Denuncio al mondo ed ai posteri con i miei libri tutte le illegalità tacitate ed impunite compiute dai poteri forti (tutte le mafie). Lo faccio con professionalità, senza pregiudizi od ideologie. Per non essere tacciato di mitomania, pazzia, calunnia, diffamazione, partigianeria, o di scrivere Fake News, riporto, in contraddittorio, la Cronaca e la faccio diventare storia. Quella Storia che nessun editore vuol pubblicare. Quelli editori che ormai nessuno più legge.

Gli editori ed i distributori censori si avvalgono dell'accusa di plagio, per cessare il rapporto. Plagio mai sollevato da alcuno in sede penale o civile, ma tanto basta per loro per censurarmi.

I miei contenuti non sono propalazioni o convinzioni personali. Mi avvalgo solo di fonti autorevoli e credibili, le quali sono doverosamente citate.

Io sono un sociologo storico: racconto la contemporaneità ad i posteri, senza censura od omertà, per uso di critica o di discussione, per ricerca e studio personale o a scopo culturale o didattico. A norma dell'art. 70, comma 1 della Legge sul diritto d'autore: "Il riassunto, la citazione o la riproduzione di brani o di parti di opera e la loro comunicazione al pubblico sono liberi se effettuati per uso di critica o di discussione, nei limiti giustificati da tali fini e purché non costituiscano concorrenza all'utilizzazione economica dell'opera; se effettuati a fini di insegnamento o di ricerca scientifica l'utilizzo deve inoltre avvenire per finalità illustrative e per fini non commerciali."

L’autore ha il diritto esclusivo di utilizzare economicamente l’opera in ogni forma e modo (art. 12 comma 2 Legge sul Diritto d’Autore). La legge stessa però fissa alcuni limiti al contenuto patrimoniale del diritto d’autore per esigenze di pubblica informazione, di libera discussione delle idee, di diffusione della cultura e di studio. Si tratta di limitazioni all’esercizio del diritto di autore, giustificate da un interesse generale che prevale sull’interesse personale dell’autore.

L'art. 10 della Convenzione di Unione di Berna (resa esecutiva con L. n. 399 del 1978) Atto di Parigi del 1971, ratificata o presa ad esempio dalla maggioranza degli ordinamenti internazionali, prevede il diritto di citazione con le seguenti regole: 1) Sono lecite le citazioni tratte da un'opera già resa lecitamente accessibile al pubblico, nonché le citazioni di articoli di giornali e riviste periodiche nella forma di rassegne di stampe, a condizione che dette citazioni siano fatte conformemente ai buoni usi e nella misura giustificata dallo scopo.

Ai sensi dell’art. 101 della legge 633/1941: La riproduzione di informazioni e notizie è lecita purché non sia effettuata con l’impiego di atti contrari agli usi onesti in materia giornalistica e purché se ne citi la fonte. Appare chiaro in quest'ipotesi che oltre alla violazione del diritto d'autore è apprezzabile un'ulteriore violazione e cioè quella della concorrenza (il cosiddetto parassitismo giornalistico). Quindi in questo caso non si fa concorrenza illecita al giornale e al testo ma anzi dà un valore aggiunto al brano originale inserito in un contesto più ampio di discussione e di critica.

Ed ancora: "La libertà ex art. 70 comma I, legge sul diritto di autore, di riassumere citare o anche riprodurre brani di opere, per scopi di critica, discussione o insegnamento è ammessa e si giustifica se l'opera di critica o didattica abbia finalità autonome e distinte da quelle dell'opera citata e perciò i frammenti riprodotti non creino neppure una potenziale concorrenza con i diritti di utilizzazione economica spettanti all'autore dell'opera parzialmente riprodotta" (Cassazione Civile 07/03/1997 nr. 2089).

Per questi motivi Dichiaro di essere l’esclusivo autore del libro in oggetto e di tutti i libri pubblicati sul mio portale e le opere citate ai sensi di legge contengono l’autore e la fonte. Ai sensi di legge non ho bisogno di autorizzazione alla pubblicazione essendo opere pubbliche.

Promuovo in video tutto il territorio nazionale ingiustamente maltrattato e censurato. Ascolto e Consiglio le vittime discriminate ed inascoltate. Ogni giorno da tutto il mondo sui miei siti istituzionali, sui miei blog d'informazione personali e sui miei canali video sono seguito ed apprezzato da centinaia di migliaia di navigatori web. Per quello che faccio, per quello che dico e per quello che scrivo i media mi censurano e le istituzioni mi perseguitano. Le letture e le visioni delle mie opere sono gratuite. Anche l'uso è gratuito, basta indicare la fonte. Nessuno mi sovvenziona per le spese che sostengo e mi impediscono di lavorare per potermi mantenere. Non vivo solo di aria: Sostienimi o mi faranno cessare e vinceranno loro. 

Dr Antonio Giangrande  

NOTA BENE

NESSUN EDITORE VUOL PUBBLICARE I  MIEI LIBRI, COMPRESO AMAZON, LULU E STREETLIB

SOSTIENI UNA VOCE VERAMENTE LIBERA CHE DELLA CRONACA, IN CONTRADDITTORIO, FA STORIA

NOTA BENE PER IL DIRITTO D'AUTORE

 

NOTA LEGALE: USO LEGITTIMO DI MATERIALE ALTRUI PER IL CONTRADDITTORIO

LA SOMMA, CON CAUSALE SOSTEGNO, VA VERSATA CON:

SCEGLI IL LIBRO

80x80 PRESENTAZIONE SU GOOGLE LIBRI

presidente@controtuttelemafie.it

workstation_office_chair_spinning_md_wht.gif (13581 bytes) Via Piave, 127, 74020 Avetrana (Ta)3289163996ne2.gif (8525 bytes)business_fax_machine_output_receiving_md_wht.gif (5668 bytes) 0999708396

INCHIESTE VIDEO YOUTUBE: CONTROTUTTELEMAFIE - MALAGIUSTIZIA  - TELEWEBITALIA

FACEBOOK: (personale) ANTONIO GIANGRANDE

(gruppi) ASSOCIAZIONE CONTRO TUTTE LE MAFIE - TELE WEB ITALIA -

ABOLIZIONE DEI CONCORSI TRUCCATI E LIBERALIZZAZIONE DELLE PROFESSIONI

(pagine) GIANGRANDE LIBRI

WEB TV: TELE WEB ITALIA

108x36 NEWS: RASSEGNA STAMPA - CONTROVOCE - NOTIZIE VERE DAL POPOLO - NOTIZIE SENZA CENSURA

 

 

 

L’ITALIA ALLO SPECCHIO

IL DNA DEGLI ITALIANI

 

ANNO 2022

LE RELIGIONI

PRIMA PARTE

 

  

DI ANTONIO GIANGRANDE

      

 

L’APOTEOSI

DI UN POPOLO DIFETTATO

 

Questo saggio è un aggiornamento temporale, pluritematico e pluriterritoriale, riferito al 2022, consequenziale a quello del 2021. Gli argomenti ed i territori trattati nei saggi periodici sono completati ed approfonditi in centinaia di saggi analitici specificatamente dedicati e già pubblicati negli stessi canali in forma Book o E-book, con raccolta di materiale riferito al periodo antecedente. Opere oggetto di studio e fonti propedeutiche a tesi di laurea ed inchieste giornalistiche.

Si troveranno delle recensioni deliranti e degradanti di queste opere. Il mio intento non è soggiogare l'assenso parlando del nulla, ma dimostrare che siamo un popolo difettato. In questo modo è ovvio che l'offeso si ribelli con la denigrazione del palesato.

 

IL GOVERNO

 

UNA BALLATA PER L’ITALIA (di Antonio Giangrande). L’ITALIA CHE SIAMO.

UNA BALLATA PER AVETRANA (di Antonio Giangrande). L’AVETRANA CHE SIAMO.

PRESENTAZIONE DELL’AUTORE.

LA SOLITA INVASIONE BARBARICA SABAUDA.

LA SOLITA ITALIOPOLI.

SOLITA LADRONIA.

SOLITO GOVERNOPOLI. MALGOVERNO ESEMPIO DI MORALITA’.

SOLITA APPALTOPOLI.

SOLITA CONCORSOPOLI ED ESAMOPOLI. I CONCORSI ED ESAMI DI STATO TRUCCATI.

ESAME DI AVVOCATO. LOBBY FORENSE, ABILITAZIONE TRUCCATA.

SOLITO SPRECOPOLI.

SOLITA SPECULOPOLI. L’ITALIA DELLE SPECULAZIONI.

 

L’AMMINISTRAZIONE

 

SOLITO DISSERVIZIOPOLI. LA DITTATURA DEI BUROCRATI.

SOLITA UGUAGLIANZIOPOLI.

IL COGLIONAVIRUS.

SANITA’: ROBA NOSTRA. UN’INCHIESTA DA NON FARE. I MARCUCCI.

 

L’ACCOGLIENZA

 

SOLITA ITALIA RAZZISTA.

SOLITI PROFUGHI E FOIBE.

SOLITO PROFUGOPOLI. VITTIME E CARNEFICI.

 

GLI STATISTI

 

IL SOLITO AFFAIRE ALDO MORO.

IL SOLITO GIULIO ANDREOTTI. IL DIVO RE.

SOLITA TANGENTOPOLI. DA CRAXI A BERLUSCONI. LE MANI SPORCHE DI MANI PULITE.

SOLITO BERLUSCONI. L'ITALIANO PER ANTONOMASIA.

IL SOLITO COMUNISTA BENITO MUSSOLINI.

 

I PARTITI

 

SOLITI 5 STELLE… CADENTI.

SOLITA LEGOPOLI. LA LEGA DA LEGARE.

SOLITI COMUNISTI. CHI LI CONOSCE LI EVITA.

IL SOLITO AMICO TERRORISTA.

1968 TRAGICA ILLUSIONE IDEOLOGICA.

 

LA GIUSTIZIA

 

SOLITO STEFANO CUCCHI & COMPANY.

LA SOLITA SARAH SCAZZI. IL DELITTO DI AVETRANA.

LA SOLITA YARA GAMBIRASIO. IL DELITTO DI BREMBATE.

SOLITO DELITTO DI PERUGIA.

SOLITA ABUSOPOLI.

SOLITA MALAGIUSTIZIOPOLI.

SOLITA GIUSTIZIOPOLI.

SOLITA MANETTOPOLI.

SOLITA IMPUNITOPOLI. L’ITALIA DELL’IMPUNITA’.

I SOLITI MISTERI ITALIANI.

BOLOGNA: UNA STRAGE PARTIGIANA.

 

LA MAFIOSITA’

 

SOLITA MAFIOPOLI.

SOLITE MAFIE IN ITALIA.

SOLITA MAFIA DELL’ANTIMAFIA.

SOLITO RIINA. LA COLPA DEI PADRI RICADE SUI FIGLI.

SOLITO CAPORALATO. IPOCRISIA E SPECULAZIONE.

LA SOLITA USUROPOLI E FALLIMENTOPOLI.

SOLITA CASTOPOLI.

LA SOLITA MASSONERIOPOLI.

CONTRO TUTTE LE MAFIE.

 

LA CULTURA ED I MEDIA

 

LA SCIENZA E’ UN’OPINIONE.

SOLITO CONTROLLO E MANIPOLAZIONE MENTALE.

SOLITA SCUOLOPOLI ED IGNORANTOPOLI.

SOLITA CULTUROPOLI. DISCULTURA ED OSCURANTISMO.

SOLITO MEDIOPOLI. CENSURA, DISINFORMAZIONE, OMERTA'.

 

LO SPETTACOLO E LO SPORT

 

SOLITO SPETTACOLOPOLI.

SOLITO SANREMO.

SOLITO SPORTOPOLI. LO SPORT COL TRUCCO.

 

LA SOCIETA’

 

AUSPICI, RICORDI ED ANNIVERSARI.

I MORTI FAMOSI.

ELISABETTA E LA CORTE DEGLI SCANDALI.

MEGLIO UN GIORNO DA LEONI O CENTO DA AGNELLI?

 

L’AMBIENTE

 

LA SOLITA AGROFRODOPOLI.

SOLITO ANIMALOPOLI.

IL SOLITO TERREMOTO E…

IL SOLITO AMBIENTOPOLI.

 

IL TERRITORIO

 

SOLITO TRENTINO ALTO ADIGE.

SOLITO FRIULI VENEZIA GIULIA.

SOLITA VENEZIA ED IL VENETO.

SOLITA MILANO E LA LOMBARDIA.

SOLITO TORINO ED IL PIEMONTE E LA VAL D’AOSTA.

SOLITA GENOVA E LA LIGURIA.

SOLITA BOLOGNA, PARMA ED EMILIA ROMAGNA.

SOLITA FIRENZE E LA TOSCANA.

SOLITA SIENA.

SOLITA SARDEGNA.

SOLITE MARCHE.

SOLITA PERUGIA E L’UMBRIA.

SOLITA ROMA ED IL LAZIO.

SOLITO ABRUZZO.

SOLITO MOLISE.

SOLITA NAPOLI E LA CAMPANIA.

SOLITA BARI.

SOLITA FOGGIA.

SOLITA TARANTO.

SOLITA BRINDISI.

SOLITA LECCE.

SOLITA POTENZA E LA BASILICATA.

SOLITA REGGIO E LA CALABRIA.

SOLITA PALERMO, MESSINA E LA SICILIA.

 

LE RELIGIONI

 

SOLITO GESU’ CONTRO MAOMETTO.

 

FEMMINE E LGBTI

 

SOLITO CHI COMANDA IL MONDO: FEMMINE E LGBTI.

 

 

 

 

LE RELIGIONI

INDICE PRIMA PARTE

 

SOLITO GESU’ CONTRO MAOMETTO. (Ho scritto un saggio dedicato)

Gli Dei.

La Superstizione.

L’Esorcismo.

Il Satanismo.

La Stregoneria.

La Cartomanzia.

L’Immacolata Concezione.

Santa Lucia.

Il Natale.

Epifania e Befana.

La Candelora.

I Riti della Settimana Santa.

I Miracoli.

I Dieci Comandamenti.

San Francesco.

San Pio.

San Gennaro.

Il Santo Graal.

Le Formule di Rito.

La Mattanza dei Cristiani.

Cristiani contro Cristiani.

Il Papa Beato.

Il Papicidio.

Il Papa Emerito.

Il Papa Comunista.

Il Papa Fascista.

La Papessa.

 

INDICE SECONDA PARTE

 

SOLITO GESU’ CONTRO MAOMETTO. (Ho scritto un saggio dedicato)

Santa Teresa di Calcutta.

Il Vaticano e la Comunicazione.

Il Concilio.

Il Concistoro.

Il Sinodo.

La CEI. Conferenza Episcopale Italiana.

La Pontificia Accademia per la Vita.

Le Riforme.

Comunione e Liberazione.

Comunità di Sant’Egidio.

Scandali Vaticani.

Le Donne dei Papi.

I Preti e le Suore.

Il matrimonio.

Il Vaticano e l’Aborto.

La Chiesa e gli Lgbtq.

Il Vaticano e l’Immigrazione.

Il Vaticano e l’Italia.

Le Sette.

Il Panteismo.

I Testimoni di Geova.

Scientology.

L’Ebraismo.

Lo Zoroastrismo.

L’Islam ed il Terrore.

L’Islam e le Donne.

L’Islam e la Finanza.

L’Islam ed i social.

 

 

  

 

LE RELIGIONI

PRIMA PARTE

 

SOLITO GESU’ CONTRO MAOMETTO. (Ho scritto un saggio dedicato)

·        Gli Dei.

Il ritorno degli dei: inaugurato nel Tarantino un tempio dedicato ad Apollo. Nel cuore della Magna Grecia, a Monteiasi, si erge un tempio gestito dalla Comunità Gentile Pietas: siamo andati a documentare il rito di consacrazione. Leonardo Petrocelli su La Gazzetta del Mezzogiorno il 05 Settembre 2022.

Nel mito, Apollo è il dio che guida la quadriga e fa nascere il Sole facendosi così portatore di una luce intellettuale, prima ancora che fisica. Forte è storicamente il suo legame con Taranto, sede della scuola pitagorica, e dunque non sorprende che proprio in area jonica - precisamente a Monteiasi - sia stato inaugurato ieri un tempio dedicato al dio che illumina lì dove la luce ancora non c’è. Non un restauro di antiche rovine, né una «riconversione» di strutture esistenti, ma una costruzione ex novo ad opera dell’Ente religioso «Pietas», realtà operante sul territorio nazionale per il ripristino della religione classica e già da tempo impegnata nella costruzione di luoghi di culto: dal tempio di Giove a Roma a quello di Minerva Medica a Pordenone o ancora di Apollo a Palermo.

Ieri è toccato alla Puglia salutare l’inaugurazione del primo tempio in territorio regionale. Un evento che, complice il rito pubblico di consacrazione, con la recitazione di carmi in latino e greco antico, ha attirato l’interesse della cittadinanza oltre a richiamare i praticanti della «tradizione gentile», così come da corretta definizione del culto classico. La riscoperta dell’antico, non solo a livello culturale ma anche spirituale, è un fenomeno ormai dilagante in Europa, dalla Grecia alle repubbliche baltiche, dall’Islanda all’Italia, dove «Pietas», la realtà più strutturata e largamente rappresentativa, conta oltre 1600 aderenti.

«Il nostro è un percorso molto lungo, con radici profonde - racconta Giuseppe Barbera, presidente dell’associazione e pontefice della comunità - avviato con l’associazionismo culturale e coronato, nel 2020, dalla formazione dell’Ente religioso, regolarmente registrato presso pubblico ufficiale di Stato. Siamo una realtà in forte crescita, con adesioni da tutta Italia e solide relazioni con Paesi stranieri ad iniziare dall’India». Quanto al tempio l’iniziativa di ieri non è da considerarsi un exploit isolato: «Il nostro culto è prevalentemente domestico e non facciamo proselitismo ma creiamo i templi come punto di riferimento per la comunità e la collettività - conclude Barbera -: chiunque voglia visitarlo sarà il benvenuto. L’accesso è libero e sarà sufficiente affacciarsi in via Cristoforo Colombo a Monteiasi. Ora anche la Puglia possiede un riferimento fisico sul territorio. E per chi bussa le porte sono sempre aperte». Così il culto classico è tornato in Magna Grecia.

 Uomini, capaci di tutto per emulare gli déi e ostentare una divinità che non gli appartiene. Cesare Pavese nei 26 "Dialoghi con Leucò": l’immortalità è vivere il presente. Elisabetta de Dominis su La Voce di New York il 22 gennaio 2022.

Se una sola volta nella vita noi mortali abbiamo saputo vivere l’istante, siamo stati simili a dei. Abbiamo osato, trasgredito, amato come gli dei che non si preoccupano del passato e del futuro. Perciò sono dei e sono immortali. Questo ci dice Cesare Pavese nei 26 Dialoghi con Leucò, che lo scrittore considerava la sua opera più importante, e ora Rizzoli Bur ha ripubblicato a cura di Gino Tellini.

L’immortalità è dunque vivere il presente e sentirsi immortali, come quando eravamo giovani e l’esistenza era un insieme di attimi. Quando ricordiamo, rimpiangiamo il passato, la passione perduta. Sentiamo il tempo che passa.

“I mortali non hanno tempo di godersi il capriccio. Vivono di istanti imprevisti, unici e non ne conoscono il valore. Vorrebbero la nostra eternità” spiega Satiro ad Amadriade. E Demetra chiede a Dioniso: “Che cosa saremmo senza di loro? Sai che un giorno potrebbero stancarsi di noi?” Gli dei sanno di essere un’invenzione degli uomini e che “tutto i mortali hanno sofferto quel che raccontano di noi”. Bia ha la soluzione, che confida a Cratos: “Soltanto vivendo con loro e per loro si gusta il sapore del mondo”.

Ma quando gli dei si mescolano agli uomini, nessuno più sa chi è davvero, finendo per violentare i sentimenti dell’altro senza rendersene conto. “Quando un dio avvicina un mortale, segue sempre una cosa crudele” osserva Eros parlando a Tanatos. “Ho conosciuto altri mortali. Tutti distrusse questa smania di potere ogni cosa”. Benché oggi dovremmo aver capito che gli dei non esistono, facciamo di tutto per emularli od ostentare una divinità che non ci appartiene. Perché soffriamo lo spazio e subiamo il tempo. “Meglio soffrire che non essere esistito” chiosa Patroclo ad Achille, che sa di dover morire.

Per Orfeo il passato non torna e confida egoisticamente a Bacca che scese nell’Ade non per cercare Euridice ma per ritrovare se stesso, perché “è necessario che ciascuno scenda una volta nel proprio inferno”. Mentre Odisseo vuole ritrovare quello che ha perduto, Penelope. E Calipso non riesce a trattenerlo e fargli “accettare l’istante”. Né ci riesce Circe, perché non può far sorridere Odisseo. “Non seppe mai cos’è il sorriso degli dei… aveva gli occhi pieni di ricordi”. Gli dei sorridono perché sanno, mentre “Leucò, l’uomo mortale non ha che questo d’immortale: il ricordo che porta e il ricordo che lascia”.

Calipso e Circe sono ninfe semidivine e tuttavia soffrono per un uomo, il cui amore vogliono rendere eterno. Ma l’amore di Odisseo sta proprio nel ricordo di Penelope. L’eroe greco le abbandona forse proprio perché avevano perso il fascino divino dell’irraggiungibilità. Teseo abbandona Ariadne per lo stesso motivo: la donna conquistata perde il potere d’attrazione. Il maschio, che sia divino od umano, cerca sempre la conquista per dimostrare di essere un eroe e, quando una donna è conquistata, parte verso nuove avventure. Ma non si possono conquistare tutte perché non si può piacere a tutte: arriva il giorno anche per lui di non essere accettato. I miti sono pieni degli inseguimenti di Apollo e delle metamorfosi di tante ninfe in piante o animali pur di sfuggirgli. Ma il maschio si sente un dio e non concepisce il rifiuto. Allora la donna ride come una dea.

ELISABETTA DE DOMINIS

Detesto confondere la mia vita con un curriculum. Ho ballato e sognavo di nuotare, ho nuotato e sognavo di cavalcare, ho cavalcato, studiato, mi sono laureata mentre facevo la stilista e sognavo di fare la giornalista, ho collaborato con una ventina di testate nazionali, diretto una rivista, ho fatto l’esperta di quasi tutto, dal food al fashion al sex, ho viaggiato e sempre volevo essere da un’altra parte, libera di inseguire l’ultimo sogno.

Il fuoco rubato da Prometeo e il lago di Narciso: "Storie e miti" della nostra cultura. La Repubblica l'11 Gennaio 2022.   

Il terzo volume della collana "Storie e Miti", presentata dall'autrice del bestseller "La Lingua geniale" Andrea Marcolongo, è dedicata alle "Leggende dell'antica Grecia", da Prometeo a Dafne. Un volume per ragazzi di ogni età. 

Incredibili vicende dell'antica Grecia da sempre legano il mondo delle divinità a quello degli uomini, e sono alla base della cultura greco-romana e patrimonio condiviso di tutti noi. Prometeo con il suo fuoco, Icaro e le sue ali, Eco perdutamente innamorata del bel Narciso, senza dimentare Apollo e Dafne e tanti altri miti sono narrati nel terzo volume della Collana "Storie e Miti - Le leggende dell'antica Grecia".

Una collana rivolta a chi è giovane e curioso. Miti e dei‚ eroi e storie epiche per far conoscere e scoprire le storie e i miti del mondo classico ai ragazzi di tutte le età, fornendo una chiave di accesso agevole alle grandi narrazioni epiche e mitologiche che sono alla radice della nostra cultura.

I volumi hanno un approccio narrativo scorrevole e stimolante e sono corredati da un apparato di illustrazioni che è insieme immaginifico, ironico e sofisticato. Ogni volume è arricchito dalle introduzioni di Andrea Marcolongo.

La collana "Storie e miti"

Il primo volume, Gli dei dell’Olimpo (acquista), fornisce i ritratti delle maggiori divinità del mondo antico, ci insegna a riconoscerle, a capire il loro mondo e i loro imprevedibili rapporti con gli uomini. Entreremo nell’Olimpo e faremo la conoscenza di Apollo, Poseidone, Giunone, Bacco, Cupido, Afrodite, Atena e molti altri. Scoprirete le incredibili vicende che legano il mondo delle divinità a quello degli uomini.

Odissea, il secondo volume (acquista), ricostruisce puntualmente le incredibili vicende di Ulisse e tocca tutte le tappe del suo lungo viaggio: la terra di Ogigia con la ninfa Calipso, l’isola dei Ciclopi con Polifemo, l’incontro con Circe e la discesa all’Ade, fino al ritorno a Itaca e all’abbraccio con Penelope.

Il terzo titolo della collana (Leggende dell'antica Grecia, acquista) è dedicato come detto, alle storie e ai miti del mondo greco, dai più conosciuti ai meno noti, a ideale completamento del pantheon greco-romano tracciato nel primo volume. Prometeo, Icaro, Eco e Narciso, Apollo e Dafne, insieme a molti altri: nei loro miti il lettore potrà riconoscere un’universalità dei tratti umani e gli eterni temi su cui si interroga l’umanità.

La terra del non-ancora. Luigino Bruni  su Avvenire il 15 gennaio 2022.

Dio è dietro ad ogni cosa, ma ogni cosa nasconde Dio. Victor Hugo, I miserabili, Tomo II, 5.4

Non è facile capire veramente la durezza dei profeti nei confronti degli idoli e dell’idolatria. Il capitolo sei del libro di Osea, dove si trovano riferimenti cari anche al cristianesimo, affronta un aspetto centrale di questa lotta anti-idolatrica. Denuncia il popolo che si illude di conoscere Dio (YHWH) e invece lo confonde con il dio naturale delle stagioni e del ritmo dei giorni: «Affrettiamoci a conoscere YHWH, la sua venuta è sicura come l’aurora. Verrà a noi come la pioggia d’autunno, come la pioggia di primavera che feconda la terra» (Osea 6,3). Un dio ovvio, catturato dentro l’ordine naturale delle cose, che deve venire come viene ogni giorno l’aurora, come la pioggia, come l’autunno. Senza sorprenderci.

Un canto dell’illusione religiosa, che però contiene una frase che i primi cristiani e poi i Padri (Tertulliano) hanno amato molto: «Venite, ritorniamo al Signore... Dopo due giorni ci ridarà la vita e il terzo ci rialzerà». Dopo due giorni... il terzo ci rialzerà, ci risorgerà. Quando Paolo scriverà ai Corinti: "Cristo è risorto il terzo giorno secondo le Scritture» (1 Cor 15,4), è probabile che le Scritture che aveva in mente fossero proprio questo brano di Osea – lo Spirito può trarre parole di vita anche da canti che non piacevano ai profeti.

In questa critica all’identificazione di YHWH con gli dèi naturali della fertilità ci può essere qualcosa di importante. È bene soffermarvisi. Nella Bibbia e, poi, nel cristianesimo esiste una vena profonda che si intreccia con le religioni primitive e i culti naturali. L’uomo biblico è emerso dalle forme di religiosità arcaica, dove le divinità si scorgevano nel ritmo della vita e della morte, del sole, degli astri. Era questo il suo mondo, non ne conosceva altri. Sapeva che la vita dipendeva radicalmente dalla fertilità della terra, dalla generosità delle stagioni. Sentiva, per un istinto invincibile, che la sua terra era abitata anche da esseri invisibili ma realissimi, ai quali si sentiva legato e dai quali dipendeva la vita di tutti e del tutto. Fu quindi inevitabile che le prime parole con cui gli uomini hanno parlato con gli dèi fossero quelle che avevano imparato dalla natura e dalla vita, perché erano le sole che conoscevano e amavano. Nacquero così, all’aurora della civiltà, i grandi miti del dio che muore in autunno resta nel sepolcro in inverno e poi risorge nella primavera, del dio che feconda la terra con la pioggia e la neve e questa poi partorisce generando fiori e frutti, nei campi e nei vasetti di Adone. Inserirono le prime narrazioni religiose dentro questo grande ciclo della natura, le disegnarono con questi colori vivi. Donarono a Dio le loro parole più belle.

Cosa se ne fece la Bibbia di questa religiosità naturale? La considerò tutta vanitas? Sì e no. Per gli uomini e le donne in carne e ossa del popolo d’Israele non lo era: loro sentivano Dio sotto tutte le cose, come i popoli loro vicini, come i nostri nonni contadini che avvertivano un fremito divino percorrere le loro stesse strade, inseguire la traccia del cervo e della volpe, sentivano che la morte non era l’ultima parola e sapevano che una misteriosa primavera di vita li avrebbe, un giorno, sorpresi, e avrebbero rivisto genitori e figli. Intonavano gli stessi canti alle vigne e all’ultimo covone, pregavano per la pioggia e perché non tornasse il terremoto. Così abbiamo imparato a pregare, a parlare con gli angeli e con i demoni, a intravvedere Dio dietro ogni cosa e subito dopo vederlo sparire.

Un giorno, però, un diverso giorno, la Bibbia ci dice che è accaduto qualcosa di nuovo e di imprevisto. Quando, dentro un mistero avvolto sempre e ancora da una nube velatrice-rivelatrice, quel Dio che tutti i popoli avevano sentito e cercato di intercettare, ci disse qualcosa di nuovo di sé, ci donò parole che non avevamo ancora. E iniziò la storia diversa di un popolo da cui nacque la Bibbia, il cui primo scopo non fu quello di raccogliere le parole su Dio che gli uomini conoscevano già, ma di farci conoscere quelle che non c’eranoancora. Era questo "non ancora" l’immenso valore della Bibbia, questo il suo tesoro prezioso che il popolo ha custodito. E per sottolineare la novità delle parole di cielo, le parole religiose della terra finirono per diventare le parole degli idoli, degli "dèi falsi e bugiardi". Si capisce allora perché la prima lotta all’idolatria che la Bibbia ingaggiò fu quella interna al suo popolo, perché la religiosità della terra e della natura era quella da cui venivano anche le tribù di Giacobbe. Erano figli di Abramo e dei miti medio-orientali, dei culti naturali di dèi più semplici. Culti molto amati dalla gente, contro i quali la Bibbia è stata molto dura – e i profeti durissimi – perché voleva affermare una novità, e continua ad affermarla. La Bibbia fece molta fatica a separare la vera fede da quella nelle divinità della natura perché il popolo sentiva che in quelle antiche tradizioni che avevano appreso a Canaan, portate con sé da Ur dei Caldei o dall’Egitto, c’era anche qualche traccia vera dello stesso Dio che un giorno aveva rivelato il suo nome vero. Ogni rivelazione di dimensioni nuove della realtà è una distruzione creatrice, e quasi sempre tra i materiali distrutti e spazzati via ce ne sono anche alcuni buoni. I profeti, per vocazione, demoliscono senza pietà templi, capitelli e mosaici antichi, qualche volta molto belli, e alcuni si perdono per sempre, perché l’area che copre la nuova religione non coincide mai con quella coperta dalle precedenti.

È dentro questo discorso che dobbiamo collocare anche la critica di Osea con la sua (per noi) sconcertante forza e durezza: «Per questo li ho colpiti per mezzo dei profeti, li ho abbattuti con le parole della mia bocca» (6,5). La profezia è anche questo: «Sradicare e demolire, distruggere e abbattere» (Geremia 1,10). Ma siccome le case che vengono abbattute dai profeti sono quelle nelle quali il popolo abita, inclusi i palazzi dei re e i templi dei sacerdoti, il lavoro dei profeti è durissimo, doloroso, non è amato né capito. E loro continuano a picconare, a cacciare le persone dalle loro casette e i re dalle loro regge; e lo fanno – e qui sta il punto – non per costruire altri palazzi e nuovi templi al posto dei precedenti, ma per tornare poveri e liberi e poi riprendere il cammino verso una terra che resta sempre promessa, la terra del non-ancora. I profeti veri non sono amati perché distruggono case e al loro posto offrono tende, abbattono templi e ci donano uno spazio vuoto, distruggono le nostre case e ci lasciano al freddo di una nuda sequela. Chi obbedisce ai profeti? Nessuno.

Ed è al culmine di questo canto che raggiungiamo, forse, la perla più preziosa di questo capitolo. Eccola: «Perché voglio la misericordia non il sacrificio, la conoscenza di Dio preferisco agli olocausti» (6,6). Voglio l’hesed (cioè misericordia, amore fedele, reciprocità, lealtà) e quindi la conoscenza vera di Dio-YHWH. Dall’altra parte, cioè nella parte sbagliata, ci sono i sacrifici. Siamo arrivati al centro, siamo nel punto centrale non solo di Osea, ma di tutta la profezia, e forse non solo della profezia biblica ma di ogni profezia autentica - di profezia è piena la terra, anche la nostra terra arida e senz’acqua. C’è un conflitto, un’alternativa, un "fossato" (J. Jeremias) tra la fede dei profeti e quella del tempio, cioè tra la fede fondata sull’hesed e quella fondata sui sacrifici, tra la civiltà della gratuità e la civiltà del calcolo, tra la religione dell’amore e quella commerciale.

Amore e sacrifici: due strade religiose diverse, opposte, incompatibili, come rivela anche il verbo ebraico usato da Osea (hps), che dice chiaramente che Dio ama, gradisce, vuole, apprezza l’hesed e non vuole, non ama, non gradisce i sacrifici, gli danno fastidio. Nel mondo antico i sacrifici li facevano tutti, inclusi i sofisticati greci e i giuridici e razionali romani. In questo ambiente sacrificale, accettato da tutti e adorato dai sacerdoti, Osea grida che offrire sacrifici non solo è inutile (Qoelet) ma dà fastidio a Dio, lo disturba. In questi gridi i profeti sono immensi e meravigliosi, qui sono davvero diversi da noi. Noi possiamo, con coraggio, arrivare a dire: "I sacrifici sono meno importanti dell’amore, ma un po’ di culto ci vuole pure, qualche offerta al tempio non fa male a nessuno, il popolo ama queste pratiche". I profeti veri e grandi no. Loro ci dicono altro, ci dicono l’opposto. Sono tremendi e radicali, squilibrati, partigiani, divisivi, non gentili, esagerati, eccessivi.

Come Gesù di Nazareth, che di fronte ai molti che protestavano per il suo frequentare peccatori pubblici (Matteo, l’esattore), cita propria questa frase di Osea: «Andate a imparare che cosa vuol dire: Misericordia io voglio e non sacrifici» (Mt 9,13); e poi la ripete per spiegarci come guardare la Legge e il tempio: «Se aveste compreso che cosa significhi: Misericordia io voglio e non sacrifici, non avreste condannato persone senza colpa» (Mt 12,6-7). Qui Gesù ci spiega Osea, mostrandoci che l’alternativa-fossato-conflitto tra amore e sacrificio non si limita alla sola vita religiosa ma si estende all’intera vita sociale. Non solo ci ripete, con Osea, che la sua religione non è quella dei sacrifici, ma quella dell’amore-hesed-agape; ci dice anche che la cultura del sacrificio è un rapporto sbagliato con la vita, non solo con Dio. Perché è la relazionalità basata sul calcolo e non sulla generosità, sulla logica economica e non sull’eccedenza. La logica del sacrificio è prima una trappola antropologica e dopo una questione teologica e religiosa. È la logica di chi vive facendo conti, calcolando i costi e benefici di ogni azione, perché, in fondo, è ateo, non crede che siamo amati, che nel mondo esiste un grande candore, che siamo figli. La fede sacrificale imprigiona Dio in una gabbia più angusta di quella dell’uomo più tirchio. Chi imposta la vita sui sacrifici crede nella meritocrazia perché non crede nella grazia, non si fida della grande provvidenza del mondo e quindi si compra una piccola provvidenza privata che non lo sazia mai.

I profeti lottano con tutte le loro forze contro i sacrifici per dirci: voi valete di più delle vostre opere, siete più grandi dei vostri calcoli, siete migliori dei vostri contratti, siete amati anche se non lo meritate: perché ti amo e basta, non per i tuoi meriti, ti amo per te. Combattere la religione dei sacrifici allora significa rinunciare ad una visione del mondo meschina, impoverita, avara. I profeti allargando la nostra idea di Dio allargano l’idea che noi abbiamo degli altri e di noi stessi.

·        La Superstizione.

Sintesi dell’articolo di Enrico Ferro per “Il Mattino di Padova” pubblicata da “la Verità” il 7 giugno 2022.

A Padova è stata organizzata la Giornata anti superstizione, durante la quale sono stati regalati buoni spesa contro i tabù. Uno degli eventi in programma per «esorcizzare la sfortuna» prevedeva infatti il ritrovo nel grande parcheggio di un supermercato per un percorso singolare: fare tutto ciò che nella vita di ogni giorno viene accuratamente evitato, come rompere uno specchio, rovesciare il sale, fare attraversare la strada a un gatto nero, passare sotto una scala.  

I partecipanti hanno ricevuto l'attestato e un buono di 10 euro a fronte di una spesa di 30. La Giornata è stata promossa dal Cicap, il Comitato italiano per il controllo delle affermazioni sulle pseudoscienze. 

·        L’Esorcismo.

Manuela Tulli per ANSA il 18 maggio 2022.  

Sono ufficialmente 190 ma di fatto circa trecento gli esorcisti in Italia e il Paese, con il 71 per cento delle diocesi nelle quali il vescovo ne ha nominato almeno uno o più di uno, si colloca al primo posto. A seguire la Svizzera, mentre negli Stati Uniti, per fare un esempio, se ne contano appena una sessantina.

All'attenzione della Chiesa ci sono le sette sataniche ma anche i nuovi social, come Instagram e Tik-Tok che più sono vicini ai ragazzi e all'interno del quale si insinuano "le nuove manifestazioni demoniache a danno soprattutto dei più giovani", come spiega padre Lusi Ramirez, coordinatore dell'Istituto Sacerdos che con Gris è tra gli organizzatori del corso sull'esorcismo che si è aperto oggi all'Ateneo Pontificio Regina Apostolorum. Ci sono tante richieste, in aumento negli ultimi anni, che pesano sull'esorcista che ha anche altri compiti in parrocchia.

Sono centoventi i partecipanti al corso, tra sacerdoti e laici, tra i quali anche un ucraino e un russo. Inevitabile il riferimento al conflitto in Ucraina e Russia. Ci sono tre 's' del diavolo, "sesso, successo e soldi, ma ce ne è anche una quarta: sterminio", afferma Giuseppe Ferrari, segretario del Gris, il Gruppo di Ricerca e Informazione Socio-religiosa, a margine del corso sull'esorcismo che si svolge all'Ateneo Pontificio Regina Apostolorum a Roma.

Alla domanda se sia possibile, individuando la presenza del diavolo all'origine dell'invasione dell'Ucraina, una preghiera di liberazione anche a distanza, Ferrari spiega: "Le preghiere di liberazione sono sempre possibili ma il seguace del demonio non accetta l'esorcismo, non vuole essere liberato. L'esorcismo ha efficacia solo quando la persona desidera essere liberata. Se non lo desidera, Dio rispetta la libertà dell'individuo".

Il corso sull'esorcismo è interdisciplinare e prende in considerazione non solo gli aspetti strettamente religiosi ma anche legali, psicologici, sociologici. "Non si tratta di un corso per formare o abilitare all'esorcismo - spiega p. José Oyarzun, rettore dell'Apra - ma l'obiettivo primario del corso è offrire degli orientamenti d natura accademica per le persone che si interessano a questo tema".

Il corso ha anche un approccio interreligioso con testimonianze di esorcisti di altre confessioni cristiani e la partecipazione di un esperto in demonologia in ambito musulmano sunnita. Il Covid ha creato problemi anche al lavoro degli esorcisti che hanno dovuto trovare nuovi metodi per seguire i loro 'pazienti' ma che hanno dovuto anche assistere ad un peggioramento delle condizioni delle persone che chiedevano di essere liberate da possessioni demoniache.

Si è assistito in questi due anni di pandemia alla nascita della preghiera a distanza "con indicazioni attraverso Whatsapp e Telegram, benedizioni ed esorcismi attraverso Skype e quarantene violate per curare comunque gli individui con i problemi gravi", è stato spiegato dai ricercatori. In tutto questo è stato evidenziato "un peggioramento delle condizioni delle persone afflitte da possessioni, vessazioni, infestazioni" anche perché è stata impossibile tutta l'opera propedeutica che viene svolta dalla Chiesa prima di arrivare all'esorcismo vero e proprio. 

E' infatti necessario verificare se si tratta di vera e propria possessione demoniaca o di problemi psicologici o psichiatrici che devono essere affrontati in modo diverso.

·        Il Satanismo.

Barbara Costa per Dagospia il 29 gennaio 2022.

Astenersi impressionabili e cacasotto: “Satana, Lucifero, Tiamat, vivono, respirano, ci ascoltano”, e “io sono qui per combattere le forze della Luce! Il mio scopo è indurre terrore e disperazione!”.  Parlano così Dorian Bones, front-man dei Caronte, e Jus Oborn, leader degli Electric Wizard, uno che è stato cacciato da tutte le scuole che ha frequentato perché “io a 9 anni già cantavo lodi a Satana. Facevo arrabbiare insegnanti e genitori. La gente ha la mente debole!”. 

E se tu questi due signori non sai chi sono, non li hai mai sentiti nominare, rimedia e leggi "Black Mass. La Storia dell’Occult Rock", di Stefano Cerati (Tsunami ed., dal 3 febbraio), la più completa italiana guida al rock il più luciferino, coltre di misteri e di primitivi presagi pagani, canzoni pozioni magiche, connessioni col mondo ultraterreno, teatri rock di rituali officiati, shock rock, musicati, a evocazione dell’ignoto.

Finalmente in Italia un libro su temi scomodi che fanno storcere il naso, un libro su tutto quello di cui si ha paura di dire ma si è perversi di sapere. Cerati ci fa fare un viaggio attraverso il rock demoniaco di ieri, di oggi, e di tutto il mondo. Non c’è occult band che in questo libro non sia viva e presente, e con le proprie parole perché il bravissimo Cerati non scrive per sentito dire ma riporta ogni fonte e per di più dirette, con interviste ai protagonisti. 

E allora facciamoli parlare, i cerimonieri di questo credo, sistema di vita, ragione di vita, tutte persone che sono come noi ma che al contrario di noi cercano la verità in altro e in qualcosa d’altro, opposto, antecedente, differente, e sia chiaro: questi musicisti nulla hanno a che fare con fatti di cronaca nera sui media a volte accostati a pratiche occulte. Chi commette atti delittuosi in nome di una qualche entità è un f*ttuto criminale che va punito come merita. Qui si parla di adulti che leggono e studiano e con testi e chitarre agghiaccianti, bassi infernali, voci tombali, un pantheon degli orrori, di incubi a occhi aperti di credenze perse nella notte dei tempi, concretano ciò in cui fidano e ricercano per la vita.

Tutto è iniziato con una donna, con lei, Jinx Dawson, leader dei Coven, band apripista dei temi satanici i più ossianici, creatrice del gesto delle corna e la prima a portar sul palco candele, teschi, croci rovesciate, roadie in perizoma bianco a impersonare Cristo, e la stessa Jinx a interpretare in una bara la vittima sacrificale. Eran gli anni '60 e “io sul palco mi davo al pubblico, in una sorta di rapporto carnale”, racconta oggi Jinx. 

Furono gli omicidi della Manson Family a decretare la morte dei Coven: nessuna casa discografica puntò più su di loro. Tutte le occult band seguenti si sono ispirate ai Coven e a Aleister Crowley, l’adoratore di Satana bisex e eroinomane, autore di testi base di credi che hanno fatto e fanno proseliti. Crowley (dicono facesse copulare le sue rosse amanti coi caproni!) ha trovato in Jimmy Page dei Led Zeppelin fedele cultore: sebbene Page non proferisca parola su Crowley, fu dal regista e scrittore Kenneth Anger – altra anima dannata – maledetto per avergli scritto musica non abbastanza infernale.

Nel rock occulto c’è chi ci è e chi ci fa, e sono tante le band che di satanico nulla hanno perché sono frutto di sapiente e diabolico marketing. I primi a divenir star sfruttando marchette sataniche sono stati i Black Sabbath, col loro primo disco omonimo uscito –apposta – venerdì 13 febbraio 1970: “Ma noi non ci siamo mai professati satanisti”, dicono Ozzy e soci, “gli unici spiriti maligni che ci hanno interessato sono whisky, vodka, e gin. Noi una volta abbiamo fatto una seduta spiritica. Ci siamo spaventati a morte, e questo è tutto!”. I Black Sabbath si chiamano così per il film "I tre volti della paura", di Mario Bava, commercializzato in UK col titolo "Black Sabbath" la cui locandina era apposta di fronte alla loro sala prove. 

Da non crederci: i Black Sabbath nei concerti portavano al collo crocifissi (dritti) regalatigli dal padre di Ozzy per protezione! Per anni hanno attirato esaltati di ogni specie, ma se i Sabbath non sono stati veri satanisti, cos’è un vero rock satanista? I Death SS, attivi da decenni, e che portano sul palco donne nude celebranti culti sessuali? Le band rovinate da morti misteriose?

O sono più satanisti i Dodo Resurrection, i quali non si sa siano esistiti, e sui quali gira la leggenda che, terrorizzati dalla malvagità della propria musica, hanno autodistrutto ogni nota di sé? E fanno gara a sé i Pentagram, autori di testi i più malati mai concepiti, magia nera e anime perse, e lupi mannari, assetati di sangue…? Il rock occulto è pieno di band che non sono andate oltre il primo disco, incapaci e di evolversi e di raccogliere consensi di mercato. Dice King Diamond, dei Mercyful Fate: “Per me il satanismo non è il male e non è il diavolo. È una filosofia di vita. Esistono arcaiche forze oscure che è meglio non scatenare”.

King Diamond orna il microfono con ossa, e metteva Melissa, il suo teschio mascotte, su ogni palco, prima che glielo rubassero. Tobias Forge dei Ghost si veste come un papa ed è pazzo di Lady Gaga, gli Orthodox hanno smesso di esibirsi a piedi scalzi vestiti da frati solo perché ci suonavano scomodi. E ci sono occult band fissate con la morte: Regen degli italiani Abysmal Grief è qui per “mortificare che si reputa al sicuro…!”. 

Lui getta vermi vivi su di sé e sul pubblico, mentre Farida Lemouchi dei The Devil’s Blood come faceva suo fratello Selim si ricopre “di sangue per astrarmi e trovare la mia reale essenza”. Non fanno del male a nessuno. I salentini L’Impero delle Ombre fanno cemetery rock, “i cimiteri sono la nostra ossessione!”, e i baresi The Ossuary credono che “dopo la Morte non c’è niente, non esiste nessun Dio pronto ad emettere giudizi o punizioni”.

Tra i più convinti spicca Nathan Opposition, degli Ancient VVisdom: “I satanisti non mangiano i bambini, il Satana malvagio è quello creato dai cristiani. Ma c’è un Satana buono, che ti rivela la verità attraverso l’amore. E io sono l’Anticristo! Sono nato con il 666: il mio nome, cognome e secondo nome, hanno tutti sei lettere”. 

Se i tempi cupi ci sono sempre stati e una certa atmosfera oscura ci gira sempre attorno, l’occult rock in che misura è legato all’uso di droghe? Ogni scelta è personale e ogni effetto è individuale, ad ogni modo ecco quel che ne dice Jus Oborn: “Io compongo sempre allo stesso modo: vado in studio, inizio a fumare, vedo un po’ di vecchi film horror, e così mi vengono le idee. No, di acidi non mi faccio più, al massimo qualche funghetto magico!”.

·        La Stregoneria.

DAGONEWS il 16 novembre 2022.

I militanti di Boko Haram hanno massacrato un gruppo di donne in Nigeria perché considerate "streghe".

La scorsa settimana, circa 40 donne sono state detenute in un villaggio vicino alla città di Gwoza, nello Stato di Borno, su ordine del comandante jihadista Ali Guyile, i cui figli sono morti improvvisamente durante una notte. 

Parenti, residenti e una donna che è riuscita a fuggire hanno raccontato all'AFP che il comandante aveva accusato le donne di aver causato la morte dei bambini attraverso la stregoneria.

Linbe ha detto di essere riuscita a scappare e di essere fuggita nella capitale regionale Maiduguri dopo l'uccisione di 14 donne, avvenuta giovedì. Le vittime ora dovrebbero essere almeno 26. 

La donna racconta: «Ha detto che avrebbe indagato sul nostro coinvolgimento nella morte dei suoi figli e che avrebbe dato una punizione adeguata a chiunque fosse stato riconosciuto colpevole. Giovedì ha ordinato di sparare a 14 di noi. Sono stata fortunata a non farne parte e il mio fidanzato, tra gli uomini che ci sorvegliavano, mi ha aiutato a fuggire quella stessa notte».

Le accuse di stregoneria non sono rare in Nigeria, un Paese religiosamente conservatore e quasi equamente diviso tra il nord, prevalentemente musulmano, ed il sud, cristiano.

Molte persone condannano la stregoneria nonostante sia ancora ben radicata nella società e, una sezione del codice penale nigeriano, ne vieta ancora la pratica, punibile con una pena detentiva. 

Non è raro che le persone vengano bollate come streghe e poi brutalizzate o linciate.

I gruppi per i diritti umani condannano le uccisioni e affermano che le credenze superstiziose causano la perdita di vite innocenti.

Sabato, il giorno in cui Linbe è arrivato a Maiduguri, altre 12 donne sono state massacrate con l'accusa di essere streghe, hanno raccontato altri parenti.

"Ho ricevuto una telefonata da Gwoza che mi informava che mia madre, due zie e altre nove donne sono state massacrate per ordine di Ali Guyile, che le ha accusate di essere le streghe che hanno ucciso i suoi tre figli", ha detto all'AFP Abdullahi Gyya.

Ha anche detto di essere stato informato dell'uccisione di altre 14 donne giovedì.

Anche le streghe sanno essere dolci. La Taranta, una tradizione che si perde nei secoli. In questi giorni di Tarantolate ripenso alla Signora Della Paura, a nonna che «taglia i vermi» contro i mal di pancia. Erica Mou su la Gazzetta del Mezzogiorno il 28 Agosto 2022.

Anni fa, dopo un incidente in bicicletta, ho cominciato ad avere paura di un sacco di cose. Della velocità, delle altezze, dei rumori, degli spazi chiusi, insomma… di tutto. Mi tornava di continuo in mente il suono del vento, la sensazione precedente l’impatto quando avevo già capito che la macchina mi avrebbe investita e non potevo far altro che cadere al meglio, escogitare un metodo per proteggere la testa in quelle frazioni di secondo che a me erano parsi minuti dove il libero arbitrio era ancora possibile. Dopo mesi le ossa erano tornate a posto, le faccende legali erano state sbrigate ma la paura continuava a seguirmi ovunque. Così quando la madre del mio compagno mi aveva suggerito di recarmi dalla Signora Che Toglie La Paura, mi ero incredibilmente ritrovata ad accettare un appuntamento.

Fuori c’era la neve e la mia macchina procedeva lentissima, avrei fatto prima a piedi. La Signora Che Toglie La Paura mi aveva aperto la porta ponendomi una domanda, seria: «È spavento o è paura, la tua?» A me veniva da ridere ma, imitando il suo tono e sperando di non sbagliare opzione, avevo risposto «è paura». Mentre bevevo un intruglio frizzante in tre piccoli sorsi, mi disegnava sulla pelle delle croci immaginarie con le dita a tempo di preghiere. Sarei dovuta ritornare l’indomani e poi un’altra volta ancora e ce l’avremmo fatta. Non mi ricordo se il rituale prevedeva altro, ero troppo concentrata sui suoi capelli, sul divano in ecopelle, sui pavimento splendente e mi chiedevo «come si diventa la Signora Che Toglie La Paura? Non sarebbe male come professione per la carta d’identità». All’ultimo incontro l’avevo ringraziata infilandomi il cappotto ed evitando di dirle che la paura non mi era affatto passata. Mia suocera sostiene sia colpa mia, che non avevo fede.

In questi giorni di Tarantolate ripenso alla Signora Della Paura, a nonna che «taglia i vermi» contro i mal di pancia, alla nonna di Vale che ci toglie il malocchio al telefono, a quella di Sara che ha una formula magica anti mal di testa e penso che crederci o meno non importa, le streghe sanno essere dolcissime.

Storia delle majare di Sicilia. Ma non chiamatele streghe. Preghiere e cantilene segrete, tramandate di madre in figlia. Olio, aglio, acqua. Ma non chiamate streghe queste donne magiche dell’Isola di lava e mare che hanno un dono e sono state studiate dall’etnologo siciliano Giuseppe Pitrè. Ecco le loro storie. Sara Scarafia su La Repubblica su il 23 Agosto 2022.

«Divinissimu Sarbaturi, levami a stu caluri». Il segno della croce. Le mani, calde, sulle tempie, sugli occhi, sulla pancia. Un panno rosso. Olio, sale, aglio, erbe di campo. Infine la preghiera, una nenia, una cantilena, sempre e solo bisbigliata a fior di labbra. Le parole? Un segreto, tramandato di madre in figlia, da donna a donna, ma solo due volte all’anno: la notte di Natale e a San Giovanni, il 24 giugno. 

(ANSA il 21 agosto 2022) - "Un tempo mi avrebbero sicuramente messa al rogo: pur facendo del bene, mi avrebbero bruciata come strega cattiva". A parlare è Antonietta, detta Chetta, 94 anni, esperta di erboristeria e considerata per questo l'ultima "strega" di Triora (Imperia), che oggi ha ricevuto dal sindaco Massimo Di Fazio e dal suo vice, Giovanni Nicosia, le "chiavi della città". 

La consegna dell'onorificenza è avvenuta nell'ambito di Strigòra, mostra mercato della stregoneria, che per tutto il giorno anima l'antico borgo medievale dell'alta Valle Argentina tristemente noto per l'inquisizione delle streghe, con bancarelle, visite guidate, spettacoli musicali e di teatro. Nel corso della mattinata è stata anche consegnata la cittadinanza onoraria al giornalista e conduttore televisivo Osvaldo Bevilacqua, al quale si deve la notorietà di Antonietta, la "signora delle erbe".

"Ho cominciato da piccola, perché mio padre era un contadino - racconta all'ANSA Antonietta -. Cercava l'erba buona e quella cattiva, così mi ha insegnato come utilizzare le varie piante. Ho imparato in montagna, perché mi sono sposata ad Arma di Taggia, ma sono venuta ad abitare qui a Triora, il paese di origine di mio marito". Conclude Antonietta: "La mia passione è continuare a conoscere le erbe. Tanti mi chiedono quale pianta serve per ogni male e io cerco di consigliare loro quella più appropriata. Ho insegnato a tanti ragazzi a curarsi con le erbe".

Soddisfazione da parte del giornalista Bevilacqua, che per Triora prova un "amore con la A maiuscola" e aggiunge: "Ho conosciuto questo paese tanti anni fa, incuriosito da tutta questa storia che ho seguito non soltanto in giro per l'Italia, ma anche negli Stati Uniti. Le donne che si occupavano di 'medicina' spontanea con le erbe, venivano accusate di stregoneria, nei casi peggiori messe al rogo, bruciate e, negli altri casi, che non sono da meno, torturate, come è stato a Triora".

Claudia Gualdana per “Libero quotidiano” il 19 agosto 2022.

L'argomento può sembrare ozioso nell'evo della tecnica, invece non manca di attualità. Tanto più che sedicenti maghi e streghe sono ancora tra noi, basta fare una ricerca sul web per scovare cialtroni che promettono miracoli. Per la Chiesa questi tizi oltre che di truffa odorano di zolfo: circostanza che intriga la settima arte, infatti l'attore Russell Crowe sta girando un film sulla vita dell'esorcista Padre Gabriele Amorth. 

Ma da qualche tempo a questa parte il maleficio si è allargato perfino alla politica. Circolano da mesi le notizie sui presunti riti sciamanici cui si sottoporrebbe Vladimir Putin.

Qualche anno fa se ne è parlato a proposito di Donald Trump, perché gruppi di streghe hanno sostenuto di brigare per allontanarlo dalla Casa Bianca con le loro diavolerie. Cose da ridere?

Senza dubbio, ma solo dal nulla si produce il nulla, e poiché pratiche fuori dalla grazia di Dio sono vecchie come il mondo e c'è chi ancora ci crede, conviene documentarsi.

MILANO, 1608 È tornato in libreria un libro eccezionale, il Compendio delle stregonerie di Francesco Maria Guaccio (Mimesis, p. 294, E 24). Non si pensi a un'opera esclusivamente teorica: il Guaccio fa nomi e cognomi, snocciola luoghi, date, fatti, avvenimenti che talvolta hanno coinvolto personaggi storici. Fu pubblicato la prima volta nel 1608, il titolo originale è il più suggestivo Compendium maleficarum, l'autore un frate dello scomparso ordine ambrosiano che con ogni probabilità apparteneva alla parrocchia milanese di S. Ambrogio ad Nemus. La diocesi di Milano era governata da Federico Borromeo, nocchiero negli anni della peste e fondatore della Biblioteca Ambrosiana.

Tempi di untori e di monatti, in cui il sovvertimento dell'ordine naturale era considerato opera del demonio. Il Compendio è un trattato su malefici, apparizioni, riti documentato con grande perizia e viene da credere, scrive Armando Torno nella prefazione, che «fosse il libro di stregoneria della Curia milanese».

Per esempio, sono enumerati i materiali con cui megere e compari nuocevano al prossimo, dietro compenso o per banale cattiveria, tuttavia senza riuscire ad uccidere, che la vita è nelle mani di Dio soltanto: «Foglie, erbe, fuscelli, radici, animali, pesci, rettili velenosi, pietre e metalli, che talvolta vengono ridotti in unguenti oppure in polvere». 

Gli intrugli si spalmavano a tradimento sul malcapitato, altre volte li si spargeva nei pressi dell'uscio di casa. Guaccio descrive anche i raduni delle streghe e l'utilizzo blasfemo di oggetti sacri, perfino ostie consacrate, nel sovvertimento dell'ordine sacro per eccellenza comunemente detto messa nera. Nel 1589 a Lutren, nei Vosgi, tal Giovanni da Hembach riferì di essere stato portato da una megera in cima a un albero mentre si svolgeva un sabba; sotto di lui certi danzavano in modo strano «perché lì era tutto invertito ed assurdo» e si domandava da dove venisse quella «turba stolta e demente».

A volte erano proprio le strigi - si chiamavano così - a rivelare i dettagli della loro "arte" agli inquisitori senza che neanche ci fosse bisogno della tortura, per liberarsi la coscienza e morire in pace con Dio. Ma le poverette non avevano alcun potere personale. Sicuramente non per il Guaccio, per cui la strega e il mago «cercano di sottomettere a sé il Demonio col potere dei loro incantesimi o con mezzi del tutto contrari alla religione cristiana», invece sono solo anime morte destinate a una brutta fine, ingannate come sono dal «principe della menzogna» che promette meraviglie ma elargisce disgrazie, in questa vita e nell'altra. 

GALLI E CAVALLI Se finora c'è stato di che inorridire ridendo della tenebra stolta, conviene chiudere con un raggio di luce, perché non c'è solo il male in queste pagine. Scopriamo infatti che Galeazzo Visconti fu chiamato così perché nacque in una notte in cui i galli non avevano mai smesso di cantare. Un segno fausto: il diavolo briga solo prima del canto del gallo e il momento più propizio alle sue malefatte è tra le dieci di sera e mezzanotte. O l'avventura paranormale di Michele Mercato, sodale del filosofo Marsilio Ficino, che con lui era solito discutere dell'immortalità dell'anima. I due avevano stretto un patto: il primo a morire avrebbe «chiarito all'altro la condizione dell'altra vita». Fu il Ficino ad andarsene.

Il giorno della sua dipartita Michele fu svegliato dallo scalpitio di un cavallo. Affacciandosi alla finestra, vide che a cavalcarlo era Marsilio; prima di sparire nel nulla gli disse: «Michele, Michele, quelle cose sono vere». Ossia l'anima è immortale, Platone aveva ragione. Quindi non tutti i fantasmi sono cattivi. Del resto, se esiste il male dev' esserci per forza anche il bene, è il rovescio della medaglia. Alcuni spiriti sono più che buoni, sono addirittura dei santi. Nella Vita di Sant' Ambrogio Paolino Diacono scrive che il vescovo è apparso ad alcune persone poche ore dopo la morte. Si è ripresentato di nuovo qualche anno dopo, durante l'assedio dei Goti a Firenze, per indicare a un condottiero il luogo in cui il barbaro sarebbe stato sconfitto. Inutile dire che aveva visto giusto, o almeno questo tramandano le cronache.

Benevento, tra le streghe ai piedi di un noce. Angela Leucci il 26 Gennaio 2022 su Il Giornale.

Le streghe di Benevento tra storia e leggenda: chi erano le janare, che si riunivano ai piedi di un noce per i loro sabba, e i malefici.

Su Benevento aleggia da sempre la leggenda delle streghe, che in realtà rappresenta anche un pezzo di storia. La storia è quella della caccia alle streghe scaturita dall’Inquisizione e dettata dal “Malleus Maleficarum”, un libro che forniva le istruzioni su come annientare i fenomeni demoniaci. Le leggenda racconta invece i malefici come fossero reali nella credenza popolare. E nella cultura enogastronomica quello della strega è diventato una tipologia di liquore, utilizzato in gran parte della pasticceria campana e dell’intero Mezzogiorno.

Se in tutto il Sud Italia le streghe erano immaginate e temute, particolarmente vivida è la figura della strega di Benevento, ossia la janara. L’etimologia del termine è incerta. Alcuni credono che il nome sia legato al culto di Diana, portato dalla dominazione longobarda in queste zone insieme a un intero sistema di fede politeista che dapprima resistette, poi si compenetrò e infine fu sostituito dal Cristianesimo. Per altri il culto è più antico e legato alla venerazione sannitica e magnogreca di Cibele.

Altri pensano che il nome venga invece dal latino “ianua”, cioè porta. Come la porta delle stalle delle giumente, dove gli allevatori erano soliti cospargere grani di sale o lasciare una scopa sull’uscio per impedire l'ingresso alle "figlie della notte". Secondo la leggenda, le streghe, che rapivano di notte le giumente per cavalcarle e stremarle, non potevano resistere alla tentazione di contare i grani di sale oppure i fili della scopa di saggina. Ma c’è anche un’immagine letteraria legata ai sabba, le riunioni rituali, delle streghe: quella della porta del solstizio di inverno che scricchiola sui cardini, nella notte più lunga dell’anno, luogo di transizione tra bene e male, tra il mondo terreno e quello infernale. C’è anche chi ritiene che l’etimologia sia legata all’usanza delle janare di penetrare nelle case passando sotto le porte chiuse.

Dal XV secolo furono estorte con la tortura molte confessioni di stregoneria a donne beneventane, che poi furono mandate al rogo. Non resta molto di quelle testimonianze, parte delle quali furono distrutte volontariamente in epoca unitaria per evitare rigurgiti contro la Chiesa di Roma, e parte bruciarono nei bombardamenti nel corso della Seconda Guerra Mondiale.

Le leggende sulle janare

Esistevano delle sottotipologie di janare, tra cui le zoccolare, che di notte terrorizzavano le persone tra i vicoli di Benevento, correndo tra il rumore dei propri zoccoli. C’era anche una janara chiamata Manolonga: era una donna morta cadendo in un pozzo, che tirava giù con lei tutte le persone che vi si affacciavano.

Secondo la leggenda, le janare potevano volare: reclutate dall’Arcistrega, si spalmavano addosso un unguento che glielo permetteva, dato che diventavano incorporee e potevano essere trasportate da venti di tempesta. A cavallo di una scopa, si riunivano nei sabba dove evocavano il diavolo e si dedicavano ad attività come succhiare il sangue ai bambini, provocare malefici sui neonati e sulle donne fertili, opprimere le persone dormienti sedendosi sul loro petto.

Le janare utilizzavano come saluto una filastrocca, che recitava: "‘Nguente ‘nguente, manname a lu noci’ ‘e Beneviente, sott’ ‘ll’acque e sotto’ ‘o viente, sott’ a ogne malentiempe".

Il noce di Benevento, un antico e maestoso albero consacrato dai longobardi a Odino, era il luogo deputato per i sabba, come riporta nel suo volume in sei libri “De nuce maga” Pietro Piperno del 1647. L’albero doveva trovarsi secondo alcuni sulla riva del fiume Sabato, tanto che Piperno indicò che si poteva trattare del cosiddetto noce di San Barbato, mentre altri pensavano che l’arbusto dovesse trovarsi tra Benevento e Avellino in una gola chiamata Stretto di Barba.

Franca Giansoldati per "il Messaggero" il 5 gennaio 2022. Basta spulciare gli archivi per comprendere la follia collettiva che in Europa si era scatenata un po' ovunque. Povere streghe! Sono state accusate delle cose più strampalate prima di essere spedite dritte al rogo. Si diceva che avessero un filo diretto con il diavolo, che fossero in grado di mandare a rotoli commerci e coltivazioni, di maledire le case con un incantesimo, causare malattie, volare in cielo su una scopa o. addirittura, trasformarsi in un gufo, così, in un batter d'occhio.

MALEFICI A causa di una devastante campagna persecutoria scatenata a cavallo del XVI secolo sono morte diverse decine di migliaia di povere vittime, la stragrande maggioranza donne condannate per stregoneria. In Italia uno degli ultimi roghi avvenne a Brentonico, dove nel 1715 fu uccisa una contadina, Maria Bertoletti detta Toldina, accusata di sacrilegi, sodomia, apostasia e persino di avere cucinato dei bambini in un pentolone di formaggio. Nel 2016 il comune trentino ha riaperto il caso e appurato come la donna fosse stata stritolata da una faida per una eredità in famiglia. In Scozia, tre secoli dopo l'abrogazione del Witchcraft Act la legge che nel Regno Unito tra il XVI e il XVIII secolo ha dato il via ad una micidiale caccia alle streghe è stato ultimato il percorso ufficiale per la loro riabilitazione. In tutto si contano 3837 persone uccise e bruciate sul rogo, al termine di processi sommari. Poteva bastare un sospetto, la presenza di un gatto nero in casa, una banale coincidenza, persino un difetto fisico a stabilire il presunto legame con il demonio. Per l'84% le vittime in Scozia sono state donne, per lo più poverissime, spesso emarginate socialmente, a volte persino malate.

ELENCO I loro nomi sono stati ora ripescati dagli archivi per essere a breve riabilitati grazie ad una campagna nazionale avviata da un gruppo chiamato Witches of Scotland, formato da storiche e da femministe. Il loro lavoro ha fatto da base a una proposta di legge inoltrata al parlamento scozzese e che ha ottenuto il sostegno convinto dell'amministrazione di Nicole Sturgeon, premier della Scozia. L'intento normativo del testo è di risarcire moralmente le vittime, dare loro una sorta di redenzione postuma, inserire i nomi nella lista degli innocenti. Una colossale riabilitazione post mortem in piena regola. Un po' come è accaduto anche nel Massachusetts, negli Stati Uniti, nel 2001 quando vennero riconosciute vittime innocenti le cosiddette streghe processate a Salem, dove 19 persone vennero impiccate (tra cui anche un bambino).

SUPERSTIZIONE La prima caccia alle streghe in Scozia, poi in Inghilterra e Irlanda si basava sull'assunto che vi fossero donne dotate di poteri malefici talmente pericolosi da compromettere gli equilibri sociali, danneggiare il bene comune, persino fare affondare a distanza la flotta del re, causare tempeste e carestie, provocare malattie. La stregoneria divenne ben presto un crimine capitale: chi era condannato veniva prima torturato orribilmente e poi strangolato. Infine, il corpo veniva bruciato, in modo plateale, come gli eretici. Sotto tortura, le vittime terrorizzate confessavano qualsiasi cosa, alimentando inconsapevolmente la catena delle presunte stregonerie. Gatti neri, corvi parlanti, demoni che arrivavano dall'aldilà, scope volanti, pozioni magiche. Claire Mitchell, la studiosa che ha portato avanti la campagna politica per la riabilitazione in Scozia ha spiegato che si tratta di un importante capitolo di giustizia riabilitativa che richiede le scuse ufficiali e anche un monumento nazionale. «In Scozia abbiamo giustiziato cinque volte più persone che altrove in Europa». A suo parere il fatto che non vi siano ancora delle scuse ufficiali estende il trauma ereditato della persecuzione femminile. Come se questo capitolo avesse lasciato una ferita aperta che colpisce in qualche modo tutti. Secondo diverse Ong in diversi paesi del mondo la caccia alle streghe ha ancora luogo. Africa Sub Sahariana, Nepal, Papua, Amazzonia, Sudan.

·        La Cartomanzia.

I cartomanti? Dramma per gli psicologi: cosa sta accadendo in Italia. Melania Rizzoli su Libero Quotidiano il 23 novembre 2022

Succede in tutti i periodi di crisi economiche, quando c'è instabilità emotiva, incertezza sul futuro ed i tempi si fanno difficili sul fronte del lavoro e delle relazioni sociali, complice anche lo strascico del disagio psicologico dovuto alla recente pandemia. Così anche quest' anno oltre 15 milioni di italiani si sono rivolti ai cartomanti alla ricerca di risposte e di rassicurazioni. È questo il rapporto del Codacons che di recente ha diffuso i dati inerenti a tale mercato, che tra tarocchi, carte da gioco, sibille e pendoli, ha attratto un numero sempre maggiore di persone verso chi opera nell'arte della divinazione, un business dell'occulto in continua crescita nel nostro Paese, che ha registrato una impennata dal lockdown in poi, periodo in cui l'oggetto del consulto più richiesto rivela la vera ossessione degli italiani: il lavoro e la salute, anche se i quesiti maggiori restano quelle in materia di cuore.

Il mercato della cartomanzia, anche senza il rapporto Codacons, è una realtà che molti di noi avevano constatato semplicemente passeggiando nei centri storici delle nostre città con un fiorire di banchetti illuminati e addobbati di candele, incensi, talismani, candelabri, statue di Buddha in legno e addirittura di Padre Pio, presidiati da una corte dei miracoli di cartomanti di ogni genere ed età, con donne e uomini in fila che aspettano di avere lumi sul proprio futuro. Recentemente Papa Francesco ha ammonito pubblicamente chi dimentica Dio e finisce nella superstizione. Ma se è vero che molte persone vanno in chiesa a chiedere aiuto a Dio, disposte ad aspettare con fede, piene di dubbi e di dolori, che le loro richieste si realizzino, è anche vero che in questa società materialista altrettante persone hanno bisogno di aggrapparsi a qualcosa che dia risposte immediate e che soddisfi domande che non avrebbero risposte altrimenti. Le sedute "vis à vis" con davanti la persona da guardare negli occhi e da ascoltare sono le preferite per un momentaneo sollievo, per il bisogno sentito degli sguardi, del contatto e delle sensazioni in diretta, senza compromettere la fede religiosa, ma perla ricerca di un momento esoterico e di spiritualità che non sono un complemento alla religione ma semplicemente un confronto rapido ed istantaneo su amore, sesso, lavoro e amicizia, per alzarsi poi dagli sgabelli più o meno sollevati dalla profezia ricevuta, a seconda della sentenza chele carte hanno spietatamente o falsamente determinato. Le cartomanti, quasi sempre donne, sono figure spesso bistrattate ed accomunate a delle indovine, professano l'arte della cartomanzia, ossia la lettura delle carte da gioco o dei tarocchi, le preferite dai più per le loro figure allegoriche, ma queste persone, non sempre professioniste, non predicono il futuro ma, capaci di ascoltare e intuire le fragilità, i dubbi e le sfumature dell'animo di chi hanno di fronte, e dotate di competenze comunicative, consigliano l'interlocutore verso la strada che le carte indicano, puntando a far emergere ciò che la persona ha dentro di sé, predisponendo l'interessato a superare i blocchi emotivi che gli impediscono di risolvere determinate situazioni in oggetto, aiutandole a scegliere una direzione o un comportamento, e regalando sollievo.

Le persone che decidono di avvalersi di un cartomante, telefonando a un numero dedicato o raggiungendo l'esperto a casa, in studio o in strada, in realtà sono semplicemente alla ricerca di un interlocutore con cui confidarsi, al quale raccontare i propri timori, ansie o paure, in genere per instabilità sentimentale od economica, e lo fanno in un abbozzo di seduta psicologica con una persona estranea, pronta ad ascoltare e fornire utili consigli riguardo al futuro, aiutandosi con la lettura delle carte che il fato o la fortuna mettono sul tavolo in quel momento, carte che di certo non sono da intendersi come verità assoluta o profetica.

Gli specialisti o gli improvvisati delle arti divinatorie non sono in realtà, nessuno di loro, in grado di prevedere il futuro nemmeno di se stessi, non essendo dotati di poteri predittivi, eppure moltissime persone si rivolgono a loro perché è molto più facile, confortante e meno faticoso intellettualmente, piuttosto che farsi delle domande serie ed avviare un'analisi di autocoscienza, trovare una situazione più o meno appagante o consolatoria, rivelata da una carta allegorica che elevi il morale e lo spirito nei giorni di difficoltà, di esitazione e di sconforto, nella speranza che un presunto desiderio possa realmente divenire una certezza. Un confronto innocuo, a volte divertente, che però può divenire influente e pervasivo nelle personalità più fragili ed insicure, al punto da condizionare le loro azioni e le loro scelte a seconda del responso ricevuto in tema di amore e salute, di se stessi o dei propri cari. La cartomanzia comunque, rispetto alle prestazioni fornite da sedicenti maghi od astrologi, è riuscita ad attrarre in questi ultimi due anni un numero sempre maggiore di clienti, per il rapporto confidenziale che si instaura con tale tipologia di figure, e perché ad ogni domanda viene fatta uscire una carta che sembra dare una risposta immediata e concreta, positiva o negativa che sia, ad un quesito specifico, su amore, lavoro, denaro e salute, risposta che non sempre influisce sul libero arbitrio della persona che la richiede, poiché la scelta di ogni decisione viene sempre rimessa nelle mani e nell'animo dei richiedenti. E nell'animo umano l'amore, la speranza, i desideri, la fede e i sogni sono sentimenti che restano sempre in primo piano, sentimenti che sono sopravvissuti al virus letale che ha seminato dolore e morte, e che ha lasciato più difficile il presente e più incerto il futuro di ognuno di noi. Purtroppo resta solo in noi capire come viverlo ed affrontarlo, con coraggio, con fede, con determinazione e soprattutto razionalità, senza affidarsi troppo a poteri divinatori che nessuno al mondo è in grado di predire od assicurare.

·        L’Immacolata Concezione.

Apparizioni, cibo, presepi: l'Immacolata prepara al Natale. Il giorno dell'Immacolata Concezione è festeggiato dalla Chiesa ma anche dalle tradizioni popolari in un modo molto suggestivo. Angela Leucci l’8 Dicembre 2022 su Il Giornale.

L’8 dicembre la Chiesa Cattolica celebra l’Immacolata Concezione di Maria, un giorno che tra l’altro è di festa per alcune categorie di lavoratori. In Italia questa festività è strettamente legata con le tradizioni natalizie, anche se dal punto di vista religioso non lo è.

Da Nord a Sud si tengono manifestazioni dedicate, ma non sono solo a tema spirituale. Molte infatti riguardano le tradizioni popolari e coinvolgono inevitabilmente la gastronomia regionale.

La storia dell’Immacolata

L’Immacolata Concezione è un dogma cattolico che non riguarda, come molti pensano, il concepimento di Gesù da una donna vergine, la Madonna. Riguarda invece il fatto che Maria, a differenza del resto del genere umano, sia stata concepita senza peccato originale. Tutti gli uomini e le donne nascono con il peccato originale, a causa del tradimento di Adamo ed Eva ai danni di Dio, anche se poi quel tipo di peccato atavico viene lavato via con il battesimo. Maria no, la Madonna è nata senza il peccato originale. Lo ha stabilito un dogma proclamato da papa Pio IX solo nel 1854.

Durante le celebrazioni liturgiche dell’8 dicembre, vengono benedette e distribuite ai fedeli delle riproduzioni della medaglia miracolosa. L’iconografia ritrae la prefigurazione di Maria nell’Antico Testamento: una donna santa che viene insidiata da un serpente, che simboleggia il peccato, ma che schiaccia l’animale sotto al proprio piede. È così che la vide santa Caterina Labouré nel 1830: la monaca, all’epoca novizia, coniò quindi la medaglia miracolosa contenente una piccola preghiera: “O Maria, concepita senza peccato, pregate per noi che ricorriamo a voi”.

Tradizioni dell’Immacolata

È in questo giorno che solitamente le famiglie italiane addobbano l’albero di Natale e allestiscono il presepe. Tuttavia in diverse regioni esistono tradizioni legate alla cultura popolare e contadina.

Per esempio in provincia di Lecce, in occasione della vigilia dell’Immacolata, si mangia teoricamente “di magro”. Il teoricamente è dovuto al fatto che il pranzo della vigilia è una vera e propria abbuffata: puccia col tonno, peperoni verdi fritti, pittole sono alcune delle bontà che vengono portate a tavola. Le pittole (o pettole, come vengono chiamate in altri luoghi della Puglia) sono preparate anche nel giorno di festa e spesso sono accompagnate da alcuni falò, le “focareddhe” dell’Immacolata.

A Napoli invece si preparano e si consumano i roccocò, speciali taralli dolci ispirati a uno stile artistico antico, che era di casa nel capoluogo campano. E l’8 dicembre, nell’antica Partenope, è il momento giusto per visitare il quartiere di San Gregorio Armeno, con le sue tante botteghe artigiane in cui vengono preparati i personaggi per il presepe. Quale sarà il personaggio d’attualità dell’anno che i napoletani hanno inserito tra i grandi classici?

In Basilicata invece vengono preparati invece dei taralli salati, i ficcilatidd, mentre la vigilia anche qui è “di magro”, come del resto in molte altre parti d’Italia.

Cosa fare all’Immacolata

Naturalmente tra le cose da fare c’è appunto una visita, se ci si trova a Napoli, a San Gregorio Armeno e magari a San Biagio dei Librai, dove nelle diverse botteghe si possono trovare libri interessanti e spesso chicche fuori catalogo. Ci sono anche i mercatini di Natale, che, in virtù della festa dell’8 dicembre, colgono l’occasione per entrare nell’atmosfera del periodo più bello dell’anno.

A Venezia, l’8 dicembre 2022 si chiude il mercatino dell’antiquariato, mentre a Calvene in provincia di Vicenza si potrà ammirare il presepe artigianale in Contrà Maglio. A Bussolengo, in provincia di Verona, ci sono invece i Presepi nel Chiostro. A Seriate, in provincia di Bergamo, si tiene il mercatino di Santa Lucia, a Carpenegolo in provincia di Brescia si chiude la Fiera del Torrone. Ma queste sono solo alcune delle cose da visitare: il Belpaese in questa giornata è un ricco mosaico pieno di sorprese.

Le origini della festa. Cos’è il giorno dell’Immacolata Concezione e perché si festeggia l’8 dicembre. Redazione su Il Riformista l’ 8 Dicembre 2022

Oggi, giovedì 8 dicembre, ricorre la celebrazione dell’Immacolata Concezione. È una ricorrenza con la quale la chiesa cattolica festeggia un dogma sancito da Papa Pio IX con la bolla Ineffabilis Deus, pubblicata l’8 dicembre 1854, dove si affermava che la Vergine Maria era immune dal peccato originale e che quindi era degna di portare Gesù nel proprio grembo e farsi veicolo della sua venuta sulla Terra. Il dogma pose fine ad anni di dispute anche molto violente e caratterizzate da reciproche accuse di eresia. La questione, infatti, è tutt’altro che banale dal punto di vista teologico.

Maria è ‘figlia’ di Adamo ed Eva, come tutti gli esseri umani, secondo la religione cristiana. Questo implica che porta con sé il peccato originale, quello cioè contratto dai progenitori dell’umanità nel momento in cui furono indotti dal serpente a mangiare i frutti dell’albero della conoscenza del bene e del male. Un atto di disubbidienza al comandamento di Dio che li macchiò appunto del peccato originale, causando la loro cacciata dal paradiso terrestre. Erano nati senza peccato, ora ne portavano uno e destino analogo toccava a tutti i loro discendenti. Maria compresa?

Alcuni studiosi come Pelagio tendevano a ridimensionare la gravità del peccato, ed erano in discordia con altri come Agostino d’Ippona e Calvino, che lo utilizzavano per descrivere l’umanità come una “massa dannata”. Ovviamente, questo aveva ripercussioni sul discorso relativo alla natura di Maria. All’interno di questa disputa, alcuni teologi avanzarono l’ipotesi che Maria fosse portatrice del peccato originale, ma che per i nove mesi necessari al concepimento di Gesù fosse stata per quest’ultimo una dimora senza peccato. Alcuni indizi di questa tesi erano rintracciati nel protovangelo di Giacomo, ma non tutti gli esegeti concordavano con questa lettura.

Dio aveva concesso a Maria una redenzione anticipata dal peccato originale, oppure era già stata concepita senza peccato in vista del suo ruolo futuro? Insomma, era nata peccatrice ed era stata perdonata un momento prima di divenire madre? O non era mai stata peccatrice? Interpretazioni e ipotesi si rincorsero per molti anni, e spesso chi non era d’accordo con una tesi veniva tacciato di eresia da coloro che invece la sostenevano. Un’accusa che poteva avere conseguenze molto serie.

La disputa fu chiusa una volta per tutte con la bolla Ineffabilis Deus, pubblicata l’8 dicembre 1854. Vi si legge che “la beatissima Vergine Maria, nel primo istante della sua concezione, per una grazia e un privilegio singolare di Dio onnipotente, in previsione dei meriti di Gesù Cristo Salvatore del genere umano, è stata preservata intatta da ogni macchia del peccato originale”. Quindi Maria non era macchiata, era immacolata: da qui l’Immacolata Concezione che si celebra l’8 dicembre.

Alcuni studiosi credono che la festa a lei dedicata era derivi da un’altra celebrazione: quella che si teneva presso la chiesa bizantina e che ricordava la nascita di Maria dai genitori Gioacchino e Anna. Un fatto raccontato come miracoloso e avvenuto per grazia divina, in riferimento al futuro ruolo di madre di Gesù.

È probabile che questa festa sia giunta fino a noi grazie al trasferimento di monaci da Oriente a Occidente e grazie agli intensi rapporti fra l’Italia meridionale e Bisanzio. Nei secoli successivi il culto si è propagato per tutto l’Occidente, soprattutto per iniziativa degli ordini religiosi benedettini e carmelitani. L’8 dicembre 1661 la bolla Sollicitudo omnium ecclesiarum di papa Alessandro VII inserì la festa nel calendario della Chiesa universale. Quasi due secoli prima che la bolla Ineffabilis Deus risolvesse una volta per sempre il dibattito sulla natura immacolata di Maria.

8 dicembre, l'Immacolata Concezione: cos'è e le origini della festa. Silvia Morosi su Il Corriere della Sera l’8 Dicembre 2022

Il dogma fu proclamato da Pio IX nel 1854 con la bolla «Ineffabilis Deus»: sancisce come la Vergine Maria sia stata preservata immune dal peccato originale fin dal primo istante del suo concepimento

Lo celebriamo tutti gli anni. Una giornata di festa che ben ci piace se cade fuori dal weekend, come nel 2023, così da inaugurare con un bel ponte la stagione delle feste natalizie. E per i milanesi si unisce alla giornata del patrono, Sant’Ambrogio, accrescendone l’attesa. È l’Immacolata Concezione, le cui radici risalgono all’8 dicembre del 1854, quando ne è stato proclamato il dogma da papa Pio IX con la sua bolla «Ineffabilis Deus». La Chiesa Cattolica da allora osserva questa festa ogni 8 dicembre. Ma cosa si celebra? 

L’Immacolata Concezione non si riferisce al concepimento di Gesù, ma a quello di Maria. La Vergine, secondo il credo religioso, è stata concepita senza peccato originale e preservata da ogni macchia, nel grembo di Sant’Anna. Si festeggiava anche in Oriente già nel VI secolo, poi grazie al papa è entrata nel calendario della Chiesa.

Sullo stesso argomento

Sant'Ambrogio: le origini e la storia della festa del patrono di Milano il 7 dicembre

Il 19 settembre è San Gennaro: 5 cose che non sai di lui

L'11 agosto è Santa Chiara, la patrona della televisione e delle comunicazioni

San Patrizio, il 17 marzo la festa del patrono d’Irlanda

Il 21 febbraio si celebra Eleonora d'Inghilterra, la santa regina

San Faustino, la storia e le origini della festa dei single del 15 febbraio

San Valentino, il 14 febbraio si celebra il beato che credeva nell'amore

San Biagio, il protettore della gola: perché il 3 febbraio bisogna mangiare il panettone avanzato

Quattro sono le verità di fede sulla Madonna, secondo la fede cattolica: la maternità divina; la verginità perpetua; l'Immacolata concezione e l'assunzione, che riprende l’antica tradizione della Dormizione, secondo la quale la Vergine, alla fine della vita terrena, si sarebbe addormentata per essere trasportata in cielo con la sua carne.

Come si legge nella bolla di Pio IX, «la beatissima Vergine Maria fu preservata, per particolare grazia e privilegio di Dio onnipotente, in previsione dei meriti di Gesù Cristo Salvatore del genere umano, immune da ogni macchia di peccato originale fin dal primo istante del suo concepimento, e ciò deve pertanto essere oggetto di fede certa ed immutabile per tutti i fedeli».

A conferma del dogma viene citato dalla Chiesa quanto avvenuto a Lourdes nel 1858, quando la 14enne Bernadette Soubirous riferì al parroco di aver visto in una grotta, quella di Massabielle, una «piccola signora giovane» che le aveva detto «Io sono l'Immacolata Concezione». Un anno prima, nel 1857, in piazza di Spagna a Roma fu inaugurato il monumento dell'Immacolata: ogni 8 dicembre, secondo la tradizione, il papa fa visita in questo luogo.

·        Santa Lucia.

Santa Lucia e la leggenda del «giorno più corto che ci sia»: riti e tradizioni. Si festeggia il 13 dicembre in corrispondenza del suo martirio. È nata a Siracusa, città di cui è la patrona. Ma i festeggiamenti più famosi sono quelli dei Paesi scandinavi. Chiara Barison su Il Corriere della Sera il 13 Dicembre 2022.

La storia di Santa Lucia 

«Santa Lucia, il giorno più corto che ci sia». Questo è forse la frase più famosa legata al culto di Santa Lucia che si celebra in molte parti del mondo il 13 dicembre. La festa però inizia la notte del 12 che a lungo si è creduto essere quella più lunga dell'anno e che secondo il calendario prima della riforma gregoriana coincideva con il solstizio d'inverno. Per questo motivo, la beata è anche nota come Santa della luce: il suo arrivo rischiara l'inverno dopo la lunga nottata di tenebre. 

​Lucia nacque in una nobile famiglia di Siracusa, città di cui è la patrona, ed riconosciuta come la protettrice degli occhi, degli oculisti, dei ciechi e degli elettricisti. Viene festeggiata il 13 dicembre perché si tratta del giorno in cui nel 304 avvenne il suo martirio. 

​La leggenda narra che decise di andare sulla tomba di Sant'Agata a pregare e che la beata le chiese di rinunciare alle sue ricchezze per dedicarsi all'aiuto dei più deboli e perseguitati. Dopo questo appello sua madre guarì e lei decise di seguire le indicazioni della santa annullando il matrimonio con il suo promesso sposo.

​Santa Lucia viene spesso rappresentata cieca a simboleggiare le torture subite durante il suo martirio, mentre secondo un'altra versione sarebbe dovuto a un uomo innamorato di lei che le chiese i suoi occhi in dono. 

Nella sua città, Siracusa, la santa viene celebrata dal 13 al 20 dicembre. Si inizia il 12 con la veglia e si prosegue nei giorni successivi con la santa messa e la processione dalla cattedrale alla basilica di Santa Lucia al sepolcro. Le preparazioni tipiche di quei giorni sono il pane votivo a forma di occhi - simbolo della santa - e si mancia la cuccìa che consiste con grano cotto con ricotta, miele e vino cotto.

I festeggiamenti di Siracusa 

Nella sua città, Siracusa, la santa viene celebrata dal 13 al 20 dicembre. Si inizia il 12 con la veglia e si prosegue nei giorni successivi con la santa messa e la processione dalla cattedrale alla basilica di Santa Lucia al sepolcro. Le preparazioni tipiche di quei giorni sono il pane votivo a forma di occhi - simbolo della santa - e si mancia la cuccìa che consiste con grano cotto con ricotta, miele e vino cotto.

Brescia, Mantova e Cremona

Nelle province di Brescia, Mantova e Cremona è una festa molto attesa soprattutto dai bambini. Molti di loro sono soliti scrivere una letterina alla Santa con la richiesta di doni, più o meno dello stesso tenore di quella che si invia a Babbo Natale. È tradizione preparare un piattino con biscotti e vin santo, oltre a un po' di cibo per l'asinello di Santa Lucia. Il compito degli adulti è di suonare un campanello per invitare i bambini ad andare a letto in attesa del suo passaggio. Il giorno dopo, chi è stato bravo troverà dolci e doni, mentre i cattivi solo del carbone.

Svezia a ritmo di Luciasången

Nel resto del mondo il luogo in cui è più sentita la festa di Santa Lucia è la Svezia: oltre a essere un omaggio alla Santa, si tratta di un modo per implorare per la luce. Le chiese organizzano concerti e tra le ragazze viene eletta Santa Lucia che dovrà guidare la processione con una corona di candele. Le coetanee che la seguono devono indossare un abito bianco e un'acconciatura arricchita da foglie e nastri rossi. 

​La canzone tipica delle processioni e Luciasången, ovvero l’italiana canzone napoletana di Santa Lucia, solo che il testo in svedese. I dolci tipici si chiamano «i gatti di Lucia» e sono brioche allo zafferano con uvetta.

Il Luciadag in Danimarca 

Anche in Danimarca il 13 dicembre di ogni anno si festeggia il Luciadag, “giorno di Lucia”. Di nuovo la luce il vero protagonista della celebrazione. Non è una coincidenza che il primo Luciadag venne celebrato nel 1944, dopo la fine dell’occupazione tedesca durante la Seconda Guerra Mondiale, considerato da tutti il periodo più buio della storia del paese. La giornata si svolge tra solenni processioni sul kayak lungo il canale di Nyhavn, celebrazioni nelle chiese, ma anche recite negli asili e nelle scuole. Viene scelta una “Lucia”, e le ragazze la seguono cantando, vestite di bianco e con una candela in mano. Anche la Lucia danese viene incoronata con una corona di candele accese.

Lussi in Norvegia 

In Norvegia sono i bambini a sfilare vestiti di bianco, portando candele, cantando canzoni e distribuendo panini festivi guidati da una ragazza bionda che rappresenta Santa Lucia. In Norvegia la festa di Santa Lucia ha origini pagane, legate a Lussi, la “Luminosa”, il doppio pagano e “oscuro” di Santa Lucia, uno spirito femminile legato agli spiriti dell’Aldilà, che guida una processione fantasma. 

·        Il Natale.

A me piace il presepe ma se c’è «u’ sckandat». È, costui, un singolare visitatore che staziona davanti alla grotta fatidica con un’espressione sgomenta. Michele Mirabella su La Gazzetta del Mezzogiorno l’11 Dicembre 2022.

In tanti ricordiamo un personaggio di «Natale in casa Cupiello», capolavoro di Eduardo, per una battuta pronunciata con sciatto cinismo dal giovinotto Tommasino: «A me non mi piace il presepio». Più che pronunciata, era borbottata con livore screanzato. Quello dello scansafatiche accidioso e parassita che vuole rovinare la festa a Luca, il «presepiaro» protagonista.

E lo sprezzo del Presepio riassumeva iattanza e pigrizia mentale. Sotto l’egida di queste si arruolano da sempre molti stupidi sfiancati da uno snobismo attivato dal complesso dei provinciali che non riescono a capire che la Provincia è il sale della cultura italiana. «A me non mi piace il presepio». Avvertono i caporali di tutte le estrazioni sociologiche quando pretendono di altezzosamente di infliggerci il loro ego frustrato. Ma, per fortuna ci sono caporali e ci sono uomini. A me i caporali, quelli in uniforme che servono il Paese, piacciono come mi piace, moltissimo, il Presepio e l’ho messo in opera. Quest’anno l’assetto strutturale è pianeggiante e solo qua e là collinoso, un poco brullo con qualche zona sabbiosa e solo un laghetto con inevitabile fontana con vasca circondata da palme noncuranti della presenza, poco più in là, di abeti dolomitici che non ci azzeccano niente ma fanno tanta scena come le arance che danno colore gioioso.

Ho portato un cambiamento sostanziale nella regìa: la sacrosanta capanna non è più posta contro la parete, no. Tale dislocazione costringeva i pastori ad offrire le terga ai fedeli spettatori privandoli delle espressioni del viso che contano, e come! E, dunque, la capanna sta al centro del tavolo e i pastori, i pellegrini dall’incontenibile stupore, accerchiando la sacra famiglia e provenendo da l’ogni dove del mondo, mostrano il volto a noi che c’incantiamo. Non manca niente in un tripudio sincretistico di figure d’ogni provenienza: tutta la gamma dei pastori, da quello tradizionale con pecore e abbacchio regolamentare sulle spalle, al porcaro con maialini e scrofa premurosa, alla donna con formaggi e caciocavalli, allo zampognaro, si mescola allo scrivano ottocentesco, al venditore di libri usati, al fiaccheraio e al cantiniere. Da un pezzo ho esiliato il cacciatore dietro un albero e gli ho messo un fiore nel fucile. Ora non spara più agli uccellini e io gliene ho messi tre sulle spalle. La lavandaia esibisce vicino alla grotta una generosa scollatura che mostra grazie di Dio e che si prodiga lavando i panni ruvidi della Luce del mondo. Sono sicuro che Questa non rinnegherà la pia governante. Nel presepio non sono graditi i bacchettoni.

A me il presepio piace. Chi vede il teatro che «faccio» se ne accorge. Lo inventò San Francesco come una pièce teatrale e Giotto a Greccio lo testimoniò, figuriamoci. Ma amo anche il presepio regolamentare, s’intende, con tutti i personaggi e i requisiti che la tradizione impone: Sacra Famiglia, bue, asinello, angelo annunciatore di pace, lavandaia, pastore semplice e pastorella con caciotte, guardiano di porci, pescatore, suonatori di cornamuse, vagabondo addormentato. Animali in quantità.

Ho nostalgia di tutto questo e pratico con testardaggine la minuscola e tenerissima edilizia del presepio anche a casa mia, la casa di un adulto pensieroso. Ogni anno lo aggiorno con nuovi santi pastori vagabondi, con pecorelle devotissime, con magi in buona fede, ma anche con ospiti pellegrini dell’attualità e della cronaca. Devo ammettere che m’era più facile prima e, infatti, ancora annovero davanti alla capanna una «band» di suonatori di Jazz, un duo di scrivani somiglianti a Totò e Peppino e uno zampognaro tale e quale al mio dolce amico Massimo Troisi. Oggi, stante nella cronaca la penuria di nuovi candidati, candidati nel senso del candore dell’innocenza, in grado di assumere un ruolo in pianta stabile tra le pecorelle, scelgo come protagonista il pastore dei pastori: «u’ sckandat». Letteralmente, nel dialetto nostro, sta per «lo spaventato». È, costui, un singolare visitatore che staziona davanti alla grotta fatidica con un’espressione sgomenta, orante, con gli occhi sbarrati, le braccia spalancate e la bocca semichiusa in un fonema intelligibile, solo dai puri di cuore che sembra esprimere l’atterrita gioia della salvazione annunciata. È povero, non porta niente, né caciotte, né agnellini, né vino, né uova, né, tanto meno stoffe preziose o spezie: «u sckandat» porta al Dio vivente solo il suo stupore di fede e la sua letizia di speranza. E la mostra sul volto che, finalmente si vede nella nuova struttura della regìa. Nel Presepe di oggi, «u’sckandat» è il cittadino onesto, generoso, prodigo con gli ultimi e che offra, magari, le risorse utili a far presepi dovunque. Presepi fatti di altruismo, civismo, giustizia, rispetto per l’ambiente, la cultura, la scuola, la ricerca. Dovrebbe promuoverli lo Stato, questi Presepi. In attesa, diamoci da fare col candore dello «sckandat» che mi piace e mi commuove. Chi vorrà negarsi alla peregrinazione alla grotta, sarà libero di farlo e nessun pastore gli toglierà il saluto, ma se ne assuma la responsabilità. Chi vorrà ubbidire all’«Adoremus» potrà farlo con gioia. A me piace il Presepio.

Alchimisti, fattucchiere e magia dei nodi. L'anti presepe 2022 di Bergoglio in Vaticano. Andrea Cionci Libero Quotidiano il 04 dicembre 2022

Andrea Cionci. Storico dell'arte, giornalista e scrittore, si occupa di storia, archeologia e religione. Cultore di opera lirica, ideatore del metodo “Mimerito” sperimentato dal Miur e promotore del progetto di risonanza internazionale “Plinio”, è stato reporter dall'Afghanistan e dall'Himalaya. Ha appena pubblicato il romanzo "Eugénie" (Bibliotheka). Ricercatore del bello, del sano e del vero – per quanto scomodi - vive una relazione complicata con l'Italia che ama alla follia sebbene, non di rado, gli spezzi il cuore

Anche quest’anno la falsa chiesa antipapale di Bergoglio ha proposto il solito anti-presepe, con infilati di soppiatto elementi esoterici, pagani, eretici, magici e anticristiani.

Questo è il prezzo da pagare quando non si difende il vero Papa e si permette a un ecclesiastico privo del Munus petrino, l’investitura papale di origine divina, di ricoprire la carica di Pontefice romano.

Ricordiamo il presepe 2020, con le statue in ceramica di Castelli di epoca conciliare: figure con braccia incrociate, tipiche del mondo rosacroce ed egizio, con il guerriero cornuto col teschio sulla fronte, un simbolo demoniaco inserito nel presepe per la solita dottrina esoterica dell’unione degli opposti.

Clamorosamente evidente, poi, il presepe etnico 202,  proveniente dal villaggio di Choppca, il villaggio dove sopravvive nel modo più sentito il culto per la Pachamama, che per la dottrina cattolica, non può non essere considerato altri che un demone. Si ricordi a tal proposito il sacrificio umano svoltosi il 5 agosto scorso a El Alto in Bolivia, in onore della madre terra incaica QUI  .

Quest’anno c’è voluta qualche ricerca in più per scoprire cosa si nasconde dietro al presepe ligneo proveniente dal paese di Sutrio in CARNIA (Friuli).

Realizzato in legno di cedro, anche con legname proveniente dai tronchi abbattuti durante la tempesta Vaia del 2018, evoca dei concetti apparentemente innocui e banalmente demagogici di ecosostenibilità e valorizzazione delle tradizioni locali.

NON FIDATEVI.

Occorre un poco di studio per scoprire cosa si nasconde sotto, ma siamo andati a colpo sicuro.

I personaggi dell’antipresepe non sono molti, ma fra questi ve ne sono due estremamente significativi. Il “CRAMAR” e la TESSITRICE che sono accuratamente evitati dalla maggior parte delle riprese foto-video disponibili sul web. La tessitrice è poi quasi introvabile, perché collocata in secondo piano.

Ci siamo documentati sui testi di due autorevoli studiosi delle tradizioni friulane, Elio Varutti e Paolo Paron e abbiamo appreso che la Carnia costituisce una sorta di piccolo cuore magico-esoterico dell’Europa che si allarga fino a coinvolgere altre aree del mondo ladino e a lambire i Grigioni svizzeri. Zone di montagna che sono rimaste molto isolate nell’arco dei secoli, dove sono sopravvissuti una lingua antichissima e un sapere antico di radice pagana, i cui riti nel periodo del Solstizio d’inverno, come i grandi falò epifanici, vengono allestiti ancora oggi come tradizione locale.  Documentatevi pure su “Streghe, eretici e benandanti del Friuli Venezia Giulia. Processi, rituali e tradizioni di una terra magica”  (Intermedia ed. 2021) di Monia Montechiarini. 

La Carnia in particolare, affascinantissima e misteriosa, è stata nei secoli passati, regione popolata di questi personaggi, duramente combattuti dalla Chiesa cattolica.

Fatta questa premessa, si comprende il ruolo del cramar, o cramaro: si trattava di un venditore ambulante che portava sulle spalle una specie di armadio-zaino pieno di cassettini il quale faceva la spola tra Venezia e il mondo slavo-tedesco. Generalmente era una persona istruita, che sapeva leggere e far di conto e commerciava in spezie e sostanze rare. Lo studio del ricercatore prof. Elio Varutti “Pedlars and Alchemists in Friuli” ha evidenziato come i cramari praticassero spesso e volentieri l’ALCHIMIA, sia manipolando erbe e sostanze naturali di cui facevano commercio, sia fondendo i metalli alla ricerca della pietra filosofale, tanto che alcuni di loro, poi, a Lubiana diverranno anche campanari. Entrando in contatto col mondo tedesco, spesso e volentieri assorbivano altre visioni del mondo, luterane, non-cattoliche e/o magico-esoteriche legate a culti precristiani. Erano esperti dell’arte della tessitura, e profondi conoscitori dei nodi, tanto da lasciare in famiglia dei manuali per tramandare queste capacità.

E qui veniamo all’altro personaggio inserito nell’antipresepe bergogliano: la tessitrice.

In Carnia, le donne, quasi tutte tessitrici, ovviamente, erano depositarie di saperi antichi e, tra questi, l’arte magica della legatura o slegatura.

Scrive Paolo Paron: “Le donne conoscevano le proprietà delle piante, delle essenze, ma anche dei cicli lunari, i tempi di raccolta in concomitanza con il massimo potere terapeutico di foglie, cortecce, radici, erbe […] Dietro le cure e le terapie delle donne di campagna, l’Inquisitore scorgeva qualcosa che andava al di là della semplice superstizione, un qualcosa di più temibile e pericoloso: un patrimonio di conoscenze naturali, di esperienze, di cultura medica tramandata dalle donne per le donne, attraverso le generazioni, da tempo immemorabile. Faceva paura questo legame con il passato, questa continuità della carità e della solidarietà femminile, che attraverso i secoli, giungeva dal campo oscuro del paganesimo […] I doni di guarigione che a, volte, erano attribuiti a queste massaie rurali erano detti preenti che “potevano essere trasmessi solo in una particolare notte all’anno: la notte della Vigilia di Natale, notte magica come la notte di san Giovanni del 24 giugno”.

Apprendiamo anche come le antiche donne della Carnia raccogliessero “l’acqua della RUGIADA della notte di San Giovanni, utile e necessaria per molte azioni che riguardavano, la bellezza, la salute e la magia”.

La guaritrice carnica “agisce misurando, annodando, snodando fasce, cinture, nastri, legacci, passanti, stringhe, frange, fili e cordelle […] Utilizza conoscenze simboliche che vengono da lontano, come il rituale della misura e la magia dei nodi, sfruttando per intero lo spazio ambivalente esistente fra le polarità del legare/slegare, la pratica del misurare/rimisurare. Sa interpretare i legamenti come malefìci, scoprendone la natura di armi d’offesa di streghe e stregoni; utilizza però i nodi, allo stesso tempo, come mezzo di difesa contro i sortilegi altrui, come efficaci contro-farmaci”.

Come leggete, dietro il nuovo presepe in Piazza San Pietro, ritorna quindi tutto il solito armamentario anticattolico del Bergogliesimo: Sincrestismo, Misericordismo, Neoluteranesimo, Neoarianesimo, Neognosticismo, Neopaganesimo, una specie di micidiale cocktail di eresie e apostasie.

Come scrisse il Santo Padre Benedetto XVI, in puro codice Ratzinger, rifiutando di recensire i libri della sua pseudo-teologia: “I PICCOLI volumi mostrano, a ragione, che papa Francesco ha una PROFONDA formazione teologica e filosofica”. Essa infatti attinge alle più oscure profondità ctonio-misteriche. 

Torna infatti – per l’ennesima volta, e in modo estenuante - la MAGIA DEI NODI, già propagandata in tutto il mondo da Bergoglio, a partire dagli anni ’80, con l’idolo pseudomariano della “Maria che scioglie i nodi” e della sua novena, citata nel libro “Pillole di magia” di Michela Chiarelli in merito al rito magico dei nove nodi. Torna la RUGIADA, il nettare dei Rosacroce, elementale alchemico che è stato inserito di soppiatto nella preghiera eucaristica della messa. Tornano i culti precristiani legati alla Grande Madre,  o Madre Terra, l’ammiccamento all’alchimia,  all’esoterismo, al mondo pagano, all’unione degli opposti alla “conoscenza” alchemica, al tema ossessivo della guarigione del corpo, anche a costo della dannazione dell’anima.

(A proposito: provate ad annodare qualche cordicella, magari il sito vaticano del Codice di Diritto Canonico  dopo il presunto attacco hacker subito giorni fa riuscirà anche a ripristinare la pagina coi canoni dal 332 al 335, proprio quelli che parlano di rinuncia al munus e di sede papale totalmente impedita. Si aprono quasi tutte le altre pagine, ma non quella. “Tanto chi se ne accorge”: abbastanza ridicolo).

Insomma: ve lo stiamo ripetendo da due anni che Bergoglio non è il papa, questo perché il Santo Padre Benedetto XVI non ha mai abdicato, ma si trova in sede impedita. la spiegazione “for dummies”. Purtroppo, la censura assoluta imposta dall’informazione mainstream, il silenzio del clero consapevole, l’ottusa cecità “preternaturale” dei cattoconservatori una cum, (che pur additando Bergoglio come “malvagio” e “diabolico” si ostinano a considerarlo legittimo papa), le strategie "politiche" fallimentari di Mons. Viganò, che invece di invocare un sinodo provinciale per pronunciarsi sulla sede impedita del vescovo di Roma, con ogni probabilità mira alla propria candidatura come prossimo antipapa, fanno sì che un miliardo e 285 milioni di cattolici continuino ad andar dietro a un Pifferaio di Hamelin che partecipa a riti negromantici in mondovisione e li sta portando a venerare alchimisti, fattucchiere, divinità pagane, Grandi Madri, Nonne Ragno, Gesù serpente-diavolo  Streghe dei Nodi e così via. Pensate solo ai bambini che andranno a vedere quel falso presepe…

Viene da piangere, ma più che dirvelo, non possiamo fare. Buon Anti-Natale a tutti.

·        Epifania e Befana.

Caccia ai tre Re Magi. Antonio Rocca su La Repubblica il 6 Gennaio 2022. Viaggio nell’iconografia segreta dei sapienti venuti la notte di Epifania. Tra Pisano, Stefano da Verona, Gentile da Fabriano e i tarocchi. Tra gli evangelisti il solo a fornire informazioni sui magi fu Matteo, che descrisse l’arrivo a Gerusalemme di alcuni magi senza specificarne il numero, il nome o le caratteristiche fisiche. In realtà quasi tutto ciò che sappiamo di questi sapienti ci deriva dai vangeli apocrifi e dalla tradizione popolare che, nel corso dei secoli, ne ha definito il ruolo di re, ha elencato i doni e ha stabilito che Melchiorre abbia tratti europei, Gaspare orientali e Baldassarre sia invece nero.

IL SIMBOLO PIÙ MISTERIOSO. Nella mirra portata dai Magi si incontrano amore e morte. Bruno Giurato su editorialedomani.it il 5 gennaio 2022. L’epifania non è uno stato di cose, è un evento. L’etimo (greco: epi-faino) segnala la ripetizione di una manifestazione. La manifestazione si ripete non in modo identico – sarebbe semplice compulsione – ma in un modo ogni volta diverso. Il Vangelo di Matteo parla di tre doni: oro, incenso, mirra. Quest’ultima sarebbe stata offerta proprio dal “Black magus”. L’oro sarebbe il simbolo della regalità, l’incenso di divinità, la mirra di morte. Nella narrazione dell’Epifania i simboli, in particolare quelli meno frequentati manifestano oscillazioni imprevedibili. Sono appunto contenitori di narrazioni non concordi, non stereotipate, non riducibili a formule. 

BRUNO GIURATO. Laurea in estetica. Ha scritto per Il Foglio, Il Giornale, Vanity Fair e altri. Ha lavorato a Linkiesta.it e al giornaleoff.it. Ha realizzato trasmissioni di cultura e geopolitica per La7 e Raidue. È anche musicista (chitarrista) e produttore di alcuni dischi di world music.

Epifania e Befana 2022, significato e curiosità del 6 gennaio. Chiara Barison su Il Corriere della Sera il 6 Gennaio 2022. Una ricorrenza religiosa ma anche tradizione legata alla calza donata ai bambini da una vecchia signora che vola su una scopa. Anziana, rugosa, vestita di stracci, accompagnata da un gatto (preferibilmente nero) e il cui unico mezzo di trasporto è una scopa volante. Stiamo parlando di chi, se non della Befana? L’arrivo della vecchietta dai modi gentili, ma che a tratti incute timore, segna il momento più malinconico delle festività natalizie. Il 6 gennaio si celebra infatti l’Epifania (dal greco «manifestazione», «rivelazione improvvisa» riferita alla visita a Betlemme dei Re Magi in adorazione di Gesù): albero e addobbi scintillanti tornano negli scatoloni, mentre la maggior parte degli studenti italiani fa i conti con il rientro a scuola. Se è vero che non ha nulla da invidiare a Babbo Natale quanto a popolarità, è altrettanto vero che le sue origini restano misteriose e sconosciute.

Befana, dal culto della dea Diana

Secondo storici e antropologi l’antesignana di quella che oggi chiamiamo Befana è la dea Diana, divinità romana della natura selvaggia, della caccia, dei cicli lunari e delle coltivazioni che, armata di arco e frecce, frequentava i boschi in compagnia delle ninfe. Per sapere quando sarebbe passata la dea bisognava contare 12 giorni partendo dal 25 dicembre. La tradizione voleva che la divinità si manifestasse la dodicesima notte volando sui campi in compagnia di altre donne con l’obiettivo di rendere fertile la terra per le semine imminenti. L’avvento del cristianesimo però tenta di mettere fine al culto della dea Diana e dà inizio alla persecuzione delle donne considerate streghe. Il testo più antico in cui si possono trovare tracce della criminalizzazione del mito di Diana è il Canon Episcopi dell’abate Reginone di Prûm che fa riferimento a «talune scellerate donne, rivoltesi a seguire satana, credono e professano di cavalcare nelle ore notturne sopra certe bestie, insieme a Diana dea dei pagani» e invita a trattarle come delle «infedeli».

L’incontro con i Re Magi

Il cattolicesimo dà un’altra versione della leggenda legata alla Befana, narrando che si tratti di un’anziana signora in cui i Re Magi si imbattono mentre seguono la stella cometa che li guida verso Betlemme. Fermandosi a chiederle informazioni la esortano a unirsi a loro per fare visita alla grotta in cui nascerà Gesù. Lei declina l’invito ma si pente quasi subito: scende in strada con un carico di dolci da donare a tutti i bambini che incontra sul suo cammino proprio nella speranza che si tratti di Gesù. In cambio, i piccoli le donano scarpe e calze di cui potrebbe avere bisogno nel corso della sua traversata.

I suoi simboli: la scopa, la notte, il camino

Oltre alla calza piena di dolciumi o carbone, ci sono simboli legati alla leggenda della Befana altrettanto poetici, ma meno conosciuti. L’anziana viene infatti raffigurata a cavallo di una scopa di saggina che simboleggia l’atto di spazzare via le fatiche dell’anno appena trascorso in vista di quello nuovo. La notte e il buio rappresentano invece il lungo inverno in cui Madre Natura, ormai esausta dopo aver dispensato tutte le sue forze durante l’anno, si prepara a morire per rinascere in primavera. Posata la sua scopa in cima al tetto della casa, la Befana si cala poi all’interno delle abitazioni scivolando attraverso la canna fumaria. Il camino rappresenta la connessione tra i due mondi, il cielo (magico) e l’ambiente domestico (reale).

La Befana nel mondo

Non tutti i bambini del mondo nella notte tra il 5 e il 6 gennaio aspettano la Befana. Quelli spagnoli ad esempio aspettano i Re Magi, ai quali scrivono una letterina spiegando quali regali vorrebbero ricevere. La sera prima del Dìa de los Reyes Magos, puliscono le scarpe e le collocano in un punto della casa che sia ben visibile, cosicché i Magi capiscano a chi devono lasciare i doni. Inoltre, si preoccupano di mettere a disposizione acqua e cibo in modo che i tre astronomi e i loro cammelli possano rifocillarsi durante il viaggio tra una casa e l’altra. In Ungheria invece sono proprio i bambini che vanno di casa in casa vestiti da Re Magi e in cambio ricevono qualche spicciolo. Così come in Romania, dove i bambini girovagano per le abitazioni raccontando storie. In Francia si prepara la galette des rois, un dolce di pastasfoglia ripieno di crema alle mandorle all’interno del quale viene nascosta la fève (che può essere una mandorla o un cece, così come un piccolo oggetto prezioso o una statuina di porcellana) e chi la trova viene proclamato re per un giorno con tanto di corona dorata di cartone posata sulla testa. Anche in Germania il 6 gennaio rappresenta l’arrivo dei Magi a Betlemme ma da calendario non si tratta di un giorno festivo.

6 gennaio, arriva la Befana! La nonnina che si divide il cielo con Santa Claus. Emma Brancati su Il Quotidiano del Sud il 6 gennaio 2022.

E se provassimo a salire sulla scopa della Befana e a fare con lei il giro del mondo nella notte tra il 5 e il 6 di gennaio? Le sorprese non mancherebbero.

L’amata vecchina che si porta via tutte le feste e in Italia mette nella calza il carbone per i discoli o i dolcetti per i più meritevoli porta con sé riti e tradizioni. Basta fare anche solamente un giro sui vari siti internet e scoprire che la nonnina è attesa e festeggiata non ovunque e non allo stesso modo, però.

Si scopre così che in alcuni Paesi il 6 gennaio è ritenuto un festivo, mentre in altri coincide con un qualunque giorno lavorativo. In tal caso – che si tratti di Re Magi o di Befana – si resta a secco di doni. Non solo, Paese che vai tradizione che trovi perché le Befane non sono tutte le stesse.

Andiamo, ad esempio, dai cugini d’Oltralpe: in Francia, ai bambini in particolare per la Befana è riservato un dolce speciale che si chiama Galette des Rois. Al suo interno c’è una fava. Il motivo è presto detto: chi trova la fava diventa re o regina per un giorno.

Spostiamoci in Spagna, ai piccoli spagnoli più che attendere la Befana tocca attendere i Re Magi ed è per questo che si mettono tre bicchieri d’acqua all’uscio così che i loro cammelli possano dissetarsi.

In Islanda il 6 gennaio coincide con la festa del tredicesimo Babbo Natale – la conta inizia l’undici dicembre – che partecipa alla festa della Befana in compagnia di elfi e folletti. La magia è assicurata.

Si chiama, invece, Padre Gelo è protagonista del Natale Ortodosso che in Russia si festeggia proprio il 6 gennaio mentre alla vecchietta che lo accompagna è stato dato il nome di Babuschka.

Ancora, il 6 gennaio non è un giorno festivo nel Regno Unito, anche se la chiesa lo celebra ancora. Anche di là della Manica, troviamo un dolce dedicato. Si chiama Twelfth Night Cake e al suo interno ha un semino di fagiolo: come per le Galette des Rois chi lo trova sarà incoronato re o regina.

In Germania, il 6 gennaio è conosciuto con il nome: Heilige Drei Könige, Dreikönigsfest o Dreikönigstag e viene celebrato soprattutto nella chiesa cattolica ma è anche presente nel calendario della chiesa evangelica.

Nella maggior parte degli stati federati è un giorno lavorativo. Solo in tre di essi il 6 gennaio viene commemorato come il giorno della  venuta dei Re Magi e sulla porte delle case compaiono le lettere C + M + B + ad indicare i nomi di Magi o un’abbreviazione del latino Christus mansionem benedicat (Cristo benedica questa casa).

In America poi le calze si appendono al camino solo a Natale e a riempirle ci pensa Santa Claus e della Befana non vi è traccia.

La bellezza viene di notte. Ti so vecchietta, bruttina e con un senso profondo di giustizia. Antonio Staglianò su Il Quotidiano del Sud il 6 gennaio 2022.

Cara Befana, stavolta scrivo a te! anche tu sei frutto dell’immaginazione umana e sei diventata un tratto simpatico della nostra cultura popolare. Esisti così, come personaggio fantastico e non devi crucciarti troppo se sei un po’ bruttina e vecchia.

Si, lo so, assomigli a una strega, piuttosto che a una fatina. Fattene una ragione, perché rispetto al tuo omologo natalizio – l’anziano omone con le renne, chiamato Babbo Natale – , tu, a uno sguardo meno superficiale, manifesti una “grande bellezza”. Non ci credi? È la sacrosanta verità invece.

Certo, gli umani devono poter riconoscere la bellezza là dove splende, non rimanendo irretiti dalle apparenze effimere dello sfondo lussureggiante delle pubblicità che rendono “ciechi” per poter meglio consumare. In occasione del centenario della nascita di Dostoevskij sono tanti a ripetere (un po’ maldestramente) quella frase dell’Idiota: “la bellezza salverà il mondo”.

Leggendo il romanzo si sa che Ippolit (un giovane nichilista morente) domandò al principe (=l’Idiota), senza alcuna risposta: “è vero principe che un giorno voi diceste che la bellezza salverà il mondo?”. Il principe fece silenzio, come Gesù alla domanda di Pilato: “cosa è la verità?”. E Ippolit incalzò: “Si, ma quale bellezza?”.

Se i piccoli fossero educati alla “grande bellezza” (oh, scusa, mi pare giri un bel film di Paolo Sorrentino con questo titolo), magari potrebbero scoprire la tua. Con il nome che porti riesco a pensarti quasi fossi una persona vera: pare derivi dal greco Epifania.

Da Vescovo gioisco perché mi rimandi all’autentico Natale di Gesù. Non si capisce bene chi ti abbia immaginata per primo. Tante storielle raccontano del tuo casuale ritrovarti sui passi di quei Magi in cerca del Bambino di Betlemme. Alcuni raccontano che portasti proprio a Gesù la prima calza coi doni. Questa immaginazione ti rende in qualche modo “viva”: l’accetto, perché non ha la presunzione di confezionare un Natale senza Gesù bambino.

Ti confido l’amarezza di vedere come tutto si sia ridotto a “clima natalizio” o a “magia” di un Natale consumistico e falso- l’ha detto l’altro ieri papa Francesco. Natale dice che “qualcuno è nato per noi”. È la festa di Gesù e noi facciamo festa senza il festeggiato (don Tonino Bello). E qual sarebbe la bellezza del Natale, se si sono perduti totalmente i valori umani della solidarietà, della fraternità e della giustizia e ognuno pensa solo a sé stesso e ai regali che deve ricevere? Tu un po’ di giustizia la pratichi però: ecco la tua bellezza.

La tua figura non mente: ti so vecchietta, bruttina, su di una scopa volante e con un senso profondo di giustizia. Tu porti doni solo ai bambini che lo meritano. E per quelli che non lo meritano, non solo non porti doni, ma lasci il carbone come ammonimento per ravvedersi. Sei una “bella” vecchietta, perché rappresenti l’anno appena trascorso: è quindi come se l’esito del tuo viaggio notturno, nei primi giorni del nuovo anno, riveli il bilancio di come ci si è comportati.

Sai, mi affascina pensarti in volo di notte, tra i comignoli fumiganti dei caldi focolari. Tu con la tua scopetta di paglia, in compagnia delle silenziose stelle che, da buone amiche, ti confidano le complesse strade dei desideri umani. In fondo siamo “polvere di stelle”, noi esseri desideranti. Già il Leopardi qualche tempo fa cantava “… e quando miro in cielo arder le stelle; dico fra me pensando: a che tante facelle?” È anche questo che fanno le stelle: parlano con te, perché tu possa giudicare saggiamente e con giustizia i comportamenti, i sogni e le aspirazioni dei cuccioli dell’uomo. Potrai premiarli se sono buoni o eventualmente ammonirli, se reputi che siano stati dannosi per il loro progetto di vita. Tu “dai a ciascuno il suo”, per la giustizia. E ora ti chiedo, come e a partire da cosa tu giudichi “quale sia il suo di ciascuno”? A partire dalla legge morale che è dentro di te e in ciascuno di noi (I. Kant), senza però dimenticare il “cielo stellato sopra di noi” che tu giri in lungo e in largo con la tua scopa di paglia. Magari hai incontrato “Colui che scende dalle stelle” e si dirige alla grotta di Betlemme, dove hai intravisto direttamente quanta è bella la sua umanità. Anzi hai considerato che solo in quella umanità si trova davvero la grande bellezza. In quella umanità c’è tutto il sogno bello di Dio per ogni essere umano: un potenziale immenso di bellezza d’amore.

Ecco allora altri due motivi perché mi stai a genio: perché voli e perché lo fai ecologicamente, senza inquinare. Mi piace perché voli: d’altronde ogni uomo che coltiva bontà e bellezza di vita dovrebbe concepirsi sempre in volo, immerso nelle altezze del pensiero contemplativo, disponendo così di quella vista d’aquila che permette di mirare lontano e in profondità. E la tua umile scopetta di paglia, anche quella mi piace: mi ricorda che la povertà, l’essenzialità, permette all’uomo di librarsi in alto con libertà, senza far rumore e senza recare danni a nessuna cosa creata. Insomma sei ecosostenibile e carbonfree.

E sì cara Befana, anche se sei frutto di immaginazione, mi sei simpatica per la giustizia, la povertà – “vieni di notte, con le scarpe tutte rotte”, dice una nenia dedicata -, la libertà e l’altruismo che rappresenti.

Allora anche quest’anno immagino che tornerai a visitarci la notte tra il 5 ed il 6 Gennaio, nel giorno in cui la Chiesa celebra l’Epifania di Nostro Signore, cioè la manifestazione a tutti i popoli di Gesù salvatore. Tornerai a riempire secondo il tuo giudizio le calze che tutti i bambini ti faranno trovare appese o sul caminetto, o ai piedi del loro letto, o sulla porta di casa. Raggiungici cara Befana con i tuoi doni. Magari a te concederemo anche stavolta di offrirci doni più dimessi di quelli che a Natale i nostri piccoli avranno già ricevuto. Sola una cosa ti chiedo: diversamente da quello che l’omone con le renne ci ha educato ad attendere (diseducandoci l’anima alla voglia di “cose”, di regali costosi), magari io gradirei che ti fermassi a distribuire solo “dolcetti e caramelle” perché tutti i nostri bambini siano educati alle gioie semplici e senza pretese, ai sorrisi che non hanno prezzo e che fanno maturare il cuore. Perciò, vai da tutti e non solo da alcuni, come Gesù Bambino che è venuto per tutti, in particolare per i più poveri.

Vieni pure, dunque, cara Befana e rammenta a tutti noi, piccoli e grandi, il viaggio di quei Magi cercatori, anche loro confidenti di una stella: indicò loro il desiderio di tutta la creazione (e di tutti i tempi) di vedere il vero volto di Dio. Unisciti nel tuo viaggio a quei Magi e ai loro doni per il bambino Gesù: l’oro e l’incenso per compiacersi di quel bambino tutto buono e tre volte santo; la mirra per indicare il sacrificio necessario per la salvezza di tutti noi, talvolta così meritevoli di carbone perché imbruttiti dal nostro peccato, ma comunque sempre amati da Dio.

Ciao, cara Befana, magari riuscirò a vederti in volo, se nel cuore della notte mi ritroverò in preghiera a scorgere il cielo – per “riveder le stelle, bisogna togliersi fuori dall’inferno” (cfr. Dante Alighieri) -, chiedendo a Dio che, in Gesù, l’Amore si manifesti ancora per tutti e per ognuno, come l’unica luce per la mente e la vera pace per il cuore.

La scopa torna a volare con Bettino. LA BEFANA, ABOLITA DA ANDREOTTI IL POLITICO CRESCIUTO IN VATICANO, RIABILITATA DAL LEADER SOCIALISTA DOPO I PATTI CON LA CHIESA. Cleto Corposanto su Il Quotidiano del Sud il 6 gennaio 2022.

C’è la Befana e c’è la festa dell’Epifania. Le due cose coincidono nella data, che è quella tradizionale del 6 Gennaio. Ma ci sono alcune differenze. O, meglio, il discorso è un po’ più complesso.

L’origine dell’Epifania è antichissima: pare risalga addirittura al II secolo d.C. e serviva per ricordare il battesimo di Gesù. Era celebrata, sembra, dalla setta degli gnostici seguaci di Basilide, maestro religioso di origine greca e probabilmente fra i primi commentatori dei Vangeli. Questi credevano che l’incarnazione di Cristo fosse avvenuta al suo battesimo e non alla sua nascita.

In seguito, eliminati gli elementi gnostici, la Festa dell’Epifania fu adottata dalla Chiesa Cristiana Orientale. Solo verso il IV secolo l’Epifania  si diffuse in anche in Occidente, e fu quindi adottata anche dalla Chiesa di Roma nel V secolo. Da allora, l’Epifania è la festa cristiana  che celebra la rivelazione di Dio agli uomini nel suo Figlio, il Cristo ai Magi: il termine di origine greca “epiphàneia” significa  appunto “apparizione” o “rivelazione”.

a Befana, invece, pare abbia un’età molto più avanzata:  è vecchia di secoli e la sua origine, folkloristica e pagana, precede di molto la stessa affermazione del cristianesimo. Dipende quasi certamente anche da questo la curiosa mescolanza di elementi che ancora oggi la caratterizzano, pur se del tutto assimilata all’interno delle festività religiose. Non è facile neanche per gli studiosi risalire al momento esatto in cui è nata la tradizione folkloristica della Befana: qualcuno ipotizza di potersi spingere fino al X secolo a.C., ma la tesi è dibattuta e non paiono esserci fonti sufficienti per dirimere definitivamente la questione.

I ricercatori invece concordano nell’identificare il VI secolo a.C. come quello in cui la figura della Befana è  entrata stabilmente nei riti propiziatori pagani. All’epoca si trattava quasi certamente di un rito propiziatorio personificato dell’avvicendamento delle stagioni (e più in generale del ciclo di mutamento della stessa natura): in questa prospettiva, le feste in suo onore sarebbero quindi legate alla speranza che alla stagione fredda, l’inverno, potesse far seguito un raccolto abbondante.

Anche la stessa iconografia che la rappresenta come  una vecchia dalle vesti logore, andrebbe letta nella direzione appunto di un rito di passaggio fra differenti cicli naturali. In seguito, nell’antica Roma i riti pagani preesistenti furono inglobati a quelli dell’epoca, in una sorta di integrazione nel proprio pantheon politeista; spesso la Befana veniva anche identificata con  la dea Diana, e forse è nata in quel momento l’idea che volasse, con la scopa sui campi coltivati, in una sorta di atto benaugurante.

Oltre al 25 dicembre, quindi, data scelta come giorno di Natale pare dalla festa pagana del Sol Invictus, quando il sole vince sul giorno più lungo dell’anno, il solstizio d’inverno, era tradizione festeggiare 12 giorni dopo la dea Diana, dea dell’abbondanza e della cacciagione.  Dodici giorni dopo il solstizio d’inverno si celebrava la morte e la rinascita – l’Epifania, appunto – di Madre Natura.

Festeggiare l’Epifania, insomma, rientra a pieno titolo in quelle che i sociologi chiamano azioni macro-rituali, che hanno la precisa funzione di favorire la coesione interna e la continuità delle forme sociali collettive.

Émile Durkheim e Randall Collins si sono occupati a lungo dello studio dei rituali religiosi, arrivando a definire il rituale come una sorta di vera e propria batteria, in grado di produrre energia sociale. Secondo questa interpretazione, attraverso determinati rituali si verifica il passaggio tra l’essere in forma individuale e l’essere in forma collettiva e, appunto, colui il quale aderisce al rito diventa polo di questa batteria.

Il rito permette insomma la creazione di un “noi”, attraverso la fusione delle identità sociali che vanno a formare un’identità collettiva. Tale fusione risulta più o meno durevole a seconda delle modalità e della frequenza con cui il rituale viene riprodotto e consolidato nel tempo.

I rituali avrebbero quindi un ruolo importante sui singoli – e sui gruppi – in quanto favoriscono l’operazione di uscita dalla routine quotidiana per essere elevati al contatto con qualcosa di sacro che essi stessi contribuiscono a creare.

Il tutto permette ai membri del gruppo di sentirsi parte di una comunità morale con la conseguente trasformazione dei sentimenti individuali in collettivi. Ogni rito ha degli effetti: ricarica la forza e l’energia dei partecipanti mentre questi venerano i simboli del gruppo ed esaltano il legame che li unisce. Non è quindi forse un caso che la festa dell’Epifania – la Befana, nella sua duplice veste – sia diventata così popolare, soprattutto fra i più piccoli: richiama infatti la tradizione religiosa di Santa Lucia, che dispensava doni ai bambini prima della Befana, come faceva San Nicola prima dell’avvento di Babbo Natale. E non è un caso neanche che in Italia fu il fascismo, a partire dal 1928, a rinvigorire la festività della Befana intesa come un momento di attenzione alle classi più povere.

L’idea e l’organizzazione furono di  Augusto Turati, che sollecitò commercianti, industriali e agricoltori a dare risorse per i bambini più poveri. La gestione dell’evento fu curata dalle organizzazioni femminili e giovanili fasciste ed ebbe un successo straordinario, tanto da entrare nel modo di dire: il detto “befana fascista” rimase per molti anni anche dopo la guerra e le aziende continuarono per molti anni, sino ai giorni d’oggi, a prevedere pacchi-dono per i figli dei rispettivi dipendenti. Sino ad oggi ma con una parziale interruzione.

Nel 1977 una apposita legge, emanata il 5 Marzo, abolì una serie di festività previste nel calendario fino ad allora: erano anni di austerity per la crisi petrolifera, anni di domeniche a piedi per gli italiani quando il governo del cattolicissimo Giulio Andreotti abolì con un colpo di spugna Epifania  (forse anche per un legame proprio con il fascismo), San Giuseppe, Ascensione, Corpus Domini, Ss. Pietro e Paolo (ma non a Roma), mentre slittarono alla prima domenica di Giugno e alla prima di Novembre la celebrazione della Festa della Repubblica e quella dell’Unità. Austerity anche nel calendario, insomma. Ci furono cenni di rimostranze per tutte le cancellazioni, naturalmente; ma le critiche maggiori vennero proprio per l’abolizione della festa dell’Epifania, anche da parte della Santa Sede. L’allora Pontefice Paolo VI arrivò a dichiarare che “l’Epifania è più importante liturgicamente della Pasqua”, ed è rimasta famosa la battuta che il Premier avrebbe fatto al commesso Navarra: «Forse – chiosò Andreotti – aveva ragione Mussolini quando disse che governare gli italiani non è difficile: è inutile». 

Mugugni e proteste ufficiali andarono avanti per qualche anno; toccò quindi a Bettino Craxi, che nel frattempo era succeduto ad Andreotti nella carica di Presidente del Consiglio dei Ministri, fare un passo indietro.

Nel 1985, il  governo Craxi  ripristinò la Befana, in  attuazione dell’intesa con la Santa Sede per i nuovi Patti Lateranensi. Un’assenza di sette anni come festività ufficiale sui calendari, insomma. Poi, appunto, il ritorno al colore rosso della festività, per il piacere dei più piccoli; e forse anche per un rituale, uno dei tanti, che serve a ciascuno di noi a figurarci e viverci come una comunità. 

L’attesa vana dei semprescalzi. Angelo Gaccione su Il Quotidiano del Sud il 6 gennaio 2022. Per Allegra… A casa sua non aspettavano alcuna Befana; in verità non l’aspettava quasi nessuno nel quartiere; sapevano per certo che da lì non sarebbe passata. Come avrebbe fatto, del resto, ad orientarsi in quell’intrico di vicoli tanto stretti, fra quei budelli così poco illuminati, in mezzo a quelle case sbilenche addossate le une alle altre, a restare in equilibrio su quell’acciottolato sconnesso? E potevano chiamarsi comignoli quei miseri mozziconi di malta sbrecciata, quei poveri tubi di lamiera arrugginiti che si alzavano sui tetti? Non era mai passata dai loro padri, non era mai passata dai loro nonni, e non sarebbe passata da loro. Non ricordava di aver mai visto un regalo tra le mani degli altri bambini del rione: erano poveri come lui e la Befana si teneva lontana da quartieri come il loro. Solo i ricchi sono buoni, e solo i ricchi ricevono regali, questo lo aveva imparato presto. Era vecchia dicevano gli adulti, una vecchia stanca e affaticata, e non possedeva gambe per andare dappertutto, giungere in tutte le case. Di vecchie stanche e oppresse dalla fatica ce n’erano in ogni casa, con le mani raggrinzite, le dita stortate, le gonne fino ai piedi, i fazzoletti neri fra i capelli. Le insultavano chiamandole brutte befane, ed era certo che la Befana fosse brutta e vecchia e non avrebbe mai potuto essere generosa.

“Questa notte passerà” annunciò sua madre cogliendo tutti di sorpresa una gelida sera di gennaio in cui la neve aveva spento ogni voce, attutito ogni rumore, seppellito sotto una spessa soffice coltre bianca, vicoli, slarghi, tetti, ballatoi, davanzali, tanto da rendere il paesaggio un’unica massa informe luccicante e immota. “La calza è già sospesa al ferro del camino” aggiunse, ed era vero. Una robusta calza di lana grezza che mani sapienti avevano lavorato ai ferri, pendeva vuota, sotto la misera cappa del focolare che il fumo aveva reso di un nero infernale. Aveva la sinuosa forma del piede e allungava verso l’alto il cilindro del gambale. Le anziane sferruzzavano in tutte le case, spesso scucendo e recuperando lana da vecchie maglie per farne calze, berretti, mutandoni, che i nipoti si passavano l’un l’altro.

Com’era possibile che proprio quell’anno la Befana sarebbe passata dal loro quartiere per giungere alla loro casa? E come avrebbe potuto una vecchia priva di forze muoversi con un pesante sacco sulle spalle in tutta quella neve in cui si sprofondava quasi fino al bacino? L’avrebbe riconosciuta sommersa da tanta neve? E perché sua madre era così sicura di quella visita? Cos’era accaduto di particolarmente straordinario perché si compisse il miracolo? Lui non ricordava nulla, e se c’era stata qualche buona azione non se ne aveva avuta notizia. Provava a pensarci ma non affiorava che qualche frammento sbiadito, qualche brandello evanescente.

“Se ha proprio deciso di passare, io la sorprenderò” disse fra sé, e si ripromise di restare sveglio tutta la notte, fino a quando non avesse sentito il chiavistello della porta sollevarsi. Perché dal loro comignolo la Befana non avrebbe giammai potuto calarsi, di questo era fin troppo certo.

Guadagnato il letto infilò la testa sotto un risvolto di coperta e finse di dormire. Restò immobile per un lasso di tempo che a lui parve interminabile e solo quando si accorse che la casa era piombata nell’oscurità e nel sonno, si tirò su e sbarrò gli occhi. Era buio pesto e non si distingueva neppure un’ombra. Non restava che mettersi in ascolto, disporsi ad una paziente e vigile attesa. Man mano che la notte avanzava il silenzio diveniva sempre più denso e più solido. Infine si era fatto così totale, che se un topo avesse osato uscire dal nascondiglio, l’eco del suo zampettare gli sarebbe arrivato nitido e preciso fino al giaciglio. Arrivò invece l’eco dei passi di sua madre, un eco che si era impresso dentro di lui da un tempo lontano e che vi risuonava. Un eco che avrebbe saputo riconoscere fra mille, in qualunque luogo e in qualunque tempo, ad occhi chiusi, al buio come ora, e come gli era poi accaduto nell’età adulta quando ogni innocenza muore.

Nella calza aveva trovato due mandarini, dei fichi cotti al forno intrecciati a crocetta, una noce, una manciata di lupini, due mele piccole e sode dalle guance rosse e gialle, dei mostaccioli a forma di pesce, di alberelli, di comete. Si vergognava di tanta abbondanza e non fece parola con nessuno, non rivelò nulla neppure ai compagni del quartiere. Non gli avrebbero creduto se avesse detto loro che era arrivata ed era stata generosa, lo avrebbero preso per un bugiardo. Preferì tenersi tutto per sé: come convincerli che la sua era stata una Befana giovane e bella?

“Passerà la Befana quest’anno, nonno?”

“La tua sì, la mia non più”. 

Desiderio di meraviglie. Sogni, cioccolato e la lettera a mio figlio nascosti nel fondo della calza. Domenico Dara su Il Quotidiano del Sud il 5 gennaio 2022. Figlio mio non immaginavi di trovare questa lettera stamattina in fondo alla calza nascosta dalle barrette di cioccolato e da una banconota di 20 euro.

Ma ogni tanto qualche sorpresa fa bene che ci dimentichiamo spesso del nostro bisogno di stupore.

Queste parole non esistevano ancora ieri sera quando ci siamo dati la buonanotte.

Sono nate stanotte all’improvviso che non riuscivo a dormire e sono venuto qui sul divano a fissare tra le luci intermittenti dell’albero di Natale le calze appese al mobile.

PUBBLICITÀ

Quand’ero bambino non sapendo ancora nulla di Numa Pompilio e della ninfa Egeria mi chiedevo perché non un cestino o un secchio ma proprio una calza con quella forma insolita stretta insidiosa che la mano deve far fatica ad arrivare fino in fondo che ero sempre convinto che qualche parte del dono rimanesse impigliato tra i fili della cucitura.

Una forma strana che definisce i tuoi desideri puoi volere tutto ciò che vuoi purché possa stare lì dentro e così da bambino nei giorni prima della festa cercavo nei cassetti la calza più grande che anche un paio di numeri in più sarebbero bastati a dilatare i desideri e non importava se tutte le calze fossero rammendate.

Poi non ricordo l’anno preciso quella festa cominciò a mettermi tristezza.

La Befana è un epilogo uno strascico viene sempre dopo è la porta che si chiude e io non volevo chiuderla e allora c’erano volte che avrei voluto dire a mia madre ti prego stanotte non appendiamo la calza ti prego stanotte non facciamolo non facciamo finire tutto questo ma non riuscivo a dirlo e così quando la preparavo la sera prima avrei voluto mettermi a piangere e lo facevo dopo ma attendevo aspettavo di andare nel mio letto e spegnere la luce ed essere solo.

Stanotte all’improvviso ho sentito tutto il peso di questa tristezza crollarmi addosso e mi sento come quella calza appesa e vuota e se scrivo a te proprio a te solo a te stanotte è perché tu un poco quella calza l’hai riempita ci hai infilato dentro una moneta l’hai impreziosita ma la calza continua a rimanere appesa desolante.

Scrivo a te perché mi somigli ed è come se scrivessi a me stesso mi confessassi allo specchio mi somigli negli occhi abbassati negli scatti rabbiosi nell’ira incontrollabile e inarginabile che irrompe a segno del suo continuo e clandestino rodimento mi somigli nella ritrosia del passo strascicato nel chiedo scusa rintoccato a battiti regolari nella parola zoppicante e sussurrata agli altri inudibile e mi somigli anche in ciò che non mostri al mondo perché è legge umana di uniformare al nostro sentire le persone che amiamo e io ti amo e ti uniformo a me somigliante nei silenzi nei pensieri negli affanni e vorrei scoprire cosa nascondi sapere la tua vera vita dove la vivi con chi e cosa aspetti anche tu perché anche tu aspetti tutti aspettiamo l’obolo lasciato nella calza vorrei scoprirlo perché tu non me lo dirai mai come mai io l’ho detto perché non ci fidiamo della parola non ci fidiamo del mondo.

Scrivo a te perché mi somigli e io non avrei voluto che fosse così la mia irrequietezza specchiarsi in te che me la ricordi ogni giorno e perdonami se non sono stato come avrei voluto l’ultimo anello e me la ricordi amplificandola come quegli specchi che ingigantiscono i nei i pori le rughe che alla fine dimentichi finanche cosa stai realmente guardando.

Siamo gli stessi anche se piantati in terreni diversi che pensavo il mio malo seme dipendesse dalla mancanza di concime di acqua di sole ma poi la vita non è questione di presenze o assenze è solo questione di porzioni giuste dosi corrette quantità misurate.

Non ho sbagliato vita ho semplicemente errato nel suo dosaggio confondendo ettolitri e decigrammi.

Mi somigli in tutto quello che fai per questo scrivo a te in questa notte e non so se sto veramente scrivendo o solo immaginando nella luce che vive e muore nel buio che vive e muore di scrivere queste parole non so nemmeno se esistono queste parole o sono solo l’eco della triste visione di calze appese di feste passate senza che accadesse il miracolo atteso che questa a pensarci è la vera tristezza di questa notte l’ultima possibilità persa per sempre l’attesa disattesa la speranza spezzata che quando sotto l’albero non troviamo ciò che volevamo non disperiamo fino in fondo perché c’è ancora una possibilità non disperare se quello che aspettavi non è arrivato tra soldatini e pastelli a cera perché c’è ancora la calza, la calza piccola ma vuota, la calza che va riempita, la calza che ha macinato chilometri e chilometri e salite e pendii solo per essere appesa e riempita e allora aspettiamo la Befana l’ultima speranza che mi porti quello che voglio ma che non ho scritto nella letterina di Natale nemmeno come postilla perché certe cose non si chiedono per iscritto e nemmeno per voce.

Certe cose si aspettano e basta.

Che poi come fai la mattina quando infili la mano nella tasca e togli fuori la prima caramella e poi la seconda e poi il carbone che si mangia e poi la moneta e poi poi poi continui a frugare fino in fondo e poi continui ancora come se non fosse una calza quella che stai esplorando ma l’universo intero infinito o la luna la luna dove ritrovare quello che abbiamo perso la luna che tu continui a scavare scavare e infilare la mano e vorresti che non finisse mai quella calza mai come fai come alla fine a toglierla fuori vuota vuota vuota.

Solo stanotte avrei potuto scriverti questa lettera che forse nemmeno esiste ma solo stanotte non il giorno del tuo compleanno o la sera di Natale o qualunque altra festa solo stanotte avrei potuto perché io non ho mai dimenticato quella mano vuota ma tu si tu puoi figlio dimenticarla tu che mi somigli come fossi io stesso in te dentro di te tu che mi somigli tu puoi dimenticare la mano vuota e puoi farlo adesso immediatamente appena queste parole finiranno e avrai svuotato la calza ti basterà indossarla ecco si fai questo per me alla fine di questa lettera che forse nemmeno esiste prendi la calza e infilaci dentro il piede e cammina per il mondo come se io non ci fossi e non dirmi niente quando i nostri occhi s’incroceranno non dirmi niente come se queste parole non fossero mai esistite 

Più adulti con le mani nere. Trovavo il carbone vero dentro la calza anche se ero stata buona. Elvira Fratto su Il Quotidiano del Sud il 5 gennaio 2022. In pochi ci pensano, in tanti lo ignorano, ma la Befana è il primo richiamo alla responsabilità delle nostre vite. 

Io l’ho capito quasi subito. Del resto, l’Epifania è “epì-fàinomai”, che dal greco significa “ciò che si manifesta”: l’Epifania è manifestazione. E ogni sei gennaio, grandi o piccoli che siamo, veniamo richiamati alle nostre responsabilità proprio da quest’ultima festa, quella che forse sotto sotto è anche la più odiata e che si porta appresso il fardello di essere l’incompresa e bistrattata fautrice della fine dei giochi, delle vacanze e della leggerezza. 

“Tutte le feste si porta via”, e lo diciamo col piombo tra le labbra, colpevolizzando questo sesto giorno del nuovo anno che già solo per il fatto che arriva per toglierci qualcosa, parte male. 

Però manifesta il nostro dovere, la nostra responsabilità. 

Quando da bambina toccava a me fare i conti con la responsabilità e il dovere, lo facevo con baldanzoso orgoglio. Non ero certo una bambina problematica: ero, piuttosto, il corrispettivo umano di un comodino.

ducata, composta, gentile, quasi fatata. Una specie di San Francesco d’Assisi in scala che tutti adoravano incontrare. Sotto sotto, sapevo di non meritare il carbone che trovavo puntualmente, ad ogni Epifania, dentro la calza appesa al camino eppure, sepolto sotto i cioccolatini e i torroni, era sempre lì che mi aspettava, a gonfiare il fondo della calza e sporcarmi le mani. 

Sì, famiglia tradizionalista, la nostra: talmente tradizionalista che all’epoca non esisteva il carbone in versione dolce, ma neanche un suo qualsiasi palliativo: la “mia” Befana era così intellettualmente onesta che il mio carbone era vero, verissimo, proprio preso dal camino e buttato nella calza. 

La mia Befana era anche la Befana dei regali stimolanti, intelligenti, al contrario di Babbo Natale che invece era il bonaccione barbuto che rimetteva tutti i peccati e dimenticava di buon grado le marachelle infantili, lasciando al loro posto dei bei pacchi regalo perfettamente corrispondenti a quanto richiesto nella rituale letterina: l’Amazon del 1998, potremmo dire. Ogni nostro desiderio, mio e di mio fratello, era un ordine. 

La Befana no. La Befana non guardava in faccia nessuno: mia madre e mio padre, a volte, per rendere il tutto più veritiero, ci raccontavano di plausibilissime discussioni tra Babbo Natale e la Befana, dibattiti in cui la bilancia pendeva tra un doveroso pizzico di rigidità e la rituale bontà del Re indiscusso del 25 dicembre. 

“Perché devi essere così arcigna?” si narra che Babbo Natale chiedesse alla severa collega, “non possiamo soltanto lasciar loro i regali e basta? A che serve il carbone?”

“Non capisci!” ribatteva duramente la Befana, “ci vogliono i regali, ma ci vuole anche il carbone!”

La trovavo una cosa di un’idiozia infinita. Babbo Natale aveva ragione su tutta la linea: i regali e il carbone non c’entravano niente! Non erano correlati, giocavano in due campionati diversi. E a me sarebbe tanto servito un Sindacato dei Bambini Delusi che mi tutelasse davanti al Giudice dei Giocattoli. 

Perciò io, creaturina così dedita allo studio, alla lettura e decisamente inoffensiva rispetto al mio vulcanico fratello, molto più vivace e amante delle sfide già in tenera età, assimilavo la prima, grande ingiustizia della mia vita: il carbone nella calza, anche se non lo meritavo. 

Ad ogni modo, i regali della Befana me li godevo tutti: libri, giochi di società, cose utili per la scuola. “È cattiva, ma ha buon gusto”, dicevo tra me e me, armata di quella stessa presunzione che nascondeva il mio disappunto, per mostrare alla Befana di essere una sua degna avversaria. E però continuavo a non spiegarmi quel carbone. 

Con il passare degli anni, la Befana è passata sempre meno da casa mia. Io crescevo, i libri li compravo da sola, i giochi di società li avevo ormai quasi tutti. Mio fratello aveva nettamente ridotto il suo potenziale distruttivo, era diventato un ragazzo gentile, posato e dall’animo nobile: non c’era più niente da aggiustare, o almeno così pareva. 

Io, invece, all’alba di ogni nuova Epifania, aspettavo sempre più la resa dei conti, aspettavo che si manifestasse di nuovo la mia responsabilità. Paradossalmente, più gli anni passavano e più andava a finire che il carbone me lo sarei meritato. 

Ci ho pensato tanto e alla fine ho capito cosa volesse dire la Befana a Babbo Natale, quando lo rimproverava dicendogli: “ci vogliono i regali, ma ci vuole anche il carbone!”

Ho capito che il carbone ti tiene con i piedi per terra, che i regali ingigantiscono una bontà che lui ridimensiona. Quando tocchi un regalo non ti segna la pelle, e questo contiene un sottotesto importante: il regalo, come viene, se ne va. Il carbone, invece, ti macchia, si fa ricordare. “Sì, sei stato buono”, dicono i regali, “ma c’è sempre qualcosa che puoi migliorare”, aggiunge il carbone. 

Mia madre questo lo sapeva bene. Il carbone che la mia mano piccola e contrariata trovava puntualmente sul fondo di quell’ingrata calza non era una punizione: era uno sprone. Un incentivo, un rilancio, piume nuove per ali più solide e piene, ché da bambini si ha più bisogno di incertezze che di certezze. 

Secondo i greci l’Epifania era il modo con cui la volontà divina si manifestava con segni potenti, significativi. 

A me l’Epifania invece ha sempre dato l’idea che tutto tornasse su un piano incredibilmente umano dopo le feste che imbellettano tutto: modi di fare, cortesie, sorrisi forzati. La Befana ha il grande pregio di portarmi davanti ai miei limiti ogni anno, ad inizio anno, come a dirmi: “guardali bene e abbi cura di loro, durante il tuo viaggio”.

All’Epifania si azzera tutto. Noi non siamo i regali che riceviamo, ma il carbone che ci rimane sulle mani e nel fondo della calza, lì dove nessuno guarda. E forse, alla fine, pure noi stessi abbiamo un fondo, dentro, in cui non guardiamo mai e che facciamo finta che non esista. 

Da bambina il mio lato migliore era tutto ciò che avevo: troppo acerba per commettere errori, ma già abbastanza grande da sapere cosa fossero. 

Col tempo quegli errori li ho fatti e forse la Befana non è più passata perché, finalmente, si è accorta che ci sono arrivata, che ho finalmente capito che col carbone si può fare tutto, perfino disegnare, e che i disegni di quel tipo sono di un’intensità che qualunque matita può soltanto sognare. Il carbone sa cosa significa essere disprezzati, oh, eccome se lo sa; eppure ciò che scaturisce da esso ha un valore che, seppur colto a scoppio ritardato, ha effetto permanente. 

Adesso non guardo più la Befana con lo sdegno cavalleresco che fermava il tremolìo del mio mento di fronte a quel l’immeritato carbone. Adesso la Befana l’aspetto alla finestra con una tazza di the caldo e qualche biscotto e ci facciamo grandi risate sul tempo, la stranezza folle della gente, le grandi domande della vita che alla fine invece sono piccole, talmente piccole che le perdi nel fondo delle tasche e poi le devi rifare da capo. 

E quando il suo tempo è finito e se ne va, mentre trascina la scopa di saggina per terra, così leggera che pare un sussurro, la richiamo indietro, tendo la mano e le dico: “dammi il carbone che mi spetta”. 

I doni appesi al soffitto di nonna. Una caccia al tesoro per tutta la grande casa, poi alzammo gli occhi…Edvige Vitaliano su Il Quotidiano del Sud il 5 gennaio 2022.

La neve fuori ad imbiancare i giorni delle feste e il fuoco dentro, nella casa di mia nonna. Sempre acceso, anche d’estate.

La grande fornace rivestita di piccole piastrelle bianche e lucenti a casa di mia nonna serviva a scaldarsi ma anche a cucinare lentamente pietanze antiche ; serviva ad accompagnare le ore pigre delle letture e dei giochi ma anche ad accogliere chi arrivava e far ritrovare chi ci abitava.

Scaldarsi, cucinare e raccontare. Era quello il cuore della casa di mia nonna; quello il luogo in cui lei incantava me e le mie sorelle – e poi via via i fratelli e i cugini che arrivarono negli anni – con le sue storie fantastiche ma anche con la magia dell’uovo cotto sotto la cenere mentre in una sorta di “soffitta-piccionaia” i colombi volavano liberamente e capitava che te li ritrovassi zompettare anche in cucina. Colombi ma anche conigli.

Mia nonna era una incantatrice: anche della grande fatica in campagna condivisa con mio nonno, lei sapeva fare un dono trasformandola in racconti mirabili che seguivano il mutare delle stagioni. L’incantesimo di un dono fatto di parole, di quelli che poi – negli anni a venire – torna puntualmente a manifestarsi in certi momenti della vita. Sapeva fare tutto, ma dico proprio tutto mia nonna: persino i cestini intrecciati, i mestoli di legno intagliato, ogni tipo di provvista comprese le amarene sotto spirito che io ci andavo matta. Sapeva riparare le scarpe rotte, lavorare a maglia, cucinare sapientemente, fare il vino e l’olio, tessere al telaio che era una meraviglia o farci monili con qualunque cosa le capitasse tra le mani.

Bella – così io la ricordo – con gli occhi di un grigio azzurro sempre acceso e di una rigidità tale che guai a dirle che il pane del giorno prima era troppo duro o che ti eri attardata a giocare o a passeggiare ed eri arrivata col fiatone corto a tavola apparecchiata: semplicemente saltavi il pranzo e mangiavi il pane tutto, anche quello del giorno prima e del giorno prima ancora…

«Il pane non si butta», diceva mentre affondava nel latte quello più duro trasformandolo in una zuppa da mangiare a colazione.

Una combattente che ti pigliava il cuore anche con certi scherzi architettati ad arte. Come quando mi faceva credere che il rumore degli zoccoli dei muli che stavano nelle stalle al piano terra erano le catene di un nobile fantasma che non prendeva pace, o quando s’inventava storie di spettri e ombre. Io, del resto – sempre dietro alle fantasticherie alimentate dalle letture di libri e libricini – ero perfetta per cadere nel tranello di quei racconti dello spavento che una volta appurata la verità finivano tutti con una risata.

Mia nonna era questo e molto di più.

Da lei bambina insieme alle mie sorelle trascorrevo spesso le feste di Natale: una gioia che ora – come una madeleine di Proust – ha il sapore della scirubetta fatta con la neve soffice e pulita che lei raccoglieva sul balcone e aromatizzava con amarene, mandarini o arance.

E da lei l’anno in cui miei zii – praticamente due ragazzi – tornarono da Torino dove lavoravano in Fiat e Pirelli, trascorsi anche un’Epifania indimenticabile. L’attesa carica di aspettative non andò delusa.

Io e le mie sorelle sapevamo in cuor nostro che quella sarebbe stata una Befana speciale: due zii che tornavano da Torino con i primi stipendi in tasca non potevano che aver parlato con la Befana per farci recapitare doni favolosi. A rendere tutto ancor più speciale ci pensò mia nonna. Buttate giù dal letto prestissimo – ma con lei era praticamente impossibile restare a poltrire – mangiato l’uovo cotto sotto cenere, indossati i vestiti della festa, raccolti in code, trecce e treccine i capelli quel 6 gennaio cominciammo a fare il giro della casa per trovare i regali della Befana.

Ora, siccome la casa di mia nonna era piuttosto grande, con le camere nelle camere e un “passetto” – così si chiamava il corridoio – che le collegava era facile perdersi e sperdersi dietro i suoi indovinelli: «guardate sotto i letti», «forse sono in cucina, nella credenza», «no, saranno nel salottino, sotto i divani», «sopra in soffitta, tra le scartoffie», «sotto, dove ci sono le botti di vino, chissà che non li abbia messi là…». Insomma fu tutto un andare e venire, sbirciare e ri-sbirciare, scendere e salire per le scale… ma dei giochi nessuna traccia. Sconsolate e ormai sul punto di mollare la caccia al tesoro, non ricordo se a venirci in soccorso fu mia madre o mia zia con un piccolo segno del capo verso l’alto.

Come non pensarci prima?! Poteva mai una nonna come la mia farci trovare i regali nei posti consueti o dentro la calza? Signornò! Alzammo gli occhi verso il soffitto che era piuttosto alto e meraviglia delle meraviglie là dove nessuno di noi avrebbe mai cercato, appese alle travi c’erano delle piccole, fiammanti biciclette che la Befana aveva comprato per noi naturalmente a Torino… Fu un attimo di gioia e luce la Befana torinese si materializzava davanti ai nostri occhi di bambine. La domanda all’unisono fu una e una sola: «Ma allora la Befana esiste veramente?».

La favola diventava realtà e portava con sé una lezione per la vita.

Alzare gli occhi, non rinunciare a sognare ma restare con i piedi per terra: ecco la lezione di quella caccia al tesoro inventata da mia nonna. Io non l’ho dimenticata neanche ora che mi son portata a casa le sue cose: i pettini del telaio, i fusi, e quei tesori di lino, cotone e seta che lei ha tessuto per me negli anni e che uso quotidianamente. La Befana torinese è ancora viva in certi “ti ricordi?” che si fanno con la famiglia al completo riunita a Natale.

“Ti ricordi quando nonna appese le biciclette al soffitto?” …

·        La Candelora.

Candelora, tutti i riti dall'Alto Adige alla Puglia. Angela Leucci il 2 Febbraio 2022 su Il Giornale.

Nel giorno della Candelora avviene la benedizione delle candele, per ricordare la presentazione di Gesù al Tempio: alla scoperta delle tradizioni nelle varie Regioni italiane.

Per la Chiesa Cattolica, il 2 febbraio è il giorno della Candelora. Si tratta di una ricorrenza molto speciale per diversi popoli: la festività cattolica è legata probabilmente a quella pagana dei Lupercalia - entrambe si svolgevano anticamente a metà febbraio - e forse ha anche a che fare con l’avvicendarsi delle stagioni. Tanto che in passato, in molte zone d’Italia, era nel giorno della Candelora che si smontava il presepe in attesa dell’Avvento successivo.

Il 2 febbraio è infatti quasi equidistante dal solstizio di inverno e l’equinozio di primavera e il meteo di quel giorno, ogni anno, può darci un’idea di quanto ancora lunga sarà la brutta stagione. Lo sa bene, ad esempio, Punxsutawney Phil. È una marmotta della Pennsylvania che ogni anno, in occasione del Groundhog Day, viene interrogata proprio sul meteo a lungo termine.

A testimoniare l’universalità della questione, c’è un proverbio diffuso un po’ in tutti i dialetti italiani. La traduzione suona come: “Se per la festa della Madonna della Candelora c'è sole e c'è la Bora, siamo fuori dall’inverno. Ma se piove o c'è vento, siamo ancora in inverno”.

Che cos’è la Candelora

La Candelora è quindi una festa cattolica che però viene osservata anche dalla Chiesa Cristiana Ortodossa e da alcuni culti protestanti. Corrisponde a un determinato episodio del Vangelo: la presentazione di Gesù al Tempio. Secondo la religione ebraica, infatti, i primogeniti andavano presentati al Tempio 40 giorni dopo la nascita, ossia quando la madre non era più considerata “impura”, dopo il blocco delle perdite di sangue tipiche del puerperio.

Il nome della festa è legata al fatto che in questo giorno vengono benedette le candele - ciò avviene praticamente in tutte le regioni italiane. Per questa ragione, oltre quella legata al calendario, si pensa a un legame tra Lupercalia e Candelora, dato che durante la ricorrenza pagana si era soliti riunirsi per delle fiaccolate.

La Candelora in Alto Adige

Tradizionalmente, insieme alle candele, veniva benedetto un cero particolare: il Wachsstöckl. Era una sorta di portafortuna, da tenere sempre in tasca. C’è anche un dolce tipico legato alla festa: si tratta del Türnägel, una speciale ciambella ripiena di marmellata che veniva preparata per premiare i braccianti che confermavano un altro anno di lavoro dallo stesso padrone.

La Candelora in Puglia

In alcuni luoghi delle Puglie esistono pregevoli pitture rupestri, a Massafra e San Vito dei Normanni, sul tema della presentazione di Gesù al Tempio.

In antichità, e a volte ancora oggi, si svolge in questa regione una processione di vocazione mariana con le candele benedette. Accade ad esempio in provincia di Lecce, a Specchia e a Martano: in quest’ultima cittadina si tiene anche una tradizionale fiera del bestiame.

A Putignano c’è invece un’usanza affine al Groundhog Day. Il 2 febbraio una persona travestita da orso passeggia per le vie della città: viene circondato da ronde di musica popolare che si esibiscono per tutta la giornata. L’orso è un simbolo: è la natura che si risveglia dal proprio letargo per dare il benvenuto alla primavera.

La Candelora in Lombardia

A Milano, la Fèsta de la Serioeùla, come viene chiamata la Candelora, prevede una processione con l’icona della Madonna dell’Idea, ritraente appunto la presentazione di Gesù al Tempio. Il 2 febbraio era infatti, in epoca pre-conciliare, anche un festa mariana e alcuni tratti restano in questo rito. Nell’Età Moderna si era soliti partire dalla chiesa di Santa Maria Beltrame e giungere a Santa Maria Maggiore, ma oggi la processione si svolge tutta all’interno del Duomo.

Angela Leucci. Giornalista, ex bibliotecaria, filologa romanza, esperta di brachigrafia medievale e di cinema.

·        I Riti della Settimana Santa.

Tutti i film da vedere nel weekend di Pasqua. Erika Pomella il 16 Aprile 2022 su Il Giornale.

In occasione della Pasqua i palinsesti televisivi propongono numerosi film che hanno come tema centrale la figura di Gesù e la sua resurrezione.

Il weekend di Pasqua - soprattutto per quel che concerne le giornate di sabato e domenica - ha portato a grandi cambiamenti nei palinsesti televisivi che, proprio come avviene a Natale, hanno scelto di proporre agli spettatori delle pellicole a tema. Sono molti, infatti, i film inerenti la morte e resurrezione di Gesù Cristo che andranno in onda questo fine settimana.

Aspettando Pasqua, i film di sabato

La lunga maratona dei film di Pasqua inizia sabato alle 21.00 su Rai 2 con Risorto, film del 2016 diretto da Kevin Reynolds e interpretato da Joseph Fiennes e Tom Felton. Il film prende il via dopo la crocefissione di Gesù ed è incentrato su due militari romani che ricevono l'ordine da Ponzio Pilato (Peter Firth) di controllare che i seguaci del Messia non rubino il corpo del martire. Tuttavia il corpo di Gesù scompare lo stesso e i due militari sono costretti a partire per una missione di recupero, prima che si diffonda la voce che il Messia è risorto, portando a una rivolta tra le strade di Gerusalemme.

Su TV2000, alle 21.30 andrà invece in onda La Bibbia: Barabba, film per la tv in due parti di Roger Young che vede Billy Zane nella parte del ribelle del titolo. Barabba è un criminale da quattro soldi che si mette in fuga dopo essere stato sorpreso a rubare durante un banchetto matrimoniale a Cana (le famose Nozze di Cana della Bibbia). Per nascondersi, ma anche per festeggiare il maltolto, l'uomo si reca in un bordello dove fa la conoscenza della dolce Ester (Cristiana Capotondi), che gli parla di Gesù (Marco Foschi).

La sera di sabato continua con la messa in onda, alle 21.30 su Rete 4 del film Il re dei re, famoso film del 1961 firmato da Nicholas Ray. La pellicola segue tutte le vicende della vita di Gesù, partendo addirittura dal 63 a.C. con la conquista di Gerusalemme per mano dei romani, per contestualizzare la storia. Si procede poi dalla nascita di Gesù nella stalla con l'adorazione dei Magi, fino alla lunga peregrinazione che lo porterà ad essere crocefisso. Il ruolo del Messia è interpretato da Jeffrey Hunter.

Sebbene non sia un film a tema propriamente biblico anche il film di Ron Howard, Il codice da Vinci, ha dei temi inerenti le festività pasquali. Il film, tratto dall'omonimo romanzo di Dan Brown, andrà in onda sabato alle 21.30 su Tv8. Sebbene sia soprattutto un thriller volto a svelare intrighi, Il codice Da Vinci prende il via dall'assioma secondo il quale Gesù non sarebbe il figlio di Dio, ma "solo" un uomo straordinario, comunque mortale. Soprattutto, Il codice da Vinci ruota intorno all'idea che Gesù si sia sposato e che abbia dato il via a una discendenza. Il film con Tom Hanks, dunque, affronta le conseguenze della morte di Gesù sulla croce e la sua presunta resurrezione, che sono i dogmi al centro della festività pasquale.

I film da vedere a Pasqua

I film da vedere il giorno di Pasqua iniziano domenica alle 14.05 su La7 con la messa in onda di Ben-Hur. Vero e proprio colosso della storia del cinema, il film - diretto da William Wyler - racconta una storia di tradimenti e rivalsa. Al centro del racconto c'è Giuda Ben-Hur (Charlton Heston) che, tradito dall'amico romano Messala Severus (Stephen Boyd), cercherà il modo per avere la sua rivalsa durante la corsa delle quadrighe al Circo di Gerusalemme. Tutta la vicenda di Ben-Hur si snoda parallelamente a quella Gesù, che è interpretato da Claude Heater e non viene mai mostrato in volto.

Alle 17 su Rai Movie, invece, andrà in onda Il Messia, film firmato da Roberto Rossellini che racconta tutta la vicenda della storia di Gesù (interpretato da Pier Maria Rossi) fino alla sua crocefissione. Il film è stato il terz'ultimo girato dal regista, a soli due anni dalla sua morte. Alle 21.20, su Rai Premium, verrà trasmesso La Bibbia: Jesus. Come nel caso del "capitolo" dedicato a Barabba, quello su Jesus è diretto da Roger Young ed è suddiviso in una miniserie di due episodi, sebbene sia disponibile anche una versione come "film unico". La particolarità di questo film è che la figura di Gesù viene affrontata in un modo molto più umano e meno divino, con la speranza di irretire anche un pubblico più apertamente laico. Nel film Gary Oldman veste i panni di Ponzio Pilato, mentre Jacqueline Bisset è la Madonna.

Molto famoso, invece, è La passione di Cristo, film di Mel Gibson che vede come protagonista Jim Caviezel e che andrà in onda domenica sera alle 21.25 su Nove. La particolarità del film è quella di essere stato girato interamente in latino e in una sorta di rivisitazione dell'aramaico antico, per dare maggiore verosimiglianza a una storia dal respiro epico. Come si evince dal titolo, il film si concentra soprattutto sulle ultime ore di vita di Cristo, prima del martirio sulla croce.

Dopo La passione di Cristo su Nove andrà in onda il film Resurrection, alle 23.50. Uscito nel 2021 il film è diretto da Ciaran Donnelly su sceneggiatura di Simon Block. Come suggerisce il titolo, si concentra sulla resurrezione di Cristo. Nello specifico il film parla dei seguaci del Messia a cui viene data la caccia e che sono costretti a nascondersi per non incorrere nella tortura e nel martirio. Tuttavia, quando la notizia della resurrezione del loro Messia comincia a diffondersi per le strade di Gerusalemme, gli uomini capiscono di avere ancora una speranza.

Alle 00.50 su La7d verrà trasmesso L'ultima tentazione di Cristo, film diretto da Martin Scorsese nel 1988 e tratto dal romanzo omonimo dello scrittore Nikos Kazantzakis. L'uscita della pellicola venne accompagnata da non poche polemiche per la scelta di rappresentare un Cristo (interpretato da Willem Defoe) che cerca di scappare dal suo destino da figlio di Dio per poter vivere come tutti gli altri, al punto da convincere lui stesso Giuda (Harvey Keitel) a tradirlo. L'ultima tentazione di Cristo è dunque una pellicola che cerca di sondare il lato più umano del Salvatore, il suo desiderio di avere una vita normale. 

Infine, il film che non può mancare durante i palinsesti di Pasqua è il musical Jesus Christ Superstar, che andrà in onda alle 00.53 su Rete 4. Diretto da Norman Jewison, Jesus Christ Superstar è la trasposizione del musical omonimo di Tim Rice che racconta l'ultima settimana di vita di Gesù, prima della sua tragica morte.

Via Crucis al Colosseo, il messaggio del Papa: Irina e Albina insieme con le mani sulla croce. Viola Giannoli su La Repubblica il 15 Aprile 2022.

Cambio di programma alla cerimonia del Venerdì santo: ci sono le due infermiere ucraina e russa. Ma salta la meditazione: “Il silenzio è più eloquente delle parole”. Appello di Bergoglio al disarmo.

Quattro mani poggiate sulla croce, quelle di Irina e di Albina, ucraina la prima, russa la seconda, a sorreggere insieme la croce della Via Crucis di Papa Francesco, tornata al Colosseo davanti a 10 mila fedeli, dopo due anni di cerimonie in una piazza San Pietro senza popolo, deserta. 

Si guardano negli occhi, occhi lucidi, Irina e Albina, amiche di due popoli oggi in guerra e colleghe al Campus Bio Medico di Roma, infermiera l'ucraina, specializzanda la russa. Si guardano, si sfiorano le dita nel portare il peso della croce, guardano il cielo, l'una di fianco all'altra, non parlano.  

E silenziosa, a sorpresa, resta la preghiera della tredicesima stazione della Via Crucis, la loro, cambiata all'ultimo minuto. Orazio Coclite, la voce storica della processione, avrebbe dovuto leggere una meditazione scritta in queste settimane in Vaticano assieme a famiglie ucraine e russe. E invece il testo è stato cancellato, sostituito da poche frasi: "Di fronte alla morte il silenzio è più eloquente delle parole. Sostiamo pertanto in un silenzio orante e ciascuno nel cuore preghi per la pace nel mondo". "Un cambiamento previsto - ha spiegato ieri sera il portavoce vaticano Matteo Bruni - che limita il testo al minimo per affidarsi al silenzio e alla preghiera".  

La tredicesima meditazione avrebbe invece dovuto parlare della "morte intorno", della "vita che sembra perdere di valore", di quel tutto che "cambia in pochi secondi: l'esistenza, le giornate, la spensieratezza della neve d'inverno, l'andare a prendere i bambini a scuola, il lavoro, gli abbracci, le amicizie", delle "lacrime finite", della "rabbia che ha lasciato il passo alla rassegnazione". Per poi chiedere: "Signore dove sei? Parla nel silenzio della morte e della divisione ed insegnaci a fare pace, ad essere fratelli e sorelle, a ricostruire ciò che le bombe avrebbero voluto annientare".  

Ma quel testo, come la presenza delle due amiche, Irina l'ucraina e Albina la russa, aveva attirato le ire dell'ambasciata di Kiev in Italia prima e della comunità cattolica ucraina poi. Un'idea "inopportuna e ambigua" che "non tiene conto del contesto di aggressione militare russa", aveva tuonato l'arcivescovo Sviatoslav Shevchuk. Ieri sera, con un gesto duro e inedito, i media cattolici ucraini si sono persino rifiutati di trasmettere la Via Crucis, in segno di protesta. E contraria si era detta in questi giorni anche l'associazione dei cattolici ucraini in Italia: "Non dovevano portare insieme la croce - ha spiegato Oles Horodetskyy - perché siamo noi ucraini a essere stati messi in croce".  

La presenza invece è stata confermata, nessun passo indietro da parte del Vaticano né delle due donne, nonostante le pressioni. "Noi non c'entriamo niente in tutto questo, i nostri due popoli non c'entrano niente", hanno spiegato. Ma quel testo è stato accantonato e si è lasciato spazio alla preghiera per la pace. Quella pace che Papa Francesco continua a chiedere senza sosta: "Signore, porta gli avversari a stringersi la mano, disarma la mano del fratello alzata contro il fratello" e fa' che "dove c'è odio fiorisca la concordia", ha detto ai fedeli. Lo stesso grido instancabile lanciato in un tweet pochi minuti prima dell'inizio del rito: "Signore, converti al tuo cuore i nostri cuori ribelli, perché impariamo a seguire progetti di pace". 

La nostra Pasqua, un messaggio contro la guerra. Max Baronciani su Culturaidentita.it il 15 Aprile 2022.

Pasqua, “pesach” secondo l’ebraismo; il passaggio da uno stato servile ad uno liberatorio, quando il popolo d’Israele si affrancò dalla schiavitù imposta dagli egiziani. Gli ebrei divennero uomini liberi ma sarà Gesù, con la Pasqua della vita, che condivise ieri, come oggi, insieme agli uomini e per mezzo della resurrezione, la vittoria sulla morte e la liberazione dal peccato. Un regalo immenso che mai era stato sino ad allora concepito ma proprio perché nessuno poteva crederci, che fu vissuto come vero, in quanto fu visibilmente testimoniato da persone incredule e allibite. Non fu la Fede a produrre il fatto, ma fu il fatto che produsse la Fede. Venne testimoniato da donne, che non avevano credibilità alcuna. Fu infine accettato da discepoli ebrei che non potevano presupporre quel concetto di resurrezione, ma che non poterono nondimeno negare di averla vista in un corpo, quel corpo, di nuovo vivo, glorioso, e parzialmente riconoscibile perché non più solamente biologico, com’era invece accaduto con Lazzaro. Non furono sottigliezze teologiche quelle che costruiranno l’edificio del cristianesimo, ma la consapevolezza, da parte di uomini pratici, avvezzi alla sola e dura quotidianità, che qualcosa di impossibile era davanti ai loro occhi. Era quanto di più razionale si potesse concepire. Oggi una nuova guerra insanguina l’Europa e tutto sembra oscurare quel lontano bagliore di amore cosmico, ma in questa “notte del mondo”, dove è facile abbandonarsi allo scoramento e alla ineluttabilità degli eventi, quel dono di Dio, si trova pur sempre insediato tra noi e può darci la forza di immaginare un diverso destino, con quella potente preghiera che possa renderci di nuovo allibiti di fronte ad una insperata possibilità di pace. Come fu per quegli uomini che non credettero finché non videro. Buona Pasqua a noi e all’intera umanità.

Barbara Costa per Dagospia il 17 aprile 2022.

Non me ne vogliano i credenti, ma Cristo a Pasqua risorge pure a letto. Non c’è scena, episodio, brano della vita di Gesù che non sia riprodotto su biancheria per la casa e da letto, e prodotti da bagno, e per cucinare e lavare. Non c’è passo dei Vangeli rimasto immune da tale mercificazione, comprese le pagine che narrano la Crocifissione, e Passione e Resurrezione di Gesù. 

