende, definendo «infondate» le contestazioni della procura. Dopo l’avvio del procedimento Consob di accertamento di presunte non-conformità contabili, i vertici del club hanno scandagliato i conti, arrivando a conclusioni diverse da quelle di pm: «Il trattamento contabile adottato nei bilanci contestati rientra tra quelli consentiti dagli applicabili principi contabili – si legge nella nota -; le contestazioni della Procura non paiono fondate e non paiono, peraltro, né quanto a presupposti, né quanto a conclusioni, allineate con i rilievi contenuti nella delibera Consob del 19 ottobre 2022». La procura, infatti, ipotizza l’artificialità di plusvalenze e la fittizietà delle rinunce stipendi, contrariamente a Consob, che contesta «un valore considerevolmente minore di plusvalenze, peraltro senza menzione di falso in bilancio, e non contesta l’efficacia giuridica delle rinunce stipendi, né, con specifico riguardo alla cosiddetta "manovra stipendi" 2020/2021, la natura giuridicamente non-vincolante, delle cosiddette scritture integrative in corso di negoziazione nell’aprile/maggio 2021».

Si tratta delle rinunce di quattro mensilità per calciatori e allenatore in periodo Covid, accordo falso, secondo l’accusa, dal momento che sarebbero state ritrovate scritture private che attesterebbero la rinuncia ad una sola mensilità e una dilazione di pagamento delle tre restanti. La società, con un comunicato del 28 marzo 2020, rese nota una riduzione degli stipendi concordata con i calciatori, facendo presente che «eventuali integrazioni dei compensi sarebbero state negoziate e corrisposte se e quando le competizioni sportive fossero riprese e gli stadi fossero stati riaperti – avevano spiegato i legali del club -. Questa situazione eccezionale di emergenza e di incertezza si è protratta, come è noto, dalla stagione sportiva 2019/20 fino a tutta la stagione 2020/21, visto che soltanto nella primavera del 2022 gli stadi sono stati pienamente riaperti al pubblico. La società ha pertanto contabilizzato le modifiche agli stipendi e le integrazioni dei compensi in coerenza con la loro progressiva definizione e nel rispetto della disciplina contabile di riferimento». La correzione dei bilanci, afferma ora la società, «è stata decisa in via di adozione di una prospettiva di accentuata ed estrema prudenza e ha effetti contabili ritenuti, anche con l’ausilio di esperti indipendenti, di ordine non rilevante, in particolar modo sul patrimonio netto della Società al 30 giugno 2022».

Nessuna alterazione dei bilanci, dunque, con la conseguenza che «ogni sanzione sportiva risulterebbe infondata». In particolar modo sul tema delle plusvalenze, sulle quali le autorità sportive già si sono espresse «in senso favorevole a Juventus» e agli altri dieci club coinvolti. Sulla questione specifica delle plusvalenze, spiega al Dubbio Lucio Giacomardo, componente della Commissione diritto dello Sport del Consiglio nazionale forense e segretario dell’associazione "Sport e Diritto", «la valutazione rispetto alla differenza che determina il valore di un calciatore è aleatoria e non è ancorata a parametri oggettivi. All’esito della conclusione delle indagini sostanzialmente non credo che ci possano essere elementi nuovi e tali da far considerare la possibilità di far riaprire un’indagine su questo fronte – sottolinea -. Quello che invece cambia è la presenza di queste scritture private, che avrebbero determinato un’indicazione in bilancio falsa. E le conseguenze sono in termini di sanzione economica e al massimo uno o due punti di penalizzazione.

La retrocessione è una follia: molti giornalisti ragionano da tifosi nel fare queste considerazioni. Sarebbe possibile solo queste vicende incidessero sul regolare andamento delle attività di campionato, ma da quanto emerso non sarebbe così».

L'inchiesta che ha travolto la dirigenza juventina. Cosa rischia la Juventus a livello sportivo: tutti gli scandali che hanno travolto Agnelli. Astolfo Di Amato su Il Riformista l’1 Dicembre 2022

Difficile, a questo punto, mettere la sordina all’ennesimo scandalo che coinvolge la Juventus. Prima la questione relativa ai rapporti con i capi tifosi legati alla ndrangheta. Poi la questione relativa allo scandalo degli esami farsa di lingua italiana del giocatore Suarez presso l’Università di Perugia. Ora lo scandalo legato all’inchiesta in corso innanzi alla Procura di Torino, che riguarda il consiglio di Amministrazione, precipitosamente dimessosi. Le imputazioni sono ben quindici e spaziano dalla manipolazione del mercato alla frode fiscale e al falso il bilancio.

Hanno tutte a che fare con la correttezza della rappresentazione contabile della situazione della Juventus, aspetto questo ancora più delicato ove si osservi che si tratta di una società quotata in borsa. Dunque, la società di calcio che ha dominato il campionato italiano per oltre un decennio è passata, fino ad ora indenne, da uno scandalo all’altro. Il contesto in cui tutto questo si svolge è quello di un sistema, il sistema calcio, profondamente in crisi. Basta, a questo proposito, osservare che esso in Italia perde ogni anno e da molto tempo una cifra che oscilla tra il miliardo ed il miliardo e cinquecento milioni di euro. Se a questi dati di fatto si aggiunge l’osservazione che l’attuale sistema calcio è il frutto della rifondazione verificatasi a seguito del grande scandalo degli anni 2005/2006, noto come Calciopoli, che vide anch’esso al centro delle indagini sempre la Juventus, non si può non osservare che si è in presenza di un sistema profondamente e irrimediabilmente malato, che come tale richiede non già una mera ristrutturazione, ma una vera e propria rifondazione.

Rafforza questa prospettiva il ricordo che, proprio da pochi giorni, è emerso un altro gravissimo scandalo che ha coinvolto una componente fondamentale del sistema calcio, quella degli arbitri. Il procuratore capo dell’Aia, che è l’acronimo di Associazione Arbitri Italiani, è stato arrestato nell’ambito di una maxi operazione sul traffico della droga condotto dalla Guardia di Finanza. Le cronache hanno riferito che la reazione all’inchiesta da parte del mondo arbitrale non sarebbe stata immediata, come ci si sarebbe potuto aspettare. In questo contesto, la circostanza che la nazionale italiana non sia riuscita a qualificarsi è solo una ulteriore spia del fatto che il sistema calcio in Italia ha perso efficienza, credibilità, competitività. Sotto certi aspetti, sembra che arranchi addirittura dietro il sistema paese rappresentandone, in peggio, l’incapacità di ritrovare lo slancio necessario per superare la profonda crisi sociale, economica e finanziaria, in cui l’Italia continua a dibattersi.

Dimissioni Juve, Andrea Agnelli non è più il presidente: lascia l’intero Cda dopo inchieste e bilancio in rosso

La circostanza, poi, che fa ulteriormente riflettere è che proprio la squadra la quale, per ricchezza, disponibilità, blasone, potere della proprietà, avrebbe potuto e dovuto essere il fiore all’occhiello del calcio italiano, ha dimostrato, viceversa, di essere profondamente malata e di costituire, anzi, un fattore di disgregazione. Uno dei meme, che è circolato maggiormente durante queste ore, è quello in cui si afferma "continua il terremoto della Juventus, si sono dimessi anche gli arbitri". Non può stupire il successo di questo meme: ogni campionato vinto dalla Juventus è stato segnato da polemiche accesissime su favori, pretesi o reali, di cui la squadra avrebbe potuto ogni volta beneficiare. Non è, certo, questa la sede per esprimere un giudizio sulla reale esistenza dei favoritismi denunciati.

Tuttavia, non può non lasciare pensare la circostanza, da un lato, che la Juventus sia stata implicata in tutti gli scandali più gravi di questi ultimi anni e, dall’altro, che il mondo arbitrale sia stato scosso da uno scandalo di una tale portata da implicare addirittura l’arresto del procuratore capo per traffico di droga. Del resto, non può neppure tacersi che anche truccare i bilanci è un modo per falsare la competizione sportiva: è un modo, difatti, per consentirsi ingaggi ed acquisti, cui chi rispetta le regole non può aspirare. Se, poi, l’immagine dei brogli che le vicende chiamate evocano si associa alla genuina passione di quei tifosi che spesso sacrificano i propri risparmi per andare la domenica allo stadio, i sentimenti che tutto questo suscita non possono che essere di un profondo rifiuto di un mondo, il quale finisce, da un lato, per costituire un pessimo esempio quanto a trasparenza e correttezza e, dall’altro, per meritare l’onore delle cronache soprattutto per gli ingaggi del tutto sproporzionati, specie in un momento come questo, dei suoi protagonisti.

Ecco, allora, come si spiega che in un mondo, al cui vertice si è quasi permanentemente collocata la Juventus, che sembra abituato alle scorciatoie ed alla violazione delle leggi, temi quali quelli della crescita del movimento, della valorizzazione dei giovani perdono qualsiasi rilievo. Uno degli episodi contestati alla Juventus concerne la fittizia riduzione degli stipendi dei giocatori durante la chiusura degli stadi per la pandemia covid. Secondo l’accusa, vi sarebbe stato un accordo, che avrebbe coinvolto l’intera squadra, tutta composta da giocatori con compensi multimilionari, con la quale sarebbe stato pattuito un apparente dimezzamento della retribuzione, con l’accordo sotto banco che la parte residua sarebbe stata comunque versata.

Il messaggio dato ad una collettività, in quel momento assai dolente per le restrizioni in corso, era che la Juventus ed i suoi giocatori erano moralmente al fianco di un paese in ginocchio tanto da accettare una diminuzione dello stipendio. Un messaggio, quindi, volgarmente ipocrita e, perciò, che finisce oggi con l’essere addirittura dannoso, in quanto dà conto all’intera collettività che i più forti sono anche i più furbi e che le regole sono fatte solo per chi non può permettersi di violarle. Ove si tenga conto della funzione sociale del calcio, che tante volte è stata invocata per concedere dei privilegi anche fiscali, si deve rilevare che lo scandalo della Juventus ha una portata che supera di gran lunga la dimensione meramente sportiva e finisce con il riguardare le stesse fondamenta su cui si fonda il tessuto sociale italiano.

È auspicabile che della profondità della crisi, che lo scandalo Juventus porta alla luce, si rendano conto fino in fondo i dirigenti del calcio italiano. Esiste un calcio minore, fatto di sacrifici, di correttezza contabile, di competitività leale, che va valorizzato, preso ad esempio e da cui si può ripartire. Astolfo Di Amato

Le lezioni di stile di chi ha sempre avuto poco rispetto per le sentenze. La parabola di Andrea Agnelli, bagarini, ndrangheta e accuse di falso in bilancio: gli scandali del presidente che "rispettava le regole". Ciro Cuozzo su Il Riformista l’1 Dicembre 2022

"Noi rispettiamo le regole". A sentirla oggi questa frase pronunciata da Andrea Agnelli poco più di due anni fa (in seguito alla vittoria a tavolino, poi cancellata, contro un Napoli non presentatosi a Torino causa Covid) fa quantomeno sorridere. Basti pensare al rispetto per i due scudetti revocati dopo Calciopoli e regolarmente esposti allo Juventus Stadium dal quarto esponente della famiglia Agnelli (dopo il nonno Edoardo, lo zio Gianno e il padre Umberto) a ricoprire la carica di presidente.

Una delle tante ‘lezioni di stile’ che passerà alla storia sia come il presidente più titolato del club bianconero (con 19 trofei in dodici anni) che come quello coinvolto in più di uno scandalo che hanno macchiato l’immagine del principale club italiano. Dal caso relativo all’esame di italiano dell’attaccante Luis Suarez al coinvolgimento nell’inchiesta relativa al bagarinaggio gestito da ultras vicini alla ‘ndrangheta (posizione archiviata dalla giustizia ordinaria mentre quella sportiva comminò ad Agnelli tre mesi di inibizione e 100mila euro di ammenda). Fino alle vicende giudiziarie degli ultimi tempi che hanno portato la procura di Torino a indagare per falso in bilancio e non solo. Imbarazzi continui quelli provocati dall’ex rampollo di una delle famiglie imprenditoriali più prestigiose d’Italia.

Nel mezzo Agnelli ha speso milioni e milioni di euro per togliere i top player alle dirette concorrenti in serie A (Pjanic e Higuain arrivati con il pagamento delle clausole rescissorie) prima di arrivare a devastare le casse societarie con l’operazione Cristiano Ronaldo, che ha di fatto pesato sul collasso finanziario del club. Spese folli nel tentativo di vincere quella Champions League che rappresentava la vera ossessione della dirigenza bianconera.

Basti pensare agli ultimi cinque esercizi finanziari della sua Juventus. Bilanci che hanno rappresentato una vera e propria ecatombe per la casa madre Exor. Perdite registrate per 612,9 milioni nonostante i 700 milioni ricapitalizzati dal board bianconero. Una gestione finanziaria scellerata e assai spregiudicata – secondo i pm di Torino – con plusvalenze artificiali, false fatturazioni e, soprattutto, la spinosa questione della "carta segreta" (ma poi trovata…) sugli ‘stipendi Covid’ che sarebbero stati pagati fuori bilancio per arginare le perdite.

Una manovra, dal valore di circa 34 milioni di euro, che lo stesso Agnelli, da non esperto di economia e probabilmente mal consigliato da persone ritenute "fidate", avrebbe voluto inserire nel bilancio 2021/2022 da votare a fine dicembre. Una posizione quella del presidente che rispetta sempre le regole che ha sconcertato non poco i tre sindaci di bilancio della società bianconera, entrati in carica da poco più di un anno, davanti all’insistenza del management sempre più preoccupato dalla gestione poco ortodossa.

Da qui il commissariamento e la discesa in campo di John Elkann che ha di fatto messo alle strette il cugino Andrea, ottenendo le dimissioni sue e dell’intero board della Juventus. Una mossa imposta all’ormai ex presidente dopo che la procura di Torino aveva chiesto addirittura i domiciliari (poi rigettati dal Gip). Procura che, dopo l’avviso di conclusione delle indagini di un mese fa, nelle scorse ore ha firmato la richiesta di rinvio a giudizio nel procedimento sui conti della società bianconera. L’atto riguarda Agnelli, il vicepresidente Pavel Nedved e altre 11 persone. Stralciate le posizioni dei tre componenti del collego sindacale.

Una inchiesta che mira a far luce sulle plusvalenze artificiali per 155 milioni di euro, le notizie false sulla manovra stipendi, le perdite di esercizio inferiori a quelle reali. E ancora: false comunicazioni sociali, manipolazione del mercato, dichiarazioni fraudolente con utilizzo di fatture per operazioni inesistenti, ostacolo alle autorità di vigilanza. Reati che avrebbero potuto essere reiterati nel bilancio 2021/22 se fosse stato approvato: rischio che le dimissioni del cda hanno azzerato, tanto che la Procura ha deciso di rinunciare all’appello al Riesame, con cui chiedeva misure interdittive per gli indagati.

Agnelli avrà modo di difendersi nel corso del processo per dimostrare ancora una volta, se ancora qualcuno avesse qualche dubbio, che il rispetto delle regole è una prerogativa imprescindibile del suo mandato che, scudetti di fila a parte (ben nove, molti dei quali conquistati tra numerose polemiche), verrà principalmente ricordato per tutti questi scandali che hanno macchiato l’immagine di una società che dopo Calciopoli non riesce proprio a risollevare la propria reputazione.

Ciro Cuozzo. Giornalista professionista, nato a Napoli il 28 luglio 1987, ho iniziato a scrivere di sport prima di passare, dal 2015, a occuparmi principalmente di cronaca. Laureato in Scienze della Comunicazione al Suor Orsola Benincasa, ho frequentato la scuola di giornalismo e, nel frattempo, collaborato con diverse testate. Dopo le esperienze a Sky Sport e Mediaset, sono passato a Retenews24 e poi a VocediNapoli.it. Dall'ottobre del 2019 collaboro con la redazione del Riformista.

«Pressioni della Procura per fare l’udienza sul caso Juve». Massimiliano Nerozzi su Il Corriere della Sera il 15 Dicembre 2022.

La Camera penale: «Sollecitazioni per il clamore mediatico»

La Camera penale «Vittorio Chiusano» la tocca piano, visto che parliamo (anche) di calcio: in una nota, i penalisti accusano il presidente del tribunale di aver modificato «i criteri di priorità nella trattazione degli affari penali, su mera sollecitazione della Procura della Repubblica e, chiaramente, in ragione della pendenza di un noto procedimento penale che ha avuto e ha tuttora un clamore mediatico rilevante». Insomma: per consentire di celebrare con una celerità sconosciuta ad altri procedimenti l’udienza preliminare del processo sui conti della Juve, anche prima del 31 gennaio.

Per capire, bisogna riavvolgere la storia fino al 15 novembre quando il presidente vicario del tribunale, Modestino Villani, scrive il primo decreto, in vista di uno «schema di variazione tabellare del settore penale che prevede una redistribuzione delle materie tra le sezioni penali e una diversa allocazione dei giudici». Dunque — riassume la Camera penale — disponeva «che si potessero celebrare esclusivamente le udienze preliminari per i processi con imputati sottoposti a misura cautelare, con rinvio di quelli già in corso, e sospensione delle assegnazioni delle richieste di rinvio a giudizio a ciascun gip a data successiva al 31 gennaio 2023». Mossa criticata dagli avvocati: «Scarsamente condivisibile, atteso che la mancata celebrazione delle udienze preliminari non era accompagnata da un progetto di organizzazione che potesse poi favorire la celebrazione delle successive fasi dibattimentali prima dell’anno 2024».

Il 2 dicembre, la modifica: «Su sollecitazione della Procuratrice della Repubblica — scrive il direttivo presieduto dall’avvocato Roberto Capra — che pare aver inviato una nota con la quale “ha richiesto una maggior apertura nella previsione dei processi da non fare ricadere nella sospensione, indicando categorie di processi che, pur non coinvolgendo imputati sottoposti a misura cautelare personale, rivestono carattere di maggiore urgenza”». Da qui, il secondo decreto di Villani, giudice molto stimato a palagiustizia: via libera alle udienze preliminari anche nei casi «nei quali siano applicate misure cautelari reali per un valore superiore a 50.000 euro o a carico di interi compendi societari con nomina di amministratore giudiziario nonché nei confronti di società sottoposte ad amministrazione straordinaria o quotate nel mercato telematico azionario». Come la Juve. O ancora, «rispetto ai quali le parti abbiano segnalato la pendenza di parallele procedure di decadenza della responsabilità genitoriale, di adozione o nelle quali si controverta sull’affidamento di figli minori». Ma a spostare, per gli avvocati, è stato il processo alla Juve.

Giuseppe Legato per “La Stampa” il 16 dicembre 2022.

Il procedimento penale che vede imputati gli ex vertici della Juventus (da Andrea Agnelli a Pavel Nedved a Maurizio Arrivabene tra gli altri) per falso in bilancio, false fatturazioni e aggiotaggio fa litigare le toghe torinesi. Avvocati contro Tribunale e procura. 

L'affondo della più importante rappresentanza associativa dei penalisti è in una nota inviata ieri pomeriggio che critica aspramente la circolare emessa dai vertici degli uffici giudicanti accusata senza tanti giri di parole di aver riaperto le porte a una veloce fissazione dell'udienza preliminare dell'inchiesta sulla società bianconera.

Gli avvocati riconducono la ratio del provvedimento (in realtà più esteso al caso singolo) alla pendenza «di un noto procedimento che ha avuto e ha tuttora un clamore mediatico rilevante». Juve, appunto. «E non possono essere le eventuali aspettative dell'opinione pubblica a dettare l'agenda degli uffici giudiziari». 

Andiamo con ordine: fino all'altroieri tutte le richieste di rinvio a giudizio di indagati (non detenuti) in procedimenti pendenti innanzi al tribunale del capoluogo piemontese avrebbero dovuto attendere fino al 31 gennaio 2023 per ottenere una fissazione dell'udienza preliminare. Lo aveva deciso il 15 novembre scorso il presidente (reggente) del Tribunale Modestino Villani.

Tutte le date erano full per cui si era approvato «uno schema di variazione tabellare del sistema penale». Il messaggio era indirettamente inviato anche ai pm: se chiedete il processo per i vostri imputati a piede libero non si fisserà nulla prima di quella data con il discrimine sugli indagati ristretti in carcere. 

Provvedimento - a prima vista - obbligato. Senonché il 2 dicembre scorso lo stesso Villani ha modificato le disposizioni (pubbliche da ieri) inserendo altre deroghe sulla scorta - ha scritto lui nel provvedimento - «della richiesta di una maggiore apertura nelle revisione di processi da non fare cadere nella sospensione inoltrata dal procuratore capo Anna Maria Loreto». Tra queste, quelle «in cui figurano sequestri per più di 50 mila euro a carico di interi compendi societari, quelle attinenti alla decadenza della responsabilità genitoriale, di adozione o sulle quali siano in corso controversie sull'affidamento di minori e - infine - per procedimenti verso società quotate nel mercato azionario telematico». In Borsa, per capirci.

Apriti cielo. I penalisti sono saliti sulle barricate: «Già il primo decreto appariva scarsamente condivisibile atteso che la mancata celebrazione delle udienze preliminari fino al 31 gennaio non era accompagnata da un progetto di organizzazione che potesse poi favorire la celebrazione delle successive fasi dibattimentali, ma il secondo - dice il presidente dei penalisti Roberto Capra - appare ancora meno condivisibile perché introduce una selezione di criteri di priorità svincolata da qualsiasi norma di legge». 

Anzi: «solo il legislatore «può indicare criteri prioritari nella trattazione degli affari penali e non può essere certo un organo politicamente irresponsabile a stabilire quali processi si possano o meno celebrare».

Sul fronte dell'inchiesta va detto come molti siano in attesa della pronuncia della Procura generale di Cassazione sull'istanza presentata dai legali Juve con cui chiedono lo spostamento del procedimento a Milano per competenza territoriale essendo - a loro avviso - avvenuto in Borsa il reato più grave tra quelli contestati. La procura ovviamente sostiene il contrario. E avendo chiesto il rinvio a giudizio degli indagati ha di fatto esautorato quell'organo della possibilità di esprimersi in maniera vincolante. Spetterà al gup decidere. Quando verrà fissata l'udienza preliminare che sta facendo litigare le toghe.

Superlega, l'avvocato generale della Ue: "Fifa e Uefa non violano le norme sul monopolio". La replica: "Non possono negare tornei di terzi". Matteo Pinci su La Repubblica il 15 Dicembre 2022.

Il presidente dell'Uefa Aleksander Ceferin (primo da destra) in Qatar per i Mondiali (ansa)

Le norme di Fifa e Uefa che sottopongono ad autorizzazione preventiva qualsiasi nuova competizione sono compatibili con il diritto della concorrenza dell'Unione: "Restrizioni giustificate da finalità legittime"

Un durissimo colpo alla Superlega. L'avvocato generale della Corte di Giustizia Europea, Rantos, nel suo parere, potrebbe aver chiuso in via definitiva l'esperienza della Superlega. "Le regole della Fifa e della Uefa che sottopongono a una autorizzazione preventiva qualunque nuova competizione calcistica sono compatibili con il diritto dell'Unione Europea". In sintesi, l'avvocato generale non vieta - e come potrebbe - la Superlega. Ma autorizza la Uefa a escludere dalle proprie competizioni chi voglia organizzarne di proprie: "La Superlega è libera di organizzare la propria competizione calcistica indipendente al di fuori dell'ecosistema Uefa e Fifa - si legge nell'opinione di Rantos - ma non può tuttavia, parallelamente alla creazione di tale competizione, continuare a partecipare a competizioni organizzate dalla Fifa e dalla Uefa senza la preventiva autorizzazione di tali federazioni".

"Restrizioni giustificate da finalità legittime"

Non si tratta della sentenza definitiva: quella è attesa in primavera, probabilmente a marzo. Ma questo parere rappresenta la base su cui quel verdetto verrà elaborato. E nei fatti, dà ragione alla Uefa e torto ai separatisti, ossia Juventus, Real Madrid e Barcellona, secondo cui le istituzioni sportive calcistiche agiscono in regime di monopolio violando le regole del libero mercato. No, per Rantos la Uefa - e ovviamente anche la Fifa - non violano norme europee. Anzi, il requisito dell'approvazione preventiva da parte di Uefa e Fifa per chiunque voglia organizzare una competizione europea è addirittura "necessario, giustificato da finalità legittime". Perché anche accertato che tali norme abbiano ad oggetto una restrizione della concorrenza, resta il fatto secondo cui "l'obbligo principale della Uefa è... garantire che a terzi non sia indebitamente negato l'accesso al mercato al punto da falsare la concorrenza su tale mercato". 