Perfino il Golgota è tema, è ornamento di piumoni e coperte come pure di blanket (coperte indossabili, pur unisex, con maniche e cappuccio o meno) e di ogni misura si abbia bisogno. Perfino l’Ultima Cena diventa tappeto e sollievo a piedi stanchi e impantofolati, tappeti celesti calpestati da piedi bagnati appena usciti dalla doccia, e dove riporre gli abiti sporchi? Non c’è intimo e il più puzzolente che non possa giacere in cesti-biancheria convertiti a predicanti versetti biblici, insegnamenti cristiani, moniti divini. 

Gesù sulla croce si stilizza e si trasforma in un porta-asciugamani, teli che hanno i più solenni atti della Bibbia lì sopra raffigurati: larga è la scelta per quaresimali e pasquali corredi che possono devoti partire dalla chiamata di Pietro, poi proseguire con la chiamata degli altri Apostoli, poi con la predicazione e i miracoli di Gesù, e la sua entrata a Gerusalemme. Con molteplici passaggi biblici si possono vagliare copridivani e poltrone e copri-sedie, e plaid, e lenzuoli, e pertanto costruire il più variopinto corredo al credente più confacente. Alla stessa e però nettamente opposta maniera, il più svergognato miscredente può lavarsi le mani e il pube e tutto il corpo col Gesù "ridotto" a saponetta.

Se l’arredo a tema sacro pasquale non è solo a ramo cattolico ma copre a pari criterio tutte le Pasque della Cristianità (e se non tutte le etnie in ogni caso Gesù su tale biancheria e oggettistica è raffigurato pure in versione afro) credente che mi leggi copriti gli occhi perché se non lo sai ti dico che la desacralizzazione tocca – e da tempo – ambiti proibitissimi quali preservativi e dildo. 

Se le sacre immagine e parola di Gesù fregiano (anche a meme) sofà e cuscini, esistono condom sulla cui confezione inneggia il cristiano ammonimento se non ad astenersi se non altro a fornicare senza procreare. E ci sono Gesù bambolotti gonfiabili di ogni altezza e fattezza. I simboli cristiani – sopra tutti la croce – danno forma (e per i più fetish e impudentemente empi altresì modo) a dildo il cui fine non credo sia sempre e solo di irriverente suppellettile. 

 Dio Padre mandò Cristo all'inferno: il mistero, perché Gesù è resuscitato solo il terzo giorno. Renato Farina su Libero Quotidiano il 17 aprile 2022

Anticipo il tema. La Pasqua è la Resurrezione. E questo lo capiamo tutti, credenti o no. Ma che aveva da fare Gesù Cristo il Sabato Santo? Aveva una missione anche da cadavere. Sul serio. Ma tutto questo è, tra i dogmi, il meno esplorato dal popolo, fedele o infedele che sia. Lo recita il Credo: «Discese agli Inferi». Ma a far che? Il Credo non lo dice, e neppure il Vangelo. Ne parla in modo simbolico l'Apocalisse, lo raccontano i padri della Chiesa, in particolare San Gregorio Magno, così almeno dicono le enciclopedie. Quando il corpo di Cristo sta nel sepolcro, il suo spirito se ne va. E dove? Non in Paradiso, non a gustare il premio del suo sacrificio, ma negli inferi. Diciamo pure all'inferno. Porta lì il suo cadavere, è lo spirito di un morto, con il corpo in necrosi.

A spingere ad occuparmene c'è una coincidenza che muove una sana curiosità proprio il mistero più misterioso del cristianesimo. Ieri, com' è noto, Benedetto XVI ha compiuto 95 anni: giusto il Sabato Santo. Ha ricevuto migliaia e migliaia di biglietti d'augurio. Io qui gli invio il mio. Ma insieme ad alcune domande. Chi più di lui può rispondervi? Non solo perché Papa emerito e grande teologo, ma perché c'è un destino nelle date: quando Joseph Ratzinger nacque, il 16 aprile del 1927, era giusto il Sabato Santo. Impossibile non abbia dedicato mente e cuore, con la sua logica incantevole e la purezza dei sentimenti, a questa circostanza storica precisa. Il giorno e mezzo in cui Gesù giacque nella tomba.

QUEL SABATO DECISIVO 

Mi rendo conto. La mia domanda è da bambini. $ da quand'ero chierichetto che me la rifaccio. Perché? Che roba è questo Sabato Santo? Lo si vive come una mezza festa, si prepara la primavera della Pasqua. Ma non lo vissero così gli apostoli. E neppure Gesù stesso. Stava malissimo quel Sabato che ancora non si sapeva sarebbe stato Santo: credo abbia sofferto più ancora che il Venerdì.

Era proprio necessaria quella discesa, che abbiamo visto accadere a Don Giovanni nell'opera di Mozart, o è stata appunto un'esibizione un po' melodrammatica? Era già morto, la sua Croce compiuta, ci aveva salvati, invece non si è accontentato ed è sceso agli inferi. A fare che? E perché ci ha messo tutto questo tempo a scendere e a salire? Perché è risorto il terzo giorno e non il secondo? (Non dico dopo un'ora, altrimenti il suo corpo non avrebbe sperimentato il rigor mortis e neppure la necrosi. Il Figlio di Dio non sarebbe stato cioè fino in fondo, fino alla feccia, uomo, e chissà quanti avrebbero parlato di morte apparente - lo fa il Corano -, e dunque più di risveglio che di resurrezione). Ratzinger credo proprio abbia riflettuto su tutto questo sin da piccolo. Nato e battezzato in quel giorno: lo definirà da Papa «una terra di nessuno» tra la morte e la resurrezione: Egli sostiene che somiglia in tutto e per tutto al nostro tempo, alla condizione umana che ha sperimentato il genocidio, il Gulag e Hiroshima: il silenzio di Dio. $ impotenza dinanzi al male. O vi si odora la muffa fiorita della Pasqua? Una volta diventato, contro la sua volontà, Benedetto XVI, nella porzione recondita del suo cuore credo abbia compreso, mentre subiva - e peraltro ancora subisce - la persecuzione, la sua missione specifica, in fondo unica: Tu sei il Papa del Sabato Santo, il più misterioso dei giorni nella storia del cristianesimo, quello in cui gli inferi si rivelano nella loro verità di solitudine e morte assoluta, e però ricevono la visita di uno strano cadavere, che spezza le tenebre con la sua forza d'amore. 

Il Sabato Santo, come il giorno delle dimissioni, una discesa agli inferi del nascondimento, ma anche della letizia. Questo testimonia Benedetto, successore di quel Pietro che più i tutti misurò l'angosciosa attesa di quel sepolcro pieno di morte e che non si svuotava per troppe ore. Finché lui, traditore come noi, poté dire a Cristo: «Sì, tu lo sai che Ti voglio bene». Gesù spirò ma aspettò un po' a raggiungere il buon ladrone in Paradiso. Sprofondò laggiù, dov' è pianto e stridor di denti, con l'irruenza luminosa di un Dio fatto uomo che ha accettato di essere abbandonato dal Padre e di morire, proprio per andare agli estremi confini dell'essere dove esso si scioglie nel nulla, per ribaltarlo in amicizia e vita. Ha sperimentato fino in fondo la pienezza dei sentimenti d'uomo, per cui non gli è stato risparmiato nulla. 

Il Sabato Santo siamo noi, morituri. $ morto e stra-morto il Verbo di Dio fattosi uomo: ha accettato liberamente questo sacrificio di incarnarsi e patire. Ma la discesa agli inferi è stato quasi troppo anche per il Nazareno: ha vissuto la morte come ciascuno della nostra specie la visse e la vivrà, ma in più con il chiodo nel cuore umanissimo di lui che era consapevole di essere Dio ma che ancora non aveva sperimentato la potenza dell'amore che era Lui stesso. Non poteva lamentarsi, ha scelto liberamente quel calice, ma nemmeno Lui sapeva che il suo amore fosse tanto potente da sprofondare fin dove c'è il peggiore dei delinquenti, e scendere più in basso di tutto il male della storia, caricarselo sulle spalle, e vincere: spezzando la morte e la solitudine. Gesù uomo-Dio è capace di altruismo persino nella morte, oltre la morte, nel buio pesto, ci tende la mano, a noi creature morte dentro questo XXI secolo.

LA LEZIONE DI RATZINGER

Non sono cose che mi sto inventando, sto provando a sintetizzare un mistero come lo racconta Joseph Ratzinger, che alcune intuizioni ha attinto dall'amico cardinale Hans Urs von Balthasar, e siccome è mistero non è roba facile. Lo ammette lui stesso. Mi sono letto (almeno credo) tutto quanto prima da cardinale e poi da Pontefice ha detto e scritto sul tema e offre pagine meravigliose. Ma a un certo punto si lascia andare: «Rimane insoluta la questione di sapere che cosa si intende veramente quando si dice in maniera misteriosa che Gesù "è disceso all'inferno".

Diciamolo con tutta chiarezza: nessuno è in grado di spiegarlo veramente». Dalle scritture apprendiamo che risorgerà il terzo giorno. Giona starà nel ventre del gigantesco pesce, al buio, tre giorni. «Vi sarà dato il segno di Giona» dice Cristo nel Vangelo. Vale come profezia per il Messia. Ma a far che finisce in quel ventre? A sperimentare la morte, la necrosi. L'essere cadavere tra i cadaveri. Solidale con gli uomini e con il nostro destino non solo nel morire ma nell'essere morti. Se non avesse fatto quel che ha fatto in fondo al catramoso abisso dell'inferno, la sua resurrezione sarebbe stata un fatto isolato, chi ci dice che non riguardasse solo lui. Invece è andato giù. Per tirarcene fuori. Citiamo Benedetto: «In quel "tempo-oltre-il-tempo" Gesù Cristo è "disceso agli inferi". Che cosa significa questa espressione? Vuole dire che Dio, fattosi uomo, è arrivato fino al punto di entrare nella solitudine estrema e assoluta dell'uomo, dove non arriva alcun raggio d'amore, dove regna l'abbandono totale senza alcuna parola di conforto: "gli inferi". 

Gesù Cristo, rimanendo nella morte, ha oltrepassato la porta di questa solitudine ultima per guidare anche noi ad oltrepassarla con Lui. Tutti abbiamo sentito qualche volta una sensazione spaventosa di abbandono, e ciò che della morte ci fa più paura è proprio questo, come da bambini abbiamo paura di stare da soli nel buio e solo la presenza di una persona che ci ama ci può rassicurare. Ecco, proprio questo è accaduto nel Sabato Santo: nel regno della morte è risuonata la voce di Dio. E' successo l'impensabile: che cioè l'Amore è penetrato "negli inferi": anche nel buio estremo della solitudine umana più assoluta noi possiamo ascoltare una voce che ci chiama e trovare una mano che ci prende e ci conduce fuori. L'essere umano vive per il fatto che è amato e può amare; e se anche nello spazio della morte è penetrato l'amore, allora anche là è arrivata la vita. Nell'ora dell'estrema solitudine non saremo mai soli: "Passio Christi. Passio hominis". In seno alla morte pulsa ora la vita, in quanto vi inabita l'amore» (2 maggio 2010). Tutto è accaduto duemila anni fa in un fragoroso silenzio, dentro quel sepolcro. Il Sabato Santo quest' anno è cominciato per volere di Francesco venerdì alla Via Crucis, quando sulla guerra e la pace non ha detto nulla: ha lasciato parlare la Croce di quel Cristo che moriva e sprofondava giù, negli inferi. Per risorgere.

Gesù "non è morto di freddo": Sacra Sindone, il dettaglio che ribalta la storia. Libero Quotidiano il 16 aprile 2022.

Gesù non sarebbe morto di freddo. La rivelazione arriva da un neurologo ormai in pensione. Patrick Pullicino, medico divenuto sacerdote, è convinto che Gesù sia morto per una fatale emorragia. A causarla la lussazione della spalla portando la sua croce. Non a caso la Bibbia descrive come Gesù cadde mentre portava la croce, prima che il suo fianco fosse poi trafitto dalla lancia di un soldato romano, provocando la fuoriuscita di "sangue e acqua".

Non solo, perché l'esperto è convinto di saper spiegare perché, come racconta il Vangelo di Giovanni, "sangue e acqua" sgorgarono dal corpo crocifisso di Cristo. A suffragare le sue teorie, spiega, gli studi sulla Sacra Sindone. Per Pullicino infatti la posizione della spalla lussata dell'uomo è significativa. Quest'ultima sarebbe lontana dalla sua posizione naturale, tanto che la mano destra si trova 10 cm più in basso della sinistra.

Proprio la tensione della crocifissione avrebbe causato a Gesù la rottura dell'arteria succlavia - un paio di grandi arterie nel torace che forniscono sangue alla testa, al collo, alle spalle e alle braccia. Che a sua volta avrebbe provocato un'enorme emorragia interna e poi la morte. "A causa di questo allungamento del braccio destro, anche l'arteria succlavia/ascellare destra è stata sottoposta ad allungamento, poiché era una delle uniche strutture intatte rimaste che collegavano il corpo e il braccio destro", ha detto secondo quanto riportato dal Telegraph. E ancora: "È probabile che il trasferimento del peso corporeo alle braccia durante l'inspirazione abbia causato un ulteriore allungamento dell'arteria succlavia destra. Il trasferimento del peso alle gambe durante l'espirazione avrebbe invertito questo allungamento".

Anticipazione da “Oggi” il 7 settembre 2022.

Ai tantissimi studi e alle molteplici teorie sulla Sindone se ne aggiunge un’altra rivelata dal settimanale OGGI, in edicola domani. 

Ne dà notizia Luciano Sassi, restauratore di libri e documenti antichi anche per conto degli Archivi di Stato di Milano e Mantova, lo studioso che scoprì l’unica firma autografa conosciuta di Leonardo da Vinci. 

Dopo 24 anni di ricerche (««L’argomento è molto delicato. E ci sono tanti mitomani in circolazione») Sassi spiega a OGGI la sua interpretazione del mistero: «Niente di soprannaturale.

Lo conferma un parallelo con la carta, che dopo l’invenzione della stampa era ottenuta da stracci di lino, la stessa materia del sacro lenzuolo, lavati nella calce o nella cenere. 

A metà dello scorso millennio si cominciarono a costruire le cartiere vicino a corsi d’acqua inquinati da metalli. E i residui di ferro s’imbruniscono per ossidazione». 

Nei libri trova immagini simili alla Sindone? «Sì, ma non è questo il punto. Diamo per scontato che si tratti del Nazareno. Dobbiamo prima esaminare com’erano a quel tempo gli inchiostri e che cosa fu spalmato sul cadavere, perché l’ossidazione sul sacro telo è di origine proteica, da materiale organico. Da olio, in pratica».

Sassi racconta come «nel tempo le sostanze grasse si ossidano, diventano di colore nocciola. Ed ecco dunque apparire sul lino le fattezze dell’Uomo della Sindone. Nei libri chiusi sugli scaffali avviene la stessa cosa: compaiono elementi che prima non si vedevano».

Dagotraduzione dal Daily Mail il 15 aprile 2022.

Secondo un neurologo in pensione, Gesù sarebbe morto per emorragia fatale, dopo essersi lussato la spalla portando la sua croce. La Bibbia descrive in dettaglio come Gesù cadde mentre portava la croce, prima che il suo fianco fosse poi trafitto dalla lancia di un soldato romano, provocando la fuoriuscita di «sangue e acqua». 

Secondo la leggenda, San Bernardo di Chiaravalle chiese a Gesù quale fu la più grande sofferenza non registrata della sua Passione. Gesù rispose: «Avevo sulla spalla, mentre portavo la mia croce sulla via dei dolori, una ferita grave che era più dolorosa delle altre e che non è registrata dagli uomini». 

Gli studiosi concordano sul fatto che Gesù molto probabilmente si sia lussato la spalla destra quando cadde, portando la croce. Tuttavia, Patrick Pullicino, medico divenuto sacerdote, crede che alla fine possa essere stato ucciso da complicazioni legate a questa ferita. 

Pullicino crede anche di poter spiegare perché, come racconta il Vangelo di Giovanni, «sangue e acqua» sgorgarono dal corpo crocifisso di Cristo.

Il Rev. Prof Pullicino, con sede a Londra, ha scritto un articolo scientifico sulla sua teoria e lo ha pubblicato sul Catholic Medical Quarterly. Ha analizzato il lavoro svolto da esperti forensi e medici sulla Sindone di Torino, detta anche Sacra Sindone, all'interno della quale fu avvolto Gesù dopo la crocifissione. 

Per secoli si è discusso sull'autenticità della Sindone, che è stata conservata dal 1578 nella cappella reale della cattedrale di San Giovanni Battista a Torino, in Italia. Una delle reliquie più controverse del mondo cristiano, reca la debole immagine di un uomo il cui corpo sembra avere ferite da unghie ai polsi e ai piedi. 

Alcuni credono che ci sia un legame fisico con Gesù di Nazaret. Per altri, invece, non è altro che un falso elaborato. Nel 1988, i test al radiocarbonio su campioni della Sindone hanno datato il telo al Medioevo, tra il 1260 e il 1390, ma studi più recenti negli anni 2010 contestano questa affermazione e sostengono invece che il lenzuolo di lino risalga al tempo di Gesù.

Osservando la debole impronta sulla sindone, che sembra mostrare una figura con le ferite della crocifissione, il rev. Prof. Pullicino ha affermato che la posizione della spalla lussata dell'uomo è significativa. Ha detto che è così lontana dalla sua posizione naturale che la mano destra si trova 10 cm più in basso della sinistra. 

Secondo il rev. Prof. Pullicino, la tensione della crocifissione avrebbe causato a Gesù la rottura dell'arteria succlavia - un paio di grandi arterie nel torace che forniscono sangue alla testa, al collo, alle spalle e alle braccia. Che a sua volta avrebbe provocato un'enorme emorragia interna e, infine, la morte.

«A causa di questo allungamento del braccio destro, anche l'arteria succlavia/ascellare destra è stata sottoposta ad allungamento, poiché era una delle uniche strutture intatte rimaste che collegavano il corpo e il braccio destro», ha affermato, secondo il Telegraph. 

«È probabile che il trasferimento del peso corporeo alle braccia durante l'inspirazione abbia causato un ulteriore allungamento dell'arteria succlavia destra. Il trasferimento del peso alle gambe durante l'espirazione avrebbe invertito questo allungamento». 

«Questo articolo postula che nel corso di tre ore l'arteria succlavia si sia abrasa, lesa e la sua parete si sia attenuata fino a quando alla fine l'arteria si è rotta e ne è seguita un'emorragia abbondante».

GIAN GUIDO VECCHI per il Corriere della Sera il 15 aprile 2022.  

«Uno scrittore diceva che "Gesù Cristo è in agonia fino alla fine del mondo"». Prima della Via Crucis del Venerdì Santo, Francesco cita uno dei Pensieri di Blaise Pascal. Il dolore del mondo, l'invasione dell'Ucraina e le tante guerre che devastano il pianeta, il mistero del male: «Noi viviamo questo schema demoniaco che ci dice di ucciderci l'un l'altro per la voglia di potere». 

Questa sera il Papa tornerà a presiedere le meditazioni sulla Passione intorno all'Anfiteatro Flavio, tra migliaia di persone, dopo due anni da solo in una piazza San Pietro deserta di fedeli a causa della pandemia. E nel pomeriggio, dalle 14, Rai 1 trasmetterà nel programma « A Sua immagine » un'intervista a Francesco, coordinata da don Marco Pozza, della conduttrice Lorena Bianchetti. Inevitabile parlare anzitutto dell'invasione dell'Ucraina, le immagini spaventose di queste settimane.

Che sta succedendo all'umanità? «Non e una novità», sospira il Papa. «Il mondo è in guerra! Siria, lo Yemen...Poi, pensa ai Rohingya, cacciati via, senza patria. Dappertutto c'è guerra. Il genocidio del Ruanda venticinque anni fa... Perché il mondo ha scelto, è duro dirlo, ma ha scelto lo schema di Caino. E la guerra è mettere in atto il "cainismo", cioè uccidere il fratello». 

Parole che richiamano ciò che Francesco aveva detto ai giornalisti nel volo di ritorno da Malta, il 3 aprile: «Ci sono stati dei grandi, Gandhi e tanti altri, che hanno scommesso sullo schema della pace. Ma noi siamo testardi! Siamo testardi come umanità. Siamo innamorati delle guerre, dello spirito di Caino. Non a caso all'inizio della Bibbia c'è questo problema: lo spirito "cainista" di uccidere, invece dello spirito di pace». 

Si crea una sorta di circolo vizioso: «Io li capisco i governanti che comprano le armi, li capisco ma non li giustifico. Se fosse uno schema di pace, questo non sarebbe necessario», dice il Papa. Per questo, come diceva Pascal, Gesù è in agonia fino alla fine del mondo, «è in agonia nei suoi figli, nei suoi fratelli, soprattutto nei poveri, negli emarginati, la povera gente che non può difendersi».

La frase del filosofo francese, a proposito della durata dell'agonia, prosegue così: «Per questo non dobbiamo dormire durante questo tempo». Francesco invoca uno «schema di pace» nel senso della «conversione» evangelica: metanoia , nel greco dei Vangeli, significa alla lettera cambiare il modo di pensare, lo sguardo sul mondo. Così spiega: «Quando noi siamo davanti a una persona, dobbiamo pensare a che cosa parlo di questa persona: alla parte brutta o alla parte nascosta, più buona. Tutti noi abbiamo qualcosa di buono, tutti! È proprio il sigillo di Dio in noi.

Mai dobbiamo dare per finita una vita, no... Darla finita nel male, dire: "Questo è un condannato". Perché ognuno di noi ha dentro la possibilità di fare ciò che fanno questi, che distruggono gente, che sfruttano gente. Perché il peccato è una possibilità della nostra debolezza e anche della nostra superbia». 

Lorena Bianchetti è la prima donna nella televisione italiana a intervistare il Papa. Fa notare a Francesco come nelle faticose trattative di pace per l'Ucraina non ci fosse neppure una donna.

«C'è una donna nel Vangelo della quale non si parla tanto - un po' en passant - ed è la moglie di Pilato», risponde il pontefice. Il riferimento è al processo di Gesù davanti al procuratore romano, nel racconto di Matteo, e all'intervento della donna che la tradizione delle chiese orientali ha santificato con il nome di Procla. «Lei ha capito qualcosa. Dice al marito: "Non immischiarti con questo giusto". 

Ma Pilato non ascolta, "cose di donne"». Francesco considera: «Questa donna, che passa senza forza nel Vangelo, ha capito da lontano il dramma. Perché? Forse era mamma, aveva quell'intuizione delle donne. "Stai attento che non ti ingannino". Chi? Il potere. Il potere che è capace di cambiare il parere della gente da domenica a venerdì. L'"Osanna" della domenica diviene il "Crocifiggilo!" del venerdì. E questo è il pane nostro di ogni giorno. Ci vogliono le donne che diano l'allarme».

La storia del processo a Gesù: perché è stato crocifisso? Gian Guido Vecchi su Il Corriere della Sera il 15 Aprile 2022.

Il Venerdì Santo è il giorno in cui si ricorda il processo e la condanna a morte di Gesù. Quali furono i capi d’imputazione? Cosa aveva fatto il rabbi di Nazareth, secondo i suoi accusatori? E di che cosa è stato giudicato colpevole? 

Gerusalemme, aprile dell’anno 30, mattina. Il procuratore romano Ponzio Pilato non ha fatto una gran carriera, se si trova a governare una regione, la Giudea, ai confini dell’Impero guidato allora da Tiberio. Non proprio hic sunt leones, ma quasi. La scena, probabilmente, ha luogo nel Palazzo di Erode il Grande, sulla collina occidentale, vicino all’attuale porta di Giaffa. 

Davanti al «pretorio», perché il procuratore lo giudichi, hanno trascinato un predicatore trentenne ebreo della Galilea, un rabbì di Nazaret, forse un rivoltoso, vai a sapere. Tale Yehoshua ben Yosef, nella forma abbreviata Yeshùa. Un’altra sentenza, una delle tante. 

Pilato, in carica da quattro anni, non capisce quel popolo che disprezza, ricambiato. E non può immaginare che da quel giorno la sua scelta e il suo nome saranno legati al caso giudiziario più celebre e clamoroso della storia dell’umanità, da fare impallidire pure Socrate. 

Un processo che si chiude in poche ore con la condanna alla pena capitale, nella forma più crudele e infamante: la crocifissione. Ma cos’ha fatto, per i suoi accusatori, Gesù? Quali sono i capi d’imputazione? Di che cosa viene giudicato colpevole?

Le fonti storiche e l’accusa falsa di deicidio

Duemila anni di analisi, migliaia di libri e interpretazioni spesso nefaste. La Chiesa cattolica ha le sue responsabilità, e sono enormi. Fino al Concilio Vaticano II è stata fatta gravare sul popolo ebraico l’accusa, insensata, di «deicidio», matrice dell’antigiudaismo che ha provocato secoli di persecuzioni e pogrom. 

Come premette il cardinale Gianfranco Ravasi nel suo libro Biografia di Gesù, è bene anzitutto citare la dichiarazione conciliare Nostra Aetate del 28 ottobre 1965, che ha finalmente segnato la svolta della Chiesa: «Se autorità ebraiche con i propri seguaci si sono adoperate per la morte di Cristo, tuttavia quanto è stato commesso durante la sua passione non può essere imputato né indistintamente a tutti gli ebrei allora viventi né agli ebrei del nostro tempo». Accusa insensata, anche perché in questa vicenda sono tutti ebrei: Gesù come i suoi accusatori, quelli che gridano «crocifiggilo!» come Maria, i discepoli, gli evangelisti (solo su Luca c’è qualche dubbio, la tradizione parla di origini pagane, ma si ritiene più probabile fosse un ebreo ellenista di Antiochia), la comunità cristiana primitiva. A parte Pilato: che era l’unico, in quanto procuratore romano, a poter decidere la pena di morte. 

E poi la ricostruzione storica non è facile. Il processo è attestato nelle Antichità giudaiche (XVIII) dallo storico ebreo Giuseppe Flavio, che in un passo cita Gesù e scrive: «Dopo che Pilato, dietro accusa dei maggiori responsabili del nostro popolo, lo condannò alla croce, non vennero meno coloro che fin dall’inizio lo avevano amato». Anche lo storico romano Tacito, negli Annali (XV), scrive dei «tormenti atroci» inflitti da Nerone ai cristiani e spiega che questi «prendevano il nome da Cristo, condannato a morte dal procuratore Ponzio Pilato sotto l’impero di Tiberio». 

Per il resto, le sole fonti sono i quattro Vangeli, che tuttavia non sono stati scritti con un intento storico, leggono gli eventi alla luce della fede nella resurrezione di Gesù e si rivolgono a comunità particolari (Marco a un ambiente di origini pagane, Matteo a giudeo-cristiani della diaspora ellenistica, Luca al mondo greco-romano, Giovanni a quello greco) che spesso hanno rapporti difficili e polemici con l’ambiente ebraico dal quale si sono distaccati. 

Ne è un esempio la relativa indulgenza con la quale è descritto Pilato. Filone d’Alessandria, grande filosofo ebreo dell’epoca, ne offre nel De Legatione ad Caium un ritratto un po’ diverso: «Un uomo per natura inflessibile e, in aggiunta alla sua arroganza, duro, capace solo di concussioni, di violenze, rapine, brutalità, torture, esecuzioni senza processo e crudeltà spaventose e illimitate». 

Giuseppe Flavio sempre nelle Antichità giudaiche, racconta le stragi di popolo ordinate da Pilato ai suoi soldati.

L’accusa e il primo processo davanti al Sinedrio

Comunque, nel racconto degli evangelisti i processi sono due. Il primo si celebra davanti al Sinedrio, parola greca che significa consesso, assemblea. Ad Atene era il collegio costituito da un magistrato e dai suoi assessori. Nella Gerusalemme del tempo era l’organo politico-religioso responsabile della amministrazione giudaica, molto relativamente autonoma, riconosciuto ma dipendente dall’autorità del potere romano occupante. Era composto da settanta membri più il sommo sacerdote che lo presiedeva. Vi erano rappresentate tre classi: i sacerdoti, gli anziani che appartenevano ad una sorta di aristocrazia laica e terriera e come in sacerdoti erano sadducei, di orientamento conservatore; e infine gli scribi, gli studiosi farisei, più aperti e progressisti, a dispetto della rappresentazione che ne fanno i Vangeli.

Nella notte del tradimento di Giuda, Gesù era stato arrestato nel podere detto Getsemani, «frantoio per olive», da una «folla con spade e bastoni» mandata dalle autorità del Sinedrio. Viene condotto davanti all’ex sommo sacerdote Anna e poi dal genero Caifa, sommo sacerdote in carica e quindi capo del Sinedrio. È a casa di Caifa che avviene la prima assise. I quattro Vangeli variano nel racconto, ma la sostanza non cambia. All’inizio lo accusano di aver detto «distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere», frase che peraltro Gesù aveva riferito a se stesso e «al tempio del suo corpo», nota Giovanni. Ma il momento decisivo è quando Caifa gli chiede: «Sei tu il Cristo, il Figlio del Benedetto?». Il Vangelo più antico, quello di Marco, che si ritiene scritto prima della distruzione del Tempio nel 70 a.C., riporta la risposta dell’imputato: «Io lo sono. E vedrete il Figlio dell’uomo seduto alla destra della Potenza e venire con le nubi del cielo». È a questo punto che il sommo sacerdote si straccia le vesti e esclama: «Che bisogno abbiamo di altri testimoni? Avete udito la bestemmia; che ve ne pare?». E l’assemblea del Sinedrio risponde: «È reo di morte!».

Quella di Caifa non è una reazione isterica, lo stracciarsi le vesti è un gesto rituale davanti a un’ignominia. Ma che ha detto Gesù di così grave? Ha risposto di essere il Messia atteso da Israele (Mashiah, «unto» con l’olio sacro e quindi consacrato: in greco Christós, Cristo) e, quel che è peggio agli occhi del Sinedrio, lo ha fatto citando un passo del profeta Daniele (7) che presenta nel «Figlio dell’uomo», una figura non solo terrena che partecipa misteriosamente alla natura divina. Ma c’è di più. Il testo originale greco di Marco riporta come risposta di Gesù «egò eimi», che in genere viene tradotto «io lo sono» ma alla lettera significa «io sono»: la stessa risposta di Dio quando Mosé ne chiede il nome, rivolto al roveto ardente sul monte Oreb, il tetragramma YHWH (Jod, He, Waw, He) che gli ebrei non pronunciano. «Il vangelo sfocia in questa sua autotestimonianza, che risolve ogni mistero e sarà causa della sua condanna», scrive il grande biblista gesuita Silvano Fausti nel suo commento a Marco: «Gesù sarà condannato non per testimonianza altrui, ma per questa sua rivelazione».

Lo nota pure Joseph Ratzinger-Benedetto XVI nel suo Gesù di Nazaret: «Non vi risuona forse Esodo 3,14?». In effetti. Per il Sinedrio ce n’è abbastanza, ma l’assemblea non ha il potere di emettere sentenze. Così Gesù viene portato da Pilato.

Il secondo processo davanti a Pilato

Dal Sinedrio al praetorium, il luogo del giudizio. Nel Vangelo di Luca si dice che Pilato, diffidente, cercò invano di scaricare il giudizio su Erode, procuratore della Galilea, che rimandò indietro l’imputato. In ogni caso, per ottenere la condanna, al procuratore romano della Giudea viene presentata dai rappresentanti dell’assemblea un’accusa più politica: «Abbiamo trovato costui che sobillava il nostro popolo, impediva di dare tributi a Cesare e affermava di essere il Cristo re». Sarà la motivazione finale della condanna, che veniva apposta sul braccio verticale della croce come monito per chiunque volesse ribellarsi al potere romano: «Il re dei Giudei», l’acronimo INRI che nella lingua latina dell’impero si ritrova in innumerevoli dipinti e sculture: «Iesus Nazarenus Rex Iudaeorum».

La versione di Marco è la più asciutta. Pilato chiede: «Sei tu il re dei giudei?». Gesù risponde: «Tu lo dici». Pilato insiste, Gesù non risponde più nulla. Ma a Gerusalemme sono i giorni della Pasqua ebraica, per la festa il procuratore «era solito rilasciare un prigioniero» e in quel momento c’è anche tale Barabba, «si trovava in carcere insieme ai ribelli che nel tumulto avevano commesso un omicidio», insomma un rivoluzionario politico vero, probabilmente uno zelota. La scena è celeberrima: Pilato si rivolge alla folla, «volete che vi rilasci il re dei Giudei?», ma la folla «sobillata dai sommi sacerdoti» invoca invece Barabba. E a Pilato che domanda cosa fare di Gesù, «che male ha fatto?», la folla risponde: «Crocifiggilo!».

Il «crucifige!»

E qui c’è un problema serio: chi invoca Barabba e chiede la crocifissione di Gesù? Marco, il testo più antico, parla di «óchlos», in greco la «folla» o «massa», appunto, un gruppo di persone formato probabilmente da sostenitori di Barabba. È il solo Vangelo di Matteo a parlare di «laós», che significa «popolo» o «nazione». Tutti i maggiori biblisti e teologi sono d’accordo: è un’esagerazione di Matteo. Anzi, «un’amplificazione fatale nelle sue conseguenze», nota Joseph Ratzinger, che nel suo Gesù di Nazaret chiarisce: «Matteo sicuramente non esprime un fatto storico: come avrebbe potuto essere presente in tale momento tutto il popolo a chiedere la morte di Gesù? La realtà storica appare in modo sicuramente corretto in Giovanni e in Marco».

Se Marco parla di folla, Giovanni indica i «giudei» nel senso dell’ «aristocrazia del tempio», Benedetto XVI è definitivo: «Il vero gruppo degli accusatori sono i circoli contemporanei del tempio e, nel contesto dell’amnistia pasquale, si associa ad essi la “massa” dei sostenitori di Barabba». Resta, storicamente, la tendenza dei primi cristiani «ad attenuare le responsabilità di Pilato e a marcare quelle giudaiche», come nota Ravasi. Matteo soprattutto, il più polemico con i suoi connazionali, il quale riporta la scena del procuratore che se ne lava le mani e dice: «Non sono responsabile di questo sangue, vedetevela voi!». E aggiunge - anche qui, solo lui tra gli evangelisti - la risposta del «popolo», cui arriva a far dire: «Il suo sangue ricada sopra di noi e sopra i nostri figli».

Resta soprattutto il fatto che la responsabilità della sentenza di morte è del procuratore romano, Marco scrive: «Pilato, volendo dare soddisfazione alla folla, rimise in libertà per loro Barabba e, dopo aver fatto flagellare Gesù, lo consegnò perché fosse crocifisso».

L’esecuzione

Gesù viene consegnato alla guarnigione romana per essere flagellato. È il racconto della Passione che in buona parte del mondo, il Venerdì Santo, scandisce la Via Crucis. I romani usavano un flagrum a corde grosse con pezzi di osso e di metallo. La derisione, le torture. Nella salita al Golgota, i soldati fermano un tale Simone di Cirene perché porti il patibulum, l’asse trasversale della croce. Quello verticale è già piantato sul luogo dell’esecuzione. Il condannato viene appeso alla croce, inchiodato per i polsi. La parola greca agonía significa lotta, per un crocifisso è lunga e dolorosa. Alla fine, un soldato tende a Gesù agonizzante una spugna intrisa di «aceto», in realtà un vino mescolato con acqua che soldati e mietitori usavano per dissetarsi: quello che popolarmente appare come l’ultimo gesto di scherno potrebbe essere invece un gesto estremo di pietà. «Tetélestai», è l’ultima parola di Gesù riportata da Giovanni: «”Tutto è compiuto”, disse. E, chinato il capo, spirò».

Giuda "non era un traditore". Teoria choc: "Ecco cosa voleva davvero", si ribalta la storia di Gesù. Libero Quotidiano il 14 aprile 2022.

E se Giuda non fosse mai stato un traditore? Stando agli ebraisti Marco Cassuto Morselli e Gabriella Maestri, quello che è passato alla storia come il "traditore" avrebbe cercato in realtà di indurre i sacerdoti a riconoscere e consacrare Gesù come Messia. Una teoria non del tutto nuova, come riporta Avvenire: era stata avanzata anche dallo scrittore israeliano Amos Oz in un libro del 2014. Nel saggio dei due ebraisti su citati, però, vengono elencate anche delle prove a sostegno di questa tesi.

Una delle prove della fedeltà di Giuda, secondo il saggio, starebbe nell'uso di un verbo greco in particolare. Un verbo che si è sempre pensato designasse il cosiddetto "tradimento" e che invece indicherebbe solo una "consegna". Cambia, a questo punto, anche la percezione e l'interpretazione del bacio di Giuda, il quale non sarebbe più un subdolo segno di riconoscimento ma l'augurio del discepolo al maestro. 

Un dubbio, però, potrebbe venire se si pensa ai noti "30 denari": perché mai Giuda avrebbe accettato un simile compenso se la sua intenzione era solo quella di una semplice "consegna" ai sacerdoti per sollecitare l'avvento del regno promesso? A tal proposito Roberto Beretta su Avvenire scrive: "I due studiosi avanzano qui l'analogia con un passo del libro di Zaccaria, tra l'altro di poco successivo al brano (citato dall'evangelista Matteo) che descrive l'ingresso del Messia a Gerusalemme; in esso il profeta si rivolge a un gruppo di sacerdoti indegni reclamando la sua paga e costoro gli pesano proprio 30 sicli d'argento, che però subito dopo egli stesso - su richiesta di Dio - getta nel tesoro del Tempio…".

Roberto Beretta per “Avvenire” il 14 aprile 2022.

Un rivoluzionario o un traditore. Uno zelota, un appartenente alla setta dei sicari, un segreto complice di Gesù, no: un deicida. Il simbolo stesso del male ovvero lo strumento divino per il compimento della salvezza... Su Giuda Iscariota le arti e la letteratura, lo spettacolo e la storia, la teologia e l'esegesi hanno accumulato in due millenni una serie quasi infinita di tesi, derivanti certamente dalla scarsità di dati - e perciò dalla libertà di interpretazioni - sulla sua figura, ma soprattutto dal mistero intrigante del suo ruolo maledetto eppure per tanti versi necessario (e viceversa).

Dunque cade su terreno già aratissimo il piccolo seme di questo Yehudah Giuda, breve saggio degli ebraisti Marco Cassuto Morselli e Gabriella Maestri (Castelvecchi, pagine 54, euro 9) che definisce da subito la sua posizione nel felice ossimoro del sottotitolo: Il traditore fedele. 

L'uomo di Keriot - ecco l'ipotesi, qui subito svelata - avrebbe cercato di indurre il Sinedrio e i sacerdoti a riconoscere e consacrare Gesù come Messia, aderendo di fatto al consenso dimostrato dal popolo al Nazareno nel momento del suo ingresso a Gerusalemme, e sarebbe stato invece egli stesso tradito dalla decisione dei capi ebrei di trasferirlo all'occupante romano: l'unico che aveva il potere di farlo uccidere.

La teoria non è forse inedita (una simile la avanza il romanziere israeliano Amos Oz nel libro del 2014 intitolato appunto al dodicesimo apostolo), ma in questo saggio ha il merito di essere accreditata con alcuni oggettivi riscontri derivati dalle fonti.

La prima è l'uso del verbo greco che designerebbe il cosiddetto 'tradimento', e che invece indica semplicemente una 'consegna'. Giustamente gli autori fanno notare che in un brano della prima Lettera ai Corinzi lo stesso identico verbo viene d'abitudine tradotto in due modi diversi: «Ho ricevuto dal Signore - scrive Paolo - quello che vi ho anche trasmesso; cioè, che il Signore Gesù, nella notte in cui fu tradito... ».

Due versioni per una medesima voce verbale che «non solo nei testi neotestamentari, ma anche in altri scrittori antichi, non significa mai 'tradire', ma sempre soltanto 'consegnare'». 

In quei giorni vicini alla Pasqua, la storica attesa messianica del popolo ebraico (della quale partecipavano gli stessi discepoli di Cristo) veniva a coincidere con una serie di situazioni riguardanti il Nazareno che avrebbero potuto accreditarlo davvero come il re atteso: «Gli stessi gesti simbolici - notano Morselli e Maestri che avevano accompagnato il suo ingresso a Gerusalemme (canti, mantelli distesi, rami agitati a festa) mostravano che il popolo lo considerava Re Messia anche prima del riconoscimento e della proclamazione ufficiale da parte delle autorità templarsi con il rito dell'unzione».

E tuttavia l'unzione era necessaria, come indicavano i precedenti biblici per i re di Israele; per questo si può pensare che «l'intenzione di Yehudah possa essere stata proprio quella di far consacrare Gesù in modo regolare da coloro che realmente avevano l'autorità di farlo» (tale ipotesi - è da notarsi en passant - ha anche il pregio di far rileggere in modo del tutto diverso l'episodio appena precedente dell'unzione 'irrituale' di Betania, quando cioè Giuda insorge contro lo spreco della donna peccatrice che versa balsamo su Cristo).

Ma i 30 denari, allora? L'obiezione è inevitabile: se l'intenzione fu la semplice 'consegna' ai sacerdoti per sollecitare l'avvento del regno promesso, perché Giuda avrebbe accettato quel compenso - tra l'altro una somma piuttosto misera? 

I due studiosi avanzano qui l'analogia con un passo del libro di Zaccaria, tra l'altro di poco successivo al brano (citato dall'evangelista Matteo) che descrive l'ingresso del Messia a Gerusalemme; in esso il profeta si rivolge a un gruppo di sacerdoti indegni reclamando la sua paga e costoro gli pesano proprio 30 sicli d'argento, che però subito dopo egli stesso - su richiesta di Dio - getta nel tesoro del Tempio… 

Un precedente che, nel complesso contesto escatologico in cui viene inserito, ha un significato assai diverso dalla semplice «venalità del traditore (...) ulteriore elemento negativo nei confronti di Giuda».

Se l'Iscariota è dunque un semplice 'consegnatore' - oggi diremmo forse 'facilitatore' - si possono giustificare pure altri particolari del racconto evangelico. Per esempio come mai gli altri undici non si siano ribellati (Pietro era pur armato, si sa) allorché durante l'ultima cena Gesù rivela chi è colui che lo ‘consegnerà'. 

Oppure il celeberrimo bacio, che non sarebbe più un subdolo segno di riconoscimento bensì l'augurio del discepolo («Amico», lo definisce in quel contesto Gesù) al Maestro che andava verso la realizzazione del più volte annunciato regno. Caifa e gli altri tuttavia deludono le aspettative di Giuda e a loro volta 'consegnano' il Galileo a Pilato. 

A tal proposito gli autori del breve saggio avanzano qualche motivazione, tra cui la più credibile sembra quella che - se avessero davvero unto Gesù come Messia i sacerdoti avrebbero eccitato il popolo a una rivolta anti-romana e dunque provocato la conseguente repressione; invece è «meglio che muoia un solo uomo». Infine si capisce come mai, constatato l'esito completamente rovesciato delle sue azioni, l'Iscariota disperato abbia scelto di uccidersi.

Giacomo A. Dente per “il Messaggero” il 17 aprile 2022.

La Pasqua si avvicina con tutta la gioiosa irruzione, sul versante gastronomico, di sapori che parlano di primavera. Tantissime le ricette, molte delle quali cariche di significati simbolici: l'agnello ne è certamente un esempio, ma ancora di più lo sono le uova. Una rappresentazione altissima del loro significato simbolico si trova in un'opera di Piero della Francesca, la Pala Montefeltro conservata al Museo di Brera: la Madonna in trono con Gesù Bambino in grembo circondata da Santi e da Angeli. 

Lo sfondo è una abside monumentale con un grande uovo di struzzo sospeso sul capo della Vergine il quale, secondo consolidate tradizioni iconografiche, è simbolo dell'infinito e della vita. Un concetto che si è trasferito non a caso nell'Uovo di Pasqua. Il dono pasquale delle uova (in questo caso svuotate e colorate) esiste da tempi immemorabili nella tradizione ortodossa, uova sode con ghirlande di fiori erano un rito diffuso nella Germania medioevale.

LE ORIGINI

L'impiego salato delle uova, non è peraltro meno diffuso anche nella tradizione regionale italiana, come è il caso della Pasqualina genovese. La sua origine è molto antica e si fa risalire agli entremets che venivano serviti nei banchetti di corte tra le portate principali, anche per consentire spettacoli di musica e di danza, o esibizioni di giullari.

Secondo Paolo Lingua, grande storico della cucina genovese, il ripieno, a parte le uova, prevedeva le biete o, in una versione più alta, i carciofi, secondo una tradizione di magro che la differenziava dalla torta Fieschi, che era invece ripiena di carne. «In antico - spiegano da Renato, luogo mitico della pasta fresca nel centro di Santa Margherita Ligure - questa torta prevedeva di stendere la sfoglia e di impiegarne trentatré strati, richiamo simbolico agli anni di Cristo, ma oggi si gioca più leggeri».

Enzo Piccirillo, ultima generazione della Masardona, mezzo secolo di storia, vertice della pizza fritta a Napoli, spiega «tutte le nostre torte salate hanno una duplice funzione, a tavola in famiglia, ma anche nelle scampagnate. I Tortani e i Casatielli, sono simili, ma non uguali, tuttavia. Certo, ci sono le uova, i formaggi, i salumi e il formaggio, ma nel Tortano, di origine più borghese, le uova entrano nell'impasto, mentre nel Casatiello dalla tipica forma a ciambella sono apposte con delle croci di pasta sulla sommità, come simbolo della corona di Cristo».

GLI ABBINAMENTI

Nelle scampagnate di Pasqua difficile prescindere dal Fiadone, un prodotto da forno con la caratteristica forma a raviolo, diffuso tra Abruzzo e Molise. Nella sua composizione entrano uova, vino e formaggio (il classico rigatino, della famiglia del pecorino) con un abbinamento felice coi salumi. Sempre formaggio anche nei Flaounes di Cipro, molto buoni anche freddi.

L'Umbria delle torte salate pasquali si racconta con la storica pizza al formaggio. «Noi la chiamiamo anche crescia - spiega Raffaella Fuschiotto, storica fornaia di Montegabbione, un borgo di poche anime a due passi dall'antico castello feudale di Montegiove nell'Alto Orvietano - Oggi si tende ad alleggerire tutto, e quindi pepe e strutto sono pian piano quasi spariti, ma questa torta da scampagnate, buona tutto l'anno, deve accompagnare la corallina, la lonza, meglio ancora, e soprattutto chiamare il vino, come dicevano i nostri nonni».

NON DI SOLO PANE. Il digiuno del Venerdì Santo e le nuove penitenze alimentari. CLAUDIO FERLAN su Il Domani il 14 aprile 2022.

Venerdì Santo, giorno della passione e morte di Gesù, è per i cristiani (non solo i cattolici) praticanti il giorno della penitenza per eccellenza, e per una buona penitenza le prime cose da fare sono state per secoli il digiuno e l’astinenza.

Digiuno significa stare lontani da qualsiasi cibo e qualsiasi bevanda (per l’acqua può valere l’eccezione) per un periodo determinato: un mese, un giorno, una parte della giornata.

Astinenza significa togliere dalla tavola specifici alimenti, di norma quelli considerati più appaganti e nutrienti (insaccati, affettati, bistecche, dolci, alcolici). 

CLAUDIO FERLAN. È ricercatore nell’Istituto storico italo-germanico della Fondazione Bruno Kessler di Trento. Con il Mulino ha pubblicato Dentro e fuori le aule. La Compagnia di Gesù a Gorizia e nell’Austria interna (2013), I gesuiti (2015), Sbornie sacre, sbornie profane. L’ubriachezza dal Vecchio al Nuovo Mondo (2018), e Venerdì pesce. Digiuno e cristianesimo (2021).

Carlo Ottaviano per “il Messaggero” il 12 aprile 2022.

Togliamoci subito il dente e poi torniamo alle tradizioni. Siete vegetariani, detestate la strage di animali che si ripete ogni anno, avete esigenze dietetiche, altro: insomma, qualunque sia la motivazione per evitarlo, ma vi attira in bocca il gusto di agnello a Pasqua, eccovi serviti. Nei supermercati e nei negozi specializzati è facile trovare la carne vegetale. 

 Ormai c'è chi riproduce sapore e consistenza degli ovini mixando soia, tofu, tempeh (fagioli di soia fermentati e speziati assieme al seitan, l'impasto di glutine di frumento o di farro). Una start up svizzera si chiama Planted - ha creato gli straccetti di carne non carne che imitano l'agnello (seppure meno pungente nel sapore). Sono fatti con acqua, proteine dei piselli, olio di colza, fibre di piselli, spezie, sale, lievito e vitamina B12.

Nonostante il ricorso alla carne sintetica, in questa sola settimana il consumo di agnello sarà comunque il 40% del totale dell'intero anno (4,5 milioni di chili nel 2021). Perché sulle tavole di Pasqua da sempre la tradizione pretende il piccolo della pecora non ancora svezzato (attenzione, non il capretto).

Nell'antichità il suo sacrificio placava l'ira degli dei e indicava l'arrivo della primavera; nel mondo ebraico la Pesach è il simbolo della liberazione dall'Egitto grazie a Mosè; per i cristiani rappresenta Gesù che assume su di sé i peccati del mondo; nella tradizione musulmana, l'Aïd al Kébir è la festa del Sacrificio in ricordo di Abramo. Ovviamente c'è anche una motivazione più pragmatica che accomuna tutti: i pastori nomadi dovendo cambiare pascoli con l'arrivo della buona stagione, preferivano sopprimere gli esemplari maschi (inutili, non producendo latte).

Ogni regione italiana ha le sue ricette tipiche, spesso più o meno simili. Come nel caso dell'agnello brodettato  in uso a Roma, Abruzzo e in alcune zone della Puglia. Solitamente è preparato appassendo la cipolla con prosciutto e burro, insaporendo con pepe e noce moscata e aggiungendo i pezzi di agnello.

Moltissime ricette prevedono tra gli ingredienti le uova, simbolo di rinascita e continuità (Cristo risorto, appunto) e perfezione. Inutile dire che i grandi chef amano invece sbalordire con le loro innovazioni. A Chiusi Katia Maccari (1 stella nel suo I salotti) con il ragù di agnello condisce i fusilloni con carciofi cotti sotto la brace e ricotta affumicata. A Roma lo stellato Domenico Stile (Enoteca la Torre a Villa Laetitia) prepara l'agnello alla Villeroy, salsa di champignon alla senape e millefoglie di patate.

Comunque decidiate di prepararlo, la prima cosa da fare è eliminare l'intenso odore con l'ammollo per un'intera notte in acqua e limone. Tolto l'odore, è bene marinare i tagli scelti (la sella, il carré con le costolette e il cosciotto, la spalla, lo stinco, il collo e il petto) cosparsi con erbe aromatiche (timo, rosmarino e menta). Alla scuola de La Cucina Italiana suggeriscono di aggiungere anche bacche di ginepro, pepe nero in grani, foglie intere di salvia e alloro, una cipolla di media grandezza a fette sottili e due spicchi di aglio interi. Prima di coprire il contenitore, vanno versati due bicchieri di vino bianco e mezzo bicchiere di olio extra vergine di oliva. Nella decina di ore in cui la carne resta in frigo, è bene girarla di tanto in tanto per farla marinare uniformemente.

Gemma Gaetani per “La Verità” l'11 aprile 2022.

La battuta definitiva sull'uovo di Pasqua è in un meme che circola in questo periodo sui social network, ritrae una tavoletta di cioccolato e recita: «L'uovo di Pasqua del terrapiattista». Comicità a parte, l'uovo di Pasqua, prima un vero uovo, oggi un uovo di cioccolato con dono all'interno, è un'istituzione del cibo festivo italiano, non meno di colomba e panettone. 

Festivo e, non da oggi ma ancora oggi, cristiano. Intendiamoci, la potente simbologia dell'uovo come contenitore di vita non nasce con la cristianità. L'uovo, simbolo cosmogonico nell'India, Africa, America ed Europa antiche indagato anche da Mircea Eliade, diventò poi rappresentante della rinascita della natura in primavera. Con questo significato si donavano le uova di gallina a fine inverno già in epoca pre cristiana. Poi, la cristianità adattò la simbologia a significare anche la rinascita, o meglio la Resurrezione, di Gesù. 

In Mesopotania i primi cristiani, scrive Wilson D. Wallis in Culture and progress, coloravano con erbe le uova di rosso in ricordo del sangue versato da Gesù sulla croce. Ancora nel Medioevo, per la festa della Resurrezione ossia la Pasqua si donavano uova di gallina, magari decorate, che con il tempo, gli influssi culturali che vedremo, il consumismo, la civiltà dell'abbondanza, la rivisitazione di usanze e ricette e la laicizzazione di festività in precedenza religiose o la semplice evoluzione di tradizioni storiche sono diventate di cioccolato. 

E quello che, accanto ai cristiani che festeggiano la Resurrezione, altri celebrano oggi non è la rinascita di Gesù, ma solo quella primaverile: l'uovo non rappresenta la perpetuazione divina della vita di Gesù ma il guscio di un regalo. Oltre che la lavagna ideale per la brandizzazione. Brandizzazione che avviene a due livelli. Il primo trasforma l'uovo di Pasqua in uovo di Pasqua di, per esempio, Ernst Knam. Che il sommo pasticcere tedesco-milanese firmi il suo uovo è comprensibile ed è bello scoprire, ogni anno, la sua nuova collezione pasquale.

Collezione pasquale? Sì, anche chef e pasticceri ideano e propongono novità in virtù delle stagioni e di vari altri appuntamenti, non solo gli stilisti. Il secondo livello è quello della brandizzazione da parte di outsider del food professionale, fenomeno di sfruttamento commerciale di un nome famoso per altri motivi. C'è poi l'uovo fatto d'altro, come l'uovo di Pasqua che in realtà è un caciocavallo pieno e con una soppressata del Vallo di Diana all'interno, nascosta nel cacio come facevano gli emigranti meridionali del Novecento per portare gli insaccati all'estero.

Si chiama Uovo di Cacio Emigrante e lo fa il Caseificio S. Antonio di Sala Consilina. C'è anche il Cacio Uovo Di Santo, un caciocavallo a forma di uovo di Pasqua e come tale incartato ideato nel 2012 dal caseificio Di Santo di Cesa. Elaborare una materia atipica, alimentare o meno che sia, cioè non usare uova vere e nemmeno uova di cioccolato può sembrare un'idea tutta odierna, ma in realtà già nel Medioevo (oltre a decorare con fiori e foglie uova vere) i nobili si scambiavano uova artificiali rivestite di platino, oro e argento.

Usanza magnificata dall'orafo Peter Carl Fabergé che nel 1885 fu incaricato dallo zar Alessandro III di Russia di creare per la Pasqua un uovo gioiello per la zarina Maria Fëdorovna. Egli ideò un uovo di platino smaltato di bianco contenente un tuorlo d'oro che a sua volta conteneva due regali, una piccola corona imperiale con rubino a forma d'uovo e una gallinella d'oro.

L'uovo di Fabergé divenne leggendario, da allora ne sono state creati tanti altri, tutti meravigliosi, e sulla scia di questa leggendarietà si è diffusa - gli influssi culturali di cui sopra - la tradizione del dono all'interno dell'uovo di cioccolato. 

L'impatto sul pesoforma dell'uovo di Pasqua di cioccolato non è eccessivo, poiché lo mangiamo solo a Pasqua. Inoltre, lo spessore del cioccolato modellato a uovo è circa 1/4 di quello di una tavoletta.

Un uovo può pesare tra i 150 e i 300 g e le sue calorie dipendono dal cioccolato col quale è fatto. Cioccolato extrafondente, fondente, al latte, bianco: sono questi i gusti classici (anche se si sta diffondendo la moda di rivestire l'interno o l'esterno del cioccolato di semi oleosi o frutta secca).

È importante non esagerare e mangiarne un tocchetto, da 20 a 40 g, dose ideale di cioccolato in generale. Un tocchetto di cioccolato è il classico quadrato in cui sono divise le tavolette. Il cioccolato fondente, con percentuale di cacao tra 43 e 69%, ha 546 cal ogni 100 g. Il cioccolato extrafondente, cacao dal 70%, ha 550 calorie, il cioccolato al latte 535 e il cioccolato bianco 539. Consumare 42 grammi di cioccolato con 81% di cacao cioè extra fondente al giorno, abbinati ad una buona dieta dimagrante, fa perdere il 10% in più di peso rispetto alla diminuzione ponderale legata soltanto ad un regime ipocalorico. 

Ciò dipende da un antiossidante che brucia i grassi e migliora la massa muscolare, cioè il flavonolo epicatechina. L'esercizio aerobico aumenta il numero di mitocondri nelle cellule dei muscoli e l'epicatechina del cacao fa la stessa cosa. L'ideale, comunque, resta coniugare il consumo di (poco) cioccolato a una dieta a basso impatto calorico e/o l'esercizio sportivo.

Se aggiungiamo cioccolato, magari in grandi quantità, a una dieta che ci fa ingrassare, ovviamente non potremo perdere peso Però, nei giorni di Pasqua, che nella specificità cristiana sanciscono anche la fine della Quaresima, non è il caso di stare a pesare l'alimentazione con la bilancia. Il cioccolato, sempre un po', fa bene anche per altri motivi: ha effetto antidepressivo, perché aumenta la produzione di endorfine e serotonina, ha effetto antietà perché i suoi flavonoidi e antiossidanti migliorano la compattezza della pelle, contrastano i radicali liberi e l'invecchiamento cellulare, fa bene al cuore. Insomma, buona Pasqua e Buon uovo di Pasqua!

Marino Niola per la Repubblica l'11 aprile 2022.  

I riti vanno in Rete e la Passione diventa virale.

Nell' era di Internet le processioni della Settimana Santa vengono seguite da milioni di internauti che da ogni parte del mondo assistono in tempo reale a quello spettacolo del sacro che trasforma piazze e borghi d' Italia in teatri di strada per anime sensibili. I rituali pasquali più celebri e scenografici sono diventati negli ultimi anni dei veri e propri "monumenti" immateriali, in cui cultura di massa e cultura popolare, antiche liturgie e nuove tradizioni hanno intrecciato i propri segni. In Italia sono più di tremila le rappresentazioni popolari della Via Crucis. 

Dagli Incappucciati di Sorrento che sfilano come ombre nella notte profumata della Costiera, allo scoppio del carro di Firenze che incendia il duomo più bello del mondo come una santabarbara. Dai Perdoni di Taranto, con i penitenti scalzi che avanzano dondolandosi nel labirinto della città vecchia, ai Pasquali di Bormio, in Valtellina, dove le portantine allegoriche a sfondo religioso vengono portare a spalla fino al centro del paese. 

Dai Misteri di Procida, che fanno calare sull' isola un velo di luttuosa solennità, alla Corsa della Resurrezione di Tarquinia, dove la statua di Gesù viene fatta correre per le vie della città. Dal drammatico Iscravamentu (Deposizione) di Alghero, con la statua snodabile del Redentore che il Venerdì Santo viene staccato dalla croce e portato in processione dalle Confrarías, le confraternite di incappucciati venute da tutta la Sardegna e anche dalla Catalogna. Fino al Vasa vasa di Modica - che ha ispirato il soprannome dell' ex presidente della Regione siciliana Totò Cuffaro - dove la domenica di Pasqua la statua della Madonna incontra quella del Figlio risorto per la tradizionale vasata, il bacio di giubilo che trasforma il rito in festa. 

Sono migliaia i siti, ma soprattutto le pagine su social network come Facebook e Instagram, nonché le piattaforme di video sharing come Vimeo, impegnati in questi giorni nella diffusione urbi et orbi delle nostre ritualità religiose tradizionali. Con l' effetto di dilatare lo spazio festivo trasformandolo in spazio immateriale. 

In un nuovo luogo di condivisione, in grado di mettere insieme attori e spettatori della cerimonia, dando vita così a forme inedite di comunità. In questo senso la straordinaria capacità di connessione della rete consente di allargare i confini materiali del Paese anche a chi ne è lontano, come nel caso degli emigrati e di ricostruire delle collettività virtuali.

Non a caso molti comuni, come Caltanissetta, Canosa di Puglia, Mantova e tanti altri, ricorrono alla diretta streaming per documentare l' evento e trasformare il locale in glocale. La comunità materiale in community virtuale. Il face to face paesano in face to facebook planetario. 

Così il richiamo dei rituali della Settimana Santa, che a uno sguardo superficiale potrebbe apparire un arcaismo destinato ad essere rottamato dalla secolarizzazione imperante, trova nuove ragioni di popolarità. Forse è proprio la società della connessione permanente, sempre all' inseguimento affannoso dell' attimo fuggente, a produrre una domanda di raccoglimento, di pace interiore, di tempi lunghi, come quelli del rito, del sacro, del legame comunitario. Una tregua con noi stessi e con gli altri.

Il fatto è che il nostro quotidiano è sempre più convulso, superficiale, fatto di relazioni occasionali. Un' esistenza all' insegna del last minute, una rincorsa continua che ci lascia giusto il tempo per guardarci allo specchio, ma ci sottrae quello per guardare dentro di noi. 

Ebbene, in un contesto del genere, il rito valorizza le ragioni dell' essere rispetto a quelle dell' avere. Dà forma a quella domanda di profondità che resta per lo più inevasa in fondo al nostro cuore. Ci fa sentire protagonisti di un tempo diverso da quello quotidiano, finalmente scandito da relazioni più vere.

Realizzando così il significato più antico della parola religione che, sin dalla sua etimologia, ha a che fare con l' essere insieme, con la solidarietà, lo scambio, la comunione, il legame. È questa insomma la ragione del fascino della Settimana Santa reale e virtuale. È come se il passo lento e severo dei riti della Passione ci mostrasse la possibilità di un cambio di velocità, che rigenera la parte più profonda di noi. Lo spirito del tempo festivo ci fa essere ciò che non siamo tutti gli altri giorni. E in questo senso ci fa vivere un' autentica esperienza di resurrezione. Anche con l' aiuto di Internet. Che lascia intravvedere la possibilità di un' ecumene digitale.

Puglia e Basilicata, ecco i Riti della Settimana Santa tra tradizione e fede. Da Taranto a Gallipoli, passando per San Marco in Lamis fino a Barile in Lucania: la tradizione delle processioni e dei cortei che rievocano gli ultimi momenti della vita di Cristo in occasione della Pasqua. Redazione online su La Gazzetta del Mezzogiorno il 14 Aprile 2022.

La Gazzetta del Mezzogiorno vi racconta i riti della Settimana Santa tra tradizione e fede vissuti in Puglia e in Basilicata. Da Taranto a Gallipoli, passando per San Marco in Lamis fino a Barile in Lucania: la tradizione delle processioni e dei cortei che rievocano gli ultimi momenti della vita di Cristo in occasione della Pasqua.

QUI TARANTO 

Escono «le Perdùne» e la città si ferma. Dopo i due anni di lockdown imposto dalla pandemia tornano i riti della Settimana Santa tarantina. Una tradizione secolare nata quando le strade erano illuminate da lampioni a petrolio, sposata ora alle più moderne tecnologie. Oggi, Giovedì Santo, alle 15 in punto, inizia il pellegrinaggio con l’uscita della “prima posta” di perdoni dalla chiesa del Carmine. I confratelli partecipano indossando l'abito di rito, scalzi e con il cappuccio calato sul viso. L'adorazione ai "sepolcri" o, meglio, agli Altari della Reposizione, consiste nel visitare le chiese del borgo e della città vecchia in abito tradizionale, incappucciati, scalzi e con il cappello intesta, cingendo in una mano il Rosario e nell'altra il bordone. Caratteristica del "pellegrinaggio" dei confratelli è il rito “d’u salamelicche”. Quando si incrociano, i perdoni si tolgono i cappelli facendoli scivolare sulle spalle e si ossequiano a vicenda, tra il tintinnio dei medaglieri. L’ultima posta ad uscire dalla Chiesa del Carmine è ‘u serrachiése per indicare appunto il compito di chiudere, ovvero serrare, le chiese per l’approssimarsi della notte.

Questa sera il borgo antico sarà illuminato a giorno per la processione dell’Addolorata. Il colpo d’occhio che la folla offre sul pendio S. Domenico è eccezionale. In fondo, si scorge lo sguardo stralunato dei turisti e un formicolio di ceri accesi. Il corteo muove a mezzanotte dalla chiesa di San Domenico, accompagnato da migliaia di fedeli. È la tròccola lo strumento che detta l’andatura, seguita dalla banda e dalle «pesàre», la coppia di bambini che portano sotto il mantello nero delle pietre a ricordo di quelle che furono lanciate al Cristo durante la sua via Crucis. Poi la Croce dei Misteri e le poste, intervallate da tre crociferi scalzi e senza mozzetta. Sul buon andamento del corteo vigilano i mazzieri, che sono gli unici a non fare la nazzecàta. La processione è chiusa dalla statua dell’Addolorata, fissata su una base di legno e portata a spalle dalle «sdanghe». Il simulacro della Vergine ha un volto meraviglioso, ma da esso trasuda tutta la sua sofferenza di mamma.

Una sola chiamata per il simbolo delle «Sdanghe» a 30mila euro: dietro una storia di devozione speciale. «Gesù morto» assegnato per 70mila euro

Domani, Venerdì Santo, è il giorno dei «Misteri», la processione con più simboli, a cura della Confraternita del Carmine. Alle 17 si spalanca il portone della chiesa e l'evento ha inizio. I simboli che raffigurano la via Crucis sono la tròccola, il Gonfalone, la Croce dei Misteri, Gesù all’Orto, Gesù alla Colonna, Ecce Homo, la Cascata, Il Crocifisso, la Sacra Sindone, Gesù Morto e l’Addolorata.

Tra una statua e l’altra sono collocate alcune poste, mentre le bande si dispongono dietro la tròccola, la Sacra Sindone e l’Addolorata. Al rientro, la mattina di Sabato santo, i confratelli, nonostante la fatica, con la fronte livida, le spalle indolenzite e gli occhi assonnati, rallentano il passo. Nel dolore trovano la forza dell’ultimo abbraccio.

La Settimana Santa, le sue suggestioni, il suo fascino, provocano una fortissima concentrazione religiosa. La città si mobilita per i riti, riscoprendo le sue tradizioni come se fosse una prima volta. Segni, parole, gesti, sguardi, fotogrammi che sprigionano una grande forza di coesione. I due cortei religiosi sono accomunati da un solo misticismo; perché si svolgono senza soluzione di continuità: una tre giorni infinita. E restano isolate e marginali le espressioni di esibizionismo o fanatismo, che pure non mancano.

La pietà popolare che si sviluppa durante la Settimana Santa privilegia alcuni momenti significativi del triduo sacro: tradimento, arresto, flagellazione, derisione, incoronazione di spine, viaggio al Calvario, crocefissione, sepoltura. Nella contemplazione del Cristo sofferente e crocifisso ogni uomo (ogni popolo) vede esaltati i propri dolori, la propria condizione umana, le proprie difficoltà e avversità, la propria storia.

Forse, proprio per questo, su tutte le processioni si impone il Crocifisso, verso il quale si levano gli occhi, i cuori, i pensieri, le preghiere. Gesù in croce è l’emblema di tutti i poveri cristi passati sulla scena della storia. Ma analoghe sono le espressioni della pietà popolare rivolte a Maria. I titoli con i quali è venerata ricordano la valenza spirituale, salvifica, della sua mediazione. Lei che ha sofferto, che è stata madre, profuga, senza casa, è capace di comprendere tutte le sofferenze e quindi di andare incontro a tutti i bisogni. [giacomo.rizzo]

LE FRACCHIE DI SAN MARCO IN LAMIS

A San Marco in Lamis, piccolo borgo del Gargano, tornano a bruciare, in occasione del Venerdì Santo, le Fracchie: grandi torce infuocate, fra i riti più caratteristici della settimana Santa in Puglia. Oggi alle 20 in Piazza Madonna delle Grazie, l’attrice Violante Placido, accompagnata dall’Ensamble «Suoni del Sud», racconterà questa singolare tradizione con un reading teatrale.

A MOLFETTA

A Molfetta, in provincia di Bari, i riti pasquali sono talmente sentiti che iniziano il venerdì prima della Domenica delle Palme, con la processione dell’Addolorata. La Vergine vestita di nero viene portata a spalla per le strade del paese a partire dalle 17.

La Banda suona il «Ti tè», una litania che descrive tutto il dolore di una madre che ha perso il figlio. La tradizione vuole che se una donna chiede un miracolo all’Addolorata e la sua preghiera viene esaudita, deve poi acquistare un velo nuovo per la Vergine. La processione più significativa è quella del Venerdì Santo, dove si portano in spalla cinque statue lignee rappresentanti i Misteri, risalenti quasi tutte al XVI secolo. La processione parte alle 3 del mattino. 

Incenso, immagini sacre e impressioni mistico sensoriali: un viaggio nelle parole di Claudio membro della storica organizzazione religiosa

QUI BRINDISI

La secolare rievocazione della «Madonna in cerca di Gesù» è una tradizione unica a Brindisi. La notte tra il Giovedì ed il Venerdì Santo a partire dalla Chiesa del Cristo due musicisti vagano nelle stradine del centro storico e per i crocevia della città, facendo risuonare la tromba, a simboleggiare il richiamo della Vergine, accompagnata dal ripetuto rullo di un tamburo. 

GALLIPOLI

Nel cuore del Salento, a Gallipoli, le processioni della settimana santa sono scandite dal ritmo incalzante della «trozzula», uno strumento in legno con battenti metallici.

All’alba del Sabato Santo la trozzula annuncia l’inizio della processione della Desolata. Poco dopo arrivano gli incappucciati, con saio e cappuccio bianco, mozzetta giallo paglierino e cingolo rosso, che precedono le statue del Cristo Morto, adagiato in un’urna dorata, e di Maria Desolata.

Il momento più commovente della processione è quando la Desolata ed il Cristo Morto si incontrano al largo della Chiesa per l’estremo saluto, con il mare e la spiaggia della Purità a far da sfondo ad una folla orante che contempla un momento di grande senso religioso.

A TRANI

Durante i Sepolcri del Giovedì Santo nella Cattedrale di Trani viene esposta l'ostia consacrata. Qui l’altare è ornato non solo con fiori e candele ma con piatti pieni di teneri germogli di cereali. Nel corso della solenne funzione religiosa officiata dall’Arcivescovo, il Santissimo esposto è abbellito da una massiccia urna d'argento, la cui chiave viene custodita dal sindaco della città, indossata al collo con un laccio d'oro.

IN BASILICATA

In Basilicata la più antica delle Sacre Rappresentazioni della Settimana Santa è quella di Barile con la sua «Zingara»: esempio di come il sacro si fonda con il profano. Sguardo fiero, quasi di sfida a Gesù, ricoperta di oro attraversa, la Zingara si muove in sincrono con la processione nel borgo lucano.

Venosa porta in scena invece le fasi salienti della Passione, fino alla Resurrezione davanti al Castello Pirro del Balzo. Gli incontri con la Madonna, la Samaritana e la Veronica sono al centro della Sacra Rappresentazione di Atella, mentre a Rapolla emoziona la scena della Crocifissione ambientata nel Parco Urbano delle cantine-grotte. Infine a Montescaglioso, nel materano, va in scena “La Processione dei Misteri”, un rito penitenziale che dura circa otto ore e ripercorre le stazioni della Via Crucis.

I RITI PASQUALI. Canosa, le donne con il velo e la Desolata: l'inno straziante della processione del Sabato Santo. Il simulacro della Santa Vergine attraverserà le vie principali della città della Bat. La colonna sonora è lo «stabat mater» intonato da oltre un secolo. Super ospite l’attore Lino Banfi insieme alla moglie. Paolo Pinnelli su La Gazzetta del Mezzogiorno il 16 Aprile 2022.

La preparazione alla Pasqua a Canosa non si conclude il Venerdì Santo, con la processione dei Misteri, ma oggi Sabato Santo, e precisamente a mezzogiorno. A quell’ora si conclude la processione della «Desolata», accompagnata da uno straziante e tipico inno cantato da oltre trecento ragazze col volto coperto da un velo nero. Alcune anche scalze.

Il simulacro della Santa Vergine Desolata, venerata nella chiesa dei santi Francesco e Biagio, viene portato in processione in una suggestiva e coinvolgente cornice che la rende unica non solo nel Nord Barese.

La processione parte di prima mattina. Fino a due anni fa si apriva sempre con una folta schiera di bambini vestiti da angeli che portavano gli oggetti e le frasi che rappresentano la passione di Cristo. Bambini che quest’anno non ci saranno per le restrizioni dovute alla pandemia, che per due anni ha privato la città di questo evento. La statua della Madonna Desolata che piange il Figlio sulla croce, consolata da un angelo, attraverserà le vie principali della città, seguita dal vescovo mons. Luigi Mansi, dal parroco della chiesa di San Francesco, don Carmine Catalano e da don Antonio Turturro, il viceparroco. La statua è stata restaurata più volte: danneggiata nel 1943, nel bombardamento subito dalla città il 6 novembre, nel ’53 venne completamente rifatta.

Ma quello che attrae, commuove e rende unica la processione è il coro delle oltre trecento ragazze - diretto dal 1966, dal compianto maestro Mimmo Masotina e ora da suo figlio Ezio - che accompagna il simulacro. Il testo originale è quello classico dello «Stabat Mater» di Jacopone da Todi, ma è la musica a caratterizzare l’Inno canosino alla Desolata, opera del canosino Domenico Iannuzzi (1862-1929), primo clarinetto concertista della Banda Conte di Torino.

Lo «Stabat Mater» scandisce inconfutabilmente, da un secolo, il Sabato Santo canosino, momento di incontro degli emigrati che in tanti, ancora oggi, tornano in città proprio per le festività pasquali. E tra loro non mancherà, quest’anno, anche un canosino d’eccezione: l’attore Lino Banfi con la inseparabile moglie Lucia, arrivato in città per l’immancabile occasione.

Venerdì Santo a Taranto: la consegna della troccola per la processione dei Misteri. Giacomo Rizzo su La Gazzetta del Mezzogiorno il 15 Aprile 2022.

Don Marco Gerardo padre spirituale della Confraternita del Carmine di Taranto consegna la troccola per la processione dei misteri: si avvia così la seconda giornata di processioni nell'ambito della settimana Santa tarantina.

Nel video è immortalato il suggestivo atto della consegna della troccola che precede l'avvio della processione dei Misteri a Taranto. Poche parole da parte di don Marco Gerardo e del priore del Carmine, Antonello Papalia, in preparazione del corteo religioso. Il crepitacolo, che detta l'andatura del corteo, è stato consegnato al confratello Giuseppe Caso, che si è aggiudicato l'ambito simbolo nella "gara" della Domenica delle Palme. Presenti anche il prefetto Demetrio Martino e il commissario prefettizio del Comune Vincenzo Cardellicchio.

Dopo questo atto, il portone della chiesa del Carmine si spalanca, il troccolante appare sulla soglia a volto scoperto - ma di lì a pochissimo il cappuccio gli verrà calato sul volto - e scatta l’applauso della piazza. Quindi, l’uscita delle otto statue. La processione rientrerà nella mattinata di domani, sabato santo, e chiuderà il triduo pasquale.

Dalla Liguria alla Sicilia, i riti della Settimana Santa. Angela Leucci l'8 Aprile 2022 su Il Giornale.

Nelle diverse regioni italiane, nel corso della Settimana Santa, si svolgono riti antichi e suggestivi: dalle palme intrecciate alle caremme.

Le tradizioni della Settimana Santa sono particolarmente sentite in Italia. Non solo perché è un Paese a stragrande maggioranza cattolica ma anche perché queste tradizioni rappresentano molto spesso le radici di un determinato luogo.

I riti sono tanti e partono dalla domenica che precede la Pasqua per trovare il loro culmine tra il Giovedì e il Venerdì Santo. C’è infatti molto altro oltre alla classica “ultima cena” con il pane benedetto e la lavanda dei piedi che vengono riproposte in moltissime parrocchie: dette tradizioni costituiscono un ricco mosaico culturale che rappresenta l’identità di molte città e paesi in questo periodo dell’anno.

La Domenica delle Palme 

La Domenica delle Palme, nella liturgia cattolica, ricorda il momento dell’ingresso di Gesù a Gerusalemme, quando il figlio di Dio venne accolto da una folla che lo salutò con palme intrecciate. Le palme intrecciate sono una caratteristica di molti luoghi d’Italia, in particolare in Sicilia, nella zona di Bordighera e Sanremo in Liguria (dove prendono il nome di parmureli), e in Sardegna, dove sono particolarmente scenografiche e si chiamano tessidura de pramma o prammas pintandas. In Costiera Amalfitana, insieme alle palme, vengono intrecciati invece confetti e piccoli fiori di carta.

In Calabria accade invece qualcosa di molto speciale. Vengono infatti prodotte, a partire dall’intreccio delle palme, delle pupazze, figure femminili in cui vengono utilizzati anche rami e foglie d’ulivo. Le pupazze sono in realtà, come spesso accade nelle tradizioni religiose italiane, uno dei punti di contatto tra l’antichità pagana della Grecia e di Roma e il mondo cristiano: la pupazza incarna infatti Persefone, la dea triforme che appare sulla terra a primavera. Nel borgo di Bova si svolge una peculiare processione con le pupazze oppure esse vengono apposte fuori dalla porta di casa come simbolo benaugurante.

I Sepolcri 

C’è una tradizione del Giovedì Santo, diffusa in Sicilia, Puglia, Calabria, Campania, Lazio, Liguria e Sardegna, che si ripete e perpetua ogni Giovedì Santo. Dopo la messa con la lavanda dei piedi e la benedizione del pane infatti, gli edifici di culto restano aperti spesso fino a tardissima ora per permettere ai fedeli di visitarli. Qui si potranno ammirare i “sepolcri” o Altari della Reposizione, particolari sistemazioni scenografiche degli altari maggiori (o comunque degli altari in cui non si trova il Tabernacolo): qui viene posta in via eccezionale l’urna con l’Eucarestia, oltre che elementi simbolici della cristianità.

Tra questi elementi ci sono fiori e soprattutto germogli di grano o legumi che, nelle settimane precedenti, vengono fatti crescere al buio in modo che restino bianchi impedendo quindi la fotosintesi clorofilliana. In Liguria invece, a farla da padroni sono i cartelami: si tratta di tele o cartonati sagomati, che ritraggono temi biblici inerenti alla Passione.

Solitamente si visitano le chiese in un numero di 5 o 7, che corrispondono rispettivamente alle piaghe di Cristo e ai dolori della Madonna. Naturalmente nei paesi in cui il numero di chiese è inferiore, si usa visitarle in numero dispari. In molte chiese viene esposta la statua della Madonna Addolorata: completamente vestita di nero, spesso con sontuosi pizzi antichi, reca con sé nell'iconografia un cuore trafitto.

Le processioni dei Misteri

Prende il nome di processione dei Misteri una particolare Via Crucis che si svolge il Venerdì Santo in alcune località italiane, soprattutto nel Mezzogiorno. I Misteri che danno il nome al rito sono quelli cristiani della Passione, Morte e Resurrezione di Gesù, che viene portata tra le strade dei paesi grazie a statue suggestive che ne propongono le “stazioni”, dal giardino del Getsemani alla Resurrezione appunto. Le statue, condotte dai portatori, sono spesso tradizionali e antiche - alcune risalgono addirittura al XVII secolo - e sono realizzate da maestri artigiani per lo più in cartapesta o legno.

Una delle processioni più particolari è quella che si svolge a Trapani: inizia alle 14 del venerdì e termina 24 ore dopo, con una piccola pausa notturna. Le radici del rito risalgono addirittura al XVI secolo, ma a essere fortemente caratterizzanti sono soprattutto i movimenti dei portatori che fanno oscillare le statue in maniera simbolica.

Molto speciale è anche la processione di Valenzano, in provincia di Bari, dove i Misteri ammontano a oltre 50 statue. Sempre in Puglia ma più a Sud, a Gallipoli, insieme alle statue sfilano in processione i pescatori ma anche i penitenti. Questi ultimi sono incappucciati e scalzi a sottolineare devozione e umiltà. Restando in provincia di Lecce, a Maglie, insieme alle statue realizzate da Luigi Guacci, sono i bambini a portare in scena la Via Crucis in costume: ci sono dei piccoli Gesù con la loro croce, delle dolcissime Madonna Addolorata e non mancano le Veronica, ovvero la raffigurazione della santa che deterse il volto del Cristo durante la Passione.

La caremme 

Un’altra particolarità della Settimana Santa, questa volta tutta salentina, è il rogo della caremma. Si tratta di un fantoccio che ritrae un’anziana donna magra e completamente vestita di nero, a simboleggiare il lutto per la morte di Gesù Cristo e il digiuno caratteristico della Quaresima. Non a caso il suo nome, etimologicamente parlando, viene proprio da Quaresima.

Le caremme vengono appese o istallate fuori dalle abitazioni della provincia di Lecce e costituiscono un momento di grande folclore e al tempo stesso spiritualità simbolica. Vengono posizionate il Mercoledì delle Ceneri e con loro viene posta un’arancia con sette piume oppure una collana con sette taralli, emblema delle settimane che separano la fine del Carnevale alla Pasqua. Salvo, per motivi di sicurezza, la presenza di un forte vento che nel Salento non manca mai, il rogo avviene invece il Sabato Santo, come una sorta di buon presagio: Cristo sta per risorgere.

·        I Miracoli.

Lodovico Poletto per “la Stampa” il 14 dicembre 2022.

Ha pianto quattro volte la statua del Cristo. E il signor Enzo fa vedere i filmati.

«L'ultima stamattina, proprio mentre la portavamo via. Mentre andavamo a consegnarla alla Curia, come ci hanno chiesto di fare». Lacrime chiare, non di sangue come altre Madonne in giro per il Paese. «Lacrime vere, che sono un messaggio per tutti noi fedeli», asciugate con il fazzoletto già diventato reliquia. 

La scena è stata ripresa con i telefonini. La prima volta era l'8 dicembre. Alla periferia di Torino, in un parco proprio alle spalle della casa di caccia dei Savoia, a Stupinigi, un gruppo di fedeli stava recitando il rosario di fronte alla statua della Madonna.

Lo fanno tutte le sere quelli dell'associazione Luce dell'aurora. Si ritrovano qui, in uno spiazzo che è diventato tempio e dove dicono che la Madonna sia apparsa per sette anni. Apparizioni mediate da un uomo che allora era giovane e lavorava alla Fiat. E adesso non si fa più vedere. 

Lasciava - ricordano - messaggi di pace, di amore, di fratellanza. Nessun segreto sul futuro, nessuna rivelazione. Appariva accanto a una quercia, enorme. Ecco, attorno a quell'albero, nel tempo, quelli dell'associazione hanno sistemato statue e fiori. Hanno posato una decina di panchine per chi vuol restare lì a pregare e meditare. Poi hanno acquistato un pezzo di terreno e costruito una specie di tempio, dove c'era la statua del Cristo. Assi, teloni. Le mattonelle sulla terra.

E una teca, dove chi viene lascia le invocazioni alla Madonna, le richieste d'aiuto. La foto di una bambina che non può più camminare. Quelle di un giovane che ha perso la vista. I foglietti scritti da gente semplice: «Per favore madonnina aiutami in questo periodo brutto per la morte di Boja». «Una preghiera per mia zia Linda che ha il cancro. Ti prego con tutto il cuore». La cassetta d'acciaio, ancorata con un lucchetto enorme, per raccogliere le offerte. 

Non è mai diventato Lourdes, non ci sono mai stati miracoli. Ma la voce è corsa e i fedeli sono arrivati in questo posto che è periferia, accanto a una statale ipertrafficata. Comitive e singoli. Come Francesco, 54 anni, che alle tre del pomeriggio si aggira cercando il Cristo che piange. E racconta che lui era lì una notte con degli amici: «A un certo punto ho visto un bagliore enorme: e poi c'era come una grande luce che è rimasta sospesa per un po'. Era la Madonna. Non so cosa volesse dirmi, ma da allora sono affezionato a questo posto».

Come Pasquale, che la fede, racconta, l'ha trovata tardi: «Ero in un supermercato. Ho visto una ragazza con occhi bellissimi e mi sono messo a guardarla. Lei si è avvicinata e mi ha detto che Dio mi stava cercando. Poi è scomparsa». In tanti sono arrivati qui, in questo luogo che non ha nulla di aulico, e il tempio è una baracca tirata su con un po' di assi e riempita con qualche sedia e un tavolo che fa da altare. Fuori c'è un giardino con un'altalena. Tricicli per bambini. Un telo verde che copre la terra, i messaggi con le parole della Vergine affissi sulla bacheca. 

«La Madonna va dove c'è gente che ha bisogno, dove c'è disagio. Porta la fede, ci chiede di migliorare», dice Giovanni, che a questo posto, e con grande umiltà, ha dedicato ogni giorno della sua vita negli ultimi 10 anni. Scusi, ma perché tutto questo è accaduto proprio qui? «Questo è un posto dove la notte accade di tutto, dove la gente viene a drogarsi, dove nei posteggi c'è mercimonio di sesso. La Vergine porta speranza». 

«E le lacrime del Cristo sono un altro segnale». Ma poi ascolti le parole di chi va e chi viene. E c'è chi dice che forse tutto ciò che è accaduto è opera del diavolo. E Francesco annuisce: «Io qui ho anche visto il diavolo» e si fa il segno della croce: «Padre, figlio e Spirito Santo». Poi sono racconti di viaggi extracorporei. Disquisizioni sul male e sul bene: «Dio non ama i ricchi e i potenti. Raffaella Carrà, glielo dico io, quando è morta ha visto l'Inferno».

Ma il Cristo che piange? La Curia su questo non parla. Ma si faranno esami tecnici sul liquido sgorgato, radiografie per scoprire se ci sono stati trucchi. Poi la commissione d'inchiesta diocesana si esprimerà sull'autenticità del fenomeno. L'ultima parola sarà comunque della Santa Sede (in particolare la Congregazione per la dottrina della fede). Forse ci saranno altri esami, oppure si attesterà il miracolo di Torino. 

Di questo posto che non è Lourdes, ma dove - dicono - la Madonna sia apparsa tante volte. Di questo posto dove dall'altra parte della strada, l'agée Eleonora, per 20 euro, si concede per 10 minuti. E sforna battute blasfeme. L'apparizione della Madonna e le lacrime del Cristo non sono contemplate.

Tutto il resto sì.

Miti e miracoli di Napoli: il sangue di san Gennaro nella fede. Il miracolo dello scioglimento del sangue di san Gennaro avviene attraverso una cerimonia, che si tiene a Napoli tre volte all'anno. Angela Leucci il 20 Settembre 2022 su Il Giornale.

A Napoli e più in generale in Campania molti nuovi nati ancora oggi prendono il nome in onore di san Gennaro. La devozione verso il santo patrono del capoluogo è tanta e tale da mescolarsi quasi al profano, alle tradizioni popolari, permeando diversi ambiti della quotidianità partenopea.

Ogni anno, tre volte all’anno, si tiene una solenne cerimonia per lo scioglimento del sangue di san Gennaro: accade nel sabato che precede la prima domenica di maggio, il 19 settembre, ossia il giorno in cui si commemora il martirio del religioso, e il 16 dicembre, ovvero l’anniversario dell’evento miracoloso in base a cui Gennaro fermò l’eruzione del Vesuvio nel 1631. La cerimonia si svolge nel duomo di Napoli, che ingloba la reale cappella del Tesoro di san Gennaro, all’interno della quale sono conservate le reliquie del patrono.

Chi era san Gennaro 

San Gennaro nacque il 21 aprile 272 e fu vescovo di Benevento. Vissuto nel periodo dell’imperatore Diocleziano, dovette subire, come gli altri cristiani, innumerevoli persecuzioni, tanto che le vicende agiografiche sul suo martirio riportano storie anche in qualche modo contrastanti.

Secondo la vulgata più nota e accreditata, Gennaro fu arrestato dal governatore Dragonzio durante una visita pastorale a Pozzuoli. Dragonzio ordinò che il religioso fosse sbranato dai leoni nel locale anfiteatro: ma i leoni si inginocchiarono davanti a Gennaro, e il governatore lo fece decapitare nella solfatara. Era il 305.

Un’altra versione abbastanza accreditata racconta che il viaggio pastorale di Gennaro fosse verso Nola, dove invece fu imprigionato e torturato dal giudice Timoteo, che l’avrebbe mandato a morire a Pozzuoli per decapitazione. Fu durante la decapitazione che una donna di nome Eusebia, devota alla cristianità, raccolse il sangue del santo in due ampolle, cosa che in realtà era un’usanza abbastanza diffusa all’epoca.

Che cos’è il miracolo di san Gennaro 

Le ampolle furono conservate a Napoli, dove nel 1305 Carlo II d’Angiò fece realizzare un prezioso reliquiario per la loro conservazione. Successivamente Roberto d’Angiò le fece collocare all’interno di una teca d’argento. In questo modo il sangue fu esposto ai fedeli per la venerazione. Ma, sebbene c'è chi dice che già sotto l’impero di Costantino sia iniziato a verificarsi il miracolo, sicuramente la prima liquefazione del sangue attestata risale al 17 agosto 1389: il territorio stava affrontando una dura carestia che finalmente si interruppe. E così il miracolo della liquefazione del sangue di san Gennaro divenne una leggenda associata a possibilità di serenità, benessere, tranquillità sociale.

Nei giorni in cui si svolge la cerimonia, l’autorità ecclesiastica mostra ai fedeli una delle ampolle in cui è conservato il sangue del religioso: l’ampolla viene mossa tra preghiere e attesa. A volte però le aspettative non vanno a buon fine e il sangue non si scioglie, ma spesso comunque il miracolo accade.

Come riporta Famiglia Cristiana, durante la cerimonia della liquefazione, si usano cantare oggi canti religiosi d’amore che riguardano l’affetto di Napoli per il suo santo patrono. Come ad esempio Magnifica gente, che recita: "Ma per i ragazzi che toccano il fuoco e possono bruciarsi, per questi ragazzi che stanno crescendo e vogliono imparare, per questi ragazzi che alzano le braccia e si vogliono salvare ci sta tutta la magnifica gente di questa città”.

Perché il sangue si scioglie 

La scienza non può spiegare fede e devozione: alla fede si giunge con il cuore. E quindi anche se nel tempo sono stati in tanti a cercare di spiegare il fenomeno, la scienza nulla può sul credo religioso, soprattutto in quello popolare come in questo caso.

Nei secoli in tanti si sono cimentati in una presunta spiegazione della liquefazione del sangue di san Gennaro: c’è chi ha parlato di utilizzo di calce o calore per il passaggio dallo stato solido a quello liquido, chi ha ventilato che la risposta fosse all’interno del clero di Napoli e perfino chi, come scrive l’agenzia Dire, ha parlato di assenza di sangue e di presenza di sostanze comuni che darebbero vita alla tissotropia, ossia lo scioglimento meccanico di un tessuto attraverso il movimento.

Quale che sia la risposta della scienza - una risposta definitiva che in realtà non è mai arrivata - l’atmosfera che si respira a Napoli nei giorni della cerimonia è particolarmente magica. E forse, antropologicamente parlando, non importa sapere come tutto avvenga. Sogno, magia, mito, leggenda, santità: sono tutti concetti di cui l’umanità ha sempre bisogno per continuare ad andare avanti.

Anticipazioni da "Oggi" il 13 aprile 2022.

La vera storia di Bernadette Soubirous, che a 14 anni, nel 1858 vede la Madonna nella grotta di Massabiele, alle porte di Lourdes, la racconta a OGGI (sul numero in edicola da domani) padre Alberto Maggi, teologo, religioso dell’Ordine dei Servi di Maria. E di Bernadette, diventata prima suora e poi canonizzata nel 1933, fa un ritratto che va oltre l’aureola. «La sua santità è indiscutibile. Bernadette incarna le Beatitudini: somiglia ai poveri in spirito come ai perseguitati per le umiliazioni che ha subito in convento», dice padre Maggi. 

«Ma questo non esclude i suoi difetti: è prepotente, permalosa, caparbia, ingenuotta, e all’occorrenza furba… E non corrisponde al modello della pastorella che ha visto la Madonna e alla giovane devota perennemente in preghiera. No, lei chiede se in convento può giocare a saltar la corda, tiene la fiaschetta di vino nell’armadietto, gusta il tabacco della sua tabacchiera».  

Padre Alberto Maggi ha studiato la storia di Bernadette, passando dall’infanzia alla famiglia (il padre finisce in prigione per furto), dalle 18 apparizioni alle lettere clandestine e affettuose che lei manda all’abbé Charles Bouin, ai maltrattamenti ricevuti in convento. E ha raccolto i suoi studi nel libro Bernadette - La vera storia di una santa imperfetta (in uscita in questi giorni per Garzanti).

Rivela padre Albero Maggi: «La vita religiosa non si addiceva a Bernadette, che era uno spirito libero. Lei scopriva la sua femminilità, si metteva una stecca nel busto per valorizzare il seno, la gonna a crinolina proibita dai preti». 

Medjugorje, svelati altri documenti sulle “guarigioni miracolose”: il parere del Vaticano. Milena Desanctis giovedì 6 Gennaio 2022 su Il Secolo d'Italia.   

Continua il dibattito su Medjugorje. Dal nuovo libro Processo a Medjugorje di David Murgia (edizioni Rubbettino) emergono nuovi dati. Come riporta il sito dell’Ansa.it, «dei dieci casi di presunta guarigione miracolosa sottoposti alla Consulta medica della Congregazione delle Cause dei santi, solo cinque sono stati esaminati perché giudicati attendibili; di questi quattro casi sono stati effettivamente sottoposti a un approfondimento perché ritenuti probabilmente inspiegabili. Solo due casi poi sono stati discussi perché correlati e accompagnati da seria documentazione medica. Ma nessuno è da considerarsi inspiegabile scientificamente». 

Medjugorje, la procedura seguita

Il sito Aleteia.it poi titola Il Vaticano: finora nessuna guarigione inspiegabile a Medjugorje. E spiega che si tratta di documenti che risalgono al 2013 e 2014. Nel sito si legge che «l’ordinaria procedura seguita dalla Congregazione delle Cause dei Santi, in tali evenienze, prevede, in relazione a ciascun caso all’esame, un primo step di valutazione da parte di un medico specialista che presenta una sua perizia al riguardo. Il successivo deve portare, poi, alla formulazione di un giudizio medico collegiale. In tale prospettiva si nomina un secondo relatore, incaricato di redigere un’altra perizia medica. Questa – assieme a quella già elaborata – viene successivamente discussa da una consulta medica composta da un Presidente e da sette specialisti, tra i quali vi sono i due autori delle precedenti perizie. Il caso viene, quindi, esaminato collegialmente e l’esito della valutazione è attestato in una relazione finale».

L’esame dei teologi

E poi ancora: «Se questa conclude per l’inspiegabilità del caso secondo i dettami scientifici, la parola passa ai teologi. Essi sono chiamati ad indagare sulle questioni di una fede vissuta nel concreto, valutando se esistano prove di un effettivo legame della vicenda con il soprannaturale, se, cioè, la persona malata (o chi per lei) abbia davvero chiesto un “intervento dall’alto”, ossia, nel fenomeno de quo, da parte della Gospa».

I casi esaminati

La Commissione d’inchiesta, riporta il sito Aleteia, «ha deciso di approfondire cinque casi di presunte guarigioni miracolose verificatesi a Medjugorje, in collaborazione con la Consulta Medica della Congregazione per le Cause dei Santi. Di questi, solo quattro sono stati esaminati (poiché la sintomatologia del quinto si presentava come una possibile conseguenza di shock emotivo/psicologico secondario all’evento traumatico subìto). Di questi quattro è stata compiuta una ulteriore scrematura: solo due sono stati discussi perché erano accompagnati da accurata documentazione medica e cartelle cliniche. Si tratta di casi molto noti tra i cosiddetti “medjugorjani” e giudicati come veri e propri miracoli».

E poi si legge ancora sul sito: «I due casi presi in esame, della signora D. B. e M. S., scrive Murgia nel libro “Processo a Medjugorje”, sono stati esaminati in un’unica seduta della Consulta medica il 19 settembre 2013». Ma «conclude Murgia, per la Consulta Medica della Congregazione per le Cause dei Santi non è avvenuta alcuna guarigione miracolosa a Medjugorje tra quelle esaminate».

·        I Dieci Comandamenti.

Il tribunale di Dio non ha prescrizione. Al Catechismo m’insegnarono, con petulante tenerezza, i Dieci Comandamenti. Michele Mirabella su La Gazzetta del Mezzogiorno il 25 Settembre 2022.

Al Catechismo m’insegnarono, con petulante tenerezza, i Dieci Comandamenti. A parte il perentorio e indiscutibile principio iniziale di autoaffermazione fomite di timore reverenziale, quasi tutto il resto è una sequela sacrosanta di proibizioni. Il buon Cristiano vi si dovrebbe attenere senza «se» e senza «ma». Ai bambini d’un tempo, le tavole ricevute da Mosè incutevano, con le austere ammonizioni, anche il terrore di pene immancabili in caso di infrazioni: prima tra queste la blanda e terrena corvée della Confessione. Il decalogo, espressione, di una Teodicea di cui facevamo fatica a cogliere il senso profondo, pur nella semplificazione della catechesi cattolica, erano tutti molto chiari ad eccezione di uno.

Finché si imponeva di «Non nominare il nome di Dio invano» o di «Onorare il padre e la madre» non potevamo che concordare e ratificare affettuosamente, lo stesso valeva per quel «Ricordati di santificare le feste» graditissimo agli scavezzacolli che eravamo che sapevamo come ubbidire alla raccomandazione. E chi poteva dissentire dal «Non rubare», «Non uccidere» o «Non dire falsa testimonianza»? Le cose ci facevano orrore ed erano già comprese nel minimo canone etico di ragazzini innocenti, «Parvuli» come ci piaceva crederci, in corsa verso il Maestro che nelle figurine del Parroco ci accoglieva a braccia aperte. Quanto a «Desiderare la roba d’altri», poteva anche accadere, ma amichevolmente, e la vertenza si esauriva nel condividere la gioia di un giocattolo. Le cose si complicavano con quel «Non desiderare la donna d’altri». Privi, come eravamo, di mogli, fidanzate o concubine, la proibizione ci lasciava indifferenti: preferimmo rimandare il corruccio ad età più consone a certi pruriginosi verbi ottativi.

Il vero problema si apriva tutte le volte che dovevamo impegnarci a «Non fornicare». Cosa diavolo voleva dire? (Qui il diavolo c’entrava proprio). Pudicizia magistrale, ritrosie di discepoli e vaghezza pretesca producevano perifrasi protocollari e generiche. Ai più piccoli doveva bastare: non dovevano fornicare e basta, anche se non sapevano cosa fosse. Ai più grandicelli che cominciavano a poter capire cosa perdessero rispettando il Comandamento, veniva ammannita qualche vaga ingiunzione a dormire con le mani sulle coperte, a non toccarsi, ficcando le dita nel buco della tasca, a far pipì rapidamente e senza inutili perlustrazioni idrauliche e, alle bambine, a non rispettare l’igiene troppo accuratamente e con troppa insistenza.

Fornicare. Chi non ha pensato che c’entrassero le formiche, le innocenti formiche? Almeno fino alla prima sbirciatina al Vocabolario, libro più laico ed esplicito del manuale di Catechismo. Più tardi qualche estensore furbo, ma sempre bacchettone, coniò quel «Non commettere atti impuri» che tentò di alimentare la sessuofobia degli anni della nostra adolescenza. Chi scrive, ma, ne sono certo, anche molti tra chi legge, quando capì le parole non smise di disubbidire a quel Comandamento e ancora non smette. Grazie a Dio.

Ma, a pensarci, noi non c’entriamo e non c’entrammo, non troppo almeno, con una pratica sessuale particolare, quella spiegata dall’etimologia e dispensata dalle prostitute romane al riparo nei «fornici», quegli anfratti a forma d’arco, del Colosseo, come vuole la storia papalina. Le sventurate avevano solo l’obbligo di impedire la vista dei curiosi insolventi con una tenda gialla. Il giallo divenne, così raccontano, il colore distintivo della corporazione e il fornice, l’innocente parola architettonica, offrì il destro semantico per il termine che indica le prestazioni erotiche a pagamento.

Architettura, edilizia, urbanistica e luoghi pubblici furono, dunque, connessi, loro malgrado, al mestieraccio. Succede pure oggi, a pensarci, anche se l’edilizia utilizzata è lussuosa, meno stilizzata: alberghi, residenze ufficiali, ville, finti stabilimenti clinico-ginnici e fintissimi centri benessere. Quanto di più lontano dalla monumentale austerità del Colosseo. In questa devastazione brutale della vita pubblica, non c’è gente che rubi, che desideri la roba d’altri, che uccida l’innocenza, che porti bestemmia alla giustizia umana e divina corrompendo e facendosi corrompere, che non amalgami tutto con il ludibrio del meretricio. E questa gente, definita «per bene» in discutibili scale di disvalori nel primo mondo, quello ricco a spese del secondo e terzo, spesso, ha dato la stura più recente al registro delle fornicazioni contabilizzate e contabilizzabili come pagamento di favori e di lavori in corso di «cene eleganti».

La gran parte delle magagne facilmente passano in prescrizione. Ci pregiamo di ricordare che tale istituto non cancella il reato commesso, ma lo considera non più perseguibile, archiviato dalla polvere del tempo nei suoi fornici, pur continuando a indicare i delinquenti come tali, anche se sgusciano via dai rotti delle cuffie delle procedure. Ma se aveva ragione il Catechismo, davanti al tribunale di Dio, al peccato non esiste la prescrizione.

·        San Francesco.

Da ansa.it il 26 settembre 2022.

E' una delle frasi citate da Giorgia Meloni questa notte nel discorso dopo i risultati che attestano la sua vittoria alle elezioni. Ma San Francesco non l'ha mai detta. E' quanto si legge in un articolo dello storico francescano, fra Andrea Vaona, postato sul suo blog ad aprile 2022 e rilanciato oggi dall'ex direttore di Tv2000 Lucio Brunelli. 

"Nei siti o nei social si propagano 'viralmente' anche frasi attribuite a san Francesco d'Assisi, ma che non risultano assolutamente né tra i suoi scritti né tra i detti che troviamo nelle sue biografie" scriveva lo storico francescano. "Ciò che duole è la difficoltà nel correggere gli errori pubblicati: quando segnalati, spesso la risposta è seccata, perché 'la frase è bella!...'" e "un confratello, saggiamente, per sdrammatizzare dice: 'spiritualità francescana da Baci Perugina'", sottolineava nel suo post fra Andrea Vaona.

"Cominciate a fare ciò che è necessario, poi ciò che è possibile. E all'improvviso vi sorprenderete a fare l'impossibile - non è di San Francesco d'Assisi", si legge nel blog del frate docente universitario di Storia ecclesiastica.

Umile, radicale, vicino agli ultimi. San Francesco, il santo che si fece piccolo e divenne grandissimo. Filippo La Porta su Il Riformista il 29 Maggio 2022. 

“Laudato sì, mi’ Signore, per quelli ke perdonano per lo tuo amore…” . Non ci rendiamo conto fino a che punto san Francesco – dal cui Cantico delle creature (che inaugura la letteratura italiana) abbiamo citato il verso – sia il santo della nostra epoca (come ha felicemente intuito papa Bergoglio). Benché il suo messaggio pauperistico contenga una verità inattuale, per noi quasi disturbante (si spoglia davanti a tutti e morirà nudo), san Francesco è pure attualissimo, un “democratico estremamente genuino”, come osservò Chesterton: “Non identificava gli alberi con il bosco, non voleva identificare le persone con la folla, per lui un individuo era sempre un individuo e non spariva nella folla”.

E ancora: non c’era mai nessuno, fosse il papa o un accattone, il sultano di Siria o i predoni che sbucano dal bosco “che guardando in quegli ardenti occhi scuri non abbia avuto la certezza che Francesco provava un sincero interesse per lui in quanto individuo”. Del resto anche nel Paradiso dantesco ogni beato ha la propria fisionomia inconfondibile, unica, individuale. Al Salone del libro è stato presentato un libretto prezioso su san Francesco a cura della rivista “Frate indovino”: Cantico delle creature. Dodici letture. Tra i molti contributi cito quelli di Moni Ovadia, Michele Serra, Maurizio De Giovanni, Daniele Mencarelli, etc. oltre a quelli di teologi, astrofisici, drammaturghi, piloti d’aereo, Confesso un lieve imbarazzo nello scoprire che il mio intervento si colloca accanto a quello di papa Francesco (“Dio è umile”), il quale – molto opportunamente – va subito al cuore della questione: san Francesco testimonia l’umiltà stessa di Dio che “per noi si è fatto piccolo”. Già, ma che significa davvero farsi piccolo? Torniamo a Dante e al canto XI del Paradiso.

Dante ha la incredibile audacia di mettere san Francesco al centro del cielo del Sole, cioè dei grandi sapienti (Alberto Magno, san Tommaso, Sigieri...), proprio lui, il folle, il giullare di Dio, il poverello di Assisi! Ora il santo si fece “pusillo” (piccolo) per limitare se stesso, per fare posto agli altri e per poterli amare. Più ridimensiono il mio io più faccio essere un mondo affollato di creature. In Dante il bene è precisamente dare realtà a cose e persone (una definizione che troviamo nei Quaderni di Simone Weil, che nella chiesa di Assisi ebbe una esperienza mistica). Agire bene non per obbedire a un precetto ma per far esistere di più il mondo intorno a noi, e si tratta di un mondo strapieno di esseri viventi.

L’Inferno dantesco è tutto sotto l’egida di Aristotele, dunque il valore più alto per il mondo pagano è la giustizia. Ma già il Purgatorio si ispira all’etica cristiana, alle Beatitudini del Vangelo: alla giustizia – che può anche avere un volto duro, intransigente – si contrappone l’amore (irragionevole, smisurato, in qualche caso anche “ingiusto”), la carità, il perdono incondizionato di cui parla san Francesco, in ciò davvero vicino ad una imitatio Christi: “Laudato si’, mi’ Signore, per quelli ke perdonano per lo tuo amore…”. La figura di San Francesco è stata fondamentale per Dante e per Giotto, artisti coetanei, nati entrambi a Firenze, inventori di un realismo potente e allegorico. E, a proposito di realismo, il “Cantico delle creature” ci trasmette subito una idea tangibile della percezione della realtà nel Medioevo. Nonostante le guerre e le pestilenze, nonostante la mortalità infantile altissima, etc. si riteneva che la vita fosse benedetta.

Una cosa difficile da capire per noi moderni. Dante è convinto di abitare un cosmo armonico e stabile, creato per amore (l’amore muove il sole e le altre stelle). E l’amore naturale è “senza errore”, come ci ricorda Virgilio nel XVII del Purgatorio: poi si corrompe e viene deviato quando diventa smodato o troppo flebile o rivolto a oggetti sbagliati. In questo senso non possiamo attualizzare Dante oltre il dovuto: resta un uomo del Medioevo, immerso nella metafisica aristotelico-tomista, con le sue granitiche certezze. Eppure Dio è presentato, all’inizio del Paradiso, come luce, dunque non come potenza. Ha creato il mondo “non per aver a sé di bene acquisto” ma – con un atto di amore gratuito – perché il suo splendore risplendesse nelle creature. Si compiace della nostra esistenza stessa, e della nostra libertà. Dunque, Dante al contrario di san Francesco non perdona, e anzi giudica (severamente) e condanna. Ma la sua poesia accoglie la realtà intera e perfino un personaggio come il conte Ugolino possiede una propria grandezza, benché la sua esistenza abbia deviato da un corso naturale.

Se un lettore attuale legge il “Cantico delle creature” e il canto XI del Paradiso dovrebbe anzitutto chiedersi: e io? Mi sono mai fatto pusillo? Mi sono mai “umiliato”, sia pure, come avviene nel santo di Assisi, gioiosamente e regalmente (Dante traduce l’”umilmente” di san Bonaventura in “regalmente”). L’autore della Commedia infatti rivolge un appello a ogni lettore, non ha scritto il suo poema per gli studiosi. Non voglio sottrarmi a questo imperativo. Mi sono mai fatto piccolo? Ora, credo che verosimilmente il mio io, come peraltro quello di intellettuali, scrittori, letterati, etc. sia un io ipertrofico, smisurato, sempre alla ansiosa ricerca di riconoscimento pubblico e di visibilità. Però mi ritrovo ad avere una natura incline alla distrazione, in forme quasi patologiche.

In questo caso un difetto può coincidere con una virtù. Mi salva la distrazione! A volte accade che mi distraggo perfino da me stesso – perdendo tempo, inseguendo oziosamente l’occasione -, dal mio io ipertrofico. Ma potrebbe trattarsi di un ragionamento autoconsolatorio. Il messaggio di San Francesco, al di là dei nostri sforzi per raggiungerne la impossibile radicalità, ci mostra in modo chiaro che la magnanimità – di cui già parlava Aristotele nell’Etica Nicomachea – non significa essere grandi uomini (e cioè conquistatori, imperatori, condottieri, leader politici) ma uomini dal grande animo, felici per il solo fatto che esista un mondo affollato di creature. Filippo La Porta

·        San Pio.

Da adnkronos.com il 26 settembre 2022.  

Esporre in chiesa il cuore di Padre Pio per permettere ai fedeli di pregare la reliquia del Santo di Pietrelcina. E' questa la richiesta dei comitati "Amici di Padre Pio" e "Amici di Emanuele Brunatto" che, interpellati dall'Adnkronos, spiegano perché è così importante per loro.

"Non riusciamo a capire perché persista in una parte della Chiesa l'atteggiamento a non mostrare, a tenere tutto nascosto. Eppure Papa Francesco continuamente va dicendo 'basta scheletri nell'armadio'. Sarebbe un messaggio straordinario ai fedeli quello di esporre il cuore di Padre Pio in chiesa", spiega Costanzo Bocci, presidente del comitato "Amici di Padre Pio".

·        San Gennaro.

Marino Niola per “la Repubblica” il 25 novembre 2022.

Il culto di San Gennaro potrebbe diventare patrimonio dell'umanità. Domani le istituzioni civili e religiose, con in testa il cardinale Domenico Battaglia, arcivescovo di Napoli, annunceranno la candidatura del culto del patrono partenopeo a bene culturale immateriale riconosciuto dall'Unesco. Accanto al porporato ci saranno il sindaco di Napoli Gaetano Manfredi, il presidente della Regione Vincenzo De Luca e il neo ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano, nato evidentemente sotto il segno di San Gennaro. 

Il titolo preciso della candidatura è "Il culto popolare di San Gennaro a Napoli e nel mondo". In realtà il patrono partenopeo è sì un emblema locale, ma anche un simbolo, una sorta di logo conosciuto in tutti i continenti. Tant' è che negli anni Ottanta il noto stilista Moschino mise in commercio una t-shirt con l'emblema del Santo e la scritta "I love San Gennaro". Quella maglietta fece del santo un'icona internazionale. Ma la diffusione trasversale della devozione per il patrono partenopeo ha tante prove.

In Brasile lo Stato di San Paolo riconosce il culto del martire napoletano fra i patrimoni da proteggere. 

Uno dei più importanti ospedali della metropoli brasiliana è intitolato a San Gennaro. A cui è dedicato anche lo stadio del Vasco da Gama, tra le più celebri società calcistiche brasiliane, che si trova a Rio de Janeiro. 

E se in America latina San Gennaro è una star celeste, lo è ancora di più negli Usa. Dove la devozione per il santo unisce quasi tutti gli italoamericani, a prescindere dalla regione di provenienza. Soprattutto a New York, dove il San Gennaro day commuove gli animi e muove un business imponente, con cifre a nove zeri.

Oltretutto, un eventuale riconoscimento da parte dell'Unesco avrebbe una ricaduta positiva sulla città vesuviana, in termini di fama e conseguente crescita del Soft Power. Come succede ai Paesi che ospitano patrimoni Unesco. Non solo religione dunque. Perché i miracoli li fa anche l'economia. 

Bisogna riconoscere però che San Gennaro ha ampiamente meritato la sua notorietà. La liquefazione del suo sangue è il miracolo più famoso del mondo e attrae da sempre migliaia di turisti che vengono a Napoli per assistere a questa sfida al principio di ragione. Che ne ha fatto un fuoriclasse celeste, un Maradona della devozione. Il cui culto unisce credenti e non credenti. Proprio perché San Gennaro è un totem identitario che appartiene alla città intera. Il grande scrittore francese Alexandre Dumas, che visitò Napoli nell'Ottocento e assistette più volte al miracolo, scrisse che San Gennaro è il vero Dio di Napoli. 

Un'esagerazione, certo, che coglie però una profonda verità. E cioè che il patrono è da sempre un brand soprannaturale, la figura suprema del Pantheon partenopeo.

Molti illustri viaggiatori stranieri come Montesquieu raccontavano di avere sentito nella cattedrale delle persone che pregavano Dio e lo imploravano di intercedere con San Gennaro affinché concedesse loro delle grazie. Insomma, il santo decapitato nel 306 d.C. è un simbolo civico a metà fra religione e politica.

Non a caso i membri della deputazione laica che custodisce le preziose reliquie sono addirittura nominati dal governo. E alla loro testa c'è il sindaco, qualunque sia la sua appartenenza politica. Come dire che il rosso sangue vince su tutti gli altri colori. Chi dice Napoli, dunque, dice San Gennaro. 

Lo hanno dovuto riconoscere anche gli illuministi francesi che, da laici incalliti quali erano, sicuramente non vedevano di buon occhio questa manifestazione di fede popolare. Il generale Championnet che nel 1799 occupò la città per conto di Napoleone, per essere sicuro di avere dalla sua il favore della gente, fece compiere il miracolo manu militari. Si dice che arrivò a minacciare di far fucilare i canonici della Cattedrale. Il sangue si sciolse puntuale come un cronometro. 

E mentre noi facciamo il tifo per il riconoscimento, c'è anche chi scherza con il santo. Come i due giovani napoletani che hanno inventato l'app i-San Gennaro, che consente di farsi il miracolo agitando il proprio smartphone. In attesa che il vero miracolo lo faccia l'Unesco.

·        Il Santo Graal.

Santo Graal, "ecco cosa rappresenta davvero": non solo fede, svelato il mistero del calice? Libero Quotidiano il 15 maggio 2022.

Narra la leggenda che da qualche parte nel mondo esista un calice in cui avrebbe bevuto Gesù Cristo nell’ultima cena e nel quale Giuseppe d’Arimatea avrebbe raccolto il suo sangue durante la crocifissione. È stato cercato in ogni dove, anche perché i suoi poteri, secondo la leggenda, donerebbero vita eterna e conoscenza. Nel corso del tempo ha assunto diverse forme, lo ritroviamo spesso sotto forma di calice per poi divenire una coppa e infine un libro. Ma cosa è veramente il Santo Graal? Sicuramente non è un oggetto fisico, ma qualcos’altro. Secondo alcuni rappresenterebbe un diverso tipo di coscienza raggiungibile attraverso rituali alchemici. Del resto il mito del Graal ha radici molto più arcaiche del Cristianesimo e nasce dalla fusione di antiche leggende presenti in numerose culture. Come quella celtica del "calderone del dio Dagda", che era simbolo dell’abbondanza che dispensa cibo inesauribile e conoscenza infinita, ma anche simbolo di resurrezione nel quale si gettano i morti perché resuscitino il giorno seguente. Il calderone dunque nutre i guerrieri celtici così come il sangue contenuto nel calice nutre la fede dei cristiani e li rigenera a una vita nuova.

·        Le Formule di Rito.

Dagotraduzione dal Daily Mail il 16 febbraio 2022.

Padre Andres Arango si è dimesso dalla chiesa cattolica di San Gregorio a Phoenix, in Arizona, che presiedeva dopo aver scoperto di aver sbagliato la formula in migliaia di battesimi, di fatto rendendoli non validi. 

Arango, infatti, ha utilizzato una formula sbagliata al momento del sacramento, e invece che dire «ti battezzo», che invoca la potenza di Dio, come richiesto dalla Congregazione per la Dottrina della Fede, ha detto «ti battezziamo», che invece fa riferimento alla comunità.

L’uso della frase sbagliata ha invalidato tutti i battesimi che Arango ha eseguito da quando è stato ordinato sacerdote nel 1995 fino al 2021. Questo potrebbe invalidare anche le successive conferme ed eucaristia. La diocesi cattolica romana di Phoenix ha affermato che era possibile che anche alcuni matrimoni potessero essere influenzati dall’errore. 

La diocesi ora lavorerà a tempo pieno offrendo guida spirituale ai cattolici i cui battesimi sono stati dichiarati non validi in modo da battezzarli nuovamente. Secondo la diocesi i battesimi non validi sono migliaia. 

Tutto è nato quando il Vaticano ha emesso una nota di dottorato nel 2020 chiarendo che i battesimi conferiti con la formula plurale («Ti battezziamo nel nome del Padre e del Figlio dello Spirito Santo») non erano validi. 

Dopo mesi di indagini, i responsabili della Chiesa della diocesi cattolica romana hanno indagato e scoperto che padre Arango aveva eseguito i battesimi in modo errato, sia a Phoenix che nelle precedenti parrocchie dove aveva operato, in Brasile e a San Diego.

In una lettera in cui annunciava le sue dimissioni, padre Arango si è scusato con chi è stato colpito dal suo errore e ha chiesto alla comunità «preghiera, perdono e comprensione». 

«Mi rattrista apprendere che ho eseguito battesimi non validi durante il mio ministero di sacerdote utilizzando regolarmente una formula errata», ha detto Arango. «Sono profondamente dispiaciuto per il mio errore e per come questo abbia colpito numerose persone nella vostra parrocchia e altrove. Con l'aiuto dello Spirito Santo e in comunione con la diocesi di Phoenix, dedicherò le mie energie e il mio ministero a tempo pieno per aiutare a rimediare a questo e guarire le persone colpite».   

Arango rimane un sacerdote in regola e la situazione non lo ha squalificato dalla sua vocazione e ministero, ha affermato la diocesi.

·        La Mattanza dei Cristiani.

Cristiani, ecco perché fa comodo ignorare la strage. Antonio Socci su Libero Quotidiano il 21 novembre 2022

I cristiani perseguitati continuano ad essere, da anni, le vittime più dimenticate e misconosciute. Di loro non si parla nell'"Agenda Progressista del Giornalista Collettivo". Per l'ideologia politicamente corretta, che è egemone nell'establishment occidentale, sembra che essi neanche esistano come vittime. Eppure sono il gruppo religioso più colpito del pianeta e la loro situazione peggiora di anno in anno. A documentare questa tragedia e ad aggiornare i dati, confatti e testimonianze, provvede il "Rapporto" puntualmente redatto dalla Fondazione pontificia "Aiuto alla Chiesa che soffre", che, nella sua ultima edizione, ha un titolo molto eloquente: "Perseguitati più che mai. Rapporto sui cristiani oppressi per la loro fede 2020-2022".

Il Rapporto di quest' anno si apre con due testimonianze.

La prima è quella di padre Abayomi, viceparroco della chiesa di San Francesco Saverio a Owo, nello Stato nigeriano di Ondo, che è stata attaccata il 5 giugno 2022, durante la Messa di Pentecoste (40 vittime e decine di persone gravemente ferite). Dopo aver raccontato le terribili ore dell'attacco, il sacerdote scrive: «La pubblicazione di Aiuto alla Chiesa che Soffre (ACS) è di vitale importanza, in quanto evidenzia le terribili minacce che i nostri fedeli devono affrontare. Non sono solo i cristiani in Nigeria a soffrire, ma anche quelli in Pakistan, Cina, India e in molti altri luoghi. I cristiani vengono uccisi in tutta l'Africa, le loro chiese vengono attaccate e i villaggi rasi al suolo. In Pakistan, sono detenuti ingiustamente sulla base di false accuse di blasfemia. In Paesi come l'Egitto, il Mozambico e il Pakistan, le ragazze cristiane minorenni vengono rapite, violentate, costrette a convertirsi e a sposare uomini di mezza età. In Cina e in Corea del Nord, i governi totalitari opprimono i fedeli, monitorando ogni loro movimento. E, come mostra questo Rapporto, la lista degli abusi è lunga. La Chiesa sofferente ha bisogno di persone che parlino per noi. Affinché le uccisioni si fermino è necessario che più organizzazioni come Aiuto alla Chiesa che Soffre proclamino la verità su ciò che sta accadendo ai cristiani in tutto il mondo. Altrimenti, resteremo per sempre perseguitati e dimenticati».

Il vescovo nigeriano mons. Jude Arogundade si è chiesto: «Quanti cadaveri sono necessari per attirare l'attenzione del mondo?».

La seconda testimonianza è quella della suora francescana Gloria Cecilia Narváez che è stata sequestrata in Mali (Africa occidentale) e «tenuta in ostaggio da militanti islamici per quattro anni e mezzo, periodo durante il quale è stata ripetutamente torturata fisicamente e psicologicamente». Dopo la sua liberazione «ha riferito come la sua fede cristiana fosse la principale fonte dell'astio nei suoi confronti e ha raccontato come i suoi rapitori si infuriassero quando lei pregava. In un'occasione, quando un capo jihadista l'ha trovata a pregare, l'ha picchiata dicendo: "Vediamo se quel tuo Dio ti fa uscire di qui". "Si è rivolto a me usando parole molto forti e offensive", ha aggiunto suor Gloria. "La mia anima ha tremato per quello che diceva questa persona, mentre le altre guardie ridevano sguaiatamente ad ogni insulto che ricevevo"». La suora francescana ha vissuto la sua prigionia e le torture con questo animo: «Mio Dio, è difficile essere incatenati e picchiati, ma vivo questo momento cosi®come Tu me lo offri... E, nonostante tutto, non vorrei che ad alcuno di questi uomini (cioè i miei rapitori) venisse fatto del male».

 Queste persecuzioni stanno aumentando. Già negli anni scorsi «i dati del "Pew Research Center" per il 2019 mostravano che i cristiani, in più Paesi, erano più perseguitati di qualsiasi altro gruppo religioso. Vi è stato anche - scrive il Rapporto dell'Acs - un improvviso aumento del numero di Paesi in cui si registravano violazioni contro i cristiani: da 145 nel 2018 a 153 nell'anno seguente. La World Watch List 2022 di "Porte Aperte" ha riportato "cambiamenti di portata epocale nel panorama delle persecuzioni" ai danni dei cristiani. Per la prima volta nei 29 anni di storia di questo studio, tutti i 50 Paesi in cui si commettono maggiori violazioni della libertà religiosa sono stati classificati con livelli di persecuzione "elevati"».

Il Rapporto dell'Acs documenta un ulteriore peggioramento nel periodo ottobre 2020-settembre 2022 (fra l'altro non solo violenze ai danni dei cristiani, ma anche contro altre minoranze) che deriva da cambiamenti di regime (come in Afghanistan, con il ritorno dei talebani) o da un aumento della repressione in regimi come Corea del Nord, Cina, India e Myanmar.

Ma c'è pure una «escalation della violenza spesso finalizzata all'allontanamento dei cristiani» da parte di «attori militanti non statali. A questo proposito, preoccupa in particolar modo l'Africa, dove l'estremismo minaccia comunità cristiane tradizionalmente molto radicate. In Nigeria e in altri Paesi, questa violenza supera palesemente la soglia di un possibile genocidio».

Il direttore di ACS Alessandro Monteduro, intervistato da Valerio Pece del "Timone", ha spiegato che fino al 2015 certi paesi non conoscevano persecuzioni religiose, mentre «oggi sono l'epicentro del fenomeno. Penso ai paesi della fascia del Sahel». Infatti gli affiliati all'Isis sconfitti in Iraq hanno trovato rifugio in quest' area africana e hanno portato un grosso cambiamento: «Il Burkina Faso è un caso emblematico poiché è addirittura il terzo paese più povero al mondo, e capiamo bene che laddove non c'è speranza, laddove imperversano incuria e corruzione, non è affatto difficile operare proselitismo». Prima che l'Africa si trasformi in un condominio di Cina ed islamisti - fra l'altro provocando enormi ondate migratorie - è necessario intervenire per aiutare lo sviluppo di quel continente, come ha chiesto il Papa di recente: «Il problema dei migranti va risolto in Africa. Ma se pensiamo l'Africa con il motto "L'Africa va sfruttata", è logico che la gente scappi. L'Europa deve cercare di fare dei piani di sviluppo per l'Africa». È esattamente quello che ha prospettato Giorgia Meloni nel suo discorso di insediamento: «Credo che l'Italia debba farsi promotrice di un "piano Mattei" per l'Africa, un modello virtuoso di collaborazione e di crescita tra Unione Europea e nazioni africane, anche per contrastare il preoccupante dilagare del radicalismo islamista, soprattutto nell'area sub-sahariana». 

 

Belgio, accoltellati due poliziotti al grido “Allah Akbar”. La storia da incubo. Il Tempo il 10 novembre 2022

Attacco terroristico in Belgio. Due poliziotti sono stati accoltellati a Bruxelles, nel quartiere Schaerbeek su rue d’Aerschot nei pressi della Gare du Nord. Uno di loro è deceduto a seguito delle ferite riportate. L’aggressore invece è stato ferito a colpi d’arma da fuoco da un’altra pattuglia intervenuta sul posto. Secondo alcuni media locali l’aggressore avrebbe urlato “Allah Akbar” nel compiere il gesto.

Secondo le prime ricostruzioni dei media belgi l’uomo si era presentato oggi a mezzogiorno in un commissariato a Evere (municipio della capitale), annunciando l’intenzione di commettere un attacco contro la polizia. Sotto la supervisione di un magistrato, è stato portato con il proprio consenso in ospedale con l’obiettivo di sottoporlo a una valutazione psichiatrica. A quanto pare, è stato successivamente dimesso. Nella serata, attorno alle 19.45, l’uomo ha quindi portato a compimento il suo piano: armato di un coltello ha aggredito due agenti in servizio Schaerbeek, in una via adiacente Gare du Nord. Uno dei poliziotti, colpito al collo, è deceduto. L’altro è ricoverato in ospedale, così come lo stesso aggressore.

"Così scampai ad un agguato". Chi era la suora uccisa in Mozambico. Suor Maria De Coppi, uccisa nella missione comboniana di Chipene, in Mozambico, era già sopravvissuta ad un'imboscata. In un'intervista aveva detto: "Gli ultimi due anni sono stati molto duri". Alessandra Benignetti il 7 Settembre 2022 su Il Giornale.

La spietatezza dei guerriglieri e il terrore di finire centrata da una pallottola suor Maria De Coppi lo aveva già sperimentato. In Mozambico era scampata per miracolo ad un’imboscata in cui persero la vita 17 persone. "Viaggiavamo in convoglio, abbiamo sentito sparare, tutti hanno tentato di fuggire e anche io sono scesa dalla macchina strisciando a terra per evitare le pallottole, ho gridato Signore salvami", raccontava lo scorso ottobre con tono pacato a Mariagrazia Salmaso, direttrice del Centro missionario, la suora rimasta uccisa in un attentato jihadista alla missione di Chipene, in Mozambico.

Era tornata in Italia per effettuare alcuni controlli medici e non si era sottratta ad un’intervista con una web tv di Vittorio Veneto, La Tenda. Suor Maria raccontava di essersi salvata grazie ad un soldato che, scalza e senza occhiali, la portò in braccio fino ad un luogo sicuro. Classe 1939, questa missionaria comboniana nata a Santa Lucia di Piave, in provincia di Treviso, aveva preso i voti nel 1960. Tre anni dopo si imbarcava per la prima volta verso il Mozambico, a bordo di una nave portoghese. Un viaggio di 31 giorni che l'avrebbe condotta in quella che sarebbe diventata la sua seconda patria.

L'intervista

"Mi sento parte di quella terra e di quel popolo in mezzo al quale ho vissuto la mia vita", diceva la religiosa. Anche se, aveva confessato all’intervistatrice come gli ultimi due anni fossero stati "molto duri". "Al nord del Paese è in corso una guerra per i giacimenti di gas e la gente soffre e scappa: nella mia parrocchia ci sono 400 famiglie che arrivano dalla zona di guerra. Poi è venuto il ciclone. Infine l'anno scorso la siccità si è prolungata per tanto tempo. Oggi a Nampula c'è una estrema povertà", raccontava la suora.

In quasi sessant’anni di missione ha assistito poveri, sfollati e bisognosi. "Quando sono arrivata, - raccontava - i mozambicani si sentivano disprezzati per il colore della pelle e questo mi feriva, perché sono persone come noi". Nella parrocchia di Chipene venivano accolti i profughi in fuga dal fondamentalismo jihadista e dalla guerriglia che imperversa nel nord del Paese. Suor Maria e le sue consorelle si prendevano cura di loro, finché ieri notte il terrore è piombato sulla missione con fiamme, distruzione e saccheggi.

Sacerdoti e suore sono riusciti a mettersi in salvo trovando rifugio nella foresta. Suor Maria, invece, è stata uccisa a bruciapelo. Nella notte alla Diocesi di Pordenone sono arrivati anche i messaggi disperati di don Loris Vignandel, poi sopravvissuto all’agguato: "Qui sparano. Ci vediamo in paradiso. Stanno incendiando la casa. Se non vi risento, approfitto per chiedervi scusa delle mie mancanze e per dirvi che vi ho voluto bene. Ricordatevi di me nella preghiera. Se il buon Dio me ne darà la grazia, vedrò di proteggervi da là. Ho perdonato chi eventualmente mi ucciderà. Fatelo pure voi. Un abbraccio".

Ad esprimere cordoglio per la morte di suor Maria è il mondo della politica e dell’associazionismo cattolico, la Cei, il comune di Pordenone e la Regione Veneto, con il presidente Luca Zaia.

Filippo Di Giacomo per “il Venerdì di Repubblica” il 29 giugno 2022.

Nel territorio di Rutshuru, vicino a Tshanzu, lì dove il Papa avrebbe dovuto celebrare la Messa durante la tappa a Goma, nella Repubblica Democratica del Congo, si è riaccesa la più che decennale guerra tra "gruppi ribelli" ed esercito congolese. Raggruppati sotto la sigla M23, i ribelli in questione sembrano appartenere all'esercito ruandese e a quello ugandese. 

L'M23 sarebbe infatti la risposta dei due governi all'appoggio che a sua volta l'esercito congolese dà ai miliziani del Fdlr (ribelli hutu che si oppongono a Paul Kagame, presidente del Ruanda) servendosene anche per attaccare villaggi e interessi ruandesi.

La sanguinosa battaglia, destinata a durare, vede l'M23 all'attacco della base militare congolese di Rumangabo a 45 km da Goma e vicino al punto in cui, sulla strada che collega il capoluogo del Nord Kivu a Rutshuru, sono stati uccisi il 22 febbraio 2021 l'ambasciatore Luca Attanasio, il carabiniere Vittorio Iacovacci e l'autista del Pam Mustapha Milambo. 

Proprio qui, il 4 luglio, era prevista la celebrazione di una messa papale. Il lato tragico della vicenda è che le truppe ugandesi che ora aiutano i ruandesi sono presenti sul territorio dal mese di novembre scorso, chiamate dalle autorità di Kinshasa per combattere un'altra milizia di fuorusciti ruandesi e ugandesi, l'Adf, responsabile di feroci saccheggi e stragi nel Nord Kivu e nell'Ituri.

Quando il Pontefice programma un viaggio, prima che la notizia venga resa pubblica, i luoghi da visitare vengono ispezionati da una commissione (Advanced Team) che include anche esperti della sicurezza. 

Cosa hanno visto durante i loro sopralluoghi? Il viaggio, annunciato a fine marzo e ufficializzato a fine maggio, è stato sempre accompagnato dalle notizie sulla ripresa delle ostilità nella regione. Poi, sono arrivati i dolori alla gamba del Pontefice e la realtà ha riavuto voce...

Suor Luisa Dell’Orto e la strage dimenticata dei cristiani perseguitati e massacrati. LORENZO PREZZI su Il Domani il 28 giugno 2022

Il 25 giugno ad Haiti è stata uccisa la piccola sorella del Vangelo, suor Luisa Dell’Orto. Il 20 giugno vengono trucidati a Urique (Sierra de Chihuahua - Messico) due gesuiti. Il 5 giugno in una chiesa di Owo (Ondo, in Nigeria) si registra un massacro di 40 persone con decine di feriti.

Sempre in Nigeria il 25 e 26 giugno, sono uccisi due preti e, poche settimana prima, un terzo ha perso la vita durante un sequestro.

Una manciata di giorni, decine di vittime e una condizione comune: la testimonianza al Vangelo. È solo un frammento, il più recente, di un fenomeno di ampie dimensioni, cioè le nuove persecuzioni anticristiane.

Da lastampa.it il 25 giugno 2022.

Un uomo di 42 anni arrestato in relazione alle sparatorie avvenute la notte scorsa nel centro di Oslo è stato accusato oggi di omicidio, tentato omicidio e atti di terrorismo: il bilancio degli attacchi è di due morti e 21 feriti. Lo riporta la Bbc. La persona sospetta ha sparato nel London Pub, un locale frequentato da gay, oltre che nelle vicinanze del locale notturno Herr Nilsen e di un ristorante. Il Gay Pride di Oslo che si sarebbe dovuto svolgere oggi pomeriggio è stato annullato.

Cosa è successo

L'allarme è scattato all'1,14 e il killer è stato fermato 5 minuti dopo, ha aggiunto. Nessuna parola sul possibile movente, anche se la scelta del luogo e il fatto che domani nella capitale norvegese sia in programma l'«Oslo Pride» lascia ampio spazio alla possibilità che si sia trattato di un attacco omofobo. La polizia indaga per terrorismo. Il numero delle forze dell'ordine impegnate sul territorio è stato intanto rafforzato per far fronte a nuovi eventuali incidenti. 

«Ho visto un uomo entrare con una borsa, ha tirato fuori un'arma e ha cominciato a sparare», ha riferito un testimone. «Sembrava molto determinato nel prendere la mira. Quando ho capito che era una cosa seria, ho cominciato a correre. C'era un uomo sanguinante a terra», ha raccontato una donna al quotidiano Verdens Gang. Un altro testimone citato dal giornale ha parlato dell'uso di un'arma automatica - che la polizia non ha confermato - e ha descritto la situazione come «una zona di guerra: c'erano molte persone a terra con ferite alla testa», ha detto.  

Manifestazione cancellata

A Oslo non è più il giorno del Pride. Cancellato «dopo aver ricevuto chiari consigli dalla polizia», hanno fatto sapere gli organizzatori in un comunicato riportato da Dagbladet dopo la sparatoria delle scorse ore che ha fatto almeno due morti e 18 feriti. «Oslo Pride chiede a tutti coloro che hanno pianificato di partecipare o assistere di non farlo - hanno aggiunto - Sono annullati tutti gli eventi collegati all'Oslo Pride».

La condanna del primo ministro

Il primo ministro Jonas Gahr Stoere, subito dopo la sparatoria, ha condannato con un comunicato diffuso dall'agenzia norvegese Ntb «il terribile e profondamente scioccante attacco portato contro persone innocenti. Non sappiamo cosa ci sia dietro, ma alla comunità Lgbtq+ che ora piange i suoi morti e ha paura voglio dire: siamo con voi».

Lorenzo Vidino per “la Repubblica” il 25 giugno 2022.

Lorenzo Vidino è il direttore del Programma sull'Estremismo alla George Washington University

È di queste ore la notizia dell'operazione in Trentino da parte dei Ros dei Carabinieri, che hanno fermato una giovane coppia, marito (ora ai domiciliari) e moglie, entrambi nati in Italia, e che secondo gli inquirenti stavano progettando un attentato ispirato dallo Stato Islamico. Non pare che ci fosse un pericolo imminente, anche se il marito, perito chimico, aveva accesso a sostanze idonee alla fabbricazione di esplosivi.

Il caso riporta comunque l'attenzione sul pericolo del terrorismo jihadista e rivela alcuni recenti trend presenti in Italia e a livello globale. Innanzitutto, il legame coi Balcani. La coppia trentina era di origine kosovara, come un numero non indifferente di militanti pro-Stato Islamico fermati negli ultimi anni in Italia. Lo scorso novembre, per esempio, era stata arrestata a Milano per proselitismo online una 19enne kosovara che faceva parte di una rete jihadista legata ai Balcani ma presente in tutta Europa e che includeva l'albanese che aveva compiuto l'attentato di Vienna nel 2020. 

Nonostante l'islam locale sia storicamente tra i più moderati, dalla caduta del comunismo influenze esterne hanno portato alla radicalizzazione di una parte della popolazione musulmana balcanica e della diaspora in Europa. Nella loro relazione al Parlamento i servizi italiani definiscono la regione come «potenziale incubatore della minaccia terroristica verso l'Europa», evidenziando anche «i possibili rischi di emulazione da parte di estremisti islamici intranei alle comunità balcaniche in Europa occidentale». I casi di Trento e Milano dimostrano anche che «figure femminili, appartenenti ai nuclei familiari di noti estremisti, stanno gradualmente assumendo ruoli chiave nello svolgimento di attività» di propaganda e reclutamento.

Il caso conferma un altro trend assodato: la centralità del web. Casi di radicalizzazione in cui internet non sia presente sono una rarità assoluta e se spesso il consumo di materiale jihadista fa da compendio a dinamiche di interazione personale, sono ormai sempre più comuni dinamiche in cui l'intero percorso di radicalizzazione, dal primo incontro con l'ideologia jihadista, all'approfondimento dei temi, all'interazione con altri soggetti, per finire con l'attivazione e pianificazione di attacchi avvenga esclusivamente sul web. 

Negli ultimi anni è anche diventata più comune la diffusione sul web di propaganda jihadista in lingua italiana, spesso traduzioni di testi in arabo e in inglese compiute da simpatizzanti della jihad nati e cresciuti nel nostro Paese. Infine è da notare l'apparente interesse della coppia trentina, ora indagata, ad unirsi allo Stato Islamico in Africa dopo aver compiuto un attentato in Italia. 

Negli ultimi anni varie regioni dell'Africa, da paesi del Sahara alla Nigeria, dal Congo al Mozambico, hanno visto un'esplosione di attività terroriste (è dello scorso weekend, per esempio, la notizia, passata in secondo piano sui media, dell'uccisione di 132 civili nel Mali per mano di una formazione jihadista locale) ed il baricentro del jihadismo globale pare essersi spostato dal Medioriente al continente africano.

L'operazione di Trento non è di per sé indicativa di una recrudescenza del fenomeno jihadista, che ha visto il suo apice negli anni del Califfato, tra il 2014 e il 2017. Oggi i livelli sono più bassi, ma gli addetti ai lavori sanno bene che la minaccia non si è assolutamente dileguata, ma è in continua evoluzione. In Italia una traiettoria sempre più evidente, che ci porta ad avvicinarci a dinamiche viste in paesi del centro-nord Europa da anni, è quella della crescente natura autoctona (homegrown) del jihadismo nostrano.  

Seconde generazioni e convertiti, soggetti che si radicalizzano sul web o in piccole aggregazioni, ma quasi sempre ben lontano da moschee e comunità islamiche. E spesso si tratta di soggetti, come pare nel caso trentino, provenienti da realtà non particolarmente problematiche, ben integrati nel tessuto sociale e con un buon livello d'istruzione.  

Non un problema comunitario ma di percorsi personali, schegge impazzite che solo un capillare lavoro di monitoraggio e cooperazione con famiglie e comunità può portare il nostro antiterrorismo ad individuare. Il sistema ha anche questa volta funzionato bene, ma non ci si deve illudere che sia perfetto ed è chiaro che in futuro anche il nostro Paese possa essere colpito.  

"Resti umani ovunque". Lo sfregio al cimitero cattolico in Turchia. La profanazione del cimitero cattolico di Yemişli ha sconvolto la comunità cristiana di Mardin, nel sud della Turchia. Centinaia di resti riesumati sono stati sparsi nei terreni circostanti. Alessandra Benignetti su Il Giornale il 7 luglio 2022.

Potrebbe non essere un caso che la profanazione del cimitero cattolico di Yemişli, nella provincia turca sud-orientale di Mardin sia avvenuta proprio a ridosso del giorno della festa di San Pietro e Paolo. Al centro di questa antica necropoli, il cui nucleo originario risale all’anno mille, c’è proprio una cappella dedicata ai due apostoli negli anni ’60. E ogni anno la comunità cristiana della regione, composta da fedeli di rito caldeo, siriaco e assiro, per tradizione visita le tombe dei propri antenati proprio il 29 giugno. Un attacco mirato, quindi, ai cristiani che da secoli abitano nella regione.

Lo scenario che si sono trovati di fronte quest’anno all’arrivo nel cimitero è stato raccapricciante. Secondo quanto racconta la stampa locale, ripresa dall’Agenzia Fides, centinaia di tombe sono state aperte e profanate. I resti delle salme, le ossa e gli oggetti contenuti nelle bare e accanto alle lapidi, e persino le reliquie dei santi, sono stati sparsi ovunque. I fedeli che come ogni anno si erano dati appuntamento per celebrare le funzioni religiose in suffragio delle anime dei loro cari e in onore degli apostoli Pietro e Paolo sono rimasti sconvolti. Prima lo choc, poi lo sconforto. I testimoni dell’atto vandalico hanno sporto denuncia alle autorità locali.

Sulla vicenda è stata aperta un'inchiesta, ma non è ancora chiaro chi siano gli autori del gesto diretto contro una comunità che vive nella regione di Tur Abdin sin dal Medioevo. Sono soprattutto i cristiani siro ortodossi ad essersi stabiliti tra queste montagne, non lontane dal confine con la Siria e con l’Iraq. Mardin dal 1200, come ricorda Fides, ospita la sede del patriarcato siro ortodosso di Antiochia, all’interno del Monastero di Mor Hananyo. Successivamente, a partire dal 1933 il patriarcato si è spostato in Siria, prima nella città di Homs e poi a Damasco. Non è un caso quindi che proprio nella provincia di Mardin si siano riversati migliaia di profughi cristiani provenienti dalla Siria negli anni del conflitto tra i ribelli e il presidente siriano Bashar al Assad.

Fino al 2017 le proprietà della chiesa siro ortodossa nella regione erano sotto il controllo del governo turco. Dal 2018, però, chiese, monasteri e cimiteri come quello di Yemişli sono tornati sotto il controllo del patriarcato grazie ad un decreto legge che ha sventato l’esproprio di una trentina di proprietà, che sarebbero finite nel patrimonio della della Presidenza degli Affari Religiosi, il Diyanet. Ad esprimere solidarietà alla comunità cristiana di Mardin per lo sfregio subito sono stati i rappresentanti degli yazidi che abitano la stessa regione.

"Violenze feroci e quotidiane". In Nigeria dilaga l'odio anti-cristiano. Alessandra Benignetti su Il Giornale il 7 luglio 2022.

Non si fermano le violenze contro i cristiani in Nigeria: un altro sacerdote è stato rapito mentre un gruppo di uomini armati ha ucciso i figli di un reverendo. ACS Italia: "Ferocia quotidiana, il governo intervenga".

Non c’è stato neppure il tempo per festeggiare la liberazione di quattro sacerdoti rapiti nei giorni scorsi, tra cui il missionario italiano Luigi Sbrena, che dallo Stato nigeriano di Benue è arrivata la notizia del rapimento di un altro religioso. Padre Pietro Amodu mercoledì stava andando a celebrare la messa in un villaggio della diocesi cattolica di Otukpo quando è stato preso dai sequestratori ed sparito nel nulla. Martedì notte al reverendo Daniel Umaru, pastore della chiesa anabattista dei Fratelli in Nigeria, è andata peggio. Un gruppo di banditi ha fatto irruzione nella sua residenza a Mubi, nell’Adamawa, uccidendo due dei suoi figli e rapendo una di loro, una ragazza di 13 anni. Anche lui è ricoverato in ospedale in gravi condizioni assieme alla moglie.

"Ormai il bollettino di queste feroci violenze è quotidiano", sottolinea la fondazione pontificia Aiuto alla Chiesa che Soffre, che ha diffuso la notizia. "Continuiamo a denunciare il grave stato di insicurezza che affligge i cristiani della Nigeria – prosegue l’organizzazione - e chiamiamo in causa le autorità civili, federali, nazionali e locali, affinché intervengano tempestivamente per evitare questo continuo stillicidio di violenza". Il governo di Abuja è accusato di non fare abbastanza per proteggere i cristiani, che in Nigeria sono quasi la metà della popolazione, dai continui attacchi. Il caso di padre Brena è emblematico.

Il sacerdote che si è liberato da solo: "I terroristi gli hanno tagliato un orecchio"

Secondo il resoconto fatto all’agenzia di stampa Sir dal preposito generale dei padri Somaschi, José Antonio Nieto Sepulveda, che ha sentito al telefono il missionario della stessa congregazione, il sacerdote si sarebbe liberato da solo e non grazie all’intervento delle forze dell’ordine, come raccontato dalle autorità. "Sono entrati in casa e volevano rapire padre Luigi ma lui è difeso attaccandosi alla ringhiera. Prima hanno cominciato a sparare colpi di armi da fuoco. Poi lo hanno picchiato e ferito con un coltello, gli hanno tagliato metà orecchio, quindi è stato ricoverato in ospedale. La polizia è arrivata molto dopo", assicura il sacerdote. I responsabili dell’agguato sarebbero "terroristi musulmani che arrivano dal nord della Nigeria con le mucche". "Avevano intenzione di rapirlo a scopo di riscatto. L'hanno proprio massacrato. Per fortuna non ha avuto danni alle ossa e agli organi interni", prosegue la testimonianza.

La maxi evasione di jihadisti dal carcere di Abuja

Intanto, nel Paese è scattata la caccia all’uomo per riportare dietro le sbarre oltre 400 detenuti, in parte membri del gruppo jihadista Boko Haram, evasi mercoledì dal carcere di Kuja, nella capitale Abuja. L’assalto al penitenziario, che secondo il ministro della Difesa Bashir Salihi Magashi sarebbe opera proprio dei miliziani islamisti, è scattato alle 22 di mercoledì ed è andato avanti per circa due ore. L'unità centrale contro il terrorismo è stata fatta esplodere con la dinamite e secondo fonti governative sono almeno 64 i jihadisti riusciti a dileguarsi dopo l’attacco.

Non è la prima volta che capita una cosa del genere: negli ultimi anni gruppi come Boko Haram e lo Stato Islamico sono riusciti a far evadere più di 5mila detenuti. Il presidente Muhammadu Buhari ha puntato il dito contro i servizi d’intelligence. E a poche ore dalla spettacolare evasione di Abuja, anche un convoglio della team del presidente è stato assaltato a Katsina, nel Nord-ovest del Paese.

"Ormai è caccia all'uomo". Continua la strage anti cristiana in Nigeria. Marco Leardi il 27 Giugno 2022 su Il Giornale.

Solo nelle ultime 48 ore, in Nigeria sono stati uccisi due sacerdoti. L'ennesimo tributo di sangue chiesto ai cristiani, il cui grido d'aiuto contro la furia islamista rischia di passare ancora sotto silenzio.

Il martirio continua, mentre il mondo osserva. Non si ferma la scia di sangue e di violenze che in Nigeria si sta abbattendo contro i cristiani. Solo nelle ultime 48 ore, nel Paese africano sono stati uccisi due sacerdoti: l'ennesimo tributo di sangue ingiustamente chiesto a motivo della religione. In odio al cristianesimo. Le più recenti vittime della furia islamista sono state padre Christopher Odia Ogedegbe, di 41 anni, e il confratello padre Vitus Borogo, 50 anni. Entrambi trucidati mentre svolgevano la loro missione. Il primo, in particolare, era stato rapito ieri mattina nello Stato di Edo, mentre andava a Messa. Il suo corpo è stato ritrovato senza vita in serata.

I rapitori, secondo quanto si apprende, lo avevano catturato mentre usciva dalla canonica per andare a presiedere la funzione domenicale nella chiesa cattolica di San Michele, Ikabigbo. Conoscevano dunque le sue abitudini, lo aspettavano. Pare che tre parrocchiani abbiano visto la scena e abbiano tentato di salvare il sacerdote, ma invano. La notizia attende però conferme. Il giorno prima, anche padre Vitus Borogo, prete nigeriano dello Stato di Kaduna, era andato incontro alla medesima sorte. Un gruppo di terroristi islamisti lo aveva atteso e ucciso nella fattoria di una comunità cattolica che il presule dirigeva. Don Borogo era anche cappellano della comunità cattolica del Politecnico statale di Kaduna.

Due omicidi brutali nel giro di poche ore. Due sacerdoti immolati, ancora una volta, sull'altare dell'odio anti-cristiano. Così, solo in Nigeria, il bilancio dei preti uccisi dall'inizio dell'anno sale a quota tre. I recenti delitti si aggiungono purtroppo a una lunga lista di episodi rispetto ai quali continua il disperato grido d'aiuto delle comunità cristiane locali. Il 5 giugno scorso, in occasione della solennità di Pentecoste, sempre in Nigeria alcuni uomini armati di fucili avevano aperto il fuoco contro i fedeli dentro una chiesa cattolica nel Sud Ovest del Paese, uccidendo diverse persone. E il 19 giugno, dopo un assalto contro i fedeli della chiesa cattolica di St. Moses, Robuh, nello Stato di Kaduna, tre persone erano rimaste uccise e una quarantina erano state rapite.

"È oramai una caccia all'uomo", ha denunciato la fondazione di diritto pontificio Aiuto alla Chiesa che Soffre, che da tempo cerca di tenere alta l'attenzione sulle stragi contro i cristiani. In Nigeria e nel mondo. Ma lo stillicidio di vite fatica talvolta a smuovere i cuori e a suscitare le reazioni politiche necessarie: così gli eccidi proseguono e passano sotto silenzio, mentre nelle istituzioni c'è chi - a sinistra - tende nascondere la matrice religiosa islamica che accomuna gli episodi di morte.

"Paese fuori controllo". Il grido dei cristiani in Nigeria dopo la strage. Alessandra Benignetti il 9 Giugno 2022 su Il Giornale.

Il portavoce della diocesi di Ondo, don Augustine Ikwu, racconta gli sforzi per identificare le vittime della strage e denuncia l'insicurezza dilagante. L'appello al governo e alla comunità internazionale: "Ora trovate i colpevoli".

Cinque bambini, quattro maschietti e una femminuccia, due ragazzi adolescenti, dodici uomini e diciannove donne. I corpi delle 38 vittime della strage nella chiesa di San Francesco a Owo, in Nigeria, giacciono da giorni nell’obitorio della città. Ma secondo il direttore delle comunicazioni sociali della diocesi di Ondo, don Augustine Ikwu, è ancora difficile avere una stima precisa dei morti nell’attacco armato alla Messa di Pentecoste. I feriti gravi sono molti e qualcuno è stato portato in ospedali privati. Ci vorrà tempo, quindi, per avere informazioni sul destino dei fedeli che domenica scorsa erano seduti tra i banchi in attesa di ricevere la benedizione.

"Stiamo cercando di contattare le famiglie di ogni persona che era in chiesa quel giorno", ha spiegato il sacerdote in un’intervista esclusiva alla fondazione pontificia Aiuto alla Chiesa che Soffre. La diocesi fa appello alle famiglie per avere informazioni sullo stato di salute delle persone coinvolte. Nelle corsie c’è chi sta lottando tra la vita e la morte. Altri invece sono stabili: "I dottori stanno facendo un ottimo lavoro e spero che sopravvivano, con la grazia di Dio, le nostre preghiere e gli sforzi del personale medico". Non né ancora chiaro chi ci sia dietro i cinque o forse più uomini armati che dopo aver parcheggiato l’auto nel parcheggio della parrocchia hanno aperto il fuoco tra le navate.

La diocesi non si sbilancia. "Non c’è ancora niente di concreto", dice il sacerdote. L’assalto non è stato ancora rivendicato. Le ipotesi che circolano, però, si limita a dire il religioso, "suonano abbastanza logiche e si adattano alla situazione generale del nostro Paese in questo momento, come l'insicurezza, i disordini politici e i conflitti tra pastori fulani e agricoltori". I principali indiziati per la mattanza sono proprio i mandriani semi-nomadi in conflitto con i contadini per il controllo delle risorse.

Nel frattempo la speranza è che gli autori del gesto vengano catturati e confessino "i veri motivi dietro l'attacco" avvenuto in uno Stato relativamente pacifico rispetto a quelli del nord, preda dei gruppi jihadisti come Boko Haram. "Anche i musulmani locali - spiega don Ikwu - sono relativamente pacifici e si sono esposti pubblicamente per condannare questa atrocità". Bisogna scongiurare una "guerra di religione". Un rischio che per alcuni sarebbe concreto, visto che dietro le scorribande dei pastori fulani per il controllo della terra la componente religiosa è sempre più presente.

L’appello del religioso quindi è che la popolazione "sia pacifica, rispettosa della legge e non si faccia giustizia da sé". "Nessuno – è la lezione del sacerdote - dovrebbe uscire per commettere il male in cambio del male. Questo non è affatto lo stile di vita cristiano. Anche in queste situazioni, rispondiamo al male con la pace". Allo stesso tempo, però, la diocesi chiede che l’inchiesta per identificare i colpevoli vada avanti. "È un momento difficile per noi e vorremmo invitare il mondo intero a ricordarci nelle sue preghiere, a pregare per i defunti, i feriti e le loro famiglie", dice don Ikwu."Chiediamo a chiunque possa – ha aggiunto - di aiutarci nelle indagini sul campo".

Infine, l’appello alla comunità internazionale: "Il mondo deve essere consapevole della situazione di insicurezza, non solo nel nostro Stato ora, ma nell'intero Paese, perché a questo punto l'insicurezza ha letteralmente preso il controllo della nazione". Il dito è puntato contro il governo nigeriano, accusato di non fare abbastanza per proteggere la propria popolazione: "Se il Paese è diventato ingovernabile, dovrebbe essere onorevole dimettersi e lasciare spazio a qualcuno che potrebbe essere in grado di gestirlo meglio", mettendo da parte "l’avidità".

Da lastampa.it il 5 giugno 2022.  

Uomini armati hanno aperto il fuoco contro i fedeli dentro una chiesa cattolica nel sudovest della Nigeria uccidendo diverse persone, tra cui diversi bambini. Lo riferiscono diversi media locali. 

Secondo una prima ricostruzione, il commando avrebbe anche fatto uso di esplosivi. Ogunmolasuyi Oluwole ha raccontato che gli uomini armati hanno sparato dentro la chiesa di San Francesco, nello stato di Ondo mentre i fedeli erano riuniti per la domenica di Pentecoste. 

Tra le vittime, afferma, ci sono diversi bambini. Il commando avrebbe rapito un sacerdote e alcuni fedeli. Lo riferisce la Bbc online che cita alcuni testimoni.

Il medico di un ospedale locale, citato da Reuters, ha affermato che «diversi fedeli sono arrivati privi di vita». Il portale di notizie nigeriano Pm News riferisce che il bilancio potrebbe raggiungere i 50 morti Secondo la Bbc, gli assalitori avrebbero anche rapito alcune persone. Lo Stato di Ondo è uno dei più pacifici della Nigeria ed è stato poco coinvolto dall'ondata di violenza jihadista che insanguina da anni il Paese africano.

Nigeria, sparatoria in chiesa durante la messa: morti e feriti. Alessandra Muglia su Il Corriere della Sera il 5 Giugno 2022.

Uomini armati hanno fatto irruzione durante la celebrazione della Pentecoste di una comunità cattolica nello stato di Ondo, nel sud del Paese africano. 

Hanno colpito durante la messa di Pentecoste, la chiesa affollata di fedeli. Raffiche di spari, poi un boato. Urla e un disperato fuggi fuggi. Quel che è rimasto lo mostrano immagini raccapriccianti: corpi riversi in pozze di sangue, tra loro anche bambini. Owo, cittadina a 350 chilometri da Lagos, Sudovest della Nigeria, è sconvolta. «Questo è troppo. Qui non abbiamo mai visto nulla di così sconvolgente», ha reagito un deputato locale, Ogunmolasuyi Oluwole,accorso sul luogo della strage. Fino a ieri sera il bilancio era incerto, con resoconti medici che indicavano almeno una cinquantina di morti e molti feriti, anche gravi. Ma poteva andare persino peggio perché il terrore è arrivato quando la celebrazione stava per finire e alcuni fedeli erano già usciti, come ha raccontato padre Andrew Abayomi, sacerdote della chiesa cattolica di San Francesco scampato alla carneficina: «Stavamo per concludere la funzione. Avevo persino chiesto alle persone di iniziare ad andarsene, poi abbiamo iniziato a sentire gli spari provenire da diverse parti», ha detto alla Bbc. «Ci siamo nascosti per 20 minuti. Quando abbiamo capito che se ne erano andati, siamo usciti e abbiamo portato le vittime in ospedale». 

Alcuni sopravvissuti hanno riferito di un prete e di alcuni fedeli rapiti. Una versione rilanciata da un deputato che rappresenta l’area di Owo nel Parlamento nazionale, secondo cui a essere stato preso in ostaggio sarebbe il sacerdote che stava celebrando la messa. Ma la notizia è stata prontamente smentita dalla diocesi di Ondo, lo Stato nigeriano in cui si trova Owo: «Tutti i preti e il vescovo della parrocchia sono salvi e nessuno è stato rapito», si legge in un comunicato.

Un altro testimone ha riferito di aver visto «almeno cinque uomini armati all’interno della chiesa», prima di fuggire per mettersi in salvo. Hanno attaccato con armi da fuoco ed esplosivi, ha confermato il portavoce della polizia dello Stato, Ibukun Odunlami all’Afp. 

«Il nostro cuore è pesante» ha twittato il governatore Rotimi Akeredolu, originario proprio di Owo, «la nostra pace e tranquillità è stata attaccata dai nemici del popolo». In effetti se la maggior parte della Nigeria è alle prese con un’enorme crisi di insicurezza — l’estremismo islamico nel Nordest e le bande di saccheggiatori e rapitori che terrorizzano il Nordovest e il centro del Paese — lo Stato di Ondo era finora conosciuto come una delle aree meno a rischio del Paese. Anche in questo Stato però sta crescendo lo scontro tra pastori nomadi Fulani, per lo più islamici e «forestieri» da un lato, e gli agricoltori Yoruba, stanziali e cristiani, dall’altro. 

Così malgrado non ci sia stata alcuna rivendicazione, i primi sospetti si concentrano proprio sui Fulani che dal Nord del Paese, complice la progressiva desertificazione, si stanno spingendo sempre più a Sud alla ricerca di nuove terre. Un conflitto per le risorse che si sta trasformando sempre più in scontro etnico-religioso, particolarmente acceso nella fascia centrale della Nigeria: in un anno si è registrato un aumento del 43% delle atrocità di massa, più di quelle terroristiche. 

«È un attacco contro il governatore Rotimi Akeredolu (originario proprio di Owo, ndr) per il suo sostegno alla sicurezza nella terra yoruba. I terroristi, per lo più stranieri fulani, dovrebbero essere presi e uccisi dalle forze di sicurezza», accusa l’organizzazione yoruba Afenifere.

«Pur mettendo al centro la conquista di territori per i loro allevamenti di bestiame, i pastori fulani si rendono protagonisti di assalti a villaggi abitati prevalentemente da cristiani — osserva Alessandro Monteduro, direttore di Aiuto alla Chiesa che Soffre — Negli ultimi anni i Fulani si sono dotati di Ak47. L’assenza di un buon governo e la corruzione sta contribuendo a tutto questo».

Parole di condanna sono arrivate dal presidente nigeriano Muhammadu Buhari, all’ultimo anno di un mandato segnato da dure critiche per la sua inefficacia sul fronte della sicurezza. 

Commozione e sgomento dalla Nigeria all’Italia. Papa Francesco ha rivolto una preghiera «per le vittime e per il Paese, dolorosamente colpiti in un momento di festa». Il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, ha parlato di «violenza inaudita».

Michele Farina per il “Corriere della Sera” il 6 giugno 2022.

«The Harvest of death», così l'aveva definito Amnesty International in un rapporto pubblicato alla fine del 2018. Il raccolto della morte: nei tre anni precedenti, il conflitto tra agricoltori e pastori in Nigeria aveva mietuto quasi quattro mila persone. 

Amnesty documentava il fallimento delle politiche (non) messe in atto dal governo del presidente Muhammadu Buhari per contrastare questa violenza in gran parte sotto traccia.

Il raccolto di sangue è andato crescendo di anno in anno. Mentre le attenzioni del mondo si concentravano (si fa per dire) sulla minaccia di Boko Haram nel Nord-Est del Paese (soprattutto dopo il rapimento delle ragazze di Chibok avvenuto nel 2014) altre stragi e altri massacratori sono passati più inosservati. Forse perché non hanno alle spalle gruppi terroristici ben definiti e rivendicazioni altisonanti, con leader capaci di fare colpo sull'opinione pubblica. 

L'attacco di ieri alla chiesa di San Francesco di Owo, in uno Stato come quello di Ondo finora relativamente risparmiato dall'ondata di rapimenti e attacchi che hanno riguardato varie parti della Nigeria negli ultimi mesi, rientra in questa casistica. Piccolo Stato agricolo del Sud-Ovest, 3 milioni e passa di abitanti in maggioranza cristiani di etnia Yoruba.

Anche lì in passato si erano registrati alcuni attacchi da parte degli estremisti fulani, popolazione seminomade di religione musulmana sparsa in diversi Paesi dell'Africa Occidentale (dal Lago Ciad all'Oceano Atlantico). Il paradigma è vecchio quanto il mondo: pastori contro agricoltori. Ragioni ambientali: la progressiva desertificazione ha spinto i mandriani sempre più a Sud. 

È una guerra per la terra che va in scena in altre parti dell'Africa subsahariana, dal Mali al Sudan. Nello Stato di Ondo, racconta Josiah Oluwole sul giornale locale The Times, la scintilla solitamente è la distruzione dei raccolti da parte del bestiame dei nomadi.

Ma i contrasti tra comunità hanno sempre più spesso assunto una connotazione religiosa. Musulmani contro cristiani. Con le autorità, anche quelle del governo centrale, spesso accusate di non fare nulla contro gli estremisti. Lo stesso presidente Buhari, in scadenza di mandato, è di famiglia Fulani. E questo spiegherebbe la «disattenzione» del governo. 

Domenica scorsa il primate della Chiesa Metodista, Samuel Kanu, è stato rapito nello Stato di Abia, nel Sud-Est del Paese, da una gang di otto fulani dai 18 ai 25 anni («parlavano la loro lingua» ha detto alla Bbc dopo la liberazione ) che ce l'avevano a morte con il presidente: «Lo vorremmo fare a pezzi perché ci ha tradito». Kanu, rilasciato dopo il pagamento di un riscatto di quasi 200 mila dollari, ha accusato i militari nigeriani di collusione con i rapitori: «Erano in zona e non hanno fatto nulla».

Più che estremisti islamici, i sequestratori del vescovo metodista sembravano criminali comuni. La via dei soldi è un altro elemento del «raccolto di morte» che insanguina il Paese. Con il correlato della corruzione endemica. Dopo il rapporto del 2018, le forze armate nigeriane chiesero la messa al bando di Amnesty International. La vita delle persone non è tenuta in grande considerazione in Nigeria, neppure da coloro che sono pagati per proteggerla.

Da il “Corriere della Sera” il 6 giugno 2022. 

«Liberi», detti anche Peul o Fulbe: il nome di una popolazione seminomade in grande maggioranza musulmana, presente in diversi Paesi (in prevalenza) dell'Africa Occidentale: Nigeria, Mali, Guinea, Senegal e Niger. La struttura sociale dei pastori Fulani è egualitaria, in contrasto con altri gruppi come gli Hausa e con la maggior parte dei Fulani stanziali.

In Nigeria sono 13 milioni (il 6% della popolazione). È nato in una famiglia fulani il presidente Buhari, accusato di non fare abbastanza contro la violenza sui cristiani.

Strage in Nigeria, un testimone: "In un attimo si è scatenato il panico. C'erano corpi ovunque". Raffaella Scuderi su La Repubblica il 6 giugno 2022.

Damilola Olufemi si trovava a dieci minuti dal luogo della carneficina nella chiesa di San Francesco. Lutto cittadino oggi a Owo. La comunità cristiana della città si è recata al palazzo del re per chiedere spiegazioni e sicurezza.

"Stavo guidando la mia auto a poca distanza dal luogo della strage quando ho sentito una forte esplosione. Improvvisamente si è scatenato il panico. La gente correva per cercare un riparo". Damilola Olufemi è un reporter di Abuja che ieri si trovava a Owo, nello Stato di Ondo, dove è avvenuto il massacro di almeno 30 persone nella chiesa di San Francesco, nella domenica di Pentecoste.

Pierluigi Bussi per “la Stampa” il 6 giugno 2022.

Ancora cristiani nel mirino: uomini armati hanno ucciso fedeli in preghiera durante la messa di Pentecoste nella chiesa cattolica di San Francesco a Owo, una città nello Stato di Ondo, nel sud-ovest della Nigeria. L'attacco avrebbe provocato decine di vittime. 

Si parla di oltre 50 secondo il quotidiano locale The Daily Nation, tra cui ci sarebbero molti bambini. In base alla ricostruzione dei media nigeriani, gli assalitori in un primo momento hanno fatto esplodere ordigni vicino all'altare per poi sparare ai fedeli. Padre Andrew Abayomi, uno dei sacerdoti della chiesa, ha dichiarato: «La Messa era quasi terminata e stavo invitando i fedeli ad uscire quando ho cominciato a sentire spari provenienti da tutte le parti.

 In pochi minuti la chiesa è diventata una pozza di sangue, con urla di donne e bambini che cercavano di nascondersi tra i banchi». Due settimane fa, due sacerdoti cattolici sono stati rapiti a Katsina, lo Stato del presidente Muhammadu Buhari, nel nord del Paese e tuttora sono nelle mani dei rapitori.

Forti le dichiarazioni del governatore Akeredolu dopo la carneficina. «L'attacco vile e satanico è un assalto calcolato alle persone amanti della pace dello Stato di Ondo che hanno goduto di una relativa pace nel corso degli anni. È una domenica nera per tutti noi. I nostri cuori sono pesanti. La nostra pace e tranquillità sono state attaccate dai nemici del popolo. 

Questa è una perdita personale, un attacco al nostro caro stato. Si tratta di un attacco inaspettato. Sono a dir poco scioccato. Tuttavia, impegneremo ogni risorsa disponibile per dare la caccia a questi assalitori e fargliela pagare. Non ci inchineremo mai alle macchinazioni di elementi senza cuore nelle nostre risoluzioni di liberare il nostro stato dai criminali.

Esorto il nostro popolo a rimanere calmo e vigile». «La Nigeria è attualmente uno dei posti più pericolosi per i cristiani», afferma Illia Djadi, analista di Open Doors per l'Africa subsahariana. «Il Paese è stato testimone di un'esplosione di violenze negli ultimi mesi. Gli attacchi si verificano quasi quotidianamente. E ciò che sta accadendo è la triste realtà di ciò che avviene in tutta l'Africa occidentale». 

Vi sono anche segnali crescenti che i gruppi estremisti islamici hanno iniziato a lavorare insieme e ad ampliare l'impatto della loro violenza. David Landrum, Direttore di Open Doors Advocacy, afferma: «Sembrerebbe che il paese debba ora affrontare un mostro a tre teste - come Boko Haram, Iswap, militanti Fulani, terroristi che agiscono in cooperazione tra loro».

La matrice dell'attacco al momento è ancora da identificare, ma sembra che dietro all'atto terroristico ci siano i Fulani, un gruppo terroristico formato da pastori musulmani che si muove sempre più spesso alla ricerca di pascoli verdi a Sud, causando la devastazione di raccolti e terreni coltivati dagli agricoltori, in prevalenza cristiani. 

Dietro l'attacco ci potrebbe essere un messaggio inviato al governatore dello Stato di Ondo, Arakunrin Akeredolu, a seguito delle sue recenti iniziative politiche, considerate restrittive per le attività dei pastori nella regione.

Non si può comunque escludere che dietro alla strage ci sia la mano di Boko Haram/Iswap. I jihadisti pro-Isis nelle ultime settimane stanno subendo una pesante offensiva nel Nord Est del Paese con l'Operazione Lake Sanity nell'area del Lago Ciad, tanto che in pochi giorni hanno perso decine di uomini, equipaggiamenti, risorse e basi. Di conseguenza, potrebbero cercare vendetta, anche se non era mai accaduto finora che fosse colpita una chiesa nel Sud della Nazione.

La Nigeria sta convivendo con un'impennata di violenza. Rapimenti e attacchi sono stati segnalati in tutto il Paese, dove circa 3.000 persone sono state uccise e oltre 1.500 sono state rapite nei primi tre mesi dell'anno, secondo i dati diffusi dal Nigeria Security Tracker. Gli eventi, però, sono concentrati principalmente nel quadrante Nord-Ovest. Il sud-ovest, e in particolare lo stato di Ondo, sono considerati invece un luogo di relativa pace e calma.

"Vogliono imporre l'oscurantismo". Chi c'è dietro la strage dei cristiani in Nigeria. Alessandra Benignetti il 6 Giugno 2022 su Il Giornale.

Dietro l'attacco una possibile ritorsione dei fulani contro il governatore dello Stato dell'Ondo. Aiuto alla Chiesa che Soffre: "Con la saldatura tra Boko Haram e pastori musulmani cristiani nel mirino anche nel sud del Paese".

Potrebbe esserci la saldatura tra i gruppi jihadisti come Boko Haram e i pastori fulani dietro l’attacco della domenica di Pentecoste nella chiesa di San Francesco ad Owo, nello stato di Ondo, nel sud-ovest della Nigeria. Secondo gli analisti la cooperazione tra i miliziani islamisti che seminano il terrore nel nord del Paese e i mandriani nomadi in conflitto con la popolazione stanziale per la conquista dei terreni da destinare al pascolo ha esportato la violenza anti-cristiana anche fuori dal tradizionale raggio di azione dei terroristi islamici.

I rappresentanti locali, come Adeyemi Olayemi, non hanno dubbi sul fatto che i pastori radicalizzati siano responsabili della mattanza. Dietro, secondo il deputato della Camera dell'Assemblea statale di Ondo, ci sarebbe una "ritorsione" contro il governatore dello Stato, Rotimi Akeredolu, che ha estromesso il gruppo dall’area. Anche Afenifere, organizzazione locale legata all’etnia yoruba, non ha dubbi sul fatto che l’attacco fosse diretto contro il governatore "per il suo incrollabile sostegno alla sicurezza" e il "rigoroso rispetto della legge sul pascolo aperto". Secondo i racconti dei testimoni, ripresi dai quotidiani locali, gli assalitori, almeno cinque, sarebbero arrivati attorno a mezzogiorno, a bordo di una Golf.

Hanno parcheggiato all’esterno della chiesa e sono entrati nell’edificio qualche minuto prima della fine della messa. Si sono confusi tra i fedeli, poi hanno lanciato un ordigno nella navata principale e hanno aperto il fuoco sparando per oltre 15 minuti. Il parroco, padre Andrew Abayomi, è riuscito a nascondersi assieme ad altre persone finché i terroristi non si sono allontanati. Una volta rientrati in chiesa si sono trovati davanti ad un lago di sangue. A terra c’erano i corpi di uomini, donne e bambini, falciati mentre erano raccolti in preghiera. "Sembrava la scena di un film", ha raccontato al quotidiano nigeriano Vanguard una delle vittime.

Almeno 25 persone sarebbero morte sul colpo. Quelle che ancora respiravano sono state caricate sui pick-up e portate al Federal Medical Centre di Owo. Il bilancio delle vittime è ancora incerto. Si parla di 35 persone, ma potrebbe salire nelle prossime ore. Il presidente Muhammadu Buhari, ha condannato la strage. "Questo Paese - ha detto - non cederà mai al male e le tenebre non vinceranno mai la luce". Ma le autorità sono sotto accusa per non aver garantito la sicurezza, ancora una volta. Da mesi, infatti, nel Paese si moltiplicano le stragi nei villaggi e i rapimenti a scopo di riscatto. "Il governo dovrebbe assumersi la sua responsabilità primaria di garantire la vita e la proprietà dei suoi cittadini. Il mondo ci sta guardando!", esorta monsignor Lucius Ugorji, presidente della Conferenza episcopale della Nigeria. Il rischio, altrimenti, è che si acceleri "la caduta del Paese nell'anarchia".

Per il vescovo della diocesi di Ondo, Jude Arogundade, invece, la Nigeria sarebbe già, a tutti gli effetti, un Paese in conflitto. L’obiettivo degli assalitori, secondo il monsignore, era quello di fare più vittime possibile: "Chi cercava di fuggire all’esterno veniva colpito dall’esterno e quelli che si trovavano dentro sono stati colpiti dall’interno". Poi gli attentatori hanno fatto deflagrare l’altare con la dinamite. "Quello che il mondo deve sapere – ha detto il vescovo – è che la Nigeria è in guerra e che questa guerra è diretta contro i civili". Alessandro Monteduro, direttore di Aiuto alla Chiesa che Soffre, fondazione pontificia che si occupa di sostenere i cristiani perseguitati, è d’accordo: "Questo non è soltanto un attacco ai cristiani, ma è un attacco contro lo Stato e contro le istituzioni debolissime e ultra-corrotte della Nigeria".