La Uefa: "Difeso il merito sportivo"

Un parere accolto immediatamente con grande soddisfazione dalla Uefa, che ha emesso un comunicato lampo, accogliendo "con grande favore l'inequivocabile Parere di oggi che raccomanda una sentenza della CGUE a sostegno della nostra missione centrale di governare il calcio europeo, proteggere la piramide e sviluppare il gioco in tutta Europa". La Uefa anche aggiunto che questo parere "rappresenta un passo incoraggiante verso il mantenimento dell'attuale struttura di governance dinamica e democratica della piramide calcistica europea. Il parere rafforza il ruolo centrale delle federazioni nella protezione dello sport, sostenendo i principi fondamentali del merito sportivo e dell'accesso aperto a tutti i nostri membri, nonché unendo il calcio alla responsabilità condivisa e alla solidarietà". Anche perché, secondo la Uefa, "il calcio in Europa rimane unito e fermamente contrario alla Superlega, o a qualsiasi proposta separatista, che minaccerebbe l'intero ecosistema sportivo europeo".

La Superlega non si arrende

E la Superlega che ne pensa? Ufficialmente, nessuno ha commentato, nemmeno il Ceo Bernd Reichart. Ma su twitter A22, la società che ha sviluppato la Superlega, ha postato due frasi del parere di Rantos che evidentemente ritiene favorevoli: quelle in cui dice che "i criteri devono consentire di stabilire le condizioni di accesso al mercato in modo chiaro, obiettivo e dettagliato e dare a qualsiasi organizzatore di concorsi di terze parti una visibilità sufficiente della procedura da seguire e delle condizioni da soddisfare per l'accesso al mercato. Se le condizioni sono soddisfatte, l'accesso al mercato non dovrebbe essere rifiutato in linea di principio". Insomma, come a dire: la partita non è finita.

Gravina: "Siamo soddisfatti"

Sul caso Superlega ha parlato anche il presidente della Figc, Gabriele Gravina: "Sono molto soddisfatto del parere dell'avvocato generale della Corte Ue perché è in linea con quanto sostenuto dalla nostra Federazione e dalla Uefa sin dall'annuncio della Superlega. Il sistema sportivo, sia europeo che mondiale, non può prescindere dal riconoscimento delle organizzazioni internazionali Uefa e Fifa ed è in questo quadro che vengono promossi la democrazia interna, il modello organizzativo piramidale e il merito sportivo. Confidando nella stessa impostazione anche nella sentenza della Corte, ritengo che tutte le componenti della famiglia del calcio europeo e mondiale sia uniscano per superare le difficoltà contingenti e per sviluppare il calcio a tutti i livelli".

Da fanpage.it il 16 dicembre 2022. 

Una Superlega di separatisti? Ma quando mai. Le conclusioni a cui è giunto l’avvocato generale Rantos sono di tutt’altro avviso. Nella battaglia tra la Uefa e i tre club ribelli (Barcellona, Juventus e Real Madrid) emerge lo scenario di una lega per nulla disposta ad abbandonare l’attuale unione. Un gruppo di club che vuole creare una competizione propria, con affari da gestire in autonomia e ricavi da record, senza però uscire dalla sfera calcistica abituale, quella dei campionati nazionali che si svolgono sotto l’egida e i regolamenti di Uefa e Fifa. «In altre parole – come scrive l’avvocato generale Athanasios Rantos – sembrerebbe che i club fondatori dell’Eslc vogliano, da un lato, beneficiare dei diritti e dei vantaggi legati all'appartenenza alla Uefa, senza tuttavia essere vincolati dalle regole e dagli obblighi della Uefa». 

Sul piano delle norme che regolano la concorrenza all’interno dell’Unione Europea, le conclusioni poste all’attenzione della Corte di Giustizia evidenziano come non si possa «criticare un’impresa (o un’associazione di imprese come l’Uefa) per aver tentato di tutelare i propri interessi economici, in particolare in relazione a un simile progetto “opportunistico” che rischierebbe di indebolirla in modo significativo». Un indebolimento che non toccherebbe i club partecipanti alla Superlega, dato che secondo l’avvocato generale la loro intenzione non sarebbe «quella di creare una lega vera e propria, chiusa e indipendente (una lega separatista), ma di creare una competizione rivale con quella dell’Uefa nel segmento più redditizio del mercato dell’organizzazione delle competizioni calcistiche europee, pur continuando a far parte dell’ecosistema Uefa partecipando ad alcune di tali competizioni (e in particolare ai campionati nazionali)».

Quindi, secondo questa ricostruzione, le società che nell’aprile 2021 avevano deciso di creare una propria lega (nove delle quali poi costrette a fare dietrofront nel giro di 48 ore, tra proteste dei tifosi e dei governi), non avevano alcuna intenzione di abbandonare la Uefa. Non avrebbero potuto, perché avrebbero perso la possibilità di partecipare ai rispettivi campionati nazionali e, di conseguenza, avrebbero perso introiti milionari per quanto riguarda i diritti televisivi. Pensate alle inglesi, le prime a fuggire dalla Superlega: Prima della pandemia di Covid-19, quindi nella stagione 2018/19, le sei società di Premier League coinvolte nel progetto (Arsenal, Chelsea, Liverpool, Manchester City, Manchester United e Tottenham) hanno ottenuto 879,4 milioni di sterline dai proventi televisivi del campionato, pari a poco più di un miliardo di euro al cambio dell’epoca. 

Sanzioni Uefa, il parere dell’avvocato generale

La commercializzazione dei diritti delle competizioni Uefa, altro punto su cui si basava il ricorso dei club della Superlega, «appaiono inerenti al perseguimento delle legittime finalità connesse alla natura specifica dello sport e proporzionata ad esse». Gli articoli 101 e 102 del Tfue, relativi appunto alla concorrenza, vanno interpretati su questa base. Anche l’esistenza di una posizione dominante da parte di Uefa e Fifa «non priva un’impresa che si trovi in tale posizione né del diritto di salvaguardare i propri interessi commerciali, qualora siano minacciati, né del potere, in misura ragionevole, di adottare le misure che ritiene opportune al fine di tutelarle, purché tale comportamento non costituisca un abuso di posizione dominante».

Se c’è una critica alla Uefa, infatti, quella è proprio sulle sanzioni. Non ai danni dei club, perché la formula della Superlega «potrebbe avere l’effetto di pregiudicare l’attrattiva e la redditività delle competizioni Uefa (in particolare la Champions League) e di ridurre quindi i relativi introiti, una percentuale dei quali è destinata al calcio di base». È semmai sulle sanzioni ai giocatori che prenderebbero parte a questa Superlega che l’avvocato generale ha un parere diverso: «L’imposizione di sanzioni che non erano parte della decisione di costituire l’Esl mi sembra sproporzionata, in particolare per quanto riguarda la loro partecipazione alle squadre nazionali». Inoltre, «privare le nazionali interessate di alcuni dei loro giocatori equivarrebbe a sanzionarle anche indirettamente». 

La nascita di una competizione concorrente, già di per sé, «avrebbe inevitabilmente un impatto negativo sui campionati nazionali riducendo l’attrattiva di tali competizioni (e in particolare di quelle degli Stati membri i cui club fanno parte dell’Esl)». Tanto più se i club fondatori si trovassero «protetti, nei loro campionati nazionali, dalla concorrenza dei club rivali per un posto in una competizione europea di alto livello». Qui si pone l’accento sul concetto di lega chiusa, in cui «la maggioranza dei club partecipanti all’Esl (vale a dire 15 dei 20 partecipanti) vedrebbe garantita la propria partecipazione». Qualcosa che va in contrasto con quanto ammesso nelle scorse settimane dal Ceo di A22 Sports Management, la società che gestisce la Superlega. Bernd Reichart ha parlato di competizione «aperta e meritocratica», cosa che non era previsto nel piano iniziale in cui si fa riferimento a «15 fondatori e 5 qualificate annuali».

Alla luce di tali osservazioni, l’avvocato generale ritiene che il riconoscimento della Superlega debba essere «subordinato a un regime di approvazione preventiva» da parte di Uefa e Fifa e che «il mancato riconoscimento da parte della Fifa e dell’Uefa di una competizione sostanzialmente chiusa come l’Esl possa essere considerato inerente al perseguimento di taluni obiettivi legittimi, in quanto lo scopo di tale non riconoscimento è quello di mantenere i principi di partecipazione basati sui risultati sportivi, sulle pari opportunità e sulla solidarietà su cui si fonda la struttura piramidale del calcio europeo».

Principi che di recente la Commissione Europea ha ribadito siglando un accordo di cooperazione fino al 2025 con la Uefa. Principi che l’avvocato generale Rantos ha sottolineato nei suoi pareri, presentati alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, la quale sarà chiamata a pronunciarsi in primavera.

Daniele Dell'Orco per “Libero quotidiano” il 17 dicembre 2022.

Soddisfatto per essere riuscito tutto sommato a superare l'uragano di polemiche che hanno accompagnato il mondiale in Qatar, il presidente della Fifa Gianni Infantino ieri a Doha ha annunciato la nuova rivoluzione del mondo del calcio, che nelle sue intenzioni dovrà avere una dimensione sempre meno locale e sempre più planetaria. 

 Se l'idea di allargare il numero delle nazionali che parteciperanno alla Coppa del mondo 2026 è ancora in fase di definizione (saranno 48 ma non si sa ancora se suddivise in 16 gironi da 3 o 12 da 4), quella che di certo rappresenta una novità assoluta è la formula del Mondiale per Club. La prossima edizione, quella del 2023 in Marocco (si giocherà dall'1 all'11 febbraio) sarà l'ultima col formato a sette squadre: i vincitori della Champions delle sei confederazioni Fifa, più una squadra della nazione ospitante.

L'edizione successiva, del 2025, sarà invece un vero e proprio Mondiale con le migliori 32 squadre del mondo. Un torneo del genere riformato con 24 squadre doveva originariamente già debuttare nel 2021 in Cina, ma è stato posticipato per consentire lo svolgimento degli Europei 2020 e della Copa America dopo un rinvio di un anno a causa del coronavirus. Ora, prima del via, verrà "perfezionato" a 32 squadre (i dettagli, tra cui la nazione ospitante e la data, devono ancora essere discussi e decisi). 

Questo progetto, e l'enorme giro d'affari che può generare, potrebbe spostare l'asticella del rapporto tra risultati sportivi e business molto più verso le competizioni internazionali che verso i campionati nazionali. Attrarre top player per le ricche squadre mediorientali (e qatariote) o nordamericane diventerebbe molto più semplice, e potrebbero nel giro di qualche edizione arrivare a competere persino per la vittoria. 

Ma non è tutto, perché la Fifa ha annunciato che saranno organizzate anche la Coppa del Mondo per club femminile e un Mondiale di futsal femminile, oltre ad una finestra di tornei amichevoli ma con un certo quoziente di competitività stile "Nations League". 

Si chiameranno FIFA World Series. L'idea nasce dalla revisione delle finestre di pause di settembre e ottobre unite in un'unica finestra estesa per un massimo di quattro partite, dal 2025 in poi. Le partite delle World Series si giocheranno nella finestra di marzo degli anni pari (quando non ci sono le qualificazioni ai Mondiali o agli Europei) tra quattro squadre di diverse confederazioni. Come la finestra di marzo, le interruzioni internazionali di giugno e novembre rimangono in vigore. 

 Di pari passo a questa grande rivoluzione mondiale, procede anche la già varata riforma della Champions voluta dall'Uefa ma nell'idea di base con uno scopo analogo: aumentare i partecipanti, il coinvolgimento di altri Paesi e quindi anche il giro d'affari. La modifica principale della nuova Champions riguarda l'attuale fase a gironi che diventerà una fase di campionato unica con tutte le squadre partecipanti, che non saranno più 32 ma 36.  

Ad ogni squadra sarà garantito un minimo di 8 partite della fase di campionato contro 8 diverse avversarie (così da disputare 4 partite in casa e altrettante in trasferta) anziché le attuali 6 partite disputate contro le tre squadre del girone. Più partite uguale più introiti per tutti. E meno bisogno per i top club di inventarsi soluzioni alternative come la Superlega di turno.

Il calciomercato dei procuratori: una tassa da 600 milioni (all'anno). Giovanni Capuano il 15 Dicembre 2022 su Panorama

La Fifa pubblica i dati del 2022 con la conferma che la crisi non è passata, ma c'è chi ha ricominciato a guadagnare come prima del covid.

Nel 2022 i club calcistici di tutto il mondo hanno pagato una tassa da 587 milioni di euro per portare a compimento i propri affari di calciomercato. Un balzello finito nelle tasche di agenti ed intermediari attraverso le commissioni che spesso sono uno dei nodi centrali nelle trattative intorno ai top player internazionali. Storie di mercato in cui la differenza tra una squadra e l'altra la fa spesso l'assegno riconosciuto a chi gestisce la trattativa tra due società. A fare il conto è il consueto report della FIFA che si basa sui dati inseriti nel cervellone che registra tutti i movimenti di calciatori. La notizia è che la crisi Covid, almeno per i procuratori, è alle spalle. I 587 milioni di euro si avvicinano, infatti al record del 2019 (617) e segnano un progresso del 24% rispetto all'anno scorso quando ancora il calciomercato risentiva delle conseguenze della mancanza di denaro da parte dei club. Evidentemente non bastano i bilanci disastrati di larga parte del sistema per dissuadere il ritorno a vecchie forme di gestione delle trattative.

Ad affidarsi agli intermediari rimangono soprattutto le squadre che si muove per acquistare un giocatore: accade in tre quarti delle occasioni e muove un giro d'affari da 424 milioni di euro. Ad attirare i professionisti del calciomercato sono sempre più anche le donne, fenomeno in ascesa anche nel Vecchio Continente dopo aver vissuto soprattutto nel Nord America. Nel 2022 il numero di trasferimento che ha visto il coinvolgimento di figure professionali di intermediazione è cresciuto del 43%. Quasi tutta la spesa per agenti e procuratori viene generata in Europa: 96,2%. A trainare è la ricchissima Inghilterra con 191 milioni di euro ma l'Italia viene subito dopo con 83 milioni pur generando in assoluto volumi inferiori di investimenti. A seguire Portogallo (62), Spagna (57), Germania (53) e Francia (28).

Gianluca Lengua per ilmessaggero.it il 30 marzo 2022.

La Figc ha diffuso i dati sulle commissioni elargite agli agenti dai 20 club di Serie A nel periodo compreso dal 1° gennaio 2021 al 31 dicembre 2021. La cifra totale ammonta a 173 milioni di euro e a guidare la speciale classifica è la Juventus con 28,9 milioni, seguita dall’Inter a quota 27,5 e dalla Roma al terzo posto con 25,9 milioni. 

Per quanto riguarda i giallorossi va precisato che 10 milioni sono debito scaduto negli anni precedenti al 2021. Dei 16 rimanenti, invece, 4 sono riconducibili alla gestione Tiago Pinto e gli altri 12 fanno parte di commissioni maturate quest’anno, ma stipulate in accordi precedenti al 2021.

La Roma, inoltre, ha inaugurato con l’acquisto di Tammy Abraham un nuovo modo per pagare le commissioni: non più in un’unica tranche, ma dilazionate. Per quanto riguarda l’ex Chelsea, ogni sei mesi scattano 400 mila euro che corrispondono al 10% del corrispettivo lordo dell’ingaggio (senza bonus). Ecco la classifica completa: 

Juventus – 28.914.175 euro

Inter – 27.512.882 euro

Roma – 25.962.250 euro

Milan – 12.567.884,67 euro

Atalanta – 8.353.775 euro

Fiorentina – 8.256.475 euro

Sampdoria – 7.227.645,10 euro

Napoli – 6.906.264,11 euro

Sassuolo – 6.817.361,37 euro

Udinese – 5.820.175,61 euro

Cagliari – 4.979.275 euro

Lazio – 4.716.477,29 euro

Genoa – 4.678.770 euro

Verona – 4.539.516,75 euro

Bologna – 3.961.288,80 euro

Empoli – 3.631.850 euro

Torino – 3.492.116 euro

Spezia – 2.391.278,14 euro

Venezia – 1.859.570,25 euro

Salernitana – 1.242.844,59 euro 

TOTALE – 173.831.816,68 euro

Elisabetta Esposito per gazzetta.it il 15 aprile 2022.

Tutti prosciolti. Nessuna sanzione per gli undici club e i 59 dirigenti coinvolti nel caso plusvalenze. Nella sentenza di primo grado, il Tribunale federale ha infatti deciso di assolvere tutti, dal presidente della Juve Andrea Agnelli a Fabio Paratici fino a Aurelio De Laurentiis. 

Il Tribunale ha dunque accolto integralmente l'apparato difensivo dei club, che avevano apertamente contestato il modello di valutazione dei giocatori definito dalla Procura Figc per definirne il “prezzo giusto”, ma anche soprasseduto sulla “violazione delle norme federali in materia gestionale ed economica” del comma più soft dell’articolo 31 e la “mancata lealtà” dell’articolo 4 del Codice di giustizia sportiva. In pratica si è ritenuto che in assenza di un accordo che provi la falsificazione di un valore non si possa procedere per un illecito. Tra una settimana le motivazioni, quindi il procuratore Chinè decidere se fare o meno ricorso.

Inchiesta plusvalenze: tutti prosciolti. Il tribunale Figc assolve De Laurentiis, Agnelli e le società coinvolte. Matteo Pinci su La Repubblica il 15 Aprile 2022.

La procura federale aveva chiesto, tra i 59 dirigenti che rischiavano una condanna sportiva, 12 mesi per il presidente della Juve e 11 mesi e 5 giorni per quello del Napoli. 

Il processo sulle plusvalenze scompare come una bolla di sapone. Tutti prosciolti: nemmeno un giorno di squalifica, nemmeno un euro di multa. L’impianto accusatorio della Procura federale frana drammaticamente già in primo grado. Un collasso rumorosissimo, che imbarazza inevitabilmente il procuratore federale Giuseppe Chinè, che aveva chiesto per il presidente della Juventus, Andrea Agnelli, 12 mesi di inibizione e per quello del Napoli, Aurelio De Laurentiis, 11 mesi e 5 giorni: in tutto attendevano la sentenza 59 dirigenti e undici società.

Per le motivazioni bisognerà attendere, ma si tratta di una sconfitta nel merito: il verdetto demolisce infatti l'impianto accusatorio, fondato sul sistema di valutazione "corretta" dei calciatori, da cui la Procura aveva determinato i valori gonfiati e di conseguenza le plusvalenze che aveva ritenuto, dichiaratamente "fittizie". Un sistema fondato su un "modello di valutazione" inventato dalla procura stessa, che poi aveva raffrontato i propri valori con quelli di Transfermarkt, un sito internet che determina le valutazioni sulla base di un forum di discussione degli utenti. Probabile che ora Chinè presenti appello, ma a questo punto è passato un concetto in maniera quasi insuperabile: decidere a tavolino quale sia il valore corretto di una transazione è impossibile.

Mazzata tremenda. Plusvalenze, procura Figc non partorisce nemmeno il topolino: tutti prosciolti, inchiesta demolita. Redazione su Il Riformista il 15 Aprile 2022. 

Inchieste show, dichiarazioni roboanti e servizi tv apocalittici sull’ennesimo scandalo nel mondo del calcio. Poi  la montagna non riesce a partorire neanche il topolino. Nulla. Tutti prosciolti con buona pace della Procura Federale che riceve una mazzata tremenda. L’inchiesta aveva coinvolto 11 società e 59 dirigenti. Nel dispositivo notificato dal Tribunale Federale nazionale a club e dirigenti coinvolti nel caso plusvalenze è presente solo il proscioglimento da tutte le accuse. Il messaggio lanciato dai giudici è che “decidere a tavolino quale sia il valore corretto di una transazione è impossibile” nonostante i tentativi della procura di creare un proprio “modello di valutazione”, raffrontato con i criteri di valutazione utilizzati dal portale Transfermarkt.

Per le motivazioni bisognerà attendere la prossima settimana, poi la procura potrà decidere se appellarsi o meno. Le società coinvolte nell’inchiesta erano Juve, Napoli, Samp, Empoli e Genoa (di serie A), Pisa e Parma (di serie B), oltre a Pro Vercelli e Pescara e le non più affiliate Chievo e Novara. Cadono così tutte le richieste del procuratore della Figc Giuseppe Chiné che nei giorni scorsi aveva chiesto per il presidente della Juve, Andrea Agnelli, un anno di inibizione e 800 mila euro di multa al club, mentre e per il numero uno del Napoli, Aurelio De Laurentiis, 11 mesi e 5 giorni di inibizione e 392 mila euro di ammenda alla società. Stesso discoro per l’ex direttore sportivo bianconero Fabio Paratici, per il quale erano stati richiesti 16 mesi e dieci giorni di inibizione, 6 mesi e 20 giorni per il ds Federico Cherubini e 8 mesi per Pavel Nedved, Maurizio Arrivabene e altri dirigenti. Per il Napoli, finito sotto la lente d’ingrandimento soprattutto per l’acquisto di Osimhen, c’era stata la richiesta di fermare per 9 mesi e 15 giorni l’amministratore delegato Andrea Chiavelli, 6 mesi e 10 giorni per Jacqueline Marie Baudit (moglie di De Laurentiis), Edoardo e Valentina De Laurentiis. Erano state previste anche le ammende per i club: 800 mila euro per la Juve, 392 mila euro per il Napoli.

Il Tribunale Federale ha accolto integralmente l’apparato difensivo dei club, che avevano apertamente contestato il modello di valutazione dei giocatori definito dalla Procura Figc per definirne il “prezzo giusto”. In sostanza si è ritenuto che in assenza di un accordo che provi la falsificazione di un valore non si possa procedere per un illecito. Raggiante il legale del Napoli Mattia Grassani che a Italpress commenta: “Il calciomercato è salvo. Il teorema della procura federale non è passato e la conseguenza che se ne ricava è che le società erano, sono e rimarranno libere di attribuire ai calciatori compravenduti le valutazioni di mercato ritenute più congrue, tenuto conto del momento, della volontà di investire e anche di assumersi il rischio di impresa”.

“Per quanto tiene al Napoli e all’operazione Osimhen già il deferimento ci era apparso una forzatura – ha aggiunto Grassani -, il pronunciamento del tribunale federale ha confermato che l’operazione è stata assolutamente cristallina. Il giocatore non solo valeva interamente il prezzo pagato, ma addirittura se il Napoli non fosse stato tempestivo e concreto il suo valore poteva aumentare ancora”.

Tutti prosciolti. Il caso plusvalenze era una boiata pazzesca (e lo si sapeva). L'Inkiesta il 15 Aprile 2022.

Attendevano la sentenza 59 dirigenti, tra cui il presidente della Juventus, Andrea Agnelli, e il patron del Napoli, Aurelio De Laurentiis accusati dalla procura federale. Il Tribunale della Federcalcio ha stabilito che sono tutti innocenti. Per le motivazioni bisognerà attendere. 

Il caso plusvalenze si è vaporizzato alla prova dei fatti, almeno in primo grado: le accuse non stavano in piedi. Tutti prosciolti. Il giudice non ha stabilito un singolo giorno di squalifica ai dirigenti, nemmeno un euro di multa alle società.

Il procuratore federale Giuseppe Chinè aveva chiesto 12 mesi di inibizione per il presidente della Juventus Andrea Agnelli e 11 mesi e 5 giorni per il patron del Napoli, Aurelio De Laurentiis. Erano coinvolti in tutti 59 dirigenti 11 club. Nessuno è stato sanzionato.

Per le motivazioni bisognerà attendere, ma è evidente che quanto ha stabilito il Tribunale demolisca l’impianto accusatorio, basato su una presunta “valutazione corretta” dei giocatori – quindi dei loro cartellini. Si parlava di valori gonfiati e di plusvalenze fittizie. Ma si tratta di un sistema di valutazione aleatorio, inventato dalla procura stessa.

Tuttavia, per ora quel che sappiamo con certezza – ma lo si sapeva anche prima – è che le tesi della Procura Figc sono state respinte e spazzate via perché non convincono i metodi adottati dagli inquirenti per individuare parametri economici, e perché non è stato possibile identificare i prezzi esatti dei giocatori.

Dopotutto era scontato che questa storia finisse così. Non esiste un listino prezzi dei calciatori, esistono delle valutazioni, che però sono sempre, inevitabilmente, soggettive. Forse anche manipolabili, ma come lo si può dimostrare?

La Procura aveva definito queste operazioni «salva bilanci», cioè trasferimenti a cifre volutamente gonfiate in grado di generare ricavi fittizi così da camuffare le perdite: sarebbero stati 39 milioni anziché 171 milioni nel 2019, 89 milioni anziché 209 milioni nel 2000, 209 milioni anziché 240 milioni nel 2021. Almeno secondo l’accusa. Solo che le plusvalenze, di per sé, non sono illecite. Le plusvalenze sono il guadagno che una società trae dalla cessione di un giocatore a un’altra società. Somme che per tutti i club sono tra le principali fonti di entrate. Inevitabilmente le plusvalenze sono, come per definizione, delle operazioni che un club fa per il proprio bilancio. Ma non per questo rappresentano un illecito.