"Nel Paese – spiega raggiunto al telefono dal Giornale.it - i cristiani sono quasi la metà della popolazione, attaccarli vuol dire attaccare la laicità delle istituzioni per imporre la propria visione estremista". Nel mirino, quindi, secondo Monteduro, ci sono tutte quelle comunità che non si piegano alla violenza e al radicalismo. In cima alla lista ci sono i cristiani. Ma c'è posto anche per i musulmani moderati o gli studenti. "Non a caso negli ultimi due anni – rivela - ci sono stati tantissimi rapimenti di universitari che frequentano le facoltà scientifiche. Letteralmente Boko Haram significa che ‘l’educazione occidentale è peccato’. Dietro queste stragi, quindi, c’è la volontà di attaccare la cultura occidentale ed imporre l’oscurantismo".

Lo scontro tra mandriani e contadini, in Nigeria, esiste da sempre. Ma negli ultimi anni c’è stato un salto di qualità, sia per il flusso di armi pesanti dalla Libia destabilizzata, sia per la collaborazione instaurata dai pastori musulmani fulani con i soldati della Jihad attivi nel nord del Paese. "È per questo – spiega Monteduro - che i cristiani ora sono sotto tiro anche in Stati tradizionalmente sicuri".

Cina, terremoto nella Chiesa: arrestato il cardinale Joseph Zen, "colluso con forze straniere". Cosa farà il Papa ora? Libero Quotidiano l'11 maggio 2022.

Terremoto in Vaticano per l'arresto del cardinale Joseph Zen Ze-kiun, 90 anni, vescovo emerito di Hong Kong, in pensione dal 2009, noto sostenitore del movimento democratico, che è stato fermato dalle autorità cinesi. Lo affermano fonti locali e diversi media cittadini riportati da AsiaNews, secondo cui il fermo è legato alla gestione del Fondo 612, che fino alla sua chiusura ha assistito migliaia di manifestanti pro-democrazia coinvolti nelle proteste del 2019. 

"Il cardinale Zen era uno degli amministratori fiduciari dell'organizzazione benefica, che ha smesso di operare nell'ottobre scorso", si legge. "Le autorità lo hanno arrestato insieme ad altri promotori del Fondo, tra cui l'avvocato Margaret Ng Ngoi-yee, l'accademico Hui Po-keung e la cantautrice Denise Ho". Da quanto si apprende, riporta l'agenzia del Pime, "l'indagine delle Forze dell'ordine si concentra sull'eventuale 'collusione' del Fondo 612 con forze straniere, in violazione della draconiana legge sulla sicurezza nazionale imposta da Pechino nell'estate 2020". Zen è da tempo nel mirino del governo cinese. A gennaio la stampa pro-establishment ha pubblicato quattro articoli in cui lo si accusava di aver incitato gli studenti a rivoltarsi nel 2019 contro una serie di misure governative.

L'accusa di cui devono rispondere gli arrestati, la collusione con forze straniere, è uno dei quattro reati previsti dalla legge sulla sicurezza nazionale nella città imposta da Pechino a giugno 2020, e condannata a livello internazionale, per spegnere le proteste pro-democrazia di Hong Kong, assieme ai reati di sovversione, secessione e terrorismo e può comportare pene fino all'ergastolo.  

Ora come si muoverà Papa Francesco?

(ANSA il 12 maggio 2022) - La Cina ha difeso l'arresto del cardinale Joseph Zen, 90 anni, e di altre tre persone ai sensi della legge sulla sicurezza nazionale di Hong Kong, una mossa che ha alimentato indignazione internazionale e nuovi timori per la repressione di Pechino sulle libertà dell'ex colonia. 

"Le persone interessate sono sospettate di cospirazione per collusione con Paesi stranieri o forze straniere per mettere in pericolo la sicurezza nazionale, un atto di natura grave", ha affermato l'Ufficio commissariale che rappresenta il ministero degli Esteri cinese a Hong Kong. Zen, arrestato ieri pomeriggio, è stato rilasciato in seguito su cauzione.

Lorenzo Lamperti per “la Stampa” il 12 maggio 2022.  

Il nuovo capitolo della «democrazia con caratteristiche di Hong Kong», come Pechino ha descritto la nomina di John Lee a nuovo leader dell'ex colonia britannica, si apre come si era chiuso il precedente: con la repressione. Stavolta a farne le spese è Joseph Zen, il 90enne cardinale sostenitore dell'opposizione democratica di Hong Kong. 

Un'opposizione che non esiste più, smantellata sul lato politico dalla riforma elettorale dei "patrioti" e su quello civile dalla legge di sicurezza nazionale. Proprio la legge che l'ex vescovo cattolico avrebbe violato in relazione alla sua gestione del Fondo Umanitario 612, creato per sostenere i manifestanti nel pagamento delle spese legali. 

Il fondo ha raccolto e distribuito 31,2 milioni di dollari fino all'ottobre 2021, quando è stato chiuso in seguito all'apertura dell'inchiesta. L'accusa è di «collusione con forze straniere», per aver ricevuto somme e donazioni dall'estero. Zen ha aiutato migliaia di attivisti ad affrontare i loro processi ed è sempre stato molto critico sulla progressiva erosione dell'autonomia di Hong Kong. 

Insieme a lui sono stati arrestati anche gli altri ex fiduciari del fondo: l'avvocatessa Margaret Ng, l'accademico Hui Po-keung e la cantante Denise Ho. Dopo qualche ora di interrogatorio della polizia, poco prima della mezzanotte locale, il cardinale è stato rilasciato su cauzione. 

Zen è da tempo nel mirino delle autorità: in questi anni ha spesso presenziato ai processi contro gli attivisti democratici e a gennaio i media allineati col Partito comunista lo avevano accusato di aver incitato gli studenti alla ribellione. Da quando aveva lasciato la carica di vescovo della città, nel 2009, si erano progressivamente logorati anche i rapporti tra il cardinale e il Vaticano.

Zen ha criticato l'accordo sulla nomina dei vescovi raggiunto nel 2018 (e prorogato nel 2020) tra Santa Sede e governo cinese. «La Chiesa avrebbe dovuto negoziare con Hitler? O con Stalin?», si era chiesto. Aggiungendo che la distensione con Pechino avrebbe costituito un «tradimento» di Cristo. 

Zen aveva inoltre chiesto un intervento diretto di Bergoglio durante la repressione delle proteste. La Santa Sede ha fatto sapere di aver «appreso con preoccupazione la notizia dell'arresto» e di seguire «con estrema attenzione l'evolversi della situazione». Anche per la marginalità della sua figura all'interno della chiesa cattolica, in pochi si attendevano un arresto.

Mossa che potrebbe invece riportare la sua figura al centro dell'attenzione. Ma Zen rappresenta un punto di riferimento spirituale, civile e in qualche modo politico per i filo democratici rimasti senza rappresentanza parlamentare. E la priorità di Pechino, evidentemente, è quella di annichilire qualsiasi forma di attivismo pro democratico a Hong Kong. Anche a costo di aprire un possibile nuovo fronte internazionale creando più di un imbarazzo nei suoi rapporti con la chiesa cattolica.

Gian Guido Vecchi per il “Corriere della Sera” il 12 maggio 2022.  

La reazione ufficiale arriva a metà pomeriggio, poche parole affidate al portavoce vaticano Matteo Bruni. La Segreteria di Stato si è messa al lavoro da ore, ormai già si attende la liberazione del cardinale su cauzione, ma non si sa mai: «La Santa Sede ha appreso con preoccupazione la notizia dell'arresto del cardinale Zen e segue con estrema attenzione l'evolversi della situazione».

Nient' altro, perché «la situazione è già abbastanza complicata», spiegano Oltretevere, e adesso si tratterà di «valutare le conseguenze» di ciò che è accaduto. Situazione inaudita, l'arresto di un cardinale, anche perché i cardinali hanno il passaporto diplomatico e godono in genere di immunità: non col regime cinese, però, considerato che il Vaticano e Pechino non hanno rapporti diplomatici da quando Mao prese il potere e il nunzio Antonio Riberi fu costretto a lasciare il Paese due anni più tardi, il 5 settembre 1951.

Un primo, faticoso passo, preparato da decenni di relazioni diplomatiche sottotraccia, è stato l'«accordo provvisorio» sulla nomina dei vescovi firmato a Pechino il 22 settembre 2018, entrato in vigore un mese dopo «ad experimentum» per due anni e rinnovato il 22 ottobre 2020 per altri due: scade in autunno. E certo, come se già le difficoltà e le resistenze nell'apparato cinese non fossero abbastanza, l'arresto di un cardinale non è il miglior viatico per proseguire nell'intesa e renderla stabile. 

Il paradosso è che anche nella Chiesa non mancano le resistenze e, fra tutti, il maggiore oppositore della nuova «Ostpolitik» vaticana, simbolo e capofila del «no», è proprio il cardinale Joseph Zen, vescovo emerito di Hong Kong, in pensione dal 2009, arrivato nel frattempo a novant' anni ma non per questo meno combattivo. 

Mentre si stava per rinnovare l'accordo, per dire, reagì con una lettera aperta tradotta in varie lingue nella quale dava del «bugiardo» al cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato, e lo accusava tra l'altro di aver detto cose «stomachevoli» e di «dialogo col nemico», fino a scrivere: «Non so perché il Papa si lascia manipolare da lui».

Quando è andato in pensione anche il successore ed ex coadiutore di Zen, Francesco ha nominato ad Hong Kong il confratello padre Stephen Chow Sau-yan, 61 anni, fin all'anno scorso Provinciale e quindi superiore dei gesuiti nella provincia cinese della Compagnia di Gesù. Una scelta significativa, considerata la storia dei gesuiti in Cina, la missione di dialogo iniziata quattro secoli fa da Matteo Ricci. 

Per Francesco si tratta di uno degli obbiettivi fondamentali del pontificato, con buona pace delle preoccupazioni degli Usa, nella convinzione che «l'Asia è il futuro della Chiesa». Ma l'arresto di un cardinale, per quanto riottoso, non è qualcosa che la Santa Sede possa far passare come niente fosse.

Dove i cristiani svaniscono: la fuga dal Medio Oriente raccontata da Janine Di Giovanni.  Angiola Codacci-Pisanelli su L'espresso il 2 Aprile 2022.

Il titolo è un omaggio a Henri Carter-Bresson: «Noi fotografi abbiamo a che fare con cose che svaniscono di continuo, e quando sono svanite non c’è modo di farle tornare indietro. Non possiamo sviluppare e stampare un ricordo», ha detto il famoso creatore di immagini che non si cancellano più dalla memoria di chi le ha viste. Ma a svanire, nel libro “The vanishing” di Janine Di Giovanni (Bloomsbury), sono persone, famiglie, un popolo intero: i cristiani del Medio Oriente, sempre meno numerosi nella terra in cui la loro religione ha avuto origine. «Tra cent’anni non ce ne saranno più, ho detto a un sacerdote del posto», ha raccontato l’autrice. «Lui mi ha risposto: “Un secolo? Che ottimismo: ci vorranno a stento quarant’anni…”».

Di Giovanni ha iniziato a frequentare la zona trentacinque anni fa e l’ha girata in lungo e in largo mentre lavorava come corrispondente di guerra: un settore che tristemente vede il Medio Oriente come una fonte inestinguibile di notizie. Arrivata nel 1987 per occuparsi della prima intifada, Di Giovanni ha seguito poi la guerra in Iraq, la Siria, il Libano. Dei conflitti che hanno segnato la fine del secolo scorso non ne ha saltato uno: Bosnia, Ruanda, Cecenia, un altro territorio islamico, dove ha corso più rischi: «Ero entrata senza visto e sono rimasta fino alla fine. I russi stavano chiudendo il cerchio intorno al villaggio dov’ero, rintanata in una casa con dei soldati ceceni. Non sapevo come scappare, quando ho visto arrivare l’intermediario che avevo pagato per farmi entrare clandestinamente. Mi ha dato uno scialle per coprirmi la testa, mi ha messo in braccio un bambino urlante e mi ha detto che da quel momento ero sorda e muta. Mi hanno fatto salire su un camion e sono riuscita a scappare così: poco dopo i russi sono entrati nel villaggio e hanno massacrato tutti». 

La sua scelta è sempre stata di andare come indipendente, non “embedded” con i militari «che ti fanno parlare solo con il capo del villaggio e non con i ragazzi del posto». E di ascoltare tutti, «anche i soldati israeliani durante la prima intifada: ero convinta che fossero dalla parte del torto ma nel mio libro ho dato voce anche al loro punto di vista». Tra le atrocità incontrate, il triste record lo assegna all’esercito siriano: «Lì torturano a morte anche i bambini», racconta. Tutte le guerre hanno elementi comuni: uno dei più tragici è il bombardamento degli ospedali: «Quando lo fa Israele a Gaza dice che lì si nascondevano terroristi, ora i russi dicono di farlo per errore ma c’è un calcolo preciso. Se uccidi un solo chirurgo, uccidi centinaia di persone: i feriti che lui avrebbe salvato e ora sono destinati a morire. È più che un crimine di guerra: è il male assoluto».

In mezzo alle urla e alle esplosioni, Di Giovanni è stata colpita da un evento silenzioso: la diminuzione continua della componente cristiana della popolazione. «In Iraq sono stati cacciati dall’Isis, ma non è solo la violenza a spingere alla fuga», ha raccontato presentando il libro presso il Centro Studi Americani, a Roma, dove è venuta per regalarne una copia a Papa Francesco. «I cristiani hanno pochi figli, e quei figli una volta cresciuti scelgono di emigrare in cerca di migliori condizioni di vita». E già questo per lei è stato uno choc: «Io vengo dagli Stati Uniti, un Paese giovane: mio padre è arrivato qui da Napoli da bambino con suo padre che fuggiva dal fascismo. Ma loro hanno vissuto nello stesso territorio per oltre duemila anni, e adesso stanno svanendo».

Il saggio intreccia giornalismo e memoir, le informazioni sulle guerre vissute in prima persona e le emozioni che quando lavora Di Giovanni si impone di mettere a tacere. E la storia delle religioni, legata a quella dei colonizzatori, europei cristiani che arrivavano come padroni nella terra in cui erano nati Gesù e i personaggi della Bibbia. La struttura del libro disegna una geografia dell’assenza: Iraq, Gaza, Siria, Egitto. Dopo aver visto chiese, magari brutte ma accoglienti, in ogni parte del martoriato mondo che frequentava, è a Mosul, durante «l’invasione americana dell’Iraq», che Di Giovanni si rende conto «che tutte queste antiche popolazioni erano in grande pericolo di scomparire, di essere inghiottite come Giona nel ventre della balena. Caldei, babilonesi sumeri, accadici, tutti i rami intrecciati del cristianesimo antico erano minacciati dall’estinzione».

Particolarmente precaria è la situazione dei cristiani di Gaza, circa un migliaio di persone che, oltre ad affrontare le difficoltà di tutti i non ebrei, vengono ostracizzate dalla maggioranza musulmana («Elias al-Jalda, il portavoce della Chiesa Greca Ortodossa nella Striscia di Gaza, accusa Hamas di rendere sempre più difficile il passaggio della frontiera con Israele per i cristiani, sottoponendoli a perquisizioni invasive, e di spingerli a matrimoni con musulmani»). Il racconto della Siria è alla luce del paradosso che vede la roccaforte del potere della famiglia Assad proprio a Damasco, città legata a quel momento fondamentale per la storia del cristianesimo che è stata la conversione di un cittadino romano che sarebbe diventato San Paolo.

Qui Di Giovanni incontra le suore di Maaloula che rifiutano di mettersi al sicuro lasciando il convento e le persone di cui si occupano, e il vescovo Antoine Chbeir, un cattolico maronita libanese che malgrado tutto confida nel regime di Assad per la sopravvivenza dei cristiani della regione: «La relazione tra cristiani e musulmani sono buone, grazie agli alawiti che governano. Gli alawiti sono una parte della comunità islamica che è stata perseguitata dai sunniti, che li considerano eretici». E quindi, confida il vescovo come molti altri cristiani siriani, «capiscono i problemi di una religione minoritaria e sono pronti a proteggere i cristiani dai sunniti, che formano la maggioranza dell’islam».

Tra gli egiziani copti, invece, Di Giovanni si sofferma sulla storia di Adhan, uno degli “Zabbaleen” che gestiscono la spazzatura della “Garbage City” del Cairo: ma sindaco e governo, denuncia, stanno affidando la gestione a ditte straniere, anche italiane, «per punire la minoranza cristiana». Mary invece ricorda che non si era mai sentita cristiana prima che arrivasse al potere Sadat, che si scontrò con il patriarca copto quando volle indicare come base della costituzione la sharia, il diritto tradizionale islamico. «Quello è stato l’inizio della fine», ricorda Mary: quando tutta la sua famiglia ha iniziato a emigrare. Lei resta, perché spera ancora di costruire con i vicini musulmani una comunità condivisa, dove però lei e le sue figlie non siano costrette a indossare il velo.

Dopo tante guerre vissute in prima linea, Di Giovanni la guerra in Ucraina la sta seguendo in una posizione diversa. Fa parte della commissione Onu che si occupa di “transitional justice”, dove si stanno già preparando i processi contro i crimini che i russi stanno commettendo. «Insegniamo alle persone come raccogliere prove delle violenze, in modo che abbiano i requisiti per servire come testimonianze in tribunale». Perché già mentre la guerra è in corso, Di Giovanni pensa a come finirà: «È strano a dirsi ma una guerra è importante che “finisca bene”: cioè con una giustizia riparativa. Se non punisci chi l’ha scatenata, se le vittime non hanno la sensazione di aver ricevuto in qualche modo giustizia, nasce il bisogno di vendetta. Che è la radice di un nuovo conflitto».

A chi le chiede come ha potuto scrivere un libro che parla di Dio dopo aver conosciuto tutte le guerre del mondo, Di Giovanni risponde citando l’eroismo dei buoni: i medici, i volontari ma anche tutte le persone comuni che dopo un bombardamento si danno da fare per aiutare e ripulire «sapendo che corrono il rischio di un secondo bombardamento che colpisca proprio loro». Ma potrebbe citare una frase che si legge all’inizio di “The Vanishing”, dove paragona la religione al rapporto che lei ha ancora, grazie ai mille ricordi di un’infanzia passata insieme, con il fratello Joseph morto anni fa: «Allo stesso modo, la religione offre memorie condivise, una serie di rituali che durano nel tempo, tradizioni che possono essere trasmesse ai figli: la nostra intimità condivisa, i nostri segreti».

"Difendiamo la libertà religiosa da radicalismo e cancel culture". Alessandra Benignetti l'11 Marzo 2022 su Il Giornale.

A Ginevra va in scena il vertice dell’Alleanza internazionale per la libertà religiosa voluta da Donald Trump. Ma l'Italia è assente. L'eurodeputato Fidanza: "Difendere il patrimonio storico religioso contro vecchi e nuovi radicalismi".

Guerre, come quella in corso in Ucraina, fondamentalismo, regimi autoritari. Sono le principali minacce alla libertà religiosa che nel 2022 resta uno dei diritti umani più calpestati. La comunità più colpita resta quella cristiana, con 360 milioni di fedeli perseguitati nel mondo, secondo l’ultimo rapporto della Ong Open Doors. Ma a subire violenze, soprusi e intimidazioni sono anche ebrei, musulmani moderati e le minoranze religiose in generale. Un fenomeno sempre più vasto e preoccupante, che è stato analizzato dall’Alleanza internazionale per la libertà religiosa (IRFBA) a margine della 49esima edizione del Consiglio dei Diritti Umani dell’Onu a Ginevra.

L’organizzazione è stata fondata dal dipartimento di Stato americano durante l’amministrazione Trump per combattere discriminazioni e violenze che vengono perpetrate in nome della fede. Ne fanno parte 32 Paesi, tra cui Stati Uniti, Regno Unito, Austria, Grecia, Danimarca, Olanda, Israele, Polonia, Ungheria e Repubblica Ceca. A presiedere la riunione è stata la deputata conservatrice britannica Fiona Bruce, inviato speciale del primo ministro Boris Johnson per la libertà religiosa, che ha discusso assieme ad importanti esperti e rappresentati delle istituzioni, tra cui l’ambasciatore Jos Douma, inviato speciale per la libertà religiosa del governo olandese e Rashad Hussain, nominato dal Presidente Biden, ambasciatore per la libertà religiosa, delle azioni da mettere in campo per promuovere il rispetto della libertà religiosa e di culto e per proteggere i diritti delle minoranze religiose in tutto il mondo.

L’Italia però manca all’appello. La Farnesina, infatti, non ha ancora risposto alla richiesta dell’Alleanza di nominare un inviato speciale per la libertà religiosa. L’unico italiano a partecipare al dibattito, in qualità di copresidente dell’Intergruppo per la libertà religiosa del Parlamento europeo e membro del consiglio degli esperti dell’Alleanza, è stato l’eurodeputato di Fratelli d’Italia-ECR Carlo Fidanza. "Nell’epoca della cancel culture, difendere il patrimonio storico religioso e i suoi simboli contro vecchi e nuovi radicalismi deve essere una priorità", ha sottolineato, stigmatizzando la lentezza della Commissione Ue sulla nomina del nuovo inviato speciale europeo per la libertà religiosa.

"Nel Parlamento di Strasburgo, a causa dell’opposizione ideologica di alcuni gruppi politici, - denuncia ancora Fidanza - è sempre difficile mettere all’ordine del giorno documenti di condanna di pratiche inaccettabili come i matrimoni forzati". "Tuttavia – ha proseguito nel suo intervento - i segnali di speranza non mancano: alcuni mesi fa abbiamo approvato una risoluzione contro la legge sulla blasfemia in Pakistan, che ha portato alla detenzione e spesso alla condanna a morte di decine di persone negli ultimi anni".

Un’ulteriore passo in avanti contro le violazioni della libertà religiosa, ha ricordato l’eurodeputato, è stata anche la risoluzione di condanna della distruzione di chiese armene nella regione del Nagorno-Karabakh nell’ultima plenaria del parlamento Ue. È prevista per il prossimo 22 marzo, invece, la presentazione da parte dell’Intergruppo per la libertà religiosa del Parlamento Ue a Bruxelles del rapporto periodico sulla libertà religiosa, redatto con la collaborazione di diverse Ong impegnate sul tema.

(ANSA il 30 marzo 2022) - Salah Abdeslam, principale imputato al maxi processo per le stragi jihadiste a Parigi nel 2015 e unico superstite dei commando che uccisero 130 persone, è uscito dal silenzio per ribadire che nella sera degli attentati rinunciò ad uccidere.

Poco prima, in occasione dell'interrogatorio in aula sui suoi movimenti la sera di quel 13 novembre, Abdeslam aveva scelto di ricorrere alla "facoltà di non rispondere".

"Signor presidente, signori della corte - ha detto Abdeslam in apertura di udienza - oggi desidero utilizzare la mia facoltà di non rispondere".

Il presidente del tribunale, Jean-Louis Périès, ha replicato: "Bene, io farò delle domande e non avrò risposte, giusto?". "Esattamente", ha risposto con calma l'imputato. "Per quale motivo? - lo ha incalzato il magistrato - lei a volte è stato provocatorio, ma ha trovato anche parole di comprensione per le vittime". 

"Ci sono molte ragioni per non parlare - ha risposto Abdeslam - una di queste è proprio che vengo definito provocatore, per questo non voglio più esprimermi. È mio diritto, non devo giustificarmi". 

"Ho fatto degli sforzi - ha aggiunto - ho mantenuto il silenzio per 6 anni. Poi ho cambiato idea, mi sono espresso nei confronti delle vittime con rispetto. Oggi, non voglio più farlo. Non ce la faccio più".

«Allah è grande» ed è strage a Parigi. Una serie di attacchi dei terroristi islamici. Annabella De Robertis su La Gazzetta del Mezzogiorno il 14 Novembre 2022

È il 14 novembre 2015. «La Gazzetta del Mezzogiorno» titola «Nuova apocalisse a Parigi. Decine di morti e ostaggi». È stata una notte insonne per l’Europa intera. Ecco le notizie che arrivano dalla capitale francese: «Terrore senza precedenti a Parigi, almeno 60 morti e decine di feriti in almeno sei, forse sette, sparatorie in una città assediata da terroristi e teste di cuoio, ostaggi massacrati in una sala da concerti, decine di cadaveri attorno allo Stade de France, dove gli spettatori di Francia-Germania sono stati bloccati per ore. Il presidente François Hollande ha dichiarato lo Stato di emergenza».

Un commando armato collegato all’autoproclamato Stato Islamico ha sferrato una serie di attacchi terroristici a Parigi, nel cuore della città. L’azione principale si è svolta nel Teatro «Bataclan», nell’XI arrondissement, poco lontano dalla sede della redazione di Charlie Hebdo, insanguinata dagli attentati del 7 gennaio 2015, in cui avevano perso la vita dodici persone.

Quella sera, il Bataclan era sold out per il concerto del gruppo «Eagles of death metal»: migliaia di ragazzi erano arrivati da tutto il Paese per assistervi. «Un gruppo di terroristi ha gridato “Allah è grande” e ha aperto il fuoco sul pubblico, dove si è verificato un bagno di sangue: pare che i terroristi abbiano ucciso le persone una ad una». Altre sparatorie sono avvenute in bar e ristoranti nei pressi del quartiere ebraico di Parigi. L’operazione criminale non si è limitata a questo: «A Saint-Denis, allo Stade de France, tre esplosioni hanno scosso i 50.000 presenti all’amichevole Francia-Germania (s’è saputo solo un paio d’ore che si trattava di due attacchi kamikaze e di una bomba). I giocatori si sono fermati, alcuni spettatori sono riusciti a uscire, gli altri sono rimasti bloccati dalla polizia all’interno fin dopo il termine della gara. Immediatamente evacuato il presidente Hollande, che assisteva alla partita in tribuna d’onore».

In tutto, si conteranno 137 vittime, compresi alcuni degli attentatori, di 26 diverse nazionalità, 90 delle quali al Teatro Bataclan. Si è trattato della più cruenta aggressione in territorio francese dalla Seconda guerra mondiale. Sulla «Gazzetta» ancora non compare il nome di Valeria Solesin, ricercatrice veneziana di 28 anni, unica vittima italiana della strage del 13 novembre 2015. Lo scorso giugno è stata emessa la sentenza del maxi-processo contro gli attentatori: con le sue 148 udienze nell’aula bunker dell’Ile-de-la-Cité, è stato il processo più lungo celebrato in Francia dal dopoguerra. ​​Salah Abdeslam, unico superstite del commando che ha compiuto la strage, è stato condannato all’ergastolo senza possibilità di riduzioni di pena.

Un anno, una notte: lei e lui, sopravvissuti al Bataclan. Fabio Ferzetti su La Repubblica il 14 Novembre 2022.

Ramón è ossessionato dai ricordi, Céline ha rimosso l’orrore. E il regista Lacuesta disegna un’intera società

Due giovani scampati d’un soffio all’orrore scoprono poco a poco di aver messo in atto strategie opposte per superare il trauma. Opposte e inconsapevoli naturalmente, la mancanza di controllo è il cuore del problema. Così lui è ossessionato dai ricordi, lei non ne parla mai. Lui soffre di attacchi di panico, lei sembra sempre padrona di sé, tanto da consigliarlo e accudirlo. Lui si chiama Ramón González, e a quell’esperienza ha dedicato un libro (mai tradotto in italiano), “Paz, Amor y Death Metal”. Lei si chiama Céline e tutti e due il 13 novembre 2015 erano al Bataclan, epicentro di una serie di attentati che in una sola notte farà 130 morti a Parigi. Anche se Céline, ecco lo scarto incolmabile, non ha mai detto a nessuno che quella sera si trovava lì.

Difficile immaginare soggetto più scivoloso di quello affrontato dal regista spagnolo Isaki Lacuesta. Oltre a fugare ogni sospetto di speculazione spettacolare, bisognava evitare l’armamentario ricattatorio che spesso impiomba le storie dei sopravvissuti. Impresa riuscita, almeno per l’essenziale.

Pur non disdegnando i flashback, “Un anno, una notte” contiene al minimo la rievocazione della strage, lasciando i terroristi (e gli uccisi) rigorosamente fuori campo per concentrarsi sul dopo, visto nella prospettiva rivelatrice di una coppia (Ramón e Céline sono Nahuel Pérez Biscayart e Noémie Merlant, improbabili a prima vista ma proprio per questo straordinariamente vivi e vibranti).

Come andare avanti, dopo un’esperienza simile? Cosa farne, dentro e fuori di sé, dunque anche nel loro rapporto? Come sfuggire all’assedio della memoria ma anche allo status di sopravvissuti, con gli amici, in famiglia, sul lavoro, nell’intimità? Ovvero, restando nel quotidiano, come sopportare la solidarietà pelosa e a volte offensiva degli amici via sms, la retorica di Hollande in tv, il razzismo dilagante? Mescolando passato e presente, memoria e immaginazione, ma soprattutto alternando con finezza i registri più diversi (lirico, elegiaco, domestico, drammatico, a tratti perfino comico), Lacuesta riordina il caos senza mai perdere di vista, anzi usando a meraviglia anche i lavori di Ramón e Céline, lui programmatore, lei assistente in un centro per ragazzi senza famiglia. Fino a disegnare in filigrana, dietro di loro, un’intera società. Non era facile.

Attentato al Bataclan, 7 anni dopo parlano i sopravvissuti: “Non vogliamo essere vittime per sempre”. Chiara Nava il 13/11/2022 su Notizie.it.

Sono passati sette anni dal terribile attentato al Bataclan. I sopravvissuti alla strage hanno raccontato quello che è accaduto.

Dopo sette anni, il dolore per l’attentato al Bataclan, in cui sono morte 130 persone, è ancora forte. I sopravvissuti alla strage hanno cercato di andare avanti, di superare quanto accaduto, perché non vogliono sentirsi vittime per sempre. 

Attentato al Bataclan, 7 anni dopo parlano i sopravvissuti: “Non vogliamo essere vittime per sempre”

Lungo la Boulevard Voltaire a Parigi il tempo sembra non essersi fermato. Il Bataclan ha cercato di andare avanti e gli artisti continuano ad esibirsi all’interno del teatro. Nessuno, però, può dimenticare quello che è accaduto il 13 novembre 2015, quando 90 persone vennero uccise da un commando armato di tre terroristi legati all’Isis nella sala piena per il concerto degli Eagles of Death Metal. Quella sera ci furono diversi attentati di matrice islamica a Parigi.

Tre esplosioni intorno allo Stade de France, dove era in corso un’amichevole tra i Bleues e la Germania, e sei sparatorie in diversi luoghi pubblici. Il bilancio totale fu di 130 morti e 368 feriti. I sopravvissuti a quella terribile strage hanno ripreso la loro vita normale, cercando di combattere con il dolore e la paura per quello che è accaduto. 

Attentato al Bataclan: il racconto di Natasha

Natasha è sopravvissuta all’attentato al Bataclan.

La donna di 45 anni, francese di origini italiane, ha raccontato a L’Espresso quello che ha vissuto. Nel 2015 lavorava in una biblioteca e nel tempo libero amava molto la musica e i concerti. Il 13 novembre era andata al Bataclan con quello che all’epoca era il marito. Erano sulla balconata del primo piano quando hanno iniziato a sentire gli spari e si sono barricati in un camerino con trenta persone, dove hanno trascorso due ore e mezza prima dell’intervento della polizia.

Le prime due settimane dopo l’attentato Natasha è rimasta chiusa in casa e dopo 20 giorni è tornata al lavoro ma “non ero più concentrata e perdevo sempre più peso“. A giugno 2014 il capo le ha concesso un mese di ferie, ma lei non è più tornata in biblioteca. Ha avuto un periodo di pausa di due anni, in cui è andata anche nel Regno Unito. “L’Inghilterra mi faceva sentire bene. Avevo bisogno di scappare da Parigi, dove ogni cosa mi riportava con la mente all’attentato” ha spiegat. Nel 2021 l’incontro con un fotografo l’ha spinta a parlare. Ora ha un altra vita, non va spesso ai concerti e se ci va cerca di essere vicina all’uscita di sicurezza. Si è ripresa grazie alla figlia di 4 anni e al nuovo lavoro come tatuatrice. Non è più stata al Bataclan, ci passa davanti solo il 13 novembre di ogni anno per la commemorazione. 

Attentato al Bataclan: la storia di Arthur

Arthur Dénouveaux è tornato al Bataclan. Il parigino di 36 anni lavora in una società mutualistica ed è presidente di “Life for Paris“, associazione delle vittime degli attentati del 13 novembre. Lui è riuscito a scappare poco dopo l’apertura del fuoco. “Dieci minuti che hanno stravolto tutto” ha dichiarato a L’Espresso. “Ho avvertito un cambiamento. Un momento prima sei considerato valido. Quello dopo si chiedono se si possa fare affidamento su di te” ha spiegato, parlando dello sguardo dei colleghi nei mesi successivi. Ad agosto 2016 ha lasciato il lavoro in banca e l’associazione gli ha cambiato la vita. “Si parla spesso del senso di colpevolezza dei sopravvissuti. In me si è formato invece il senso di responsabilità” ha spiegato, sottolineando di non essere un eroe. “Io sono una vittima come gli altri. Nel 2015 ero un qualsiasi 29enne nel pieno di una vita serena. Ero ottimista e spensierato. Quella spensieratezza l’attentato me l’ha tolta per sempre” ha precisato.

Attentato al Bataclan: la storia di David 

David Fritz Goeppinger, sopravvissuto, ha una grande voglia di chiudere. Il fotografo e scrittore di origine cilena, cresciuto nella capitale francese, nel 2015 aveva 23 anni e lavorava come barman. La sera del 13 novembre è rimasto bloccato al Bataclan per tre ore come ostaggio ed è stato costretto a collaborare con i terroristi. Dopo l’esperienza ha lasciato il lavoro e casa dei genitori e ha iniziato a vedere uno psicologo. Nel 2017 è tornato a fare il fotografo e nel 2019 ha pubblicato un libro. Il processo è stato il punto di svolta. “Dopo anni di testimonianze per la prima volta c’era la giustizia ad ascoltare dall’altra parte” ha spiegato. La sentenza del 29 giugno 2022 che ha condannato Salah Abdeslam all’ergastolo senza sconti di pena e ha riconosciuto colpevoli altre 18 persone è stata una liberazione, anche se si sente addosso il marchio della vittima. “È impossibile toglierselo ma io non mi considero più tale. Quello della vittima non è un’identità, è uno status” ha spiegato. 

Bataclan, la sentenza: colpevoli 19 su 20 imputati. Stefano Montefiori su Il Corriere della Sera il 29 Giugno 2022.  

Sono stati riconosciuti colpevoli di omicidi volontari 19 imputati su 20 per gli attentati di Parigi del 13 novembre 2015. Salah Abdeslam, l’unico sopravvissuto dei commando di terroristi, condannato all’ergastolo senza possibilità di sconto di pena. «Non sono un assassino, non ho ucciso nessuno», erano state le ultime parole di Salah Abdeslam lunedì mattina, prima che i giudici si chiudessero in camera di consiglio. Ieri sera, dopo 1o mesi di udienze, il verdetto. L’unico superstite del commando dei 10 terroristi del 13 novembre 2015 lo ha ascoltato con le braccia incrociate e lo sguardo duro, fisso nel vuoto.

Il tribunale non gli ha creduto. Non è vero che la sera degli attentati allo Stade de France, ai ristoranti e al Bataclan, il 32enne terrorista islamico ha rinunciato a farsi esplodere «per umanità», perché aveva cambiato idea all’ultimo momento vedendo i ragazzi seduti ai tavolini all’aperto. Secondo le perizie, semmai, il giubbotto esplosivo era difettoso, non è entrato in funzione, e solo per questo lui lo ha gettato in un cestino della spazzatura. Solo per un difetto di progettazione ai 130 morti (tra i quali l’italiana Valeria Solesin) e ai 413 feriti di quella sera non si sono aggiunte altre vittime.

Quindi, ergastolo «non comprimibile»: Abdeslam, che ha condiviso tutto l’attentato, resterà in prigione tutta la vita. È la pena più dura prevista dall’ordinamento giudiziario francese, paragonata a una «pena di morte lenta». Dopo i primi trent’anni di carcere, Abdeslam potrà chiedere al tribunale di valutare di nuovo la perpetuità, ma la decisione verrà presa dietro il parere di una commissione composta da cinque magistrati della Corte di cassazione, che consulteranno le vittime e valuteranno se un’eventuale scarcerazione comporti rischi per l’ordine pubblico. In sostanza, le possibilità che Salah Abdeslam esca un giorno di prigione sono infime.

La pena inflitta al terrorista è molto rara, comminata finora solo quattro volte a partire dal 1994 (e sempre a carico di persone che avevano violentato e ucciso dei minori). Indica il carattere unico, epocale, del crimine e del processo che lo ha analizzato. La sera del 13 novembre resta un trauma nella società francese, un’operazione militare dello Stato islamico condotta con spaventosa ferocia contro i civili. Quasi sette anni dopo quell’attentato continua a sembrare l’inizio di una guerra, per fortuna mai scoppiata davvero ma neanche mai accantonata del tutto.

Abdeslam ha cominciato le udienze mesi fa in modo spavaldo, proclamandosi con fierezza un soldato dell’Isis e lamentandosi per le condizioni di detenzione. Il presidente della Corte di assise speciale, Jean-Louis Périès, si è rivelato all’altezza della situazione: senza cadere mai nelle provocazioni di Abdeslam, mantenendo calma, lucidità e sensibilità nei confronti dei superstiti e dei parenti delle vittime, e garantendo il rispetto delle regole.

Salah Abdeslam, nato a Bruxelles in una famiglia originaria del Marocco, come molti suoi futuri compagni terroristi piccolo delinquente dedito all’alcol e alla droga prima di una fulminea adesione all’islam politico, dopo il massacro la sera del 13 novembre riuscì incredibilmente a passare la frontiera e a raggiungere di nuovo Bruxelles. Venne arrestato nel marzo 2016 e poi estradato in Francia. I giudici ieri lo hanno riconosciuto «coautore di uccisioni in relazione a un’impresa terroristica», nonostante la sua avvocata Olivia Ronen avesse dichiarato che «punire Salah Abdeslam all’altezza della sofferenza delle vittime rappresenta la legge del taglione».

Manuel Dias, conducente di autobus allo Stade de France, è stata la prima vittima di quella sera. Sua figlia Sophia ha assistito al processo e dice che «non ho creduto un istante alle scuse finali di Abdeslam. Per tutto il processo gli imputati hanno tenuto un comportamento disinvolto e sprezzante nei nostri confronti». Con Abdeslam sono stati condannati anche gli altri 19 imputati, con pene da uno a trent’anni di carcere.

Cesare Martinetti per “la Stampa” il 30 luglio 2022.

«Perpétuité incompressible», trent' anni di carcere senza possibilità di sconti né di permessi. La Corte Speciale di Parigi ha condannato alla massima pena Salah Abdeslam, l'unico terrorista sopravvissuto alla terribile notte del Bataclan, 130 morti e centinaia di feriti. I giudici non hanno creduto alla versione del «kamikaze riluttante»: la sua cintura esplosiva, di cui si è liberato, è risultata difettosa. 

Dunque non è stato un suo ripensamento a impedirgli di compiere la missione suicida e omicida. Non ha ucciso nessuno, è vero, ma voleva farlo ed ha partecipato da protagonista all'attacco del 13 novembre 2015. Sei anni e mezzo dopo, nove mesi di udienze, un grande teatro di dolore e di terrore, ieri sera si è concluso un processo storico.

I giudici hanno accolto la richiesta del pubblico ministero, la massima pena dell'ordinamento francese. La «perpétuité incompressible», è una condanna che per 30 anni nulla potrà alleggerire né la buona condotta, né l'apertura di dialogo da parte del detenuto. Una «ghigliottina lenta», l'ha definita la giovane e combattiva avvocata della difesa di Abdeslam, Olivia Ronen. 

Nella storia dei processi francesi quel tipo di ergastolo istituito nel 1991 è stato applicato solo quattro volte da quando cioè la pena di morte, per ghigliottina, fu abolita da François Mitterrand appena eletto presidente nel 1981. Quattro colpevoli di delitti particolarmente crudeli nei confronti di minori. 

Per Salah Abdeslam il caso era evidentemente diverso.

Ha 33 anni, faceva parte della brigata islamista di Molenbeck, dov' è maturato ed è stato progettato l'attacco a Parigi, la sera del 13 novembre 2015. Una dozzina di kamikaze, armati di cinture esplosive e armi pesanti. Obbiettivo lo Stade de France, alle porte della capitale, a Saint-Denis, dov' era in corso la partita tra Francia e Germania, la sala da concerti Bataclan, dov' era in programma un concerto degli Eagles of Death Metal, tra République e la Bastiglia, in altri tre o quattro caffè con terrazze all'aperto dove la folla delle sere parigine consumava chiacchiere e amicizia. 

Centotrenta morti in tutto, 1400 feriti al Bataclan, 320 nei caffè, 130 allo stadio. Il lutto, il dolore, un'emozione indicibile. Dieci mesi dopo la strage di «Charlie Hebdo», la notte del 13 novembre aveva gettato la Francia nell'incubo di vivere sotto la minaccia di un cronoprogramma stragista degli islamisti. 

Il processo si è aperto a settembre ed è finito ieri con l'ultima arringa della difesa. È stata una rappresentazione collettiva e nazionale, i sopravvissuti, spesso con mutilazioni e ferite che non guariranno mai, genitori e figli delle vittime, testimoni miracolosamente scampati alla tempesta di proiettili e di schegge, gli inquirenti, persino il presidente dell'epoca François Hollande, chiamato a rispondere della decisione della Francia di partecipare ai bombardamenti dello stato islamico in Siria che proprio Abdeslam aveva dichiarato all'origine dell'attacco alla Francia. 

Diciannove imputati minori e lui, Abdeslam, il mancato kamikaze, arrestato dopo una frenetica caccia all'uomo. Alla prima udienza del processo, dopo sei anni e qualche mese passato in isolamento totale in una cella di nove metri quadrati, spiato senza tregua da due telecamere, è entrato nell'aula con lo spirito rabbioso del combattente islamista.

Ma presto la gravità dell'insieme e l'insostenibile pena delle testimonianze lo hanno cambiato fino alla scena finale, il 15 aprile, quando questo ragazzo, nato e cresciuto nella banlieue di Bruxelles, ha chiesto al presidente di potersi rivolgere alle vittime: «Voglio presentare le mie condoglianze e le mie scuse a tutti. So che c'è ancora dell'odio, vi chiedo di detestarmi con moderazione». 

Lui quella sera, mentre suo fratello sparava, uccideva e si faceva esplodere al Bataclan, dopo aver accompagnato tre kamikaze allo Stade de France, è andato in un caffè del 18° arrondissement di Parigi dov' era previsto che si facesse esplodere. Ma al processo ha raccontato che dopo essersi guardato intorno, aver visto una folla di giovani che chiacchierava e sorridevano spensierati, è uscito dal bar, ha buttato la cintura da kamikaze ed è tornato a casa.

Ma né il pubblico ministero né i giudici gli hanno creduto. La «perpétuité incompressibile» è stata ideata come misura di sicurezza, applicabile a criminali che si considerano irrecuperabili e che si presumono potenzialmente pericolosi nel caso di ritorno in libertà. Abdeslam non ha ucciso né ferito nessuno e tutti i colpevoli sono morti e dunque non erano punibili. La scelta dei giudici è stata difficile. 

All'orrore del Bataclan e di quella notte nei caffè intorno a place de la République non poteva non corrispondere una sentenza con il sigillo della riparazione. Ma il processo, che è stato un susseguirsi di momenti drammatici e commoventi, che ha mescolato e unito vittime, parenti, testimoni, giudici, avvocati e inquirenti e in qualche misura ha coinvolto anche Abdeslam (al di là dell'evidente opportunismo nel cambio di atteggiamento, ha mostrato una significativa maturazione umana), è stato una rappresentazione civile molto più forte delle pallottole dello Stato islamico.

Salah Abdeslam colpevole. "Ergastolo senza sconti". Massimo Malpica il 30 Giugno 2022 su Il Giornale. 

Colpevoli. A sei anni e mezzo da quella notte di sangue che lasciò senza vita nei locali e per le strade della Ville Lumière 130 innocenti e sette terroristi dell'Isis, e dopo 148 giorni di udienza, arriva il verdetto per gli attentati di Parigi del 13 novembre 2015. E per la Corte d'Assise speciale ben 19 dei venti imputati del maxi-processo (ma i presenti erano solo 14, e degli altri 6 processati in contumacia cinque secondo gli inquirenti dovrebbero essere morti) sono «colpevoli di tutti i reati» dei quali erano stati accusati, a cominciare dall'unico terrorista sopravvissuto agli attacchi e principale imputato del processo, Salah Abdeslam. Il 20esimo, Farid Kharkhach, l'uomo che avrebbe fornito falsi documenti agli attentatori, è stato comunque giudicato colpevole e condannato, ma solo per associazione per delinquere finalizzata alla frode, in mancanza di una prova inconfutabile che fosse a conoscenza delle intenzioni criminali del commando di terroristi che aveva aiutato.

Tra i 19 condannati per terrorismo c'è l'unico membro del commando sopravvissuto, il 32enne belga-marocchino Abdeslam, il kamikaze mancato, giudicato colpevole di associazione criminale terroristica e considerato «co-autore» degli attentati, pur non essendo stato possibile stabilire con certezza se l'obiettivo a lui assegnato nell'attacco, come ha spiegato il presidente Jean-Louis Périès durante la lettura della sentenza, fosse «un bar o la metropolitana». Per la corte, anche Mohammed Bakkali è «co-autore» della strage, poiché l'uomo, la cui appartenenza alla cellula belga dell'Isis è considerata certa, avrebbe svolto «un ruolo chiave nella logistica degli attentati».

Per Abdeslam, che nel corso del processo ha mutato la sua posizione passando dall'orgogliosa rivendicazione del proprio status di combattente dell'Isis alla richiesta di scuse alle vittime dell'attacco, arrivando a proclamare la propria innocenza rispetto alle accuse («Ho fatto degli errori ma non sono un assassino», ha dichiarato a fine processo), la Procura nazionale antiterrorismo francese aveva chiesto il massimo della pena, ossia l'ergastolo «irriducibile» (incompressible), per evitare al minimo la possibilità di una futura scarcerazione. E la corte d'appello speciale, per l'unico superstite del commando di morte, ha accolto in toto la richiesta condannandolo al carcere a vita. I giudici hanno anche indicato le prove della sua appartenenza all'associazione per delinquere di stampo terrorista: l'aver visto video dell'Isis in un caffè di Molenbeek, l'aver aiutato il fratello al ritorno dalla Siria, l'appartenenza alla cella belga dello Stato Islamico e i viaggi effettuati in Europa nei mesi precedenti. Quanto allo status di «co-autore» di omicidi connessi a un atto di terrorismo, per la corte gli è stato attribuito in quanto i luoghi dell'attacco, dal Bataclan allo stadio di Saint Denis, «devono essere riconosciuti come un'unica scena del crimine».

Ergastolo (ma con «solo» 22 anni minimo da scontare dietro le sbarre) anche per Mohammed Abrini, che aveva partecipato all'organizzazione e ha ammesso che avrebbe dovuto anche far parte del commando, tirandosi indietro solo subito prima dell'attacco, mentre Bakkali, pur considerato a sua volta coautore degli attacchi per l'importanza del ruolo svolto nella preparazione della strage, è stato condannato a 30 anni (due terzi dei quali da scontare obbligatoriamente prima di usufuire dei benefici di legge).

Il verdetto, atteso nel pomeriggio, è arrivato solo dopo le otto di sera, nell'aula bunker dell'Ile-de-la-Cité affollata di avvocati, magistrati, giornalisti, sopravvissuti e parenti delle vittime di quella terribile notte.

Strage del Bataclan, gli imputati non fanno appello: Salah si “tiene” l’ergastolo. Nemmeno il procuratore nazionale antiterrorismo e il pubblico ministero presso la Corte d’appello di Parigi hanno impugnato questa decisione. Il Dubbio il 12 luglio 2022.

Non è ricorso in appello Salah Abdeslam, l’unico superstite del commando terroristico che il 13 novembre del 2015 causò la morte di 130 persone e centinaia di feriti tra lo Stade de France, i locali del centro di Parigi e il teatro Bataclan. Lo riportano i media francesi spiegando che nessuno degli altri 13 imputati presenti in aula e i sei giudicati in contumacia ha impugnato la sentenza e che le loro condanne diventano quindi definitive.

Abdeslam è stato condannato all’ergastolo senza possibilità di riduzione della pena. «Nemmeno il procuratore nazionale antiterrorismo e il pubblico ministero presso la Corte d’appello di Parigi hanno impugnato questa decisione», ha affermato il procuratore generale di Parigi, Rémy Heitz, in una nota. Le loro condanne sono ora definitive, non ci sarà appello.

Mauro Zanon per “Libero Quotidiano” il 31 marzo 2022.

Quella di ieri, 30 marzo 2022, era la data più attesa dai cronisti che da settembre raccontano il maxi-processo sugli attentati islamisti del 13 novembre 2015 a Parigi. Perché Salah Abdeslam, il principale imputato e unico sopravvissuto delle stragi jihadiste che provocarono 130 morti tra il Bataclan e alcuni bistrot della capitale francese, si sarebbe (forse) espresso su quella notte maledetta che ha funestato la Francia, rispondendo alla domanda che ossessiona giudici, avvocati e famiglie delle vittime: perché l'unico membro ancora in vita del commando della morte non ha azionato la sua cintura esplosiva?

Abdeslam, ieri, è uscito dal silenzio. «Ho rinunciato ad attivare la mia cintura esplosiva non per vigliaccheria, non per paura, ma perché non volevo farlo», ha spiegato il terrorista franco-marocchino, rispondendo a una domanda di un avvocato della parte civile, Claire Josserand-Schmidt.

Perché allora, rientrando in Belgio dopo gli attentati, aveva detto agli altri membri che la sua cintura era difettosa? «Era una menzogna?», ha chiesto l'avvocato. «Sì, mi vergognavo di non essere andato fino in fondo, avevo paura di quello che gli altri pensavano di me, avevo 25 anni...», ha risposto Abdeslam.

Poco prima, pur rifiutandosi di rispondere alle domande del presidente della Corte d'assise speciale Jean-Louis Périès, invocando «il diritto al silenzio», ha dato altre informazioni sulla vigilia degli attentati, rievocando il ricordo dell'ultimo pranzo con la sua fidanzata, Yasmina K., durante il quale sarebbe scoppiato a piangere. Era il 10 novembre 2015.

«Vorrei dire alcune cose riguardo alla mia fidanzata. L'amavo veramente e volevo trascorrere la mia vita con lei. Mi sono messo a piangere, quel giorno, perché mi parlava di progetti futuri, di bambini, di un appartamento assieme. E in quel momento sapevo... sapevo che dovevo partire in Siria. Perché mi avevano spiegato che avevo fatto dei favori allo Stato islamico che mi avrebbero creato dei grossi problemi, e che la cosa migliore, per me, era partire per la Siria. Sapevo che avrei dovuto abbandonarla...», ha raccontato Abdeslam.

Il Monde parla di «miracolo», perché è la prima volta che Abdeslam ha rotto il muro del silenzio. Il merito è dell'avvocato Claire Josserand-Schmidt che ha tenuto in piedi per alcuni minuti l'interrogatorio: «Lei ha detto: "Ho salutato Yasmina perché dovevo partire per la Siria". Dobbiamo dunque dedurre che lei, il 10 novembre 2015, non aveva ancora come progetto di indossare una cintura esplosiva?».

Risposta: «Esatto, è proprio così... Quando ho pranzato con Yasmina, non sapevo nulla di ciò che sarebbe accaduto. È quando sono andato in Francia per prendere in affitto una stanza a Alfortville (la stanza in cui i membri del commando del 13 novembre 2015 passarono la loro ultima notte nella regione parigina, ndr) che mio fratello Brahim mi ha detto che Abdelhamid Abaaoud (il coordinatore degli attentati, ndr) era lì.

L'ho incontrato a Charleroi il 12 novembre ed è in quel momento che è cambiato tutto. Fino a quell'istante, non sapevo che Abaaoud fosse in Belgio. È lui che voleva incontrarmi. Ho fatto dei favori, ma la situazione è cambiata nel momento in cui ho incontrato Abaaoud». 

Sulla questione della cintura esplosiva, come riportato dal Monde, le due ipotesi, ossia quella di una cintura difettosa, e quella, sostenuta ieri da Abdeslam, di una rinuncia per mancanza di volontà, restano aperte. Un'expertise ha infatti stabilito che il gilet esplosivo non era "funzionante".

Per alcuni osservatori, le parole, seppur poche, pronunciate ieri da Abdeslam sono un primo passo che fa ben sperare in vista delle prossime audizioni. Olivier Laplaud, vicepresidente dell'associazione Life for Paris, ha denunciato invece «l'estrema provocazione» di Abdeslam, perché si è rifiutato di rispondere alla maggioranza delle domande della Corte d'assise speciale. 

«Il guerriero di Daech che dice di essere è contraddetto dai suoi atti», ha commentato Bruno Poncet, sopravvissuto del Bataclan. Gérard Chemla, uno degli avvocati delle vittime, ha definito l'atteggiamento del principale imputato «un gioco perverso»: «Ci tratta come dei pupazzi, non dobbiamo partecipare a questo gioco». 

Oggi, verrà interrogato Mohamed Amri, belga di origini marocchine che ha confessato di essere andato a prendere Abdeslam a Parigi la notte degli attentati per riportarlo in macchina in Belgio.

Da La Repubblica il 16 aprile 2022.

Era l'ultimo giorno del suo interrogatorio nel maxi-processo per gli attentati del Bataclan. Dopo le provocazioni con cui aveva cominciato a settembre, dopo gli sproloqui religiosi e le rivelazioni sul suo mancato "martirio", alla fine Salah Abdeslam ha chiesto perdono. 

Il jihadista, che continua a presentarsi come "combattente islamico" si è rivolto ai banchi dove erano seduti avvocati e parenti delle vittime. «Vi chiedo di perdonarmi», ha detto, versando per la prima volta qualche lacrima dinanzi alla corte. «Voglio presentare le mie condoglianze e le mie scuse a tutte le vittime», ha dichiarato l'uomo il belga-marocchino di trentadue anni nell'aula bunker dell'Île de la Cité.

È l'epilogo di una lunga trasformazione avvenuta nel processo in cui è imputato l'unico terrorista sopravvissuto agli attacchi del 13 novembre 2015. Rimasto muto per anni davanti agli investigatori, Abdeslam ha finalmente raccontato la sua versione dei fatti. Ovvero il fatto che nella notte degli attentati avrebbe dovuto farsi esplodere da kamikaze in un bar del diciottesimo arrondissement salvo poi rinunciare all'ultimo momento, vedendo tanti giovani come lui che si divertivano e gli assomigliavano. 

«So che c'è ancora dell'odio, oggi vi chiedo di detestarmi con moderazione», è stato il suo appello. Alla domanda di una dei suoi legali se rimpiangesse di non essersi fatto esplodere, Abdeslam ha risposto: «Non lo rimpiango, non ho ucciso quelle persone e non sono morto». E ancora: «Oggi vorrei dire che questa storia del 13 novembre si è scritta con il sangue delle vittime. È la loro storia e io ne faccio parte. Sono legati a me ed io sono legato a loro». 

Durante l'udienza, Abdeslam si è messo a piangere parlando del dolore di sua madre e ha chiesto perdono anche agli altri tre imputati con lui, accusati di averlo aiutato durante la fuga: «Non volevo trascinarvi in tutto questo ». Se le mie scuse potessero «fare bene a una sola delle vittime, per me sarebbe una vittoria. È tutto quello che ho da dire». Georges Salines, papà di una delle novanta vittime del Bataclan, ha commentato: «È una sorpresa. È importante che chieda perdono, ci rifletteremo». Gérard Chemla, avvocato di parte civile, non è sembrato lasciarsi intenerire da un discorso che considera "costruito e affettato". «Ha pianto per sé e per i suoi amici, non per le vittime», ha sottolineato il legale. 

Gli attacchi alla Francia. Stragi di Parigi dell’Isis, il terrorista Salah Abdeslam si scusa con le vittime: “Detestatemi con moderazione”. Antonio Lamorte su Il Riformista il 15 Aprile 2022. 

Salah Abdeslam si è “scusato” con le vittime e pianto alla fine del suo ultimo interrogatorio al processo per le stragi del 13 novembre 2015 a Parigi: quando furono uccise 130 persone e altre centinaia furono ferite da un commando jihadista tra lo Stade de France, la movida nel centro della capitale francese e il locale Bataclan. “Voglio presentare le mie condoglianze e le mie scuse a tutte le vittime”, ha detto il 32enne segnando con le sue parole un improvviso e decisivo cambio di rotta rispetto alle sue precedenti posizioni.

Soltanto all’inizio del procedimento l’uomo aveva rivendicato con orgoglio la sua adesione al gruppo terrorista sedicente Stato Islamico, meglio noto come Isis. “So che c’è ancora dell’odio, ma oggi vi chiedo di detestarmi con moderazione”, ha aggiunto Abdeslam secondo quanto riportato dai media francesi. Il 32enne è l’unico estremista superstite del clamoroso attentato. Ha chiesto in aula ai tre imputati, processati per averlo aiutato nella fuga dopo gli attentati, “di perdonarlo”.

“Rimpiangi di non aver avuto il coraggio di andare fino in fondo?”, gli ha domandato uno dei suoi avvocati, Olivia Ronen: “Non mi pento, non ho ucciso quelle persone e non sono morto”, ha replicato Salah. Lo scorso mercoledì 13 aprile il terrorista aveva fatto un primo dietrofront raccontando per la prima volta il suo ruolo nella serata degli attentati. Abdeslam era destinato a morire come martire, ha detto, ma avrebbe “rinunciato volontariamente a farsi esplodere in un bar”.

Il commando di attentatori kamikaze colpì armato di kalashnikov sei volte in 33 minuti sparando all’impazzata sulla folla, in strada e nei locali, ed all’interno del Bataclan durante un concerto rock della band americana Eagles of Death Metal. Morirono 130 persone con 350 feriti. Sette terroristi, gridando “Allah è grande”, riuscirono ad azionare la loro cintura esplosiva – rafforzata con chiodi e bulloni – ed a farsi saltare in aria, solo uno di loro non fece in tempo.

Catturato, Abdeslam si definì “combattente dello Stato Islamico” e disse che “non c’era niente di personale, abbiamo voluto far subire alla Francia lo stesso dolore che noi subiamo”. Quell’azione terroristica clamorosa si tenne a meno di un anno dalla strage presso la redazione del giornale satirico Charlie Hebdo, aprì un nuovo periodo di terrore e di attacchi nel continente e portò all’attenzione mondiale la parabola del sedicente Stato Islamico e delle guerre che lo avevano generato in Medio Oriente. Il processo riprenderà Mercoledì 20 Aprile, con l’audizione di esperti psicologi e psichiatri. Il verdetto è atteso intorno al 23 Giugno.

Antonio Lamorte. Giornalista professionista. Ha frequentato studiato e si è laureato in lingue. Ha frequentato la Scuola di Giornalismo di Napoli del Suor Orsola Benincasa. Ha collaborato con l’agenzia di stampa AdnKronos. Ha scritto di sport, cultura, spettacoli.

Parigi, Abdeslam chiede clemenza: “Ho scelto di non farmi esplodere”. Anais Ginori su La Repubblica il 9 febbraio 2022.

Il terrorista superstite del Bataclan ha risposto alle domande dei giudici al quarto mese del processo che lo vede come imputato. Era una delle tante domande senza risposta intorno agli attentati del 13 novembre 2015. Perché il belga-marocchino Salah Abdeslam, membro del commando che aveva fatto strage al Bataclan e davanti ai café, non si era fatto esplodere come gli altri jihadisti? Il terrorista non aveva mai risposto, alimentando dubbi tra un guasto tecnico della cintura esplosiva o un ripensamento. Al quarto mese del processo in cui è l'imputato più importante, Abdeslam ha confidato di aver fatto "marcia indietro" nel momento in cui doveva morire da kamikaze. 

Camicia bianca e barba lunga, il trentenne rispondeva alle domande con uno stile un po' confuso e sibillino ribadendo sempre la sua fedeltà all'Isis. "Sono in prigione da 5 anni, in un isolamento in cui mi trattano da cane e mi dico che avrei dovuto azionare quell'aggeggio e mi domandi se ho fatto bene a fare marcia indietro o se sarei dovuto andare fino in fondo".

Nel lungo interrogatorio Abdeslam ha ripetuto più volte: "Non ho ucciso nessuno". Dopo aver detto di capire che "la giustizia vuole dare un esempio", ha aggiunto sul rischio di essere condannato con il massimo della pena: "In futuro quando un individuo salirà su una metropolitana o su un bus con una valigia piena di 50 chili di esplosivo e all'ultimo momento dice a se stesso: "Farò marcia indietro", saprà che non ha il diritto di farlo, altrimenti sarà rinchiuso o ucciso".

La strage del Bataclan, in aula la mamma di Valeria ai terroristi: "Chiariscano cosa rappresentano per loro i nostri 130 cari uccisi".

I giudici hanno cercato di capire meglio il suo ruolo nell'organizzazione non ottenendo molte informazioni. "Risponderò più tardi", ha detto Abdeslam. Il terrorista ha anche glissato su un viaggio organizzato nell'estate del 2015 in Grecia, dove potrebbe aver incontrato i leader della cellula jihadista. "È stato un road trip", ha commentato. "Ci siamo fermati in Italia, abbiamo mangiato pasta, siamo andati in Grecia, abbiamo visitato diverse isole e questo è tutto", ha concluso.

Allarme "cristianofobia" in Francia: profanata una chiesa al giorno.  Alessandra Benignetti il 23 Gennaio 2022 su Il Giornale.

Secondo i dati del ministero dell’Interno francese nel 2021 sono stati 686 gli episodi di violenza contro i cristiani in Francia, e almeno 450 le chiese profanate. Una media di quasi due attacchi al giorno. Si va dagli atti di vandalismo, ai furti di ostie consacrate, fino alle minacce di morte per i fedeli. L’8 dicembre scorso, per dirne una, una trentina di parrocchiani che si erano riuniti in processione a Nanterre per la festa dell’Immacolata sono stati aggrediti, insultati e minacciati di morte al grido di "kuffar", "infedeli". Qualcuno, secondo la ricostruzione dell’emittente Cnews, avrebbe urlato: "Giuro sul Corano che ti sgozzo". Qualcun altro avrebbe strappato di mano la fiaccola ad un fedele e l’avrebbe lanciata sugli altri partecipanti.

A confermarlo, ai microfoni della stessa emittente, è stato il ministro dell’Interno, Gérald Darmanin, alle prese con un fenomeno che sembra aver assunto le proporzioni di una vera e propria emergenza. Dal primo gennaio sono già nove gli episodi denunciati in tutta la Francia. A Poitier, nel dipartimento della Vienne, le profanazioni sono state due nel giro di pochi giorni. La prima, nella chiesa di Saint-Porchaire, in una zona pedonale del centro della città. Due uomini europei sulla trentina, racconta chi ha assistito alla scena, sono entrati e hanno gettato a terra infrangendola una statua del Sacro Cuore di Gesù alta circa un metro, prima di darsi alla fuga.

A distanza di cinque giorni, il 6 gennaio, ad essere presa di mira è stata un’altra chiesa, quella di Sainte-Thérèse, nel quartiere di Bel-Air, a meno di due chilometri da Saint-Porchaire. Qui qualcuno si è introdotto dopo la chiusura per decapitare "accuratamente" almeno sei statue che si trovavano all’interno: una riproduzione di santa Teresa, e cinque personaggi del presepe, tra cui la Madonna, San Giuseppe, uno dei re magi, il bue e Gesù Bambino. "Mi ha fatto pensare a quello che succede in Afghanistan, anche lì tagliano le teste", ha detto al settimanale conservatore Valeurs Actuelles il parroco 81enne, padre Albert Jadaud.

Eppure non serve arrivare così lontano per assistere alle decapitazioni degli "infedeli". Basta tornare indietro al luglio del 2016 quando il parroco della chiesa di Saint-Étienne-du-Rouvray, padre Jacques Hamel, fu sgozzato da due fondamentalisti, Adel Kermiche e Abdel Malik Petitjean, mentre stava celebrando la messa. Il 29 ottobre del 2020, invece, fu Brahim Aoussaoui, 21enne tunisino, a decapitare una donna, ferirne a morte un’altra e a sgozzare il sacrestano nella basilica di Notre-Dame a Nizza. Dieci giorni prima ad essere decapitato da un islamista di origini cecene, Abdoullakh Anzorov, di appena 18 anni, era stato Samuel Paty, professore in un liceo di Conflans-Sainte-Honorine, nell’hinterland parigino. Ecco perché gesti come quello compiuto nella chiesa di Santa Teresa a Poitiers fanno rabbrividire.

Inoltre, ha raccontato il sacerdote allo stesso settimanale, i vandali hanno lasciato una candela accesa su uno dei banchi, con il rischio che potesse divampare un incendio. Il 5 gennaio, invece, è stata la volta della basilica di Saint-Denis, famosa per ospitare le tombe dei re di Francia. Uno dei luoghi simbolo della cristianità, preso di mira da uno squilibrato che, armato di spranga, ha spaccato tre statue e alcune vetrine. Non è la prima volta che succede. La stessa chiesa era stata vandalizzata già un paio di anni fa, nel 2019. Allora furono riportati danni alle vetrate e all’organo. Sempre all’inizio dell’anno a Genouilly, qualcuno si è introdotto nella chiesa di Saint-Symphorien per spaccare il tabernacolo e rubare due calici con all’interno le ostie consacrate.

Altre due chiese, quella di Saint-Pierre a Bondy, e quella di Saint-Germain-l'Auxerrois a Romainville, nel dipartimento della Senna-Saint-Denis, sono state profanate nelle scorse settimane. Sul posto si era recato anche il ministro dell’Interno, che in un tweet aveva espresso "sostegno ai cattolici francesi" per gli attacchi che si sono susseguiti nei giorni scorsi, annunciando l’apertura di diverse inchieste per identificare gli autori di quelli che definisce "atti inaccettabili".

Dell’ondata di "cristianofobia" che sta investendo la Francia, però, non si parlerebbe abbastanza secondo la giornalista e opinionista di Valeurs Actuelles, Charlotte d’Ornellas. La cronaca degli eventi, ha osservato, viene raccontata soltanto sulle pagine dei quotidiani locali. "La chiesa francese sembra avere paura di dire quello che succede", ha sottolineato ai microfoni di Cnews, denunciando la "reazione inesistente" delle autorità ecclesiastiche e dei media francesi.

L'istante che distrusse Charlie Hebdo (e l'Occidente). La terribile mattanza alla redazione di Charlie Hebdo, il calvario di un sopravvissuto e l'orrore che non passa ma, presto o tardi, ritorna sempre. Andrea Indini il 26 Luglio 2022 su Il Giornale.

"I buoni cronisti sono pochissimi: alcuni si piegano agli argomenti importanti del momento e alla morale generale, altri a un dandysmo che li porta a fare i furbi scrivendo controcorrente. I primi sono sottomessi alla società, i secondi al proprio personaggio. In entrambi i casi cercano di fare stile e appassiscono in fretta". Il 7 gennaio 2015 Philippe Lançon si alza, si veste, fa colazione e va alla redazione di Charlie Hebdo. Fino all'ultimo è indeciso se passare prima da Liberation, ma alla fine punta dritto al giornale satirico con cui collabora. "Verso le dieci e mezza del 7 gennaio 2015 non erano molti in Francia a voler essere Charlie [...]. Il giornale aveva ormai importanza solo per pochi fedelissimi, per gli islamisti e per ogni genere di nemici più o meno civili che andavano dai ragazzi di periferia, che non lo leggevano, agli amici dei dannati della terra, che lo tacciavano volentieri di razzismo".

Quel giorno, durante la riunione di redazione, si parlava di Sottomissione. L'ultimo libro di Michel Houellebecq era uscito in libreria da pochi giorni ma aveva già sollevato un vespaio di polemiche. "Anche lì, dove tutto era permesso e addirittura preteso, detestavo discutere di libri che avevo letto con persone che non li avevano letti". Eppure quel giorno, poco prima che tutto nella sua vita prendesse un'altra piega, a Lançon toccò proprio quella sorte. Il discorso passò velocemente dalla letteratura alla politica: l'islam, le banlieue e soprattutto la mancata integrazione. Poi, tutto d'un tratto, un urto, sordo e violento, e la realtà, per come la conosceva fino a quel momento, venne spazzata via. "Erano le 11.25, forse le 11.28. Il tempo sparisce nel momento in cui vorrei ricordarmelo con precisione".

Lançon ha rimesso insieme tutti i frammenti e, al termine di un lunghissimo calvario, ha scritto La traversata (edizioni e/o), un romanzo introspettivo che accompagna il lettore sin dentro l'orrore jihadista per poi metterlo, faccia a faccia, con la devastazione di che è sopravvissuto. Lançon fu uno degli undici scampati alla mattanza. Ebbe salva la vita ma il suo corpo fu pesantemente martoriato: una pallottola lo ferì alla mano, un'altra gli strappò via la mandibola, parte del labbro inferiore e i denti. Probabilmente gli attentatori lo credettero morto e lo abbandonarono al suo destino. La traversata ripercorre i nove mesi che seguirono l'attacco: nove mesi dentro e fuori dagli ospedali per farsi ricostruire un volto che non esisteva più.

"Quanto tempo ci vuole a sentire che la morte sta arrivando, se uno non l'aspetta?", si chiede Lançon. La risposta è solo abbozzata. "Probabilmente, come gli altri, ero già scivolato in un universo in cui tutto succede in una forma così violenta da esserne come attenuato e rallentato, dato che la coscienza non ha più altri mezzi per concepire l'istante che distrugge". Pur avendo scritto a lungo di quel terribile attentato, non avevo ancora letto La traversata. Era stato pubblicato nel 2020. Poi, quest'anno, Houellebecq lo ha ritirato fuori nel suo ultimo libro, Annientare. Ne parla a profusione e questo mi ha spinto a recuperare una lettura che avevo mancato. Rileggere oggi la mattanza di Charlie mi ha scatenato vecchie paure perché, a distanza di oltre sette anni, non riesco ad affrontarla col distacco dei fatti passati. Non ci riesco nemmeno quando ogni lembo di carne spazzato via viene rimesso al suo posto. Lançon non affronta mai il tema del terrorismo islamico, se non come origine della sua odissea, e scrive un romanzo teso al futuro, alla rinascita. Ma il male rimane sempre lì, sotto pelle, anche quando medici e infermieri compiono il miracolo, anche quando la vita riesce a vincere sulla morte, anche quando la speranza torna a donare pace all'uomo.

Sei mesi dopo l'attentato Lançon venne liberato dalle ultime misure di protezione e, in autunno, finalmente potè rientrare a casa e fare il primo viaggio all'estero dopo l'attentato. Volò a New York dove l'università di Princeton lo aveva invitato per un confronto con lo scrittore Mario Vargas Llosa. Tornava così a vivere. Era il 13 novembre 2015. Al Teatro Bataclan e in tutta Parigi la furia islamista tornava a far scorrere sangue.

Charlie Hebdo, sette anni dall’attentato. «Dopo la strage siamo tornati a militare per la libertà». Sabrina Pisu su L'Espresso il 7 gennaio 2022. Il 7 gennaio del 2015 l’attacco terroristico alla rivista satirica francese costato la vita a dodici persone. La testimonianza del direttore Laurent “Riss” Sourrisseau che vive sotto scorta permanente: «Fare un giornale libero è la cosa più importante».

Non esistono parole «per disegnare il ritratto dell’abisso»: lo scrive nel suo libro “Une minute quarante-neuf secondes” (edizioni Actes Sud), il disegnatore Laurent Sourisseau, detto Riss, 55 anni, direttore di Charlie Hebdo al fianco di Charb dal 2009, e dal 2015 rimasto solo al timone. L’abisso è il 7 gennaio di sette anni fa quando a Parigi, in rue Nicolas-Appert, in appunto un minuto e quarantanove secondi, i fratelli jihadisti Cherif e Said Kouachi hanno assaltato armati la redazione del giornale satirico uccidendo dodici persone tra cui il direttore del settimanale, Stéphane Charbonnier, detto Charb, e i vignettisti Cabu, Tignous, Philippe Honoré e Georges Wolinski.

A questo abisso è seguito per Riss il tentativo di una fuga, da Parigi il mese dell’anniversario, - «gennaio sarà per sempre freddo e grigio» -, dalla solitudine, dalla follia e «da un silenzio che vuole ancora uccidere», come si legge nel suo libro pubblicato quattro anni dopo l’attentato, istanti che ha vissuto gettandosi a terra, faccia in giù, per i quali «servirebbe fabbricare parole nuove».

Da quel giorno Riss convive con la sua memoria, che tiene lontano da rumore, deposizione di fiori e compassione, con una scorta permanente e con il braccio destro rimasto ferito da una pallottola, fa ancora male ma questo non gli impedisce di disegnare.

È con questa eredità, e caparbietà, che porta avanti Charlie Hebdo.

Sono riflessioni coraggiose, audaci e candide, quelle che il direttore del settimanale satirico condivide con L’Espresso, perché «la verità è senza pietà» dice, senza scivolare mai nell’indulgenza del vittimismo, consapevole che la violenza è ancora presente. «L’abbiamo incassata. L’abbiamo assorbita», continua, «è dentro di noi».

Il 7 gennaio del 2015 per la prima volta in Francia, in un paese democratico, un giornale è stato attaccato, un fatto inedito, con conseguenze «colossali» che si sono comprese solo con il tempo: «È stato un crimine, un’esecuzione politica per la pubblicazione di caricature di Maometto del 2006», spiega Riss, «con l’obiettivo di eliminare personalità precise, per impedire loro di diffondere con i loro disegni e testi, le loro idee, convinzioni. Sono purtroppo serviti altri attentati per far capire alla società civile e alla classa politica la portata e il significato dell’attacco a Charlie Hebdo». A far aprire gli occhi è stata la decapitazione il 16 ottobre del 2020 di Samuel Paty, professore di Storia, Geografia ed Educazione civica, all’uscita di scuola a Conflans-Sainte Honorine, non lontano da Parigi: «In quel momento è stato chiaro che i terroristi non volevano colpire solo la libertà di stampa e le manifestazioni culturali, ma anche l’educazione attraverso la scuola. In Europa prima eravamo convinti che l’intolleranza religiosa non esistesse più, ma non è così. Bisogna porsi delle domande, l’espressione religiosa deve avere dei limiti nella vita pubblica» spiega Riss che ricorda come nel 2007 il processo per le caricature di Maometto, quelle del quotidiano danese Jyllands-Posten che Charlie Hebdo aveva ripubblicato e il disegno firmato da Cabu, si era chiuso con un’assoluzione piena dall’accusa di «ingiuria pubblica» verso i musulmani.

A salvare Charlie Hebdo, la cui sede era stata attaccata già nel 2011 con una bomba molotov, dal disegno di morte dei fratelli Kouachi è stato lo stesso Charlie Hebdo: nel momento più buio è arrivato in soccorso l’umorismo, che «non fugge la tragedia della vita ma, al contrario, se ne appropria, per renderla sopportabile», dice Riss. A una settimana dall’attacco il giornale è tornato in edicola, «tutto è perdonato» recitava la copertina con Maometto che versava una lacrima tenendo in mano un cartello con la scritta «Je suis Charlie».

«Abbiamo fatto un numero speciale», continua a raccontare il direttore, «perché era importante reagire subito, mostrare che eravamo ancora vivi, se non avessimo fatto nulla avremmo dato l’impressione di essere spariti, invece dovevamo rispondere. Ma non eravamo in grado da subito, moralmente e psicologicamente, di garantire un’uscita settimanale, per questo ci siamo presi un po’ di tempo».

Riss ha cominciato a lavorare nel 1991 per il settimanale satirico francese La Grosse Bertha dove ha incontrato Charb, Luz, Cabu e tutta la redazione del futuro Charlie Hebdo che, uscito in edicola per la prima volta nel 1970, ha ripreso le pubblicazioni nel 1992.

Il giornale, con loro, aveva perso la sua anima: «È stato difficile mettere in piedi una nuova redazione, disegnare per Charlie Hebdo non è come farlo per altri giornali, c’è un umorismo, uno spirito particolare. Abbiamo dovuto formare altre persone. Anche io, Luz e Charb agli inizi abbiamo dovuto imparare e non è successo da un giorno all’altro. Ero convinto che valesse la pena provare. Dopo l’attacco abbiamo dovuto diventare di nuovo attivisti, militanti per la nostra libertà, per difendere diritti che sembravano acquisiti e invece non lo sono».

Charlie Hebdo si è dovuto confrontare con la paura: «Molti giornalisti hanno avuto paura di unirsi a noi, alcuni hanno dovuto rinunciare perché le famiglie non volevano. La paura vista da fuori è diversa da come la viviamo noi, ma è comprensibile perché essere sotto protezione 24 ore su 24 è molto pesante. Alla fine siamo riusciti a trovare nuovi collaboratori perché la libertà di espressione è totale, ed è una cosa rara. Charlie Hebdo è indipendente, non funziona come gli altri giornali, non ha pubblicità, noi rispondiamo e dipendiamo solamente dai nostri lettori».

Dopo l’attentato, ci sono state grandi manifestazioni di solidarietà e sostegno ma anche accuse che pesano ancora: «Siamo stati accusati di razzismo, una delle accuse più offensive per Charlie Hebdo, di essere noi responsabili di quello che era successo, alcuni hanno strumentalizzato l’accaduto per tentare di marginalizzarci ancora di più. Charlie Hebdo è diventato presto il simbolo della libertà di espressione e ci siamo dovuti quasi scusare per questo. Le settimane successive abbiamo lasciato che si dicesse qualunque cosa perché non eravamo in grado di reagire, eravamo vulnerabili. Solo dopo abbiamo ritrovato la forza di farci rispettare».

Riss insiste con la necessità di essere definiti «innocenti», perché nella parola «vittima» si includono spesso anche i carnefici: «Tutti oggi sono vittime di qualcosa, anche gli assassini possono essere definiti “vittime della società”, questo è stato detto dei fratelli Kouachi e così ci siamo ritrovati accanto a chi ci aveva attaccato, quando invece bisogna definire le responsabilità. “Innocente” è un termine intransigente. Questa parola taglia le gambe all’accusa, malvagia e feroce, di colpevolezza che alcuni ci hanno rivolto dopo l’attentato e che doveva essere contestata perché andava al di là di noi, un ragionamento del genere è pericoloso per la libertà di stampa. I fratelli Kouachi sono colpevoli e noi siamo innocenti, com’è stato stabilito nel processo per l’attentato».

La satira tocca temi tabù, fondamentali, filosofici, che possono urtare le convinzioni profonde, destabilizzare, far riflettere e far vedere le cose da un altro punto di vista: «Non cerchiamo di piacere, ma di fare uscire le persone dalla propria zona di comfort intellettuale, che è la cosa peggiore per me» spiega Riss che si scaglia continuamente contro quelli che definisce i «collabos». «Sono intellettuali, professori universitari, persone colte ma senza coraggio, che si adattano, dicono cose convenute, non usano la conoscenza per denunciare, per far discorsi critici, efficaci, sovversivi, che è quello che ci si aspetterebbe da loro. Questo è un tradimento, uno spreco, la loro erudizione è timorosa, fine a se stessa, si autocompiacciono della posizione che occupano», continua Riss che «preferisce», come scrive anche nel suo libro, «i perdenti coraggiosi ai furbi collaborazionisti».

Per difendere la libertà di stampa, Riss è costretto a grandi limitazioni: «Sono libero», spiega, «perché nessuno mi impedisce di cambiare vita. È una negoziazione con la libertà e la sua privazione. Fare un giornale libero è più importante della mia libertà di movimento».

Charlie Hebdo ha oggi una responsabilità diversa: «Il giornale satirico ha ritrovato qualcosa della sua identità storica, cerchiamo di mantenere la curiosità che abbiamo sempre avuto e di avere un punto di vista originale, consapevoli che quello che diciamo e disegniamo ha molta più visibilità, anche all’estero. Dobbiamo usare la libertà in modo ancora più intelligente e difendibile. I lettori contano su di noi».

E la memoria che peso, che posto ha? «I nuovi collaboratori non portano il peso di quel 7 gennaio, il ricordo di quelli che sono stati uccisi, per questo sono a volte più a loro agio, a volte meno perché si chiedono se sono all’altezza di quello che è stato fatto prima. Io mi chiedo sempre che cosa avrebbero pensato le persone scomparse del giornale che facciamo oggi, se è degno, se ne sarebbero contenti. Immagino dei dialoghi immaginari con loro, abbiamo lavorato insieme per ventiquattro anni, conosco bene il loro pensiero, mi pongo sempre la domanda per capire se stiamo andando nella direzione giusta. Siamo circondati dalle loro vignette e le ripubblichiamo regolarmente. Non se ne sono mai andati, sono sempre intorno a noi».

Cristianesimo, la religione del martirio e della speranza. Pietro Emanueli su Inside Ove ril 30 dicembre 2021. “Nel mondo milioni di cristiani continuano a vivere emarginati, in povertà, ma soprattutto discriminati e in pericolo. Dopo due anni di pandemia vogliamo tenere acceso un faro su questa oppressione e aiutare Aiuto alla Chiesa che Soffre Onlus a portare conforto e sostegno ai fedeli di tutto il mondo: in particolare coloro che vivono in Libano, Siria e India“

Il 25 dicembre di ogni anno, da quasi due millenni, i cattolici di tutto il mondo rivivono l’esperienza della Natività, aggiungendo il bambin Gesù nella mangiatoia del proprio presepe e diventando per i loro cari dei novelli Magi. La stagione natalizia accompagna i cattolici da fine dicembre a inizio gennaio, traghettandoli da un anno all’altro, e questo la rende ulteriormente importante agli occhi di grandi e piccoli. La stagione natalizia, dunque, è tante cose simultaneamente: riposo, raccoglimento, riflessione, giubilo per l’epifania del Messia.

Periodo dell’anno dove la luce prevale sulla tenebra, perché le strade sono illuminate ventiquattro ore su ventiquattro e le facciate degli edifici sono arricchite di addobbi luminosi, il Natale è la festività della Cristianità e dell’Occidente, a seconda di come lo si intenda – se religiosamente o laicamente. E se lo si vive in senso religioso, cioè nella sua accezione originale, il periodo natalizio è anche l’occasione per pensare alla storia e all’essenza del Cristianesimo, che è la religione della speranza, dell'(im)possibile e del martirio.

La religione del martirio

Era il 2019 quando Jeremy Hunt, Segretario di stato per gli affari esteri e del Commonwealth nel governo May II, denunciò senza mezzi termini ed edulcorazioni la vastità della piaga cristofobica, parlando di persecuzioni prossime ai livelli del genocidio in varie parti del pianeta. Da allora ad oggi, poco o nulla è cambiato: credere nell’Evangelo può costare caro, può costare la vita, dal Pakistan al Kenya.

I numeri forniti da Porte Aperte, la più importante associazione missionaria cristiana esistente, non lasciano spazio a dubbi: il cristianesimo è la fede del martirio e della persecuzione, oggi come ieri, nel 2021 come nel 36. Perché un cristiano su otto vive “in luoghi dove si sperimentano alti livelli di persecuzione”, cioè oltre 340 milioni su un totale di 2 miliardi e 380 milioni di fedeli. E perché, di anno in anno, per ogni teatro in cui si registrano miglioramenti, ve n’è un altro in cui le condizioni peggiorano. 

Il significato del Natale

Il periodo natalizio, si scriveva, non è soltanto giubilo per l’epifania del Messia: è anche occasione di raccoglimento, riflessione e tempo dedicato al ricordo dei martiri. Perché se è vero che il 25 dicembre si celebra la nascita di Gesù, lo è altrettanto che nei giorni successivi si ricordano, tra gli altri, Stefano, gli Innocenti, Telesforo e i martiri di Angers. E come sia possibile coniugare con coerenza la celebrazione della vita con la meditazione sulla morte, passando da un giorno all’altro dalla letizia al lutto, non è difficile né da capire né da spiegare: il Cristianesimo è una religione di vita perché fondata sulla superabilità della morte.

Il fatto che il Cristianesimo sia la religione più perseguitata del pianeta non potrà cambiarne la sostanza, impedirne il prosieguo, ostacolarne la diffusione. I cristiani, invero, sono consapevoli di aver scelto un percorso difficile in un mondo di comode scorciatoie. Sono consapevoli di appartenere a un credo immune alle leggi della Storia e dell’Uomo: fondato da un profeta morto prematuramente e violentemente, portato avanti da idealisti che hanno pagato con la vita e sopravvissuto nonostante un clero storicamente corrotto.

Oggi come ieri, nel 2021 come nel 36, il Cristianesimo continua ad essere una religione che dà la vita perché insegna a non temere la morte. Forse, la forza di questa religione è proprio questa: è nata per nutrirsi delle avversità, addottrina i fedeli ad abbracciare il martirio e a non avere paura degli Erode di turno. Perciò ha potuto convertire l’Impero romano. Perciò ha potuto spandersi dalle urbi giudaiche all’orbe. Perciò ha potuto superare le sfide di ogni tempo, dalla Rivoluzione francese alle persecuzioni esistenziali del Novecento. Perciò ha prevalso e infine abbattuto i regimi più brutali, dal Messico di Plutarco Calles alla Polonia comunista. E perciò è, ancora oggi, la religione più perseguitata del pianeta.

L'eroe cristiano che fermò i Turchi. Andrea Muratore il 13 Gennaio 2022 su Il Giornale.

Quando nel 1443 Giovanni Hunyadi, capitano generale ungherese, sconfisse a Nis gli ottomani, Scanderbeg decise di chiamare l'intera Albania alla rivolta.  

Principe, combattente, eroe nazionale: Giorgio Castriota Scanderbeg per l'Albania è una delle personalità più influenti nella storia e nella memoria collettiva della "terra delle aquile". E rappresenta al tempo stesso un'icona per l'Europa intera: oltre un secolo prima della battaglia di Lepanto che vide la flotta cristiana guidata dalla Spagna e da Venezia schiantare, nel 1571, la marina ottomana frenandone l'impeto nel Mediterraneo Scanderbeg chiamò l'Europa a raccolta contro il Gran Turco avanzante verso Occidente e la sua lotta per l’indipendenza di un popolo divenne tanto una campagna per la difesa di quelle radici antiche che il popolo albanese tuttora rivendica, ma anche un vero e proprio scontro tra due culture, due civiltà, due religioni. Infiammando l'intera Europa negli anni in cui la lotta con gli Ottomani dava notizie sempre più altalenanti, con il picco di panico causato dalla caduta di Costantinopoli del 1453.

Scanderbeg era il figlio di un principe vassallo degli Ottomani, Giorgio I Castriota; suo nonno era caduto combattendo nella Battaglia della Piana dei Merli del 15 giugno 1389 in cui le forze cristiane guidate dal principe serbo Lazar Hrebeljanović erano state sconfitte al termine di un duro e crudele combattimento dalle truppe ottomane del sultano Murad I, che vi aveva trovato la morte. La sconfitta della vasta coalizione cristiana comprendente Serbia Moravica e il Regno di Bosnia, il Principato d'Albania, il Regno di Romania, il Secondo Impero bulgaro e i Cavalieri di Rodi aveva visto Giorgio sopravvivere e governare il suo principato come vassallo degli Ottomani. Cristiano di fede, alla prima occasione buona, nel 1406, passò alla tutela della Repubblica di Venezia avviando una lunga e dura campagna per l'autonomia della sua terra, combattendo contro gli ottomani senza sosta dal 1407 al 1430, restandone sconfitto almeno quattro volte, nel 1410, 1416, 1428 e 1430, anno della sua morte. Dopo la quale fu il figlio Giorgio a iniziare a costruire la sua epopea. Costretto alla conversione all'Islam dalle clausole imposte al padre dopo la decisiva Battaglia di Tessalonica del 1430, quando aveva 27 anni, poté godere della formazione al mestiere delle armi dei dominatori ottomani, ne conquistò la benevolenza, fu nominato governatore (subash) della città di Kruja, ottenendo il titolo onorifico di Beg e dando origine all'appellativo con cui Giorgio Castriota sarebbe stato universalmente riconosciuto.

Quando nel 1443 Giovanni Hunyadi, capitano generale ungherese, sconfisse a Nis gli ottomani, Scanderbeg decise che l'ora delle messe in scena era finita; chiamò l'intera Albania alla rivolta, incitò alla cacciata dei Turchi dalle terre della piccola terra montuosa nota per la sua società clanica, i suoi uomini abili alle armi, la complessità dei suoi costumi. Il 2 marzo 1444, giorno in cui Scanderbeg riunì i principi albanesi nella città veneziana di Alessio per costituire la Lega dei Popoli Albanesi, segnò l'inizio di una vera e propria leggenda. Con un esercito che rare volte avrebbe raggiunto numeri superiori alle 10mila unità, ma contando su uomini addestrati, desiderosi di proteggere la libertà della propria terra, attenti conoscitori dell'area di riferimento, adatti a condurre guerriglie e lotte sfiancanti tra le gole e le montagne dell'Albania Scanderbeg avrebbe condotto fino alla morte, avvenuta nel 1468, una lotta per la libertà che emozionò l'Europa intera. "Non fui io a portarvi la libertà, ma la trovai qui, in mezzo a voi", dichiarò Scanderbeg ai suoi alleati, dopo aver annunciato al sultano Murad II, in una nota, di aver rinnegato la fede maomettana e aver riabbracciato il cristianesimo.

Per l'Impero Ottomano che progettava, e portava a compimento, l'annessione degli ultimi brandelli dell'Impero Bizantino, l'assedio di Costantinopoli, "regina delle città" elevata a capitale turca, il dominio sul Mediterraneo la resistenza albanese divenne una vera e propria spina nel fianco. E lo fu in particolare per Mehmet II Fatih, conquistatore di Costantinopoli. Già nel 1444 Murad II reagì al sommovimento di Scanderbeg inviando contro gli Albanesi un forte esercito guidato da Alì Pascià; lo scontro con le truppe di Scanderbeg, decisamente inferiori numericamente, avvenne il 29 giugno 1444 a Torvjolli: qui i Turchi riportarono una bruciante sconfitta. Non sarebbe stato che l'inizio. Il 1445 e il 1446 videro due nuove armate albanesi, sempre contraddistinte da una superiorità numerica compresa tra 5 a 1 e 10 a 1, duramente battute o messe all'angolo dai resistenti albanesi. Di lì in avanti per i Turchi sarebbe stata una sequela unica di disfatte: Mehmet II, salito al trono imperiale ottomano nel 1451, inaugurò il suo trionfale regno proprio con una fallimentare spedizione in Albania. Negli anni seguenti, Scanderbeg avrebbe vinto le battaglie disputatesi nei Campi dell'Acqua Bianca nel 1457, nei pressi di Ocrida nel 1462, nel prato di Vajkan nel 1465. Scanderbeg ebbe modo di sostenere anche l'alleato Ferrante d'Aragona, re di Napoli, contribuendo con il suo passaggio in Italia a guidare le sue truppe alla vittoria nella Battaglia di Troia del 1462.

Poco prima della morte, Papa Pio II accarezzò, nel 1464, l'idea di sostenere Scanderbeg con una crociata nei Balcani. La sua scomparsa pose fine a questo progetto, ma anno dopo anno ci si rese conto che la resistenza albanese stava rappresentando il vero antemurale contro un dilagare turco verso Nord-Ovest, verso l'Italia e l'Europa centrale. L'anticipazione di Lepanto, che nel 1571 fermò la corsa turca sul Mediterraneo, e della carica di cavalleria di Vienna che nel 1683 ruppe l'assedio ottomano e avviò il lungo riflusso della Sublime Porta fu la lunga guerra di logoramento condotta dall'Albania di Scanderbeg, guerriero cristiano e eroe indipendentista, in una fase in cui i rapporti di forza militari pendevano tutti a vantaggio del Gran Turco.

Papa Callisto III battezzò "Atleta di Cristo" e "Difensore della Fede" il guerriero che era riuscito a unificare i principati albanesi, cattolici e ortodossi, nella resistenza contro gli Ottomani. Scanderbeg era divenuto un vero esperto in agguati e contrattacchi e conosceva a perfezione le debolezze dell'esercito ottomano, impedendo ogni possibile avanzata a Nord in una fase in cui qualsiasi manovra della Sublime Porta avrebbe dovuto trovarsi necessariamente costretta da azioni ostili su due fianchi. Quando la morte colse Scanderbeg nel 1468, a 65 anni, a causa di una febbre malarica, il principe era un simbolo per l'intera Europa. E lo era, in particolare, per quelle comunità di esuli albanesi, in larga parte cristiani, stanziati nel Sud Italia ove Scanderbeg aveva anche combattuto e ove re Ferrante gli aveva concesso i feudi di Monte Sant'Angelo e San Giovanni Rotondo. Il cognome di Scanderbeg, Castriota (anche nella sua versione "Castriotta") è tuttora tra i più diffusi in diverse aree della Puglia, principalmente attorno a Manfredonia; le comunità Arbreshe tuttora resistono e prosperano al Sud Italia; il nostro Paese e l'Albania, la piccola sorella al di là dell'Adriatico, sono intrinsecamente legate nell'era della globalizzazione. E lo sono anche e soprattutto per il filo rosso gettato oltre mezzo millennio fa da Giorgio Castriota Scanderbeg. Un eroe nazionale per il suo popolo. Una figura decisiva, per quanto spesso immeritatamente sottovalutata, per l'Europa del suo tempo. 

Andrea Muratore. Bresciano classe 1994, si è formato studiando alla Facoltà di Scienze Politiche, Economiche e Sociali della Statale di Milano. Dopo la laurea triennale in Economia e Management nel 2017 ha conseguito la laurea magistrale in Economics and Political Science nel 2019. Attualmente è analista geopolitico ed economico per "Inside Over" e svolge attività di ricerca presso il CISINT - Centro Italia di Strategia ed Intelligence e il centro studi Osservatorio Globalizzazione.

·        Cristiani contro Cristiani.

Il futuro degli Stati Uniti è senza Cristo. Emanuel Pietrobon su Inside Over il 24 Novembre 2022

Stati Uniti, la loro identità è intrinsecabilmente legata al cristianesimo. La loro storia inizia con l’arrivo a Plymouth di un gruppo di puritani inglesi alla ricerca di una nuova Gerusalemme al di fuori dell’Europa. Dio è nei loro tribunali, nelle loro monete ed è il loro motto – In God We Trust.

Dio, inteso come il Dio abramitico, negli Stati Uniti è una presenza fissa anche al momento dell’insediamento del capo di stato, giacché i presidenti giurano sulla Bibbia dai tempi di George Washington. Una tradizione, più che legata al padre della nazione, dovuta ad un fatto accaduto quel giorno di aprile del 1789: Washington, a giuramento finito, si accorse di aver la mano su Genesi 49,1-27 – la benedizione di Giacobbe. Un segno. Un destino. O meglio: un manifesto destino.

Non si può scrivere di Stati Uniti prescindendo da una spiegazione della loro connaturata cristianità. Perché la suddetta, oltre a permeare la quotidianità dell’americano comune, ieri ha plasmato la visione del mondo dei Padri fondatori e oggi plasma quella dei loro nipoti. Calvinisticamente predestinati a essere Città sulla collina e Impero della libertà. Inevitabilmente costretti a utilizzare la violenza per liberare il mondo dal male – violenza redentrice.

Stati Uniti, se è vero che la cristianità è connaturata in loro, lo è altrettanto che il senso religioso delle masse sta rapidamente scemando dinanzi all’avanzata inesorabile, e apparentemente inarrestabile, della secolarizzazione. Ed è lecito chiedersi che cosa potrebbe succedere ai giuramenti sulle Bibbie e alle “guerre sante” dei loro presidenti, se la scristianizzazione dovesse rivelarsi irreversibile.

Non è un paese per cristiani

Stati Uniti, hanno la popolazione cristiana più numerosa del pianeta – 210 milioni di persone –, e sono casa della più ampia comunità protestante – 140 milioni –, ma un domani potrebbero non essere troppo differenti dalla vecchia e atea Europa.

Il quadro dello stato di salute del cristianesimo statunitense, dipinto dai più importanti barometri di tendenze sociali degli Stati Uniti, Gallup e Pew Research Center, è a tinte fosche. Il numero di credenti praticanti e non praticanti è in diminuzione su base annua, la convinzione che gli Stati Uniti siano una “nazione cristiana” fa sempre meno presa e tradizioni sedimentate – come il congregazionalismo – vanno sparendo dall’orizzonte dell’americano medio.

La tendenza della scristianizzazione degli Stati Uniti sembra inarrestabile. Il declino è iniziato da qualche parte tra la fine degli anni Settanta e l’inizio degli Ottanta, quasi in concomitanza con l’inizio dell’età d’oro repubblicana, e da allora non si è più fermato. Il fenomeno è ben fotografato dai numeri:

9 americani su 10 erano cristiani nel 1976, 8 su 10 nel 2001 e 6 su 10 nel 2021;

Il congregazionalismo è stato la realtà di 7 americani su 10 per circa quarant’anni – dagli anni Quaranta agli Ottanta –, ma dal 2020 è pratica di soltanto 4 su 10;

18 stati federati presentano tassi “europei” di frequenza in chiesa, essendo i praticanti meno del 30% della popolazione;

La fine della Città sulla collina?

Il 64% degli americani pensa che gli Stati Uniti abbiano smesso di essere un paese cristiano e il 51% è dell’idea che, succeda quel che succeda, non dovrebbero aspirare a tale titolo – percentuale che sale ad un eccezionale 76% tra Millennials e Generazione Z. Per di più, va aumentando la porzione di chi crede che i Padri fondatori non volessero edificare una nazione ispirata dalla Bibbia – il 37%, che diventa 49% tra i rispondenti in età 18-29 e 52% tra gli elettori democratici. Questi i risultati di un’indagine effettuata dal Pew Research Center nel 2022.

Il futuro degli Stati Uniti sembra essere indubbiamente senza Dio, perlomeno il Dio cristiano, ma non è detto che ciò avrà necessariamente riverberi negativi sulla loro postura internazionale. Perché se è vero che la secolarizzazione va di pari passo con l’avversione al nazionalismo cristiano, lo è altrettanto che l’hobbesiana realtà delle relazioni internazionali continuerà ad imporre alla Città sulla collina di agire nel mondo. Il fardello del poliziotto globale, anche se meno assertivo e con meno competenze di un tempo.

L’ingresso degli Stati Uniti nell’era postcristiana potrebbe comportare dei mutamenti più di forma che di sostanza. L’internazionalismo liberale in luogo dell’interventismo messianico – lo stesso eccezionalismo di sempre, ma presentato con un volto diverso. Nuovi instrumenta regni da esportare – oggi protestantesimo evangelico e sovranismo, domani wokismo e parenti. Ma i medesimi imperativi strategici di sempre: dollarocrazia, primazia nell’emisfero occidentale e divide et impera in Eurasia.

Francesco contro i populismi. Il Papa dice che è moralmente accettabile inviare armi agli ucraini per aiutarli a difendersi. L'inkiesta il 16 Settembre 2022

«È una decisione politica, che può essere moralmente accettata, se si fa secondo le condizioni di moralità. Ma può essere immorale se si fa con l’intenzione di provocare più guerra o di vendere armi. La motivazione qualifica la moralità. Difendersi è non solo lecito, ma anche una espressione di amore alla patria», spiega ai giornalisti sul volo di rientro dal Kazakistan. Poi parla delle prossime elezioni: «Dobbiamo aiutare i nostri politici a mantenere il livello dell’alta politica»

Di ritorno dal Kazakistan, il Papa ha risposto alle domande dei giornalisti sull’aereo che lo ha riportato a Roma. Le guerre e la ricerca della pace sono stati al centro del congresso interreligioso a cui ha preso parte. E ovviamente si è parlato della guerra russa in Ucraina. E sugli armamenti inviati agli ucraini, il Pontefice – come riporta il Corriere – dice: «È una decisione politica, che può essere moralmente accettata, se si fa secondo le condizioni di moralità. Ma può essere immorale se si fa con l’intenzione di provocare più guerra o di vendere armi. La motivazione qualifica la moralità. Difendersi è non solo lecito, ma anche una espressione di amore alla patria. La guerra è un errore, da settant’anni l’Onu parla di pace, ma ora quante guerre ci sono? Siamo in guerra mondiale… Mia madre pianse di gioia nel 1945. Non so se oggi abbiamo il cuore educato a piangere per la pace».

Francesco però aggiunge anche non bisogna abbandonare la via del dialogo. «È difficile, ma non dobbiamo scartarlo ma dare l’opportunità a tutti, tutti. Perché c’è sempre la possibilità che si possano cambiare le cose. Io non escludo il dialogo con qualsiasi potenza che sia l’aggressore. Delle volte il dialogo si deve fare così. Puzza, ma si deve fare. Perché al contrario chiudiamo l’unica porta ragionevole per la pace. A volte non accettano, peccato, ma il dialogo va fatto sempre, almeno offerto».

Poi il discorso sul volo da Nur Sultan si sposta sulle imminenti elezioni politiche in Italia. «Ho conosciuto due presidenti italiani, di altissimo livello: Napolitano e Mattarella. Grandi», dice il Papa. «Poi gli altri politici non li conosco. In questo secolo l’Italia ha avuto venti governi. Non condanno né critico, ma non so spiegarlo. La politica italiana non la capisco, è un po’ strano, ma ognuno ha il proprio modo di ballare il tango. Oggi essere un grande politico, che si mette in gioco per i valori della patria e non per interessi, la poltrona, è difficile. Dobbiamo lottare per aiutare i nostri politici a mantenere il livello dell’alta politica, non la politica di basso livello che non aiuta e anzi tira giù lo Stato, impoverisce… Oggi la politica in Europa dovrebbe affrontare ad esempio l’inverno demografico, lo sviluppo industriale e naturale, i migranti».

È nel Mediterraneo, secondo il Papa, che si consuma l’ingiustizia sociale. «È Occidente e oggi è il cimitero più grande, non dell’Europa: dell’umanità», dice. «Cosa ha perso l’Occidente per dimenticarsi di accogliere, quando ha bisogno di gente? E poi c’è il pericolo dei populismi. In una situazione sociopolitica del genere nascono i messia dei populismi, quando c’è un’età come dopo Weimar nel ‘33 e uno promette il messia».

Su questo tema, Repubblica sottolinea alcune prese di posizione del Pontefice. Tra cui: «Paolo VI diceva che la politica è una delle forme più alte della carità. Dobbiamo aiutare i nostri politici a mantenere il livello dell’alta politica, non la politica di basso livello che non aiuta niente, e anzi tira giù lo Stato, impoverisce».

"È eresia...". Dal Vaticano il "siluro" al patriarca Kirill. Nico Spuntoni il 3 Luglio 2022 su Il Giornale.

La distanza tra Chiesa cattolica e Chiesa ortodossa russa sembra essersi amplificata dopo la guerra in Ucraina. Le parole del cardinale Koch si inseriscono nel solco di quelle di Papa Francesco dopo la videochiamata con il patriarca di Mosca.

"È un'eresia che il patriarca osi legittimare la brutale e assurda guerra in Ucraina con ragioni pseudo-religiose". Il cardinale Kurt Koch non ha usato mezzi termini per condannare la linea tenuta dalla Chiesa ortodossa russa già all'indomani del 24 febbraio. Lo ha fatto in un'intervista concessa al quotidiano cattolico tedesco Die Tagespost.

Sono parole di particolare rilevanza non solo perché tirano in ballo l'accusa di eresia, rimpallata per secoli da Occidente a Oriente e viceversa con motivazioni teologiche, ma per la fonte da cui provengono. Koch non è un porporato qualunque, ma il prefetto del Dicastero per la Promozione dell'Unità dei Cristiani, nuovo nome del Pontificio Consiglio che si occupa di ecumenismo e cura le relazioni con le altre Chiese e Comunità ecclesiali.

Il suo profilo, peraltro, è tutt'altro che barricadiero, trattandosi di un fine teologo svizzero dal carattere mite e dai toni gentili, spesso considerato anche per questo una sorta di "piccolo Joseph Ratzinger". Non bisogna dimenticare che c'era il cardinale Koch accanto a Papa Francesco nella storica videochiamata con il patriarca russo Kirill che si è svolta nel pomeriggio del 16 marzo e che ha avuto come inevitabile argomento di discussione proprio la guerra in Ucraina. Durante quel colloquio, Bergoglio aveva rimproverato il leader spirituale russo per il suo sostegno all'operazione militare di Putin, ricordandogli che "la Chiesa non deve usare il linguaggio della politica, ma il linguaggio di Gesù".

Il Papa ha raccontato i dettagli di quella videochiamata nell'intervista concessa a inizio maggio al direttore del Corsera, Luciano Fontana, spiegando che Kirill aveva iniziato la conversazione "con una carta in mano" da cui aveva letto "tutte le giustificazioni alla guerra", sentendosi rispondere che "il patriarca non può trasformarsi nel chierichetto di Putin".

Una franchezza che è sintomo di quanto la guerra in Ucraina abbia condotto le relazioni tra Chiesa cattolica e Chiesa ortodossa russa a uno stallo dopo decenni di lavoro sotterraneo che aveva consentito la realizzazione dello storico incontro di Cuba nel 2016. I due leader si sarebbero dovuti rivedere di persona a Gerusalemme il 14 giugno, ma il conflitto ha stravolto l'agenda fissata dalle rispettive diplomazie.

Le recenti parole di Koch sembrano certificare una distanza difficilmente colmabile a breve giro anche perché Kirill non può permettersi reazioni troppo morbide verso Roma, avendo a che fare con le pressioni interne del Santo Sinodo della Chiesa ortodossa russa da sempre non favorevole al dialogo con i cattolici.

Non a caso, a inizio giugno il Sinodo - attribuendo la decisione al patriarca - ha silurato a sorpresa il potentissimo metropolita Hilarion di Volokolamsk dal ruolo di "ministro degli Esteri", spedendolo a Budapest. Con il gelo ecumenico calato dopo il 24 febbraio e confermato dall'intervista di Koch a Die Tagespost, la sua linea considerata eccessivamente dialogante con la Chiesa cattolica potrebbe essergli costata non solo il posto di presidente del Dipartimento degli Affari Ecclesiastici Esterni ma anche la successione a Kirill che poco tempo fa veniva data quasi per scontata.

Bergoglio torna a parlare del conflitto in Ucraina. La furia di Papa Francesco: “La guerra non è tra buoni e cattivi”. Fabrizio Mastrofini su Il Riformista il 15 Giugno 2022. 

Con la guerra in Ucraina non siamo nella favola di Cappuccetto Rosso dove è chiaro chi è il cattivo e chi è la buona. Ma chiediamoci: “Che cosa sta succedendo all’umanità che in un secolo ha avuto tre guerre mondiali?”. E se non fosse abbastanza chiaro, ecco due aggiunte: “qui non ci sono buoni e cattivi metafisici, in modo astratto. Sta emergendo qualcosa di globale, con elementi che sono molto intrecciati tra di loro”. L’analisi è di Papa Francesco e la conosciamo per merito de La Civiltà Cattolica che ieri ha pubblicato la trascrizione integrale del dialogo del 19 maggio tra il Pontefice e dieci direttori di altrettante riviste dei gesuiti in diversi paesi europei.

La conversazione ha spaziato a tutto campo: dalla guerra alla situazione della Chiesa e dei rapporti con gli ortodossi, dai giovani alle priorità della Compagnia di Gesù in Europa. Non sono a favore di Putin, argomenta il Papa e precisa: «Sono semplicemente contrario a ridurre la complessità alla distinzione tra i buoni e i cattivi, senza ragionare su radici e interessi, che sono molto complessi. Mentre vediamo la ferocia, la crudeltà delle truppe russe, non dobbiamo dimenticare i problemi per provare a risolverli». Il conflitto non deve nascondere, in una visione parziale della realtà, i tanti altri disastri bellici in corso. «Ci sono altri Paesi lontani – pensiamo ad alcune zone dell’Africa, al nord della Nigeria, al nord del Congo – dove la guerra è ancora in corso e nessuno se ne cura. Pensate al Ruanda di 25 anni fa. Pensiamo al Myanmar e ai Rohingya. Il mondo è in guerra. Qualche anno fa mi è venuto in mente di dire che stiamo vivendo la terza guerra mondiale a pezzi e a bocconi. Ecco, per me oggi la terza guerra mondiale è stata dichiarata. E questo è un aspetto che dovrebbe farci riflettere. Che cosa sta succedendo all’umanità che in un secolo ha avuto tre guerre mondiali?

Io vivo la prima guerra nel ricordo di mio nonno sul Piave. E poi la seconda e ora la terza. E questo è un male per l’umanità, una calamità. Bisogna pensare che in un secolo si sono susseguite tre guerre mondiali, con tutto il commercio di armi che c’è dietro! Quella che è sotto i nostri occhi – aggiunge papa Francesco – è una situazione di guerra mondiale, di interessi globali, di vendita di armi e di appropriazione geopolitica, che sta martirizzando un popolo eroico». L’analisi porta con sé una domanda molto forte: chi si prenderà cura dei profughi e delle donne, quando l’emergenza sarà passata? E c’è anche un compito per le riviste dei gesuiti: impegnatevi a parlare del conflitto, a sensibilizzare, affrontando «il lato umano della guerra. Vorrei che le vostre riviste facessero capire il dramma umano della guerra. Va benissimo fare un calcolo geopolitico, studiare a fondo le cose. Lo dovete fare, perché è vostro compito. Però cercate pure di trasmettere il dramma umano della guerra, il dramma umano di una donna alla cui porta bussa il postino e che riceve una lettera con la quale la si ringrazia per aver dato un figlio alla patria, che è un eroe della patria… E così rimane sola. Riflettere su questo aiuterebbe molto l’umanità e la Chiesa. Fate le vostre riflessioni socio-politiche, senza però trascurare la riflessione umana sulla guerra».

Nella lunga riflessione il Papa si lascia andare anche a ricordi personali, parlando della visita compiuta a Redipuglia e al cimitero militare di Anzio, due momenti di grande commozione pensando a quelle migliaia di giovani morti. Quanto all’ortodosso Patriarca Kirill di Mosca, Papa Francesco taglia corto: «Ho avuto una conversazione di 40 minuti con il patriarca Kirill. Nella prima parte mi ha letto una dichiarazione in cui dava i motivi per giustificare la guerra. Quando ha finito, sono intervenuto e gli ho detto: Fratello, noi non siamo chierici di Stato, siamo pastori del popolo. Avrei dovuto incontrarlo il 14 giugno a Gerusalemme, per parlare delle nostre cose. Ma con la guerra, di comune accordo, abbiamo deciso di rimandare l’incontro a una data successiva. Spero di incontrarlo in occasione di un’assemblea generale in Kazakistan, a settembre. Spero di poterlo salutare e parlare un po’ con lui in quanto pastore».

Un altro capitolo riguarda la situazione della Chiesa. E qui il Papa avvia una riflessione molto decisa: nella Chiesa europea “vedo rinnovamento” con “movimenti, gruppi, nuovi vescovi che ricordano che c’è un Concilio alle loro spalle. Perché il Concilio che alcuni pastori ricordano meglio è quello di Trento. E non è un’assurdità quella che sto dicendo”. Altrove, specie negli Usa, il Concilio Vaticano II lo si vorrebbe semplicemente cancellare dalla storia. Il Papa ne è acutamente consapevole e lo dice senza mezzi termini, anche se non spiega in che modo si debba arginare i settori conservatori. “Il numero di gruppi di «restauratori» – ad esempio, negli Stati Uniti ce ne sono tanti – è impressionante” e “ci sono idee, comportamenti che nascono da un restaurazionismo che in fondo non ha accettato il Concilio. Il problema è proprio questo: che in alcuni contesti il Concilio non è stato ancora accettato. È anche vero che ci vuole un secolo perché un Concilio si radichi. Abbiamo ancora quarant’anni per farlo attecchire, dunque!”.

Un’altra tematica ha a che fare con la Germania. Anche qui la risposta dimostra una capacità di visione più ampia e profonda di quello che si legge di solito sui media. Papa Francesco sa quali sono le difficoltà ecclesiali ma ha deciso di aspettare e non forzare le situazioni. E lo dice, indicando una strategia precisa e consapevole: «Il problema sorge quando la via sinodale nasce dalle élite intellettuali, teologiche, e viene molto influenzata dalle pressioni esterne. Ci sono alcune diocesi dove si sta facendo la via sinodale con i fedeli, con il popolo, lentamente». Sulla diocesi di Colonia dove l’arcivescovo è contestato per la scarsa sensibilità verso le denunce di casi di abusi, papa Francesco non le manda a dire e rivela dettagli importanti: «Ho chiesto all’arcivescovo di andare via per sei mesi, in modo che le cose si calmassero e io potessi vedere con chiarezza. Perché quando le acque sono agitate, non si può vedere bene. Quando è tornato, gli ho chiesto di scrivere una lettera di dimissioni. Lui lo ha fatto e me l’ha data. E ha scritto una lettera di scuse alla diocesi. Io l’ho lasciato al suo posto per vedere cosa sarebbe successo, ma ho le sue dimissioni in mano».

Della serie: comportati bene… Intanto il direttore di una rivista on line chiede come parlare ai giovani e anche qui la risposta è pronta: «Non bisogna stare fermi»; «ai miei tempi il lavoro con i giovani era costituito da incontri di studio. Ora non funziona più così. Dobbiamo farli andare avanti con ideali concreti, opere, percorsi. I giovani trovano la loro ragione d’essere lungo la strada, mai in modo statico. Qualcuno può essere titubante perché vede i giovani senza fede, dice che non sono in grazia di Dio. Ma lasciate che se ne occupi Dio! Il vostro compito sia quello di metterli in cammino. Penso che sia la cosa migliore che possiamo fare». Questa risposta si lega con un’altra riflessione che il Papa ha già svolto nell’Esortazione Apostolica “Evangelii Gaudium” sul modo di annunciare il Vangelo oggi e sul principio che “la realtà è superiore all’idea”: non basta comunicare idee: non è sufficiente. Occorre comunicare idee che provengono dall’esperienza. Questo per me è molto importante.

Le idee devono venire dall’esperienza. Prendiamo l’esempio delle eresie, sia che esse siano teologiche sia che siano umane, perché ci sono anche eresie umane. A mio parere, un’eresia nasce quando l’idea è scollegata dalla realtà umana. Da qui la frase che qualcuno ha detto – Chesterton, se ben ricordo – che «l’eresia è un’idea impazzita». È impazzita perché ha perso la sua radice umana”. Il principio è semplice: «la realtà è superiore all’idea, e quindi bisogna dare idee e riflessioni che nascono dalla realtà». I gesuiti hanno nel “dna” il tema del “discernimento”: analizzare la realtà, riflettere bene, poi agire. Il Papa lo mette a fuoco puntando in alto: “se si lancia una pietra, le acque si agitano, tutto si muove e si può discernere. Ma se invece di lanciare una pietra, si lancia… un’equazione matematica, un teorema, allora non ci sarà alcun movimento, e dunque nessun discernimento”.

Fabrizio Mastrofini. Giornalista e saggista specializzato su temi etici, politici, religiosi, vive e lavora a Roma. Ha pubblicato, tra l’altro, Geopolitica della Chiesa cattolica (Laterza 2006), Ratzinger per non credenti (Laterza 2007), Preti sul lettino (Giunti, 2010), 7 Regole per una parrocchia felice (Edb 2016).

Mattia Feltri per “La Stampa” il 15 giugno 2022.  

In una conversazione riportata ieri dalla Stampa coi direttori di dieci riviste europee della Compagnia di Gesù, Papa Francesco è tornato sulla guerra d’Ucraina. La sua opinione è nota, ma nell’occasione la dettaglia: alla condanna dell’aggressore si accompagna un fremente elogio del coraggio dell’aggredito, ma con l’avvertenza che questa non è la storia di Cappuccetto Rosso, non ci sono buoni e cattivi, la questione è più complessa. 

In particolare - lo aveva già detto, lo ripete - la Nato ha abbaiato ai confini russi, forse per fomentare la guerra, perlomeno senza lo scrupolo di evitarla. Bisogna sempre accostarsi con particolare prudenza e rispetto alle parole di un pontefice, che si sia credenti oppure no.

Mi sono ricordato della volta in cui, rientrando in volo dallo Sri Lanka, una settimana dopo la strage di Charlie Hebdo (dodici morti nella redazione del giornale satirico per mano di terroristi islamici), Francesco dichiarò sacre le libertà di religione e di espressione, ma né l’una né l’altra sono illimitate: se dici una parolaccia a mia madre, spiegò, aspettati un pugno. 

Anche lì, mi pare, l’intenzione era di sollecitare una lettura delle cose senza semplificazioni manicheiste, cioè un invito, replicato ieri, alla complessità. Per la prudenza e il rispetto raccomandati prima, mi limito a dubitare che sarebbe buona cosa dare un pugno a chi insultasse mia madre, e ad aggiungere che parlare di buoni e cattivi, subito dopo o durante una mattanza, a Parigi o a Kiev, sarebbe inutile e infantile. Non sono buoni e cattivi, sono vittime e carnefici, e le ragioni dei carnefici sono qualcosa che diventa il nulla.

Amicus Papa, sed magis amica logica. Delle due l’una: o si dice che c’è un aggressore e c’è una vittima o si dice che le cose sono più complesse. Francesco Cundari su L'Inkiesta il 16 giugno 2022.

Se c’è un invasore, non si può negare che la guerra sia iniziata con l’invasione; se si sta dalla parte dell’Ucraina, non si può aggiungere che non ci sono buoni e cattivi, per la contradizion che nol consente.

Non so per quale ragione il direttore della Civiltà cattolica, Antonio Spadaro, abbia criticato con parole dure il titolo («La Nato ha provocato Putin») dato dalla Stampa a un’anticipazione della sua conversazione con Papa Francesco. Questo il suo tweet di martedì: «Purtroppo quel titolo virgolettato è fasullo. Ho protestato con @LaStampa. Nella conversazione non c’è infatti».

Basta leggere il testo integrale della conversazione per verificare come il Papa citi ancora una volta – lo aveva già fatto, ad esempio, con il Corriere della Sera – un anonimo capo di stato secondo il quale, prima del conflitto, la Nato stava «abbaiando alle porte della Russia».

A scanso di equivoci, il Pontefice non si limita a riportarne il giudizio, ma loda esplicitamente l’interlocutore come un uomo saggio e capace di «leggere i segni di quel che stava avvenendo». Dunque, appurato che l’analisi citata dal Papa era da lui pienamente approvata, quale sarebbe la differenza tra il dire che la Nato, prima che la guerra scoppiasse, stava «abbaiando alle porte della Russia» e il dire che «la Nato ha provocato Putin»? Semmai, al netto della sempre deprecabile abitudine italiana di virgolettare le sintesi, si potrebbe dire che la versione della Stampa attenui la forza dell’immagine usata da Papa Francesco. Certo non ne cambia in nulla il significato.

Trattandosi di una conversazione tra un Papa gesuita e i direttori delle riviste europee della Compagnia di Gesù, sarei tentato di spiegare la cosa, sicuro di non offendere nessuno, con un eccesso di gesuitismo, almeno da parte del direttore della Civiltà cattolica. Il guaio è che il resto della conversazione era persino più esplicito.

Naturalmente non voglio avventurarmi nell’interpretazione del pensiero del Papa. Mi preoccupano di più i molti che in questi giorni hanno utilizzato le sue parole per tirare l’acqua al proprio mulino.

Del resto lo stesso Spadaro, proprio sulla Stampa, il 20 aprile ha ricordato che «Francesco ha definito lucidamente il conflitto “inaccettabile aggressione armata”, “guerra ripugnante”, “massacro insensato”, “invasione dell’Ucraina”, “barbarie”, “atto sacrilego”». Definizioni che sembrerebbero inequivoche, e che mi guardo bene dal contestare. D’altronde, chi oggi, anche tra i più fermi oppositori del sostegno all’Ucraina, non comincia ogni discorso ripetendo che è chiarissimo chi sia l’aggressore e chi l’aggredito? Se però questo è anche il pensiero del Papa, e personalmente non ne sono affatto sicuro, bisogna comunque riconoscere che è arduo ritrovarlo nel senso e anche nella lettera di quanto affermato nella conversazione con i direttori delle riviste dei gesuiti.

«Quello che stiamo vedendo è la brutalità e la ferocia con cui questa guerra viene portata avanti dalle truppe, generalmente mercenarie, utilizzate dai russi», dice Papa Francesco. Dopodiché aggiunge: «Ma il pericolo è che vediamo solo questo, che è mostruoso, e non vediamo l’intero dramma che si sta svolgendo dietro questa guerra, che è stata forse in qualche modo o provocata o non impedita. E registro l’interesse di testare e vendere armi. È molto triste, ma in fondo è proprio questo a essere in gioco».

È evidente a chi si riferisca il Papa quando ipotizza, diciamo così, che la guerra sia stata «provocata», per non parlare della valenza di quel generico riferimento agli interessi dietro la possibilità di «testare e vendere armi», che sarebbe addirittura la vera posta in gioco.

Si può sostenere che la guerra è stata scatenata da Vladimir Putin al solo scopo di impadronirsi dell’Ucraina, per ragioni imperialistiche, e si può dire, al contrario, che si tratta di una «guerra per procura» provocata dagli americani, dalla lobby delle armi e magari anche da Big Pharma (melius abundare quam deficere, dicevano i latini, molto prima di Totò); ma sostenere o alludere a entrambe le cose finisce per fare più confusione che chiarezza.

Sta di fatto che subito dopo la frase appena riportata lo stesso Papa Francesco aggiunge quella che ha tutta l’aria, per restare ai latinismi, di una excusatio non petita: «Qualcuno può dirmi a questo punto: ma lei è a favore di Putin! No, non lo sono. Sarebbe semplicistico ed errato affermare una cosa del genere. Sono semplicemente contrario a ridurre la complessità alla distinzione tra i buoni e i cattivi, senza ragionare su radici e interessi, che sono molto complessi. Mentre vediamo la ferocia, la crudeltà delle truppe russe, non dobbiamo dimenticare i problemi per provare a risolverli».

Può darsi che dietro tante apparenti contraddizioni vi siano ragioni nobilissime, legate alle segrete arti della diplomazia vaticana, o magari anche a forze superiori di cui io, ateo materialista, non posso rendermi conto. Ma una cosa è certa: nell’esultanza dei tanti che in questi giorni si sono subito fatti scudo delle parole del Papa per rilanciare i consueti argomenti contro il sostegno all’Ucraina, che si traducono semplicemente in un aumento della pressione per interrompere gli aiuti all’aggredito, a tutto vantaggio dell’aggressore, non è difficile discernere l’esito ultimo di certi discorsi.

Si può dire, infatti, che in questa guerra non ci sono buoni e cattivi, e si può dire, al contrario, che si sta convintamente dalla parte della vittima, cioè dell’Ucraina; ma non si possono sostenere entrambe le cose. Si può dire che in questo conflitto è chiarissimo chi è l’aggressore e chi è l’aggredito, e si può dire, al contrario, che questa guerra è cominciata molto prima del 24 febbraio, giorno dell’aggressione russa; ma delle due l’una. Si può dire che le cose sono chiarissime e si può sostenere, al contrario, che non lo sono affatto, ma non si può sostenere che sono al tempo stesso chiarissime e avvolte nell’oscurità, mi dispiace, perché la luce non può essere al tempo stesso accesa e spenta, per la «contradizion che nol consente». Amicus Papa, sed magis amica logica.

Dagotraduzione da Axios il 29 aprile 2022.

Secondo gli ultimi dati, il cattolicesimo sta perdendo la presa in America Latina perché è cresciuta la percentuale di persone che affermano di identificarsi come evangelici. 

Un dato importante, perché la Chiesa cattolica ha storicamente influenzato le leggi e la politica dell'America Latina. Il suo declino sta iniziando ad avere un impatto sulle politiche di alcuni paesi, anche se altre fedi crescono. 

Ad esempio, diversi paesi hanno recentemente depenalizzato l'aborto, riconosciuto il matrimonio gay e spinto per i diritti dei transgender.

Nel complesso, il numero di latinoamericani che hanno affermato di non avere una religione è balzato di sei punti percentuali dal 2010 al 2020, secondo il più recente Latinobarómetro, il principale sondaggio regionale annuale. 

Latinobarómetro ha rilevato che la percentuale di persone che si identificano come cattoliche è scesa dal 70% nel 2010 al 57% nel 2020. 

In compenso sono cresciute le fedi evangeliche. Lo studio mostra che in Brasile, il numero di intervistati che si sono identificati come evangelici è passato dal 3% nel 2000 al 18% nel 2010 e al 22% nel 2020. In Guatemala, queste cifre sono passate dal 19% al 34% al 41%. 

Un crescente gruppo evangelico ha recentemente cercato di approvare misure che vietano completamente il matrimonio tra persone dello stesso sesso e una pena fino a 10 anni in caso di aborto. La legge è stata demolita dopo che il presidente ha detto che non avrebbe firmato.

Il cambiamento nelle credenze religiose è in parte dovuto al fatto che i giovani hanno più fedi tra cui scegliere, ha affermato ieri il professore di studi religiosi Andrew Chesnut della Virginia Commonwealth University in una conferenza a Città del Messico. 

Ha aggiunto che le fedi protestanti e altre fedi cristiane hanno rafforzato la sensibilizzazione, così come forme alternative di spiritualismo, come i movimenti New Age che incorporano le tradizioni mesoamericane. 

Lo studio Latinobarómetro mostra che anche la fiducia nella Chiesa cattolica è ai minimi storici, in particolare in Argentina e Uruguay, dove la chiesa è stata accusata di aver chiuso un occhio sulle violazioni dei diritti umani da parte di dittature passate, e in Cile, dove sono esplosi numerosi scandali sessuali negli ultimi anni.

Papa Francesco, il primo latinoamericano a guidare la Chiesa cattolica, si è persino scusato per i "danni irreparabili" di questi ultimi casi dopo una visita in Cile nel 2018. Sì, ma il cattolicesimo rimane socialmente radicato nella cultura latinoamericana. Molti celebrano ancora tradizioni cattoliche come Día de los Reyes Magos (il giorno dei tre re). 

I dati del Pew Research Center mostrano che anche i latinoamericani negli Stati Uniti si sono allontanati dal cattolicesimo negli ultimi anni, mentre la laicità cresce in tutto il mondo. 

Metodologia: Latinobarómetro ha condotto 20.204 interviste in 18 paesi tra il 26 ottobre 2020 e il 26 aprile 2021. Il margine di errore è del 3% per i dati specifici per paese e dell'1% per i dati a livello regionale.

Da “la Stampa” il 14 Giugno 2022.

Pubblichiamo un estratto della conversazione di Papa Francesco con i 10 direttori delle riviste culturali europee della Compagnia di Gesù, raccolti in udienza presso la Biblioteca privata del Palazzo apostolico. Tra loro, padre Antonio Spadaro, responsabile de La Civiltà Cattolica. Tre direttori erano laici, di cui due donne (per le riviste svizzera e inglese), mentre gli altri erano gesuiti. «Se dialoghiamo - ha esordito il Papa - l'incontro sarà più ricco». 

[…] La Compagnia è presente in Ucraina, parte della mia Provincia. Stiamo vivendo una guerra di aggressione. Noi ne scriviamo sulle nostre riviste. Quali sono i suoi consigli per comunicare la situazione che stiamo vivendo? Come possiamo contribuire a un futuro di pace?

«Per rispondere a questa domanda dobbiamo allontanarci dal normale schema di "Cappuccetto rosso": Cappuccetto rosso era buona e il lupo era il cattivo. Qui non ci sono buoni e cattivi metafisici, in modo astratto. Sta emergendo qualcosa di globale, con elementi che sono molto intrecciati tra di loro. Un paio di mesi prima dell'inizio della guerra ho incontrato un capo di Stato, un uomo saggio, che parla poco, davvero molto saggio.

E dopo aver parlato delle cose di cui voleva parlare, mi ha detto che era molto preoccupato per come si stava muovendo la Nato. Gli ho chiesto perché, e mi ha risposto: "Stanno abbaiando alle porte della Russia. E non capiscono che i russi sono imperiali e non permettono a nessuna potenza straniera di avvicinarsi a loro". Ha concluso: "La situazione potrebbe portare alla guerra". Questa era la sua opinione. Il 24 febbraio è iniziata la guerra. Quel capo di Stato ha saputo leggere i segni di quel che stava avvenendo».

«Quello che stiamo vedendo è la brutalità e la ferocia con cui questa guerra viene portata avanti dalle truppe, generalmente mercenarie, utilizzate dai russi. E i russi, in realtà, preferiscono mandare avanti ceceni, siriani, mercenari. Ma il pericolo è che vediamo solo questo, che è mostruoso, e non vediamo l'intero dramma che si sta svolgendo dietro questa guerra, che è stata forse in qualche modo o provocata o non impedita. E registro l'interesse di testare e vendere armi. È molto triste, ma in fondo è proprio questo a essere in gioco». 

«Qualcuno può dirmi a questo punto: ma lei è a favore di Putin! No, non lo sono. Sarebbe semplicistico ed errato affermare una cosa del genere. Sono semplicemente contrario a ridurre la complessità alla distinzione tra i buoni e i cattivi, senza ragionare su radici e interessi, che sono molto complessi. Mentre vediamo la ferocia, la crudeltà delle truppe russe, non dobbiamo dimenticare i problemi per provare a risolverli».

«È pure vero che i russi pensavano che tutto sarebbe finito in una settimana. Ma hanno sbagliato i calcoli. Hanno trovato un popolo coraggioso, un popolo che sta lottando per sopravvivere e che ha una storia di lotta». «Devo pure aggiungere che quello che sta succedendo ora in Ucraina noi lo vediamo così perché è più vicino a noi e tocca di più la nostra sensibilità. Ma ci sono altri Paesi lontani - pensiamo ad alcune zone dell'Africa, al nord della Nigeria, al nord del Congo - dove la guerra è ancora in corso e nessuno se ne cura. Pensate al Ruanda di 25 anni fa. Pensiamo al Myanmar e ai Rohingya.

Il mondo è in guerra. Qualche anno fa mi è venuto in mente di dire che stiamo vivendo la terza guerra mondiale a pezzi e a bocconi. Ecco, per me oggi la terza guerra mondiale è stata dichiarata. E questo è un aspetto che dovrebbe farci riflettere. Che cosa sta succedendo all'umanità che in un secolo ha avuto tre guerre mondiali? Io vivo la prima guerra nel ricordo di mio nonno sul Piave. E poi la seconda e ora la terza. E questo è un male per l'umanità, una calamità. Bisogna pensare che in un secolo si sono susseguite tre guerre mondiali, con tutto il commercio di armi che c'è dietro!»

«Pochi anni fa c'è stata la commemorazione del 60° anniversario dello sbarco in Normandia. E molti capi di Stato e di governo hanno festeggiato la vittoria. Nessuno si è ricordato delle decine di migliaia di giovani che sono morti sulla spiaggia in quella occasione. Quando sono andato a Redipuglia nel 2014 per il centenario della guerra mondiale - vi faccio una confidenza personale -, ho pianto quando ho visto l'età dei soldati caduti. Quando, qualche anno dopo, il 2 novembre - ogni 2 novembre visito un cimitero - sono andato ad Anzio, anche lì ho pianto quando ho visto l'età di questi soldati caduti. L'anno scorso sono andato al cimitero francese, e le tombe dei ragazzi - cristiani o islamici, perché i francesi mandavano a combattere anche quelli del Nord Africa -, erano anche di giovani di 20, 22, 24 anni». 

[…] «Vorrei aggiungere un altro elemento. Ho avuto una conversazione di 40 minuti con il patriarca Kirill. Nella prima parte mi ha letto una dichiarazione in cui dava i motivi per giustificare la guerra. Quando ha finito, sono intervenuto e gli ho detto: «Fratello, noi non siamo chierici di Stato, siamo pastori del popolo». Avrei dovuto incontrarlo il 14 giugno a Gerusalemme, per parlare delle nostre cose. Ma con la guerra, di comune accordo, abbiamo deciso di rimandare l'incontro a una data successiva, in modo che il nostro dialogo non venisse frainteso. Spero di incontrarlo in occasione di un'assemblea generale in Kazakistan, a settembre. Spero di poterlo salutare e parlare un po' con lui in quanto pastore».

In Germania abbiamo un cammino sinodale che alcuni pensano sia eretico, ma in realtà è molto vicino alla vita reale. Molti lasciano la Chiesa perché non hanno più fiducia in essa. Un caso particolare è quello della diocesi di Colonia. Lei che cosa ne pensa?

«Al presidente della Conferenza episcopale tedesca, mons. Bätzing, ho detto: "In Germania c'è una Chiesa evangelica molto buona. Non ce ne vogliono due". Il problema sorge quando la via sinodale nasce dalle élite intellettuali, teologiche, e viene molto influenzata dalle pressioni esterne. Ci sono alcune diocesi dove si sta facendo la via sinodale con i fedeli, con il popolo, lentamente». (...) «Poi la questione della diocesi di Colonia. Quando la situazione era molto turbolenta, ho chiesto all'arcivescovo di andare via per sei mesi, in modo che le cose si calmassero e io potessi vedere con chiarezza. Perché quando le acque sono agitate, non si può vedere bene. Quando è tornato, gli ho chiesto di scrivere una lettera di dimissioni. Lui lo ha fatto e me l'ha data. E ha scritto una lettera di scuse alla diocesi. Io l'ho lasciato al suo posto per vedere cosa sarebbe successo, ma ho le sue dimissioni in mano». 

(...) Santo Padre, noi siamo una rivista digitale e parliamo anche a giovani che stanno ai margini della Chiesa. I giovani vogliono opinioni e informazioni veloci e immediate. Come possiamo introdurli al processo del discernimento?

«Non bisogna stare fermi. Quando si lavora con i giovani, bisogna sempre dare una prospettiva in movimento, non in modo statico. Dobbiamo chiedere al Signore di avere la grazia e la saggezza di aiutarci a compiere i passi giusti. Ai miei tempi il lavoro con i giovani era costituito da incontri di studio. Ora non funziona più così. Dobbiamo farli andare avanti con ideali concreti, opere, percorsi. I giovani trovano la loro ragione d'essere lungo la strada, mai in modo statico. Qualcuno può essere titubante perché vede i giovani senza fede, dice che non sono in grazia di Dio. Ma lasciate che se ne occupi Dio! Il vostro compito sia quello di metterli in cammino. Penso che sia la cosa migliore che possiamo fare».

La guerra delle Chiese: l’ortodossia divisa tra Russia e Ucraina. Andrea Muratore su Inside Over il 9 marzo 2022.

La guerra tra Russia e Ucraina è uno scontro fratricida, una vera e propria guerra civile tra due popoli fratelli che, oltre a colpire una terra cruciale per la geopolitica europea, ferisce anche il cuore identitario dell’Est europeo: il cristianesimo ortodosso. Da tempo coinvolto nella geopolitica dell’Europa orientale: come le rotte del gas, che vedevano Russia e Paesi dell’Est europeo intenti in una partita a scacchi per le forniture con al centro l’Ucraina, anche le vie della fede sono state al centro del mirino in questi lunghi otto anni culminati nell’invasione russa del 24 febbraio scorso.

In questi anni è andata in scena una crescente balcanizzazione del mondo ortodosso che ha indebolito la posizione della Russia, forse per sempre, quale Stella Polare delle Chiese orientali.

I rapporti fra i patriarcati di Mosca e di Costantinopoli, i maggiori dell’ortodossia, si sono fatti sostanzialmente bellicosi dopo lo scisma di Kiev, la cui Chiesa ortodossa ha proclamato l’autocefalia tra il 2018 e il 2019. Un atto visto come provocatorio dal patriarca di Mosca Kiril e da Vladimir Putin, legittimato dall’importante patriarcato di Alessandria e dalla chiesa ortodossa di Grecia. L’ex presidente ucraino Petro Poroshenko ha lavorato per dare legittimità politica all’atto che ha fatto segnare un punto forse di non ritorno nel decoupling dell’Ucraina dalla Russia e dunque nell’allontanamento tra i due Paesi. Kiev parla di libertà religiosa e di giurisdizione autonoma, Mosca di un conflitto alimentato ad arte tra Oriente e Occidente.

Nella guerra di oggi riemergono anche queste ferite. Colpi inferti a una tradizione di convivenza e a un legame sistemico, umano, culturale che anche nella Chiesa occidentale è stato visto come cruciale per l’ecumenismo. Papa Giovanni Paolo II e Benedetto XVI hanno a lungo proposto la visione delle due Chiese, quella romana e quella orientale, come i due polmoni dell’Europa. Associando Cirillo e Metodio a Benedetto da Norcia e Francesco d’Assisi, la liturgia antica di matrice bizantina della Seconda Roma (Costantinopoli) divenuta Terza (Mosca) alla Prima, alla  Città Eterna, in nome dell’ecumenismo. Papa Francesco ha visitato l’Ucraina e incontrato Kiril all’aeroporto di L’Avana, nel 2015, pensando di vedere in lui il rappresentante unificato del mondo ortodosso. La guerra di religione andata in scena dopo i fatti del 2014, la secessione del Donbass, la proclamazione dell’autocefalia ucraina e rinfocolata dall’attuale conflitto può mandare in frantumi questo lungo processo di incontro.

Le minacce velate di bombardamento russo alla cattedrale di Santa Sofia a Kiev, in quest’ottica, appaiono leggibili nell’ottica di una guerra che è anche conflitto identitario: Vladimir Putin, presidente cesaro-papista di cui Kiril è fedele alleato, “cappellano del Cremlino”, si presenta come vendicatore dell’ortodossia moscovita e il timore ucraino è che possa arrivare alle estreme conseguenze. Non accadrà: il danno è già fatto, il fiume secolare della storia che connette Russia e Ucraina ha preso la funzione di linea di divisione dopo che Mosca e Kiev si sono separate nel cuore della Chiesa ortodossa.

L’Ucraina ha conosciuto la divisione tra la Chiesa favorevole a Mosca, guidata dal patriarca Filarete, e quella scismatica guidata da Epifanio, primate d’Ucraina e metropolita di Kiev a cui i filaretiani hanno contrapposto un altro noto prelato, Onufriy.  Divise su tutto, durante l’attacco russo le due anime della Chiesa ucraina si sono ricompattate.

Il metropolita Onufriy di Kiev ha parlato di “guerra fratricida” in occasione dell’invasione russa dell’Ucraina. Difendendo la sovranità e l’integrità dell’Ucraina – ha dichiarato apertamente nel discorso del 24 febbraio – ci appelliamo anche al presidente della Russia affinché fermi immediatamente la guerra fratricida. I popoli ucraino e russo sono usciti dal fonte battesimale del Dnepr e la guerra tra questi popoli è una ripetizione del peccato di Caino, che uccise con invidia il proprio fratello. Una simile guerra non ha giustificazione né presso Dio né presso l’uomo”. Molto diverso l’atteggiamento di Kiril, il quale ha sì espresso una dura condanna, rivolta però al governo ucraino. In un’omelia tenuta mente presiedeva la Divina Liturgia nella Cattedrale di Cristo Salvatore a Mosca nella giornata del 7 marzo Kiril, riprendendo il discorso di Putin del 21 febbraio scorso, ha rimarcato le “sofferenze” provate dal popolo del Donbass a causa del governo di Kiev. In seguito il patriarca di Mosca ha indicato nel rifiuto dei valori cristiani da parte dell’esecutivo ucraino, comprendente tra le altre cose l’organizzazione dei gay pride, uno dei motivi per ritenere giustificata l’aggressione.

Ducentotrentasei chierici ortodossi russi, ha ricordato Francesco Boezi su IlGiornale.it, hanno mostrato dissenso verso le prese di posizione di Kiril. Ma il danno ormai è fatto: la rottura tra le due ortodossie è diventata bellica dopo esser partita come scisma. E questo, per Vladimir Putin e Kiril, è forse un passaggio decisivo: la dichiarazione di autocefalia del patriarcato del Kiev è stata una vera e propria riaffermazione dell’indipendenza ucraina dopo la secessione dall’Urss trent’anni fa; il peso della storia della cristianità ortodossa e dell’identità nazionale russa che fa riferimento a Vladimir I principe di Kiev arriva fino ad oggi mentre l’Ucraina vuole dissociarsi e separare una volta per tutte la sua strada. Di “guerra di religione” parla esplicitamente Andrea Molle, docente di Scienze Politiche alla Chapman University di Orange, California, ricercatore presso START InSight. Molle, contattato da InsideOver, ci spiega che a suo avviso in Occidente “abbiamo la certezza che Putin abbia invaso l’Ucraina per ragioni geopolitiche, strategiche o economiche” e ci dimentichiamo della religione, “fattore fondamentale della politica”. “La Chiesa ortodossa d’Ucraina non ha mai riconosciuto la pretesa di primato di Mosca”, nota Molle, e questo “è un problema serio per Putin, nella cui teologia ortodossa” la capitale ucraina, capitale del primo Stato russo della storia, “è religiosamente seconda solo a Gerusalemme”. Per il presidente, “la cui fortuna politica si deve anche alla sua capacità di fare leva sul sentimento religioso del popolo”, schierarsi contro Kiev “è necessario per legittimare le proprie aspirazioni politiche e religiose”.

Si tratta di una chiave di lettura interessante che mostra i nervi scoperti della storia, il peso sistemico di un’eredità plurisecolare convergente, oggigiorno, nella guerra più calda d’Europa dal 1945. In cui la battaglia per le città ucraine diventa battaglia per il cuore e le menti della storia, con alle spalle l’eredità comune di un passato che si è, improvvisamente, spezzato. E il rischio grande, quando di guerre di religione si parla, è che lo scontro diventi imprevedibile e irriducibile. Specie se, dal lato russo, il patriarcato diventa zelante sostenitore di nuove crociate piuttosto che pontiere per la pace.

Il dialogo tra il patriarca e il papa è già un ricordo. MARCO GRIECO su Il Domani il 09 marzo 2022

Era il 2017 quando papa Francesco riconobbe per la prima volta il sanguinoso conflitto in Ucraina, ricevendo il plauso della chiesa greco-cattolica del paese. Oggi, invece, la Santa sede sceglie la prudenza diplomatica.

I tentativi di negoziato promossi dalla Santa sede per ora si sono risolti in una telefonata del cardinale Pietro Parolin al ministro degli Esteri russo: apertura di corridoi umanitari e stop ai combattimenti è l’appello.

Gli accorati appelli del mondo cattolico a un intervento di papa Francesco stanno sfumando. Per il momento la linea della chiesa cattolica è la cosiddetta «diplomazia umanitaria». Ma basterà?

MARCO GRIECO. Giornalista freelance, ha scritto per l'Osservatore Romano e per il quotidiano digitale In Terris.

Serena Sartini per “il Giornale” il 9 marzo 2022.

Papa Francesco aveva capito già da qualche giorno che l'asse con il Patriarca di Mosca e di tutte le Russie sarebbe sfumato. Ancora prima della sua omelia di domenica in cui ha appoggiato la guerra di Putin definendola una guerra alle lobby gay. E così, deciso nella sua missione di tentare tutte le carte per riportare la pace in terra ucraina, Francesco - lontano anni luce dal pensiero di Kirill - ha inviato due cardinali per mandare il suo sostegno spirituale, materiale e diplomatico. 

Tra i due porporati, il suo elemosiniere, il cardinale Konrad Krajewski, che è giunto proprio a Leopoli dopo essere arrivato al confine dalla Polonia. Si è mossa anche la diplomazia vaticana ad alti livelli: il cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato ha avuto un colloquio telefonico con il ministro degli Esteri russo Serghei Lavrov. 

Parolin ha ribadito la necessità di porre fine ai combattimenti in Ucraina e manifestato la disponibilità della Santa Sede per qualsiasi tipo di mediazione. La tragedia della guerra si intreccia tra politica e religione, in una terra dove anche le differenti anime ortodosse non sono allineate. 

Non pochi esponenti di spicco delle diverse Chiese si sono rivolti direttamente a Kirill affinché chiedesse a Putin di porre fine alla guerra. E alla fine il Patriarca di Mosca e di tutte le Russie è rimasto fedele al legame con il presidente russo e ha appoggiato la guerra, dopo giorni di silenzio. In una posizione distante è senza dubbio un altro leader ortodosso, a capo della Chiesa autocefala dell'Ucraina, non sottoposta quindi al Patriarcato moscovita ma riconosciuta da quello di Costantinopoli.

Il metropolita di Kiev, Epiphaniy, ha rivelato che dal giorno in cui sono iniziati gli attacchi, i russi hanno cercato di ucciderlo tre volte. Tre agenti russi hanno tentato di entrare nella cattedrale dell'Arcangelo Michele con la Cupola d'oro. «Sono stato informato da agenzie straniere - ha rivelato - che sono l'obiettivo numero 5 nella lista dei russi delle persone da uccidere».

Mentre l'arcivescovo di Kiev, Shevchuck, è arrivato addirittura ad invocare la no-fly zone. A criticare Kirill sono stati non solo i fedeli ucraini legati al Patriarca di Costantinopoli, Bartolomeo, ma anche i membri della Chiesa ortodossa fedele a Mosca. 

Il Santo Sinodo ha chiesto che non si versi «altro sangue fratricida» e il metropolita locale, Onufryi, ha fatto appello a Putin per «porre fine alla guerra sul suolo ucraino». 

A criticare il sermone di Kirill anche 230 religiosi. La base della chiesa ortodossa che risponde al patriarcato di Mosca ha espresso dubbi e perplessità sulla linea filogovernativa che vede i suoi vertici aderire alla linea del Cremlino. A questo è seguita una raccolta firme di diverse centinaia di persone, appartenenti non solo al mondo religioso ma anche a quello accademico e intellettuale, contro l'omelia di Kirill.

Giuliano Foschini per repubblica.it il 9 marzo 2022.

Sono passati sei anni, era il febbraio del 2016, e nel mezzo non ci sono soltanto parole. Ma un altro mondo. «Deploriamo lo scontro in Ucraina», «costruite la pace» diceva, abbracciato a Papa Francesco, in un incontro storico avvenuto nell’aeroporto di Cuba, il patriarca ortodosso Kirill. 

Lo stesso che 48 ore fa, nel corso del suo sermone nella Cattedrale di Cristo Salvatore a Mosca, ha tuonato con espressioni incredibili sul conflitto in Ucraina. Parlando del presente, ma anche del passato: «Per otto anni ci sono stati tentativi di distruggere ciò che esiste nel Donbass» ha detto. «Oggi esiste un test per la lealtà a questo governo, una specie di passaggio a quel mondo ‘felice’, il mondo del consumo eccessivo, il mondo della “libertà” visibile: sapete cos’è questo test? È molto semplice e allo stesso tempo terribile: è una parata gay».

Le parole hanno fatto presto il giro del mondo, sconvolgendolo. Hanno colpito i fedeli. Travolto chi, ancora in questi giorni, pensava che un pezzo di pace potesse essere ancora costruito sull’asse della Chiesa: in questo 2022, tra giugno e luglio, era in programma un altro storico incontro, tra Kirill e Papa Francesco. Forse a Mosca. Forse a Bari, il luogo per eccellenza dell’unione delle due Chiese, perché casa di San Nicola: il simbolo è la statua donata nel 2003 alla città proprio da Putin, come ricorda la targa appesa davanti alla Basilica. 

Si era pensato nei primi giorni del conflitto che una possibilità potesse essere accelerare i tempi dell’incontro, come se la fede potesse farsi buon senso. Il Papa, non a caso, ha incontrato il 18 febbraio l’ambasciatore russo, con la crisi in Ucraina già esplosa, senza però usare toni duri, proprio per lasciare una porta aperta alla conciliazione. Poi è arrivato il sermone di Kirill che sembra aver chiuso definitivamente le porte. 

Eppure gli addetti ai lavori non si sono mostrati affatto stupiti rispetto a quanto accaduto. Era chiaro a tutti che un pezzo di questa guerra fosse anche religiosa: nel 2018 c’è stato uno scisma tra la Chiesa di Kiev e quella di Mosca. E in questo conflitto la Russia vuole conquistare territori ma anche i 30 milioni di fedeli ucraini.

Ancora: secondo diversi report di intelligence dell’ultimo anno, Kirill, da sempre appiattito sule posizioni di Putin, aveva visto incrinarsi i suoi rapporti con il Cremlino, Non a caso c’era chi aveva fatto notare come, recentemente, Kirill fosse - protetto anche dalla questione Covid - quasi scomparso dai radar ufficiali: niente photo opportunity con Putin, poche immagini e molti, lunghi, comunicati ufficiali. Per recuperare, doveva entrare con un discorso violento come quello consegnato ai fedeli. Confermando la sua fedeltà al Governo.

Anche perché negli ultimi mesi era apparso spesso accanto a Putin un altro religioso ortodosso di peso, il metropolita Hilarion, presidente del Dipartimento per le relazioni ecclesiastiche. Che a febbraio, dalle mani del presidente, aveva ricevuto una delle massime onorificenze: l’Ordine di Aleksandr Nevskij. Proprio in quell’occasione Hilarion fece un riferimento esplicito all’Ucraina che, letto oggi dalla nostra intelligence, sembra non essere stato affatto casuale: «Ci occupiamo - disse - non solo di affari esteri, ma anche di relazioni interreligiose nella nostra Patria. E negli ultimi anni ci sentiamo sempre di più una sorta di dipartimento di Difesa, perché dobbiamo difendere le sacre frontiere della nostra Chiesa». Erano i primi giorni di febbraio e la guerra era già cominciata.

Il Papa e quattro Chiese: la difficile strada di Bergoglio. Francesco Boezi il 6 Marzo 2022 su Il Giornale.

Il dialogo avviato con il patriarca Kirill, le complesse logiche confessionali ucraine e le differenze di atteggiamento verso Vladimir Putin. Il ruolo di "mediatore" di papa Francesco è tutto fuorché semplice.  

La funzione che il Vaticano sta cercando di ricoprire per la pacificazione del conflitto scatenato da Vladimir Putin in Ucraina non è semplice. Il Papa, rompendo gli indugi, si è recato presso l'ambasciata russa nella Santa Sede: il gesto è suonato più o meno come unA candidatura a "mediatore". Ed è possibile che il vertice della Chiesa cattolica, seppur sotto traccia e senza investitura ufficiale, stia lavorando in queste fasi per il cessate il fuoco.

La situazione religiosa e confessionale vigente in Ucraina, però, è complessa. E i rapporti che il Santo Padre ed il Vaticano devono tenere in forte considerazione, anche rispetto all'attività diplomatica, si diramano in una serie di logiche diversificate. Dinamiche che risultano tuttavia essenziali per comprendere il contesto in cui avviene il conflitto. Alcuni elementi per nulla di contorno interessano i rapporti che le varie istituzioni ecclesiastiche presenti in Ucraina hanno con la Chiesa ortodossa russa, che è stata un'interlocutrice (lo è ancora) della stessa Santa Sede.

Jorge Mario Bergoglio, in questi nove anni di pontificato, non ha mai nascosto il sogno di un "cristianesimo universale". E a questo fine si è riconciliato, primo nella storia recente, con il patriarca di Mosca Kirill (o Cirillo I). L'ex arcivescovo di Buenos Aires e l'arcivescovo ortodosso di Mosca hanno avuto modo d'incontrarsi e di abbracciarsi a L'Avana, nel febbraio del 2016, dopo quattro anni passati ad edificare canali di dialogo.

Non è stato un passaggio scontato ma Francesco non ha mai celato il desiderio di una visita apostolica in Russia. In questi giorni così complessi, poi, si è spesso ricordato di quanto e di quando il Papa avesse dialogato volentieri anche con lo stesso Vladimir Putin, che per gli ortodossi russi, vista anche la prossimità con il patriarcato moscovita, può essere considerato qualcosa in più di un semplice capo di Stato. Comunque sia, chi, come Bergoglio, persegue il disegno del dialogo interreligioso a tutti i costi non poteva e non può dribblare la dialettica tra il cattolicesimo e gli ortodossi.

Una premessa utile - quella su Bergoglio, Kirill e la Russia - ad introdurre un altro fattore caratterizzante di questa vicenda: il forte legame che c'è tra una parte della Chiesa ortodossa ucraina ed il patriarca Kirill. Ma l'Ucraina, sotto il profilo religioso, presenta ulteriori particolarità: esiste un patriarcato ortodosso di Kiev, che è slegato da quello di Mosca, ed anche una Chiesa autocefala, che si dichiara sì ortodossa ma che si professa indipendente tanto rispetto al patriarcato di Kiev quanto rispetto a quello della capitale russa. E in questo ginepraio di differenze il Vaticano sta cercando di muoversi per accelerare un processo di pace.

Come se non bastasse in termini di complessità, vale la pena specificare come soltanto la metà degli ucraini siano ortodossi: una buona parte di popolazione appartiene alla Chiesa greco-cattolica che è assoggettata, per così dire, a Roma ma che presenta a sua volta alcune peculiarità, con tendenze culturali ed organizzative da Chiesa nazionale. Un altro attore in campo cui Jorge Mario Bergoglio ed il segretario di Stato Pietro Parolin devono guardare. Anzi, se possibile, la Chiesa greco-cattolico ucraina è quella cui il Vaticano deve badare con più attenzione, essendo la più vicina sotto il profilo istituzionale e confessionale.

Mentre il cardinale Pietro Parolin dimostra vicinanza ai cattolici ucraini, agli ortodossi ucraini e non solo, Kirill ha deciso in un certo senso di alzare il tiro: come ripercorso da Il Messaggero, Cirillo I ha sottolineato come papa Francesco non abbia stigmatizzato l'invasione dell'Ucraina da parte di Vladimir Putin. D'altro canto, come si apprende dall'Adnkronos, i vescovi cattolici polacchi ma anche gli ortodossi ucraini (molti di quelli legati a Kiev ma anche più di qualche realtà che, prima della guerra, sarebbe stata associata al patriarcato di Mosca con una certa facilità) stanno domandando a gran voce al patriarca di Mosca di condannare la guerra senza tentennamenti. La tensione, insomma, per quanto resti unicamente sul piano teoretico, corre anche sul filo del dialogo interreligioso.

Ducentotrentasei chierici ortodossi russi, stando all'Ansa, hanno voluto esprimere dissenso rispetto all'atteggiamento sulla guerra del patriarcato di Mosca. In ogni caso, numerosi commentatori, proprio per via della capacità che il Santo Padre ha avuto nel costruire e mantenere rapporti con entrambe le realtà in conflitto, ritengono che il Papa possa essere il miglior mediatore possibile tra le parti.

Lorenzo Bertocchi per “la Verità” il 5 marzo 2022.

Mercoledì il patriarca di Mosca Kirill, il capo della Chiesa ortodossa russa, ha avuto due colloqui importanti. Presso la residenza del monastero Danilov ha incontrato il nunzio apostolico presso la Federazione Russa, monsignor Giovanni D'Aniello, e poi l'ambasciatore della Cina, Zhang Hanhui. Russia, Vaticano e Pechino, è il triangolo inatteso che potrebbe aprire la via diplomatica per la questione della crisi Ucraina, per cui papa Francesco ha già speso parole nette di pace, senza però mai stigmatizzare frontalmente l'atto militare di Putin.

La via stretta di Francesco per cercare di tenere aperto un canale con il patriarcato di Mosca, è stato in qualche modo attestato dal comunicato diffuso dallo stesso patriarcato. Kirill ha espresso apprezzamento per «la posizione moderata e saggia della Santa Sede su molte questioni internazionali». E ha aggiunto: «È molto importante che le Chiese cristiane, comprese le nostre Chiese, non diventino, volontariamente o involontariamente, a volte senza alcuna volontà, partecipanti a quelle tendenze complesse, contraddittorie e in lotta tra loro che sono oggi presenti nell'agenda mondiale». 

È chiaro che dentro queste parole del patriarca ci sono le questioni che dal punto di vista russo fanno in qualche modo da movente per l'azione militare messa in campo da Putin. Ma nella dichiarazione del patriarcato che ha seguito l'incontro con il nunzio D'Aniello si legge anche: «stiamo cercando di assumere una posizione di mantenimento della pace, anche di fronte ai conflitti esistenti. Perché la Chiesa non può partecipare al conflitto, può solo essere una forza pacificatrice». 

È questa la forza su cui la Santa Sede sta cercano di far leva, per tentare di portare Kirill a far pressione su Putin per fermare le armi. Non è un segreto se questa azione militare russa ha anche un retroterra religioso, come scriveva già Samuel Huntington nel suo celebre Lo scontro delle civiltà, «le repubbliche ortodosse dell'ex Unione sovietica sono di importanza fondamentale per lo sviluppo di un blocco russo coeso nell'arena euroasiatica e mondiale». 

Proprio Kirill domenica scorsa ha detto che «il Signore protegga dalla guerra fratricida i popoli che fanno parte dello stesso spazio, quello della Chiesa ortodossa russa. Non diamo a potenze esterne oscure e ostili l'opportunità di prenderci in giro». La via religiosa alla diplomazia cerca quindi di portare il patriarca a sfoderare la sua «forza pacificatrice», mettendo di lato gli interessi storico-culturali e quell'odore di cesaropapismo che a volte capita di sentire nel mondo ortodosso. 

Ma l'epicentro dello scontro nel mondo delle chiese ortodosse è tra Mosca e Costantinopoli, dopo che il patriarca ecumenico Bartolomeo I nel 2019 ha concesso l'autocefalia, una sorta di indipendenza, alla Chiesa ortodossa di Kiev. L'autocefalia è stata considerata da Mosca come un affronto eterodiretto del mondo occidentale dentro le cose sacre e sante della terra russa, e non a caso proprio ieri il patriarca ecumenico Bartolomeo ha dichiarato di essere «diventato un bersaglio».

Il passo diplomatico di Francesco, l'unico sul campo che potrebbe avere uno sguardo davvero terzo, sembra rifarsi ai vincoli spirituali tra i popoli russo e ucraino. E nello stesso tempo sembra sufficientemente in grado di tenere aperta una porta per una soluzione politica al conflitto che non segua uno schema manicheo, ma capace di offrire una prospettiva nuova per la convivenza tra i popoli in quelle terre.  

Qui potrebbe rivelarsi interessante anche il ruolo giocato dalla Cina, che ieri appunto ha incontrato Kirill con il suo ambasciatore in Russia. Pechino non ha troppe distanze da Mosca sul giudizio verso l'attuale ordine mondiale, ma dal punto di vista economico ha tutto l'interesse a ritagliarsi un ruolo di mediazione.

Mosca, Vaticano e Cina, lo strano triangolo sembra capace di aprire una via diplomatica per la soluzione del conflitto ucraino. In un suo tweet di ieri pomeriggio papa Francesco ha detto che sono «le armi spirituali» che possono cambiare la storia. Ma accanto a queste ci sono anche gli uomini del Papa, sparsi nelle nunziature in giro per il mondo. Giulio Andreotti nel 2002 rivolgendosi ai diplomatici della Santa Sede, disse che «il Papa ha i suoi uomini presenti quasi ovunque. L'auspicio - e la nostra preghiera a Dio - è che nell'interesse non solo della Chiesa questo quasi possa al più presto scomparire».

Franca Giansoldati per ilmattino.it l'1 marzo 2022.

Rosari, preghiere nei rifugi anti-bombe ma anche esorcismi. C'è, infatti, chi all'interno della Chiesa ucraina (greco cattolica) è convinto che Vladimir Putin sia posseduto dal demonio e che, di conseguenza, necessiti di riti per la liberazione dal Male. 

Un prete di Leopoli, nativo del Donetsk – in passato catturato dai separatisti nel 2014 – su Facebook ha raccontato di avere avviato un rituale di esorcismo per liberare Putin dalle spire di Satana. Padre Tykhon Kulbaka, il 25 febbraio, ha spiegato poi al Religious Information Service ucraino (che ha sede all'Università Cattolica di Leopoli) in cosa consiste questa pratica. Per farla breve, ogni giorno, il religioso recita assieme ad altri religiosi, in una sorta di rete, i riti previsti, invocando San Michele Arcangelo e avviando un esorcismo a distanza. «Ritengo che uno spirito maligno si sia impossessato delle azioni di quest'uomo».

«Chiedo a Dio misericordioso di intervenire per sottrarre questa persona dall'influenza demoniaca e farle rinunciare al male e distruggere tale demonio corporalmente in modo che l'anima possa essere salvata». Padre Kubalka ha poi lanciato un sos a tutti i preti della zona affinché si uniscano a lui in questa impresa, incoraggiando al contempo anche i laici a pregare per questa intenzione. «La forza della preghiera è più potente». 

Padre Kulbaka nel 2014 ha trascorso 12 giorni prigioniero delle forze filorusse quando hanno occupato le regioni di Donetsk e Luhansk. Quando i militari hanno saputo che era diabetico, gli hanno dato da mangiare pane bianco e pochissima acqua e gli hanno pure tolto le medicine dicendogli che era un nemico e doveva morire lentamente.

Papa Francesco è straziato per l'Ucraina: tacciano le armi, Dio sta con la pace. Il digiuno del mercoledì delle ceneri. Il Tempo il 27 febbraio 2022.

Con «il cuore straziato» Papa Francesco ha lanciato un appello ad aprire urgentemente i corridoi umanitari per chi fugge dall’Ucraina. «Penso agli anziani, a quanti in queste ore cercano rifugio, alle mamme in fuga con i loro bambini... Sono fratelli e sorelle per i quali è urgente aprire corridoi umanitari e che vanno accolti», ha detto dopo l’Angelus in piazza San Pietro a Roma, dove erano presenti anche fedeli ucraini con le loro bandiere. «In questi giorni siamo stati sconvolti da qualcosa di tragico: la guerra. Più volte abbiamo pregato perché non venisse imboccata questa strada. E non smettiamo di pregare, anzi, supplichiamo Dio più intensamente», ha continuato il Pontefice che ha rinnovato l’invito a fare del 2 marzo, Mercoledì delle ceneri, una giornata di preghiera e digiuno per la pace in Ucraina. 

«Una giornata - ha precisato il Pontefice - per stare vicino alle sofferenze del popolo ucraino, per sentirci tutti fratelli e implorare da Dio la fine della guerra». «Chi fa la guerra dimentica l’umanità. Non parte dalla gente, non guarda alla vita concreta delle persone, ma mette davanti a tutto interessi di parte e di potere», ha aggiunto Francesco. «Si affida alla logica diabolica e perversa delle armi, che è la più lontana dalla volontà di Dio. E si distanzia dalla gente comune, che vuole la pace; e che in ogni conflitto è la vera vittima, che paga sulla propria pelle le follie della guerra». Ma il Papa non dimentica gli altri conflitti sparsi nel mondo: Yemen, Siria, Etiopia. E ribadisce: «Tacciano le armi! Dio sta con gli operatori di pace, non con chi usa la violenza». E ha citato infine l’articolo 11 della Costituzione italiana, «chi ama la pace» «ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali».

Ucraina, Papa Francesco sente al telefono Zelensky: “Profondo dolore per i tragici eventi”. Valentina Mericio il 26/02/2022 su Notizie.it. 

Papa Bergoglio, in una telefonata con il presidente ucraino Zelensky ha espresso il suo dolore per gli eventi che hanno scosso l'Ucraina. 

Alla luce dei drammatici eventi che hanno sconvolto l’Ucraina, Papa Francesco ha sentito al telefono il presidente Volodymyr Zelenskyi. A confermarlo il direttore della Sala Stampa del Vaticano Matteo Bruni. Il Santo Padre, nel corso del colloquio, ha pregato affinché a Kiev possa tornare nuovamente la pace.

Immediata la risposta del capo di Stato Ucraino che ha ringraziato con un tweet.

Ucraina, Papa Francesco sente al telefono Zelensky: cosa si sono detti

“Oggi Papa Francesco ha avuto un colloquio telefonico con il Presidente Volodymyr Zelenskyi.

Il Santo Padre ha espresso il suo più profondo dolore per i tragici eventi che stanno avvenendo nel nostro Paese”.

Sono queste le poche, ma incisive parole dell’ambasciata ucraina presso la Santa Sede attraverso un post su Twitter.

A seguito di ciò, il presidente ucraino ha colto l’occasione per esprimergli tutta la sua gratitudine soprattutto per la preghiera di pace che il Papa ha dedicato: “Ho ringraziato Papa Francesco per aver pregato per la pace in Ucraina e per una tregua.

Il popolo ucraino sente il sostegno spirituale di Sua Santità”.

Papa Francesco: “La Regina della pace preservi il mondo dalla follia della guerra”

Nel frattempo Papa Francesco nella giornata di sabato 26 febbraio ha scritto un post su Twitter nel quale ha condannato fermamente la guerra. Ha poi rinnovato l’invito ai credenti (e non) a digiunare e a pregare il 2 marzo in occasione del mercoledì delle Ceneri: “Gesù ci ha insegnato che all’insensatezza diabolica della violenza si risponde con le armi di Dio, con la preghiera e il digiuno.

La Regina della pace preservi il mondo dalla follia della guerra”, ha scritto il Pontefice”.

Dagotraduzione da Foxnews l'1 marzo 2022.

Un arcivescovo ucraino e portavoce della Chiesa ortodossa ucraina ha condannato il presidente russo Vladimir Putin definendolo «l'anticristo del nostro tempo attuale» mentre la Russia invade l'Ucraina. 

Mentre Putin sembra ritrarre sé stesso come una specie di figura messianica, che cerca di riunire le Chiese ortodosse russa e ucraina (che si sono formalmente separate nel 2019), Yevstratiy Zoria lo ha messo dall'altra parte dello spettro cristiano. 

«Putin non è davvero il messia, ma è l'anticristo del nostro tempo attuale», ha detto a Harry Farley, produttore di religione ed etica per la BBC, Yevstratiy Zoria, il portavoce della Chiesa ortodossa ucraina.

«Credi che sia l'anticristo del tuo tempo?» Farley ha insistito in un'intervista trasmessa dal Global News Podcast della BBC. «Sì, è anticristo perché tutto ciò che fa, tutto ciò che fa ora, è totalmente contro il vangelo, contro la legge di Dio», ha risposto il portavoce. La Chiesa ortodossa ucraina a Kiev non ha risposto immediatamente alla richiesta di commenti e chiarimenti di Fox News. 

Secondo i sondaggi, una grande maggioranza della popolazione ucraina si identifica come cristiana ortodossa orientale, mentre una significativa minoranza di cattolici ucraini segue una liturgia bizantina simile a quella ortodossa ma è fedele al papa. La popolazione ortodossa ucraina è divisa tra la Chiesa ortodossa ucraina con sede a Kiev (che rappresenta Yevstratiy Zoria) e la Chiesa ortodossa ucraina, che è sotto il patriarca ortodosso di Mosca ma ha un'ampia autonomia.

Putin ha giustificato la sua invasione in parte come una difesa della chiesa ortodossa orientata a Mosca, ma i leader di entrambe le chiese stanno denunciando l'invasione, così come la minoranza cattolica del Paese. 

«Con la preghiera sulle labbra, con l'amore per Dio, per l'Ucraina, per il nostro prossimo, combattiamo contro il male e vedremo la vittoria», ha detto all'Associated Press il metropolita Epifany, capo della Chiesa ortodossa ucraina con sede a Kiev. 

«Dimentica i reciproci litigi e incomprensioni e... unisciti all'amore per Dio e per la nostra Patria», ha affermato il metropolita Onufry, capo della Chiesa ortodossa ucraina collegata a Mosca.

·        Il Papa Beato.

Antonio Palma per fanpage.it il 4 settembre 2022.

Papa Luciani è stato proclamato beato e la sua festa ricorrerà ogni 26 agosto, giorno della sua elezione a Pontefice nel 1978 quando assunse il nome di Giovanni Paolo I. L'atteso evento è avvenuto oggi, domenica 4 settembre, quando papa Francesco ha pronunciato la formula di beatificazione del suo predecessore davanti a una folla di fedeli accorsi per l'occasione in piazza San Pietro,  in Vaticano.

La beatificazione di Giovanni Paolo I è stata accolta da un lungo applauso che i è levato tra i fedeli  mentre veniva svelato sulla facciata di San Pietro l'arazzo col ritratto di papa Luciani realizzato su dipinto dell'artista iperrealista cinese Yan Zhang. 

Grande giubilo anche a Canale d'Agordo, in provincia di Belluno, paese natale di papa Luciani, dove per l'occasione è stato allestito un maxischermo allestito nella piazza centrale del paese, intitolata proprio a papa Luciani,  per permettere a tutti i compaesani di seguire la cerimonia di beatificazione.

La proclamazione a beato di Albino Luciani arriva al termine di un lungo iter iniziato nel 2011 quando, di fronte al pericolo di morte imminente di una bambina argentina che allora aveva undici anni, si richiese l'intercessione dell'ex Pontefice per un miracolo. All'epoca vista la situazione, i medici curanti convocarono i familiari della piccola, prospettando la possibilità di "morte imminente" ma inaspettatamente vi fu un rapido miglioramento che proseguì anche nei giorni successivi fino al completo recupero della piccola.

Un vero e proprio miracolo, secondo la chiesa cattolica romana, che è stato attributo appunto all'intercessione di Giovanni Paolo primo, il Pontefice che salì al soglio di Pietro  per soli 33 giorni, dal 26 agosto al 28 settembre 1978, quando infine morì nel Palazzo Apostolico per infarto miocardico acuto. 

L'iniziativa di invocare Luciani fu del parroco argentino José Dabusti, che gestiva la della parrocchia a cui apparteneva il complesso ospedaliero, dopo che alla piccola fu diagnosticata una "encefalopatia epilettica ad insorgenza acuta, con stato epilettico refrattario ad eziologia sconosciuta".

Come spigano i documenti della Santa Sede, infatti, "L'iniziativa di invocare il Venerabile Servo di Dio Giovanni Paolo primo fu presa dal parroco della parrocchia a cui apparteneva il complesso ospedaliero. Egli si recò al capezzale della piccola e propose alla madre di chiedere insieme l'intercessione del Venerabile Servo di Dio, al quale era molto devoto. Alle loro preghiere si unì il personale infermieristico presente in rianimazione. Le invocazioni furono rivolte esclusivamente a Papa Luciani. Le preghiere furono corali, individuali e antecedenti il viraggio favorevole del decorso clinico. È stato ravvisato il nesso causale tra l'invocazione al Venerabile Giovanni Paolo primo e la guarigione della piccola".

Mostrato più che dato. La beatificazione di Giovanni Paolo I, il Papa che visse senza compromessi. Francesco Lepore su L'Inkiesta il 6 Settembre 2022.

Anche se il suo pontificato durò solo 33 giorni, l’amore e l’affetto nei suoi confronti è cresciuto negli anni. Affabile e sollecito con tutti, fu però soprattutto inflessibile in materia di obbedienza al magistero pontificio, rispetto della gerarchia, disciplina canonica, principi morali

Papa Francesco ha ieri beatificato in piazza San Pietro uno dei suoi predecessori, tra i più amati tanto in vita quanto dopo la morte: Giovanni Paolo I. Affetto, ricordo, venerazione verso di lui sono anzi aumentati nel tempo a dispetto d’un pontificato di soli 33 giorni. Un periodo di così breve durata da far spesso accostare Albino Luciani a Leone XI (1° aprile – 27 aprile 1605), di cui si disse essere stato «ostensus magis quam datus», mostrato più che dato. Eppure, dal 26 agosto al 28 settembre 1978 l’ex patriarca di Venezia, succeduto a Paolo VI, impressionò la pubblica opinione e destò generale simpatia con atti improntati a semplicità ed essenzialità: sostituzione del solenne rito dell’incoronazione con una più sobria Messa per l’inizio del ministero del Sommo Pontefice, la dismissione della tiara, l’abbandono del plurale maiestatis nei discorsi, il tratto catechetico delle udienze del mercoledì, di cui quella del 6 settembre caratterizzata da un improvviso colloquio con un chierichetto maltese e quella del 13 dalla citazione a memoria d’una poesia di Trilussa.

Colpirono inoltre le parole dette all’Angelus del 10 settembre: «Anche noi che siamo qui, abbiamo gli stessi sentimenti; noi siamo oggetto da parte di Dio di un amore intramontabile. Sappiamo: ha sempre gli occhi aperti su di noi, anche quando sembra ci sia notte. È papà; più ancora è madre. Non vuol farci del male; vuol farci solo del bene, a tutti. I figlioli, se per caso sono malati, hanno un titolo di più per essere amati dalla mamma. E anche noi se per caso siamo malati di cattiveria, fuori di strada, abbiamo un titolo di più per essere amati dal Signore». Nonostante i numerosi passi biblici, in cui Dio è descritto quale madre, tali affermazioni di Giovanni Paolo I apparvero del tutto inusitate. Piacquero ai più, ma dispiacquero ad altri, cui l’intero magistero del nuovo pontefice appariva sciatto e banale.