Lo scorso autunno, quando si iniziò a parlare con insistenza dell’indagine della Procura, Leandro Cantamessa, legale del Milan quando il club rossonero finì sotto indagine per un caso di plusvalenze false nel 2008, aveva ricordato che «la plusvalenza di per sé è un concetto benefico per una società di calcio. Devi combatterlo quando diventa un fenomeno tossico. Ma il problema è sempre lo stesso: è molto difficile provare che le parti abbiano scientemente voluto concludere un affare fittizio. Non dimentichiamo che la storia del calcio è disseminata, in un senso o nell’altro, di errori incredibili di mercato: campioni comprati a poco o flop stravalutati».

Elisabetta Esposito per gazzetta.it il 17 maggio 2022.

La Corte federale d'appello a sezioni unite ha respinto il ricorso della Procura Figc sul caso plusvalenze, confermando i proscioglimenti del primo grado per gli undici club (tra cui Juventus, Napoli, Samp, Empoli e Genoa) e i 59 dirigenti (da Agnelli a De Laurentiis). La Corte ha respinto anche i ricorsi incidentali presentati da quattro dei club coinvolti (Juve, Samp, Empoli e Parma) per l’eccezione procedurale - respinta anche in primo grado - sul mancato deposito da parte della Procura della nota Covisoc sulle plusvalenze del 14 aprile 2021.

L'udienza davanti al presidente Torsello era iniziata poco dopo le 10 di questa mattina con un intervento molto duro del capo della Procura Chinè che aveva definito la sentenza del Tribunale federale in primo grado "totalmente immotivata", contestando anche il ricorso incidentale presentato da alcune società. 

Quindi i legali degli undici club coinvolti - i cinque già citati di Serie A più Parma, Pescara, Pisa, Pro Vercelli, Novara e Chievo - hanno fornito le loro controrepliche, per una fase dibattimentale durata circa quattro ore e mezzo. In circa tre ore la Corte federale d'appello ha invece deciso di confermare la decisione del Tribunale, respingendo il ricorso della Procura. 

Indagine su Ramadani, perquisito il super agente dei calciatori che fa affari in serie A. ALFREDO FAIETA E PIPPO RUSSO su Il Domani il 24 marzo 2022

Oltre a Ramadani, il soggetto maggiormente toccato dall’inchiesta italiana è l’agente Pietro Chiodi, l’unico della lista a essere italiano con società che ha sede legale in Italia

Lui si difende sostenendo che si tratta di una normale collaborazione internazionale fra agenti. Gli altri agenti coinvolti hanno nazionalità ceca, croata, bulgara. 

Le società italiane che hanno pagato intermediazioni sono Cagliari, Hellas Verona, Inter, Juventus, Milan e Napoli. E fra i nomi dei calciatori spiccano quelli di Chiesa, Handanovic, Pjanic e Rebic.

ALFREDO FAIETA E PIPPO RUSSO

La rete del denaro e delle alleanze di Fali Ramadani, il super agente del calcio. ALFREDO FAIETA E PIPPO RUSSO su Il Domani il 06 marzo 2022

L’indagine sui conti personali e societari di Ramadani aperti in Italia ha evidenziato flussi anomali di denaro, che passano anche da Saint Kitts and Nevis o dal Sudafrica via Botswana. Con Malta e poi Irlanda a fare da centri direzionali.

Passati al setaccio anche i bonifici disposti dalle società italiane (Fiorentina, Frosinone, Inter, Juventus, Milan, Napoli, Parma, Spal e Torino). Alcune fra queste hanno bonificato soldi presso le società maltesi del sistema anziché sul conto italiano della Primus.

Fra i tanti dettagli delle carte d’indagine spunta un controllo di pubblica sicurezza condotto a gennaio 2004 presso Valico Rabuiese (Trieste). Quel giorno Ramadani era in compagnia dell’albanese Bashkim Osmani, arrestato nei giorni scorsi in Croazia. ALFREDO FAIETA E PIPPO RUSSO

Alfredo Faieta e Pippo Russo per editorialedomani.it il 24 marzo 2022.

Oltre a Ramadani, il soggetto maggiormente toccato dall’inchiesta italiana è l’agente Pietro Chiodi, l’unico della lista a essere italiano con società che ha sede legale in Italia. 

Lui si difende sostenendo che si tratta di una normale collaborazione internazionale fra agenti. Gli altri agenti coinvolti hanno nazionalità ceca, croata, bulgara.

Le società italiane che hanno pagato intermediazioni sono Cagliari, Hellas Verona, Inter, Juventus, Milan e Napoli. E fra i nomi dei calciatori spiccano quelli di Chiesa, Handanovic, Pjanic e Rebic. 

Procura di Milano e Guardia di finanza non mollano la presa su Abdilgafar ‘Fali’ Ramadani, il super-agente calcistico di origine macedone che negli anni ha raggiunto una caratura internazionale grazie alla gestione di molti talenti – in gran parte di nazionalità slava - tra i quali anche qualche italiano di valore come Federico Chiesa, l'attaccante della Juventus messo fuori gioco un paio di mesi fa da un brutto infortunio.

Ramadani, com'è noto, è indagato dallo scorso anno con l'accusa di aver evaso il fisco italiano e aver autoriciclato quelle somme di denaro. Per questo motivo nei mesi scorsi il nucleo valutario della Gdf aveva già fatto una serie di acquisizioni di documentazione presso 11 società calcistiche italiane e presso il suo collega Pietro Chiodi, che lo assiste negli affari italiani e che risulta anche lui indagato nella stessa inchiesta, ma con l'accusa di riciclaggio. 

Secondo quanto risulta a Domani, però, anche il super-agente è stato oggetto di una perquisizione lampo nei giorni scorsi, quando di passaggio a Milano è stato intercettato dai finanzieri, nell’hotel di lusso dove soggiornava.

La Gdf ha sequestrato il suo materiale informatico che potrebbe essere zeppo di segreti dell'ambiente calcistico europeo che conta, visto il livello delle sue operazioni. Solo gli esiti della copia forense del suo materiale potranno confermare se vi sono elementi utili alle indagini italiane. E forse anche per quelle spagnole, dato che l'agente è indagato anche lì e la procura italiana è in attesa di carte che dovrebbero arrivare anche dal Paese iberico.

Come raccontato da Domani in un altro articolo sul super-agente (pubblicato il 7 marzo), la procura di Milano indaga da mesi sugli affari di Ramadani. In particolare, a richiamare i sospetti è stato il mutamento di stile operativo nel mercato italiano, dove dal 2020 la società di Fali Ramadani smette di operare in modo diretto sul mercato italiano. Fino al 2019 il nome dell’agenzia irlandese Primus Sports Consultancy Limited risulta nel registro provvisorio degli agenti sportivi presso la Federazione italiana gioco calcio (Figc), un elenco cui sia le persone fisiche che le persone giuridiche devono iscriversi anno per anno.

Nell’anno solare 2019 la Primus risulta presente in due transazioni, condotte dal suo agente Pedro Alberto Pereira Barbosa. Che è un portoghese dalla storia originale. Nella stagione 2015-16 ha lavorato nella Fiorentina dei Della Valle come responsabile dello scouting estero. 

Ma dopo avere sciolto il vincolo con la società viola è passato a fare l’agente con Lian Sports, l’agenzia fondata da Ramadani e successivamente passata sotto il cappello della Primus. E da agente Pereira ha incassato laute commissioni dalla Fiorentina dopo esserne stato stipendiato. 

Così è stato nel 2018 e si ripete nel 2019, quando una delle due transazioni concluse da Primus riguarda il passaggio in viola di tal Toni Fruk, un carneade croato che è uno fra i tanti esuberi scaricati da Ramadani all’acuto Pantaleo Corvino, allora responsabile del mercato per la società viola.

L’altra transazione registrata a nome della Primus e di Pedro Pereira riguarda il passaggio di un altro calciatore croato, il centrocampista Marko Rog, dal Napoli al Cagliari. Il trasferimento di Rog avviene secondo la formula del prestito oneroso per la prima stagione (2 milioni di euro), con riscatto fissato a 15 milioni di euro per la stagione successiva. 

Ma proprio a margine di questo trasferimento si registra la prima anomalia. Che, secondo l’ipotesi investigativa presente nelle carte della Guardia di Finanza, lette da Domani, sarebbe traccia di un sistema messo in piedi da Ramadani per eludere il fisco italiano.

Succede infatti che il registro Figc dia conto di un’altra intermediazione relativa al passaggio di Rog (che, va ricordato, è assistito dalla Lian Sports di Ramadani) al Cagliari. Risulta che nell’affare entri e venga pagato anche l’agente italiano Pietro Chiodi, titolare della Pietro Chiodi Soccer Management S.r.l., agenzia con sede a Roma fatta oggetto di perquisizione lo scorso 13 dicembre. 

Come gli stessi inquirenti mettono in evidenza, fra Chiodi e Ramadani esiste un rapporto di collaborazione consolidato negli anni. E quel rapporto viene ulteriormente rafforzato quando, a partire dal 2020, Ramadani e la Primus smettono di operare direttamente sul mercato italiano per affidarsi a altri soggetti, regolarmente iscritti al registro provvisorio Figc, per la gestione dei trasferimenti di propri assistiti all’interno del mercato italiano. 

Fra questi soggetti spicca proprio Chiodi, che dal canto suo proprio di recente ha inaugurato una società al 50 per cento con Francesco Totti (la Coach Consulting Srl) per gestire carriere di allenatori.

L’agente romano interviene, durante l’anno solare 2020, in due importanti trasferimenti di calciatori gestiti da Lian Sports: quello di Miralem Pjanic da Juventus a Barcellona (ammontare della transazione, 60 milioni di euro) e quello di Diego Demme dal Rasenballsport Lipsia al Napoli (ammontare della transazione, 10,25 milioni di euro). 

Le cronache giornalistiche di quei giorni parlano apertamente del ruolo fondamentale giocato da Fali Ramadani nella conclusione di entrambi i trasferimenti, eppure è Chiodi a risultare come intermediario italiano per le due trattative.

E a questo titolo emette fatture alle due società italiane: due fatture da 610mila euro ciascuna alla Juventus, ammortizzate per metà dall’emissione di una nota di credito da altrettanti 610mila euro, e tre fatture al Napoli per complessivi 1.365.810 euro. 

Dal canto suo, come risulta dalle carte, anche Primus emette fatture nei confronti delle due società (per 718.055,40 euro al Napoli e per 305mila euro alla Juventus). E infine, agli inquirenti risulta che Primus abbia emesso nei confronti della Pietro Chiodi Soccer Management, tra giugno e novembre 2020, una serie di fatture per complessivi 2.467.218,20 euro.

In attesa che l'inchiesta della procura di Milano si chiuda, l’agente romano prova a difendersi dalle accuse di riciclaggio del denaro proveniente dalla presunta evasione fiscale di Fali Ramadani. 

Gli investigatori sono partiti con l'analisi di tre operazioni condotte tra il 2019 e il 2020 (Rog, Pjanic e Demme) per poi cercare di comprendere meglio il rapporto tra i flussi di denaro milionari tra i due procuratori, specchio del loro legame lavorativo.

Chiodi ha affidato la sua linea difensiva a una memoria nella quale sono analizzati tutti i trasferimenti ritenuti sospetti sia da un punto di vista finanziario sia da quello fiscale e tributario. Il testo della memoria arriva alla conclusione che Chiodi non riceva somme di provenienza illecita da Ramadani. E che quindi non possa essere il riciclatore di quest'ultimo. 

Ma allora perché un giocatore come Pjanic, che pacificamente è gestito da Ramadani, ha bisogno anche di Chiodi per spostarsi al Barcellona? È sempre il procuratore romano a spiegarlo: Ramadani non è più abilitato a intermediare trasferimenti in Italia e deve quindi appoggiarsi a Chiodi (o al altri agenti abilitati in Italia) per tutte le firme e incombenze del caso.

Quest'ultimo che viene pagato dalle società per il servizio e poi gira parte del compenso al collega titolare esclusivo della gestione dei diritti. In effetti la Guardia di Finanza ha evidenziato questo passaggio di denaro in due tempi, che dalle società di calcio va a Ramadani dopo essere passato per il conto della Pietro Chiodi Soccer Management. 

Ci  sono anche dei flussi che dall'estero tornano all'agente romano? Lui sostiene di no, ma le indagini sono ancora in corso. I finanzieri, peraltro, attendono l'arrivo anche di carte dalla Spagna che potrebbero fornire ulteriori indicazioni sulle reali finalità dei tanti rivoli di denaro che si muovono vorticosamente intorno alle società di Ramadani. Ma ci vorrà tempo.

Per operare in Italia nonostante la mancata iscrizione al registro provvisorio Figc, Ramadani si è affidato non soltanto a Pietro Chiodi. Che è stato l’unico a subire un provvedimento di perquisizione perché è il solo italiano con società che ha sede legale in Italia.

Gli altri sono stranieri abilitati a operare in Italia o italiani con società che ha sede legale all’estero. Tutti quanti hanno intermediato trasferimenti o rinnovi di contratto riguardanti calciatori gestiti da Lian Sports e emesso fatture alle società italiane. 

La rete è davvero globale. Ne fa parte il ceco Viktor Kolar, che intermediava per conto di Ramadani già nel 2019, quando Primus era ancora iscritta al registro Figc. Kolar ha lavorato per i trasferimenti in prestito degli attaccanti croati Ante Rebic dall’Eintracht Francoforte al Milan e Nikola Kalinic dall’Atlético Madrid all’Hellas Verona. Rispetto a queste due intermediazioni non sono riportate cifre fatturate alle due società per l’intermediazione.

Cifre che invece sono indicate nel caso delle intermediazioni condotte dall’agente croato Tomislav Erceg, che fino a qualche tempo fa era in forza alla Lian Sports di Ramadani ma nel 2020 risultava titolare della Promotio Victorum D.O.O., società che ha intermediato il trasferimento in via definitiva di Kalinic all’Hellas Verona e per questo ha emesso una fattura da 305mila euro alla società gialloblu. 

Si sa anche quanto ha percepito Alessandro Pellegrini, l’agente che gestisce, fra gli altri, l’allenatore Maurizio Sarri, il cui passaggio alla Juventus nell’estate del 2019 è stato possibile anche grazie alla mediazione di Ramadani.

Pellegrini ha intermediato a settembre 2020 il trasferimento, con l’iniziale formula del prestito, di Federico Chiesa (altro calciatore di scuderia Lian Sports) da Fiorentina a Juventus, e tramite la società AM Procure Sportive Sagl (sede legale a Solduno, Canton Ticino) ha emesso fattura alla società bianconera per 150mila euro. 

E infine c’è il bulgaro Plamen Peychev, titolare dell’agenzia PMRS Management EODD. Che a settembre 2020 ha intermediato il trasferimento in via definitiva di Ante Rebic al Milan (fattura da 854mila euro per la società rossonera) e il rinnovo contrattuale di Samir Handanovic con l’Inter (fattura da 244mila euro per la società nerazzurra). 

E a proposito di quest’ultima trama bulgara nella rete globale di Fali Ramadani, desta curiosità che il super-agente macedone non si sia affidato alla FI Agency Consulting Limited, agenzia fondata nel 2012 con sede a Sofia di cui il super-agente è socio al 50 per cento. 

L’altra metà è detenuta da Nikolaj Andreev Ishkov, personaggio poliedrico: attore, produttore cinematografico, uomo d’affari, ex presidente del club calcistico dello Spartak Varna. Evidentemente il super-agente ha deciso di sperimentare altre piste bulgare. Ma adesso quella italiana gli risulta particolarmente insidiosa.

Valentina Lanzilli per corrieredibologna.corriere.it il 17 maggio 2022.

Dichiarava 5 mila euro annui e ne percepiva 13 milioni. Questa è una delle accuse rivolte dalla Procura Antonio Caliendo, ex presidente del Modena Calcio e per anni tra i più importanti procuratori sportivi (tra i suoi assistiti Aldair, Roberto Baggio, Carlos Dunga, Ramon Diaz, Daniel Passerella, Salvatore Schillaci, David Trezeguet). Nuovi guai dunque per l’ex patron della squadra cittadina, che con lui fallì nel 2017. 

Oltre alla mancata dichiarazione dei redditi, compresa l’omessa dichiarazione dell’Iva, con un’evasione stimata a 1,8 milioni di euro, le accuse mosse dalla Guardia di Finanza di Modena sono ben più gravi. «Pur residente nel Principato di Monaco, svolgeva la sua attività professionale con prestazioni soggette a tassazione in Italia, a favore di società sportive nazionali», si legge nella nota diffusa oggi dalla Procura di Modena. Un trasferimento di residenza all’estero che sarebbe fittizio, dunque, visto che l’indagato aveva mantenuto in Italia il proprio centro di interessi economici, familiari e sentimentali.

Sequestrati beni per 7 milioni

Non solo: dall’inchiesta emerge come Caliendo avesse costituito un’articolata struttura societaria creata allo scopo di compiere reati fiscali, finalizzata alla schermatura dei proventi percepiti, con sedi nel Principato di Monaco e in Lussemburgo. Dall’inchiesta emergono anche gravi indizi del reato di autoriciclaggio per una somma di circa 5 milioni di euro: fondi che sarebbero stati utilizzati per l’acquisto e il finanziamento del Modena Calcio. 

Per questo i miliari hanno dato esecuzione a un decreto di sequestro preventivo nel Principato di Monaco di beni immobili di lusso di sua proprietà, per un valore di circa 7 milioni di euro. Il provvedimento è stato emesso dal Gip di Modena al termine di un’inchiesta articolata, fatta di attività di perquisizione e sequestro, di indagini finanziarie e di rogatorie internazionali. Accuse di fronte alle quali l’ex presidente gialloblu ha scelto la strada del silenzio: «Parleranno i miei avvocati, non ho nulla da commentare», ha detto contattato telefonicamente.

Strapagati. Calciatori. Fabrizio Grasso per tag43.it il 14 maggio 2022.

Tre calciatori, quattro cestisti, un pugile, un tennista e un giocatore di football americano. È la lista dei 10 sportivi più pagati al mondo. Forbes ha infatti pubblicato i nomi degli atleti che hanno fatturato di più negli ultimi 12 mesi. In testa la stella del Psg e pallone d’oro Lionel Messi con 130 milioni, seguito da LeBron James e da Cristiano Ronaldo.

Criteri di valutazione sono, come ogni anno, stipendio, bonus sul contratto e premi in denaro, ma anche introiti esterni all’attività sportiva tra cui gli accordi di sponsorizzazione. Quest’anno hanno avuto grande impatto le criptovalute, tanto che Messi ha guadagnato 20 milioni grazie a una partnership con Socios, app che fa affidamento alla tecnologia blockchain. 

In totale, i 10 atleti più pagati al mondo hanno incassato 992 milioni di dollari, un calo del 6 per cento rispetto ai 12 mesi precedenti. Nonostante il calo, si tratta della terza classifica più ricca di sempre dopo gli 1,05 miliardi dell’anno scorso e all’1,06 del 2018, quando la lista comprendeva anche il pugile Floyd Mayweather.

In rialzo invece la soglia di sbarramento per entrare in classifica. Giannis Antetokoumpo, cestista dei Milwaukee Bucks, è entrato con 80,9 milioni di dollari, mentre nel 2019 per entrare in Top 10 erano sufficienti 65,4 milioni. Anche quest’anno, assenti le donne. 

1. Lionel Messi (130 milioni di dollari), il re degli atleti più pagati

Altro podio per la stella del calcio Lionel Messi. Il numero 30 argentino del Paris Saint-Germain ha infatti fatturato 130 milioni di dollari negli ultimi 12 mesi, 55 dei quali fuori dal campo. Il sette volte pallone d’oro ha infatti stretto un accordo con l’app di criptovalute Socios e mantenuto i contratti con Adidas, Pepsi e Budweiser.

Lo scorso è anche divenuto primo ambasciatore per gli atleti dell’Hard Rock International, eclissando così i suoi problemi sul campo. Dopo il passaggio da Barcellona a Parigi, ha segnato solo nove reti in 32 partite, uscendo agli ottavi di Champions League per mano del Real Madrid. 

2. LeBron James (121,2 milioni di dollari), l’atleta da 850 milioni di patrimonio

Avrà pur saltato i playoff di Nba dopo svariate stagioni, ma LeBron James è stato assoluto dominatore del basket fuori dal campo. La stella dei Los Angeles Lakers ha infatti totalizzato 121,2 milioni di dollari, 80 dei quali fuori dal parquet.

Fondamentale è stata la sua presenza in Space Jam: A New Legacy, sequel del fortunato primo capitolo con Michael Jordan. Ha poi venduto una piccola quota in SpringHill, società che ha prodotto anche il film con i Looney Tunes, e ha investito in StatusPro, startup che crea prodotti di fitness in realtà virtuale. Il suo patrimonio netto è di 850 milioni di dollari. 

3. Cristiano Ronaldo (115 milioni di dollari), la stella indiscussa dei social

Come il suo rivale di sempre Leo Messi, Cristiano Ronaldo non ha avuto grandi soddisfazioni sul campo nell’ultima stagione. Dopo il suo trasferimento dalla Juventus al Manchester United, ha detto addio alla Champions agli ottavi e in Premier si trova in un’anonima sesta posizione.

Sorride però il suo portafoglio, dato che ha fatturato 115 milioni di cui 55 per sponsor e partnership esterne al calcio. Gran parte dei suoi incassi derivano dai 690 milioni di follower che conta tra Instagram, Facebook e Twitter, tanto da chiedere alti compensi da Nike, Herbalife e Clear. 

4. Neymar (95 milioni di dollari), annata deludente ma col portafoglio pieno

Con Neymar i calciatori nelle prime quattro posizioni salgono a tre. Il talento brasiliano del PSG ha incassato 95 milioni di dollari, 70 dei quali per le sue attività sportive nonostante un’annata deludente al Parco dei Principi.

Fuori dal rettangolo verde vanta accordi con Puma e Red Bull, ha investito negli Nft e a breve sarà al centro del documentario di Netflix Neymar: The Perfect Chaos.

5. Stephen Curry (92,8 milioni di dollari), gli atleti investono sul metaverso

Con 45,8 milioni di dollari (su un totale di 92,8 milioni), Stephen Curry è il giocatore di basket che ha guadagnato di più per le sue attività sul parquet. La guardia dei Golden State Warriors ha già firmato un contratto che lo legherà al roster di San Francisco per altri quattro anni per 215 milioni di dollari totali. 

Lo scorso dicembre, Curry si è anche lanciato nel mondo degli Nft presentando le sue scarpe da ginnastica legate a tre piattaforme del metaverso.

6. Kevin Durant (92,1 milioni di dollari), l’ala dei Nets fra criptovalute e Nike

Nonostante la cocente delusione ai playoff di Conference con i suoi Brooklin Nets, Kevin Durant può rincuorarsi guardando al portafoglio. 

KD ha infatti incassato 28 milioni da Nike (secondo solo a LeBron) e ha stretto accordi con Coinbase e Weedmaps. Anche lui, come altri sportivi, non ha perso tempo per investire nel mondo delle criptovalute e degli Nft, sostenendo la piattaforma OpenSea e la startup digitale Future.

7. Roger Federer (90,7 milioni di dollari), il re degli atleti che non giocano

Sei partite in due anni. È il totale di match giocati da Roger Federer, stella elvetica del tennis, fra 2020 e 2021, mentre quest’anno ancora non ha mai giocato. Eppure è ancora al settimo posto in classifica grazie ai pesantissimi accordi con i suoi sponsor. 

Eccezion fatta per i 700 mila dollari guadagnati sul campo, il Maestro della racchetta deve i suoi incassi ad aziende come Uniqlo e Rolex, tanto da essere l’atleta più pagato al di fuori delle attività sportive. Di recente ha anche investito nel marchio di scarpe svizzero On creando la sua personale calzatura.

8. Canelo Alvarez (90 milioni di dollari), re del ring e degli incassi

Il re del ring e non solo. Canelo Alvarez, pugile messicano detentore di titoli WBO, WBA, WBC, IBF, ha guadagnato 90 milioni di dollari negli ultimi 12 mesi, 85 dei quali in combattimento. 

Il talento della boxe, come ricorda Forbes, ne ha incassati 40 milioni solo tra maggio e novembre scorso per due incontri in pay-per-view. Al di là del ring, Canelo può contare su sponsor come Hennessy e sul suo ristorante di taco in Messico, pronto ad aprire in California.

9. Tom Brady (83,9 milioni di dollari), cifre da capogiro per fare il cronista

Addio al campo da football, anzi no. Tom Brady ha resistito solo sei settimane prima di tornare sui suoi passi e decidere di tornare, a 44 anni, con Tampa Bay. Il quaterback dei Buccaneers ha guadagnato 83,9 milioni di dollari negli ultimi 12 mesi, 32 dei quali per le sua attività sportive. 

Ora andrà a caccia dell’ottavo anello della sua incredibile carriera, ma ha già messo i pilastri per il futuro. La star Nfl sarà commentatore in esclusiva per Fox Sports, con cui ha stretto un accordo da 375 milioni di dollari per 10 anni.

10. Giannis Antetokounmpo (80,9 milioni di dollari), il più giovane degli atleti in lista

Fra gli atleti più pagati al mondo, il più giovane occupa la decima posizione. Ultimo posto della Top 10 per Giannis Antetokounmpo, ala grande dei Milwaukee Buks fra le più forti della storia Nba. 

Già due volte Mvp, ha firmato un contratto quinquennale per far parte del roster del Wisconsin da 228 milioni di dollari, il più ricco di sempre. Fuori dal parquet ha quote in WatchBox, piattaforma che commercia orologi, ma anche WhatsApp e lo smartphone Google Pixel 6, appena annunciato. Inoltre a giugno su Disney+ uscirà Rise, suo primo film autobiografico.

Da sportmediaset.mediaset.it il 23 settembre 2022.

Sono passati ormai due anni dal mancato accordo per il rinnovo di contratto tra Lionel Messi e il Barcellona e ne è passato più di uno dal suo passaggio a parametro zero al Paris Saint Germain. 

La questione, però, sta tornando a far discutere in Spagna, dopo che il quotidiano El Mundo ha rivelato tutte le condizioni che il fuoriclasse argentino avrebbe imposto alla società blaugrana per la sigla del prolungamento: tra queste un maxi bonus alla firma da 10 milioni di euro, un palco riservato al Camp Nou per la sua famiglia e quella di Luis Suarez (che poi avrebbe lasciato il club a fine stagione), un volo privato per l'Argentina per tutta la famiglia per il periodo natalizio e molto altro.

El Mundo afferma di aver avuto accesso a mail e scambi di documenti tra Jorge Messi (il papà della Pulce), gli avvocati di famiglia, quelli del club e l'ex presidente Bartomeu. Le condizioni vengono definite "brutali" e sono elencate in maniera dettagliata: 

 - Contratto con scadenza al 30 giugno 2023 con possibilità di proroga unilaterale da parte del calciatore; 

- Riduzione del 20% dell'ingaggio nel 2020/21, recuperandone il 10% nel 2021/22 e un altro 10% nel 2022/23, con interessi annuali del 3%;

- Pagamento dei premi fedeltà ancora in attesa di riscossione con gli interessi; 

- Palco privato per le famiglie Messi e Suárez; 

- Volo privato per l'Argentina a Natale per tutta la famiglia Messi; 

- Pagamento delle somme differite nella stagione 2020/21 più interessi in caso di risoluzione del contratto; 

- Bonus di 10 milioni di euro alla firma del contratto; 

- Aumento della retribuzione in caso di aumento delle tasse; 

- Riduzione della clausola rescissoria fino a 10mila euro; 

 - Rinnovo di contratto di Pepe Costa (un collaboratore del club, diventato negli anni quasi un assistente personale di Messi); 

- L’impegno da parte del club a pagare a Rodrigo Messi (fratello della Pulce) tutte le commissioni che gli erano dovute.

Il resto è storia: l'accordo non fu mai raggiunto e Messi lasciò il Barcellona alla scadenza del contratto, dopo oltre 20 anni passati nel club blaugrana. L'addio ufficiale si consumò l'8 agosto 2021, in una conferenza stampa segnata dalle sue lacrime.

Procuratori fai da te. Professione procuratore. Come i “grandi pupari” generano carriere. Sono loro gli dei del calcio. Manuela Croci su Il Corriere della Sera il 18 Novembre 2022.

Per raccontare come pensano, vivono, si muovono debutta il 18 novembre su Sky “Il Grande Gioco”. Protagonisti Giancarlo Giannini, Francesco Montanari, Elena Radonicich («Il femminile contemporaneo che scardina l’ordine maschile»). Sono un’élite: si muovono tra i grattacieli di Milano, avvolti da vetro e acciaio 

«Il Mondiale cambiò i giocatori. Quelli della Juventus poche settimane dopo furono convocati come sempre nell’ufficio del presidente Boniperti. Si trovarono davanti il solito contratto da firmare in bianco. Non discutere di ingaggi era quasi una legge, la Juve non tratta, è un premio a prescindere. Quel giorno Tardelli e Rossi si presentarono accompagnati da un signore. Era il primo procuratore. E il mondo cambiò». Mario Sconcerti ha chiuso così la prefazione del libro I Campioni dell’82 raccontano il Mundial con cui il Corriere ha ricordato a luglio i 40 anni dalla vittoria spagnola.

Procuratori che oggi hanno patrimoni miliardari: per Forbes il più potente nel calcio è l’inglese Jonathan Barnett che nel 2020 ha incassato oltre 140 milioni di dollari di commissioni, seguito dal portoghese Jorge Mendes con 104 milioni e dall’italiano Mino Raiola (morto ad aprile) con quasi 85 milioni. Ora questa figura debutta sul piccolo schermo, protagonista della serie Sky Original Il Grande Gioco, prodotta da Sky Studios e da Luca Barbareschi per Èliseo entertainment, in onda dal 18 novembre.

Un «Game of Thrones» del calcio

«Era uno spazio ancora non narrato in tv» spiega Giacomo Durzi, autore insieme a Tommaso Capolicchio, Filippo Kalomenidis, Marcello Olivieri e Andrea Cotti. «Quello che proponiamo è un racconto sul potere, che mette in crisi chi lo smarrisce e tenta in tutti i modi di riconquistarlo. Un Game of Thrones del calcio». Dove i procuratori - che hanno i volti intensi di Giancarlo Giannini e Francesco Montanari, quello deciso e fragile insieme di Elena Radonicich («è il femminile contemporaneo che scardina l’ordine maschile», precisa Durzi) e quello spietato Vladimir Aleksic, russo senza scrupoli che mina l’egemonia della famiglia De Gregorio - sono veri e propri dei. «Dominano e governano i destini delle persone, non solo dei calciatori, ma di tutti quelli che girano intorno a chi scende sul campo. Come “grandi pupari” contribuiscono a generare carriere, sono abili nel comprendere il talento con un continuo lavoro di scouting», aggiunge Durzi.

Nel cielo di Milano

Il loro stare sopra tutti e tutto, lo si ritrova nella regia, affidata a Fabio Resinaro & Nico Marzano, che portano in tv la nuova Milano, tutta grattacieli, con riprese eccezionali che mettono alla prova chi soffre di vertigini. «Milano è cresciuta tanto in altezza, è stato interessante scoprirla da un’altra angolatura usando i droni» racconta Resinaro. «La nostra è stata una scelta densa di metafore: abbiamo collocato i procuratori nella parte più alta della città mostrandoli come un’élite ammirata dal basso, da chi segue e ama il calcio. Fasciati in un abbraccio di vetro e acciaio». La trama ci porta soprattutto dietro le quinte del gioco più seguito in Italia. Si entra nel mondo che sta dietro il giocatore e i risultati del campo. 

Il ruolo dei presidenti

«Un mondo che è tanto cambiato negli ultimi anni. Mino Raiola ha sparigliato le carte con il suo andare a trattare in calzoncini corti facendo dichiarazioni alla fine di ogni trattativa e sparando a zero. Se un giocatore voleva lasciare una squadra, lo chiamava», spiega Gianluca Di Marzio, giornalista, consulente della serie, esperto di calciomercato che dal 21 novembre al 16 dicembre, sarà con Alessandro Bonan e Fayna nello studio de L’Originale, dal lunedì al venerdì alle 22 su Sky. «Attenzione però a dare la colpa di questi nuovi equilibri ai procuratori, perché molto spesso sono i presidenti ad aver modificato le regole: hanno iniziato a fare le squadre in prima persona, bypassando i propri direttori sportivi. Sono stati loro a dare sempre più potere ai procuratori che prima facevano solo contratti mentre oggi si occupano anche delle famiglie, dei social, della comunicazione, degli aspetti fiscali... sono veri consulenti a 360 gradi che iniziano a seguire anche talenti in erba di 13-14 anni. È una giungla senza regole». E questa giungla è proprio il tema della serie.

Calciatori-attori

«Nel Grande Gioco il calcio è un pretesto per raccontare altre storie», precisa il regista. «La messa in scena del calcio giocato arriva alla fine. Nell’ultimo episodio girato allo stadio di San Siro ho “craccato il codice” e provato a riproporre in modo realistico le riprese di una partita. Per farlo ho rispettato delle regole, ad esempio non sono entrato sul terreno di gioco con la telecamera per fare le riprese delle azioni: si sarebbe capito subito che era finto. Anche i personaggi selezionati per interpretare i calciatori sono persone che sanno davvero correre palla-al-piede, non volevamo riprendere gli attori in faccia e poi passare con lo zoom sulle gambe di giocatori veri». Così la scelta dei due fuoriclasse della serie tv - Antonio Lagioia e Carlos Quintana - è caduta rispettivamente su Giovanni Crozza Signoris, attore con un passato da calciatore dilettante, e su Jesus Mosquera Bernal che prima di dedicarsi ai set ha vestito le casacche del Betis B e dell’Antequera nella seconda divisione della Liga spagnola. «Ma non è solo il mondo dei procuratori quello che vogliamo scandagliare», conclude Durzi. «Lo scouting, ad esempio, è un settore ancora tutto da raccontare». Magari nella seconda stagione.

Guido De Carolis per il “Corriere della Sera” il 20 Giugno 2022.

L'affare dell'estate potrebbe avere una conclusione a breve. Il ritorno all'Inter di Romelu Lukaku è in dirittura d'arrivo. Oggi i dirigenti del club e il Chelsea definiranno il prezzo del prestito. L'Inter pagherà (manca solo l'ok del presidente Steven Zhang che dirà sì) 10 milioni più bonus per il centravanti dopo averlo venduto, 11 mesi fa, al Chelsea per 115 milioni. Per di più il belga si taglierà lo stipendio, da 12 milioni netti a 9, ma con il Decreto Crescita l'Inter ne tirerà fuori al lordo circa 12. Un Supernalotto per i nerazzurri.

Il ritorno di Lukaku è di un'elevata complessità finanziaria, non basta la volontà per arrivare al traguardo. Bisogna avere una profonda conoscenza delle leggi internazionali e in materia fiscale. In questa storia manca una figura: il procuratore. Il giocatore venne all'Inter la prima volta assistito da Federico Pastorello. Dopo due anni, fu lo stesso Pastorello a portarlo al Chelsea. Oggi non c'è più. Incomprensioni hanno fatto saltare il rapporto, Lukaku, in sostanza, si sta trasferendo da solo. Secondo i dati Figc, nel 2021, i club di serie A hanno speso 173,8 milioni di euro per i servizi degli agenti: 1ª la Juve con 28,9 milioni; 2ª l'Inter 27,5; 3ª la Roma 26.

Lukaku è il primo calciatore che fa anche il procuratore, chiama l'Inter, si mette d'accordo, chiama il Chelsea e fa incontrare i club. In realtà l'attaccante è seguito dall'avvocato Sebastien Ledure, ma la domanda è spontanea e lecita: può un calciatore essere procuratore di se stesso? «Nel calcio di una volta, fino a fine anni 80, i dirigenti parlavano direttamente con loro, oggi non è possibile: da solo un calciatore non ha le competenze. 

Nei nuovi contratti ci sono clausole, bonus, diritti di immagine, è impensabile far da sé», sottolinea il responsabile dell'area tecnica del neopromosso Lecce, Pantaleo Corvino, uno dei più navigati dirigenti italiani. Scopritore seriale di talenti, Vlahovic è l'ultimo di una lunga lista, Corvino ha girato tutti i campionati, fino a portare la Fiorentina in Champions. 

«Non conosco nel dettaglio la situazione di Lukaku, l'agente non gli aveva fatto un cattivo servizio, aveva lavorato bene, portandolo per 115 milioni al Chelsea e facendogli guadagnare bei soldi. La situazione di Lukaku è un'eccezione». 

Un altro big del calcio è Roberto Calenda, agente internazionale Fifa, uomo che ha gestito il passaggio di Tevez alla Juve, Marquinhos alla Roma, Maicon e oggi procuratore (tra gli altri) di Osimhen e Juan Jesus. «Per Lukaku è stato semplice, conosce tutti all'Inter, poi è stato intelligente ad appoggiarsi a un professionista di fiducia che portasse avanti l'operazione. L'agente è imprescindibile, cuce l'abito su misura per il suo cliente. 

Il punto è uno: quando si vuole muovere un calciatore va fatto con onestà, va capito dove lo si sta portando, se è la soluzione migliore, com' è l'ambiente, che spazi avrà. Studiare è vitale. Si critica con facilità il lavoro dei procuratori, ma i club si rivolgono a loro per risolvere tanti problemi finanziari oltre che tecnici».

Calciatori che trattano da soli: Lukaku-Inter, poi da De Bruyne a Kimmich

di Paolo Tomaselli

In sottofondo c’è l’invadenza di certi procuratori, la loro voglia di spingere le trattative al limite, alla caccia della commissione più alta. De Bruyne si è avvalso di un team di analisti per dimostrare, con le statistiche, la sua centralità nel Man City 

Non è chiaro se sono gli ultimi romantici o i pionieri del fai da te. Ma i grandi giocatori che diventano agenti di loro stessi, tracciano una strada nuova. Voglia di libertà, incomprensioni, interferenze, legittime intenzioni economiche. I motivi possono essere diversi, come dimostra la vicenda di Lukaku e, almeno in passato, di Milan Skriniar che nel 2019 negoziò il prolungamento con l’Inter in solitaria, dopo il brusco divorzio con il suo agente ceco.

Oggi in sottofondo c’è anche l’invadenza di certi procuratori, la loro voglia di spingere le trattative al limite, alla caccia anche della commissione più alta. In questo senso il povero Mino Raiola è stato un rivoluzionario, come racconta bene la serie tv Amazon su Paul Pogba: «L’offerta dello United non è all’altezza. Se vogliono costruire qualcosa su di te devono mettere i soldi sul tavolo!» dice il procuratore al suo pupillo francese. Ora, tutto ovviamente è relativo , ma la cifra proposta, come viene spiegato, era di 300 mila sterline a settimana, 350 mila euro. Quindi ci sta che qualche giocatore possa ragionare con la propria testa, dando priorità anche alla carriera sul campo, oltre che a quella di uomo d’affari.

Joshua Kimmich, factotum del Bayern Monaco e della Germania, è uno di questi: svelto di testa e di piede, il 29enne tedesco ha rinnovato da solo il suo contratto con il club: «Volevo sedermi al tavolo delle trattative per capire esattamente cosa viene detto e valutato in queste circostanze — ha spiegato a maggio alla rivista francese SoFoot —. Ho avuto alcune esperienze negative con il mio agente in passato e sento di essere la persona migliore per difendere i miei interessi. Quando faccio degli errori, almeno sono miei. E solo miei».

Essere in posizione di forza ovviamente aiuta molto. Così Kevin De Bruyne, stella del Manchester City, si è presentato da solo per trattare il prolungamento e l’adeguamento del contratto. Da solo, ma non a mani vuote, perché il belga si è avvalso del lavoro di un team di analisti per dimostrare, attraverso le statistiche, la sua centralità nella squadra, anche in chiave futura. È uscito dall’ufficio con 60 mila euro in più a settimana e 24 milioni di ingaggio annuo. Vediamo come se la cava l’inglese Raheem Sterling, che è in scadenza con il City tra un anno e sta trattando col Chelsea: dopo aver mollato l’agente, ha aperto una società che si occupa della promozione del suo marchio e dà il nome anche a una linea di moda: se i calciatori sono aziende, possono decidere di guidarle da soli. 

Procuratori: i ricchissimi imperatori del calcio globale. Secondo Canovi, tra i primi procuratori sportivi italiani, la professione è cambiata. Antonio Conte ritiene che «la figura dell'agente è divenuta centrale». Gennaro Grimolizzi su Il Dubbio il 17 gennaio 2022.

Se alcuni campioni del pallone – si pensi a Zlatan Ibrahimovic, Leo Messi, Cristiano Ronaldo e Gianluigi Donnarumma – vengono definiti i “Re Mida del calcio” in una pregevole inchiesta giornalistica di Roberto Galullo e Angelo Mincuzzi per le l’abilità nel far fruttare gli ingaggi ultramilionari, gli agenti che li assistono nei trasferimenti da un club all’altro sono i nuovi “Imperatori” dello sport più popolare del mondo. Tra questi spicca il portoghese Jorge Mendes. Appese precocemente le scarpette al chiodo, Mendes incomincia a dedicarsi alla gestione dei calciatori come un vero e proprio businessman. Le sue doti gli consentono di avere un ascendente particolare sulle società con cui entra in contatto.

Jorge Mendes, da Mourinho a Cancelo

Dal 2018 è riuscito a guadagnare somme stratosferiche: 150 milioni di euro nella gestione, per esempio, di CR7, dell’allenatore della Roma José Mourinho, di Gennaro Gattuso, Angel Di Maria, Joao Cancelo e Pepe. Le commissioni incassate nel 2020 hanno superato i 90 milioni di euro. La scuderia di Mendes, che si piazza terzo nella classifica di Forbes degli agenti sportivi più ricchi del pianeta, conta circa 150 calciatori. Negli anni Mendes e gli altri “Imperatori” – tra questi pure Mino Raiola – hanno accresciuto il potere contrattuale dei loro clienti. Uno strapotere che li pone in una posizione in grado di condizionare i progetti delle società sportive e gli obiettivi da raggiungere nelle varie competizioni. Ciò anche per la presenza di una normativa poco coerente, per non dire assurda, come dicono alcuni esperti, che consente agli agenti di assistere le tre parti del contratto: il giocatore, il club che vende e il club che acquisita. Qualcosa, però, sta cambiando.

Canovi e Caliendo, i primi procuratori sportivi in Italia

Dario Canovi è stato con Antonio Caliendo uno dei primi agenti sportivi in Italia. Ha assistito ben 14 campioni del mondo della spedizione di Spagna ’82, come Bruno Conti, Fulvio Collovati, Giuseppe Dossena e Franco Selvaggi. «La parola agente – dice al Dubbio l’avvocato Canovi – è sinonimo di procuratore. All’inizio si usava la parola procuratore più spesso. L’agente, in passato, vale la pena evidenziarlo, non procurava il lavoro dello sportivo. Io e Antonio Caliendo siamo stati i primi agenti nel calcio e quando abbiamo iniziato, di fatto, facevamo solamente i consulenti, gli assistenti dei calciatori». Altri tempi. Altri approcci e, soprattutto, meno soldi. «La professione di agente sportivo – evidenzia Canovi è cambiata notevolmente. Potrei dire che si è capovolta. La nostra fortuna dipendeva dal fatto se assistevamo bene i calciatori. All’inizio la nostra professione era eticamente più sana, nel senso che dovevamo avere un rapporto costruttivo con le società di calcio, il datore di lavoro dello sportivo. Abbiamo sempre cercato di mediare tra le richieste dei calciatori e quelle che erano le possibilità delle società. Il nostro fine era assistere al meglio i nostri clienti. Anni fa non esisteva il regolamento della professione dell’agente sportivo».

Canovi ha iniziato per caso. «Ero avvocato – racconta – dell’Associazione calciatori e mi sono ritrovato una professione addosso, senza accorgermene, nei tempi che hanno portato ad una serie di interventi per regolare i rapporti tra i calciatori e le società. Ho vissuto in prima persona eventi importanti, che hanno cambiato il volto dello sport e del calcio. Penso anche alla nascita dell’associazione nazionale calciatori con Sergio Campana». Quando si è intuito che la professione di agente avrebbe potuto far fruttare fiumi di denaro, le cose sono radicalmente cambiate. «I cambiamenti – aggiunge Canovi con ripercussioni negative nel calcio si sono avuti con quel gentiluomo, uso questo termine ironicamente, di Joseph Blatter, quando guidava la Fifa. Blatter capì che i mediatori, vale a dire coloro che avevano in mano i calciatori e i contatti con i club più importanti, potevano guadagnare tanto e sempre di più».

Dal calcio scommesse al riciclaggio

La Fifa per prima ha organizzato l’esame per conseguire il titolo di agente della Federazione internazionale calcio. Figura che non esiste più da quindici anni. La deregulation che ne derivò puntava, per ragioni personali dettate da chi all’epoca era a capo del calcio mondiale, a stravolgere il raggio d’azione degli agenti sportivi. Iniziarono da quel momento a muoversi diversi personaggi, senza che venissero valutate le effettive competenze. Tra questi alcuni soggetti implicati in vicende di calcio-scommesse e riciclaggio.

«Qualcuno – commenta Canovi – intuì che il calcio era diventato un grosso business. Sono nati dei fondi specializzati solo per il calcio. Jorge Mendes, già quando giocava, iniziò a muoversi come un uomo d’affari, diventando amico di tanti grandi club. Era lo stesso modo con cui si muoveva Paco Casal in Uruguay. Si prendevano giocatori giovanissimi, si prestavano alle squadre o venivano dati in comproprietà e si ottenevano guadagni dalla rivendita. Ci sono molti presidenti presenti nel business del calcio non ufficialmente, magari attraverso figli, nipoti. Certe storture derivano, a mio avviso, da una assurdità giuridica. Per cedere un calciatore ci sono tre parti nel contratto: la società che acquista, la società che vende e il giocatore. L’agente può essere contemporaneamente il rappresentante delle tre le parti ed essere pagato da tutte e tre. In passato non avveniva questo» .

Procuratori, parla Antonio Conte

La figura dell’agente sportivo, secondo l’avvocato Antonio Conte, esperto di Diritto sportivo ed ex presidente del Coa di Roma, «indubitabilmente è divenuta centrale, soprattutto dopo le importanti modifiche legislative degli ultimi tre anni e in particolare il Decreto Legge n. 37 del 28 febbraio 2021, adottato in attuazione dell’articolo 6 della legge n. 86 dell’8 agosto 2019, ove si è disciplinata la figura dell’agente sportivo e la sua attività». «Tale normativa – sottolinea – ha portato anche ad un ampliamento del perimetro di azione degli agenti stessi e dei possibili soggetti rappresentabili». Agenti sportivi sempre più potenti? «Più che di potere – prosegue Conte – parlerei di ruolo. Oggi l’agente sportivo è divenuto fondamentale nell’ambito sportivo, in primis nel mondo del calcio. Per questo è importantissima la massima qualificazione della prestazione professionale che richiede di superare severi e articolati esami abilitativi».

Un tema sempre più attuale è quello degli «agenti domiciliati». «È un’altra questione normativa – spiega Conte – oggetto di modifiche recentissime da parte della Commissione agenti sportivi del Coni, che ho l’onore di presiedere, ratificate poi dalla Giunta del Coni stesso. L’agente domiciliato è colui il quale, in assenza di titolo extra-nazionale equipollente, può svolgere comunque un’attività e un’opera professionale in Italia, domiciliandosi presso un agente ordinario che ne risponde giuridicamente in solido dell’operato» afferma Conte.

«La ratio dell’istituto della domiciliazione è quella di permettere all’agente sportivo extracomunitario, o comunitario senza titolo equipollente, di operare al fianco e con gli stessi diritti dell’agente sportivo italiano e/o stabilito. Tale norma, soprattutto per quanto riguarda il mondo del calcio, ha suscitato polemiche e dibattiti, perché un utilizzo strumentale della stessa aveva evidenziato dei vulnus che poteva aprire la strada all’aggiramento dell’obbligo da parte di coloro che intendessero non sostenere gli esami di abilitazione prima innanzi al Coni e poi alla Figc. Le nuove norme di integrazione e tutela, varate dal Coni lo scorso mese di dicembre, hanno colmato lacune interpretative che dovrebbero superare definitivamente questa pregressa fase patologica dalla quale sono nate inevitabili problematiche che oggi si auspicano superate».

Matteo Spaziante per calcioefinanza.it il 12 gennaio 2022.

Chi sono i dirigenti più pagati Serie A? A sorpresa, c’è il presidente dell’Hellas Verona Maurizio Setti in vetta ai top manager del campionato italiano in quanto a compensi. È quanto emerge infatti dall’analisi dei bilanci delle società della massima serie. 

Dai documenti ufficiali dei club relativi alla stagione 2020/21 emergono gli stipendi di alcune delle principali figure dirigenziali nel calcio italiano, oltre ai vari CdA delle società.

Partiamo proprio dagli amministratori. I compensi ai Cda dei sei principali club italiani (in ordine alfabetico Inter, Juventus, Lazio, Milan, Napoli e Roma) nel corso della stagione 2020/21 sono stati complessivamente pari a 12,7 milioni di euro, in aumento del 16,6% rispetto ai 10,9 milioni del 2019/20.

Nella scorsa stagione, chi ha ricevuto di più sono stati gli amministratori della Roma con 3,5 milioni (+31%), seguiti dal CdA del Milan e da quello del Napoli. Per la seconda volta, inoltre, compare anche la Lazio, visto che dal 2019/20 il patron Claudio Lotito ha scelto di darsi uno stipendio e garantire un compenso anche agli altri amministratori.

Allargando il discorso alle altre società, tra i club che hanno già depositato il bilancio nel 2020/21 il Bologna ha garantito agli amministratori 827mila euro, mentre nessun compenso è stato versato a quelli della Fiorentina.