Luciani aveva in realtà continuato a comportarsi e a trasmettere il messaggio cristiano con le sue caratteristiche doti di catechista, dimostrando e affermando «col proprio esempio – così Wojtyła il 22 gennaio 1979 – che cosa è, e che cosa deve essere la catechesi nella vita della Chiesa dei nostri tempi. Per questo sono stati sufficienti i trentatré giorni del suo pontificato». Ma Papa Francesco ha anche definito ieri quella di Giovanni Paolo I una vita «vissuta nella gioia del Vangelo, senza compromessi, amando fino alla fine. Egli ha incarnato la povertà del discepolo, che non è solo distaccarsi dai beni materiali, ma soprattutto vincere la tentazione di mettere il proprio io al centro e cercare la propria gloria». Non senza il classico riferimento al sorriso, «con cui Papa Luciani è riuscito a trasmettere la bontà del Signore».

Benché sia fondato parlarne nei termini di “Papa del sorriso”, non c’è in pari tempo nulla di più riduttivo di un tale appellativo, che rischia – e non poche volte è accaduto e accade – di banalizzare la figura di Giovanni Paolo I. D’altra parte, Maffeo Ducoli, che fu vescovo di Belluno (diocesi natale del papa) e Feltre, ebbe a dire di lui: «Non era un carattere da sorriso». E gli argomenti potrebbero moltiplicarsi all’infinito.

Pur avendo mostrato, ad esempio, aperture sul tema della contraccezione negli anni dell’episcopato a Vittorio Veneto, Luciani si era poi pienamente allineato alla linea dannatoria, che Paolo VI aveva espresso nell’Humanae vitae. Tanto affabile con chicchessia e sollecito verso la povera gente, quanto inflessibile in materia di obbedienza al magistero pontificio, rispetto della gerarchia, disciplina canonica, principi morali. Fu così che, ad esempio,  il 12 settembre 1967 aveva scagliato l’interdetto contro la parrocchia di Montaner per le reazioni dei fedeli al parroco da lui nominato. Mentre osteggiò sempre, lui fieramente avverso al capitalismo, i preti operai, impegnati a suo dire, in una coniugazione del cristianesimo col marxismo del tutto estranea allo spirito conciliare. Da patriarca di Venezia, inoltre, condusse un’accanita battaglia in occasione del referendum del ’74 sul divorzio, arrivando a colpire con pene canoniche i sacerdoti favorevoli a un tale istituto e a sciogliere la sezione veneziana della Fuci, schieratasi per il no all’abrogazione della legge Fortuna-Baslini.

Ma pari, anzi maggiore fermezza mostrò contro ogni malaffare e gestione opaca dei beni ecclesiastici. Nel 1972, tre anni dopo la nomina a patriarca di Venezia, ebbe un violento scontro in Vaticano con l’allora presidente dello IOR, l’arcivescovo Paul Marcinkus: questi aveva deliberato, senza neppure informare la Conferenza episcopale del Triveneto, la cessione del 37% delle azioni della Banca Cattolica del Veneto al Banco Ambrosiano di Roberto Calvi. Contrarissimo a una tale operazione, Luciani protestò con Paolo VI. Ma invano. È più che verisimile pensare che una volta papa, se fosse rimasto più a lungo in vita, avrebbe rimosso Marcinkus dall’incarico, come avrebbe anche proceduto a nomine inappuntabili all’interno della Curia in nome della trasparenza e del rigore morale. La morte però, sulle cui cause sono poi stati versati proverbiali fiumi d’inchiostro, glielo impedì.

Al riguardo sono indubbiamente da rigettare le varie tesi complottistiche alla David Yallopp. Ma è pur vero che sussistono pur sempre gravi riserve sulla recognitio cadaveris, effettuata da Renato Buzzonetti, e sul referto medico da quegli steso, in base al quale il primo comunicato ufficiale diffuso al mattino del 29 settembre parlò di  «decesso avvenuto […] per grave infarto miocardico». E questo con buona pace della vicepostulatrice Stefania Falasca, pur autrice di imprescindibili opere storico-documentali su Giovanni Paolo I (fondamentale la sua poderosa Biografia ex documentis), che, durante la conferenza stampa del 2 settembre in Vaticano, ha tuonato con qual certa sicumera contro «la bugia storica» della morte per avvelenamento e i sostenitori d’una tesi liquidata quale «pattumaglia pubblicistica». E l’ha fatto con un’osservazione in sé incontrovertibile: «Quando ci sono le fonti, la storia parla davvero». 

Ora, tra quelle mediche puntualmente indicate non possono certamente ritenersi incontrovertibili l’accennato referto, steso dal dottore Buzzonetti e controfirmato dall’archiatra pontificio Mario Fontana, né le varie relazioni mediche d’entrambi, perché esse furono stilate sulla base del solo esame esterno della salma di Giovanni Paolo I. Ma per Falasca tali documenti hanno invece carattere irrefragabile tanto da aver ribadito in conferenza stampa ore rotundo che il papa veneto, stando alla diagnosi di Buzzonetti e Fontana, morì di «morte improvvisa» e che il suo «è stato un infarto». Non senza osservare che la relativa autopsia da più parti invocata, ma ritenuta superflua dai due stessi medici e dunque respinta dal Collegio cardinalizio, sarebbe stata di fatto normata con specifica disposizione solo nel 1983. Ma sotto quest’ultimo punto si potrebbero in realtà addurre a confutazione non pochi precedenti illustri, tenendo in conto che fino a Leone XIII, l’ultimo dei pontefici defunti a essere sottoposto a imbalsamazione, una tale pratica comportava, fra l’altro, l’asportazione del cuore e dei precordi con tanto di relativa certificazione autoptica. 

Circa poi l’accennato esame esterno, per quanto accurato potesse essere stato, era però tutt’altro che bastevole alla formulazione d’una diagnosi certa d’infarto miocardico. Lo spiega a Linkiesta la medica legale Monica Fonzo, secondo la quale «nel caso di Papa Luciani si sarebbe potuti pervenire a un tale conclusione solo dopo accurato esame autoptico». Non può poi sfuggire poi a chi legge la più volte citata documentazione come Buzzonetti, nell’inoltrare il 9 ottobre all’allora sostituto della Segreteria di Stato Giuseppe Caprio la richiesta relazione sul referto medico, avesse comunque parlato di «causa presumibile del decesso» e presentato come fortemente deducibile la morte improvvisa per cardiopatia ischemica. 

C’è inoltre da dire che lo stesso Giuseppe Caprio, creato poi cardinale da Giovanni Paolo II, ha più volte riservatamente sollevato dubbi col sottoscritto su detta diagnosi. Più tranchant, invece, il gesuita Giandomenico Mucci, scrittore de La Civiltà Cattolica e per oltre 30 anni direttore spirituale presso l’Accademia ecclesiastica, che riteneva Buzzonetti «uomo di scienza tutt’altro che libero da condizionamenti, pronto in determinate circostanze a dire tutto e il contrario di tutto». D’altra parte, il defunto sacerdote della Compagnia non era certo tra gli ammiratori entusiasti di Luciani, di cui talora deplorava nelle conversazioni l’angusta preparazione teologica, rimasta di fatto ancorata all’impostazione manualistica del Tanquerey, e i riferimenti in discorsi e scritti ad autori, che sembrava di conoscere solo superficialmente. Al di là di tutto importa quello che Giovanni Paolo I ha significato nei 33 giorni di pontificato e ancora significa: braccia aperte a tutti come quelle di una madre accogliente e premurosa per ogni suo figlio, pugno di ferro verso adulteratori e sovvertitori dell’evangelica povertà all’interno della Chiesa di Roma.

Papa Luciani è beato. Il sorriso e i 33 giorni del Pontefice degli ultimi. Giovanni Paolo I, scomparso nel '78 a un mese dall'elezione, celebrato da oltre 20mila fedeli. Serena Sartini il 5 Settembre 2022 su Il Giornale.

L'applauso, in contemporanea a piazza San Pietro e a Canale d'Agordo; le campane a festa suonate nella sua città natale; l'arazzo - per la prima volta nella storia della Chiesa disegnato da un artista cinese - svelato davanti a 25mila fedeli in una piazza San Pietro quasi piena nonostante la pioggia battente. Il Papa pronuncia la formula in latino: Giovanni Paolo I è beato.

Francesco esalta l'umiltà di Albino Luciani, conosciuto come il «Papa del sorriso». E sferza i politici di oggi che, «con destrezza e furbizia», cavalcano «le paure della società in crisi» approfittandone per «accrescere il proprio gradimento e il proprio potere».

«Specialmente nei momenti di crisi personale e sociale - tuona Francesco - quando siamo più esposti a sentimenti di rabbia o siamo impauriti da qualcosa che minaccia il nostro futuro, diventiamo più vulnerabili; e, così, sull'onda dell'emozione, ci affidiamo a chi con destrezza e furbizia sa cavalcare questa situazione, approfittando delle paure della società e promettendoci di essere il salvatore che risolverà i problemi, mentre in realtà vuole accrescere il proprio gradimento e il proprio potere».

Il pontefice mette in guardia anche dalla strumentalizzazione che spesso viene fatta di Dio e della fede. «Dietro una perfetta apparenza religiosa si può nascondere la mera soddisfazione dei propri bisogni, la ricerca del prestigio personale, il desiderio di avere un ruolo, di tenere le cose sotto controllo, la brama di occupare spazi e di ottenere privilegi, l'aspirazione a ricevere riconoscimenti e altro ancora - chiosa il Papa -. Questo succede oggi, tra i cristiani. Si può arrivare a strumentalizzare Dio per tutto questo. Ma non è lo stile di Gesù. E non può essere lo stile del discepolo e della Chiesa. Se qualcuno segue questo per interessi personali, ha sbagliato strada», aggiunge il Papa a braccio, ricordando poi l'umiltà di Luciani. «Ha vissuto nella gioia del Vangelo, senza compromessi, amando fino alla fine», incarnando «la povertà del discepolo, che non è solo distaccarsi dai beni materiali, ma soprattutto vincere la tentazione di mettere il proprio io al centro e cercare la propria gloria». È stato «pastore mite e umile» che ha mostrato un volto sereno della Chiesa.

Giovanni Paolo I diventa beato dopo 22 anni necessari per completare la causa di beatificazione, aperta a Belluno nel novembre del 2003. La sua festa sarà il 26 agosto di ogni anno, giorno in cui divenne Papa nel 1978. Morì il 28 settembre 1978, dopo soli 33 giorni dall'elezione al Soglio di Pietro. Il suo corpo fu ritrovato senza vita nell'appartamento privato. La morte improvvisa sollevò numerosi dubbi, tanto da parlare di avvelenamento. Ma come ha ribadito il segretario di Stato Vaticano, cardinale Pietro Parolin - non c'è alcun giallo: «La sua è stata una morte naturale. Dispiace che questo noir continui anche ai giorni nostri».

Per la beatificazione a San Pietro - presente in prima fila il capo dello Stato, Sergio Mattarella - è stato riconosciuto il miracolo di Candela Giarda, una ragazza argentina salvata da un male incurabile nel 2011 a Buenos Aires. La giovane soffriva di una grave encefalopatia infiammatoria acuta. Guarì dopo che il parroco della chiesa suggerì di invocare Giovanni Paolo I. All'epoca Candela aveva 11 anni, oggi ne ha 22. Ironia della sorte, la ragazza - infortunata al piede - non è potuta essere presente ieri in Vaticano. La reliquia di Luciani è un piccolo foglio bianco ingiallito dal tempo, uno schema per una riflessione sulle tre virtù teologali: fede, speranza e carità. Per la prima volta non è un frammento del corpo.

"Sulla sua morte soltanto fantasie. E tanti fedeli lo invocano ancora". Il Cardinale Postulatore della causa di beatificazione ricorda il "suo" Papa: "Non ha mai fatto chiasso ma è nel cuore della gente". Fabio Marchese Ragona il 5 Settembre 2022 su Il Giornale.

Cardinale Beniamino Stella, lei è il Postulatore della causa di beatificazione di Giovanni Paolo I. Che ricordo personale ha di Papa Luciani?

«Lo avevo conosciuto in piazza San Pietro quando venne a Roma per essere ordinato vescovo. Era il 27 dicembre del 1958, io all'epoca ero seminarista della sua diocesi. Credo che i colori e gli sfarzi della Basilica non fossero il suo mondo. Ma era un uomo obbediente, quindi la chiamata all'episcopato gli sarà un po' pesata! Ma ha saputo accogliere queste chiamate alla volontà di Dio con una grande disponibilità interiore».

Cos'ha provato quando l'ha visto vestito di bianco?

«Il giorno dell'elezione l'ho visto con gli abiti del Sommo Pontefice e mi son detto: Che il Signore lo sostenga, perché la missione sarà grande, sarà difficile. Ma provavo anche un senso di grande speranza perché ho pensato: se Dio gli dà questa croce, gli darà anche i mezzi, la sapienza del governo».

Tutti parlano di lui come il papa del sorriso...

«Ma era anche uomo di governo! Non era solo un uomo bonario: sapeva orientare, sapeva guidare i suoi preti. La scelta che si fece di lui in conclave era una scelta illuminata, anche se Dio poi ha provveduto alla maniera sua, con quell'amara sorpresa che tutti ricordiamo».

Si riferisce alla morte del Papa, dopo trentatre giorni di Pontificato. Tanti ci hanno speculato...

«Le morti improvvise, soprattutto dei grandi personaggi, accendono sempre la fantasia. La morte di un Papa, dopo trentatre giorni, ha scatenato tutto questo, anche a causa di alcune incongruenze che ci furono, a suo tempo, nell'annuncio della morte. Però io credo che sia stata fatta assoluta chiarezza su questa morte improvvisa e anche dolorosa, perché Luciani era un Pontefice che aveva suscitato immense speranze».

Papa Francesco ha voluto incoraggiare questa causa?

«Il Papa l'ha seguita personalmente in questi ultimi nove anni perché era in contatto diretto con la postulazione. Però ha sempre rispettato le procedure. Sul tema del miracolo è stato anche sempre molto prudente: ci ha detto non abbiamo fretta, facciamo le cose per bene. Ha avuto una particolare attenzione anche perché il miracolo (la guarigione nel 2011 di una bambina, ndr) è situato a Buenos Aires e lui conosce le persone coinvolte perché è accaduto quando lui guidava quell'arcidiocesi argentina. Ma è sempre stato rispettoso!».

In Papa Francesco ritrova un po' di Papa Luciani?

«Direi che forse ci sono delle affinità proprio nella vicinanza al popolo di Dio. Giovanni Paolo I da Patriarca di Venezia è sempre stato un vescovo del popolo, della gente, delle scuole, delle carceri. Sempre vicino all'umana sofferenza e alle disgrazie della gente. Mi sembra che Francesco abbia dimostrato in questo una grande somiglianza a Luciani: è un Pontefice sensibile, ha il senso della compassione e mette la gente a proprio agio con gesti e parole, accompagnando chi soffre».

Adesso che Giovanni Paolo I è beato, lo pregherà?

«Lo prego già da tempo. L'ho pregato molto in questi miei anni, mi ha accompagnato e l'ho sempre sentito vicino in tante ore difficili, soprattutto durante il mio servizio alla Santa Sede. Adesso che il Papa ha riconosciuto anche la santità di Luciani, lo pregheremo ancor di più. Arrivano segnalazioni di grazie, di prodigi. Ne ricevo frequentemente. Lui non ha fatto chiasso ma è nel cuore del popolo di Dio: la gente lo invoca, lo prega per situazioni di malattia, di disagio, di povertà, la stessa che lui ha vissuto quando era bambino».

La confessione di Ratzinger sulla morte di papa Luciani. Oggi sarà beatificato Giovanni Paolo I. Benedetto XVI si è detto convintissimo della sua santità e ha ricordato come apprese la notizia della sua improvvisa scomparsa. Nico Spuntoni il 4 Settembre 2022 su Il Giornale.

Albino Luciani, l'ultimo Papa italiano, viene beatificato dal suo successore venuto "dalla fine del mondo". Non è un paradosso, però, perché nella salita al soglio pontificio di un uomo che prima di allora aveva sempre esercitato il suo magistero pastorale solo in Veneto, fu determinante proprio il Sudamerica. Nel Conclave dell'agosto 1978, il principale sostenitore di Luciani fu il cardinale brasiliano Aloisio Lorscheider che all'epoca ricopriva anche l'incarico di presidente del CELAM. Ma l'America Meridionale è stata decisiva non solo per l'elezione di Giovanni Paolo I, ma anche per la sua beatificazione attesa oggi a piazza San Pietro. Come ha ricordato pochi giorni fa il postulatore della causa, il cardinale Beniamino Stella, uno slancio determinante all'inizio del processo di beatificazione si ebbe nel 1990 quando tutta la Conferenza Episcopale del Brasile fece un appello in tal senso a Giovanni Paolo II. Inoltre, il miracolo decisivo attribuito alla sua intercessione è avvenuto in Argentina.

Questa causa di beatificazione e canonizzazione rimarrà nella storia anche perché ha visto ha visto la testimonianza di un papa, seppur emerito, su un suo predecessore. È il caso di Benedetto XVI che partecipò da cardinale al Conclave che elesse Giovanni Paolo I. Una chicca che oggi conosciamo grazie a Nicola Scopelliti, giornalista e autore di ben quattro libri dedicati al papa originario di Canale d'Agordo. Ratzinger, infatti, gli ha inviato il testo tramite il suo segretario personale monsignor Georg Gänswein ed ha acconsentito a pubblicarla nell'ultimo libro "Il Postino di Dio" (edizioni Ares), facendogli sapere anche che il papa emerito "è molto contento e si rallegra dell’imminente beatificazione di Giovanni Paolo I”.

Leggendo il libro di Scopelliti si scopre che Benedetto XVI ha risposto all'interrogatorio fattogli pervenire in data 26 giugno 2015 ed ha raccontato che conobbe Albino Luciani nell'estate del 1977 durante una vacanza a Bressanone. L'allora patriarca di Venezia, sapendo della presenza dell'allora vescovo di Monaco nel territorio del Triveneto, ci tenne a conoscerlo e a fare gli onore di casa. "Lo avvertii come un gesto di fraternità fuori dal comune - ha confidato Benedetto XVI - che fosse venuto appositamente per salutarmi e per darmi il benvenuto in Veneto nel mese di agosto era un’espressione di nobiltà d’animo che andava ben al di là del consueto". Nell'interrogatorio inviato al Monastero Mater Ecclesiae nell'ambito della causa di beatificazione comparivano anche alcune singolari domande relative allo svolgimento del Conclave dell'agosto 1978. Domande alle quali, evidentemente in ottemperanza al giuramento fatto per mantenere il "segreto su tutto ciò che in qualsiasi modo riguarda l'elezione del Romano Pontefice", Benedetto XVI ha fatto sapere di non poter dare alcuna risposta.

Degno di nota è il racconto che Ratzinger ha fatto del momento in cui ha appreso la notizia della morte improvvisa di Giovanni Paolo I. L'allora cardinale si trovava nell'arcivescovado di Quito, inviato proprio da Luciani al Congresso mariano nazionale in Ecuador. "In piena notte mi svegliai e sentii aprirsi la porta ed entrare qualcuno - ha raccontato il papa emerito - quando accesi la luce, vidi un monaco con un abito marrone. Sembrava un misterioso messaggero dell’aldilà, cosicché dubitai di essere realmente sveglio. Entrò e mi disse che aveva appena ricevuto la notizia che il papa era morto". Colto di sorpresa, Ratzinger si riaddormentò e prese veramente coscienza della veridicità della notizia soltanto la mattina successiva durante la messa nella quale un concelebrante pregò per il defunto papa Giovanni Paolo I. "Alla fine, siamo rimasti davvero tutti sotto shock per quella notizia, della cui veridicità non c’era più da dubitare", ha concluso.

Dalla testimonianza emerge tutta la grande stima che Ratzinger nutre per la figura di Albino Luciani della cui santità si era detto "convintissimo" già nel 2003 e che considera "un uomo coraggioso sulla base della fede" in grado di rappresentare "un segno di speranza" in un momento in cui "la Chiesa postconciliare versava in una grande crisi". "Il Postino di Dio" (titolo tratto da una definizione che Giovanni Paolo I amava dare di sè) è una raccolta preziosa di testimonianze di chi ha conosciuto o approfondito la figura dell'ultimo papa italiano. Racconti che contribuiscono anche a fare luce sul mistero della sua morte su cui tanto si è scritto, spesso lasciando più spazio all'immaginazione che alla realtà. Lo stesso Benedetto XVI ha rivelato di ritenere "insensate" le voci che circolavano su un presunto assassinio del suo predecessore, ricordando che "era chiaro che papa Luciani non era un gigante dal punto di vista della salute fisica".

La cagionevolezza è un tema che ritorna in chi ha avuto modo di conoscere Luciani. Ad esempio, il cardinale Julián Herranz, membro dell'Opus Dei, ha ricordato a Scopelliti come in tutti gli incontri che ebbe con lui, il futuro Giovanni Paolo I aveva avuto problemi di salute. Lo stesso Giulio Andreotti ebbe modo di ricordare come rimase impressionato dal pallore del neoeletto papa in occasione della cerimonia di presa di possesso della Basilica lateranense, il 23 settembre 1978. Non tutti sanno che il sette volte presidente del Consiglio apprezzava molto la figura di Luciani ed amava citarlo quando gli chiedevano se continuava a considerarsi un conservatore. "Risponderò con Giovanni Paolo I: se conservatore vuol dire mantener intatta la propria fede, sono conservatore", rispondeva Andreotti. E in effetti Luciani, a cui veniva attribuito questo appellativo soprattutto per il modo in cui aveva gestito la stagione delle contestazioni da vescovo, sosteneva che "se questo significa 'fidem servavi' (conservare la fede), sono un conservatore".

È il ritratto che emerge dallo studio della sua figura e delle sue azioni, così come dalle testimonianze dirette di chi lo ha conosciuto: sempre nel libro di Scopelliti, ad esempio, c'è l'importante contributo del vescovo emerito di Belluno-Feltre, monsignor Giuseppe Andrich che lo conobbe e lo frequentò. Così lo ha ricordato l'anziano vescovo: "Luciani sapeva che le sue prese di posizione gli stavano facendo il vuoto intorno, ma non tentennava: 'Cosa fareste al mio posto? Dovrei interdirmi ogni accenno agli errori o alle opinioni pericolose messe in giro? Mi pare di no, tradirei la mia missione e il popolo cristiano, il cui primo diritto è di sapere con chiarezza quali sono le virtù rivelate da Dio'".

Allo stesso modo, per capire chi è stato davvero il "papa del sorriso" e perché merita l'elevazione agli altari, risultano preziose le memorie di due suoi segretari: l'orionino don Diego Lorenzi che lo affiancò a Venezia e a Roma e che ne ha scritto in un memoriale consultabile sul web e don Francesco Taffarel, fedele collaboratore nel periodo di Vittorio Veneto e con il quale i rapporti non s'interruppero mai. Don Taffarel è morto improvvisamente nel 2014 ma oltre ad aver lasciato la sua testimonianza per la positio nella causa di beatificazione (che si trova sempre nel libro "Il Postino di Dio") ha anche affidato a Nicola Scopelliti un importante manoscritto di aneddoti e racconti vergati dal futuro Giovanni Paolo I e fino ad allora inediti. Sono usciti in un volume col titolo di "Giocare con Dio" (edizioni Ares) curato dallo stesso giornalista e sono utili, come sosteneva don Taffarel, a comprendere la "personalità accogliente e ospitale, il suo spirito libero e arguto, l’amore per i semplici accompagnato sempre dal desiderio profondo di fare apostolato, cioè di portare Gesù a tutti". Un po' come il volume "Illustrissimi", catechesi in forma di lettere ai grandi del passato pubblicata quando Luciani era patriarca di Venezia e che lo stesso Ratzinger ha confidato di aver comprato subito dopo l'elezione nel 1978 per conoscere meglio il papa che oggi sarà beato. Dietro "quella semplicità, stava una formazione, specialmente di tipo letterario, grande e ricca, come emerge in modo affascinante dal piccolo libro Illustrissimi", ha spiegato il papa emerito.

Domenico Agasso per “La Stampa” il 25 agosto 2022.

Joseph Ratzinger racconta lo strano incontro notturno rivelatore della morte improvvisa, dopo soli trentatré giorni di pontificato, di Giovanni Paolo I, che il 4 settembre sarà beatificato da Francesco. Ricorda di avere conosciuto il futuro Papa quando Albino Luciani era patriarca di Venezia. 

Afferma che la Chiesa nel 1978 «versava in una grande crisi, e la figura buona di Giovanni Paolo I, che fu un uomo coraggioso sulla base della fede, rappresentò un segno di speranza. In questo senso la figura come tale permane come messaggio». Benedetto XVI è stato il primo pontefice, seppure emerito, che ha deposto a un processo per la beatificazione di un suo predecessore (il Vescovo di Roma infatti non interviene perché è giudice ultimo e definitivo nei procedimenti per le canonizzazioni).

Ratzinger il 26 giugno 2015 ha rilasciato la sua testimonianza scritta rispondendo all'interrogatorio predisposto ad hoc, riportato nella sua versione integrale nel libro in uscita oggi per le edizioni Ares Il postino di Dio, a cura di Nicola Scopelliti. Con l'invio del documento all'editore, monsignor Georg Gänswein, segretario particolare di Ratzinger, ha precisato: «Il Papa emerito mi ha detto di comunicarle che "è molto contento dell'imminente beatificazione di Giovanni Paolo I"». Papa dal 26 agosto al 28 settembre 1978, Luciani desiderava essere «il postino di Dio» che annuncia la «buona novella» del Vangelo.

I due alti prelati destinati a salire sul soglio pontificio si sono parlati per la prima volta nell'estate del 1977, quando Ratzinger stava trascorrendo con il fratello due settimane di vacanza nel Seminario Maggiore di Bressanone. Molto dopo, prima del conclave «lo incontrai ancora solo brevemente». Poi, quando «dopo l'elezione, Luciani comparve con la talare bianca, tutti noi fummo impressionati dalla sua umiltà e dalla sua bontà»; anche durante i pasti, «egli prese posto tra noi. Così, capimmo subito di aver eletto il Papa giusto».

Sulle condizioni di Luciani, Benedetto evidenzia come fosse «chiaro che non era un gigante dal punto di vista della salute fisica e tuttavia trovavo che il suo stato di salute rientrasse nella normalità. Avevo l'impressione che in questo senso la sua costituzione fisica fosse simile alla mia». 

La notizia della morte lo raggiunge in Ecuador: «Ero a Quito. A un certo punto, in piena notte mi svegliai. Quando accesi la luce, vidi un monaco con un abito marrone. Sembrava un misterioso messaggero dell'aldilà, cosicché dubitai di essere realmente sveglio. Entrò e mi disse che aveva appena ricevuto la notizia che il Papa era morto. Inizialmente non potevo crederci, ma poi non dubitai della veridicità dell'informazione. Curiosamente, mi riaddormentai subito, ma poi la mattina seguente appresi definitivamente l'impensabile notizia». 

Quel monaco era un vescovo ausiliare di Quito «che per comunicare di notte quella notizia aveva indossato il suo abito da religioso. Quando, nella preghiera dei fedeli durante la messa, un concelebrante pregò per il defunto papa Giovanni Paolo I, il mio segretario laico lì presente trasalì». Alla fine, «siamo rimasti davvero tutti sotto shock per quella notizia».

Alla domanda «Era favorevole a un'autopsia? Ebbe qualche dubbio quando cominciarono a girare voci su una morte improvvisa di Luciani?», Papa Benedetto risponde: «Sin da principio ritenni insensate le voci su una morte violenta. Le informazioni ufficiali per me erano e sono pienamente credibili e convincenti».

Filippo Di Giacomo per “il Venerdì di Repubblica” il 27 maggio 2022.

Il 4 settembre papa Francesco beatificherà Giovanni Paolo I. Sarà il Pontefice stesso a presiedere la celebrazione, eccettuando alla regola stabilita da Papa Benedetto XVI che riserva le canonizzazioni al Papa mentre le beatificazioni, approvate dal Pontefice, ad un cardinale o ad un arcivescovo in qualità di delegato. 

Il motivo è semplice: la canonizzazione comporta «il potere delle chiavi» (Matteo. 16-19) e quindi l'infallibilità papale, mentre le beatificazioni no. 

Comunque, anche Ratzinger si era concesso due eccezioni, beatificando il cardinale John Henry Newman e Papa Giovanni Paolo II.

Di Albino Luciani, rimasto sul soglio di Pietro un mese e tre giorni, si racconta molto: che era un umanista colto, uomo di studi, grande catecheta, di umili origini e costumi.   

Nulla però sul cosiddetto "scisma di Montaner" quando il 12 settembre 1967 l'allora vescovo di Vittorio Veneto si presentò nella parrocchia del paese, dove gli abitanti si erano dati a varie intemperanze contro un parroco non gradito e, accompagnato dal vice questore di Treviso, alcuni commissari di Ps e un autobus di carabinieri, Luciani prelevò le ostie consacrate e lanciò l'interdetto (la proibizione di celebrare riti sacri) contro la comunità. Questa, per protesta, si fece ortodossa e tale resta oggi.

È stato l'ultimo vescovo della Chiesa Cattolica a comminare questa antica, e desueta, punizione canonica. Che Papa sarebbe stato? La sua improvvisa morte, la notte del 28 settembre 1978, non ha permesso di comprenderlo, certo non avrebbe avuto il birignao melenso che l'agiografia corrente tenta di attribuirgli. Forse per aumentare la vendita di libri usciti con documenti teoricamente ancora secretati perché attinenti al processo di beatificazione (fatto proibito dal diritto della Chiesa), perché com' è noto il dio quattrino vince su quello Trino.

·        Il Papicidio.

Wojtyla, il Papa che arriva dall’Est. Dopo 456 anni un Pontefice straniero. Annabella De Robertis su La Gazzetta del Mezzogiorno il 17 Ottobre 2022.

«Sorpresa, in un primo momento, e, forse, un po’ di delusione, soddisfazione poi, entusiasmo infine: questi i tre stati d’animo provati dalla folla in piazza San Pietro e certamente da quanti erano di fronte ai teleschermi, alla notizia dell’elezione del cardinale polacco Wojtyla al supremo pontificato»: così «La Gazzetta del Mezzogiorno» del 17 ottobre 1978 annuncia l’elezione del «Papa che viene dall’Est». Non se l’aspettava nessuno: non era nell’elenco dei papabili, nè lo avevano immaginato i più esperti vaticanisti. Karol Wojtyla è nato a Wadowice, in Polonia, nel 1920: durante l’occupazione nazista del paese è stato operaio in una cava di pietra e poi in una fabbrica di prodotti chimici. Sacerdote dal 1946, si è laureato a Roma in teologia e poi a Cracovia in filosofia; è diventato arcivescovo della capitale polacca nel 1964 e tre anni dopo è stato nominato cardinale. L’elezione, dopo appena tre giorni di conclave, giunge dopo la morte improvvisa di Albino Luciani, Giovanni Paolo I, pontefice per soli trenta giorni. «Ha preso il nome di Giovanni Paolo II. L’annuncio è stato dato ad una folla immensa che gremiva piazza San Pietro – e valutata ad oltre duecentomila persone – alle 18,44 dal cardinale protodiacono Pericle Felici con l’antica formula latina “Annuntio vobis gaudium magnum”. C’è stato un silenzio al nome “Carolum”, gli applausi sono echeggiati di nuovo all’annuncio del cognome. Solo allora la folla ha percepito di essere testimone di un grande evento storico. Dopo 456 anni saliva al trono di Pietro un cardinale non italiano. L’ultimo era stato nel 1522 Adriano sesto, olandese», scrive Arcangelo Paglialunga.

L’Arcivescovo di Bari Mariano Magrassi si dice entusiasta: «La sua scelta esprime una dimensione essenziale della chiesa: la cattolicità. Ci spinge tutti ad aprirci al mondo, ad assumere un respiro veramente universale. La Polonia poi è una Chiesa che soffre e testimonia luminosamente il Vangelo. Il nuovo Papa ci insegnerà ad essere testimoni coraggiosi di Cristo» è il commento raccolto dai cronisti della «Gazzetta».

Poco dopo l’elezione, il nuovo Papa si è rivolto alla folla riunita in piazza San Pietro. Ha ricordato il suo predecessore e ha sottolineato che i cardinali hanno chiamato il nuovo vescovo di Roma, dopo tanti italiani nei secoli precedenti, «da un Paese lontano... lontano, ma sempre così vicino per la comunione nella fede e nella tradizione cristiana». E conclude con le celebri parole: «Non so se posso bene spiegarmi nella vostra... nostra lingua italiana. Se mi sbaglio mi “corrigerete”». Il pontificato di Wojtyla durerà più di 26 anni: si spegnerà il 2 aprile 2005.

Attentato a Giovanni Paolo II: Fatima, Benedetto XVI e la Logica indicano i mandanti. Andrea Cionci su Libero Quotidiano il 17 ottobre 2022

Andrea Cionci. Storico dell'arte, giornalista e scrittore, si occupa di storia, archeologia e religione. Cultore di opera lirica, ideatore del metodo “Mimerito” sperimentato dal Miur e promotore del progetto di risonanza internazionale “Plinio”, è stato reporter dall'Afghanistan e dall'Himalaya. Ha appena pubblicato il romanzo "Eugénie" (Bibliotheka). Ricercatore del bello, del sano e del vero – per quanto scomodi - vive una relazione complicata con l'Italia che ama alla follia sebbene, non di rado, gli spezzi il cuore

Quarant’anni fa venne eletto papa Giovanni Paolo II. Oggi vi proponiamo un ragionamento logico elementare, che però può farci capire quali siano stati – con grande probabilità – i mandanti del suo attentato. Questo triste episodio si verificò il 13 maggio 1981, festa della Madonna di Fatima, tanto che il papa polacco donò poi alla Sua statua la pallottola che “fu miracolosamente deviata da qualcuno o da qualcosa”. 

Sull'attentato a Giovanni Paolo II, ad oggi, restano sul banco due piste principali: quella “russo-bulgara” (servizi segreti bulgari ispirati dal KGB  sovietico) e quella “interna alla Chiesa” con il secondo attentatore Oral Celik che dichiarò di aver ricevuto l'incarico da due cardinali. QUI .

Ora: se l'attentato fu voluto da comunisti atei russo-bulgari, COME MAI SCEGLIERE PROPRIO IL 13 MAGGIO, festa di Fatima?

Sarebbe stato molto stupido organizzare un attentato proprio in quel giorno, dando un evidente compimento alla profezia di Fatima, una delle più importanti della Cristianità, che parlava, appunto, di un “Santo Padre” che muore sotto colpi di arma da fuoco.

Sarebbe stato un completo autogol per quelle forze atee e comuniste: sparando al papa nel giorno di Fatima, avrebbero fatto realizzare involontariamente il Messaggio di Fatima, conferendo così più forza e credibilità al Cattolicesimo e alla Chiesa. Morto un papa se ne fa un altro, e Fatima avrebbe avuto una clamorosa, inaudita realizzazione.

Sarà stata, dunque, un puro caso, la scelta del 13 maggio? Lecito pensarlo, ma la matematica non è opinabile e c'è una possibilità su 365 giorni dell’anno. Ovvero, il fatto che la scelta di quel giorno possa essere stata casuale è dello 0,3 %.

A questo punto, diviene, invece, molto più interessante la pista interna alla Chiesa, con quei due cardinali citati da Celik. Porporati ovviamente infedeli, passati plausibilmente alla massoneria ecclesiastica modernista che, anche da prima del Concilio Vaticano II, ha sempre avuto come missione quella di cambiare radicalmente il cattolicesimo: una grande apostasia.

Ma perché arrivare a far sparare al Papa? Quale sarebbe stato il movente?

Già come cardinale, Joseph Ratzinger aveva attestato che il Terzo Segreto di Fatima riguarda “le ultime cose” e molteplici fonti attendibili hanno confermato che si riferisce specificamente alla grande apostasia, alla prova finale contenuta nel Catechismo all’art. 675: “Prima della venuta di Cristo, la Chiesa deve passare attraverso una prova finale che scuoterà la fede di molti credenti. La persecuzione che accompagna il suo pellegrinaggio sulla terra svelerà il « mistero di iniquità » sotto la forma di una impostura religiosa che offre agli uomini una soluzione apparente ai loro problemi, al prezzo dell'apostasia dalla verità. La massima impostura religiosa è quella dell'Anti-Cristo, cioè di uno pseudo-messianismo in cui l'uomo glorifica se stesso al posto di Dio e del suo Messia venuto nella carne”.

Nel 2010, papa Benedetto XVI fece, infatti, una rivelazione sconvolgente: “Si illuderebbe chi pensasse che la missione profetica di Fatima sia conclusa”. QUI 

E ancora, durante lo stesso viaggio apostolico in Portogallo aggiunse: “Quanto alle novità che possiamo oggi scoprire in questo messaggio (Terzo Segreto n.d.r.), vi è anche il fatto che non solo da fuori vengono attacchi al Papa e alla Chiesa, ma le sofferenze della Chiesa vengono proprio DALL’INTERNO DELLA CHIESA, dal peccato che esiste nella Chiesa”. QUI 

L’annuncio di Benedetto del 2010 che il messaggio di Fatima - preannunciatore di una grande apostasia di origine interna – fosse ancora da realizzarsi, produsse un grandissimo sconcerto e malumore negli ambiti ecclesiastici legati al modernismo che, da sempre, hanno cercato di far passare Fatima come già pienamente verificatasi con l’attentato a Wojtyla. “Distruggeremo Fatima”, pare abbia dichiarato pochi anni fa, (a detta di due stimati sacerdoti e studiosi di Fatima), un importante cardinale dichiaratamente amico della massoneria.

Riflettiamo su un collegamento banale: se Fatima era un avvertimento su una grande futura apostasia nata internamente alla Chiesa, se la massoneria ecclesiastica modernista - che ha l’apostasia come obiettivo - ha sempre cercato di far passare Fatima a tutti i costi come già verificatasi nel 1981 con l’attentato a Wojtyla, la scelta del 13 maggio per l’attentato trova una collocazione rigorosamente logica e credibile solo nel seguente scenario.

Cardinali massoni traditori volevano che, proprio nel giorno di Fatima, un papa morisse ucciso da un’arma da fuoco per REALIZZARE FORZATAMENTE il Terzo Segreto, “a comando” e spianare così la strada alla grande apostasia in modo che, successivamente, questa non venisse riconosciuta: la prima istanza della massoneria ecclesiastica, il primo step funzionale alla grande apostasia era, quindi, disinnescare Fatima, distruggerla, derubricarla, depotenziarla, metterla in soffitta come già avvenuta.

Ciò sarebbe avvenuto non solo a livello di percezione del pubblico, ma, come emerso durante l’intervista con la collega Alice Lazzari di due giorni fa QUI  , questo potrebbe aver avuto anche qualche significato esoterico-rituale.

Ad esempio, in astrologia, di fronte a una previsione giudicata negativa, maghi e indovini cercano, a volte, di REALIZZARLA APPOSTA in un ambito abbastanza innocuo, in modo da stemperarla, annullarla. Una sorta di “vaccino sul futuro”.

Conferma il lettore Tomaso P.: “E’ il tema relativo all'«astrologia attiva» della scuola di Ciro Discepolo: l'esorcizzazione dei simboli. Cioè, il cercare di provocare proattivamente un evento per far sì che la forza di un pianeta (buono o cattivo) si canalizzi in un settore piuttosto che in un altro”.

La massoneria ecclesiastica, che sguazza letteralmente in questa cultura gnostica, potrebbe con ogni probabilità aver cercato di perseguire entrambi gli obiettivi: uno pratico, mediatico, socio-cognitivo, di far passare Fatima come avvenuta, e l’altro esoterico-previsionale, per depotenziare l’avvertimento della Madonna, canalizzando il potenziale antiapostasia del Messaggio in una situazione diversa, ma evocativa: un papa ucciso a revolverate.

Solo in quest’ottica, quell’opprimente 99,7% di possibilità che il 13 maggio sia stato scelto apposta dai mandanti, assume una coerenza logica, per quanto inserita in uno scenario sconvolgente.

Ma l’operazione è andata male: quel proiettile deviò la sua traiettoria, inspiegabilmente, e l’apostasia nella Chiesa, realizzatasi da nove anni con un “vescovo vestito di bianco” che, visto allo specchio, QUI, si rivela antipapa e usurpatore, è oggi perfettamente visibile da tutti. Ma l’impostura non durerà a lungo, potete scommetterci.

Attentato a Wojtyla: chi erano i mandanti? Di Emanuele Beluffi su Culturaidentita.it il 13 Maggio 2022

41 anni fa l’attentato al Papa: il 13 maggio 1981 Ali Ağca, militante dell’organizzazione terroristica turca dei Lupi Grigi, sparò a Karol Józef Wojtyła, il Papa asceso al soglio pontificio il 16 ottobre 1978 col nome di Giovanni Paolo II, tre colpi di pistola in piazza San Pietro, pochi minuti il suo ingresso nella piazza per un’udienza generale, colpendolo all’addome. Cinque ore e mezza di intervento chirurgico, il mondo intero (politico, religioso) in ansia, ma il Papa sopravvisse. Molto si è scritto e detto sull’attentato subito da quel Papa che, letteralmente e non solo per suggestione popolare, sconfisse il comunismo: chi furono i mandanti? Al di là della Cortina di Ferro i nemici non mancavano: furono i servizi segreti bulgari? Il KGB? E il sequestro di Emanuela Orlandi, cittadina vaticana figlia di un commesso della Prefettura della casa pontificia, scomparsa nel nulla il 22 giugno 1983 quasi in contemporanea con Mirella Gregori, era collegato all’attentato? Giovanni Paolo II, detto anche “l’atleta di Dio” per la sua passione per lo sport (famosissima la foto che lo ritraeva sugli sci), era un avversario del socialismo reale e della teologia della liberazione, era anti marxista e aveva svolto alla luce del sole un’indefessa attività diplomatica e culturale di critica e condanna del comunismo realizzato: quel “Papa polacco” aveva tanti nemici a casa sua. Ma forse questi nemici non erano geograficamente così lontani: potevano essere letteralmente a casa sua, cioè in Vaticano? Francesco Pazienza, noto alle cronache politico/giudiziarie come “faccendiere” (ma lui preferirebbe una definizione come “brasseur d’affairs”) con entrature nei Servizi e incarcerato dal 25 novembre 1995 al 17 giugno 2007 perché accusato di calunnia nelle inchieste sulla strage di Bologna del 2 agosto 1980 e sul crac del Banco Ambrosiano, nel suo libro appena uscito (La versione di Pazienza) sembra ipotizzare questa direzione. Questa di Pazienza non è la sua prima pubblicazione: nel 1996 un importante editore italiano pubblicò la sua autobiografia, oggi praticamente introvabile e chi l’ha letta troverà in questa sua nuova pubblicazione un allacciamento al punto “in cui eravamo rimasti” (ci vien da pensare alla frase con cui esordì Enzo Tortora riprese la sua fortunatissima trasmissione tv Portobello dopo il suo dramma giudiziario) con nuovi interessanti aneddoti relativi ai suoi rapporti con Roberto Calvi, la P2, il Vaticano e quant’altro. Nel capitolo intitolato La congiura contro il Papa il “brasseur d’affairs” sembra ipotizzare che le menti dell’attentato al Papa forse potessero non essere il KGB: forse potevano essere dentro le mura vaticane? Scrive Pazienza: “[…] Di quel papa (così nel testo, n.d.r.) non ci si poteva fidare, c’era il rischio che mettesse a repentaglio il potere consolidato costruito in tanti anni di lavoro, dentro e fuori le mura della Santa Sede. C’era il pericolo che rompesse le incrostazioni che, da «estraneo», avrebbe finito certo per scoprire, e che avrebbe fatto in modo d’intaccare e distruggere, poiché poco o punto si conciliavano con i principi di Santa Madre Chiesa. Occorreva dunque «neutralizzare» il nuovo papa”. In effetti, Come papa Giovanni Paolo II ha sconfitto il comunismo era anche il titolo di un altro libro introvabile (anche questo pubblicato da un grosso editore) che spiegava come l’Est Europa avesse riacquistato la libertà attraverso la rivoluzione silenziosa del “Papa polacco”: “Non temete! La Verità vincerà!”, disse loro. E, di verità in verità, qual è la verità sul suo attentato? La versione di Pazienza?

Roberto Faben per “La Verità” il 3 maggio 2022.  

Nel tempo oscuro tra il 1980 e il 1982, quando le cronache italiane riferirono di accadimenti ancor oggi avvolti da compatti banchi di nebbia, principalmente la strage alla stazione di Bologna (1980), la scoperta delle liste P2 (1981), l'attentato a Karol Woytjla (1981) e l'assassinio di Roberto Calvi (1982), detto il «banchiere di Dio», l'ex-agente segreto e faccendiere Francesco Pazienza ebbe un ruolo in un mastodontico intrigo, che le aule giudiziarie hanno tradotto in condanne a suo carico.

Dieci anni di carcere per depistaggio sull'eccidio di Bologna e tre anni per il crac del Banco Ambrosiano, interamente scontati, di cui quasi nove mesi al 41 bis e una parentesi finale in libertà vigilata come volontario del 118 e soccorritore dei terremotati a L'Aquila. «Potrei quasi fare una guida delle prigioni italiane dove sono stato: La Spezia, Roma, Alessandria, Livorno, Milano, Palermo», afferma.

Egli, tuttavia, si è sempre dichiarato innocente e ora ha messo su carta la sua ricostruzione dei fatti in un libro fitto di date, nomi e riferimenti documentali, appena pubblicato da Chiarelettere, La versione di Pazienza, che è anche uno spaccato del Paese dell'epoca, uffici di 007 all'italiana con il whisky nel cassetto, intrallazzi sibillini nei salotti dell'alta finanza, mitragliette, come la Uzi di fabbricazione israeliana che Paul Marcinkus, figlio dell'autista preferito di Al Capone a Cicero (New York), arcivescovo, capo dello Ior e guardia del corpo di Wojtyla, serbava sotto la tonaca.

I guai di Frank, così Pazienza si è sempre fatto chiamare, iniziarono quando lasciò il Sismi di Giuseppe Santovito, presso cui operò dall'aprile 1980 a febbraio 1981, e instaurò rapporti con lo stesso Marcinkus e Roberto Calvi, entrando in un rififi impastato di miliardi di lire e transazioni occulte, giornali in difficoltà e scandali politici. 

Perché, a suo avviso, Roberto Calvi fu eliminato attraverso una finta impiccagione?

«Fu eliminato perché, se così non fosse stato, sarebbe uscita l'ira di Dio. Quando scomparve, al Banco Ambrosiano fu immediatamente sostituito. Calvi andava eliminato. Punto. Poi fu costruito il discorso della liquidazione coatta amministrativa. Il Banco Ambrosiano fu liquidato il venerdì, e il lunedì successivo nacque il Nuovo Banco Ambrosiano».

Si è fatto un'idea di chi siano stati i mandanti del suo assassinio?

«Guardi, quando parlo è perché ho le prove. Una cosa è certa. Gli interessati alla sua eliminazione erano diverse entità». 

Ad esempio?

«Non lo dico, altrimenti mi querelerebbero. Lei ha mai visto una banca in condizioni dichiarate disastrose, dove i depositanti non hanno perso un centesimo?». 

Come conobbe Calvi?

«Lo conobbi a Washington nell'autunno 1978, alla riunione del Fondo monetario internazionale. Mi fu presentato da Domenick Scaglione, vice-presidente senior della Chase Manhattan Bank».

Nel suo libro sostiene che Santovito la mandò, su probabile richiesta di Andreotti, dal segretario di Stato vaticano Agostino Casaroli, per capire come supportare la fazione opposta a Marcinkus. Perché decise, in seguito, di disobbedire al Sismi e di schierarsi contro i falchi avversi a Woytjla?

«Perché in quel momento ero animato da un grande fervore anti comunista e avevo compreso che Giovanni Paolo II si stava preoccupando di muoversi contro il comunismo partendo dalla Polonia. Neutralizzare Marcinkus avrebbe significato neutralizzare il braccio secolare operativo di Wojtyla». 

A distanza di un mese dall'avvio della sua collaborazione con Calvi, Mehmet Alì Agca, il 13 maggio 1981, sparò a Woytjla e Marcinkus le comunicò la notizia al telefono. A suo avviso, chi volle l'attentato?

«Fino a 10-15 anni fa pensavo che fosse un'operazione del Kgb o servizio collegato. Ora non lo credo più. Se il Kgb voleva fare quell'operazione, poteva metterla in atto nei diversi viaggi in giro per il mondo di Wojtyla e non un mercoledì in piazza San Pietro a Roma con 50.000 persone. In un Paese africano un tiratore scelto del Kgb o del Gru (servizio segreto militare russo, ndr) lo avrebbe fatto fuori senza problemi da 1.500 metri di distanza. A mio parere il complotto nacque all'interno del Vaticano». 

Woytjla, per il quale lei inviò in Polonia 4 milioni di dollari dello Ior a beneficio di Solidarnosc, era al corrente della spregiudicatezza di Marcinkus nella gestione della banca vaticana?

«Forse non al cento per cento. Tuttavia pure lui sapeva che pecunia non olet. Giovanni Paolo non era un cretino e non poteva pensare che lo Ior funzionasse solo con le offerte alla messa della domenica».

Perché una parte del Vaticano non vedeva di buon occhio l'anticomunismo del papa polacco?

«Perché l'anticomunismo di Wojtyla era muscolare, svincolato da tutte le camarille vaticane, cui quasi tutti i prelati appartenevano, ad eccezione del cardinale Achille Silvestrini, straordinario, con cui feci l'operazione preparatoria dell'incontro Wojtyla-Arafat.

Il lavoro di Casaroli, invece, era basato su un paziente lavoro di diplomazia durato anni». 

Nel libro afferma che Calvi prestò denaro allo Ior, tanto che considerava la Vianini, società di costruzioni del Vaticano, una garanzia. Ma anche che lo Ior fece prestiti per 120 milioni di dollari al Banco Ambrosiano di Calvi. Chi dei due era più indebitato con l'altro?

«Calvi andava sul mercato internazionale potendo mostrare una forza che, obiettivamente, il Banco Ambrosiano non aveva, perché tutti sapevano che l'Ambrosiano e Calvi erano il braccio operativo dello Ior». 

Qual era la cosa che più temeva Marcinkus dall'essere entrato in affari con Calvi?

«Non l'ho mai capito. Ma per mettere una pietra sopra ci fu un'operazione da 300 milioni di dollari che lo Ior versò al Nuovo Banco Ambrosiano per ripianare la situazione debitoria dell'istituto vaticano». 

Ha scritto che «in confronto al dissesto del Monte dei Paschi di Siena (), quello dell'Ambrosiano era uno scherzo» e che «il crac dell'Ambrosiano non è stato un crac () come le sentenze della magistratura hanno voluto far credere». Sulla base di quali elementi sostiene questa ipotesi?

«I correntisti italiani e quelli delle filiali estere dell'Ambrosiano non hanno perso nulla. A perdere il denaro sono stati i clienti italiani che investirono in azioni, mentre quelli esteri, soprattutto delle filiali delle Bahamas, riuscirono a recuperare gran parte dei denari investiti in titoli. Ho fatto calcoli precisi sulla situazione del Monte dei Paschi di Siena. Non è uscito dal tunnel. Eppure il Mps non è stato messo in liquidazione coatta amministrativa».

Perché gli investitori italiani non furono risarciti?

«Qualcosa non funzionò. Molti soldi se li umbertò la banda Gelli-Ortolani. Dal famoso "conto Recioto" scomparvero milioni di dollari. Calvi non aveva le relazioni politiche nazionali per gestire il lavoro che faceva e si affidava a Gelli e Ortolani. Quando scoppiò il bubbone P2 e Gelli fuggì, Calvi fu lasciato solo.

Aveva solo Craxi. E poi, attenzione. Da intercettazioni telefoniche del dicembre 1981 tra Bruno Tassan Din (ex-direttore generale del gruppo Rizzoli-Corriere della Sera, ndr.) e Gelli, cominciarono a parlare di me, dicendo: "Ma chi cazzo è questo? È stato mandato dalla Cia?". Non sapevano nemmeno chi cazzo fossi.

Nel dicembre 1981 era in corso il depistaggio sulla strage di Bologna. Nella motivazione della sentenza che mi ha condannato a 10 anni di galera è scritto che io avrei depistato per fare un favore a Gelli. Ma io Gelli non l'ho mai cagato in vita e l'ho conosciuto solo nel 2009, presentatomi da Gianmario Ferramonti».

Calvi, nei suoi ultimi giorni di vita, era disperato e aveva bisogno di denaro. A chi lo doveva restituire?

«Quando l'hanno trovato morto, ero ad Acapulco e venivo dal Costarica, dov' ero andato ad aiutare il presidente Luis Alberto Monge nella campagna elettorale. Il denaro che Calvi doveva restituire era una tranche dei prestiti internazionali fatti con l'Ambrosiano. A livello internazionale, il debitore era l'Ambrosiano, non lo Ior. Calvi chiese disperatamente aiuto a Marcinkus. Ma Marcinkus era venuto a sapere che Calvi faceva la cresta sui prestiti esteri e gli rispose: "Adesso sono cazzi tuoi"».

Lei sostiene che il passaporto falso fornito da Flavio Carboni a Calvi, attraverso il boss della Magliana Ernesto Diotallevi, per andare a Londra nei suoi ultimi giorni di vita, costò 530.000 dollari. «Troppo, per un passaporto falso» dice. E il resto?

«Il resto se lo sono imbertato, come si dice a Roma. Se Calvi avesse chiesto a me un passaporto, glielo avrei fatto avere autentico, panamense o costaricano. Il problema era che Carboni risultava intimidito da Calvi, come emerge dai nastri delle telefonate tra i due, depositati dal notaio Lollio di Roma, nelle quali Carboni sembra Fantozzi. Carboni gli dava del lei, Calvi del tu. Io, invece, a volte lo mandavo a fare in culo, ma non sopportava che un ragazzotto lo trattasse a quel modo».

Perché l'avvocato Jarashow disse che lei «fu l'unico coglione arrestato per il crac dell'Ambrosiano»?

«Perché è vero. A un certo punto è stato deciso che l'unico coglione da incastrare ero io, compreso Craxi. Luca Palamara oggi loda il padre Rocco per aver ottenuto la mia estradizione dagli Stati Uniti. Peccato che documenti in mio possesso attestino che Rocco Palamara si fece aiutare da Sismi e Cia».

Papa Ratzinger, "cambio di regime in Vaticano. Fatto fuori per l'apertura a Putin". Libero Quotidiano il 3 maggio 2022

C'è stato lo zampino occidentale dietro l'addio di Papa Ratzinger? Uno scatenato Diego Fusaro sgancia la bomba con un post su Twitter dal coefficiente di complottismo praticamente incalcolabile. Siamo nel quadro della guerra in Ucraina, con il filosofo turbo-sovranista schierato apertamente, se non a fianco di Vladimir Putin e delle "ragioni" della Russia, sicuramente contro Joe Biden, la Nato e gli Stati occidentali "appiattiti" sulla sola risposta militare contro Mosca.

"Molto probabilmente - scrive Fusaro - l'apertura di Ratzinger alla Russia di Putin, non solo sul piano strettamente religioso, fu uno dei motivi che portò alla fine del suo pontificato e al regime change che condusse al soglio pontificio il nuovo papa teologicamente corretto". Vale a dire Papa Francesco, che peraltro per le sue dichiarazioni "equidistanti" sui due contendenti Fusaro apprezza molto più che per il portato teologico e religioso. 

"La NATO - calca la mano il filosofo, tra i più accesi sostenitori del governo gialloverde nella primavera del 2018 - è uno strumento dell'imperialismo Usa con una duplice funzione: a) sottomettere manu militari il mondo intero all'americano-sfera; b) far sì che l'Europa, costellata da basi NATO, resti una colonia piegata a Washington. Uscire dalla NATO è di vitale importanza". 

Non possono mancare anche riflessioni, polemiche, sulla pandemia. "Il prossimo lockdown sarà per una nuova variante, per la guerra, per l'emergenza climatica o per l'emergenza energetica? Che vi sarà, è ragionevolmente al di là di ogni dubbio. Resta da capire con quale argomento verrà imposto. Il lockdown, nuova categoria politica neolibeale". E nello specifico, continua la sua crociata contro le mascherine: "Libreria in centro a Milano. Non vi è nessun obbligo di coprire il volto, eppure tutti hanno il volto coperto. Lo stato d'emergenza non sarà rinnovato, quando tutti lo vivranno perennemente e intimamente come nuova normalità, come in parte già è".

·        Il Papa Emerito.

«Ma lei è Ratzinger effect: come gli stessi nemici di Benedetto XVI svelano la sede impedita. Andrea Cionci su Libero Quotidiano il 3 dicembre 2022

Andrea Cionci. Storico dell'arte, giornalista e scrittore, si occupa di storia, archeologia e religione. Cultore di opera lirica, ideatore del metodo “Mimerito” sperimentato dal Miur e promotore del progetto di risonanza internazionale “Plinio”, è stato reporter dall'Afghanistan e dall'Himalaya. Ha appena pubblicato il romanzo "Eugénie" (Bibliotheka). Ricercatore del bello, del sano e del vero – per quanto scomodi - vive una relazione complicata con l'Italia che ama alla follia sebbene, non di rado, gli spezzi il cuore

Questa vicenda millenaria della sede impedita di Benedetto XVI e dell’antipapato di Bergoglio produce dei fenomeni assolutamente stupefacenti, al limite del preternaturale.

In primis, il grottesco e assordante silenzio stampa sulla Magna Quaestio: un tabù assoluto che parla più di mille titoli di prima pagina. Cari colleghi mainstream, ma perché vi fa così paura Bergoglio? Non era tutto zucchero e misericordia? (Forse no).

In secundis, l’autolesionismo masochistico di certi presunti cattoconservatori che attaccano giornalmente Bergoglio dicendogliene di tutti i colori, ma guai a far loro presente che non è il vero papa per motivi giuridici. (Alcuni hanno capito bene, ma tentano di “dividersi la veste” del Vicario di Cristo).

Tuttavia, il fenomeno più straordinariamente interessante è il cosiddetto “Ratzinger effect”, ovvero l’automassacro dei nemici più aggressivi di papa Benedetto XVI i quali, attaccando in modo scomposto l’inchiesta “Codice Ratzinger” (che sarà presentata ancora il 3 a Pordenone e il 4 a Bologna), producono involontariamente nuove, straordinarie prove che confermano ancora sempre la stessa verità. Ricordiamo con gratitudine un hater che, nei suoi feroci attacchi social, ci ha fatto scoprire l’utilissimo canone 335, (oltre al 412) che parla di “sede totalmente impedita” come perfetta alternativa alla sede vacante. Poi, don Ariel Levi di Gualdo, insultatore seriale del sottoscritto e di don Minutella il quale, pubblicando sul suo sito la lettera falsa di Mons. Gaenswein (da lui misteriosamente “ricevuta da fonti anonime”) ha dato modo allo stesso Segretario del Papa di smentirne il contenuto e spiegare così che Benedetto XVI celebra la messa in comunione con se stesso “indegno servo” e non in unione con Bergoglio, (ovviamente, dato che non è il legittimo papa). La vicenda della falsa lettera è si è poi conclusa con un gran finale “napoleonico” tipo Ouverture di Tschaijkowsky 1812, con campane a festa e salve di cannone, quando si è scoperto che il falso era stato prodotto con una licenza Word a nome proprio di don Ariel Levi di Gualdo. Lo stesso sacerdote “tosco-romano, di antica ascendenza sacerdotale ebraica”, come ama definirsi, non ha smentito la paternità del falso e anzi, ha dichiarato che “esistono menzogne buone e menzogne cattive”, offrendo una nuova prospettiva teologica che potrebbe piacere a Bergoglio e al resto del mondo una chiara idea di come sia andata.  

Ma uno dei più sentiti ringraziamenti si deve a don Tullio Rotondo il quale da diversi giorni attacca lo scrivente in modo serrato, non risparmiandosi pirotecniche uscite come quando ha fornito la sua personalissima spiegazione del fatto che papa Benedetto usi ancora il nome pontificale e indossi ancora la veste bianca per un motivo essenzialmente “pratico” (come dichiarò a Tornielli nel 2016 ): “siccome una talare può costare anche 1000, 2000 euro”, dice don Rotondo, “giustamente Benedetto ha preferito utilizzare quelle somme per altre cose”. E quali sarebbero? Non c’è stato verso di fargli capire che papa Ratzinger si chiama ancora Benedetto XVI perché è ancora il papa, inoltre, siccome non esiste una veste specifica da papa impedito la cosa più pratica era rimanere vestito di bianco togliendo solo la mantelletta e la fascia alla vita per farsi riconoscere come il “Papa emerito”, cioè colui che merita di essere papa in quanto, da impedito, resta in possesso del Munus, l’investitura divina di pontefice.

In compenso, Don Tullio ha prodotto un documento fondamentale, da lui incautamente brandito come prova dell’abdicazione di papa Benedetto.

Si tratta degli Acta Apostolicae Sedis, che potete scaricare, praticamente la Gazzetta ufficiale vaticana. Vi si legge: “ACTA BENEDICTI PP. XVI DECLARATIO SUMMI PONTIFICIS. De MUNERIS Episcopi Romae, Successoris Sancti Petri ABDICATIONE.

Come vedete, si parla di rinuncia al MUNUS petrino per l’abdicazione del papa. (E Don Rotondo sosteneva che non fosse necessario rinunciare al munus). Il problemino è che il documento è del 1° marzo 2013, quando papa Benedetto ha già fatto la sua rinuncia all’esercizio pratico del potere de facto e non de iure. Così, il 1° marzo il cardinal decano convocando un nuovo conclave abusivo, a papa non abdicatario, ha da quel momento ufficializzato che la sede è TOTALMENTE impedita. Lo abbiamo illustrato QUI. Come si può considerare non totalmente impedito un papa al quale convocano alle spalle un altro conclave lui vivente e non abdicatario?

Ovvero, l’importanza di questo documento, risiede nel fatto che la stessa chiesa golpista che ha impedito Benedetto XVI certifica che, per l’abdicazione, fosse esplicitamente richiesta la rinuncia al Munus petrino, che, come ormai sapete fino alla nausea, NON È MAI AVVENUTA, in quanto papa Benedetto dichiarò l’11 febbraio di rinunciare al solo ministerium, che è solo l’esercizio pratico del potere il quale discende, consegue dal munus e ne è solo il riflesso: “…declaro me ministerio Episcopi Romae … commisso renuntiare”. 

Se non bastasse, la rinuncia al munus petrino è espressamente richiesta dal canone 332.2 che regola l’abdicazione:  “ut MUNERI suo renuntiet” ; il canone 412 dice che il papa è impedito quando non può esercitare il suo MUNUS (Episcopus dioecesanus plane a MUNERE pastorali in dioecesi procurando praepediatur…) e anche la costituzione apostolica di papa Giovanni Paolo II, all’art. 53, cita esplicitamente in italiano l’incarico papale come MUNUS: “…chiunque di noi, per divina disposizione, sia eletto Romano Pontefice, si impegnerà a svolgere fedelmente il MUNUS Petrinum di Pastore della Chiesa universale…”.

Semplifichiamo al massimo per i “non udenti”, in senso evangelico. Papa Benedetto è come il padrone di un’auto minacciato da un rapinatore. Lui docilmente scrive un biglietto in cui dice che rinuncia a guidare la macchina, ma il malvivente si illude di aver ricevuto l’atto di proprietà. Arriva un controllo della Polizia e il delinquente finisce in prigione. Chiaro, no?

Però i nemici del Vicario di Cristo, ostinati e impenitenti fino in fondo, continueranno a dire che “Benedetto si è solo confuso, ma in realtà voleva abdicare”; che “ha usato i termini per non ripetersi”; che “rinunciare al munus è la stessa cosa che rinunciare al ministerium”; che “a 25 anni Ratzinger era modernista”; che “ha la demenza senile e pensa di essere ancora papa”. etc. (Tutte affermazioni realmente proferite).

E allora non resta che abbandonare queste persone al loro destino con la coscienza a posto di averle pur avvertite sulla situazione presente e sulla rivelazione finale che giungerà immancabilmente. Ne abbiamo trovato l’informazione esplicita, presto spiegheremo come, quando e perché, ma, come dice il Santo Padre: “Tutto ha il suo tempo”.    

P.S. Per chi desiderasse un “aiutino da casa Mater Ecclesiae” papa Benedetto ha dichiarato che la risposta si trova nel libro di Geremia dove si legge “IO SONO IMPEDITO” e in tedesco ha scritto che teme di essere di peso agli altri a causa di un lungo IMPEDIMENTO. 

Omissione di soccorso del papa: i tradizionalisti che abbandonano Benedetto XVI. Andrea Cionci Libero Quotidiano il 24 novembre 2022

Andrea Cionci. Storico dell'arte, giornalista e scrittore, si occupa di storia, archeologia e religione. Cultore di opera lirica, ideatore del metodo "Mimerito" sperimentato dal Miur e promotore del progetto di risonanza internazionale "Plinio", è stato reporter dall'Afghanistan e dall'Himalaya. Ha appena pubblicato il romanzo "Eugénie" (Bibliotheka). Ricercatore del bello, del sano e del vero – per quanto scomodi - vive una relazione complicata con l'Italia che ama alla follia sebbene, non di rado, gli spezzi il cuore

E’ doloroso scrivere quanto segue, ma purtroppo, "i fatti sono cose ostinate". L’inchiesta condotta su Libero, ormai ricca di oltre 350 articoli in due anni, condensata nel libro "Codice Ratzinger" (Byoblu ed.) ha messo in luce un panorama sconvolgente. Benedetto XVI non è abdicatario, ma impedito, questo fa sì che egli conservi il Munus petrino, l’investitura di origine divina cui è legata, in ottica di fede, l’assistenza dello Spirito Santo riservata al pontefice. Ne segue che il conclave 2013, convocato a papa non abdicatario, ma impedito, era nullo e ha eletto un antipapa, Bergoglio che, peraltro, sta smantellando la dottrina cattolica. Se il prossimo conclave comprenderà dei cardinali elettori nominati dall’antipapa, ne sortirà un altro antipapa e la Chiesa canonica visibile sarà FINITA per illegittima successione antipapale: la vera Chiesa di Cristo dovrà rinascere dalle catacombe, ripartendo dal nulla come nei primi secoli del Cristianesimo.

Ora, tale inchiesta, che affonda le proprie radici su studi precedenti e sulle testimonianze di ben TRE VESCOVI (Lenga, Gracida, Negri), non è solo descritta a livello canonico con l’apporto di docenti universitari, ma è illustrata in lungo e in largo con la spiegazione logica di decine di messaggi di papa Benedetto, il cosiddetto Codice Ratzinger, un sistema di comunicazione logico, ma velato, individuato da 30 specialisti QUI  obbligato dallo status di impedimento, che CONFERMA la situazione canonica descritta.

Questi, in breve, i risultati della più grande, approfondita e interdisciplinare inchiesta che sia mai stata realizzata sulle dimissioni di papa Benedetto e sul suo linguaggio.

NON CI CREDETE? Non importa. E’ perfettamente lecito essere scettici su un panorama di tale sconvolgente gravità. Potete anche pensare che lo scrivente non sia un giornalista di normale e onorata carriera che scrive da quasi vent’anni sui principali giornali nazionali, ma un imbecille-immorale-pazzo-diabolico-speculatore, secondo i "titoli cruscanti" che gli sono stati attribuiti. In ogni caso, la questione, vera o falsa che sia, NON PUÒ ESSERE IGNORATA per la natura stessa del problema che solleva.

Infatti, se qualcuno vi dicesse che vostro padre, o vostro figlio è all’ospedale, o è stato rapito, voi stessi non fareste almeno una telefonata per sincerarvi? Con quale coscienza potreste ignorare l’allarme su una cosa del genere, vera o falsa che sia? Potreste farlo solo se foste dei figli degeneri, interessati alla dipartita dell’odiato genitore, magari per ereditare.

Nella fattispecie, oggi "Codice Ratzinger" non è esattamente l’ultimo dei libercoli: ha venduto 12.000 copie in sei mesi,  è stato tradotto in inglese e spagnolo, è tra i dieci saggi bestseller in Italia, presentato su spontanea iniziativa dei cittadini in 10 città italiane, (il 27 sarà a Catania, il 3 a Pordenone e il 4 a Bologna). La sua tesi è stata confermata dal più noto avvocato italiano, da un magistrato antimafia ex sottosegretario alla Giustizia, da filosofi, canonisti, docenti universitari, giornalisti e intellettuali italiani e stranieri di chiara fama, da decine di specialisti. Non l’ha smentita nemmeno papa Benedetto scrivendo all’autore  nel 2021, né tantomeno dopo aver ricevuto il libro, lo scorso luglio.

Eppure, sarebbero bastati solo i primi due o tre messaggi inquietanti di Benedetto XVI e i primi dubbi giuridici sulla Declaratio per far scattare DOVEROSAMENTE in allarme rosso i veri cattolici e l’alto clero.

Quindi, chiunque si professi cattolico (non parliamo dei pro-Bergoglio) e non prende in ATTENTA, SERISSIMA  E APPROFONDITA CONSIDERAZIONE quanto ricostruito, senza opporre una spiegazione alternativa, si rende oggettivamente colpevole di omissione di soccorso del romano pontefice, complicità con l’usurpazione e co-artefice della fine della chiesa canonica visibile.

Peraltro, anche se lo scrivente avesse torto e il vero papa fosse Bergoglio, costoro non difenderebbero nemmeno il vero papa Francesco dallo scandalo: quindi sono due volte gravemente inadempienti.

Questo non è un gioco: lo scrivente, dopo aver perso del lavoro e aver messo gratuitamente a disposizione del pubblico 350 articoli e l’intera inchiesta ordinata in 60 capitoli su Byoblu, da quasi tre anni, sta rispettosamente e cordialmente interpellando intellettuali cattolici e membri dell’alto clero, ma tutti fanno finta di niente, oppure insultano gratuitamente, assumono snobistici atteggiamenti di superiorità o si trincerano in frettolosi grammelot canonici o in un disonorevole mutismo passivo-aggressivo, rifiutando qualsiasi onesto confronto. Se gli ecclesiastici possono essere – in minuscola parte - giustificati dall’essere a rischio sanzione canonica (invalida) da parte dell’antipapa, i liberi intellettuali non hanno alcuna giustificazione.

Dobbiamo quindi doverosamente elencare – per i posteri - coloro che si sono finora sottratti alla doverosa, ineludibile verifica di uno scenario scrupolosamente documentato e suffragato da autorevoli intellettuali, dove emerge un atroce abuso ai danni del Vicario di Gesù Cristo che può segnare per sempre la fine della Chiesa cattolica visibile e un grave rischio per la nostra sovranità nazionale. (Chiunque di loro fosse interessato, riceverà gratuitamente il volume).

Procediamo con ordine.

Mons. Carlo Maria Viganò, arcivescovo. E’ stato raggiunto direttamente da almeno cento articoli dello scrivente, oltre che dal libro. Destinatario di una lettera aperta, messo al centro di diversi, rispettosi articoli, ha rifiutato di rispondere. Pur dopo aver fatto delle aperture alla possibilità che le dimissioni di papa Benedetto potessero essere "provvidenzialmente" invalide, è ritornato sui suoi passi, attribuendo al "monstrum giuridico" (totalmente travisato) del papato emerito la responsabilità di aver posto sul trono petrino un papa esecutore dell’agenda dei poteri forti. Questo atteggiamento ha configurato una strategia politica finalizzata all’autopromozione come prossimo papa (antipapa, in quanto nominato da un conclave invalido). Nessuno dei suoi lo ha difeso o ha smentito.

Mons. Athanasius Schneider, vescovo: ha rifiutato in modo categorico anche solo di esaminare l’inchiesta e non ha risposto a questa lettera aperta. Afferma che il male peggiore per la Chiesa è non avere il papa, anche se ha definito Bergoglio non-cattolico.

Don Tullio Rotondo: non ha mai letto Codice Ratzinger e continua a caricare video sul suo canale per screditare aggressivamente l’autore, dandogli del "falsario" e dell’"incompetente", presentando come "prove" i principali messaggi in codice Ratzinger già ampiamente studiati e rifiutando - in modo tetragono e ostinato - di comprendere la ratio del sistema comunicativo del Papa impedito. Peraltro, continua a sostenere che il canone 332.2 non imponga la rinuncia al munus petrino, oltre ogni evidenza: "Si contingat ut Romanus Pontifex MUNERI suo renuntiet".

Don Curzio Nitoglia, per almeno 25 anni sedevacantista, avendo considerato tutti i papi illegittimi da Pio XII, oggi che esiste davvero un papa illegittimo, ne è tra i più strenui legittimisti. Difende Bergoglio con l’ardita teoria del "papa diavolo", tratta dall’Iscariota apostolo-diavolo  trascurando il fatto che il papa non è il successore di Giuda, ma di San Pietro. Non ha mai contestato Codice Ratzinger, nonostante gli sia stato inviato da un lettore.

Don Alfredo Morselli: ha ricevuto in dono dallo scrivente il volume Codice Ratzinger, lo ha letto, ma senza  minimamente contestarlo, si è limitato a citare un parere nemmeno suo, ma di un tale Bunga Banyangumuka QUI  il quale cassa l’intera questione dicendo che Benedetto XVI ha chiamato "Santità" Francesco. In risposta alla delusione espressagli, ha messo in guardia lo scrivente sul destino della sua anima. 

Dott. Riccardo Cascioli, direttore de La Nuova Bussola Quotidiana: aggiornato per due anni su tutti gli articoli dell’inchiesta, interpellato pubblicamente e cordialmente ha rifiutato di rispondere agli interrogativi posti e non ha nemmeno scaricato il pdf dell’inchiesta che era stato inviato alla Redazione. 

Piergiorgio Seveso di Radio Spada: sedevacantista, continua a oltraggiare papa Benedetto, definendolo "neomodernista, baia del pattume" e a dileggiare l’inchiesta senza entrare nel merito.  

Prof. Roberto de Mattei, direttore di Corrispondenza romana: accenna a non meglio specificate "teorie cospirative esposte in maniera superficiale e talvolta fantasiosa, che fanno presa sulle emozioni, più che sulla ragione, che conquistano chi, con un atto di fede, ha già deciso di credere all'inverosimile". Il tutto ben guardandosi non solo dall’indicare le teorie, ma anche dal contestarle. Attualmente ha proposto come grande novità un libro sulla arcinota Mafia di San Gallo dagli accenti screditanti verso papa Benedetto. Anche lui considera del tutto legittimo Francesco nonostante i "gravissimi errori", dando degli idolatri a chi, in base a questi, ne denuncia l'illegittimità. Evidentemente non ha colto che la questione della legittimità di Bergoglio è canonica, anni luce prima di essere teologica. 

Dott. Aldo Maria Valli, vaticanista: ha rifiutato di rispondere a due lettere aperte  e  giustificandosi col dire  che papa Benedetto ha rinunciato al suo pontificato (mai detto). A nulla è valso fargli notare che il papa ha rinunciato al ministero-ministerium, che lo manda in sede impedita, e non al ministero-munus che lo avrebbe fatto abdicare.

Prof. Massimo Viglione: anche lui ha rifiutato di rispondere alle due lettere aperte di cui sopra e ad ogni offerta di cordiale confronto. In compenso, pubblica post misteriosi: "Maggiore è il successo di riscontro mediatico, minore è la profondità intellettiva e l’aderenza alla verità di quello che si trasmette". A chi si riferisce? 

Prof. Giovanni Zenone, editore di Fede & Cultura: ha attaccato in modo gratuito e offensivo Codice Ratzinger senza minimamente argomentare nel merito. Pur avendo ricevuto in dono il libro, ha equivocato pensando che gli chiedessimo una recensione e continua a ostentare una caricaturale aria di superiorità definendo il "Codice Ratzinger "cretinate" e i giornalisti "la feccia del mondo delle lettere". Peraltro, pur disprezzando ferocemente don Minutella, sostenitore di Benedetto XVI unico papa, ha pubblicato un libro di don Enrico Roncaglia, il quale sostiene esattamente le stesse cose di don Minutella e celebra una cum papa Benedicto.

Sig.ra Dorotea Lancellotti, catechista: dopo aver definito il metodo dello scrivente, "falso perverso e diabolico", si  è rifiutata di argomentare le sue contestazioni, pur dopo che gli era stato gentilmente offerto lo spazio dello scrivente. 

Ora, a parte i sedevacantisti e coloro che hanno dei limiti oggettivi nella comprensione della questione, il sospetto legittimo sugli altri pur valenti intellettuali ed ecclesiastici è che stiano tentando un gioco nient’affatto limpido, una manovra di tipo squisitamente politico nel più assoluto spregio per l’aspetto sacro dell’ufficio papale: andare a un prossimo conclave invalido per cercare di far eleggere anche dai falsi cardinali di nomina bergogliana un tradizionalista che diverrebbe comunque antipapa, privo del Munus petrino  e della correlata "divina disposizione", come recita l’art. 53 della costituzione Universi Dominici Gregis.

Infatti, per ovvio buon senso, se si trattasse di persone sinceramente fedeli al papa, devote alla Chiesa e alla verità, di fronte alla questione posta dall’inchiesta "Codice Ratzinger" dovrebbero dimostrare tutt’altro atteggiamento:

1) interessamento massimo alla questione,

2) approccio costruttivamente critico e puntuale, sia sull’aspetto canonico che su quello comunicativo,

3) discussione aperta e collaborativa, coinvolgimento consultivo di canonisti esterni alla Chiesa,

4) capacità di superamento del proprio ego, o dei propri interessi, per il bene della Chiesa,

5) eventuale respingimento della questione solo dopo puntualissima e completa contestazione sia sull’aspetto canonico, che su quello linguistico-comunicativo,

6) eventuale difesa del legittimo papa Francesco contro le dilaganti tesi dello scrivente.

Ripetiamo: tutto questo dovrebbe avvenire a prescindere del fatto che il papa sia o meno impedito, dato che la sola vaga prospettiva, la sola remota possibilità è talmente grave da imporre o una sua completa cassazione, o totale accettazione. O il papa è Benedetto, o è Francesco. "Tu es Petrus". Lo vuole il buon senso, no? E se è Benedetto è un grosso, grosso problema da risolvere. 

Peraltro, la cosa più surreale è che molti di loro, nonostante attacchino ferocemente Francesco, anche in modo irrispettoso (sul blog di Valli gli hanno dato perfino dello "psicopatico") adesso giustificano le sue eresie con teorie come quella del "papa diavolo" o con quella del "dottore privato" (papa che, a livello personale, potrebbe dire ciò che vuole) mentre sono inflessibilmente severi sulle posizioni blandamente progressiste di Joseph Ratzinger a 25 ANNI, quando era prete da 3 e non era nemmeno monsignore! Capite il paradosso?

Infine, va eliminata anche l’ultima illusione sul fatto che alcuni dei sopra-citati stiano, in realtà, segretamente e saggiamente perseguendo una strategia in favore di papa Benedetto. Infatti, lo stesso Sommo Pontefice impedito sta intensificando fino al parossismo i suoi interventi, ormai più neanche in codice, ma palesi, come quando ha indicato qualche settimana fa che "la risposta è nel Libro di Geremia", dove - guarda caso -  c’è scritto a caratteri di scatola: "IO SONO IMPEDITO".     Oppure quando Mons. Gaenswein ha respinto come "pura menzogna" il contenuto della lettera dove si dice che papa Benedetto celebra in comunione con Francesco.  

Il Vicario di Cristo Benedetto XVI grida la verità, oggi più che mai, ma costoro hanno altri progetti e tramano nell’ombra. Laicamente parlando, renderanno conto alla storia, alla loro Nazione, messa in pericolo da un oscuro potentato mondialista che cova nel suo seno. In ottica di fede, meglio stendere un velo.

Ed ora sapete come risponderanno (sempre se risponderanno)? Che l’autore di "Codice Ratzinger" vuole "costringerli a fare pubblicità al suo libro".

Benedetto XVI, ritratto di famiglia pontificia: la tela di Natalia Tsarkova. Chi ha più di 60 anni ha diritto a questi nuovi apparecchi acustici. Andrea Cionci Libero Quotidiano il 20 novembre 2022

Andrea Cionci. Storico dell'arte, giornalista e scrittore, si occupa di storia, archeologia e religione. Cultore di opera lirica, ideatore del metodo “Mimerito” sperimentato dal Miur e promotore del progetto di risonanza internazionale “Plinio”, è stato reporter dall'Afghanistan e dall'Himalaya. Ha appena pubblicato il romanzo "Eugénie" (Bibliotheka). Ricercatore del bello, del sano e del vero – per quanto scomodi - vive una relazione complicata con l'Italia che ama alla follia sebbene, non di rado, gli spezzi il cuore

Finalmente la tela è caduta: un’opera realizzata in due anni ha mostrato papa Benedetto tale e quale, per come è oggi. Attorno a lui, nella clausura del monastero Mater Ecclesiae, si raccoglie ciò che resta della Famiglia Pontificia: non più protonotari, cappellani, elemosinieri, ma il fedelissimo Mons. Gaenswein, che, con una penna sottile, si appunta, diligente, le parole di Benedetto XVI - come Baruc, segretario del profeta Geremia – per riferirle al mondo esterno. Poi ci sono le Memores Domini, le pie donne che curano la persona del papa. Mons. Georg Ratzinger, appena in secondo piano, “dietro al velo” della morte, veglia sul fratello Benedetto XVI, il pontefice più longevo della storia, come ha ricordato il suo biografo Peter Seewald durante il convegno del 30 ottobre a Madrid.  

Così, Natalia Tsarkova, famosa pittrice russa, interprete ispirata di una commissione pontificia, ha fatto vedere al pubblico, il 3 ottobre, una grande composizione artistica, ricca di luci inaspettate, ombre trasparenti, velature cangianti e simbolismi allegorici.

Nel monastero, l’atmosfera generale è corrusca, drammatica, ma carica di un’intima serenità e di amore per un papa ancora lucidissimo e coraggioso nella sua fortezza. In effetti, si intravede la luce dell’alba: pare quel mondo nuovo di cui parla Benedetto al quale lui sente di appartenere già, ma che ancora non è iniziato.

“Brillerà sempre in mezzo a noi la stella del suo pontificato" spiegò il card. Sodano subito dopo la Declaratio del 2013 QUI e, come una stella, sebbene defilato, brilla lo stemma di papa Ratzinger. Il simbolo - araldicamente elegante e originale - del suo pontificato rimasto in vigore fin dal 2005: anche non essendo più il “pontefice sommo” come lui disse a Castelgandolfo nel 2013,  papa Benedetto lo ha comunque mantenuto.  

Nel quadro, realizzato dalla Tsarkova di propria iniziativa, (potete ammirarlo  ) la suora a destra cuce un bottone sulla talare bianca di Benedetto, con le 33 asole, tante quanti gli anni di Cristo. Quella talare che papa Ratzinger ha conservato perché, come scrisse nel 2016 al vaticanista Tornielli, era “la cosa più pratica e non aveva altri vestiti disponibili”.  Sopra, un’altra Memores che spiega una tovaglia, con lo stesso gesto di una Veronica.

Colpisce l’angelo custode in armatura: iconograficamente pare l’arcangelo Michele, figura escatologica,  (nel quale non è difficile riconoscere la pittrice), inginocchiato e con uno sguardo adorante verso il Santo Padre, mentre gli porge carte, documenti e un grosso libro chiuso. Spiega la Tsarkova che l’angelo indica gli altri libri ammonticchiati dicendo: “Santo Padre, guarda questi libri che hai scritto. C'è molto altro da pubblicare per dare luce ai tuoi scritti”. Ed è proprio così, vista la potenza dell’errore e l’incomprensione che gravano su questo grande papa.

E le rose, portate da una Memores, appena colte nel roseto, simbolo della Madonna, ma anche del martirio. Poi i dettagli, il gatto rosso di papa Benedetto fuori San Pietro: la bestiola, dal noto significato spirituale cristiano,  si lecca lo zampino perché – credono i russi - aspetta un ospite che sta per uscire dal Vaticano: Francesco.

In alto, evanescente, la colomba dello Spirito Santo che, grazie all’investitura divina, assiste il successore di  San Pietro la cui basilica,  tempio del Signore , come per Geremia, è irraggiungibile per il 95enne Benedetto XVI. Sullo sfondo a sinistra, l’altare della messa antica, ricorda il Summorum Pontificum, il motu proprio con cui il papa, in vero, ha ripristinato la messa in latino.  

Le mani di papa Ratzinger sono unite dal rosario, catena d’amore per Cristo e Maria, alla quale lui è legatissimo. Al collo, più grande e pesante di quanto si percepisca, la croce, d’oro; all’anulare, quello che non è l’anello piscatorio, (come hanno scritto) che fu graffiato e non spezzato, messo da parte, ma l’anello conciliare che riporta – realmente - San Pietro. Il dettaglio più significativo, in primo piano, è l’acqua, simbolo di quella purificazione della Chiesa portata avanti da Ratzinger, sul quale si riflette lo stesso papa mentre suona il pianoforte. Sembra di sentire quella sua musica dove anche le pause sono espressive: “Dum tacet clamat”, commentò Mons. Gaenswein. 

Incredibile come le intuizioni dell’artista, spontanee e pochissimo concordate, abbiano incontrato il pieno favore di papa Benedetto che ha commentato, con la sua voce da tempo sottilissima, che in pochi comprendono: “E’ perfetto: se l’artista l’ha voluto così, l’ha voluto il Signore”.

Insomma, finalmente un codice espressivo, un linguaggio che possono capire tutti, per una grande opera da donare alla Chiesa, destinata “a chi ha occhi per vedere” e che resterà nei secoli.

Lettera falsa. Codice Ratzinger di Gänswein: Benedetto XVI non celebra con Bergoglio. Andrea Cionci su Libero Quotidiano l’11 novembre 2022

Andrea Cionci. Storico dell'arte, giornalista e scrittore, si occupa di storia, archeologia e religione. Cultore di opera lirica, ideatore del metodo “Mimerito” sperimentato dal Miur e promotore del progetto di risonanza internazionale “Plinio”, è stato reporter dall'Afghanistan e dall'Himalaya. Ha appena pubblicato il romanzo "Eugénie" (Bibliotheka). Ricercatore del bello, del sano e del vero – per quanto scomodi - vive una relazione complicata con l'Italia che ama alla follia sebbene, non di rado, gli spezzi il cuore

Vai al blog

Pietosi tentativi in difesa del sedicente papa Francesco: una lettera falsa su carta intestata del segretario del Papa, Benedetto XVI, a un sacerdote seguito da centinaia di migliaia di fedeli in tutto il mondo, don Minutella. Nulla è apparso sui giornali mainstream, ovviamente. La velina è “non affrontare minimamente la Magna Quaestio dei due papi”: ce lo possiamo permettere solo su Libero, la cui inchiesta “Codice Ratzinger” (pubblicata da Byoblu) sarà presentata ancora il 13 novembre a Gubbio, il 19 a Cosenza e il 27 a Catania per spontanea iniziativa dei cittadini che hanno coperto tutte le spese.

La trasmissione di ieri sera con don Minutella, sul canale Radio Domina Nostra, dedicata alla scottantissima faccenda, era attesa da migliaia di utenti, ma pochi minuti dopo l’inizio si è registrato un improvviso, inspiegabile e inedito CALO DI CONNESSIONE proprio – e solo - nel “tunnel” collegato a Youtube. Giusto giusto, eh?

Ma anche dal fango nascono i fiori e questo “disservizio” ha prodotto solo un grande aumento della curiosità per la trasmissione che andrà di nuovo in onda - salvo altri strani “incidenti” – oggi pomeriggio alle ore 18.30. 

Vi riassumiamo brevemente il giallo della lettera falsa che è stato illustrato nei dettagli su RomaIT, con tutte le immagini dei documenti e dei rilievi.

Il giorno 7 novembre, don Minutella ha ricevuto per raccomandata una lettera da un presunto Mons. Gaenswein, dove l’arcivescovo segretario di papa Benedetto XVI gli scriveva: “Il Papa emerito ha sempre celebrato la Santa Messa “in unione con il nostro Papa Francesco”, suo Successore, al quale ha promesso pubblicamente “devota e incondizionata obbedienza”. Lei è in grave errore, come prova la pena della dimissione dallo stato clericale che Le è stata irrogata e che la Chiesa molto raramente infligge. Il Santo Padre emerito assicura preghiere per il Suo ravvedimento”.

La mattina dell’8, don Minutella ha reso pubblica questa lettera-doccia fredda, (che comunque non avrebbe cambiato la realtà canonica) esprimendo però alcuni dubbi sulla sua autenticità. A caldo, lo scrivente ha notato su RomaIT che era palesemente un falso: il mittente, un ridicolo “Sg. Pe” che avrebbe dovuto essere un “Segretario del papa emerito” è inesistente, come hanno confermato dalle poste della Santa Sede. Ovviamente, dato che la lettera era una raccomandata, doveva essere consegnata a mano a un impiegato vaticano che si sarebbe insospettito per una intestazione farlocca della Segreteria di Stato, o di altro indirizzo istituzionale da cui scrive Mons. Gaenswein di solito, per una missiva inviata al notissimo don Minutella. Invece, un “Sg. Pe” poteva anche passare, ad esempio, per le innocue iniziali di un privato.

Deridendo la pur ovvia considerazione, il sito bergogliano Aleteia ha dato al sottoscritto dello “scrivano complottista”,  mentre i sedevacantisti su Radio Spada sogghignavano su Telegram annoverando in una “baia del “pattume”, con ogni probabilità, anche il Santo Padre Benedetto XVI in qualità di “neomodernista n. 2”.  

(Dovrebbero essere i “cattolici super-ortodossi”, vi rendete conto?).

Ma il popolo del vero Sommo Pontefice ha ruggito e si è mobilitato: in tanti hanno inviato all’email dell’inchiesta codiceratzinger@libero.it documentazione e analisi sui file che erano stati subito pubblicati sul proprio sito “L’Isola di Patmos”, QUI in modo trionfante, da don Ariel Levi di Gualdo, prete noto in tv, acerrimo nemico di don Minutella che, oltre ad attaccare pesantemente, da anni, il teologo siciliano, insiste da mesi come papa Benedetto celebri (secondo lui) la messa in comunione con Francesco. Levi ha sostenuto di aver ricevuto, da “una fonte di cui non rivelerà mai il nome”, copia” del documento.

Come hanno notato molti fedeli, le firme di Mons. Gaenswein erano false, uguali, riprese da una lettera del 2014 disponibile sul web e ripassate furbescamente col pennarello.

Ma a cassare definitivamente la questione, anticipando, di poco, la nostra pubblicazione di questi rilievi, la notizia apparsa ieri mattina sul sito tedesco Kath.net riportato correttamente da Marco Tosatti  che inizialmente aveva pubblicato l’articolo di Levi di Gualdo.

Così Kath.net cita le parole di Mons. Gaenswein: “Sono lieto di rispondere alla sua richiesta, e con fermezza: LA LETTERA È UN FALSO E UNA MENZOGNA: Fake news pure e semplici!". Il segretario privato del Papa emerito Benedetto XVI, è molto chiaro nella sua risposta a una richiesta della stampa di kath.net […]. Il tono chiaro della risposta dell'arcivescovo Gänswein permette di concludere che Gänswein è decisamente infastidito dalla deliberata falsificazione di una lettera del genere. Inoltre, il destinatario della lettera non deve essere automaticamente il falsario”.   (?)

“La lettera è un falso e una menzogna”: come hanno notato diversi lettori, ormai avvezzi al Codice Ratzinger è una frase dal significato ben preciso. Non solo la lettera è una falsificazione, ma CONTIENE ANCHE UNA MENZOGNA, cioè che papa Benedetto celebri in comunione con Francesco e che sia addolorato per quello che stanno facendo don Minutella e gli altri sette eroici sacerdoti del Sodalizio Mariano, a lui fedeli.

Se fossimo nel Metaverso di Zuckerberg, dove Francesco è il vero papa e Benedetto abdicatario, Gaenswein avrebbe almeno dovuto dire: “Sì la lettera è un falso, ma è comunque vero che papa Benedetto celebra in unione con Francesco”, oppure solo “La lettera è un falso”. E invece no. E questo perché papa Benedetto celebra in unione con se stesso, vero papa.

Lo sappiamo da quel che rispose sul tema, qualche settimana fa, l’arcivescovo Gaenswein al sacerdote bergogliano don Willibald: “Papa Benedetto non ha mai menzionato nessun altro nome nel Canone della Messa. Non ha mai nominato se stesso nel Canone”.

Geniale. Ciò che balza subito agli occhi è che Mons. Gänswein  NON DICE LA COSA PIÙ IMMEDIATA E INEQUIVOCABILE, cioè: “papa Benedetto celebra in unione con papa Francesco”. Piuttosto, usa un perfetto giro di parole: Papa Benedetto “non ha mai menzionato nessun altro nome”, ma rispetto a quale? Al suo nome o a quello di Francesco? NON VIENE CHIARITO, come leggete. Piuttosto, specifica subito dopo che “non ha mai nominato se stesso” nel canone, e infatti è così: mentre un ecclesiastico normale, quando celebra messa, deve nominare il pontefice (“in unione con il nostro papa Benedetto”). Il papa, invece, quando celebra messa, lo fa in unione con se stesso secondo la formula “IN UNIONE CON ME, TUO INDEGNO SERVO”. Quindi il papa NON NOMINA NESSUN NOME nel canone della Messa, nemmeno il suo.

Capite bene, infatti, che la clamorosa elusione della frase più diretta ed esplicita cioè “celebra in unione con papa Francesco” parla da sola, affermando clamorosamente, anche se in modo indiretto, che Benedetto celebra in unione con se stesso, e non con l'antipapa Francesco. Questo lo capiscono tutti, tranne chi è in patente malafede.

A tal proposito, prendendo spunto dall’assurdo commento finale di Kath.net, Giovanni Marcotullio di Aleteia, testata già nota per gli scorrettissimi metodi dialettici già visti , ha ventilato addirittura che potesse essere stato lo stesso don Minutella a produrre falsamente la lettera (!). Leggete QUI 

Non è che si sono scusati per aver frettolosamente infangato una persona vittima di reati da Codice Penale (sostituzione di persona e falsa scrittura). Anzi, hanno pure cercato di addossargli la colpa. Non parliamo, poi di scusarsi con lo scrivente per lo sprezzante epiteto “scriba di don Minutella”. (Peraltro gli scribi, nella Bibbia, sono gli intellettuali istituzionali, proni al potere religioso costituito, proprio come Marcotullio, e non certo i latori di posizioni eterodosse).

Questa vicenda non finirà qui, con ogni probabilità partiranno denunce e querele. La questione sembra un sassolino, ma fu proprio una pietruzza a far crollare il gigante dai piedi d’argilla.

Se non fosse chiaro il concetto, lo ribadiamo: Bergoglio non è il papa (e si vede) perché Benedetto XVI non ha mai abdicato, ma è in sede impedita.

"Dio lo vuole ancora vivo...". La testimonianza su Ratzinger e la Chiesa. Nico Spuntoni il 29 Ottobre 2022 su Il Giornale.

Il biografo Peter Seewald ha raccontato il recente incontro con il papa emerito in Vaticano. Ed ha svelato la sua sofferenza per la Chiesa

Più di nove anni fa, rinunciando all'esercizio del ministero petrino, Benedetto XVI aveva detto che le sue forze non erano più adatte per quel ruolo anche a causa dell'età avanzata. Oggi, novantacinquenne, il papa emerito è fisicamente debolissimo ma, come testimoniano tutti coloro i quali hanno avuto il privilegio di incontrarlo anche recentemente, continua ad avere una mente lucidissima. E continua ad interessarsi della vita della Chiesa perché, come specificò nell'ultima udienza del suo pontificato, con la scelta della rinuncia non ha abbandonato la croce.

Una preziosa testimonianza di ciò che pensa Ratzinger oggi è arrivata questa settimana dalla Spagna e precisamente dall'Università Ceu San Pablo di Madrid dove è stato organizzato un congresso per celebrare il suo 95esimo compleanno. Il papa emerito ha inviato un saluto ed una benedizione per l'evento organizzato dall'Istituto CEU de Humanidades Ángel Ayala e dalla Fondazione Christiana Virtus e elogiando la volontà di "discutere alcune questioni fondamentali che la teologia deve affrontare oggi".

Ma ancora più rilevante del messaggio di Benedetto XVI in sé è la rivelazione fatta su di lui da uno dei relatori, Peter Seewald. Il giornalista tedesco non è una figura qualunque: è, infatti, il biografo per antonomasia di Ratzinger al quale è legato da anni di amicizia e frequentazione e con il quale ha scritto anche più di un libro-intervista. Nel corso del congresso spagnolo, Seewald ha confidato di essere stato ricevuto in udienza dal papa emerito questo mese e di aver avuto l'impressione che l'anziano teologo soffra molto per "l'attuale situazione della Chiesa" al punto da confessargli che "forse Dio lo ha voluto ancora qui per dare una testimonianza al mondo".

Una descrizione che, sebbene non confermata ufficialmente, sembra essere coerente con quanto detto qualche mese fa da monsignor Georg Gänswein, storico segretario personale di Ratzinger, nella celebrazione del 95esimo compleanno tenuta a Monaco, nella Sala Hubertus del Palazzo di Nymphenburg. In quell'occasione, un emozionato prefetto della Casa Pontificia aveva detto che nel 2013 non avrebbe mai pensato che "l’ultimo tratto di strada dal Monastero alle porte del Cielo dove sta Pietro potesse essere così lungo".

Nell'evento di Monaco non era presente, clamorosamente, l'arcivescovo, il cardinale Reinhard Marx pur essendo un successore di Ratzinger su quella cattedra. Il porporato tedesco è il principale artefice del Cammino Sinodale con il quale l'episcopato tedesco sta chiedendo a Roma - e a volte pretendendo - cambiamenti sempre più radicali sulla dottrina. E non è un mistero che proprio la situazione della "sua" Chiesa tedesca sia una delle maggiori preoccupazioni del novantacinquenne papa emerito.

Seewald: "Papa Benedetto XVI soffre molto". L'ultimo Codice Ratzinger su Bergoglio. Andrea Cionci su Libero Quotidiano il 28 ottobre 2022

Andrea Cionci

Storico dell'arte, giornalista e scrittore, si occupa di storia, archeologia e religione. Cultore di opera lirica, ideatore del metodo “Mimerito” sperimentato dal Miur e promotore del progetto di risonanza internazionale “Plinio”, è stato reporter dall'Afghanistan e dall'Himalaya. Ha appena pubblicato il romanzo "Eugénie" (Bibliotheka). Ricercatore del bello, del sano e del vero – per quanto scomodi - vive una relazione complicata con l'Italia che ama alla follia sebbene, non di rado, gli spezzi il cuore

La notizia stringe il cuore, ma non stupisce affatto: papa Benedetto XVI sta soffrendo molto.

Come ci ha segnalato un lettore, Leonardo, che vive in Germania, il giornale cattolico tedesco Die Tagespost riportava ieri QUI che, in un congresso tenutosi a Madrid su Benedetto XVI, il suo biografo, il giornalista Peter Seewald, ha riferito le sue impressioni dopo un incontro personale con papa Benedetto avvenuto due settimane fa. Citiamo in traduzione: «"E’ diventato una persona molto sofferente". Joseph Ratzinger è "una delle personalità più riconosciute del nostro tempo", ha osservato l'autore della biografia ufficiale del Papa emerito. In verità non era un reazionario, ma un riformatore, ha aggiunto. Seewald ha sottolineato che Benedetto XVI ha modernizzato l'ufficio papale (Amt - Munus n.d.r.). Gli era mancata la forza per continuare a ESERCITARE la carica (Amt - Munus). Certo, ci si può chiedere cosa sarebbe successo se Benedetto XVI non si fosse dimesso: “Francesco non sarebbe stato eletto, ci sarebbe stato un altro successore, il Papa avrebbe potuto continuare a mantenere la sua linea chiara. Forse non ci sarebbe stato un Cammino sinodale in Germania in questa forma. Allora il percorso del Vaticano sarebbe stato chiaro”. Anche se si tratta di speculazioni, si può dire che avremo ancora molto da Papa Benedetto per il futuro. “Questo Papa non sarà dimenticato”».

Ora, sapete che i libri “Ein Leben” e soprattutto “Ultime conversazioni” di Seewald-Benedetto XVI sono i testi più densi, in assoluto, dei messaggi logici e velati del vero papa illustrati a fondo in “Codice Ratzinger” (Byoblu ed. 2022), fra i primi dieci saggi bestseller italiani, che sarà presentato domani a Livorno, il 30 ad Asti e il 1° novembre a Torino.

I caso sono due: o il giornalista cattolico tedesco è perfettamente al corrente di tutta la questione, o è un latore disciplinato e “robotico” dei messaggi di papa Benedetto. Di oggettivo c’è che queste ultime dichiarazioni sono costruite nel purissimo codice ratzingeriano, sia in modo anfibologico, sia logicamente univoco, in un passaggio, dove ricorre la tipica, apparente incoerenza rivelatrice.

Come al solito, una lettura distratta e superficiale può accontentare il facile palato mainstream-bergogliano, ma, facendo un attimo mente locale, si comprende il senso reale.

Per prima cosa, torniamo al vocabolario: “modernizzare” – “adattare alle esigenze moderne”. Infatti papa Benedetto, vittima di ammutinamento, non avendo più la forza (sia fisica che “politica”) per continuare a ESERCITARE il munus petrino, (il titolo d’origine divina di papa), lo ha adattato alle esigenze autoesiliandosi in sede impedita, continuando così a possederlo pur senza il ministerium, cioè il potere pratico papale che da esso discende e dipende. E fin qui, si rimane pienamente coerenti alla Declaratio intesa come annuncio di impedimento.

Ma il punto-chiave arriva adesso: “Se Benedetto XVI non si fosse dimesso, Francesco non sarebbe stato eletto, ci sarebbe stato un altro successore”.

E perché mai?

Ecco l’immancabile incoerenza che “estrae” il codice Ratzinger univoco (e non anfibologico): infatti, come si può dire che se Benedetto non si fosse dimesso, Bergoglio non sarebbe stato essere eletto? L’argentino ha nove anni in meno di papa Ratzinger, e aveva alle spalle un partito cardinalizio fortissimo: la Mafia di San Gallo. Quindi, nel 2013, per almeno altri tre anni, fino a raggiungere l’età limite di 80 per poter partecipare al conclave, in caso di morte di papa Benedetto (allora 78enne) avrebbe potuto tranquillamente e plausibilmente essere eletto  suo successore. (Peraltro, in teoria si può essere nominati papi senza limiti di età: basta avere più di 8 anni, essere maschi, battezzati, celibi e senza pene ecclesiastiche).

Quindi, è LOGICAMENTE SBAGLIATO (o del tutto campato in aria) affermare che se papa Benedetto non si fosse dimesso, Bergoglio non sarebbe mai stato eletto.

C’è solo una spiegazione per questa frase, perfetta, geniale, profondissima, che ne spiega l’intima coerenza.

Quello che ci sta dicendo Seewald, consapevole o meno, ma certamente “istruito” dal Santo Padre Benedetto, è che Bergoglio non sarebbe stato eletto papa - in un conclave regolare - PERCHÉ LO SPIRITO SANTO NON LO AVREBBE PERMESSO.

La sua “elezione” è potuta avvenire solo perché Benedetto si è dimesso in modo particolare, cioè ritirandosi dal solo ministerium senza cedere il munus, l’investitura papale conferita da Dio, entrando così in SEDE IMPEDITA e permettendo che avesse luogo un conclave illegittimo, invalido, nullo, perché convocato a papa IMPEDITO E NON ABDICATARIO. (Vedasi articolo su Ticonio, in merito alla “grande discessio”).

Ecco perché solo il particolarissimo tipo di “dimissioni autoimpeditorie”, di Benedetto, con conseguente conclave fasullo, ha permesso a Bergoglio di essere eletto, e la spiegazione dell’affermazione è quindi, teologica, peraltro del tutto suffragata col senno di poi.

Infatti, la Terza Persona trinitaria esercita un’assistenza “negativa” sull’elezione del papa, cioè evita il danno peggiore. Il papa, per giunta, trae la sua autorità dall’essere custode della fede. E siccome sappiamo benissimo chi è e cosa fa Bergoglio, qual è la sua personalissima spiritualità QUI  e come sta smantellando il Cattolicesimo e la Chiesa, dato che in nove anni non si è minimamente preoccupato di chiarire la questione dimissioni di Benedetto, dimostra non solo di essere antipapa, ma anche di esserlo consapevolmente e colpevolmente e lo Spirito Santo – ovviamente - non avrebbe mai potuto consentire l’elezione legittima di un personaggio con simili caratteristiche e intenzioni.  Ecco perché, se papa Benedetto non si fosse dimesso, ma fosse morto, il conclave sarebbe stato valido, assistito dallo Spirito Santo e quindi ci sarebbe stato COMUNQUE un altro successore, ma NON Bergoglio.

Capite il peso devastante di una simile affermazione?

Si spiega, quindi, il perché Seewald dica, poi, che papa Benedetto avrebbe continuato a mantenere la sua LINEA CHIARA: quale linea? Oltre alla linea dottrinale, si intende LA LINEA SUCCESSORIA PAPALE. Come sapete, antipapa Francesco ha nominato 122 falsi cardinali che, se andassero in conclave, eleggerebbero un altro antipapa QUI. Per questo Benedetto specificava nella Declaratio che il prossimo Sommo Pontefice avrebbe dovuto essere eletto solo “da coloro a cui compete”. La sua linea successoria ancora non è “chiara” a tutti, solo perché non è stata ancora ufficializzata la sede impedita. E quando lo sarà, per molti saranno dolori.

Così, prosegue Seewald, “il Cammino sinodale tedesco, non avrebbe avuto luogo IN QUESTA FORMA”, cioè in forma invalida, in quanto sinodo convocato da un antipapa. Certamente, “Papa Benedetto non sarà dimenticato e ha ancora molto da dare” dice Seewald: si parla dello scisma purificatorio che seguirà all’ufficializzazione della sede impedita.

Ora, per motivi di spazio, non possiamo dilungarci sulla sofferenza del Santo Padre Benedetto XVI, e su chi la provoca, ma ce ne occuperemo. Il vero papa piange per la Chiesa, per la Fede, per l’umanità e forse per questo, in tutte le sue foto degli ultimi anni, compare sempre una scatola di fazzoletti, insieme alla statua della Madonna da lui invocata nella Declaratio QUI. E sopra c’è un orologio di certo da tavolo, ma stranamente appeso al muro, che sembra ripetere quel versetto dell’Ecclesiaste che papa Benedetto ha recentemente ricordato al matematico ateo Piergiorgio Odifreddi: “Omnia cum tempore”. Tutto ha il suo tempo.

"La missione della Chiesa". Ratzinger torna a parlare. Con una lettera indirizzata negli Stati Uniti, il pontefice emerito ha ricordato il suo lavoro ecclesiologico e le novità portate dal Concilio Vaticano II. Nico Spuntoni il 24 Ottobre 2022 su Il Giornale.   

"Il Signore mi chiama a salire sul monte, ma questo non significa abbandonare la Chiesa". Lo aveva detto nell'ultimo Angelus del suo pontificato e Benedetto XVI è rimasto di parola, non facendo mancare la sua voce in questo quasi decennio successivo alla sua storica rinuncia. Lo ha fatto soprattutto con la preghiera e la meditazione, ma anche con scritti e lettere che hanno indicato la retta via ai fedeli di tutto il mondo e sono state di supporto al magistero del pontefice regnante, Francesco.

Pochi giorni fa la voce del papa emerito è tornata a farsi sentire attraverso una lettera datata 7 ottobre e resa pubblica in occasione del X simposio internazionale promosso dalla Fondazione Vaticana a lui intitolata. Il convegno si è tenuto sul tema “L’ecclesiologia di Joseph Ratzinger” ed è stato ospitato negli Usa dalla Franciscan University di Steubenville, in Ohio. Non a caso, Ratzinger si è rivolto direttamente al presidente dell'istituto, padre Dave Pivonka nella lettera letta pubblicamente da padre Federico Lombardi, ex direttore della Sala Stampa della Santa Sede e attualmente presidente della Fondazione.

Prendendo carta e penna a ridosso del sessantesimo anniversario della sua apertura, Ratzinger ha proposto alcuni ricordi personali sul Concilio Vaticano II a cui partecipò come perito dell'arcivescovo di Colonia, il cardinale Josef Frings. "Quando ho iniziato a studiare teologia nel gennaio 1946 - ha scritto Benedetto XVI - nessuno pensava a un Concilio ecumenico. Quando papa Giovanni XXIII lo annunciò, con sorpresa di tutti, c'erano tanti dubbi sul fatto che potesse essere significativo, addirittura se potesse essere possibile organizzare gli spunti e le domande nell'insieme di una dichiarazione conciliare e dare così alla Chiesa una direzione per il suo ulteriore cammino".

Per Ratzinger, però, quel nuovo Concilio si è rivelato nel corso degli anni "non solo significativo, ma necessario" perché per la prima volta si rese evidenti alcune questioni dirimenti intorno alla vita della Chiesa. Il pontefice emerito ricorda come si fosse posto per la prima volta la questione di una teologia delle religioni, così come per la prima volta ci si era posti il tema poi evoluto negli anni anche durante lo stesso pontificato del tedesco: il rapporto tra la fede "e il mondo della pura ragione". Sono note le resistenze che incontrò Giovanni XXIII per quell'iniziativa. Secondo il papa emerito si dovette proprio a questo fattore inedito, perché entrambi i temi non erano nemmeno stati previsti. Motivo per il quale, secondo Benedetto XVI, il Concilio Vaticano II venne percepito come un elemento che potesse "turbare e scuotere la Chiesa più che darle nuova chiarezza per la sua missione".

Nel Vaticano II, dunque, trovò coronamento l'ecclesiologia nel senso propriamente teologico che Ratzinger propugnava già da prima e che poneva l'accento sulla centralità dell'Eucarestia anziché su una visione troppo clericale e centralistica. Aprendo il bagaglio dei ricordi, il papa emerito ha raccontato, a questo proposito, come il suo stesso lavoro ecclesiologico sia stato segnato dalla condizione della Chiesa tedesca negli anni immediatamente successivi alla Prima Guerra Mondiale, in cui l'ecclesiologia vedeva uno sviluppo con "la più ampia dimensione spirituale del concetto di Chiesa ora percepita con gioia". In questa chiave, Ratzinger non può che citare uno dei suoi "maestri", quel Romano Guardini per il quale l'essenza del cristianesimo non è un'idea ma una Persona (Cristo). Il teologo tedesco di origine italiana è stato più volte citato anche da Francesco, che è suo grande estimatore.

Lodando l'avvento dell'ecclesiologia di comunione proposta dal magistero dell'assise voluta da Roncalli, Ratzinger ha scritto nella lettera che è stato proprio all'interno del Concilio Vaticano II che la questione più importante, quella della Chiesa nel mondo, "è diventata finalmente il vero problema centrale". E ripercorrendo poi tutte le tappe del suo magistero, Benedetto XVI ha voluto mettere in guardia dalla "completa spiritualizzazione del concetto di Chiesa" che "manca di realismo della fede e delle sue istituzioni nel mondo". Con queste parole, Benedetto XVI ha augurato buon lavoro ai relatori del simposio nella speranza che possa essere "d'aiuto nella lotta per una giusta comprensione della Chiesa e del mondo nel nostro tempo". Dal monte in cui è salito quasi dieci anni fa, l'ormai novantacinquenne papa emerito continua a non abbandonare la Chiesa, così come aveva promesso in quell'ultimo Angelus a piazza San Pietro del 24 febbraio 2013.

Benedetto XVI scrive: “Il Concilio ebbe potere positivo” (per la purificazione finale). Andrea Cionci Libero Quotidiano il 25 ottobre 2022

Andrea Cionci. Storico dell'arte, giornalista e scrittore, si occupa di storia, archeologia e religione. Cultore di opera lirica, ideatore del metodo “Mimerito” sperimentato dal Miur e promotore del progetto di risonanza internazionale “Plinio”, è stato reporter dall'Afghanistan e dall'Himalaya. Ha appena pubblicato il romanzo "Eugénie" (Bibliotheka). Ricercatore del bello, del sano e del vero – per quanto scomodi - vive una relazione complicata con l'Italia che ama alla follia sebbene, non di rado, gli spezzi il cuore

Quando scrive papa Ratzinger, l’errore più comune è quello di leggere superficialmente. Questo si è puntualmente verificato anche con la lettera inviata il 7 ottobre dal vero pontefice all’Università Francescana di Steubenville, negli Stati Uniti, dove un simposio internazionale si sta occupando della sua ecclesiologia.

La missiva è stata interpretata come un apprezzamento di papa Benedetto al Concilio in senso modernista, cosa che ha dato guazza a quell’ala tradizional sedevacantista che lo detesta senza VOLER capire nulla della Magna Quaestio.

Bisognerebbe dedicare un altro volume, ancor più ponderoso di “Codice Ratzinger" (Byoblu ed. 2022) allo studio del cosiddetto “Proto-Codice Ratzinger”, ovvero il linguaggio e la politica con cui il grande teologo tedesco è riuscito a “sopravvivere” come Prefetto della Fede e poi come papa attivo della Chiesa fino al 2013.

Tutto quello che è stato visto negli ultimi decenni come un suo avallo del Concilio in senso modernista, va completamente rovesciato. Un esempio plastico di tale indispensabile processo di comprensione, è rappresentato dall’adozione, del neo-papa Benedetto XVI, nel 2005, della mitria vescovile sullo stemma pontificio, rimuovendo la tradizionale tiara.

Il gesto tranquillizzò i nemici modernisti che lo accolsero per quello di un papa che si proponeva in qualità di vescovo primus inter pares, andando a ridimensionare il tradizionale assolutismo del pontefice, ma irritò moltissimo i tradizionalisti, che vi colsero una concessione al modernismo. Si sarebbe dovuto aspettare il 2021, anno in cui, su Libero, abbiamo compreso che la Declaratio era un annuncio di sede impedita per comprendere la geniale lungimiranza del provvedimento del Santo Padre.

In vista di un possibile, necessario piano di emergenza antiusurpazione – l’autoesilio in sede impedita - per cui lo stesso card. Ratzinger aveva già predisposto nel 1983 la dicotomia munus/ministerium nel Diritto canonico, e Giovanni Paolo II aveva fatto costruire il “fortilizio” in cui si sarebbe potuto auto-rinchiudere il papa impedito (il monastero Mater Ecclesiae) QUI, l’innocua mitria vescovile, di basso profilo, avrebbe consentito al papa impedito di mantenere inalterato il proprio stemma senza dover obbligatoriamente rinunciare a un’ingombrante ed eloquente tiara, la “corona” simbolo della sovranità del papa. In tal modo, ha potuto mantenere l'insegna simbolo del suo “diritto dinastico” papale senza svelare prima del tempo la sede impedita. E così avvenne, come abbiamo visto QUI

Così, per comprendere la recentissima lettera all’università di Staubenville, dobbiamo ricordare come fin dal 1957 Ratzinger avesse studiato – e amato – il teologo romano Ticonio, per il quale la chiesa ha un corpo bipartito QUI: c’è la Chiesa di Cristo e, al suo interno, mascherata, la chiesa del diavolo. La seconda sarebbe finalmente emersa alla luce grazie a una grande discessio, cioè un ritiro della vera chiesa che avrebbe concesso a quella diabolica una parentesi di governo per manifestarsi.

E così è andata: il papa si è ritirato in sede impedita, lasciando a un antipapa platealmente apostata campo libero e tutto l’agio di dimostrarsi per quello che è, fino alla sua combustione escatologica finale, che avverrà con l’ufficializzazione della sede impedita.  

Da qui si comprende la famosa “ermeneutica della continuità” di Ratzinger, mai compresa né dall’estrema sinistra modernista, né dall’ala ipertradizionalista-sedevacantista. Il Concilio non è stato un elemento di discontinuità fra una chiesa del prima e una del dopo, (come credono da fronti diversi gli uni e gli altri) ma UNA FASE NECESSARIA, l’inizio di una pur brutta infezione che avrebbe prodotto un ascesso il quale, scoppiando, avrebbe finalmente purificato la Chiesa.

Da qui la “gratitudine” che papa Ratzinger nutre verso il Concilio, costantemente travisata. Ecco perché nel 2012, alle soglie del ritiro in sede impedita, si espresse così: “Il grande Concilio Ecumenico era inaugurato; eravamo sicuri che doveva venire una nuova primavera della Chiesa, una nuova Pentecoste…. Anche oggi siamo felici, portiamo gioia nel nostro cuore, ma direi una gioia forse più sobria, una gioia umile. In questi cinquant’anni abbiamo imparato ed esperito che il peccato originale esiste e si traduce, sempre di nuovo, in peccati personali, che possono anche divenire strutture del peccato. Abbiamo visto che nel campo del Signore c’è sempre anche la zizzania. E che nella rete di Pietro si trovano anche pesci cattivi. Abbiamo visto che la fragilità umana è presente anche nella Chiesa, che la nave della Chiesa sta navigando anche con vento contrario, con tempeste che minacciano la nave e qualche volta abbiamo pensato: «il Signore dorme e ci ha dimenticato”.

Allora: come potrebbe mai essere un fan del Concilio in senso “modernista” un teologo che si esprime con tali meste considerazioni?

Fatta questa lunga, fondamentale premessa, veniamo alla recente lettera di Benedetto XVI, che dimostra come egli sia ancora di una straordinaria, profetica lucidità:

“Quando Papa Giovanni XXIII lo annunciò (il Concilio), con sorpresa di tutti, c’erano molti dubbi sul fatto che avrebbe avuto senso, anzi che sarebbe stato possibile, organizzare le intuizioni e le domande nell’insieme di una dichiarazione conciliare e dare così alla Chiesa una direzione per il suo ulteriore cammino. In realtà, un nuovo concilio si è rivelato non solo significativo, ma necessario”.

Attenzione: il Concilio si è rivelato necessario, col senno di poi. Come, ad esempio, per il Figliol prodigo fu necessario andarsene per il mondo e rovinarsi prima di tornare alla casa del Padre.

“Per la prima volta, la questione di una teologia delle religioni si era mostrata nella sua radicalità. Lo stesso vale per il rapporto tra la fede e il mondo della semplice ragione. Entrambi i temi non erano mai stati previsti in questo modo”.

Non ci si aspettava che un giorno la Chiesa si sarebbe dovuta confrontare con le altre religioni, né che si sarebbe dovuto rendere conto al razionalismo laico delle ragioni della fede.

“Questo spiega perché il Concilio Vaticano II all’inizio minacciava di turbare e scuotere la Chiesa più che di darle una nuova chiarezza per la sua missione”.

Queste nuove istanze sembravano mettere in difficoltà la Chiesa, ma invece l’avrebbero temprata nel fuoco della prova.

“Nel frattempo, la necessità di riformulare la questione della natura e della missione della Chiesa è diventata gradualmente evidente. In questo modo, anche il potere positivo del Concilio sta lentamente emergendo”.

In questo periodo si è visto ancor meglio quale sia il compito finale della Chiesa: si è separato il grano dal loglio, il che darà modo a una nuova Chiesa purificata di nascere e di illuminare il mondo. Da qui il potere positivo del Concilio, l’altra faccia della medaglia, oltre i disastri negativi e apparenti. Tornando alla metafora dell’infezione, c’è un potere negativo della malattia che produce sofferenza, ma anche un potere positivo, liberatorio, purificatorio che conduce all’espulsione dei batteri, alla separazione della parte necrotica e al risanamento completo. Un risanamento che consentirà alla Chiesa di dare le risposte più efficaci alla modernità. Un po' come quando il Padre gioisce per il ritorno del Figliol prodigo: con la sua esperienza del mondo e del peccato egli è più consapevole dell'altro figlio che è sempre rimasto a casa. Il processo è quasi arrivato a compimento: “Il prigioniero presto sarà liberato” come ha indicato il Papa nel riferimento al libro di Isaia QUI.  

Ci sarebbe da indagare anche la più complessa questione sulla Civitas Dei di S. Agostino e l’invasione di Roma da parte di Visigoti, con relativo sacco. Il riferimento è, ovviamente, a quello che sta accadendo ora, con la chiesa diabolica ticoniana che ha preso il potere e messo a sacco la Chiesa cattolica e la sua dottrina. Ma quanto già analizzato basta e avanza.

Questo articolo è un contributo ben modesto rispetto alla profondità dello scritto del Papa, ma crediamo almeno di aver offerto, in linea di massima, la chiave di lettura corretta e non un’interpretazione.

Infatti, tutto l’impianto si fonda non sulla sabbia del complottismo e della suggestione, ma sulla granitica roccia di una realtà canonica incontestabile: papa Benedetto non ha mai abdicato perché per farlo doveva rinunciare al munus petrino, (l’investitura papale di origine divina) in modo formalmente corretto e simultaneo. E lui ha rinunciato in modo differito al ministerium (l’esercizio del potere) in un documento pieno di errori formali e giuridici senza ratificare nulla dopo l’ora prevista per l’entrata in vigore del provvedimento. Ed è lo stesso papa Benedetto a confermare, con il suo stile comunicativo logico – il Codice Ratzinger certificato da decine di specialisti QUI che non fu una rinuncia al papato, ma l’annuncio di un impedimento. E se non bastasse, l’altro giorno vi ha anche detto che la risposta per chi non crede è contenuta nel libro di Geremia dove si legge – guarda caso – “IO SONO IMPEDITO”.

Fedeli chiedono messe in comunione con papa Benedetto XVI e non con Bergoglio. Andrea Cionci su Libero Quotidiano il 01 ottobre 2022

Andrea Cionci. Storico dell'arte, giornalista e scrittore, si occupa di storia, archeologia e religione. Cultore di opera lirica, ideatore del metodo “Mimerito” sperimentato dal Miur e promotore del progetto di risonanza internazionale “Plinio”, è stato reporter dall'Afghanistan e dall'Himalaya. Ha appena pubblicato il romanzo "Eugénie" (Bibliotheka). Ricercatore del bello, del sano e del vero – per quanto scomodi - vive una relazione complicata con l'Italia che ama alla follia sebbene, non di rado, gli spezzi il cuore

I nodi vengono al pettine. Oggi, sul seguitissimo blog Stilum Curiae del decano dei vaticanisti italiani Marco Tosatti, è comparso un appello scritto da alcuni fedeli con una lettera aperta ai sacerdoti: si chiede il diritto ad avere la messa celebrata in comunione con papa Benedetto, l’unico vero papa esistente che non ha mai abdicato ma che, come vi abbiamo illustrato fino alla noia, si trova in sede impedita da nove anni. Viene proposta anche una lettera da indirizzare a tutti i parroci che riportiamo in fondo.

E’ il tema irritantissimo e rovente dell’”UNA CUM”, dalla formula della preghiera eucaristica «Una cum famulo tuo Papa nostro X», "in comunione col Tuo servo e nostro papa X” contenuta nel messale. Non è la prima volta che i cattolici rifiutano una messa non in ordine. Si ricordi la Costituzione civile del clero francese, nel 1790: i cattolici francesi rifiutarono i sacramenti somministrati dai preti, pur legittimamente ordinati, che avevano però giurato fedeltà alla Rivoluzione, la quale era contro la Chiesa. 

Il primo ad aver lanciato questa bomba di profondità nello stagno è stato, alcuni anni fa, Don Alessandro Minutella che è stato subito “mangiato vivo” dai cattoconservatori “una cum papa Francisco” i quali pur criticando a sangue Bergoglio vanno a messa in comunione con lui. Per molti è infatti durissima rinunciare ai sacramenti domenicali e, in tanti, pur sapendo che Bergoglio non è il vero papa, si adattano con varie auto-giustificazioni: “Ma io col pensiero sono con papa Benedetto”; “Ma a me non interessa chi sia il papa”; “Ma io vado per incontrare Cristo” etc. Viene poi brandita come una clava la questione delle quattro condizioni per cui la messa è valida: la materia, la forma, il ministro e l’intenzione, cioè se si usano pane di frumento e vino d’uva, se la formula di consacrazione è corretta, se il sacerdote è regolarmente ordinato e se ha intenzione di consacrare. Se ci sono queste condizioni la messa è valida, ma non si cita –la si dà per ovvia – la comunione col (vero) papa.

Una cosa è certa: per chi è in buona fede e crede che realmente Bergoglio sia il papa, “supplet Ecclesia”, ovvero lo Spirito Santo rende ugualmente validi e leciti i sacramenti. Ma per chi sa che Bergoglio è antipapa, la questione non è così semplice. Ecco cosa diceva San Cipriano: “Chi aderisce a un falso Papa, è assolutamente fuori dalla Chiesa Cattolica”. Ma è soprattutto San Tommaso d’Aquino, che risponde in modo estremamente preciso nella Summa teologica “Sull’importanza vitale dell’essere in unione con la Giurisdizione papale onde  ricevere la grazia soprannaturale”: 

D. È quindi dal Sovrano Pontefice che dipende l’unione di ogni uomo con Gesù Cristo attraverso i Sacramenti, e di conseguenza la sua vita soprannaturale e la sua salvezza eterna? 

R. Sì; poiché sebbene sia vero che la grazia di Gesù Cristo non dipende in modo assoluto dalla ricezione dei Sacramenti stessi quando è impossibile riceverli, almeno nel caso degli adulti e che l’azione dello Spirito Santo possa integrare questo difetto purché la persona non sia in malafede; è, d’altra parte, assolutamente certo che nessuno che si separi consapevolmente dalla comunione con il Sovrano Pontefice, possa partecipare alla grazia di Gesù Cristo, e che di conseguenza se muore in quello stato si perde irrimediabilmente“.

Da qui la spiegazione di quanto affermava il card. Ratzinger nel 1977: “Noi abbiamo Cristo solo se lo abbiamo insieme con gli altri. Poiché l’Eucarestia ha a che fare solo con Cristo, essa è il Sacramento della Chiesa. E per questa stessa ragione essa può essere accostata solo nell’unità con tutta la Chiesa e con la sua Autorità. Per questo la preghiera per il Papa fa parte del canone eucaristico, della celebrazione eucaristica. La comunione con il papa è la comunione con il tutto, senza la quale non vi è comunione con Cristo”.

Ora, il problema è che essendo il Santo Padre Benedetto in sede impedita, lui non può confermare o smentire la sua situazione a meno che non venga prima “liberato”. L’unico al mondo che non può esprimersi sulla sede impedita è proprio l’impedito, ovviamente. Ma quand’anche, una volta liberato, per assurdo, Benedetto ammettesse che “il papa è Francesco” (cosa che si rifiuta di dire da 9 anni) questo dovrebbe essere confermato dai canonisti o da un SINODO PROVINCIALE, come ha appena invocato il frate Alexis Bugnolo QUI, in quanto se l’atto di abdicazione è stato scritto male, è nullo, e Benedetto è rimasto papa anche contro la sua volontà. C’è poco da fare: per l’abdicazione bisogna rinunciare al munus petrino e Benedetto non lo ha fatto. Carta canta. Da qui, infatti, la posizione degli errorsostanzialisti americani i quali sostengono che Benedetto ha sbagliato a scrivere la Declaratio ed è rimasto papa senza saperlo. Insomma: certo è che Domineddio quel munus non se lo è ripreso, ma è rimasto nelle mani di papa Benedetto, e su questo non ci piove.

Come è stato dimostrato dall’avvocatessa Acosta nel volume “Benedetto XVI: papa emerito?”, la Declaratio è quindi una rinuncia completamente invalida dal punto di vista canonico, ma come abbiamo poi ampiamente dimostrato in “Codice Ratzinger” (Byoblu ed.) la Declaratio non è mai stata nemmeno una Renuntiatio (scritta male), bensì una “dichiarazione” (appunto) perfettamente coerente di impedimento, situazione poi definitivamente fissata dalla convocazione del conclave illegittimo nel 2013 che ha eletto Bergoglio. (Il conclave non può essere convocato a papa impedito, ma a papa abdicatario o morto).

Sede impedita del quale il Santo Padre è completamente consapevole, come dimostrato oltre ogni dubbio dal Codice Ratzinger. Se ne è reso conto ieri anche padre Paul Kramer, QUI  .importante studioso americano di Fatima, citando proprio il riferimento storico ai papi dimissionari fra I e II millennio che avevamo individuato QUI .

Ora, dal punto di vista logico, questa richiesta da parte dei fedeli circa la possibilità di accedere a sacramenti una cum papa Benedicto è assolutamente legittima. Il papa è uno solo, e su questo non ci piove: “Tu es Petrus”. Ma non vengono chiarite ufficialmente le montagne di dubbi sulla legittimità dell’abdicazione di Benedetto e sulla conseguente legittimità di Bergoglio. Persino Francesco ha dichiarato recentemente – in modo inaudito – che le dimissioni di Benedetto avrebbero dovuto essere più chiare  (!). E se lo ha detto lui, è certamente possibile, anche per i bergogliani, che papa Benedetto non si sia dimesso, ma sia in sede impedita o che sia rimasto papa contro la sua volontà. Peraltro, se fosse in buona fede, Francesco PER PRIMO dovrebbe chiedere una chiarificazione, no? Se qualcuno sollevasse dei dubbi sulla legittimità del vostro diploma, non sareste i primi a voler cercare di regolarizzare? O preferireste esercitare la professione abusivamente?

Ergo, i sacerdoti devono fornire sacramenti in comunione con papa Benedetto perché altrimenti i fedeli non assistiti dal supplet Ecclesia rimangono senza. E se Francesco scomunica e riduce allo stato laicale questi sacerdoti senza invece rendere conto della propria legittimità, come già successo con don Minutella, don Bernasconi e altri, a maggior ragione i fedeli fanno bene a non fidarsi. Scusate eh, il buon senso livello base: ma se le carte sono in ordine, cosa ci vuole a dare una compiuta spiegazione? E se, al posto delle spiegazioni canoniche arrivano randellate, c’è sicuramente qualcosa da nascondere, e quindi hanno ragione quei fedeli che chiedono messe una cum Benedicto.

Non si scappa. 

ECCO LA LETTERA da inviare: 

Reverendissimo don…..

da fedele cattolico/a residente nella diocesi di ………

rivolgo a lei il mio accorato appello affinché, come previsto dal Can. 213 – (I fedeli hanno il diritto di ricevere dai sacri Pastori gli aiuti derivanti dai beni spirituali della Chiesa, soprattutto dalla parola di Dio e dai SACRAMENTI),mi sia concesso il diritto di poter  partecipare alla Santa messa celebrata in comunione con il legittimo vicario di Cristo Benedetto XVI, unico detentore del Munus petrino mai revocato. 

Spiega il Sacro Magistero della Chiesa, è grande VERITÀ di fede che:

“Nella Celebrazione Eucaristica, solo nella Comunione col papa vi è comunione con Cristo”. (10 luglio Mons. Ratzinger 1977);Verità di fede ribadita dall’allora card. Ratzinger anche nel 1998 in PRIMATO DEL SUCCESSORE DI PIETRO”,  e da papa Giovanni Paolo II attraverso l’enciclica “ECCLESIAE DE EUCHARISTIA” n. 39. 

E’ indubbio che il papa legittimo sia ancora Benedetto XVII, lo prova la sua Declaratio in latino dell’11 febbraio 2013, in cui il Santo Padre afferma di rinunciare solo all’ “ESERCIZIO DEL POTERE” (ministerium), ma non al “TITOLO PAPALE” (Munus Petrinum),  come invece previsto dal can. 33§2, trovandosi in questo modo in SEDE IMPEDITA dentro le mura Vaticane. (can. 412 e can. 335). 

È chiaro quindi, che l’atto del Santo Padre, esperto di Diritto Canonico e raffinato latinista, non potrebbe mai essere una rinuncia al papato a causa di ERRORE INVALIDANTE e in questo modo il successivo conclave è stato del tutto nullo, compresa l’elezione del card. Bergoglio che, essendo oggi privo del Munus Petrino, non può essere papà.

Pertanto, avendo io piena coscienza che il legittimo papa è ancora Benedetto XVI, e dato che la Chiesa non ha mai smentito studi giuridici pubblicati in varie lingue, inchieste giornalistiche, proteste e dichiarazioni gravissime di ecclesiastici (vescovi e sacerdoti), mai potrei partecipare alla messa in comunione con un antipapa. 

Reverendo Don …

posso capire non sia facile per Lei uscire allo scoperto e abbracciare la croce a cui Gesù desidera associarLa assieme a quelli che,  per amore Suo e delle anime, hanno il coraggio di riconoscerLo nella persona del Suo unico Vicario in terra, Benedetto XVI, ma la esorto caldamente a riflettere sul valore infinito della sua missione  Sacerdotale che Cristo le ha affidato. 

Come spiega papa San Pio X:

“IL SACERDOZIO CATTOLICO È NECESSARIO NELLA CHIESA; perché senza di esso i fedeli sarebbero privi del Santo Sacrificio della Messa e della maggior parte dei sacramenti, non avrebbero chi li ammaestrasse nella fede e resterebbero come pecore senza pastore in balia dei lupi, a dir breve, per noi NON esisterebbe più la Chiesa come Gesù Cristo l’ha istituita”.(Catechismo Maggiore -821) 

Reverendo Don ..

La ringrazio per la sua paziente attenzione, certa che, come padre compassionevole, vorrà rispondere al mio accorato appello.

Nel frattempo, prego lo Spirito Santo perché infonda su di Lei e sui Suoi confratelli quell’amore e quel  coraggio necessario, per far sì che Gesù Cristo torni presto a governare la Sua Chiesa assieme il Suo servo e papa nostro BENEDETTO XVI, anche perché non è Dio che deve adeguarsi ai tempi, ma è l’uomo che deve piegarsi alle sue leggi. 

Con rispetto e devozione filiale 

Data……

Firma….

Codice Ratzinger: l'"anello impedito" di Benedetto XVI e quello finto di Bergoglio. Andrea Cionci su Libero Quotidiano il 13 ottobre 2022

Andrea Cionci. Storico dell'arte, giornalista e scrittore, si occupa di storia, archeologia e religione. Cultore di opera lirica, ideatore del metodo “Mimerito” sperimentato dal Miur e promotore del progetto di risonanza internazionale “Plinio”, è stato reporter dall'Afghanistan e dall'Himalaya. Ha appena pubblicato il romanzo "Eugénie" (Bibliotheka). Ricercatore del bello, del sano e del vero – per quanto scomodi - vive una relazione complicata con l'Italia che ama alla follia sebbene, non di rado, gli spezzi il cuore

Dopo la clamorosa ammissione di papa Benedetto “io sono impedito”, con il suo riferimento al Libro di Geremia, è ora di affrontare la grossa questione del suo Anello piscatorio. Attenzione, questo gioiello pontificio, con San Pietro che tiene in mano le reti da “pescatore di anime”, non va confuso con l’Anello papale che, più spesso, reca lo stemma del papa.

L’anello papale di Giovanni Paolo II fu infatti donato alla chiesa polacca di Wadowice e oggi orna l’anulare di San Giuseppe Come vedete, si tratta di un anello diverso da quello del pescatore di papa Wojtyla.

L’anello piscatorio, anticamente usato per la ceralacca, è simbolo dell’autorità del papa e del suo compito di custodire la fede: è il vero sigillo di garanzia di un pontificato.   

Secondo la vulgata mainstream-bergogliana, l’anello piscatorio di Benedetto sarebbe stato ANNULLATO secondo la solita prassi, dopo le “dimissioni”, sancendo, anche a livello simbolico, la “fine del suo pontificato”. E’ andata molto diversamente, come vedremo.

In primis: nel filmato della conferenza stampa di Padre Lombardi del 26 febbraio 2013, l’allora portavoce vaticano disse testualmente: “L’anello del pescatore, come il sigillo di piombo, dice la Costituzione, che devono essere annullati. L’anello, che è attualmente l’anello del pescatore, il papa (Benedetto XVI n.d.r.) non lo userà più”.

Tipico Codice Ratzinger: come leggete, tra le due affermazioni NON si dice che l’anello piscatorio di papa Benedetto sarà annullato, (come invece hanno riportato le fonti scritte tranne il Sole 24 ore). Padre Lombardi dice semplicemente che il papa “non userà più l’anello piscatorio”, non che sarà annullato. Non siamo in grado di dire se padre Lombardi (oggi Presidente della Fondazione Ratzinger) sapesse tutto fin dall’inizio, o se, semplicemente, lesse con estrema diligenza un comunicato fornito da papa Benedetto.

Ma attenti: la tradizione della Chiesa vuole che alla morte (o abdicazione) del papa l’anello piscatorio debba subire DUE OPERAZIONI. Tramite uno scalpello d’argento, prima deve essere intaccato (“BIFFATO”) con un segno a X sul piatto e poi deve essere SPEZZATO a martellate.

Qui vedrete la scena di un famoso film che mostra la doppia procedura.

Tuttavia, le nuove norme per l’elezione del papa sono state codificate da Giovanni Paolo II nella Costituzione Apostolica Universi Dominici Gregis del 1996 dove si prescrive che alla morte del papa o alla sua “VALIDA rinuncia” (i cardinali) “devono provvedere a far annullare l'Anello del Pescatore e il Sigillo di piombo, con i quali sono spedite le Lettere Apostoliche”. Ma LE MODALITÀ CON CUI QUESTO ANELLO DEVE ESSERE ANNULLATO NON SONO SPECIFICATE, come nota perfino Wikipedia.

Nonostante il fatto che la distruzione dell’anello formalmente non fosse più obbligatoria dal 1996, l’anello di Giovanni Paolo II, alla sua morte nel 2005, fu ugualmente spezzato come conferma questo articolo su Il Post: “Dal pontificato di Giovanni Paolo II il rituale è cambiato e il Cardinale Camerlengo oggi ha il compito di “annullare” l’anello: cioè non è più obbligatorio distruggerlo fisicamente. L’USANZA PERÒ È FINO AD OGGI RIMASTA INVARIATA. L’anello di Giovanni Paolo II venne INFRANTO dal Camerlengo cardinale Eduardo Martinez Somalo”. 

Così, mentre tutti gli anelli piscatorii dei papi precedenti sono stati spezzati - compreso quello di papa Wojtyla – come conferma La Repubblica QUI , l'anello piscatorio di papa Benedetto è stato SOLO BIFFATO, ovvero vi sono stati praticati due intagli a forma di croce, ma NON È STATO SPEZZATO. 

L'“anello piscatorio impedito”

L’usanza di distruggere l’anello è stata dunque INTERROTTA con Benedetto XVI: l’annullamento tradizionale è stato interrotto a metà e questa eccezione NON PUÒ CHE ESSERE STATA RICHIESTA DA PAPA BENEDETTO STESSO. PERCHE’?

Di fatto, il suo anello ormai sfregiato non potrebbe più “sigillare” dei documenti, secondo l’uso antico, ma potrebbe ancora essere INDOSSATO dal Santo Padre (se i prelati si decidessero a convocare un sinodo provinciale per verificare la sede impedita e, quindi, a liberarlo).

La spiegazione di questa strana incompletezza è nel canone 335 del Diritto Canonico: “Mentre la Sede romana è vacante o TOTALMENTE IMPEDITA, non si modifichi nulla nel governo della Chiesa universale”.

Nella sede impedita, viene sospesa qualsiasi attività giurisdizionale, ma il papa resta papa.

Non avendo Benedetto XVI abdicato per i motivi canonici ben noti illustrati nel bestseller “Codice Ratzinger” (Byoblu ed. maggio 2022), ed essendo impedito, la sola biffatura è stata da lui disposta o consentita per significare che nessun altro, in sua assenza, ha il diritto di promulgare leggi o di modificare qualcosa nel governo della Chiesa, ma che il suo pontificato NON E’ FINITO.

Dato che non c’è, ovviamente, alcuna legge che prescriva qualcosa in merito all’anello del papa impedito, la biffatura NON È STATA UN ANNULLAMENTO PER LA FINE DEL SUO PONTIFICATO, ma uno sfregio privo di qualsiasi valore giuridico-rituale che, però, dal punto di vista simbolico, è perfettamente coerente con la sede impedita. Capite che rigore straordinario? Nella Chiesa tutti gli aspetti, canonici, liturgici, simbolici, formali, devono trovare perfetta coerenza.

La preparazione di Giovanni Paolo II

Ciò che appare, anche, evidentissimo, è che, come abbiamo già illustrato nell’articolo sulla modifica del diritto canonico del 1983 QUI, papa Giovanni Paolo II AVEVA PREPARATO CON DECENNI DI ANTICIPO, insieme al card. Ratzinger, il piano del ritiro in sede impedita (compresa la questione dell’anello piscatorio) tanto che ai primi anni ‘90 fece persino costruire il “fortino” nel quale il papa del futuro un giorno si sarebbe dovuto autoesiliare in sede impedita. Parliamo del Monastero DI CLAUSURA “Mater Ecclesiae” dove ancor oggi risiede il Santo Padre Benedetto XVI.

In sintesi, Giovanni Paolo II, con la Universi Dominici Gregis GETTÒ UN VELO sulle modalità dell’annullamento dell’anello piscatorio in modo che il suo successore, una volta costretto a defilarsi in sede impedita, potesse evitare di far spezzare l’anello, senza così fornire inevitabilmente al pubblico un segnale inequivocabile della fine del suo pontificato.

 L’anello piscatorio di Benedetto XVI dovrà quindi essere definitivamente spezzato solo dopo la sua morte.  

Siamo in presenza di operazioni di pre-mascheramento della sede impedita organizzate da decenni con sovrumana intelligenza: un po’ come quando il neoletto Benedetto XVI rinunciò alla tiara pontificia sul proprio stemma con una innocua mitria vescovile. In previsione del ritiro in sede impedita, una ingombrante tiara tradizionale sul blasone avrebbe dovuto per forza costringere Benedetto a cambiare il proprio stemma, come effettivamente gli propose il cardinale di Montezemolo. Ovviamente, i tradizional-sedevacantisti non capirono niente (allora come oggi) e si scandalizzarono per la novità, ma l’innocua mitria pseudo-modernista diede modo al Papa “emerito” di mantenere il proprio stemma pontificio, coerentemente con la sede impedita. 

L’anello piscatorio finto di Bergoglio

Viceversa, a confermare l’altra faccia della medaglia, ci ha pensato Bergoglio, con un anello piscatorio finto, dichiaratamente di argento dorato. QUI 

Sotto la solita retorica pauperista, buona per imbambolare le masse, si nasconde un segnale ai sodali in grembiule e un significato esoterico. L’anello non è di vero oro, è solo una patacca, peraltro l’ argento, metallo lunare, (contrariamente all’oro, solare) “in tutto il mondo viene identificato con le manifestazioni lunari della "Grande Madre” come leggete QUI .

Torna la solita, estenuante Grande Madre, che Bergoglio vi rifila nella magica “Maria che scioglie i nodi”, nella Pachamama, o nella Nonna ragno dei nativi americani.

Peraltro, antipapa Francesco non usa quasi mai il suo pseudo anello piscatorio, ma indossa il suo anello da vescovo, sempre in argento, coerentemente in quanto egli è rimasto vescovo dato che non è il papa. Un vescovo vestito di bianco, per l’esattezza QUI 

Il nuovo anello da “emerito”

E oggi? Quale anello indossa Benedetto XVI, il papa emerito, cioè colui che merita di essere papa? Un altro anello, ma sempre con San Pietro. Infatti, si tratta di una copia dell’anello dato ai padri conciliari negli anni ’60 QUI  . Facendo, come al solito “contenti e canzonati” i modernisti, (e i sedevacantisti) papa Benedetto, indossa un anello in apparente omaggio al disastroso Concilio Vaticano II modernista che gli consente di mantenere all’anulare l’effigie di San Pietro, come il vero papa quale egli è.

Avete capito a cosa stiamo assistendo, nell’ignominiosa indifferenza del giornalismo mainstream ed una cum? Un piano antiusurpazione preparato da decenni, un luminoso abisso di genialità sacra e assoluta che lascia senza fiato e di cui scriveranno per i secoli a venire.

Dal Libro di Geremia, il Codice Ratzinger definitivo di Benedetto XVI: “Io sono impedito”. Andrea Cionci su Libero Quotidiano l'11 ottobre 2022.

Andrea Cionci. Storico dell'arte, giornalista e scrittore, si occupa di storia, archeologia e religione. Cultore di opera lirica, ideatore del metodo “Mimerito” sperimentato dal Miur e promotore del progetto di risonanza internazionale “Plinio”, è stato reporter dall'Afghanistan e dall'Himalaya. Ha appena pubblicato il romanzo "Eugénie" (Bibliotheka). Ricercatore del bello, del sano e del vero – per quanto scomodi - vive una relazione complicata con l'Italia che ama alla follia sebbene, non di rado, gli spezzi il cuore

Quanto state per leggere ha rilevanza storica: il Santo Padre Benedetto XVI, in sede impedita dal 2013, in questi giorni sta drammaticamente intensificando i suoi messaggi in Codice Ratzinger e ne ha appena inviato uno clamoroso, inequivocabile e definitivo.

Perché avviene questo? Circa due settimane fa, Mons. Gänswein, in una telefonata con un sacerdote bergogliano tedesco, ha tirato fuori una serie di frasi che, all’apparenza, sembravano parole durissime verso don Minutella e gli altri sette sacerdoti fedeli a Benedetto del Sodalizio Sacerdotale Mariano, mentre invece, a una lettura più attenta, tali espressioni si sono rivelate dei clamorosi elogi verso questi preti-eroi.

Ad esempio, Mons. Gänswein  ha dichiarato che Don Minutella è “teologicamente pazzo”, ma, visto che Gesù vieta esplicitamente di dare del pazzo al proprio fratello, pena l’essere gettati nella Geenna (Matteo, 5,22), questa espressione riprende univocamente la “follia in Cristo”, tema teologico – appunto - di cui parla San Paolo nella I Lettera ai Corinzi (4,10). 

Alcuni degli otto sacerdoti del Sodalizio Mariano sono però rimasti abbastanza scossi da questa bordata di Codici Ratzinger e allora il Santo Padre Benedetto ha deciso di calcare la penna – per quello che gli è consentito dal suo stato giuridico di prigionia - per rassicurarli, facendo piazza pulita degli ultimi dubbi.

E così, giovedi scorso, ha inviato alla Lumsa il fedelissimo Mons. Gänswein alla presentazione del libro del matematico ateo Piergiorgio Odifreddi corredato con qualche pagina di Benedetto XVI, di cui abbiamo già scritto.

Innanzitutto, l’arcivescovo Gänswein ha esordito con una meravigliosa anfibologia: “Prima di venire qui ho pregato con Papa Benedetto, come ogni sacerdote cattolico fa, i vespri. E questo dice tutto”. 

Infatti: dice tutto. La sapiente costruzione della frase, fa sì che possa essere intesa perfettamente anche come: “Prima di venire qui, ho pregato i vespri, come fa un vero sacerdote cattolico, cioè IN UNIONE CON PAPA BENEDETTO”. Quindi sta dicendo ai preti del Sodalizio che fanno bene a restare una cum papa Benedicto. QUI   per leggere l’intera trattazione della frase, con il contributo del prof. Gian Matteo Corrias.

Ma entriamo nel vivo e lasciamo proseguire Mons. Gänswein, come da video : “Papa Benedetto mi ha detto, per prima cosa:  «Lei non faccia un saluto istituzionale, faccia un saluto personale da parte mia e dica a tutti: ‘Non ho meritato questa illustre lista di presentatori’. Io gli ho detto: «Santo Padre, se dico questo non mi credono, però obbedisco»; «O credete o non credete, se non credete leggete, o Geremia o Isaia. Non dico quale versetto e quale capitolo, ma lì è la risposta»”.

Ormai avvezzi al linguaggio del Santo Padre, abbiamo colto al volo il riferimento alla Scrittura tipico del Codice Ratzinger che, come sapete, ricalca in toto il metodo comunicativo di Gesù QUI   .

Vi lasciamo immaginare il sobbalzo quando, al capitolo 36, al versetto 5, lo scrivente ha letto la frase:

“Quindi Geremia ordinò a Baruc: «IO SONO IMPEDITO e non posso andare nel tempio del Signore”.

Il Santo Padre, del quale da due anni diciamo che è in sede impedita, ha scelto fra 73 libri biblici l’unico in cui compare l’espressione “io sono impedito”.  Guarda caso, questa è esattamente la chiarificazione finale di cui avevano bisogno i sacerdoti del Sodalizio Mariano e tutti gli altri veri cattolici che pregano in unione con papa Benedetto.

Ma, adesso, allacciate le cinture perché il Codice Ratzinger diventa ancora più straordinario.

Ricordate cosa ha detto papa Benedetto? “Non merito quella illustre lista di presentatori”. 

No, in effetti non si meritava proprio di essere presentato, fra gli altri, dal super-ateo Paolo Flores d’Arcais che, nel suo libello “La sfida oscurantista di Ratzinger” del 2010 ecco come osava parlare del Santo Padre Benedetto XVI: “Contro lo sfondo di virile austerità di Giovanni Paolo II assumono pesantissimo rilievo le svenevoli attenzioni dell’arcigno teologo tedesco per estenuanti frivolezze estetiche, dagli elaborati e sontuosi berretti, alle babbucce rosse, a un segretario che sembra uscito da Beverly Hills”. Vi rendete conto?

Forse, Papa Benedetto non meritava nemmeno che l’iper-ateo Odifreddi presentasse il suo libro – quasi un monologo - come uno scambio paritario col Santo Padre, dato che su 150 pagine di verbose riflessioni del matematico, quelle di papa Benedetto in risposta sono meno di una ventina di cui la metà circa, biglietti di auguri. Peraltro, Odifreddi dopo la pubblicazione di questo articolo QUI  non ha detto o fatto nulla per soccorrere il suo “amico papa” in sede impedita, ma ha ignorato bellamente la questione.

Né Benedetto XVI meritava di essere presentato dal gayfriendlyssimo  Mons. Vincenzo Paglia, il presidente della Pontificia Accademia per la Vita che si è fatto ritrarre nudo in un affresco omoerotico nella cattedrale di Terni e che non mette minimamente in discussione la legge 194 sull’aborto, come leggete QUI. Né forse si meritava di essere presentato dal vaticanista del Tg1 Fabio Zavattaro che, come tutti gli altri vaticanisti, del resto, finge di non sapere nulla della annosa e stranota Magna Quaestio.

Torniamo al libro di Geremia, ed ecco cosa si trova sui “presentatori”: I"l Signore mi disse: «Anche se Mosè e Samuele si presentassero davanti a me, non volgerei lo sguardo verso questo popolo. Allontanali da me, se ne vadano!" (15,1).

Oppure: “Verranno dalle città di Giuda e dai dintorni di Gerusalemme, dai monti e dal meridione, presentando olocausti, sacrifici, offerte e incenso e sacrifici di ringraziamento nel tempio del Signore. Ma se non ascolterete il mio comando di santificare il giorno di sabato, io accenderò un fuoco alle sue porte; esso divorerà i palazzi di Gerusalemme e mai si estinguerà" (17,26).

“E ancora: "Poi venite e vi presentate davanti a me in questo tempio, sul quale è invocato il mio nome, e dite: “Siamo salvi!”, e poi continuate a compiere tutti questi abomini. (7,10).

Ecco perché il Santo Padre non meritava quei “presentatori” che giovedi alla Lumsa si sperticavano in salamelecchi verso il papa emerito, lasciandolo però tranquillamente impedito.  

Dato che, fra i relatori, il direttore del Tg2 Gennaro Sangiuliano è però un galantuomo e un valentissimo professionista, gli chiediamo ufficialmente di dare spazio a tale questione ormai stranota, per non passare alla storia come i “presentatori” descritti dal profeta Geremia e da Benedetto XVI. Stesso invito lo rivolgiamo al Prof. Bonini, stimato rettore della Lumsa.

Ma adesso andiamo al secondo Libro dell’Antico Testamento citato dal Papa, quello di Isaia che non parla di impedimento, ma riporta ben 14 volte la parola “prigioniero”/“prigionieri”. Ricorre continuamente il tema della loro vittoriosa scarcerazione: i prigionieri che devono uscire dalle tenebre: "Io, il Signore, ti ho chiamato per la giustizia e ti ho preso per mano; ti ho formato perché tu apra gli occhi ai ciechi e faccia uscire dal carcere i prigionieri, dalla reclusione coloro che abitano nelle tenebre" (42,6). Sembra proprio un chiarissimo invito a quei sacerdoti fedeli a Benedetto, che però vivono ancora nel nascondimento, a uscire dalle tenebre e a gridare la verità, cioè che il papa è solo Benedetto XVI

Ancora, i prigionieri, liberati, metteranno in prigione i loro carcerieri: “…così faranno prigionieri coloro che li avevano resi schiavi e domineranno i loro avversari” (14,2).

Sembra questo un cenno al ribaltamento canonico-escatologico che porterà all’annullamento dell’antipapato di Bergoglio, ma ci ha colpito un punto in particolare, al cap. 51, versetto 14:

“Il prigioniero sarà presto liberato;

egli non morirà nella fossa, né mancherà di pane”.

In sintesi: il papa ha dichiarato di essere impedito, ma il prigioniero (lui stesso) sarà presto liberato (immaginiamo come), ma non sarà dimenticato nella fossa, né farà mancare quello che serve in modo indispensabile, ciò che chiedono i sacerdoti e i credenti fedeli al vero papa (potete immaginare cosa sia). I prigionieri, cioè i veri cattolici, saranno liberati e il Signore farà giustizia.

Ora, anche Voi, come dice il Santo Padre Benedetto XVI, “potete credere o non credere”: i bergogliani e gli una cum potranno dire che “è solo un caso”, che “l'emerito non ha specificato il capitolo o il versetto”, che “si vuole leggere solo quello che fa comodo”… E va benissimo così, perché il Papa, il Vicario di Cristo non ha affatto bisogno di costoro.  

Abbiamo quindi l’ennesima conferma che il Codice Ratzinger – inteso come corpus delle dichiarazioni velate del Santo Padre – è uno strumento di conversione, un seme di verità che attecchisce solo in chi ha orecchie per intendere.

E, davvero, per non intendere questi messaggi ormai clamorosamente patenti bisogna essere veramente duri d’orecchio, in completa malafede, o totalmente accecati.

Gli altri Codici Ratzinger di Mons. Gänswein: o con Benedetto XVI o con Bergoglio. Andrea Cionci su Libero Quotidiano il 06 ottobre 2022

Andrea Cionci. Storico dell'arte, giornalista e scrittore, si occupa di storia, archeologia e religione. Cultore di opera lirica, ideatore del metodo “Mimerito” sperimentato dal Miur e promotore del progetto di risonanza internazionale “Plinio”, è stato reporter dall'Afghanistan e dall'Himalaya. Ha appena pubblicato il romanzo "Eugénie" (Bibliotheka). Ricercatore del bello, del sano e del vero – per quanto scomodi - vive una relazione complicata con l'Italia che ama alla follia sebbene, non di rado, gli spezzi il cuore

L’altro giorno abbiamo trattato QUI   di uno straordinario messaggio con cui Mons. Gänswein, in una telefonata con un sacerdote bergogliano tedesco, esprimeva un clamoroso elogio – in codice Ratzinger - a don Alessandro Minutella, il sacerdote che, dal 2018 grida al mondo dal canale Youtube Radio Domina Nostra QUI, che Bergoglio non è il vero papa in quanto Benedetto XVI non ha mai abdicato. Il senso di “teologicamente pazzo”, epiteto attribuito da Mons. Gänswein  a don Minutella si riferisce infatti, oltre ogni ragionevole dubbio, alla “follia in Cristo” citata da San Paolo e quindi a un’interpretazione schiettamente teologica – appunto - della pazzia.

Ma durante la telefonata, sono emerse altre straordinarie frasi in “Codice Ratzinger” di cui tratteremo oggi e nelle quali non possiamo non riconoscere il tocco personale del Santo Padre stesso.

Ricorrono sempre le stesse caratteristiche di questo stile di comunicazione: letteralità, iperveridicità, anfibolia (doppio significato), estrema precisione semantica delle parole, riferimenti alle Scritture, e facile possibilità di fraintendimento per i bergogliani, o per chiunque non abbia buona volontà, né “orecchie per intendere”. Come sapete, il “Codice Ratzinger”, illustrato nell’omonimo libro inchiesta edito da Byoblu nel maggio scorso, è uno strumento selettivo QUI che lascia sempre “quel tanto d’ombra per gli increduli”, per dirla con Pascal.

Tali dichiarazioni di Mons. Gänswein sono state tradotte dal tedesco nella massima correttezza possibile, ve le riproponiamo una per una.

1) “Papa Benedetto non ha mai menzionato nessun altro nome nel Canone della Messa. Non ha mai nominato se stesso nel Canone, né ha mai messo in dubbio la validità dell’elezione di Francesco”.

Frasi di incredibile intelligenza. Ciò che balza subito agli occhi è che Mons. Gänswein  NON DICE LA COSA PIÙ IMMEDIATA E INEQUIVOCABILE, cioè: “papa Benedetto celebra in unione con papa Francesco”. Piuttosto, usa un giro di parole assolutamente geniale e anfibologico. Ecco come è costruito: Papa Benedetto “non ha mai menzionato nessun altro nome”, ma rispetto a quale? Al suo nome o a quello di Francesco? NON VIENE CHIARITO, come leggete. Piuttosto, specifica subito dopo che “non ha mai nominato se stesso” nel canone, e infatti è così: mentre un ecclesiastico normale, quando celebra messa, deve nominare il pontefice (“in unione con il nostro papa Tale”), il papa, quando celebra messa, lo fa in unione con se stesso secondo la formula “IN UNIONE CON ME, TUO INDEGNO SERVO”. Quindi il papa NON NOMINA NESSUN NOME nel canone della Messa, nemmeno il suo (non dice “in unione con me, Benedetto XVI, tuo indegno servo”). Il giro di parole è costruito, quindi, per dire che papa Benedetto celebra in unione con se stesso in quanto egli solo è il papa e Bergoglio è antipapa.

Capite bene, infatti, che la clamorosa elusione della frase più diretta ed esplicita cioè “celebra in unione con papa Francesco” parla da sola, ma dal punto di vista puramente letterale, le frasi sono perfettamente anfibologiche: con una grossa dose di malafede i bergogliani sono liberi di immaginare che papa Ratzinger nomini nel canone Francesco, ma, se voi amate la verità, potete capire benissimo che Benedetto celebra in unione con se stesso “indegno servo” del Signore senza citare né il suo, né nessun altro nome. La neutralità anfibologica delle frasi, perfettamente costruita secondo un uso sapientissimo della lingua e della logica, è un fatto oggettivo e assoluto che dimostra, per la milionesima volta e oltre ogni ragionevole dubbio, come papa Benedetto sia in sede impedita.

E ancora: è verissimo quanto dice Mons. Gäenswein circa il fatto oggettivo che “papa Benedetto non ha mai messo in dubbio la validità dell’elezione di Francesco” e questo avviene per tre motivi. In primis, perché essendo in sede impedita, è prigioniero nelle mani dell’usurpatore e non ne avrebbe le possibilità, così come un sequestrato  – per definizione - non ha la possibilità di chiamare la polizia. In secundis, perché Benedetto ha promesso, il 28 febbraio 2013, di non ribellarsi, ma di essere “incondizionatamente obbediente e reverente al suo successore” (illegittimo). In terzo luogo perché l’elezione di Bergoglio, nella fattispecie, non c’è mai stata, in quanto la sede impedita ha reso completamente illegittimo il conclave. Infatti: il significato di “validità” è: “correttezza in rapporto a determinate forme e procedure, specialmente sul piano logico o giuridico”. Cosa ben diversa sarebbe stata dire che papa Benedetto non ha mai messo in dubbio la legittimità dell’elezione di Bergoglio. Legittimità significa infatti conformità o rispondenza alla SITUAZIONE o CONDIZIONE prescritta dal diritto. E per convocare un conclave, la condizione di legittimità preesistente è che il papa precedente sia morto o regolarmente abdicatario. E nel 2013 non c’è stata nessuna delle due condizioni.

2)  “Papa Benedetto si è mostrato molto spesso con papa Francesco ed è totalmente fedele a papa Francesco”

Del tutto corretto: è verissimo che il papa legittimo e quello illegittimo si sono mostrati al pubblico insieme, mostrandosi in affettuosa cordialità. Come abbiamo illustrato QUI, papa Benedetto indubitabilmente AMA IL SUO PERSECUTORE, e prega per lui, come Cristo con Giuda. Nutre per lui un’amicizia “personale”, come la definisce in squisito Codice Ratzinger: un’amicizia unidirezionale, che è sentita solo da parte sua. Tale realtà è stata dimostrata senza alcun dubbio dallo studio dello scrivente sugli elogi apparenti a Bergoglio QUI dove papa Ratzinger ricorre a degli artifici dialettici per esprimere giudizi su Bergoglio i quali SOLO APPARENTEMENTE sembrano elogiativi, ma in realtà non offrono la minima considerazione morale o spirituale positiva su Bergoglio. Come quando dice che è “un uomo dal forte carattere, molto diretto con gli altri, che ha conquistato le simpatie del pubblico” etc.  Tutte queste cose si potrebbero dire tranquillamente perfino di Stalin. Benedetto non può elogiare il suo persecutore, ma nonostante tutto, lo ama e prega per la sua anima.

Come spiega dopo Mons. Gänswein, e come sappiamo benissimo, Benedetto è “fedele” a papa Francesco proprio secondo il significato (da vocabolario) della parola “fedele” cioè,  “costante, che mantiene gli impegni”. Lui si è ritirato in sede impedita, ma il 28 febbraio 2013, davanti ai cardinali, ha promesso di essere incondizionatamente obbediente e reverente al suo successore (illegittimo).  E’ come un re mitissimo che si è fatto imprigionare dall’usurpatore e che non oppone alcuna resistenza, ma si mostra passivo e docile come un agnello, promette di non scappare e di non protestare e tiene fede al suo impegno. Questo non toglie che lui sia il vero re, col diritto dinastico, il munus, e che l’altro sia un usurpatore. E’ la legge che parla, il diritto dinastico-canonico, non c’è bisogno di altro.

3) “Il Libro (“Pietro dove sei” di don Minutella) non vale la carta con cui è stato scritto” .

Tipica anfibologia ultraletterale di papa Ratzinger. C’è un senso comune che vorrebbe far intendere che il libro è carta straccia, ma questa è una nostra sovrastruttura. In senso puramente letterale, il libro può quindi valere meno della carta con cui è scritto o MOLTO PIU’. I bergogliani crederanno che è carta straccia, i cattolici capiranno che vale oro: doppia scelta.

4) “Egli stesso (Papa Benedetto) ha scritto la rinuncia parola per parola. Ci sono alcuni errori  ma questo non invalida il documento”

Verissimo, sappiamo da “Ein Leben”, che Benedetto ha scritto da solo la Declaratio in due settimane, sottoponendola poi alla Segreteria di Stato perché fosse emendata da errori formali e giuridici, sotto il sigillo del segreto pontificio. E se la Segreteria di Stato, sotto segreto, “non si è accorta” che la Declaratio intesa come abdicazione recava clamorosi errori formali e giuridici, forse una domanda bisognerebbe farsela.

Ma, in ogni caso, la sede impedita non può essere dichiarata, quindi la Declaratio non è un atto giuridico, ma una semplice dichiarazione con cui Benedetto annunciava di rinunciare di fatto a esercitare il potere, causa impedimento. E la rinuncia fattuale all’esercizio del potere non è minimamente resa meno effettiva da alcuni errori di latino. Così come se voi uscite di casa lasciando un biglietto a vostra moglie, non perché avete sbagliato un apostrofo voi “non siete usciti di casa”.

5)  “E’ assurdo accusare Benedetto che sostiene di essere il vero Papa e afferma che la rinuncia è solo un pretesto.  Alcuni confratelli usano la questione per nascondere cose che li riguardano, sarebbe opportuno riflettere se ci sono vecchi problemi da risolvere.”

Certo che è assurdo: come abbiamo già visto Benedetto non potrebbe mai sostenere di essere il vero papa mentre è sequestrato, impedito. L’unico al mondo che non può parlare di sede impedita del papa è proprio Benedetto XVI, il papa impedito. La rinuncia al ministerium, all’esercizio del potere pratico, è oggettiva, non è un pretesto. Assolutamente fantastica la frase che segue dopo che fa pensare immediatamente ai prelati invalidamente nominati da Bergoglio: ci sono dei “confratelli” che usano il fatto che Benedetto non può sostenere di essere il vero papa (essendo impedito) per nascondere cose che li riguardano cioè il fatto che la loro nomina prelatizia sia nulla. E il “vecchio problema da risolvere” è esattamente il fatto che Benedetto non ha mai abdicato, quindi Bergoglio è antipapa e le nomine da lui fatte sono del tutto invalide. I falsi neo-prelati bergogliani dovrebbero interrogarsi su questo, invece di accontentarsi di una berretta finta conferita loro dall’antipapa.

6) “Questi  cosiddetti testimoni  fanno molto più danni delle persone che commettono abusi liturgici”

 Questa è forse la frase più straordinaria di tutte e la più profonda a livello spirituale. Tipico riferimento alle Scritture. Infatti, nessuno ha mai indicato don Minutella e i suoi come “testimoni”, né loro si sono mai definiti così. Allora perché Mons. Gänswein  usa questo strano sostantivo? 

La risposta si trova nella Scrittura, in Apocalisse 11, nel capitolo “I DUE TESTIMONI”.

“… Farò in modo che i miei due Testimoni, vestiti di sacco, compiano la loro missione di profeti per milleduecentosessanta giorni». 4 Questi sono i due olivi e le due lampade che stanno davanti al Signore della terra. 5 Se qualcuno pensasse di far loro del male, uscirà dalla loro bocca un fuoco che divorerà i loro nemici. Così deve perire chiunque pensi di far loro del male. 6 Essi hanno il potere di chiudere il cielo, perché non cada pioggia nei giorni del loro ministero profetico. Essi hanno anche potere di cambiar l'acqua in sangue e di colpire la terra con ogni sorta di flagelli tutte le volte che lo vorranno”.

Come vedete, i testimoni fanno un gran danno - alla falsa chiesa bergogliana - molto più di quelli che commettono abusi liturgici i quali, come nel caso di Don Corazzina, QUI svelano ogni giorno la verità sull’antichiesa.  Dal punto di vista teologico, l’accenno ai testimoni parla chiaramente di Apocalisse, quindi di un Falso Profeta, un’autorità religiosa maligna che supporta l’avvento di un’autorità laica, l’Anticristo. Quindi se Bergoglio fra qualche tempo vi presenterà un grande personaggio laico, fascinatore di folle che porterà la pace “parlando sei volte meglio di Cristo”, non stupitevi poi troppo.

7) Infine,  Mons. Gänswein  consiglia a Padre Ghebard di “parlarne una volta per tutte con il Padre Spirituale, la sospensione di padre Ghebart può davvero essere tolta se lui riconosce di essere sulla strada sbagliata“.

Anche questa frase è assolutamente fantastica. Oltre il significato bergoglianamente corretto apparente ce n’è un altro molto più profondo e spirituale: padre Gebhard è stato sospeso a divinis perché si è dimostrato fedele a papa Benedetto. E’ assolutamente fattuale che la sospensione di don Gebhard potrebbe davvero essere revocata se lui tornasse sui suoi passi, dicendo di essersi sbagliato. Ma questo rapporto causa-effetto non ha nulla a che vedere con il fatto che sia una scelta giusta.

E’ come dire: “San Sebastiano avrebbe avuto salva la vita dall’imperatore Diocleziano se avesse rinnegato la fede cristiana”. Vero, ma non c’è alcuna adesione al rinnegare la fede, anzi.

Quindi, don Gebhard deve confrontarsi, in definitiva, una volta per tutte, col Padre Spirituale, (non il vescovo bergogliano, o un “suo” padre spirituale, come dovrebbe essere), ma con Dio stesso (il Padre Spirituale per eccellenza) per vedere nella sua coscienza se barattare la verità della sua posizione con la revoca della sospensione a divinis, oppure no. Questo è il dilemma di fede che attanaglia tutti gli ecclesiastici che si dichiarano fedeli al vero papa in sede impedita. 

A questo punto, si aprono davanti a Voi lettori due strade: potete accogliere l’interpretazione bergoglianamente corretta, facile, comoda, la “strada larga” e in discesa che non richiede fatica mentale, oppure potete imboccare la strada stretta, quella che costringe a ragionare e che, alla fine, vedrete essere assolutamente confermata dalla Logica, dal Logos.

E’ esattamente ciò che intende il Santo Padre Benedetto XVI: “separare i credenti dai non credenti”, come dichiarò all’Herder Korrespondenz un anno fa.

Mons. Gänswein in Codice Ratzinger: “Don Minutella è pazzo” (per amore di Cristo). Andrea Cionci su Libero Quotidiano il 03 ottobre 2022

Andrea Cionci. Storico dell'arte, giornalista e scrittore, si occupa di storia, archeologia e religione. Cultore di opera lirica, ideatore del metodo “Mimerito” sperimentato dal Miur e promotore del progetto di risonanza internazionale “Plinio”, è stato reporter dall'Afghanistan e dall'Himalaya. Ha appena pubblicato il romanzo "Eugénie" (Bibliotheka). Ricercatore del bello, del sano e del vero – per quanto scomodi - vive una relazione complicata con l'Italia che ama alla follia sebbene, non di rado, gli spezzi il cuore

Qualche giorno fa, abbiamo trattato QUI  di una telefonata-choc avuta da Mons. Georg Gänswein con un prete bergogliano tedesco fratello di un sacerdote del Sodalizio Mariano di don Alessandro Minutella, il teologo palermitano che, fin dal 2018, grida al mondo dal suo canale Youtube Radio Domina Nostra che Bergoglio non è il vero papa. Per questo, don Minutella si è attirato ogni sorta di persecuzione mediatica, sociale e canonica oltre al bullismo di certi “confratelli” bergogliani e una cum (conservatori legittimisti di Bergoglio) QUI  .

La telefonata è stata traumatica per il Piccolo Resto fedele a Benedetto XVI perché, di primo acchitto, il segretario del vero papa ha avuto parole durissime e offensive verso don Minutella, il quale ne è rimasto molto scosso, pur aprendo alla possibilità che in quelle frasi potessero essere contenuti i consueti “codici Ratzinger” che voi tutti conoscete.

Certo, il Piccolo Resto è molto provato da questa situazione, ma purtroppo siccome papa Benedetto è ancora impedito e la situazione non è cambiata di una virgola, il Santo Padre e il suo segretario sono ancora costretti a usare questo straordinario LINGUAGGIO A DUE LIVELLI. Il primo livello è quello superficiale, apparente, dozzinale, “ad usum bergoglianorum” che fa contento e canzonato il mainstream. Il secondo livello è coltissimo, profondo, meravigliosamente logico e svela una realtà completamente diversa solo per chi ha orecchie per intendere (ma basta anche un minimo di buon senso). Il Codice Ratzinger è infatti un sistema autoselettivo per nuovi, veri cattolici, come abbiamo scritto.

Abbiamo decodificato quasi tutte le frasi di Mons. Gänswein , (scoprendo contenuti straordinari): siamo in attesa di una conferma letterale su alcune altre, ma intanto vi proponiamo quelle più accertate.

Il segretario di papa Benedetto ha detto al telefono che “Don Minutella è un PAZZO e anche chi lo segue è un pazzo”. (“Irre” in tedesco). Ha specificato poi che “Don Minutella è TEOLOGICAMENTE fuori di testa”.

E qui salutiamo i lettori bergogliani che, gongolando e sghignazzando, se ne andranno soddisfatti per la loro strada.

Tutti gli altri, interessati alla verità, ci seguano per qualche altro paragrafo.

Nel Vangelo di Matteo (5,22) si legge: "Ma io vi dico: chiunque si adira con il proprio fratello dovrà essere sottoposto al giudizio. Chi poi dice al fratello: «Stupido», dovrà essere sottoposto al sinedrio; E CHI GLI DICE: «PAZZO», SARÀ DESTINATO AL FUOCO DELLA GEÈNNA”.

Il senso di questo passo ce lo spiega La Nuova Bussola quotidiana QUI : “Ogni nostro tentativo di fare altre mortificazioni è vano se il nostro cuore nutre inimicizie verso il fratello, l'amico, il coniuge; se coviamo rancori, se le nostre parole sono come pietre pronte a seppellire con l’ingiuria, la maldicenza, l’umiliazione.”

Quindi, a meno di non considerare che Mons. Gänswein  non ricordi bene il Vangelo e che voglia essere gettato nella Geenna, a meno di non notare come l’arcivescovo, sempre elegante e signorile, abbia stranamente iniziato ad usare un linguaggio becero e offensivo, la parola “pazzo” non è da intendersi come un insulto, come una gratuita e umiliante maldicenza sulla salute mentale di don Minutella e dei suoi. E qual è, allora, quest’altro significato di “pazzo”?

Quello TEOLOGICO, appunto, e non a caso Mons Gänswein  specifica che "Don Minutella è TEOLOGICAMENTE fuori di testa".

Citiamo dalla I Lettera di San Paolo ai Corinzi (4,10)  QUI: “Così, a causa di Cristo, NOI SIAMO I PAZZI e voi i sapienti! Noi i deboli, voi i forti! Noi i disprezzati e voi gli onorati! Noi, fino a questo momento almeno, soffriamo la fame, la sete, il freddo, i maltrattamenti e non abbiamo una casa. Lavoriamo con le nostre mani e ci affatichiamo. Quando ci insultano, benediciamo. Quando ci perseguitano, sopportiamo. Quando dicono male di noi, rispondiamo amichevolmente. Siamo diventati la spazzatura del mondo, il rifiuto di tutti, e lo siamo tuttora”.

E questo è esattamente quello che subisce e fa don Minutella, il quale, sospeso a divinis, scomunicato due volte, ridotto allo stato laicale (nonostante sia tutto invalido in quanto comminato dalla chiesa antipapale) viene da anni maltrattato, insultato perseguitato, disprezzato e, soprattutto, trattato come un pazzo, tanto che alcuni hanno perfino – realmente - azzardato una perizia psichiatrica su di lui.

In una narrativa bergogliana, al massimo Mons. Gänswein  avrebbe potuto dire che Don Minutella è "vittima di un equivoco canonico", o che al massimo è "ostinatamente refrattario alle spiegazioni canoniche" (che non sono mai arrivate, ovviamente, in quanto c'è poco da spiegare).

Certo non avrebbe potuto dargli del pazzo senza commettere un brutto peccato di maldicenza e ingiuria.

Quindi, logicamente, il significato reale della parola “pazzo” non può che essere quello di San Paolo: il tema teologico della follia in Cristo, o stoltezza in Cristo, del resto, è notissimo. Tanti santi sono stati definiti pazzi, folli, stolti. La storica enciclopedia tedesca di Brockhaus definisce questa maniera di vivere come “l'atteggiamento di coloro che, spinti dall'amore di Dio e del prossimo, hanno adottato una forma ascetica di pietà cristiana che si chiama " follia " per amore di Cristo. Essi rinunciavano volontariamente non soltanto alle comodità e ai beni familiari, ma accettavano di essere considerati pazzi, gente che non ammette le leggi della convivenza e del pudore e si permette azioni scandalose. Tali asceti non avevano paura di dire la verità ai potenti di questo mondo e di accusare quanti avevano dimenticato la giustizia di Dio. Al contrario, consolavano quelli la cui pietà era basata sul timore di Dio”.

Perfino Benedetto XVI si fece dare del pazzo ben volentieri: in “Codice Ratzinger” (Byoblu ed.), a pag. 143, è citato l’episodio in cui il card. Ratzinger nel 1989 accettò da una associazione goliardica di Monaco un premio carnascialesco.

Ecco come si giustificò l’allora Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede: «Un ordine buffonesco, mediante cui prendiamo in giro noi stessi e la serietà del gran mondo, è una buona cosa. Ed è anche per questo che l’ho ricevuto volentieri. Alcuni hanno esposto dubbi sul fatto che ciò si accordi con un’occupazione così seria come la mia. A me pare che vi ci si adatti benissimo, giacché, notoriamente, poter dire la verità è il privilegio dei folli. Alle corti degli antichi potentati, il giullare era spesso l’unico a potersi permettere il lusso della verità … E siccome per la mia occupazione mi accade di dover dire la verità, sono davvero felice di essere stato or ora accettato nella categoria di coloro i quali godono di quel privilegio … “Noi siamo folli per amore di Cristo”102 (1 Corinzi 4,10)».

Avete capito il gigantismo millenario degli eventi ai quali stiamo assistendo?

Così Mons. Gänswein , con ogni probabilità dietro input dello stesso Santo Padre Benedetto XVI, è riuscito a dire a tutti voi che avete orecchie per intendere cosa pensa di Don Minutella, questo eroico sacerdote che, da oggi in poi, sarà ancora più attaccato di prima. Ma non vacillerà. 

Mons. Gaenswein: con Benedetto XVI o con Bergoglio? La sede impedita spiega il mistero. Andrea Cionci

su Libero Quotidiano il 28 settembre 2022 

Andrea Cionci. Storico dell'arte, giornalista e scrittore, si occupa di storia, archeologia e religione. Cultore di opera lirica, ideatore del metodo “Mimerito” sperimentato dal Miur e promotore del progetto di risonanza internazionale “Plinio”, è stato reporter dall'Afghanistan e dall'Himalaya. Ha appena pubblicato il romanzo "Eugénie" (Bibliotheka). Ricercatore del bello, del sano e del vero – per quanto scomodi - vive una relazione complicata con l'Italia che ama alla follia sebbene, non di rado, gli spezzi il cuore

Forse non ci crederete, ma il mistero più grande di tutta la Magna Quaestio non è stato quello della sede impedita nella quale si è rifugiato il Santo Padre Benedetto XVI. Come sapete, questo è avvenuto con un espediente canonico preparato da 30 anni, che gli ha consentito di rimanere l’unico papa e di scismare l’antipapa usurpatore Bergoglio, come ampiamente illustrato nel libro inchiesta “Codice Ratzinger” (Byoblu ed.), oggi fra i più letti in Italia.  

Il vero “mistero dei misteri” è stato, fino a qualche tempo fa, costituito da Mons. Gaenswein: “ma da che parte sta?”, vi sarete chiesti anche voi. E’ l’occhiuto carceriere bergogliano di papa Benedetto, oppure un fedelissimo e santo vescovo che lo protegge?

Infatti, l’arcivescovo di Urbisaglia ha già espresso, in passato, dichiarazioni contraddittorie: “Il papa è uno ed è chiaro che è Francesco”, ad esempio. La frase ha mandato in solluchero i bergogliani, ma ha sancito indirettamente e inequivocabilmente che Benedetto XVI non ha MAI detto esplicitamente che il papa è Francesco. (Se “è chiaro”, infatti, vuole dire che lo si è dedotto in mancanza di dati certi).

Così, già altre volte Mons. Gaenswein ha fatto rare dichiarazioni pro-Bergoglio, ma ha soprattutto espresso concetti devastanti, come il discorso del “ministero allargato” QUI durante il quale ha spiegato che il “partito” di cardinali che candidava Bergoglio, la Mafia di San Gallo (come emerso l’anno prima dalla autobiografia del citato card. Danneels) era quello di “una dittatura del relativismo che non riconosce nulla come definitivo e che lascia come ultima misura solo il proprio io e le sue voglie”.  QUI Vi rendete conto?

Ora, come scriviamo dall’agosto 2021, papa Benedetto è in sede impedita, uno status canonico dove il papa è confinato, prigioniero, non libero di esprimersi. Nessuna smentita, né dai canonisti, né dal Vaticano bergogliano, né tantomeno dal Santo Padre Ratzinger.

Papa Benedetto è riuscito nell’impresa sovrumana di dire sempre la verità riguardo se stesso, attraverso un “codice Ratzinger” che gli consente di selezionare solo chi ha orecchie per intendere. Per esempio, ciò avviene quando dice che ha “liberamente rinunciato al suo ministero”: siccome munus e ministerium si traducono entrambi con la parola ministero, lui sta dicendo la verità, cioè che ha rinunciato all’esercizio pratico del potere (ministero-ministerium) perché impedito, e non al titolo (ministero-munus) che lo avrebbe fatto abdicare. Carta canta. Ma il mainstream e gli una cum non ci arrivano o non vogliono capirlo.

Mons. Gaenswein, invece, non è tenuto a un simile rigore perché non parla per se stesso, è a contatto diretto col mondo esterno e deve proteggere papa Benedetto. Quindi, se sollecitato da bergogliani può dover confermare la narrativa dell’usurpatore, come un prigioniero che, sotto minaccia dei nemici, ubbidisce, fa e dice quello che loro vogliono. Peraltro, si ricordi che papa Benedetto ha promesso obbedienza e reverenza al suo successore-usurpatore.

Ne segue che, dato lo status oggettivo, mai smentito della sede impedita, vale meno di zero ciò che viene detto di collimante con la narrativa dei carcerieri, ma conta solo quello che va in controtendenza. La spiegazione è molto semplice: immaginate una persona sequestrata in casa, col rapinatore che la minaccia con la pistola dietro la porta. Suona un vicino e gli chiede: “Tutto bene?”, “Certo - risponde il sequestrato - tutto a posto, non rispondevo al telefono perché ero sotto la doccia”. E intanto fa degli occhiolini, delle smorfie strane per negare quanto sta dicendo. Ovviamente non conta la versione verbale espressa sotto minaccia, ma contano SOLO i segnali in controtendenza. Così, di quanto dichiara Mons. Gaenswein, contano solo i discorsi pro-impedimento di Benedetto e non quelli pro-Bergoglio, PER LA NATURA STESSA DELLA SEDE IMPEDITA che impedisce agli impediti di esprimersi liberamente.  Ci siamo? Quindi, mai e poi mai Benedetto XVI o Mons. Gaenswein potranno confermare esplicitamente che sono in sede impedita fin quando si troveranno in sede impedita. 

Ed arriviamo all’ultimo caso, appena divulgato su Radio Domina Nostra da don Alessandro Minutella, il sacerdote fedelissimo di papa Benedetto presuntamente scomunicato e ridotto allo stato laicale da Bergoglio.

Il fratello di un sacerdote del suo sodalizio, questi bergogliano, ha avuto una telefonata con Mons. Gaenswein, organizzata dal di lui fratello Helmut. L’occasione quindi era stata preparata.

Alle domande poste dal sacerdote circa il movimento lealista a Benedetto XVI, Mons. Gaenswein ha risposto con parole molto sopra le righe. Ha detto che “don Minutella è un pazzo”, che il suo libro “Pietro dove sei?” è carta straccia e – forse – qualcosa anche su “Codice Ratzinger”, ma il sacerdote non ha capito bene, probabilmente qualcosa di negativo.

La dichiarazione ha preso in contropiede il Piccolo Resto, ma inutilmente. Anzi. Come meravigliarsi del fatto che, a un prete bergogliano, in una telefonata presumibilmente tenuta sotto controllo, l’impedito Mons. Gaenswein, segretario dell’impedito papa Benedetto potesse dire qualcosa di contrario alla narrativa degli impeditori? Ve lo immaginate l’arcivescovo confidare per telefono al prete bergogliano: “Sì certo, don Minutella ha ragione, il papa è in sede impedita e l’antipapato di Francesco sarà annullato”?

Anzi, questo linguaggio così enfatizzato dimostra esattamente il contrario: infatti, se don Minutella fosse pazzo, per il diritto canonico non poteva essere scomunicato, né ridotto allo stato laicale, ma semmai rinchiuso in un istituto sanitario per sacerdoti. 

In ogni caso, per una questione di ovvia carità cristiana, la questione don Minutella poteva essere risolta da papa Benedetto o da Mons. Gaenswein già nel 2018, spiegando pacatamente al teologo palermitano per quale motivo canonico Benedetto avrebbe regolarmente abdicato. “Caro don Alessandro, guarda qui, rinunciare al ministerium in modo differito e non ratificato va benissimo come abdicazione, per questo, questo e quest’altro motivo canonico”. E Mons. Gaenswein pare sia anche laureato nella materia, o in ogni caso poteva farselo spiegare da papa Benedetto. E invece non è stato fatto perché la Declaratio come rinuncia è del tutto invalida. Lo ha dimostrato l’avvocatessa Estefania Acosta in un libro giuridico di 300 pagine "Bendetto XVI: papa emerito?" che non è mai stato smentito.

Mons. Gaenswein ha detto anche che gli errori di latino non rendono invalido il documento, e HA RAGIONE. Lo ha sempre sostenuto l’avvocatessa Acosta e noi con lei: gli errori di latino sono solo un richiamo sugli errori giuridici della Declaratio se interpretata come un’abdicazione. Ma abbiamo visto come il documento non abbia errori giuridici in quanto è un annuncio non giuridico, ma perfettamente coerente, di sede impedita e non un’abdicazione. Infatti non è mai stata ratificata dopo l’ora X.

Mons. Gaenswein ha, quindi, lanciato un clamoroso sasso nello stagno – fornendo non pochi codici Ratzinger - che rianima e stimola il dibattito sulla questione, dato che la mediocre, ma funzionale tecnica difensiva dei bergogliani è quella di tenere tutto oscurato e sotto silenzio.

E’, quindi, il solito sistema di selezione del Codice Ratzinger: i bergogliani si accontenteranno della versione superficiale e apparente, ma papa Benedetto vuole farvi scendere nella dimensione della super-verità. Ovviamente, dato che si parla di sede impedita, nulla di quanto detto da papa Benedetto (qualora fosse mai uscito qualcosa di univoco) o da mons. Gaenswein in accordo con la versione degli impeditori può mai essere presa letteralmente. E’ come se per sincerarsi che una persona non sia sequestrata in casa, bastasse fargli una telefonata. E’ chiaro che il sequestrato, può fare solo due cose: o ripetere che tutto va bene, con la pistola alla tempia, o lanciare dei segnali velati. L’unico modo per verificare che non sia davvero sequestrato è entrare in casa sua, e ispezionare ovunque.

Allo stesso modo, anche se papa Benedetto in persona dicesse che il papa è Francesco, che lui celebra in comunione con Francesco, che il suo successore è un santo e che la sua Declaratio canonicamente è una rinuncia valida al papato, non potrebbe essere preso in considerazione. Anche perché il papa stesso è sottoposto al diritto canonico e quindi a decidere se la sua Declaratio è valida, non è lui, ma deve essere un sinodo provinciale, un concilio, una commissione di canonisti specializzati a totale garanzia di indipendenza. E dovrebbe essere Bergoglio per primo a chiedere chiarezza su una simile questione. MA NON LO FA, e sappiamo perché.

A riprova di quanto affermiamo, ci sono i sostenitori dell’errore sostanziale, i quali sono convinti che papa Benedetto abbia scritto male la Declaratio perché è sbadato e/o modernista e che quindi sia rimasto papa CONTRO LA SUA STESSA VOLONTA’. In termini teorici è plausibile, perché ciò che conta è l'atto, se è stato scritto validamente o no, ma quest’ultimo dettaglio circa l'inconsapevolezza del papa Benedetto è stato smentito dal Codice Ratzinger appunto, che dimostra in modo inequivocabile come Benedetto sia perfettamente consapevole di ciò che ha fatto. La posizione degli errorsostanzialisti dimostra che l’unica cosa che conta, alla fine, è il documento canonico: se è valido come abdicazione, oppure no. E non lo è.

In sintesi, Mons. Gaenswein è del tutto fedele a papa Benedetto, anche il suo pianto dirotto in varie occasioni lo dimostra a livello immediato (a meno che non abbia frequentato per anni l’Actor Studio) ma a volte deve difendere la narrativa bergogliana perché, come papa Benedetto, è impedito. E così Mons. Gaenswein lo fa, almeno, in modo enfatico, eccessivo, volutamente sprezzante, brutalmente assertivo come i bergogliani, per nulla confacente allo stile di papa Benedetto, che è adamantino, razionale e caritatevole. Il vescovo fa così proprio per far capire l’impedimento a chi ha orecchie per intendere.

Ovviamente, l’unico modo per smentire l’impedimento di papa Benedetto NON può essere quello di chiedere a lui o al suo segretario impediti (è un controsenso, no?) ma è “mandare la polizia a casa”, cioè un sinodo provinciale che, pubblicamente, esamini la Declaratio e si esprima in termini giuridici sull'impedimento del vescovo di Roma. A questo si dovrebbe aggiungere una conferenza stampa diretta di papa Benedetto, fatta di fronte alle telecamere di tutto il mondo, con le massime garanzie di sicurezza.

Finché non arriva questo tipo di pronunciamento dalla Chiesa, le parole filobergogliane stanno a zero e Benedetto è impedito.

Poi, una volta che il sinodo riuscirà mai a dimostrare valida l’abdicazione di Benedetto e l’inesistente sede impedita, si tratterà di dimostrare come Bergoglio potrebbe mai continuare a essere papa e a non essere decaduto da un pezzo per le sue eresie e apostasie. Ma questa sarà un'altra questione. 

Insomma, avete voglia a lavoro da fare. Quindi, se siete cattolici, state tranquilli e continuate a gridare più forte di prima dai tetti che il vero papa è solo Benedetto XVI in sede impedita.

Perché i media non hanno capito Ratzinger. Andrea Muratore il 13 Settembre 2022 su Il Giornale.

Giovanna Chirri, autrice dello scoop mondiale delle dimissioni di Benedetto XVI, racconta ne "I coccodrilli di Ratzinger" i rapporti, spesso complessi, tra media e Vaticano 

Il caso delle dimissioni di Papa Benedetto XVI, annunciate l'11 febbraio 2013, è stato uno degli ultimi in cui il metodo giornalistico ha permesso di ottenere uno scoop mondiale a un singolo attore pur nel cuore di un luogo estremamente presidiato come il Vaticano. La mattina del 10 febbraio si tenne in Vaticano il Concistoro per la canonizzazione dei Martiri d'Otranto. Un evento apparentemente marginale nella fitta agenda papale durante il quale, però, papa Benedetto XVI, con un discorso in latino, annunciò al mondo la sua scelta. La giornalista dell'Ansa Giovanna Chirri, presente all'evento, forte della sua conoscenza del latino riuscì a intuire e a bruciare tutta la concorrenza: l'Ansa battè su indicazione della Chirri il lancio di agenzia che diede la notizia al mondo scrivendo che Joseph Ratzinger si era dimesso alle 11:42 dell'11 febbraio 2013.

La mossa segnò un vero e proprio ribaltamento del rapporto tra l'attuale Papa emerito e i media, che la stessa Chirri ha raccontato nel suo recente libro I coccodrilli di Ratzinger, in cui parla della lunga esperienza come vaticanista e della necessità di entrare a contatto con un mondo complesso e variegato in relazione alle dinamiche della Santa Sede. Benedetto XVI è stato, negli otto anni di pontificato e anche dopo, spesso incompreso dai media. Raffinato teologo, conservatore nell'indole, poco avvezzo ai gesti eclatanti come il predecessore Giovanni Paolo II e il successore Francesco, Benedetto XVI ha spesso goduto di un negativo pregiudizio mediatico, soprattutto in campo liberal-progressista. La Chirri, annunciando al mondo le sue dimissioni, ha mostrato invece l'altra faccia della medaglia, quella di un sottobosco mediatico attento a cercare di seguire con attenzione le dinamiche dei Sacri Palazzi e l'attività quotidiana del Papa, in cui ogni parola o gesto può, anche se inavvertitamente, creare eventi di portata storica.

Il libro della Chirri mostra come il lavoro dei media nel campo dell'informazione religiosa debba essere profondamente attento, meticoloso e scrupoloso. Pena la mancanza di comprensione sul presente e una serie di equivoci. E la semplificazione interpretativa. Per esempio, i media spesso hanno semplificato le analisi sulle dimissioni di Benedetto XVI furono una fuga, una resa, un cedimento ai suoi “avversari” interni alla Chiesa, come alcuni dissero dopo l’11 febbraio 2013. La Chirri, forte di una conoscenza di lungo corso del pontificato, respinge questa tesi e nel libro scrive che Ratzinger “ha scelto in piena libertà, senza costrizioni, E ha vissuto questa decisione come ha vissuto tutto il pontificato, come un servizio alla Chiesa e per l’unità della Chiesa. Più che una resa, dunque, la rinuncia al soglio di Pietro sembra il gesto coraggioso di chi capisce di non essere più in grado di svolgere un compito e fa posto a chi lo potrà svolgere. Non una fuga ma un atto di coraggio”.

I gesti eclatanti e la mediaticità di Giovanni Paolo II e Francesco hanno reso più complesso, per i lavoratori più scrupolosi, lavorare nell'informazione religiosa. L'evento dell'11 febbraio 2013 resta, a tal proposito, un unicum negli ultimi anni. Ratzinger, uomo più sfuggente, andava e va capito, seguito con attenzione. La sua preferenza per l'uso del latino negli eventi solenni non facilitava, certamente, l'approccio mediatico in molti casi. Ma ha favorito chi ha voluto raccontare il suo pontificato nel migliore dei modi: con le parole del titolare della Cattedra di Pietro. "Ho raccontato diverse volte come la rinuncia di Benedetto XVI non sia stata la prima volta che ricavavo le notizie del latino, e come quel giorno storico la notizia sia stata compresa e poi diffusa grazie a un mix di mestiere, esperienza, cultura e fortuna di cui il latino era certo parte, ma non in maniera esclusiva", chiosa la Chirri. "È certo comunque che quel giorno sono stata agevolata dall’essere una italiana che ha frequentato il liceo classico negli anni Settanta, e che senza i tanto vituperati e tacciati di inutilità studi classici, lo scoop sicuramente non lo avrei fatto", aggiunge. 

Ratzinger, col senno di poi, è stato un Papa estremamente capace di discontinuità e svolte. Dalla lotta alla pedofilia alla dottrina sociale della Chiesa, dai rapporti con l'Est fino alla riflessione sulla gestione del patrimonio petrino, non c'è campo in cui dopo di lui Papa Francesco non sia intervenuto partendo da una riflessione ratzingeriana. Puntualmente i media hanno sottovalutato il Papa emerito negli otto anni di pontificato.

Lo hanno fatto ai tempi della Lezione di Ratisbona del 2007, creando il mito del Papa islamofobo. Nel 2009, alla pubblicazione della Caritas in Veritate, hanno snobbato i suoi riferimenti all'etica e all'ambiente, al massimo irridendoli in paragone con le ricchezze del Vaticano; nel 2009, oltre Atlantico, perfino il liberal New York Times si è dovuto ricredere definendo "un trionfo" la visita americana di Benedetto XVI per le prese di posizione, dure e inaspettate, sulla pedofilia; tra il 2012 e il 2013 la grande battaglia per la trasparenza dello Ior è stata a sua volta sottovalutata. E ancora oggi il Papa emerito torna a fare notizia, troppo spesso, da persona incompresa, come vittima di un pregiudizio mediatico: l'assurdità delle accuse sul fronte della pedofilia ai tempi dell'arcidiocesi di Monaco, come dimostrato su queste colonne, è solo l'ultimo degli esempi e l'endorsement di molti media a questa tesi conferma che la prassi non è cambiata. Anzi, si è sdoppiata con l'aggiunta dei tentativi di frange reazionarie e oltranziste di creare un dualismo tutto mediatico tra Papa emerito e Papa regnante. Il saggio della Chirri insegna che per approcciarsi alla comprensione del Vaticano serve capire, studiare e mai banalizzare. Leggere il segno dei tempi, come ama ripetere Benedetto XVI, è la chiave per capire il mondo. E per capire anche la Chiesa oltre personalizzazioni e fragilità teoriche.

Il Ticonio di Ratzinger svela sede impedita e Fatima: Bergoglio è un vescovo bianco. Andrea Cionci su Libero Quotidiano il 12 settembre 2022

Andrea Cionci. Storico dell'arte, giornalista e scrittore, si occupa di storia, archeologia e religione. Cultore di opera lirica, ideatore del metodo “Mimerito” sperimentato dal Miur e promotore del progetto di risonanza internazionale “Plinio”, è stato reporter dall'Afghanistan e dall'Himalaya. Ha appena pubblicato il romanzo "Eugénie" (Bibliotheka). Ricercatore del bello, del sano e del vero – per quanto scomodi - vive una relazione complicata con l'Italia che ama alla follia sebbene, non di rado, gli spezzi il cuore

Pochi giorni fa, il Santo Padre Benedetto XVI, in una lettera indirizzata al centro Studi Gioacchino da Fiore ha scritto: “Nell’agire storico di Dio, la verità si svela gradatamente”. 

Laici o cattolici che siate, è un fatto oggettivo che la verità della sua sede impedita si è svelata gradatamente, in un processo di montaggio logico di tanti fatti e documenti  indagati su questa pagina e poi riordinati nel libro inchiesta “Codice Ratzinger” (Byoblu ed. maggio 2022).

Oggi, però, si aggiunge un’altra importantissima tessera alla ricomposizione di questo mosaico.

Sul blog dell'autorevole vaticanista Marco Tosatti è stato pubblicato un testo sulla predilezione di Joseph Ratzinger (fin dal 1956) per Ticonio, un teologo romano del IV secolo autore di un commento all’Apocalisse. Questo conferma in toto la questione della sede impedita e del futuro annullamento della falsa chiesa bergogliana, ma chiude anche il cerchio sul terzo Segreto di Fatima.

Spiega papa Benedetto nell’udienza del 22 aprile 2009: “Ticonio era giunto alla convinzione che la Chiesa fosse un corpo bipartito: una parte, egli dice, appartiene a Cristo, ma c’è un’altra parte della Chiesa che appartiene al diavolo”.

Per Ticonio, da sempre nella Chiesa alberga una parte maligna, formata dai cristiani impostori che, insieme ai pagani, costituiscono la città del diavolo.

Il problema è che l’antichiesa, questa fronda di traditori, è nascosta, si maschera benissimo all’interno della vera Chiesa, e Ticonio la individua con le espressioni bibliche “mistero d’iniquità” (San Paolo) e “abominio della desolazione” (profeta Daniele).

Secondo Ticonio, questa entità abominevole e avversa sarà pienamente smascherata solo quando ci sarà la grande DISCESSIO, dove il termine latino sta per “caduta” o “separazione”. Solo allora appariranno chiari gli schieramenti: da un lato, la città di Dio con la vera Chiesa, e dall’altro la città del diavolo costituita dagli impostori dell’antichiesa uniti ai pagani.

Il paradosso è che questa Discessio non comporterà l’espulsione della parte marcia dalla vera Chiesa come è stato per secoli, fino al 2013, con i tanti scismi che hanno cacciato gli eretici. Avverrà, invece, il contrario: sarà la vera Chiesa, RITIRANDOSI, togliendosi di mezzo, a far sì che venga alla luce l’antichiesa da sempre rimasta nascosta al suo interno come un parassita maligno.

Come spiega Tyconio: “È necessario che l’Anticristo sia rivelato in tutto il mondo, e che allo stesso modo sia sconfitto ovunque dalla Chiesa… Ma ora è nascosto nella Chiesa”.

Ma chi è che porterà l’antichiesa a un potere tale da costringere la vera Chiesa a ritirarsi? Ticonio è categorico: sono alcuni falsi fratelli che si trovano tra i dirigenti della Chiesa: “I vescovi, sotto l’apparenza di un dono della Chiesa, fanno ciò che fa avanzare la volontà del diavolo”.

E questo è ESATTAMENTE quello che è avvenuto nei fatti. Costretto a togliersi di mezzo dall’alto clero modernista infedele, (vescovi e cardinali della Mafia di San Gallo) il Santo Padre Benedetto XVI l’11febbraio 2013, con quel mirabile documento della Declaratio, non ha affatto abdicato, come sapete, ma si è RITIRATO in sede impedita. I prelati dell’antichiesa, nella loro bramosia di potere, hanno frettolosamente convocato - a papa non morto e non abdicatario - un conclave invalido eleggendo un antipapa. E così, nel giro di nove anni, l’antichiesa è venuta fuori, come un ascesso in suppurazione, e si è manifestata per quello che è: eretica, apostata, inversiva, distruttrice del Cattolicesimo e fedele alleata dei pagani, cioè dei poteri novomondialisti.

Esattamente come nella previsione di Ticonio, papa Benedetto si è ritirato, rinunciando all’esercizio del potere pratico ed autoesiliandosi in Vaticano. Poco a poco, dietro di lui sono venuti dei sacerdoti fedeli, guidati da preti-eroi, QUI che si sono tirati dietro decine di migliaia di fedeli: un nuovo esodo, una nuova fuoriuscita dalla sinagoga.

Continuava papa Benedetto nella sua udienza: “Agostino lesse questo commento (di Ticonio n.d.r.) e ne trasse profitto, ma sottolineò fortemente che la Chiesa è nelle mani di Cristo, rimane il suo Corpo, formando con Lui un solo soggetto, partecipe della mediazione della grazia. Sottolinea perciò che la Chiesa non può mai essere separata da Gesù Cristo”.

Infatti: la vera Chiesa è giuridicamente solo quella in comunione con Benedetto XVI che non ha mai rinunciato al munus petrino, l’investitura di origine divina.

Ora, come vedete bene, qui siamo a un INCASTRO PERFETTO FRA TEOLOGIA, STORIA, ATTUALITA’, LATINO E DIRITTO CANONICO.

Non solo: anche l’aderenza all’aspetto profetico è oggettivamente plastica.

L’autore dell’articolo sul blog di Tosatti commenta: “Alla luce della teologia ticoniana, i vari commenti di Benedetto XVI sul significato del messaggio di Fatima assumono un nuovo significato. Diventa evidente che Benedetto XVI comprende il messaggio di Fatima nel contesto dell’affermazione di Ticonio secondo cui il male più grande per la Chiesa nei tempi finali è il male nascosto dentro di lei. […] Considerando che la Santa Sede aveva sostanzialmente chiuso la porta al Terzo Segreto di Fatima, la risposta di Benedetto è stata a dir poco stupefacente. Ora può anche essere percepita come “ticoniana”. Disse papa Ratzinger: “…oggi lo vediamo in modo realmente terrificante: che la più grande persecuzione della Chiesa non viene dai nemici fuori, ma nasce dal peccato nella Chiesa”.

E a questo punto, si chiede l’autore dell’articolo: “Benedetto si è reso conto che, come Papa, ha dovuto avviare il «ritiro» della vera Chiesa da quella falsa per inaugurare la grande apostasia e iniziare l’esposizione dei falsi fratelli che si sono infiltrati nella Chiesa ai massimi livelli?”.

CERTO CHE SE NE RENDE CONTO! Lo stiamo scrivendo da due anni! Già nell’aprile 2021 avevamo ipotizzato come Benedetto si fosse ispirato allo specchio citato nel terzo Segreto di Fatima, per impostare la dicotomia munus-ministerium (tratta dal diritto dinastico tedesco) ovvero un ente-soggetto e il suo riflesso.  QUI 

Ritirandosi genialmente dal ministerium, facendo in modo che, con un conclave invalido, lo collocassero formalmente in sede impedita, papa Benedetto ha portato con sé la vera Chiesa e ha lasciato che l‘antichiesa si smascherasse da sola - e platealmente - con nove anni di pazzie, eresie e stravaganze.

Continua l’autore: “Riflettendo sulla visione di suor Lucia, Antonio Socci propone che il “vescovo vestito di bianco” e il “Santo Padre” siano in realtà due persone distinte. Egli chiede provocatoriamente: «Il segreto che ha al centro due figure – il vescovo vestito di bianco e un vecchio papa – ci parla del presente? Chi sono queste due figure?».  Inoltre, Socci nota uno sviluppo davvero sorprendente: «Il 12 maggio 2017, a Fatima, è stato lo stesso Papa Bergoglio a dire di essere il vescovo vestito di bianco»”.

Infatti, Bergoglio è ESATTAMENTE UN VESCOVO VESTITO DI BIANCO dal punto di vista canonico perché è antipapa, in quanto eletto in un conclave invalido, e sia col papato che con l’antipapato SI PERDE LO STATUS CARDINALIZIO.

Questo è confermato in modo “logico-matematico” dal cosiddetto “Rompicapo della mozzetta rossa”, uno dei Codici Ratzinger più raffinati nel quale il Santo Padre spiega che Bergoglio ha scelto di vestirsi abusivamente di bianco perché non voleva accontentarsi della veste rossa da cardinale. QUI 

Ma allora nel Terzo Segreto si parla di due personaggi diversi, come affermava Antonio Socci? Un vescovo vestito di bianco e un vero papa, quel Santo Padre che, nella seconda parte, sale faticosamente la montagna verso la croce di sughero e poi viene barbaramente ucciso?

NO, a nostro giudizio. Il personaggio è sempre lo stesso: all’inizio, infatti, si specifica che il vescovo vestito di bianco è visto dai pastorelli ALLO SPECCHIO, quindi tutta la seconda parte del segreto, che apparentemente sembra riguardare un vero papa che viene trucidato da soldati, deve essere interpretata A ROVESCIO. Ciò che sembra fisico-descrittivo-letterale va interpretato, quindi, in modo metaforico e rovesciato, specchiato. Così, quel “Santo Padre” non è il vero papa, ma è il falso papa, il vescovo vestito di bianco che, giunto quasi a realizzare la falsa religione mondialista, privata del sacrificio di Cristo (la croce di friabile sughero che non potrebbe mai sostenere un uomo) viene smascherato, delegittimato da un gruppo di militanti. E questo avviene, cosa curiosa, quando l’antipapa è “prostrato in ginocchio”: interpretato a rovescio, nello specchio, non si tratterebbe di una vera posizione devozionale, ma il falso papa può essere considerato prostrato NEL ginocchio, cioè dal dolore al ginocchio. E ci saremmo anche qui: Bergoglio, piegato dal dolore al ginocchio si sta recando in sedia a rotelle ad Astana, in Khazakistan, per realizzare qualche pasticcio teologico interreligioso sincretista per dare la mazzata finale al vero Cattolicesimo. Potrete trovare QUI   la nostra interpretazione dell’intero terzo Segreto.

Ora saremo sicuramente attaccati per la “fuga in avanti” sull’aspetto profetico. Cancellate pure queste ultime considerazioni, se volete. Resta il dato oggettivo che quanto giuridicamente predisposto da papa Benedetto XVI è completamente sovrapponibile con quanto aveva teorizzato Ticonio 1700 anni fa: ritirarsi per smascherare la falsa chiesa. Il papa è uno solo, ed è Benedetto XVI. Se siete cattolici, rimanete in comunione con lui e gridate la verità dai tetti.

(ANSA il 22 giugno 2022) - Una vittima degli abusi commessi dal prete pedofilo, Peter H, ha sporto denuncia contro il papa emerito Joseph Ratzinger. Lo riportano Correctiv, die Zeit e la Beyrische Rundfunk. Benedetto XVI "aveva conoscenza della situazione e ha perlomeno preso in considerazione alla leggera che questo sacerdote potesse ripetere i suoi reati", si legge nella denuncia. 

L'autore della denuncia, che colpisce Ratzinger e altri alti rappresentanti della Chiesa, accusa l'ex pontefice del fatto che, negli anni 80, in qualità di arcivescovo, avesse accolto Peter H. nella sua diocesi di Monaco e Frisinga, nonostante gli abusi sessuali precedentemente commessi dal prete pedofilo.

E in Baviera, il sacerdote continuò a commetterne. I reati sono in gran parte prescritti, ma l'avvocato della vittima che ha sporto denuncia e che si è costituita parte civile, ha intentato un'azione per ottenere una sentenza di colpa della chiesa. Se il tribunale riconoscesse i reati del sacerdote, "la chiesa potrebbe essere costretta a risarcirgli il danno", scrivono i media tedeschi. La causa è stata depositata presso il tribunale regionale di Traunstein. Nei mesi scorsi Ratzinger ha ammesso a nome di tutta la chiesa "la grandissima colpa" di aver trascurato il grande male che da anni dissesta la chiesa cattolica.

Don Benko, un altro prete si dichiara fedele a Benedetto XVI: Bergoglio non è il papa. Andrea Cionci su Libero Quotidiano il 10 settembre 2022

Andrea Cionci. Storico dell'arte, giornalista e scrittore, si occupa di storia, archeologia e religione. Cultore di opera lirica, ideatore del metodo “Mimerito” sperimentato dal Miur e promotore del progetto di risonanza internazionale “Plinio”, è stato reporter dall'Afghanistan e dall'Himalaya. Ha appena pubblicato il romanzo "Eugénie" (Bibliotheka). Ricercatore del bello, del sano e del vero – per quanto scomodi - vive una relazione complicata con l'Italia che ama alla follia sebbene, non di rado, gli spezzi il cuore

Nella più assoluta indifferenza dei vaticanisti mainstream, si sta dipanando la vicenda più clamorosa per la Chiesa dai tempi dello Scisma d’Occidente. Continuano a venire fuori sacerdoti-eroi che dichiarano la propria fedeltà al vero papa Benedetto XVI il quale, come ormai sapete benissimo, non ha mai abdicato, ma, forzato a togliersi di mezzo, si è ritirato in sede impedita, (canone 412) una situazione canonica di prigionia che gli consente di restare quell’unico papa di cui parla da nove anni senza mai poter specificare quale dei due. Chiaramente, se si andrà in un prossimo conclave coi circa 120 falsi cardinali nominati da Bergoglio, verrà eletto un altro antipapa, e addio per sempre Chiesa canonica visibile. Si torna nelle catacombe.

La sede impedita non è nulla di astruso o di cavilloso: esiste fin dalle norme “Decretali” pontificie, ovvero dal 1200, e il canone 335 la individua esplicitamente come alternativa alla sede vacante: “Mentre la Sede romana è vacante o TOTALMENTE IMPEDITA, non si modifichi nulla nel governo della Chiesa universale”.

Quindi, se il papa rinuncia al munus petrino, abdica e la sede è vacante. Se il papa non può esercitare il ministerium, il potere pratico – come da Declaratio di papa Benedetto - la sede è impedita, lui resta papa, imprigionato. Ergo, chiunque eserciti il potere papale al suo posto è un antipapa usurpatore. Lo affermiamo da due anni, qui, con cadenza bisettimanale, ora anche nel bestseller "Codice Ratzinger" (Byoblu ed. maggio 2022) e nessuno ha potuto smentirci, nemmeno i canonisti pubblicamente interpellati che, a Bologna, per tutta risposta, dopo la scoperta della situazione giuridica, hanno costituito un gruppo di studio “sul papa emerito e il papa impedito”. ("Emerito" non vuol dire in pensione, ma colui che merita, che ha diritto di essere papa).

Quindi, per quanto scomodo, il clero e i fedeli devono scegliere da che parte stare: se con il vero papa impedito, o con l’antipapa regnante.

Il primo sacerdote ad aver scelto di seguire Cristo e il Suo Vicario è stato don Alessandro Minutella, sacerdote palermitano con due dottorati in teologia dogmatica il quale ha capito subito che Bergoglio non poteva certo essere il papa, con la sua spiritualità invertita e anticristica, il Bergogliesimo . Don Minutella ha pagato cara la sua fedeltà al vero pontefice: una sospensione a divinis, due scomuniche, una riduzione allo stato laicale. Ovviamente tutto invalido, in quanto le sanzioni sono state comminate dalla chiesa antipapale. Dopo di lui, Don Enrico Bernasconi, anch’egli invalidamente scomunicato, e con orgoglio. Poi si sono aggiunti Fra Celestino, padre Gebhardt (tedesco), don Johannes, (austriaco), padre Pavel (ceco) e don Natale. Non mancano diverse suore, di cui tratteremo a suo tempo. 

Oggi vi proponiamo alcune battute sintetizzate da una corposa intervista di Samuel Colombo  a don Robert Benko, “ex” salesiano della Slovacchia, 52enne, ordinato nel 2002, che ha fatto importanti dichiarazioni.

Padre, cosa che le ha fatto dire in coscienza che il Papa è e rimane ancora Benedetto XVI?

R. “Dal primo istante sapevo che Benedetto XVI è il vero Papa. Quando lui si è dimesso io, non capendo il latino, non sapevo cosa stesse succedendo, ma nel cuore sentivo che qualcosa non andava.. Tuttavia, non riuscivo a darmi una risposta in quel momento perchè non avevo materiale. La prima cosa che ho sentito dopo l’elezione di Bergoglio, che i nostri preti diocesani di Šaštín (ma non solo) ci hanno detto, era che l’elezione era invalida perché non erano state rispettate le regole”.

 E perché questi preti non sono usciti allo scoperto?

R. “Io in quel tempo, quando ho sentito che era invalida, volevo uscire subito, però mi hanno detto: “Se esci, cosa fari da solo? Da solo non fai niente. Così puoi almeno fare qualcosa per la gente che è rimasta. Non devi temere che in Vaticano permettano di fare cose contro la nostra fede”, allora ho preferito rimanere in silenzio, perché non avevo tanti elementi”.

Forse dovevano arrivare i tempi giusti.. E nel corso di tutti questi anni avrà sicuramente visto l’opera nefasta del cosiddetto papa Francesco…

R. “Sì, è proprio così. Quando ero nell’ultima città, Michalovce, ho sentito di questi “Dubia” che hanno scritto i cardinali... Poi si sono aggiunti altri preti e altre persone, ma la questione non si risolveva. Allora ho cominciato a cercare e, col tempo (4 o 5 anni fa), ho trovato don Minutella e ho iniziato ad ascoltarlo. Lui è stato il primo sacerdote che mi ha aiutato con il Codice di Diritto Canonico perché quando si lavora con i bambini o con i ragazzi non c’è tanto tempo per approfondire le cose, invece Don Minutella ha studiato tantissimo. Sentivo che questa era la verità. Mi bruciava nel cuore. Ma non sapevo come uscire. Ho avuto incontri coi superiori per 14 mesi. Due anni fa, don Bernasconi mi ha aiutato perché mi ha mandato una mail con del materiale da poter usare per scrivere ai superiori e spiegare il problema. Ho fatto tante domande chiedendo una risposta. Loro hanno studiato le mie domande e mi hanno risposto: «Non sappiamo risponderti, ma noi siamo con Papa Francesco. Ci sono stati nella storia tanti cattivi papi, noi sappiamo che non è buono ma siamo con lui»”.

Ma il problema non è che Bergoglio sia un cattivo Papa. Bergoglio non è il Papa e loro sono con qualcuno che non è il Papa!

R. “Sì, questo è chiarissimo. Perché qui non si tratta di un peccato di un superiore, di un vescovo o di un Papa, o di un errore.. si tratta di uno che Papa non è!”.

Può essere una cosa scontata visto che “Ubi Petrus Ibi Ecclesia”, ma in unione con chi celebra messa padre Robert?

R. “Io prima di uscire già celebravo messa con Papa Benedetto perché le chiese erano chiuse durante la pandemia. Allora quando celebravo la Santa Messa da solo la celebravo in unione con Papa Benedetto. Ma quando ho dovuto celebrare nella comunità mi costringevano a nominare Papa Francesco. Questo era il problema. Per questo non ho obbedito. E non ho voluto inserirmi nelle altre comunità durante quei 14 mesi. Il mio superiore mi ha detto: «Adesso io so che tu sei con Papa Benedetto, ma non ti posso lasciare uscire subito, tu devi fare disobbedienza più e più volte, così ho materiale per il superiore che ti lasci andare». Non è facile uscire dalla comunità salesiana. Ma se hanno materiale di disobbedienza… una, due, tre volte...”.

Ma questi sacerdoti suoi superiori salesiani che l’hanno sanzionata e che hanno fatto in modo che uscisse, come la pensano?

R. “Loro avevano dolore nel cuore, erano tristi, non volevano che uscissi. Perché sapevano che qualcosa non andava, non sapevano rispondermi. È una cosa grave dire “non sappiamo risponderti”: allora di che cosa parliamo se non sapete rispondermi? Da dicembre 2021 non sono più fra i salesiani, ma ero felicissimo, anche se i miei confratelli erano tristi perché mi volevano bene. Nel mio cuore io sono e sarò sempre salesiano”.

 Ci sono altri sacerdoti in Slovacchia che magari non sono ancora usciti che però riconoscono come Papa Benedetto XVI?

R. “Sì, ci sono, sia diocesani che salesiani, ma vivono nascosti perché hanno paura di perdere il lavoro. Anche gli insegnanti nelle scuole capiscono che questo non è l’insegnamento della Chiesa, ma devono continuare perché senza soldi non possono mantenere la famiglia”.

Quindi vengono tenuti, diciamo, sotto ricatto… C’è qualche vescovo in Slovacchia che riconosce come Papa Benedetto XVI?

R. “Sì, ma non posso dirne il nome”.

Considerato il fatto che Bergoglio ha creato una nuova falsa chiesa, come profetizzato da Padre Pio in un dialogo con padre Amorth, secondo lei le messe celebrate in unione con il cosiddetto Papa Francesco sono da considerarsi valide?

R. “No, assolutamente no. Lo Spirito Santo è lo spirito di verità. Quando si ricevono i sacramenti in unione con la vera testa della Chiesa, allora scende lo Spirito Santo”.  (Anche il card. Ratzinger diceva che “senza la comunione col papa non c’è comunione con Cristo” n.d.r. QUI).

Lei è stato sospeso a divinis, ma non è stato scomunicato ancora...

R. “No.. ma adesso ho saputo che a Trnava si dice che l’arcivescovo di Bratislava Stanislav Zvolenský mi vuole scomunicare perché ha sentito che stiamo crescendo e stiamo aumentando”.

Diciamo che il cosiddetto Papa Francesco è la guida spirituale del Nuovo Ordine Mondiale. E’ d’accordo con questa affermazione?

R. “Sì, è chiaro”.

E stiamo vivendo, secondo lei, il Terzo Segreto di Fatima e quell’impostura di cui parla il Catechismo della Chiesa Cattolica al 675 ?

R. “Sì, esatto”.

In tutto questo, papa Benedetto non parla, non può, dato che è in sede impedita, e non smentisce questi sacerdoti, né chiunque parli di sede impedita, tantomeno lo scrivente. Anzi, in una lettera di pochi giorni fa al Centro Studio Gioacchino da fiore, ha scritto: “Nell’agire storico di Dio, la verità si svela gradatamente”. 

E chi ha orecchie per intendere, intenda.

Monsignor Paglia svela la messinscena di Bergoglio sull'aborto: il papa è Benedetto XVI. Andrea Cionci Libero Quotidiano il 31 agosto 2022

Andrea Cionci. Storico dell'arte, giornalista e scrittore, si occupa di storia, archeologia e religione. Cultore di opera lirica, ideatore del metodo “Mimerito” sperimentato dal Miur e promotore del progetto di risonanza internazionale “Plinio”, è stato reporter dall'Afghanistan e dall'Himalaya. Ha appena pubblicato il romanzo "Eugénie" (Bibliotheka). Ricercatore del bello, del sano e del vero – per quanto scomodi - vive una relazione complicata con l'Italia che ama alla follia sebbene, non di rado, gli spezzi il cuore

Le aberrazioni della “grande chiesa stravagante” di cui parlava nel 1820 la beata Katharina Emmerick si affastellano con tale frequenza e quantità che non si riesce a star loro dietro, e l’unico vero sdegno che ormai sortiscono si appunta sui cosiddetti “una cum”, i conservatori cattolici che si ostinano a legittimare Bergoglio, contro ogni plateale, marchiana evidenza e prova canonica.

Ecco come è andata: il 26 agosto, ad “Agorà”, su Rai Tre, l’arcivescovo Vincenzo Paglia, presidente della Pontificia Accademia per la Vita, interrogato dalla giornalista Rombolà su cosa pensasse dell’aborto, ha risposto così: “Io penso che la legge 194 sia ormai UN PILASTRO DELLA NOSTRA VITA SOCIALE, a mio avviso prevedrei un accentuazione di quella parte che non viene attuata cioè il diritto alla maternità…”.

Mentre il mainstream ha steso una coltre di piombo-cemento-amianto sull’uscita ambigua del vescovo, alcune testate e blog cattolici sono andati su tutte le furie, vedasi l’articolo (ineccepibile) di Tommaso Scandroglio sulla testata una cum La Nuova Bussola quotidiana.

In risposta, Mons. Paglia si difende in un comunicato seguito a ruota che potrete leggere per intero: “Mons. Paglia rispondeva che la legge costituiva ormai un “pilastro” della vita sociale italiana, tanto è incardinata nell’ordinamento giuridico italiano. E per di più nessuna forza politica al momento intende abolirla. L’intento dell’affermazione non riguardava un giudizio di valore sulla legge, quanto la constatazione che è praticamente impossibile abolire la 194 in quanto elemento ormai strutturale della legislazione in materia. Sulla qualità, poi, del pilastro c’è molto da dire”.

Ah sì, eh? Dunque, era una constatazione oggettiva, una mera valutazione su un piano completamente descrittivo, distaccato… Va bene. Diciamo che un vescovo cattolico avrebbe potuto-dovuto parlare in ben altri termini della 194, vista la posizione dottrinale della Chiesa sull’aborto, ma prendiamo per buona la spiegazione del vescovo.

A tutti però è sfuggito il senso reale dell’ultima affermazione di Paglia. Chiede la giornalista: “Ma allora non è in discussione la 194…”, e Paglia risponde, quasi sdegnato: “Ma no, no! Assolutamente!”.

Ah non è in discussione? Ancora una constatazione neutra, distaccata, meramente valutativa…

Allora vuol dire che la chiesa di “papa Francesco” non STA MINIMAMENTE METTENDO IN DISCUSSIONE LA LEGGE 194. Non sta facendo NIENTE per far ripensare una legge che fino ad oggi in Italia ha prodotto il genocidio di sei milioni di “grumi di cellule”-feti che, in ottica cattolica, sono persone tali e quali a voi che state leggendo.  

Eppure, se, come affermato più volte in modo roboante da Bergoglio, “L’ABORTO È COME ASSUMERE UN SICARIO”,  ma come dice Paglia, nessuno mette in discussione la legge, ne segue che quella di Francesco è solo UNA FRASE A EFFETTO, priva di qualsiasi peso reale.

Ecco che Paglia ha involontariamente tradito il suo principale svelando un’ovvia verità, sotto gli occhi di tutti: l’opposizione all’aborto della chiesa antipapale, in realtà, è solo una sceneggiata per fare contenti e canzonati quei cattoconservatori che si ostinano a credere Bergoglio il vero papa. Ma, nei fatti, la falsa chiesa non ci pensa minimamente a mettersi contro la soppressione legale di milioni di vite umane allo stato iniziale.  

Del resto che l’antiabortismo di Bergoglio sia solo una pezza a colore è ampiamente dimostrato dalle manifestazioni di stima che l’antipapa ha tributato a Pannella (amicone di Paglia) e alla Bonino, definita “una grande italiana”: la stessa che praticava aborti con la pompa da bicicletta ed è responsabile di quei sei milioni di aborti di cui sopra.

Allora, perdonateci se, ancora vetustamente ancorati al pensiero logico, ci chiediamo: ma se l’aborto “è come assoldare un sicario”, in base a quale ragionamento la Bonino, che ha legalizzato in Italia l’assunzione dei sicari può essere definita da Bergoglio “una grande italiana”? Forse per i suoi meriti occupazionali, vista la quantità di sicari cui ha dato lavoro?

Passando poi a un piano superiore, qualcuno ci può spiegare come è possibile che la Comunione (sebbene consacrata una cum papa Francisco) sia stata concessa da Bergoglio a Joe Biden, un oltranzista dell’aborto al nono mese, e alla Nancy Pelosi, anch’essa sulle medesime posizioni? L’Eucarestia a gente che propone leggi per assumere sicari e fare a pezzi praticamente dei neonati?

Vedete bene la triste realtà: vi stanno prendendo impudicamente per i fondelli. Per fortuna si tradiscono, a ogni pié sospinto, perché il Logos non è con loro. La falsa chiesa golpista, appiattita sull’agenda dei poteri forti anticristiani, dice di essere contro l’aborto, ma solo così, pro forma: NEI FATTI È DEL TUTTO FAVOREVOLE E NON FA PROPRIO NULLA PER OPPORVISI, né si azzarda minimamente a metterla in discussione, come conferma Paglia.

Ma tanto per farvi conoscere un po’ meglio la figura di questo particolarissimo arcivescovo, vi lasciamo con un video interessante di La Repubblica Tv QUI e un commento di Carlo Franza su Il Giornale QUI . Si tratta della spiegazione dell’enorme affresco realizzato da un pittore gay sulla facciata interna del Duomo di Terni.

Racconta l’autore – mai smentito - che Mons. Paglia e il parroco don Francesco Leonardis hanno seguito e diretto la realizzazione dell’opera con minuziosa attenzione. Nel dipinto figurano trans, prostitute e due uomini in dichiarato atteggiamento  omoerotico. Del Cristo si intravede il pene, volutamente, e lo stesso Paglia e Leonardi sono fatti ritrarre nudi tra le varie figure. “L’unica cosa che non mi hanno consentito di inserire – spiega il pittore – era la copulazione di due persone” (bontà loro).  

Ma non scandalizzatevi: non potrebbe essere altrimenti, dato che questa non è la vera Chiesa cattolica in quanto Bergoglio NON E’ IL PAPA perché il Santo Padre Benedetto XVI non ha mai abdicato, ma si è ritirato in sede impedita, come dimostrato in modo enciclopedico e ridondante nel volume “Codice Ratzinger (Byoblu ed.) mai smentito da nessuno, tanto meno da papa Benedetto.

E, soprattutto, coraggio, abbiate fiducia: con un po’ di pazienza, entro i prossimi 6-7 anni anche gli una cum lo capiranno.

Benedetto XVI affettuoso con Bergoglio? Il perché nel Vangelo e nel Codice Ratzinger. Andrea Cionci su Libero Quotidiano il 29 agosto 2022

Andrea Cionci. Storico dell'arte, giornalista e scrittore, si occupa di storia, archeologia e religione. Cultore di opera lirica, ideatore del metodo “Mimerito” sperimentato dal Miur e promotore del progetto di risonanza internazionale “Plinio”, è stato reporter dall'Afghanistan e dall'Himalaya. Ha appena pubblicato il romanzo "Eugénie" (Bibliotheka). Ricercatore del bello, del sano e del vero – per quanto scomodi - vive una relazione complicata con l'Italia che ama alla follia sebbene, non di rado, gli spezzi il cuore

Con un certo stupore abbiamo notato alcune irrequietezze, anche fra i cattolici fedeli al papa legittimo, di fronte alla scena dei nuovi pseudo-cardinali presentati da antipapa Francesco al Santo Padre Benedetto XVI nella pia illusione di farli così da lui convalidare.

Di cosa vi stupite?  Nulla di nuovo: gesti affettuosi, certamente sinceri da parte di papa Ratzinger, vista la sua “amicizia PERSONALE con Francesco”, come lui stesso ebbe a definirla, nel senso anfibologico di privata, monodirezionale, propria, non automaticamente corrisposta da Bergoglio.

E’ pur vero che l’incontro è stato caratterizzato da un gesto disturbante: l’antipapa ha tracciato un segno di croce sulla fronte del romano pontefice, nel tentativo di far credere che Benedetto XVI sia a lui subalterno. Ma, insomma, siamo abituati a ben di peggio, vedansi i riti pagano-negromantici con la Nonna Ragno e spiriti maligni annessi.

Eppure questa scena cordiale e affettuosa fra i due – il cui senso reale è stato totalmente frainteso dal grande pubblico - ha non solo inquietato i veri cattolici, ma ha dato il pretesto ai bergogliani per rancorose espressioni di revanche. Ecco un messaggio inviato allo scrivente da tale Vincenzo C.: “Hai visto come Benedetto e Francesco si amano? Sicuramente sei rimasto di sale nel vedere le tue tesi contraddette. Ora il tuo libro (“Codice Ratzinger”, ed. Byoblu, n.d.r.), non serve nemmeno come carta straccia”.

 Il messaggio (riportato senza le volgarità di cui era corredato) ci offre utilmente il destro per citare un concetto evangelico molto difficile da accettare - per tutti noi - ma chiarificatore.

Nel Vangelo di Matteo 5, 38-48, c’è l’insegnamento di Gesù: “Avete inteso che fu detto: Occhio per occhio e dente per dente; ma io vi dico di non opporvi al malvagio; anzi se uno ti percuote la guancia destra, tu porgigli anche l'altra; […]. Avete inteso che fu detto: Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico; ma io vi dico: AMATE I VOSTRI NEMICI E PREGATE PER I VOSTRI PERSECUTORI, perché siate figli del Padre vostro celeste, che fa sorgere il suo sole sopra i malvagi e sopra i buoni, e fa piovere sopra i giusti e sopra gli ingiusti. Infatti se amate quelli che vi amano, quale merito ne avete? Non fanno così anche i pubblicani? E se date il saluto soltanto ai vostri fratelli, che cosa fate di straordinario? Non fanno così anche i pagani? Siate voi dunque perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste”.

Fine della discussione. Capite, dunque, perché il Santo Padre Benedetto XVI vuole bene a Bergoglio e prega per lui? Gesù stesso pregò fino all’ultimo perché Giuda si salvasse l’anima, si fece da lui baciare e tradire e poi si fece fustigare e inchiodare alla croce, mite come un agnello sacrificale.

Come potete pensare che il Suo Vicario possa fare diversamente? Va anche ricordato che il 27 febbraio 2013, congedandosi dai cardinali che non avevano compreso il suo ritiro in sede impedita, papa Benedetto promise fin da allora “incondizionata reverenza ed obbedienza” al futuro papa (illegittimo) QUI. A questa frase si appigliano disperatamente i bergogliani, i quali ignorano che un prigioniero possa senz’altro promettere di comportarsi bene, rispettando il suo carceriere ed obbedendogli. Nessun giuramento di fedeltà, quindi, che sarebbe stato ben altra cosa. Ecco perché Benedetto chiama Bergoglio “papa Francesco”, in quanto ha promesso di essergli obbediente e reverente, ma siccome Joseph Ratzinger è il vero papa e deve dire sempre la verità, coerentemente, non ha mai dichiarato che “il papa è uno ED È FRANCESCO”, (nonostante le autosuggestioni di Massimo Franco e Vatican news). Infatti, come sapete, Bergoglio non lo è, in quanto è stato eletto da un conclave fasullo, convocato a papa precedente non abdicatario, ma impedito.

Non siete convinti, pensate che sia solo un’interpretazione?

ORA VI DAREMO LA PROVA ASSOLUTA DI QUANTO AFFERMATO.

In “Ultime conversazioni”, libro intervista di Peter Seewald del 2016, alcuni hanno voluto ravvisare delle manifestazioni di ammirazione e approvazione da parte di Benedetto verso Bergoglio.

TUTT’ALTRO.

Gli apparenti elogi a Bergoglio sono invece costruiti con un linguaggio geniale e perfettamente neutro che consente a Benedetto XVI di riconoscere alcune caratteristiche generiche e prive di connotazioni morali all’uomo Bergoglio senza mai dire che è buono, bravo, santo, che è il vero papa, che ha tanta fede, che fa il bene della Chiesa, che insegna un alto magistero… Zero. Eppure simili attestazioni di stima dovrebbe essere OVVIE, naturali, nella fantanarrativa bergogliana con un Benedetto regolarmente abdicatario e con i due che sono amiconi e mangiano la pizza insieme, come nel grottesco film “I due papi” QUI. A maggior ragione, in una situazione di ambiguità percepita a livello planetario, con due biancovestiti, papa Benedetto dovrebbe sperticarsi in lodi – soprattutto di ordine spirituale - verso papa Francesco, oltre naturalmente a rassicurare tutti sul fatto che sia Bergoglio quell’unico vero papa di cui parla da nove anni. Invece, questo non è MAI successo, esattamente per i motivi di cui abbiamo scritto.

SFIDIAMO CHIUNQUE a trovare, in nove anni, una esplicita dichiarazione di stima umana, apprezzamento spirituale, approvazione di Benedetto XVI verso “papa” Francesco.  

Questo dimostra che la realtà è esattamente quella descritta: da un lato Benedetto XVI in sede impedita AMA IL SUO NEMICO, ma dall’altro lato certo NON PUÒ MENTIRE lodando l’usurpatore non cattolico e anticattolico.  Così, nutre amicizia verso di lui, ma deve limitarsi per forza a riconoscere a Bergoglio solo forza di carattere, decisionismo notevole, presa sulle folle (tratti che si potrebbero riconoscere persino a uno Stalin) senza però MAI conferire a tali caratteristiche un carattere positivo, cristiano, o benefico. Per dire, anche Wellington avrebbe potuto cavallerescamente riconoscere a Napoleone carisma, abilità strategiche e forza di carattere, pur continuando a considerarlo il nemico n. 1 dell’Inghilterra.

Ed ecco, infatti, cosa scrive papa Ratzinger su Bergoglio: “L’ho conosciuto come un uomo molto deciso, uno che in Argentina diceva con molta risolutezza: questo si fa e questo non si fa”; “c’è anche il coraggio con cui affronta i problemi e cerca le soluzioni”.

Leggete qualche accenno al fatto che il decisionismo di Bergoglio sia ben indirizzato, o che egli sia un buon papa? NO.

Aggiunge: “Quando leggo il suo scritto, Evangelii gaudium, o anche le interviste, vedo che è un uomo RIFLESSIVO, uno che medita sulle questioni attuali”; “È certo anche un papa che RIFLETTE”.

Questo, in sé, non reca alcun pregio morale: anche una persona cattiva può essere riflessiva e i risultati delle riflessioni di Bergoglio potrebbero essere del tutto erronei. Peraltro, la parola ripetuta due volte suggerisce proprio quello specchio in cui si vede riflesso il vescovo vestito di bianco del Terzo Segreto di Fatima. QUI 

Nello stesso capitolo, Benedetto sottolinea, poi, più volte, l’attenzione che Francesco dedica “agli altri”, cioè alla facilità con cui è riuscito a cattivarsi immediatamente le simpatie della massa: “Il MODO in cui ha pregato e ha parlato al cuore della gente ha subito acceso l’entusiasmo”;  “Il MODO in cui ha pregato per me, il momento di raccoglimento, poi la cordialità con cui ha salutato le persone tanto che la SCINTILLA è, per così dire, scoccata immediatamente”.

La scintilla è scoccata FRA BERGOGLIO E IL PUBBLICO, non fra Bergoglio e Benedetto. Infatti l’amicizia di Benedetto è solo sua, personale, come abbiamo già scritto, non corrisposta. Sono, dunque, constatazioni neutre, obiettive, senza alcun apprezzamento morale: il fatto che Bergoglio sia un efficace comunicatore non fa certo di lui un vero papa, un amico, o un sant’uomo.

Benedetto, infatti, non specifica mai la qualità di questo “modo”, come conferma il latinista prof. Gian Matteo Corrias: “Il carattere distintivo delle risposte di Ratzinger a Seewald è il fatto indiscutibile di fermarsi ad un passo dall’univocità, come quando evidenzia “il modo in cui (Bergoglio) ha pregato, ha parlato al cuore della gente … ha pregato per me”, senza mai né specificare quale sia questo modo né tantomeno a quali contenuti sia applicato”.

E ancora, Seewald: “Il suo successore non è un po’ troppo impetuoso per lei, un po’ troppo eccentrico?”

Benedetto: “Ognuno deve avere il proprio temperamento. Uno magari è un po’ riservato, un altro un po’ più dinamico di quanto si era immaginato. Ma trovo positivo che sia così diretto con gli altri. Mi chiedo naturalmente QUANTO POTRÀ ANDARE AVANTI. Per stringere ogni mercoledì duecento mani o più e via dicendo ci vuole molta forza. Ma questo lasciamolo al buon Dio”.

Forse che il dinamismo è una virtù di per sé positiva? No. Può essere usato tanto per il bene, quanto per il male. E’ notorio, peraltro, che Francesco sia collerico e dispotico con i suoi, un fatto positivo dato che questo stile non consolida certo Bergoglio sul trono usurpato. Ma come andrà lo deciderà il Buon Dio.

ALTRO CHE ELOGI, dunque! Non solo questi non ci sono oggettivamente, ma anfibologicamente hanno pure un significato dirompente.

Ecco quindi dimostrato - oltre ogni dubbio - esattamente quanto sopra esposto: se i due papi “si amassero” come lo intende il pensiero unico, certo papa Ratzinger non sarebbe costretto a questi equilibrismi dialettici, ma anzi, supporterebbe Francesco con lodi esplicitissime e inequivocabili. La realtà è, quindi, che Benedetto XVI è in sede impedita, “prigioniero” dell’usurpatore Bergoglio al quale egli si sottomette docilmente, come Gesù. Papa Ratzinger ama il suo Giuda, (non ricambiato), prega per lui, perché si salvi l’anima e, se proprio deve riconoscere, per obbedienza e reverenza, delle qualità al suo “carceriere” si limita a commenti generici PRIVI DI QUALSIVOGLIA VALENZA POSITIVA, e non elogiano o legittimano Bergoglio come papa, IN ALCUN MODO.  

Così, quando vedete quelle scene di abbracci ammannite banalmente al pubblico dai Tg, state assistendo a qualcosa di straordinario, sovrumano, storico e rivelatore: la dimostrazione pratica di cosa ha comandato Gesù Cristo.Le lacrime di padre Georg. Paura per la salute di Ratzinger? Nico Spuntoni il 26 Giugno 2022 su Il Giornale.

Le immagini della commozione di monsignor Georg Gänswein durante il discorso tenuto a Monaco sono diventate subito virali. Il 2022 non è stato un anno semplice per il Papa emerito.

Più di nove anni dopo la rinuncia al ministero petrino di Benedetto XVI, chi ha vissuto al suo fianco i giorni che separarono il Concistoro della Declaratio dall'ultimo saluto ai fedeli dal balcone del Palazzo Apostolico di Castel Gandolfo non ha smesso di ricordarli con commozione. È il caso di monsignor Georg Gänswein, prefetto della Casa Pontificia e storico segretario personale del Papa emerito, che la scorsa settimana non è riuscito a trattenere le lacrime mentre pronunciava un discorso di ringraziamento in occasione della cerimonia per i 95 anni di Ratzinger organizzata a Monaco, nella Sala Hubertus del Palazzo di Nymphenburg. "Non avrei pensato che l’ultimo tratto di strada dal Monastero alle porte del Cielo dove sta Pietro potesse essere così lungo", ha detto il presule tedesco di fronte ad una platea silenziosa, dovendosi interrompere tre volte per l'emozione prima di completare la frase.

La cerimonia, voluta dall'Istituto Joseph Ratzinger di Ratisbona, è stata trasmessa in diretta dal canale televisivo americano Ewtn e ha avuto uno spettatore d'eccezione all'interno delle Mura Leonine: il Papa emerito stesso. Proprio le immagini che hanno immortalato le lacrime di Gänswein sono presto divenute virali sui canali social dedicati a Benedetto XVI ed hanno fatto temere un peggioramento delle condizioni di salute del novantacinquenne. In realtà, chi ha avuto modo di incontrarlo di recente al Monastero Mater Ecclesiae lo ha trovato lucido e di buon umore, nonostante i normali acciacchi legati all'età avanzata.

Il 2022 non è stato un anno facile per Joseph Ratzinger: un grande dispiacere, infatti, è arrivato a gennaio proprio dalla sua Germania dopo la pubblicazione del rapporto sulla gestione degli abusi nell'arcidiocesi di Monaco e Frisinga che metteva nel mirino la sua condotta da arcivescovo per fatti relativi al 1980. Le accuse di aver coperto un sacerdote pedofilo, già respinte con una memoria difensiva di 82 pagine inviata allo studio legale che si è occupato del dossier, lo hanno convinto a prendere carta e penna e scrivere una lettera pubblica datata 6 febbraio nella quale ha fatto riferimento all'evenienza di trovarsi "ben presto di fronte al giudice ultimo della vita" ed ha espresso gratitudine a Papa Francesco per "la fiducia, l'appoggio e la preghiera" espressagli personalmente. Nei giorni scorsi, da Traunstein è arrivata la notizia di una denuncia civile presentata da una vittima di questo prete contro Ratzinger e il suo successore a Monaco, il cardinale 94enne Friedrich Wetter.

C'è da dire che ancora prima della pubblicazione del report a gennaio era già stato chiarito che nel caso in questione, l'allora arcivescovo Ratzinger non era a conoscenza delle violenze commesse dal religioso e in ogni caso non aveva autorizzato il suo coinvolgimento in attività pastorali ma soltanto la concessione di un alloggio a Monaco. Nonostante ciò, il Papa emerito è stato oggetto di critiche da una parte dell'episcopato tedesco e in particolare dal presidente della Conferenza episcopale, monsignor Georg Bätzing e dal suo predecessore, il cardinale Reinhard Marx.

Quest'ultimo, padrone di casa a Monaco in quanto attuale arcivescovo, non era presente alla cerimonia organizzata a Palazzo di Nymphenburg. Oltre a Gänswein, a celebrare i 95 anni di Ratzinger c'erano invece il nunzio apostolico in Germania, Nikola Eterović e l'ex presidente della Baviera, Edmund Stoiber che lo ha indicato come "la più grande personalità" incontrata nella sua vita.

Sì: papa Francesco è regnante e Benedetto XVI è l'emerito. Esercizio in Codice Ratzinger. Andrea Cionci su Libero Quotidiano il 27 agosto 2022

Andrea Cionci

Storico dell'arte, giornalista e scrittore, si occupa di storia, archeologia e religione. Cultore di opera lirica, ideatore del metodo “Mimerito” sperimentato dal Miur e promotore del progetto di risonanza internazionale “Plinio”, è stato reporter dall'Afghanistan e dall'Himalaya. Ha appena pubblicato il romanzo "Eugénie" (Bibliotheka). Ricercatore del bello, del sano e del vero – per quanto scomodi - vive una relazione complicata con l'Italia che ama alla follia sebbene, non di rado, gli spezzi il cuore

Alla fine ci siamo convinti e possiamo affermare in piena consapevolezza  che quanto segue è verità.

Papa Benedetto, nel 2013, ha liberamente rinunciato al suo ministero e oggi è, senza alcun dubbio, il papa emerito. Nessuno lo ha mai costretto a compiere questo passo, ci ha pensato a lungo e lo ha fatto in piena consapevolezza. Chi dice che la rinuncia è stata forzata dice un’assurdità. E’ vero che veste ancor oggi di bianco come il papa - lì per lì non aveva un altro abito - ma porta comunque la veste bianca senza due accessori, (la fascia e la mentelletta) in modo che si riconosca il suo nuovo status.

Papa Francesco è oggi l’unico papa regnante. E’ un uomo che ha una grande attenzione verso gli altri, dice esattamente “questo si fa, questo non si fa”; ha una profonda preparazione personale teologica e quando ha salutato tutti dal balcone del Palazzo apostolico ha conquistato  subito l’amore e la simpatia dei credenti. Papa Benedetto nutre una sincera amicizia personale per Francesco, prega per lui, per il suo ministero, e gli vuole davvero bene.

Benedetto XVI, del resto, nel 2013 non aveva più le forze per portare avanti il suo ministero e nessuno può mettere in dubbio che egli, oggi, non sia più il papa regnante. Benedetto XVI non è più il pontefice sommo, ma è stato molto contento quando i cardinali hanno scelto Bergoglio, perché questi sarà un cooperatore della verità, proprio come nel motto ratzingeriano.

E’ vero che oggi ci sono due successori di san Pietro viventi, ma uno è attivo e l’altro contemplativo. Comunque il papa è uno solo e sbaglia chi sostiene il contrario.

Siete scioccati? Pensate che l’autore di “Codice Ratzinger” QUI abbia fatto anche lui completa retromarcia, magari folgorato sulla via di Santa Marta?

Nient’affatto: si tratta di un piccolo esercizio dimostrativo di scrittura in Codice Ratzinger per dire la verità a chi ha orecchie per intendere. Naturalmente abbiamo attinto a piene mani da quanto già dichiarato dal Santo Padre Benedetto XVI e lo abbiamo rielaborato autonomamente in mezza pagina.

Ora vedrete come quella che vi sembra, a una prima lettura, una resa definitiva nei confronti della narrativa bergogliana, dice la più assoluta verità, ma è il contrario di quello che si possa pensare.

Di seguito, la stessa dichiarazione, con qualche specificazione in più.

Papa Benedetto, nel 2013, ha liberamente rinunciato al suo ministero-ministerium, (e non al ministero-munus) cosa che lo mandava in sede impedita, ed oggi resta, senza alcun dubbio, il papa emerito, cioè colui che merita di essere papa, che ne ha il diritto: l’insigne, il degno, il papa per eccellenza, anche se privo del potere pratico.

Nessuno lo ha mai costretto a compiere questo passo, (il ritiro in sede impedita), mentre invece lo volevano far abdicare a tutti i costi. Ci ha pensato a lungo, era un passo difficile, ma necessario per purificare la Chiesa. Chi dice che la rinuncia è stata forzata dice un’assurdità, in quanto qualsiasi rinuncia, per definizione, non può che essere volontaria: in questo caso la sua rinuncia al ministerium, che lo ha mandato in sede impedita. E’ vero che Benedetto veste ancor oggi di bianco: lì per lì non aveva un altro abito perché non esiste una veste da papa impedito, ma porta comunque la veste bianca diversa da quella classica da papa, senza due accessori, in modo che si riconosca il suo nuovo status di papa impedito.

Papa Francesco è oggi l’unico papa regnante, sebbene abusivo: infatti, per via della sede impedita e della conseguente usurpazione del trono petrino, oggi abbiamo due papi, uno legittimo-contemplativo (Benedetto) e uno illegittimo attivo, (Bergoglio) che sta regnando.

Francesco è un uomo che ha una grande attenzione verso gli altri, cattura facilmente il consenso, è molto dirigista, dice esattamente “questo si fa, questo non si fa”. Ha una profonda preparazione teologica personale, - cioè tutta sua, non cattolica - e quando ha salutato la folla  dal balcone del Palazzo apostolico ha conquistato  subito l’amore e la simpatia dei credenti, ingraziandoseli col suo facile pauperismo demagogico. Papa Benedetto nutre una sincera amicizia personale per Francesco: è solo sua, personale, monodirezionale, non corrisposta. Prega per Bergoglio, perché si salvi l’anima, per il suo ministero episcopale, quello di Buenos Aires, lasciato abbandonato a se stesso dopo che è diventato antipapa. Gli vuole davvero bene, come Cristo con Giuda, e spera fino all’ultimo che si salvi l’anima.

Benedetto, del resto, nel 2013 non aveva più le forze per portare avanti il suo ministero-ministerium, dato che tutti gli remavano contro  e nessuno può mettere in dubbio che egli, oggi, non sia più il papa regnante, trovandosi in sede impedita. Benedetto non è più il pontefice sommo, perché c’è un l’altro papa – illegittimo – in un posto più importante e alto del suo, ma è stato molto contento quando i cardinali, in un conclave illegittimo convocato a papa non abdicatario, hanno scelto Bergoglio, in quanto questi si rivela palesemente per quello che NON è. Si vede lontano un miglio che non è né papa, né cattolico.

Bergoglio, al di là della sua volontà, è anch’egli un cooperatore della verità, proprio come nel motto ratzingeriano, in quanto il suo smascheramento rivelerà verità di fede essenziali: il terzo Segreto di Fatima, l’art. 675 del Catechismo e così via.

Comunque il papa è oggi uno solo, Benedetto, perché egli non ha mai abdicato, e sbaglia chi sostiene il contrario, cioè che Bergoglio sia il papa legittimo.

Capite? Nulla è come appare.

Tuttavia, quanto scritto nella prima versione è assolutamente corretto e sottoscrivibile.  

Non perdetevi questo evento millenario, non date per scontato un santo, un genio, un papa gigantesco che è ancora in mezzo a noi.

Siate vigili e, se siete cattolici, rimanete in comunione con papa Benedetto.

Ecclesiastici: datevi una scrollata.  Il papa è uno solo. LUI. Benedetto XVI. E ha bisogno di voi.

Dal Ratzinger “modernista” al papa diavolo: Benedetto XVI alla Coena Cypriani di Bergoglio. Andrea Cionci su Libero Quotidiano il 24 agosto 2022  

Andrea Cionci. Storico dell'arte, giornalista e scrittore, si occupa di storia, archeologia e religione. Cultore di opera lirica, ideatore del metodo “Mimerito” sperimentato dal Miur e promotore del progetto di risonanza internazionale “Plinio”, è stato reporter dall'Afghanistan e dall'Himalaya. Ha appena pubblicato il romanzo "Eugénie" (Bibliotheka). Ricercatore del bello, del sano e del vero – per quanto scomodi - vive una relazione complicata con l'Italia che ama alla follia sebbene, non di rado, gli spezzi il cuore

Sono diversi giorni che un’immagine onirica perseguita lo scrivente: quella di un cenone natalizio, una bella riunione di famiglia, con tanti ospiti. A capotavola ci dovrebbe essere il nonno, il pater familias, ma al suo posto c’è un signore sconosciuto, con occhiali finti, baffi e nasone di plastica che dice cose senza senso. Il vero nonno è legato e imbavagliato lì accanto, mugola e strabuzza gli occhi davanti a tutti, ma i parenti che siedono a tavola fanno finta di niente, conversano amabilmente come se nulla fosse.

Proprio come nei sogni, viene da urlare, indicare lo scempio su quel povero anziano immobilizzato, padre e nonno di tutti, ma la voce non esce dalla gola e, per quanto ci si agiti, pare d’essere invisibili.

Quest’incubo descrive in modo plastico la situazione letteralmente surreale che stiamo vivendo circa la Magna Quaestio sui due papi. La paradossalità del caso rimanda alla Coena Cypriani, la parodia medievale del banchetto delle Nozze di Cana, dove Pilato passa a lavare le mani degli ospiti, Giacobbe offre le lenticchie a Esaù, Erodiade fa il balletto, Eva mangia una costoletta e a Gesù viene servita una salsa all’aceto.  

Se non fosse una tragedia millenaria, contemplante la fine della Chiesa cattolica visibile, l’affermarsi di orrende pratiche eugenetiche e politiche raccapriccianti di riorganizzazione socio-antropologica mondiale, ci sarebbe solo da sedersi in poltrona con un bel sacchetto di pop corn, per godersi lo spettacolo.

Dunque, è andata così: su un quotidiano nazionale, un giornalista porta avanti per due anni una seguitissima inchiesta che riprende quanto affermato – a volte a prezzo di sacrifici e persecuzioni – da alcuni eroici religiosi. Viene così a galla che il papa ritenuto abdicatario, è rimasto invece ancora quell’unico papa esistente di cui parla da nove anni senza mai specificare quale: ha applicato un sistema antiusurpazione messo a punto 30 anni prima e si è ritirato in sede impedita. Ecco perché continua a vivere in Vaticano e a conservare la veste bianca, il nome pontificale e lo stemma QUI. Egli stesso lo fa capire con un linguaggio logico, appena velato, ma inequivocabile: il “codice Ratzinger” QUI. Ecco spiegato il mistero del papa emerito che giuridicamente non esiste: Benedetto XVI è emerito non in quanto pensionato, ma perché è “colui che merita di essere papa”, il quale condivide una “sorta di ministero allargato”, con un altro papa illegittimo, un antipapa, che, teologicamente non è assistito dallo Spirito Santo.

L’usurpatore, infatti, del tutto coerentemente col suo ruolo, prende ogni giorno a picconate la dottrina cattolica e la sta facendo virare subdolamente verso un nuovo culto neopagano, sincretista, eco-sciamanico, e anticristico al servizio dei poteri forti che lo hanno sponsorizzato. Peraltro, parliamo di eventi stra-annunciati ai cattolici, nei minimi dettagli, da una quantità di profeti biblici, mistici, apparizioni mariane, beati, santi, papi, perfino dal Catechismo all’art. 675.

Così, l’inchiesta giornalistica viene pubblicata in un libro che “fa il botto” e diventa uno dei dieci bestseller nazionali. A suffragarne il contenuto, decine di professionisti e specialisti, tra cui l’avvocato più famoso d’Italia come il prof. Carlo Taormina e uno degli intellettuali più noti, il filosofo Diego Fusaro.

Ora, sul pianeta Terra, e non sul suo satellite, (dove ci troviamo ora), se tale inchiesta fosse una bufala, cosa dovrebbe succedere? In primis, una contestazione ufficiale dal Vaticano, con relativa e definitiva chiarificazione canonica. A corredo, una nota dal papa emerito per mettere fine a tutte queste vociferazioni che circolano da anni. Magari un bel dibattito fra intellettuali e giornalisti, con i bergogliani che tirano in ballo fior di canonisti e gli antibergogliani che, invece, si aggrappano disperatamente a questa tesi la quale, in effetti, sarebbe risolutiva. Insomma, non dovrebbe essere il caso del millennio, tale da far sfigurare l’affaire Dreyfus come una bagattella alla Novella 2000?

E invece non accade nulla di tutto questo: cespugli rotolanti sulla soffice sabbia nel deserto lunare. Tabù. Silenzio. Mutismi. Imbarazzi. Il papa emerito non smentisce affatto, anzi, manda una lettera di squisita cortesia al giornalista contenente l’unica risposta possibile dalla sede impedita, corredata del suo stemma da pontefice regnante. Nel frattempo, continua a distribuire benedizioni apostoliche (prerogativa esclusiva del papa in carica) come se non ci fosse un domani. E non è un abusato modo di dire: pare proprio di essere alla fine dei tempi.

L’antipapa usurpatore, ormai, dal canto suo, ha mollato gli ormeggi in tutti i sensi e veleggia oltre Oceano dove si mette le penne d’aquila in testa e partecipa ad evocazioni di demoni, con tanto di stregone e Nonna Ragno. Tutti che applaudono festanti.

Gli esorcisti più famosi, padre Bamonte e padre Dermine, interrogati a mezzo stampa su tale assurdo episodio negromantico, tacciono .

C’è il cardinale Mueller che afferma che “il papa è Francesco”, ma non argomenta, né si degna di far mandare due righe di risposta a chi chiede pubblicamente un chiarimento su tale querelle decennale QUI. Un vescovo come mons. Schneider dice QUI che Bergoglio non è cattolico, ma allo stesso tempo deve essere per forza il papa perché sarebbe un male terribile se la Chiesa non avesse un papa, ANCHE SE NON CATTOLICO.  (Mah?).

Il prof. Zenone dà del cretino allo scrivente senza argomentare, e, pur dopo aver firmato una Correctio filialis a Bergoglio per le sue sette eresie, QUI dice che, comunque, alla fin fine, “non importa chi sia il papa”. E certo, forse che il papa deve “confermare i fratelli nella fede”? Ci mancherebbe altro.

Poi ci sono gli americani: quelli dell’”errore sostanziale” per cui siccome Benedetto XVI è un po’ svagato e un po’ modernista ha sbagliato a scrivere la Declaratio ed è rimasto papa CONTRO LA SUA VOLONTÀ. Glielo si spiega in tutte le salse che lo ha fatto apposta: per iscritto, con i video, i sottotitoli in inglese QUI, gli esempi, le storielle … e niente, non vogliono capire. Tra gli americani c’è anche il professore che cita come prova della validità dell’abdicazione proprio i principali codici Ratzinger QUI.

Brilla fra tutti il matematico ateo Odifreddi che, pur essendo un logico, si beve senza batter ciglio le risposte più umoristicamente illogiche di papa Benedetto, tipo quando dice che il colore della “pelle” dell’attore che, in un film, interpreta Bergoglio è sbagliato, o che lui stesso continua a vestire di bianco perché non aveva altri abiti disponibili. 

Gli una cum, (conservatori legittimisti di Bergoglio) da parte loro, se ne inventano di tutti i colori pur di assicurarsi, con raffinati e complessi giochi masochistici, la certezza di un vero papa distruttore del Cattolicesimo  e rifiutano categoricamente anche solo di parlare di sede impedita.

Ma, dalla galassia una cum, l’ultima, più straordinaria cometa, è stata proiettata da don Curzio Nitoglia, un colto sacerdote ex sedevacantista che, pur essendo un critico totale di Bergoglio, si ostina a ritenerlo papa. Leggete cosa scrive QUI: un’ardita argomentazione per accettare e accertare l’esistenza di un PAPA APOSTOLO E DIAVOLO, ma ovviamente legittimo, con tutte le carte in regola. Capite? Siamo alla teoria del papa diavolo, pur di non accogliere l’ovvia realtà della sede impedita, prevista bellamente dal canone 335: “Mentre la Sede romana è vacante o TOTALMENTE IMPEDITA, non si modifichi nulla nel governo della Chiesa universale” e dimostrata in modo enciclopedico da decine e decine di interventi di papa Benedetto in Codice Ratzinger.

Nel mondo della carta stampata, come tralasciare Massimo Franco, uno dei più noti giornalisti italiani, che continua imperterrito ad ammannire come dato oggettivo la sua autodichiarata fantasticheria secondo cui Benedetto XVI avrebbe detto che “il papa è uno ed è Francesco”. E, pur informato da un anno e mezzo del contrario, ci scrive addirittura dei libri sopra, senza nemmeno citare la Declaratio e dandoci dei protervi  in malafede.

Nel frattempo, Bergoglio continua a prendere in giro tutti quanti col giochetto “mi dimetto, sì, no, forse, anzi, magari, un giorno, però divento vescovo emerito, ma comunque non mi dimetto” etc. E tutti dietro, al suono del suo piffero ammaliante.

La Nuova Bussola quotidiana ogni giorno si strappa le chiome per le devastazioni dell’antipapa, poi si rifiuta persino di aprire il libro “Codice Ratzinger”: dicono che “non sono interessati” alla questione della legittimità di colui che, però, attaccano giornalmente. Ma non sono solo loro: tutti gli altri vaticanisti, anche i più famosi, fanno gli gnorri allo stesso modo (tranne Marco Tosatti).

Come gran dessert finale, c’è il più attivo difensore di Bergoglio, don Ariel Levi di Gualdo che, oltre a insultare lo scrivente storpiandone il cognome, trova anche il tempo per scrivere dotti interventi teologici sugli attributi del pornodivo Rocco Siffredi. Non ci credete?

Ma sapete qual è la cosa più folle di tutte in questa surreale Coena Cypriani? Il fatto che tutti i partecipanti al convito si illudano che la situazione non verrà mai esplicitata ufficialmente e che tutto passerà in cavalleria.

Davvero pensate che il Santo Padre Benedetto XVI vi lascerà col dubbio? Un teologo adamantino, un uomo che, pur nella sua assoluta mitezza e dolcezza, è stato definito il “Panzerkardinal” per l’unica colpa di aver affermato la verità di Cristo?

Ci vuole una bella fantasia per ritenere che se ne andrà così, in punta di piedi, facendovi rimanere a ciaccolare sul suo “modernismo”, sui suoi “errori canonici”, sulle sue “dimissioni poco chiare”, (così le definisce lo stesso Bergoglio), come fossero un curioso mistero da programma serale, tipo le piramidi costruite dagli alieni o gli ufo nazisti.

Per quanto tempo pensate possa ancora reggersi l’impostura antipapale?   

Attenzione, perché a quel “soffio” di cui parla San Paolo, galeri cardinalizi, stemmi vescovili, berrette paonazze, reputazioni professionali, carriere, incarichi politici, ruoli di prestigio saranno combusti in un lampo accecante, come a Hiroshima.

State banchettando allegramente sulla bomba atomica, noi ve lo diciamo, amichevolmente, per tempo.

Poi fate come vi pare.

Don Curzio Nitoglia e il fuoco amico su Benedetto XVI. Bergoglio vescovo-diavolo? Andrea Cionci su Libero Quotidiano il 06 settembre 2022

Andrea Cionci. Storico dell'arte, giornalista e scrittore, si occupa di storia, archeologia e religione. Cultore di opera lirica, ideatore del metodo “Mimerito” sperimentato dal Miur e promotore del progetto di risonanza internazionale “Plinio”, è stato reporter dall'Afghanistan e dall'Himalaya. Ha appena pubblicato il romanzo "Eugénie" (Bibliotheka). Ricercatore del bello, del sano e del vero – per quanto scomodi - vive una relazione complicata con l'Italia che ama alla follia sebbene, non di rado, gli spezzi il cuore

Immaginiamo un delizioso borgo medievale, affollato di preziosi tesori storico-artistici: un giorno arriva un nuovo sindaco che comincia a demolire tutto per costruire centri commerciali, parcheggi e discoteche. I cittadini della pro loco insorgono, naturalmente, e non si capacitano di come tutto ciò sia possibile. Poi arriva un tale che spiega come il Sindaco non sia un vero sindaco, ma un impostore al soldo degli speculatori edilizi che non è mai stato eletto da nessuno. E questi cittadini, invece di esultare e affondare golosamente gli occhi nella documentazione prodotta, danno addosso al tizio, ignorano le carte oppure difendono a spada tratta la legittimità del falso sindaco escogitando perfino estrose cavillosità. E l’impostore continua a far saltare in aria con la dinamite cappelle, torri e antichi edifici del borgo medievale.

Ormai bisogna ricorrere alle favolette, alle immagini plastiche, per cercare di far capire a chi non vuol capire l’assurda realtà del fuoco amico tradizional-sedevacantista, un fenomeno di ipnotismo quasi preternaturale, come scrivevamo.

Così, oggi tratteremo della presunta “confutazione” di don Curzio Nitoglia al sottoscritto, ripresa – notiamo con dispiacere – da Effedieffe   

Il colto sacerdote ex sedevacantista contesta lo scrivente su due posizioni: l’ipotesi di uno scisma e l’esistenza di un “papa diavolo”.

Primo paradosso di don Curzio: dopo essere stato per molti anni sedevacantista, cioè convinto dell’illegittimità di tutti i papi dopo Pio XII, nel momento in cui c’è DAVVERO un papa illegittimo, don Curzio … ne diventa il più strenuo difensore.

Secondo paradosso di don Curzio: invece di contestare nel merito l’inchiesta bestseller “Codice Ratzinger” (Byoblu ed. maggio 2022), affrontando di petto sia la questione canonica sia la mole di inequivocabili messaggi di papa Benedetto che confermano in modo totale la sede impedita, don Curzio si ferma alla pura teoria per rifiutare a priori i risultati dell’inchiesta. Un metodo davvero curioso che ricorda i critici di cui scriveva Galileo: “Che dire di quei più celebri filosofi di questo Studio i quali, colmi dell’ostinazione dell’aspide, nonostante più di mille volte io abbia offerto loro la mia disponibilità, non hanno voluto vedere né i pianeti, né la luna, né il cannocchiale?”. Una buona idea potrebbe essere quella di leggere prima l’inchiesta e poi provare a contestarla.

Fatte queste premesse, entriamo nel merito delle obiezioni di don Nitoglia sul discorso scisma. Scrive il padre: «Il Catechismo di San Pio X, al numero 131, insegna: “Essere fuori dalla Chiesa è danno gravissimo, perché fuori di essa non si hanno né i mezzi stabiliti né la guida sicura alla salvezza eterna, la quale per l’uomo è l’unica cosa necessaria. […] È per questo motivo che la teoria filo/scismatica proposta da Andrea Cionci non si può seguire assolutamente anzi è da rigettare totalmente».

Don Curzio si riferisce a un articolo dello scrivente del febbraio 2021 QUI  ma cadendo in un totale travisamento.

Ecco cosa scrivevamo in merito all’esistenza oggettiva di due chiese completamente diverse e antitetiche, che avrebbero dovuto pacificamente dividersi  con “una separazione in cui paradossalmente, non sarà una piccola parte rivoluzionaria ed eversiva a distaccarsi dalla vera Chiesa, ma un Piccolo resto – per citare la categoria biblica dei Maccabei - che rimane perfettamente cattolico, purissimo, tenacemente mariano ed eucaristico, amante del Rosario, dei Santi e della messa in latino, rigorosamente fedele al Catechismo, a fronte di una massa ecclesiastica conquistata dal modernismo che SE NE ANDRÀ PER LA SUA STRADA, con i suoi propositi ecologisti, massonici, omosessualisti, immigrazionisti, sostenuta da legami doppi e tripli con la sinistra mondiale”. 

Quindi non è affatto come dice don Curzio, cioè che il sottoscritto si augura come la vera Chiesa si autoscismi da quella bergogliana, ma esattamente l’opposto: è quella maggioritaria bergogliana che deve essere scismata. Sono loro, con l’eresia modernista di cui parla lo stesso don Nitoglia che SI SONO MESSI FUORI. Tanto varrebbe, si diceva, formalizzare questa fuoriuscita.

Tale proposta ha poi trovato compiuta realizzazione. All’epoca, infatti, ancora non avevamo ancora compreso la sede impedita di papa Benedetto, con cui lui ha fatto esattamente questo: non abdicando e separando le linee successorie, la sua, papale, e quella antipapale di Bergoglio, Ratzinger ha separato “i credenti dai non credenti” come lui stesso ebbe a dichiarare all’Herder Korrespondenz nell’agosto 2021.

Benedetto XVI, vittima di ammutinamento e forzato ad abdicare, ha messo alla prova con un “test escatologico” il clero a lui infedele. Ha fatto una dichiarazione con cui non abdicava affatto, ma si ritirava in sede impedita restando l’unico vero papa. Ora, grazie al suo codice Ratzinger, questa realtà sta venendo progressivamente alla luce e si sta così separando il grano dal loglio. Quando la sede impedita sarà ufficializzata, sarà guerra totale fra i cardinali ed è per questo che Bergoglio, pur avendo già da tempo una maggioranza blindata in un futuro conclave invalido, continua a nominare a spaglio falsi cardinali: li sta legando alla loro berretta cardinalizia, tentandoli: se decade l’antipapato, decade il loro (falso) cardinalato. In tal modo, mettendo in gravissimo rischio l’anima degli pseudo-cardinali, sta rimpolpando le file dei suoi potenziali difensori per questo scontro finale. Quindi, ci sarà per forza un grande scisma dove la vera Chiesa caccerà via gli eretici. Ora, se dal punto di vista spirituale questo è pacifico, ciò che è ancora da vedere è se la vera Chiesa riuscirà a riconquistare la sede, il Vaticano con tutti i suoi beni, oppure se dovrà “uscire dalla Sinagoga” un’altra volta. Questa seconda, drammatica prospettiva la si dovrà proprio a coloro che la pensano come don Nitoglia, gli UNA CUM che, pur vedendo Bergoglio come il fumo agli occhi, ne difendono la legittimità contro ogni evidenza e ci garantiranno un altro antipapa suo successore eletto con il concorso di circa 120 falsi cardinali.

In quel caso, la vera Chiesa rimarrà quella di Benedetto e, pur avendo scismato la falsa chiesa bergogliana, perderà tutti i beni materiali e dovrà ripartire dalle catacombe.  

E arriviamo così alla seconda contestazione di don Nitoglia che, pur di legittimare Bergoglio, da lui considerato un eretico modernista, arriva a teorizzare la possibilità dell’esistenza di un “papa diavolo”. Scrive don Curzio: “Andrea Cionci in un articolo apparso su Libero il 24 agosto 2022 nega che si possa essere allo stesso tempo Apostolo e diavolo. Ora, per confutare questa sua asserzione basta leggere il Vangelo di San Giovanni e il Commento di San Tommaso d’Aquino. Nel Vangelo di San Giovanni (VI, 71-72) leggiamo: “Rispose Gesù: Non ho forse Io scelto voi, i Dodici? Eppure uno di voi è un diavolo. Egli parlava di Giuda Iscariota, figlio di Simone: questi infatti stava per tradirlo ed era uno dei Dodici”.  Il suo “seggio” di Apostolo non era, quindi, “vacante”.

Con una certa delusione notiamo che in questo passaggio don Curzio adotta scorrettamente la dialettica bergogliana: attribuire all’interlocutore cose che non ha mai detto per poi confutarlo facilmente.

Chiunque può verificare QUI come lo scrivente non abbia mai affermato che non ci possa essere un apostolo diavolo, bensì che sia una completa assurdità il PAPA DIAVOLO.

Infatti, sebbene Giuda fosse certamente un diavolo, secondo il Vangelo di San Giovanni, Cristo non scelse affatto lui come pietra per fondare la Sua chiesa, ma l’apostolo PIETRO. E IL PAPA È IL SUCCESSORE DI SAN PIETRO, non certo di Giuda, o di un apostolo qualsiasi.

Secondo don Curzio, lo Spirito Santo dovrebbe assistere l’elezione di un papa diavolo? E dove andrebbe a finire l’infallibilità ex cathedra del papa, come da dogma ben noto? E la promessa di Cristo “infera non praevalebunt”? Ma stiamo scherzando?

Giuda non fu scelto perché tradì Cristo; così, il papa, per quanto possa essere immorale a livello personale, come furono Alessandro VI o Innocenzo VIII, non potrebbe mai essere un diavolo nel senso di andare contro Cristo, come don Curzio contesta a Bergoglio. Infatti, il dogma dell’infallibilità papale promulgato nel Concilio Vaticano I (1869) è suffragato dalla constatazione che, nella storia, nessun papa, per quanto lussurioso, vizioso o nepotista a livello personale, è mai andato deliberatamente contro la fede cattolica, come invece sta facendo antipapa Francesco.

Piuttosto, la teoria di don Nitoglia si potrebbe ottimamente adattare a un VESCOVO-DIAVOLO, successore dell’apostolo-diavolo Giuda. E i conti tornano: infatti, Bergoglio non è papa, (perché il vero papa non ha abdicato), ma, guarda caso, è proprio un vescovo dato che con il papato o l’antipapato si perde lo status cardinalizio. Un vescovo vestito di bianco, per l’esattezza, come nel terzo Segreto di Fatima QUI  . Non stupisce nemmeno, quindi, la predilezione di Bergoglio per Giuda, che lui – freudianamente – ventila essere stato salvato da Cristo, in palese contrasto con la Tradizione QUI .

Padre Nitoglia ha quindi preso due completi abbagli, ma tuttavia possiede una grande qualità: l’onestà intellettuale per tornare sui suoi passi, per amore della verità. Confidiamo che dopo la lettura di “Codice Ratzinger” possa rendersi conto dell’oggettiva, ridondante ed enciclopedica dimostrazione della sede impedita di papa Benedetto, unico legittimo pontefice che ha salvato la Chiesa cattolica.

Ce lo auguriamo davvero per tutti gli una cum perché è una RESPONSABILITÀ STORICA TREMENDA quella di non voler NEMMENO ESAMINARE la questione e supportare in tal modo il liquidatore della Chiesa cattolica, abbandonando il Vicario di Gesù Cristo.

Diego Fusaro su Codice Ratzinger: “Il papa è Benedetto XVI, non Bergoglio”. Andrea Cionci su Libero Quotidiano il 20 agosto 2022

Andrea Cionci. Storico dell'arte, giornalista e scrittore, si occupa di storia, archeologia e religione. Cultore di opera lirica, ideatore del metodo “Mimerito” sperimentato dal Miur e promotore del progetto di risonanza internazionale “Plinio”, è stato reporter dall'Afghanistan e dall'Himalaya. Ha appena pubblicato il romanzo "Eugénie" (Bibliotheka). Ricercatore del bello, del sano e del vero – per quanto scomodi - vive una relazione complicata con l'Italia che ama alla follia sebbene, non di rado, gli spezzi il cuore

Come sapete, il volume “Codice Ratzinger” (Byoblu ed., maggio 2022) raccoglie l’inchiesta portata avanti per due anni su questa pagina web di Libero e, pochi giorni fa, è stato inserito dal Corriere della Sera e dal Sole 24 ore fra i primi dieci saggi-bestseller nazionali. Nonostante la dimostrazione – di portata storica - del fatto che Benedetto XVI sia l’unico vero papa in sede impedita, il mainstream fa finta che il libro non esista. E questa è una delle ennesime conferme della veridicità della questione.

Arriva però un endorsement di peso: dopo aver letto il libro, il filosofo Diego Fusaro ne ha pubblicato su Twitter la copertina aggiungendo: “Un testo imprescindibile per capire cosa accadde in Vaticano nel 2013 e perché Ratzinger è, ad oggi, il solo papa”.

Una dichiarazione notevole, così gli abbiamo posto qualche domanda per argomentare.

D. Professore, cosa l’ha convinta del volume, più l’aspetto canonico o quello relativo alla “messaggistica” di papa Benedetto?

R. Mi ha colpito la raffinata struttura che tiene insieme le due cose, quella più teoretica e quella legata all’analisi del Codice Ratzinger le quali trovano nella Declaratio il punto di incontro. La tesi forte secondo cui il Pontefice è ancora Benedetto, il quale non ha fatto un passo indietro davanti ai lupi, ma un passo di lato per contrastare le potenze del nichilismo relativistico, è sorretta, in perfetta armonia, dall’impalcatura dell’analisi dei suoi “codici”. 

D. Eppure, in vari ambienti tradizional-conservatori cattolici emerge una certa resistenza a comprendere tale scioccante – ma, in effetti, risolutivo – scenario…

R. C’è il fatto che le potenze anticristiche non arrivano mai in modo dichiarato, bensì in modo pressoché indistinguibile da Cristo e dal Suo Vicario, così come è perfettamente rappresentato dall’affresco del Signorelli nel Duomo di Orvieto, dove l’Anticristo è quasi identico a Gesù.

Direi però, con Mark Twain, che “è piu facile ingannare le persone che far capire loro di essere state ingannate”. Molti si rifiutano di ammettere che sono stati ingannati dalla “elezione” di Bergoglio, pur nutrendo forti antipatie per quella che - parafrasando Nietszche – chiamerei la sua “teologia col martello” la quale comporta la dissoluzione della dottrina cattolica. Comprendere il Codice Ratzinger e la realtà della sede impedita richiede un plus-lavoro concettuale ed ermeneutico che pochi hanno voglia di fare. 

D. Un papa che non è il papa: si può immaginare un’impostura più titanica a livello storico-politico? L’illegittimità di “papa Francesco” sembra essere la chiave di volta di un più grande e generale sistema di imposture, che ne pensa?

R. Bergoglio è sicuramente uno dei capisaldi del nuovo ordine del capitalismo globale ed è una centrale fondamentale di diffusione del pensiero unico politicamente corretto che diventa così anche “teologicamente corretto”. Definirei Bergoglio “il Gorbaciov della Chiesa di Roma”: per ammodernarla la sta distruggendo. La Chiesa deve essere custode del depositum fidei, della Parola di Cristo, non può aggiornarsi. Se si apre al mondo, si perde nel mondo: è quel che accadde col Concilio Vaticano II. Papa Ratzinger, a capo di quel “piccolo resto” di cui parlava già nel 1969, sta provando a resistere alla civiltà relativistica dei mercati tenendo da un lato ferma la tradizione filosofica e teologica

cattolica, dall’altro tracciando una netta demarcazione fra due linee successorie, quella papale, la sua, e quella antipapale di Bergoglio. 

D. “Codice Ratzinger” è un libro dedicato non solo ai cattolici, ma a tutti coloro cui sta a cuore la verità. Perché anche i laici dovrebbero rispondere a questa "chiamata alle armi"? 

R. Direi che sostanzialmente la questione della verità non distingue tra laici e credenti: la verità, hegelianamente, si raggiunge o con il concetto filosofico o con la rappresentazione religiosa, teologica. Chiunque cerchi la verità, in sostanza sta facendo teologia, tanto che, secondo Aristotele, teologia e filosofia coincidono in quanto ricercano l’essere, i principi primi. Per dirla con Hegel, filosofia e teologia hanno il medesimo contenuto, la verità, l’assoluto. Ora, anche un laico comprende che l’unica cosa che si può opporre al nulla ateistico della civiltà della tecnica e dei consumi, con la sua illimitata e autoreferenziale circolazione delle merci, è la ricerca dello spirito, del trascendente. Quando Pasolini lesse lo slogan pubblicitario dei jeans “non avrai altro jeans all’infuori di me” scrisse che era iniziata la lotta della civiltà liberal-nichilista dei consumi contro la religione. Uno scontro finale in cui la Chiesa avrebbe resistito o avrebbe capitolato nell’ateismo liquido della civiltà dei consumi. Quella di Ratzinger è una resistenza eroica, e per riconoscerla e supportarla poco importa essere credenti. Ci possono essere atei dell’indifferenza che indossano panni ecclesiastici - o addirittura papali, come nel caso di Bergoglio - e laici in giacca e cravatta che hanno invece una forte vocazione veritativa.  Il Vaticano di Bergoglio è oggi la sede dell’ateismo liquido: con questa espressione, intendo l'atteggiamento di chi dice che Dio esiste e poi si comporta come se non esistesse.

D. Potremmo dire che questo scontro finale tra verità e menzogna riprenda quella concezione fra “sopra e sotto” di cui Lei parla spesso?

R. Direi di sì, anche se in un senso opposto all’opposizione simbolica cielo/terra: i gruppi dominanti (sopra) si fondano su quella dittatura del relativismo – come la chiamava lo stesso Ratzinger – e  non sanno che farsene della verità, ma devono disfarsene in ogni modo. Il potere neoliberale deve ridurre tutto a merce e proprio per questo non può accettare la sopravvivenza del Sacro, dell'Eterno e del trascendente. Quantità, calcolo, profitto: il sopra, l’alto deve mettere in congedo la religione. Il basso è degli umili: coloro che appartengono alle classi lavoratrici sono quelli che hanno ancora dalla loro la verità e la sua ricerca, conservando lo spirito della trascendenza.   

D. Chi ha letto il libro sa che la sede impedita sarà un giorno ufficializzata. Cosa succederà allora, secondo Lei?

R. L’importante è che ci sia qualcuno pronto a far emergere la verità con forza come ha già fatto in buona parte don Alessandro Minutella. C’è una cappa, come la chiama Marcello Veneziani, che impedisce alla verità di emergere. Questo non avverrà senza un impegno di tutti coloro che amano la verità. Penso che pubblicazioni come “Codice Ratzinger” siano indispensabili, per questo ho provato a dare diffusione al libro. Io stesso, sto lavorando a un testo sulla dissoluzione del Cristianesimo sebbene più su larga scala rispetto alla pur centrale vicenda di Bergoglio che di questa evaporazione è responsabile. Il tema della mia ricerca riguarda l'inimicizia tra la religione della trascendenza e Il fanatismo dell'economia di mercato: con Bergoglio e con la sua teologia del nulla il cristianesimo evapora e lascia spazio al pensiero unico della civiltà tecnomorfa.

I codici Ratzinger nel libro di Odifreddi. Benedetto XVI svela Bergoglio al matematico ateo. Andrea Cionci su Libero Quotidiano l'08 agosto 2022

Andrea Cionci. Storico dell'arte, giornalista e scrittore, si occupa di storia, archeologia e religione. Cultore di opera lirica, ideatore del metodo “Mimerito” sperimentato dal Miur e promotore del progetto di risonanza internazionale “Plinio”, è stato reporter dall'Afghanistan e dall'Himalaya. Ha appena pubblicato il romanzo "Eugénie" (Bibliotheka). Ricercatore del bello, del sano e del vero – per quanto scomodi - vive una relazione complicata con l'Italia che ama alla follia sebbene, non di rado, gli spezzi il cuore

“Un esempio eccezionale di dialogo tra Fede e Scienza … un’intensa e profonda corrispondenza epistolare tra il matematico ateo Piergiorgio Odifreddi e papa Benedetto XVI”.

Così viene presentato il libro “In cammino alla ricerca della verità”, Rizzoli, maggio 2022 ma, a fronte delle 150 pagine di verbose riflessioni di Odifreddi che, con sfoggio di pur notevole erudizione, propina i soliti luoghi comuni dell’ateismo militante, (compresa l’estenuante citazione della storia di Ipazia), le pagine di Benedetto XVI sono meno di una ventina, di cui oltre la metà biglietti di auguri, scuse per il ritardo nella risposta e benedizioni per i casi personali del matematico. Un po’ pochino per definirlo un “eccezionale dialogo tra Scienza e Fede”. La spiacevole sensazione che se ne trae è che Odifreddi abbia avuto poco tatto e molto calcolo, da buon matematico, a vendere quel suo sostanziale monologo come un dialogo col papa 90enne il quale, poverino, si scusa in continuazione di non avere le forze e la salute per rispondere nel dettaglio.    

Eppure, nonostante la clamorosa sproporzione – almeno quantitativa -  fra i contributi, il Santo Padre, nella sua signorilità e generosità, ha autorizzato quella pubblicazione con una doppia firma, dopo averne verificato le bozze.

In effetti, nella prima parte in cui il matematico riferisce dei gustosi colloqui personali avuti col vero papa in sede impedita, sono contenute alcune perle, alcuni meravigliosi Codici Ratzinger sfuggiti alla comprensione di Odifreddi, il quale, pure - bisogna dargli atto – aveva capito che c’era qualcosa che non tornava nelle sue “dimissioni”.

 Tanto per cominciare, ecco cosa riferisce il matematico: “Gli dico (a papa Benedetto n.d.r.) che l’avevo visto in televisione con i nuovi cardinali nominati nel Concistoro di una decina di giorni fa, e lui precisa che è stato papa Francesco a insistere per l’incontro: forse per suggerire che si è trattato PIÙ DI UN DOVERE, CHE DI UN PIACERE”.

Buono sapersi, tra l’altro non possiamo trattenere un largo sorriso ripensando alla stessa occasione, di tre anni dopo, (2019) quando antipapa Francesco aveva presentato i suoi pseudo cardinali all’”emerito”, Benedetto XVI che disse loro: “Vi raccomando la fedeltà al papa”, ovviamente SENZA SPIEGARE QUALE. Apprendiamo quindi che nel 2016 papa Benedetto, di malavoglia, aveva ricevuto quegli ecclesiastici abusivamente vestiti di rosso, perché Bergoglio ci teneva che gli venissero presentati, probabilmente nella pia illusione che in tal modo potessero essere convalidati.

Prosegue Odifreddi: “A proposito dei due libri, gli faccio presente che la giustificazione che ha dato in entrambi delle sue dimissioni, di essere state dettate dalla constatazione di non poter più fare viaggi intercontinentali, in generale, né partecipare alle Giornate della Gioventù, in particolare, a molti è apparsa soltanto come una scusa diplomatica. Ma lui nega pacatamente, e conferma con un disarmante sorriso: «Invece, è proprio così»”.

E ha ragione, è proprio così: papa Ratzinger era impedito nell’esercizio delle sue funzioni, non poteva più “fare il papa”, viaggi compresi. Come sempre, Benedetto dice la verità.

E’ però ammirevole che sulla clamorosa questione della veste bianca, Odifreddi si sia fatto venire almeno un dubbio. Di questo meraviglioso codice Ratzinger abbiamo trattato più approfonditamente.

“Io insisto che almeno la scusa che ha dato ad Andrea Tornielli in una lettera, di continuare a vestirsi da papa perché non c’erano a disposizione vesti diverse, appare francamente incredibile: soprattutto in Vaticano, dove le vesti nere e rosse non mancano, e quelle bianche quasi si cuciono addosso al neoeletto papa, all’ultimo momento. Ma ancora una volta Benedetto XVI conferma, aggiungendo che nei giorni convulsi delle dimissioni non ebbe nemmeno il tempo di impaccare le sue cose. Gli domando se indossa la veste bianca solo quando riceve qualcuno, ma lui scuote la testa, e dice che la tiene anche quando è solo. Vedo che ora invece nei piedi ha dei sandali da frate, al posto dei famosi mocassini rossi”.

Tra la Declaratio e l’abbandono della “Sede di San Pietro” passarono 17 giorni, più che sufficienti per il papa per procurarsi una veste di qualsiasi colore avesse voluto, per non parlare dei tre anni successivi (il colloquio era del 2016). Quindi, Benedetto continua, con umorismo, a cercare di far capire al matematico che nei giorni convulsi della sua detronizzazione non ha abbandonato la veste bianca “per motivi pratici” – come scrisse a Tornielli - in quanto non esiste una veste specifica da papa impedito. Ma lui porta comunque la talare diversa da quella da papa, essendosi privato della mantelletta e della fascia, simbolo dei due elementi del ministerium ai quali ha rinunciato di fatto: annunciare il Vangelo e governare la barca di Pietro.

Una nota interessante, il matematico la riferisce qui: “Mi ricordo di dirgli che LA VERITÀ si può anagrammare in due modi antitetici, che riflettono le nostre rispettive posizioni: per lui è RIVELATA, per me RELATIVA. Il papa sembra sorpreso e sbalordito, e commenta che è straordinario come un gioco di parole possa nascondere qualcosa di sorprendentemente profondo. Intuisco che gli piacciono gli anagrammi, e lui conferma che è sempre stato così”.

Sembra una frase quasi preparata, come quelle dei libri di Seewald: infatti, il Codice Ratzinger è costellato da giochi di parole, anfibologie ed enigmi di cui Benedetto XVI è maestro, come il suo amato attore Karl Valentin.

Continua Odifreddi: “Io proseguo citando i passi falsi di papa Francesco sulle riforme, come le imbarazzanti nomine di monsignor Lucio Vallejo Balda e della signora Francesca Immacolata Chaouqui, poi finiti sotto processo e condannati per lo scandalo Vatileaks 2. Papa Benedetto scuote sconsolato la testa, sottolineando con un sorriso amaro che quelle erano nomine nuove, e non gente scelta da lui”.

Appunto, nomine di Bergoglio, completamente invalide, come tutto ciò che ha fatto l’antipapa.

A questo proposito vale la pena citare il canone 335: “Mentre la Sede romana è vacante o totalmente impedita, non si modifichi nulla nel governo della Chiesa universale; si osservino invece le leggi speciali emanate per tali circostanze”. Come leggete, la sede impedita del papa, dove il papa resta papa, sebbene prigioniero, è la perfetta alternativa alla sede vacante prodotta da morte o regolare abdicazione del pontefice. Quindi non stiamo parlando di astruse cavillosità, ma di una situazione del tutto contemplata dal Diritto canonico.

Ma qui Odifreddi ci regala una perla: “Mi viene in mente per associazione di idee che l’indomani sarà il quinto anniversario dell’elezione di Francesco, e chiedo a Benedetto XVI quale sia il bilancio di un pontificato che sembra aver sollevato più aspettative di quante ne abbia potuto realizzare. Il papa emerito risponde che Bergoglio è una persona molto colta, anche se i suoi modi semplici possono ingannare”.

Avrete colto la straordinaria, raffinata anfibologia: la frase si può intendere sia nel significato per cui i modi familiari e alla mano di Bergoglio possono erroneamente far supporre che non sia una persona colta, sia il fatto che, nonostante sia una persona colta, non è una persona buona e può ingannare con i suoi modi amichevoli, come infatti è del tutto dimostrato da varie finzioni propagandistiche di Bergoglio, tipo la falsa visita a sorpresa al negozio di dischi, preparatissima, con l’appostamento del suo fotografo Javier Martinez Brocal. 

Ripetendo la storia del “giornalista che si trovava lì casualmente”, Bergoglio ha infatti ingannato un miliardo e passa di persone col suo fare semplice, “alla uno di noi”.

Prosegue il matematico: “Io chiedo invece il permesso di domandare un chiarimento su un punto delicato, che è stato sollevato da padre Georg: l’ormai famosa distinzione tra il “papa attivo” e il “papa contemplativo”. Benedetto XVI rimane un attimo in silenzio, forse domandandosi se affrontare questo discorso o no, ma poi conferma. E ripete l’analogia del padre che, anche se rinuncia alle funzioni di padre, rimane comunque padre. In altre parole, lui rimane papa “ontologicamente, ma non funzionalmente”: dal che discende, in particolare, che c’è un solo papa regnante”.  

Il riferimento è a un antico uso dei contadini bavaresi: a una certa età il fattore si ritira in una piccola dependance, e lascia al figlio la gestione di tutto. Ma non è che con questo il padre smette di ESSERE padre, piuttosto cessa di FARE il padre. Quindi Benedetto – in quanto in sede impedita -  rimane papa nell’ESSERE papa, ontologicamente, ma senza le funzioni che sono gestite da uno che non E’ il papa, ma che FA il papa come usurpatore, ovvero il  papa illegittimo regnante. Infatti, Mons. Gaenswein non parlava di papa attivo e papa contemplativo, ma di due membri (uno attivo e uno contemplativo) compresi in una “sorta di ministero allargato in cui c’è “un solo papa legittimo, ma due successori di san Pietro viventi”. Ergo, dato che Benedetto è in sede impedita, il papa legittimo è quello contemplativo, Ratzinger, l’emerito, cioè colui che ha diritto di essere papa, mentre il membro attivo è il papa illegittimo, Bergoglio, regnante, cioè quello che FA il papa.

Non era facilissimo da capire, ma se ci siamo riusciti noi, la questione era del tutto alla portata di un logico come Odifreddi che, di seguito, ci regala un’eccellente considerazione sulle manfrine comunicative di Bergoglio: “Come lei saprà, Scalfari e papa Francesco hanno un rapporto amichevole, per alcuni versi simile a quello che abbiamo noi. Con la differenza che Scalfari, ogni volta che esce da un colloquio privato con Bergoglio lo pubblica, all’insegna di un’interpretazione fantasiosa del motto di Berkeley: esse est percipi (a legentibus). Come se non bastasse, ogni volta il giornalista mette in bocca al papa affermazioni per lo meno azzardate: l’ultima delle quali, che l’Inferno non esiste e le anime dannate non vanno da nessuna parte, ma semplicemente “si dissolvono”.  Regolarmente il portavoce del papa smentisce che quelle cose siano state dette, ma regolarmente il giornale continua a pubblicarle, senza peraltro riportare mai le smentite, e senza che il Vaticano gli chieda di farlo. Il 2 aprile, nel giorno dedicato in tutto il mondo a stigmatizzare le cosiddette fake news, io ho dunque invitato sul sito di Repubblica il fondatore e il giornale a smetterla di praticare questo tipo di giornalismo fasullo e scorretto.  Apriti cielo! Invece di un’improbabile mea culpa, è arrivato un farisaico stracciarsi di vesti, seguito da un prevedibile licenziamento. Poco male per me, perché già da tempo non mi sentivo più in sintonia con il giornale con il quale ho collaborato per diciott’anni. Ma molto male per la Chiesa, perché tutti gli altri giornali e i loro lettori continuano a domandarsi come mai papa Francesco insista a parlare con un giornalista inaffidabile, che gli fa dire cose semplicemente “eretiche”. Ormai la percezione diffusa è che Bergoglio e Scalfari giochino di concerto, per far passare di soppiatto idee che non si potrebbero diffondere apertamente”.

Perfetto. Qui Odifreddi ha colto nel segno. Peccato invece che non si sia incuriosito di una straordinaria battuta del papa quando il matematico gli sottopone quel vergognoso polpettone mistificatorio del film “I due papi” di cui abbiamo trattato:

Racconta il matematico: “Il ruolo di Benedetto è impersonato da Anthony Hopkins, un attore da Oscar, e Ratzinger nota che esiste qualche somiglianza fra loro: anche nell’età, aggiungo, visto che Hopkins ha dieci anni in meno, e il film narra eventi di una decina di anni fa. È invece Jonathan Price nei panni di papa Francesco a non convincere Ratzinger, SOPRATTUTTO PER IL COLORE DELLA PELLE”.

Ora, davvero pensate che la critica di Benedetto fosse al truccatore, colpevole di aver scelto una nuance sbagliata per il fard di Jonathan Price? E’ chiaramente una battuta per dire che Price ha la “pelle” sbagliata, bianca, cioè indossa l’abito da papa e questo non lo convince perché Bergoglio non è il papa.

Nel cosiddetto “rompicapo della mozzetta rossa” avete, infatti, letto come papa Benedetto rivela come Bergoglio sia abusivamente vestito di bianco 

Vi lasciamo con un’ultima commovente allusione anfibologica del Santo Padre, quando in pieno Covid, manda un biglietto a Odifreddi: “Anche noi viviamo nel nostro piccolo Monastero in una specie di quarantena e speriamo nel ritorno della libertà”.

Ma questa sembrerà ai bergogliani e agli “una cum” solo una banale considerazione in tempi di pandemia, sappiamo che la capirà solo chi “ha occhi per vedere e orecchie per intendere”.

Lo facciamo apposta: sull’esempio di papa Benedetto, dobbiamo sempre lasciare un tanto d’ombra per gli increduli.

Nuovi preti fedeli a Benedetto XVI: “Bergoglio non è papa”. Codice Ratzinger 2° bestseller. Andrea Cionci su Libero Quotidiano il 06 agosto 2022

Andrea Cionci. Storico dell'arte, giornalista e scrittore, si occupa di storia, archeologia e religione. Cultore di opera lirica, ideatore del metodo “Mimerito” sperimentato dal Miur e promotore del progetto di risonanza internazionale “Plinio”, è stato reporter dall'Afghanistan e dall'Himalaya. Ha appena pubblicato il romanzo "Eugénie" (Bibliotheka). Ricercatore del bello, del sano e del vero – per quanto scomodi - vive una relazione complicata con l'Italia che ama alla follia sebbene, non di rado, gli spezzi il cuore

Mentre Bergoglio, con le piume in testa, partecipa a evocazioni di spiriti maligni insieme agli stregoni pellerossa e incoraggia la “pastorale omosessuale” del gesuita lgbt James Martin, la storia della Chiesa si sta dipanando in una delle sue pagine più straordinarie e memorabili nell’indifferenza – ostentata, quanto eloquente - del mainstream.  

Ieri sera, a Piccola Nazareth, presso Carini (PA) sede della comunità di don Alessandro Minutella, c’è stato un incontro storico, appunto, dove nuovi preti sono venuti fuori, con coraggio, dichiarando pubblicamente che il papa è solo Benedetto XVI, e non Bergoglio, del tutto incuranti delle sanzioni che li hanno già colpiti e delle altre che prevedibilmente li aspettano.

Don Enrico Bernasconi, presuntamente scomunicato come don Minutella, poi Fra Celestino, padre Gebhardt (tedesco), don Johannes, (austriaco), padre Pavel (ceco) e don Natale.

Facce buone e decise, voci di preti miti che dicono la verità senza ribellismo, anzi, perfino con un pizzico di humor: hanno già perso parrocchia e stipendio e ora si consegnano alla scure bergogliana per testimoniare la fedeltà a Cristo e al Suo legittimo Vicario in sede impedita.

Come sapete, tal realtà è stata sviscerata proprio su questa pagina dove abbiamo portato avanti l’inchiesta “Codice Ratzinger” il cui libro omonimo, ad oggi, è il secondo bestseller italiano per Mondadori e Rizzoli,   

Vi sembra normale che, a parte Libero, nessun giornale scriva di questo oggettivo caso editoriale? Lo è, ma nel senso che abbiamo colto nel segno e “il sistema” si protegge illudendosi di farci passare per terrapiattisti.

Ci onora, peraltro, il fatto che alcuni di questi sacerdoti-eroi riunitisi a Piccola Nazareth abbiano sciolto dei dubbi residui, oltre che attraverso le catechesi di don Minutella, anche grazie a tale inchiesta.

“Il vero papa è Benedetto XVI - dichiara il salesiano ceco don Pavel, al quale hanno tolto parrocchia, e stipendio tanto che per mantenersi ha dovuto lavorare in un’officina a Praga - questa convinzione è maturata in due anni dopo la ricerca dei fatti, delle informazioni anche difficili da reperire perché in Repubblica ceca non si sa bene quello che succede in Vaticano. Durante il lavoro come meccanico,  ho ascoltato le catechesi di don Minutella e mai ho sentito un errore dogmatico. Il suo discorso era sempre logico e coerente. Sincerità, verità, ricerca della salvezza delle anime, questi gli atteggiamenti che mi hanno guidato e l’ho detto anche ai miei superiori: a me interessano solo le anime”.

“Da circa sei anni sento che con il pontificato di Francesco qualcosa non va bene e che non ha l’assistenza dello Spirito Santo – spiega l’austriaco padre Johannes - ho ricevuto la conoscenza che Benedetto XVI è ancora il vero papa e con lui rimane ancora la Chiesa cattolica. L’ho comunicato al vescovo della mia diocesi qualche mese fa, so che questo porta delle conseguenze, ma confido che il Signore Gesù mi aiuta e che prepara la strada. E’ lui che vince e che deve regnare nella mia vita”.

“Non possiamo andare certamente contro la nostra coscienza – aggiunge don Enrico Bernasconi (da non confondere con don Mattia Bernasconi, quello della messa sul materassino) - e vorrei fare umilmente un appello ai confratelli in ascolto perché solo la verità ci rende liberi. Bisogna avere il coraggio di esporsi senza compromessi, senza fare alleanze strane. Da quando ho preso la decisione di celebrare in comunione con papa Benedetto si sono spezzati tutti i vincoli e le paure e mi sento più forte”.

“A gennaio di quest’anno ho avuto un confronto con don Alessandro – racconta Fra Celestino - volevo aspettare altri errori di Bergoglio per decidermi … ma non ne aveva già fatti abbastanza? Volevo che prima di me si muovessero vescovi e cardinali, ma il 2 febbraio di quest’anno mi sono deciso a non celebrare più in comunione con Bergoglio e così mi sono tolto un peso dalla coscienza. Mi sono arrivate restrizioni e ora giro in Italia a confessare quei fedeli che non vogliono farlo coi preti bergogliani. Eventuali scomuniche non mi fanno paura: amicus Plato, sed magis amica veritas”.

Prende poi la parola don Natale: “Di fronte a vescovi, cardinali, preti, frati e monache che stanno a bocca aperta davanti a Francesco, ho capito che egli non è il vero papa, e la spiegazione me la sono data facendo riferimento anche a San Padre Pio che ha ispirato la mia vocazione”.

Il santo di Pietrelcina nel 1960 così annunciava: “E’ Satana che si è introdotto nel seno della chiesa e, in poco tempo, verrà a governare una falsa chiesa”.

“Anche io – prosegue don Natale - celebro messe (in comunione con Benedetto n.d.r.), soprattutto al nord Italia. Il vescovo mi ha tolto la parrocchia, ma per me è stato un vantaggio, altrimenti non avrei potuto muovermi: ringrazio il Signore perché mi ha dato una parrocchia più grande. Auguro a don Minutella di continuare a guidare il Piccolo Resto con la consueta saggezza, ma soprattutto con la direzione di Maria, la «generalessa»”.

 “Nel 2015 - confida ai presenti padre Gebhardt - celebravo in comunione con Francesco, ma mi sentivo male: sapevo che non era giusto. Così ho cominciato a celebrare la messa tridentina (in latino, vetus ordo n.d.r.)  in comunione con papa Benedetto. Tanti fedeli venivano a queste messe e il vescovo ha chiamato dicendo: «Perché ti prendi tutti i miei fedeli?». Io gli risposi:  «Eccellenza, questa è un’occasione anche per Lei se ha coraggio di dire che Benedetto è ancora il papa». Il vescovo ha risposto: «E’ vero, il papa è Benedetto, come dice don Minutella, ma in pubblico non si può dire, la vergogna è troppo grande». Don Minutella è molto importante per il futuro della Chiesa, sono stato colpito dalla sua chiarezza e verità e, anche prima di conoscerlo, avevo cominciato a celebrare una messa al giorno di sostegno per lui”.

L’aspetto della celebrazione in comunione con papa Benedetto, il vero papa, sta, quindi, assumendo tratti sempre più dirimenti: o col papa, con l’antipapa. E’ lo scoglio maggiore da superare per molti fedeli: uscire dalla propria routine e cercare le ancora rare messe in comunione con Benedetto. A migliaia le seguono su Radio Domina Nostra. La comunione col vero papa non è questione da poco, ecco cosa scriveva il card. Ratzinger nel 1977: “Noi abbiamo Cristo solo se lo abbiamo insieme con gli altri. Poichè l'Eucarestia ha a che fare solo con Cristo, essa è il Sacramento della Chiesa. E per questa stessa ragione essa può essere accostata solo nell'unità con tutta la chiesa e con la sua autorità. Per questo la preghiera per il Papa fa parte del canone eucaristico, della celebrazione eucaristica. La comunione con il Papa è la comunione con il tutto, senza la quale non vi è comunione con Cristo”.

E attenzione: senza una mobilitazione, non si risolverà nulla perché i 95 falsi cardinali nominati da Bergoglio eleggerebbero in un prossimo conclave un altro antipapa  

Come vedete, papa Benedetto sta riselezionando i cattolici, sta rifondando e purificando la Chiesa, rafforzando il papato come scriveva Agamben ne “Il mistero del male”. E infatti non ha mai ripreso o censurato questi bravi preti che fanno il loro dovere e si sacrificano per la Chiesa.

Altri sacerdoti si aggiungeranno al Piccolo Resto e poi, finalmente, verranno fuori anche vescovi e qualche cardinale. Vedrete: come diceva Giovanni Paolo II, “la verità si impone da sola”.

Benedetto XVI implora Maria, nella Declaratio nuovo Codice Ratzinger. Andrea Cionci Libero Quotidiano l'01 agosto 2022

Andrea Cionci. Storico dell'arte, giornalista e scrittore, si occupa di storia, archeologia e religione. Cultore di opera lirica, ideatore del metodo “Mimerito” sperimentato dal Miur e promotore del progetto di risonanza internazionale “Plinio”, è stato reporter dall'Afghanistan e dall'Himalaya. Ha appena pubblicato il romanzo "Eugénie" (Bibliotheka). Ricercatore del bello, del sano e del vero – per quanto scomodi - vive una relazione complicata con l'Italia che ama alla follia sebbene, non di rado, gli spezzi il cuore

Finalmente l’incantesimo è spezzato:  domenica 31 luglio,  la recensione di “Codice Ratzinger” sulla pagina culturale di Libero ha interrotto l’embargo mediatico, almeno cartaceo, sul “caso del millennio”. Grazie all’interesse e alla partecipazione di Voi lettori, il libro dell’inchiesta condotta su questa pagina web, pubblicato da Byoblu appena due mesi fa, è già fra i bestseller nazionali. Lecito stupirsi del silenzio eloquente della stampa mainstream, ma, per dirla papale papale, si può comprendere: una volta smascherata la massima impostura, crollerà tutto il resto. 

L’articolo di Gianluca Veneziani è riuscito nell’impresa di condensare in poche colonne una vicenda estremamente complessa nella sua attuazione, sebbene semplicissima nelle conclusioni: papa Benedetto non ha mai abdicato, “il papa è uno solo”, come ripete da nove anni, ed è lui stesso.

Il Cattolicesimo, spiritualmente, è salvo perché papa Benedetto ha portato con sé il munus petrino, l’investitura divina di papa, e ha separato le linee successorie, la sua, da quella antipapale di Bergoglio. Per questo antipapa Francesco non si dimette, nonostante paventi continuamente tale prospettiva: per farlo dovrebbe rinunciare al munus, che non ha, e così verrebbe fuori tutto l’”inguacchio”. Ma la questione materiale, sulle proprietà della vera Chiesa, è ancora tutta da decidere.

Caso ha voluto che le acute domande poste dal collega Veneziani abbiano contribuito a farci scoprire un ultimo, drammatico codice Ratzinger contenuto nel paragrafo finale della famosa  Declaratio dell’11 febbraio 2013.

Per capirlo, un breve riepilogo dei passaggi-chiave: Benedetto XVI invece di rinunciare in modo simultaneo e formalmente corretto al munus, come richiesto per l’abdicazione dall’art. 332.2 del Codice di diritto canonico, fa l’esatto opposto: rinuncia in modo differito, fattuale e non ratificato al ministerium, cosa che lo manda in sede impedita e lo fa restare papa. Egli annuncia che dalle ore 20.00 del 28 febbraio “la Sede di Roma, la Sede di San Pietro” (che non ha personalità giuridica per essere lasciata “vacante”) resterà VUOTA (corretta traduzione del verbo vacet). Infatti, alle 17.30 del 28 febbraio, papa Ratzinger prende l’elicottero, lascia il Vaticano vuoto proprio per le ore 20.00.

Così aggiunge, in un’altra frase oggettiva: “E dichiaro che dovrà essere convocato, DA COLORO A CUI COMPETE, il Conclave per l’elezione del nuovo Sommo Pontefice”.*

Perché Benedetto non dice più banalmente “dai cardinali”? Chi sarebbero questi “coloro a cui compete”? L’accorgimento non è casuale. Papa Ratzinger  in sostanza specifica: “io lascio la sede di San Pietro vuota, voi fate come vi pare, ma sappiate che il prossimo vero papa dovrà essere eletto:

1. dai VERI CARDINALI di nomina PRE-2013 nel caso in cui la vera Chiesa torni a riappropriarsi del Vaticano cacciando gli usurpatori.

2. Oppure, se questo non dovesse accadere, l’elezione del successore di Benedetto toccherà AI FEDELI STESSI, come nei primi secoli cristiani. Questo sarà il triste caso in cui i cattolici dovranno “abbandonare la Sinagoga” per far rinascere la vera Chiesa in modo catacombale, rifondandola altrove.

In ogni caso, il successore di Benedetto XVI dovrà comunque essere eletto proprio “da coloro a cui compete” e non certo da un conclave spurio con 95 falsi cardinali nominati dall’antipapa, come vogliono regalarci gli “una cum”, i conservatori legittimisti di Bergoglio, di fatto suoi collaborazionisti.

Così, durante l’intervista del collega Veneziani, abbiamo colto un senso ben preciso del paragrafo finale della Declaratio:

“Carissimi Fratelli, vi ringrazio di vero cuore per tutto l’amore e il lavoro con cui avete portato con me il peso del mio ministero (ministerium), e chiedo perdono per tutti i miei difetti. Ora, affidiamo la Santa Chiesa alla cura del suo Sommo Pastore, Nostro Signore Gesù Cristo, e imploriamo la sua santa Madre Maria, affinché assista con la sua bontà materna I PADRI CARDINALI nell’eleggere il nuovo Sommo Pontefice. Per quanto mi riguarda, anche in futuro, vorrò servire di tutto cuore, con una vita dedicata alla preghiera, la Santa Chiesa di Dio”.

Oltre all’apparente significato “politicamente corretto” smentito da tutto l’impianto giuridico della Declaratio, l’accorata implorazione finale del papa è che la Madonna ASSISTA I PADRI CARDINALI nell’elezione del pontefice E NON ALTRI, ad esempio  i comuni fedeli, come avverrebbe nel caso più tragico. Capite il dramma? Il papa in sede impedita affida la Chiesa a Cristo (e non a un altro papa eligendo a stretto giro) e implora Maria perché l’elezione del prossimo vero papa tocchi ai veri cardinali, cioè affinché la vera Chiesa, alla sua morte, non debba rinascere nelle catacombe, ma si possa riappropriare della sede. In altre parole, Benedetto prega perché la Santa Vergine faccia in modo che il prossimo vero papa possa essere eletto canonicamente in un contesto di recupero della legalità, dopo il "pontificato d'eccezione" nel quale ogni ordinamento giuridico è sospeso, senza lasciare la sede in mano agli usurpatori e senza quindi dover abbandonare tutto: Vaticano, chiese, palazzi, proprietà, etc.

Questa è l’unica interpretazione coerente con l’impianto giuridico-linguistico del resto della Declaratio e che spiega il particolare uso dell’espressione “coloro a cui compete”.

Come vedete, papa Benedetto è riuscito, come sempre usando il suo linguaggio super-trasparente, a scrivere una dichiarazione perfetta, del tutto coerente e veritiera, ma comprensibile solo da chi ha orecchie per intendere.

Ciò che emerge in questo ultimo paragrafo è il cosiddetto “scenario del cuculo”, di cui abbiamo parlato QUI . Papa Benedetto, in senso spirituale, ha già vinto, perché ha separato le linee successorie, quella sua, da quella dell’antipapa. Infatti, non sono pochi i fedeli e i sacerdoti che già celebrano più o meno clandestinamente la messa “una cum papa Benedicto” QUI   e che non riconoscono Bergoglio, il quale, partito del tutto per la tangente, partecipa ormai pubblicamente a rituali negromantici QUI  .

Tutta la sfida, ora si gioca sull’aspetto materiale, sul possesso finale della sede vaticana. L’antipapa Francesco, infatti, è come l’uovo di un cuculo deposto nel nido dei passeri. Il piccolo cuculo si appropria del nido e getta fuori i pulcini legittimi. Quindi, o si riconosce per tempo il cuculo, e lo si butta fuori, oppure lo stesso si approprierà del nido petrino, lasciandolo in eredità agli antipapi-cuculi suoi successori.

Non rilassatevi, quindi: la guerra spirituale è vinta, ma quella materiale è appena cominciata. E tutto dipenderà da Voi lettori, da come saprete mobilitarvi per diffondere questa verità. 

* Ad essere più precisi, dato che a convocare il conclave è solo il cardinale decano, la corretta traduzione dal latino, come verificato dai latinisti Gian Matteo Corrias e Davide Li Greci è, visto il plurale: “dovrà essere convocato il conclave per l’elezione del nuovo pontefice da parte di coloro a cui compete”. E’ proprio la grammatica a non supportare il collegamento di "ab his quibus competit" a "convocandum esse", che è una perifrastica passiva e regge un complemento d'agente al dativo semplice, non ab + ablativo. Ab his quibus competit va invece collegato a "ad eligendum".

Benedetto XVI: tattica di una geniale difesa della Chiesa. Bergoglio al capolinea: il papa è Ratzinger. Andrea Cionci su Libero Quotidiano il 20 luglio 2022

Storico dell'arte, giornalista e scrittore, si occupa di storia, archeologia e religione. Cultore di opera lirica, ideatore del metodo “Mimerito” sperimentato dal Miur e promotore del progetto di risonanza internazionale “Plinio”, è stato reporter dall'Afghanistan e dall'Himalaya. Ha appena pubblicato il romanzo "Eugénie" (Bibliotheka). Ricercatore del bello, del sano e del vero – per quanto scomodi - vive una relazione complicata con l'Italia che ama alla follia sebbene, non di rado, gli spezzi il cuore

Gli ultimi tempi dell’antipapato in corso sono caratterizzati da una miseria intellettuale desolante. Bergoglio allude a fake news circolanti (non l’ha capita nessuno l’allusione) dimentico di quelle da lui stesso propalate, come la finta visita "a sorpresa" al negozio di dischi, la finta diretta da Fazio, la mistificazione su san Francesco dal Sultano e, soprattutto la bufala del millennio: la legittimità del suo pontificato.

Il commercialista neoariano Enzo Bianchi si rifà vivo su Repubblica con una pseudo-difesa di papa Ratzinger dando furbescamente per scontata la fola del pontefice abdicatario.

Anche Massimo Franco, del Corriere, sponsorizzato da Mr. Bilderberg - Mario Monti ammannisce – inventando – che Benedetto avrebbe dichiarato “il papa è uno ed è Francesco”. Mai successo. 

Il clero omosessual-modernista tedesco raschia il fondo del barile, ottusamente, ripescando inutili storie di 40 anni fa, ormai ignorate da tutti, per tentare di screditare l’odiato Ratzinger. 

Poi ci sono gli una cum, i collaborazionisti di Bergoglio, che o non rispondono, o insultano criticando in modo offensivo il bestseller “Codice Ratzinger”, rigorosamente senza averlo neanche aperto e adducendo giustificazioni del tipo “ma se tutti ci credono, Bergoglio sarà il vero papa”. Non fa una piega: si va con l’applausometro, mica col diritto canonico. 

I sostenitori dell’assurda teoria dell’”errore sostanziale” (quelli che pensano che Benedetto XVI si sia sbagliato a scrivere la Declaratio) poi, sollecitati a render conto, fanno scena muta e sono spariti. QUI. Alcuni di questi tradizionalisti legittimisti di Bergoglio, come il vescovo Schneider, che non ha mai risposto alla nostra cortese lettera aperta, raccontano che, a detta di qualcuno, ma non si sa chi, Benedetto celebrerebbe in comunione con Bergoglio. Prove, nomi, date, registrazioni: meno di zero. Peraltro, Benedetto privatamente celebra in latino, e nel vetus ordo la frase sulla comunione col papa regnante, si dice a bassa voce.

Insomma, queste fiacche, in vero mortificanti, resistenze all’affermarsi della verità – tanto più incomprensibilmente e colpevolmente masochistiche se provenienti da parte tradizionalista - appaiono come gracili reticolati travolti dai cingoli di un carro armato pesante: il Santo Padre Benedetto XVI non ha mai abdicato, il papa è uno solo ED E ‘ LUI e lo dimostra sia la questione canonica, sia quello che lui stesso ha affermato in decine di messaggi dal significato univoco in “Codice Ratzinger”.

Tanto per chiarire, vi illustriamo in modo super-sintetico – e coi fatti oggettivi - la tattica e la tempistica del piano incredibilmente geniale con cui Benedetto XVI ha “indotto in tentazione” (nel corretto senso teologico del Padre Nostro, cioè di “mettere alla prova”) i suoi nemici modernisti-eretici che volevano toglierlo di mezzo.

1983: il cardinale Ratzinger, in previsione di un golpe anticristico nella Chiesa annunciato dai tempi del profeta Daniele fino al terzo Segreto di Fatima (1917), importa dal diritto principesco tedesco la scomposizione dell’incarico papale fra titolo dinastico (munus petrino) ed esercizio pratico del potere (ministerium). Entrambi gli enti sono tradotti in italiano con la parola “ministero”, ma sono molto diversi: se si rinuncia in modo regolare e simultaneo al ministero-munus, c’è l’abdicazione; se si rinuncia in modo differito e non ratificato al ministero-ministerium, c’è la sede impedita, uno status in cui il papa è prigioniero, confinato, ma resta sempre papa, conservando il titolo di origine divina.

Così, l’11 febbraio 2013, ormai messo alle strette dalla Mafia di San Gallo che voleva farlo abdicare, uscito con Vatileaks  il complotto per ucciderlo e subito dopo il misterioso resoconto dei cardinali della Commissione Herranz, papa Ratzinger applica questo piano antiusurpazione preparato da trent’anni e rinuncia al solo ministerium, differendo l’entrata in vigore del provvedimento alle 20.00 del 28 febbraio. In pratica, si lascia imprigionare, come Gesù Cristo, ma resta il Suo Vicario, resta papa. Dopo aver pronunciato il testo in latino della Declaratio, fa spiegare al card. Sodano cosa è successo, passandogli un biglietto, e questi, appunto, non cita minimamente una rinuncia al papato. Paradossale come la giornalista d’agenzia Giovanna Chirri, che diffuse affrettatamente la millenaria, tragica bufala dell’abdicazione, oggi si lamenti, in un libro, per la mesta fine della sua carriera. E cosa pretende, un premio?

Il 27 febbraio, il giorno prima dell’”addio”, Benedetto saluta i cardinali dicendo che prometteva fin da quel momento “obbedienza e riverenza” al suo successore. Tale frase poteva riferirsi o a un legittimo successore, quando e se lui abdicherà regolarmente, oppure al successore illegittimo incombente al quale prometteva obbedienza e riverenza. In ogni caso non ha mai “giurato fedeltà” a un altro papa, tanto meno a Bergoglio in persona. Del resto, chi può dire che oggi Benedetto XVI non sia “obbediente e riverente” verso l’antipapa, nelle cui mani si trova? Non si ribella, sta lì, mite e tranquillo, nel Monastero Mater Ecclesiae, vestito di bianco, privo solo di due orpelli, la mantelletta e la fascia alla vita, simbolo dei due aspetti del ministerium cui ha rinunciato: predicare il Vangelo e governare la barca di Pietro. Obbediente e riverente, è sempre cordiale e affettuoso con Bergoglio: lo ama come Gesù Cristo amava Giuda e prega per lui, (perché si salvi l’anima). Papa Benedetto ringrazia e benedice sempre con la parola “Eucharistomen”, la stessa con cui Cristo trasformò il male in benedizione.

La sua Declaratio, in italiano, riportava dunque che, dalle 20.00 del 28 febbraio, “la sede di Roma, la sede di San Pietro”, sarebbe rimasta “vacante”. La versione italiana è però sbagliata (conta solo quella latina): tali “sedi” non esistono nel diritto canonico e non hanno alcuna personalità giuridica per essere lasciate vacanti, cioè pronte per un nuovo conclave. Questo avviene, infatti, solo per la ”Sede Apostolica”, mai citata, infatti. Così, il verbo vacet si deve tradurre non come “sede vacante”, ma, più correttamente, come sede VUOTA, sgombra, libera.

E infatti, perfettamente ligio a quanto annunciato, dopo aver lasciato ai cardinali (fedeli e infedeli) 17 giorni per riflettere, il 28 febbraio, alle 17.00 Benedetto prenderà l’elicottero, volerà a Castel Gandolfo  lasciando la sede di Roma, la sede di San Pietro, VUOTA per le ore 20.00.

Inoltre, Benedetto ricorda nella Declaratio che il prossimo papa dovrà essere eletto “da coloro a cui compete”: certo, ovvio. In pratica lui dice: “io mi ritiro in sede impedita, resto il papa, voi fate come vi pare, ma sappiate che il prossimo vero papa mio successore dovrà essere eletto solo da veri cardinali, nominati da me o da papa Wojtyla e NON DA ALTRI. E infatti oggi, se si andasse a un conclave invalido post-Bergoglio con i 95 falsi cardinali nominati dall’argentino, uscirebbe un altro antipapa. Come vedete, Benedetto XVI ha detto sempre la verità, è riuscito nell’impresa sovrumana di non mentire mai, pur essendo in sede impedita.

Alle 17.30 del 28 febbraio, dunque, si affaccia a Castel Gandolfo e dice che “dalle otto di sera” non sarebbe stato più “pontefice sommo”, e non “Sommo Pontefice” come è il titolo papale. Dice il vero proprio grazie all’inversione soggetto-complemento: dopo poche ore, infatti, non sarebbe stato più “il pontefice al sommo grado”, perché ce ne sarebbe stato un altro più in vista di lui, anche se illegittimo. 

E svela anche l’orario a partire dal quale entrerà definitivamente in sede impedita. Fa riferimento al fuso orario pontificio dell’antico orologio situato sopra la sua testa affermando che il suo “giorno non è come quelli precedenti” e salutando tutti con un assurdo “BUONANOTTE” alle 17.30 di pomeriggio, corrispondenti, però, coerentemente, con le 23.30 di quell’antico fuso orario. Così, “dalle otto di sera” non sarà più il pontefice sommo. Giusto: le otto di sera, secondo l’antico orario pontificio, sarebbero state le 13.00 del giorno dopo, orario in cui sarebbe circolato il bollettino per convocare il nuovo conclave abusivo elettore di un antipapa e che sancisce, infatti, per Benedetto il non essere più il pontefice sommo, ma il pontefice nascosto. 

Infatti, quando arrivano le ore 20.00 “normali” del 28 febbraio, l’ora X della Declaratio, lui non firma e non dichiara niente per ratificare l’avvenuta rinuncia al ministerium. Ovvio: non avrebbe mai potuto dare una veste canonica a una rinuncia al ministerium, dato che questo ente, come conferma il canonista Mons. Sciacca, non può essere giuridicamente separato dal munus. Questo può aVvenire solo di fatto, nel caso di una sede impedita, quando il papa è, per forza maggiore, privato della possibilità di esercitare il potere pratico. E infatti i canonisti di Bologna hanno fondato, subito dopo la nostra intuizione, un gruppo di studio “sul papa emerito e il papa impedito”. Guarda caso, eh?

Dunque, il conclave 2013 era NULLO, in quanto convocato a papa non morto e non abdicatario; ha eletto un antipapa (come fu subito capito e pubblicato dal prof. Enrico M. Radaelli), e non potrà mai essere sanato. Si è creato, dunque, esattamente quella “sorta di ministero allargato” che ossessiona gli errorsostanzialisti, i quali non hanno capito che c’è un membro attivo illegittimo (antipapa Francesco) e un membro contemplativo, il papa legittimo, (Benedetto) che assume l’attributo di “emerito”. Ma NON è come il Vescovo Emerito, carica del tutto prevista dal diritto canonico: il papa emerito è giuridicamente impossibile, intendendolo come papa in pensione, (come ha confermato da poco lo stesso Bergoglio, parlando di dimissioni poco chiare) ma esiste solo intendendo emerito in termini descrittivi, cioè come “l’insigne”, il “meritevole”, il “degno”, “colui che ha diritto di essere papa” (es. “un emerito studioso”). Questo è l’aggettivo (scritto minuscolo, infatti, a differenza di Vescovo Emerito) che serve a distinguerlo dal falso papa usurpatore.

I nemici di Benedetto, divorati dalla brama di potere, appena hanno sentito odore di dimissioni hanno arraffato la Declaratio volendola interpretare a tutti i costi come un’abdicazione. Ma non lo era, e ci si sono strozzati da soli.

Coerentemente, Benedetto rimane in Vaticano, in stato di prigionia e siccome non può mentire (lui è il papa!) dice SEMPRE la verità con un linguaggio sottile e logico (il Codice Ratzinger) che parla solo a chi ha orecchie per intendere, come faceva Cristo con i suoi accusatori. Usa anfibolie, fraintendimenti, riferimenti alla Scrittura, come Gesù.

Papa Ratzinger, così, in modo tanto coerente con l’essenza dei fatti, quanto assurdo per la narrativa “abdicazionista” bergogliana, ancor oggi mantiene la veste bianca, il nome pontificale e impartisce la benedizione apostolica, caratteristica esclusiva del papa regnante. E allo scrivente ha fornito l’unica, gentilissima risposta che poteva dare dalla sede impedita, (senza smentire nulla), perfino corredandola del suo stemma da papa regnante. QUI

Bergoglio è, quindi, spacciato: con le sue stesse mani si è reso antipapa e ora non può più “dimettersi” perché dimostrerebbe di non avere il munus petrino. Il suo pontificato sarà annullato e la Chiesa sarà purificata con uno scisma: fuori massoni, omoeretici, neoluterani, modernisti, neoariani, neopagani etc.

La morale? Meglio non mettersi contro il Vicario di Cristo, il Verbo incarnato, il Logos, la ragione che svela la verità. Dio è amore infinito, ma anche giustizia infinita. Prima che sia troppo tardi, prima che tutto venga esplicutato ufficialmente, Bergoglio, Bianchi, mafiosi di San Gallo, una cum, errorsostanzialisti, accettate un consiglio: andate tutti a inginocchiarvi dal vero Santo Padre e implorate il suo perdono.

Questo è quanto. Troppo complesso? Provatevi voi a dire sempre la verità in uno stato di prigionia, minacciati di morte, e a mettere alla prova i cardinali infedeli salvando la Chiesa cattolica.

Ora, ve l’abbiamo riassunta in poche righe, brutalmente. Nelle conclusioni, come vedete, la vicenda è semplicissima: è stato tutto un grosso equivoco. Ma nella ricostruzione ci si trova di fronte a qualcosa di gigantesco, di perfetto, di millenario che coordina in modo pazzesco centinaia di elementi: le dichiarazioni di Benedetto, il diritto canonico, la storia della Chiesa, la teologia, la cronaca, le profezie, il latino, la precisione del linguaggio, persino l’araldica.  Solo leggendo l’intera inchiesta “Codice Ratzinger” (Byoblu ed.) si potrà avere il panorama completo. Ed è per questo che nessuno dei contestatori osa farlo.

Bergoglio si tradisce: dimissioni di Benedetto XVI invalide. Codice Ratzinger docet. Andrea Cionci su Libero Quotidiano il 13 luglio 2022

Andrea Cionci. Storico dell'arte, giornalista e scrittore, si occupa di storia, archeologia e religione. Cultore di opera lirica, ideatore del metodo “Mimerito” sperimentato dal Miur e promotore del progetto di risonanza internazionale “Plinio”, è stato reporter dall'Afghanistan e dall'Himalaya. Ha appena pubblicato il romanzo "Eugénie" (Bibliotheka). Ricercatore del bello, del sano e del vero – per quanto scomodi - vive una relazione complicata con l'Italia che ama alla follia sebbene, non di rado, gli spezzi il cuore

Povero Bergoglio, ormai siamo all’excusatio non petita, accusatio manifesta: triste declino. Come avrete letto, ha appena dichiarato che, in caso di sue dimissioni, che però non sono affatto all’orizzonte (e allora che ne parla a fare?), non diventerebbe papa emerito, ma semplicemente “vescovo emerito di Roma” e – secondo la solita zuccherosa retorica emozional-deamicisiana  con cui ha manipolato le masse per nove anni – “resterebbe in una parrocchia romana a confessare e ad assistere i malati etc.”...

Tempi finali per l’antipapa: la nostra inchiesta riordinata in “Codice Ratzinger” (Byoblu ed.) uscito da un mese, è già tra i libri più letti in Italia e, nonostante molte librerie dicano che “non è disponibile”, o che “è stato ritirato”, alcuni lettori ne comprano fino a dieci copie per distribuirlo a parenti, amici e parroci. La verità scorre ovunque come argento vivo andando a sbloccare un inganno durato fin troppo.

Quello che Bergoglio sta cercando disperatamente è una exit strategy per tentare di uscire dalla situazione di SCACCO MATTO in cui il Diritto canonico, o Nostro Signore, per chi crede, lo hanno incastrato.

Ormai, tutto è noto: come sapete, Benedetto XVI è rimasto ancora e sempre l'unico papa e non ha mai abdicato. Il papa è uno solo: lui stesso e non Francesco come promana imperterrito Massimo Franco del Corriere.

Bergoglio è stanco, si è stufato, ed è anche “prostrato in ginocchio”, come dice il terzo Segreto di Fatima: ma secondo la nostra ipotesi tale espressione non sarebbe da intendersi come la posizione genuflessa, (anche perché lui non si inginocchia MAI davanti alla croce) ma, alla rovescia, vista “come in uno specchio” dai pastorelli, potrebbe essere intesa come “prostrato dal dolore AL ginocchio”. Non una pia dimostrazione di devozione spirituale, quindi, ma, alla rovescia, allo specchio, una dolorosa sensazione fisica. Ma questa è solo una NOSTRA SUPPOSIZIONE (ora vedrete, ci attaccheranno su questa, sicuro).

Del tutto oggettivo, invece, è il fatto che il sedicente “papa Francesco” non possa abdicare a norma delle leggi della Chiesa, primo perché non è il papa, secondo perché per il canone 332.2 dovrebbe rinunciare al MUNUS petrino, e lui non l’ha mai avuto dato che, come sapete, questa investitura divina è rimasta totalmente nelle mani di papa Benedetto XVI il quale, essendo il papa in sede impedita, coerentemente mantiene anche nome pontificale, veste bianca, benedizione apostolica etc.

Così, Bergoglio torna a rispolverare un suo vecchio arnese, quello dell’”umiltà pauperista”, del considerarsi solo umile “vescovo di Roma (emerito, stavolta)”: una tattica che ha messo sempre in pratica per diminuire la quantità di incoerenze da difendere, come quando ha rinunciato “per modestia” al titolo di Vicario di Cristo.

Con un certo grado di astuzia, antipapa Francesco sta tentando di cavalcare, a suo modo, la tesi dell’"errore sostanziale", di cui abbiamo scritto QUI. L’assurda teoria di certi tradizionalisti secondo cui papa Benedetto, “siccome è un po’ ignorantello e un po’ modernista”, avrebbe scritto male le sue dimissioni, facendo un sacco di pasticci.

Ecco come la sfrutta Bergoglio dichiarando ai giornalisti: “L'esperienza (delle dimissioni di Benedetto) è andata piuttosto bene perché è un uomo santo e discreto e l'ha gestita bene. Ma in futuro le cose DOVREBBERO ESSERE PRECISATE MEGLIO, o le cose dovrebbero essere rese PIÙ CHIARE”.

Che disastro: lo stesso Francesco sta ammettendo che la presunta abdicazione di Benedetto XVI è problematica, non chiara, quindi invalida, NULLA (papa dubius, papa nullus). ma tenta di darcela a bere facendo passare il vero Santo Padre per pasticcione ma, comunque, abdicatario.

Non si direbbe, quindi, che l’esperienza “è andata piuttosto bene”, soprattutto per Bergoglio, dato che il suo pseudo-pontificato dovrà essere annullato completamente.

Fa tenerezza, inoltre, il tentativo di ridefinire le regole per l’abdicazione del papa di cui parla il cardinale Giuseppe Versaldi, canonista, prefetto emerito della Congregazione per l’Educazione cattolica: «Sono d’accordo con Papa Francesco, credo che sarebbe necessario ordinare giuridicamente l’ipotesi di dimissioni del Papa, che ormai non sono più impossibili. La prima volta non c’era un ordinamento, ma è andata bene perché Benedetto l’ha gestita bene. Ma non si può lasciare scoperta dal punto di vista istituzionale una tale ipotesi in futuro».

Frase artatamente ambigua, perché LE DIMISSIONI DEL PAPA NON SONO MAI STATE IMPOSSIBILI e anzi, sono GIÀ PERFETTAMENTE NORMATE DAL CANONE 332.2: per abdicare il papa deve rinunciare liberamente, simultaneamente e in modo formalmente corretto al MUNUS PETRINO (“muneri” in latino). E Benedetto ha fatto tutto il contrario, rinunciando in modo differito, formalmente scorretto e mai ratificato al MINISTERIUM.

Ciò che non esiste -  avrebbe dovuto specificare doverosamente il cardinale Versaldi - è che nel diritto canonico è solo L’ESISTENZA DEL PAPATO EMERITO AD ESSERE IMPOSSIBILE, sia per motivi canonici che teologici.

Quindi se lo stesso Bergoglio e il cardinale ammettono che Benedetto non ha abdicato rite manifestetur, cioè in modo formalmente corretto, e che il papato emerito giuridicamente non esiste,  Bergoglio è ANTIPAPA e non ha l’autorità nemmeno di ordinare i pennarelli per la cancelleria, figuriamoci per riordinare il diritto canonico.

Come abbiamo esplicitato, “Papa emerito”, scritto minuscolo a differenza del canonicamente corretto Vescovo Emerito, è solo un titolo descrittivo e non giuridico, viene dal verbo emereo, cioè colui che ha meritato, che ha diritto di essere papa. E’ l’aggettivo che serve a distinguere il vero papa in quella “sorta di ministero allargato” con un papa legittimo contemplativo e un papa illegittimo attivo.

“Povera mosca prigioniera, l’ali batte il piccolo cuor”, per dirla con Puccini: si stanno avvoltolando sempre più nella divina ragnatela, ma al contempo stanno tentando di darvi a bere il fatto che le dimissioni di Benedetto, per quanto un po’ zoppicanti, siano da ritenersi comunque valide. ASSOLUTAMENTE NO. L'abdicazione papale deve essere un atto chiarissimo e inattaccabile dal punto di vista formale e giuridico, altrimenti è NULLA. 

NON CI CASCATE e fate attenzione, la battaglia non è finita: quello che Bergoglio sta tentando astutamente di fare è bypassare la regolare abdicazione del papa secondo il diritto canonico. In questo modo punta a togliersi di mezzo, a far cadere le polemiche su di lui e a far convocare pacificamente un altro falso conclave, nullo perché comprendente quella novantina di cardinali da lui nominati invalidamente, i quali eleggeranno UN ALTRO ANTIPAPA. E si ritornerà tutti sulla giostra, laici compresi, capite? Proseguirà l’agenda novomondialista con tutte le sue aberrazioni e l’annichilimento della nostra Nazione.

I “delfini” per il prossimo antipapato sono già pronti in rampa di lancio: ultramodernisti come Zuppi, Tagle, o Maradiaga, che assumeranno, secondo la volontà espressa (assurdamente) da Bergoglio il nome di Giovanni XXIV, successore nominale oltre che di Roncalli, il papa che ci ha regalato il Concilio, dell’antipapa medievale Baldassarre Cossa.

Capite il gioco? Con questo furbo tentativo, Bergoglio vuole servirsi del “fuoco amico” che spara contro Benedetto: quei tradizionalisti che sostengono l’errore sostanziale facendo passare per fesso papa Benedetto e gli “una cum” della “soluzione diplomatica”, per i quali semplicemente “ha da passà a nuttata” i quali, dopo Bergoglio, cercheranno di intavolare una mediazione per un nuovo (anti) papa moderato all’interno di un conclave invalido. Non si capisce poi, in base a quale legge fisica potrebbero tentare una mediazione con 95 cardinali di nomina bergogliana. Mah.

No, Signori: la nottata non passerà perché le linee successorie sono ormai divise e il prossimo vero pontefice dovrà essere eletto, come specificava il Santo Padre Ratzinger nella Declaratio, solo DA COLORO A CUI COMPETE, cioè solo dai veri cardinali di nomina ratzingeriana e wojtyliana. Su questo ha fatto recenti aperture anche l’arcivescovo Carlo Maria Viganò 

L’unica exit strategy possibile per Bergoglio è, dunque, solo questa: andare a inginocchiarsi davanti al Santo Padre Benedetto XVI, confessare tutto, rovesciare i disegni novomondialisti di cui è dichiaratamente latore e passare alla storia come Il Grande Penitente, quel Giuda salvato che, da sempre, lo ossessiona.

I professori per BXVI commentano "Codice Ratzinger": Bergoglio non è papa. Andrea Cionci su Libero Quotidiano il 09 luglio 2022

Andrea Cionci

Storico dell'arte, giornalista e scrittore, si occupa di storia, archeologia e religione. Cultore di opera lirica, ideatore del metodo “Mimerito” sperimentato dal Miur e promotore del progetto di risonanza internazionale “Plinio”, è stato reporter dall'Afghanistan e dall'Himalaya. Ha appena pubblicato il romanzo "Eugénie" (Bibliotheka). Ricercatore del bello, del sano e del vero – per quanto scomodi - vive una relazione complicata con l'Italia che ama alla follia sebbene, non di rado, gli spezzi il cuore

E’ passato quasi un anno da quel primo articolo in cui, faticosamente, riuscimmo a trovare dei professionisti che, per primi, ci misero la faccia. Un pugno di “eroici” latinisti, psicologi e avvocati che dissero la verità sul codice di comunicazione con cui papa Benedetto da otto anni faceva capire di non aver mai abdicato, ma di essersi ritirato in “sede impedita”, rimanendo l’unico papa legittimo.

Grazie alla straordinaria liberalità di questo giornale, di strada ne abbiamo fatta e oggi tanti altri professionisti scendono in campo, raccogliendo l’appello lanciato ai lettori di “Codice Ratzinger” per diventare “testimoni di papa Benedetto”. Ecco cosa scrivevamo appena dieci giorni fa: “Chiediamo a quanti fra Voi sono avvocati, giuristi, linguisti, latinisti, professori di lettere e filosofia, psicologi, psichiatri, teologi, canonisti, ecclesiastici, storici, esperti di comunicazione, giornalisti, di inviare a codiceratzinger@libero.it un commento di max 20 righe all’inchiesta per testimoniarne la veridicità, ognuno a seconda delle proprie competenze”.

Hanno risposto in tanti e tutti hanno avuto parole estremamente lusinghiere per tale inchiesta e, oggi, ci mettono la firma.

Pubblichiamo i loro riscontri perché, ovunque, il tentativo è quello di far passare per cretini lo scrivente e Voi lettori. Sono tante le strategie di piccolo cabotaggio per tentare di arginare l’erompere della verità.

Diverse librerie e distributori rispondono che “il libro non è disponibile”, mentre essendo una stampa on demand, è SEMPRE disponibile.

Poi c’è il mainstream bergogliano con la sua “dissidenza controllata”: basti pensare che l’ultimo libro su papa Benedetto di Massimo Franco, del Corriere, non cita nemmeno la Declaratio e continua imperterrito a spargere la bufala per cui papa Ratzinger avrebbe detto che “il papa è uno ed è Francesco”. Ne abbiamo scritto... Al solito, nessuna smentita. Del resto, vi basti pensare che il libro è stato presentato da Mario Monti (sì, proprio lui, l’Attila in loden dell’economia italiana) e da Mons. Galantino, il vescovo per cui “Sodoma è stata salvata dal Signore”.  (Sicuro!).

Più insidioso, il fuoco amico dei collaborazionisti “una cum”, quegli pseudo-cattoconservatori che per interesse economico, paura, o puntiglio intellettuale si ostinano a riconoscere Bergoglio legittimo papa pur scrivendone ogni giorno peste e corna, screditando così lo Spirito Santo che assiste un legittimo pontefice.

Di solito la loro strategia è PASSIVO-AGGRESSIVA, come fanno La Nuova Bussola quotidiana QUI , Aldo Maria Valli, il prof. Massimo Viglione QUI e altri che, più volte sollecitati a un pacifico confronto su un tema di una gravità millenaria, SEMPLICEMENTE NON RISPONDONO e  fanno muro di gomma. C’è poi l’ipse dixit di prelati che calano dall’alto l’11° Comandamento: “Non avrete altro papa all’infuori di Bergoglio”, tipo S.E. Mueller QUI e il vescovo Schneider QUI: di fronte alle nostre rispettose, quasi filiali richieste di delucidazioni, ci hanno lasciato senza nemmeno una comunicazione da parte di un segretario. Ma una volta, nella Chiesa, non si diceva “Veritas summa charitas est?”.

Poi c’è l’attacco sprezzante dei vari Padre Cavalcoli, che ha definito il Codice Ratzinger “complottismo” e del prof. Giovanni Zenone, per il quale si tratta di “cretinate che fanno ridere i polli”. Infine, a un livello-base, gli insulti personali e il dileggio: “Cionci ciancia”, Cionci è idiota, imbecille, pazzo, diabolico, immorale, profittatore, ebete, asino, fallito, e altri “titoli cruscanti”, per dirla con il Leporello mozartiano.

E così, per rispetto di Voi lettori che, su Libero, seguite l’inchiesta da due anni, abbiamo deciso di pubblicare cosa ne pensano i lettori più titolati a pronunciarsi nel merito della questione. Saranno ebeti anche loro? O forse pagati dallo scrivente? Chissà ora cosa si inventeranno i difensori dell’impostura. Diranno che è un’operazione di marketing, state a vedere, immemori del fatto che l’intera inchiesta, di 200 articoli, è stata prodotta gratuitamente e messa a disposizione del pubblico su Byoblu.

Comunque, questi professionisti coraggiosi – tra cui ci sono perfino degli atei - possiamo dire che sono gli “ufficiali dell’esercito di papa Benedetto”. Come infatti argomentavamo, il Codice Ratzinger è una specie di geniale sistema autoselezionante per gente di fegato e buona volontà, disposta a metterci la faccia.  Per capire la situazione, c’è bisogno di apertura mentale, senso logico, intuito, amore per la verità, forza di carattere, intelligenza, pragmatismo e patriottismo, (come virtù laiche), e, in ottica religiosa, fedeltà al papa, fiducia nello Spirito Santo, speranza e carità.

Nell’esercito di papa Benedetto, insomma, viene “arruolato” solo chi HA ORECCHIE PER INTENDERE e non c’è posto per intelligenze rachitiche, insufficienze toraciche logiche, cuori asfittici, perspicacie paralizzate, spiriti depressi, fedi vulnerate, intuiti imbolsiti, o per chiunque si voglia imboscare accampando scuse del tipo “tengo famiglia”, “è solo un’ipotesi”, “chi siamo noi per giudicare”, “Ratzinger è modernista”, “munus e ministerium sono sinonimi”, “sono solo fantasie complottiste”. Tutti costoro sono da considerarsi automaticamente e naturalmente “riformati”, nel senso più ampio del termine. A casa.

Abbiamo capito che sugli “intellettuali cattolici” non si può contare, nemmeno quelli conservatori, e non occorre essere credenti per trovare un’analogia plastica con quanto riporta l’evangelista Luca. Gesù si trovava vicino al Monte degli Ulivi e la folla lo osannava: “Alcuni farisei tra la folla gli dissero: «Maestro, rimprovera i tuoi discepoli». Ma egli rispose: «Vi dico che, se questi taceranno, grideranno le pietre».

E le pietre che gridano oggi, sono pietre preziose. 

Commenti dai lettori di “Codice Ratzinger” (Byoblu 2022)

Professori di storia, filosofia, latino, italiano, matematica e storia dell’arte

“Doverosa premessa: chi scrive è agnostico, tendente all’ateo e totalmente estraneo ad ogni appartenenza cristiana o religiosa in generale. Detto questo, “Il codice Ratzinger” è un testo caratterizzato da una logica argomentativa rigorosissima, assoluta, ferrea, cogente ed iper-documentata. L’opera di Cionci appare, senza tema di smentita alcuna, come un saggio dirompente e magnifico nella sua lucida razionalità. L’autore, con raffinata sapienza e magistrale intelletto, va a toccare un tema delicatissimo, estremamente complesso e notevolmente controverso e lo fa con una maestria letteraria senza pari.

Il libro affronta una questione dalla portata storica dirompente e deflagrante, chi scrive è convinto che fra 100 anni si parlerà ancora di questo libro che mi fregio in questo momento di recensire.

Cionci dà vita ad una analisi della questione lucida, tagliente, vibrante, dilaniante nella sua drammatica concretezza, angosciante nella sua logica precisione. Gli esiti a cui giunge l’indagine sono dirompenti e destinati a guidare la pubblica opinione nel momento in cui l’evento più importante dell’ultimo secolo di storia della Chiesa emergerà.

“Il Codice Ratzinger” è destinato ad assurgere a capolavoro indiscusso della saggistica del XXI secolo.

Sinceri complimenti all’autore per aver dato vita ad un testo magistrale nella sua raffinatezza e sconvolgente nella sua sete di verità”.

Prof. Marco Scarponi, docente di filosofia.

“L’opera del dottor Andrea Cionci, che ha trovato compimento organico nel libro “Codice Ratzinger”, mette in luce una questione di portata plurimillenaria che incrocia, a un tempo, il destino di laici e credenti. Perché quello che Benedetto XVI ha fatto – confermando lo schema filosofico e teologico di San Bonaventura – è stato richiamare l’umanità alla propria missione, ossia quella di coniugare fede e ragione, di percorrere un itinerario della mente in Dio. La chiave è quella del lògos, l’unico strumento in grado di stanare le contraddizioni e di riposizionare lo sguardo sulla verità, appunto. Un atto che implica il coraggio dell’intelletto e l’umiltà delle fede; in qualche modo, si tratta di una scelta che trova nella figura di Cristo la propria giustificazione e la promessa di salvezza. Gli argomenti del dottor Cionci e del Codice Ratzinger, mai confutati nel merito logico e contenutistico, confermano la necessità di dissipare riluttanze o astensioni opportunistiche, di prendere una posizione. Poiché sta scritto: «chi vorrà salvare la sua vita, la perderà: chi invece avrà perduto la sua vita per amor mio, la ritroverà”.

Prof. Francesco Bellè, docente di filosofia e storia.

“Da un punto di vista logico, in relazione alle mie competenze, confermo la logica ferrea dell’inchiesta. Non solo ritengo di confermare, ma mi sento anche molto affascinato dalle parole e dalla logica sopraffina di Benedetto XVI, una delizia per la mente. Benedetto XVI usa in certi casi un linguaggio ambiguo che, da un punto di vista logico, sarebbe più corretto definire «volutamente ambivalente» (più significati, più chiavi di lettura, in modo che chi ha orecchie per intendere intenda, chi non le ha capisca una altra cosa e il grano sia separato dalla pula). In tanti altri casi invece il suo linguaggio è veramente tanto chiaro che lo capiscono anche le pietre, vedansi i cosiddetti «messaggi a km zero»”.

Prof. Ing. Alessandro Bettiga, docente di matematica, esperto di logica. 

“Ho acquistato il fondamentale libro Codice Ratzinger e ritengo che metta una pietra tombale sulla falsa elezione di Bergoglio che ha fondato una falsa chiesa senza Nostro Signore Gesù Cristo Unico Salvatore del mondo”.

Prof. Costantino Baldi docente di italiano, storia, geografia. 

“Ho comprato quattro esemplari del Codice Ratzinger e ne ho inviati tre a sacerdoti bergogliani. Ammiro il “Codice Ratzinger” per l'altissima capacità logico - deduttiva che vi si evidenzia, o anche, per il rigoroso impiego dei metodi sia analitico sia sintetico dell'argomentazione”.

Prof. Renzo Badiini docente di storia e filosofia. 

“Concordo con quanto si evince dalla lettura del "Codice Ratzinger", sia per la convincente attendibilità dei fatti, sia per lo spirito di comparazione che si desume passo dopo passo confrontando il magistero di Ratzinger con quello di Bergoglio. Stupisce come la maggior parte dei credenti, anziché sviluppare, nella circostanza storica che contempla la compresenza di due papi, l'interesse per quanto emerge dal Codice Ratzinger, preferisca la superficialità indotta dalla fatica dell'approfondimento”.

Prof.  Valerio Maria Tucci, docente di storia dell’arte e pittore. 

“Il comportamento di Francesco è palesemente, fuori della tradizione e anche contrario al Vangelo. I teologi del Vaticano, nel tentativo di difendere un papa che ritengono valido, minimizzano tutto questo agire, che sarebbe dovuto a difetti di carattere o a un uso inadeguato della lingua italiana da parte di chi non è madrelingua. Non capisco il loro rifiuto di prendere in considerazione la possibilità della nullità canonica di questo papato (che giudicano disastroso), dimostrata da canonisti e giuristi ancor prima che il giornalista A. Cionci, per la curiosità e il desiderio di capire, scrivesse su Libero tutti i suoi articoli parlando di codice Ratzinger”.

Prof.ssa Emma Garibaldi, docente di lettere, laureata in filosofia morale. 

“I vescovi richiesti di un chiarimento sulle questioni sollevate dalla meticolosa inchiesta di Andrea Cionci, invece di liquidarle infastiditi, farebbero bene a rispondere esprimendosi sul merito, memori del fatto che «la verità va gridata sui tetti» e portando prove e argomentazioni altrettanto cristalline e circostanziate quanto quelle offerte da Cionci”.

Prof. Gian Matteo Corrias, docente di lettere e latinista. 

“Apprezzo la seria ricerca, corredata da solidi argomenti, condotta dal dott. Andrea Cionci al riguardo delle scelte del Santo Padre Benedetto XVI a partire dalla data dell’11 gennaio 2013: chiaramente il papa ha inteso comunicare oltre quanto la referenzialità della lettera esprimeva, una lettera, peraltro, costantemente straniante nelle scelte lessicali e sintattiche, oltre che nello stile”.

Prof. Gianluca Arca, docente di latino e greco. 

“Le argomentazioni e le riflessioni esposte, relative al “codice Ratzinger”, sono di tale logica ed evidenza che il loro rigetto non trova alcun’altra sede logica con cui dare convincente conto delle numerose «stranezze» di un testo che, invece, non poteva non essere  pensato e studiato fin nei minimi particolari da Benedetto XVI”.

Prof. Alessandro Scali, docente di Lettere classiche, scrittore e saggista. 

“Confermo che il convocandum esse nella Declaratio deve essere tradotto, come evidenziato nel libro del dott. Cionci, cioè  con “dovrà essere convocato il conclave per l’elezione del nuovo pontefice da parte di coloro a cui compete”. Il messaggio in codice Ratzinger è volto a sottolineare come l’elezione spetti solo a coloro che hanno diritto, cioè i cardinali di nomina prebergogliana, o popolo autenticamente cattolico di Roma?”.

Prof. Davide Li Greci docente di lettere, latino e storia. 