Dirigenti più pagati Serie A, le cifre a presidenti e manager

Per quanto riguarda i singoli dirigenti, il più pagato, dicevamo, è stato il presidente dell’Hellas Verona Maurizio Setti. Nel bilancio del club veneto al 30 giugno 2021 è presente anche il compenso per Setti: nel 2020/21 infatti il “compenso all’Amministratore Unico”, ovverosia il patron del club veneto, è stato pari a 3,788 milioni di euro, rispetto ai 3,061 milioni di euro della stagione 2019/20.

Alle spalle di Setti, considerando i soli dati ufficiali, troviamo il Ceo del Milan Ivan Gazidis, con un compenso da 3,150 milioni lordi, seguito da Fabio Paratici, ex Managing Director dell’area Football della Juventus, con 2,6 milioni.

Giù dal podio invece due ex dirigenti della Roma: l’ex ad Guido Fienga, con 2,0 milioni, e l’ex vicepresidente Mauro Baldissoni, che ha lasciato la propria carica a settembre del 2020 con 1,5 milioni.

Tra gli altri dirigenti, a quota 600mila euro troviamo il presidente della Lazio Claudio Lotito e il numero uno del Milan Paolo Scaroni, mentre in casa Juventus il presidente Andrea Agnelli nel 2020/21 ha percepito 512 mila euro totali, mentre sono 436 mila gli euro che ha incassato il vice presidente Pavel Nedved. 

Tra i dirigenti le cui cifre non sono ufficiali, secondo quanto riportato dalla Gazzetta della Sport al momento dell’accordo, l’ad dell’Inter Giuseppe Marotta avrebbe un ingaggio da 1,5 milioni di euro a stagione più corposi bonus.

Walter Sabatini alla Salernitana: il calcio, il fumo, il tumore, il sesso, il suicidio, Pasolini. Il ritorno del d.s. «maledetto». Andrea Sereni su Il Corriere della Sera il 19 gennaio 2022.

Il dirigente sportivo più famoso e controverso d’Italia è tornato a lavorare con l’obiettivo di salvare la Salernitana. La storia di una vita al limite.

Ricominciare da Salerno

Entrare nel mondo di Walter Sabatini è come immergersi in un vaso di pensieri, vizi, scoperte, tormenti. Visionario, mai analitico, malinconico e infastidito, alla perenne ricerca di qualcosa. Calcio e letteratura, pallone e libri, con una sigaretta a fotografare ogni momento. La Salernitana è da pochi giorni la nuova avventura del direttore sportivo più famoso e controverso d’Italia. «Essere qui non è un guaio ma un privilegio — le sue parole nel giorno della presentazione —. Non sono mai retrocesso, sono venuto per conquistare la salvezza». Per questo, servono «calciatori subito pronti per sostenere la battaglia sportiva, a sopportare un carico emotivo importante perché qui c’è una città che vuole salvarsi. Vogliamo restituire gioia e dignità». Ha firmato per sei mesi, Walter da Marsciano, 66 anni vissuti senza risparmiarsi nulla.

Un uomo complesso

«Ho il cervello di sinistra e il corpo di destra, sempre in conflitto» è una delle sue frasi cult, che in parte lo raccontano. Uomo complesso, senza orari, amante della notte, beve 15 caffè al giorno. Fugge dall’amicizia perché «è impegnativa, e io non posso permettermela. Coltivo enormi sentimenti di amicizia verso alcune persone, ma non la pratico. Date da ricordare, situazioni da seguire, è un impegno reale». Le sue foto sono sempre con una sigaretta in mano, ma da poco ha dovuto smettere. Ora fuma solo le elettroniche, la sua voce sempre roca e impastata ne ha beneficiato.

Da Salah a Pjanic, i suoi colpi

Il nonno Livio gli fa scoprire Gianni Rivera, e da quel momento si innamora del pallone e dei sogni che si trascina dietro. Così va da sempre alla ricerca del talento. Portare Salah alla Roma, la trattativa più esaltante: «Avevo intuito immediatamente che potesse essere quel tipo di calciatore capace di fare impazzire di gioia i tifosi», ha rivelato in un’intervista a Calciomercato.com. Poi Kolarov, preso dall’OFK Belgrado per appena 800mila euro e rivenduto per 18 milioni, e Javier Pastore, 6,5 milioni per portarlo al Palermo dall’Huracan, per poi incassarne 43 dal Psg. E ancora Alisson, per anni il miglior portiere al mondo, Marquinhos, Ilicic, un giovanissimo Gattuso, Erik Lamela e Pjanic.

I flop

Ovviamente qualche scommessa è andata male. Manuel Iturbe, strappato al Verona per 24 milioni nonostante la corte della Juve, è forse il suo più grande errore. E poi Gerson, pagato 18 milioni alla Fluminense, altri 15 per Doumbia e 7 per il portiere olandese Stekelenburg.

Il ricordo di Renato Curi

Renato Curi è uno dei suoi (pochi) punti deboli. Sono insieme al Perugia nel 1977, Walter è in panchina quando il 30 ottobre, durante una partita con la Juventus, Curi si accascia a terra per un arresto cardiaco, che lo stronca. In casa ancora oggi Sabatini ha una foto che li ritrae uno vicino all’altro: «L’unica che ho voluto conservare della mia vita».

Le scuse a Totti

Considera Daniele De Rossi «come un figlio». Ma a Roma, nel suo ultimo periodo da direttore sportivo, spinge Totti a dire addio al calcio giocato. Si batte, con Spalletti, per il suo ritiro. In seguito fa marcia indietro: «Non volevo assistere al suo declino in campo, ma non capivo che invece lui si divertiva. Gli chiedo scusa».

Il suicidio quotidiano

Sabatini si trascina fino al limite, al punto da dichiarare durante un’intervista: «Io mi suicido tutti i giorni. Ho avuto sempre poco rispetto per la mia vita. Prima per una sorta di adorazione delle mie capacità psicofisiche. Pensavo di poter far tutto e lo penso ancora oggi, tant’è che sono un suicida senza successo». Non si risparmia niente: esperienze, feste, vizi.

Il sesso come dipendenza

Anche il sesso, che gli ha «salvato la vita. Lo vedo da tutte le parti. Il gol ad esempio è penetrazione. Ho sempre fatto sesso disperato, quello che uno fa per attutire un dolore. Il problema degli uomini è ormonale. Quando si acquietano gli ormoni viene meno l’avidità, l’arroganza. Io speravo che i miei si tacitassero un po’ più in fretta, invece niente. Il sesso ti fa fare cose in eccesso e aiuta a tollerare il resto. Ancora oggi non riesco a sopportare una sconfitta».

L’amore per le sigarette

Ha smesso di fumare, ma non c’è una sua immagine senza una sigaretta tra le mani. L’odore del tabacco è un legame con l’infanzia, un ricordo di quando il padre tornava dal turno in fabbrica alla Perugina, e lo stringeva in un abbraccio che sapeva di cioccolata e sigarette. «Quando le spegneva, all’ultimo respiro per non sprecare neanche un centimetro, rimaneva del tabacco nel posacenere. Lo rubavo, lo arrotolavo nei pezzi di giornale e andavo a fumarmelo in bagno. La prima sigaretta fu un pezzo di cartone, in garage. Tiravo come una fisarmonica, certe folate aspre che mi girava la testa, ma provavo un’eccitazione enorme. Uno stordimento bellissimo». Arriva a consumare tre pacchetti al giorno: «Ogni sigaretta per me ha rappresentato qualcosa. Avevo quella celebrativa, di una voluttà incredibile, e mentre la fumavo rivedevo i fotogrammi di una partita nella testa. Quella introduttiva, con il caffè alla mattina. Quella immaginifica, quando pensi a un grande campionato o a una bella donna». Fotografie di momenti, giorni e notti scanditi da avide boccate: «Quella più dolorosa è stata per il derby Lazio-Roma di Coppa Italia all’Olimpico. Ho pensato di morire, se non avessi avuto le sigarette sarei morto realmente».

Il coma e il tumore

Non fuma più, dicevamo. Perché nel 2019 — era alla Sampdoria — il suo corpo cede: ha un tumore. «Da anni mi mandava segnali clamorosi: quel sabato dovevo partire per la Cina —ha raccontato in un’intervista al Secolo XIX —, avessi preso quell’aereo sarei morto. Il venerdì notte tra cortisone in vena e ansiolitici mi avevano un po’ stabilizzato, poi sono sparito dalla vita. Mentre ero in coma penso di aver visto il paradiso, sembrava un supermercato». Per questo, a fatica, ha dovuto cambiare abitudini: «Sono costretto a prendere quindici tranquillanti al giorno perché non c’è un solo minuto in cui non penso alle sigarette. La mia vita era scandita dal fumo. Vivere senza è una tragedia, ma ho un obbligo verso chi mi vuole bene».

La moglie e il figlio Santiago

Ecco appunto, le due persone più importanti. La moglie Fabiola è «la donna della mia vita. Sorride sempre, anche se è piena di paure. È stata fragorosa, bellissima, divertente». L’unica persona che riesce a decodificare i suoi silenzi. L’altro amore si chiama Santiago. Unico figlio, oggi ha 17 anni, una passione smodata per Dzeko e sogna di seguire le orme del padre: «Con lui sono stato fisicamente assente, ma vicino con l’anima. Posso dire di avere un figlio speciale, lo è stato fin da bambino. Senza Santiago sarei probabilmente già morto, è la mia luce. La giustificazione della mia vita». Un rapporto quasi simbiotico: «Gli dico sempre che lui è il mio respiro, e lo costringo a respirarmi in bocca».

Garcia Marquez e Pasolini

Sabatini è un uomo profondo, votato a grandi traguardi e sofferenze interiori. Simile ad Aureliano Buendìa, il colonnello nato dalla penna di Gabriel Garcia Marquez. «Cent’anni di solitudine» è il suo romanzo preferito: glielo ha fatto conoscere Paolo Sollier, compagno di squadra al Perugia nei primi anni Settanta. «Io avevo una cultura scolastica. Un giorno invece arriva Sollier con questo libro e mi dice: “Leggilo” — ha raccontato —. Lo cominciai e rimasi folgorato fin dalla prima frase». Lo scrittore sudamericano ha ancora oggi un ruolo importante nella vita di Walter. «Mi ha tenuto compagnia, a partire dalla prima volta. Scrive in maniera magica. È l’unica persona che avrei voluto incontrare, gli devo molto. Quando rileggo quello che ha scritto mi sento in armonia con l’universo». La passione per la letteratura lo ha portato, per i 110 anni del Bologna, a leggere in pubblico un saggio di Pier Paolo Pasolini. Sul calcio, ovviamente, «ultima rappresentazione sacra del nostro tempo».

GLI STRANIERI.

Paul Gascoigne. Da corrieredellosport.it il 13 novembre 2022.

Quando Paul Gascoigne rilascia dichiarazioni, le sue parole non passano mai inosservate. È accaduto anche negli studi di Sky Sports dove 'Gazza' ha presenziato come ospite per commentare, con i presenti in studio, la lista dei 26 giocatori convocati dal ct dell'Inghilterra Gareth Southgate per il Mondiale qatariota. 

L'ex fantasista, tra le altre, di Lazio e Tottenham, ha ammaliato lo studio con una serie di aneddoti legati alle edizioni della Coppa del Mondo che lo hanno visto protagonista dentro e soprattutto fuori dal campo e i ricordi di Gascoigne si sono concentrati tutti sulle celebri notti magiche di Italia '90. Il cammino della Nazionale dei 'Tre leoni' nel torneo tricolore si fermò in semifinale contro la Germania Ovest che poi vinse quell'edizione battendo in finale l'Argentina di Maradona ma 'Gazza' va oltre la delusione di quell'eliminazione e racconta, con il suo spiccato aplomb, i momenti felici vissuti nelle 'estati mondiali'.

Gascoigne ricorda Italia '90: "Robson è impazzito..."

"Per me giocare a calcio anche d'estate era magnifico. Adoravo i Mondiali, anche se di tanto in tanto mi sono messo nei guai", è la premessa di 'Gazza' che poi aggiunge: "In Italia sono stato beccato mentre mi bevevo una piña colada sulla spiaggia. Sir Bobby Robson è impazzito quando l'ha saputo", spiega Gascoigne tra le risate dello studio. "Ricordo però, oltre al rimprovero e alla confisca della mia bevanda alcolica, anche gli aspetti positivi di quell'esperienza. Fu intensa, provo grande affetto per i Mondiali", ammette 'Gazza' con un pizzico di nostalgia. Il 55enne rincara poi la dose con la solita e inconfondibile ironia: "Comunque, sinceramente, Robson si arrabbiò anche perché avevo tentato di spacciare il cocktail per un milkshake. Non ci sono riuscito".

Cicinho. Da ilnapolista.it il 20 giugno 2022.  

L’ex calciatore brasiliano Cicinho (con un passato anche alla Roma) ha rilasciato un’intervista a Eptv in cui ha raccontato dei suoi problemi con l’alcol quando era nel Real Madrid. 

“Mi sono allenato ubriaco con il Real Madrid. Ho bevuto un caffè per togliere il fiato e mi sono inondato di profumo. Nella mia professione, quella da calciatore professionista, è stato facile. Non avevo bisogno di soldi per prendere un drink, la gente me lo dava felicemente nei ristoranti”.

Cicinho ha raccontato di aver iniziato a bere quando era un ragazzino. “Avevo 13 anni, è stato allora che ho provato l’alcol per la prima volta e non ho mai smesso. Vivevo in campagna, e nei fine settimana ci incontravamo con gli amici e uscivamo nelle piazze, nelle discoteche. Chiedevo ai più grandi di me di andare a fare la spesa da solo e ho bevuto di nascosto dai miei genitori e dalla polizia. 

L’alcol ti circonda di persone a cui piace quello stile di vita e le persone che ti amano davvero vengono escluse. Quando colpiscono un muro e ti dicono che non va bene, non vuoi sentirlo. Ho un figlio di 15 anni e gli chiedo sempre scusa. A quel tempo aveva due anni e non lo capiva nemmeno bene, ma questo è stato registrato nella mia testa”.

Andoni Goikoetxea. Da ilnapolista.it il 18 giugno 2022.  

Andoni Goikoetxea, passato alla storia come «il macellaio di Bilbao», il calciatore che il 24 settembre del 1983 ruppe la caviglia a Diego Armando Maradona. A cercare su Google si scopre che è considerato uno dei giocatori più violenti di sempre. Il suo fallo è tra i più famosi della storia del calcio.

«Goiko» viene intervistato da El Mundo. Ampia intervista in cui ovviamente si parla di quell’episodio che gli costò diciotto giornate di squalifica. 

«Ho una certa età, sono passati tanti anni, so che questa fama di “violento” non m’abbandonerà mai. Io però non mi sono mai considerato un duro. Tutto quello che ti ho detto (si rivolge al giornalista, ndr) ti fa pensare che io sia un tipo aggressivo? Ma dai, sono un pezzo di pane! Non mi riconosco nell’immagine del macellaio di Bilbao. Ero un calciatore internazionale, sono il difensore con più gol nella storia dell’Athletic, non sono mai stato messo in discussione per tutta la carriera. Se di me resta la durezza, qualcosa è andato storto» 

Ovviamente dipende da quell’entrataccia su Dieguito.

«Mi sono trovato davanti Maradona e gli ho fatto male con un’entrata ingiustificabile. Ma diciamoci la verità: fino a quell’infortunio non aveva vinto nulla. È dopo che ha iniziato a vincere tutto, a Napoli e con l’Argentina. Non gli ho certo rovinato la carriera». 

Tuttavia, la cosa l’ha segnato a vita.

«È stato tremendo, sono stato malissimo. Ho subito critiche feroci, sono stato trattato come se fossi un criminale. Per questo sarò sempre grato a Miguel Muñoz, l’allenatore della nazionale, che cedette alle enormi pressioni della stampa di Barcellona e Madrid affinché smettesse di convocarmi. È difficile pensare che io oggi venga ricordato solo per quell’entrata. Ho ricevuto costantemente minacce, anche dall’entourage di Maradona. Non potevo essere a casa perché il telefono squillava continuamente, erano persone che volevano intervistarmi o insultarmi. Sapevo di aver sbagliato, ma la reazione è stata eccessiva e ho avuto difficoltà a venirne fuori» 

Alla fine però Andoni ne è venuto fuori.

«I tifosi dell’Athletic e i miei compagni di squadra mi hanno tirato fuori da questo vortice. Dopo il fallo su Maradona giocammo contro il Lech Poznan, in Coppa dei Campioni. Pablo Porta, allora presidente della Federazione, era nei pressi di San Mamés e quello stesso giorno era stata formalizzata la squalifica di 18 partite. Vincemmo 4-0 dopo aver perso l’andata in Polonia per 2-0 e segnai il primo gol. Alla fine, i miei compagni di squadra mi sollevarono sulle spalle e dagli spalti facevano il tifo per me. Fu molto emozionante». 

Al Barça cominciarono a insultare Goikoetxea già due anni prima, per un fallo che infortunò Schuster.

«Hanno portato avanti questa storia di Schuster per secoli. Il medico del Barcellona, González-Adrio, dichiarò che Schuster si era già rotto col Colonia e che l’entrata di Goikoetxea non aveva causato l’infortunio. L’ha detto il dottore, non io. L’intervento su Maradona non avrei dovuto commetterlo e sono l’unico responsabile. Ero infervorato, un minuto prima Schuster mi fece un brutto fallo e l’arbitro non lo ammonì. Ero incazzato e feci questa entrata folle, clamorosamente in ritardo perché Maradona era velocissimo. È il miglior calciatore tra quelli contro cui ho giocato. Un genio, mentalmente forte, ha sopportato tutto. È stato strepitoso. Per il mondo Maradona è stato un dono, ha fatto del male solo a se stesso»

Le scarpette dell’infortunio «Goiko» ce le ha esposte, in casa.

«Sì, ma non è un trofeo di caccia, anzi. Quegli scarpini simboleggiano il meglio e il peggio del calcio, gli alti e bassi della mia carriera. Li ho indossati due volte: contro Maradona e contro il Lech Poznan. È come se fossero un’opera d’arte. Simboleggiano la massima tristezza per l’infortunio causato a Diego e il riscatto di pochi giorni dopo: la gioia del traguardo, la vittoria e il sostegno del mio popolo. Per questo li conservo. Qualcuno pensa che li tenga qui perché sono un pazzo, un criminale. Ma è il contrario. Sono troppo vecchio per preoccuparmene: quella cattiva fama oramai me la faccio scivolare addosso» 

Anni dopo, quando giocò contro il Siviglia di Maradona, Goikoetxea si trattenne con Diego.

«Sì, sono sempre stato dispiaciuto per quello che è successo e mi è sembrata l’occasione migliore per provare a parlargli dopo così tanto tempo. Glielo proposi attraverso un delegato del Siviglia, mi sembrò una buona idea. Prendemmo un caffè nel suo hotel e chiacchierammo per 40 minuti. Fu piacevolissimo. Parlammo di tutto. Della famiglia, del calcio e anche di quell’intervento falloso. Diego non serbava rancore nei miei confronti e gli sono stato molto grato per essere riuscito a chiudere quel capitolo»

Wayne Rooney. Stefano Boldrini per "il Messaggero" l'11 febbraio 2022.  

Una foto attuale di Wayne Rooney, 36 anni, re dei bomber della nazionale inglese (53 reti), star del Manchester United dal 2004 al 2017, oggi allenatore del Derby County (Championship), impressiona: un over 50.  

Il viso mostra i segni di una vita segnata dagli eccessi ed è stato lui, in occasione del lancio su Amazon Prime del documentario Rooney, a parlare dei suoi demoni e dei suoi errori: «Ho cominciato a bere presto, ma la verità è che sono stato precoce in tutto. A 12 anni, lasciavo Croxteth, quartiere di Liverpool, per andare a Southport a partecipare alle risse. Una volta mi ruppero una mascella a Manchester. Un'altra tornai a casa con gli occhi pesti. Facevo a pugni nei concerti». 

Rooney picchiava forte. Il padre, Thomas Wayne Rooney, classe 1963, era stato un buon pugile, tra i migliori di Liverpool, con una partecipazione persino a un torneo a Helsinki. Ma nel giovane Wayne scorreva il calcio nelle vene e, approdato alle giovanili dell'Everton, il club del tifo di famiglia, diventò il ragazzo prodigio.  

«Fu allora che cominciai a bere. Una volta, quindicenne, attraversai la strada con una bottiglia di sidro in mano. Si fermò un'auto per lasciarmi passare. Alla guida c'era il mio allenatore, Colin Harvey. Il giorno dopo mi prese da parte e mi disse: Non ho mai visto un giovane con il tuo talento, non lo sprecare». 

E infatti Rooney era un predestinato. Il debutto in Premier, il 19 ottobre 2002, all'età di 16 anni e 360 giorni, lo presentò al mondo: segnò all'Arsenal. «Volevo fare gol a tutti i costi. Sapevo che quella era l'ultima gara da sedicenne e dovevo lasciare il segno. Così fu. Approfittai dell'errore di un colosso come Sol Campbell e fu l'apoteosi». Rooney beveva, ma a quell'età in qualche modo il fisico regge. 

«A 20 anni non potevo entrare in uno spogliatoio e confessare i miei problemi. Non potevo dire: Ehi, sto lottando contro me stesso, ho l'inferno nella testa. Avevo paura della morte. Potevo guidare ubriaco, come spesso mi capitò, schiantarmi contro un palo, o uccidere qualcuno. L'alcol mi ha fatto compiere errori gravi. Ho tradito mia moglie. Coleen avrebbe potuto lasciarmi più volte, ma non è mai successo. Qualcuno dice che l'ha fatto per mantenere l'unità della famiglia e tutelare i nostri quattro figli, ma la verità è che abbiamo parlato dei miei demoni e mi ha aiutato». 

Rooney ha avuto contrasti con Alex Ferguson. Ha piantato i tacchetti sulle gambe di John Terry in una gara contro il Chelsea «in cui volevo far male agli avversari». Ha atterrato un mostro sacro come Thuram. Ha provocato Cristiano Ronaldo. Oggi pare un'altra persona. Il Rooney attuale è il totem che sta tenendo in vita il Derby County, glorioso club in liquidazione, penultimo in Championship con 21 punti di penalizzazione, ma a 4 dalla salvezza. 

Ha rifiutato l'offerta dell'Everton per il dopo-Benitez: «Ho un impegno morale con il Derby». Scrive per il Times. È entrato in una nuova dimensione o, semplicemente, si è messo alle spalle il passato. «Non sono mai stato un alcolizzato, ma quando bevevo non mi controllavo. Oggi ci riesco. Parlare dei miei problemi, mettermi a nudo, mi ha aiutato».

Da ilposticipo.it l'11 settembre 2022.

Quando parla con i propri giocatori, un allenatore deve sapere di cosa parla. Un allenatore che impartisce lezioni di tattica deve aver pensato ossessivamente a quei movimenti per ore, giorni forse. Allo stesso modo, un coach che redarguisce i suoi ragazzi deve sapere il fatto suo. Tra le paternali più famose del mondo del calcio fatte da un allenatore a dei giocatori ci sono sicuramente... gli asciugacapelli di Sir Alex Ferguson. Ma Fergie sapeva bene quando e perché arrabbiarsi perché anche lui ha i suoi peccatucci di gioventù. E ha spiegato perché non ha troppo avuto successo da calciatore e non ha parlato con suo padre per due anni.

La leggenda del Manchester United ha raccontato nel documentario su di lui una sua inedita storia di gioventù. Quando Alex Ferguson, il giocatore del St Johnstone, non era ancora Sir Alex... "Ho deragliato. Ero sempre in giro. Ho cominciato ad uscire ogni venerdì anche le sere prima delle partite. Mio padre mi diceva 'Dove vai?' e io 'esco, vado a ballare' e lui 'ma domani hai la partita' e io 'Sono tra le riserve quindi non è che cambi molto, lo sai'. Così abbiamo litigato quando mi ha detto: 'fa' a modo tuo, vediamo cosa succede!' Così non ci siamo parlati per due anni tra il 1961 e il 1963".

Fino a che lo scozzese non ha toccato il fondo. "Poi, una notte sono uscito e mi sono ubriacato. Sono finito in prigione, poi in tribunale e sono stato multato. Ero la pecora nera della famiglia. Mi è sempre rimasto in testa, questo momento. Me ne sono pentito. Con il contesto e l'educazione che avevo dietro le spalle, mi sono arreso".

Insomma, Sir Alex Ferguson ha imparato lentamente a padroneggiare la tecnica dell'asciugacapelli, forse perché ne avrebbe avuto bisogno anche lui da giocatore. Poi è stato abbastanza umile ed intelligente da capire quale fosse la strada giusta per lui da percorrere e il resto è storia, anzi, leggenda. E chiunque sia finito dal lato sbagliato... dell'elettrodomestico nel corso degli anni, può stare tranquillo: ogni rimprovero del boss era per il bene del malcapitato!