“Per due anni, le scoperte del dott. Andrea Cionci, man mano, hanno rafforzato quelle importantissime precedenti e le hanno completate con alcuni aspetti decisivi. Il "Codice Ratzinger" è l'esito di tale paziente inchiesta sui segni e segnali lanciati da un papa in situazione di grande drammaticità, la sede impedita”.

Prof.ssa Victoria-Letitia Campan, docente universitaria di Storia dell'arte cristiana (Romania). 

 “Dopo aver letto il suo documentatissimo libro "Codice Ratzinger" le confesso con gioia di aver  trovato conferma documentata a tutte le mie convinzioni personali circa la non validità della  rinuncia di Papa Benedetto XVI“. 

Prof.ssa Patrizia Stella, pedagogista, con diploma accademico di Magistero in Scienze religiose. 

“Volevo complimentarmi per l'inchiesta, molto precisa e puntuale. Ho apprezzato particolarmente la precisione delle fonti che mi ha permesso di verificare la veridicità delle informazioni autonomamente”.

Dott. Marco Purgatorio, storico.

Avvocati e giuristi

“Colpisce l’ambivalenza continua e studiata, nell’arco di otto anni, attribuita alle dichiarazioni di Ratzinger che, nella sostanza, pare ribadire sempre la stessa cosa, ovvero che il papa è lui, Benedetto, e non altri”.

Avv. Prof. Carlo Taormina

 “Dall’11 febbraio 2013, Benedetto XVI continua a parlare in codice, avvertendo che è lui il papa, firmando P.P. (Pater Patrum) oppure impartendo la benedizione apostolica (cosa che solo il papa regnante può fare) e opponendosi a Bergoglio attraverso libri, lettere e interviste. Condivido pienamente i risultati della ricerca di Andrea Cionci anche su “Codice Ratzinger” e credo che Dio giudicherà duramente coloro che non vogliono vedere questa dura realtà e tacciono per codardia o rispetto umano.”

Prof. Antonio José Sánchez Sáez, docente di Diritto presso Università di Siviglia 

 “Il lavoro del dottor Cionci è meticoloso ed analitico e perviene alla logica conclusione secondo cui quod nullum est,nullum producit effectum, (ciò che è nullo non produce alcun effetto). Esprimo vivo compiacimento per la ricchezza di motivazioni,per l'accattivante stile con il quale le stesse sono state prodotte; manifesto totale adesione a tutte le tesi proposte, soprattutto alla luce della esperienza di avvocato che mi ha consentito di apprezzare la certosina ricostruzione”.

Avv. Emilio Somma, penalista del foro di Napoli

Teologi e sacerdoti

“Da teologo ho seguito nel suo intero svolgersi l'inchiesta del giornalista Andrea Cionci e sono rimasto favorevolmente colpito dalla credibilità degli argomenti portati a favore di una "rinuncia" invalida di Benedetto XVI, che comporterebbe di fatto all'invalidità del Conclave 2013 e all'invalidità dell'elezione al Soglio Pontificio del Vescovo Bergoglio. Mi stupisce che una inchiesta così documentata e razionale non sia stata presa in seria considerazione dagli esperti di Diritto Canonico e come lo stesso Vescovo Bergoglio non abbia ancora istituito una commissione che accerti chi sia attualmente il Vicario di Cristo in terra”. 

Prof. Francesco Salvagnini, teologo 

"Nessuno prende in giro Dio": tutta questa straordinaria, impeccabile, provata indagine del dott. Andrea Cionci non solo lo dimostra, ma ci dà anche forza, pazienza, Speranza, per contrastare questo colpo di stato vaticano organizzato a San Gallo con l'aiuto della massoneria, rimanendo così fedeli alla vera Chiesa, al vero Magistero, alla vera Tradizione, all'unico vero Papa, Benedetto XVI.

Padre Luis Eduardo Rodríguez Rodríguez, parroco nelle favelas alla periferia di Caracas 

Psichiatri e psicanalisti

Apprezzo moltissimo “Codice Ratzinger” e lo trovo completo: l’inchiesta su Libero è stata un raffinatissimo lavoro di decrittazione degli scritti e dei comportamenti di papa Benedetto. Le interpretazioni fornite danno senso a quel che in apparenza appare privo di logica. Gesù una volta, rivolgendosi ai sacerdoti, disse: "Se costoro tacessero, griderebbero le pietre" (Luca 19,40). Oggi come ieri, le gerarchie ecclesiastiche tacciono e Dio fa gridare i laici.

Prof. Rocco Quaglia, ordinario di Psicologia dinamica all’Università di Torino

Cionci ci spiega con dovizia di particolari, e con invidiabile conoscenza del Diritto Canonico, il significato dell’ inedita esistenza in vita contemporanea  di due Papi, con argomentazioni che, forse, non sono alla portata di tutti, ma che  devono essere veritiere, dal momento che nessun esperto della Curia è intervenuto a contestarle nel merito, come di certo sarebbe accaduto, e giustamente,   qualora   fossero risultate false o manipolate. A tutt’oggi, le reazioni oscillano tra la rimozione totale dei fatti e l’insulto sdegnoso nei confronti del giornalista.

Dott. Giuseppe Magnarapa, psichiatra e scrittore

La coraggiosa inchiesta del dottor Cionci ha basi inoppugnabili, le dotte osservazioni sulle secolari regole ecclesiastiche confermano la preparazione del ricercatore su temi altamente specialistici.

Dott. Roberto Giacomelli psicoanalista e saggista

Giornalisti

Con il suo caratteristico estro e la sua attenzione ai dettagli, Andrea Cionci ha raggiunto tre obiettivi simultanei: raccogliere un'impressionante serie di prove che dimostrano che Papa Benedetto XVI ha intenzionalmente rassegnato solo l’esercizio pratico del potere, e non l'ufficio, del papato; smantellare l'inattuabile teoria dell'”errore sostanziale”; e fornire un quadro coerente in cui comprendere la Sede Impedita istituita da Sua Santità per proteggere l'integrità della Chiesa di Cristo. Il nuovo libro di Cionci, “Codice Ratzinger” - il culmine di oltre due anni di minuziose ricerche - analizza tutte le dichiarazioni del Santo Padre attraverso la corrispondenza personale, le dichiarazioni ufficiali del "Papa emerito" e le interviste ai media. Pochi hanno impiegato più tempo, energia e capacità investigative di Andrea Cionci in questa lotta globale per la verità. Significativamente, i suoi critici sembrano dilettarsi a deriderlo o a cambiare argomento. Quello che non fanno è confutarlo: una "missione fallita" che la dice lunga. Se volete capire perché Benedetto XVI si comporta, scrive e parla come il vero Vicario di Cristo, iniziate con l'affascinante esposizione di Cionci di ciò che è nascosto in piena vista.

Patrick Coffin, autore, già conduttore del programma radiofonico cattolico n.1 in America, "Catholic Answers Live” 

 “Codice Ratzinger” è un’inchiesta unica, che raccoglie fatti e dichiarazioni incontrovertibili, passandole al vaglio spietato della ragione. Credo che la lettura di questo libro sia un must per ogni credente, ma anche per ogni laico e per chiunque cerchi la verità, garanzia di ogni vera libertà. Il successore di Pietro, infatti, non è solo il leader spirituale della Chiesa cattolica, ma anche il monarca assoluto di un piccolissimo Stato, in grado di condizionare le scelte di milioni di cattolici, circa il 17% della popolazione mondiale. Nel suo libro-inchiesta, l’autore, avvalendosi della consulenza di canonisti, giuristi, psichiatri, psicologi, latinisti, storici e dantisti, fonti alla mano, dimostra come le cosiddette “dimissioni” di Benedetto XVI siano intenzionalmente invalide. Questo farebbe di Jorge Mario Bergoglio «un antipapa usurpatore seduto sul trono di Pietro». Sapere se sul soglio pontificio siede un vero papa oppure un alfiere del Nuovo Ordine Mondiale è di capitale importanza per il futuro non solo della Chiesa cattolica ma dell’intera umanità. La posta in gioco è altissima: la magna quaestio chiama in causa ogni persona libera, capace di intendere e di volere. Nessuno può sottrarsi a questa grande responsabilità. Ognuno è chiamato a prendere posizione”.

Dott. Armando Savini, economista, saggista, già docente 

“Nessuno o quasi dei maggiori intellettuali e vaticanisti italiani ha ritenuto Cionci degno di una risposta nel merito di quanto sostiene e documenta. È stato anzi dileggiato e apertamente insultato. Mi chiedo se non ci sia bisogno di scapigliati come lui, uomini talmente liberi da dichiarare guerra a ciò che il mondo intero crede, non tanto per ansia di potere la verità, ma perché la verità esiste, e onestamente l’abbiamo persa di vista.  Comunque vada,”Codice Ratzinger” è un’altra conseguenza della ferita profondissima che si è aperta nella Chiesa di Cristo il giorno delle dimissioni di Benedetto XVI”.

Mattia Spanò, copywriter, redattore, esperto di relazioni internazionali 

“Il Codice Ratzinger è un lavoro fondamentale che qualcuno doveva fare. Cionci si è limitato a mettere insieme i pezzi del puzzle e a dare un senso a tutto: Benedetto è stato più intelligente dei suoi nemici. Ha usato le armi che poteva usare e ha detto a tutti noi che abbiamo a cuore la verità: “sono ancora il Papa in sede impedita”. Con tanti esempi del Codice di Ratzinger, non ci sono dubbi. Chi non vuole vederlo è perché ha interessi oscuri o perché è infastidito dalla realtà, che supera sempre la finzione”.

Arturo Picatoste, giornalista e youtuber cattolico (Spagna)  

"Sosteneva Agatha Christie che «un indizio è un indizio, due indizi sono una coincidenza, ma tre indizi fanno una prova». Nel caso della Magna Quaestio, il primo indizio si trova nella contestualizzazione storica degli eventi che precedettero il "passo di lato" di Sua Santità Benedetto XVI nel febbraio 2013. Il secondo indizio si trova nella Declaratio del febbraio 2013.  Il terzo e ultimo indizio è quello che Andrea Cionci ha brillantemente definito "Codice Ratzinger": l’arguto e fine modus communicandi fatto di anfibolie, giochi di parole, enigmi e autentici rompicapi (a volte venati anche da un filo di ironia), adottato negli ultimi nove anni da Papa Benedetto per inviare messaggi dal suo auto esilio in sede impedita”.

Dott. Mirko Ciminiello, giornalista e scrittore 

“L’opera di Andrea Cionci è fondamentale sia per chi è direttamente interessato alla fede Cattolica in quanto fedele, che ai cristiani in generale, certi che da millenni il cristianissimo s'irradia da Roma. Può essere altrettanto importante leggere la vicenda delle dimissioni, per capire dove va il mondo, soprattutto in questo momento di guerra per procura tra l'Occidente a trazione statunitense e una Russia con alle spalle i paesi BRICS+ ansiosi di scrollarsi dal giogo di Washington.

Col. Luciano Bonazzi, analista geopolitico

Il libro "Codice Ratzinger" chiarisce in modo inequivocabile il dramma apocalittico che stiamo vivendo: un Papa in sede impedita e un antipapa usurpatore del Trono Petrino.

Dott. Carla Polsinelli, medico-Chirurgo specialista

Le prove che via via ha portato sono inconfutabili. Soprattutto voglio sottolineare l’importanza, per me credente, che un giornalista “libero” testimoni, confermi e documenti la predicazione del sacerdote più perseguitato di sempre. Grazie per questa grande opera di verità.

Dott. Beppe Poletti, medico di Bologna

Massimo Franco, grande studioso del potere, alza lo sguardo verso le cose più misteriose del Vaticano: il rapporto tra Bergoglio e Ratzinger. Aldo Cazzullo / CorriereTv su Il Corriere della Sera il 5 Luglio 2022.

Benedetto XVI, nove anni di papato ombra mentre Francesco è il nuovo Papa. Bergoglio e Ratzinger vivono dentro le mura vaticane ma nessuno abita nell’appartamento apostolico. L’influenza di Benedetto XVI è ancora importante, Papa Francesco ha fatto molte cose ma non è riuscito a fare le riforme che si attendevano. E si riparla di uno scisma. Per capirne di più il libro di Massimo Franco è un’ottima bussola per orientarsi e provare di capire. Nelle edicole e nelle librerie edito da Solferino c’è il saggio «Il Monastero», in cui l’editorialista del «Corriere della Sera» indaga il rapporto tra Bergoglio e Ratzinger.

Massimo Franco sbaglia, Benedetto XVI non ha mai detto "il papa è Francesco". Andrea Cionci su Libero Quotidiano il 04 luglio 2022

Andrea Cionci. Storico dell'arte, giornalista e scrittore, si occupa di storia, archeologia e religione. Cultore di opera lirica, ideatore del metodo “Mimerito” sperimentato dal Miur e promotore del progetto di risonanza internazionale “Plinio”, è stato reporter dall'Afghanistan e dall'Himalaya. Ha appena pubblicato il romanzo "Eugénie" (Bibliotheka). Ricercatore del bello, del sano e del vero – per quanto scomodi - vive una relazione complicata con l'Italia che ama alla follia sebbene, non di rado, gli spezzi il cuore

L’informazione, in Italia, è combinata malissimo. Si sapeva, ma l’ultima conferma arriva da un editorialista nientemeno che del Corriere della Sera, il quale insiste tranquillamente nell’ammannire proiezioni personali come dati oggettivi.

Ve lo dimostriamo in modo inoppugnabile attingendo alla biennale inchiesta svolta qui su Libero.

Nel 2019 Vatican News titola: “Il papa è uno, Francesco”. QUI 

L’agenzia vaticana si riferiva alla recentissima intervista di Massimo Franco a papa Benedetto XVI. Incuriositi, eravamo andati a controllare sul Corriere, ed ecco cosa scriveva il collega: “Gli avversari di Bergoglio, spesso conservatori alla ricerca disperata di una parola di Benedetto che suonasse di critica a Bergoglio, si sono sentiti rispondere immancabilmente che «il Papa è uno, è Francesco»”.

E quando è successo? Massimo Franco c’era? Gliel’hanno raccontato i conservatori o lo ha dedotto da solo? 

Come leggete, quel virgolettato riportato nel titolo di Vatican News “Il Papa è uno, Francesco”, non è di Benedetto XVI, ma di Massimo Franco e NON È SUPPORTATO DA ALCUNA FONTE.

In questo caso, la bufala da radiazione dall’Ordine dei Giornalisti era stata di Vatican News, che aveva attribuito artatamente a papa Ratzinger una personalissima idea di Massimo Franco. Ne avevamo scritto un anno fa QUI, e infatti da Vatican News non hanno mai smentito, rimanendo nel solito mortificato silenzio.

Avevamo quindi lasciato al collega Franco il beneficio del dubbio quando, il 22 luglio 2021, gli abbiamo indirizzato una lettera aperta, ponendogli la domanda: “Non è anche molto curioso come Benedetto ripeta da otto anni che “il papa è uno solo” senza mai spiegare esplicitamente chi sia dei due? Lo conferma lo stesso Mons. Gaenswein.  Nemmeno una volta, in otto anni, casualmente, gli è scappato: “Il papa è uno, ED È Francesco”.

Infatti, il segretario di papa Benedetto, un paio di settimane prima aveva pubblicamente spiegato a don Bernasconi, il prete scomunicato perché fedele a Benedetto XVI: “Il papa è uno ed E’ CHIARO che è Francesco”.

Quindi, se “è chiaro”, vuol dire che papa Benedetto NON LO HA MAI DETTO ESPLICITAMENTE. Altrimenti Mons. Gaenswein avrebbe commentato: “Caro Don Bernasconi, papa Benedetto, nella tale occasione, il giorno X, ha detto che il papa è Francesco”. Ma questo non è mai successo e nessuno, NEMMENO MONS. GAENSWEIN, è in grado, infatti, di citare l’occasione di una frase simile. Logica elementare.

Quindi, Massimo Franco era stato informato di tale stranezza un anno fa dalla nostra lettera aperta e l’ha certamente letta, dato che ci ha risposto: “Interessante, scrivi un libro”.

Il sospetto, già allora, era che fosse una frasetta di circostanza per trarsi di impaccio da domande scomode. La conferma arriva oggi, perché nel suo ultimo libro “Il Monastero”, uscito lo scorso aprile, Franco non cita minimamente - non diciamo il Codice Ratzinger - ma nemmeno le questioni sulla validità della “rinuncia”, la sede impedita, o altri temi caldissimi che tengono banco da anni a livello internazionale e che contestano la legittimità di Francesco.  Pensate che, IN 147 PAGINE DI UN LIBRO SU BENEDETTO XVI, NON VIENE NEMMENO NOMINATA LA DECLARATIO! Come scrivere un libro su Walter Bonatti senza mai citare il K2. E parliamo di uno dei più famosi giornalisti italiani, vi rendete conto?

Quindi, non solo quanto da noi sollevato non interessava per niente a Massimo Franco, ma questi inspiegabili “buchi” ci fanno inevitabilmente percepire un certo aroma di “DISSIDENZA CONTROLLATA”.

Ecco piuttosto cosa scrive l’autore, sprezzantemente, ne “Il Monastero” a pag. 17: “Benedetto ribadisce che «il papa è uno solo», confermando la lealtà e l’ubbidienza a Francesco. Ma subito i tradizionalisti mettono in dubbio che l’abbia detto davvero. Chiedono conferme, con LA PROTERVIA E LA MALAFEDE DI CHI NON ACCETTA LA REALTÀ. Oppure, CONTORSIONE SUBLIME, sostengono che dicendo che esiste un solo papa in realtà Benedetto si riferirebbe a se stesso, perché non ha citato esplicitamente il successore. O ancora, che l’incontro nel quale avrebbe detto certe cose è una pura invenzione”.

“Contorsione sublime”? Anche un BAMBINO DI OTTO ANNI capisce che se Benedetto ripete dal 2013 “il papa è uno solo” ma non spiega mai quale, ci deve essere qualcosa sotto. Vi pare che papa Ratzinger possa divertirsi a gettare gratuitamente nel panico un miliardo di fedeli con questi giochetti, come consideravamo? Il papa è uno solo ed è Benedetto perché per abdicare si deve rinunciare simultaneamente al munus, e lui ha rinunciato in modo differito al ministerium. Ergo, come abbiamo argomentato fino alla nausea, papa Ratzinger si è ritirato in sede impedita dove resta l’unico papa legittimo.

Massimo Franco tenta di far passare per fessi noi e voi, ma come constatate, la Logica e il Tempo mettono sempre sulla brace i rinnegatori del vero papa. La malafede e la protervia appartengono esclusivamente al collega del Corriere che, pur essendo stato informato da un anno di tutta la faccenda, ha finto di interessarsene, ma in realtà ha chirurgicamente evitato il tema della sede impedita e, sebbene consapevolizzato del fatto inaudito per cui Benedetto non ha mai detto che il papa è Francesco, ha continuato imperterrito a promanare il contrario senza suffragarlo con null’altro che una propria supposizione. Aria fritta.

La conferma egli stesso a pag. 102 del suo libro: “Uscendo dal Monastero, scortati in auto da una guardia svizzera in borghese con l’auricolare, era inevitabile PENSARE che quando Ratzinger ribadiva con un velo di voce «il Papa è uno», certamente si rivolgeva ai «fanatici» che non si rassegnavano alla realtà”.

E invece non era inevitabile per niente, tanto che la realtà è esattamente all’opposto, come abbiamo dimostrato in un’inchiesta di 200 articoli  che non è stata smentita nemmeno dal Santo Padre Benedetto XVI, quando ci ha onorato di una lettera di risposta.

Massimo Franco, invece di ammannire ai lettori sue personali proiezioni, dovrebbe restare ai fatti oggettivi.

Due consigli; il primo, la lettura di quel libro che egli stesso aveva “incoraggiato” e che, uscito da un mese, è fra i primi bestseller per le classifiche Mondadori e Rizzoli:  “Codice Ratzinger” (ByoBlu ed.)  

Il secondo: massima prudenza prima di accusare gli altri di essere “protervi e in malafede” su certi argomenti.

Aleteia mistifica sulla croce di Bergoglio, ma il sedicente papa Francesco indossa un simbolo anticristico. Punto. Andrea Cionci su Libero Quotidiano il 30 giugno 2022

Andrea Cionci. Storico dell'arte, giornalista e scrittore, si occupa di storia, archeologia e religione. Cultore di opera lirica, ideatore del metodo “Mimerito” sperimentato dal Miur e promotore del progetto di risonanza internazionale “Plinio”, è stato reporter dall'Afghanistan e dall'Himalaya. Ha appena pubblicato il romanzo "Eugénie" (Bibliotheka). Ricercatore del bello, del sano e del vero – per quanto scomodi - vive una relazione complicata con l'Italia che ama alla follia sebbene, non di rado, gli spezzi il cuore

Disonestà intellettuale, in tuo nome è “Aleteia”. Per puro caso ci è capitato sott’occhio un articolo di Gelsomino Del Guercio pubblicato sull’omonima testata bergogliana fondata dallo spagnolo Jesùs Colina: un vero modello di furbizia, manipolazione e mistificazione che, del resto, è la cifra della falsa chiesa bergogliana.

Vi dimostriamo subito la loro tecnica sottile, perché sia di modello per comprendere gli altri inganni.

Il 28 settembre 2021, su Libero, pubblicammo QUI un articolo in merito alla croce pettorale che antipapa Francesco porta al collo da sempre.

Il pezzo esordisce così: “La strana croce pettorale di Francesco, d'argento e non d'oro come quelle dei papi, HA SEMPRE DESTATO CURIOSITÀ E INTERPRETAZIONI, MA SENZA CONCLUSIONI CERTE”.

Fin dall’incipit, infatti, prendevamo le distanze proprio da un sedicente “studio scientifico” sulla croce di Bergoglio, circolante sui social, che interpretava dei caratteri presuntamente massonici: la colomba a testa in giù, i piedi al contrario, le occhiaie da teschio, capri e maiali al posto delle pecorelle che circondano il Buon pastore. Tutte suggestioni di nessun conto, pure bagattelle, anche perché di colombe a testa in giù se ne trovano in pale d’altare rinascimentali e lo stile dell’autore dellacroce, lo scultore Vedele, appena abbozzato, non consente alcuna provata considerazione del genere.

Infatti, specificavamo, “Il guaio è, coi simboli massonici, che sono mutuati in blocco da quelli cristiani, anche se il loro significato, noto agli iniziati, è alla rovescia”.

La novità del nostro articolo risiedeva nel fatto che l’unico simbolo univocamente, infallibilmente rosacrociano, quindi pseudo-massonico e anticristico (dato che i Rosacroce non riconoscono Cristo come figlio di Dio e quindi, come dice San Giovanni, sono anti-Cristo) è costituito dal Buon Pastore a braccia incrociate, gesto rituale massonico, tanto che, nel giuramento del 18° grado da principe rosacroce del Rito Scozzese della Massoneria si deve assumere esattamente la posizione con le braccia incrociate definita “del Buon pastore dei Rosacroce".

Ed ecco come Del Guercio tenta di “sbufalare” la gravissima questione prendendo per i fondelli voi e noi nel suo articolo su Aleteia intitolato “Papa Francesco porta una croce massonica? Smontiamo questa fake news”.

Egli comincia citando correttamente il nostro articolo:

“Il quotidiano Libero sostiene che un libro ormai introvabile, (come se il fatto che sia oggi introvabile ne sminuisca la validità invece di avvalorarla n.d.r.) “Ero massone. Dalle tenebre della Loggia alla luce di Cristo” di M. Caillet (2013), svela un dettaglio scioccante e unico sulla croce di Bergoglio.

Questa reca, infatti, il “Buon Pastore” che però, stranamente, ha le braccia incrociate, come un dio egizio. Dopo ricerche e confronti con specialisti di tale iconografia, possiamo confermare come non esista nella storia dell’arte cristiana un’immagine simile di Gesù Buon Pastore perché le braccia incrociate prefigurerebbero il sacrificio della croce e non c’è alcuna associazione dal punto di vista biblico-teologico. Solo un Buon Pastore ha tuttavia le braccia così, ed è quello dei Rosacroce, un ordine mistico-esoterico di cui si è sempre vociferata l’aderenza con gruppi deviati di gesuiti. Oggi l’Amorc, che ne è l’erede, si trova diffuso in America Latina e possiede un’importante loggia a Buenos Aires.

E ancora, “Esonet“, portale di esoterismo: «Anche per la preghiera in piedi, gli avambracci sono incrociati sul petto. Questa, nella Scuola della Rosa Croce, è conosciuta come la “posizione del Buon Pastore” ed era quella assunta dai Faraoni seduti sul trono» (Libero quotidiano, 1 ottobre)”.

E adesso cosa fa Del Guercio? Mica smentisce quanto affermiamo su Libero, NO, non può, e così passa a contestare le sciocchezze del presunto studio scientifico che noi per primi avevamo scartato: “Allora il cosiddetto “Pettorale”, è la “prova provata” che Bergoglio è un “massone” e che quindi è un Papa “scomunicato”? I sostenitori di questa tesi divulgano anche una foto, riportata dal quotidiano “Il Dolomiti”, con il titolo “Studio scientifico sulla Croce pettorale di ferro scelta da Bergoglio”, che per loro dimostrerebbe inequivocabilmente quanto sopra detto”.

Del Guercio si rifà a un articolo di Riccardo Petroni, banchiere, biblista negatore della divinità di Cristo e – non a caso – bergogliano doc - che, pure, nonostante avesse fatto uscire un pezzo su Il Dolomiti QUI subito dopo il nostro articolo, non aveva osato citarlo, proprio per la sua incontestabilità. Petroni è una simpatica conoscenza, è quello dell’argomentazione da “uomo proiettile” che sbandierava ai quattro venti di avere la prova che Benedetto XVI non era più papa perché sulla sua carta da lettere c’era scritto “Papa emerito” QUI.  (Vi rendete conto?).

E’ quindi oggettivo che Del Guercio sia stato scorrettissimo e manipolatorio: noi non siamo affatto sostenitori di quel presunto “studio scientifico”, TUTT’ALTRO e, invece di contestare quanto abbiamo scritto sul Buon Pastore rosacroce, il giornalista bergogliano salta di palo in frasca a smontare facilmente le vacue illazioni dello “studio scientifico” proseguendo così fino alla fine tentando di accomunare l’incontestabile realtà da noi scoperta alle sciocchezze della vignetta social. 

Caro Del Guercio, che guardi a metà solo quello che ti fa comodo, purtroppo il fatto inequivocabile è che Bergoglio, da voi ostinatamente riconosciuto legittimo pontefice perché vi apre la “via larga”, facile e in discesa, porta al collo un simbolo anticristico. Non ci sono discussioni, punto. Il fatto che il sulfureo oggetto sia stato creato da un’azienda di articoli ecclesiastici non dimostra un bel nulla, come abbiamo argomentato in risposta agli insulti di un tale BlogGiornLN. Infatti, fin dai tempi del Concilio, una certa arte sacra ha ammiccato alla massoneria e all’esoterismo, basti pensare all’atroce presepe in ceramica di Castelli con guerrieri cornuti e dotati di teschi, o ai rosari massonici di cui parlava dieci anni fa il servizio di Tv2000.

Ora, noi non sappiamo se la scelta artistica dello scultore Vedele, autore della croce di Bergoglio, sia stata fatta per compiacere il clero massonico deviato (cosa del tutto probabile) o se sia stata un’ingenua invenzione stilistica. Il fatto è che “papa Francesco” porta al collo da 30 anni un simbolo anticristico, proprio dell’ordine pseudomassonico dei Rosacroce. Non stupisce che tale segno distintivo penda dal collo anche di diversi vescovi bergogliani, come una sorta di “medaglietta di appartenenza”. Soprattutto, nella chiesa bergogliana si insiste varie volte con questa posizione con le braccia incrociate, tanto che durante il concerto di Natale 2019 in Sala Nervi, una sudamericana stimolò tutti, vescovi compresi, ad assumere questa posizione magica “per ascoltare la Madre terra”. Giusto giusto, eh?

La menzogna e la manipolazione non resistono al tempo, come si vede da questo articolo di Aleteia il quale, anzi, ci ha offerto l’occasione di riparlare di questo scandaloso episodio che, pure, non turba minimamente gli “una cum” (conservatori legittimisti di Bergoglio). Dopotutto, Bergoglio può portare al collo un simbolo del genere perché non è il pontefice. Il  papa è sempre e solo Benedetto XVI che, come abbiamo dimostrato nel volume "Codice Ratzinger" (ByoBlu) si è ritirato in sede impedita. 

Si potrebbe anche ricordare, a margine, che una settimana dopo l’uscita del nostro articolo, il presunto papa Francesco si cambiò temporaneamente la croce pettorale, in occasione di un incontro interreligioso. QUI 

Sostituendola con una cattolica? Per carità! Ci mancherebbe altro. Era una specie di croce ortodossa che però, secondo alcuni ortodossi, non sembra nemmeno tale.

Codice Ratzinger, l'attacco-autogol del prof Zenone: “Benedetto XVI è sempre stato chiarissimo”. Appunto!

Andrea Cionci su Libero Quotidiano il 27 giugno 2022

Andrea Cionci. Storico dell'arte, giornalista e scrittore, si occupa di storia, archeologia e religione. Cultore di opera lirica, ideatore del metodo “Mimerito” sperimentato dal Miur e promotore del progetto di risonanza internazionale “Plinio”, è stato reporter dall'Afghanistan e dall'Himalaya. Ha appena pubblicato il romanzo "Eugénie" (Bibliotheka). Ricercatore del bello, del sano e del vero – per quanto scomodi - vive una relazione complicata con l'Italia che ama alla follia sebbene, non di rado, gli spezzi il cuore

La voce girava da qualche tempo: il prof. Giovanni Zenone, filosofo e direttore della casa editrice “Fede e Cultura”, avrebbe diffuso presto un video per confutare la biennale inchiesta dello scrivente pubblicata nel volume “Codice Ratzinger” (25 maggio 2022, ByoBlu ed.), attualmente, il secondo bestseller italiano, secondo le classifiche Mondadori e Rizzoli.

Con una certa trepidante curiosità aspettavamo questa “bomba”: dopo le dotte contestazioni del tipo “Cionci ciancia” e “Cionci è imbecille”, finalmente una persona educata e di cultura che – immaginavamo - avrebbe affrontato il merito della questione canonica, analizzando gli scritti di papa Benedetto XVI e offrendo una spiegazione alternativa a quelle apparenti incoerenze, costruite secondo lo stile di Cristo, che svelano la realtà del suo autoesilio in sede impedita.  

Insomma, lo scontro si prospettava assai stimolante e ci aspettavamo una serrata critica alla ricostruzione che configura il caso del millennio e la crisi più grave per la Chiesa dai tempi dello Scisma d’Occidente.

Ebbene, ascoltando QUI l’intervento del prof. Zenone intitolato “Il Codice Ratzinger è una bufala?”, potete immaginare la mortificante delusione dello scrivente. 

“Vogliono tirarmi dalla loro parte – esordisce il nostro - perché io mi faccia diffusore di queste CRETINATE. Questo è assolutamente falso e non credibile. Non propagherò queste BESTIALITÀ. Non date retta a questo COMPLOTTISMO ECCLESIALE che fa ridere i polli”.

Poi? Basta, fine, stop. Argomentazioni nel merito? MENO DI ZERO. Dieci minuti in cui un’imbarazzante superficialità, la totale non-conoscenza del tema e una certa boria professorale hanno fatto a gara tra loro suscitando, ovviamente, una valanga di commenti negativi da parte degli utenti.

Eppure, una perla il professore ce l’ha regalata: “Papa Benedetto ha sempre parlato in una maniera così chiara che anche le pietre capivano, non ci sono mai state delle incomprensioni; ha sempre parlato in modo che capissero tutti, anche gli asini”.

Ottimo. Se il professore si fosse degnato di leggere il libro, o anche solo qualche articolo, avrebbe saputo che questa argomentazione è ESATTAMENTE una di quelle che hanno suscitato questo lavoro d’inchiesta. Citiamo da un nostro pezzo del 9 gennaio scorso QUI:

“Vi sembra normale che un papa coltissimo e rigoroso che è diventato troppo anziano e vuole lasciare l’incarico, faccia una dichiarazione in un latino dozzinale pieno di errori, che poi resti in Vaticano, con il suo nome da pontefice, vestito di bianco, conservando lo stemma, con un titolo (“emerito”) che non ha alcuna giurisprudenza, con delle dimissioni a tempo, che poi non vengono confermate? Vi sembra normale che poi continui a intervenire nell’attività del suo successore, a rilasciare interviste, a scrivere libri che vanno in esatta controtendenza rispetto alla direzione presa dal pontefice in carica? Vi sembra normale che parli con un linguaggio sibillino, ripetendo da otto anni “il papa è uno solo” senza mai dire quale, nemmeno se glielo estorcessero con le tenaglie? E’ OVVIO CHE C’E’ QUALCOSA CHE NON TORNA, che dite? […] Se volessimo credere che Benedetto XVI ha davvero abdicato dovremmo accettare il fatto che quell’austero, umile, sapiente, mite, saggio teologo si sia trasformato d’un tratto in un anziano stravagante e folle, tanto da scrivere totali incoerenze; impreparato al punto da commettere madornali errori di latino, storia ecclesiastica, diritto canonico; vanesio e nostalgico fino a non voler rinunciare ad alcuni orpelli della propria antica dignità papale; dispettoso tanto da gettare nello sgomento, nell’incertezza e nell’angoscia milioni di fedeli; odiosamente invasivo e geloso al punto di sabotare il pontificato del proprio legittimo successore con interventi continui e non richiesti. Una pazzia malevola, ma a corrente alternata, interrotta da pubblicazioni di luminosa profondità e lucidità, pieni di sapienza e dottrina. Ma stiamo scherzando?”.

Tralasciamo, poi, i toni sprezzanti usati dal veronese Zenone sui “palermitani”, (in riferimento a don Minutella) e il vuoto torricelliano sulla differenza tra “messa invalida” e “messa illecita”. Circa l’importanza della comunione con il papa, (quello vero, ovviamente) rimandiamo l’editore alla lettura di un testo del cardinale Ratzinger QUI .

Dato che il prof. Zenone ha dimostrato di non sapere nulla della questione, sarà nostra premura inviargli copia del libro “Codice Ratzinger” e, insieme alle scuse per i toni imprudentemente offensivi e sprezzanti, accetteremo volentieri, in caso, delle contestazioni nel merito di una questione che può sancire la fine della Chiesa canonica, visibile.

Una copia forse sprecata, dato che, come già tutti gli altri presunti intellettuali cattolici ai quali ci siamo rivolti, è probabile che l’editore di Fede e cultura sceglierà la strada dello “sdegnoso silenzio”. E’ un classico dell’intellighenzia “una cum”: quei cattoconservatori che spalano fango tutto il giorno su “papa Francesco”, ma guai a metterne in discussione la sua legittimità come pontefice. Stimolati poi a dibattere, anche su questioni banali, si chiudono a riccio, come da poco ha fatto La Nuova Bussola Quotidiana dopo la nostra lettera pubblica QUI .

La triste realtà – dobbiamo dirvela tutta - è che eccettuati coloro che proprio “non ci arrivano” e quelli sinceramente incatenati alla superbia del proprio puntiglio intellettuale, tutti gli altri hanno interessi materiali legati alla Chiesa: non si possono inimicare questo o quel cardinale; il tale editore si tirerebbe indietro; c’è poi il cognato o la sorella che lavorano all’Opus Dei, e così via.

Poi se la Chiesa cattolica finisce e un miliardo di cattolici sta seguendo un pifferaio di Hamelin con una religione tutta sua QUI, è un problema secondario rispetto al loro orticello: il classico “tengo famiglia”.

Così, tutti costoro – che, pure, vogliono mantenere il piede in due staffe, riconoscendo “papa Francesco”, ma parlandole male e screditando lo Spirito Santo - non si fanno scrupolo di ignorare la Magna Quaestio, anche sapendo che la linea successoria papale potrebbe essere interrotta alla morte di Benedetto XVI e che un prossimo conclave illegittimo comprendente una novantina di pseudo-cardinali di nomina bergogliana, eleggerà un altro antipapa privo del munus, e quindi dell’assistenza dello Spirito Santo e dell’infallibilità ex cathedra.

Tanto, “che importanza ha chi sia il papa?”, come afferma l’editore di Fede e Cultura: forse che nella Chiesa ci sono stati appena 40 antipapi? Forse che lo Spirito Santo non si adatterà a ciò che passa il convento, accettando di assistere un usurpatore?

Magari, se San Bernardo di Chiaravalle e S. Caterina da Siena avessero ascoltato il filosofo Zenone, si sarebbero risparmiati tanta fatica nel combattere gli antipapi che occupavano illecitamente il trono di San Pietro.

Rumors su dimissioni di Bergoglio e pestaggi di Benedetto XVI: “distrazione di massa”, ma il Codice Ratzinger dilaga.  Andrea Cionci su Libero Quotidiano il 23 giugno 2022.

Andrea Cionci. Storico dell'arte, giornalista e scrittore, si occupa di storia, archeologia e religione. Cultore di opera lirica, ideatore del metodo “Mimerito” sperimentato dal Miur e promotore del progetto di risonanza internazionale “Plinio”, è stato reporter dall'Afghanistan e dall'Himalaya. Ha appena pubblicato il romanzo "Eugénie" (Bibliotheka). Ricercatore del bello, del sano e del vero – per quanto scomodi - vive una relazione complicata con l'Italia che ama alla follia sebbene, non di rado, gli spezzi il cuore

 “Quello che mi piace dei tedeschi è che sono testardi. Bisogna riconoscere che quando si mettono in testa una cosa….”. Nel film di guerra “Il Nemico alle porte” questo era il commento di un cecchino russo, a Stalingrado, di fronte ai reiterati, ottusi tentativi dei nemici di mandare allo scoperto dei telegrafisti che venivano regolarmente colpiti.

L’immagine è plastica per definire il nuovo tentativo di screditamento del vero papa Benedetto XVI con la solita, ennesima vittima di un prete abusatore che se la prende  con l’allora card. Ratzinger che 30 anni fa “non avrebbe saputo controllare”, etc. Insomma, sempre la stessa solfa.

I giornali  tedeschi ci si sono aggrappati disperatamente e, a ruota, subito si è accodata la gran parte di quelli italiani, probabilmente in ossequio a qualche velina da Oltretevere. Già il primo assalto di gennaio era fallito miseramente, ora ci riprovano, ma sarà un flop ancora peggiore, grazie all’irritazione prodotta nel pubblico dalla mancanza di fantasia e dalla stanca ripetitività.

Non si capisce, infatti, per quale legge fisica, il card. Ratzinger, che è stato il prelato il quale – come tutti gli riconoscono - nella storia della Chiesa più si è adoperato contro la piaga della pedofilia, avrebbe dovuto trascurare di controllare un prete pedofilo e lasciarlo fare. Mah? Mistero.

Come è completamente misterioso il perché in Italia nessuno abbia mai parlato del documentario “Il codice del silenzio” di Martin Boudat QUI sottotitolato in italiano  dove emerge, nero su bianco, come il card. Bergoglio, in Argentina, commissionò una monumentale opera in quattro tomi a un famoso avvocato per difendere proattivamente il pedofilo Julio Caesar Grassi, oggi in galera e condannato a 15 anni per abusi su minori. 

Da un lato Ratzinger viene messo in croce dai media perché presuntamente non avrebbe saputo ben vigilare, dall’altro, il fatto che Bergoglio abbia inviato ai giudici argentini questa difesa di un pedofilo conclamato per farlo assolvere (stando al documentario mai smentito) viene ignorato. Abbastanza grottesco.

Comunque tranquilli: non lo ha capito nessuno che queste aggressioni al papa vengono fuori perché ormai è patrimonio comune  che Benedetto XVI sia l’unico, vero pontefice romano in sede impedita e che Bergoglio si sia reso antipapa con le proprie mani.

Il libro inchiesta dello scrivente “Codice Ratzinger” (ByoBlu ed.) è il secondo bestseller italiano, per le classifiche Rizzoli e Mondadori (almeno fino a ieri) e la verità circola ovunque come un torrente di argento vivo. Sono diversi i prelati che lo hanno richiesto e ai quali il dossier è stato gratuitamente inviato. La verità si impone da sola, come diceva il penultimo papa, Giovanni Paolo II.

Così, non deve stupire che accanto al pestaggio del 95enne Benedetto XVI, fiocchino i rumors sulle dimissioni di Bergoglio.

L’altro fattore della “strategia di distrazione di massa” è infatti costituito da queste voci incontrollate, ma rassegnatevi: le dimissioni di antipapa Francesco sono come i Tartari del “Deserto” di Buzzati. Se ne parla sempre, in tanti le attendono e si preparano, ma non arrivano mai. Del resto, non potrebbero mai arrivare dato che Bergoglio non è il papa e quindi non ha alcun ufficio dal quale dimettersi, se non quello di arcivescovo di Buenos Aires. Così come Benedetto ha semplicemente incrociato le braccia rinunciando – de facto e non de iure – all’esercizio pratico del potere, senza ratificare niente dopo le 20.00 del 28 febbraio 2013, allo stesso modo Bergoglio potrebbe andarsene dall’oggi al domani senza firmare e dichiarare nulla. E’ il “pontificato d’eccezione” di cui parlava Mons. Gaenswein, citando Carl Schmitt: una situazione dove l’ordine giuridico è completamente sospeso.

Tali “promesse” di dimissioni bergogliane sono, dunque, solo zuccherini, miraggi seducenti, profumi ammaliatori per anestetizzare fedeli e intellettuali cattoconservatori e favorire trattative sottobanco di certi prelati tradizionalisti con i circa 90 non-cardinali nominati da “Francesco”.

Alcuni segnali li abbiamo individuati nei recenti pronunciamenti legittimisti di Bergoglio del card. Gerhardt Mueller e del vescovo Athanasius Schneider. Abbiamo scritto loro due lettere QUI e QUI per chiedere un’illuminazione, ma non hanno risposto. Non risponde mai nessuno, chissà perché, ma una volta, la verità non era la summa charitas, la suprema forma di amore cristiano? Se per loro Francesco è il papa legittimo, perché non ci offrono delucidazioni sulle ben note questioni circa la validità della presunta rinuncia al papato di Benedetto XVI?  

Come vedete, oggi il maggior pericolo arriva proprio da quella parte tradizionalista che prepara la cosiddetta “soluzione diplomatica”. Bisogna stare molto attenti a questa trappola che sortirà, all’uscita di scena di Bergoglio – chissà quando - l’effetto di produrre un conclave invalido elettore di un altro antipapa, con un modernista (Zuppi, Tagle, Maradiaga…?) dal probabile nome di Giovanni XXIV che darà il colpo di grazia alla fede cattolica.

Ma quand’anche, per un rarissimo imprevisto, venisse eletto un conservatore, costui sarebbe comunque un antipapa, privo del munus petrino (che resta a papa Benedetto) e quindi della garanzia di infallibilità/assistenza divina propria del legittimo pontefice.

Questo dettaglio sfugge a molti intellettuali cattoconservatori, tanto da farci domandare, a questo punto, in che cosa credano. Qualora se lo fossero dimenticato, il papa non è una carica burocratica, è UN’INVESTITURA DIVINA e certo lo Spirito Santo non si presta ad assistere un usurpatore perché “vabbè, ormai è andata così”.

Quindi un prossimo conclave “spurio” con la presenza dei non-cardinali bergogliani, oltre a sancire la fine della Chiesa visibile, canonica, potrebbe condurre a conseguenze disastrose per il mondo. Signori: sappiate che con un altro antipapa “si torna sulla giostra” con l’agenda del deep-state massonico-mondialista. Allacciate le cinture.

E di questo dovremo dire grazie a tutti quei tradizionalisti che si difendono dietro l’assurda teoria dell’”errore sostanziale”, secondo la quale papa Benedetto è “modernista” e “complice di Bergoglio”. Tra questi “illuminati”, la blogger americana Ann Barnhardt che si produce costantemente in insulti e pesanti offese per tutti, dal papa Benedetto – definito “il peggior papa di sempre” - al basso rango dello scrivente che sarebbe un “profittatore” QUI 

Così, grazie a questi pseudo-tradizionalisti, ostinati e pervicaci fustigatori del vero pontefice in sede impedita, ci potranno essere per tutti diversi anni ancora molto duri prima del “sontuoso epilogo” previsto da papa Ratzinger.

Risposta a Mons. Schneider: in Codice Ratzinger, Benedetto XVI spiega come Bergoglio si è auto-scismato.

Inviamo l'inchiesta a Sua Eccellenza. Andrea Cionci su Libero Quotidiano il 14 giugno 2022.

Andrea Cionci. Storico dell'arte, giornalista e scrittore, si occupa di storia, archeologia e religione. Cultore di opera lirica, ideatore del metodo “Mimerito” sperimentato dal Miur e promotore del progetto di risonanza internazionale “Plinio”, è stato reporter dall'Afghanistan e dall'Himalaya. Ha appena pubblicato il romanzo "Eugénie" (Bibliotheka). Ricercatore del bello, del sano e del vero – per quanto scomodi - vive una relazione complicata con l'Italia che ama alla follia sebbene, non di rado, gli spezzi il cuore

Eccellenza reverendissima,

ho ascoltato le Sue riflessioni in merito alla questione della validità del pontificato di Francesco. Come autore di un’inchiesta biennale sulla questione dei due papi, portata avanti con oltre 200 articoli su testate nazionali e appena pubblicata in un volume di 340 pagine, spero non mi giudichi presuntuoso se mi permetto di indirizzarLe questa lettera pubblica, confidando nella Sua apertura mentale e nella Sua coraggiosa e collaudata tensione a difendere la verità.

Lei sostiene che la teoria secondo cui Benedetto XVI non ha abdicato “sfida la tradizione della Chiesa”.

Eppure, nella storia ecclesiastica abbiamo avuto circa 40 antipapi, quindi non è una novità che personaggi legati a poteri mondani abbiano cercato di conquistare il papato in modo forzoso: fa decisamente parte della “tradizione”. Ciò che è assolutamente nuovo – su questo Lei ha ragione - è la geniale risposta che il legittimo papa ha fornito per difendersi da questa aggressione al papato, peraltro annunciata fin dai tempi del profeta Daniele.

Di tale sistema ho scritto nel libro “Codice Ratzinger” (ByoBlu ed.), di cui una copia è in viaggio verso il Suo domicilio.

Ancora, secondo Lei, la prospettiva di un Benedetto unico legittimo papa sarebbe impossibile perché, cito le Sue parole: “La legge umana che regola l'assunzione dell'ufficio papale o la destituzione dall'ufficio papale deve essere subordinata al bene superiore di tutta la Chiesa, che in questo caso è l'esistenza reale del capo visibile della Chiesa e la certezza di questa esistenza per tutto il corpo della Chiesa, clero e fedeli”.

Se ho ben compreso, semplificando, questo sarebbe impossibile perché un papa attivo ci deve comunque sempre essere per il bene della Chiesa.

Mi perdoni, ma Lei stesso ha coraggiosamente dichiarato tempo fa che papa Francesco “si deve convertire”. Lei ha ragione, ma riconoscendo Francesco legittimo papa, di fatto presuppone l’esistenza di un papa non-cattolico e questo come potrebbe mai costituire un bene superiore per la Chiesa? Il fatto che Bergoglio non sia cattolico, in ottica di fede, gli è consentito proprio dal non essere papa, dal non avere il munus, l’investitura divina (conservata da Benedetto XVI) che garantisce l’infallibilità ex cathedra e l’assistenza ordinaria dello Spirito Santo (art. 892 CCC).

Se il legittimo capo della Chiesa “si deve convertire” al Cattolicesimo, cosa che confligge col ruolo stesso del papa, questa è un‘atroce disgrazia e quindi, di conseguenza, tutti gli atti e le nomine di questo inedito papa non cattolico non corrispondono affatto al bene supremo della Chiesa, ma anzi sono per essa nefasti e mortiferi. Quindi il bene supremo della Chiesa è che esattamente che questi siano annullati del tutto, cosa che avviene proprio grazie alla sede impedita di papa Benedetto. Dia solo un’occhiata alle nomine “cardinalizie” bergogliane: un coacervo di ultramodernisti passati in blocco a un’altra religione mondialista e inversiva che ha molto poco a che vedere col Cattolicesimo.

Lei afferma ancora che il nostro discorso prefigurerebbe una sorta di sedevacantismo, ma qui non stiamo parlando di una sede vacante, perché il papa c’è, eccome, ed è Benedetto XVI. Parliamo, piuttosto, di una sede impedita, stato del tutto contemplato dal Diritto canonico che produce, di fatto, un “pontificato di eccezione” il quale, riprendendo il concetto di Carl Schmitt, comporta una provvidenziale sospensione giuridica generale della vita della Chiesa.

Certo, è scioccante che da nove anni tutta l’attività pratica della Chiesa visibile sia nulla, ma questo è un bene supremo, considerato che l’attuale ”amministratore” non è cattolico. Tutto ciò è stato permesso dal Santo Padre Benedetto con un preciso scopo: la purificazione finale della Chiesa in risposta a un’aggressione modernista-eretico-massonica al papato. Stiamo parlando, quindi, di una fase escatologica, di tremenda, millenaria importanza e papa Benedetto, come sottolineato dal prof. Giorgio Agamben, ha così “rafforzato il papato” separando il grano dalla zizzania e concedendo ai suoi nemici una parentesi di anarchia prima di essere “gettati nella Geenna”.

Dubito, infatti, fortemente che la sanatio in radice prevista dall’accettazione pacifica universale, da Lei citata, potrebbe mai sanare, al giorno d’oggi, con le presenti regole canoniche, un golpe avvenuto con un conclave convocato con un papa precedente non morto, non abdicatario, impedito e per nulla intenzionato a lasciare il trono petrino. Questo equivarrebbe a legittimare la legge della giungla in seno alla Chiesa.

Anche la dottrina del Supplet Ecclesia, da Lei citata, si riferisce ai sacramenti, non all’ordinamento giuridico. Per questo motivo papa Benedetto ha tutelato le anime dei semplici che continuano in buona fede, inconsapevolmente, ad accostarsi ai sacramenti in comunione con colui che credono legittimo papa, ma ugualmente, Benedetto ha difeso la Chiesa da un’usurpazione forzata avvalendosi proprio del diritto canonico, che non è "accessorio" alla vita della Chiesa, ma ne regola la legittimità di ogni provvedimento.

L’idea che Benedetto abbia messo alla prova i suoi nemici, che volevano farlo abdicare, e abbia fatto sì che si scismassero da soli, non è quindi un cul de sac, come Lei scrive, mi perdoni, ma una geniale strategia per purificare definitivamente la Chiesa. Un cul de sac sarebbe, piuttosto, ritenere che possa sedere sul trono di Pietro un legittimo papa non cattolico: equivarrebbe a dire che Cristo ha abbandonato la Sua Chiesa. Un altro cul de sac – il peggiore in assoluto - sarebbe approvare un prossimo conclave invalido che, con circa 90 non-cardinali bergogliani, regalerebbe certamente alla Chiesa un altro antipapa, uno Zuppi, un Tagle o un Maradiaga, magari col nome semi-antipapale di Giovanni XXIV. Un vero suicidio al quale concorreranno molti cardinali di nomina bergogliana che si illuderanno di conservare la porpora scendendo a simili compromessi e che invece perderanno non solo il cardinalato ma, forse, in ottica di fede, qualcosa di infinitamente più importante.

Si citano, poi, nel Suo intervento, le dichiarazioni di Mons. Gaenswein che hanno dato spazio alla teoria dell’”errore sostanziale” secondo cui papa Benedetto voleva creare un papato emerito, ma si è sbagliato e ha commesso un errore di concetto cercando di sdoppiare il papato in due pontefici, uno contemplativo e uno attivo.

E’ una posizione condivisa da parte significativa del mondo tradizionalista, ma la Declaratio non reca solo l’inversione munus/ministerium, (cosa che potrebbe, al limite, far pensare a un errore concettuale) bensì è una specie di cocktail di meccanismi canonici implosivi che, oltre a rendere completamente inaccettabile qualsiasi ipotesi che si tratti di una abdicazione, evidenziano, al contrario, una straordinaria, perfetta consapevolezza del vero papa nello stilare un coerente annuncio per un autoesilio in sede impedita (canone 412). Una rinuncia al papato, infatti, deve essere simultanea e non potrebbe mai essere differita di 17 giorni; il ministerium non può essere separato giuridicamente dal munus. Questo può avvenire solo de facto e non de iure in caso di sede impedita quando il vescovo non può esercitare il suo potere perché impedito da forze preponderanti.

Infatti, se Benedetto avesse voluto giuridicamente separare munus e ministerium in base a un errore sostanziale, dopo le ore 20.00 del 28 febbraio 2013, pur sbagliando, avrebbe certamente confermato per iscritto o verbalmente la sua - pur impossibile - rinuncia giuridica al ministerium. Cosa mai avvenuta, come evidenziato dal libro di Carlo Maria Pace. Quindi, come vede, papa Ratzinger era perfettamente consapevole di quello che stava facendo.

Inoltre, Benedetto XVI raccomanda - non casualmente - nella Declaratio che il prossimo papa dovrà essere eletto “da coloro a cui compete”, cioè esattamente dai cardinali di nomina pre-2013 e non dai falsi cardinali di nomina antipapale.  Il verbo vacet, tradotto arbitrariamente nelle lingue volgari con “sede vacante”, deve essere tradotto letteralmente con “sede vuota”, perché le espressioni “sede di Roma” e “sede di San Pietro”, non hanno alcuna personalità giuridica per essere lasciate vacanti, come rilevato dall’avv. Arthur Lambauer.

Se Benedetto avesse creduto in uno sdoppiamento dell’incarico papale in due pontefici legittimi, avrebbe peraltro insistito fin dal 2013 cercando di convincerci che questo fosse possibile, difendendo la sua errata impostazione, almeno dicendo qualcosa come: “Ci sono due papi, entrambi validi, ma quello più importante è Francesco”. Nulla di tutto ciò è avvenuto, infatti egli ripete da nove anni che “Il papa È uno solo” senza mai spiegare quale. Se il papa è – voce del verbo essere - uno solo, non ci possono essere due papi entrambi legittimi, ma uno legittimo-contemplativo (Benedetto impedito) e uno attivo-illegittimo (Bergoglio abusivamente regnante) come esplicitato da Mons. Gaenswein nel famoso discorso del 2016.

Peraltro, se il papa è uno solo, e se fosse Francesco, perché Benedetto scrive che il papa emerito è il sommo pontefice e impartisce la sua benedizione apostolica?

In sintesi, papa Ratzinger ha semplicemente detto che siccome non era abbastanza forte per governare, a causa dell’ammutinamento subìto, rinunciava del tutto a esercitare il potere, di fatto, lasciando la sede vuota. Con mitezza autosacrificale, egli ha accettato con cristiana rassegnazione il suo impedimento, ha permesso che altri usurpassero il potere, ritenendolo un papa abdicatario, e si scismassero con le loro mani, rovinati dalla loro stessa infedeltà e brama di potere. Un piano perfetto, anche dal punto di vista teologico, che non si capisce per quali motivi (se non afferenti alla perdita di benefici materiali) venga osteggiato e non compreso proprio da molti cattolici conservatori in fiera opposizione a Bergoglio.

Solo da queste brevi note, Lei comprende che il discorso è enormemente complesso da ricostruire, ma nella sua essenza è semplicissimo. Tuttavia, occorre leggere approfonditamente l’inchiesta per avere un panorama generale e, soprattutto, per spiegare vari episodi che, solo apparentemente, sembrano smentirlo (il discorso per il 65° di sacerdozio, il presunto giuramento di fedeltà etc.).   

La mia indagine, per la prima volta, invece di compiere speculazioni filosofiche sganciate dai documenti reali, ha “ascoltato” cosa avesse da dire in proposito il papa Benedetto XVI e non sono stato smentito nemmeno dallo stesso Santo Padre (quello vero) quando mi ha onorato di una sua lettera, nella quale, anzi, mi forniva l’unica risposta che avrebbe potuto darmi da una sede impedita, corredandola perfino del suo stemma da papa regnante.

Ecco perché Le dico: attenzione Eccellenza, la questione è inimmaginabilmente più grave di quanto pensa. La supplico di leggere molto attentamente il volume “Codice Ratzinger”. Ho sviscerato e illustrato il sistema di comunicazione sottile che utilizza papa Benedetto dalla sede impedita, utilizzato per far capire “a chi ha orecchie per intendere” e per “separare i credenti dai non credenti”, come egli stesso dichiarò all’Herder Korrespondenz l’estate scorsa. Ma non si tratta di nulla di trascendentale o di “gnostico” come qualcuno ha avuto il coraggio di affermare, bensì, questo stile comunicativo, che riprende in blocco quello utilizzato da Gesù con i suoi accusatori QUI, è alla portata di tutti ed è stato compreso e certificato dagli specialisti che hanno avuto modo di approcciarvisi e di esaminarlo con grande attenzione: 

“Le oggettive e strane ambiguità del linguaggio di Benedetto XVI individuate come “Codice Ratzinger”, riscontrate anche da giornalisti, o persino lettori, non sono casuali, e non sono dovute all’età dell’autore o, men che mai, a sua impreparazione. Esse sono messaggi sottili, ma inequivocabili, che riconducono alla situazione canonica descritta nell’inchiesta. Papa Benedetto comunica in modo sottile perché è in sede impedita e quindi è impossibilitato a esprimersi liberamente. Il “Codice Ratzinger” è una sua forma di comunicazione logica e indiretta che si avvale di apparenti incoerenze le quali non sfuggono all’occhio delle persone preparate. Tali frasi, “decodificate” con i dovuti approfondimenti nei rimandi che il Papa fa alla storia, all’attualità, al diritto canonico, nascondono un sottotesto logico perfettamente individuabile, con significati precisi e univoci. Altre volte, Benedetto XVI opta per delle “anfibolie” frasi – non prive di spunti umoristici – che possono essere interpretate in due modi diversi. Queste tecniche di comunicazione gli danno modo di far capire, “a chi ha orecchie per intendere”, che egli è ancora il papa e che è in una situazione di impedimento. Pertanto, chiunque sostenga che i messaggi del Codice Ratzinger sono fantasiose interpretazioni o non ha capito, o nega l’evidenza”.

Prof. Antonio Sànchez Sàez, ordinario di Diritto presso l’Università di Siviglia

Prof. Gian Matteo Corrias, docente di materie letterarie e saggista storico-religioso

Prof. Alessandro Scali, docente di Lettere classiche, scrittore e saggista.

Prof. Gianluca Arca, docente di Latino e Greco, filologo, ricercatore,  saggista.

Dott. Giuseppe Magnarapa, psichiatra, saggista e scrittore.

Un esempio? In Ultime conversazioni, Benedetto XVI risponde così al giornalista Seewald che gli chiede:  C’è stato un conflitto interiore per la decisione di dimettersi?”.

Risposta di papa Ratzinger: “Non è così semplice, naturalmente. Nessun papa si è dimesso per mille anni e anche nel primo millennio ciò ha costituito un’eccezione”.

Un errore storico clamoroso (con sei papi abdicatari nel I millennio e quattro nel II) a meno di non considerare proprio le sue dimissioni come dal solo ministerium e così individuare perfettamente quel paio di papi (Benedetto VIII e Gregorio V) che nel I millennio, prima della Riforma gregoriana, furono temporaneamente scacciati da antipapi e persero proprio l’esercizio pratico del potere, il loro ministerium, ma rimasero papi. Guarda caso, una sede impedita ante litteram. 

Come vede, nulla di gnostico, ma messaggi comprensibili da tutti, perfino dal sottoscritto, autore della scoperta, che non è certo uno storico ecclesiastico.

Di esempi del genere ce ne sono decine e decine e vanno da quelli più semplici e diretti, a quelli più complessi e colti. Tale stile logico è ormai divenuto patrimonio persino di comuni lettori, che hanno aggiunto altre scoperte di patenti e brillanti messaggi contenuti negli scritti del papa.

Ripeto: si tratta di una realtà OGGETTIVA alla quale nessuno fino ad oggi ha saputo opporre una confutazione che non consistesse in snobistiche ed elusive  risposte del genere “complottismi, “fantasie”, “trame romanzesche”.

I critici dello scrivente, oltre a insultarlo gratuitamente, si rifiutano sistematicamente di analizzare/confutare questo corpus di dichiarazioni con atteggiamento colpevolmente superficiale e potenzialmente esiziale per la Chiesa visibile.

Si teme l’evidenza, la verità, si ha paura di “guardare attraverso il cannocchiale”, si ha paura di leggere i cento messaggi in Codice Ratzinger perché in quel caso bisognerebbe esporsi, prendere posizione, rinunciare a benefici materiali, recedere da proprie passate convinzioni, e molti non hanno il coraggio di farlo, nemmeno se da questo dipende la salvezza della Chiesa e – in ottica di fede - della propria anima. La “via larga” è quella di pensare che, alla fine, uscito di scena Bergoglio, tutto si possa ricomporre facilmente.

E invece no: come Lei stesso ha individuato, un prossimo conclave composto da una folla di non-cardinali nominati da Bergoglio eleggerà un altro antipapa e la Chiesa canonica, visibile sarà finita e, forse, dovrà risorgere dalle catacombe “abbandonando la sinagoga”.

Attenzione: con il suo linguaggio sottile e cristologico, papa Benedetto, legittimo vicario di Gesù Cristo sta selezionando il “Suo” esercito. E’ facile per tanti DISERTARE confondendo le carte sul piano canonico e ignorando i suoi messaggi bollandoli come “complottismo”.

Ma arriverà il momento della rivelazione finale e dello scisma purificatorio. L’importante sarà farsi trovare dalla parte giusta.

La prego di credermi: non ho investito gratuitamente 800 ore del mio tempo per mettere a repentaglio la mia reputazione professionale, o per qualche miserabile speculazione commerciale.

Legga il libro che Le mando, La prego, lo esamini con molta attenzione e Lei stesso potrà riconoscere il “mosaico” completo, ricomposto, nei limiti del possibile, tessera per tessera.

Con rispettosi e cordiali saluti, Andrea Cionci

Codice Ratzinger: il libro-inchiesta. Benedetto XVI papa legittimo, Bergoglio illegittimo. Papa Francesco non esiste. Andrea Cionci su Libero Quotidiano il 30 maggio 2022.

Andrea Cionci. Storico dell'arte, giornalista e scrittore, si occupa di storia, archeologia e religione. Cultore di opera lirica, ideatore del metodo “Mimerito” sperimentato dal Miur e promotore del progetto di risonanza internazionale “Plinio”, è stato reporter dall'Afghanistan e dall'Himalaya. Ha appena pubblicato il romanzo "Eugénie" (Bibliotheka). Ricercatore del bello, del sano e del vero – per quanto scomodi - vive una relazione complicata con l'Italia che ama alla follia sebbene, non di rado, gli spezzi il cuore.

Missione compiuta: il mosaico è finalmente ricomposto. Non è stato facile: due anni di studio, circa 800 ore di lavoro (e non poche di insonnia) per produrre oltre 200 articoli. L’intera inchiesta è oggi disponibile in un volume di 340 pagine, “Codice Ratzinger” (ByoBlu edizioni, 2022), per chiarire finalmente la Magna Quaestio sui cosiddetti “due papi”.

Nonostante la laboriosa, ma logica ricostruzione, tutto, alla fine, si è rivelato semplice e adamantino: papa Benedetto, costretto a togliersi di mezzo dai poteri globalisti e dalla fronda ecclesiastica modernista che sosteneva Bergoglio, nel 2013 non ha affatto abdicato, ma ha “messo alla prova” i suoi nemici con una candida, sincera dichiarazione in cui, rinunciando all’esercizio del potere, si ritirava in sede impedita, uno status canonico dove il papa è prigioniero e impossibilitato a comunicare liberamente. Così, egli è rimasto il papa a tutti gli effetti, benché contemplativo e privato della facoltà di governare, e i suoi nemici, accecati dalla brama di potere, arraffando il primo atto che parlasse di “rinuncia”, si sono scismati e annullati da soli convocando un conclave nullo a papa né morto, né abdicatario.

Si svela così il mistero del doppio papato: “una sorta di ministero allargato” fra due papi, sì, ma uno legittimo-contemplativo (Benedetto XVI) e l’altro illegittimo-attivo (Bergoglio). Per distinguersi dall’antipapa, Benedetto è, dunque, l’”emerito”, non “il papa in pensione” (giuridicamente impossibile e, infatti, inesistente), ma “colui che merita”, che “ha diritto” di essere papa, dal verbo emereo.

Chi lo dice? Intanto, una ventina di specialisti, teologi, canonisti, giuristi e latinisti che hanno tradotto correttamente la Declaratio dal latino, dove il verbo vacet non sta per “sede vacante”, bensì per “sede vuota”; ma soprattutto è lo stesso papa Benedetto che lo spiega con un linguaggio estremamente preciso, ma sottilmente logico, dovuto al fatto che, essendo giuridicamente in prigionia, non può parlare liberamente. E’ quello che abbiamo chiamato “Codice Ratzinger”, uno stile comunicativo che ricalca in modo totale quello di Gesù coi suoi nemici ed è destinato a chi “ha orecchie per intendere”.

Ma allora quegli abbracci con Francesco? Benedetto XVI, Vicario di Cristo, ama Bergoglio come Gesù amava Giuda, tanto che il Salvatore, fino alla fine, cercò di salvare l’anima all’apostolo traditore.

Se fosse davvero “ex papa”, papa Benedetto non avrebbe dovuto smentirci? Certo, ma quando ci ha risposto per lettera non lo ha fatto. Anzi. 

Il tutto vi sembra scioccante?  Avete ragione: LO È, ma quante cose scioccanti sono avvenute nella storia? Potrebbe confortarvi il fatto che, un mese dopo la scoperta della sede impedita, i canonisti di Bologna hanno costituito – guarda caso - un gruppo di studio “sul papa emerito e il papa impedito”. QUI  .

Voi stessi potrete verificare se l’inchiesta sia o no prodotta sulla base di prove, documenti, fatti assolutamente incontestabili. Fino ad oggi, le uniche contestazioni pervenute hanno riguardato infantili storpiature del cognome dello scrivente, insulti gratuiti e considerazioni circa il fatto che Ratzinger a 78 anni non avesse ancora ben capito il ruolo del papa.

Eppure, nihil sub sole novum: di antipapi ce ne sono stati 40 nella storia ed è inutile che Bergoglio si affanni a nominare cardinali, del tutto invalidi, ovviamente, per garantire la successione di uno come lui. Non eleggerebbero che un altro antipapa.

Possiamo dirvi che se si trattasse di un’invenzione, di un romanzo alla Dan Brown, sarebbe il più straordinario, incredibile capolavoro della narrativa di tutti i tempi, in quanto sarebbe riuscito a organizzare CENTINAIA di dati casuali, di dichiarazioni “distratte” di papa Ratzinger in un disegno perfettamente sovrapponibile alla Declaratio, al diritto canonico, alla teologia, al latino, all’attualità e alla storia ecclesiastica. Non siamo romanzieri così bravi: qui di genio ce ne è uno solo ed è il Santo Padre Benedetto XVI, uno dei più grandi pontefici della storia, ancora quasi totalmente incompreso.

Il Codice Ratzinger è uno straordinario linguaggio di verità essenziale, di ultra-trasparenza: affrontarlo è una vera “ESPERIENZA DI CONVERSIONE”, alla fede o alla logica, a seconda della propria predisposizione. Benedetto XVI è riuscito – incredibilmente - ad essere sempre perfettamente sincero, dominando la parola, perfino in una situazione che lo avrebbe giustificato a simulare.

E’ esattamente l’opposto di quella “fake news sapiente”, o “stregoneria colta” di cui ha parlato Bergoglio il 25 maggio, proprio nel giorno dell’uscita del libro. E’, piuttosto, la Logica, il Logos: la ragione che svela la verità.

Il merito storico di aver dato spazio all’inchiesta, in un clima di cupa e opprimente censura mediatica, si deve innanzitutto a Libero e a ByoBlu, poi a RomaIT, La Finanza sul web, Radio Libertà, Databaseitalia.it e Radio Radio. Ma ogni giorno di più spuntano nuove testate e blog che si interessano della questione e il dibattito è finalmente approdato negli Usa. Impensabile, fino all’anno scorso.

Il libro-inchiesta è così organizzato: una parte di contesto in cui si documentano i nemici interni ed esterni alla Chiesa di papa Benedetto e la sua situazione di impotenza a governare. Poi viene illustrato l’aspetto canonico, in modo divulgativo, anche se con delle note approfondite per “specialisti”, con tutti gli scenari per il dopo-Benedetto XVI o il dopo-Bergoglio.

Una grossa sezione è dedicata al Codice di papa Ratzinger, ovvero alle decine di frasi in cui lui stesso spiega esattamente come si sia ritirato in sede impedita. La quantità degli esempi costituisce una vera “enciclopedia di evidenze” come l’ha definita ieri, efficacemente, Fra Alexis Bugnolo QUI 

Si viene a creare, così, una tenaglia logica implacabile: chi si illude di poter confondere le carte sull’aspetto canonico, deve fare i conti con quello che spiega lo stesso Benedetto XVI in Codice Ratzinger; chi ritiene che tali messaggi siano solo casuali, frutto di distrazione o di “scarsa preparazione culturale” (!) del papa-teologo, deve confrontarli con l’assoluta, costante aderenza all’aspetto canonico descritto. Non se ne esce.

C’è poi una sezione dedicata alla “resistenza” cattolica, praticamente sconosciuta al grande pubblico, con i vescovi Lenga, Gracida, Viganò, don Minutella, don Bernasconi e tanti altri ecclesiastici che hanno detto la verità pagando un caro prezzo; poi diversi capitoli che affrontano il “tabù” della Magna Quaestio: come questa realtà venga rifiutata, osteggiata, manipolata e nascosta dai media mainstream, dal clero e dagli intellettuali laici e cattolici, persino – incredibilmente – da quelli tradizional-conservatori.

Una parte significativa del libro spiega come Bergoglio, oltre a non essere papa, non sia nemmeno cattolico, ma anzi, del tutto anticattolico, come emerge dal tentativo di rovesciamento dottrinale posto in essere secondo una tecnica sottile, “overtoniana”, e un potere mediatico che si giova della manipolazione emotiva delle masse.

“Codice Ratzinger” non è un libro su Francesco, ma il focus sull’antipapa e sulla sua particolarissima spiritualità spiega ancora una volta come e perché Benedetto XVI abbia per forza dovuto ricorrere al piano di emergenza - preparato da 30 anni - per salvare la vera Chiesa.  Inoltre, tale fatto avvalora – che si sia credenti o meno - il dogma dell’infallibilità papale: Francesco può permettersi di sconvolgere la fede cattolica e di compiere continue gaffe perché non è il papa, non ha il munus, l’investitura divina che resta al Santo Padre Benedetto XVI.

Il libro, scritto sia per laici che per credenti, svela la più grande impostura degli ultimi secoli: pertanto, continuerà a essere ignorato dal mainstream, statene certi. La tecnica base è fingere di ignorare la questione perché sarebbe estremamente rischioso aprire il dibattito.

Poco male: la verità si impone da sola e sta già dilagando nel mondo. Ne vedremo delle belle.

Un sentito grazie a tutti i lettori che hanno contribuito con il loro incoraggiamento, i suggerimenti utilissimi inviati all’email dell’inchiesta codiceratzinger@libero.it e per le traduzioni in lingua straniera degli articoli fin qui realizzati.

Avete dato vita alla prima “inchiesta partecipata” della storia, in difesa del vero papa e della vera Chiesa.

Il problema di avere due Papi: il libro di Massimo Franco. ALDO CAZZULLO su Il Corriere della Sera il 19 Aprile 2022.  

Esce il 21 aprile per Solferino il saggio «Il Monastero», in cui l’editorialista del «Corriere della Sera» indaga il rapporto tra Bergoglio e Ratzinger: li divide il nodo dell’Europa.

All’inizio del libro ci si sente come si è sentito l’autore, quando entrò nel monastero per un’intervista ripresa dai media di tutto il mondo: eccoci «di fronte al sorriso disarmante, enigmatico di Benedetto, immobile su una poltrona, vestito di bianco come se fosse ancora Papa regnante e non l’“ex” più famoso del mondo… i polsi magrissimi che spuntano dai polsini della camicia con i gemelli, l’orologio a sinistra e a destra un termometro da polso per misurare costantemente lo stato del suo cuore, i sandali marroni di cuoio, l’immagine di un uomo di vetro che potrebbe rompersi alla prima folata di ponentino: è questo a rendere il Monastero Mater Ecclesiae il posto più strano e interessante del Vaticano. Eppure quella fragilità resiste da nove anni…».

Esce giovedì 21 aprile in libreria e in edicola con il «Corriere della Sera» il saggio di Massimo Franco «Il Monastero. Benedetto XVI, nove anni di papato-ombra» (Solferino, pagine 288, euro 18, in edicola euro 15,90 più il prezzo del quotidiano) 

Massimo Franco da sempre studia il potere. Il suo reportage-inchiesta su Bettino Craxi (Hammamet) e la sua biografia di Giulio Andreotti sono long-seller che hanno esplorato la crisi della Prima Repubblica. Poi, di fronte all’evidente declino anche intellettuale e culturale della politica italiana, Franco ha spostato il centro della sua analisi sul Vaticano, cui ha dedicato alcuni saggi di successo, proiettando la Santa Sede sulla dimensione che le è propria del grande gioco geopolitico del mondo globale. Solferino ha pubblicato due anni fa L’enigma Bergoglio, e ora stampa un libro dedicato all’altro lato della medaglia: Il Monastero. Benedetto XVI, nove anni di papato-ombra.

Nato a Roma nel 1954, Massimo Franco è editorialista del «Corriere della Sera». Ha lavorato per «Avvenire», «Il Giorno», «Panorama» ed è membro dell’Institute for Strategic Studies di Londra Tra i suoi libri: «C’era una volta Andreotti» (Solferino, 2021); «L’enigma Bergoglio» (Solferino, 2020); «L’assedio» (Mondadori, 2016); «Imperi paralleli» (Mondadori, 2005; il Saggiatore, 2015) 

È un viaggio, a volte anche fisico, all’interno delle mura vaticane. Dove l’appartamento apostolico, per secoli la residenza del Papa, è vuoto. Ma dove di Papi ce ne sono due. Il primo, quello regnante, in un residence chiamato Casa Santa Marta, stanza 201. L’altro, quello emerito, in un convento di clausura, abitato soprattutto da donne. Una situazione senza precedenti nella storia, non regolata da alcuna norma, e per questo foriera di incomprensioni, di rivalità, di scontri sotterranei non tanto tra Ratzinger e Bergoglio quanto tra i rispettivi entourage, e tra due schieramenti che si combattono — sino ai limiti dello scisma — per stabilire in quale direzione debba andare la Chiesa, in un tornante della storia della cristianità e dell’umanità.

Tutto comincia con la rinuncia di Benedetto. Che sente le forze venir meno, che avverte la fine vicina. «Nessuno avrebbe detto — scrive Massimo Franco — che il “papato parallelo”, quello del Monastero, avrebbe accompagnato per tutto il tempo il pontificato argentino di Casa Santa Marta; che lo avrebbe affiancato, aiutato e poi, senza volerlo e senza cercarlo, sfidato per volontà più altrui che propria».

All’inizio sembrava filare tutto senza intoppi. Francesco va a Castel Gandolfo a trovare Benedetto, che gli affida lo scatolone con tutte le carte dell’inchiesta vaticana sugli scandali, quella stagione terribile culminata nel giorno, il 24 maggio 2012 — «coincidenza diabolica» per padre Georg Gaenswein, vero coprotagonista di questo libro — della cacciata di Ettore Gotti Tedeschi dallo Ior e dell’arresto di Paolo Gabriele, il maggiordomo del Papa. Francesco contraccambia il gesto di fiducia sottoponendo a Benedetto, prima della pubblicazione, il testo della sua prima intervista da Papa, quasi un programma del pontificato, concessa a padre Antonio Spadaro; e ricevendo da Ratzinger quattro pagine fitte di appunti (i due Papi hanno entrambi una grafia minuta, quella di Bergoglio ancora di più).

Ma poi il delicato equilibrio si rompe. Franco ricostruisce le varie tappe del rapporto tra i due Papi. I pasticci editoriali incrociati: la censura alle velate critiche di Ratzinger, chiamato a recensire «libretti» di teologia firmati da Bergoglio insieme con altri prelati tra cui due antichi critici e nemici giurati di Benedetto; l’uscita di un libro impropriamente cofirmato dal cardinale Sarah e da Ratzinger, che difende il celibato sacerdotale proprio alla vigilia del sinodo che doveva aprire ai viri probati (consentendo non ai preti di sposarsi, ma agli sposati di diventare preti).

L’inchiesta è ricca di dettagli, retroscena inediti, episodi gustosi, che possono essere apprezzati anche da chi a differenza dell’autore non è addentro alle cose vaticane; compresi i rapporti con Trump e Biden, il ruolo di Ruini e Bertone, financo i due presunti «complotti di morte», il primo contro Benedetto, il secondo contro Bergoglio. Ma al centro dell’analisi di Massimo Franco c’è un’intuizione. La frattura — innegabile — tra i due papi non è tanto dettata dalle evidenti differenze di stile. Non è soltanto una questione tra conservatori e progressisti. Non si tratta di stabilire da quale corrente di pensiero possa venire il rischio dello scisma, se dai reazionari infastiditi dalle innovazioni di Francesco o se dai vescovi tedeschi insoddisfatti per le sue esitazioni. La vera distanza è sull’idea dell’Europa. Terreno di battaglia, terra da rievangelizzare, teatro dello scontro decisivo con il relativismo, secondo Ratzinger; continente esausto per l’americano Bergoglio, eletto da un conclave apertamente anti-italiano, e che da nove anni si guarda dal valorizzare la Chiesa italiana, al punto che per la prima volta nella storia non sono cardinali gli arcivescovi di Milano, Venezia, Torino, Palermo (e per un anno non è stato cardinale neppure il segretario di Stato). «Il trauma della rinuncia del 2013 non è stato smaltito né superato» conclude l’autore. «La Chiesa a volte appare perfino più divisa di quella del 2013». E il prossimo Conclave può essere «una resa dei conti dagli esiti molto incerti».

La musica classica, i dolci e cinque donne. La vita segreta di Ratzinger. Massimo Franco su Il Corriere della Sera il 23 Aprile 2022.

A fianco del Papa emerito, che si è ritirato nel monastero, le quattro Memores Domini e la storica segretaria Birgit: si occupano di tutto e, spesso, leggono per lui. Così funziona la «famiglia pontificia». 

Era il 2008 e Ratzinger era ancora Papa

Il testo che segue è un estratto del libro «Il monastero» che è stato pubblicato in anteprima sul magazine «7» del 22 aprile: è tratto dal capitolo Il Monastero delle donne

Chi capitasse al Monastero in un sabato pomeriggio qualunque, rimarrebbe stupito. Per definizione, il Vaticano è un ambiente maschile e magari anche maschilista. Le donne sono ombre senza nome e senza potere. Spesso vengono loro affidati lavori umili, denunciati una volta perfino dall’inserto femminile dell’ Osservatore Romano. In quel fine settimana, invece, si sarebbe assistito alla scena di un Papa emerito, del suo segretario, e di quattro donne, riuniti nel salotto del Monastero. Una di loro tiene un libro in mano e legge ad alta voce. E il piccolo uditorio ascolta con attenzione ogni sillaba.

La signora, gonna blu e camicetta bianca sotto il pullover blu, capelli corti sale e pepe, era una delle Memores Domini di Comunione e Liberazione che vivono nel Monastero col papa emerito. Ogni tanto, tutti insieme commentavano alcuni passaggi del libro. Poi tornavano a immergersi in quel rito del sabato, diventato da anni un’abitudine. A Benedetto piaceva leggere, da sempre. Ma ultimamente si affaticava dopo poche pagine. E affidare a una delle donne del Monastero il compito di lettrici di qualche saggio di attualità, di qualche biografia interessante, era un modo per passare il tempo e uscire dall’atmosfera rarefatta e silenziosa di Mater Ecclesiae. Quando nel 2021 aveva ricevuto in dono alcune vignette di Emilio Giannelli, le aveva mostrate alle sue donne e ne avevano riso insieme.

Ma l’aspetto sorprendente non era quella seduta di lettura collettiva. Stupisce di più la rivelazione che lassù abitano anche alcune donne: quattro, per l’esattezza. Sono Memores Domini, appunto, dizione naturalmente in latino per dire «memori del Signore», un corpo scelto di «angeli custodi»: laiche consacrate, non suore, appartenenti a Comunione e Liberazione. Vestono abiti «civili», e seguono tre «consigli» impegnativi come castità, ubbidienza e povertà. L’obiettivo della loro vita è la «memoria tendenzialmente continua del Cristo», e l’apostolato nel mondo del lavoro. Dentro CL i Memores sono conosciuti come il «Gruppo Adulto», formatosi nel 1964 e riconosciuto dal Vaticano nel 1988. Don Giussani non l’aveva creato ma solo assecondato, quando alcuni ex studenti ciellini gli avevano fatto sapere di volere condurre un’esistenza diversa... con un sacerdote che li seguiva e viveva con loro un’esistenza impregnata di spiritualità monastica.

Le quattro donne si sono affidate a un «sacerdote» particolare: il papa emerito. Ma non sono le sole a frequentare il Monastero. Ogni giorno spunta di prima mattina Birgit Wansing, la segretaria storica di Joseph Ratzinger, chiamata a decifrare la calligrafia minuta con la quale ha sempre scritto a matita i suoi testi teologici; e a «tradurli» sul computer in tedesco, prima di renderli pubblici dopo un ulteriore controllo del papa emerito. E spesso arriva anche suor Christine Felder, un’austriaca amica della famiglia Ratzinger da decenni. Una donna vicina prima alla sorella dell’allora cardinale, Maria, che aveva vissuto con lui nell’appartamento in piazza della Città Leonina, e poi del fratello Georg, fino a che aveva abitato al Monastero.

Insomma, di colpo si scopre che la componente femminile è sempre stata maggioranza, nel microcosmo dell’eremo in cima ai Giardini vaticani. Non esiste solo il mistero di Benedetto ma anche quello, protetto da un riserbo perfino più impenetrabile, di questa colonia di donne che fanno funzionare il Monastero nella vita quotidiana. Esistevano anche prima, in realtà. Lavoravano con e per Benedetto da quando era stato eletto papa, e le due «pendolari» anche da prima: non solo collaboratrici ma confidenti fedeli e discrete. Una di loro, Manuela Camagni, era morta nel 2010, investita da un’automobile a Roma. E al funerale nella chiesa di Santo Stefano degli Abissini, dentro il Vaticano, aveva partecipato l’intera nomenklatura ecclesiastica che contava... Benedetto XVI, che allora era ancora papa, le dedicò un’omelia piena di affetto e di gratitudine nella Cappella Paolina del Palazzo apostolico. E con lui concelebrarono una sfilza di esponenti della gerarchia vaticana....

Non si trattava di un funerale qualunque: sembrava l’omaggio a un cardinale, a una «principessa della Chiesa», benché quella definizione suonasse come una sorta di potenziale eresia. Disse Benedetto XVI: «Negli ultimi giorni della sua vita, la nostra cara Manuela parlava del fatto che a fine novembre sarebbe appartenuta da trent’anni alla comunità dei Memores Domini. E lo disse con grande gioia, preparandosi - così era l’impressione - a una festa interiore per questo cammino trentennale verso il Signore, nella comunione degli amici del Signore. La festa, però, era altra da quella prevista: proprio il 29 novembre l’abbiamo portata al cimitero.... Manuela era una “vergine saggia, prudente”, portava l’olio nella sua lampada, l’olio della fede, una fede vissuta..... Io, personalmente, devo ringraziare per questa sua disponibilità a mettere le sue forze al lavoro nella mia casa...». D’altronde, quello schieramento di alti prelati era l’omaggio riservato a una delle esponenti più apprezzate della «famiglia pontificia». Termine ambiguo, perché non esiste nessun rapporto di parentela. Ma calzante, per indicare una consuetudine e una conoscenza reciproche che si ritrovano soltanto nell’ambito familiare.

Non a caso, dopo la rinuncia e la scelta del Monastero come nuova residenza, Ratzinger fece in modo che si trasferissero lì anche le sue donne. «Il nucleo fondamentale della “famiglia pontificia”» aveva annunciato padre Federico Lombardi, il gesuita che allora dirigeva la sala stampa vaticana «continuerà ad accompagnare Benedetto XVI e a stargli vicino»..... Ma rimane un’umanità destinata a stare lontana dai riflettori.... Perfino la loro identità è sempre stata un mistero conosciuto soltanto nella cerchia ristretta dei dignitari vaticani. Sebbene alcune di loro lavorino accanto a Benedetto da un quarto di secolo, le donne che lo hanno accompagnato... anche negli ultimi nove anni al Monastero, sono rimaste figure senza volto.... Sono rarissime le foto che le ritraggono, e rari gli articoli che parlano di loro. Eppure, quando nel febbraio del 2022 Benedetto ha risposto con una lunga lettera alle accuse arrivategli dalla Germania per il periodo in cui era stato arcivescovo di Monaco, ha ringraziato «la piccola famiglia nel Monastero “Mater Ecclesiae” la cui comunione di vita in ore liete e difficili mi dà quella solidità interiore che mi sostiene...».

Non sorprende che nel 2011 Birgit Wansing fosse stata scelta come una delle dieci persone più importanti dal mensile statunitense Inside the Vatican, diretto dal tradizionalista Robert Moynihan. Il ritratto che ne veniva fatto era significativo. «Benché pochi abbiano sentito parlare di lei» scriveva il periodico, «quei pochi ritengono che molti dei libri scritti da Joseph Ratzinger, prima e dopo che diventasse papa, non sarebbero stati scritti senza il suo aiuto. Lei è una delle collaboratrici e consigliere maggiormente fidate e vicine al papa... Per questo la onoriamo come una delle nostre “Persone dell’anno per il 2011”». Birgit Wansing era anche lei una «donna consacrata», appartenente alla comunità di Schoenstatt, creata nel 1914 in un piccolo santuario mariano nella Valle del Reno, in Germania.... Inside the Vatican informava che «alcuni anni fa scrisse un saggio per l’ Osservatore Romano che condannava la crudeltà sugli animali come incompatibile con l’essere cristiani»....

Era nell’«inner circle», nella cerchia più intima del Monastero, anche se non viveva lì come le quattro Memores Carmela, Loredana, Rossella e Cristina.... Ma quando si trattò di salutare per l’ultima volta Manuela Camagni, 56 anni, nella chiesa di Santo Stefano degli Abissini, Birgit era in prima fila. Il comandamento non scritto di quella singolare «famiglia» è l’assoluta riservatezza. Il fatto stesso che delle quattro Memores si conosca di solito solo il nome, non il cognome, non è casuale. Uno dei pochissimi casi in cui è successo è stato in occasione dei 95 anni di Benedetto, il 16 aprile. Monsignor Gä nswein e le Memores hanno chiesto ad alcune persone di contribuire a una «piccola sorpresa da donargli». E l’invito era firmato anche da Carmela Galiandro, Loredana Patrono, Rossella Teragnoli, Cristina Cernetti (Memores), si precisava tra parentesi. Magari si viene a sapere da qualche fonte quali siano le rispettive competenze.

Un vecchio articolo di Andrea Tornielli, risalente ai tempi in cui Benedetto XVI era ancora papa, raccontava che «Loredana» era addetta alla cucina, «si occupava dei rapporti col supermercato del Vaticano e faceva venire la verdura dagli orti papali di Castel Gandolfo». «Cristina» aveva il compito della preparazione della cappella del Monastero per le messe del mattino. E «Carmela aiuta in cucina, ed è specializzata nei dolci graditi a Ratzinger fin da quando era cardinale: strudel, tiramisù alla frutta, crostate. Cura anche la stanza di Benedetto XVI e il suo guardaroba». Ma sono frammenti di esistenze ritirate. Immagini: quasi zero, e sempre «rubate». Partecipazione a eventi pubblici: idem. L’unica occasione di incrociarle è quando si va a fare visita al Monastero... Ma sono contatti di pochi secondi, garbati e distanti. Il tempo di prendere il soprabito del visitatore e appenderlo nel mobile di mogano chiaro, lucido, nel salottino al pianterreno, a sinistra dell’ingresso.

D’altronde, le Memores sono il prodotto di un’associazione laicale nata dentro Cl, con un impegno a vivere in modo quasi monastico nelle «case» sparse in trentadue nazioni.... In realtà, una notorietà, ma negativa, all’associazione è arrivata anche da Roberto Formigoni, ex senatore ed ex presidente berlusconiano della Regione Lombardia. Un Memor anche lui, che però nel febbraio del 2019, alla fine di un lungo processo, è stato condannato per corruzione in via definitiva dalla Corte di Cassazione. Il potere è un brutto tentatore. Ma nel Monastero la mondanità è un’eco remota. Le Memores vivono in un’altra dimensione, accanto al papa emerito. Mangiano a tavola tutti insieme. Scherzano insieme, anche. Ascoltano musica classica. E pregano.

Ma per capire il carattere di Ratzinger, il suo ambiente familiare, le sue piccole manie, le civetterie da professore, bisogna leggere le poche righe dedicate a Christine Felder da Peter Seewald nella sua biografia su Benedetto. Christine, una laica consacrata, austriaca, ha conosciuto l’allora cardinale Ratzinger nel 1988, attraverso la Fondazione Cardinale Newman. Lei era membro della «Familia Spiritualis Opera», l’Opera, Das Werk in tedesco.... Il legame tra Das Werk e Ratzinger è forte: tanto che all’inizio, per qualche settimana fece parte della «famiglia» del Monastero anche un diacono fiammingo.... Ma Christine è una «veterana», grande amica della sorella di Joseph, e successivamente del fratello maggiore, Georg. Sarebbe stata lei ad assisterlo quando, ormai anziano, visse all’inizio nel Monastero accanto al fratello dopo la rinuncia. Ed è stata lei ad accompagnare il Papa emerito a Ratisbona con monsignor Gänswein, quando il fratello stava morendo....

Christine Felder ha rivelato nel libro di Seewald fino a che punto per il futuro papa fosse importante la messa. Nell’appartamento di piazza della Città Leonina dove viveva da cardinale con la «signorina Maria», la sorella, la celebrava ogni mattina alle sette. E nei giorni festivi... «I due si trovavano di fronte alla cucina nel corridoio» ha scritto Seewald «e insieme camminavano solennemente fino all’entrata della cappella privata.» Nelle confidenze della Felder: « Un giorno festivo della Chiesa va celebrato esattamente come in una cattedrale, anche se le persone che partecipano alla messa sono solo due o tre e la celebrazione avviene in un appartamento... ». Da lei si sa che l’abitudine di Benedetto di leggere e far leggere libri risale già a quegli anni. «A volte lui leggeva per lei, altre lei leggeva per lui» ha raccontato suor Christine a Seewald a proposito della sorella di Ratzinger.... E anni dopo ha confidato che Benedetto riesce ad amare le piccole cose...: come sdraiarsi sul divano e ascoltare musica classica per un’ora di fila. Ma ha l’ossessione della precisione e del controllo.... La sua paura principale era, in passato, di perdere la valigia. Per questo portava sempre con sé una piccola “valigia di sicurezza”. ...

E, ha rivelato Christine, Benedetto «una volta mi disse agitato: “Sorella Christine, ha spolverato i libri che erano qui? Questo Kafka è stato messo al contrario”...». Al Monastero... la sua presenza rappresenta una sorta di rassicurazione. Per questo, quando le hanno comunicato che da marzo del 2022 doveva trasferirsi a Vienna, il Papa emerito sarebbe rimasto un po’ turbato.... Das Werk per Ratzinger è stata una presenza costante attraverso Christine. È una famiglia spirituale che ha la casa madre sul Lago di Costanza, a Bregenz, in un altro monastero, quello di Thalbach. ... Se si sfogliano gli album con le vecchie fotografie dell’Opera, si scopre che lì ha vissuto negli ultimi anni di vita suor Pascalina Lehnert, la religiosa bavarese, onnipotente collaboratrice di Pio XII dal 1917 al 1958... Morì a Vienna, ma il suo funerale fu celebrato a Roma. E al rito non volle mancare l’allora cardinale Ratzinger. Suor Pascalina è seppellita nel Cimitero Teutonico, dietro Casa Santa Marta. ...

Donne come Christine non sono solo «tuttofare», domestiche. Molte amano la musica, suonano l’arpa o il pianoforte. E anche in questo si ritrova una sintonia con il Papa emerito. Ma soprattutto, nella consuetudine quotidiana sono diventate confidenti, consigliere.... Racconta uno dei pochissimi che le conosce a fondo: «Sono espressione di una sorta di vita di clausura aperta al mondo, pronta a chiudersi a riccio al mondo esterno, quando quest’ultimo cerca di insinuarsi nella loro esistenza schiva e riservata.» Ma quando il mondo esterno si presenta con un provvedimento papale, scansarlo anche psicologicamente diventa impossibile. Bisogna farci i conti, sebbene il trauma spesso possa rivelarsi inevitabile.

E così, una vita quotidiana regolata sempre dalle stesse abitudini, messa, preghiera, recita del rosario, nell’autunno del 2021 sono apparsi di colpo incrinati. Il commissariamento che il Papa ha deciso di applicare a tutte le organizzazioni laicali, accusate di avere leadership inamovibili e alla fine autoreferenziali..., ha toccato anche il gruppo dei Memores Domini; e gettato nello scompiglio il piccolo mondo di Mater Ecclesiae. Anche perché è stato solo il primo passo per arrivare al siluramento di Julián Carrón, gran capo di CL. D’altronde, quando il 16 settembre del 2021 Francesco aveva convocato a Roma i vertici di tutti i movimenti ecclesiali, sia Carrón sia Antonella Frongillo, che guidava i Memores Domini, avevano disertato l’incontro. E quell’assenza è stata la conferma di un contrasto destinato presto a diventare rottura...

I fedeli tedeschi rischiano di disamorarsi di Benedetto XVI. LISA DI GIUSEPPE su Il Domani il 19 aprile 2022.

Questo è un nuovo numero di La Deutsche Vita, la newsletter di Domani sulla Germania. Per iscriverti alla newsletter in arrivo ogni lunedì pomeriggio clicca qui. Buona lettura.

Questa settimana parliamo di tutti gli ambienti della politica tedesca che ha permeato l’influenza russa, arrivando a mettere in difficoltà anche una figura forte come quella di Manuela Schwesig.

Con l’occasione del suo novantacinquesimo compleanno, riprende quota anche la discussione intorno al ruolo di Benedetto XVI negli abusi da parte di uomini di chiesa in Germania. 

Il rapporto controverso tra una buona parte della classe dirigente politica tedesca e Mosca ha mietuto un'altra vittima eccellente, Manuela Schwesig. La governatrice socialdemocratica del Land del Meclemburgo Pomerania anteriore, dove avrebbe dovuto toccare il continente il gasdotto Nord Stream 2, ha creato una fondazione che aveva come unico obiettivo quello di portare a termine la realizzazione della pipeline nonostante le sanzioni americane. Anche il consorzio Nord Stream 2, del quale era parte Gazprom, era coinvolto.

La situazione sta mettendo sotto forte pressione Schwesig, vicinissima all'ex cancelliere Schröder, già ministra e astro nascente del partito. Il gruppo parlamentare della Spd ha già dichiarato il suo sostegno alla governatrice, che ora viene attaccata non solo dall'opposizione della Cdu, ma anche dagli alleati Verdi, che chiedono che venga fatta chiarezza.

LE MARCE PACIFISTE E I VERDI

Durante il fine settimana pasquale sono stati organizzati anche diversi Ostermärsche, "marce pasquali" di stampo pacifista nate durante la guerra fredda. Le manifestazioni di quest'anno in molti casi avevano un'impostazione critica nei confronti della Nato e sostenevano una linea di disarmo globale ed erano in difficoltà rispetto alla decisione di molti stati occidentali di rifornire Kiev di armi. Secondo i critici c'è anche la tendenza a minimizzare le responsabilità di Mosca nell'aggressione.

Le marce sono state criticate anche dalla politica, che in molti casi ha rimproverato i manifestanti di peccare di cinismo. Si è mostrato critico per esempio il vicecancelliere verde Robert Habeck: ma secondo la taz è in difficoltà anche il suo partito, che secondo i critici sta rinnegando le proprie radici pacifiste compiendo continue giravolte. Intanto, il governo ha deciso di rafforzare ulteriormente il pacchetto di aiuti militari diretto a Kiev, arrivando a stanziare ulteriori 2 miliardi di euro a favore dei paesi partner, che andranno soprattutto all'Ucraina.

IL SENSO DELLA PANDEMIA PER GLI APERITIVI

La Zeit propone una riflessione su come cambia l'approccio alla vita nella post pandemia e come due anni di isolamento hanno aumentato la nostra comprensione per chi cerca del tempo per sé. Contemporaneamente, l'isolamento ha aumentato l'attenzione per noi stessi, con la conseguenza che i pensieri a volte circolano in maniera troppo concentrata intorno alle nostre ansie. Insomma, passerà ancora parecchio tempo prima che organizzare serate o darsi appuntamento per un caffè torneranno a essere attività scontate.

LE CONTROVERSIE SU BENEDETTO XVI

In occasione del suo novantacinquesimo compleanno, il settimanale Spiegel dedica un lungo approfondimento a Benedetto XVI, sempre più in difficoltà per la sua gestione degli abusi nella chiesa quando era arcivescovo di Monaco.

Il papa emerito è anziano, nella descrizione del settimanale solo e in difficoltà, distante più che mai dalla linea di papa Francesco e "colpito duramente" dall'accusa di aver mentito che emerge dall'indagine tedesca sugli abusi. Secondo il suo segretario personale Georg Gänswein non può che trattarsi di un attacco all'opera del papa e alla sua linea teologica. "Entrambe non sono più attuali, entrambe vanno eliminate" dice.

LISA DI GIUSEPPE. Scrivo di politica, economia ed esteri (soprattutto Germania). Ho lavorato per Reuters, La7, Corriere della Sera e Public Policy.

Joseph Ratzinger compie 95 anni: il lungo ritiro al Mater Ecclesiae fra gli amati libri, la musica e le visite degli amici. Paolo Rodari su La Repubblica il 16 Aprile 2022.  

Il Papa emerito è nato a Marktl am Inn, in Baviera. Oggi vive nel cuore dei giardini vaticani. Anziano ma ancora perfettamente lucido coltiva i suoi hobbies.

È oggi il giorno in cui Benedetto XVI compie oggi 95 anni. Il Papa emerito, che da nove anni, dal 2013, vive in Vaticano nel monastero Mater Ecclesiae, compie gli anni il giorno del Sabato Santo. "Così accadde anche nel 1937", ricorda padre Federico Lombardi nell'introduzione al volume "Cooperatori della verità". E ancora: "Nato nella notte - a Marktl am Inn, in Baviera, diocesi di Passau, ndr - fu battezzato già al mattino dello stesso giorno con la 'nuova' acqua, appena benedetta".

Né con Bergoglio, né con Benedetto XVI: la disastrosa incomprensione di Mons. Viganò. Andrea Cionci su Libero Quotidiano il 02 novembre 2022

Andrea Cionci. Storico dell'arte, giornalista e scrittore, si occupa di storia, archeologia e religione. Cultore di opera lirica, ideatore del metodo “Mimerito” sperimentato dal Miur e promotore del progetto di risonanza internazionale “Plinio”, è stato reporter dall'Afghanistan e dall'Himalaya. Ha appena pubblicato il romanzo "Eugénie" (Bibliotheka). Ricercatore del bello, del sano e del vero – per quanto scomodi - vive una relazione complicata con l'Italia che ama alla follia sebbene, non di rado, gli spezzi il cuore

Mons. Carlo Maria Viganò è un arcivescovo che ha denunciato diversi scandali e detto molte cose coraggiose, in gran parte assolutamente vere, almeno su Bergoglio.

E’ quindi con enorme dispiacere che dobbiamo scrivere quanto segue, ma purtroppo il dovere di difendere la verità, la legalità, e con esse il vero Papa e il nostro Paese, lo impone.   

L’arcivescovo poteva essere alleato del Piccolo Resto, avrebbe potuto guidare un movimento di resistenza cattolica per salvare la Chiesa e il Vicario di Cristo, tanto che, essendo incardinato nella diocesi di Roma, avrebbe la facoltà di chiedere la convocazione di un Sinodo provinciale per fare luce sulla sede impedita. Tutto questo non è avvenuto e non avverrà più, ormai.

Quindi, procederemo ad elencare dei puri dati di fatto per evitare, almeno, che delle persone vengano portate ulteriormente fuori strada.

Nel corso degli ultimi due anni, abbiamo inviato direttamente a Mons. Viganò almeno un centinaio di articoli dell’inchiesta sulla Magna Quaestio, e facilmente gli saranno passati sotto gli occhi i titoli di altri circa 350 pezzi scritti qui su Libero, su Byoblu e su RomaIT dedicati al tema. Gli abbiamo indirizzato una rispettosissima lettera aperta nel 2021, alla quale - come d’uso comune ormai – non abbiamo ricevuto risposta. Infine, gli abbiamo inviato direttamente il libro “Codice Ratzinger” (Byoblu ed. 2022) di 340 pagine, che raccoglie il più imponente, documentato e interdisciplinare lavoro giornalistico che sia mai stato prodotto sulla Magna Quaestio. Tale inchiesta è suffragata, in varie forme, da persone come l’avv. Carlo Taormina; il magistrato antimafia Angelo Giorgianni, già Sottosegretario alla Giustizia; il filosofo Diego Fusaro  (i quali, peraltro, condividono molte altre tesi con Mons. Viganò) , Andrea Borella, uno dei 5 specialisti di diritto dinastico al mondo, editore dell’Annuario della Nobiltà italiana, da circa 30 specialisti (anche di rango universitario) QUI nel settore della linguistica, del diritto, della psicologia, della storia ecclesiastica; da giornalisti cattolici di fama come Patrick Coffin. Un’inchiesta riassunta in un saggio che è fra i dieci più letti in Italia, già secondo bestseller assoluto per Mondadori e Rizzoli e che si sta diffondendo anche nella traduzione in inglese e spagnolo.

Eppure, nessuno di questi contributi sembra rendere il dossier degno dell’attenzione di Mons. Viganò, dato che non c’è stato verso nemmeno di aprire un dialogo, un confronto, né con lui, (non ambiremmo a tanto), ma nemmeno con gli intellettuali a lui vicini che hanno rifiutato sistematicamente anche la più cordiale e amichevole offerta di confronto. Così, Mons. Viganò prosegue dritto per la sua strada nella creazione fattuale di un terzo polo: né con Bergoglio, né con Benedetto XVI.

Eppure c’era stato un momento in cui sembrava che avesse recepito qualcosa, quando scriveva il 5 aprile 22 sul blog di Aldo Maria Valli: “Occorre far luce sull’abdicazione di Benedetto XVI e sulla questione dei brogli del Conclave del 2013, che prima o poi dovranno dare luogo ad un’indagine ufficiale. Se vi dovessero essere prove di irregolarità, il conclave sarebbe nullo, nulla l’elezione di Bergoglio, così come nulle sarebbero tutte le sue nomine, gli atti di governo e di magistero. Un reset che ci riporterebbe PROVVIDENZIALMENTE allo status quo ante, con un Collegio cardinalizio composto SOLO DAI CARDINALI NOMINATI FINO A BENEDETTO XVI, estromettendone tutti quelli creati dal 2013, notoriamente ultraprogressisti”.

Fuoco, fuochino. Già allora l’arcivescovo non ci aveva minimamente citato, facendo supporre che l’idea del reset fosse stata sua anche se proprio su questa pagina avevamo già scritto QUI l’8 marzo 2021, per la prima volta, insieme a Frà Bugnolo, del reset cattolico preparato da Benedetto XVI. Ma non importa. Ciò che veramente contava è che Mons. Viganò sembrava essersi aperto all’ovvia realtà dimostrata oltre ogni ridondanza.

E invece, il 5 ottobre scorso, il crollo. Ecco cosa ha dichiarato al giornalista Usa Michael Matt:  “Andrebbe anche detto che la Rinunzia di Benedetto XVI e il monstrum canonico da lui partorito del “Papato emerito” hanno inferto un colpo micidiale alla Chiesa, rendendo possibile il compimento del piano contro di essa che prevedeva L’ELEZIONE DI UN PAPA che assecondasse l’agenda dell’élite”.

Di nuovo il black out tradizional-sedevacantista. Punto e a capo. Capite perché poi Don Minutella annovera Mons. Viganò nella categoria dei “confundisti”, cioè di coloro che seminano confusione.  

Purtroppo oggi dobbiamo parlare chiaro – anche se con estremo dispiacere - perché le recenti uscite dell’arcivescovo, per quanto molto corrette su Bergoglio, stanno danneggiando enormemente il vero papa, dividendo a metà il suo già esiguo esercito, impedendo la comprensione della “urlante” sede impedita.

Il presunto “monstrum canonico” del papa emerito di cui parla Mons. Viganò, NON È AFFATTO la causa che ha consentito a un vero papa (Francesco) di essere eletto per assecondare l’agenda dell’elite, come dice lui. E’ ESATTAMENTE IL CONTRARIO: il Papato emerito (minuscolo, a differenza del Vescovo Emerito) è una realtà fattuale, puramente descrittiva e di fatto NON CANONICA, (il papato emerito non esiste giuridicamente) con cui il papa Benedetto impedito descrive se stesso come “colui che merita, che ha diritto di essere papa” per distinguersi all’interno di quella “sorta di ministero allargato” con un papa legittimo contemplativo e uno illegittimo attivo QUI   . E la sede papale totalmente impedita, prevista chiaramente dal canone 335 come alternativa alla sede vacante, da cui discende la descrizione di papa emerito, è stata esattamente il sistema con cui Benedetto ha evitato che l’elezione di Bergoglio fosse valida, in quanto un conclave si può convocare solo a papa morto o abdicatario e non a papa impedito. Così Bergoglio è solo vescovo e antipapa, e tutto quanto da lui fatto sarà annullato.

Il sistema predisposto da Ratzinger-Wojtyla nel 1983 è molto semplice: se si rinuncia giuridicamente al munus petrino c’è l’abdicazione, se si rinuncia – di fatto – al ministerium, c’è la sede impedita, ma entrambi gli enti sono tradotti con la parola ministero, così la Mafia di San Gallo c’è cascata con tutti e due i piedi.  

Ora, anche a fronte del fatto che il Vaticano non ha mai smentito, che i canonisti di Bologna, subito dopo questa scoperta, hanno dato vita a un gruppo di studio “sul papa emerito e il papa impedito”, considerando che Benedetto, tramite Mons. Gaenswein ha recentemente detto: “La risposta è nel libro di Geremia”, dove c’è scritto a caratteri di scatola “IO SONO IMPEDITO”, converrete che quanto affermiamo, visto dal di fuori, potrebbe anche avere perfino una certa ratio, una sua coerenza. Che ne dite? All’1% si potrebbe anche immaginare che lo scrivente e gli altri “impeditisti” potrebbero averla imbroccata? E, puta caso, questi avessero ragione, si configurerebbe proprio quella provvidenziale situazione di cui scriveva Mons. Viganò da Valli.

Ebbene: forse Mons. Viganò ha preso appena in esame la questione? NO.

Ora: considerato che tale inchiesta non è mai stata smentita da papa Benedetto ed è ormai diffusa in tutto il mondo, sostenuta da personaggi di indubbia autorevolezza intellettuale e specialistica, il fatto che Mons. Viganò ignori completamente il caso si configura purtroppo – duole dirlo - come

DUBBIO OSTINATO E OMISSIONE DI SOCCORSO DEL ROMANO PONTEFICE.

Il fatto che i suoi sodali (Valli, Viglione etc.) non accettino nemmeno di discutere della faccenda, è una responsabilità tremenda che rimarrà a loro carico nei secoli a venire. Certo non manca loro la cultura e l’intelligenza per comprendere l’inchiesta, quindi si tratta solo di CATTIVA VOLONTA’.

Infatti, non è che hanno analizzato la questione e opposto un parere contrario, dicendo: “Questa tesi non sta in piedi per questo e quest’altro motivo”. Almeno ci saremmo tolti un pensiero. No, semplicemente non si pongono il problema. Vanno avanti con fumisterie filosofiche sul Concilio per tentare di forzare a tutti i costi la loro visione assurdamente masochistica e suicida di un Ratzinger “modernista” che ha voluto creare un impossibile papato emerito canonico e quindi è colpevole di aver regalato al mondo un legittimo papa come Bergoglio, distruttore della Chiesa. Buonanotte.

Forse proprio per mettere alla prova quest’ala tradizional-sedevacantista, papa Benedetto ha da poco inviato una lettera a un seminario americano in cui parlava del “potere positivo del Concilio”, che “è stato necessario”. Ovviamente, tale pronunciamento va interpretato in modo organico, come abbiamo illustrato in questo articolo QUI dove si comprende chiaramente che il “potere positivo del Concilio” - chiaramente opposto a uno negativo (l’italiano non è un’opinione) - è stato UTILE E NECESSARIO PER FAR EMERGERE L’APOSTASIA. Ovvero, per cancellare quella falsa chiesa del diavolo di cui parlava Ticonio QUI: una purificazione finale, cosa che avverrà con l’ufficializzazione della sede impedita di Benedetto.  Ma Mons. Viganò e gli altri tradizional-sedevacantisti hanno preso tutto alla lettera, nella completa indifferenza verso quanto avevamo già esposto e non è parso loro vero di calare nuovamente la scure della solita fissazione sul “Ratzinger modernista”.

In un articolo di non facile lettura QUI , Mons. Viganò cita L’AGOSTINISMO MEDIEVALE DI CUI SCRIVEVA RATZINGER NEL 1954 (roba di “appena” 68 anni fa, quando aveva 25 anni!).

Si eccepisce sulla pagliuzza del presunto hegelismo e delle impostazioni pleistocenico-progressiste del teologo giovanottino bavarese, senza vedere la trave enorme della sede impedita di oggi, con le centinaia di conferme al neon in Codice Ratzinger urlate dal papa stesso. Ci rendiamo conto?

Conseguenze

Così, sul piano teologico, Mons. Viganò, rifiutandosi anche solo di discutere della sede impedita, che fa tornare tutti i conti sotto ogni aspetto, da quello canonico, a quello teologico, storico, profetico e cronachistico, di fatto sta producendo un ENORME SCANDALO, in quanto i fedeli sono annichiliti, devastati e oppressi dall’idea che UN VERO PAPA, assistito dallo Spirito Santo, possa essere “MALVAGIO” e capo della “deep Church”, sponsor del Nuovo Ordine Mondiale (come Mons. Viganò sostiene) e promanare le eresie ben note. (Tutto ciò gli è permesso proprio dal NON essere il papa, non avendo il MUNUS). La promessa di Cristo “infera non praevalebunt”, nell’ottica viganiana, è andata a pallino. Per giunta, questo Spirito Santo davvero distratto, oltre ad assistere, oggi, un papa del genere e degenere, avrebbe fatto danni anche ieri, al turno precedente, facendo nominare un papa così modernista e stordito come Benedetto XVI che avrebbe preparato il terreno alla distruzione bergogliana. Capite il discredito che si sta gettando sulla Terza Persona trinitaria?

A livello di immagine, Mons. Viganò sta facendo, poi un enorme favore a Bergoglio, il cui unico punto debole è proprio la sua illegittimità. Prova ne sia che solo chi mette in dubbio che lui sia il papa viene scomunicato a sangue (Don Minutella, Don Bernasconi etc.) mentre Mons Viganò, nonostante le critiche ferocissime a Bergoglio, di altro genere, non è stato minimamente toccato dalla scomunica, o altre sanzioni. Infatti, grazie a lui, Bergoglio può dire al mondo: “Vedete? Anche i miei più fieri nemici, come Viganò, non mettono in discussione la mia legittimità”.

Sul piano strategico, Mons. Viganò sta producendo un altro danno enorme dividendo le già esigue forze lealiste al papa creando un pericolosissimo terzo polo, (né con Bergoglio, né con Benedetto) tanto che il Patriarcato Bizantino del patriarca Elia (scomunicato da Benedetto XVI) lo ha addirittura eletto papa (a sua insaputa). Ci mancava solo un terzo papa, come nello Scisma d’Occidente.

L’aspetto più lunare della linea dell’arcivescovo è quello metodologico: Mons. Viganò fonda la propria tetragona e ostinata incomprensione su complesse, rarefatte e discutibili considerazioni puramente filosofiche su episodi di mezzo secolo fa, invece di occuparsi dell’hic et nunc, della realtà canonica, delle clamorose, patenti dichiarazioni di Benedetto XVI che sono alla portata anche delle anime più semplici. Negli interventi di Mons. Viganò, infatti, non troverete la minima obiezione canonica alla realtà descritta della sede impedita, né contestazioni alla valanga di “codici Ratzinger” messaggi logici o anfibologici che fanno capire perfino ai sassi la realtà dell’impedimento. (E infatti stanno “gridando le pietre”).

Qualcuno potrebbe sostenere che Mons. Viganò non dice che Bergoglio non è papa per non farsi scomunicare e rimanere così ancora all’interno della Chiesa: sarebbe una strategia di piccolo cabotaggio, dato che se Bergoglio è antipapa, una sua scomunica è invalida e costituisce una medaglia al valore. Ma tale prospettiva, circa una strategia autoprotettiva e cripto-filoratzingeriana, è completamente smentita dal fatto che oltre a parlar male di quello che secondo lui è il vero papa Francesco, Mons. Viganò GETTA DISCREDITO ANCHE SU BENEDETTO XVI, il quale, povero (Vicario di) Cristo, vittima di ammutinamento, è stato costretto a rompere il vetro e tirare la leva rossa della sede impedita. Così è riuscito a salvare la Chiesa, per giunta riuscendo a dire sempre la verità, ma – se non bastasse la sua sofferenza - deve subire anche il fuoco amico.

Attenzione però: Benedetto è riuscito sicuramente a salvare la chiesa cattolica spirituale, dato che conserva il munus, ma la sorte della Chiesa fisica, canonica, visibile, è ancora tutta da decidere. Se si andrà a un conclave con gli 83 pseudo-cardinali elettori nominati da Bergoglio ne sortirà un altro antipapa. La vera chiesa dovrà rinascere “uscendo dalla Sinagoga”, ripartendo dalle catacombe e dagli stracci, perdendo tutto: Vaticano, tesori, beni mobili e immobili, etc. E questo lo si dovrà anche a Mons. Viganò, che tenterà, probabilmente, di trovare qualche suicidiario e impossibile accordo politico in un prossimo falso conclave nella più assoluta indifferenza verso l’aspetto sacro dell’investitura del pontefice.  Infatti, quand’anche riuscisse nella missione impossibile di far eleggere un tradizionalista, questi sarebbe comunque un antipapa, in quanto eletto da cardinali invalidi e non avrebbe il munus petrino che è rimasto a Benedetto.

Come leggete, quella di Mons. Viganò è una linea talmente disastrosa che, purtroppo, fa sospettare a molti come l’arcivescovo stia consapevolmente e volontariamente facendo il gioco di Bergoglio, cosa che CI RIFIUTIAMO DI CREDERE almeno nelle intenzioni, anche se, negli effetti pratici, risulta esattamente così.

E ora state sicuri che, se qualche risposta ci sarà a questo articolo, verterà o sull’insulto personale, o andrà a ripescare opuscoli ratzingeriani del 1950. Ormai ci abbiamo fatto pace.

Ma attenzione, lo ripetiamo per l’ennesima volta: non fatevi cogliere dalla parte sbagliata quando tutto sarà svelato definitivamente.

Lettera a Monsignor Viganò, "Il Codice Ratzinger" smaschera Bergoglio: Benedetto XVI impedito, papa Francesco illegittimo. Andrea Cioci su Libero Quotidiano il 13 aprile 2022

Andrea Cionci. Storico dell'arte, giornalista e scrittore, si occupa di storia, archeologia e religione. Cultore di opera lirica, ideatore del metodo “Mimerito” sperimentato dal Miur e promotore del progetto di risonanza internazionale “Plinio”, è stato reporter dall'Afghanistan e dall'Himalaya. Ha appena pubblicato il romanzo "Eugénie" (Bibliotheka). Ricercatore del bello, del sano e del vero – per quanto scomodi - vive una relazione complicata con l'Italia che ama alla follia sebbene, non di rado, gli spezzi il cuore.

Eccellenza Reverendissima,

nella Sua intervista del 5 aprile rilasciata allo stimato vaticanista (ex Tg1) Aldo Maria Valli, Lei ha dichiarato: “Occorre far luce sull’abdicazione di Benedetto XVI e sulla questione dei brogli del Conclave del 2013, che prima o poi dovranno dare luogo ad un’indagine ufficiale. Se vi dovessero essere prove di irregolarità, il conclave sarebbe nullo, nulla l’elezione di Bergoglio, così come nulle sarebbero tutte le sue nomine, gli atti di governo e di magistero. Un reset che ci riporterebbe PROVVIDENZIALMENTE allo status quo ante, con un Collegio cardinalizio composto SOLO DAI CARDINALI NOMINATI FINO A BENEDETTO XVI, estromettendone tutti quelli creati dal 2013, notoriamente ultraprogressisti”.

Siamo davvero lieti del  fatto che Lei abbia voluto aprire uno spiraglio su una questione che, dal 2020, abbiamo indagato e divulgato sulla presente pagina, poi su Byoblu, ultimamente, su RomaIT, La Finanza sul web e Radio Libertà per un totale di circa 650 tra articoli e interventi, comprese le traduzioni in lingua straniera. Quanto Lei afferma è indiscutibile verità: se l’abdicazione è nulla, è tutto da rifare, con relativo annullamento “escatologico” di Bergoglio e di tutte le sue azioni. Un vero e proprio “reset cattolico”, felice espressione che fra Alexis Bugnolo coniò nel 2021 QUI 

Ora, il motto del Suo stemma ecclesiastico, Eccellenza, è “Scio cui credidi”, “so in chi ho creduto” e questa bella frase riferita a Gesù ci offre anche un ammaestramento “laico” circa l’atteggiamento di rigorosa e razionale cautela che sempre bisogna mantenere nel cercare la verità. Per questo motivo, dato che Lei è divenuto punto di riferimento per una larga parte di cattolici che non vogliono abiurare alla propria fede, considerando il pericolo rappresentato dall’antipapato novo-mondialista e anticattolico che Lei ha largamente messo a fuoco, dati i rischi per la nostra libertà e sovranità di paese democratico, ci permettiamo di sottoporLe una sintesi molto stringata di quanto abbiamo ricostruito in due anni di lavoro prodotto insieme a un team di stimati canonisti, teologi, linguisti, latinisti, psicologi, giuristi etc. di cui molti di rango universitario. Un lavoro cui hanno contribuito anche tanti lettori, inviando a codiceratzinger@libero.it documenti e testimonianze di assoluto valore.

L’aspetto più importante di tale inchiesta riguarda una sorta di “tenaglia logica” fra due argomentazioni concatenate: l’aspetto canonico della non-rinuncia di Benedetto XVI è confermato da papa Ratzinger stesso in un “codice” comunicativo sottilmente logico, appena velato e pienamente giustificato dalla situazione di sede impedita.

Lo abbiamo chiamato “Codice Ratzinger” per comodità e lo hanno  “certificato”  diversi stimati studiosi.

Così, chi è confuso dai legulei canonici che negano – maldestramente  - il fatto che la Declaratio non sia una rinuncia, ma un annuncio di autoesilio in sede impedita, deve confrontarsi con quanto esprime l’autore, il papa stesso, in codice Ratzinger. Chi ritiene che tale codice sia solo un insieme casuale di fraintendimenti, di visioni “complottiste” (per usare un termine abusato fino alla nausea) dovrà confrontarsi col fatto che tali messaggi rimandano TUTTI, implacabilmente, alla situazione di sede impedita.

Per non abusare del Suo tempo, cercheremo di sintetizzare al massimo rimandando agli approfondimenti presso i link correlati.

Per quanto riguarda la Declaratio, “casualmente” fu proprio il card. Ratzinger, nel 1983, a inserire la dicotomia munus/ministerium nel Codice di diritto canonico, un sistema antiusurpazione mutuato dal diritto principesco tedesco.

Se si rinuncia in modo simultaneo e giuridicamente ratificato al munus petrino c’è l’abdicazione, mentre invece, guarda caso, Benedetto XVI ha fatto l’opposto: ha rinunciato in modo fattuale, differito e non ratificato al ministerium, cioè ha rinunciato al solo potere pratico senza firmare niente, proprio come avviene per una sede impedita.

Ancora, per uno strano caso, Benedetto usa i termini “sede di Roma” e “sede di San Pietro” che non esistono in diritto canonico, dato che l’unica espressione ad avere personalità giuridica è la “Sede apostolica”: solo questa può essere lasciata vacante. Ecco perché il verbo vacet si deve tradurre con “in modo che la sede resti VUOTA”. “Casualmente” Benedetto lascia infatti vuoto il Vaticano per le 20.00 prendendo l’elicottero alle 17.00 per Castel Gandolfo. Da lì saluta il popolo dicendo che non sarebbe stato più “pontefice sommo”; un’altra “stranezza” dato che il titolo è Sommo Pontefice e, in italiano, tale inversione fra aggettivo e sostantivo offre tutt’altro significato: non sarò più il pontefice al sommo grado, magari ... perché ce ne sarà un altro (illegittimo) più in vista di me? 

Poi il papa saluta tutti dicendo “Buonanotte”, incredibilmente appena alle 17.30 avendo sottolineato prima che il “mio giorno non è come quelli precedenti”. Per puro caso sulla sua testa c’è l’orologio romano pre-napoleonico e, secondo l’ora pontificia, alle 17.30 si era giusto all’inizio della notte, ore 23,30. Casualmente, le otto di sera di cui parla Benedetto, ora a partire dalla quale non sarà più “pontefice al sommo grado”, corrispondono alle 13.30 del 1° marzo, subito dopo l’emissione del bollettino che convoca il nuovo conclave, momento in cui si ufficializzerebbe proprio la sede impedita. 

Arrivate le ore 20.00 del 28 febbraio, infatti, Benedetto non firma né dichiara alcuna conferma per le dimissioni dal ministerium anche perché questo non potrebbe mai avvenire dato che il munus non può essere separato giuridicamente dal ministerium, ma solo fattualmente, giustappunto, in caso di sede impedita. Che incredibile serie di casualità.

Peraltro, sempre nella Declaratio, Benedetto raccomanda che il prossimo Sommo Pontefice dovrà essere eletto “da coloro a cui compete”: guarda caso, sembra affermare proprio quello che ribadisce Lei, cioé che il prossimo vero papa, dopo Benedetto, dovrà essere eletto solo da cardinali di nomina pre-2013. Provvidenziale, si direbbe.

Eccellenza: non sono un po’ troppe queste coincidenze?

Come mai, poi, nessun canonista ci ha smentito dall’inizio dell’inchiesta? E come mai non lo ha fatto nemmeno il Santo Padre Benedetto rispondendoci per lettera? Non avrebbe dovuto rimproverare aspramente il sottoscritto per lo “scandalo” che produce “spacciando falsità e menzogne”? E invece ci ha risposto: “pur con ogni buon intento, proprio non è possibile riceverla” (l'unica risposta inviabile da una sede impedita) inviandoci il suo stemma da papa regnante, al quale non ha mai voluto rinunciare nonostante la proposta del card. di Montezemolo. Non sarà che non ha mai voluto cambiare lo stemma perché non ha mai abdicato?

Vogliamo dire, come fanno alcuni, che quella Declaratio piena di sgrammaticature, scritta da lui in latino proprio “per non commettere errori” (quello di abdicare davvero?), stilata in due settimane, sottoposta alla Segreteria di Stato per emendarla da errori giuridici e formali (sotto segreto pontificio) è stata solo un errore sostanziale? Cioè, un’inconsapevole serie di fortunati sbagli (mica uno) che, “magicamente” conducono tutti alla situazione di sede impedita? Va bene, diciamolo. Secondo un calcolo delle probabilità dovremmo essere già allo 0, ... parecchi decimali, ma accettiamo pure una incredibile congerie di casualità.

Tuttavia, se si trattasse di una serie di errori casuali, papa Benedetto dovrebbe affermare convintamente che lui ha abdicato. E invece, guarda caso, tutto ciò che lui afferma, o può essere interpretato in modo anfibologico, oppure svela l’esatto contrario dell’abdicazione rimandando – guarda caso - proprio alla sede impedita.

Qualche esempio? Dice da nove anni che “Il papa è uno solo” e non spiega mai quale, così come raccomanda ai neo-cardinali bergogliani una generica “fedeltà al papa” senza nominare Francesco. Scrive che ha validamente rinunciato al ministero, sì, ma quale? Il ministero-munus, o il ministero-ministerium dato che si traducono entrambi con la stessa parola? E perché nella versione tedesca Amt (munus) e Dienst (ministerium) sono invertiti? 

Poi un'altra “strana” frase di papa Benedetto: “Nessun papa si è dimesso per mille anni e nel primo millennio è stata un’eccezione”. 

Un errore storico clamoroso (con dieci papi abdicatari fra I e II millennio) a meno di non considerare proprio le sue dimissioni come dal solo ministerium e così individuare perfettamente quel paio di papi (Benedetto VIII e Gregorio V) che nel I millennio furono scacciati da antipapi e persero proprio l’esercizio pratico del potere, ma rimasero papi. Guarda caso, una sede impedita ante litteram.

Curioso poi che Benedetto risponda alla domanda di Seewald: “Secondo la profezia di Malachia, Lei potrebbe davvero essere l’ultimo papa per come l’abbiamo conosciuto?”. Risposta di Ratzinger: “Tutto può essere”. 

Allora papa Francesco chi è? Un’amnesia momentanea, o non sarà che Bergoglio non è papa, ancora una volta, a causa della sede impedita?

Non è buffo, poi, che Benedetto dica che ha scelto la data per la Decaratio con un nesso interiore col primo lunedi di Carnevale tedesco? 

E come fa a rispondere a una signora, tramite Segreteria di Stato, scrivendo: “Il papa emerito ha ricevuto la sua lettera. Ringraziandola per la sua devozione filiale il Sommo Pontefice la invita a guardare a Gesù…”? 

Ma dunque il papa emerito è il Sommo Pontefice, come già canonicamente affermavano i canonisti Boni, Fantappiè, Margiotta-Broglio? 

Dato che questo status canonico non esiste (come invece esiste per il vescovo), non sarà che l’aggettivo è solo qualificativo, provenendo da emereo, cioè colui che merita, che ha diritto di essere papa, un titolo che lo distinguerebbe in quel ministero allargato (canonicamente inesistente) che però si configura come una sorta di luogo teologico fra un papa legittimo e un papa illegittimo? Pensi che strano: Mons. Gaenswein dice proprio che “c’è un solo papa legittimo, ma due successori di san Pietro viventi”. E che “c’è un membro attivo e uno contemplativo”, ruoli che ben si attagliano a un papa illegittimo attivo e a uno legittimo impedito e contemplativo. 

E non sarà che quell’Ausnahmepontifikat – “pontificato d’eccezione” corrisponde proprio, come ventila il canonista Ferro Canale, a una sospensione giuridica, magari innescata proprio da una sede impedita? E come mai Benedetto dice a Tornielli che mantenere nome pontificale e veste bianca è stata la cosa più pratica? Forse non è stato in grado di procurarsi una talare da vescovo, o magari si riferiva all’assenza di una veste da papa impedito, alla quale però lui ha tolto proprio mozzetta e fascia, simbolo delle due funzioni del ministerium a cui rinunciava? 

E a proposito, non è davvero pazzesco che la sua frase sulla mozzetta rossa, logicamente, conduca proprio al fatto che Bergoglio si è abusivamente vestito di bianco, non volendo accontentarsi della mozzetta rossa da cardinale? QUI 

E come mai non si riesce mai a trovare un esplicito elogio di papa Benedetto verso “papa Francesco”, ma, anzi, solo sottili e spiritosissime ironie? 

Certo, questo linguaggio di Benedetto è sottile, per quanto a volte più diretto e a volte difficile da decrittare, ma, guarda caso, un papa prigioniero non è libero di comunicare. Roba “alla Agatha Christie”? O non potrebbe essere “roba alla Gesù”, dato che l’uso di anfibologie, rimandi alla Scrittura e fraintendimenti logici ricorrono proprio nello stile di Cristo coi Suoi accusatori? 

E non è anche curioso che Benedetto ammetta nel 2016 di non aver mai giurato obbedienza a Bergoglio? Non sarà che sta ancora aspettando un successore, nominato "da coloro a cui compete", il cui responso sulla sede impedita accettava fin dal 2013? 

Con Lei certo non occorre citare, poi, gli aspetti teologico-escatologici che annunciano da secoli questo maligno antipapato: il falso profeta, il vescovo vestito di bianco, il pastore idolo, la falsa chiesa, l’art. 675 CCC, il katechon, il mistero d’iniquità, la potenza d’inganno etc.

Non vogliamo tediarLa ulteriormente Eccellenza, ma se avesse interesse per la nostra inchiesta, presto sarà riordinata in un progetto unico; nel frattempo, il grosso è stato riordinato in 60 capitoli in fondo a questo articolo.

Ci permetta un’ultima osservazione: attenzione a tutte le questioni relative alle irregolarità del conclave 2013, che pure, in buona parte, ci sono state, ma sono difficilmente comprovabili. Esse si prestano, infatti, a essere bypassate dalla dottrina dell’Universalis Ecclesiae Adhaesio, l’accettazione pacifica universale di irregolarità in un conclave LEGITTIMO. Quindi l’unico aspetto da indagare, a prova di bomba, è l’invalidità dell’abdicazione di papa Benedetto che, di per sé nullificava la convocazione di qualsiasi conclave, impossibile senza un papa precedente morto o abdicatario.

Sappiamo che in tale Magna quaestio tanti sono i sabotatori, gli azzeccagarbugli canonici che con le più assurde forzature cercano di confondere le carte. Ecco perché è assolutamente fondamentale  indagare a fondo cosa rivela lo stesso autore della Declaratio, l’unico vero papa Benedetto XVI. Peraltro Lei, a quanto ci fanno sapere, incardinato nella Curia romana, potrebbe chiedere un sinodo provinciale per indagare sull’impedimento del vescovo di Roma.

E sarebbe grandioso se, prima che sia troppo tardi per la Chiesa e per il mondo, in occasione del compleanno del Santo Padre, il 16 aprile, Lei gli volesse donare quel “Suo” esercito di veri cattolici che ha radunato intorno a sé con tanta fatica e coraggio, in questa che, sembra davvero una specie di ultima crociata finale, per liberare Roma, stavolta.

Con i più rispettosi saluti,  Andrea Cionci

Anticipazione stampa da OGGI il 6 aprile 2022.

«È debole nel fisico, ma la mente funziona sempre benissimo. È metodico e le sue giornate non sono cambiate in questo ultimo periodo. Certo, i movimenti sono lenti e ha bisogno di riposare di più. Al mattino concelebra la messa alle 7.30. Poi sta in poltrona, ascolta la musica. Ora ha ripreso anche a fare la consueta passeggiata nei Giardini Vaticani». 

Con queste parole monsignor Georg Gänswein in un’intervista a Oggi, in edicola da domani parla di Benedetto XVI, che il prossimo 16 aprile compie 95 anni. Monsignor Gänswein, suo segretario dal 2003 e prefetto della Casa pontificia, ripercorre la storia pastorale e umana di Ratzinger, con cui collabora da 26 anni e con cui ha stabilito «un legame personale, oltre che professionale». 

Il segretario di Papa Benedetto si sofferma anche sulle recenti polemiche seguite alla presentazione, lo scorso gennaio, del documento tedesco sulla pedofilia nel quale venivano attribuite a Ratzinger responsabilità di scarsa sorveglianza, nel ruolo di arcivescovo, dal 1977 al 1982. 

« Purtroppo, nella documentazione presentata c’era un errore a proposito della sua presenza a una riunione del 1980 dove si doveva decidere di ospitare in una canonica un prete che doveva seguire una terapia. Poi, dopo una verifica accurata, è stato corretto l’errore e confermata la sua presenza. Ma questo si è tramutato in un attacco al Papa emerito, che per alcuni è passato per bugiardo. Questa situazione gli ha creato sofferenza. Bisogna precisare che nessuna accusa è risultata fondata. Nel mondo tedesco c’è una corrente di pensiero che prova ad attaccare il pontificato e l’opera teologica di Ratzinger, e anche a ferire la persona». 

Padre Georg si sofferma anche sul rapporto tra Papa Francesco e il Papa emerito: «Papa Benedetto aveva scritto un testo sul sacerdozio cattolico che conteneva anche alcune frasi sul celibato. Il libro del cardinale Sarah in difesa del celibato (con uno scritto di Benedetto, ndr), anche se era pronto da più di un anno, è stato pubblicato nel momento in cui si discuteva di questo tema e prima dell’esortazione post sinodale di Papa Francesco. Si è voluto mettere in contrapposizione il Papa e il Papa emerito. Ma le polemiche sono montate ad arte da chi ha interesse, anche nella Chiesa, a creare contrasti. C’è anche chi mi ha incolpato di accogliere pellegrinaggi di anti-bergogliani al Mater Ecclesiae. Un’accusa offensiva e ridicola». 

Gänswein rivela anche che al Mater Ecclesiae è attesa, per il compleanno del Papa emerito, la visita di Papa Francesco.

“Buonanotte!”. Codice Ratzinger sull'ora “romana” della sede impedita di Benedetto XVI: Francesco non è il papa. Andrea Cionci su Libero Quotidiano il 04 aprile 2022.

Andrea Cionci. Storico dell'arte, giornalista e scrittore, si occupa di storia, archeologia e religione. Cultore di opera lirica, ideatore del metodo “Mimerito” sperimentato dal Miur e promotore del progetto di risonanza internazionale “Plinio”, è stato reporter dall'Afghanistan e dall'Himalaya. Ha appena pubblicato il romanzo "Eugénie" (Bibliotheka). Ricercatore del bello, del sano e del vero – per quanto scomodi - vive una relazione complicata con l'Italia che ama alla follia sebbene, non di rado, gli spezzi il cuore.

Una “soffiata” direttamente dalla Curia ci ha permesso di venire a capo dell’ultimo, straordinario messaggio in Codice Ratzinger che il vero papa, Benedetto XVI, ci ha lasciato il 28 febbraio 2013, accomiatandosi dal palazzo apostolico di Castel Gandolfo prima di autoesiliarsi in sede impedita. Instaurava così quel “pontificato d’eccezione” (Ausnahmepontifikat) di cui parlava Mons. Gänswein e che il canonista Guido Ferro Canale aveva ben intuito come riferito allo stato di sospensione dell’ordinamento giuridico nella Chiesa.

Come sempre avviene per i messaggi in Codice Ratzinger, ci sono DUE PIANI DI LETTURA: il primo è quello superficiale, buono per i non credenti, gli indifferenti e tutti coloro che detestano papa Benedetto, modernisti, o tradizional-sedevacantisti che siano. C’è sempre, tuttavia, qualche incoerenza che incuriosisce chi “ha orecchie per intendere”, come abbiamo visto QUI  e che spinge a far lavorare il Logos, la ragione che scopre la verità.

La prima apparente assurdità era stata individuata dallo scrivente il 18 dicembre scorso nell’inversione dei termini del titolo pontificale. “Dalle otto di sera non sarò più pontefice sommo”, disse il papa, ma il titolo è indiscutibilmente “Sommo Pontefice”.

Difficile che il papa sbagli il proprio titolo: il significato della frase non è quindi “non sarò più il papa”, ma “non sarò più il pontefice al sommo grado, nel posto più importante, perché ce ne sarà un altro più in vista di me”, e illegittimo, perché, come abbiamo visto, Benedetto, non ha mai abdicato in quanto ha rinunciato in modo differito al ministerium e non in modo simultaneo al munus. QUI  Avete mai sentito qualche canonista contraddirci? Non ci ha smentito nemmeno il Santo Padre Benedetto, quando ci ha onorato di una sua risposta QUI  .

Ma a confermare definitivamente (e splendidamente) questa oggettiva realtà canonica, è la seconda apparente incoerenza nel discorso di Castel Gandolfo: papa Benedetto salutava i fedeli dicendo: “Buonanotte!”.

Alle 17.30, IN PIENO POMERIGGIO? Come è possibile?

Sulle prime, pensavamo che fosse un riferimento al “black out antipapale” che avrebbe oscurato la Chiesa - e ci sta pure - ma la questione è estremamente più precisa e geniale.

Per scoprirla era necessario un primo input arrivato l’11 febbraio da un lettore, che ci ha scritto all’email dell’inchiesta codiceratzinger@libero.it: “Un prete della Curia mi disse che Benedetto ha salutato i fedeli non per caso da Castel Gandolfo. Non mi disse altro, invitandomi a riflettere. Così ho notato che, sopra il balcone del palazzo papale c'è un evidente orologio romano, che è diverso dai nostri comuni orologi”.

Dunque, in Vaticano ci sono pur dei religiosi che sanno già tutto, o che hanno capito da soli.

Il secondo input è arrivato il 30 marzo da un altro lettore, G.P.: “L’orologio sul balcone è «alla romana» …  Considerando l’antico orario pontificio, quel «buonanotte»  è perfettamente logico”.

Abbiamo così approfondito la questione insieme a C.D.C., esperto cultore di Roma: l'orologio romano, introdotto nello Stato Pontificio fin dal XIII secolo, faceva iniziare il giorno successivo non alla mezzanotte, ma mezz’ora dopo il tramonto, dividendo le 24 ore in 4 cicli di 6 ore ciascuno. Fu Pio IX che abbandonò definitivamente il sistema nel 1847 per adeguare l’ora di Roma a quella “napoleonica”, diffusa in tutto il mondo e che usiamo oggi.

Insomma, il sistema pontificio tradizionale è una specie di ALTRO FUSO ORARIO che giustifica perfettamente il “Buonanotte!” di papa Benedetto XVI. Secondo l’ora romana, infatti, le 17.30 di quel 28 febbraio 2013 erano le 23.30 “romane”, per cui l’augurio del papa era del tutto appropriato. Questa è la CHIAVE per scoprire che Benedetto stava considerando un altro fuso orario per fornirci, così, un dirompente messaggio logico-canonico.

Seguiteci con attenzione.

Con la Declaratio in latino dell’11 febbraio 2013, Benedetto usa il sistema orario nostrano, di eredità napoleonica, a 24 ore: “Dichiaro di rinunciare al ministero (ministerium) di Vescovo di Roma, Successore di San Pietro, […] in modo che, dal 28 febbraio 2013, alle ore 20,00, la sede di Roma, la sede di San Pietro, sarà VUOTA  (e non VACANTE, come da corretta traduzione del verbo vacet)”. 

Ed ecco QUI il discorso di commiato che il papa pronuncia da Castel Gandolfo alle  17.30 del 28 febbraio (23.30, ora  romana).

“Cari amici, sono felice di essere con voi, circondato dalla bellezza del creato e dalla vostra simpatia che mi fa molto bene. Grazie per la vostra amicizia, il vostro affetto. Voi sapete che questo mio giorno è diverso da quelli precedenti; non sono più pontefice sommo della Chiesa cattolica: fino alle otto di sera (13.30 del 1° marzo, ora romana) sarò ancora, poi non più. Sono semplicemente un pellegrino che inizia l’ultima tappa del suo pellegrinaggio in questa terra. Ma vorrei ancora, con il mio cuore, con il mio amore, con la mia preghiera, con la mia riflessione, con tutte le mie forze interiori, lavorare per il bene comune e il bene della Chiesa e dell’umanità. E mi sento molto appoggiato dalla vostra simpatia. Andiamo avanti insieme con il Signore per il bene della Chiesa e del mondo. Grazie, vi imparto adesso con tutto il cuore la mia Benedizione.

Ci benedica Dio onnipotente, Padre e Figlio e Spirito Santo. Grazie, BUONA NOTTE! Grazie a voi tutti!”

Attenzione: le “otto di sera” di cui parla Benedetto (non dice sta-sera), secondo l’ora romana, sono le 13.30 del 1° marzo. Papa Ratzinger dichiara quindi che non sarà più “pontefice sommo” dalle 13.30 del 1° marzo e non, come tutti pensano, che smetterà di essere Sommo Pontefice dalle 20.00 nostrane del 28 febbraio. E TUTTO TORNA. Infatti, nella tarda mattinata del 1° marzo, il cardinal decano Angelo Sodano fa partire QUI la LETTERA DI CONVOCAZIONE DEL NUOVO CONCLAVE (illegittimo) che eleggerà l’usurpatore. Così, dopo le 13.30, Benedetto può considerare a buon diritto la propria sede del tutto impedita dato che i cardinali hanno appena iniziato i lavori per eleggere abusivamente un altro papa, mentre lui è  vivente e regnante.

Per semplificare: tutto il mondo ha creduto che papa Benedetto rendesse la “SEDE APOSTOLICA” VACANTE abdicando a partire dalle ore 20.00 del 28 febbraio.

Ma è SBAGLIATO: dato che la rinuncia al ministerium non può giuridicamente produrre sede apostolica vacante, la SEDE DI ROMA, la SEDE DI SAN PIETRO fu semplicemente lasciata VUOTA (vacet), per le 20.00 avendo, infatti, Benedetto abbandonato Roma già intorno alle 17.00. 

Notare che papa Ratzinger, nella Declaratio, non usa il termine “sede apostolica” perché questa è l'ente dotato di personalità giuridica preposto al governo della Chiesa cattolica. Infatti, solo la sede apostolica può essere giuridicamente vacante, mentre la sede di San Pietro o di Roma no: sono espressioni inedite che indicano semplicemente il luogo fisico. Non esiste la "sede di Roma o la sede di San Pietro vacante”.

Ma da Castel Gandolfo, papa Benedetto ci ha detto, con il riferimento al sistema orario romano, da quale ora sarebbe entrato, di fatto, in sede apostolica IMPEDITA, cioè dopo le 13.30 del 1° marzo, quando giustappunto il cardinal decano avrebbe convocato il nuovo pseudo-conclave per eleggere un altro pontefice – illegittimo - che avrebbe preso il posto di papa Benedetto, il quale, non più pontefice sommo, “al massimo posto”, sarebbe divenuto l’”emerito”, (da emereo) cioè colui che, nonostante l’impedimento, HA DIRITTO di essere papa.

Perché il Santo Padre ha parlato così sottilmente col riferimento all’ora romana? Perché era appunto impedito, oppresso, sotto minaccia, e una persona, in tale situazione, ovviamente non può chiedere apertamente aiuto.

E così, si spiega PERFETTAMENTE anche il resto del discorso di saluto: “Voi SAPETE che questo mio giorno è DIVERSO da quelli precedenti”: tutti “sapevano”, cioè avevano l’informazione, potevano vedere l’orologio romano sopra la sua testa. Anche se c’era la luce, per l’orario romano era quasi notte: un giorno “diverso”.

“Mi sento appoggiato dalla vostra SIMPATIA”: da syn + pathos che, nel suo significato etimologico, significa “soffrire con”.

“Vorrei ancora lavorare”: vorrei continuare a esercitare il potere pratico papale, ma non posso perché sono impedito.

 “Andiamo avanti con il Signore”: il pontificato va avanti, ma in stato di sofferenza, di prigionia.

A questo punto, sorgerà un’obiezione: ma secondo l’ora nostrana, il discorso di Benedetto poteva essere un vero commiato per una vera abdicazione?

NO, MAI. In primis, perché l’abdicazione doveva comportare una rinuncia simultanea al munus e non al ministerium in modo differito. Poi, perché Benedetto saluta tutti PRIMA dell’ora X, alle 17.30, ma dopo le 20.00, non ratifica niente. E, del resto, non avrebbe mai potuto farlo perché non si può ratificare giuridicamente una rinuncia al ministerium separandolo dal munus, come ammette lo stesso canonista vaticano Mons. Sciacca . La rinuncia al ministerium, al potere pratico, può essere solo FATTUALE, appunto come avviene esattamente nella SEDE IMPEDITA.

Quindi, sia dalla prospettiva dell’orario napoleonico, che romano, papa Benedetto ci dice la stessa cosa. EGLI è IN SEDE IMPEDITA ED E’ L’UNICO PAPA REGNANTE, che infatti conserva il munus, l’investitura di origine divina.

E questo cosa comporta? Sono dunque solo “legalismi clericali”, o “chiacchiericcio”, come ripete Mons. Bergoglio, eludendo costantemente la questione? Non proprio. Se siete cattolici, sappiate che il munus lo concede Dio stesso, Francesco non lo ha, quindi è antipapa, pertanto non è stato eletto con l’assistenza dello Spirito Santo, né è assistito dalla Terza Persona trinitaria nell’insegnamento ordinario, come da art. 892 del Catechismo. (Le regole non le abbiamo fatte noi).

Ergo, c’è un miliardo e 285 milioni di fedeli che stanno seguendo una specie di Pifferaio di Hamelin, un vescovo usurpatore che non offre la minima garanzia come custode della fede. E fra Pachamame, fratellanze universali e devastazioni dottrinali, non è che occorra una laurea in teologia a Tubinga per capirlo.

Se siete laici, sappiate che un capo di stato con diretta influenza su quel miliardo e rotti di persone ha preso il potere con un golpe e ha dichiarato esplicitamente la propria volontà di costruire un nuovo ordine mondiale (Intervista a La Stampa del 13 marzo 2021).

Da entrambi i punti di vista, laico e cattolico, l’antipapato in corso comporterà squilibri, imposture e danni colossali di cui faremo le spese tutti.  

Poi se il Codice Ratzinger è troppo faticoso da capire, e molti continueranno a preferire “papa Francesco” perché “è buono”, “uno di noi” e indossa il grembiule da pizzaiolo QUI , facciano pure.

Il turpiloquio di Benedetto XIV, Innocenzo IX che non si alzava mai dal letto, le freddure di Pio X e Pio IX che giocava a nascondino nei giardini vaticani coi figli dei dipendenti: il lato sconosciuto dei Santi Padri.  

Caterina Maniaci per “Libero quotidiano” il 7 marzo 2022.

È possibile immaginare un Papa che sbotta usando "parolacce" di vario genere, mutuate da dialetti e modi di dire popolareschi, e si esprime a tratti «come un carrettiere»? Sì, non solo è possibile immaginarlo, ma è esistito storicamente. Si tratta di Benedetto XIV, un grande Pontefice, regnante nella seconda metà del Settecento, al secolo Prospero Lorenzo Lambertini, di origini bolognesi.

Sembra appunto che si esprimesse spesso con una certa libertà e le sue - presunte - gaffes in occasioni pubbliche o solenni facessero inorridire la Curia romana e invece divertire molto i fedeli. Si era accordato con monsignor Teodoro Boccapaduli, che poi fu nominato Maestro di Camera, affinché gli tirasse la manica ogni volta che avesse pronunciato una parola fuori posto. Però, all'ennesima strattonata del suo assistente, un giorno Benedetto XIV non resistette e sbottò a voce alta: «Hai rotto, Boccapaduli!».

Il povero prelato, tra le altre cose, non essendo particolarmente attraente, dovette sorbirsi dallo stesso Pontefice l'appellativo di «mostro di Camera», storpiatura evidente della sua qualifica ufficiale. Siamo ormai abituati alla presenza di pontefici poco legati alle formalità e dal linguaggio semplice e disinvolto, ma una sia pur rapida carrellata lungo la millenaria storia della Chiesa dimostra che, tutto sommato, l'attitudine allo scherzo, alla battuta, all'epiteto spiritoso non è solo appannaggio della contemporaneità o comunque legato al più recente passato. 

Lo documenta un agile saggio appena pubblicato dalla casa editrice Fede & Cultura, scritto da Gilles Jeanguenin, dal titolo esplicativo Scherzi da papa. Aneddoti e curiosità sotto la cupola di San Pietro, (pp.128, euro 14). Ed ecco sfilare sotto gli occhi del lettore una galleria di fatti, personaggi e detti memorabili, senza dimenticare l'amore e la passione per gli animali: dall'elefante regalato a Leone X e divenuto abitante molto amato dei giardini vaticani, soprattutto quando spruzzava d'acqua con la proboscide i curiosi che lo circondavano e di cui Raffaello ci ha lasciato anche un ritratto, al canarino di Pio XII, che amava ascoltare il suo canto nei momenti liberi, gli agnellini portati in occasione della Pasqua con tanti pontefici si lasciavano andare a gesti di tenerezza...

E poi le parolacce di Benedetto XIV, Innocenzo IX che governò la Chiesa dal suo letto, Pio IX che giocava a nascondino nei giardini vaticani con i figli dei dipendenti: la cupola di San Pietro custodisce arcani e segreti, ma anche molte chiacchiere e facezie. Il saggio in questione raccoglie cronologicamente una serie di aneddoti storici che hanno fatto spettegolare, sorridere o "scandalizzare" i salotti dei sacri palazzi e non solo. 

D'altra parte, anche i papi sono uomini e, sulla Cattedra di Pietro, si sono alternati pontefici santi e altri dalla vita tormentata, come è stato minuziosamente documentato e raccontato. Quello che forse non è stato messo in risalto molto frequentemente è il senso dell'umorismo e della voglia di vedere il lato più buffo e curioso della vita di cui erano provvisti molti dei vicari di Cristo sulla terra.

Sfogliando il saggio di Jeanguenin appare nitida, tra le altre, la figura di Pio X, dotato di un proverbiale senso dell'umorismo. Viene riportato il celebre scambio di battute tra il pontefice e un monsignore, il quale chiede proprio a lui di definire chi sia un papa. E Pio X risponde con un sorriso: «Un papa è un cardinale che ha smesso di desiderare la morte di un papa». Passato qualche anno, nel 1926 papa Pio XI riceve un gruppo di frati francescani tedeschi che si dovranno occupare della cucina della Santa Sede. 

E afferma, con un misto di severità e di ironia: «Vi raccomando la precisione tedesca, vi raccomando il silenzio tedesco, ma non la cucina tedesca!». L'autore chiosa che probabilmente papa Ratzinger non sarebbe stato d'accordo con quest' ultima raccomandazione... Ci vengono descritte anche delle liti condominiali in Vaticano, tra cardinali e monsignori, con tanto di insulti in romanesco.

A Castel Gandolfo i papi passeggiavano con libertà tra le vie del paese. Si racconta che Pio IX entrasse spesso nelle case dei paesani, nelle cucine a sollevare i coperti delle pentole per vedere se c'era abbastanza cibo da cucinare. Nei giardini vaticani oltre a passeggiate e meditazioni, animali esotici o domestici di varie dimensioni, ci si poteva imbattere in papa Giovanni XXIII che voleva imparare ad andare in bicicletta grazie nientedimeno che a Gino Bartali. 

Del resto, come viene sottolineato nel saggio, diversi papi sono stati anche dei grandi sportivi. Si ricordano sempre le "prodezze" del grande Karol Wojtyla, pontefice e santo. Ma anche il futuro Pio IX aveva giocato alla pallacorda; Pio XI fece la scalata del Monte Rosa, il giovane Pacelli, che diventerà Pio XII, praticava l'equitazione e il nuoto e Jorge Bergoglio, oltre ad essere un tifoso di calcio, ha giocato a basket.

 E a proposito di papa Francesco, ecco che conversazione avviene il 6 ottobre 2016, quando riceve in udienza privata l'arcivescovo di Canterbury Justin Welby. Nella biblioteca del Palazzo Apostolico, ad un certo momento, scoppiano risate sonore. Tutti i presenti si chiedono cosa possa aver scatenato tanta ilarità. Il primate anglicano chiede a Francesco se conosce la differenza tra un liturgista e un terrorista. Alla risposta negativa del pontefice Welby ribatte: «Con il terrorista si può negoziare». Come lo definisce l'autore, un esempio di autentico umorismo ecumenico.

Codice Ratzinger: preghiera (di riparazione?) per la Russia e gli elogi – apparenti – di Benedetto XVI a "papa Francesco". Andrea Cionci su Libero Quotidiano il 21 marzo 2022. 

Andrea Cionci

Storico dell'arte, giornalista e scrittore, si occupa di storia, archeologia e religione. Cultore di opera lirica, ideatore del metodo “Mimerito” sperimentato dal Miur e promotore del progetto di risonanza internazionale “Plinio”, è stato reporter dall'Afghanistan e dall'Himalaya. Ha appena pubblicato il romanzo "Eugénie" (Bibliotheka). Ricercatore del bello, del sano e del vero – per quanto scomodi - vive una relazione complicata con l'Italia che ama alla follia sebbene, non di rado, gli spezzi il cuore

Di ieri, la notizia che “il papa emerito Benedetto XVI si UNIRÀ ALLA CHIAMATA di papa Francesco NELLA PREGHIERA per quanto riguarda la consacrazione della Russia e dell'Ucraina al Cuore Immacolato di Maria". 

Pertanto, NON PARTECIPERÀ direttamente alla consacrazione, e NON SARÀ FISICAMENTE PRESENTE alla cerimonia nella Basilica di San Pietro. Egli si “unirà alla chiamata”, non all’”intenzione”, cioè “risponde all’appello” di Bergoglio, nella preghiera. Ma COME lo farà?

Così, si aprono due possibilità speculari: potete credere che papa Benedetto aderisca di buon grado all’iniziativa di Francesco, (forse, rendendo valida la consacrazione?) oppure, come ci spiegano i teologi, che egli, al contrario, esercitando il suo potere “kathecontico”, intenda mitigare con una PREGHIERA DI RIPARAZIONE, la grave “provocazione celeste” messa in atto da Bergoglio.

Per quanto ne sappiamo, Benedetto XVI, nel chiuso della sua cappella, potrebbe benissimo compiere una preghiera specifica per annullare l’offesa a Maria Santissima, la Quale secondo l’apparizione di Fatima, chiese AL PAPA LEGITTIMO la consacrazione della sola Russia.

Anche in questo caso, a voi scegliere il versante: se credere alla prima o alla seconda possibilità, ma avete l’ennesima dimostrazione che papa Benedetto lascia ancora una volta aperta la doppia interpretazione, in modo che solo “chi ha orecchie intenda”. Eppure, già questa ambiguità costante, impensabile per un grande teologo sempre molto netto e preciso, parla chiaro: se ciò che dice una persona, ogni volta può essere interpretato in due modi opposti, ovviamente c’è qualcosa che non quadra, no? Tale atteggiamento si spiega solo con l’oggettiva realtà canonica della sede impedita, di cui abbiamo abbondantemente scritto.

Per una strana coincidenza, tale notizia è giunta mentre completavamo questo articolo dedicato proprio alla presunta concordia fra papa Benedetto e Bergoglio: NULLA E’ COME APPARE.

Qualche giorno fa, abbiamo infatti ricevuto all’indirizzo dell’inchiesta, codiceratzingeratlibero.it, un’email da una signora che si diceva molto disorientata dalla lettura, nel cap. 3 del libro-intervista di Peter Seewald “Ultime conversazioni” (Garzanti 2016), di presunti “ELOGI” da parte di papa Benedetto XVI a Bergoglio.

Affronteremo queste frasi in purissimo “Codice Ratzinger”: come vi illustreremo, con le chiose del prof. Gian Matteo Corrias, latinista e saggista storico-religioso, le espressioni apparentemente  elogiative che il vero papa in sede impedita riserva al suo impeditore, in realtà, non lo sono. Anzi, vi si legge un sottotesto opposto – e, a tratti, gustosissimo - realizzato grazie al frequente uso di anfibologie (espressioni dal doppio significato) e di un equilibrio sintattico logico e sottile ispirato alla comunicazione di Cristo con i suoi accusatori.

Naturalmente, tale linguaggio sottile può essere colto solo una volta compresa l’inoppugnabile e mai smentita verità canonica: Benedetto XVI, rinunciando nel 2013 in modo differito al ministerium, non ha abdicato, ma è entrato in sede impedita (canone 412), status giuridico dove il papa è prigioniero, ma resta sempre l’unico papa legittimo. E secondo voi è casuale che i canonisti di Bologna abbiano da poco inaugurato un gruppo di studio sul papa emerito e il papa impedito?.

Ergo, Bergoglio si è reso antipapa da solo, occupando il potere senza averne l’investitura di origine divina (munus). Per approfondire la questione, vi rimandiamo ai capitoli 1,2,5,6 della nostra inchiesta che troverete QUI 

Lo aveva capito anche Sandro Magister nel 2020: Benedetto XVI e Bergoglio non sono AFFATTO quegli amiconi che ci ha imposto la narrativa mainstream, soprattutto con quell’assurda, impudica mistificazione del film Netflix “I due papi” QUI .

La questione è molto diversa: Benedetto XVI “ama il suo nemico” come Gesù Cristo amava Giuda, e, infatti, come disse in un suo noto intervento, spera che Bergoglio possa “andare avanti con noi tutti su questa via della Misericordia Divina, mostrando la strada di Gesù, verso Gesù, VERSO DIO”, cioè spera che Bergoglio possa essere perdonato da Dio mentre si compie un sacrificio simile a quello di Gesù quando, tradito da Giuda, tornò al Padre, (verso Dio). Abbiamo analizzato QUI l’intervento del papa, imperniato sull’espressione Eucharistomen .

Tuttavia, Benedetto, non può mentire sulla verità dei fatti. Innanzitutto, in modo cavalleresco, riconosce all’uomo Bergoglio (non al papa) una certa forza di carattere e un decisionismo notevole  senza però conferire a questi un carattere positivo o benefico. Per dire, anche Wellington avrebbe potuto riconoscere a Napoleone carisma, abilità strategiche e forza di carattere, pur continuando a considerarlo il nemico n. 1.

Ecco, infatti, cosa scrive papa Ratzinger:  “L’ho conosciuto come un uomo molto deciso, uno che in Argentina diceva con molta risolutezza: questo si fa e questo non si fa”; “c’è anche il coraggio con cui affronta i problemi e cerca le soluzioni”.

Leggete qualche accenno al fatto che il decisionismo di Bergoglio sia ben indirizzato, o che egli sia un buon papa? NO.

Nello stesso capitolo, Benedetto sottolinea, più volte, l’attenzione che Francesco dedica “agli altri”, cioè alla facilità con cui è riuscito a cattivarsi immediatamente le simpatie della massa: “Il MODO in cui ha pregato e ha parlato al cuore della gente ha subito acceso l’entusiasmo”;  “Il MODO in cui ha pregato per me, il momento di raccoglimento, poi la cordialità con cui ha salutato le persone tanto che la SCINTILLA è, per così dire, scoccata immediatamente”.

La scintilla è scoccata FRA BERGOGLIO E IL PUBBLICO, non fra Bergoglio e Benedetto. Sono, dunque, constatazioni neutre, obiettive, senza alcun apprezzamento morale: il fatto che Bergoglio sia un efficace comunicatore non fa certo di lui un vero papa, o un amico.

Benedetto, infatti, non specifica mai la qualità di questo “modo”, come conferma il prof. Corrias: “Il carattere distintivo delle risposte di Ratzinger a Seewald è il fatto indiscutibile di fermarsi ad un passo dall’univocità, come quando evidenzia “il modo in cui (Bergoglio) ha pregato, ha parlato al cuore della gente … ha pregato per me”, senza mai né specificare quale sia questo modo né tantomeno a quali contenuti sia applicato”.

Si può avere l’impressione iniziale che quei commenti di papa Benedetto abbiano una valenza positiva e lusinghiera verso Bergoglio, ma è un’illusione: non c’è nulla di tutto ciò.  

Benedetto riconosce a Bergoglio la capacità di accattivarsi le simpatie delle folle, abilità che forse a lui avrebbe anche giovato. Chiede Seewald: “Si dice che il buon Dio corregga un po’ ciascun papa nel suo successore. In che cosa la corregge papa Francesco?

Benedetto: (Ride.) “Direi con la sua attenzione verso gli ALTRI. Credo sia molto importante”.

E, ancora, prosegue il papa battendo sullo stesso tasto: “è una persona molto DIRETTA CON I SUOI SIMILI, abituata a stare sempre con gli ALTRI”; “la sua cordialità, la sua attenzione nei confronti DEGLI ALTRI (non nei confronti di Benedetto n.d.r.) sono aspetti di lui che non mi erano noti”;  “trovo positivo che sia così diretto con gli ALTRI. Mi chiedo naturalmente QUANTO POTRÀ ANDARE AVANTI. Per stringere ogni mercoledì duecento mani o più e via dicendo ci vuole molta forza. Ma questo lasciamolo al buon Dio”.

Questo cosa? Non certo la forza per stringere le mani, ma “quanto potrà andare avanti” grazie al suo essere “diretto con gli altri” che si avvale persino – nota il papa, con un pizzico di sarcasmo - dei bagni di folla.

Insomma: l’unica cosa che Benedetto XVI riesce a tributare al suo legittimo successore, è solo la capacità di piacere alle folle e di conquistare consenso. Cenni all’altezza del suo magistero, alla sua santità, o capacità di governo? MENO DI ZERO. E attenzione: il fatto che lo chiami “papa Francesco” non implica affatto che egli SIA un papa legittimo, come abbiamo già evidenziato QUI .

Tornano, poi, le anfibologie quando Seewald gli offre il destro per il raffinatissimo calembour sulla mozzetta rossa, di cui abbiamo scritto QUI , con il quale Benedetto ci spiega logicamente che Bergoglio si è abusivamente vestito di bianco, da papa, non accontentandosi della mozzetta rossa DA CARDINALE che gli spettava.

Ma subito dopo leggiamo: “Non ha voluto la mozzetta. La cosa non mi ha minimamente TOCCATO. Quello che mi ha TOCCATO, invece, è che già prima di uscire sulla loggia abbia voluto telefonarmi, ma non mi ha trovato perché eravamo davanti al televisore”.

L’anfibologia è sulla doppia accezione di “toccato”, cioè, commosso/urtato (doppia anche in tedesco con berürht). Il fatto che Bergoglio non abbia voluto indossare la mozzetta rossa da pontefice – spiega - non lo ha minimamente infastidito, (Bergoglio non è stato eletto papa), invece Benedetto è rimasto urtato (secondo lo stesso primo significato di “toccato”) dal fatto che Bergoglio gli avesse telefonato prima di essere annunciato al mondo come papa.

Conferma il prof. Corrias: “E’ chiaro che il senso di quel «toccato» è quello di «infastidito»”.

E la cosa è del tutto comprensibile, dato che Bergoglio e Ratzinger erano competitori anche nel conclave del 2005, come racconta egli stesso nel libro e che la Mafia di San Gallo voleva far abdicare Benedetto, come abbiamo indagato QUI  e QUI mentre lui ha poi liberamente scelto di autoesiliarsi in sede impedita.

A proposito dello pseudo-conclave del 2013, papa Benedetto è fin troppo esplicito: “Il Collegio cardinalizio è libero e ha i suoi RITUALI”.

Ovvero: i cardinali hanno dato vita a un conclave nullo, (Benedetto non ha abdicato) che era solo un loro rituale e non ha eletto alcun vero papa.

Nello stesso terzo capitolo c’è poi un passo chiave:

“Nel prendere congedo dalla curia, come poté allora giurare obbedienza assoluta al suo futuro successore?

“Il papa è il papa, non importa chi sia”.

Commenta ancora il prof. Corrias: “Di notevole interesse  quel sibillino “il papa è il papa”, dove l’implicatura «e quindi non gli ho giurato fedeltà» si inserisce nel quadro interpretativo, in seguito solidamente stabilito, della condizione di sede impedita prevista dal codice di diritto canonico”. 

E in effetti, al pubblico di oggi, NON IMPORTA molto chi sia dei due il vero papa, non trovate? 

Ancor più spiritoso, poi, questo passaggio:

“Non ha nemmeno ricevuto in anticipo la prima esortazione apostolica di papa Francesco, Evangelii gaudium?”

“No. Però mi ha scritto una lettera personale molto bella con quella sua scrittura minuta. È molto più piccina della mia. Io in confronto scrivo grandissimo”.

Abbiamo sottoposto la frase - come se appartenesse a uno scambio fra due anonimi intellettuali - a un gruppo social di enigmisti i quali hanno colto subito che, dietro l’insipida nota materiale sulla calligrafia, si cela una gustosa ironia. Ovvero: le cose che scrive Bergoglio sono piccine, tanto che al suo confronto, il magistero del teologo Ratzinger è enorme.   

Prosegue poi, Benedetto, in modo più esplicito: “Ho comunque ricevuto l’esortazione apostolica in una forma particolare. E anche rilegata in bianco, cosa che di solito SI FA SOLO PER IL PAPA”.

Chiarissimo il sottotesto: mi hanno dato il documento rilegato in bianco, perché io sono il papa.   

Aggiunge: “Quando leggo il suo scritto, Evangelii gaudium, o anche le interviste, vedo che è un uomo RIFLESSIVO, uno che medita sulle questioni attuali”; “È certo anche un papa che RIFLETTE”.

Questo, in sé, non reca alcun pregio morale: anche un nemico può essere riflessivo e i risultati delle riflessioni di Bergoglio potrebbero essere del tutto erronei. Peraltro, la parola ripetuta due volte suggerisce proprio quel meccanismo “a specchio” del sistema antiusurpazione di cui abbiamo scritto QUI  il papa illegittimo che si è preso il ministerium petrino è solo un riflesso, un’immagine rovesciata e illusoria del vero papa che conserva il munus.

In sintesi, Benedetto è stato contento che, da quel conclave invalido - il “rituale” dei cardinali - sia uscito un antipapa come Bergoglio perché l’atteggiamento dell’uomo (sul quale non esprime alcun univoco giudizio morale univocamente positivo) lo rivela molto chiaramente, al mondo, per quello che non è: “Quando ho sentito il nome, dapprima ero insicuro. Ma quando ho visto come parlava da una parte con Dio, dall’altra con gli uomini, sono stato davvero contento. E felice”.

Fosse uscito un personaggio più sottile e apparentemente più ortodosso, sarebbe stato davvero un problema distinguerlo dal vero papa, l’emerito.

Tutta la Magna Quaestio si basa, infatti, su un enorme fraintendimento: che Benedetto abbia abdicato, mentre invece è rimasto l’unico vero papa, l’emerito, (da emereo) cioè colui che merita, che ha diritto di essere papa, titolo (non canonico, ma solo qualificativo) che lo distingue come il vero papa nel “ministero allargato” con l’antipapa.

Si spiega, così, del tutto questo passo platealmente allusivo:

“Dunque non vede una rottura con il suo pontificato?”.

“No. Naturalmente si possono FRAINTENDERE alcuni punti per poi dire che adesso le cose vanno in modo del tutto diverso. Se si prendono singoli episodi e li si isolano, si possono costruire contrapposizioni, ma ciò non accade quando si considera tutto l’insieme. Forse si pone l’accento su altri aspetti, ma non c’è alcuna contrapposizione”.

Nessuna rottura, perché il pontificato di Benedetto prosegue, anche se dalla sede impedita. Non c’è alcuna contrapposizione perché Benedetto è il papa, quell’unico legittimo papa di cui parla Mons. Gaenswein QUI .

La guerra in corso, fra un vero papa autosacrificatosi per purificare la Chiesa, e un antipapa golpista, è, dunque, TOTALE ed escatologica, ma condotta (per ora) su un piano rarefatto, inafferrabile per la massa, anche perché il vero papa è tenuto: 1) ad amare il suo nemico 2) a non poter esprimersi liberamente per via della sede impedita.

E’ però marchianamente evidente che nei presunti elogi di Benedetto a Bergoglio non si riesce MAI a cogliere un giudizio positivo sul “papa Francesco” che non contempli la possibilità di una lettura opposta.  E questa evenienza certifica, per l’ennesima volta, la situazione di sede impedita nullificando ogni visione che possa ventilare anche solo lontanamente qualsiasi tipo di concordia o complicità tra Benedetto XVI e Bergoglio.

Solo nel silenzio, nel vero, profondo ASCOLTO delle parole del papa si può capire cosa intende realmente.

E la frase che, come una dedica, apre Ultime conversazioni, è quella pronunciata da Benedetto il 23 febbraio 2013, a pochi giorni dal suo ritiro in sede impedita: “Credere non è altro che, nell’oscurità del mondo, toccare la mano di Dio e così, nel silenzio, ASCOLTARE LA PAROLA, vedere l’Amore”.

Chi saprà “ascoltare la parola” di Benedetto XVI, potrà vedere lo straordinario atto d’amore di questo papa gigantesco che, col suo sacrificio, ha salvato la Chiesa, e forse il mondo intero.

Il Codice Ratzinger è, in sostanza, il “Codice di Gesù”: Benedetto XVI comunica come Cristo con gli accusatori. Andrea Cionci su Libero Quotidiano il 07 marzo 2022

Andrea Cionci

Storico dell'arte, giornalista e scrittore, si occupa di storia, archeologia e religione. Cultore di opera lirica, ideatore del metodo “Mimerito” sperimentato dal Miur e promotore del progetto di risonanza internazionale “Plinio”, è stato reporter dall'Afghanistan e dall'Himalaya. Ha appena pubblicato il romanzo "Eugénie" (Bibliotheka). Ricercatore del bello, del sano e del vero – per quanto scomodi - vive una relazione complicata con l'Italia che ama alla follia sebbene, non di rado, gli spezzi il cuore.

Come abbiamo già scritto, questa è la prima inchiesta partecipata della storia : grazie all'email codiceratzinger@libero.it arrivano continue segnalazioni da Voi lettori con intuizioni, testimonianze e documenti utilissimi che ricompongono in modo perfettamente coerente questo immenso mosaico: il papa è solo Benedetto XVI perché l'11 febbraio 2013 dichiarò il proprio auto-esilio in sede impedita (canone 412) e giammai la rinuncia al papato. Non ci ha smentito nessuno, nemmeno lo stesso Santo Padre quando  ci ha onorato di una sua risposta QUI  .  Così è il “membro attivo” di una sorta di “ministero allargato”, tra papa legittimo (contemplativo) e papa illegittimo (attivo), come spiegato da mons. Gaenswein . Benedetto è quindi “ papa emerito” , titolo inesistente a livello canonico, ma esclusivamente descrittivo: viene da emereo , colui che merita, che ha diritto di essere papa.  

Anche negli Usa se ne stanno rendendo conto e uno dei più autorevoli commentatori cattolici, Patrick Coffin , per sette anni conduttore del programma radiofonico cattolico numero uno in America, "Catholic Answers Live ", ha appena dichiarato che Bergoglio è antipapa. Ha inoltre intervistato l'avvocatessa Estefania Acosta  autrice del volume giuridico da cui è partita la nostra inchiesta un anno fa. In Italia, Radio Libertà QUI e La Finanza sul web  ci hanno dedicato almeno 6-7 puntate di intervista per spiegare la situazione, per un totale di circa 160.000 recensioni.

Come diceva Giovanni Paolo II, “la verità si impone da sola”. Tuttavia, uno dei fenomeni più straordinari di questa inchiesta è il convergere sincronico dell’attenzione dei lettori, tutti insieme, su alcuni singoli aspetti, come se fosse al lavoro un inconscio collettivo che sta ricostruendo pezzo per pezzo la vicenda più importante degli ultimi mille anni. L’ultima volta, ad esempio, notammo che un nodo da risolvere, per molti, risultava solo ancora il discorso di Benedetto XVI per il 65° di sacerdozio, che abbiamo decodificato QUI  .

Qualche giorno fa, invece, abbiamo ricevuto due email che affrontavano una stessa, nuova questione da due lati diversi: un contestatore ci chiedeva: “Come potrebbe Benedetto XVI usare un linguaggio così sibillino come il Codice Ratzinger, quando Gesù ha raccomandato «il vostro parlare sia sì sì, no no, il resto viene dal Maligno?». Viceversa, una lettrice ci ha suggerito, nella stessa mattinata: “Durante il Rosario ho avuto un’intuizione: credo che papa Benedetto comunichi nello stesso stile che usava Gesù”.

Abbiamo così approfondito, con l’aiuto di alcuni teologi e biblisti, e ci si è rivelato un fatto assolutamente straordinario, quanto ovvio: Benedetto XVI, unico papa legittimo e unico Vicario di Cristo in terra, si esprime realmente con le stesse figure retoriche e le stesse modalità espressive di Gesù in diversi momenti della Sua predicazione, in uno stile che ricorre anche in quello degli Evangelisti. Si tratta di una comunicazione non sempre immediatamente esplicita, talvolta apparentemente oscura e velata che compare soprattutto nelle risposte di Cristo agli increduli, o ai Suoi accusatori. Ma, allora, come si concilia, questa, con quel famoso “sì sì, no no”?

Rispondono i teologi che Gesù insegna a dire sempre la verità, con sobrietà ed essenzialità, ma questo non Gli evita di dirla con divina intelligenza, adattando il linguaggio a seconda della disposizione d’animo dei Suoi interlocutori.

Ricorre infatti, in molti passi del Vangelo, il monito “chi ha orecchie intenda”. Ad esempio, il Redentore parla spessissimo per parabole perché “chi cerca trova”: solo chi ha autenticamente sete di Verità possiede la buona attitudine per ragionare, interrogarsi e capire le Sue parole apparentemente oscure. Tutte le parabole di Cristo conducono a prendere posizione verso la Sua persona e il Suo messaggio ed hanno l’intento di suscitare e far maturare la fede degli uditori. Insomma, Gesù vuole che gli uomini ci mettano del loro, che facciano lavorare il cuore e la testa per capire: ragione e fede.

Allo stesso modo, parla papa Benedetto. Basti pensare a quando ripete da otto anni “il papa è uno” senza mai spiegare quale. In quanti “hanno avuto orecchie” e si sono fatti una domanda? Oppure quando scrive, in riferimento alle proprie “dimissioni”: “Nessun papa si è dimesso per mille anni e anche nel I millennio è stata un’eccezione”. Ora, dato che tra I e II millennio hanno abdicato dieci papi, chiunque sia dotato di un minimo di raziocinio balzerebbe sulla sedia. Avete visto voi l’informazione mainstream interrogarsi su tali scioccanti affermazioni? Zero. Eppure, la spiegazione c’è, eccome, QUI, ma la frase risulta un vero enigma per chi rimane in superficie. Del resto, Gesù stesso è un enigma, affermano i biblisti: è incompreso perché incomprensibile da chi appartiene al mondo inferiore e non può capire né Lui, né la Sua rivelazione: «Venne fra la sua gente, ma i suoi non lo hanno accolto» (Gv 1,11); «Voi siete di quaggiù, io sono di lassù; voi siete di questo mondo, io non sono di questo mondo» (Gv 8,23).

Anche papa Benedetto scrive, in Ultime conversazioni (Garzanti, 2016): «Io non appartengo più al vecchio mondo, ma quello nuovo, in realtà, non è ancora incominciato».

Tuttavia, non solo gli avversari non capiscono le parole del Nazareno, ma anche i Suoi discepoli, che commentano: «Questo linguaggio è duro, chi può intenderlo?» (Gv 6,60).

Il Messia e i suoi interlocutori si parlano stando su due piani diversi, per questo i secondi non comprendono.

E, non a caso, anche diversi cattolici legati alla Tradizione e al Cattolicesimo autentico, non capiscono il Codice Ratzinger e non vogliono capirlo, perché sono troppo arrabbiati con papa Ratzinger, dato che continuano a ritenere che egli abbia davvero abdicato, come propala il pensiero unico. Lo constata amaramente perfino Benedetto XVI scrivendo al card. Brandmüller QUI: “Il dolore in alcuni si è trasformato in rabbia, che non riguarda più solo la rassegnazione, ma si sta espandendo sempre più verso la mia persona e il mio pontificato nel suo insieme”.

Costoro si trovano su un piano diverso, che non è quello della pace, del silenzio e dell’ascolto. Altrimenti, avrebbero scoperto la sottile, inequivocabile verità dei messaggi in Codice Ratzinger, come quella frase sulle dimissioni dei papi: col suo riferimento storico, Benedetto XVI rivela di essere sempre rimasto IL papa, perché ha rinunciato al solo potere pratico come quei papi del I millennio, che rimasero papi, pur essendo stati temporaneamente scacciati dagli antipapi.

Anche le citazioni bibliche fanno parte dello stile sia di Cristo che di papa Benedetto. Quando, nel deserto, Gesù viene tentato, il demonio Gli chiede: «Se sei Figlio di Dio, dì che questi sassi diventino pane» e Gesù risponde: «Sta scritto: non di solo pane vivrà l'uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio».

Allo stesso modo, anche Benedetto XVI ha citato la Scrittura (neotestamentaria) di fronte a Bergoglio e ai cardinali riuniti per il suo 65° di sacerdozio, nel 2016, ricordando, infatti, quando il Salvatore, durante l’Ultima cena rese grazie con la parola Eucharistomen. “Gesù – ha spiegato il papa - ha trasformato in ringraziamento, e così in benedizione, la croce, la sofferenza, tutto il male del mondo”. Così, Benedetto rende grazie perfino per essere stato detronizzato e costretto alla sede impedita, il sacrificio che porterà alla redenzione della Chiesa, alla sua purificazione QUI  .

C’è poi, nello stile del Messia che ritroviamo soprattutto nel Vangelo di Giovanni, la tecnica narrativa dei “fraintendimenti” che si ripetono secondo uno schema fisso:

a) Gesù fa un’affermazione; b) l’interlocutore fraintende perché si ferma al piano inferiore; c) Gesù o l’evangelista riprendono e illustrano la sua affermazione su un altro piano di significato; d) alla fine dell’episodio il lettore ha ricevuto tutto l’insegnamento  che l’evangelista voleva trasmettergli.

Qualcosa di simile avviene con lo status di “papa emerito”: tutti quelli che non sono “sintonizzati” pensano che si tratti di un titolo burocatico, per individuare un assurdo “papa in pensione” (che giuridicamente non esiste), mentre il significato (cioè il papa vero, legittimo) è descrittivo, spirituale, infinitamente più profondo, teologico ed escatologico.

Ma lo schema del fraintendimento si avvale spesso anche delle anfibologie (espressioni interpretabili in due modi diversi), per esempio, quando Gesù chiede alla Samaritana: «Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è colui che ti dice: “Dammi da bere!”, tu stessa gliene avresti chiesto ed egli ti avrebbe dato acqua viva».  Gli disse la donna: «Signore, tu non hai un mezzo per attingere e il pozzo è profondo; da dove hai dunque quest'acqua viva?” (Gv 4,10).  

La parola “acqua viva” significa sia “acqua di sorgente” che “acqua di vita”. La donna non ha capito che l’acqua viva che gli avrebbe dato Gesù è la salvezza.

Così avviene, per un simile fraintendimento anfibologico, quando papa Benedetto dice di aver rinunciato validamente al suo ministero, ma noi sappiamo che egli si riferisce al ministero-ministerium (esercizio del potere) e non al papato, cioè al ministero-munus. Oppure, quando saluta il mondo da Castel Gandolfo dicendo “non sarò più pontefice sommo”: invertendo il titolo canonico di Sommo pontefice, spiegava che non sarebbe stato più il papa nel posto più alto, isolato, e importante, ma che ve ne sarebbe stato un altro, illegittimo, sul suo trono e molto più potente di lui QUI  .

Oppure, quando dice che teme di “essere di peso agli altri per una lunga invalidità” QUI, quella di Bergoglio come papa, ovviamente, non la sua invalidità fisica. Un’anfibologia che in tedesco è resa con l’inequivocabile parola Behinderung-impedimento, con riferimento proprio alla sua sede impedita.

Ci sono poi delle volte in cui Cristo fa dire la verità al suo stesso interlocutore, per esempio nel momento in cui  Pilato gli chiese:   «Sei tu il re dei Giudei?». Gesù rispose «Tu lo dici». (Mt 27,11).

Mutatis mutandis, come abbiamo visto nei precedenti articoli, non di rado Benedetto XVI fa dire la verità al giornalista Seewald, come avviene per la frase sul primo lunedi di Carnevale QUI o in quella sulla vicinanza al Signore QUI  dove, assumendo implicitamente le premesse della domanda del giornalista Seewald, Benedetto afferma di essere il papa e il Vicario di Cristo.

Avrete intuito, da questi pochi cenni, la grandezza millenaria di questo pontefice e di questa vicenda.

Benedetto XVI sta facendo capire, grazie allo stile di Colui di cui è vicario, cosa è realmente il papa, paradossalmente quando - in termini umani - è privato di ogni potere e capacità di azione: egli ha davvero rafforzato il papato, (come è stato affermato dal filosofo Giorgio Agamben), l’esatto opposto a quanto ritengono certi suoi oppositori della Tradizione che credono (prendendo un granchio colossale) che, da presunto “modernista”, Joseph Ratzinger abbia svilito il papato facendone una carica come tante altre.

Abbiamo, dunque, un pontefice che, pur fortemente limitato a livello pratico, continua la sua essenza a un livello enormemente superiore. Infatti, ogni sua parola è calibrata, pesata al massimo, per dirci semplicemente parola, la verità: «Sì sì, no no».

Capite bene che, per i prossimi decenni, i biblisti della vera Chiesa restaurata (dentro o fuori il Vaticano, si vedrà,) si applicheranno agli scritti del vero papa per studiare questo straordinario mondo sul quale, per la prima volta, abbiamo acceso una piccola luce grazie alla collaborazione dei lettori, in un progressivo disvelarsi, nell'inconscio collettivo, della verità.

Cose  da lasciare senza fiato.

Giovanna Chirri: «Per lo scoop su Ratzinger primo ho urlato, poi pianto. Ora sono una prepensionata». Paolo Conti su Il Corriere della Sera il 23 Febbraio 2022.  

Torniamo alla mattina dell’11 febbraio 2013, quando Benedetto XVI stupisce il mondo annunciando la sua rinuncia «al ministero di Vescovo di Roma, successore di san Pietro». Lo scoop appartiene a Giovanna Chirri, in quel momento vaticanista dell’Ansa, ruolo che ricopriva dall’agosto 1994. Riavvolgiamo quel film... «Ero in sala stampa, nel mio box dell’Ansa. Chi conosce quegli ambienti sa come si lavora. Un lungo corridoio, poi ciascuno ha il proprio spazio dove però la privacy è impossibile. Lo dico perché ciò che mi è accaduto non è stato un segreto per nessuno. Eravamo in collegamento televisivo dalle 11 con la sala del Concistoro. Doveva essere una mattina qualsiasi di lavoro».

Quando ha capito che qualcosa non andava? «Benedetto XVI aveva convocato un Concistoro per i decreti di canonizzazione di alcuni santi, tra cui i martiri di Otranto, molto venerati in Puglia. Fatto quell’annuncio, ho scritto la notizia per la rloc, cioè la rete locale della Puglia. In Vaticano l’11 febbraio è festa per l’anniversario dei Patti Lateranensi. Particolare importante, era difficile trovare qualcuno... Ho capito che stava accadendo qualcosa di straordinario quando ho visto il Papa restare seduto, finita la cerimonia. Una cosa insolita. Ho pensato: che ci fa ancora lì? E ha cominciato a leggere un altro testo sempre in latino...».

Ovvero: «Non solum propter tres canonizationes ad hoc Consistorium vos convocavi, sed etiam ut vobis decisionem magni momenti pro Ecclesiae vita communicem». Cioè: «Vi ho convocati a questo Concistoro non solo per le tre canonizzazioni, ma anche per comunicarvi una decisione di grande importanza per la vita della Chiesa». «Lo ammetto, ho cominciato ad avere una reazione emotiva fortissima. Ho capito che stava accadendo qualcosa di importante: la mia gamba sinistra tremava, non riuscivo a fermarla, mi sono agitata moltissimo».

Lei padroneggia bene il latino... «Sì, ma è solo una buona conoscenza che viene da un solido studio liceale al “Visconti” di Roma. Non sono una latinista, insomma. Continuo a pensare che la formazione classica sia stata uno dei grandi regali che mi abbiano fatto i miei genitori. Non era scontato: mio padre era usciere ai Beni culturali, mamma casalinga. Però io e i miei tre fratelli abbiamo potuto arrivare all’università. Per essere chiara: non giro col vocabolario latino, non lo studio continuamente ma lo capisco. Poi c’è stato quel passaggio».

Quale, in particolare? «Quando Benedetto dice: “...ad cognitionem certam perveni vires meas ingravescente aetate non iam aptas esse ad munus Petrinum aeque administrandum”. Ovvero: “...sono pervenuto alla certezza che le mie forze, per l’età avanzata, non sono più adatte per esercitare in modo adeguato il ministero petrino”. Quando ho sentito il passaggio su “ingravescente aetate” la testa quasi mi è scoppiata. Chiunque segua le vicende vaticane sa che “Ingravescentem aeatem” era la Lettera apostolica in forma di Motu proprio con cui Paolo VI stabilì, nel 1970, che i Cardinali dovessero presentare le dimissioni dai propri incarichi al compimento del 75° anno proprio per “l’età avanzata”».

Un’espressione che lei conosceva bene... «Benissimo. Per anni, ricorrentemente, ho parlato dell’”Ingravescentem aetatem” per le tante dimissioni di Cardinali. Non sempre presentate con felicità, anzi: spesso sono capitate polemiche... ma il tema si ripresentava anche per le condizioni di salute di Giovanni Paolo II. La domanda circolava spesso: magari si dimetterà per la sua malattia? E spuntava continuamente il riferimento all’“Ingravescentem aetatem”. Poi le cose sono andate diversamente».

Torniamo alla mattina dell’11 febbraio. «Benedetto XVI ha detto il resto: il “renuntiare” al ministero di Vescovo di Roma e successore di san Pietro, poi ha annunciato il “Conclave ad eligendum novum Summum Pontificem”, cioè il Conclave per eleggere il nuovo Pontefice».

Il passaggio sul Conclave è stato insomma la conferma... «La parola Conclave mi ha dato la conferma piena, assoluta. Ho cominciato a telefonare ovunque ma in Vaticano non rispondeva nessuno per via della festività. Ho lasciato chiamate a tutti, anche a padre Federico Lombardi che era il direttore della Sala Stampa. Quindi ho visto in diretta il Cardinal Sodano alzarsi e dire in italiano: “Santità, questo annuncio è per noi un fulmine a ciel sereno”. Lì ho capito. Ho chiamato il desk dell’Ansa. Lo ammetto, ho cominciato a gridare. Mi ha risposto una brava collega, Annalisa Antonucci, era di turno come vicecaporedattore. Le ho detto: “Il Papa lascia, se ne va”. E lei: “Ma sei sicura?”. Io: “Sicurissima”. Abbiamo fatto insieme il titolo del flash urgentissimo: sessanta battute appena, occorreva la massima sintesi. Annalisa proponeva “Il Papa si dimette”. Ma non andava bene...».

Spieghi perché. «Perché le dimissioni si presentano a qualcuno che deve accettarle. Non è il caso del Papa. Quindi abbiamo fatto: “Il Papa lascia il Pontificato” e siamo riuscite a mettere anche la data in cui sarebbe cominciata la Sede vacante secondo le intenzioni di Benedetto XVI, dal 28 febbraio. Il flash è andato in rete immediatamente, per la precisione alle 11.46, mentre ero al telefono con padre Lombardi che mi aveva richiamato. Gli ho chiesto se avessi capito bene. Non dimenticherò mai la sua voce tranquillissima, il tono sereno: “Sì, hai capito benissimo”. E quel suo modo di rispondermi mi ha totalmente pacificato».

Uno grande scoop, insomma. «Senza dubbio uno scoop. Siamo stati i primissimi al mondo».

Quando ha visto battere il flash, lei cosa ha provato? «Lo ammetto, sono scoppiata a piangere. La tensione... lo stress che lascio immaginare, cominciato quando avevo intuito l’atmosfera, vedendo il Papa restare finito il Concistoro. Padre Lombardi aveva annunciato un briefing urgente in Sala stampa per le 13. In pochi minuti sono arrivati tutti. Il flash aveva fatto il giro del mondo».

E dopo il pianto liberatorio? «Un po’ di incredulità. Io avevo fatto il mio lavoro non in un angolo nascosto ma, lo ripeto, nel mio box. E anche a voce altissima in alcuni momenti. Quindi gli altri avrebbero potuto capire, intuire, che c’era qualcosa di strano. Ma non è andata così. Sono sincera: finita l’emergenza, ho provato anche un po’ di orgoglio. Non personale, ma come italiana e come ex studentessa di materie classiche. Una dimostrazione che noi italiani siamo in grado di dimostrare che non siamo da meno degli altri anche facendo forza su quel tipo di studi e dopo una vita di lavoro. Una bella soddisfazione, lo riconosco».

La commozione era legata anche all’addio di Benedetto XVI? «È un Papa che ho amato molto, anche se gli inizi furono difficili. Venivamo dal papato di Giovanni Paolo II che era professionalmente semplice da seguire, con i suoi testi si trovava sempre qualcosa da raccontare, poi c’erano le tappe della sua malattia. Ratzinger ai miei occhi era il Cardinale che aveva tagliato le gambe alla Teologia della Liberazione, che aveva osteggiato duramente un teologo come Hans Kung. Io da giovane ho frequentato il Centro Astalli di Roma dei Padri Gesuiti, un mondo diverso. All’inizio giornalisticamente si faticava molto, con lui, ricavando ben poco. Poi ho cambiato idea».

Perché ha cambiato idea su Ratzinger? «Perché seguivo i suoi discorsi spesso fatti a braccio. Un livello umano e intellettuale meraviglioso, soprattutto quando affrontava temi teologici».

Domanda inevitabile, visto che parliamo di lui: lei crede o no alla versione di Ratzinger sugli abusi di Monaco e sulla ormai famosa riunione del 15 gennaio 1980? Cioè che lui avrebbe partecipato ma che, in quella sede, non vennero esaminati alcuni singoli casi... «Io credo a Benedetto. Da sempre si è battuto contro gli abusi sessuali nella Chiesa, è stato rigorosissimo, vicino alle vittime. Escludo si possa diventare bugiardi da un momento all’altro».

E quando arrivò Bergoglio? «Ricordo che il mio commento fu: “Per fortuna non è italiano”. Credo di averlo gridato. Avevo le mie ragioni e non penso di aver sbagliato. La mia formazione ignaziana mi ha aiutato e mi sta aiutando a capire il pontificato di Francesco».

Conoscere il latino è stata una grande occasione. Lei suggerirebbe a un genitore di iscrivere un figlio al classico? «Senza esitazione. In tanti mi hanno telefonato dicendo, in quei giorni: “Ho convinto mio figlio o mia figlia a iscriversi al classico raccontando la tua storia”. Che è anche finita in un saggio sul “Romanische forschunger”, prestigiosa rivista tedesca di studi sulle lingue romanze, dedicato al latino come strumento dell’emancipazione femminile nei secoli».

Nel suo blog giovannachirri.it c’è una sua dettagliata biografia, oltre alle sue note di attualità. C’è un passaggio pubblico ma molto doloroso: «Dall’82 sono sposata con Mimmo, compagno di liceo, di attività politica e poi di università. Abbiamo tre figli: Luca è con noi, mentre Flavia e Marco ci aspettano in cielo». «Abbiamo perso Marco all’ottavo mese di gravidanza. Flavia è rimasta vittima di un incidente stradale negli Stati Uniti nel 2011, a 17 anni, mentre studiava lì. È morta con tutta la famiglia che la ospitava. Sono profondamente convinta che ci riuniremo tutti insieme e che loro siano stati accolti in cielo dai nonni».

E oggi qual è la sua vita? «Sono prepensionata, una condizione non facile da affrontare dopo lunghi anni di lavoro appassionante. Ora ho il mio blog e una piccola collaborazione che mi consente di mantenere l’accredito in Sala stampa in Vaticano. Difficile interrompere col mio mondo, dopo una vita».

Anticipazione da “Gente” il 17 febbraio 2022.

Le straordinarie immagini che pubblichiamo in questo numero di Gente testimoniano la solitudine e la fragilità del Papa emerito, oltre che la cura e la dedizione del segretario nei suoi confronti. 

Monsignor Georg, che ha difeso Ratzinger con forza e parole durissime dall’attacco della Chiesa tedesca sul tema della pedofilia, evocando «una corrente che vuole proprio distruggerne la persona e l’operato». 

Padre Georg spinge con delicatezza la carrozzina di Benedetto XVI verso il tiepido sole romano dei giorni scorsi, all’esterno del monastero Mater Ecclesiae, costruito all’inizio degli anni Novanta dentro i Giardini Vaticani, dimora per entrambi dal 2 maggio del 2013.

La figura di Benedetto XVI è gracile, avvolta in una coperta bianca. Il capo è protetto da un cappello, il volto smunto, lo sguardo stanco e distaccato, posato lontano. Gänswein, che formalmente è ancora prefetto della Casa Pontificia pur risultando assente alle udienze di Francesco da ormai due anni, si china spesso su di lui: una premura, forse, per evitare al Papa emerito lo sforzo di sollevare la sua ormai flebile voce.

Ratzinger: «Questa è l’epoca in cui i pontefici sono sotto attacco. Come gli apostoli». Joseph Ratzinger Benedetto XVI su Il Corriere della Sera il 24 Febbraio 2022.

Pubblichiamo ampi stralci di un’omelia inedita pronunciata da Joseph Ratzinger il 10 luglio 1977 in occasione della «Domenica del Papa», dedicata a Paolo VI. Ratzinger, da pochi mesi arcivescovo di Monaco, parla del «sentimento antiromano» che in Germania «ha alle spalle una tradizione lunga e profondamente radicata», tanto che «anche fra i cattolici la parola “romano” in larga parte si è trasformata in un insulto». Il testo è compreso nel volume VIII/1 dell’Opera omnia di Joseph Ratzinger-Benedetto XVI, in uscita presso la Libreria Editrice Vaticana.

L’Eucarestia come centro della Chiesa

Come possono coesistere l’unicità di Cristo e il Papa come centro visibile dell’unità della Chiesa? Forse non c’è miglior modo di vederlo che nell’Eucaristia, la preghiera fondamentale della Chiesa, nella quale non solo si esprime ma si realizza giorno per giorno il cuore della vita di essa. L’Eucaristia al fondo ha a che fare solo con Cristo (...) In essa è continuamente presente e vero ciò che dice l’Epistola di oggi: Cristo è il capo della Chiesa che egli acquista mediante il suo sangue. Allo stesso tempo, in ogni celebrazione eucaristica, seguendo un’antichissima tradizione, diciamo: noi celebriamo in unione con il nostro papa Paolo. Cristo si dà nell’Eucaristia ed è tutto in ogni luogo, per questo tutto il mistero della Chiesa è presente ovunque venga celebrata l’Eucaristia. Ma Cristo in ogni luogo è anche un’unica persona e per questo non lo si può ricevere contro gli altri né senza gli altri. Proprio perché nell’Eucaristia c’è Cristo tutto intero, l’indiviso e indivisibile Cristo, proprio per questo l’Eucaristia può essere autentica solo se essa è celebrata con tutta la Chiesa. Abbiamo Cristo solo se lo abbiamo insieme con gli altri. Appunto perché nell’Eucaristia si tratta solo di Cristo, essa è il sacramento della Chiesa. E per questa stessa ragione essa può essere accostata solo nell’unità con tutta la Chiesa e con la sua autorità. Per questo la preghiera per il papa fa parte del Canone eucaristico, della celebrazione eucaristica. La comunione con lui è la comunione con il tutto, senza la quale non vi è comunione con Cristo.(...)

Le accuse dei tradizionalisti

Oggi assistiamo al fatto curioso e inatteso che si volgono contro il Papa proprio quelli che fino a vent’anni fa erano gli appassionati seguaci del papato; e che l’unità con il papa è minacciata più gravemente da coloro che fino a poco tempo fa di essa erano i più convinti alfieri. Ricevo giornalmente lettere che lamentano la distruzione della liturgia, che vedono nelle riforme del Concilio la distruzione della Chiesa. In esse a volte mi commuove il tono di una sofferenza intrisa di fede profonda per la Chiesa e con la Chiesa, l’accusa che nasce da un amore tradito; ma non di rado mi scuote profondamente anche il tono di presunzione e di odio che da esse trasuda. È vero che nei discussi anni successivi al Concilio c’è stata una iattanza che non ricercava più la fede della Chiesa, ma solo ciò che era di proprio gradimento. È vero che spesso la liturgia, il santo dono del Signore a tutta la Chiesa, non di rado è stata trasformata in laboratorio per sperimentare proprie idee. Ma non è vero che la Chiesa ha smesso di essere cattolica. Nulla di autenticamente cattolico, nulla di autenticamente conforme alla fede ha perso il suo posto nella Chiesa e tutti noi dovremo impegnarci perché questo sia percepibile da chiunque. Con la divisione non si ottiene nulla (...)

La sofferenza di Paolo VI

Dal tempo di Pio IX nessun altro papa è stato attaccato, nessun altro papa è stato sotto la Croce quanto Paolo VI. Una volta, a un grande fautore evangelico dell’ecumenismo, egli disse che la cosa più grande che poteva avvenire oggi per l’unità della Chiesa era patire per questa unità e che oggi c’era la nuova ecumene di coloro che patiscono per l’unità. Ma proprio così il Papa si pone nella sequela degli Apostoli: Pietro, che venne crocifisso a testa in giù, Paolo, che di sé disse che nel mondo gli Apostoli sarebbero diventati come spazzatura, ai quali tutti sputano in faccia.

L’indistruttibilità del Papato

Forse possiamo comprendere meglio e con maggiore profondità la natura indistruttibile del papato in un tempo di critica al papa, più che in un tempo di entusiasmo per il papa. Celebriamo la Santa Eucaristia «in unione con il nostro Papa Paolo». È un ringraziamento a lui perché svolge il suo ufficio nel nostro tempo nella forza del Signore. È una preghiera per lui, affinché il Signore lo sostenga come ha sostenuto Pietro che stava annegando. Ed è un appello a noi a cercare il Signore non altrimenti che nella Chiesa visibile: lì dove è Pietro.

Benedetto XVI, il Papa-teologo. Andrea Muratore su Inside Over il 20 febbraio 2022.  

Benedetto XVI è una figura a suo modo unica nella storia della Chiesa e un personaggio cruciale per l’era presente. Primo Papa a dimettersi dai tempi medievali, primo pontefice “emerito” della storia della Chiesa, stratega della Chiesa globale di Giovanni Paolo II da cardinale e grande difensore della tradizione cattolica da pontefice, teologo studioso della figura di Gesù e della presenza di Dio nella storia prima dell’ascesa nella gerarchia episcopale prima, pontefice controcorrente proprio perchè conservatore poi, Ratzinger è difficilmente inquadrabile in precise coordinate politico-religiose.

A quasi 95 anni Joseph Ratzinger, nato il 14 aprile 1927 a Marktl, nel cuore cattolico tedesco della Baviera, parla e fa ancora parlare di sé. Dai tentativi di strumentalizzazione della sua figura contro Papa Francesco agli assalti della Chiesa “scissionista” del suo Paese natale, Benedetto XVI è spesso salito alla ribalta delle cronache suo malgrado. Ma dal profondo silenzio in cui si è ritirato dopo le dimissioni dal soglio pontificio nel 2013 ha continuato a far sentire il suo pensiero con pochi, mirati scritti, condensato di una cultura profonda e perennemente stimolata dalla curiosità.

Il teologo del Concilio Vaticano II

Figlio di una famiglia profondamente cattolica, Ratzinger si avviò fin da giovane alla carriera ecclesiastica. Dopo una fugace esperienza da giovane coscritto negli ultimi giorni della seconda guerra mondiale, che non lo vide mai coinvolto in scontri a fuoco nell’ultima ora della Wehrmacht, nel 1946 s’iscrisse all’Istituto superiore di filosofia e teologia di Frisinga, ove studiò filosofia e teologia cattolica, ma ben presto, nel 1947, decise di prendere i voti e si trasferì nel seminario Herzogliches Georgianum di Monaco di Baviera, un seminario interdiocesano dove confluivano tutti i candidati al sacerdozio della Baviera, e continuò gli studi di filosofia e teologia presso l’Università Ludwig Maximilian di Monaco.

Il 29 giugno 1951 fu ordinato sacerdote assieme al fratello maggiore Georg e due anni dopo discusse una tesi sul concetto del rapporto tra popolo e Dio nel pensiero di Sant’Agostino, la cui profonda teologia sociale sarebbe stata una sua guida per il resto della carriera. Agostino, ha scritto Gianni Valente in Ratzinger professore, è un modello per Ratzinger, quasi un paradigma della sua esperienza umana. Da Papa lo ha indicato come “un buon “compagno di viaggio” nella mia vita e nel mio ministero”, dichiarando di stimare la  sua “teologia molto personale”, la sua volontà di cercare il disegno di Dio nella storia e negli eventi umani. E non a caso Ratzinger avrebbe sempre studiato, con grande attenzione, il segno di Dio nella ricerca scientifica (celebri i suoi studi di Bohr, Heisenberg e dei grandi padri della fisica quantistica), nel dialogo con il mondo extra-religioso, nel confronto con la società civile.

Ratzinger, secondo il segretario particolare monsignor Georg Gänswein, ha sempre identificato sé stesso nella definizione agostiniana di “grande bambino di Dio” che, “con una mitezza disarmata”, come sant’Agostino, “appassionatamente anela di giungere finalmente a quel “sempre” di cui si dice nel Salmo 105: “Cercate sempre il suo volto”.

Filosofia, religione, cultura: il pensiero di Ratzinger, acuto e pungente, gli permise di apparire come un innovatore in una Chiesa che marciava verso il Concilio Vaticano II, tanto che il modernismo che avrebbe in futuro molto avversato fu, da diversi suoi critici, indicato come la sua ideologia di riferimento. Le migliori facoltà di studi teologici si contendevano il giovane teologo bavarese, che nel maggio 1957 ottenne la cattedra di teologia fondamentale presso l’Università di Monaco e sette mesi dopo iniziò a insegnare teologia dogmatica e fondamentale presso l’Istituto superiore di teologia e filosofia di Frisinga. Divenne professore all’Università di Bonn nel 1959 e la sua lezione inaugurale fu su Il Dio della fede e il Dio della filosofia. Nel 1963 si trasferì all’Università di Münster e sei anni dopo, nel 1969, tornò in Baviera, chiamato dall’Università di Ratisbona.

La fama per Ratzinger venne anche grazie al suo ruolo di consulente del Concilio Vaticano II, che lo portò a sviluppare “un pensiero che parte da tutta la vastità della Tradizione cristiana, e in base a essa cerca di descrivere la costante ampiezza delle possibilità ecclesiali”, presentando la Chiesa come corpo vivo nella storia, capace di adattarsi al mondo.

Ratzinger, ha ricordato La Stampa, ha vissuto il serrato tourbillon di “iniziative, sessioni di lavoro, brainstorming e elaborazioni di documenti a stretto contatto coi più grandi pensatori del mondo cattolico del XX Secolo, da Congar a Rahner, da Frings a Volk, da De Lubac a Danièlou”. Da cardinale Prefetto dell’ex Sant’Uffizio ha legato il suo nome al Catechismo della Chiesa cattolica, pubblicato nel 1992 per riproporre in maniera sistematica il depositum fidei alla luce del Vaticano II. Da Papa ha provato a risanare lo scisma coi tradizionalisti lefebvriani, esponendosi alle accuse di aver aperto alla Chiesa dell’anticoncilio” che non trova riscontro nella realtà dei fatti.

Lo stratega di Giovanni Paolo II

Nel marzo 1977 Papa Paolo VI nominò Ratzinger arcivescovo di Monaco e pochi mesi dopo, a giugno, lo scelse per entrare a far parte del collegio cardinalizio definendolo “un insigne maestro di teologia”.

Nel 1978 fu tra i cardinali che promossero l’elezione al soglio pontificio di Giovanni Paolo II, il quale tre anni dopo lo chiamò a Roma, costituendo il sodalizio che fino al 2005 avrebbe retto la Chiesa cattolica: Ratzinger fu il vero stratega del pontificato globale di Papa Giovanni Paolo II, ne curò l’attento bilanciamento tra chiara posizione dottrinale e vocazione universale, ne strutturò la posizione anticomunista senza fargli perdere la vocazione sociale, ne guidò la dinamicità nell’era post-conciliare. Dal 1981 Ratzinger fu prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, presidente della Pontificia commissione biblica e della Commissione teologica internazionale. Da cardinale è stato ritenuto una personalità illuminata che aveva permesso l’ingresso di ricercatori, giornalisti, storici e teologi nella sua congregazione, concedendo loro l’accesso anche all’Archivio della Congregazione della Dottrina della Fede. Il 22 gennaio 1998, ad esempio, la congregazione guidata da Ratzinger rese disponibili tutti i documenti della Santa Inquisizione precedenti alla morte di papa Leone XIII nel 1903.

Sempre più centrale nella visione del pontificato, Ratzinger divenne sempre più intimo del papa polacco mano a mano che le condizioni di salute di Giovanni Paolo II si aggravavano. Nell’aprile del 2005, poche settimane prima della sua morte, lo sostituì nelle cerimonie del Venerdì Santo e, in seguito alla sua scomparsa, il 19 aprile 2005 fu eletto papa. Scelse come nome Benedetto XVI. 

Un pontificato storico

Benedetto XVI resse la Chiesa per otto anni tra la morte del carismatico Giovanni Paolo II e l’ascesa di Papa Francesco. Associata soprattutto alle sue dimissioni del febbraio 2013, la portata storica del pontificato di Ratzinger è stata in realtà ben più articolata.

Il pontificato ratzingeriano è stato quello che ha inaugurato una vera e propria battaglia alla pedofilia: Benedetto XVI ha inasprito tutte le norme canoniche in tema di pedofilia, raddoppiando la prescrizione (da dieci anni a venti) e consentendo così di punire casi vecchi di decenni, anche quando per le leggi civili non erano più giudicabili. Inoltre, è stato il Papa che ha ridotto allo stato laicale i colpevoli in presenza di prove evidenti.

Benedetto XVI ha voluto ricomporre lo scisma post-conciliare; ha portato in campo un dialogo a tutto campo con le grandi potenze del pianeta, come gli Stati Uniti e la Russia; ha alzato l’asticella dei valori non negoziabili per la teologia cattolica.

Benedetto XVI è stato il primo pontefice a introdurre una teologia ambientale anticipando Francesco e ha avanzato una serie di letture critiche dell’ideologia neoliberista che ha amplificato la forza della critica di Giovanni Paolo II. Ratzinger condannò a suo tempo il comunismo definendo l’Unione Sovietica “una vergogna dei nostri tempi”, ma dopo l’ascesa al soglio pontificio ha invitato a coordinare il libero mercato con il senso di responsabilità dell’uno verso l’altro.

Convinto assertore del rapporto dialettico necessario tra Fede e Ragione, si è sottolineato su “Osservatorio Globalizzazione”, “Benedetto XVI ha indicato sempre nell’uomo il fine dell’azione evangelizzatrice e del ragionamento della dottrina sociale della Chiesa”. Summa di questa complessa visione “è l’enciclica Caritas in veritate, pubblicata nel 2009, definibile senza alcuna remora una delle opere più fondamentali per l’evoluzione del pensiero economico nel XXI secolo. L’enciclica, “erede della Popolorum progressio di Paolo VI e della grande produzione sociale di Giovanni Paolo II, teorizza il rifiuto dell’accumulazione capitalistica” compiuta riducendo lo spazio d’azione dell’uomo e la sua autonomia. Ribadisce la centralità del lavoro, difende l’economia civile fondata su dono e gratuità come antitesi a quella puramente competitiva dell’era neoliberista. Mario Draghi, ai tempi governatore della Banca d’Italia, commentò per l’Osservatore Romano il lavoro di Ratzinger sottolineando come il portato principale dell’enciclica fosse la presa di consapevolezza del fatto che ogni decisione economica ha conseguenze di carattere morale.

Secondo lo storico ed economista Giulio Sapelli “la Caritas in veritate indica che ci può essere una formazione economico-sociale oltre al capitalismo”, esaltando la pluralità delle forme di organizzazione, dall’impresa sociale alla cooperazione. L’accademico torinese ha ricordato il contributo essenziale dato da Ratzinger al pensiero economico, dato che dall’alto del suo ruolo pontificale Benedetto XVI “ha denunciato la finanza fine a se stessa, la speculazione, la disoccupazione. La Caritas in veritate è animata da un vero e proprio atto d’accusa contro l’accumulazione capitalistica e il profitto fine a sè stesso”.

Per Ratzinger lo sviluppo non si può ridurre alla mera crescita economica e, affinché ci possa essere autenticità esso deve essere integrale, volto alla promozione di ogni uomo e di tutto l’uomo. “Ciò che conta per noi è l’uomo, ogni uomo, ogni gruppo d’uomini, fino a comprendere l’umanità intera”, scrive Ratzinger rifiutando la dottrina individualista del neoliberismo e indicando la strada dell’identificazione di una doppia radice, antropologica e teologica, nella risposta ai problemi globali.

In sostanza, il progetto principale del pontificato di Benedetto XVI è stato il recupero dell’ancoraggio della Chiesa cattolica alla cultura occidentale e di un concetto integrato di ragione umana. John Waters ha scritto su Il Foglio parole importanti sulla grande inattualità di Ratzinger, “preoccupato dalla possibilità che l’Occidente cadesse in un nuovo periodo buio proveniente dai laboratori scientifici, dai media mendaci, dalla perversione dell’istruzione universitaria, dalla corruzione della democrazia parlamentare, dalla crescita insidiosa dell’influenza ideologica delle Nazioni Unite – tutti quei pilastri della dittatura del relativismo” da lui più volte denunciati. Inattualità, quella ratzingeriana, tale da rendere quasi rivoluzionari alcuni suoi discorsi, come quello pronunciato nel 2012 sul diritto a non emigrare, che gettava una luce importante sul ruolo dell’Occidente nel causare l’emigrazione di massa dall’Africa attraverso politiche incapaci di liberarla dalla trappola del sottosviluppo.”

Anche dopo il suo ritiro quasi monacale dopo le dimissioni dal pontificato, “benedettino” nel senso primigenio del termine, Ratzinger non ha smesso di produrre scritti e pensieri sui temi di sua attenzione. Fornendo dall’esterno sostegno alla marcia della Chiesa nell’era Bergoglio e scansando ogni tentativo tardo-reazionario di contrapporlo a Francesco. Soprattutto, continuando nell’inesauribile dialogo tra fede e ragione che lo ha ispirato per tutta la vita, con la curiosità del bambino degli scritti di Sant’Agostino in perenne ricerca del senso più profondo dell’esistenza.

Ratzinger si ispirò al diritto dei principi tedeschi per il sistema antiusurpazione munus/ministerium. Andrea Cionci su Libero Quotidiano il 14 febbraio 2022

Andrea Cionci

Storico dell'arte, giornalista e scrittore, si occupa di storia, archeologia e religione. Cultore di opera lirica, ideatore del metodo “Mimerito” sperimentato dal Miur e promotore del progetto di risonanza internazionale “Plinio”, è stato reporter dall'Afghanistan e dall'Himalaya. Ha appena pubblicato il romanzo "Eugénie" (Bibliotheka). Ricercatore del bello, del sano e del vero – per quanto scomodi - vive una relazione complicata con l'Italia che ama alla follia sebbene, non di rado, gli spezzi il cuore

Quasi un anno fa, avevamo avanzato  l’ipotesi che il cosiddetto “Piano B” canonico fosse stato preparato – secondo un sistema “a specchio” - almeno 40 anni fa dal card. Ratzinger in accordo con papa Giovanni Paolo II. Oggi scopriamo che ci avevamo azzeccato: la conferma ci arriva da uno dei quattro/cinque studiosi esistenti al mondo di DIRITTO DINASTICO UNIVERSALE: Benedetto XVI importò nel diritto canonico della Chiesa la fondamentale dicotomia munus/ministerium traendola dal DIRITTO DINASTICO DEI PRINCIPI TEDESCHI (il cosiddetto Fürstenrecht). Un eccellente sistema antiusurpazione.

Prima di allora, per rinunciare al pontificato, bastava che il papa rinunciasse all’ufficio papale.

Dal 1983, il card. Ratzinger e papa Wojtyla apportarono uno strano cambiamento al diritto canonico.: l’ufficio papale venne suddiviso in due enti, il munus (titolo divino) e il ministerium (esercizio del potere). Rinunciando a questo o a quello, si configurano due situazioni speculari e radicalmente diverse. Se il papa rinuncia in modo simultaneo e ratificato al munus, c’è la sua ABDICAZIONE (canone 332.2). Se rinuncia in modo differito e non ratificato al ministerium (come ha fatto Benedetto XVI) si ricade nella SEDE IMPEDITA (canone 412), dove il Papa è prigioniero, confinato, non libero di esprimersi, ma resta Papa a tutti gli effetti.

Tra munus e ministerium non c’è transitività: un papa può essere privato forzatamente del potere pratico (ministerium), magari da un golpe o da nemici esterni, ma resta sempre papa, mentre chi detiene solo il potere pratico papale, non acquisisce automaticamente il munus, il titolo di papa.

Un sistema A SPECCHIO dove c’è un soggetto, il munus, che ha come suo “riflesso” il ministerium, ma dove il secondo non può sussistere legalmente senza il primo.

Secondo il nostro precedente articolo l’ispirazione “mistica”, diciamo, fu dovuta al Terzo Segreto di Fatima, dove si legge, appunto di un vescovo vestito di bianco visto allo specchio. QUI

Ma oggi scopriamo che tale distinzione fra titolo e funzioni proviene inequivocabilmente dal diritto dinastico dei principi tedeschi (e non solo), che Joseph Ratzinger, soprattutto come bavarese, non poteva non conoscere. Nel ‘600, infatti, dopo l’usurpazione del trono inglese (1558) da parte della protestante Elisabetta I (figlia di Enrico VIII) ai danni della cattolica Maria Stuart, (legittima erede al trono), in Europa si corse ai ripari codificando una distinzione fra il titolo dinastico e la possibilità di esercitare il potere.

Così, nell'800 soprattutto, abbiamo diverse rinunce al munus sottoscritte da vari arciduchi della famiglia imperiale austriaca oppure, parzialmente, ad alcuni diritti dinastici.

Al contrario, dopo la Grande Guerra, l’imperatore asburgico Carlo I non rinunciò mai al suo munus e fu esiliato, per privarlo fattualmente anche del suo potere pratico, ossia il suo ministerium.

Qualcosa del genere (vedasi approfondimento) avvenne anche per la Monarchia italiana, dato che nemmeno Umberto II di Savoia rinunciò al munus. Tra questi vari esempi, fra Austria e Italia, Joseph Ratzinger non poteva non conoscere tale sistema antiusurpazione e, secondo il nostro studioso, prudentemente, consigliò a Giovanni Paolo II di introdurlo nel diritto canonico, con gli effetti che oggi conosciamo. Infatti, Benedetto XVI resta oggi l’unico papa legittimo, quello “emerito”, una qualifica puramente nominale (non giuridica) dal verbo latino emereo che specifica quale sia, fra i due biancovestiti, colui che “ha diritto”, che “merita” di essere papa. Per questo, papa Benedetto ripete da otto anni “Il papa è uno solo”, senza mai spiegare quale sia. QUI Ma tutti fanno finta di niente. Non importa: i nodi verranno comunque al pettine.

Ad illuminarci su questa fondamentale e delicata questione è Andrea Borella: come dicevamo, uno dei pochissimi studiosi al mondo di diritto dinastico, araldista, genealogista, curatore e direttore, da oltre 20 anni, del prestigioso “Annuario della Nobiltà italiana” QUI (periodico che, all’incirca ogni tre-quattro anni, viene pubblicato ed aggiornato in enormi volumi meticolosamente compilati), nonché direttore e fondatore di altri repertori dedicati alle famiglie reali e aristocratiche nel mondo, oltreché docente di diritto dinastico e successoriale, di araldica ed araldica ecclesiastica, per vari anni, in un master di perfezionamento post universitario presso una università pontificia. La prima parte dei volumi da lui diretti è proprio dedicata al diritto dinastico delle Case Reali già sovrane negli antichi stati italiani, unico caso al mondo.

Per chi volesse approfondire, ecco la spiegazione “tecnica” gentilmente offerta dallo studioso.

“Nella vostra inchiesta avete colto nel segno: nell’ambito delle Case Reali, sovrane o deposte, e specialmente in ambito tedesco, ossia nel “diritto principesco” com’è chiamato nei paesi di lingua tedesca, esiste tale dualismo tra titolo ed esercizio del potere: esso è ben noto da secoli. Nelle Case Principesche si può rinunciare al Trono o all'esercizio dei diritti politici restando però membri di una Casa Reale e detenendo talvolta (dipende dalle dinastie, che hanno ciascuna un proprio diritto dinastico) il titolo regale o i diritti dinastici. Tale branca del diritto si chiama appunto, in tedesco, "Fürstenrecht", cioè “Diritto dei principi”. Tale distinzione esiste, nei fatti, dai tempi più antichi, esattamente come avveniva nel caso della figura del Papa, che è sovrano di una Monarchia assoluta teocratica elettiva, una forma di governo di per sé rarissima.

Le origini e gli scopi

La suddivisione tra munus e ministerium, e la precisazione dei diritti dinastici con quelli politici di successione al Trono, venne codificata, in ambito tedesco, poco prima del ‘600: erano tutti preoccupati dall’usurpazione del trono inglese da parte della protestante Elisabetta I, figlia illegittima di Enrico VIII, ai danni della cattolica Maria Stuart, Regina deposta di Scozia (poi giustiziata) di mezzo secolo prima, ed erano soprattutto spaventati della possibile ripresa dei devastanti - e sanguinosissimi - scontri militari, politici, civili che si susseguirono dopo la spaccatura confessionale avvenuta a seguito della Riforma protestante (1517-1555) e dello Scisma anglicano (1534).

E’ da ricordare come le Case Reali sono sovente imparentate fra loro e, talvolta, eredi l’una dell’altra in caso di estinzione di una Casa, specie in ambito tedesco: ciò è quanto prevedevano le primitive leggi dinastiche, non codificate, adottate di fatto dalle Case Reali prima della riforma protestante.

Con la divisione tra Case reali rimaste nella fede cattolica romana e quelle divenute protestanti fu necessario impedire che una Casa reale cattolica potesse diventare erede di un trono protestante, e viceversa. Sempre nel medesimo periodo si rese altresì necessario distinguere fra il diritto ad essere Capo della Casa principesca, ossia reale, e il diritto a governare. In altre parole, si specificarono e fissarono i concetti di munus e di ministerium, stesso concetto ripreso da Ratzinger e codificato per iscritto nel nuovo Codice di Diritto Canonico quattrocento anni dopo per la successione al Trono petrino.

Ad ogni buon conto, la codificazione delle leggi dinastiche in forma scritta, la suddivisione e la precisazione dei concetti di munus e di ministerium è sempre avvenuta in PERIODI DI CRISI O DI TIMORE DI DANNI IRREPARABILI PER LA DINASTIA e, quindi, per la successione al Trono: come mostra la storia delle Case Reali imbrigliare i poteri di monarchi assoluti in Codici o Leggi Dinastiche risponde sempre all’esigenza di evitare un GRAVE PERICOLO IMMINENTE o ragionevolmente temibile per il futuro.

Tra lingua latina e tedesca

Non deve meravigliare perciò la mossa del 1983 di Ratzinger, vera anima di questa riforma del diritto canonico, riforma anche inerente proprio l’elezione del Papa e la dualità dei diritti residenti in tale Figura. Ratzinger è una mente limpida accesa da un’intelligenza fuori dal comune, che ebbe chiaro pensiero e saggio agire nel voler prevedere questo quasi quaranta anni fa.

Peraltro, anche in molti documenti dinastici tedeschi, si usa il LATINO perché è l’unica lingua che NON AMMETTE FRAINTENDIMENTI nei costrutti giuridico-teorici astratti e che, come precisione, viene subito prima dello stesso tedesco, concetti giuridici che, in altre lingue - - possono essere tradotti approssimativamente e con difficoltà, sovente, solo grazie a lunghe perifrasi. Viceversa, il latino e il tedesco sono lingue padroneggiate perfettamente da Ratzinger, bavarese di nascita, latinista per studi.

Un sistema “a specchio”

Nella persona del Papa risiede normalmente sia il munus che il ministerium, ossia si tratta di figura o persona composita, esattamente come quella di un qualunque sovrano che sia anche capo della sua Dinastia: una persona, apparentemente senza potere, è in realtà la più forte poiché da questa dipende quella che esercita il potere temporale. Eccezionalmente questi poteri, o podestà particolarissime, possono essere però separate (come nel caso di un’usurpazione).

E’ in effetti un sistema a specchio, come avete individuato. Per fare una similitudine: il detentore del munus nel caso del Papa, che si palesa con il titolo di Vicario di Cristo, è la fiamma ardente della lampada nascosta dietro un angolo, celata alla vista diretta, sconosciuta ai più, l’altra, il ministerium, è la luce della fiamma originale che si riflette, attenuata, in uno specchio posto in altro luogo: tale riflesso è ben visibile e spande la luce, benché in modo meno brillante.

La seconda fiamma, meno fulgida ancorché luminosa ed illuminante, frutto della rifrazione dello specchio, non può dare luce senza la prima ed anzi, senza di essa, neppure esisterebbe: è solo una immagine creata dallo specchio, ossia dalle leggi civili (temporali) e non direttamente dalla fiamma della lampada che è la sua causa, la sua origine vera.   

Tutto quanto ho detto – conclude Borella – dimostra ancora una volta la superiore, eccezionale capacità  dispiegata, quale finissimo giurista, dall’allora Cardinale Ratzinger, nel prevedere fatti ed eventi e nell’adattare, alla peculiarissima natura del Trono Petrino, una variante dei vari diritti dinastici e successoriali elaborato per i Troni laici nei secoli passati.

Alcuni esempi storici in area germanica

A tal proposito, abbiamo l’esempio della casa dei Re di Baviera, già duchi sovrani di Baviera: dopo l’annessione alla Germania, i Wittelsbach decisero di rinunciare al loro munus, cioè alle loro pretese al trono, tanto che oggi vivono ancora in Baviera, ricchissimi e indisturbati. Ludovico III di Baviera, ultimo sovrano regnante in Baviera, fu il primo dei monarchi tedeschi a venire ufficialmente destituito: il 12 novembre 1918 il re rinunciava per iscritto ufficialmente a tutte le sue prerogative statali, civili e militari restando però Capo della Dinastia. Altre case principesche tedesche, invece, si sentirono usurpate nel loro “ministerium” dall’unificazione bismarckiana e degli eventi avvenuti in Germania dopo il 1918: non tutti i prìncipi vollero firmare le rinunce, non accettarono mai di smettere di pretendere alle loro prerogative dinastiche (munus) e di pretesa al Trono (ministerium).   

Basti ricordare, ad esempio, il caso dell’imperatore (beato) Carlo I d’Asburgo: nel 1919 egli giammai abdicò,  mai rinunciò al suo “munus”: dovette solo rinunciare – obtorto collo e solo di fatto – al diritto a governare ed anche per questo fu mandato in esilio, ove morì: a lui venne persino negata (anche se non ce ne sarebbe stato bisogno)  la facoltà di rinunciare alle sue pretese al Trono.

Peraltro è ormai fatto accettato dalla maggioranza degli storici che la sua firma in calce al documento di abdicazione, peraltro mostrato non in forma canonica né autentica, fu falsificata e fu sempre disconosciuto pubblicamente da Carlo I: basterebbe, del resto, osservare il comportamento dell’Imperatore esiliato per sincerarsene.

Il sistema dinastico anti-usurpazione, germanico e non, faceva in modo che se qualcuno avesse esercitato il potere senza averne diritti dinastici sarebbe divenuto di fatto un usurpatore o un dittatore. Era così efficace che la neonata Repubblica austriaca, uno degli stati successori della disciolta monarchia dell’Austria-Ungheria dovette inserire una apposita legge, la cosiddetta “Legge Asburgo” (3 aprile 1919) nella sua Costituzione: tale legge, per una sua maggiore efficacia, nella sua applicazione incorporava concetti propri del diritto dinastico asburgico allo scopo di eliminare qualsiasi pretendente al trono e quindi il pericolo di una restaurazione monarchica: tale legge, benché quasi del tutto inapplicabile, è tuttora in vigore nella Repubblica Austriaca e prevedeva, tra le altre cose, l’esilio per gli arciduchi (principi) non rinunciatari alle pretese politiche e dinastiche.

Inoltre è appena il caso di ricordare che le leggi dinastiche, essendo leggi interne alla Casa e non dello Stato, operano a prescindere dal periodo di regno o meno di una Casa Reale: esse presentano molte particolarità che ricordano da vicino l’attuale situazione del Trono Petrino.

Il caso nella Monarchia italiana

Re Umberto II, ultimo monarca d’Italia, andò in esilio: Sua Maestà il Re Umberto non rinunciò mai né al munus (titolo di Capo della Casa) né al ministerium (governo), rinunciando spontaneamente alla guida della Nazione italiana per favorire la pacificazione nazionale. Morì quindi da Re, in esilio, spodestato dal suo Trono, nella pienezza del suo munus e con l’impedimento al suo ministerium, mai riconoscendo la Repubblica. Giorni prima, Umberto II, nel considerare la legittimità della monarchia come forma di regime di una nazione nei confronti del risultato referendario, aveva detto: «La Repubblica si può reggere col 51%, la Monarchia no. La Monarchia non è un partito. È un istituto mistico, irrazionale, capace di suscitare negli uomini incredibile volontà di sacrificio. Deve essere un simbolo caro o non è nulla.» Con queste parole ben si capisce come nella figura laica del Capo della Real Casa risieda anche una Persona mistica, accostabile, per certi aspetti a quella mistica e religiosa del Papa come Sommo pontefice della Chiesa Cattolica.

Prima di ascendere al Trono lo stesso futuro Re Umberto, il 12 aprile 1944, venne nominato dal Re suo padre, Vittorio Emanuele III, luogotenente a liberazione della Capitale avvenuta. Infatti il 5 giugno del 1944 Vittorio Emanuele III nominò il figlio luogotenente generale del Regno, in base agli accordi tra le varie forze politiche che formavano il Comitato di Liberazione Nazionale, e che prevedevano di «congelare» la questione istituzionale fino al termine del conflitto: è una data che segna il passaggio dell’esercizio dei poteri dal re al figlio Umberto, che così esercitò le prerogative del sovrano dal Quirinale, senza tuttavia possedere la dignità di re, con Vittorio Emanuele che rimase a vita privata a Salerno conservandone cioè, per dirla con altre parole, il munus ed il ministerium, anche se quest’ultimo era esercitato, nella pratica, dal figlio, restato principe ereditario, nella sua veste di “Luogotenente del Regno”.

Il 9 maggio 1946 vi fu l’abdicazione di Re Vittorio Emanuele III con la quale egli rinunciò formalmente al titolo di re (ossia al ministerium per dirla in termini canonici), a favore del figlio Umberto II, che già rivestiva il ruolo di luogotenente del regno e che esercitava di fatto il potere per mandato paterno (ossia il ministerium) dal 1944. Re Vittorio Emanuele III non uscì dalla Casa Reale ma assunse, pubblicamente, il titolo di Conte di Pollenzo, andò in esilio in Egitto e detenne, finché visse, il titolo di Capo della Real Casa (ossia il munus), al quale mai rinunciò. 

"Eucharistomen": in Codice Ratzinger il significato del discorso per il 65° di sacerdozio di Benedetto XVI. Andrea Cionci su Libero Quotidiano il 21 febbraio 2022.

Andrea Cionci. Storico dell'arte, giornalista e scrittore, si occupa di storia, archeologia e religione. Cultore di opera lirica, ideatore del metodo “Mimerito” sperimentato dal Miur e promotore del progetto di risonanza internazionale “Plinio”, è stato reporter dall'Afghanistan e dall'Himalaya. Ha appena pubblicato il romanzo "Eugénie" (Bibliotheka). Ricercatore del bello, del sano e del vero – per quanto scomodi - vive una relazione complicata con l'Italia che ama alla follia sebbene, non di rado, gli spezzi il cuore

Se avete seguito la nostra inchiesta, che troverete riordinata in fondo a questo articolo, saprete già che abbiamo “decodificato” TUTTE quelle frasi del Santo Padre Benedetto XVI che – solo apparentemente - sembravano contraddire la ricostruzione della sede impedita, situazione che non è stata smentita NEMMENO DALLO STESSO PONTEFICE quando ci ha onorato di una sua lettera di risposta.

Nel precedente articolo QUI avevamo risposto ad alcune delle ultime e più comuni obiezioni dei lettori, ma ora sembra che tutte le contestazioni si raccolgano su un ultimo nodo da sciogliere: il discorso per il 65° di sacerdozio proferito dal vero papa il 28 giugno 2016 nella Sala Clementina, alla presenza di Bergoglio e dei cardinali QUI

Il problema - stando alle contestazioni - risiederebbe nel fatto che Benedetto XVI si rivolse a Bergoglio chiamandolo “Santo Padre”.

In primis, alcune considerazioni generali: essendo formalmente papa Benedetto in sede impedita e al cospetto del suo impeditore, il fatto che lo abbia chiamato “Santo Padre” non ha alcun valore né canonico, né testimoniale, né indiziario, come non lo avrebbe una persona che, sotto minaccia da parte di un sequestratore, gli si rivolgesse chiamandolo rispettosamente “Signor Padrone”. Peraltro, come abbiamo già visto QUI, il fatto che papa Benedetto XVI si rivolga a Bergoglio con un generico appellativo papale non dimostra nulla, perché egli potrebbe rivolgersi in modo simile all’attuale papa Teodoro II, patriarca d’Alessandria e d’Africa, che è copto-ortodosso e non è né cattolico, né romano.

Ciò che occorre è il suo pronunciamento univoco: “il papa è uno (cioè quello romano) … ed è Francesco”, e questa seconda frase non arriva DA OTTO ANNI.

Ma soprattutto, bisogna capire che Papa Benedetto considera Bergoglio compartecipe del suo “ministero allargato” e cooperatore involontario della Verità; lo abbiamo capito dal discorso di Mons. Gaenswein QUI: “C’è un solo papa legittimo, ma due successori di San Pietro viventi” (ergo, l’altro, Bergoglio, è il papa illegittimo, non si scappa).  E non potrebbe essere altrimenti dato che, come da poco confermatoci dallo studioso di diritto dinastico Andrea Borella QUI, Bergoglio, che esercita il ministerium, il potere pratico, è solo l’immagine allo specchio, un riflesso, del vero papa che conserva il munus petrino, il titolo concesso direttamente da Dio, cioè Benedetto XVI.

In effetti, lo scriviamo da marzo scorso e nessun canonista ha osato smentire, anzi: l’Università di Bologna ha inaugurato pochi giorni fa un gruppo di studio dedicato – guarda caso - al “PAPA EMERITO E AL PAPA IMPEDITO”. (QUI).  . Ma gli studiosi possono prendersela comoda, dato che per colmare questo  “vuoto giuridico” ci vorrà l’autorizzazione del vero papa, Benedetto, quando e se riotterrà il potere pratico.

Il fatto che papa Ratzinger tratti Bergoglio con affettuosa cordialità, va inquadrato in un profondissimo disegno teologico-escatologico che egli stesso illustra di seguito nel suo intervento.

Gesù Cristo insegnava ad “amare i propri nemici”, passò la Sua Ultima Cena con Giuda e accettò da lui il bacio del tradimento senza rimostranze, mite come un agnello sacrificale. E il Suo Vicario certo non può esimersi, è ovvio. Peraltro, in quel ringraziamento del 2016, papa Ratzinger espresse dei concetti teologicamente altissimi e sottilmente eloquenti in puro Codice Ratzinger dato che, ovviamente, essendo in sede impedita, non poteva esprimersi in modo esplicito.

Riportiamo le parti centrali del suo intervento escludendo solo i saluti ai card. Sodano e Mueller, che non sono significativi in merito all’argomento.

“Santo Padre, cari fratelli,

65 anni fa, un fratello ordinato con me ha deciso di scrivere sulla immaginetta di ricordo della prima Messa, soltanto, eccetto il nome e le date, una parola, in greco: “Eucharistomen”, convinto che con questa parola, nelle sue tante dimensioni, è già detto tutto quanto si possa dire in questo momento. “Eucharistomen” dice un grazie umano, grazie a tutti. Grazie soprattutto a Lei, Santo Padre! La Sua bontà, dal primo momento dell’elezione, in ogni momento della mia vita qui, mi colpisce, mi porta realmente, interiormente. Più che nei Giardini Vaticani, con la loro bellezza, la Sua bontà è il luogo dove abito: mi sento protetto. Grazie anche della parola di ringraziamento, di tutto. E speriamo che Lei potrà andare avanti con noi tutti su questa via della Misericordia Divina, mostrando la strada di Gesù, verso Gesù, verso Dio. […]

“Eucharistomen”: in quel momento l’amico Berger voleva accennare non solo alla dimensione del ringraziamento umano, ma naturalmente alla parola più profonda che si nasconde, che appare nella Liturgia, nella Scrittura, nelle parole “gratias agens benedixit fregit deditque”. “Eucharistomen” ci rimanda a quella realtà di ringraziamento, a quella nuova dimensione che Cristo ha dato. Lui ha trasformato in ringraziamento, e così in benedizione, la croce, la sofferenza, tutto il male del mondo. E così fondamentalmente ha transustanziato la vita e il mondo e ci ha dato e ci dà ogni giorno il Pane della vera vita, che supera il mondo grazie alla forza del Suo amore.

Alla fine, vogliamo inserirci in questo “grazie” del Signore, e così ricevere realmente la novità della vita e aiutare per la transustanziazione del mondo: che sia un mondo non di morte, ma di vita; un mondo nel quale l’amore ha vinto la morte.

Grazie a tutti voi. Il Signore ci benedica tutti”.

Ed ecco il SOTTOTESTO in Codice Ratzinger che si può leggere dietro questo discorso in apparenza ossequioso verso Bergoglio: “La «SUA» bontà -  cioè la bontà di Bergoglio intesa secondo il suo concetto tutto personale -   «colpisce» papa Benedetto, lo ha colpito, offeso nel suo diritto di governare fin dal primo momento dell’elezione invalida, e porta il vero papa «realmente, interiormente».I due avverbi, in questa forma, non significano niente, a meno di non sottintendere “mi ha portato dentro, in prigione, (interiormente) col mio status “reale”, da monarca” (regalmente).

E che Benedetto XVI si riferisca al papato per quale è, cioè una monarchia (teocratico-elettiva), lo dice lui stesso in Ultime conversazioni: «Per me era importante che proprio in Vaticano fosse garantita l’indipendenza della giustizia, che il MONARCA non dicesse: adesso me ne occupo io».

Commenta il latinista e saggista storico-religioso prof. Gian Matteo Corrias: “L'interpretazione di quell'espressione, piuttosto peregrina, «mi porta realmente, interiormente» è con tutta probabilità anfibologica nell'ottica del «Codice Ratzinger», considerato che la formulazione iniziale del testo è abbastanza astrusa”.

Torna più avanti la personale concezione di bontà di Bergoglio che ha anche consentito a Benedetto XVI di restare papa sotto lo status di papa emerito, che non è uno stato giuridico (non esiste), ma è un’accezione qualificativa che proviene dal verbo “emereo” e indica chi HA IL DIRITTO, chi merita di essere papa fra i due. Il papato emerito è uno status in cui Benedetto XVI è effettivamente protetto perché è uno schermo dietro al quale può rimanere ancora l’unico papa: “…Con il Papa emerito ho cercato di creare una situazione in cui sono assolutamente inaccessibile ai media e in cui è del tutto chiaro che esiste un solo Papa”: così scrisse Benedetto XVI al card. Brandmueller nelle sue chiarissime lettere QUI.

Ancora il prof. Corrias: “A me pare evidente che l'insistenza sulla «bontà» di Bergoglio abbia un carattere marcatamente ironico e antifrastico: velatamente (con amara ironia) Benedetto lo ringrazia per il fatto che lo «protegga» e lo «faccia vivere dentro la sua bontà», ossia, ironicamente, per il fatto di essere di fatto tenuto prigioniero grazie alla sua bontà”.

Ma proseguiamo: “E speriamo che Lei potrà andare avanti con noi tutti su questa via della Misericordia Divina, mostrando la strada di Gesù, verso Gesù, verso Dio” che si può intendere come: “Speriamo che Lei, come tutti noi, possa essere perdonato dalla Misericordia divina”.

La figura stessa dell’antipapa Francesco, è, infine, funzionale – sebbene come attore antagonista e inconsapevole – a mostrare la strada verso Gesù. Infatti, Ratzinger non dice “speriamo che Lei vada avanti «mostrandoCI» la strada verso Gesù, bensì «mostrando», quindi anche al di là della stessa volontà di Bergoglio.

In questa frase è contenuto tutto il concetto di “ministero allargato” fra papa legittimo e papa illegittimo dove Bergoglio, inconsapevolmente, è anch’egli un cooperatore della Verità.

Il tutto è funzionale a un disegno escatologico: “separare i credenti dai non credenti”, come disse Benedetto all’Herder Korrespondenz: arrivare a una rivelazione, quello della sede impedita, che condurrà a uno  scisma purificatorio volto a ripristinare la purezza originaria del Cattolicesimo romano per affermare la Verità di Cristo, “aprendo un mondo nuovo” QUI.

Ma tutto il senso della cortesia e della gratitudine di papa Benedetto verso il suo alter ego illegittimo , va compreso in ambito teologico, con quell’espressione: “Eucharistomen” che è il perno dell’intervento di Benedetto XVI, una parola che dice “tutto quanto si possa dire in questo momento”.

Gesù Cristo, che nell’Ultima Cena spezzò il pane, RESE GRAZIE (“Eucharistomen”) e ne diede ai suoi discepoli, in tal modo Egli “HA TRASFORMATO IN RINGRAZIAMENTO, E COSÌ IN BENEDIZIONE, LA CROCE, LA SOFFERENZA, TUTTO IL MALE DEL MONDO”.

Così, Papa Benedetto, pur detronizzato, costretto a togliersi di mezzo e a rifugiarsi in uno status di sede impedita, colpito nel suo diritto regale di papa, ha TRANSUSTANZIATO questo male, trasformandolo in gratitudine, così come Gesù rese grazie a Dio pur essendo alla vigilia della Sua crocifissione. “Sottoscrivo convintamente tale interpretazione”, commenta il prof. Corrias.

Capite? Il paradosso è che proprio l’ala intellettuale catto-tradizionalista, la più colta e preparata per cogliere il vero senso di questa “affabilità” di papa Benedetto verso Bergoglio, la scambia per una sorta di complicità, tanto che continuano ad accusare papa Ratzinger di essere “modernista” o perfino “gnostico” (!). Un tragico equivoco che procura al vero papa impedito altre frustate che si aggiungono a quelle dell’aggressione mediatico-giudiziaria organizzata dal clero tedesco ormai ex-cattolico.

E così, papa Benedetto è rimasto da solo nel suo Orto degli Ulivi, come ha scritto nella sua ultima lettera QUI . Tutto si deve compiere … ma lui rende grazie al Signore: “Eucharistomen”.

E se ci si ferma a riflettere sulle immani, millenarie vicende che si stanno dipanando sotto i nostri occhi, nell’indifferenza dei grandi media, si resta sgomenti.

Il Codice Ratzinger nel libro di Gänswein rovina la festa ai pro Bergoglio: Benedetto XVI è in sede impedita, Francesco papa illegittimo. Bisogna leggere con attenzione e logica. Andrea Cionci Libero Quotidiano il 30 gennaio 2022.

Andrea Cionci

Storico dell'arte, giornalista e scrittore, si occupa di storia, archeologia e religione. Cultore di opera lirica, ideatore del metodo “Mimerito” sperimentato dal Miur e promotore del progetto di risonanza internazionale “Plinio”, è stato reporter dall'Afghanistan e dall'Himalaya. Ha appena pubblicato il romanzo "Eugénie" (Bibliotheka). Ricercatore del bello, del sano e del vero – per quanto scomodi - vive una relazione complicata con l'Italia che ama alla follia sebbene, non di rado, gli spezzi il cuore

Nel libro appena pubblicato “Testimoniare la verità” (Ares), di Mons. Georg Gaenswein, alcuni hanno voluto ravvisare affermazioni definitive sul fatto che il vero papa sia Bergoglio. Ci dispiace fare i guastafeste, ma, dopo pochi minuti di analisi del testo, le stesse affermazioni si sono rivelate come alcuni fra i più clamorosi e raffinati Codici Ratzinger fino ad oggi individuati che parlano, per l’ennesima volta, proprio di sede impedita per Benedetto XVI e di conseguente illegittimità per Bergoglio. Troverete tutta l’inchiesta QUI in fondo.

Nel sistema di comunicazione sottilmente logico del vero papa Benedetto XVI che abbiamo descritto QUI, NULLA È MAI COME SEMBRA. Attenzione, appena vedete parole, espressioni e costruzioni di frasi insolite, drizzate le antenne: lì c’è sicuramente annidata un’altra lettura, logica o anfibologica (con due significati), sottile, candida e spesso amabilmente umoristica, che racconta tutt’altra storia.

Cominciamo col dire che, ovunque nel libro, laddove si parla di dimissioni, e di “rinuncia al ministero” non si specifica se si tratta di dimissioni dal ministero-ministerium, o dal ministero-munus. Per chi si fosse perso qualche puntata, la rinuncia di Benedetto XVI è stata infatti liberissima, volontaria e valida (in quanto fattuale) al ministero-ministerium, l’esercizio del potere pratico, NON AL TITOLO PAPALE, di origine divina: il munus. Quindi, questa rinuncia al solo potere pratico ha portato Benedetto non all’abdicazione, ma alla sede impedita (canone 412) uno status canonico che lo fa rimanere l’unico vero papa*. Ergo, Francesco è un papa illegittimo, un antipapa, per quanto non ancora “ufficializzato”: siccome il vero papa è auto-imprigionato in Vaticano, pertanto non può apertamente dichiarare l’avversario antipapa. Tutto il “Piano B” antiusurpazione, elaborato fin dal 1983 QUI si basa ESATTAMENTE sul fatto che sia munus che ministerium in italiano vengono tradotti con la parola “ministero”. Un’ambiguità in cui sono cascati i cardinali della Mafia di San Gallo che volevano far abdicare papa Ratzinger e che invece si sono ritrovati “antipapati” e scismati.

Ecco perché, come leggerete in questo articolo QUI, Mons. Gaenswein spiegava, nel 2016, che ci sono “due successori di San Pietro viventi”, ma “solo uno è legittimo”. C’è poi un “membro contemplativo e un attivo, in una sorta di ministero allargato”: deduciamo che in questa specie di papato allargato c’è un papa legittimo (Benedetto XVI) contemplativo e uno illegittimo (Bergoglio) che invece è attivo. Per questo Benedetto non è solo “papa”, ma “papa emerito”: come abbiamo compreso, dato che non esiste giurisprudenza per il papato emerito, l’aggettivo viene da emereo, cioè l’unico che fra i due “ha il diritto” di essere papa, colui che “lo merita”. Emerito è la qualifica che serve a distinguere il vero papa da quello falso.

E ora veniamo al passo che ha così ingolosito i bergogliani. Ve lo riportiamo tale e quale e poi vi illustreremo la raffinatissima costruzione tipica da Codice Ratzinger.

Giornalista Paul Badde: Conosco diversi cardinali che ancora si arrabbiano quando si parla con loro del fatto che attualmente la Chiesa ha due successori viventi di san Pietro. Lei però ha parlato recentemente di un’estensione del ministero petrino, anche di un potenziamento, che papa Benedetto avrebbe introdotto con il suo passo. Potrebbe spiegare la cosa un po’ più dettagliatamente?

Mons. Gaenswein: Sì, Lei si riferisce a una presentazione di un libro del professor Roberto Regoli, nel quale si fa un primo bilancio del pontificato. È professore all’Università Gregoriana, dove il libro fu presentato. Io ero una delle due persone che hanno presentato il libro e, sì, ho parlato di un pontificato potenziato. Per dirla in modo chiaro – poiché da molte reazioni ho dedotto che mi sono state attribuite cose che non ho detto: ovviamente papa Francesco è il legittimo Papa, legittimamente eletto. Chi parla di due Papi, uno legittimo e uno illegittimo, di conseguenza sbaglia. Quel che ho detto in realtà – e che anche Benedetto dice – è che egli continua a essere presente nel «Recinto di san Pietro» (cioè nel Distretto Vaticano) con la preghiera e il sacrificio, ciò che porta frutti spirituali al suo successore e alla Chiesa. Questo è ciò che ho detto. Da tre anni abbiamo due Papi viventi e sottolineo che la realtà che percepisco collima con ciò che ho detto.

Badde: Dunque ho capito bene che è rimasto tuttora in carica, ma unicamente in un ruolo contemplativo, senza potere di decisione? È questo che stiamo vivendo, con una parte attiva e una contemplativa, che insieme formano un’estensione del «Munus Petrinum»?

Mons. Gaenswein: Questo è ciò che ho detto. Per essere ancora più precisi: è chiarissimo che papa Francesco detiene la plena potestas, la plenitudo potestatis (i pieni poteri). Egli è colui che detiene la successione di Pietro. E come già dissi – qui non ci sono problemi. Non si tratta di un braccio di ferro o di rivalità. Se si applica buonsenso, fede e un po’ di teologia, la cosa dovrebbe essere chiara.

A una prima vista superficiale, tutto sembra corrispondere alla narrativa mainstream, ma rileggiamo attentamente e a lume di logica: “Per dirla in modo chiaro”, (quindi attenzione, aprite gli occhi), mi sono state attribuite cose che NON HO DETTO:: (DUE PUNTI). Nella lingua italiana, la funzione principale dei due punti è esplicativa. Una frase introdotta dai due punti serve a CHIARIRE il significato della proposizione che la precede. Così abbiamo che Mons. Gaenswein NON HA DETTO che Francesco è il legittimo papa, e NON HA DETTO che chi parla di due papi, uno legittimo e l’altro illegittimo, SBAGLIA.

Ci siamo?

E ora veniamo a quello che Mons. Gaenswein, invece, HA DETTO, cioè che “in Vaticano ci sono due papi VIVENTI e che questo collima con la realtà che PERCEPISCE”: ma non specifica quale dei due papi viventi sia legittimo o illegittimo. Lui percepisce DUE PAPI VIVENTI in Vaticano ma, come sopra, ciò non toglie che uno dei due papi viventi sia legittimo e l’altro no. Chiaro?

Nella domanda successiva, il discorso si fa ancora più divertente. Nella prima affermazione, il papa (illegittimo) Francesco DETIENE, cioè “possiede” il potere pratico, i pieni poteri: infatti comanda lui, ha lui il ministerium, chi può negarlo? Nella seconda affermazione, Bergoglio DETIENE - leggibile anche come “TIENE IN PRIGIONIA” - la successione di Pietro, cioè Benedetto XVI, il vero successore dell’Apostolo. Abbiamo quindi un doppio significato per il verbo detenere, con una perfetta, spiritosa anfibologia nella seconda accezione; detenere-possedere, detenere-tenere prigioniero.

Ora, se a una lettura superficiale sembra tutto politicamente corretto, il significato sottile che si scopre con la lente d’ingrandimento, dal punto di vista logico e letterale, non fa una piega. Quindi quella in Codice Ratzinger è una lettura PIU’ ATTENTA e PIU’ LOGICA, non è qabalah.

La cosa straordinaria è che Papa Benedetto e il suo segretario-arcivescovo continuano, imperterriti, a dire la verità, non mentono mai e non ammettono mai che Bergoglio è l’unico legittimo papa. Eroicamente, riescono a “Testimoniare la verità” pur essendo canonicamente “prigionieri” in sede impedita, situazione canonica dove sono giuridicamente “sequestrati”, “confinati”.

Ora, attenzione: non è che siccome nel testo notiamo delle anfibologie, allora un’interpretazione vale l’altra, e quindi  possono avere ragione anche i bergogliani. Come sempre accade nel Codice Ratzinger, tali particolarissime costruzioni verbali e sintattiche NON POSSONO IN ALCUN MODO ESSERE CASUALI anche perché si ripetono in decine e decine di casi e ogni volta, con il loro sottotesto riconducono immancabilmente alla stessa situazione canonica della sede impedita.

Quindi, se una persona, su 50 volte che viene interpellata, risponde SEMPRE con un sottotesto logico che conduce a comunicare l’opposto di ciò che sembra dire, la realtà effettiva finale è quella di una prigionia inconfessabile apertamente e non quella descritta dalla versione apparente e politicamente corretta, ci siamo?  

Quindi, possiamo affermare senza timore di essere smentiti che anche nel libro  “Testimoniare la Verità”, Mons. Gaenswein raccoglie suoi interventi perfettamente studiati in Codice Ratzinger, che raccontano per l’ennesima volta come il papa legittimo sia solo uno: il papa emerito Benedetto XVI.  

*Solo una volta, nel libro, si parla di “rinuncia al papato”, nel capitolo dedicato all’intervista con Hendrik Grot, ma è un errore di traduzione perché nell’originale intervista in tedesco, tale espressione è Amtverzicht, controllate, che equivale a dimissioni dal ministerium, come potrete controllare nella versione tedesca della Declaratio, dove Amt corrisponde, infatti, al ministerium, mentre munus è indicato con la parola Dienst. E su questo ci torneremo. 

Come papa Ratzinger disse la verità al direttore di Vatican News (che capì tutt'altro). Andrea Cionci su Libero Quotidiano il 15 gennaio 2022.

Andrea Cionci. Storico dell'arte, giornalista e scrittore, si occupa di storia, archeologia e religione. Cultore di opera lirica, ideatore del metodo “Mimerito” sperimentato dal Miur e promotore del progetto di risonanza internazionale “Plinio”, è stato reporter dall'Afghanistan e dall'Himalaya. Ha appena pubblicato il romanzo "Eugénie" (Bibliotheka). Ricercatore del bello, del sano e del vero – per quanto scomodi - vive una relazione complicata con l'Italia che ama alla follia sebbene, non di rado, gli spezzi il cuore.

Non vorremmo infierire, però, dopo che Vatican News ha ammannito a tutto il mondo la farlocca “visita a sorpresa” del presunto papa Francesco al negozio di dischi, diciamo che questo articolo ci sta tutto. La deamicisiana ”improvvisata piena di umanità e semplicità” di Bergoglio era nient’altro che una banale operazione propagandistico-demagogica dato che c’era il fotografo vaticano appostato per scattare foto all’uscita del negozio.

Il blog francese Benoit et moi, che ringraziamo per aver tradotto l'articolo, ci ha però definito QUI “spietati” perché, facendo il nostro lavoro abbiamo denunciato una oggettiva mistificazione che ha preso per i fondelli 1 mld e 285 mln di persone: capite il mondo alla rovescia? 

E così, oggi, per “spietato contrappasso”, comprenderemo in che modo il vero papa Benedetto XVI, in sede impedita, nel 2014 scrisse la pura verità al giornalista Andrea Tornielli, attuale direttore di Vatican News. Il quale però capì tutt’altro, senza incuriosirsi per alcune plateali incoerenze.

Il vaticanista aveva inviato al papa delle domande “a proposito di presunte pressioni e complotti che avrebbero provocato le dimissioni” e il Papa gli rispose in febbraio, a un anno dalla Declaratio con poche frasi molto brevi.

Chiaramente, Tornielli ha interpretato quelle sue frasi secondo la solita narrativa per cui “Benedetto XVI ha abdicato regolarmente, il papa è Francesco, e tutto va bene”.

Ed ecco le brevi frasi del Santo Padre Benedetto XVI. (Astenersi lettori non disponibili al ragionamento logico).

 «Non c’è il minimo dubbio circa la validità della mia rinuncia al MINISTERO petrino. Unica condizione della validità è la piena libertà della decisione. Speculazioni circa la invalidità della rinuncia sono semplicemente assurde».

Ma a quale dei due “ministero” si riferisce Benedetto XVI? Al ministero inteso come munus (titolo papale), o inteso come ministerium (esercizio pratico del potere)? Se Benedetto si riferisse al ministero-munus, al titolo di Papa, sarebbe vero che lui ha rinunciato al papato. Ma siccome Benedetto XVI nella Declaratio ha annunciato di rinunciare al ministero-ministerium, in modo differito e mai ratificato giuridicamente, la rinuncia è fattuale e riferita solo all’esercizio pratico del potere. Non c’è, quindi, alcun dubbio che lui abbia rinunciato al ministero-potere pratico, ma il papa resta sempre e solo lui.

Così, la condizione di “piena libertà” non è un riferimento canonico, ma un riferimento SEMANTICO: una rinuncia, per il dizionario è “l’abbandono volontario di un diritto, di un bene”. Lui ha rinunciato di fatto al ministerium; una rinuncia, per sua stessa definizione, è libera e volontaria; ergo, le speculazioni sulla invalidità della rinuncia di Benedetto al ministerium sono assurde.

Quindi quello il papa dice a Tornielli è tutto verissimo, ma è il giornalista che, come tutti, del resto fino ad oggi, ha interpretato male.

E ora passiamo alla prossima frase, famosa e davvero clamorosa e umoristica.  

«Il mantenimento dell’abito bianco e del nome Benedetto è una cosa semplicemente pratica. Nel momento della rinuncia non c’erano a disposizione altri vestiti. Del resto porto l’abito bianco in modo chiaramente distinto da quello del Papa». 

Il papa veste in talare bianca. I colori delle “altre” talari ecclesiastiche sono nero, violaceo e rosso. Quindi, se volessimo seguire la narrativa mainstream, Benedetto avrebbe mantenuto l’abito bianco perché, in un anno non si è trovato in tutta Roma un sarto ecclesiastico che potesse approntare all’”ex papa” una talare nera, rossa o viola, diversa da quella bianca? La risposta, letta in tal senso, è un vero scherzo di carnevale.

L’autentica interpretazione non può, quindi, essere che questa: “Mantenere l’abito bianco e il nome era la cosa più pratica che si potesse fare, dato che rinunciando fattualmente al ministerium restavo IL Papa. Ecco perché non potevano esserci a disposizione altri vestiti che non fossero quelli bianchi, da papa. “Del-resto”, (“per quello che mi resta del papato”?) essendo in sede impedita, porto l’abito bianco chiaramente distinto da quello che è il tipico abito da Papa”. (Non si sta quindi riferendo al fatto che porta la veste diversa da quella di “papa Francesco”).

Benedetto XVI, per simboleggiare la SPOLIAZIONE del governo pratico, peraltro a DUE sole funzioni (governare la barca di Pietro e annunciare il Vangelo, come da Declaratio), si è tolto DUE elementi della veste tipica del Papa: la mantelletta e la fascia alla vita. Infatti, questa è la soluzione più pratica che evidenzia un papa autoesiliato in sede impedita, un papa emerito, cioè l’unico che ha diritto di essere il papa e che infatti continua a vestire di bianco. 

E ora andiamo all’ultima frase che, in effetti, è rimasta misteriosa per un bel po’. Scrive Tornielli: “Nelle scorse settimane il teologo svizzero Hans Küng aveva citato alcune parole contenute in una lettera ricevuta da Benedetto XVI e riguardanti Francesco. Parole ancora una volta inequivocabili: «Io sono grato di poter essere legato da una grande identità di vedute e da un’amicizia di cuore a Papa Francesco. Io oggi vedo come mio unico e ultimo compito sostenere il suo Pontificato nella preghiera». 

E, in merito, Benedetto XVI risponde a Tornielli:

«Il prof. Küng ha citato letteralmente e correttamente le parole della mia lettera INDIRIZZATA A LUI».

A parte la possibile ironia su “legato”, come spiegava Mons. Gaenswein QUI Benedetto XVI vive una sorta di cordiale “ministero allargato” con il papa illegittimo che, inconsapevolmente, è cooperatore della verità: quando sarà svelata la sua illegittimità si realizzerà un piano escatologico, quindi c’è piena identità di vedute. Ma che bisogno c’era di specificare “indirizzata a lui”? Bastava dire: “…le parole della mia lettera”.

Come ci ha fatto notare il dott. Martin Bachmeyer, la parola “Pontifikat” in tedesco, si riferisce anche all’ufficio del VESCOVO e non solo a quello del papa, come, invece, avviene in italiano.

In tal senso, Benedetto XVI utilizza una delle sue sottili e umoristiche anfibologie, dato che con quella frase, indirizzata a un compatriota, in tedesco, egli può essere interpretata in due modi diversi e con essa può anche perfettamente sostenere a distanza, con la preghiera, l’EPISCOPATO dell’attuale arcivescovo Bergoglio a Buenos Aires, dato che la sede vescovile è stata lasciata vuota dal suo legittimo titolare che, “assurto a nuovi ruoli” (l’antipapato), si è trasferito a Roma.

Hans Küng (1928-2021) fu il nemico n. 1 di Joseph Ratzinger: un ultramodernista premiato dalla Massoneria tedesca che, non a caso, è stato riabilitato da Bergoglio. Particolarmente gustoso ricordare come  Küng da sempre negasse l’infallibilità papale, mettendo quindi in dubbio ciò che diceva il Papa. Eppure, Benedetto XVI ha fatto dire proprio a lui un pezzetto di verità.

Ora: per i contestatori che si ostinano a dire che le nostre sono “fantasiose interpretazioni da romanzo poliziesco”, nemmeno se ci avessero trasfuso il genio distillato di 1000 Dan Brown riusciremmo a trovare una perfetta spiegazione logica e alternativa, che coincide con l’oggettiva situazione canonica, in TUTTE le decine e decine di affermazioni di papa Benedetto post 2013. Quindi, armatevi di santa pazienza e leggete TUTTA l’inchiesta riportata in fondo. Poi contestate pure. 

Papa Ratzinger, come doveva essere una vera rinuncia: la considerazione più ovvia. Andrea Cionci su Libero Quotidiano il 09 gennaio 2022

Andrea Cionci

Storico dell'arte, giornalista e scrittore, si occupa di storia, archeologia e religione. Cultore di opera lirica, ideatore del metodo “Mimerito” sperimentato dal Miur e promotore del progetto di risonanza internazionale “Plinio”, è stato reporter dall'Afghanistan e dall'Himalaya. Ha appena pubblicato il romanzo "Eugénie" (Bibliotheka). Ricercatore del bello, del sano e del vero – per quanto scomodi - vive una relazione complicata con l'Italia che ama alla follia sebbene, non di rado, gli spezzi il cuore

Sarà capitato a molti di Voi, nella vita, di conoscere persone che erano talmente immerse in alcune situazioni assurde e inaccettabili che non si rendevano più conto di quello che stavano vivendo. Donne malmenate dai conviventi, lavoratori sfruttati, amici succubi di “vampiri energetici”, e così via. Tutti costoro erano così assuefatti non riuscire a concepire di vivere situazioni ANORMALI.

Ora, da un anno documentiamo inoppugnabilmente che c’è uno solo papa, Benedetto XVI, il quale non ha abdicato, ma si è ritirato in sede impedita QUI (canone 412). Non sono suggestioni, o fantasie: lo dicono il Diritto canonico e gli stessi messaggi logici di papa Ratzinger certificati QUI da studiosi di rango universitario. Nessuna smentita dal Vaticano, né dai canonisti bergogliani interpellati, nemmeno dallo stesso Santo Padre Benedetto XVI che ci ha scritto QUI. Vi sembra normale?

NO, NON LO È.

Per comprendere la questione del “Piano B” e del “Codice Ratzinger” (illustrata nell'inchiesta QUI ai capitoli 1,2,5,6-14) serve un attimo di concentrazione e di lettura, ma si può fare, a monte, una considerazione ovvia, intuitiva, immediata.

Secondo voi, se papa Benedetto XVI avesse voluto DAVVERO abdicare, avrebbe fatto tutti questi pasticci in modo che oggi, dopo otto anni, ancora si dibatta ferocemente sulla questione?

Vi sembra normale che un papa coltissimo e rigoroso che è diventato troppo anziano e vuole lasciare l’incarico, faccia una dichiarazione in un latino dozzinale pieno di errori, che poi resti in Vaticano, con il suo nome da pontefice, vestito di bianco, conservando lo stemma, con un titolo (“emerito”) che non ha alcuna giurisprudenza, con delle dimissioni a tempo, che poi non vengono confermate? Vi sembra normale che poi continui a intervenire nell’attività del suo successore, a rilasciare interviste, a scrivere libri che vanno in esatta controtendenza rispetto alla direzione presa dal pontefice in carica? Vi sembra normale che parli con un linguaggio sibillino, ripetendo da otto anni “il papa è uno solo” senza mai dire quale, nemmeno se glielo estorcessero con le tenaglie?

E’ OVVIO CHE C’E’ QUALCOSA CHE NON TORNA, che dite?

Leggete qui la (vera) abdicazione di papa Celestino V, del 1294 (con la quale, pure, Ratzinger scrive in “Ein Leben” di non aver nulla a che spartire):

 «Io Papa Celestino V, spinto da legittime ragioni, per umiltà e debolezza del mio corpo e la malignità della Plebe [di questa città], al fine di recuperare con la consolazione della vita di prima, la tranquillità perduta, abbandono liberamente e spontaneamente il Pontificato e rinuncio espressamente al trono, alla dignità, all’onere e all’onore che esso comporta, dando sin da questo momento al sacro Collegio dei Cardinali la facoltà di scegliere e provvedere, secondo le leggi canoniche, di un pastore la Chiesa Universale.»

Punto, basta, fine della discussione. Vi sembra che ci possano essere dei margini di incertezza? Vi pare che Celestino V avesse contemplato papati emeriti, ministeri allargati, membri attivi, contemplativi, cardinali in bianco, scomposizioni ipnotiche fra titolo e funzioni, differimenti, scadenze a tempo, ambiguità di sorta?

NO. Chiaro, semplice, pulito, come deve essere un papa che ha la possibilità di dire evangelicamente, sì sì, no no. Pietro da Morrone, poco dopo quel 13 dicembre 1294, prese il suo vecchio, ruvido saio da eremita e se la svignò, tentando quantomeno di tornarsene sulla sua montagna.

Allo stesso modo, il teutonico teologo Ratzinger, se avesse deciso di buon grado di abdicare solo per il peso dell’età, avrebbe fatto le cose per bene.

La sua Renuntiatio, (così si sarebbe dovuta chiamare a norma della Universi dominici gregis) sarebbe stata redatta in un latino perfetto e avrebbe comportato una rinuncia SIMULTANEA al MUNUS PETRINO come previsto dal canone 332 § 2. Il card. Sodano avrebbe subito dopo chiarito in italiano che il Santo Padre aveva appena rinunciato definitivamente al papato e tutti i titoli, diritti, dignità e funzioni che esso comporta.

Ratzinger sarebbe tornato cardinale, o ancora più probabilmente, conoscendo la sua umiltà, solo vescovo, proprio per non interferire col successore.

Certamente, dopo aver giurato pubblicamente fedeltà e obbedienza a papa Francesco, si sarebbe tolto di torno, probabilmente se ne sarebbe tornato nella sua amata Baviera, per finire i suoi giorni insieme al caro fratello Georg e non si sarebbe minimamente azzardato a intervenire nel pontificato del suo legittimo successore.

Al massimo, l’anziano vescovo Ratzinger avrebbe scritto le proprie memorie. Fine.

Tutto questo non è mai avvenuto, ma così sarebbe dovuta certamente andare SE, in un’altra dimensione spazio-tempo, in un’altra vita, Benedetto XVI avesse davvero abdicato per i motivi che sono stati addotti, come il fatto di non poter più affrontare fisicamente i viaggi pastorali.

Se volessimo credere che Benedetto ha davvero abdicato dovremmo accettare il fatto che quell’austero, umile, sapiente, mite, saggio teologo si sia trasformato d’un tratto in un anziano stravagante e folle, tanto da scrivere totali incoerenze; impreparato al punto da commettere madornali errori di latino, storia ecclesiastica, diritto canonico; vanesio e nostalgico fino a non voler rinunciare ad alcuni orpelli della propria antica dignità papale; dispettoso tanto da gettare nello sgomento, nell’incertezza e nell’angoscia milioni di fedeli; odiosamente invasivo e geloso al punto di sabotare il pontificato del proprio legittimo successore con interventi continui e non richiesti.

Una pazzia malevola, ma a corrente alternata, interrotta da pubblicazioni di luminosa profondità e lucidità, pieni di sapienza e dottrina.

Ma stiamo scherzando? E allora se la questione non vi fila, dedicate 1,8 minuti di lettura QUI a comprendere come è andata.

Se poi volete spiegarvi tutto, come fanno i tradizional-sedevacantisti, col fatto che “Ratzinger è modernista” e quindi, di default, svanito e dispettoso, va bene. Ci arrendiamo.

Anzi, no.

L'imbarazzo di Bergoglio alla domanda su papa Ratzinger: “Ci sono due papi?”. Lo storico equivoco. Andrea Cionci su Libero Quotidiano il 04 gennaio 2022.

Andrea Cionci. Storico dell'arte, giornalista e scrittore, si occupa di storia, archeologia e religione. Cultore di opera lirica, ideatore del metodo “Mimerito” sperimentato dal Miur e promotore del progetto di risonanza internazionale “Plinio”, è stato reporter dall'Afghanistan e dall'Himalaya. Ha appena pubblicato il romanzo "Eugénie" (Bibliotheka). Ricercatore del bello, del sano e del vero – per quanto scomodi - vive una relazione complicata con l'Italia che ama alla follia sebbene, non di rado, gli spezzi il cuore

Oggi che la Magna Quaestio è finalmente chiarita, fa una certa impressione rivedere il video del 2016 in cui Bergoglio, durate una conferenza stampa in aereo, di ritorno dall’Armenia rispondeva a una domanda della giornalista Elisabetta Piqué del giornale argentino La Naciòn: “Sappiamo che Lei è il papa, ma c’è anche il papa Benedetto, il papa emerito. Ultimamente una dichiarazione del Prefetto della Casa Pontificia, Mons. Gaenswein, ha detto che ci sarebbe un ministero petrino condiviso con un papa attivo e uno contemplativo. Ci sono due papi?”.

Come dare torto alla collega di fronte a quello sconvolgente discorso di Mons. Gaenswein che abbiamo compreso solo pochi giorni fa, dandone spiegazione QUI?

Nella risposta che darà l’antipapa Francesco traspare tutto l’imbarazzo e l’incertezza di un uomo che ancora non ha capito, come, del resto, non aveva capito tutto il mondo per otto anni. 

“In un tempo nella Chiesa ce ne sono stati tre di papi”, prende tempo, con una battuta, l’intervistato. Infatti si riferisce al 1046, epoca del Sinodo di Sutri, o al Grande Scisma d'Occidente (1378-1418) fra vari pretendenti al soglio pontificio. Ma tali questioni furono alla base di aspri conflitti proprio perché per la Chiesa il papa può essere UNO SOLO, non due e non tre.

“Non ho avuto tempo di leggere queste dichiarazioni, perché non ho tempo per queste cose”, prosegue Bergoglio con una certa affettata noncuranza... Eppure avrebbe fatto bene a prestare molta attenzione.

“Benedetto è-Papa-emerito – prosegue scandendo bene le parole, ma si vede dal suo sguardo che anche per lui il concetto è abbastanza oscuro - Lui ha detto chiaramente, quell’11 febbraio, che dava le sue dimissioni a partire dal 28 febbraio, che si sarebbe ritirato per aiutare la Chiesa con la preghiera. E Benedetto è nel monastero, e prega”.

Qui il grosso equivoco, Eccellenza: Benedetto è emerito non in termini giuridici, come ex papa, ma è emerito in quanto si è ritirato in SEDE IMPEDITA e resta l’unico che ha il diritto di essere papa, dal verbo latino “emereo”. Questo per differenziarsi di fronte a qualsiasi altro presunto papa. Infatti, Benedetto resta nella SEDE, cioè il Vaticano, ma impedito. Per quello continua a vestire di bianco, da papa, con una veste menomata di due accessori: la mantelletta (pellegrina) e la fascia, simbolo delle due funzioni di governo papale alle quali ha dovuto rinunciare (annunciare il Vangelo e governare la barca di Pietro. Cfr. Declaratio)

Benedetto XVI ha infatti dichiarato esplicitamente che avrebbe dato le sue dimissioni dal ministerium, dall’esercizio pratico del potere. Lo ha fatto in modo differito, esclusivamente fattuale e non giuridico. Non avrebbe MAI potuto ratificare un documento in cui separava il ministerium dal munus petrino, perché essi sono inseparabili. E’ stato sempre perfettamente sincero e coerente come leggerete QUI. Vi siete fatti ingannare dal fatto che in italiano munus e ministerium si traducono con la sessa parola “ministero”.

Purtroppo avete voluto illudervi che avesse abdicato, ma è una Vostra responsabilità, non di papa Benedetto. Avete fatto tutto da soli, e vi siete scismati.

Funziona così: abdicazione e sede impedita sono due situazioni contigue, ma molto diverse, prova ne sia il titolo del recente studio della canonista Boni: “Una proposta di legge sulla sede romana totalmente impedita e la rinuncia del papa“.

Per l’abdicazione (canone 332 § 2) si deve rinunciare al munus petrino in modo simultaneo, e allora si decade anche dal ministerium. Se si rinuncia solo fattualmente e in modo differito al ministerium, senza ratificare nulla, c’è un autoesilio in sede impedita, il munus non decade e il papa resta l’unico papa in circolazione. Ecco perché Benedetto resa l’EMERITO, l’unico che ha diritto di essere papa, a scanso di qualsiasi confusione con altri bianco-vestiti. QUI in fondo tutti i dettagli, agli articoli 1,2,5,6-14.

Prosegue Bergoglio: “Io sono andato a trovarlo tante volte, o al telefono… L’altro giorno mi ha scritto una letterina – ancora firma con quella firma sua – facendomi gli auguri per questo viaggio”.

Già: “firma ancora con quella firma sua Benedetto XVI”, (forse anche con il P.P. Pater Patrum?). Firma ancora con il nome pontificale perché è ancora il papa, Eccellenza.

“E una volta – non una volta, parecchie volte – ho detto che è una grazia avere a casa il “nonno” saggio. Anche davanti a lui l’ho detto, e lui ride. Ma lui per me è il Papa emerito, è il “nonno” saggio, è l’uomo che mi custodisce le spalle e la schiena con la sua preghiera”.

Non vorremmo risultare irrispettosi, ma qui il passaggio si fa umoristico: un 80enne che considera “nonno saggio” un 89enne.  Infatti, “il nonno saggio” Benedetto si fa una risata (povero Bergoglio). Altro che nonno: è lui il vero papa. Ma certamente il Santo Padre Benedetto XVI prega per lui, questo è vero, prega anche per il suo Pontifikat, come scrisse al teologo tedesco super-modernista filomassone Hans Küng , visto che Pontifikat in tedesco significa anche episcopato. E Bergoglio ha lasciato il suo episcopato di Buenos Aires abbandonato, per essere assurto ad altri incarichi (l’antipapato). 

Più avanti Bergoglio dà prova di aver clamorosamente mal interpretato uno dei discorsi chiave di Benedetto XVI: “Mai dimentico quel discorso che ci ha fatto, ai Cardinali, il 28 febbraio: “Uno di voi sicuramente sarà il mio successore. Prometto obbedienza”. E lo ha fatto”.

No Eccellenza. Papa Benedetto XVI non ha mai giurato obbedienza a Lei, tanto che in “Ultime conversazioni” (del 2016!) il Santo Padre risponde così al giornalista Seewald: “Nel prendere congedo dalla curia, come poté allora giurare obbedienza assoluta al suo futuro successore?" Risposta di papa Benedetto XVI: “Il papa è il papa, non importa chi sia”.

Ratzinger, infatti, dichiarò PRIMA del conclave invalido, congedandosi dai cardinali il 28 febbraio 2013: “E tra voi, tra il Collegio Cardinalizio, c’è anche il futuro Papa al quale già oggi prometto la mia incondizionata reverenza ed obbedienza”. QUI

In questo modo sottintendeva che un suo successore legittimo avrebbe potuto esserci SOLO fra quegli stessi VERI cardinali, nominati da lui o da Giovanni Paolo II e non da eventuali antipapi.

"Coloro a cui compete", come scriveva nella Declaratio. Parlava, dunque, di un successore che LUI STA ANCORA ASPETTANDO, in vista di una sua futura abdicazione, oppure di un prossimo vero papa che, dopo la sua morte, si pronuncerà sulla sua sede impedita e il cui responso, Ratzinger, fin da allora, era disponibile ad accettare docilmente. Con questa straordinaria mossa preventiva, papa Benedetto ha fatto ritenere a tutti di aver giurato obbedienza a “papa Francesco” senza averlo mai fatto … e ci è cascato anche Bergoglio.

Prosegue l’argentino: “Poi ho sentito – ma non so se è vero questo – sottolineo: ho sentito, forse saranno dicerie, ma concordano con il suo carattere, che alcuni sono andati lì a lamentarsi perché “questo nuovo Papa…”, e lui li ha cacciati via! Con il migliore stile bavarese: educato, ma li ha cacciati via. E se non è vero, è ben trovato, perché quest’uomo è così: è un uomo di parola, un uomo retto, retto, retto!”.

Plausibilissimo: Benedetto certo non avrebbe preso in considerazione lamentele da parte di chi considera Bergoglio papa, perché non lo è. Peraltro, lo status di sede impedita non può essere dichiarato perché il papa è confinato, prigioniero, sotto possibile minaccia. Per questo ha mandato via chi si lamentava.

“Poi, non so se Lei si ricorda, che io ho ringraziato pubblicamente – non so quando, ma credo durante un volo – Benedetto per aver aperto la porta ai Papi emeriti. 70 anni fa i vescovi emeriti non esistevano; oggi ce ne sono. Ma con questo allungamento della vita, si può reggere una Chiesa a una certa età, con acciacchi, o no? E lui, con coraggio – con coraggio! – e con preghiera, e anche con scienza, con teologia, ha deciso di aprire questa porta”.

No Eccellenza, non l’ha fatto perché se così fosse stato, Benedetto XVI avrebbe istituito giuridicamente il papato emerito. E non l'ha fatto. Sappiamo benissimo che se un vescovo può essere giuridicamente emerito, e andare in pensione, un papa non potrebbe mai esserlo. Lo dicono tutti i canonisti, persino il suo vescovo Mons. Sciacca. Tanto che il Vaticano ADESSO si sta arrabattando per cercare di trovare una giurisprudenza per l’emeritato QUI che resta un unicum storico, irripetibile, un aggettivo meramente qualificativo solo per differenziare un vero papa autoesiliatosi in sede impedita da un falso papa attivo che ha in mano il potere.

Per concludere, Francesco dice però un’assoluta verità: “E dirò qualche cosa a questo grande uomo di preghiera, di coraggio che è il Papa emerito - non il secondo Papa - che è fedele alla sua parola e che è un uomo di Dio. E’ molto intelligente, e per me è il nonno saggio a casa”.

Sì, è un grande uomo di coraggio e di preghiera: è il papa emerito, cioè il papa, il Sommo Pontefice, come giusto due giorni fa abbiamo visto QUI

Non è infatti il secondo papa, è l’unico papa. E’ fedele alla sua parola come abbiamo visto QUI non ha mai mentito.

E, sicuramente, è molto intelligente.

Il Papa emerito è il Sommo Pontefice (non Bergoglio): papa Ratzinger lo conferma in una lettera inedita. Andrea Cionci su Libero Quotidiano il 02 gennaio 2022.

Andrea Cionci. Storico dell'arte, giornalista e scrittore, si occupa di storia, archeologia e religione. Cultore di opera lirica, ideatore del metodo “Mimerito” sperimentato dal Miur e promotore del progetto di risonanza internazionale “Plinio”, è stato reporter dall'Afghanistan e dall'Himalaya. Ha appena pubblicato il romanzo "Eugénie" (Bibliotheka). Ricercatore del bello, del sano e del vero – per quanto scomodi - vive una relazione complicata con l'Italia che ama alla follia sebbene, non di rado, gli spezzi il cuore

Il 5 ottobre 2019, il vero papa Benedetto XVI ha ricevuto i nuovi pseudo-cardinali nominati dall’antipapa Francesco. Riporta Vatican News QUI: ”Il papa emerito ha ricordato ai nuovi Cardinali il valore della FEDELTÀ AL PAPA”.

E ovviamente Benedetto XVI non spiegava QUALE papa.

Umoristico che l’episodio ci sia stato segnalato proprio da un contestatore, ma succede sempre così.

Ora, se questa appena scoperta è l’ennesima, tipica anfibolia ratzingeriana (frasi che possono essere interpretate in due modi diversi) quello che vi presentiamo IN ESCLUSIVA ASSOLUTA è invece, un prezioso, inedito “SILLOGISMO RETORICO” dal significato assolutamente univoco e inequivocabile. (Come spiega il prof. Gian Matteo Corrias: più precisamente si tratterebbe di un “entitema”).

E’ contenuto in una lettera di papa Benedetto che la nostra lettrice L.P. ha ricevuto un paio di mesi fa, in risposta a una sua accorata missiva nella quale esprimeva al Santo Padre tutta la sua angoscia per “questo momento buio della fede”. La signora ci ha inviato il documento all’email dell’inchiesta: codiceratzinger@libero.it .

Ecco dunque il testo della risposta di papa Benedetto inviata il 3 novembre 2021 tramite Mons. Roberto Cona.

“Gentile Signora,

il Papa emerito Benedetto XVI ha accolto la cortese lettera del 21 ottobre scorso con la quale ha voluto indirizzarGli espressioni di filiale affetto. Riconoscente per i sentimenti di devozioni manifestati, il Sommo Pontefice incoraggia a rivolgere con sempre maggiore fiducia lo sguardo al Padre celeste, il cui volto di amorevole tenerezza risplende in Gesù redentore nella certezza che la bontà di Dio tutto dispone per il vero bene di quanti si lasciano condurre dalla Sua volontà, offrendo una decisiva testimonianza di fedeltà e di virtù. Papa Benedetto, mentre assicura un ricordo nella preghiera per Lei e la sua famiglia, invoca su ciascuno la celeste protezione di San Giuseppe e della Vergine Maria, Madre della Speranza, e di cuore invia la paterna Benedizione, pegno di pace e di cristiana fortezza, estendendola volentieri alle persone care”.

Avete colto? Il Papa Emerito È IL SOMMO PONTEFICE! Indiscutibile, perché i due periodi sono incatenati genialmente in modo che sia il medesimo soggetto ad essere riconoscente tanto per “le espressioni di filiale affetto” quanto per i “sentimenti di devozione”.

Nessuna possibilità che il Sommo Pontefice possa essere Bergoglio. Non c’è discussione: il Papa emerito --> è il Sommo Pontefice--> che è Benedetto XVI, come specificato poche righe dopo. E di Sommo Pontefice non può essercene che uno. Punto.

(Per non parlare del fatto che Benedetto XVI non raccomanda MINIMAMENTE alla signora di avere fiducia in “papa Francesco”, ma anzi condivide pienamente il dolore e l’apprensione della fedele, invitandola a guardare a Dio che premia chi dà prova di FEDELTÀ).

Possibile che l’utilizzo del titolo Sommo Pontefice possa essere stato un errore del funzionario? Figuriamoci: si tratta di Mons. Roberto Cona, un fior di diplomatico con lunga esperienza, nominato da Bergoglio nel 2019 assessore per gli affari generali alla Segreteria di Stato QUI 

Il Monsignore certo non può essersi sbagliato su un titolo così importante, tantomeno il 3 novembre scorso, nel pieno di questa inchiesta-querelle notissima. Mons. Cona non ha responsabilità: avrà dovuto certamente trasferire alla signora L.P. le parole esatte che gli ha passato papa Benedetto.

Non avevamo bisogno di una simile conferma in purissimo Codice Ratzinger QUI dato che il Diritto canonico già parla chiaro: il papa emerito non esiste, (infatti stanno cercando disperatamente di creargli una giurisprudenza, QUI ) o meglio, non può che coincidere col papa stesso, dato che Benedetto XVI non ha abdicato, ma si è auto esiliato in sede impedita, (canone 412) dichiarando di rinunciare in modo differito al ministerium (esercizio pratico del potere) e senza ratificare nulla dopo le 20.00 del 28 febbraio 2013.  (Per abdicare avrebbe dovuto fare l’opposto: rinunciare al munus, il titolo divino, in modo simultaneo).

Quindi “emerito” deve essere inteso non come “ex papa” in senso giuridico, bensì come aggettivo qualificativo, nel senso di “legittimo possessore di un titolo e/o diritto acquisito”. Ed è infatti pur necessario specificare che ci sia un papa emerito, perché ci sono due papi: uno che ha il pieno diritto di essere papa, che è infatti Sommo Pontefice, e un altro che non ne ha diritto ed è un antipapa usurpatore.

Non ci credete? Lo spiegava Mons. Gaenswein nel 2016, in un discorso che qualche giorno fa abbiamo decodificato per la prima volta QUI.

 “Come ai tempi di Pietro - dichiarava Mons. Gaenswein - anche oggi la Chiesa una, santa, cattolica e apostolica continua ad avere un unico Papa legittimo. E tuttavia, da tre anni a questa parte, viviamo con due successori di Pietro viventi tra noi – che non sono in rapporto concorrenziale fra loro, e tuttavia entrambi con una presenza straordinaria”.

Che vuol dire? C’è un solo papa legittimo ... ma ce ne sono due viventi. Uhm… Com’è possibile? Ovvio: C'E' UN PAPA LEGITTIMO E UN PAPA ILLEGITTIMO! Non sono in concorrenza perché uno è papa e l’altro no. Ecco perché il Papa emerito è il Sommo Pontefice, ed è Benedetto XVI.

Quindi, a costo di sembrare poco empatici e poco inclusivi con gli aficionados bergogliani, dobbiamo purtroppo ribadire ancora una volta che c’è un papa vero, emerito, Benedetto XVI, in sede impedita, e un antipapa usurpatore, Bergoglio. La verità è questa, c’è poco da fare, ed è argomentata in 54 capitoli di inchiesta che troverete QUI in fondo. (Ma, tanto, chi vuol continuare a credere alla narrativa mainstream, lo farebbe anche se papa Benedetto mettesse uno striscione alla finestra). 

Prima di lasciarvi, permetterci di ricordare con gratitudine uno dei SOLI TRE vescovi (insieme a Mons. Lenga e a Mons. Gracida) che hanno capito e avuto il coraggio di dire la verità in tempi non sospetti: Mons. Luigi Negri, già arcivescovo di Ferrara che, nel 2017, dichiarò pubblicamente: “Benedetto XVI ha subito pressioni enormi. Non è un caso che in America, anche sulla base di ciò che è stato pubblicato da Wikileaks, alcuni gruppi di cattolici abbiano chiesto al presidente Trump di aprire una commissione d’inchiesta per indagare se l’amministrazione di Obama abbia esercitato pressioni su Benedetto. Resta per ora un mistero gravissimo, ma sono certo che LE RESPONSABILITA' VERRANNO FUORI. Mons Negri, volato in Paradiso due giorni fa, era uno dei pochi che ancora aveva il coraggio di proclamare la sua fede, anche se in modo sgradito per il pensiero unico.

Ci resta la consolazione di avergli inviato regolarmente gli articoli della nostra inchiesta, forse confortandolo nei suoi ultimi mesi.

Eccellenza, aveva ragione Lei: è venuto fuori tutto.

Papa Ratzinger, il biografo: "Sarà fatto santo". E vi diciamo quale sarà il suo miracolo. Una Reconquista della Logica e di Dio. Andrea Cionci su Libero Quotidiano il 29 dicembre 2021 

Andrea Cionci. Storico dell'arte, giornalista e scrittore, si occupa di storia, archeologia e religione. Cultore di opera lirica, ideatore del metodo “Mimerito” sperimentato dal Miur e promotore del progetto di risonanza internazionale “Plinio”, è stato reporter dall'Afghanistan e dall'Himalaya. Ha appena pubblicato il romanzo "Eugénie" (Bibliotheka). Ricercatore del bello, del sano e del vero – per quanto scomodi - vive una relazione complicata con l'Italia che ama alla follia sebbene, non di rado, gli spezzi il cuore

Volevamo dirlo noi da diverso tempo, ma esitavamo. Si sarebbero scatenati i bergogliani dandoci dei “mistici deliranti”, accusa che è praticamente l’opzione n. 2 rispetto a quella di “folli complottisti”.

Ma ci ha preceduto un collega ben più autorevole, il massimo biografo e conoscitore del vero papa Benedetto XVI: Peter Seewald.

Il giornalista tedesco ha recentemente presentato a Roma la sua monumentale biografia: “Benedikt XVI: ein Leben” e in questa occasione ha dichiarato che “papa Ratzinger si è posto per decenni come una sentinella nella notte, posta SOLA a difesa della casa di Dio. Una testimonianza luminosa ed evidente, tanto DA FARE PRESAGIRE QUALCOSA DI IMMAGINABILE MA ASSOLUTAMENTE INASPETTATO. Il fatto cioè che la sua capacità di RICONOSCERE I PERICOLI, DARE RISPOSTE e trasmettere in modo autentico il messaggio del Vangelo e gli insegnamenti e le tradizioni della Chiesa sarà in realtà preludio del suo processo di BEATIFICAZIONE che senza dubbio, ci sarà”.

Dunque, secondo Seewald, papa Benedetto verrà fatto santo.

Certo, il minimo sindacale, aggiungiamo.

Ma verrà beatificato non solo come grande guardiano della fede, l’unico che ha avuto il coraggio di non mollare sulla parte solida del Cattolicesimo. E’ vero che, con uno sforzo supremo di amore per l’umanità, pur incompreso e attaccato da tutti, non ha vacillato sulla dottrina, sulla chiara distinzione bene/male, sulla fedeltà assoluta a Cristo e alla Sua Chiesa, non ha ceduto sul rigore matematico del pensiero, dei rapporti causa-effetto, mentre quasi tutti gli altri sbracavano, si liquefacevano e infrollivano nella palude teologica postconciliare.

Ci voleva un tedesco per questo, bisogna ammettere, uno di quei guerrieri che non mollano fino all’ultimo, ma stavolta con un amore spinto a oltranza, fino al sacrificio di sé.

Del resto, ragioniamo: chi di voi, maggiorenne, potrebbe avere stima e fiducia di un medico che vi lascia stramangiare e fumare senza avvertirvi sui rischi per la salute, ma, anzi, minimizzandoli?

Quale musicista apprezzerebbe un maestro che gli fa passare errori di solfeggio? Quale sportivo si fiderebbe di un coach che non lo “stressa”, e non lo spinge a superare i propri limiti o quale studente avrebbe una buona opinione di un professore facilone sulla grammatica?

Nessuno. I maestri più bravi, lo sappiamo, sono quelli che insegnano con affabile ragionevolezza, ma senza deviare di un millimetro da quello che è l’optimum, il massimo a cui puntare.  

Lo sappiamo nella vita spicciola, ma, stranamente, per quanto riguarda le cose più importanti della vita vera, cioè il destino eterno per i credenti e la dignità dell’esistenza terrena per i laici, stranamente siamo rimasti a un livello evolutivo da terza media, a un’immaturità adolescenziale per cui il primo vestito di bianco che molla su tutto, sul peccato, sull’inferno, sul purgatorio, sui comandamenti che non sono più assoluti, il primo che sdogana i vizietti sessuali con la retorica woodstockiana dell’amore, e che va a tutto campo con la demagogia sui poveri (materiali, non di spirito) piace da matti. Una Sindrome di Lucignolo per adulti: venite nel paese dei Balocchi, vi ingozzerete dei dolciumi di una “carità” bulimica, narcisistica ed ego-riferita, con la placida consapevolezza dell’impunità per i vostri peccatacci.

E infatti, i modernisti, con tutta la loro debordante cultura, il loro dotto “metodo storico” che tutto smitizza e desacralizza, dove puntano? Guarda caso, sempre in discesa, sempre verso la via più comoda e larga, verso il compromesso col mondo e quella dittatura relativistica che pone i capricci dell’uomo come obiettivo ultimo, come diceva il vero papa. AI modernisti basta appena dire che “all’epoca non c’erano registratori”, come il sulfureo generale dei Gesuiti, Arturo Sosa. Così, tutto si può mettere in discussione, giù giù,  fino a dare la comunione a Biden, orgoglioso delle sue migliaia di bambini di nove mesi fatti a pezzi col forcipe. Queste le “conquiste dottrinali” del modernismo, che, non a caso, fu scomunicato a sangue da San Pio X, un papa tosto che fumava il sigaro, e aveva le idee chiare e la vista lunga.

L’unica “durezza” imposta dal modernismo è quella di accogliere migranti come se piovessero, distruggendo l’identità delle patrie europee, in obbedienza ai diktat del Nuovo Ordine Mondiale di cui parla candidamente lo stesso Bergoglio.

Ma Seewald sa molto bene – siamo convinti - che i motivi per cui faranno santo papa Benedetto sono ben altri. Ratzinger non è stato solo un’umile sentinella che è rimasta a fare la guardia al bidone di benzina della fede, ma anche e soprattutto uno straordinario, ispirato stratega, un condottiero autosacrificatosi nella verità non solo per il trionfo del Cattolicesimo, (altro che sincretismo!) ma anche della Ragione e dell’oggettività delle cose. Una Reconquista di Dio, della Ragione e dell’Europa cristiana di cui, giustamente, quanto inconsapevolmente, parlava Flores d’Arcais QUI.

Benedetto sarà fatto santo, dice Seewald, non sappiamo quando, ma azzardiamo una previsione su quale sarà il suo grande e principale miracolo.

L’apertura di un mondo nuovo, quello al quale lui stesso dice di “non appartenere più, ma che ancora non è iniziato”. Sarà - passateci il termine New Age - un vero “salto quantico”, uno sviluppo della consapevolezza umana. Un po’ come quando verso i 40 anni, talvolta, si comincia a capire e ad apprezzare la severità dei propri genitori, si riconosce tutto il loro amore gratuito perché il rigore che ci chiedevano era davvero fatto nel nostro interesse, e per il nostro bene. E li ringraziamo, a volte piangendo, vedendoli anziani, svuotati di se stessi come il pellicano che nutre i piccoli con la propria carne.

Così oggi i più maturi, come Seewald,  hanno compreso che quel fragile vecchino tedesco, con la testa splendente di insoliti candidi capelli - quasi un acconto di aureola - svelerà, una TRAMA NASCOSTA. Non solo quella dozzinale di Bergoglio, della Mafia di San Gallo e dei loro amici massoni, ma una “trama” benefica e infinitamente più grande: non impositiva, comprensibile da chi crede, ma anche da chi - ateo, o agnostico - ha il cuore puro e il cervello attivo. Joseph Ratzinger svelerà il TESSUTO di una logica sottile che percorre il tempo e la storia umana. Una giustizia e una verità che alla fine si affermano e nullificano i disonesti. Per i Cattolici sarà la conferma della vittoria di Cristo, del Logos, il Verbo che si è fatto carne. Altri si convertiranno in massa, e chi non vorrà fare quell’ultimo salto di fede, avrà la dimostrazione empirica della supremazia finale della Logica su quella becera emozionalità con cui ci tengono in scacco da alcuni secoli, coi sogni adolescenziali rivoluzionari finiti – regolarmente - in fiumane impetuose ed atroci di sangue.

“Che bello! Tutti liberi, tutti uguali, tutti fratelli!” cantavano nella crudele mega-autogestione francese di 232 anni fa e poi giù con teste tagliate, seguite da guerre mondiali, guerre fredde, gulag, ipercontrollo e schiavizzazione. E, da quell’antico grido in braghe corte, recentemente ripetuto in un belato politicamente corretto nella pseudo-enciclica “Fratelli e sorelle tutti” non ci si è più fermati, fino ad oggi.

Del Piano B e del Codice Ratzinger, di cui noi abbiamo indagato solo l’1%, parleranno nei prossimi secoli. Quando verrà fuori la sede impedita e Bergoglio verrà annullato in un soffio, finirà anche il castigo, il diluvio: questo, tanto per motivi pratici e politici, quanto, per chi crede, per motivi spirituali. Preti: cominciate a portarvi avanti col lavoro: tornate ai catechismi rilegati in marocchino, perché fra non molto, ci sarà una separazione ben netta: o di qua, o di là: o con la vera Chiesa o con un’altra cosa che, pure resisterà qualche tempo come lo strascico di un malanno.

La rivelazione finale del sacrificio di Benedetto XVI, del suo papato semanticamente (non giuridicamente) “emerito”, cioè “meritevole”, “insigne”, "di diritto" e la spiegazione del suo “ministero allargato” (teologico, non canonico) insieme all’usurpatore anticristico, (anch’egli inconsapevole cooperatore della verità), costituiranno una tappa fondamentale della storia umana. La massima impostura politica e religiosa sarà spazzata via dalla massima, analoga verità.

Questo comporterà il crollo di un sistema di pensiero proveniente dal basso, anti-spirituale, che ci angoscia da tre secoli in varie forme e sottoprodotti, fondato sull’emotività e su ideologie materialiste: sarà il fallimento dei cascami del Comunismo, delle militanze anticristiane, quanto del miserabile costrutto massonico che tenta di salvare capra e cavoli: le più grevi passioni umane insieme a una presunta elevazione spirituale, al narcisismo esclusivista della gnosi, alla tentazione della magia, alla superbia del “fare da soli”. Troppo comodo, magari fosse. Ma è un’illusione.

Benedetto farà scoprire anche ai laici che la storia è subordinata a una dinamica che trascende l’uomo e, alla fine, annichilisce ogni disonestà, ogni menzogna, soprattutto ogni scollegamento col reale sottile.

Più che il Covid, serpeggia nel mondo un mortifero virus dell’ideologia materialista fatto in laboratorio da quell’Homo Laicus che si ostina a ritenere di poter fare tutto quello che vuole, e di poter “mandare in soffitta la natura”, come auspicava il Gran Maestro massone Di Bernardo QUI.

Una contro-risposta solamente materiale, un nuovo ritrovato tutto umano, “troppo umano”, un’ideologia pratica che si precluda a ogni trascendenza sarà del tutto insufficiente e foriera di ulteriore, babelico caos.

Ma il virus del materialismo dovrà fare i conti con una “Logica sottile e implacabile della Vita”, un “darwiniano Tempo Galantuomo”, una “Profondità possibilmente salvifica dell’esistenza” e si estinguerà da solo perché è innaturale, contro-natura, contro il Reale. Tutto questo sarà svelato dalla risoluzione abbagliante della questione dei “due papi”, di cui ormai sapete tutto e che potrete ripercorrere in fondo a questo articolo QUI.

E non si potrà che restare attoniti, ammirati, stupefatti da questa seconda Rivelazione cristiana e questo secondo Rinascimento alla portata dei credenti e dei laici di buona volontà. Così come restò attonito Peter Seewald, giornalista comunista, convertito dall’incontro con Ratzinger, vinto dalla sua capacità di armonizzare Ragione e Fede.

Doppio Codice Ratzinger: "Behinderung" - impedimento. Ma attenti all'antipapa Giovanni XXIV. Andrea Cionci su Libero Quotidiano il 30 dicembre 2021.

Andrea Cionci. Storico dell'arte, giornalista e scrittore, si occupa di storia, archeologia e religione. Cultore di opera lirica, ideatore del metodo “Mimerito” sperimentato dal Miur e promotore del progetto di risonanza internazionale “Plinio”, è stato reporter dall'Afghanistan e dall'Himalaya. Ha appena pubblicato il romanzo "Eugénie" (Bibliotheka). Ricercatore del bello, del sano e del vero – per quanto scomodi - vive una relazione complicata con l'Italia che ama alla follia sebbene, non di rado, gli spezzi il cuore

Qualche giorno fa, nell’articolo con la vera spiegazione sul papato emerito QUI avevamo trovato un’altra perla in Codice Ratzinger da quella miniera che è “Ultime Conversazioni” di Peter Seewald (Garzanti 2016).

Domanda: “Anche un papa emerito ha paura della morte?”

Papa Ratzinger: “Per certi versi sì. In primo luogo c’è il timore di esser di peso agli altri a causa di UNA LUNGA INVALIDITÀ”. (orig.: eine lange Zeit der Behinderung).

Ora, come avevamo colto, l’”invalidità”, in italiano, ovviamente, non è solo quella sua, fisica, da uomo anziano, ma “per un altro verso” è l’invalidità di Bergoglio come papa.

Questa è una classica ANFIBOLIA RATZINGERIANA: una frase che può essere interpretata in due modi diversi.

Il collega Mirko Ciminiello di RomaIT, l’unico vaticanista che ha osato seguirci sul Piano B, ha però trovato una chicca ulteriore QUI: nella versione tedesca, papa Benedetto usa per “invalidità” la parola BEHINDERUNG, che si traduce anche come IMPEDIMENTO. (Peraltro, confermano madrelingua tedeschi, che per la sua situazione di anziano fragile, meglio sarebbe stato usare la parola Gebrechlichkeit).

E, guarda caso, noi ripetiamo da metà agosto che papa Benedetto è il solo papa perché si è auto esiliato in SEDE IMPEDITA, canone 412.

Siamo andati a controllare la versione tedesca del Codice di Diritto canonico, QUI : Can. 412 — Der bischöfliche Stuhl gilt als BEHINDERT…  (La sede episcopale si intende impedita…) e ancora al can. 413  “Bei BEHINDERUNG des bischöflichen Stuhls steht…. (Mentre la sede è impedita…).

Fantastico: papa Benedetto comunica in doppio Codice Ratzinger QUI, sia in italiano che in tedesco. Infatti sarebbe stato troppo palese dire in italiano “temo di esser di peso a causa di un lungo impedimento”. Ma anche nella traduzione, è riuscito a mantenere il senso, per chi voleva capire.

Ora, direte, ma che è questa sede impedita? Siete andati a ripescarla cavillosamente dai più reconditi anfratti del diritto canonico? NO.

La sede impedita è, per il papa, la situazione “consorella” della rinuncia, intesa come abdicazione.

La prova immediata? Il titolo del recente studio della famosa canonista dell’Università di Bologna Prof.ssa Geraldina Boni: “Una proposta di legge, frutto della collaborazione della scienza canonistica, sulla SEDE romana totalmente IMPEDITA e la RINUNCIA del papa” .

Come vedete, le due situazioni canoniche sono diverse, ma contigue e, come abbiamo già illustrato, dipendono da una sfumatura speculare e sostanziale: se il papa rinuncia in modo simultaneo al munus petrino, (titolo divino di papa) abdica al papato, e decade ovviamente anche dal ministerium (esercizio del potere pratico).

Se invece rinuncia solo di fatto (e in modo differito) al ministerium, va in sede impedita, mantiene il munus e resta papa, sebbene prigioniero, confinato. Esattamente quello che ha fatto papa Benedetto.

E non ci sono santi: il papa è uno solo ed è Benedetto.

Quindi, tutti i cambiamenti canonici che si tentano di fare adesso per mettere una pezza a posteriori, sono acqua fresca, in quanto il vero papa è privo del potere legislativo e Bergoglio, in quanto antipapa, non può approvare nulla del genere.

Ora, però, quella frase, oltre a essere una plateale anfibolia da Codice Ratzinger, permette al Santo Padre di menzionare anche una situazione effettivamente penosa.

Lui si duole del fatto che la sua Behinderung comporti “un peso per gli altri”. Chiaramente, avendo a disposizione una decina di persone, tra suore, memores e un segretario nella famiglia pontificia, il vero “peso” cui si riferisce è quello per i fedeli causa sede impedita.

Infatti da otto anni la Chiesa si sta sciroppando l’antipapa demolitore del Cattolicesimo e delle sovranità nazionali: intellettuali sull’orlo di una crisi di nervi, religiosi che si fanno scomunicare, teologi che si arrampicano sugli specchi per non essere cacciati, fedeli con lo sguardo catatonico, oltre a una serie infinita di sacrilegi pachamamici e di follie da quadro di Bosch.

Giusto qualche giorno fa, Bergoglio è riuscito a dire in un’intervista che “la Madonna è una donna di strada (!)” QUI perché non trovava un posto dove partorire. Proseguiva citando il massone De Amicis e poi, dopo una tirata (veramente deamicisiana) sui bimbi malati e abbandonati (ma perché prima del vittorioso referendum abortista al nono mese a San Marino non ha detto niente?), la frasetta filo massonica: “Solo la vera e concreta FRATERNITÀ UNIVERSALE ci salverà e ci permetterà di vivere tutti meglio”. Ormai parla esplicitamente.

Così, questa situazione di sede impedita è davvero un peso, un vero macigno, ma c’è un rischio anche peggiore: che prosegua per un pezzo.

Mentre per ora la salute del vero papa sembra essere discreta, quella di Bergoglio non molto. Ci sono state vociferazioni (spesso provenienti da coloro che, pure, lo considerano papa) che parlano di pochi mesi ancora.

Adesso, attenzione: se ci sarà un’uscita di scena di Bergoglio prima di quella di papa Benedetto, il rischio grosso è che si vada a un frettoloso conclave con 70 non-cardinali di nomina antipapale che eleggerebbero un altro antipapa. Toccherebbe un altro giro di giostra, quindi. Potrebbe essere eletto un antipapa Zuppi, o un Maradiaga, o un Tagle, tutti cingolati d'assalto bergoglian-modernisti. Questo antipapa successore di Bergoglio avrebbe il nome di Giovanni XXIV, un nome non casuale perché sarebbe l’ideale successore di due Giovanni XXIII: l’antipapa Baldassarre Cossa (1370-1419) e Angelo Roncalli, il papa del Concilio, che diede inconsapevolmente il via all’aggressione massonico-modernista alla vera Chiesa.

Da tabella di marcia, Giovanni XXIV dovrebbe avere il compito di dare il colpo di grazia alla fede cattolica, eliminando la Transustanziazione per realizzare la nuova mega-religione sincretista mondialista. Infatti già Bergoglio, dopo aver infilato, come un torero, la penultima banderilla sul dorso del Cattolicesimo con l’abolizione della messa vetus ordo, aveva fatto partire i lavori sulla cosiddetta “intercomunione coi protestanti” di cui parla Marco Tosatti QUI L’anticamera dell’abolizione del Sacrificio perpetuo.

A proposito, ma vi siete chiesti a che titolo Bergoglio – se fosse il vero papa – potrebbe fornire, adesso, il nome del suo successore? Ma lo Spirito Santo non avrebbe dunque voce in capitolo? (No, ovviamente: assente giustificato).

Quindi ha ragione papa Benedetto; questo impedimento è per “gli altri” un peso enorme che rischia di continuare se i veri cardinali (di nomina pre-2013) non prenderanno fin da ora assoluta, urgente consapevolezza della sede impedita (“Behinderung Stuhl”) del vero papa e non si regolino di conseguenza, in totale trasparenza, quando saranno finalmente liberi dal rischio di scomuniche, per quanto invalide.

Rischio scisma? Nulla da temere: anzi. Sarebbe esattamente quello che vuole Benedetto XVI, come ha ribadito lui stesso, in estate, all’Herder Korrespondenz: “Separare i credenti dai non credenti”.

Questa convivenza forzata tra veri cattolici ed eretici modernisti filo-massonici ha da finire una volta per tutte. E anche tutto il resto collegato a questa situazione. Siamo stanchi davvero.

·        Il Papa Comunista.

Fumata bianca. I "sì" e i "no" di Papa Francesco: così è cambiato il Vaticano. Cosa è cambiato e cosa è rimasto uguale nella Chiesa in quasi dieci anni di pontificato bergogliano? Il Papa ha espresso spesso messaggi molto netti, con alcune aperture. Nico Spuntoni l’11 Dicembre 2022 su Il Giornale.

Il 13 marzo 2023 saranno passati dieci anni dall'elezione di Francesco. Un decennio durante il quale la Chiesa è cambiata molto meno di quanto potrebbe sembrare. Perché, come ebbe modo di dire Bergoglio in un'intervista, "la Chiesa è il Vangelo, non è un cammino di idee". Il pontefice regnante ha ridisegnato buona parte dell'episcopato di tutto il mondo e nominato un collegio cardinalizio "a sua misura", così come ha operato un abbondante ricambio dei ruoli dirigenziali. Al tempo stesso, però, durante il suo pontificato non si sono registrati stravolgimenti sul fronte della dottrina e della Tradizione.

Il celibato? Non si tocca

Le cosiddette aperture di Francesco sono state, per lo più, aperture a discussioni su temi che - specialmente coi suoi due predecessori - si ritenevano non negoziabili e che affioravano solamente da frange minoritarie nella Chiesa. Discussioni su cui, però, spesso e volentieri è stato lo stesso Francesco a mettere la fine, mantenendosi nel solco della Tradizione e dunque del Concilio Vaticano II. Lo si è visto sulla questione del celibato ecclesiastico: il Sinodo sull'Amazzonia dell'autunno 2019 sembrava dovesse segnare la fine dell'obbligo e lo sdoganamento dei cosiddetti viri probati come soluzione contro il calo delle vocazioni. Il documento finale dell'assise, utilizzando il caso particolare dell'Amazzonia, recepiva le istanze di chi voleva ordinare anche uomini sposati e chiedeva anche un "approccio universale all'argomento".

A rovinare la festa ai sostenitori del celibato volontario, però, ci ha pensato proprio il Papa con l'esortazione post-sinodale, Querida Amazonia, nella quale ha chiesto di fronteggiare la carenza di preti con la preghiera per le vocazioni sacerdotali, non menzionando in alcun modo la richiesta avanzata dalla maggioranza dei padri sinodali. Una decisione spiegata in anticipo durante un incontro con i vescovi statunitensi ai quali chiarì che sui preti sposati non sarebbe andato avanti perché non sentiva che lo Spirito Santo fosse a lavoro su questo. Un "no", quello all'abolizione del celibato obbligatorio, coerente con una frase di Paolo VI che Francesco ama spesso citare: “Preferisco dare la vita prima di cambiare la legge del celibato".

L'unico matrimonio è quello tra uomo e donna

Sin dall'ormai celebre "chi sono io per giudicare?" pronunciato pochi mesi dopo l'elezione su un volo di ritorno da Rio, questo pontificato si è contraddistinto per un approccio amichevole nei confronti degli omosessuali. Con lui sul trono di Pietro si è esplicitato dal punto di vista pastorale l'insegnamento del Catechismo della Chiesa Cattolica che chiede di evitare "ogni marchio di ingiusta discriminazione". Questo aspetto, portato sul piano mediatico, non ha risparmiato qualche cortocircuito come quando uno spezzone di un'intervista fu inserito all'interno di un documentario e presentato come un endorsement alle leggi sulle unioni civili. Un caso clamoroso che spinse la Segreteria di Stato ad inviare una nota ai nunzi di tutto il mondo per chiarire che il Papa si riferiva ad una legge argentina contro la cui introduzione si era battuto da arcivescovo di Buenos Aires e che la sua era una richiesta di coperture legali per le persone dello stesso sesso.

In quella stessa intervista da cui era tratto lo spezzone incollato nel documentario - specificò la Segreteria di Stato - Francesco aveva affermato che "è una incongruenza parlare di matrimonio omosessuale". Una posizione in linea con la dottrina della Chiesa che ha avuto modo di ribadire in altre occasioni: ad esempio, sul volo di ritorno dal viaggio in Ungheria e Slovacchia nel 2021, quando affermò perentoriamente che "il matrimonio è matrimonio, è l'unione tra un uomo e una donna".

La durezza contro l'aborto

Durante questo pontificato, non solo non è cambiato il magistero della Chiesa sull'aborto ma la sua condanna è stata manifestata anche con maggiore durezza rispetto al passato. Così come i suoi predecessori, anche Francesco ha dimostrato di voler distinguere fra il giudizio morale sull'aborto e la comprensione per la situazione concreta della donna che vive questa esperienza. Ma in questi dieci anni, il Papa argentino ha usato parole nette per condannare l'aborto, definito in più occasioni "un omicidio". Tra i suoi moniti contro l'interruzione di gravidanza, Francesco ha anche usato un paragone forte dicendo che abortire è come "affittare un sicario per risolvere un problema". Un'intransigenza che rientra nella salvaguardia del principio fondamentale della bioetica cattolica, quello della difesa della sacralità della vita umana e che nel magistero di questo Pontefice si è visto anche con le prese di posizione in favore del salvataggio dei migranti sempre e comunque.

Sì all'ammissione dei divorziati risposati all'eucaristia

Il pontificato di Francesco sarà senz'altro ricordato per Amoris Laetitia, l'esortazione apostolica uscita nel 2016 dopo le due combattute assemblee sinodali sulla famiglia del 2014 e del 2015. La questione della comunione ai divorziati risposati era stata introdotta nel febbraio del 2014 con il concistoro convocato dal Papa e durante il quale la relazione introduttiva era stata affidata, indicativamente, al cardinale Walter Kasper, teologo tedesco favorevole ad amministrare la comunione ai divorziati , dopo un adeguato percorso penitenziale.

Il dibattito aveva diviso il Collegio cardinalizio sia durante il Concistoro che nei successivi Sinodi ed aveva visto anche clamorose prese di posizioni contro un'eventuale apertura come la pubblicazione di un libro firmato da cinque cardinali critici che ribadivano come "il Nuovo Testamento ci mostra Cristo che proibisce senza ambiguità divorzio e successive nuove nozze".

Nel capitolo VIII di Amoris Laetitia, c'è l'invito ad un percorso di discernimento che a seconda delle singole storie personali può consentire anche alla riammissione ai sacramenti di quelle famiglie cosiddette irregolari. Un'apertura che secondo i più critici ha creato confusione a proposito dell'insegnamento della Chiesa sull'indissolubilità del matrimonio e che è stata all'origine dei famosi dubia sollevati da quattro cardinali, Raymond Burke, Carlo Caffarra, Walter Brandmüller e Joachim Meisner.

Fabio Marchese Ragona per “il Giornale” il 19 novembre 2022. 

Papa Francesco vola questa mattina in forma privata in provincia di Asti per festeggiare il novantesimo compleanno della cugina Carla Rabezzana (che in realtà ha raggiunto il traguardo lo scorso 8 novembre). Sarà una riunione tra parenti nella casa di Portacomaro, dove la festeggiata si è trasferita ormai da diversi anni, da quando è rimasta vedova. 

Signora Carla, è emozionata?

«Beh, è un bel regalo che mi fa mio cugino Giorgio, non lo merito! L'emozione certamente è grande, ma mi perdoni sono molto indaffarata perché devo preparare tutto in casa...».

Cosa deve preparare?

«La tavola prima di tutto. Viene Sua Santità a pranzo, non posso farmi trovare così, impreparata e senza niente di cucinato». 

Cosa gli darà da mangiare? Il Papa ha detto che gli piace la bagna cauda come la fanno ad Asti, senza panna ma con il burro.

«Io non farò niente di speciale, qualcosa di leggero perché non posso fargli cambiare i suoi ritmi: deve fare anche un riposino pomeridiano quindi non posso appesantirlo troppo». 

Può anticiparci il menù? Qualche altro piatto tipico piemontese?

«Niente piatti tipici, ci sarà l'insalata russa, delle verdure, l'arrosto. Queste cose qui. Tutto molto semplice e leggero». 

Sarete in tanti?

«Rimaniamo in famiglia: siamo i cugini, sei famiglie, con figli e nipoti! Una trentina di persone penso, vengono anche due cugini di Tigliole e Vaglierano, sempre in provincia di Asti». 

Ha pensato anche a un regalo da fargli?

«Sinceramente no! Sono così presa da tutto quello che devo fare che alla mia età non ho pensato a niente. Anche perché cosa mai potrei regalare al Papa?».

Ha in mente già qualcosa che vuole dirgli?

«Sicuramente gli dovrò dare una tirata d'orecchie perché non era nei miei piani organizzare un festeggiamento per i miei novant' anni. Però sono molto felice di vederlo dopo alcuni anni, lo abbraccerò di cuore». 

Vi frequentate da tanto tempo?

«Guardi, noi siamo cugini di secondo grado perché mia mamma Ines era cugina di primo grado del papà di Giorgio. Ma siamo stati sempre molto legati. Veniva a Torino quando era già un gesuita più che trentenne: l'ho incontrato quando doveva andare a Francoforte per i suoi studi. In età più adulta, quando era già cardinale e veniva in Italia per andare in Vaticano a fare le sue riunioni, veniva a trovarmi e lo ospitavo sempre volentieri a casa mia».

Avete sempre avuto un bel rapporto, quindi?

«Ci sentiamo spesso, in pratica una volta al mese e ogni volta mi prende in giro». 

Ci può spiegare?

«Quando rispondo al telefono lui dice: Pronto? È la casa di riposo? E io ogni tanto ribatto: Non prendermi in giro perché potresti finirci tu!. E lui replica: Eh, questo lo vedremo...». 

Però l'ultima volta che vi siete sentiti, le ha detto che sarebbe venuto a trovarla.

«Sono rimasta davvero senza parole, non sapevo più che dire. E anche in quel caso ha sdrammatizzato: Se non vuoi, non vengo eh!. A quel punto le ho detto che avevo il batticuore e ha aggiunto: Vedi di non morire!». 

Siete due cugini molto affiatati, avete dei punti in comune nel carattere?

«Lui ha una memoria da elefante! Io non proprio. Però sicuramente ci accomuna la sincerità: se dobbiamo dire una cosa la diciamo e stiamo al nostro posto. Inoltre, ha sempre avuto una gran testa dura e una grande ironia, la battuta non manca mai! E sono certa che anche adesso che ci vedremo ne avrà in serbo qualcuna anche per me!». 

Si aspettava tutta questa attenzione?

«Eh! Stiamo parlando del Papa ed è normale che ci sia tutta questa curiosità. Io preferisco stare sempre un po' in disparte, non amo i riflettori e devo anche finire di preparare la tavola: concentratevi su di lui e su tutte le cose belle che dice al mondo!».

Bergoglio: “Se il prete non assolve è un delinquente”. Quindi anche S. Padre Pio? Andrea Cionci su Libero Quotidiano il 17 novembre 2022

Andrea Cionci. Storico dell'arte, giornalista e scrittore, si occupa di storia, archeologia e religione. Cultore di opera lirica, ideatore del metodo “Mimerito” sperimentato dal Miur e promotore del progetto di risonanza internazionale “Plinio”, è stato reporter dall'Afghanistan e dall'Himalaya. Ha appena pubblicato il romanzo "Eugénie" (Bibliotheka). Ricercatore del bello, del sano e del vero – per quanto scomodi - vive una relazione complicata con l'Italia che ama alla follia sebbene, non di rado, gli spezzi il cuore

Il titolo è choccante, ma l’ultima del sedicente papa Francesco non lascia dubbi. Potete constatare QUI come addì 10 novembre 2022 durante il discorso “Ai partecipanti al Corso per Rettori e Formatori di Seminari dell'America Latina, Bergoglio abbia dichiarato, attingendo al solito misericordismo e alla fantasiosa teoria del “diritto al perdono” con testuali parole:

“A volte soffro quando incontro gente che piange perché è andata a confessarsi e le hanno detto di tutto. Se tu vieni a confessarti, perché hai fatto una, due, diecimila cavolate... ringrazia il Signore e perdonalo! Ma che l’altro provi ancora vergogna e tu insisti, insisti. “Non posso assolverti, perché sei in peccato mortale, devo chiedere il permesso al vescovo...”. Questo succede, per favore! Il nostro popolo non può stare nelle mani di delinquenti. E un parroco che opera così è un DELINQUENTE, nel vero senso della parola”.

Peccato che, volente o nolente, la dottrina cattolica dica tutt’altro. Come spiega in modo molto erudito Riccardo Cascioli, direttore de La Nuova Bussola Quotidiana, il sacerdote può opportunamente negare l’assoluzione, o differirla se non ci sono le condizioni per un reale pentimento e il proposito di non peccare più.

“Il canone 980 – spiega Cascioli - stabilisce che «se il confessore non ha dubbi sulle disposizioni del penitente e questi chieda l'assoluzione, essa non sia negata né differita»”.

Curioso come il direttore della Bussola citi i canoni solo a volte, visto che elude ogni confronto sul canone 332.2 che impone la rinuncia al MUNUS petrino per l’abdicazione del Papa, citato nella Universi Dominici Gregis all’art. 53,.

(Peraltro, il link della U.D.G. è curiosamente NON ATTIVO, mentre nella versione inglese è deliberatamente modificato in 333 § 2).

Comunque, l’osservazione di Cascioli sul can. 980 è del tutto corretta e la stessa Famiglia Cristiana ci dimostra come lo stesso San Padre Pio da Pietrelcina (1887-1968) fosse noto per mandar spesso via, anche con una certa “energia”, le persone che andavano a confessarsi senza una reale volontà di pentimento: “Il metodo cambiava a seconda delle necessità, ma i sentimenti di quel confessore erano sempre gli stessi: orrore per il peccato e amore per il peccatore. Lo dimostra la testimonianza di una donna: «M’inginocchiai dinanzi a padre Pio col cuore in gola. Ero confusa, non capivo nulla. Ma le ultime parole recise e dure, con cui mi scacciò dal confessionale, le capii benissimo. Fu una mazzata benefica che non potrò mai dimenticare»”.

Padre Pio esercitava in pieno la propria missione di giudice e medico delle anime, amministrando il sacramento della Confessione nel pieno rispetto delle regole canoniche. Ma anche un altro grandissimo confessore, il Santo Curato d’Ars, (1786-1859), pur senza il modo burbero di Padre Pio, spesso differiva la concessione dell’assoluzione, in attesa che il penitente fosse realmente pronto e disposto ad ottenere il perdono dei peccati.

Caso di scuola, è quello di un adultero che, pur contrito per il suo peccato, ancora non riesca a troncare una relazione extraconiugale. Infatti, il proposito di “non peccare più” deve essere suffragato da una reale disposizione. Normale, no? Quante volte i medici rifiutano una cura o un intervento perché il paziente non è in condizioni idonee? Stessa cosa avviene per la cura delle anime.

Quindi è ufficiale: per Bergoglio, anche il Santo Curato d’Ars e Padre Pio erano dei delinquenti visto che, a volte, non davano l’assoluzione secondo le norme della Chiesa.  Scusate, ma non ci sono discussioni.

La cosa non ci stupisce affatto perché Bergoglio non è il papa e sa di non esserlo, infatti, pur avendo riconosciuto pochi mesi fa che le “dimissioni di Benedetto sono state poco chiare” non ha mai fatto nulla per chiarire.

Come capirebbe anche un bambino, se Francesco fosse in buona fede, subito correrebbe dal Santo Padre Benedetto a chiedergli: “Ma, Santità, cos’è successo? Cosa sono queste storie? Perché ha rinunciato al ministerium, invece che al munus, e non dice mai che io sono il papa? Ma davvero si trova in sede impedita?”.

Quale dottore, se si mettesse in dubbio la regolarità della sua laurea, potrebbe, in coscienza, infischiarsene e continuare a esercitare la professione, pur sapendo di farlo in modo probabilmente abusivo?  

Invece Bergoglio si limita a sanzionare/scomunicare/spretare tutti i preti coraggiosi, come don Minutella e gli altri del Sodalizio Sacerdotale Mariano, insieme a tutti quelli che hanno toccato il tasto dolente: la sua illegittimità.

Eppure, alla fine Francesco conquisterà anche noi, non con lettere personali, blandizie zuccherine, minacce di scomunica, o prebende, ma perché è troppo simpatico: come un Giamburrasca escatologico si diverte a distruggere la fede cattolica in modo clamoroso, esplosivo, sfacciatamente, davanti a tutti i cattolici pseudo-conservatori “una cum” che, con la stessa, ripetitiva ossessività di mosche che picchiano sul vetro di una finestra, si ostinano a criticarlo ferocemente e a sdegnarsi, ma guardandosi bene dal mettere minimamente in discussione la sua legittimità, causa sede impedita di papa Benedetto. (Troppo scomodo).

Basti pensare a come conclude il pezzo Riccardo Cascioli: “Il capovolgimento  è ormai totale; è mai possibile che un Papa dia del delinquente a sacerdoti che fanno il loro dovere?”.

GIA'.  Come è possibile, Direttore? Non sarà che – niente niente -  non è il papa? Magari perché Benedetto XVI non ha mai abdicato, ma si è ritirato in sede impedita, come stiamo cercando di significarti da due anni a questa parte? Ti abbiamo anche mandato “Codice Ratzinger”, il bestseller che raccoglie l'inchiesta prodotta su Libero e si sta diffondendo in tutto il mondo, (sarà presentato il 19 a Cosenza e il 28 a Catania), ma non lo hai neanche scaricato.

E Mons. Viganò? Lo abbiamo tempestato per due anni, gli abbiamo mandato il libro e continua a dire che è tutta colpa di Ratzinger che a 25 anni (!) era modernista. 

Il Prof. Viglione, dopo aver rifiutato di rispondere a ben due lettere aperte, come Aldo Maria Valli, scrive post misteriosi, senza mettere il soggetto: ““Maggiore è il successo di riscontro mediatico, minore è la profondità intellettiva e l’aderenza alla verità di quello che si trasmette. Ma questo è comprensibile solo ai pochi che amano pensare e aderire alla verità”.

Il prof. Roberto de Mattei, fa allusioni neanche troppo velate: “…In un momento in cui certe teorie cospirative sono esposte in maniera superficiale e talvolta fantasiosa. Per supplire alla mancanza di prove, queste teorie utilizzano la tecnica di una narrazione, che fa presa sulle emozioni, più che sulla ragione, e conquista chi, con un atto di fede, ha già deciso di credere all'inverosimile”.

A chi vi state riferendo, egregi Professori?  No, perché se c’è un’inchiesta basata graniticamente sulla ragione, il diritto canonico e la logica questa è esattamente quella sul Codice Ratzinger, confermata da almeno 30 specialisti, anche di rango universitario QUI. Sarebbe gradita una delucidazione: parlate chiaro, perché di questi tempi, l’unico a potersi permettere un linguaggio velato, è solo il Santo Padre Benedetto XVI, dalla sua sede impedita.

E così, mentre voi svagate e/o rifiutate il confronto leale, aperto e rispettoso su una realtà ingombrante quanto un elefante in una sacrestia, il “vostro” papa Francesco sta impunemente dando del delinquente a Padre Pio e a tutti i (pochi) preti rimasti che fanno il loro dovere.

E questa è una delle tante responsabilità che vi state accollando davanti alla storia.

Terra, serpenti e Grande Madre: le strane “madonne” di Bergoglio. La scoperta sulla Salus. Andrea Cionci su Libero Quotidiano il 7 novembre 2022

Andrea Cionci. Storico dell'arte, giornalista e scrittore, si occupa di storia, archeologia e religione. Cultore di opera lirica, ideatore del metodo “Mimerito” sperimentato dal Miur e promotore del progetto di risonanza internazionale “Plinio”, è stato reporter dall'Afghanistan e dall'Himalaya. Ha appena pubblicato il romanzo "Eugénie" (Bibliotheka). Ricercatore del bello, del sano e del vero – per quanto scomodi - vive una relazione complicata con l'Italia che ama alla follia sebbene, non di rado, gli spezzi il cuore

Molto strano: ci sono poche immagini mariane, o presunte tali, alle quali Bergoglio è attaccatissimo, mentre altre, invece, sono da lui quasi snobbate, come per esempio la statua dell’Immacolata in Piazza di Spagna, o quella di Fatima, alla quale lui preferisce “la Maria dei Vangeli”, solo madre e discepola, secondo la visione luterana.  Guai poi, a parlare di Corredentrice. Qualche giorno fa, in partenza per il Barhein si è recato in S. Maria Maggiore per pregare, per la 100esima volta, un'icona in particolare.

Come mai? Piano piano si configura un panorama sempre più chiaro e delineato, anche con l’ultima agghiacciante scoperta che vi presenteremo in fondo a questo articolo.

Non occorre ritornare sul fatto che Bergoglio non è il papa perché Benedetto XVI non ha abdicato, ma è in sede impedita, come documentato fino allo sfinimento in “Codice Ratzinger” (Byoblu ed. 2022, che sarà presentato il 13 a Gubbio, il 19 a Cosenza, il 27 a Catania). Come antipapa, in ottica di fede, non avendo il munus petrino, Bergoglio non è assistito dallo Spirito Santo. Ora, questo non farebbe di lui, per forza un non cattolico (ci sono stati due antipapi santi) ma i suoi pronunciamenti eterodossi, che da anni inorridiscono i fedeli anche solo mediamente preparati, dimostrano chiaramente che non è cattolico, ma nutre, anzi, una simpatia ricambiata per la massoneria e il mondo esoterico, insieme a una precisa volontà di mutare geneticamente il Cattolicesimo, opera che viene portata avanti con impercettibili e overtoniani cambiamenti, perfino nel messale . Tutto viene rovesciato, “innescando processi”, per usare un’espressione a lui cara, tanto che è riuscito, forzando la simbologia veterotestamentaria del serpente, persino a sostenere che “Gesù si è fatto diavolo” (!) . Potete sgranare gli occhi, ma è tutto rigorosamente documentato e vi invitiamo a cliccare sui link collegati per gli approfondimenti.

Ovviamente, di questo processo in corso sono pochissimi quelli che se ne accorgono, dato che, a parte gli osservatori una cum che fanno gli gnorri, dominati da vari interessi, la massa dei fedeli è sommersa dalla colata bergogliana di buoni sentimenti a basso costo, consigli di vita spicciola, misericordia all’ingrosso e indulgenza continua sul peccato.

Abbiamo già messo a fuoco la particolarissima spiritualità di antipapa Francesco, individuata come “Bergogliesimo”: una strana religione che attinge a Neognosticismo, Neopaganesimo, Neoluteranesimo, Neomarcionismo, Apocatastasi, Neoarianesimo ed eresie affini QUI   .

Uno degli aspetti più interessanti, ancora molto da indagare, è il cosiddetto “Codice Bergoglio” : speculare al Codice Ratzinger, che il vero papa Benedetto utilizza, invece, per spiegare grazie alla Logica, la verità della sede impedita. Il sistema antagonista bergogliano, invece, punta su riferimenti intuitivi, simbolici, segreti destinati a pochi sodali, volti a mantenere un’impostura. Un esempio lampante è l’inequivocabile Buon Pastore rosacrociano che Francesco porta al collo, un simbolo completamente anticristico in quanto i Rosacroce non riconoscono Gesù come Figlio di Dio. E anche in questo caso, tanto per cambiare, nessuno ha potuto smentire.

Elemento centrale del Bergogliesimo è, però, la Madre terra: una figura femminile, pseudo-mariana, ma del tutto rovesciata. Lampante la famosa Pachamama, madre terra incaica, alla quale in agosto hanno compiuto un sacrificio umano, a Bergoglio intronizzata in San Pietro. Più nascosta la Nonna occidentale, alias la Nonna Ragno, cioè la Madre terra degli inuit in comunione con la quale Bergoglio ha partecipato, in Canada, a uno schietto rito di evocazione negromantica. .

Il culto della Madre Terra, del tutto estraneo al Cattolicesimo (la terra è, semmai, sorella, creatura, non creatrice), è stato prepotentemente importato nella Chiesa dall’antipapa puntando al rovesciamento della figura di Maria che, da Madre del Cielo, è divenuta il Suo opposto.

Si spiega quindi l’accoglienza sfacciata riservata alle Nonne Ragno e Pachamame schiettamente e dichiaratamente pagane, ma di straordinario interesse è l’astutissima trasmutazione della figura della Maria cattolica tradizionale operato sottilmente da Bergoglio e la rivalutazione, ad essa collegata, della figura del serpente, tanto che una frase prediletta dall’antipapa è “Gesù si è fatto serpente”.

E’ un discorso lungo e complesso, ma, come spiega perfettamente il prof. Leandro Sperduti, la  Grande Madre  è la divinità più antica del mondo. Nella preistoria, l’unica “creazione” evidente alla quale l’uomo poteva assistere era la generazione della vita: venerava, così, la femmina dalla quale, per chissà quale arcano prodigio, (si era ben lontani dalla comprensione del ruolo del seme maschile) fuoriuscivano altri esseri. E poi tutto tornava come prima.  La Grande Madre era quindi la dea di tutto, delle piante, delle acque, degli animali, della sessualità, della luce e del buio, della verginità e della maternità, di un ciclo di rinascita, della vita e della morte. E’ quindi la dea della conoscenza (infatti in età classica diverrà Atena) ed anche, soprattutto – spiega Sperduti - è l’archetipo dell’UNIONE DEGLI OPPOSTI. Ecco perché, oltre a mostrare caratteri femminili molto sviluppati, seno, fianchi, addome, spesso veniva raffigurata con elementi feroci e inquietanti: corna, denti aguzzi, artigli rapaci, vedansi le sue raffigurazioni come Lilith o Astarte. Così come la Grande Madre dona la vita, così la toglie.

Tipico della Grande Madre è la sua AMICIZIA COL SERPENTE, il quale entrando e uscendo dalla terra, ne è figlio, fecondatore, animale-simbolo, perfetta metafora. La dea primigenia è strettamente legata al serpente: nelle iconografie antiche, questa lo domina, ci gioca o ci danza, come nella dea dei serpenti di Cnosso, lo nutre, lo coccola, lo annoda, se lo avvolge sulle braccia, addirittura lo porta in testa come la Gorgone, o lo reca come ornamento sulle vesti, come Atena.

E adesso cominciano a tornare i conti: abbiamo visto qui che la cosiddetta Maria che scioglie i nodi, un culto ispirato a un pretestuoso ex voto di un protomassone, conservato in una chiesa gesuita tedesca, ad Augusta, è stato promosso in tutto il mondo esclusivamente da Bergoglio, stampandone milioni di “santini” . E’ la sua Maria prediletta, tanto da averne un quadro nello studio, onnipresente in tutte le trasmissioni tv. La novena che le si recita riprende pari pari il rito magico dei nove nodi, come si evince dal libro “Pillole di magia” di Michela Chiarelli.

Sconvolgente il quadro che fu regalato nel 2015 a Bergoglio dalla presidentessa dell’Argentina Cristina de Kirchner, dove il serpente, avvolto in un grosso nodo, non viene affatto schiacciato dalla Maria dei Nodi, ma, anzi, accarezzato appena col piedino.  Non è un caso che quella figura femminile, con provocanti spalle scoperte e 9 stelle nell’aureola (invece che 12), fosse attorniata da un angelo maschio e un angelo femmina, assurdi per la teologia cattolica (gli angeli non hanno sesso), ma chiaro simbolo dell’UNIONE DEGLI OPPOSTI di cui sopra.

La terra ricorre anche al centro della statua della stregonesca Maria dei nodi che Bergoglio ha portato in Canada dove anche lì, la dea dal viso androgino e corrucciato, poggia il piede sulla coda del serpente, lo domina, ma non lo uccide, non gli schiaccia affatto la testa. QUI 

Ora, questi sono FATTI  e “i fatti sono cose ostinate”. Ma ciò che preoccupa è lo snodo fondamentale che separa irrimediabilmente i culti della Grande Madre dal Cristianesimo. Un versetto della Genesi, dove Dio si rivolge al serpente, dice tutto: “Io porrò INIMICIZIA tra te e la donna, tra la tua stirpe e la sua stirpe: questa ti schiaccerà la testa e tu le insidierai il calcagno» (Ge 3,15-17).

Infatti, con il Vangelo, con Maria, TERMINA DEFINITIVAMENTE L’AMICIZIA, LA DIMESTICHEZZA FRA LA DEA MADRE E IL SERPENTE. La Madre di Cristo schiaccia la testa al serpente, è Immacolata, immune dal veleno del peccato. NESSUNA UNIONE DEGLI OPPOSTI, ma solo IL TRIONFO DEL BENE sul male, il trionfo di Gesù. Maria è la “tutta casta”, (altro che simbolo di sessualità), nessun ciclo di rinascite: c’è solo una vita e una morte, un destino eterno, o in Paradiso o in Inferno. Il serpente neotestamentario non ha più ambiguità, è divenuto solo il simbolo del Diavolo.

Quindi attenzione: quello di Bergoglio non è un autentico culto mariano cattolico, come appare, ma, subdolamente, UNA CREDENZA ALTERNATIVA, oscurissima e pagana i cui elementi ricorrenti che voi stessi potete individuare sono: Terra, figura femminile vagamente lasciva o crudele, unione degli opposti, maschile/femminile, il 9,  numero femminile, riconducibile alla Terra e al ciclo di rinascita QUI  e, soprattutto, il SERPENTE ANNODATO E/O TRATTATO AMICHEVOLMENTE.

E così, dopo questo necessario lungo preambolo, abbiamo appena scoperto un’altra figura mariana alla quale Bergoglio è stranamente devotissimo. L’icona, molto antica, conservata in S. Maria Maggiore della SALUS PUBLICA POPULI ROMANI. E’ una splendida Madonna col Bambino che la tradizione vuole essere stata dipinta addirittura da San Luca. Diversi papi l’hanno portata in processione tributandole un culto devoto, soprattutto a protezione del popolo di Roma.

Ma nulla di lontanamente paragonabile alla devozione parossistico-compulsiva che Bergoglio nutre per questa icona, che ha fatto restaurare nel 2018. La “soffiata” è arrivata da don Alessandro Minutella: “Bergoglio ha appena festeggiato la 100esima visita alla Salus Populi Romani, veda cosa c’è sotto”.

Incuriositi, abbiamo fatto qualche ricerca in loco, notando il cartello “100” appeso sopra l’entrata della Cappella Paolina che la custodisce. Facendo i conti, mediamente Bergoglio è andato a trovare la Salus quasi una volta al mese dall’inizio del suo antipapato, ma apprendiamo dai residenti che anche prima di diventare antipapa, da arcivescovo di Buenos Aires, (carica che ricopre tutt’ora), si recava spessissimo dalla Salus Populi Romani. Era proprio fissato con questa icona, così come lo era per la Maria dei nodi tedesca. Perché?

Legata strettamente all’ordine Gesuita, questa icona nell’800 è stata battezzata ufficialmente con il nome latino Salus Publica Populi Romani, anche se l’attribuzione pare fosse più antica QUI   .

Ecco svelato l’arcano: era questo il nome della dea romana della Salute, una divinità documentata in Centro Italia – come si apprende dall’omonimo volume di Cristina Cattaneo (Victrix ed.) - fin dal III secolo.

E indovinate come era raffigurata la dea? Come una bellissima DONNA CHE NUTRE UN SERPENTE con una patera (scodellina), o dandogli dei dolcetti, o delle uova, o dell’acqua da bere. Il serpente è anche annodato placidamente sul suo corpo. Il tema ricorre in molte statue, rilievi e perfino monete romane.

A questo punto, è lecito chiedersi: ma quando Bergoglio va a trovare la Salus Populi Romani, chi sta pregando, la Santa Madre di Gesù della veneratissima, autentica icona, o la dea romana coi serpenti, la solita divinità assimilabile alla Grande Madre?

E' un caso che si sia recato lì anche l'8 dicembre 2015, quando ci fu lo spettacolo della facciata di S. Pietro bestializzata con le proiezioni di animali? 

Così, non possiamo non concordare col gustoso codice Ratzinger di papa Benedetto XVI quando, nella lettera a Mons. Dario Viganò (non Carlo Maria) rifiutò di recensire la pseudoteologia di Bergoglio scrivendo nell’incipit: “Francesco è un uomo di PROFONDA formazione filosofica e teologica”.

Profonda, sì.  

State attenti: vi stanno turlupinando. E in modo molto grave. 

"Gesù comunista?" La provocazione del cardinale (che poteva essere papa). L'arcivescovo di San Paolo è stato accusato dai fan di Bolsonaro di essere un comunista perché veste di rosso. Ecco la sua replica. Nico Spuntoni su Il Giornale il 06 novembre 2022 

Il ballottaggio di domenica scorsa ha mostrato un Brasile spaccato esattamente a metà, dove l'ex presidente Lula è riuscito a prevalere sull'uscente Jair Bolsonaro per appena 2 milioni di voti a fronte di più di 124 milioni di elettori totali. Persino le percentuali così serrate, 50,9% contro 49,1%, non rendono a sufficienza la polarizzazione che si è registrata in Brasile: in 14 dei 26 Stati (più il Distretto Federale), infatti, è stato Bolsonaro il candidato più votato mentre nel Nordest, roccaforte del Partito dei Lavoratori, Lula è andato sopra il 70% a Piauí, Bahia e Maranhão. All'ex presidente di destra, invece, non è bastato stravincere in alcuni Stati dell'Amazzonia come Roraima (76%) , Acre (70%) e Rondônia (70%).

Insomma, le proteste dei camionisti che hanno bloccato il Brasile nella settimana appena trascorsa sono il riflesso dei numeri usciti da un ballottaggio che si è risolto per un margine ristrettissimo di voti ma che vedeva contrapposti due visioni lontanissime di società. In questo clima, come avevamo già visto, non poteva non giocare un ruolo significativo la componente religiosa, specialmente alla luce del fatto che il Brasile può vantare la comunità cattolica più numerosa del mondo.

Con la spaccatura creatasi nel Paese in campagna elettorale e dopo ha fatto i conti anche uno degli uomini più importanti del Sacro Collegio, il cardinale Odilo Pedro Scherer che è arcivescovo metropolita di San Paolo. Prima delle urne, il prelato aveva provato a calmare le acque su Twitter, invitando i brasiliani a riflettere sul fatto che "la fede in Dio rimane dopo le elezioni" e che, dunque, non vale la pena mettere "valori morali, giustizia, fraternità, amicizia, famiglia" a rischio "in mezzo alla lotta politica". A preoccuparlo, inoltre, era anche il fatto che nel legittimo dibattito politico venissero trascinate anche le Chiese.

La riflessione del cardinale, però, non è piaciuta a diversi sostenitori di Bolsonaro che hanno accusato i vescovi brasiliani di solidarizzare con la causa lulista e su Twitter hanno bersagliato Scherer, bollandolo come comunista perché veste di rosso. In realtà, come è noto, il rosso dell'abito cardinalizio non ha alcuna connotazione politica ma è un riferimento al martirio, perché chi riceve la porpora deve essere pronto a spargere il suo sangue per la fede in Cristo. "Usque ad sanguinis effusionem", questa la formula tradizionale.

Scherer ha voluto in ogni caso rispondere agli attacchi - a cui si sono aggiunti anche quelli di essere abortista - ribadendo di essere "a favore della famiglia, contro l'aborto e ogni violenza contro la persona" e di non approvare il comunismo o il fascismo. Ma le critiche social devono aver lasciato il segno sull'arcivescovo che è voluto tornare ad esprimersi sulle accuse mosse contro la Chiesa in campagna elettorale durante una cerimonia nel Santuario Frei Galvão Galvão.

Il porporato ha invitato i fedeli a rileggere il Vangelo, sottolineando che è inutile annunciarlo se poi non si mostra carità per i poveri e per i malati. Il tono dell'omelia si è poi fatto polemico. "Oggi si dice che chi si prende cura dei poveri è comunista", ha tuonato Scherer. "Allora, Gesù era comunista", ha affermato il cardinale, spiegando che è stato Gesù a dire di farlo. Subito dopo, l'arcivescovo ha svelato la sua provocazione, chiarendo che "no, questo non è essere comunisti" perché "prendersi cura dei poveri, dei malati, come ha comandato Gesù, fa parte del Vangelo" e invitando i fedeli a non lasciarsi ingannare e seguire l'esempio evangelico, così come i "santi hanno fatto" . Il video dell'omelia è stato condiviso su Twitter anche da Orlando Silva, politico di sinistra ed ex ministro di Lula. Sul profilo ufficiale del cardinale è comparso il retweet al commento di Silva, il quale ha definito il bolsonarismo “una setta diabolica”.

Il cardinale Scherer non è sospettabile di simpatie per la Teologia della Liberazione, la corrente teologica che flirtava con il marxismo e si diffuse in America Latina tra gli anni '60 e gli anni '70. Il suo nome era entrato nella lista dei papabili al Conclave del 2013 come candidato del cosiddetto partito 'curiale'. A suo vantaggio giocava la provenienza dall'America del Sud, la solida formazione teologica, l'esperienza pastorale alla guida di un'arcidiocesi importante come quella di San Paolo e la familiarità con la Curia in quanto membro della commissione di vigilanza sullo Ior. Ma la sua candidatura, secondo una ricostruzione riportata da Gerard O'Connell nel suo libro The Election of Pope Francis: An Inside Account of the Conclave That Changed History, si sarebbe dissolta nell'urna della Cappella Sistina durante il primo scrutinio, incassando solo quattro preferenze contro le 30 dell'italiano Angelo Scola e le 23 del futuro Papa, Jorge Mario Bergoglio.

Tuttavia, va detto che non avremo mai la certezza che andò effettivamente così, perché i cardinali che partecipano al Conclave sono tenuti a rispettare per sempre il segreto circa il suo svolgimento. Per chi viola questo giuramento è persino prevista la pena della scomunica "latae sententiae".

Domenico Agasso per lastampa.it il 2 Novembre 2022 

Niente compromessi con il Vangelo, bisogna aiutare bisognosi e migranti. Mai anteporre le aspettative del mondo all'attesa del Signore, «carriere, successi, riconoscimenti, ricchezze: tutto svanirà». Il Papa lo afferma alla Messa in suffragio dei cardinali e vescovi defunti nel corso dell’anno. Il Pontefice osserva che «si cercano più risposte sul web che davanti al Crocifisso». E racconta la sua commozione per la lettera che ha ricevuto dal cappellano luterano di una casa per bimbi orfani di guerra in Ucraina. 

All’«Altare della Cattedra» della basilica di San Pietro Francesco nell’omelia esordisce dicendo le due parole che le Letture ascoltate «suscitano in me: attesa e sorpresa. Attesa esprime il senso della vita, perchè viviamo nell’attesa dell’incontro: l’incontro con Dio, che e il motivo della nostra preghiera di intercessione oggi, specialmente per i Cardinali e i Vescovi defunti nel corso dell’ultimo anno, per i quali offriamo in suffragio questo Sacrificio eucaristico».

Tutti viviamo «nell’attesa, nella speranza di sentirci rivolte un giorno quelle parole di Gesù: “Venite, benedetti dal Padre mio”. Siamo nella sala d’attesa del mondo per entrare in paradiso, per prendere parte a quel “banchetto per tutti i popoli” di cui ci ha parlato il profeta Isaia. Egli dice qualcosa che ci scalda il cuore perchè porterà a compimento proprio le nostre attese più grandi: il Signore “eliminerà la morte per sempre” e “asciugherà le lacrime su ogni volto”». Papa Francesco aggiunge senza leggere il testo scritto: è «bello quando il Signore viene ad asciugare le lacrime! Ma e tanto brutto quando speriamo che sia qualcun altro, e non il Signore, ad asciugarle. E più brutto ancora, non avere lacrime». 

 Allora si potrà «dire: “Questi e il Signore in cui abbiamo sperato – quello che asciuga le lacrime –; rallegriamoci, esultiamo per la sua salvezza”. Si, viviamo nell’attesa di ricevere beni cosi grandi e belli che nemmeno riusciamo a immaginarli, perchè, come ci ha ricordato l’Apostolo Paolo, “siamo eredi di Dio, coeredi di Cristo” e “aspettiamo di vivere per sempre, aspettiamo la redenzione del nostro corpo”. Fratelli e sorelle, alimentiamo l’attesa del Cielo, esercitiamoci nel desiderio del paradiso. Ci fa bene oggi chiederci se i nostri desideri hanno a che fare con il Cielo».

Perchè si rischia di aspirare continuamente a «cose che passano, di confondere i desideri con i bisogni, di anteporre le aspettative del mondo all’attesa di Dio». Ma perdere di vista ciò che «conta per inseguire il vento sarebbe lo sbaglio più grande della vita. Guardiamo in alto, perchè siamo in cammino verso l’Alto, mentre le cose di quaggiù non andranno lassù: le migliori carriere, i più grandi successi, i titoli e i riconoscimenti più prestigiosi, le ricchezze accumulate e i guadagni terreni, tutto svanirà in un attimo». 

E rimarrà «delusa per sempre ogni attesa riposta in esse. Eppure, quanto tempo, fatiche ed energie spendiamo preoccupandoci e rattristandoci per queste cose, lasciando che si affievolisca la tensione verso casa, perdendo di vista il senso del cammino, la meta del viaggio, l’infinito a cui tendiamo, la gioia per cui respiriamo! Chiediamoci: io vivo quello che dico nel Credo, “aspetto – cioè – la risurrezione dei morti e la vita del mondo che verrà”? E come va la mia attesa? Vado all’essenziale o mi distraggo in tante cose superflue? Coltivo la speranza o vado avanti lamentoso perchè do troppo valore a tante cose che non contano e che poi passeranno?».

Nell’aspettativa di «domani, ci aiuta il Vangelo di oggi». E qui emerge la seconda «parola che vorrei condividere con voi: sorpresa. Perchè e grande la sorpresa ogni volta che ascoltiamo il capitolo 25 di Matteo. E’ simile a quella dei protagonisti, che dicono: "Signore, quando ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, o assetato e ti abbiamo dato da bere? Quando mai ti abbiamo visto straniero e ti abbiamo accolto, o nudo e ti abbiamo vestito? Quando mai ti abbiamo visto malato o in carcere e siamo venuti a visitarti?”. Quando mai? Così si esprime la sorpresa di tutti, lo stupore dei giusti e lo sgomento degli ingiusti. Quando mai? Lo potremmo dire anche noi: ci aspetteremmo che il giudizio sulla vita e sul mondo avvenga all’insegna della giustizia, davanti a un tribunale risolutore che, vagliando ogni elemento, faccia chiarezza per sempre sulle situazioni e sulle intenzioni».

Invece, nel «tribunale divino, l’unico capo di merito e di accusa e la misericordia verso i poveri e gli scartati: “Tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me”, sentenzia Gesù. L’Altissimo sembra che stia nei più piccoli. Chi abita i cieli dimora tra i più insignificanti per il mondo. Che sorpresa! Ma il giudizio avverrà cosi perchè a emetterlo sarà Gesù, il Dio dell’amore umile, Colui che, nato e morto povero, ha vissuto da servo». 

La sua misura e un «amore che va oltre le nostre misure e il suo metro di giudizio e la gratuita. Allora, per prepararci sappiamo che cosa fare: amare gratuitamente e a fondo perduto, senza attendere contraccambio, chi rientra nella sua lista di preferenze, chi non può restituirci nulla, chi non ci attira, chi serve i più piccoli».

Parlando ancora a braccio il Pontefice svela che «questa mattina ho ricevuto una lettera da un cappellano di una casa di bambini, un cappellano protestante, luterano, in una casa di bambini in Ucraina. Bambini orfani di guerra, bambini soli, abbandonati. E lui diceva: “Questo e il mio servizio: accompagnare questi scartati, perchè hanno perso i genitori, la guerra crudele li ha fatti rimanere soli”. Quest’uomo fa quello che Gesù gli chiede: curare i più piccoli della tragedia. E quando ho letto quella lettera, scritta con tanto dolore, mi sono commosso, perchè ho detto: “Signore, si vede che tu continui a ispirare i veri valori del Regno”». 