Pep Guardiola. Genio e visione. L’ossessione di Pep Guardiola per il calcio. Alfonso Fasano su L'Inkiesta il 9 Luglio 2022.

Come spiega Alberto Fasano nel suo nuovo libro edito da 66thand2nd l'allenatore spagnolo è abituato fin da giovane a farsi domande per capire in profondità la tattica, le scelte di campo, i gesti tecnici. Il suo modo vivere il gioco è una conseguenza della sua identificazione totale col maestro Cruijff. 

Pep Guardiola, insomma, ha iniziato la sua carriera in maniera contro-intuitiva: è partito vincendo, sollevando al cielo alcuni tra i trofei più importanti e ambiti del mondo. E per di più l’ha fatto indossando la maglia di un club che gli ha condizionato e cambiato la vita molto prima di quegli incredibili successi, che ha costruito la sua identità di calciatore e di essere umano, ha determinato la sua visione del calcio, del mondo, della società. E infatti durante la festa per la vittoria di Wembley, di fronte a un milione di persone in estasi, Pep si affaccia dal balcone del palazzo della Generalitat – la sede degli uffici governativi della Catalunya – e dice la frase «ciuta dans de Catalunya, ja la tenim aquí», ovvero “cittadini di Catalogna, adesso la coppa è qui”, riprendendo in parte le parole di Josep Tarradellas, ex presidente della Catalogna costretto a rifugiarsi in Francia durante il franchismo e tornato a Barcellona nel 1977 – nel  suo primo discorso dopo l’esilio, Tarradellas disse «ciutadans de Catalunya, ja sóc aquí».  

Guardiola, però, non ha solo vinto. L’ha fatto da protagonista assoluto, ha giocato la finale di Coppa dei Campioni con il numero dieci stampato sulle spalle quando siamo ancora nell’era delle maglie non personalizzate, delle maglie senza nome, dei numeri fissi in ogni partita, dall’uno all’undici, e in quest’era la prassi vuole che la casacca numero dieci venga assegnata al giocatore più fantasioso della squadra, una seconda punta, un raffinato trequartista – del resto siamo nel tempo di Baggio, Gullit e Mancini, Maradona ha solo trentun anni e gioca al Siviglia, Zico si è trasferito in Giappone ma è ancora in attività, Platini ha smesso da quattro anni.

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Pep è un riferimento continuo, è l’uomo deputato a ricevere il pallone dai centrali difensivi e ad avviare la manovra; si muove e agisce soprattutto nella propria trequarti, perché Cruijff vuole che i giocatori più importanti della squadra stiano dietro. «Se si costruisce male da dietro, i palloni arrivano male avanti agli attaccanti. Un buon passaggio, insomma, può definire il resto dell’azione. E chi sa farlo bene è un calciatore che è capace di far giocare meglio tutti i suoi compagni». In questa intervista, rilasciata durante i suoi primi anni da professionista, Guardiola parla in generale, senza fare nomi, ma evidentemente parla di sé stesso, del suo ruolo nella squadra blaugrana. Una squadra che, in coincidenza con il suo esordio e la sua affermazione, diventa un riferimento globale per la qualità del gioco, per la pura espressione estetica, e ovviamente anche per le vittorie in serie: dopo la Liga del 1991 e il doblete Liga-Coppa dei Campioni del 1992, arrivano altri due titoli nazionali, conquistati entrambi con degli incredibili rovesci nell’ultima partita – ai danni del Real Madrid e del Deportivo La Coruña.  

Poche settimane dopo la vittoria di Wembley, Pep vive un’altra esperienza molto potente, di grande valore storico: la vittoria della medaglia d’oro olimpica, la prima nella storia della Nazionale spagnola, per di più ai Giochi disputati proprio a Barcellona – un’edizione resa indimenticabile dall’inno opera-pop registrato nel 1988 da Montserrat Caballé e Freddie Mercury, dalla prima presenza ai Giochi dei professionisti Nba nella squadra di basket degli Usa, che formano il cosiddetto Dream Team, dalle imponenti opere di riqualificazione che abbelliscono la città, trasformandola nella seducente meta turistica che conosciamo oggi, segnandone la definitiva rinascita urbana e sociale e culturale dopo gli anni del franchismo.

A dispetto di tutte queste storie così significative, Guardiola ricorderà in maniera agrodolce l’avventura olimpica: «Sono stato un completo idiota: il ritiro con la Nazionale era a Palencia, nel Nord della Spagna, a 700 km da Barcellona. In quei giorni non feci nessuno sforzo per integrarmi con i miei compagni, non mostrai la solidarietà necessaria per essere parte di una squadra, di un gruppo. Solo dopo, quando abbiamo iniziato a giocare e a vincere le partite, sono riuscito a fare amicizia con i ragazzi che avrebbero formato la Nazionale spagnola nel decennio successivo, gente come Abelardo, Luis Enrique, Alfonso e Kiko». L’oro arriva al termine di una bellissima finale in cui la Rojita batte per 3-2 la Polonia. Guardiola riceve anche il Trofeo Bravo del Guerin Sportivo, una sorta di Pallone d’Oro per il miglior calciatore europeo Under 21. I problemi di integrazione e interazione vissuti quando viene convocato nella rappresentativa olimpica sono il prologo a un rapporto piuttosto contraddittorio con la Nazionale maggiore. 

L’esordio arriva pochi mesi dopo il successo di Barcellona (14 ottobre 1992, Irlanda del Nord-Spagna 0-0), ma fino al 2001, l’anno dell’ultima gara disputata, le presenze con la Roja saranno appena 47, a causa di alcuni gravi infortuni – che gli faranno saltare, tra l’altro, i Mondiali 1998 – ma anche di diversi periodi negativi, per esempio il biennio 1994-96, in cui Guardiola non viene utilizzato dal ct Javier Clemente. Uno dei suoi allenatori nella Roja, José Antonio Camacho (ct della Spagna dal 1998 al 2002) parlerà così, in seguito, di Pep: «Era come se fosse un mistico: era sempre molto silenzioso, vestiva di nero, rifletteva su tutte le cose e le analizzava costantemente. Si poneva e poneva troppe domande: perché abbiamo vinto? Perché abbiamo perso? Perché in quell’occasione abbiamo giocato la palla in questo modo? Era davvero ossessivo, o meglio: era ossessionato dal calcio». Inevitabile pensare che questo modo di vedere e vivere il gioco fossero una conseguenza della sua identificazione totale con Cruijff, e poi dopo della sua immersione nel mondo enorme – e perciò ingombrante – del Barcellona. 

È un discorso tecnico e calcistico, certo, ma questo distacco ha anche una componente politica, in realtà: nel 2004, mentre gioca in Qatar, Pep dirà in un’intervista che «le leggi ci dicevano di dover giocare con la Nazionale spagnola perché quella catalana non è legittimata a giocare competizioni internazionali. Io giocavo nel la Liga spagnola, mi convocavano e dovevo rispondere. Personalmente ero felice di rispondere alle convocazioni, però non posso nascondere quello che sento e che amo. E quindi devo dire di sentirmi molto legato al mio paese, la Catalogna, un paese che possiede una sua lingua da ottocento anni». 

“Pep Guardiola, il calcio come rivoluzione infinita”, di Alfonso Fasano, (66thand2nd), 304 pagine, 17 euro

Diego Pablo Simeone. Stefano Scacchi per "Avvenire" il 25 gennaio 2022.

Le due parole più ripetute sono «vincente» e «combattente». È così che compagni, avversari e calciatori allenati in questi anni descrivono Diego Pablo Simeone nel documentario Partido a partido, prodotto da Prime Video Amazon e trasmesso da domani sulla piattaforma (in sei puntate in quasi tutto il mondo).

Partita dopo partita, la filosofia che il Cholo descrive al padre Carlos durante una delle scene più belle, girata davanti alla casa natale dell'allenatore dell'Atletico Madrid nel quartiere di Palermo a Buenos Aires.

Una voglia di lottare che ha sempre animato l'ex centrocampista dagli inizi da calciatore con il Velez Sarsfield e poi col Pisa, per poi passare all'Inter e chiudere in Serie A alla Lazio, fino a questo entusiasmante decennio al timone dei Colchoneros dopo aver guidato anche il San Lorenzo, la squadra di Papa Francesco.

«Sono quello che dicono la mia faccia e miei occhi. E non ho mai paura», dice Simeone in questo bellissimo documentario. «Ho paura solo della morte», ha spiegato ieri nella conferenza stampa di presentazione dopo aver detto che il calcio è come la vita stessa: «Scegli se stare più vicino alla vita o alla morte. Nel primo tempo puoi essere più vicino alla seconda, e dopo l'intervallo cambia tutto».

Un approccio che spiega la passione immensa di questo centrocampista completissimo che ha sempre gettato l'anima in campo insieme a un'intelligenza eccezionale, accompagnata dalla capacità di inserirsi e segnare. 

La sua debordante abilità nello sprigionare motivazioni si accompagna al ricordo dei momenti controversi della carriera. La tacchettata sulla gamba di Guerrero, quella subita da Fernando Couto, l'espulsione provocata di Beckham nel Mondiale 1998.

L'ex fuoriclasse inglese ricorda con affetto Simeone dopo la riconciliazione degli anni successivi. Come fanno tanti altri protagonisti del calcio mondiale presenti nella serie. «Mi piacciono quelli con los "huevos" come lui», dice Cristiano Ronaldo riferendosi alla sconfinata grinta del Cholo.

«Ama così tanto il calcio da farlo diventare la sua ossessione», spiega Pep Guardiola. «Quello che succede in campo resta in campo», aggiunge Josè Mourinho rimpiangendo l'eccesso del «politicamente corretto» nel calcio attuale, il contrario del Cholo.

L'allenatore inflessibile lascia il passo al marito e padre molto tenero, come si vede nelle sequenze girate nella splendida villa di Madrid. Non poteva mancare per un argentino la grigliata con il padre Carlos e i figli Giovanni, Gianluca e Giuliano.

Il papà sogna che Diego un giorno alleni la Seleccion argentina. «Non voglio andare via, sto benissimo dove sono, anche se un giorno tutto finisce», ha detto ieri Simeone in modo convinto e quindi ancora più significativo in questa fase delicata dell'Atletico Madrid.

Difficilissimo chiudere questo ciclo strepitoso che ha portato il Cholismo all'attenzione del mondo. Un modo di allenare simboleggiato da questo accorgimento da pelle d'oca di Simeone: in ogni armadietto dei calciatori biancorossi c'è una loro foto da bambini agli inizi in piccole squadre.

«Dovete dare tutto per rispetto dei vostri sogni quando eravate in quelle foto», dice l'allenatore argentino prima delle partite decisive. «A quel punto sei pronto a morire sul campo», raccontano Luis Suarez e Stefan Savic. Ecco la grandezza di Simeone. 

Emmanuel Petit. Andrea Sereni per corriere.it il 19 gennaio 2022.  

Ha ancora la coda lunga e bionda. Certo, c’è qualche capello bianco come la barbetta incolta, ma Emmanuel Petit è lì dietro, impossibile non riconoscerlo. La guardia armata di Zinedine Zidane con la Francia, la spalla di Patrick Vieira nell’Arsenal degli Invincibili. Era in campo al Mondiale 98, ha anche segnato nella finale contro il Brasile di Ronaldo. Protagonista anche due anni dopo, quando all’Europeo a cadere al golden gol fu l’Italia di Zoff.  

Campione assoluto, magari non poetico come Zizou ma incisivo e importante per la Nazionale così come per Monaco, Arsenal, Barcellona e Chelsea, le squadre con cui ha giocato. Eppure non si è risparmiato nulla: playboy e maledetto, eccessi di ogni tipo, fra cocaina e sesso con ragazze compiacenti, addirittura durante un ritiro con i Gunners. Oggi, a 51 anni, che fine ha fatto Petit? Scrive, commenta, parla di calcio e non solo. Ma andiamo con ordine.

Il consiglio particolare di Wenger

Partiamo dal consiglio particolare che gli dà Wenger quando, giovanissimo, Petit perde il fratello Olivier, collassato in campo durante una partita con i dilettanti dell’Arques. Un dolore che lo porta a pensare di smettere con il calcio.  

Poi arriva Wenger: «Mi disse: “Ogni mattina ti vedo, e non sei felice. Hai sempre le cuffie sulle orecchie, ascolti musica, non parli con nessuno. Hai un grande e luminoso futuro davanti a te, ma devi essere felice per migliorare come giocatore" — ricorda Emmanuel —. Mi chiese della mia giornata tipo, e gli raccontai la routine tra colazione, allenamento, pranzo, casa, cena e letto. Si arrabbiò: “Questo è il problema. Hai 18 anni, devi vivere la tua vita. Bevi qualcosa, vai in bar e locali, divertiti, ogni giornata può essere bellissima”». Petit lo prende alla lettera. 

Sesso sul tavolo da biliardo con una tifosa

A Parigi e Londra vive tra lusso, sesso e droga. Scopre party privati e club per scambisti. «Spesso andavamo in lussuosissimi appartamenti di cui non conoscevo i proprietari – racconta nella sua biografia «A Fleur de Peau» («A fior di pelle») — ma loro mi riconoscevano e ci facevano trovare di tutto». 

Tra i vari episodi ricordati dall’ex giocatore, uno riguarda una notte d’amore su un tavolo da biliardo, durante il ritiro con l’Arsenal al Sopwell House Hotel di St.Albans, nell’Hertshire: «C’era una ragazza molto carina che veniva tutti i giorni agli allenamenti — le parole di Petit —. Una volta ho fatto sesso con lei nella sala biliardo. La mattina dopo, il direttore dell’albergo e l’intero staff mi hanno accolto con un applauso, spiegandomi che la stanza aveva delle telecamere e che avevano visto tutta la mia performance, ma rassicurandomi anche che, essendo tifosi dei Gunners, non avrebbero fatto alcun uso di quelle immagini». 

Il festino sullo yacht

Nel libro, una sorta di abbecedario dei vizi, Petit parla anche di un festino di fine anno a bordo di uno yacht di un ricco arabo, dove «c’erano prostitute, modelle e cocaina ovunque. Io non ne ho presa, ma ho visto quelle ragazze venire umiliate in ogni modo possibile». 

La proposta «indecente»

Dopo la vittoria del Mondiale gli capitano episodi curiosi. «Ero fuori da un ristorante in attesa di un taxi, quando all’improvviso una coppia mi si è avvicinata e l’uomo ha fatto una proposta indecente: voleva che facessi delle cose con sua moglie davanti a lui — ha raccontato in un’intervista al Mundo Deportivo —. L’ho ringraziato per l’offerta e sono andato via. Non ricordo quante volte le donne, anche quelle sposate, vennero a trovarmi, anche quando erano con i loro mariti. Mi hanno dato i loro numeri di telefono. Dopo il 1998 tutto è peggiorato. Ma non mi lamento, mi è piaciuto».

Casinò e slot machine

Anche fortunato, Emmanuel. Una sera, pochi giorni dopo aver vinto con la Francia la Coppa del Mondo nel 1998, in vacanza a Montecarlo con la compagna dell’epoca, Ariane, ha messo 10 franchi in una slot machine e ne ha vinti 17.000. 

Petit oggi: commentatore in tv

Ecco, arriviamo ad oggi. Come se la passa Petit? Dopo il ritiro ha cambiato vita ed è divenuto consulente per L'Equipe e France Télévision. È stato commentatore in televisione anche per il canale Setanta. Poi si concede spesso per interviste ai tabloid inglesi in cui commenta le vicende di Arsenal e Chelsea, le squadra per cui ha giocato. 

Scrittore di gialli

Non solo tv. Petit è anche scrittore. Nel febbraio 2019 ha pubblicato «Dernier tacle», un romanzo poliziesco scritto insieme a Gilles del Pappas. In precedenza ha scritto l'ormai celebre «A fleur de peau», da lui definita «un dizionario appassionato della Nazionale francese». 

La lite con la figlia Zoe

Ecco, alcuni problemi sono rimasti nella vita privata. Nel 2000 sposa l’attrice Agathe de La Fontaine, con cui ha avuto una figlia, Zoe, oggi modella. Con entrambe Petit non ha buoni rapporti. Con Agathe ha tagliato i ponti, non ha più alcun contatto. Non va meglio con Zoe, con cui ha litigato pubblicamente (perché lei difendeva la mamma).

Nel 2019 in tv le lancia un messaggio distensivo («La bacio forte, penso molto a lei»), ma lei gli risponde a mezzo social dandogli del bugiardo. Poi gli fa causa per diffamazione. Dopo la rottura con suo padre, raccontano i media francesi, Zoe«è stata seguita da uno psichiatra infantile e ha iniziato a prendere antidepressivi. Soffre enormemente». 

L'amore con Maria

Dopo la rottura con Agathe ha ritrovato l'amore con Maria Servello, una modella di origine russa, con cui ha avuto altre due figlie, Violette e Skyla. Il loro rapporto sembra andare a gonfie vele, tra vacanze e cene sempre insieme, come testimoniato dalle tante foto pubblicate dalla donna su Instagram.

La passione per Bangkok

Emmanuel ha una passione per Bangkok, luogo di meraviglia e perdizione in Thailandia. «Si mangia a qualsiasi ora del giorno e tutto è estremamente conveniente». Colpito, il francese, da «fuochi d'artificio di profumi, colori e il cibo incredibile». 

Mario Jardel. Da derbyderbyderby.it il 17 gennaio 2022.  

L'ex nazionale brasiliano ha ammesso di aver assunto un'overdose di droga nel 2002 mentre era allo Sporting Lisbona, appena un anno prima del suo trasferimento al Reebok Stadium per indossare la maglia del Bolton, dove nel suo breve periodo di militanza nel club inglese avrebbe poi segnato tre gol in 11 presenze.

Tre anni fa, Jardel aveva ammesso di aver assunto sostanze stupefacenti durante i periodi di vacanza tra una stagione calcistica e l'altra, dicendo di essere entrato nel mondo della droga per curiosità e che poi ne era uscito grazie a sua moglie. Oggi Jardel, che ha eliminato il Milan dalla Champions League nel 1996 con la maglia del Porto e che ha giocato anche in Serie A con l'Ancona (3 partite e 0 gol fra il gennaio e il maggio del 2004), ha 48 anni e ha reso pubblica in tv la sua clamorosa overdose di cocaina durante la versione portoghese del Grande Fratello.   

Jardel, che ha iniziato una carriera politica di breve durata nella sua terra natale, a Fortaleza, nello stato brasiliano del Ceará, dopo essersi ritirato dal calcio, ha scioccato gli spettatori e i suoi compagni di casa ammettendo: “Nel 2002 ho avuto un'overdose e sono stato sveglio ininterrottamente per sette giorni facendo uso di cocaina. Per quelli di voi che mi guardano, non è un esempio. Facevo il calciatore, ero famoso, mi sentivo invincibile, pensavo che non mi sarebbe successo niente, che tutto fosse a posto”.  

Ancora oggi deve stare attento per evitare ricadute, e ha aggiunto: “Questa è una lotta quotidiana". Jardel, che ha lasciato l'attività agonistica nel 2011, era già finito ai margini del grande calcio durante la stagione 2002-2003 prima di trasferirsi al Bolton dopo essersi infortunato al ginocchio in una caduta in piscina durante le vacanze di Natale in Brasile. 

Durante il suo periodo senza infamia e senza lode con la maglia della squadra inglese, Jardel era stato ceduto in prestito alla squadra italiana dell'Ancona prima di firmare per il club argentino Newell's Old Boys. Nella sua confessione al programma televisivo portoghese, ha aggiunto: “Sono caduto e mi ci è voluto molto tempo per rialzarmi. Non ho parole per ringraziare la tv per l'opportunità che mi sta dando. L'importante è che io sia vivo e oggi posso dire no alla droga". 

L'ex calciatore, esploso da giovane con tanti gol all'inizio della sua carriera (168 gol in 175 partite al Porto dopo le sue prime esperienze al Vasco da Gama e al Gremio), convocato dal Brasile all'età di soli 19 anni, ha anche confessato di soffrire di depressione: "Non è facile combattere la depressione e la mancanza di amici dopo aver smesso di giocare".

Cristiano Ronaldo. Da ilnapolista.it il 17 novembre 2022. 

È il giorno della ormai famosa intervista di Cristiano Ronaldo con Piers Morgan. Ecco il testo della prima parte, raccolto dal Daily Mail. 

Come dico molte volte, i fan, parlerò  sempre bene di loro. I tifosi sono la cosa più importante nel calcio. Giochi per loro, sono sempre dalla mia parte e sento che ogni volta che cammino per strada, i tifosi vengono da me e apprezzano quello che faccio per il calcio. I tifosi sono tutto per me.’

“Beh, onestamente, era vicino. È stato qualcosa di cui hanno parlato molto e Guardiola ha detto due settimane fa che hanno cercato di prendermi. Ma come sapete, a causa della mia storia con il Manchester United, il tuo cuore, i tuoi sentimenti, quello che hai fatto prima, tutto questo ha fatto la differenza, naturalmente e anche Sir Alex Ferguson.

“Sì, ho parlato con lui. Mi ha detto che era impossibile per me andare al Manchester City. E ho detto ok capo!Così ho preso la decisione e ripeto, è stato con coscienza che è stata una buona decisione.

Quella sensazione è stata incredibile, ma non solo il giorno della partita. Ho sentito prima, la settimana prima, che il mondo era cambiato. Il mondo parlava di me, della casa di Cristiano, che ero tornato al mio posto. È stato un momento speciale essere tornato al Manchester United ed esibirmi per i nostri tifosi e, naturalmente, segnare due gol è stata la migliore accoglienza possibile.

Piers ad essere onesti, quando ho firmato per il Manchester United ho pensato che tutto sarebbe cambiato perché erano passati tredici anni da quando ero andato via. Sono stato al Real Madrid nove anni e tre alla Juventus, e quando sono arrivato ho pensato che sarebbe stato diverso; la tecnologia, le infrastrutture e tutto il resto. Invece sono rimasto sorpreso in negativo, perché tutto era lo stesso, e tu hai ricordato che Ole [Gunnar Solskjaer] era stato licenziato, Michael Carrick ha assunto il ruolo per due partite, e tutto è stato così veloce. Ma mi ha sorpreso molto l’instabilità al club, come se l’orologio si fosse fermato.

Quando ho firmato e hanno firmato anche Sancho e Varane, credevo che le cose sarebbero andate nel modo in cui Manchester dovrebbe essere. Come hai detto, Sir Alex Ferguson ha lasciato un grande vuoto nel club, ma non solo Sir Alex, un uomo che pensavo facesse la differenza era David Gill. Era un brav’uomo Anche la struttura intorno a Sir Alex era molto importante, e sapevo che il Manchester United non era lo stesso. In dieci non è cambiato niente. La piscina, la vasca idromassaggio, anche la palestra. Anche alcune parti della tecnologia, la cucina, gli chef – che apprezzo sono persone adorabili – si sono fermati nel tempo, il che mi ha sorpreso molto perché pensavo di trovare molti cambiamenti.

“Dopo Ole, portano un direttore sportivo Ralf Rangnick, che è una scelta che nessuno capisce. Non è nemmeno un allenatore. Un grande club come il Manchester United che ha ingaggiato un direttore sportivo ha sorpreso tutto il mondo, non solo me. È stata una decisione ridicola. Se non sei nemmeno un allenatore, come farai a essere il boss del Manchester United? Lo United non ha seguito la strada giusta per raggiungere il successo come fatto da Liverpool, Manchester City, Chelsea… sono un passo indietro o due per colpa di questi errori. 

No [Non avevo mai sentito parlare di lui]. Certo che no. Nessuna delle persone con cui ho parlato, lo conoscevano. Lo rispetto, tutti gli allenatori della mia carriera li ho dovuti chiamare capo, ma dentro di me non l’ho mai visto come il capo. Si è fermato in tempo anche perché se non hai fatto l’allenatore negli ultimi cinque anni, perdi la tua identità di allenatore.’

“Ad essere onesti, è qualcosa che non capisco. I nuovi allenatori che stanno emergendo pensano di aver scoperto l’ultima Coca Cola nel deserto. Non capisco. Rispetto qualsiasi allenatore che ha un approccio diverso o una mentalità diversa, ma ci sono alcuni punti su cui non sono d’accordo. Sono sempre stato così nella mia vita. 

Sono sempre stato accanto ai migliori allenatori del mondo: Zidane, Ancelotti, Mourinho, Fernando Santos, Allegri… quindi ho avuto una certa esperienza perché ho imparato da loro. E quando vedi alcuni allenatori che vogliono venire a rivoluzionare il calcio, non sono d’accordo, ho la mia opinione e non sono d’accordo – ma fa parte del gioco.

Alla fine sono in un club per vincere, e con la mia esperienza voglio aiutare come sempre. Alcuni allenatori non lo accettano e questo fa parte del lavoro.’

“No [non sapeva cosa stava facendo]. Conoscono molto bene il club, ma non conoscono la dimensione del club al suo interno, la storia del club, il che mi ha sorpreso ancora di più. Per licenziare Ole Solskjaer, dovresti portare un top manager, non un direttore sportivo. Amo Solskjaer. Penso che fosse una persona al top, perché quello che tengo nel mio cuore è il cuore della persona, e per me Ole è una persona al top. Allenatore? Certo, non ha ottenuto quello che voleva. È difficile ipotizzarlo dopo Sir Alex Ferguson, ma penso che abbia fatto bene e aveva bisogno di più tempo. Non dubito che sarà un buon allenatore in futuro, ma la sua è stata una buona esperienza. Ero così felice di lavorare per lui, anche se è stato un breve periodo.’

Non penso che non rispettino i giocatori più esperti o i giocatori più anziani, ma vivono in un’epoca diversa. Posso dire che  mio figlio che ha 12 anni, ha un’altra mentalità. La differenza è la fame. Hanno le cose più facilmente. Tutto è facile. Non soffrono, non gli importa. Non intendo solo i giovani dello Unite, ma di tutte le squadre. Non sono gli stessi della mia generazione.” 

“Non possiamo biasimarli perché fa parte della vita. La nuova generazione e le nuove tecnologie che li distraggono.” 

Gesticola per indicare che quel dici ai giovani da un orecchio entra e dall’altro esce.

“Non avranno carriere longeve. È impossibile. È un peccato perché se hanno i migliori esempi davanti ai tuoi occhi, e se almeno non imiti quello che vedi, per me è un po’ strano. Perché ricordo che quando avevo 18, 19, 20 anni, ho sempre cercato di imitare  Van Nistelrooy, Rio Ferdinand, Roy Keane, Giggs, questo è il motivo per cui ho il successo che ho e la longevità. Perché mi prendo cura del mio corpo, della mia mentalità, della mia testa, perché osservavo quei calciatori e imparavo da loro.”

Se mi dici cosa vedo nel Manchester United, posso citare probabilmente Diogo Dalot. È giovane ma è molto professionale e non ho dubbi che avrà longevità nel calcio. È giovane, intelligente, intelligente ed è molto professionale. Ne abbiamo ancora alcuni, ma come lui è difficile dirlo. Probabilmente [Lisandro] Martinez, Casemiro ha 30 anni… ma direi Dalot.’

Non mi sarei mai aspettato che [i tifosi del Liverpool applaudissero al settimo minuto ad Anfield]. Ora ho l’opportunità di dire a tutte le comunità inglesi, grazie mille per la gentilezza che hanno avuto con me. Non solo Liverpool, ma tutta l’Inghilterra. 

Ho ricevuto anche una lettera dalla famiglia della Regina, che mi ha sorpreso molto. Incredibile. Questo è il motivo per cui rispetto la comunità inglese e le persone perché sono state molto gentili con me in quel momento difficile della mia vita. 

È stato spettacolare il modo in cui hanno trattato me e la mia famiglia.’

“Sembra che la stampa voglia mettermi in prima pagina perché sanno che venderanno di più e l’interesse sarà diverso. Sono abituato a vivere così, perché a 37 anni ho imparato che quando sei sulla cresta dell’onda, non ti rendi conto e non vedi cose che hai visto prima, cioè vedere quali persone sono al tuo fianco nei momenti brutti e chi ti critica di più. In tutto il mondo la stampa mi critica ancora di più. A volte non capisco perché. Anche la stampa portoghese mi critica molto. Non capisco.’

Piers, non capisco. Dovresti fare a lui questa domanda, ma non lo so. Non capisco perché mi critichi così tanto, non capisco se sia geloso di me. È stato un anno fa o sei mesi fa qui a casa mia che ha preso i suoi figli e ha invitato Cristiano [Jr] ad andare a casa sua a giocare a calcio. Io davvero non capisco le persone così, o se vogliono essere sulla copertina del telegiornale o vogliono un nuovo lavoro o qualsiasi altra cosa. 

Probabilmente [è gelosia] perché ha finito la sua carriera a trent’anni.  Io sto ancora giocando ad alto livello. Non dirò che sono meglio di lui, il che è vero… ma è difficile ascoltare quel tipo di critiche da parte di persone che hanno giocato con te. Anche Gary Neville.’

“Le persone possono avere la loro opinione, ma non sanno davvero cosa sta succedendo all’interno del campo di allenamento o persino della mia vita. Dovrebbero ascoltare non solo un punto di vista, dovrebbero ascoltare anche il mio punto di vista perché è facile criticare, ma se non conosci l’intera storia è facile. Non sono miei amici, sono colleghi. Non stiamo cenando insieme, per esempio. Ma fa parte del mio viaggio. Continuano a criticarmi ogni volta, quindi continuo il mio viaggio e devo raggiungere le persone a cui piaccio.’ 

Significa molto perché ero in uno spogliatoio con loro, fanno parte del mio viaggio nel calcio.

Come ho detto molte volte, Roy Keane per me è stato il mio miglior capitano di sempre. Rio Ferdinand mi ha aiutato molto. Sono bravi ragazzi non solo perché parlano bene di me, ma erano lì nello spogliatoio, sono giocatori di calcio, sanno come pensano i giocatori e come si comportano. 

E ascoltare ex colleghi e compagni di squadra criticarti e vedere solo un punto di vista… è facile criticare se hai un lavoro in televisione perché devi criticare per essere più famoso.’

Cristiano Ronaldo, nell’intervista nuove accuse al Manchester United e ten Hag: ora rescissione o licenziamento. Andrea Sereni su Il Corriere della Sera il 15 Novembre 2022.

Il portoghese e l’intervista con Piers Morgan che ha causato la rottura con lo United. Nuove anticipazioni: CR7 attacca gli ex compagni Rooney e Neville, se la prende con i Glazer, viene trattato con gelido distacco da Bruno Fernandes

Cristiano Ronaldo è sempre più solo. Ha chiuso con il Manchester United dopo la clamorosa intervista in cui ha sparato a zero su club, dirigenti, allenatore. I compagni di squadra, gli unici esclusi dall’ira funesta di CR7, pure gli hanno voltato le spalle. Nel senso letterale della parola, come si vede nel video filmato nello spogliatoio del Portogallo, con Bruno Fernandes (capitano dello United) che quasi si rifiuta di stringergli la mano, lo guarda sbilenco, a stento gli rivolge la parola.

Il dialogo tra Ronaldo e il giornalista Piers Morgan, star televisiva da 8 milioni di follower su Twitter, è stato come una controffensiva mediatica di una multinazionale alle prese con la difesa pubblica del proprio marchio globale. Un’intervista che ha avuto un’eco mondiale enorme e ha preso in contropiede lo United, «il club che mi ha tradito», che ora pensa ad un’azione legale contro la sua stella puntando alla rescissione del faraonico contratto, in scadenza a giugno. Ten Hag, l’allenatore per cui Cristiano «non ha rispetto», ha detto ai dirigenti del club di non volerlo più vedere. Di sicuro, quindi, a gennaio Ronaldo non tornerà a Manchester. Dove può finire? C’è chi ipotizza un ritorno in Italia, alla Roma dell’amico Mou, ma in pole c’è lo Sporting Lisbona, casa sua, forse il posto giusto per non fargli ombra durante questo lungo ultimo ballo.

Intanto continuano ad arrivare estratti dell’intervista (di un’ora e mezza) di CR7, che sarà trasmessa in Inghilterra in due parti tra mercoledì e giovedì. Uno dei temi più dibattuti riguarda il precampionato, quando Cristiano ha disertato la tournée in Thailandia e Australia e buona parte del ritiro a Carrington. Lui e Georgina ad aprile hanno perso uno dei due gemelli che aspettavano. A tre mesi, in luglio, la piccola Bella Esmeralda ha avuto una brutta bronchite, che l’ha costretta a un ricovero in ospedale di una settimana. Ronaldo racconta: «Ho parlato col direttore sportivo e il presidente del Manchester United quando mia figlia è stata male. Era come se non credessero alle mie parole, e questo mi ha fatto stare male — spiega in una nuova anticipazione del dialogo con Piers Morgan —. Mi hanno ascoltato, ma era chiaro che dubitassero delle mie parole, del fatto che mia figlia avesse grossi problemi, che Georgina stesse male per lei. È il motivo per cui non sono partito per la tournée: come padre e come marito non potevo lasciare la mia famiglia in quel momento. Non per il precampionato».

Cristiano si è scagliato contro il tecnico dello United ten Hag, «Non ho rispetto per lui perché lui non ha mostrato rispetto per me. E se non mi mostri rispetto, non avrai mai il mio». Parole che hanno messo una pietra tombale sul rapporto tra i due. Ronaldo sa di non essere più il giocatore che era, rivela nell’intervista, ma certo non si aspettava di essere relegato quasi sempre in panchina. Dice di aver ancora voglia di battere record, di avere una migliore comprensione del gioco di quando era ragazzo. Torna anche sulla partita di metà ottobre con il Tottenham, quando si è rifiutato di entrare in campo e ha lasciato la panchina prima del 90’: CR7 dice a Morgan che ha chiesto scusa all’intera squadra per quel gesto.

Nel mirino del portoghese finiscono così due suoi ex compagni, Gary Neville e Wayne Rooney, oggi commentatori in tv e sui giornali, spesso fustigatori del Ronaldo 2.0, più zavorra che risorsa («Inaccettabile il comportamento che sta tenendo», ha sentenziato di recente l’ex attaccante inglese): «Wayne non capisco perché mi critica. Forse è geloso perché io sto ancora giocando ad alto livello e lui ha smesso a 30 anni — la sferzata di CR7 —. Non dirò che sono più bello di lui, cosa che è vera». Poi tocca a Neville: «È difficile ascoltare tutte quelle critiche da gente che ha giocato con te. Come Gary. La gente può avere la propria opinione, ma non sa cosa succede in allenamento o nella mia vita. Dovrebbero ascoltare anche il mio punto di vista. È facile criticare, non so se per il loro lavoro in tv devono criticare per forza per essere più famosi». E ancora: «Penso che approfittino del mio nome, perché non sono stupidi. Sono la persona più seguita del pianeta, non è una coincidenza. So che devo accettare critiche e elogi, ma non è bello sentire critiche così pesanti da gente che è stata in uno spogliatoio con te. È un po’ deludente. Rooney in particolare. Sei mesi fa, un anno al massimo è venuto a casa mia a prendere i suoi figli e ha invitato il mio ad andare a giocare a calcio a casa sua. Persone come lui non le capisco proprio. Forse vogliono essere sulla copertina di un giornale, o sperano di ottenere un nuovo lavoro. Sia lui che Neville non sono miei amici. Sono stati colleghi, abbiamo giocato insieme, ma non andrò certo a cena con loro».

Infine, come anticipato dal Sun, un attacco diretto alla famiglia Glazer, proprietaria dello United: «A loro non importa nulla della squadra. Almeno non della parte sportiva. Il Manchester United è un club che frutta loro soldi grazie al marketing, ma della parte sportiva non gli interessa e danno tutto il potere a presidente e direttore sportivo. Non ho mai parlato con loro da quando sono tornato». Secondo Cristiano «allo United è come se il tempo si fosse fermato. A livello tecnologico, di strutture, non è cambiato niente. Nemmeno la palestra o la jacuzzi, nemmeno i cuochi. Ho trovato le stesse cose di quando avevo 22-23 anni». Tutto fermo. Fanno bene i tifosi a criticare la proprietà, dice il portoghese: «Dovrebbero conoscere la verità, sapere che i giocatori vogliono il meglio per il Manchester United, che io voglio il meglio per il Manchester United ed è per questo che sono tornato, perché amo questo club. Ma i tifosi dovrebbero anche sapere che ci sono situazioni all’interno del club che gli impediscono di raggiungere il massimo livello, dove sono City, Liverpool e ora anche Arsenal. È dura, sarà dura per lo United essere al vertice nei prossimi 2-3 anni».

Da calciomercato.com il 15 novembre 2022.

Aveva promesso che prima o poi avrebbe parlato e ora l’ha fatto. Cristiano Ronaldo rompe il silenzio sul suo rapporto con il Manchester United e spara a zero contro il suo club. Il portoghese l’ha fatto in un’intervista rilasciata al giornalista del Sun e personaggio televisivo inglese, Piers Morgan. 

Queste le sue dichiarazioni.

“Il Manchester United ha cercato di forzare la mia cessione. E non sto parlando solo dell’allenatore, ma tutte le componenti del club. Mi sono sentito tradito, mi hanno reso una pecora nera. Ho avuto la percezione che la maggior parte delle persone non mi volesse più al Manchester United, non solo in questa stagione ma anche nella passata. Non rispetto ten Hag, così come lui non ha rispettato me. Questo è il periodo più difficile della mia vita".

"Quando ho deciso di tornare al Manchester United, ho seguito il mio cuore. Ho chiamato Ferguson e mi ha detto: 'Sarebbe impossibile per te andare al Manchester City'. E io ho detto: 'Ok, capo'".

"Dopo Sir Alex Ferguson non c’è stata alcuna crescita nel club, i progressi sono stati pari allo zero. Un aspetto importante è stato come lo United ha esonerato Solskjaer, per prendere un ds come Rangnick. Ed è una cosa che nessuno ha capito: non è mai stato un allenatore, e la cosa ha sorpreso non solo me, ma tutto il mondo". 

“Non so perché Rooney mi critica così tanto, probabilmente perché ha terminato la sua carriera e io gioco ancora ad alti livelli. Non ho intenzione di dire che sto meglio di lui. Che è vero...".

Paolo Fiorenza per fanpage.it il 15 novembre 2022.

L'intervista distruttiva di Cristiano Ronaldo col giornalista amico Piers Morgan, di cui continuano ad essere diffusi stralci e che verrà trasmessa integralmente in due parti mercoledì e giovedì sera, rischia di avere effetti dirompenti non solo nel Manchester United, dove ormai appare chiaro che il cinque volte Pallone d'Oro non ha alcuna intenzione di proseguire assieme, ma anche nel Portogallo, appena radunatosi in vista degli imminenti Mondiali.

Quanto accaduto lunedì a Lisbona, dove i 26 convocati del Ct Fernando Santos si sono ritrovati in vista del torneo in Qatar, allunga un'ombra pesante sulla spedizione di Leao e compagni. Una formazione sulla carta molto competitiva, col milanista e Joao Felix assieme a Ronaldo in attacco, ed alle loro spalle un centrocampo in cui spiccano Bernardo Silva e Bruno Fernandes. Quest'ultimo compagno di CR7 anche nello United, anzi di più: da quest'anno, con il confinamento di Maguire in panchina, anche capitano dei Red Devils e pilastro del nuovo corso di Erik ten Hag.

Cristiano Ronaldo e Bruno Fernandes sono compagni nel Manchester United e nel Portogallo

Un asse molto forte quello creatosi tra l'allenatore olandese arrivato a Old Trafford in estate e l'ex giocatore di Udinese e Sampdoria. Ronaldo non poteva non sapere che le durissime parole rivolte allo United, accusato di averlo "tradito" e di essere un club allo sbando, ed a ten Hag ("non lo rispetto, ha provato ad allontanarmi") avrebbero richiesto un ‘chiarimento' con uno degli uomini simbolo del progetto varato dal nuovo tecnico. Tuttavia probabilmente neanche lui immaginava una reazione come quella che è stata immortalata in un video che nella notte ha totalizzato milioni di visualizzazioni.

Il filmato è estrapolato da quello più ampio diffuso dai canali ufficiali del Portogallo, in cui si vedono tutti i calciatori di Santos arrivare al raduno. Quando nello spogliatoio entra Bruno Fernandes sembra quasi ignorare Ronaldo che è già lì. Gli passa davanti senza neanche guardarlo né dirgli niente, appoggiandogli solo la mano sul braccio e riponendo la sua borsa nell'armadietto. A quel punto Cristiano gli tende la mano, che resta sospesa per un po' finché Fernandes – che evidentemente era incerto se stringergliela – non l'afferra molto rapidamente continuando peraltro a non guardarlo e lasciandolo letteralmente di sasso. Un saluto gelido a dire poco. Dopo avergli detto qualcosa, poi si allontana per salutare il resto dei compagni.

Se i commenti dei tifosi portoghesi sono improntati alla preoccupazione (tra i convocati per i Mondiali c'è anche un altro calciatore dello United, Diogo Dalot, anche lui messo in una situazione imbarazzante), quelli dei sostenitori dello United sono praticamente tutti di sostegno e apprezzamento per Bruno Fernandes, comportatosi da "vero capitano e leader" nell'impartire una lezione all'altezzoso Ronaldo, che ha anteposto gli interessi personali a quelli della squadra.

CR7 sembra davvero aver fatto terra bruciata intorno a lui a Manchester, sia in spogliatoio che nella tifoseria. Quello che appare è un uomo di 37 anni con un ego ormai fuori controllo, che non accetta lo scorrere del tempo e vorrebbe violare la sacra regola del suo mentore Alex Ferguson: "Nessun giocatore è più grande del club". Non gli verrà consentito di farlo. Non al Manchester United.

da tuttomercatoweb.com il 15 novembre 2022.

Dopo la prima scoppiettante parte delle dichiarazioni di Cristiano Ronaldo, nelle ultime ore della giornata di ieri sono uscite anche altre parole del fenomeno portoghese al Sun. Il 5 volte Pallone d'Oro ha criticato duramente i Glazer, ma anche gli ex compagni di squadra Wayne Rooney e Gary Neville, esaltando invece il suo rapporto con Rio Ferdinand e Roy Keane. Di seguito tutto ciò che ha detto:

Cosa ne pensa dei Glazer?

"A loro non importa del club. Voglio dire, dell'aspetto legato allo sport professionistico. Il Manchester United è un club di marketing, loro otterranno i soldi dal marketing, dello sport secondo me a loro non importa veramente. Non ho mai parlato con i Glazer, loro danno tutto il potere al presidente, al direttore sportivo".

Crede che sia giusto che i tifosi contestino i Glazer?

"I fan hanno sempre ragione. Dovrebbero sapere la verità, dovrebbero ora che noi giocatori... Vogliamo il meglio per il club. Io voglio il meglio per il club, è il motivo per cui sono venuto al Manchester United, perché amo questo club. Ci sono alcune cose all'interno del club che non aiutano a raggiungere i massimi livelli come il Manchester City, il Liverpool e anche l'Arsenal adesso. Sarà difficile per il Manchester United essere in testa alla classifica nei prossimi due o tre anni".

Che idea si è fatto a proposito delle critiche di Neville?

"Ascoltare come ti criticano ex colleghi o compagni di squadra, quando vedono solo un punto di vista... È facile. È facile criticare, non so se hanno un lavoro in tv che gli impone di criticare per essere più famosi. Davvero, non lo capisco. È difficile quando vedi persone che erano nello spogliatoio con te criticare in quel modo. Penso che si approfittino della mia notorietà perché non sono stupidi. Sono il ragazzo più seguito al mondo. Non è un caso". 

Anche Rooney l'ha criticata aspramente.

"Sono sorpreso. Un anno o sei mesi fa noi eravamo a casa mia, ha preso i suoi figli ed ha invitato mio figlio di 12 anni ad andare a giocare a casa sua a calcio. Io veramente non capisco le persone così. O vogliono essere nella copertina di un giornale o vogliono nuovi lavori o qualunque cosa. Rooney e Neville non sono miei amici, sono colleghi. Abbiamo giocato insieme, non abbiamo mai cenato insieme".

Invece il suo rapporto con Keane e Ferdinand è ottimo.

"Keane è il mio miglior capitano di sempre. Con Ferdinand eravamo vicini di casa e l'amicizia esisteva anche fuori dal campo. Sono bravissimi ragazzi, non solo perché parlano bene di me, ma perché loro erano nello spogliatoio. Sono giocatori di calcio e sanno come pensano e si comportano i calciatori".

Da calciomercato.com il 15 novembre 2022.

Karim Benzema ha parlato in un'intervista a Telefoot, con riferimento all'exploit che lo ha portato alla vittoria del Pallone d'oro. Il centravanti francese, alla domanda "Cristiano Ronaldo si è congratulato con te?", ha risposto in maniera molto diretta: "No, non ancora". Quando l'intervistatore ha portato l'attenzione sul fatto che il comportamento di CR7 non sarebbe stato cordiale, la star francese ha replicato "con calma", come a voler dire "c'è ancora tempo, mi aspetto che lo faccia".

Questo episodio non può che far pensare a quella foto, simbolo della rinascita di Benzema, in cui il francese applaude Ronaldo, fresco vincitore del Pallone d'oro del 2014. Se in quel frangente Karim, sullo sfondo, accettava il ruolo secondario che interpretava in quel Real Madrid, per Ronaldo non sembra essere così semplice riconoscere il premio vinto dal suo ex compagno di squadra. 

Proseguendo nell'intervista, con riferimento all'imminente Coppa del Mondo, Benzema ha rassicurato i tifosi. "Sarò presente e al 100%". Nonostante gli infortuni degli ultimi tempi, le sue condizioni sono buone e l'Equipe de France potrà contare su di lui. "Sto bene e sono in forma", ha aggiunto il campione dei Bleus, scacciando via ogni dubbio sull'instabilità della sua condizione fisica. Ci sarà Benzema e ci sarà anche Ronaldo. Chissà che non possano incontrarsi, in un revival di Francia-Portogallo, finale dell'Europeo 2016.

Salvatore Riggio per corriere.it il 24 agosto 2022.

Non c'è mai pace per Cristiano Ronaldo. Il fuoriclasse portoghese rischia di essere nuovamente citato in giudizio per quanto accaduto il 9 aprile scorso. Al termine della partita contro l'Everton, l'attaccante portoghese ruppe di proposito lo smartphone di un ragazzo che lo stava riprendendo. 

Da ricordare che la polizia del Merseyside lo ha diffidato per il gesto e multato per 200 sterline (236,85 euro). Però la diatriba in questione non è di certo terminata qui. 

La madre del 14enne (il ragazzo ha il disturbo dello spettro autistico), Sarah Kelly, in un'intervista rilasciata al tabloid Mirror ha spiegato come il portoghese non si sia nemmeno offerto di sostituire il telefono rotto e tantomeno scusato.

E che per l'episodio siano arrivati alcuni messaggi poco edificanti nei loro confronti via social: «Ho paura di uscire di casa. Ci stanno facendo passare per criminali e Ronaldo la vittima innocente», ha detto. 

Inoltre, sempre da quanto raccontato dalla donna, ci sarebbe stata una chiamata telefonica con Cristiano Ronaldo: «Nella telefonata non si è mai riferito a mio figlio chiamandolo per nome. Era solo "il ragazzo". Diceva "So che il ragazzo ha dei problemi". Io gli ho risposto "Non ha problemi, ha una disabilità. Il problema sei tu". E ancora: "Ha detto "Mi dispiace", ma poi ha aggiunto "Non ho fatto niente di male" perché "non aveva preso a calci, ucciso o preso a pugni nessuno"». Insomma, non di certo una bella telefonata. Non solo.

Sempre secondo quanto raccontato dalla donna, a un certo punto della telefonata Cristiano Ronaldo avrebbe dichiarato: «Non voglio che la questione finisca sui media o in tribunale. Ho un buon team di avvocati e vincerei». Infine, la madre del ragazzo ha aggiunto: «Ha detto che sapeva come manipolare i media». 

Adesso sta pensando di portarlo in tribunale. Sulla vicenda non si è ancora chiuso il sipario.

Cristiano Ronaldo-Mayorga: archiviata la denuncia di violenza sessuale. Salvatore Riggio su Il Corriere della Sera l'11 giugno 2022.

Archiviata la denuncia contro Cristiano Ronaldo presentata dall’ex modella Kathryn Mayorga e legata a una presunta violenza sessuale avvenuta nel 2009 in un hotel di Las Vegas. Nelle motivazioni della sentenza il giudice federale la ritiene irregolare e, quindi, da respingere. La donna, che oggi ha 37 anni, chiedeva al fuoriclasse portoghese un risarcimento danni fino a 65 milioni di euro.

La motivazione è che il legale di lei, Leslie Stovall, avrebbe contaminato il processo basandosi su documenti rubati che hanno rivelato informazioni privilegiate sulla strategia legale del calciatore, documenti fatti emergere da Football Leaks,

È quanto sostiene il giudice federale Jennifer Dorsey nella sua sentenza, ribadendo quanto già detto, nell’ottobre 2021, da un altro giudice, Daniel Albregts: «L’archiviazione del caso Mayorga a causa del comportamento scorretto del suo avvocato è grave. Ma purtroppo è l’unica sanzione appropriata per garantire l’integrità del processo giudiziario», scrisse il giudice Albregts. Anche se Mayorga cambiasse legale «la corte non sarebbe in grado di dire quanto del caso si basi solo sui suoi ricordi o quanto sia stato influenzato dai documenti di Football Leaks».

Il caso Mayorga: cos’è successo

Mayorga sostiene che Cristiano Ronaldo l’abbia aggredita sessualmente al Palms Casino di Las Vegas il 13 giugno 2009. Da parte sua, l’ex attaccante della Juventus ha sempre ammesso il rapporto sessuale, ma sempre respingendo ogni accusa di violenza. Le parti avevano trovato un accordo di quasi 357mila euro nel 2010. Ma le cose erano cambiate quando, nel 2017, il quotidiano tedesco Der Spiegel, aveva pubblicato un articolo che descriveva la presunta aggressione sessuale e l’accordo transattivo. Il Der Spiegel aveva affermato di aver ricevuto documenti sul caso dagli informatori di Football Leaks. Da qui era partita poi la denuncia della donna nei confronti di CR7, sostenendo che il team legale del portoghese l’aveva spinta a firmare l’accordo. «L’uso ripetuto da parte di Leslie Stovall (l’avvocato di Kathryn Mayorga, ndr) di documenti rubati e privilegiati per perseguire questo caso ha tutte le indicazioni di condotta in malafede», ha scritto il giudice. Cala il sipario su questa vicenda.

Alfio Sciacca per il “Corriere della Sera” il 12 giugno 2022.

La decisione era attesa e potrebbe mettere la parola fine alle accuse di stupro nei confronti di Cristiano Ronaldo. Nell'ottobre scorso il giudice incaricato nell'ambito del procedimento civile aveva infatti chiesto l'archiviazione del caso e ieri il giudice distrettuale di Las Vegas, Jennifer Dorsey, ha accolto la «raccomandazione» e respinto la causa presentata dall'ex modella Kathryn Mayorga che sostiene di essere stata violentata nel 2009. Mentre in sede penale le accuse contro il campione portoghese erano già state archiviate nel 2019 per mancanza di prove. 

Non solo. Il giudice ha anche ritenuto che Ronaldo sia stato vittima di un danno alla sua attività. Già mesi fa l'avvocato della donna, Leslie Mark Stovall, era stato accusato di aver agito «in malafede», sulla base di documenti raccolti irregolarmente attraverso Football Leaks (sito di hacker che svela accordi e corrispondenza privata di calciatori) e riguardanti le comunicazioni tra Ronaldo e il suo staff legale. Ciò avrebbe danneggiato il cinque volte pallone d'oro.

Ieri il giudice distrettuale Jennifer Dorsey ha rincarato la dose. Nelle 42 pagine del suo provvedimento critica duramente il legale della donna per il suo modo di operare.

«Merita sanzioni dure», dice Dorsey.

Si chiude dunque anche la causa civile avviata dalla modella del Nevada, oggi 37enne. Anche se i suoi avvocati potrebbero ancora presentare ricorso. Da parte sua la stella del Manchester United ha sempre respinto ogni accusa, parlando di rapporto «del tutto consensuale». 

Nel 2009, all'epoca dei fatti, la donna aveva chiamato la polizia di Las Vegas per denunciare di essere stata violentata, ma aveva omesso di fare il nome del suo aggressore. Un anno dopo era stata avviata una mediazione tra i legali delle parti che aveva portato Ronaldo a versare 375.000 dollari in cambio di un impegno di riservatezza anche sull'esistenza dell'accordo stesso.

Successivamente i legali della donna dichiararono nulla quell'intesa: siglata, a loro dire, in condizione di pressione psicologica. Venne presentata un'ulteriore richiesta di risarcimento pari a 65 milioni e tra il 2017 e il 2018 la notizia finì prima su alcuni giornali e poi si concretizzò in un'accusa pubblica della presunta vittima nei confronti di Ronaldo, portando all'apertura dei procedimenti penale e civile.

Cristiano Ronaldo, il giudice di Las Vegas archivia la causa per stupro. Il Tempo l'11 giugno 2022.

Un giudice distrettuale statunitense ha respinto la causa per stupro contro la stella del calcio Cristiano Ronaldo. La causa, avviata da una donna del Nevada, accusava il calciatore di averla violentata più di 10 anni fa. Ad accusare Ronaldo di averla abusata sessualmente in una stanza d’albergo di Las Vegas nel 2009 è la ex modella Kathryn Mayorga. La decisione del tribunale distrettuale di Las Vegas, datata 10 giugno, ha seguito le raccomandazioni del giudice Daniel Albregts che lo scorso ottobre aveva raccomandato l’archiviazione del caso.

«Si raccomanda di accogliere la mozione di Ronaldo per porre fine al caso. Si raccomanda inoltre di archiviare l’azione legale di Mayorga», aveva detto il giudice. Le accuse di Mayorga erano state risolte in via extragiudiziale 13 anni fa, con il versamento di oltre mezzo milione di dollari dall’attaccante portoghese, allora con il Real Madrid. Tuttavia, nel 2018, Mayorga ha avviato un procedimento per annullare il suo accordo iniziale, sostenendo che era stato firmato sotto costrizione, ma senza fornire argomenti legali. Le nuove pretese di Mayorga sono state categoricamente respinte da Ronaldo quando ha presentato la sua difesa davanti a un tribunale di Las Vegas dove ha chiesto un nuovo risarcimento di 77 milioni di dollari per danni e spese.

"Nessuna violenza sessuale": archiviate le accuse contro Ronaldo. Antonio Prisco l'11 Giugno 2022 su Il Giornale.

Dopo l'archiviazione in sede penale per mancanza di prove, respinta anche la richiesta di risarcimento della modella Kathryn Mayorga.

Cristiano Ronaldo è stato completamente scagionato anche in sede civile negli Stati Uniti dalle accuse di stupro che gli aveva mosso la modella Kathryn Mayorga.

Secondo i media americani, la causa, intentata presso il tribunale federale del Nevada dall'ex modella, aveva come obiettivo ottenere un altro risarcimento milionario dal campione portoghese. In una ordinanza di 42 pagine, il giudice ha spiegato che la causa è stata intentata sulla base di alcuni documenti raccolti irregolarmente attraverso 'Football Leaks' e che Ronaldo è stato danneggiato dalla condotta dell'avvocato della donna, Leslie Mark Stovall.

Tuttavia il team legale della Mayorga potrebbe presentare ricorso contro la decisione. Non solo innocente, ma anche vittima di un danno morale. Questa la conclusione del giudice di Las Vegas, Jennifer Dorsey, che ha archiviato le accuse di stupro nei confronti di Ronaldo. Il giudice ha archiviato il caso, accusando l'avvocato della donna, Leslie Mark Stovall, di aver agito in "malafede".

Lo scorso ottobre anche il giudice Daniel Albregts aveva raccomandato l'archiviazione in merito alla causa intentata presso il tribunale federale del Nevada da Kathryn Mayorga, sostenendo che l'avvocato della donna avesse agito in "malafede" sulla base di alcuni documenti raccolti irregolarmente attraverso "Football Leaks" e riguardanti le comunicazioni fra il giocatore e il suo staff legale.

Il caso

I fatti risalgono al giugno 2009, quando la Mayorga aveva chiamato la polizia di Las Vegas denunciando la violenza sessuale ma rifiutandosi di rivelare l'identità del presunto aggressore. Il caso era quindi stato chiuso. Nel 2010 poi era stata organizzata una transazione privata con i rappresentanti di Ronaldo: 375 mila dollari in cambio di assoluta riservatezza sui presunti fatti e sull'accordo, con tanto di rinuncia ad ogni causa. Allo stesso tempo Ronaldo ha sempre negato le accuse di stupro, sostenendo di aver avuto una relazione "completamente consenziente".

Poi la marcia indietro degli avvocati, che asserivano la nullità dell'accordo a causa del disturbo psicologico e delle pressioni sulla donna (di cui non c'è prova secondo il giudice Albregts) e avevano chiesto la riapertura del suo caso. Di qui la richiesta fino a 200 milioni di dollari. Nell'agosto 2018 Mayorga aveva ripreso i contatti con la polizia di Las Vegas e chiesto la riapertura del caso, accusando pubblicamente Ronaldo per la prima volta. Tuttavia la giustizia americana aveva annunciato nel luglio 2019 che queste accuse non potevano "essere provate oltre ogni ragionevole dubbio", rinunciando quindi a perseguirlo.

Cristiano Ronaldo, morto figlio durante il parto di Georgina: nata l’altra gemella. L'annuncio su Instagram. Gaia Piccardi su Il Corriere della Sera il 18 Aprile 2022.

Ronaldo e Georgina aspettavano due gemelli, il piccolo non ce l'ha fatta. L'annuncio della coppia: «È il dolore più grande che ogni genitore possa provare. Solo la nascita della nostra bambina ci dà la forza di vivere questo momento con un po' di speranza». 

«È con la più profonda tristezza che dobbiamo annunciare che il nostro bambino è morto. È il dolore più grande per ogni genitore. Solo la nascita della nostra bambina ci dà la forza di vivere questo momento con un po’ di speranza e di felicità», firmato Cristiano Ronaldo e Georgina Rodriguez.

Il post su Instagram sconvolge la comunità del pallone all’ora di cena ed è subito enormemente condiviso: i compagni del Manchester United, gli amici di Torino (tre stagioni alla Juve), tutte le stelle del calcio internazionale sapevano con quale gioia CR7, 37enne, attendesse la nascita dei due gemelli annunciati con la pubblicazione sui social dell’ecografia di Georgina. E nulla lasciava presagire che si sarebbe trattato di un parto difficile.

«Non ho messo su molto peso — diceva lei a gennaio alla presentazione della serie Netflix «Io sono Georgina» —, e anche le nausee del mattino sono passate». Non è noto il nome della bambina venuta alla luce («Ringraziamo medici e infermieri»), ora l’unica richiesta è la riservatezza con cui la coppia desidera vivere il lutto: «Siamo devastati, chiediamo gentilmente la privacy in questo momento così difficile. Il nostro bambino, tu sei il nostro angelo. Noi ti ameremo per sempre».

Georgina conobbe Ronaldo, già stella interplanetaria dello sport, quando lavorava come commessa da Gucci a Madrid (nel Real il portoghese ha militato nove stagioni, vincendo tutto): il fuoriclasse, reduce da una paparazzatissima storia con la supermodella russa Irina Shayk, era rimasto colpito dalla semplicità della ragazza spagnola, nata a Jaca (Aragona) il 27 gennaio 1994, umili origini, il sogno di diventare ballerina. Il giorno dopo il primo incontro erano usciti insieme per conoscersi meglio, da allora sono stati inseparabili. Al settimanale spagnolo Hola Georgina aveva recentemente parlato della vita inglese dopo gli anni trascorsi a Torino in una villa sulle colline: «Da quando Cristiano è tornato a Manchester, non è cambiato molto: abbiamo una casa meravigliosa, proprio come in Italia, l’unica differenza è che qui in Inghilterra, rispetto a Torino, la scuola dei bambini è vicina. Quando traslochi con la tua famiglia, casa è dove si trovano i tuoi cari».

La famiglia dos Santos era già composta da quattro figli: Cristiano junior, 11 anni, nato negli Usa da una madre di cui non è mai stata rivelata l’identità, calciatore nello United sulle orme del padre, a cui lo lega una fortissima somiglianza; i gemelli Eva e Mateo, da madre surrogata, e Alana, nata nel 2017 dalla relazione con la Rodriguez.

Da tutto il mondo, appreso il dramma di Cristiano Ronaldo e Georgina Rodriguez, sono piovuti messaggi di affetto e cordoglio. Marcus Rashford, compagno di squadra nei Red Devils: «Pensieri e preghiere sono per te, fratello mio». Il profilo Twitter dello United: «Il tuo dolore è il nostro dolore».

«Il vostro angelo adesso è tra le braccia di papà» ha scritto Katia, sorella di CR7, riferendosi a José dos Santos Aveiro, morto di cirrosi epatica nel 2005 quando il campione aveva solo vent’anni.

Da corrieredellosport.it il 23 febbraio 2022.

Pessime notizie per Cristiano Ronaldo: alcuni investimenti immobiliari non stanno dando i frutti sperati. Stando a quanto riporta il New York Post, il calciatore portoghese è stato costretto a mettere in vendita l’appartamento che possedeva nella Trump Tower di New York dal 2015. Una casa lussuosa di 240 metri quadrati con vista sulla Grande Mela. CR7 lo aveva acquistato a circa 16 milioni di euro ma ha dovuto svenderlo nel 2019.

Svenduto l'appartamento di New York

L'entourage dell'attaccante ha fatto parecchie pressioni affinché Ronaldo si liberasse di un investimento legato a un nome controverso come quello dell'ex Presidente degli Stati Uniti. L'arrivo della pandemia da Covid-19 ha poi peggiorato la situazione: Cristiano ha ridotto ulteriormente il prezzo e sembra che sia riuscito finalmente a vendere l'immobile per circa 6,3 milioni di euro. Dunque una perdita di circa dieci milioni di euro per lo sportivo.

Da corrieredellosport.it il 19 febbraio 2022.  

Macchine sportive, yacht esclusivi e soprattutto gioielli, tantissimi gioielli. La vita patinata di Cristiano Ronaldo e Georgina Rodriguez si svolge da una location di lusso all'altra: da Madrid a Torino fino a Manchester, la coppia non fa mistero della vita agiata che conduce, tanto da aver catturato l'attenzione di un intero team di esperti di gioielli.  

Obiettivo della ricerca: stimare il patrimonio di preziosi sfoggiati dalla stella portoghese e dalla compagna sia alle varie serate glamour a cui hanno partecipato sia nei post pubblicati sui social. Il risultato è una cifra folle. Tra un weekend a Montecarlo e una vacanza romantica a Dubai, Ronaldo e Georgina conducono una vita lussuosa e piena di glamour. 

Dopo aver visto alcune clip del reality show dedicato alla compagna di CR7, che hanno rivelato alcuni degli incredibili gioielli indossati da Georgina nell'ultimo anno, gli esperti di Steven Stone hanno analizzato il suo account Instagram per vedere con quali altri gioielli la showgirl è stata fotografata di recente. 

Controllando oltre 100 post che presentavano articoli di gioielleria, gli esperti hanno scovato i pezzi più preziosi della collezione di casa Ronaldo. Gli articoli più costosi che appaiono nel corso del reality show includono una parure di diamanti da oltre 3 milioni di euro composta da una splendida collana, orecchini pendenti e un anello abbinato.  

In un altro servizio fotografico la showgirl spagnola indossa un incredibile braccialetto di diamanti che l'esperto di gioielli Zack Stone stima valere circa 1,2 milioni di euro. Tra gli scatti social spicca al dito di Georgina anche un enorme anello di zaffiri che si pensa possa valere quasi un milione di euro. 

Ma Georgina vanta anche altri pezzi unici nella sua collezione: dal suo anello di fidanzamento da 700mila euro a una scintillante fascia di diamanti del valore di 60mila euro, fino a un paio di orecchini pendenti con zaffiri e diamanti per un valore stimato di oltre 200mila euro. È cosa nota che Georgina possieda anche un sontuoso orologio da 40mila euro.

E Cristiano? Dal suo orologio con diamanti da quasi un milione e mezzo fino all'anello di diamanti con un valore che oscilla tra i 350-400 mila euro, il campione portoghese sa sicuramente come brillare, sia dentro che fuori dal campo. 

Impossibile non ricordare anche i famosissimi orecchini a bottone con diamanti neri, valutati meno di 12 mila nel 2018 ma arrivati ad almeno 17 mila euro oggi, grazie all'inflazione e all'eredità di CR7. "Non basterebbe una vita per scavare nel loro intero cofanetto di gioielli che vale almeno 5 milioni di euro", conclude il team di esperti. 

Dagotraduzione dal Daily Mail il 15 febbraio 2022.

La polizia di Las Vegas che ha indagato sulla superstar del calcio Cristiano Ronaldo quando nel 2009 fu accusato di stupro dalla modella Kathryn Moayorga aveva chiesto un mandato per arrestarlo, ma il procuratore distrettuale locale ha rifiutato di portare avanti il caso. È emerso da documenti scoperti di recente. 

Nel 2009 Kathryn Mayorga aveva accusato l’attaccante del Manchester United di averla violentata in una stanza d’albergo di Las Vegas. Ronaldo, che oggi ha 37 anni, ha negato con veemenza le affermazioni di Mayorga, dichiarando anche che «lo stupro è un crimine abominevole che va contro tutto ciò che sono e in cui credo». 

Il dipartimento di polizia metropolitana di Las Vegas ha indagato sulle accuse di Mayorga e un agente ha presentato una dichiarazione giurata chiedendo che fosse emesso un mandato per l'arresto di Ronaldo per aggressione sessuale.

Secondo una trascrizione del tribunale di un'udienza del settembre 2021, esaminata da DailyMail.com e riportata per la prima volta da The Sun, il procuratore distrettuale della contea di Clark Steve Wolfson si è rifiutato di perseguire, anche se la polizia «credeva di avere un caso», ha detto l'avvocato di Mayorga, Leslie Stovall, alla corte. 

«Quello che è successo è che quando è stato presentato all'ufficio del procuratore distrettuale, il signor Wolfson ha rifiutato di perseguire», ha detto Stovall durante l'udienza del 17 settembre. 

«Non dice perché ha deciso di rifiutare e niente - qualsiasi argomento è solo speculazione. La polizia credeva di avere un caso da perseguire per un conteggio di aggressione sessuale e il procuratore distrettuale ha deciso di non farlo».

Da ilposticipo.it il 27 gennaio 2022.

Il documentario di Netflix su Georgina Rodriguez, compagna di Cristiano Ronaldo, è destinato a fare parecchio rumore. Sono bastate le anteprime per creare parecchie aspettative attorno al racconto della storia della donna che ha conquistato il cinque volte Pallone d'Oro.  

Molti non vedono l'ora di conoscere i retroscena e di capire come una ragazza che faceva la commessa abbia cambiato totalmente vita quando ha cominciato a frequentarsi con uno dei calciatori più ricchi e celebri di tutti i tempi. 

E dalle prime scene, visionate e riportate da AS, si capisce che la storia è destinata a essere raccontata come la più classica delle fiabe, in cui un principe...portoghese trasforma una ragazza argentina in una regina.

A partire dal momento in cui i due si conoscono. "Era un giovedì d'estate. Lavoravo da Gucci, sarei dovuta uscire alle cinque, ma un collega mi ha chiamato e mi ha chiesto di rimanere mezz'ora in più per aspettare una cliente. Quando stavo uscendo dal negozio è comparso un uomo bellissimo, alto quasi due metri, accompagnato da un bambino e da un gruppo di amici. Ho cominciato a sentire le farfalle nello stomaco, pensavo 'che mi succede?'.

Non avevo il coraggio di guardarlo, mi vergognavo". Tra i due scocca la scintilla e gli incontri in negozio continuano. "Un giorno mi ha scritto che avrebbe tenuto un evento, mi chiedeva se sarei andata e io gli ho detto di sì. Ho passato la giornata pensando a come vestirmi. Quando sono arrivata era bellissimo. Abbiamo brindato con una coppa di champagne e poi me ne sono andata perché avevo una cena di lavoro. Non mi andava per niente, ma me ne sono dovuta andare. Ma è stato un bene, perché ci ha lasciati con la voglia di rivederci".

LA CENA 

A certificare i sentimenti serve la più classica...delle cene alla CR7. "Il momento più speciale è stato un sabato. Avevo tantissima voglia di vederlo e di stare con lui, ma non mi andava di scrivergli. Mi ha scritto lui dopo la partita e io non gli ho detto che ero pronta, ma che ero seduta in casa e che stavo per andare a dormire.  

Lui mi fa 'vuoi cenare?' e io gli dico di sì, anche se avevo già cenato. È venuto a prendermi a casa e siamo andati da lui. Aveva il suo purè, la sua verdura, il suo pollo. E io ho cenato di nuovo, come una vera signora". E i colleghi da Gucci, che vedono Georgina in questa nuova veste, che ne pensano? Rimangono sbigottiti.  

“Cristiano mi veniva a prendere quando avevo finito di lavorare, a volte arrivava con la sua Bugatti. I miei colleghi non ci potevano credere, arrivavo con l'autobus e me ne andavo sulla Bugatti…". Del resto, essere la compagna del calciatore più celebre del mondo dovrà anche avere i suoi lati positivi, no?

Georgina Rodriguez, il padre trafficante di droga: lady Ronaldo oltre la serie Netflix. Lorenzo Nicolao su Il Corriere della Sera il 23 gennaio 2022.

Georgina avrebbe rapporti pessimi con la famiglia d’origine, uno zio ha rivelato che lei non risponde alle telefonate e ha cambiato il numero di telefono. «Da quando sta con Ronaldo e naviga nell’oro si è dimenticata di noi». 

A pochi giorni dall’uscita su Netflix di «Soy Georgina», la docu-serie in sei episodi sulla compagna di Cristiano Ronaldo che uscirà il prossimo 27 gennaio, proprio in occasione del suo 28esimo compleanno, gli zii della modella spagnola hanno raccontato al quotidiano britannico The Sun alcuni particolari che sono stati omessi dalla narrazione della ragazza. Georgina Rodriguez aveva provato a mettere in evidenza come la sua vita fosse cambiata grazie al campione portoghese ora in forza al Manchester United, ma non sono stati menzionati tutti gli elementi che avevano caratterizzato la sua infanzia prima che potesse permettersi le borse di lusso, i viaggi in jet privato e le lunghe vacanze sullo yacht in mari esotici (aveva perfino portato i figli del calciatore in Lapponia per consegnare personalmente la letterina di Babbo Natale).

Il racconto della compagna di CR7, giocatore che secondo Forbes avrebbe con i suoi guadagni superato la cifra di un miliardo di dollari (quasi 900 milioni di euro), ha citato le difficoltà economiche, la sua esperienza come ragazza alla pari in Inghilterra e le case di fortuna dove ha vissuto, «ex ripostigli dove in inverno si gelava e in estate soffriva tremendamente il caldo», ma sono stati i parenti a rivelare alcuni retroscena sulla vita della ragazza, alcuni precedenti, altri successivi al decisivo incontro nel 2016 di Georgina con l’allora asso del Real Madrid, quando lei lavorava come commessa in un negozio di Gucci della capitale spagnola.

Il papà trafficante

Il padre argentino di Georgina, compagno della mamma Ana María Hernandez, era un trafficante di droga e venne arrestato il giorno prima del quinto compleanno della figlia. Una vita turbolenta condizionata dalla malavita, fino a quando non venne colto in flagrante dalla polizia spagnola nel tentativo di smistare un carico di quasi 120mila euro di cocaina. Jesus Hernandez, lo zio, si fece allora carico della nipote e, da come ha raccontato al The Sun, l’avrebbe cresciuta fino a quando la ragazza non è diventata maggiorenne e ha iniziato a lavorare. «Le abbiamo comprato i vestiti, da mangiare e tutto quello di cui aveva bisogno e che potevamo permettersi nelle nostre umili condizioni».

Il pessimo rapporto con la famiglia

Presentando la serie Netflix sui suoi canali social, la modella ha dichiarato che non dimenticherà mai la sua famiglia d’origine, ma a detta degli zii il rapporto con i parenti non sarebbe così idilliaco. La nonna Juana Escarabajal è morta a 80 anni senza aver conosciuto la nipotina Alana Martina, la prima figlia di Georgina avuta dal campione. Un episodio che la «devastò», aveva detto l’anziana a una tv spagnola. La sorellastra Patricia Rodriguez le avrebbe chiesto una maglia di CR7 per il compleanno del figlio, senza poi ricevere alcun messaggio o segnale di risposta. «Da quando sta con Ronaldo ci ha chiamato al telefono forse un paio di volte, poi ha cambiato numero», ha aggiunto lo zio. «Ora che naviga nell’oro, ha dimenticato noi e i nostri sacrifici. Abbiamo saputo in un secondo momento che il papà era morto, ma non abbiamo neanche idea di dove sia sepolto. Ci ha tenuto all’oscuro di tutto». Nessuna replica. «Hai una pessima persona accanto a te, una donna cattiva». Jesus Rodriguez ha scritto persino questo sulla pagina Facebook di CR7, dal quale Georgina attende una coppia di gemelli, e con il quale si prende cura degli altri ragazzi, Cristiano Ronaldo Junior, di 11 anni, e gli altri gemelli di quattro, Eva e Mateo.

Una vita dorata che da ragazza difficilmente poteva immaginare, arricchita da un patrimonio che, solo di gioielli, vale oltre 3 milioni di euro. Nella serie Ronaldo e Georgina si scambiano dichiarazioni d’amore, ringraziandosi a vicenda per quanto ricevuto l’uno dall’altra. Una vita immersa nel lusso che i 30 milioni di follower della modella conoscono già e che presto conosceranno anche gli spettatori del docu-film che sarà trasmesso in 190 Paesi. Uno show dove però non appariranno né la mamma di Georgina, tantomeno quella del calciatore, Dolores Aveiro. La modella ha dato una spiegazione, imputando il fatto a scelte tecniche e necessità di produzione. Ma se lei riafferma quanto sia legata alla sua famiglia d’origine, dall’altra parte i familiari non sono dello stesso avviso. Dichiarazioni che la compagna di CR7, al momento, ha preferito non commentare.