E poi Francesco sottolinea: «Quando mai?, dira questo pastore quando incontrerà il Signore. Quel “quando” meravigliato, che ritorna ben quattro volte nelle domande che l’umanità rivolge al Signore, arriva tardi, solo “quando il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria”. Fratelli, sorelle, non lasciamoci sorprendere anche noi. Stiamo ben attenti a non addolcire il sapore del Vangelo».

Perchè spesso, per «convenienza o per comodità, tendiamo ad attenuare il messaggio di Gesù, ad annacquare le sue parole. Ammettiamolo, siamo diventati piuttosto bravi a fare compromessi con il Vangelo. Sempre fino a qui, fino a là... compromessi. Dare da mangiare agli affamati sì, ma la questione della fame e complessa e non posso certo risolverla io! Aiutare i poveri si, pero poi le ingiustizie vanno affrontate in un certo modo e allora e meglio attendere, anche perchè a impegnarsi poi si rischia di venire disturbati sempre e magari ci si accorge che si poteva fare meglio!». 

Stare vicini ai malati e ai carcerati «si, ma sulle prime pagine dei giornali e sui social ci sono altri problemi più urgenti e dunque perchè proprio io devo interessarmi a loro? Accogliere i migranti si, certo, pero e una questione generale complicata, riguarda la politica… Io non mi mischio in queste cose… Sempre i compromessi: “si, si...”, ma “no, no”. Questi sono i compromessi che noi facciamo con il Vangelo. Tutto “si” ma, alla fine, tutto “no”.».

E cosi, a forza di «“ma” e di “pero” – tante volte noi siamo uomini e donne di “ma” e di “pero” – facciamo della vita un compromesso con il Vangelo. Da semplici discepoli del Maestro diventiamo maestri di complessità, che argomentano molto e fanno poco, che cercano risposte più davanti al computer che davanti al Crocifisso, in internet anzichè negli occhi dei fratelli e delle sorelle; cristiani che commentano, dibattono ed espongono teorie, ma non conoscono per nome neanche un povero, non visitano un malato da mesi, non hanno mai sfamato o vestito qualcuno, non hanno mai stretto amicizia con un bisognoso, scordando che “il programma del cristiano e un cuore che vede”», scandisce citando l’enciclica di Benedetto XVI Deus caritas est. 

Insiste il Vescovo di Roma: «Quando mai? – la grande sorpresa: sorpresa dalla parte giusta e dalla parte ingiusta – Quando mai? Si chiedono sorpresi sia i giusti che gli ingiusti». La risposta e una sola: «Il quando e adesso, oggi, all’uscita di questa Eucaristia. Adesso, oggi. Sta nelle nostre mani, nelle nostre opere di misericordia: non nelle puntualizzazioni e nelle analisi raffinate, non nelle giustificazioni individuali o sociali. Nelle nostre mani, e noi siamo responsabili». 

Oggi il Signore ricorda che la morte «giunge a fare verità sulla vita e rimuove ogni attenuante alla misericordia. Fratelli, sorelle, non possiamo dire di non sapere. Non possiamo confondere la realtà della bellezza con il trucco fatto artificialmente. Il Vangelo spiega come vivere l’attesa: si va incontro a Dio amando perchè Egli e amore». E, nel giorno del «nostro congedo, la sorpresa sarà lieta se adesso ci lasciamo sorprendere dalla presenza di Dio, che ci aspetta tra i poveri e i feriti del mondo. Non abbiamo paura di questa sorpresa: andiamo avanti nelle cose che il Vangelo ci dice, per essere giudicati giusti alla fine. Dio attende di essere accarezzato non a parole, ma con i fatti».

Al termine della Celebrazione, in forma strettamente privata, segue un momento di preghiera presieduto da Jorge Mario Bergoglio nel Campo Santo Teutonico.

Bergoglio sta rovesciando il Cattolicesimo, ma gli esorcisti si preoccupano per Halloween. Andrea Cionci su Libero Quotidiano il 31 ottobre 2022

Andrea Cionci. Storico dell'arte, giornalista e scrittore, si occupa di storia, archeologia e religione. Cultore di opera lirica, ideatore del metodo “Mimerito” sperimentato dal Miur e promotore del progetto di risonanza internazionale “Plinio”, è stato reporter dall'Afghanistan e dall'Himalaya. Ha appena pubblicato il romanzo "Eugénie" (Bibliotheka). Ricercatore del bello, del sano e del vero – per quanto scomodi - vive una relazione complicata con l'Italia che ama alla follia sebbene, non di rado, gli spezzi il cuore

“Gli italiani perdono le guerre come se perdessero partite di calcio, e le partite di calcio come se fossero guerre”.  Bisogna ammettere che la frase sprezzante di Churchill metteva il dito in una piaga nostrana, quella di  preoccuparci spesso per quisquilie ignorando le questioni veramente gravissime.

Abbiamo l’ennesima conferma di questa deprecabile abitudine anche con certo clero “conservatore” nostrano che, sotto Halloween, si spertica a mettere in guardia i genitori dal non far partecipare i bambini a una festa satanica. Culturalmente la ricorrenza ha oscure contaminazioni con feste pagane, ma, a giudizio di chi scrive, Halloween è innanzitutto una festa squallida, che generalmente consente alla gente brutta di sentirsi meno brutta truccandosi da zombie. E’ squallida perché è l’ennesima, dozzinale, malsana americanata consumista che noi ingolliamo, al solito, in modo acritico, in assenza di un asset culturale italiano che sappia e voglia recuperare e valorizzare le nostre meravigliose feste tradizionali, religiose o meno che siano.

In Halloween ci sono degli evidenti ammiccamenti al mondo della magia, del macabro, del diavolesco che possono introdurre i ragazzi a mondi e filosofie realmente pericolosi. Tuttavia, una serata l’anno di dolcetti e zucche vuote (in tutti i sensi) non è niente rispetto al bombardamento di contenuti realmente satanisti e corruttori promanati da guitti e rapper nelle loro “canzoni” che i nostri ragazzi ascoltano tutti i giorni, h 24, come una flebo velenosa.

Anzi, al limite, una tantum, la serata di Halloween potrebbe anche avere l’effetto catartico del carnevale, del quale nessuno dice, oggi, che “istiga al peccato sessuale e alla crapula”. Semel in anno licet insanire, e – se vivessimo in una società sana, una volta l’anno, con una sciocca mascherata noir, si potrebbe anche sfiorare giocosamente il mondo orrorifico per esorcizzarlo.

Il paradosso è che mentre questi pii sacerdoti gridano l’allarme per la “partita di calcio” di Halloween, trascurano totalmente la GUERRA FINALE ED ESCATOLOGICA che riguarda il papato, il futuro della fede, della Chiesa e la sorte del vicario di Gesù Cristo Benedetto XVI il quale, come dimostrato in modo ridondante, si trova in SEDE IMPEDITA, in stato giuridico di prigionia, e l’altro giorno, tramite Mons. Gaenswein, ha lanciato QUI il suo ultimo grido disperato: IO SONO IMPEDITO. 

E questi sacerdoti stanno a preoccuparsi delle zucche vuote e del dolcetto-scherzetto.

Vi rendete conto?

In agosto abbiamo pubblicato QUI una lettera aperta al presidente dell’Associazione Internazionale Esorcisti, Padre Francesco Bamonte e al demonologo domenicano Padre François Dermine, significando rispettosamente che “papa Francesco” ha partecipato, in Canada, con piena concentrazione spirituale a quello che inoppugnabilmente è un rito negromantico officiato da uno stregone inuit che ha pubblicamente evocato degli spiriti grazie a una tale “Nonna occidentale”. La vecchia cui si rivolgeva lo sciamano è la Nonna Ragno, la solita Madre terra degli indigeni che lancia la sua ragnatela sui bambini per divorarli: non esattamente un figura mariana.

Risposte dai Reverendi? Zero. Complimenti per la carità. Oggi funziona così: basta non rispondere e il problema è risolto. Del resto, perfino “papa Francesco” ha ricusato di rispondere ai cardinali dei Dubia, quindi… 

Vediamo se, caso mai, fra gli eventuali Padri esorcisti che leggono, qualcuno si ricorda del proprio obbligo di pastore, quello di proteggere le pecorelle, magari rispondendo tramite l'email dell’inchiesta codiceratzinger@libero.it ad alcuni dati di fatto che esigono una spiegazione.

Bergoglio porta al collo, da 30 anni, un simbolo inequivocabilmente rosacrociano, il Buon Pastore con le braccia incrociate, (inesistente nell’iconografia cristiana) una posizione tipica assunta anche al giuramento per il 18° da principe rosacroce del Rito Scozzese massonico. Ci risulta che i Rosacroce non riconoscano Gesù come Figlio di Dio e questo, secondo San Giovanni dovrebbe fare del loro un movimento anti-Cristo. Vi pregheremmo anche di confermare l’assoluta inconciliabilità fra massoneria e Cattolicesimo, nonostante i 70 elogi provenuti a Bergoglio da logge massoniche di tutto il mondo. Vorremmo sapere anche se il vescovo di Terni che ha recentemente co-inaugurato di una casa massonica abbia ricevuto qualche richiamo o sanzione ecclesiastica. Già che ci siamo, vorremmo anche sapere se quei cento preti tedeschi che hanno benedetto coppie gay, benedicendo così il 2° dei "Quattro peccati che gridano al cielo" siano stati riportati nei ranghi. 

Ci sarebbe poi la nota questione della Pachamama, alla quale il 5 agosto scorso, a El Alto, in Bolivia, hanno sacrificato un giovane di 30 anni QUI seppellendolo vivo. Vorremmo conferma del fatto che, per la dottrina cattolica, la Pachamama sia o no, da considerarsi un demone e vorremmo capire in base a quale criterio teologico è stata intronizzata in San Pietro.

Vorremmo anche sapere perché nel canone della Messa è stata inserita la rugiada, che guarda caso, è considerata nei testi esoterici il “Nettare dei Rosacroce”. Sappiamo che nel III secolo i cristiani ne parlavano, ma nel IV questa rugiada sarebbe stata sostituita dal dogma dello Spirito Santo. Perché ripristinare oggi una metafora ormai obsoleta della Terza Persona?

E ancora: perché se gli angeli non hanno sesso, “papa Francesco” ha accettato, nel 2015, un’opera della Maria che scioglie i nodi in cui figura un angelo maschio e uno inequivocabilmente femmina (col seno)? E perché in quell’opera il piede di Maria non schiaccia affatto la testa del serpente? QUI Da dove ha origine questo culto devozionale, esiste un episodio evangelico che lo giustifichi? Il presunto miracolo dello scioglimento dei nodi a un nastro giustifica una tale devozione? E’ vero che la Chiesa ha sempre proibito rituali con cordicelle annodate? E’ lecito che nella chiesa dell’Immacolatella, a Napoli, oggi i fedeli annodino fazzoletti con preghiere a questo strana figura e poi li brucino in un calderone? 

E ancora: in quale testo dottrinale cristiano cattolico si trova letteralmente l’espressione “Gesù si è fatto diavolo”, come ha dichiarato Bergoglio nel 2017? 

E soprattutto, perché Francesco non ha mai fornito spiegazioni sulla legittimità dell’abdicazione di papa Benedetto e conseguentemente sulla propria elezione? Perché a don Minutella non sono state fornite spiegazioni canoniche, invece di sospenderlo scomunicarlo e ridurlo allo stato laicale?

Perché se il diritto canonico (art. 332.2) impone per l’abdicazione papale la rinuncia simultanea, libera e formalmente corretta al munus petrino, Benedetto XVI ha rinunciato al ministerium, in modo differito, non ratificato e formalmente scorretto?

Comprendete bene che abbiamo un’infinità enciclopedica di dati e validissimi motivi per affermare in modo categorico che c’è stata un’usurpazione del papato, con un conclave invalido convocato a papa non morto né abdicatario ma IMPEDITO (art. 335 CIC)  da parte di un vescovo che si è abusivamente vestito di bianco e che, non solo non è cattolico, ma ha anche una religione personale e – in ottica cristiana – pericolosissima, che mira a sovvertire la fede di sana pianta.

Quindi, più che di allarmi (per quanto giustificati) su Halloween, caramelle e zucche illuminate, avremmo bisogno di risposte di peso molto, ma molto maggiore.

Anche perché i pastori che sanno e non proteggono il gregge si prendono un’enorme, terribile responsabilità.

Lo strano paradosso dei conservatori. Famiglia, matrimonio, omofobia: Papa Francesco e la Chiesa più avanti della politica. Fabrizio Mastrofini su Il Riformista il 30 Ottobre 2022 

Il mondo cattolico è avanti, o almeno, è più avanti di quello che sarebbe immaginabile, proprio sui temi della morale. Che poi abbracciano un po’ tutti gli aspetti della vita della Chiesa, delle persone, e magari anche della teologia. Secondo papa Francesco se non c’è accordo tra fede professata e praticata, la teologia serve a poco. Ma veniamo ai fatti. Lunedì Papa Francesco, come abbiamo scritto su queste pagine, ha parlato di come vede la famiglia. Vale la pena riportare qualche frase.

Primo punto: la teologia. «È chiamata a elaborare una visione cristiana della genitorialità, della filialità, della fraternità – non solo quindi del legame coniugale –, che corrisponda all’esperienza famigliare, nell’orizzonte dell’intera comunità umana e cristiana. Anche la cultura dei nonni, che è molto importante. La cultura della fede, infatti, è chiamata a misurarsi, senza ingenuità e senza soggezione, con le trasformazioni che segnano la coscienza attuale dei rapporti tra uomo e donna, tra amore e generazione, tra famiglia e comunità».

Secondo: guardiamo alle famiglie vere e proprie e non all’ideologia della famiglia, comoda ma irreale. «La qualità del matrimonio e della famiglia decide la qualità dell’amore della singola persona e dei legami della stessa comunità umana. È perciò responsabilità sia dello Stato sia della Chiesa ascoltare le famiglie, in vista di una prossimità affettuosa, solidale, efficace: che le sostenga nel lavoro che già fanno per tutti, incoraggiando la loro vocazione per un mondo più umano, ossia più solidale e più fraterno. Dobbiamo custodire la famiglia ma non imprigionarla, farla crescere come deve crescere. Stare attenti alle ideologie che si immischiano per spiegare la famiglia dal punto di vista ideologico. La famiglia non è un’ideologia, è una realtà. E una famiglia cresce con la vitalità della realtà. Ma quando vengono le ideologie a spiegare o a verniciare la famiglia succede quello che succede e si distrugge tutto. C’è una famiglia che ha questa grazia di uomo e donna che si amano e creano, e per capire la famiglia dobbiamo sempre andare al concreto, non alle ideologie. Le ideologie rovinano, le ideologie si immischiano per fare una strada di distruzione. State attenti alle ideologie!».

In realtà cosa dice il Papa? Intende sottolineare che la famiglia è il cardine della società sul piano teorico ma sul piano pratico va aiutata – dalla Chiesa, dai governi, dalla società civile – e non va ingabbiata dentro schematismi. Per i cattolici la famiglia è basata sul matrimonio tra un uomo e una donna, ma ciò non esclude che vadano considerati altri tipi e forme di legami, purché ci sia amore, rispetto, sostegno. La misericordia – cifra ‘teologica’ della Chiesa nel suo approccio con la realtà, a partire dal Vaticano II – non esclude nessuno, invita le persone a riflettere e camminare in un percorso di crescita. Del resto nessuno nasce ‘imparato’, alla maturità ci si arriva.

Questa lunga premessa serve a farci capire meglio cosa sta cambiando. Ad esempio il teologo Giuseppe Lorizio su Avvenire di giovedì indica al governo qualche elemento di riflessione. La 194 va applicata nella parte di prevenzione (interessante notare che a ottobre la stessa idea, espressa da mons. Paglia in televisione, ha generato un diluvio di critiche. Ma si era in campagna elettorale…); poi è necessario legiferare sul fine vita; infine ci si deve impegnare a fondo contro l’omofobia. Se la posizione sulla 194 non è nuova (e neppure originale, e magari coincide con i partiti al governo, ora che siamo fuori dalla campagna elettorale), va considerato l’accento del teologo quando precisa il quadro di riferimento in cui si muove la Chiesa. «La fede cristiana, nella sua forma cattolica, è sempre stata amica della ragione, allorché esercitata ed espressa laicamente con onestà intellettuale. Del resto, quando leggo sui media che alcuni esponenti dell’attuale maggioranza in Italia sarebbero ‘ultra-cattolici’ non so se sorridere o indignarmi. Un cattolico non potrà mai essere ‘ultrà’, appellativo che si riserva ai frequentatori e tifosi degli stadi. Se qualcuno sta offrendo questa rappresentazione sarebbe utile un chiarimento, abbandonando la sciarpa identitaria per dire che non si è ultrà, ma semplicemente credenti in politica».

Che la Chiesa sia sempre stata amica della ragione forse è discutibile, però è apprezzabile e da notare l’apertura ad un dialogo autentico, segno di tempi nuovi, e la messa fuori gioco degli oltranzismi di cui non se ne sente davvero il bisogno. Come è un segno di tempi nuovi quanto scrive un altro teologo, il moralista argentino Antonio Gerardo Fidalgo (docente a Roma, all’Istituto “Alfonsianum”, vera scuola di formazione e insegnamento della teologia morale) a proposito di un’altra vexata quaestio: l’indissolubilità del matrimonio. Tema su cui in Italia e non solo, si accapigliano da decenni teologi, papi, sinodi dei vescovi (due con Francesco), esperti e conservatori di tutte le specie. E intanto separazioni e divorzi corrono in tutto il mondo (occidentale e cristiano). Adesso che il clima ecclesiale consente almeno di discutere sui temi controversi, Fidalgo prende la parola e si chiede: non sarà che il Diritto canonico, con questa idea del matrimonio indissolubile, ha ingabbiato dentro uno schema rigido una relazione tra persone che proprio per sua natura è dinamica e aperta a trasformazione e cambiamento?

Si può leggere, nel lungo articolo pubblicato sul sito settimananews.it, che «la realtà del matrimonio, vista e celebrata dal punto di vista della fede, deve realizzarsi nelle e attraverso strutture ecclesiali di fede e di partecipazione attiva della comunità ecclesiale, e non risolversi nei tribunali dove in qualche modo è presente una prospettiva casistica legalistica. E questo vale sia all’inizio, in vista della celebrazione del matrimonio, sia, se necessario, in caso di fallimento dell’esperienza coniugale». Ma c’è di più. Il teologo ha dalla sua due argomentazioni forti. La prima: i sacramenti mica sono tutti uguali. Battesimo ed Eucarestia sono ben intagliati nei Vangeli e dunque «c’è una gerarchia di verità tra i sacramenti essenziali (battesimo ed eucaristia) e il resto. La realtà ontologica data al battesimo e all’eucaristia non può essere la stessa degli altri sacramenti».

Secondo: le parole di Gesù «l’essere umano non separi ciò che Dio ha unito», che fondano l’indissolubilità del matrimonio, ebbene siamo sicuri che siano adeguate alla realtà? Insomma se due persone si sposano e non sono mature, basta pronunciare una formula, stare sotto il diritto canonico, e tutto si risolve in automatico? In altri termini, argomenta il teologo, la fragilità umana che tutti sperimentiamo e conosciamo, si risolve con una formula e così le difficoltà della vita scompaiono? Detto meglio, con le parole precise di Fidalgo, «il matrimonio è una promessa per tutta la vita, purché sia sempre portatore di vita, altrimenti può cessare ed essere riconsiderato. Qui si può parlare solo di separazione (momentanea o definitiva) mai di nullità (terminologia giuridica non adeguata o corretta dal punto di vista teologico e antropologico)».

Ecco, il terremoto teologico è partito, in Italia con Lorizio e nel mondo della morale con Fidalgo. Il terremoto teologico non è tanto la questione concreta, ma la prospettiva che si possa parlare di temi controversi. Che se ne possa discutere liberamente. Il merito di aver aperto le cataratte di un dibattito – di cui il mondo cattolico tradizionale o fondamentalista non vuole neppure sentir parlare – va al volume Etica teologica della vita, pubblicato a fine giugno dalla Libreria editrice vaticana. Il volume raccoglie gli Atti di un seminario coordinato e promosso dalla Pontificia Accademia per la Vita, su espresso desiderio di papa Francesco, e si discute (anche con voci discordanti) su tutti i temi della morale cristiana (dalla nascita alla morte, passando per aborto, contraccezione, eutanasia, etica medica…). Così inizia la stagione nuova in cui si può parlare, di etica e di vita, senza risposte precostituite o preconfezionale. Ed anche di morale, matrimoniale e non solo. Qui prende il via la Chiesa del futuro, nel rapporto con se stessa, con la realtà, con i fedeli e con la società ed anche con la politica.

Fabrizio Mastrofini. Giornalista e saggista specializzato su temi etici, politici, religiosi, vive e lavora a Roma. Ha pubblicato, tra l’altro, Geopolitica della Chiesa cattolica (Laterza 2006), Ratzinger per non credenti (Laterza 2007), Preti sul lettino (Gi

La destra cattolica conservatrice e la disinformazione. Perché Papa Francesco è odiato: tra trame finanziarie e preti reazionari. Fabrizio Mastrofini su Il Riformista il 12 Ottobre 2022 

Si intitola “Le critiche mediatiche alla riforma della Pontificia accademia per la vita. Analisi della gestione della comunicazione e il caso del tweet del 12.09.2020” ed è la tesi di dottorato discussa lunedì 10 ottobre alla Pontificia Università Salesiana di Roma, per la Facoltà di Scienze delle Comunicazioni Sociali. Relatore è stato il prof. don Fabio Pasqualetti, decano della Facoltà e neo-consultore del Dicastero per la Comunicazione. Lo studente autore della Tesi è Fabrizio Mastrofini, che della Pontificia Accademia per la Vita è il “media manager”.

Con il tema indicato nel titolo (Le critiche mediatiche alla riforma della Pontificia Accademia per la Vita. Analisi della gestione della comunicazione e il caso del tweet del 12.09.2020), si pone al centro dell’attenzione l’attività della Pontificia Accademia per la Vita (Pav), il cui presidente è mons. Vincenzo Paglia, rinnovata da Papa Francesco nel 2016, e considerata l’espressione più avanzata della nuova sensibilità promossa da Papa Francesco sui temi della Bioetica e riassunti nell’espressione Bioetica Globale. L’attività del Dicastero si colloca in un contesto ecclesiale altamente polarizzato, e gli attacchi alla Pav sottintendono un più ampio contesto di critica verso il Papa, con l’obiettivo di screditarne il Magistero. Ciò a causa degli interessi economici espressi dai settori ecclesiali conservatori, dietro i quali si celano politiche finanziarie che leggono con apprensione una Chiesa schierata a fianco dei poveri, che denuncia lo sfruttamento indiscriminato dell’ambiente e delle risorse naturali.

Tale dinamica ecclesiale è caratterizzata dal “disordine informativo” e da uno “storytelling” che presenta una realtà chiaramente dicotomica. Da un lato una Chiesa fedele alla Tradizione e al Magistero; dall’altro una Chiesa guidata dal Papa regnante che si discosta da quella stessa Tradizione e Magistero. Di tutto si tacciono gli interessi economici sottostanti. In questo contesto, la Pontificia Accademia per la Vita negli anni recenti è stata protagonista di attacchi e manipolazioni sistematiche delle sue posizioni. È stata vittima di “disordine informativo”, un tema relativamente nuovo nel campo delle teorie della comunicazione e che con l’esplosione dei social dovrebbe venire collocato al centro della riflessione pubblica. Il “disordine informativo” si sviluppa e consolida secondo procedure precise e ben codificate, prevedendo tre fasi coordinate tra loro: la disinformazione, ovvero la deliberata falsità di un’affermazione; la misinformazione, la diffusione della falsità da chi la prende per vera; quindi la malainformazione, cioè l’uso dello stesso contenuto per calunniare persone, entri pubblici e privati, istituzioni.

Le manipolazioni da “disordine informativo”, nel caso della Pav, hanno avuto per oggetto di volta in volta specifiche prese di posizione o dichiarazioni su temi delicati e controversi in ordine alla bioetica. In tal senso la manipolazione o il fraintendimento deliberato non sono aspetti nuovi. La propaganda e la manipolazione costituiscono due facce della medesima medaglia, quando si vogliono attirare consensi dentro uno o un altro campo politico-sociale. Oggi la Chiesa di cui parla papa Francesco è a favore dei poveri, «in uscita», per e nelle «periferie» reali ed esistenziali; soprattutto è una Chiesa che predica la necessaria sostenibilità ambientale, contraria allo sfruttamento indiscriminato delle risorse. In questo complesso scenario la Pontificia Accademia per la Vita si presenta come il Dicastero in cui si mostrano con più evidenza le impostazioni di Papa Francesco, sulla linea della saldatura tra etica della vita ed etica dell’ambiente, come parte di un unico approccio che si chiama Bioetica Globale.

Nel lavoro di tesi si fa vedere in concreto il peso e l’importanza dei social media come attori da tenere presenti in ogni comunicazione esterna che voglia entrare in dialogo o quanto meno in contatto con un più ampio pubblico. Senza dimenticare che si tratta di una porzione della realtà e non di tutta la realtà. Ma tenendo presente che i dibattiti sui social si riverberano prima o poi sul resto dei media. Dal punto di vista dell’approfondimento teorico, viene dunque focalizzato il “disordine informativo”, come caratteristica peculiare del panorama comunicativo che ha per protagonisti i social media e la loro diffusione. Il caso di studio in esame, il tweet della Pontificia Accademia per la Vita del 12 settembre 2020, ha lo scopo di far vedere in che modo gli stessi social media entrano in campo. E da qui si analizzano i punti di forza e di debolezza della comunicazione esterna della Pav, che dall’1 ottobre 2017 si è dotata di uno specifico Ufficio Stampa e Comunicazione Esterna.

Le strategie di disinformazione che agiscono attraverso i social evidenziano la necessità di un solido approccio teorico multidisciplinare – tra sociologia e psicologia della comunicazione – per rendere conto della complessità delle situazioni. Nell’ambito di una più generale teoria della complessità, si mostra il rilievo dell’impostazione di stampo costruttivista (costruzione sociale della realtà), e l’importanza di un dialogo tra cognitivismo e scienze della comunicazione per affrontare in maniera appropriata la situazione di “disordine informativo” via social media in molte situazioni polarizzate dal punto di vista politico, sociale, ecclesiale ed in cui ricade la Pav. Il caso di studio considera il tweet pubblicato il 12 settembre 2020, in coincidenza con i funerali del giovane Willy Monteiro, ucciso brutalmente da una gang a Colleferro, località del basso Lazio, quando all’uscita da un locale notturno era intervenuto per difendere un amico da un’aggressione.

L’uccisione del giovane di colore ha suscitato una profonda emozione in Italia e quel giorno dei funerali la Pontificia Accademia per la Vita ha twittato un’immagine della Pietà di Michelangelo modificata con Photoshop, in cui il Cristo è rappresentato con la pelle nera. Il testo del tweet diceva, in inglese, «questa immagine vale più di un discorso». Il tweet è stato interpretato in chiave politica dai siti conservatori nordamericani come una presa di posizione a favore del movimento Black Lives Matter e nonostante ogni smentita è stata presa per vera, suscitando un dibattito, anche con insulti, in italiano, inglese, spagnolo. Nell’arco di pochi giorni il tweet ha raggiunto 199.911 visualizzazioni (29.05.2021) e per la sua popolarità e diffusione, si è prestato ad essere sottoposto ad un’analisi specifica, che è il centro della tesi; un’analisi qualitativa e quantitativa.

Nella tesi, in particolare, le risposte critiche al tweet vengono analizzate in dettaglio con i migliori strumenti di analisi quantitative e qualitativa disponibili. In questo senso il lavoro è sperimentale, essendo una prima volta che strumenti per analizzare corpus testuali corposi vengono “piegati” all’analisi di frasi brevi e sovente offensive. La conclusione mette a punto alcuni elementi utili, più in generale, per venire utilizzati dagli enti ecclesiali – o da quei settori più impegnati nel sociale che soffrono per attacchi politici – per comprendere e fronteggiare la situazione in cui si trovano, a partire dalla definizione – necessaria – di un dettagliato Piano per la Comunicazione.

Fabrizio Mastrofini. Giornalista e saggista specializzato su temi etici, politici, religiosi, vive e lavora a Roma. Ha pubblicato, tra l’altro, Geopolitica della Chiesa cattolica (Laterza 2006), Ratzinger per non credenti (Laterza 2007), Preti sul lettino (Giunti, 2010), 7 Regole per una parrocchia felice (Edb 2016).

L'attacco a Bergoglio: "La Chiesa? Dittatura perfetta". Nico Spuntoni il 2 Ottobre 2022 su Il Giornale.

Daniel Ortega, presidente del Nicaragua ed ex idolo della sinistra mondiale, a muso duro contro il Papa: "Si faccia eleggere dal popolo cattolico"

Chiesa cattolica sempre più nel mirino del governo sandinista in Nicaragua. A nulla sono valse le parole distensive pronunciate da Papa Francesco sul volo di ritorno dal Kazakistan. "In questo momento c'è dialogo", aveva detto il pontefice argentino rispondendo ad una domanda sulla situazione nicaraguense. Questa settimana, però, sono arrivate le parole di fuoco del presidente Daniel Ortega a schiaffeggiare la mano tesa dalla Santa Sede.

L'ex guerrigliero, rieletto per la quarta volta nel 2021 dopo elezioni contestate dalla comunità internazionale, dall'inizio dell'anno in corso ha messo nel mirino la Chiesa che con i suoi vescovi e religiosi ha denunciato le violazioni dei diritti umani e la repressione della società civile in atto. Ortega ha affermato nel corso di una diretta che la Chiesa cattolica "usa i vescovi qui in Nicaragua per realizzare un colpo di Stato", chiedendo retoricamente: "Da quando i sacerdoti hanno l'autorità per parlare di democrazia?".

Il leader sandinista, affiancato dalla moglie e vicepresidente Rosario Murillo che annuiva vistosamente, si è definito un cattolico che "non si sente rappresentato" dal papa perchè vescovi e preti "parlano di democrazia ma non praticano la democrazia". "Se vogliono essere democratici - ha continuato Ortega - comincino a farsi eleggere", aggiungendo che se il Papa si facesse eleggere dal voto dei cattolici "sarebbe una rivoluzione" mentre ora la Chiesa sarebbe una "dittatura perfetta".

Toni incendiari che vanno di pari passo con quanto sta succedendo nel Paese dall'inizio del 2022: la Chiesa cattolica, ultima realtà indipendente rimasta in Nicaragua, sta subendo da mesi la repressione del regime autoritario con arresti di decine di religiosi e la chiusura delle radio cattoliche. Nella diocesi di Matagalpa, ad esempio, il vescovo Rolando Álvarez è agli arresti domiciliari e le suore che hanno pregato il rosario in cattedrale per la sua liberazione sono state espulse dal Paese.

Sull'espulsione di religiose, lo stesso papa si era espresso nella conferenza stampa di ritorno dal Kazakistan dicendo di aspettarsi che "almeno le suore di Madre Teresa di Calcutta tornino. Queste donne sono brave rivoluzionarie, ma del Vangelo! Non fanno la guerra a nessuno. Anzi, tutti abbiamo bisogno di queste donne". E invece, i toni concilianti di Francesco non sono serviti a fermare la politica repressiva di Ortega che nella sua intemerata anticlericale ha persino parlato di "una Chiesa che è stata corrotta, che ha denigrato Cristo, che ha macchiato Cristo" arrivando a sostenere che i religiosi nel mondo "hanno commesso migliaia di crimini nel mondo".

In questi mesi in Nicaragua sta aumentando il numero di sacerdoti finiti in carcere per reati comuni, talvolta oggetto di accuse poi ritrattate e senza la possibilità di vedere i familiari. Il clima di paura è tale che José Canales, vescovo della diocesi di Danlí, in Honduras, ha fatto sapere che circa cinquanta sacerdoti nicaraguensi hanno chiesto rifugio in Honduras e Costa Rica perché spaventati dalle azioni del governo di Managua.

L'attacco frontale di Ortega è senz'altro uno schiaffo all'atteggiamento conciliante che Francesco ha deciso di adottare di fronte all'escalation in atto nel Paese dell'America centrale testimoniato dalla risposta data alla giornalista di Rome Reports, Maria Angeles Conde Mir sul volo dal Kazakistan. Managua, d'altra parte, è entrata di recente nella sfera d'interesse di uno dei protagonisti mondiali a cui l'attuale pontificato guarda con attenzione: la Cina. Ortega, infatti, ha interrotto le relazioni diplomatiche con Taiwan ed ha esaltato Pechino per il "ruolo guida che svolge oggi nella costruzione del nuovo ordine mondiale multipolare". Piccola curiosità: la residenza dell'ex ambasciata taiwanese a Managua sarebbe dovuta andare all'arcidiocesi cattolica locale dopo la donazione fatta da Taipei ma, come spiegano i media internazionali, Ortega ha deciso di requisirla e di assegnarne la proprietà alla Repubblica Popolare Cinese.

La marcia per la Pace al suo esordio umbro. Nel 1961 si svolse la prima manifestazione. Annabella De Robertis su La Gazzetta del Mezzogiorno il 25 Settembre 2022.

«Una marcia della pace promossa da un comitato presieduto dal prof. Aldo Capitini si è svolta ieri con partenza da Perugia, arrivo ad Assisi e manifestazione conclusiva nel piazzale della Rocca maggiore». Si legge su «La Gazzetta del Mezzogiorno» del 25 settembre 1961. Il filosofo e pedagogista Aldo Capitini, nato a Perugia nel 1899, fu un precursore del pacifismo e delle lotte per i diritti civili già a partire dalla metà degli anni Trenta. Sostenitore di ideali umanitari, durante il regime aderì al movimento clandestino liberalsocialista, declinando il suo antifascismo in una forma di opposizione non violenta.

L’idea di una manifestazione per la pace fu concepita nel corso degli anni ‘50, mentre il mondo era diviso in due blocchi contrapposti e la Guerra fredda in corso costringeva le nazioni ad una sfrenata corsa al riarmo. Incombeva, soprattutto, la minaccia di una guerra nucleare. Capitini immagina che il percorso debba avere come meta finale la città di Francesco, il santo italiano della non violenza. «Circa 1500 persone si sono mosse stamane da Perugia alle ore 8 ed hanno raggiunto a piedi Assisi camminando lungo il lato sinistro della strada e recando bandiere e grandi cartelli inneggianti alla pace, al disarmo e con scritte contro ogni forma di colonialismo e razzismo» racconta il cronista della «Gazzetta».

«Alla partenza da Perugia era stato reso noto il contenuto di una mozione nella quale si chiede che tutte le nazioni siano rappresentate all’Onu, che si addivenga al disarmo totale e si proceda alla distruzione di tutte le armi nucleari, utilizzando gli esperimenti atomici solo ed esclusivamente per motivi di pace. Ad Assisi, ai partecipanti alla marcia della pace si sono aggiunti numerosi torpedoni da varie regioni d’Italia. Fra i presenti l’ex presidente del Consiglio sen. Ferruccio Parri, delegazioni di vari comuni, tra cui una ufficiale di Marzabotto, personalità della cultura e alcuni giovani stranieri».

Intellettuali, professori, politici partecipano attivamente alla manifestazione: tra di loro il giurista Arturo Carlo Jemolo, lo scrittore e giornalista Guido Piovene, il pittore Renato Guttuso ed Ernesto Rossi, il padre del federalismo europeo. Con un coro unanime tutti gli aderenti all’iniziativa hanno espresso la speranza del disarmo mondiale.

Inizia così, sessantuno anni fa, una tradizione quasi mai interrotta: ancora oggi la marcia per la pace si svolge tra la fine di settembre e l’inizio di ottobre e si snoda per un percorso di circa 24 chilometri.

Papa Francesco, "fine del mondo": Vaticano, indiscrezioni inquietanti. Renato Farina su Libero Quotidiano il 03 ottobre 2022

Avviso ai naviganti, comandanti ed equipaggio dell'unica grande barca su cui l'umanità affronta la faticosa traversata della vita. È papa Francesco a diffondere un allarme che somiglia alle trombe del giudizio. Dice: se non si sarà un immediato «cessate il fuoco...», c'è il rischio di «un'escalation nucleare, fino a far temere conseguenze incontrollabili e catastrofiche a livello mondiale». Che cosa sa Francesco? Ispirazione dello Spirito Santo? Questo lo lasciamo ai credenti. Più prosaicamente il Vaticano è il terminale di una diplomazia che va ben oltre le rappresentanze ufficiali, ed ha sensori nei Palazzi dei potenti e nelle periferie dei miserabili.

Benedetto XV durante la Grande Guerra, Pio XII prima e durante la Seconda guerra mondiale. Fermatevi, o sarà «inutile strage», poiché «Nulla è perduto con la pace. Tutto può esserlo con la guerra». Vado avanti: Giovanni XXIII (1962) quando pareva inevitabile lo scontro delle superpotenze a Cuba; Giovanni Paolo II e la segreteria di Stato evocando un infinito Vietnam in Iraq e Medio Oriente in caso di invasione americana (1991 e 2003). Poi Francesco prima per la Siria nel 2013, e poi... Poi, siamo a ieri, e forse oggi e domani con inedita drammaticità, sul fratricidio slavo scatenato dalla Russia ma con responsabilità - secondo Bergoglio - in capo alla Nato. Per questo ha «innanzitutto supplicato» Putin di smetterla, «almeno per amore del suo popolo», condannando le stragi e l'annessione illegale di quattro province ucraine, ma appellandosi «con fiducia» anche a Zelensky perché «si apra a proposte di pace serie». Inoltre rivolgendosi agli altri protagonisti (senza citarli: America, Nato, Ue, Italia, Cina, Turchia, tutti!) che si spartiscono il potere sulle nazioni sottraendoselo reciprocamente, ha chiesto di cercare il dialogo e una pace stabile, «utilizzando tutti gli strumenti diplomatici, anche quelli finora non utilizzati».

Pretesa impossibile! Chiedere in nome di Dio di rinunciare a schiacciare la testa della vipera e a una probabile vittoria richiede coraggio, umanità. Ma il Papa è anche molto pratico: lo impone il realismo, si rischia di morire tutti, vincitori e vinti, tutti sconfitti. Cronaca. Il Papa si è affacciato a mezzogiorno dalla finestra della terza loggia su piazza San Pietro e sul mondo intero per l'Angelus domenicale. Di regola commenta il Vangelo della messa, e solo dopo preghiera mariana che si conclude con la benedizione in latino pronuncia qualche parola sulla pace e sulla guerra. Così è stato anche per tutte le occasioni liturgiche dopo il 24 febbraio, data dell'aggressione russa all'Ucraina. Ieri ha cambiato il copione. Prima il giudizio sul rotolare spaventoso della vicenda umana, una «grande preoccupazione», dice, che lo fa passare senza soluzione di continuità (guardate le immagini su vatican.va) dal discorso al segno della croce e alle formule dell'incarnazione di Dio nel ventre di Maria.

Una svolta che non è una semplice variazione del cerimoniale drammatica al punto da imporre una domanda a chi lo ha ascoltato in diretta o ne ha letto l'intervento immediatamente rilanciato a libello globale. Niente Vangelo, ma quel che dal Vangelo deriva: pace, pace subito, o è la fine. Cosa sa Francesco più degli esperti di geopolitica e dei responsabili delle nazioni? Perché chi impugna lo scettro spirituale di massima autorità religiosa e morale del mondo mette a rischio questa reputazione? Pensiamoci prima di archiviare il monito come una predica esagerata. Qualcosa che egli sa di «grave, disastroso e minaccioso» glielo impone, gli fa rovesciare i banchi dei mercanti, scavalcare le buone maniere, calcare le sue scarpe ortopediche sul terreno della cruda analisi diplomatico-militare, e adopera l'arma di una retorica altissima.

«In nome di Dio e in nome del senso di umanità che alberga in ogni cuore, rinnovo il mio appello affinché si giunga subito al cessate il fuoco. Tacciano le armi». Gioca forse a spaventarci per bucare la nostra proverbiale indifferenza su fatti che implicano la morte degli altri? O per riguadagnare, presso i media occidentali, la popolarità offuscata dalla mancata crociata contro la Russia, non avendo inviato neppure un'alabarda o un elmo michelangiolesco delle guardie svizzere a Kiev? Scusate il sarcasmo, ma questa era ed è ancora la pretesa di molti cattolici. Capitò così durante la seconda guerra mondiale, quando Pio XI si rifiutò di schierare «le sue divisioni» (copyright ironico di Stalin) dalla parte giusta della storia. Ieri in diretta mondiale ha implorato, senza aggiungere una parola al testo scritto, con un volto pietrificato, stringendo a pugno le dita e poi portandosele al cuore: pace! 

Armi all'Ucraina: le parole del Papa e la loro manipolazione. Piccole Note il 16 Settembre 2022 su Il Giornale.

mondo

“Papa Francesco afferma che armare l’Ucraina può essere ‘moralmente accettabile'”. Questo il titolo di un articolo del New York Times che riporta quanto dichiarato dal Papa in una conferenza stampa di ritorno dalla visita apostolica in Kazakistan.

Le parole di Papa Francesco

Abbiamo scelto un titolo a caso di un autorevole giornale dell’Impero in considerazione del fatto che i giornali mainstream locali quando si tratta di temi sensibili, come appunto la guerra ucraina, si limitano a riportare pedissequamente la narrazione d’Oltreoceano.

Anzi, normalmente, nello zelo di dimostrarsi soldatini obbedienti, vanno addirittura ultra petitutum, come nel caso in specie, dove quel “può essere” del Nyt è stato rafforzato in un placet incondizionato all’invio delle armi a Kiev. Così, ad esempio, la nostra (loro) Ansa titolava: “Papa Francesco: ‘Armi all’Ucraina? Difendersi è lecito'”.

In realtà, il Papa non ha fatto altro che ripetere quanto ha sempre sostenuto la Chiesa riguardo la legittima difesa di una nazione aggredita, ma sull’inviare armi all’Ucraina, questo il tema della domanda posta, ha fatto una specifica molto significativa, che i media mainstream hanno pensato bene di dilavare.

Così Francesco: “Questa è una decisione politica, che può essere morale, moralmente accettata, se si fa secondo le condizioni di moralità, che sono tante e poi possiamo parlarne. Ma può essere immorale se si fa con l’intenzione di provocare più guerra o di vendere le armi o di scartare quelle armi che a me non servono più. La motivazione è quella che in gran parte qualifica la moralità di questo atto. Difendersi è lecito, ma anche una espressione di amore alla Patria” etc (Vatican.news).

Insomma, alla domanda ha risposto che occorre appunto vedere se dare le armi serve a difendersi o ha il solo scopo di allungare la guerra per lucrare sugli armamenti, che è appunto quel che tanti – i cosiddetti filo-putiniani, secondo la nouvelle vague maccartista – sostengono che sta avvenendo in questa guerra per procura contro la Russia che la Nato sta sostenendo fino all’ultimo ucraino. E probabilmente non è un caso che le perplessità di Francesco siano le stesso di quelle esposte dai critici di tale decisione.

Solo dopo, Francesco ha puntualizzato che la difesa della patria è, ovviamente, atto dovuto, anzi atto d’amore, secondo la sua valutazione. Così nelle parole del Papa non c’è alcun placet incondizionato a quanto sta facendo l’America e la Ue in questo conflitto.

Riflessione e dialogo?

Allo stesso tempo, non vogliamo arruolare il Papa tra i cosiddetti asseriti filo-putiniani, solo puntualizzare che, se pure le sue dichiarazioni non sono una  sconfessione recisa della “decisione politica” della Nato, suonano comunque come un invito alla riflessione.

Invito che fa il paio con quanto ha affermato di seguito, cioè che con la Russia occorre comunque cercare un dialogo per trovare vie di uscita dal conflitto, iniziativa che sembra fuori dall’orizzonte della Politica d’Occidente.

Peraltro, un cenno del tutto obliterato del suo discorso è quello riguardo al conflitto tra Azerbaigian e Armenia, che “si è fermato un po’ perché la Russia è uscita come garante”.

In questo tempo di fondamentalismi, nel quale la Russia deve essere dipinta come il male assoluto, questo cenno positivo suona in netta controtendenza (anche se poi Francesco ha dovuto pur aggiungere “garante di pace qui e fa la guerra lì”).

Informazione e manipolazione

Non abbiamo steso questa nota per tirare Francesco “per la manica”, nel caso specifico per la talare, e schiacciarlo su una posizione, cosa che peraltro non aggiungerebbe nulla alle possibilità di pace dal momento che il Papa non ha alcun potere in merito,  potendo solo pregare e suggerire ai fedeli di pregare il Signore perché ponga fine Lui a questa immane tragedia.

Si vuole solo evidenziare quanto sia manipolata, e in maniera anche volgare, la narrazione relativa alla guerra ucraina. Se non viene rispettata neanche una dichiarazione pubblica e facilmente verificabile del Papa – non un quisling qualsiasi – si può immaginare come sono trattati altri temi meno facilmente verificabili o non verificabili affatto su fonti sicure, essendo la verità ormai coincidente con la narrazione ufficiale.

Va da sé che tale manipolazione mediatica, alla quale sono consegnati o costretti i giornalisti mainstream, non è conseguenza della propaganda di guerra. La guerra infinita, di cui quella ucraina è solo l’ultima manifestazione, sono strutturate sulla menzogna organizzata, come ha dimostrato il suo momento epifanico, cioè la guerra in Iraq, con le immaginifiche armi di distruzione di massa di Saddam.

Sul punto riportiamo l’inizio di un articolo di Philip Giraldi pubblicato sul sito del Ron Pual Institute: “È stupefacente quanti osservatori della guerra ucraina, che avrebbero dovuto averne una maggiore comprensione, siano inclini a prendere alla lettera le affermazioni delle ‘fonti’ che provengono in maniera esplicita dai diversi governi coinvolti nel conflitto”.

“Quei leader ingaggiati nell’inesorabile marcia degli Stati Uniti e dei loro alleati per trasformare la crisi dell’Ucraina nella terza guerra mondiale hanno di certo imparato la lezione che gestire la narrazione di ciò che sta accadendo è l’arma più potente che i falchi della guerra abbiano nel loro arsenale.

“Si ricorda come dopo l’11 settembre e prima della guerra in Iraq, la Casa Bianca di George W. Bush e i neocon del Pentagono abbiano mentito su quasi tutto per convincere l’opinione pubblica che Saddam Hussein era un megalomane terrorista armato di armi di distruzione di massa, descrivendolo come una figura paragonabile ad Adolf Hitler”.

“L’Iraq in un certo senso è stata un’esperienza formativa per quanti al governo e nei media hanno fatto il lavoro pesante, propalando l’inganno a un’opinione pubblica per lo più ignara dei fatti. Ciò che stiamo vedendo ora in relazione all’Ucraina e alla Russia, tuttavia, fa sembrare l’esperienza dell’Iraq un gioco da ragazzi come audacia riguardo le presunte informazioni che fanno o non fanno notizia”.

“Noto, in particolare, che il recente attentato terroristico con un’autobomba alla giornalista attivista russa Darya Dugina da parte di un assassino ucraino ha fatto notizia per circa quarantotto ore prima di scomparire, ma non prima che la menzogna secondo cui il presidente Vladimir Putin ne fosse responsabile fosse fermamente radicata in un certo numero di articoli dei media mainstream”.

Papa don’t preach. La logica bislacca dei pacifisti che incolpano gli ucraini di non essersi arresi. Iuri Maria Prado su L'Inkiesta il 21 Settembre 2022

Si può discutere degli errori e degli (eventuali) orrori di cui possono essersi resi responsabili alcuni ucraini, ma non si può sposare la retorica del Cremlino col risultato di formulare un’accusa ribaltata, finendo per accusare chi resiste a un’invasione

Ammettiamo pure che chi lo fa sia in buona fede, ma adoperare le parole del Papa opponendole alle pratiche peccaminose di un “partito della guerra” stanziato indifferentemente a Est e a Ovest di Kyjiv, significa svilire al rango di un dettaglio un dato di fatto che invece è eminente: e cioè che a durare ormai da molti mesi non è la guerra “in Ucraina”, come spesso la si chiama, ma la guerra “all’Ucraina”, come spesso si evita di chiamarla.

Il riconoscimento che la guerra sia stata cominciata da uno contro l’altro è il pegno che l’equidistanza pacifista si costringe, e nemmeno sempre, a concedere («Premesso che sono stati i russi ad aggredire…»), salvo trasformare quel riconoscimento in una specie di modo di dire, al quale non si annette nessun significato e nessuna necessità conseguente e anzi col risultato di pervertirlo in un’accusa ribaltata: premesso che han cominciato quelli là, la colpa è di questi qua e di chi li aiuta. Di questi qua: perché non si arrendono, perché resistono. E di chi li aiuta: perché li istigano alla guerra anziché alla pace.

E ammettiamo che sia in buona fede chi indugia sugli errori, ed eventualmente gli orrori, di cui possono essersi resi responsabili alcuni tra gli aggrediti, gli ucraini.

Discuterne si può (anzi si deve), ma a un patto, mi pare: vale a dire a condizione che discuterne non diventi il criterio in base al quale giudicare la guerra “all’Ucraina”, appunto trasfigurandola nella guerra “in Ucraina”.

Da quando è cominciata, c’è stata la corsa a investigare il tenore democratico e persino la dotazione morale degli aggrediti, una specie di scrutinio della presentabilità ucraina che, se non aveva l’intenzione, sicuramente aveva l’effetto di lasciare intendere che quella gente magari non se l’era cercata ma insomma non è che i russi bombardassero un popolo angelico. E questo è un fraintendimento, credo, capitale, che giudica la violenza di chi la fa in base al profilo di chi la subisce.

Coloro i quali, pur in buona fede, si appellano all’impostazione papale e si specializzano nell’investigazione delle colpe degli aggrediti, non possono non sapere che soltanto nel ripristino della verità è possibile distribuire le colpe.

Non possono non sapere da dove è venuta la metodica opera di contraffazione negazionista che sulla notizia dello stupro invitava alla cautela, perché c’è tanta propaganda, sulla notizia dell’ospedale bombardato raccomandava indagini, perché forse era un covo nazista, sulla notizia del centro commerciale incenerito reclamava accertamenti, perché tra le barbabietole e i cetrioli magari erano nascoste le armi dei servi della Nato.

Non possono non sapere che sulla notizia degli eccidi e delle torture che via via si vanno scoprendo nelle città e nei villaggi abbandonati dagli aggressori in ritirata, viene oggi il fiato mefitico di una teoria anche peggiore del silenzio: e cioè che anche questi sono i costi della guerra, una cosa da addebitare non alla responsabilità di quelli che l’hanno cominciata ma a quella di coloro che la subiscono, perché non si sono arresi. E a quella di coloro che li hanno aiutati a difendersi, i quali avrebbero dovuto lasciare che i massacri avvenissero nel trionfo della pace pacifista.

Senza riconoscere tutto questo, è difficile occuparsi con la doverosa attenzione delle parole del Papa e delle eventuali responsabilità singolari degli aggrediti.

Francesco contro i populismi. Il Papa dice che è moralmente accettabile inviare armi agli ucraini per aiutarli a difendersi. L'inkiesta il 16 Settembre 2022

«È una decisione politica, che può essere moralmente accettata, se si fa secondo le condizioni di moralità. Ma può essere immorale se si fa con l’intenzione di provocare più guerra o di vendere armi. La motivazione qualifica la moralità. Difendersi è non solo lecito, ma anche una espressione di amore alla patria», spiega ai giornalisti sul volo di rientro dal Kazakistan. Poi parla delle prossime elezioni: «Dobbiamo aiutare i nostri politici a mantenere il livello dell’alta politica»

Di ritorno dal Kazakistan, il Papa ha risposto alle domande dei giornalisti sull’aereo che lo ha riportato a Roma. Le guerre e la ricerca della pace sono stati al centro del congresso interreligioso a cui ha preso parte. E ovviamente si è parlato della guerra russa in Ucraina. E sugli armamenti inviati agli ucraini, il Pontefice – come riporta il Corriere – dice: «È una decisione politica, che può essere moralmente accettata, se si fa secondo le condizioni di moralità. Ma può essere immorale se si fa con l’intenzione di provocare più guerra o di vendere armi. La motivazione qualifica la moralità. Difendersi è non solo lecito, ma anche una espressione di amore alla patria. La guerra è un errore, da settant’anni l’Onu parla di pace, ma ora quante guerre ci sono? Siamo in guerra mondiale… Mia madre pianse di gioia nel 1945. Non so se oggi abbiamo il cuore educato a piangere per la pace».

Francesco però aggiunge anche non bisogna abbandonare la via del dialogo. «È difficile, ma non dobbiamo scartarlo ma dare l’opportunità a tutti, tutti. Perché c’è sempre la possibilità che si possano cambiare le cose. Io non escludo il dialogo con qualsiasi potenza che sia l’aggressore. Delle volte il dialogo si deve fare così. Puzza, ma si deve fare. Perché al contrario chiudiamo l’unica porta ragionevole per la pace. A volte non accettano, peccato, ma il dialogo va fatto sempre, almeno offerto».

Poi il discorso sul volo da Nur Sultan si sposta sulle imminenti elezioni politiche in Italia. «Ho conosciuto due presidenti italiani, di altissimo livello: Napolitano e Mattarella. Grandi», dice il Papa. «Poi gli altri politici non li conosco. In questo secolo l’Italia ha avuto venti governi. Non condanno né critico, ma non so spiegarlo. La politica italiana non la capisco, è un po’ strano, ma ognuno ha il proprio modo di ballare il tango. Oggi essere un grande politico, che si mette in gioco per i valori della patria e non per interessi, la poltrona, è difficile. Dobbiamo lottare per aiutare i nostri politici a mantenere il livello dell’alta politica, non la politica di basso livello che non aiuta e anzi tira giù lo Stato, impoverisce… Oggi la politica in Europa dovrebbe affrontare ad esempio l’inverno demografico, lo sviluppo industriale e naturale, i migranti».

È nel Mediterraneo, secondo il Papa, che si consuma l’ingiustizia sociale. «È Occidente e oggi è il cimitero più grande, non dell’Europa: dell’umanità», dice. «Cosa ha perso l’Occidente per dimenticarsi di accogliere, quando ha bisogno di gente? E poi c’è il pericolo dei populismi. In una situazione sociopolitica del genere nascono i messia dei populismi, quando c’è un’età come dopo Weimar nel ‘33 e uno promette il messia».

Su questo tema, Repubblica sottolinea alcune prese di posizione del Pontefice. Tra cui: «Paolo VI diceva che la politica è una delle forme più alte della carità. Dobbiamo aiutare i nostri politici a mantenere il livello dell’alta politica, non la politica di basso livello che non aiuta niente, e anzi tira giù lo Stato, impoverisce».

Il mondo di Bergoglio è ancora diviso fra nord e sud. GIOVANNI MARIA VIAN su Il Domani il 16 settembre 2022 Aggiornato, 03 ottobre 2022

Le novità di papa Francesco sono indubbie e prorompenti, al punto da mettere in ombra gli elementi di continuità, che pure sono molto presenti. Tra queste novità c’è la comunicazione, praticata con efficacia dal pontefice in prima persona

Sorprende nei primi mesi del pontificato la grande preghiera in piazza san Pietro per la Siria, che continua a essere devastata da una lunga e sanguinosa guerra fratricida. Importante è poi la mediazione tra Stati Uniti e Cuba

Resta la domanda se il primo papa non europeo dopo tredici secoli aiuterà a superare le barriere tra l’emisfero nord e l’emisfero sud del pianeta.

Nel decimo anno di un pontificato che storicamente si va collocando tra quelli di durata piuttosto lunga è ormai possibile iniziare a riflettere con una certa ampiezza sulla sua dimensione internazionale. Com’è ovvio nella storia dell’istituto papale, le novità si combinano con le persistenze. Anzi, è proprio questa dialettica a costituire buona parte dell’interesse e – perché no – anche del fascino che suscita la chiesa di Roma, confermati senza alcun dubbio negli ultimi anni dal successo internazionale e popolare delle due serie televisive di Paolo Sorrentino, per limitarsi a un solo conosciutissimo esempio.

E le novità di papa Francesco sono indubbie e prorompenti, al punto da mettere in ombra gli elementi di continuità, che pure sono molto presenti. Bisogna aggiungere poi che tra queste novità vi sono la comunicazione, praticata con efficacia dal pontefice in prima persona, e l’intenzione di rinnovare le strutture romane e l’intera chiesa, più volte presentata come radicalmente riformatrice, ma sempre dichiarata come proveniente dal mandato del collegio cardinalizio riunito nella sede vacante del 2013. La messa in atto di queste novità ha però mostrato limiti evidenti, che di fatto ne riducono la portata. Con effetti sul futuro che è invece arduo ipotizzare.

UCRAINA SOTTO ATTACCO

Per illustrare quanto appena affermato, conviene iniziare dalla tragica attualità internazionale. Una situazione che, con una fortunata espressione, Bergoglio viene da tempo definendo guerra mondiale «a pezzi», ma che recentissimamente, parlando il 10 settembre alla plenaria della Pontificia accademia delle scienze, ha descritto in modo diverso: un conflitto che, addirittura, «oggi forse possiamo dire “totale”», mentre «i rischi per le persone e per il pianeta sono sempre maggiori».

Ricordando poi che il suo predecessore Giovanni Paolo II – come il suo successore Benedetto XVI testimone diretto della peggiore tragedia bellica del secolo scorso – aveva ringraziato Dio perché «il mondo era stato preservato dalla guerra atomica», il pontefice ha aggiunto che «purtroppo dobbiamo continuare a pregare per questo pericolo, che già da tempo avrebbe dovuto essere scongiurato». Con un accenno molto cauto, ma trasparente, alle reiterate minacce russe degli ultimi mesi, di fronte alle quali non vi erano finora state da parte di papa Francesco prese di posizione esplicite, nonostante la sua evidente condanna della deterrenza nucleare, peraltro ricorrente nel magistero papale degli ultimi decenni.

L’atteggiamento personale di Bergoglio nei confronti dell’aggressione all’Ucraina si è infatti attestato su due costanti: la denuncia chiarissima del conflitto e dei suoi orrori, sempre più sofferta, esplicita e drammatica, a cui si sono aggiunte la solidarietà e la vicinanza al popolo aggredito, espresse anche dalla presenza di inviati papali in Ucraina, da una parte; dall’altra, il silenzio sui responsabili dell’inizio delle ostilità il 24 febbraio, che anzi è stato accompagnato da diversi segnali di attenzione e disponibilità nei confronti degli aggressori.

LA POSIZIONE SULLA GUERRA

Stupore ha soprattutto suscitato l’affermazione del papa sull’«abbaiare della Nato alla porta della Russia» durante un incontro con il direttore del Corriere della Sera all’inizio di maggio. Pubblicate sul maggiore quotidiano italiano, un paio di settimane più tardi le sorprendenti parole sono state appena sfumate dallo stesso pontefice, che le ha attribuite a «un capo di Stato, un uomo saggio», durante una lunga conversazione con i direttori di una decina di riviste dei gesuiti, il cui testo è stato poi presentato su La Civiltà Cattolica del 18 giugno. Con questa esplicita premessa scandita dal pontefice: «Qui non ci sono buoni e cattivi metafisici, in modo astratto. Sta emergendo qualcosa di globale, con elementi che sono molto intrecciati tra di loro».

E subito dopo ha precisato: «Quello che stiamo vedendo è la brutalità e la ferocia con cui questa guerra viene portata avanti dalle truppe, generalmente mercenarie, utilizzate dai russi. E i russi, in realtà, preferiscono mandare avanti ceceni, siriani, mercenari. Ma il pericolo è che vediamo solo questo, che è mostruoso, e non vediamo l’intero dramma che si sta svolgendo dietro questa guerra, che è stata forse in qualche modo o provocata o non impedita. E registro l’interesse di testare e vendere armi. È molto triste, ma in fondo è proprio questo a essere in gioco. Qualcuno può dirmi a questo punto: ma lei è a favore di Putin! No, non lo sono. Sarebbe semplicistico ed errato affermare una cosa del genere. Sono semplicemente contrario a ridurre la complessità della distinzione tra i buoni e i cattivi, senza ragionare su radici e interessi, che sono molto complessi». In sostanza, una conferma della inusuale frase sulla Nato, sia pure articolata, ma di fatto ulteriormente rafforzata da una serie di distinguo.

Significativo in questo senso delle difficoltà e delle critiche suscitate dalle affermazioni papali è il comunicato della Santa sede diffuso il 30 agosto. Le parole del pontefice e dei suoi collaboratori «vanno lette come una voce alzata in difesa della vita umana e dei valori connessi ad essa, e non come prese di posizione politica. Quanto alla guerra di ampie dimensioni in Ucraina, iniziata dalla Federazione Russa, gli interventi del Santo Padre Francesco sono chiari e univoci nel condannarla come moralmente ingiusta, inaccettabile, barbara, insensata, ripugnante e sacrilega». Aggettivi, questi ultimi, scelti in crescendo dal papa nel corso dei suoi ripetuti appelli: ben ottanta in duecento giorni di guerra, come ha sottolineato l’11 settembre il Sismografo, il sito multilingue specializzato in informazione religiosa diretto dal cileno Luis Badilla che via via le registra con puntualità.

Indirettamente, tuttavia, è il comunicato appena citato a confermare che è proprio la comunicazione diretta, ed efficacissima, del papa a rendere altrettanto difficile la spiegazione all’esterno della posizione, per sua natura diplomatica, della Santa sede. In altre parole, gli storici del futuro terranno certo conto delle calibratissime espressioni elaborate in segreteria di Stato e di quelle altre volte espresse dal segretario di Stato, il cardinale Pietro Parolin, e dall’arcivescovo Paul Richard Gallagher, segretario per i rapporti con gli Stati, tra l’altro sul diritto alla difesa. Quel che prevale nettamente e rimane, nell’opinione pubblica ma anche negli ambienti specializzati, è tuttavia quel che dice il papa, in modo più o meno sfumato.

NOVITÀ E PERSISTENZE

Novità, dunque, e continuità. Come hanno appena documentato per l’ultimo secolo e mezzo – dalla data spartiacque del 1870 al 2020 – tredici specialisti in The Vatican and Permanent Neutrality (Lexington Books), curato da Marshall J. Breger ed Herbert R. Reginbogin, il libro esamina innanzi tutto la crescita rapidissima della proiezione internazionale della sede romana tra la presa di Porta Pia e i Patti lateranensi (1870-1929), paradossalmente proprio quando la sua base territoriale è ridotta ai minimi termini: palazzi vaticani, basilica e un po’ di giardini sorvegliati da sentinelle italiane, e senza che per un intero sessantennio i papi mettano il piede fuori da questo minimo perimetro. Lo osservò nel rapporto di fine missione Jacques Maritain, ambasciatore di Francia presso la Santa sede (1945-1948) e lo ha confermato carte alla mano vent’anni fa Jean-Marc Ticchi nell’originale Aux frontières de la paix. Bons offices, médiations, arbitrages du Saint-Siège (1878-1922).

Vengono poi gli anni bui della «lunga Seconda guerra mondiale» (1931-1945), poi il confronto della Guerra fredda (1950-1990) e, infine, l’ultimo trentennio. Quest’ultimo periodo è caratterizzato tra l’altro dalla scelta per il multilateralismo e per la non proliferazione nucleare, in un contesto dove l’autorità morale della Santa sede e della stessa chiesa cattolica è scossa e minata dall’esplodere mondiale dello scandalo degli abusi e dalla corruzione finanziaria, come sottolinea in conclusione il secondo curatore del libro.

Non è facile, tra i molti volumi su papa Francesco, scansare quelli cortigiani o, all’opposto, quelli insensatamente denigratori, e trovare invece approfondimenti di taglio storico, almeno intenzionalmente, oppure documentario. Per decifrare la visione del mondo secondo Bergoglio è meglio dunque andare al libro intervista El jesuita, uscito nel 2010 e tradotto in italiano subito dopo l’elezione nel 2013 con il titolo Il papa si racconta (Salani). Rispondendo agli amici giornalisti Francesca Ambrogetti e Sergio Rubín l’arcivescovo di Buenos Aires diceva che «la storia ci appare un disastro, un disastro morale, un caos. Quando si pensa agli imperi innalzati a prezzo del sangue di tanta gente, di popoli interi sottomessi; quando si pensa a genocidi come quello armeno, quello ucraino e quello del popolo ebraico che voi menzionate», insomma se si guarda «alla storia recente e anche a quella un po’ meno recente, viene da strapparsi i capelli». Idee chiare, dunque, che si ritrovano con variazioni durante il pontificato, soprattutto nelle diverse interviste.

RISPONDE PAPA FRANCESCO

Le interviste, iniziate addirittura con Leone XIII e, pur rarissime, non sconosciute ai papi, vengono privilegiate dal pontefice sin dal 2013 (fino al 2015 sono raccolte in Risponde papa Francesco, edito da Marsilio e tradotto in quattro lingue). Aperte dalla conferenza stampa sul volo di rientro dal primo viaggio internazionale in Brasile e dalla memorabile conversazione con il direttore del La Civiltà Cattolica pubblicata in più lingue da sedici riviste dei gesuiti, in seguito le interviste con Bergoglio si moltiplicano a dismisura su quotidiani, televisioni, libri, finendo per ripetersi e inflazionarsi.

Nel 2017, «di ben altro livello, per le questioni trattate e la profondità dell’argomentazione» è invece il libro intervista Politique et société dello studioso della comunicazione Dominique Wolton (meno indicativo il titolo italiano Dio è un poeta). L’esatto giudizio è di Lucetta Scaraffia, autrice nello stesso anno di un denso e penetrante profilo del pontificato in Francesco, Il papa americano (Vita e Pensiero, tradotto a sua volta in francese e spagnolo), dove la storica descrive con nettezza il «modo nuovo di intervenire nella politica internazionale» di Bergoglio e ne sottolinea il «coinvolgimento personale per la pace, anche a costo di “perdere la faccia” se i suoi interventi non danno i risultati sperati».

LE METE DEL PONTEFICE

Lo scenario evocato da Scaraffia è davvero vasto, e significative sono le mete dei viaggi internazionali, non di rado sulle tracce dei predecessori, altre volte con scelte personali: Israele e Palestina, la Colombia teatro della più antica guerra interna a un paese latinoamericano, il Messico dissanguato dalla violenza al punto che il parlare franco del pontefice suscita risentite polemiche, poi l’Africa scelta per aprire il giubileo straordinario della Misericordia, e le Filippine. Fino a Cracovia per una giornata mondiale della gioventù, ma con la visita ad Auschwitz dove Bergoglio «liquida l’unicità della Shoah» facendo capire che vi è «un legame immediato fra quella tragedia e i terribili eventi ai quali assistiamo oggi».

Sorprende nei primi mesi del pontificato la grande preghiera in piazza san Pietro per la Siria, su cui non cadono i missili statunitensi ma che continuerà a essere devastata da una lunga e sanguinosa guerra fratricida. Importante è poi la mediazione tra Stati Uniti e Cuba, resa possibile soprattutto per l’azione dei rispettivi episcopati; nell’antica “perla della corona” spagnola è il terzo pontefice a viaggiare, ma unendo non a caso nello stesso itinerario i due paesi americani. Pochi mesi più tardi Francesco torna nell’isola caraibica, ma si tratta un breve scalo. In una sala dell’aeroporto dell’Avana il papa di Roma incontra infatti il patriarca di Mosca e firma con Kirill una dichiarazione comune.

L’occasione è una prima assoluta, ma i frutti non sono quelli sperati, come si vedrà dopo l’aggressione russa all’Ucraina, benedetta dal potente gerarca ortodosso, per questo rudemente richiamato dal pontefice sul Corriere della Sera del 3 maggio, dove si legge che il patriarca «non può trasformarsi nel chierichetto di Putin». In un contesto ecumenico sempre più problematico perché il mondo ortodosso, già spaccato dal fallimento del concilio panortodosso di Creta provocato nel 2016 da Mosca, sempre più ostile alla chiesa di Costantinopoli, va in mille pezzi: le critiche contro Kirill si fanno sempre più aspre, fino al 31 agosto, quando a Karlsruhe il presidente federale tedesco Frank-Walter Steinmeier apre l’undicesima assemblea del Consiglio mondiale delle chiese con un discorso chiarissimo dove tra l’altro denuncia il patriarcato moscovita per la benedizione alla guerra d’aggressione contro l’Ucraina. «Oggi, i capi della chiesa ortodossa russa portano i loro fedeli e tutta la loro chiesa su una via pericolosa e blasfema che va contro tutto quello che loro stessi credono». 

Difficilissimi sono i rapporti con la Cina, con la quale la Santa sede ha raggiunto un controverso «accordo provvisorio» sulla nomina dei vescovi, firmato nel 2018, rinnovato nel 2020 per un biennio e che sta per essere ulteriormente confermato nonostante le opposizioni e le critiche anche nella chiesa, soprattutto di quei cattolici cinesi che si sentono abbandonati da Roma. Su un altro scenario, certo di minore rilevanza ma simbolicamente importante per la storia recente nonché per la presenza sulla sede romana del papa argentino, è la situazione in diversi paesi dell’America latina, visitati quasi tutti da Francesco se si eccettua appunto il suo paese, di cui peraltro segue con attenzione quotidiana ogni avvenimento.

In Nicaragua la dittatura di Daniel Ortega da Roma ha dapprima ottenuto l’allontanamento del vescovo ausiliare di Managua, per arrivare poi all’espulsione del nunzio e persino delle suore fondate da madre Teresa, mentre il vescovo di Matagalpa è di fatto agli arresti domiciliari. In sostanza, una persecuzione dei cattolici e della chiesa che è sfociata in un appello approvato a larghissima maggioranza il 12 agosto dall’Organizzazione degli stati americani, ma che non ha suscitato particolari interventi papali né attirato l’attenzione dei media.

Nella dozzina d’incontri con Wolton, sollecitato dall’interlocutore francese il pontefice ha toccato tra il 2016 e il 2017 molti temi d’interesse internazionale. Oltre naturalmente l’imponente fenomeno migratorio, su cui Bergoglio – discendente d’immigrati italiani in Argentina scampati casualmente a un naufragio grazie al fatto di essersi imbarcati su un altro transatlantico – è tornato innumerevoli volte, spicca la questione dell’Europa e delle sue responsabilità ma dove le parole del papa poco incidono. 

Altrettanto non convincente perché di fatto rimossa risulta la questione classica del concetto di guerra giusta perché «la sola cosa giusta è la pace». Più interessante è invece la sua affermazione che ai musulmani gioverebbe «fare uno studio critico del Corano, come noi abbiamo fatto con le nostre Scritture. Il metodo storico e critico d’interpretazione li farà evolvere». Con una apertura di credito che finora ha ottenuto qualche risultato soltanto con l’istituzione sunnita di al Azhar al Cairo.

Subito dopo l’elezione, papa Wojtyla si presentò al mondo come «nuovo vescovo di Roma» che i cardinali avevano «chiamato di un paese lontano… lontano, ma sempre così vicino per la comunione nella fede e nella tradizione cristiana». Fu facile prevedere che l’elezione del primo slavo avrebbe contribuito al crollo del muro tra est e ovest. Trentacinque anni dopo, per «dare un vescovo a Roma» i cardinali nel 2013 lo hanno preso «quasi alla fine del mondo», scandì parallelamente il pontefice argentino, che esalta lo sguardo dalle periferie. Ma aperta resta la domanda se il primo papa non europeo dopo tredici secoli aiuterà a superare le barriere tra l’emisfero nord e l’emisfero sud del pianeta.

GIOVANNI MARIA VIAN. Ordinario di Filologia patristica all’università di Roma La Sapienza. A lungo redattore e autore dell’Istituto della Enciclopedia Italiana, è stato direttore (2007-2018) dell’Osservatore Romano. Tra i suoi libri più recenti: “La donazione di Costantino” (2004; nuova edizione, 2010); “PabloVI, un cristiano del sigloXX” (2020), “Andare perla Roma dei papi” (2020); “I libri di Dio” (2020,tradotto in francese).

“Gesù si è fatto serpente, si è fatto diavolo”: dove mirano le frasi-choc di Bergoglio. Andrea Cionci su Libero Quotidiano il 25 settembre 2022

Andrea Cionci. Storico dell'arte, giornalista e scrittore, si occupa di storia, archeologia e religione. Cultore di opera lirica, ideatore del metodo “Mimerito” sperimentato dal Miur e promotore del progetto di risonanza internazionale “Plinio”, è stato reporter dall'Afghanistan e dall'Himalaya. Ha appena pubblicato il romanzo "Eugénie" (Bibliotheka). Ricercatore del bello, del sano e del vero – per quanto scomodi - vive una relazione complicata con l'Italia che ama alla follia sebbene, non di rado, gli spezzi il cuore

“Gesù si è fatto serpente; Gesù si è fatto diavolo”. Secondo voi chi ha detto queste frasi: 1) la teosofa esoterista Madame Blavatsky 2) il mago occultista Alesteir Crowley 3) il cantante rock Marilyn Manson.

No. E’ stato Jorge Mario Bergoglio, in arte “papa Francesco”, il vescovo che, in seguito a un conclave illegittimo, ha usurpato il trono di Benedetto XVI, unico vero pontefice attualmente in sede impedita, come dimostrato - oltre ogni evidenza - in “Codice Ratzinger” (Byoblu ed. maggio 2022) saggio-bestseller in Italia che raccoglie la biennale e mai smentita inchiesta condotta su questa pagina.

Se non ci credete controllate voi stessi sul sito vaticano: la perla nera sul serpente è uscita durante l’omelia per la celebrazione ad Astana, capitale del Kazakistan, dove si è da poco tenuto, in gran silenzio mediatico, il congresso multireligioso all’insegna del sincretismo massonico più spudorato. Un appuntamento in cui si sono poste le basi per la mega religione globalista per il Nuovo Ordine Mondiale con un documento ossessivamente incentrato sulla “fratellanza” umana, mutuata di peso dalla fratellanza universale dei liberi muratori. Ricordiamo a tutti che la massoneria è l’antimateria rispetto al Cattolicesimo, il nemico n.1, l’alternativa speculare e anticristica per eccellenza, condannata in oltre 500 pronunciamenti ufficiali della Chiesa.

Ecco le testuali parole dell’antipapa durante la pseudo-omelia di Astana: “Gesù si è «fatto peccato» a nostro favore, Gesù che sulla croce – potremmo dire – «si è fatto serpente» affinché, guardando a Lui, possiamo resistere ai morsi velenosi dei serpenti maligni che ci assalgono”.

Attenzione: secondo il “codice Bergoglio”, tecnica anche detta della “goccia d’arsenico nel vasetto di marmellata”, nei suoi discorsi ci sono 99 affermazioni giuste e poi la 100esima è quella devastante, che fa saltare tutto.

Questa cosa che “Gesù si è fatto peccato” a Bergoglio piace un sacco, la ripete ogni tre per due: una volta, il 14 febbraio 2021, mentre ribadiva il concetto dalla finestra del Palazzo Apostolico, una folata di vento gli ha fatto volare in faccia il vessillo pontificio.

Eppure, tale frase in realtà è teologicamente corretta. Si trova nella II lettera di San Paolo ai Corinzi: “Colui che non aveva conosciuto peccato, Dio lo fece peccato in nostro favore, perché in lui noi potessimo diventare giustizia di Dio”. Il senso è che Dio ha trattato Gesù Cristo come se fosse stato il più grande peccatore di questo mondo perché Lui si è fatto carico di tutti i peccati dell’uomo.

Sulla base di questo insegnamento paolino, Bergoglio  si appoggia per ordire un concetto inedito ed eterodosso, choccante, ma per nulla casuale. Ecco il tortuoso sofisma: nell’Antico testamento si narra di quando gli Israeliti in viaggio verso la Terra Promessa furono attaccati da serpenti velenosi. Allora Dio disse a Mosé: «Fatti un serpente e mettilo sopra un’asta; chiunque sarà stato morso e lo guarderà, resterà in vita» (Nm 21,8).

E così Gesù nel Vangelo spiega: «Come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna» (Gv 3,14-15).

Sulla base di questo, Bergoglio forza il concetto a tutti i costi e arriva ad affermare che quindi “Cristo si è fatto serpente”. Una frase del tutto gratuita, anche perché, Bergoglio omette opportunamente di dire, che col passare degli anni, il serpente di bronzo divenne un idolo e né i sacerdoti, né i profeti riuscirono a sradicarne il culto finché il re Ezechia di Giuda (716 a.C. - 687 a.C.), lo distrusse. Ecco cosa si legge nel II Libro dei Re, 18.4: “(Ezechia) Soppresse gli alti luoghi, frantumò le statue, abbatté l'idolo d'Astarte, e fece a pezzi il serpente di bronzo che Mosè aveva fatto; perché fino a quel tempo i figli d'Israele gli avevano offerto incenso”.

Come leggete, un conto è fare riferimento al gesto di Mosé che innalzò il serpente, per qualche tempo salvifico, e un conto lanciarsi nella imprudentissima e blasfemoide affermazione per cui Cristo si sarebbe fatto serpente. E’ vero che nei primi tempi del Cristianesimo Gesù veniva raffigurato come un serpente crocefisso, ma questa iconografia venne opportunamente abbandonata proprio per il significato ambiguo con quello del diavolo. E non è un caso che OGGI il serpente in croce sia un SIMBOLO OCCULTO, della magia nera, quando non palesemente attribuito all’Anticristo.

Non basta: l’antiomelia di Astana riprende pari pari quella del 4 aprile 2017 dove Bergoglio, ancor meglio, aveva citato il serpente «come memoria di colui che si è fatto peccato, CHE SI E' FATTO DIAVOLO, serpente, per noi; si è abbassato fino ad annientarsi totalmente». Non ci credete? Controllate sul sito vaticano  

Per Bergoglio, dunque, GESÙ SI È FATTO SERPENTE E DIAVOLO.

Ma come mai queste uscite così inutilmente blasfeme ed eterodosse? Nulla è per caso con Bergoglio. Mentre il 99% delle persone è imbambolata dalla sua ipnosi emozional-massonico-buonista, mentre gli “una cum” continuano a non VOLER capire nulla per non perdere i propri privilegi materiali, solo in pochi, pochissimi riescono a cogliere la strategia che si cela dietro queste “fughe in avanti”. Come abbiamo già evidenziato, Bergoglio non è papa, perché Benedetto XVI non ha mai abdicato, ma è impedito: in ottica di fede non ha quindi l’assistenza dello Spirito Santo nel magistero ordinario (art. 892 CCC) e dice, conseguentemente, ciò che vuole. Non è cattolico, ma ha una spiritualità subdolamente inversiva con la quale sta contaminando il Cattolicesimo. Ne abbiamo dato ampia dimostrazione QUI  nei sottili cambiamenti fatti nel messale, dove, ad esempio, perfino con una virgola è riuscito a ribaltare di 180° il senso teologico del Gloria.

Bisogna comprendere la strategia generale per inquadrare queste continue frasi choccanti che manipolano la Tradizione.

Il criterio è quello di rovesciare completamente – ma impercettibilmente -la missione del Cattolicesimo: da che esso doveva convertire tutte le genti, oggi deve diventare un macrocontenitore di tutte le religioni che vengono frullate tutte insieme per fare un pastone pseudospirituale da dare in pasto all’uomo nuovo suddito di quel Nuovo ordine mondiale di cui ha recentemente parlato il card. Mueller QUI  

Ora daranno del complottista anche al card. Mueller, ma Sua Eminenza - che ritiene Francesco legittimo papa senza però fornire spiegazioni QUI - forse non rammenta che addì 15 marzo 2021, il suo capo ha dichiarato esplicitamente al quotidiano La Stampa: “Sprecheremmo la crisi chiudendoci in noi stessi. Invece, edificando un NUOVO ORDINE MONDIALE basato sulla solidarietà, studiando metodi innovativi per debellare prepotenze, povertà e corruzione, tutti insieme, ognuno per la propria parte, senza delegare e deresponsabilizzarci, potremo risanare le ingiustizie”.   

Ebbene, siccome le religioni sono divise da concezioni della vita ultraterrena molto diverse, se non completamente inconciliabili, l’obiettivo di Bergoglio è quello di puntare i riflettori sulla dimensione materiale, la terra, con tutte le carabattole ecologiste sponsorizzate dai poteri forti. Sulla gestione del materiale, almeno ci si potrà mettere d’accordo: raccolta differenziata, energie rinnovabili e paccottiglia gretina assortita. E qualcuno dovrà pur gestire l’emergenza ecologica, magari qualche gruppi di saggi “anziani” apolidi: i soliti del “capitalismo inclusivo”.

Non è un caso che Bergoglio e lo pseudo-cardinale Zuppi parlino insistentemente di CONVERSIONE ECOLOGICA. Ma una volta non era la conversione al Vangelo?. Da San Paolo al ministro della Transizione ecologica Roberto Cingolani del governo Draghi (guarda caso).

Ecco che la figura della Madonna, da Madre del Cielo, grazie al lavorio subliminale e incessante di Francesco diventa la Madre terra, da qui la Pachamama intronizzata in S. Pietro, il presepe pachamamico di Chopcca, la Nonna Ragno degli Inuit (sempre la madre terra) e poi la Maria che scioglie i nodi, una finta figura mariana citata nei libri di magia (cfr. “Pillole di Magia” di M. Chiarelli) che raffigura sempre la solita Grande Madre (terra) e propone il rito magico dei nove nodi.   

Ora, il dettaglio non trascurabile è che in questo tipo di visioni magico-esoteriche, il serpente è il figlio della Madre Terra perché il rettile vive nei buchi del terreno, si acquatta sotto le pietre etc. E così, piano piano, tramutata Maria Vergine nella Madre Terra, QUI   anche Cristo comincia ad essere assimilato da Bergoglio a un serpente, figlio della Madre Terra. E siccome la Pachamama è l’anti-Madonna, chi sarà mai il serpente figlio dell’anti-Madonna? Avete qualche idea? Un serpente che “seduce tutta la terra" (Apocalisse 12,9). Rovesciamento completato, unione degli opposti esoterica compiuta.

Ora, visto che Bergoglio segue pedissequamente un’agenda le cui tappe sono state messe nero su bianco da qualche millennio, ci permettiamo una piccola previsione. Presto antipapa Francesco ci presenterà un grande personaggio laico, che porterà la pace (questo “sommo bene” terreno che non ha nulla a che vedere con la pace di Dio) e che “parlerà sei volte meglio” di Cristo, probabilmente avrà delle straordinarie capacità e un fascino irresistibile.

 Scusate la lunghezza di questo articolo, ma comprendete bene per quale motivo sia assolutamente indispensabile salire sui tetti e gridare al mondo che il vero papa è Benedetto XVI e si trova in sede impedita. Fatelo ORA, prima che sia troppo tardi.

(ANSA il 24 settembre 2022) Il Papa sta ascoltando i giovani economisti riuniti ad Assisi per l'evento 'Economy of Francesco'. Commentando le prime testimonianze dei ragazzi il Papa, con una battuta, ha chiesto loro di farsi sempre sentire: "Se non avete niente da dire almeno fate chiasso!", ha detto il Pontefice ridendo.

Il Papa lancia un appello ai giovani affinché trasformino "un'economia che uccide in un'economia della vita". "La nostra generazione vi ha lasciato in eredità molte ricchezze, ma non abbiamo saputo custodire il pianeta e non stiamo custodendo la pace". "Voi siete chiamati - ha detto il Papa ad Assisi - a diventare artigiani e costruttori della casa comune, una casa comune che 'sta andando in rovina'. Una nuova economia, ispirata a Francesco d'Assisi, oggi può e deve essere un'economia amica della terra e un'economia di pace. Si tratta di trasformare un'economia che uccide in un'economia della vita, in tutte le sue dimensioni".

Il Papa chiede che il lavoro torni al centro dell'economia: "Non dimenticatevi del lavoro, non dimenticatevi dei lavoratori". "Il lavoro è già la sfida del nostro tempo, e sarà ancora di più la sfida di domani. Senza lavoro degno e ben remunerato i giovani non diventano veramente adulti, le diseguaglianze aumentano. A volte si può sopravvivere senza lavoro, ma non si vive bene. Perciò, mentre create beni e servizi, non dimenticatevi di creare lavoro, buon lavoro, lavoro per tutti", ha detto intervenendo ad Assisi all'evento 'Economy of Francesco'.

Papa Francesco invita i giovani economisti a scelte concrete perché se ci si ferma alle idee si rischia che queste divengano trappole. Parlando ad Assisi, all'evento 'Economy of Francesco', il Pontefice ha sottolineato: "Nei momenti cruciali della storia, chi ha saputo lasciare una buona impronta lo ha fatto perché ha tradotto gli ideali, i desideri, i valori in opere concrete. Oltre a scrivere e fare congressi, questi uomini e donne hanno dato vita a scuole e università, a banche, a sindacati, a cooperative, a istituzioni. Il mondo dell'economia lo cambierete se insieme al cuore e alla testa userete anche le mani". "Le idee sono necessarie, ci attraggono molto soprattutto da giovani, ma possono trasformarsi in trappole - ha avvisato Papa Francesco - se non diventano 'carne', cioè concretezza, impegno quotidiano. Le idee sole si ammalano". "La Chiesa ha sempre respinto la tentazione gnostica, che pensa di cambiare il mondo solo con una diversa conoscenza, senza la fatica della carne. Le opere sono meno 'luminose' delle grandi idee, perché sono concrete, particolari, limitate, con luce e ombra insieme, ma fecondano giorno dopo giorno la terra: cari giovani la realtà è sempre superiore all'idea", ha concluso il Papa.

Il Papa ad Assisi è tornato a parlare dell'inverno demografico in Italia e in generale in Europa e ha sottolineato, al proposito, che c'è "la schiavitù della donna: una donna che non può essere madre perché, appena incomincia a sentire la pancia, la buttano" fuori "dal lavoro. Le donne incinta non le fanno lavorare".

Il Papa pone l'accento sulla povertà e chiede di "combattere la miseria" ma allo stesso tempo di non perdere la stima per i poveri. L'economia "non può limitarsi a lavorare per o con i poveri. Fino a quando il nostro sistema produrrà scarti e noi opereremo secondo questo sistema, saremo complici di un'economia che uccide. Chiediamoci allora: stiamo facendo abbastanza per cambiare questa economia, oppure ci accontentiamo di verniciare una parete cambiando colore, senza cambiare la struttura della casa?", ha chiesto il Papa. 

Il Pontefice, intervenendo ad Assisi all'evento 'Economy of Francesco', ha allora ricordato che "San Francesco ha amato non solo i poveri, ha amato anche la povertà". "La prima economia di mercato - ha ricordato Bergoglio - è nata nel Duecento in Europa a contatto quotidiano con i frati francescani, che erano amici di quei primi mercanti. Quella economia creava ricchezza, certo, ma non disprezzava la povertà. Il nostro capitalismo, invece, vuole aiutare i poveri ma non li stima, non capisce la beatitudine paradossale: 'beati i poveri'. Noi non dobbiamo amare la miseria, anzi dobbiamo combatterla, anzitutto creando lavoro, lavoro degno. Ma il Vangelo ci dice che senza stimare i poveri non si combatte nessuna miseria. Ed è invece da qui che dobbiamo partire, anche voi imprenditori ed economisti: abitando questi paradossi evangelici di Francesco".

Il Papa invita a cambiare il sistema di produzione di energia e mettere in campo una conversione ecologica: "Noi uomini, in questi ultimi due secoli, siamo cresciuti a scapito della terra. L'abbiamo spesso saccheggiata per aumentare il nostro benessere, e neanche il benessere di tutti ma di un gruppetto. È questo il tempo di un nuovo coraggio nell'abbandono delle fonti fossili d'energia, di accelerare lo sviluppo di fonti a impatto zero o positivo", ha detto il Pontefice intervenendo ad Assisi all'evento 'Economy of Francesco'. Papa Francesco invita la generazione che ha abusato della terra a fare sacrifici perché occorre riparare ai danni fatti: "Dobbiamo accettare il principio etico universale, che però non piace, che i danni vanno riparati". "Se siamo cresciuti abusando del pianeta e dell'atmosfera, oggi dobbiamo imparare a fare anche sacrifici negli stili di vita ancora insostenibili. Altrimenti, saranno i nostri figli e nipoti a pagare il conto, un conto che sarà troppo alto e troppo ingiusto". "Occorre un cambiamento rapido e deciso. Questo lo dico sul serio: conto su di voi! Non lasciateci tranquilli, e dateci l'esempio!".

Papa Francesco parla della sostenibilità che non ha a che fare solo con l'ambiente ma anche con "le relazioni delle persone" che "si stanno impoverendo. Soprattutto in Occidente, le comunità diventano sempre più fragili e frammentate. La famiglia, in alcune regioni del mondo, soffre una grave crisi, e con essa l'accoglienza e la custodia della vita. Il consumismo attuale cerca di riempire il vuoto dei rapporti umani con merci sempre più sofisticate - le solitudini sono un grande affare nel nostro tempo! -, ma così genera una carestia di felicità". "E così soprattutto i giovani soffrono per questa mancanza di senso: spesso di fronte al dolore e alle incertezze della vita si ritrovano con un'anima impoverita di risorse spirituali per elaborare sofferenze, frustrazioni, delusioni e lutti. Guardate la percentuale dei suicidi: è salita e non pubblicano tutto, nascondo la cifra", ha sottolineato il Pontefice, parlando ad Assisi a Economy of Francesco.

Un grazie a Don Corazzina che illustra cos'è la chiesa di Bergoglio. Andrea Cionci su Libero Quotidiano il 23 settembre 2022

Andrea Cionci. Storico dell'arte, giornalista e scrittore, si occupa di storia, archeologia e religione. Cultore di opera lirica, ideatore del metodo “Mimerito” sperimentato dal Miur e promotore del progetto di risonanza internazionale “Plinio”, è stato reporter dall'Afghanistan e dall'Himalaya. Ha appena pubblicato il romanzo "Eugénie" (Bibliotheka). Ricercatore del bello, del sano e del vero – per quanto scomodi - vive una relazione complicata con l'Italia che ama alla follia sebbene, non di rado, gli spezzi il cuore

Reverendissimo Don Corazzina,

queste poche righe per dirLe “grazie”.

In tanti L’hanno attaccata per la celebrazione da Lei tenuta in calzoncini da ciclista, sul tavolo da picnic, col bicchiere di plastica al posto del calice, la stola arcobaleno e le formule liturgiche fantasiose.

Mons. Tremolada, vescovo di Brescia, l’ha anche richiamata per le “disinvolture, trascuratezze, superficialità” nel trattamento delle sacre specie, scusandosi pubblicamente per Lei.

Altri si sono scandalizzati per il fatto che le ostie, portate via dal vento, siano finite per terra, come si vede al min. 4.13  .

Per non parlare di tutte le polemiche di cui Lei si era già fatto carico, in passato, per le sue esternazioni sui matrimoni gay, che secondo Lei dovrebbero essere assolutamente leciti anche se la pratica omosessuale, sdoganata da questi, per il Magistero della Chiesa è il secondo dei “Quattro peccati che gridano al cielo”, insieme a Omicidio volontario, Oppressione dei poveri e Defraudare la giusta mercede a chi lavora.

E invece la Chiesa cattolica deve dire grazie ai religiosi come Lei. Mille volte grazie per aver fornito l’esatta dimostrazione del fatto che quella visibile non è la vera Chiesa cattolica, ma una nuova formazione religiosa che fa capo a colui che CANONICAMENTE È UN ANTIPAPA e che non ha nulla a che vedere col Cattolicesimo romano, ma, anzi, è latore di una spiritualità subdolamente inversa che abbiamo individuato come Bergogliesimo: neopaganesimo, neoluteranesimo, neognosticisimo, neoarianesimo, neomarcionismo  e similia.

Forse l’affermazione potrà sembrarLe un po’ forte, ma è esattamente così. Il vero papa è solo Sua Santità Benedetto XVI perché nel 2013 NON HA AFFATTO ABDICATO, ma ha semplicemente rinunciato all’esercizio pratico del potere, dato che non era più in grado di arginare l’ammutinamento interno della Curia.

Così ha applicato un piano antiusurpazione pronto da 30 anni QUI e, invece di rinunciare al munus petrino, l’investitura papale di origine divina, in modo simultaneo e “rite”, cioè formalmente corretto, (come da canone 332.2) ha rinunciato al ministerium, l’esercizio del potere, in modo differito e pieno di errori formali e giuridici, senza peraltro confermare giuridicamente l’atto dopo le ore 20.00 del 28 febbraio 2013.

Questo fa sì che papa BENEDETTO XVI NON SIA ABDICATARIO, MA IMPEDITO, e a tal proposito le citiamo il canone 335. - Mentre la Sede romana è vacante o totalmente impedita, non si modifichi nulla nel governo della Chiesa universale; si osservino invece le leggi speciali emanate per tali circostanze”. Ergo, l’elezione di Sua Eccellenza Bergoglio è nulla e non sanabile, in quanto il conclave non può essere convocato a papa vivo e non abdicatario. . 

Questa realtà, scoperta qui su Libero in circa 250 articoli in due anni, mai smentita, nemmeno dallo stesso Santo Padre Benedetto XVI, è stata riepilogata nel volume “Codice Ratzinger” (Byoblu ed.) classificato dal Corriere della Sera fra i primi dieci saggi più letti in Italia.

Quindi, non si preoccupi se le Sue ostie sono cadute in terra. A tal proposito, infatti, ricordiamo cosa scriveva l’allora arcivescovo Ratzinger nel 1977: “Per questo la preghiera per il Papa fa parte del canone eucaristico, della celebrazione eucaristica.

La comunione con lui è la comunione con il tutto, SENZA LA QUALE NON VI È COMUNIONE CON CRISTO”. E Lei ha celebrato in comunione con l’antipapa Francesco: tutto a posto.

I cattolici, ma anche i laici che vengono giornalmente turlupinati dalla falsa chiesa bergogliana devono quindi rivolgerLe un particolare ringraziamento, a Lei come a don Mattia Bernasconi (da non confondere con l’omonimo don Enrico), che ha celebrato una sorta di messa in unione con Bergoglio su un materassino acquatico. Così come, prima di Voi, tutti devono ringraziare il prete tedesco don Peter Leick che ha benedetto dall’altare con uno spazzolone del water a mo’ di aspersorio, e ancora quegli altri religiosi bergogliani che si sono messi il naso rosso da pagliaccio durante la messa, il vescovo che entra in chiesa col remo da “migrante” invece che col pastorale, quelli sotto pandemia che battezzavano con la pistola ad acqua e così via.

Tutti Voi date realtà plastica a quella “falsa chiesa stravagante” di cui parlava la Beata Katarina Emmerick e siete quindi – sebbene Vostro malgrado - cooperatores veritatis, cooperatori della verità, secondo il motto del Santo Padre.

Se non ci foste Voi bravi e zelanti sacerdoti bergogliani, infatti, ad accendere finalmente una luce sulla situazione, tanta gente continuerebbe a essere scandalizzata e a pensare “com’è caduta in basso la Chiesa di Cristo”, come fanno gli una cum, cioè quei cattoconservatori che, per vari motivi, spesso di ordine pratico, si rifiutano anche solo di discutere di sede impedita.

E invece no, la vera Chiesa di Cristo non si è degradata, è integra, resta con papa Benedetto e sta rinascendo “nelle catacombe” grazie a quei pochi sacerdoti eroi che, in tutto il mondo, si pronunciano fedeli al vero papa e celebrano messe rigorosissime, in latino, vetus ordo (ovviamente proibito dall’antipapa Francesco)  e in unione col vero papa Benedetto. 

Quindi, grazie e ancora grazie: se può, cerchi di stimolare i Suoi confratelli bergogliani a dare spazio alla fantasia. C’è tanto ancora da fare, da inventare, perché la gente stenta ancora a capire qual è il grano e quale la zizzania.

 

Papa Francesco, "chi lo detesta". Antonio Socci svela "il sistema" anti-Bergoglio. Antonio Socci su Libero Quotidiano il 19 settembre 2022

Il "sistema" è composto di tanti partiti, da quello dei giornali al Pd, dal partito degli intellettuali a quello di una certa finanza, dal partito dei cantanti al "partito straniero". Tutti professano la stessa ideologia e hanno la stessa intollerante pretesa di rappresentare l'unico pensiero ammesso e rispettabile. Papa Francesco è sempre più indigesto a questo establishment (che un tempo lo adulava). Infatti la sua voce oggi è sempre più silenziata o ignorata. Sul conflitto in Ucraina è evidente che il Papa è l'unica voce dissonante rispetto al "partito della guerra" (dell'Est e dell'Ovest).

Martedì 13 settembre, mentre Draghi - simbolo dell'establishment più allineato agli Usa- riconfermava a Zelensky il sostegno (anche militare) dell'Italia, il Papa a Nur-Sultan chiedeva l'esatto contrario: «È l'ora di evitare l'accentuarsi di rivalità e il rafforzamento di blocchi contrapposti. Abbiamo bisogno di leader che, a livello internazionale, permettano ai popoli di comprendersi e dialogare, e generino un nuovo "spirito di Helsinki", la volontà di rafforzare il multilateralismo, di costruire un mondo più stabile e pacifico... per fare questo occorre comprensione, pazienza e dialogo con tutti. Ripeto, con tutti».

SERVONO STATISTI - Draghi, nella conferenza stampa di venerdì 16, ha bombardato proprio il dialogo, insinuando con disprezzo che «c'è qualcuno che parla di nascosto con i russi». Ma nelle stesse ore il Papa, in aereo, ha ricordato che fra Azerbaijan e Armenia «la guerra si è fermata un po' perché la Russia è uscita come garante, garante di pace». E ha ribadito che si deve sempre tentare il dialogo «con qualsiasi potenza, anche se è l'aggressore... il dialogo si deve fare... la mano tesa sempre! Perché al contrario chiudiamo l'unica porta ragionevole per la pace».

Del resto Nixon dialogava con Mao e ancor prima Churchill e Roosevelt dialogavano e si accordavano addirittura con Stalin. Ma loro erano statisti e facevano politica ad alto livello, come oggi esorta a fare Kissinger. Non a caso - di fronte alla catastrofe economica che ci sta arrivando addosso a causa della guerra - l'analista britannico Niall Ferguson ha dichiarato: «Oggi non serve Draghi, ma Kissinger». Non ci sono i grandi statisti che servirebbero. Lo ha detto proprio il Papa in aereo chiedendo «alta politica, non politica di basso livello».

Nei due interventi di questa settimana il Papa ha ripetuto molti temi indigesti al Pensiero unico, dal no all'eutanasia («Uccidere non è umano, punto») al no al laicismo («laicità sana, che riconosca il ruolo prezioso e insostituibile della religione»). Ma soprattutto colpisce il riemergere, anche sull'Ucraina, del tema a lui caro della «patria». 

LA CONDANNA - Quando gli hanno chiesto della guerra in Ucraina, il Papa - condannando la guerra in sé - ha detto che l'invio di armi da parte dell'Occidente «è una decisione politica, che può essere moralmente accettata se si fa secondo le condizioni di moralità, che sono tante... Ma può essere immorale se si fa con l'intenzione di provocare più guerra o di vendere le armi». In sostanza ha fatto capire che prima di inviare armi bisognerebbe dimostrare di non aver fomentato la guerra (magari abbaiando, come ha fatto la Nato, ai confini altrui) e aver esplorato tutte le vie per la pace (continuando a cercarle).

Sulla legittima difesa degli ucraini ha parlato di patria: «Difendersi è non solo lecito, ma anche una espressione di amore alla Patria. Chi difende ama». In genere il Pensiero unico detesta così tanto la parola «patria» che ha esteso il disprezzo pure alla difesa dell'interesse nazionale. Si è visto nei giorni scorsi quando ne ha parlato Giorgia Meloni facendo insorgere i politici e i media di sinistra.

Ma il Papa invece indica spesso la Patria come uno dei valori fondamentali. Lo ha fatto lunedì scorso parlando agli industriali: «È un brutto inverno demografico che va contro di noi e ci impedisce questa capacità di crescere. Oggi fare i figli è una questione, io direi, patriottica, anche per portare il Paese avanti». Tempo fa parlando ai giovani cileni in un santuario mariano disse: «Si comincia con i piedi per terra della patria, e se non amate la vostra patria non potete amare Gesù e amare Dio. L'amore per la patria è l'amore per la madre, che ci insegna a camminare. Se non siete patrioti, non farete nulla nella vita. Date il meglio di voi per il vostro Cile!».

Questo tema - assai caro a Giovanni Paolo II - fatica a passare nei movimenti cattolici e fra i vescovi, molto influenzati dal Pensiero unico che vede l'Ue, i Mercati e le alleanze internazionali come mezzi per spazzare via le patrie e gli Stati. Ieri infatti il presidente della Cei card. Zuppi ha confuso il patriottismo con il nazionalismo (cose opposte: è come confondere il polmone con la polmonite). Ha riconosciuto che la UE è «irrilevante», «antipatica», un «grande supermercato» e «senza la visione dei padri fondatori», ma - seguendo la narrazione del Pd - ha dato la colpa ai cosiddetti «nazionalismi». Dunque ha preso la causa per gli effetti.

SENSO TRAVISATO - Continuando il comizio, Zuppi ha aggiunto che «i nazionalismi sono l'opposto della bellezza dell'Europa». Così ha mostrato di ignorare che i «padri fondatori» volevano un'Europa delle patrie e non un'Europa burocratica e ideologica (com' era l'Urss) che schiaccia nazioni e Stati, sottomettendoli, fra l'altro, agli interessi dei più forti. A inizio anno, nel discorso al corpo diplomatico, il Papa aveva denunciato il fatto che «importanti decisioni sono spesso prese senza un vero negoziato nel quale tutti i Paesi abbiano voce in capitolo», cosa che «genera disaffezione verso gli organismi internazionali da parte di molti Stati». Inoltre, ha detto, le agende internazionali sono «sempre più dettate da un pensiero che rinnega i fondamenti naturali dell'umanità e le radici culturali che costituiscono l'identità di molti popoli». Secondo il Papa è «una forma di colonizzazione ideologica» con cui «si finisce per cancellare il senso di ogni identità». Il Pontefice ha concluso: «Si va elaborando un pensiero unico pericoloso». Non si devono cancellare, ma valorizzare «le diversità e le sensibilità storiche che contraddistinguono i vari popoli». Questo prefigura un'altra politica e un'altra Europa.

Sincretismo e massoneria con Bergoglio ad Astana. Benedetto XVI: la verità si sta svelando.

Andrea Cionci su Libero Quotidiano il 15 settembre 2022

Andrea Cionci. Storico dell'arte, giornalista e scrittore, si occupa di storia, archeologia e religione. Cultore di opera lirica, ideatore del metodo “Mimerito” sperimentato dal Miur e promotore del progetto di risonanza internazionale “Plinio”, è stato reporter dall'Afghanistan e dall'Himalaya. Ha appena pubblicato il romanzo "Eugénie" (Bibliotheka). Ricercatore del bello, del sano e del vero – per quanto scomodi - vive una relazione complicata con l'Italia che ama alla follia sebbene, non di rado, gli spezzi il cuore

Pochissimi giornali hanno parlato del sedicente papa Francesco all’incontro interreligioso tenutosi in questi giorni ad Astana, capitale del Kazakistan. Bergoglio non è il papa, come sapete, perché Benedetto XVI non ha mai abdicato, ma è da nove anni in sede impedita, come documentato con enciclopedica evidenza dall’inchiesta condotta su questa pagina, poi raccolta nel volume “Codice Ratzinger”, (Byoblu maggio 2022).

Colpisce che, con un’inchiesta del genere onnipresente sul web e l’inserimento del volume (ora tradotto in spagnolo) fra i dieci bestseller italiani, papa Benedetto abbia appena scritto al centro Studi Gioachimiti: “Nell’agire storico di Dio, la verità si svela gradatamente”. 

Comunque, che il congresso di Astana sia stato messo all’angolo è comprensibile: l’incontro era bollente perché avrebbe dato prevedibilmente la stura ai pruriti muratorio-sincretisti di Bergoglio, come infatti è puntualmente avvenuto e come vi dimostreremo sulla base del resoconto dell’agenzia di stampa vaticana.

Tutto l’intervento dell’antipapa, che troverete QUI, è venato da un concetto squisitamente massonico, espresso in modo talmente continuo e martellante da passare per acquisito: Dio è uno solo, per tutti, chi lo chiama Allah, Mazda, Javeh, Cristo, Trimurti, Geova … ma alla fine è sempre lo stesso soggetto.

Attenti a non farvi turlupinare: non è affatto così per la dottrina cattolica, per la quale solo il Dio trinitario del Cristianesimo è vero, solo Gesù è la Via, la Verità e la Vita, mentre le altre religioni sono false. La Rivelazione ha fatto sì che Dio si manifestasse in tutta la Sua identità all’uomo con il Figlio, “morto per la nostra salvezza, gloriosamente risorto e asceso al cielo”, etc.

Ed ecco invece la frase twittata da Bergoglio ieri alle 11.49 QUI che si configura come una doppia, patente eresia: “Di fronte al mistero dell’infinito che ci sovrasta e ci attira, le religioni ci ricordano che siamo creature: non siamo onnipotenti, ma donne e uomini in cammino verso la medesima meta celeste”.

Medesima meta celeste? Di cosa sta parlando? Ogni religione ha un’idea diversa della meta ultraterrena. Basti pensare che Budda propone la reincarnazione e il Nirvana, che è l’annientamento dell’individuo, mentre Cristo invece promette la Vita eterna che conserva all’anima tutta la sua individualità. Due visioni sideralmente opposte. Per non parlare della salvezza nell’Islam, garantita ai soli  musulmani: ”Se Dio promette ai credenti l’illimitata felicità dei giardini, di contro, riserva agli increduli il castigo doloroso dell’inferno (cf. Cor. 9:72-73)” QUI   , una concezione radicalmente diversa da quella cristiana. Siamo, dunque, al collateralismo teologico totale.

Peraltro, insidiosissima la costruzione della frase in senso misericordista: le creature, non onnipotenti, sono in cammino verso una meta celeste. Ma non è vero, in ottica di fede, perché gli uomini e le donne, in quanto creature non sono tutte in cammino verso una meta celeste, sia perché ci sono tante creature umane peccatrici che camminano verso l’inferno, sia perché il solo fatto di avere una qualunque religione non comporta automaticamente la salvezza. La frase torna perfettamente, però, se si suppone che tutti gli uomini vadano in paradiso secondo il misericordismo bergogliano, cioè l’eresia dell’Apocatastasi già cassata nel III secolo. Allora sì, in questo caso siamo tutti indistintamente in cammino verso una meta celeste. Tuttavia, questa roba non è cristiana, ma è Bergogliesimo puro, di cui abbiamo scritto QUI  .

Già all’incipit del suo intervento, Bergoglio parte col piede sbagliato. Riferisce Vatican News: “Con la mano sul petto, il Papa fa un piccolo inchino con il capo prima di prendere parola e pronunciare un lungo e corposo discorso”. Il gesto tipicamente massonico della mano sul petto, è tagliato opportunamente nei video che circolano, ma se lo ha riferito l’agenzia vaticana, possiamo crederci.

Subito antipapa Francesco attacca col refrain massonico della fratellanza universale: “In nome di quella fratellanza che tutti unisce in quanto figli e figlie dello stesso cielo…”. Ma non eravamo figli della Madre Terra? A parte questi dubbi, ancora una volta, gli uomini nelle diverse religioni non si considerano affatto figli di uno stesso dio. Peraltro, in ottica cattolica, gli uomini sono fratelli solo sotto due aspetti: uno biologico, come appartenenti alla specie umana, e l’altro spirituale, solo come figli del Dio trinitario, Padre, Figlio e Spirito Santo, in Grazia del Battesimo. Del tutto da escludersi una fratellanza come figli di uno stesso dio indistinto. Tale ERRORE TEOLOGICO BLU è, invece, guarda caso, una concezione totalmente massonica: il Grande Architetto dell’Universo ha creato il mondo e gli uomini: popoli diversi hanno dato a questo ente nomi diversi, ma alla fine è sempre lo stesso dio indistinto e sconosciuto che si fa gli affari suoi e si disinteressa dell’uomo. Lo spiega bene la concezione deista di Voltaire: questo geometra cosmico si interessa degli uomini come un visir che prende il sole sulla tolda della propria nave si potrebbe interessare dei topi nella stiva.

Il concetto massonico sincretista viene impudicamente ribadito in questo passaggio dell’antipapa: “Le religioni non sono problemi, ma parte della soluzione per una convivenza più armoniosa”. La ricerca della trascendenza e il sacro valore della fraternità possono infatti “ispirare e illuminare le scelte da prendere nel contesto delle crisi geopolitiche, sociali, economiche, ecologiche ma, alla radice, spirituali che attraversano molte istituzioni odierne, anche le democrazie, mettendo a repentaglio la sicurezza e la concordia tra i popoli”. C’è dunque bisogno di religione “per rispondere alla sete di pace del mondo e alla sete di infinito che abita il cuore di ogni uomo”.

Ma nient’affatto: a parte che, storicamente, le religioni sono sempre state enormemente divisive,  ma per la fede cattolica solo Cristo è l’acqua viva che appaga la sete di infinito.

Altro ritornello della Libera Muratoria: l’opposizione integralista alla pena di morte. Infatti, Bergoglio ha subito lodato il presidente kazako per aver abolito la condanna capitale, e questo ci ricorda il suo cambiamento abusivo del Catechismo all’art. 2267 che, nel 2018, ha reso nel Magistero la pena di morte sempre e comunque inammissibile.

Attenzione: dal punto di vista cattolico, invece, possono sussistere dei rari casi limite in cui si può moralmente contemplare la pena di morte, come il caso delle carceri insicure.

Se è pur vero che le moderne società occidentali possono tutelare il bene comune imprigionando i delinquenti in carceri ben munite, non è detto, infatti, che queste possano essere garantiti in migliaia di zone disastrate e poco civilizzate sparse in tutto il mondo dove le strutture di detenzione sono spesso in condizioni precarie.  

Non dovete credere allo scrivente, ma a papa Giovanni Paolo II il quale pur confermando nel Catechismo della Chiesa Cattolica la liceità della pena di morte se non esista altra via per difendere efficacemente le vite umane, conclude: “Se, invece, i mezzi incruenti sono sufficienti per difendere dall’aggressore e per proteggere la sicurezza delle persone, l’autorità si limiterà a questi mezzi, poiché essi sono meglio rispondenti alle condizioni concrete del bene comune e sono più conformi alla dignità della persona umana”.

Quindi il Cattolicesimo scoraggia certamente la pena di morte ove sia possibile, ma non può escluderla a priori come sempre e comunque inammissibile moralmente.  Che poi si sia d’accordo o meno, non c’entra: il Cattolicesimo dice questo e Bergoglio, col suo cambiamento abusivo, ha stravolto il Magistero in ossequio a una storica istanza della Massoneria.

Mortificante, poi, lo spottone vaccinista fuori tempo massimo: “Quanti, oggi ancora, non hanno facile accesso ai vaccini! Stiamo dalla loro parte, non dalla parte di chi ha di più e dà di meno”.

L’unica spiegazione per questa uscita la potrete facilmente capire dagli incontri mai smentiti tra Bergoglio e l’Ad di Pfizer, Albert Bourla durante il 2020 QUI  

Altra assurdità in commentabile, l’equiparazione dei diritti dei bambini a nascere col presunto diritto dei migranti a trasferirsi in altri paesi: “Ogni giorno nascituri e bambini, migranti e anziani vengono scartati. Tanti fratelli e sorelle muoiono sacrificati sull’altare del profitto, avvolti dall’incenso sacrilego dell’indifferenza. Eppure ogni essere umano è sacro”.

Un gran pasticcio in ottemperanza al solito immigrazionismo massonico da piano Kalergi, con la sostituzione etnica degli Europei volta a creare un nuovo uomo meticciato senza patria, identità, religione, cultura etc. facilmente dominabile dalle solite elite.

Insomma, chissà quante altre perle muratorie e mondialiste nascoste ci saranno nel discorso di Bergoglio. Francamente, per ora ci bastano queste.

Domenico Agasso per lastampa.it 12 settembre 2022.

Papa Francesco accoglie in udienza l’associazione degli industriali italiani e lancia un monito contro «ogni forma di sfruttamento e negligenza nella sicurezza». Invita a creare lavoro per i giovani. Cita Balocco tra i buoni imprenditori. Sulla differenza di salari avverte: «Se la forbice è troppo alta, la società si ammala». Nel discorso ai partecipanti all’assemblea pubblica di Confindustria dice no agli imprenditori «mercenari». Basta donne cacciate «perché incinte». E poi, esorta a pagare le tasse, che è una forma di «condivisione».

Carlo Bonomi, presidente a viale dell’Astronomia, rivolgendosi al Pontefice al suo ingresso nell’«Aula Paolo VI» (accolto da un lunghissimo applauso della platea di imprenditori), lo ringrazia «a nome di tutti i presenti, dal profondo del cuore, per la straordinaria opportunità che ci ha concesso, ricevendoci in Udienza quest'oggi. Lo dico con grande sincerità: i nostri cuori e le nostre menti hanno un intimo bisogno di "parole alte", di valori e di una visione che sappia guardare - insieme - lontano e in profondità.

Viviamo e operiamo in un'Italia che ai nostri occhi mostra di aver troppo spesso smarrito la capacità di condivisione e unione su valori fondamentali. Un Paese smarrito, diviso, ingiusto con troppi dei suoi figli e con lo sguardo schiacciato sui bisogni del presente», dice il Presidente di Confindustria.

Ecco perché, «Santità, abbiamo fortemente desiderato questo incontro. Noi rappresentiamo oltre 150mila aziende in cui lavorano più di 5,5 milioni di persone. Il nostro tessuto imprenditoriale è fortemente diversificato e integrato, fatto di imprese grandi, medie, piccole e startup, molte con lo sguardo rivolto all'estero e tutte con radici profondamente ancorate al territorio di origine. Le nostre imprese sono luoghi vivi della comunità, il cui dna è la sintesi tra l'ingegno, l'idea progettuale e creativa e il "fare", il "fare bene" con passione e grande senso di responsabilità per la crescita economica, il progresso e la coesione sociale».

 Ma oggi «non siamo qui per la forza che rappresentiamo nell'economia italiana. Siamo qui con le nostre famiglie e i nostri figli. Perché come imprenditrici e imprenditori prima di ogni altra cosa siamo uomini e donne, con il nostro portato di difficoltà grandi e piccole, di preoccupazioni, di aspettative, di fallimenti a volte e di successi altre. Siamo lavoratrici e lavoratori e condividiamo ogni giorno con i nostri collaboratori fatiche e gioie, problematiche da risolvere insieme, innovazioni da ideare e portare avanti.

E siamo padri, madri, figli: viviamo e lavoriamo cercando di fare il nostro meglio, con amore e attenzione per la famiglia, che è certamente quella di origine ma anche quella che si forma, in modo del tutto naturale, all'interno del luogo di lavoro. L'impresa, infatti, non è un mero aggregato di fattori fisici, immateriali e finanziari volti alla miglior produzione. L'impresa è le persone che la fanno e tutte quelle con le quali interagisce.

Diversamente compromette e perde la sua anima: che è quella fondata sull'essere umano, per l'essere umano». Spiega il leader degli industriali: «A procurarci grande preoccupazione non sono solo gli effetti della spaventosa guerra in corso in Ucraina, i costi dell'energia e la perdurante bassa occupazione nel nostro Paese, ma l'onda di smarrimento, sfiducia e sofferenza sociale che esprime una parte troppo vasta della società italiana.

Una sofferenza alla quale sentiamo l'urgenza di provare a dare una risposta, insieme a tutti gli altri attori della società, convinti che la direzione verso cui andare è quella di garantire il lavoro, che è certamente la questione chiave. 

Lavoro che Voi, Santo Padre, avete definito nelle sue caratteristiche: “libero, creativo, partecipativo e solidale”. Quel lavoro “nel quale l'essere umano esprime e accresce la dignità della propria vita”. Siamo consapevoli dei nostri doveri verso la società. Non abbiamo alcuna pretesa di essere perfetti. E a Voi, Santo Padre, ci rivolgiamo per accrescere la nostra buona volontà e i nostri sforzi concreti, ma anche e soprattutto per aiutarci a correggere i nostri errori». 

Il Vescovo di Roma si dice «lieto di potervi incontrare e, tramite voi, rivolgermi al mondo degli imprenditori, che sono una componente essenziale per costruire il bene comune, sono un motore primario di sviluppo e di prosperità». 

Questo tempo non e «facile, per voi e per tutti. Anche il mondo dell’impresa sta soffrendo molto. La pandemia ha messo a dura prova tante attività produttive, tutto il sistema economico e stato ferito». E ora si e aggiunta «la guerra in Ucraina con la crisi energetica che ne sta derivando. In queste crisi soffre anche il buon imprenditore, che ha la responsabilità della sua azienda, dei posti di lavoro, che sente su di sè le incertezze e i rischi».

Nel mercato ci sono «imprenditori “mercenari” e imprenditori simili al buon pastore, che soffrono le stesse sofferenze dei loro lavoratori, che non fuggono davanti ai molti lupi che girano attorno». La gente sa «riconoscere i buoni imprenditori. Lo abbiamo visto anche recentemente, alla morte di Alberto Balocco: tutta la comunità aziendale e civile era addolorata e ha manifestato stima e riconoscenza». 

La Chiesa, «fin dagli inizi, ha accolto nel suo seno anche mercanti, precursori dei moderni imprenditori». Nella Bibbia e nei Vangeli si parla «di lavoro, di commercio, e tra le parabole ci sono quelle che parlano di monete, di proprietari terrieri, di amministratori, di perle preziose acquistate. Il padre misericordioso nel Vangelo di Luca ci viene mostrato come un uomo benestante, un proprietario terriero. Il buon samaritano poteva essere un mercante: e lui che si prende cura dell’uomo derubato e ferito, e poi lo affida a un altro imprenditore, un albergatore.

I “due denari” che il samaritano anticipa all’albergatore sono molto importanti: nel Vangelo non ci sono soltanto i trenta denari di Giuda; non solo quelli». In effetti, lo stesso «denaro può essere usato, ieri come oggi, per tradire e vendere un amico o per salvare una vittima. Lo vediamo tutti i giorni, quando i denari di Giuda e quelli del buon samaritano convivono negli stessi mercati, nelle stesse borse valori, nelle stesse piazze». L’economia cresce e diventa «umana quando i denari dei samaritani diventano più numerosi di quelli di Giuda», sostiene Jorge Mario Bergoglio.

Ma la vita degli «imprenditori nella Chiesa non e stata sempre facile. Le parole dure che Gesù usa nei confronti dei ricchi e delle ricchezze, quelle sul cammello e la cruna dell’ago, sono state a volte estese troppo velocemente ad ogni imprenditore e ad ogni mercante, assimilati a quei venditori che Gesù scaccio dal tempio». 

In realtà, si può essere «mercante, imprenditore, ed essere seguace di Cristo, abitante del suo Regno». La domanda allora «diventa: quali sono le condizioni perchè un imprenditore possa entrare nel Regno dei cieli? E mi permetto di indicarne alcune. Non e facile...». 

La prima e la «condivisione. La ricchezza, da una parte, aiuta molto nella vita; ma e anche vero che spesso la complica: non solo perchè può diventare un idolo e un padrone spietato che si prende giorno dopo giorno tutta la vita. La complica anche perchè la ricchezza chiama a responsabilità: una volta che possiedo dei beni, su di me grava la responsabilità di farli fruttare, di non disperderli, di usarli per il bene comune. Poi la ricchezza crea attorno a se invidia, maldicenza, non di rado violenza e cattiveria».

Gesù dice che e «molto difficile per un ricco entrare nel Regno di Dio. Difficile, sì, ma non impossibile. E infatti sappiamo di persone benestanti che facevano parte della prima comunità di Gesù, ad esempio Zaccheo di Gerico, Giuseppe di Arimatea, o alcune donne che sostenevano gli apostoli con i loro beni». Nelle prime comunità esistevano «donne e uomini non poveri; e nella Chiesa ci sono sempre state persone benestanti che hanno seguito il Vangelo in modo esemplare: tra questi anche imprenditori, banchieri, economisti, come ad esempio i Beati Giuseppe Toniolo e Giuseppe Tovini.

Per entrare nel Regno dei cieli, non a tutti e chiesto di spogliarsi come il mercante Francesco d’Assisi; ad alcuni che possiedono ricchezze e chiesto di condividerle. La condivisione e un altro nome della povertà evangelica». E infatti l’altra «grande immagine economica che troviamo nel Nuovo Testamento e la comunione dei beni narrata dagli Atti degli Apostoli: “La moltitudine di coloro che erano diventati credenti aveva un cuore solo e un’anima sola [...], fra loro tutto era comune [...]. Nessuno tra loro era bisognoso”».

Ma come vivere oggi «questo spirito evangelico di condivisione? Le forme sono diverse, e ogni imprenditore può trovare la propria, secondo la sua personalità e la sua creatività. Una forma di condivisione e la filantropia, cioè donare alla comunità, in vari modi. E qui voglio ringraziarvi per il vostro sostegno concreto al popolo ucraino, specialmente ai bambini sfollati, perchè possano andare a scuola; grazie!». 

Per il Papa «molto importante e quella modalità che nel mondo moderno e nelle democrazie sono le tasse e le imposte, una forma di condivisione spesso non capita. Il patto fiscale e il cuore del patto sociale. Le tasse sono anche una forma di condivisione della ricchezza, cosi che essa diventa beni comuni, beni pubblici: scuola, sanita, diritti, cura, scienza, cultura, patrimonio.

Certo, le tasse devono essere giuste, eque, fissate in base alla capacita contributiva di ciascuno, come recita la Costituzione italiana». Il sistema e l’amministrazione fiscale «devono essere efficienti e non corrotti. Ma non bisogna considerare le tasse come un’usurpazione. Esse sono un’alta forma di condivisione di beni, sono il cuore del patto sociale».

Un’altra via di «condivisione e la creazione di lavoro, lavoro per tutti, in particolare per i giovani. I giovani hanno bisogno della vostra fiducia, e voi avete bisogno dei giovani, perchè le imprese senza giovani perdono innovazione, energia, entusiasmo. Da sempre il lavoro e una forma di comunione di ricchezza: assumendo persone voi state già distribuendo i vostri beni, state già creando ricchezza condivisa».

Ogni nuovo posto di lavoro creato «e una fetta di ricchezza condivisa in modo dinamico. Sta anche qui la centralità del lavoro nell’economia e la sua grande dignità. Oggi la tecnica rischia di farci dimenticare questa grande verità, ma se il nuovo capitalismo creerà ricchezza senza più creare lavoro, va in crisi questa grande funzione buona della ricchezza. E parlando dei giovani: io, quando incontro i governanti, in tanti mi dicono: “Il problema del mio Paese e che i giovani vanno fuori, perchè non hanno possibilità”. Creare il lavoro e una sfida e alcuni Paesi sono in crisi per questa mancanza». Francesco domanda «questo favore: che qui, in questo Paese, grazie alla vostra iniziativa, al vostro coraggio, ci siano posti di lavoro, si creino soprattutto per i giovani».

Tuttavia, il problema del «lavoro non può risolversi se resta ancorato nei confini del solo mercato del lavoro: e il modello di ordine sociale da mettere in discussione. Quale modello di ordine sociale? E qui si tocca la questione della denatalità». Combinata con il «rapido invecchiamento della popolazione, sta aggravando la situazione per gli imprenditori, ma anche per l’economia in generale: diminuisce l’offerta dei lavoratori e aumenta la spesa pensionistica a carico della finanza pubblica». 

Perciò è «urgente sostenere nei fatti le famiglie e la natalità. Su questo dobbiamo lavorare, per uscire il più presto possibile dall’inverno demografico nel quale vive l’Italia e anche altri Paesi. E un brutto inverno demografico, che va contro di noi e ci impedisce questa capacita di crescere. Oggi fare i figli e una questione, io direi, patriottica, anche per portare il Paese avanti».

Sempre a proposito della natalità: «Alle volte, una donna che e impiegata qui o lavora la, ha paura a rimanere incinta, perchè c’è una realtà - non dico tra voi - ma c’è una realtà che appena si incomincia a vedere la pancia, la cacciano via. “No, no, tu non puoi rimanere incinta”. Per favore, questo e un problema delle donne lavoratrici: studiatelo, vedete come fare affinchè una donna incinta possa andare avanti, sia con il figlio che aspetta e sia con il lavoro».

Il Pontefice pone l’attenzione su un altro tema: «L’Italia ha una forte vocazione comunitaria e territoriale: il lavoro e stato sempre considerato all’interno di un patto sociale più ampio, dove l’impresa e parte integrante della comunità. Il territorio vive dell’impresa e l’impresa trae linfa dalle risorse di prossimità, contribuendo in modo sostanziale al benessere dei luoghi in cui e collocata. A questo proposito, va sottolineato il ruolo positivo che giocano le aziende sulla realtà dell’immigrazione, favorendo l’integrazione costruttiva e valorizzando capacita indispensabili per la sopravvivenza dell’impresa nell’attuale contesto».

Nello stesso «tempo occorre ribadire con forza il “no” ad ogni forma di sfruttamento delle persone e di negligenza nella loro sicurezza. Il problema dei migranti: il migrante va accolto, accompagnato, sostenuto e integrato, e il modo di integrarlo e il lavoro. Ma se il migrante e respinto o semplicemente usato come un bracciante senza diritti, ciò è un’ingiustizia grande e anche fa male al proprio Paese».

A Bergoglio piace anche «ricordare che l’imprenditore stesso e un lavoratore. E questo e bello eh! Non vive di rendita; il vero imprenditore vive di lavoro, vive lavorando, e resta imprenditore finchè lavora. Il buon imprenditore conosce i lavoratori perchè conosce il lavoro. Molti di voi sono imprenditori artigiani, che condividono la stessa fatica e bellezza quotidiana dei dipendenti». Una delle «gravi crisi del nostro tempo e la perdita di contatto degli imprenditori col lavoro: crescendo, diventando grandi, la vita trascorre in uffici, riunioni, viaggi, convegni, e non si frequentano più le officine e le fabbriche.

Si dimentica “l’odore” del lavoro. E brutto». E come succede «a noi preti e vescovi, quando dimentichiamo l’odore delle pecore, non siamo più pastori, siamo funzionari. Si dimentica l’odore del lavoro non si riconoscono più i prodotti ad occhi chiusi toccandoli; e quando un imprenditore non tocca più i suoi prodotti, perde contatto con la vita della sua impresa, e spesso inizia anche il suo declino economico. Il contatto, la vicinanza, che e lo stile di Dio: essere vicino».

Generare occupazione poi produce «una certa uguaglianza nelle vostre imprese e nella società. E vero che nelle imprese esiste la gerarchia, e vero che esistono funzioni e salari diversi, ma i salari non devono essere troppo diversi. Oggi la quota di valore che va al lavoro e troppo piccola, soprattutto se la confrontiamo con quella che va alle rendite finanziarie e agli stipendi dei top manager. Se la forbice tra gli stipendi più alti e quelli più bassi diventa troppo larga – denuncia –  si ammala la comunità aziendale, e presto si ammala la società». 

Adriano Olivetti, «un vostro grande collega del secolo scorso, aveva stabilito un limite alla distanza tra gli stipendi più alti e quelli più bassi, perchè sapeva che quando i salari e gli stipendi sono troppo diversi si perde nella comunità aziendale il senso di appartenenza a un destino comune, non si crea empatia e solidarietà tra tutti; e cosi, di fronte a una crisi, la comunità di lavoro non risponde come potrebbe rispondere, con gravi conseguenze per tutti».

Il valore che «voi create dipende da tutti e da ciascuno: dipende anche dalla vostra creatività, dal talento e dall’innovazione, dipende anche dalla cooperazione di tutti, dal lavoro quotidiano di tutti. Perchè se e vero che ogni lavoratore dipende dai suoi imprenditori e dirigenti, e anche vero che l’imprenditore dipende dai suoi lavoratori, dalla loro creatività, dal loro cuore e dalla loro anima: possiamo dire che dipende dal loro “capitale” spirituale, dei lavoratori».

Le sfide della «nostra società non si potranno vincere senza buoni imprenditori, e questo e vero. Vi incoraggio a sentire l’urgenza del nostro tempo, ad essere protagonisti di questo cambiamento d’epoca. Con la vostra creatività e innovazione potete dar vita a un sistema economico diverso, dove la salvaguardia dell’ambiente sia un obiettivo diretto e immediato della vostra azione economica.

Senza nuovi imprenditori la terra non reggerà l’impatto del capitalismo, e lasceremo alle prossime generazioni un pianeta troppo ferito, forse invivibile. Quanto fatto finora non basta: per favore aiutiamoci insieme a fare di più». 

Marco Giusti per Dagospia il 5 settembre 2022.

Ne avrei potuto vedere ore e ore di questo strepitoso, commovente “In viaggio”, il film documentario che Gianfranco Rosi ha dedicato al pontificato di Papa Francesco, dove ha racchiuso in 80 minuti qualcosa come 37 viaggi compiuti in nove anni, visitando 59 diversi paesi. 

Un percorso incredibile dove vediamo Papa Francesco passare da Pantelleria a Cuba, abbracciare il Pope russo Kirill, quello che sta difendendo Putin, incontrare Obama, Erdogan, visitare favele miserabili. E continuare a ripetere, da vecchio predicatore, sempre, parole di speranza, di dignità, di solidarietà. Lui stesso dice che non ha due diversi linguaggi per esprimere quello che vuole dire. Ma uno solo.

Il Papa non può che avere un linguaggio per portare conforto e speranza. Ma quando sbaglia, quando fa delle dichiarazioni che possono essere prese in un modo sbagliato, lo sentiamo chiedere scusa. 

Montando le immagini della tv del Vaticano, che ha seguito fin dall’inizio il Papa nei suoi viaggi e ne ha ripreso i discorsi e gli abbracci con la gente di ogni parte del mondo, alternandole ad altre, sue, riprese per l’occasione, ma anche, mi sembra, a immagine dei suoi film, Gianfranco Rosi sembra quasi completare uno sguardo sulla vastità, la complessità e i dolori del mondo, che ingloba anche parte del suo cinema, un cinema di viaggio, di documentazione, di ricerca e di solidarietà nella sofferenza.

Ma non si può competere con la macchina papale, quasi in perpetuo viaggio per portare se non altro il suo sguardo, la sua presenza, il suo corpo, mai così presente nelle immagini, in ogni parte del mondo. Rosi struttura il suo film con grande semplicità, alternando immagini di volo a quelle di sbarchi, di macchina fissa dietro la schiena del Papa, con la pettorina che svolazza, di discorsi. 

Come è in fondo semplice il messaggio del Papa. Ma sono proprio queste semplicità di struttura e di sguardo sul mondo a rendere il film così ricco e la figura del Papa in viaggio che benedice, abbraccia, stringe, si inginocchia, non arretrando di fronte a nulla, con un copro sempre più compromesso, gigantesca. 

Lo avevamo capito in piena pandemia con la Via Crucis a Piazza a San Pietro affrontata da solo sotto la pioggia, erano immagini incredibili che in parte qui ritroviamo, ma nel film di Rosi l’effetto si moltiplica vedendo il Papa in azione in paesi così diversi, davanti a complessità e a personaggi imprevedibili. 

Guardatelo con Erdogan o con Kirill. Nel suo sguardo, così umano, così comprensivo, passa di tutto. Rosi ha compiuto il miracolo di dedicarsi completamente a lui, di riprenderlo, montarlo senza per questo voler fare per forza il suo film d’autore. E quel che viene fuori è qualcosa che ci offre del Papa il miglior ritratto che si potesse pensare.

Giordano Tedoldi per “Libero quotidiano” il 25 agosto 2022.

Ieri mattina, durante l'udienza generale nell'aula Nervi, concludendo la catechesi dedicata al tema della vecchiaia, papa Francesco ha dichiarato: «La morte fa un po' paura ma c'è sempre la mano del Signore, e dopo la paura c'è la festa», e ancora, rivolgendosi ai suoi "coetanei", cioè i "vecchie le vecchiette" come li ha chiamati non senza un sorriso sornione, ha ricordato che: «Gesù, quando parla del Regno di Dio, lo descrive come un pranzo di nozze, come una festa con gli amici».

Diciamolo pure: ieri papa Francesco ha fatto un elogio del trapasso, ha pronunciato, sia pure con le parole semplici, umili e dirette che gli sono proprie, un vero e proprio inno alla morte. Bisogna esserne sconcertati? Scandalizzati addirittura? Sarebbe un grave errore, e vorrebbe dire non capire la personalità del pontefice, molto più complessa e contraddittoria di quel che a volte vogliono far credere certi suoi adulatori.

Innanzitutto, papa Francesco è una personalità di profonda cultura, anche se non ama ostentarla e rifugge dalle citazioni dotte e nei suoi discorsi si astiene da speculazioni troppo sottili quali quelle del suo predecessore Ratzinger. 

E quindi non possiamo nemmeno escludere che, dicendo che il bello comincia con quel difficile passaggio che è la morte, abbia riecheggiato una splendida elegia del poeta americano Walt Whitman, "Quando i lillà fiorivano, l'ultima volta, nel prato davanti alla casa", all'interno della quale c'è una lunga sezione che celebra la "nera madre che sempre ci scivoli accanto con passo leggero", la morte appunto, che il poeta chiama "grande liberatrice", e della quale scrive: "Io canto gioiosamente i morti che fluttuano perduti nel tuo amoroso oceano, lavati dalle onde della tua beatitudine, o morte".

E pazienza se Whitman, che era un singolare personaggio con idee panteiste, non è precisamente un riferimento ovvio per il capo della religione cattolica; quando si ha a che fare con Bergoglio conviene non dare nulla per scontato, e liberarsi dei pregiudizi. 

Del resto, il papa ha semplicemente ribadito con parole apparentemente paradossali un concetto fondamentale della dottrina cristiana, e cioè che la "vera" vita, quella suprema, comincia dopo questa terrena. Da questo punto di vista, temere la morte, concepirla come l'annientamento assoluto, non è solo angosciante, ma è anche un atteggiamento profondamente anticristiano. 

Ecco allora che, rovesciando la prospettiva laica, che vede la vita su questa terra come l'unica a nostra disposizione, e dunque logicamente esalta la giovinezza e considera la vecchiaia una tragica sciagura, papa Francesco ha ricordato ai "vecchi e alle vecchiette" che lo ascoltavano che, da buoni cristiani, non solo non hanno nulla da temere, ma la loro età va vissuta con pienezza, emozione, senso di attesa trepidante, perché si avvicina il "bello", cioè, in termini cristiani, la vita eterna in comunione con Dio.

Vale la pena sottolineare che questo rovesciamento di prospettiva è benefico e salutare anche per chi cristiano non è, perché a forza di ossessionarsi solo sul l'aspetto strettamente fisico e materiale della nostra esistenza, e separando giovinezza e vecchiaia come due tronconi nettamente separati, in cui nel primo si gioisce (anzi si deve gioire, perché poi non si potrà più), e nel secondo si soffre ogni genere di pene, non può che rendere infelice anche il miscredente. 

Si può anche non arrivare al punto di dire che "il bello comincia con la morte", specialmente se non si è cristiani, ma certo la paura paralizzante del trapasso, il considerare la vecchiaia, e dunque i vecchi, solo come resti di un'esistenza che ormai ha perso tutto il suo gusto e non può che avviarsi in direzione di un inglorioso tramontare, non è certo qualcosa da auspicare.

Ben vengano dunque le parole rinfrescanti, provocatorie (ma in fondo, come abbiamo detto, perfettamente in linea con il pensiero cristiano) del pontefice. Parole che sono anche un notevole progresso rispetto alla comune rappresentazione che, della morte, il cristianesimo ha fornito ancora nel recente passato, e cioè di un passaggio tremendo, angoscioso, in cui non è affatto scontato che il povero peccatore incontri Maria, Cristo, e trovi la beatitudine, giacché potrebbe anche dover scontare un lungo soggiorno nell'inospitale landa infernale. 

Nei discorsi di Bergoglio, di questa orribile prospettiva non c'è traccia, e in questo sembra allinearsi a certi pensatori moderni: che il vero inferno sia già riscontrabile in questa vita, su questa terra. Di là, al confronto, di qualunque cosa si tratti, sarà bellissimo.

"Più accoglienti su migranti e lgbt". Il documento dalle diocesi italiane. È stata pubblicata la Sintesi nazionale della fase diocesana del Sinodo 2021-2023 voluto da Papa Francesco. Nico Spuntoni il 21 Agosto 2022 su Il Giornale.

Una Chiesa più accogliente con persone Lgbtqi+ e migranti. Queste sono alcune delle richieste avanzate nella Sintesi nazionale della fase diocesana del Sinodo 2021-2023 consegnata ad inizio settimana alla Segreteria generale del Sinodo dei vescovi presieduta dal cardinale Mario Grech. Ma anche più impegno per ridurre i divari generazionali tra giovani e anziani, lotta alle disuguaglianze sociali acuite dalla pandemia, vicinanza a carcerati e persone separate.

Il documento di 1500 pagine su cui hanno lavorato i 400 referenti diocesani ha riportato le opinioni e le rivendicazioni dei fedeli italiani consultati nella fase iniziale del Sinodo universale che si concluderà a Roma nell'ottobre del 2023. Ma prima di questo appuntamento, la prossima tappa sarà quella del confronto tra le Conferenza episcopali nazionali che partirà a settembre. "Per una Chiesa sinodale: Comunione, partecipazione e missione", questo il titolo scelto da Papa Francesco per il Sinodo che si svolge per la prima volta con queste modalità in virtù della costituzione apostolica Episcopalis communio del 2018.

L'intento era quello di aprire una consultazione del popolo di Dio dal basso, ma non tutto è andato secondo le previsioni. Il coinvolgimento di laici e religiosi, in effetti, deve essere stato inferiore alle aspettative se monsignor Lucio Adrian Ruiz, segretario del Dicastero per la Comunicazione vaticana, ha sentito il bisogno di correre ai ripari "arruolando" - come riportato da Avvenire - alcuni influencer cattolici per sollecitare contributi tra ventenni, trentenni e quarantenni tramite un questionario. Nelle domande del sondaggio, come abbiamo visto la scorsa settimana, veniva indicata anche la richiesta alla Chiesa di "assistere e accompagnare le persone LGBTQI+". Una sensibilità che ha trovato spazio anche nella Sintesi italiana laddove si è parlato di "carenze sul piano della capacità di inclusione" nei confronti delle "differenze che oggi chiedono accoglienza", tra cui vengono indicate quelle "di orientamento sessuale". E in questa chiave la richiesta di avere una "Chiesa più accessibile, più comprensibile e più attraente per i giovani e i 'lontani'" si coniuga con quella di utilizzare un "linguaggio non discriminatorio, meno improntato alla rigidità".

A proposito di rigidità, un termine spesso utilizzato da Francesco per redarguire quei membri del clero definiti "indietristi", nella Sintesi è stato evidenziato anche il bisogno di "rivedere in una prospettiva maggiormente comunitaria il tema delle funzioni e delle mansioni svolte attualmente dai presbiteri". La mancata partecipazione di una "porzione non trascurabile del clero" italiano a questa fase diocesana viene ammessa tra le righe del documento, accompagnandola con una bordata verso questi preti diffidenti nei confronti del Cammino Sinodale che non avrebbero dato prova di "sintonia tra le modalità ordinarie di esercizio del ministero episcopale e l’assunzione di uno stile pienamente sinodale, a cui il Cammino punta". Rispetto al contenuto di analoghi documenti inviati alla Segreteria generale del Sinodo dei vescovi da Francia e Spagna, le istanze presenti nella Sintesi della Cei sono decisamente più prudenti e non hanno accolto battaglie rivoluzionarie come l'ordinazione sacerdotale delle donne o il celibato facoltativo dei preti.

Quell'indizio tra le righe: la Chiesa apre all'identità di genere? Un questionario per un progetto coordinato dal numero due di un Dicastero vaticano prevede una terza opzione di genere. E i risultati arriveranno al Sinodo. Nico Spuntoni il 14 Agosto 2022 su Il Giornale.

Uomo, donna o? Chi l'avrebbe mai detto di leggere una terza opzione sul genere ("non si applica a te") in un questionario destinato ad arrivare sul tavolo del Sinodo dei Vescovi previsto nell'ottobre del 2023. Eppure è questo si legge nel form diffuso sul web in questi giorni da circa 200 influencer cattolici di tutto il mondo nell'ambito del progetto "La Chiesa ti ascolta". Un sondaggio affidato a quelli che vengono chiamati "missionari digitali" e che si pone l'obiettivo di raccogliere le impressioni e le opinioni degli internauti sul loro rapporto con la Chiesa.

L'iniziativa ha l'imprimatur vaticano dal momento che il coordinatore di "La Chiesa ti ascolta" è monsignor Lucio Adrian Ruiz, segretario del Dicastero per la Comunicazione. Secondo quanto riportato da Avvenire, il quotidiano della Conferenza Episcopale italiana, la decisione di ricorrere agli influencer per arricchire i contributi nel processo del Cammino Sinodale in corso sarebbe stata presa a seguito della limitata adesione di giovani alla fase diocesana conclusasi ad aprile scorso.

Nel questionario, che chiede a chi vi partecipa di dire cosa pensa che la Chiesa dovrebbe fare per renderla più vicina, ci si può dichiarare uomo, donna oppure scegliere la casella "non si applica a te" che va incontro a chi si identifica nel cosiddetto genere non-binario. Le tematiche arcobaleno, inoltre, trovano spazio anche nel resto del form: "Pensi che la Chiesa ascolti/parli con altri gruppi sociali? LGBTQI+, giornalisti, sindacati, imprenditori, altre religioni, scienziati", si legge in una delle domande. Più avanti, l'opzione "assistenere e accompagnare le persone LGBTQI+" viene indicata come uno degli impegni da poter scegliere tra quelli che si ritiene la Chiesa dovrebbe assumere per avvicinarsi di più alla gente.

Su questo punto, uno dei documenti più importanti della Chiesa è rappresentato dalla Lettera ai vescovi sulla cura pastorale delle persone omosessuali scritta nel 1986 dall'allora cardinale prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, Joseph Ratzinger e approvata da San Giovanni Paolo II nella quale si leggeva che "occorre chiarire bene che ogni allontanamento dall'insegnamento della Chiesa, o il silenzio su di esso, nella preoccupazione di offrire una cura pastorale, non è forma né di autentica attenzione né di valida pastorale. Solo ciò che è vero può ultimamente essere anche pastorale. Quando non si tiene presente la posizione della Chiesa si impedisce che uomini e donne omosessuali ricevano quella cura, di cui hanno bisogno e diritto". Sull'identità di genere, Papa Francesco si è espresso nettamente più volte e circa un anno fa, nel corso di una conversazione con i gesuiti slovacchi durante la sua visita apostolica, ha detto che "l'ideologia del gender è pericolosa, perché è astratta rispetto alla vita concreta di una persona, come se una persona potesse decidere astrattamente a piacimento se e quando essere uomo o donna".

I risultati del sondaggio verranno inviati, come spiegato nell'apertura del form, al Sinodo dei Vescovi. Sarà il primo che si svolgerà al termine di un processo iniziato iniziato nell'ottobre del 2021 e articolato attraverso una prima fase diocesana, una successiva continentale e quella conclusiva prevista a Roma nell'ottobre del 2023. Un Sinodo che Papa Francesco ha indetto con il titolo “Per una Chiesa sinodale: comunione, partecipazione e missione”.

(ANSA il 10 agosto 2022) "La sicumera di fermare il tempo - volere l'eterna giovinezza, il benessere illimitato, il potere assoluto - non è solo impossibile, è delirante". Lo ha detto papa Francesco nell'udienza generale nell'Aula Paolo VI, una delle ultime dedicate al tema della vecchiaia. "La vecchiaia è nobile - ha sottolineato il Pontefice -, non ha bisogno di truccarsi per far vedere la propria nobiltà: forse il trucco viene quando manca nobiltà". E "il tempo passa, ma questo non è una minaccia, è una promessa", ha aggiunto. 

Commentando il Vangelo di Giovanni, il Papa ha osservato che "la vecchiaia è il tempo propizio per la testimonianza commossa e lieta di questa attesa" di "opere più grandi". "L'anziano e l'anziana sono in attesa, in attesa di un incontro", ha spiegato. "Nella vecchiaia - ha proseguito - le opere della fede, che avvicinano noi e gli altri al regno di Dio, stanno ormai oltre la potenza delle energie, delle parole, degli slanci della giovinezza e della maturità".

Ma proprio così rendono ancora più trasparente la promessa della vera destinazione della vita, e qual è la vera destinazione della vita? Un posto a tavola con Dio, nel mondo di Dio", ha sottolineato. Per Francesco, "sarebbe interessante vedere se nelle Chiese locali esiste qualche riferimento specifico, destinato a ravvivare questo speciale ministero dell'attesa del Signore - è un ministero, il ministero dell'attesa del Signore -, incoraggiando i carismi individuali e le qualità comunitarie della persona anziana".

Secondo il Papa, inoltre, "una vecchiaia che si consuma nell'avvilimento delle occasioni mancate, porta avvilimento per sé e per tutti". Invece, "la vecchiaia vissuta con dolcezza vissuta con rispetto per la vita reale scioglie definitivamente l'equivoco di una potenza che deve bastare a sé stessa e alla propria riuscita". "Scioglie persino - ha aggiunto - l'equivoco di una Chiesa che si adatta alla condizione mondana, pensando in questo modo di governarne definitivamente la perfezione e il compimento. 

Quando ci liberiamo da questa presunzione, il tempo dell'invecchiamento che Dio ci concede è già in sé stesso una di quelle opere 'più grandi' di cui parla Gesù". "Ricordiamoci che 'il tempo è superiore allo spazio' - ha quindi avvertito Bergoglio -. È la legge dell'iniziazione. La nostra vita non è fatta per chiudersi su sé stessa, in una immaginaria perfezione terrena: è destinata ad andare oltre, attraverso il passaggio della morte. Perché la morte è un passaggio. Infatti, il nostro luogo stabile, il nostro punto d'arrivo non è qui, è accanto al Signore, dove Egli dimora per sempre". 

"Qui, sulla terra, si avvia il processo del nostro 'noviziato': siamo apprendisti della vita, che - tra mille difficoltà - imparano ad apprezzare il dono di Dio, onorando la responsabilità di condividerlo e di farlo fruttificare per tutti. Il tempo della vita sulla terra è la grazia di questo passaggio", ha argomentato. Per il Pontefice, "la nostra esistenza sulla terra è il tempo dell'iniziazione alla vita, che solo in Dio trova il compimento. Siamo imperfetti fin dall'inizio e rimaniamo imperfetti fino alla fine. Nel compimento della promessa di Dio, il rapporto si inverte: lo spazio di Dio, che Gesù prepara per noi con ogni cura, è superiore al tempo della nostra vita mortale. 

"Ecco - ha soggiunto -: la vecchiaia avvicina la speranza di questo compimento. La vecchiaia conosce definitivamente, ormai, il senso del tempo e le limitazioni del luogo in cui viviamo la nostra iniziazione. La vecchiaia è saggia per questo, i vecchi sono saggi per questo.

Per questo essa è credibile quando invita a rallegrarsi dello scorrere del tempo: non è una minaccia, è una promessa". Francesco ha concluso evidenziando che "la vecchiaia è la fase della vita più adatta a diffondere la lieta notizia che la vita è iniziazione per un compimento definitivo. I vecchi sono una promessa, una testimonianza di promessa, E il meglio deve ancora venire, ecco il messaggio del vecchio e della vecchia credenti. Il meglio deve ancora venire. Dio ci conceda una vecchiaia capace di questo!".

Da “La Verità” il 10 agosto 2022.

Per gentile concessione, pubblichiamo stralci dell'intervista - realizzata da Lucio Caracciolo e Guglielmo Gallone - al Segretario di Stato vaticano, cardinale Pietro Parolin. Il testo integrale è pubblicato nel numero appena uscito di Limes, dal titolo «La guerra grande». 

Quanto conta l'origine nazionale del papa nella visione geopolitica della Santa Sede?

«È naturale che le origini, la formazione, le esperienze e la storia personale influiscano nell'esercizio del ministero di un papa, ma, in quanto capo visibile della Chiesa universale, egli è pastore di tutti e per tutti. Conosciamo bene tuttavia che cosa ha significato per l'Europa e per il mondo intero il conclave dell'ottobre 1978 e l'arrivo sul soglio di Pietro di san Giovanni Paolo II, un papa slavo, che veniva dall'Oltrecortina, da un paese sottoposto al controllo sovietico. Egli diede voce alla “Chiesa del silenzio", fu paladino della libertà religiosa, sostenne il sindacato di Solidarnosc.

Era convinto che il comunismo dell'Est europeo sarebbe imploro, per cui non si è mai ritenuto l'artefice della sua caduta, ma certamente ha giocato un ruolo fondamentale nel permettere che questo passaggio epocale avvenisse senza grande spargimento di sangue. Sarebbe accaduto lo stesso se il papa fosse stato un altro? E difficile dirlo». [...] 

Papa Francesco non è «il cappellano dell'Occidente», come invece potevano apparire alcuni dei predecessori.

«Ha detto bene: “come invece potevano apparire", perché non mi sembra che sia realmente accaduto. Ricordo, ad esempio, la posizione espressa da Pio XII sulla guerra in Corea, nel 1950, e il suo rifiuto di farsi in qualche modo "arruolare” dal presidente degli Stati Uniti Harry Truman. 

Ricordo la mano tesa all'islam da san Giovanni Paolo II, che ricusò, con tutte le forze che ancora gli rimanevano, l'idea dello "scontro di civiltà” dopo gli attentati dell'11 settembre 2001. [...] Ho proposto solo due esempi, ma ce ne sarebbero molti altri utili a dimostrare come il cliché di “cappellano dell'Occidente” non si addice al pastore della Chiesa universale, nonostante i tentativi di accaparrarselo dall’una e dall’altra parte. 

Papa Francesco, che i cardinali nove anni fa hanno chiamato sul Soglio di Pietro andandolo a prendere "quasi alla fine del mondo", appare ancor meno omologabile al cliché di cui sopra.

Credo che l'universalità e la particolare attenzione e sensibilità verso le popolazioni dei paesi più poveri, come pure una Chiesa meno eurocentrica e uno sguardo multilaterale rispetto ai problemi internazionali facciano parte del dna della Chiesa cattolica». 

Lei è stato protagonista della negoziazione con la Cina di un accordo ancora segreto. Da che cosa dipende la sua segretezza, e che valutazione si può dare oggi dei suoi esiti?

«Il dialogo, iniziato per volontà di san Giovanni Paolo II e proseguito durante i pontificati di Benedetto XVI e di Francesco, ha portato nel 2018 alla firma dell'accordo provvisorio sulla nomina dei vescovi in Cina.

Proprio la caratteristica della provvisorietà ha consigliato alle parti di non renderlo pubblico, nell’attesa di verificarne il funzionamento sul terreno e decidere in merito. Scopo dell'accordo era di ottenere che tutti i vescovi in Cina fossero in comunione con il successore di Pietro e che si assicurasse l'essenziale unità delle comunità ecclesiali, al proprio interno e tra di loro, sotto la guida di presuli degni e idonei, pienamente cinesi ma anche pienamente cattolici. 

L'accordo prevede che la loro nomina segua procedure particolari, che derivano dalla storia recente di quella cristianità, ma che non omettano gli elementi fondamentali e irrinunciabili della dottrina cattolica.

Se cosi non fosse, non ci sarebbe più la Chiesa cattolica in Cina, ma qualcos'altro. La Chiesa rivendica la giusta libertà nella nomina dei suoi vescovi, preoccupata che siano autentici pastori secondo il Cuore di Cristo e non rispondano ad altri criteri solo umani, ma non deve scandalizzare il fatto che in determinate situazioni accetti anche di venire incontro a esigenze particolari, come ad esempio alcune richieste espresse dalle autorità politiche. Quanto alla valutazione degli esiti dell'accordo mi sembra di poter dire che sono stati fatti passi in avanti, ma che non tutti gli ostacoli e le difficoltà sono stati superati [...]».

Papa Francesco ha incontrato tre volte Vladimir Putin, nel 2013, 2015 e 2019. Qual è il suo rapporto con il presidente russo?

«Fin dai primi mesi di pontificato, papa Francesco si è rivolto al presidente russo a proposito del confitto in Siria. I successivi incontri erano stati cordiali e avevano permesso di trovare dei punti di convergenza. 

Dal febbraio scorso, i contatti sono avvenuti tramite i canali diplomatici, non più direttamente. Vorrei ricordare il gesto compiuto all'indomani dello scoppio delle ostilità, quando, seppur già dolorante al ginocchio, volle recarsi all'ambasciata della Federazione Russa presso la Santa Sede, supplicare il presidente Putin di interrompere l'aggressione all'Ucraina».

Negli Stati Uniti e in altri Paesi si accusa spesso il papa di essere °russo. Talvolta con toni aspri. Che ne pensa?

«Confesso che mi spaventa po' questa semplificazione. Il papa è filorusso perché invoca la pace? Perché condanna la corsa al riarmo e l'impiego di ingenti somme per l'acquisto di nuove e sempre più potenti armi, invece di utilizzare le risorse disponibili per la lotta alla fame e alla sete nel mondo, la sanità, il welfare, l'educazione, la transizione ecologica?

Perché invita a riflettere su ciò che ha portato a questi inquietanti e pericolosi sviluppi, ricordando che una convivenza fondata sulle al-leanze militari e sugli interessi economici è una convivenza dai piedi di argilla? Perché chiede di applicare Io "schema di pace- invece di perpetuare lo -schema di guerra"? 

Non si può semplificare a tal punto la realtà!».

[...] È giusto armare la resistenza ucraina?

«Le decisioni concrete spettano ai governanti, come riconosce il Catechismo della Chiesa cattolica. Non va dimenticato, tuttavia, che il disarmo è l'unica risposta adeguata e risolutiva a tali problematiche, come sostiene il magistero della Chiesa. [...] Si tratta di un disarmo generale e sottoposto a controlli efficaci. In questo senso, non mi pare corretto chiedere all'aggredito di rinunciare alle armi e non chiederlo, prima ancora, a chi lo sta attaccando». [...] 

La “Maria dei nodi” di Bergoglio e la “Nonna ragno”: denuncia agli esorcisti. Andrea Cionci su Libero Quotidiano il 10 agosto 2022

Andrea Cionci. Storico dell'arte, giornalista e scrittore, si occupa di storia, archeologia e religione. Cultore di opera lirica, ideatore del metodo “Mimerito” sperimentato dal Miur e promotore del progetto di risonanza internazionale “Plinio”, è stato reporter dall'Afghanistan e dall'Himalaya. Ha appena pubblicato il romanzo "Eugénie" (Bibliotheka). Ricercatore del bello, del sano e del vero – per quanto scomodi - vive una relazione complicata con l'Italia che ama alla follia sebbene, non di rado, gli spezzi il cuore

Considerata la situazione surreale in cui un presunto papa compie riti negromantici in mondovisione, evento sul quale praticamente tutti fanno finta di niente, riteniamo doveroso, a tutela dei fedeli, informare pubblicamente gli esorcisti cattolici indirizzando una lettera aperta a due stimati e autorevoli rappresentanti della categoria, come il Padre Francesco Bamonte, Presidente dell’Associazione Internazionale Esorcisti e il domenicano Padre François Dermine.

          Reverendissimi Padre Bamonte e Padre Dermine,

insieme a 310 miei lettori qui firmatari, mi permetto di indirizzare questa lettera a Voi e a tutti i Vostri confratelli esorcisti, per metterVi al corrente di fatti oggettivi di inaudita gravità. 

Durante il suo recentissimo viaggio in Canada, il sedicente “papa Francesco” ha compiuto atti del tutto configurabili come partecipazioni attive e passive a pratiche pagane e negromantiche, da sempre inaccettabili e severamente proibite dalla Chiesa cattolica. (Per i lettori, vedansi, in fondo gli articoli 2112, 2116, 2117,2138 del Catechismo)*.

Nel quarto giorno del suo viaggio, Bergoglio ha partecipato in Quebec a una cerimonia di benvenuto, officiata da uno sciamano indigeno, durante la quale non si sono consumati bevande e pasticcini, ma si è svolto il rituale descritto QUI e che potrete vedere Voi stessi  dal minuto 12.00. Lo sciamano ha presentato una piuma d’uccello e un’erba dolce, poi ha chiesto a Francesco e ai prelati di partecipare a un «cerchio in spirito», da cui poter «visualizzare un fuoco sacro che unisce tutto ciò che esiste nella creazione». «Noi onoreremo la terra, il vento, l’acqua e il fuoco», ha dichiarato lo stregone con classiche formule esoteriche, fischiando poi in un osso di tacchino selvatico.

Mentre sventolava l’erba fumante con la piuma di tacchino, lo sciamano ha invocato: “Chiedo alla nonna occidentale di darci accesso al cerchio sacro degli spiriti in modo che possano essere con noi, così possiamo essere uniti e più forti insieme". A tutti i presenti è stato chiesto di mettere le mani sul cuore. Il video mostra che Bergoglio, così come i vescovi e i cardinali in prima fila, hanno eseguito puntualmente l’ordine cerimoniale pagano impartito loro, mostrando intensa partecipazione emotiva e spirituale.

Ma chi sarà questa “nonna occidentale”? La Vergine Maria? Non proprio. Dopo una paziente ricerca, apprendiamo che si tratta della cosiddetta NONNA RAGNO della mitologia dei nativi, (Spider Grandmother o Kokyangwuti ) e viene identificata - tanto per cambiare - con la Dea della Terra.

Nella Mitologia Navajo, si legge, la Nonna Ragno getta la sua tela per catturare e mangiare i bambini e trascorre il tempo su una roccia sbiancata dalle ossa delle sue vittime calcinate dal sole. Insomma, siamo appena un filo lontani dall’agiografia mariana.

La Nonna Ragno è stata associata dall’antropologo Karl Taube alla Donna Ragno di Teotihuacan, o Grande Dea, una dea precolombiana degli inferi, dell'oscurità, della TERRA, dell'acqua, della guerra e forse anche della creazione stessa. E’ “occidentale” perché come spiega Erich Neumann in “La Grande Madre” (1956), “il sole tramonta ad ovest e si immerge nell'utero del mondo sotterraneo che lo divora. Perciò l'occidente è il luogo della morte; l'ostile, terribile «Vecchia Occidentale» è l'immagine stregonesca della Madre Terribile”.

Torna insomma, in modo estenuante, e in salsa inuit, la solita Pachamama incaica, dea della terra alla quale si facevano sacrifici umani e ancor oggi animali.  

Questa Madre terra pagana, tuttavia, viene propinata SOTTO MENTITE SPOGLIE anche nella pseudo “Maria che scioglie i nodi”, un culto esoterico derivante da un oscuro ex-voto conservato in una chiesa gesuitica di Augusta, in Germania, propagandato in tutto il mondo proprio dal Bergoglio, a partire dagli anni ’80. Di questa Sciogli-nodi, una recente, terrificante statua dello scultore Tim Schmalz, con la Terra al centro (guarda caso), è stata “benedetta” da Francesco QUI   proprio in Canada.

Le più recenti iconografie della dea donate a “papa Francesco” o da lui commissionate, mostrano inequivocabilmente che NON si tratta della Madonna cattolica, sia per la presenza di due inconcepibili angeli maschio e femmina (unione degli opposti esoterica), sia per la “timidezza” con cui la figura femminile, rappresentata lascivamente con le spalle scoperte oppure androgina e corrucciata, accarezza il serpente o lo tiene fra i piedi senza schiacciargli la testa.

I risultati dell’inchiesta dello scrivente già associavano questo ex voto commissionato nel ‘700 da Hyeronimus Langenmantel, appartenente all’accademia proto-massonica dei Carpofori, (Fruchtbringende Gesellschaft)  alla mitologia Inca, al culto della Madre Terra e alla magia dei nodi QUI  .

La conferma definitiva emerge da un libro appena scoperto, del 2019, scritto dall’esoterista Michela Chiarelli che, nel suo "Pillole magiche, tecniche e rituali di magia", cita espressamente la Maria che scioglie i nodi cara a Bergoglio, con tutte le ritualità accostabili alla novena (incantesimo dei nove nodi) e all’uso rituale di nastri e cordicelle, già severamente proibito dalla Chiesa in tutta l’Europa centrale, per secoli. 

Spiega l’autrice che ”Maria negli ultimi millenni ha sostenuto il carico della grande madre ancestrale”, essa governa “forze immense, fuoco purificante, l’aria che ripulisce, l’acqua che disseta, la terra che sostiene”. Come leggete, si tratta di una totale distorsione pagano-esoterica della Beata Vergine Maria che, in ottica di fede, non La riconosce e come vera donna, Immacolata, madre di Cristo, ma come un archetipo pagano qualunque.   Una distorsione che trova piena consonanza nella paccottiglia teologica new age, neoariano-modernista alla Enzo Bianchi e nel sincretismo esoterico-rosacrociano di Bergoglio. (Vedasi studio sul simbolo univocamente rosa+croce che porta al collo).

Segnaliamo a margine, che a Napoli, nella Chiesa dell’Immacolatella, qualche mese fa si è svolto proprio un rituale con la bruciatura di nastri e fazzoletti annodati QUI, ovviamente del tutto estraneo alla tradizione cattolica e chiaramente di ispirazione magica.

Ci troviamo così, inequivocabilmente, di fronte ad atti pubblici di SUPERSTIZIONE, IDOLATRIA, PAGANESIMO E NEGROMANZIA, con la partecipazione di un presunto papa e di alti prelati a riti richiedenti l’intervento di spiriti che - per i cattolici - non possono essere che DEMONI, dato che all’evocazione volontaria, finanche di semplici defunti, Voi stessi confermate come rispondano sempre entità maligne.

Abbiamo, inoltre, un idolo pagano-esoterico - quindi, per i credenti, diabolico – gabellato truffaldinamente a un miliardo e 285 mln di credenti come cattolico e mariano.

Come Voi insegnate, magia e fede sono opposte e speculari, già dal Pentateuco. La fede riconosce la Signoria di Dio, mentre la magia, che viola il Primo Comandamento, vuole imporre la signoria dell'uomo, più o meno consapevole di farlo attraverso il potere dei demoni. E la Chiesa proibisce, oltre all’idolatria, anche tutto ciò che tenta di relazionarsi col demoniaco e con il mondo dei defunti.

Chiediamo pertanto un PRONUNCIAMENTO PUBBLICO dell’Associazione Internazionale Esorcisti, e/o di sacerdoti membri, per informare e mettere in guardia i credenti da queste pratiche le quali, in ottica di fede ed esercitate a quei livelli, sono patenti, inconcepibili e atroci blasfemie. Inoltre, chiediamo un’approfondita indagine sulla Maria che scioglie i nodi, le cui origini, oltre alle più recenti ed evidenti perversioni simbolico-iconografiche, già non avevano alcun fondamento evangelico o devozionale ortodosso, ma affondavano le radici in un universo alchemico-esoterico tipico di certo gesuitismo deviato settecentesco.

Ora, ci rendiamo conto che questa lettera pubblica sia scioccante e possa comportare, da parte Vostra, l’assunzione di una posizione scomoda, ma vi sono alcuni aspetti fondamentali da valutare.

1) In tempi come questi, di guerre, pandemie e catastrofi varie, il fatto che un vescovo usurpatore del trono petrino (fortunatamente non il papa) si metta a evocare dei demoni in mondovisione spacciando ai fedeli una falsa immagine della Santa Vergine potrebbe non essere molto benaugurale per le sorti umane.

2) Nella stessa ottica di fede, la salvezza di un miliardo e 285 milioni di anime che vi sono affidate è esposta a gravi rischi, con la propaganda di simili culti provenienti dal capo apparente della Chiesa che, come si è visto, prendono piede anche tra i normali fedeli. 

3) Probabilmente verrete sottoposti ad alcune sanzioni canoniche, ma la buona notizia è che, oltre a brillare come medaglie d’oro sulla Vostra talare, queste non avranno alcuna validità, in quanto comminate in uno stato di eccezione giuridica, cioè la sede romana totalmente impedita. Recita il canone 335: “Mentre la Sede romana è vacante o totalmente impedita, non si modifichi nulla nel governo della Chiesa universale…”. 

Quanto alla realtà oggettiva della sede impedita, vero nodo della questione (che non potrà essere sciolto da alcuna pseudo-Maria), vi cito QUI il parere dei vescovi Lenga, Gracida e Negri circa la costrizione subita da papa Benedetto e l’invalidità della sua Declaratio come rinuncia al papato e il recentissimo “coming out” di sacerdoti di varia nazionalità che si sono professati fedeli al vero papa Benedetto XVI. La sede impedita è documentata scrupolosamente attraverso le stesse parole del Santo Padre Benedetto XVI nel volume “Codice Ratzinger” (Byoblu ed., maggio 2022) QUI, oggi tra i primi bestseller italiani, che sarà nostra premura inviarVi.  

QUI , invece, un breve sunto dell’escamotage canonico con cui il vero papa ha salvato la Chiesa cattolica.

“Infera non praevalebunt” è la promessa di Cristo, e aveva ragione: le Pachamame, le Nonne ragno, o le Marie dei nodi non possono prevalere in quanto propagandate da un ecclesiastico che, canonicamente, non è il papa e il cui pseudo-pontificato dovrà essere annullato (sempre che il popolo cattolico capisca per tempo la questione e si attivi).

Tuttavia, nel frattempo è necessario che i pastori facciano il loro dovere, anche a costo di subire temporaneamente invalide  sospensioni a divinis, scomuniche o perfino riduzioni allo stato laicale.   

Pregando Voi e gli altri padri esorcisti di prendere assolutamente una posizione pubblica, porgiamo deferenti saluti, nell’attesa di una risposta- 

Andrea Cionci e Jan Kosiar, Roberta Ciofini, Maria Paola Lacchè, Victoria Letitia Campan, Adele Santillo, Maurizio De Paolis,  Veronica Triulzi, Anna Del Curto, Roberto Bonaldo, Elena Bailo, Ludmila Panta, Giuseppe Salvo, Manuela Frosali, Michela Venturini,  Divo Paolo Inserillo, Alessandra Antonelli,  Daniele Belluzzi, Angela Milano, Dario Zanette, Barbara Sacchetti,  Raimondo Templare, Scisciani, Chiara d’Ambola, Stéphane Téot, Graziella Lion,  Andrea Fiorini, Eleonora Panzarasa, Davide Morbiducci, Stefano Forgione, Umberto Carina, Giovanni Proni, Lisetta Bortolin,  Fabrizio Girardelli, Mario Giorgetti Fumel, Giorgio Massoni, Veronica Vannini, Francesco Minella, Roberto Mosca, Elisa Florio, Sergio Montecchio, Barbara Giampaolo, Anna Andreani, Ileana Farella, Alessandra Mazzotta,  Mariella Bottone, Angelo Mandaglio, Antonella Ongaro, Francesca Cascianelli, Paola Fede, Maurizio Boi, Massimo Crotti, Ilenia Marzulli, Fabio Lacalamita, Francesca Manfredi, Alessandro Brambilla, Valentina Cesaretto, Cristian Fosci, Antonio Puglia, Paola Meneghinotto, Maria Cristina Pappalardo, Maria Lidia Muñoz, Stefania Domizi, Simona Secci, Teresa Sanna, Nicola Fizzarotti, Alviano Pezzin, Alessandra Onorati, Simona Ambrosoni, Paola Giuliani, Luisa Guariglia, M. Luisa Battaglia, Michelino Cibelli, Attilio Mauceri, Costanza Settesoldi, Massimiliano Baroni, Sonia Giagnoni, Marco Nardini, Cristina e Ignazio Fusaro, Claudio Prati, Antonio Pirozzi, Mariantonia Dispoto, Marco Giorgetti, Ferdinando Corvi, Alessandra Giuntini, Maria Galletti, Andrea Ottaviani, Anna Birardi, Gemma Malfitano, Diego Nalini,  Tomaso Porro, Raffaella Rinaldi, Marino Passera, Daniela Dolfi, Dario Del Prete, Elena Mazzola, Massimo Muri,  Alessandra de Felice, Roberta Badalassi, Cintia Juliana Naves, Paolo Danesi, Francesco Tempia Maccia, Cristina Andreoli, Bruna Colaneri, Grazia Albanese, Donatella Lovatin, Paolo Giardini, Rosanna Farella, Stellina Martinelli, Margherita Esposito, Assunta Sorrentino, Paola Franco, Shani Jonida, Concetta Pronesti, Mariarosa Cotella, Gian Luigi Bellorio, Alessandro Frontero, Francesco de Marco, Alessandra Grandesso, Luca Quarta, Giuseppa Guglielmino, Angela Tucci, Sara Mura, Gabriela Danieli, Mario Caroni, Marita Trullenque, Maria Principe, Francesco Gabriele Cantone, Angelo Magipinto, Luca e Renata Brunoni, Victoria Lopis (Spagna), Roberta Trovatelli,  Stefania Giannoni, Angela Lupi, Daniela Vaccari, Dario Collauto, Anna Maria Fantuzzi, Massimo Cherubini, Maria Rosa Gherardi, Livio Magnarapa, Ranieri Cossettini, Alessandro Cedrone, Mariantonietta Vittoria Cornacchioli, Cristiano Suardi, Daniela Vescia, Soledad Marin, Luca Colombo, Riccarda Landi, Lucia Frosali, Caroline Hislop, Giuseppe Poletti, Ignazio Podda, Stefano Pepe, Riccardo Maspoli, Angela Boldini, Rossella Fontana, Emanuela Previati, Girolama Milazzo, Alessandra Marigo, Marco Scomparin, Elena Braga e Juri Dorigo, Fabio Proietti, Alessia Olivieri, Francesco Matteucci, Tiziana Greggio, Sabrina Negretti, Patrizia Stella, Emanuele Vanni, Elisabetta Furlan, Stefano Lauria, Roberto Levati, Elisa Cola e Rossana Mattei, Alice Lazzari, Mario Zagari,  Davide Bollini,  Rango Regina, Alex e Fernanda Ossuni, Angela Chiari, Tiziana Basili, Beatriz Garcia, Claudio Borsani, Celestina Commisso, Zeina Charbel, Maria Rosa Miozza, Andrea Busatto, Rosita Gangemi, Lucia Angelotti, Matteo Bracci, Filippo Casalini, Gaspare Capanna, Francesco Casadei, Cristian Benaglio, Rosalia De Biasi, Elena Galli, Fabio Solazzo, Mariella Mambrini, Luisa Candelo, Gianfranco Colella, Fulvio Torelli, Marco Bonaldo, Stefania Riccobono, Patrizio Moi, Stefania Zitelli, Miranda Scarpetti, Michela Diodovich, Michela Canale, Nicola Barra, Aldo Salzani, Rita Piotti, Marisa Mattei, Federico Gualano, Feliciana Repossi, Fernanda Zuncheddu, Antonella Pisu, Marco Pedemonte, Barbara Politici, Daniela Innocenti, Gian Battista Allevi, Simona Spotorno, Gabriella Rodegher,  Barbara Mammucari, Vannini Enrico, Manlio Ermcora, Massimo Alampi, Francesca aGalli, Paola Martignago, Carlo Masini, Sara Dezani, Cristiana Carosi, Diana Varga, Giuseppe Parola, Irene Lisci, Luca Grasso, Maria Antonietta Bizzoco, Antonella Chiari, Maria Teresa Alagna, Lucia Caselli, Patrizia Casarini, Irene Ricasoli, Giovanna Faraci, Luigi Mauri, Paolo Tomesani, Valeria Antonelli, M. Ángel Sánchez, Claudia Zucchi, Marta Arzenton, Flora Di Gioia, Giusy Campisi, Mirella Rossi, Marco Fierli, Daniele Malavolta, Emilio Agostino Palopoli, Franca Procaccini, Giuseppe Merola, Mauro Cattaneo, Francesco Dovetta, Germana Sgroi, Brigida Pandozzi, Caterina Lai, Maria Francesca Mastio, Anita Plotegher,  Francesca Andreassi, Cinzia Barlaam, Benedetta Marangoni, Cecilia Marangoni, Francesca Marangoni, Stefano Marangoni, Guerino Fucili, Lucia Costadone, Titty Cattaneo, Doriana Scarsella, Francesco Eposito, Roberta Lollobrigida, Anna Capogrossi, Angela Cuper, Cristina Grioni, Liliana Tierno, Manuela Folletti, Marisa Damato, Giulio Grilli, Marinella Pattavina, Michele Talenti, Deborh Arlunno, Marcella Frosali, Giovanni Degiorgis, Michela Capobianco, Marco Costamagna, Davide Coppola, Alberto Ronzani, Adriana Manigrasso, Caterina Greco, Myriam Marrucci, Anna Bianchi, Marco Navarini, Anna Maria Schena, Edoardo Maselli, Sergio Cimino, Roberto Pardo Arranz (Spagna), Sandra Bandini, Alessandro Case, Loredana Territo, Fulvia Gambaro, Francesco Montagnani, Michele Maioli, Francesca Calderoni.

*Catechismo della Chiesa Cattolica (1992)

2112 Il primo comandamento condanna il politeismo. Esige dall'uomo di non credere in altri dèi che nell'unico Dio, di non venerare altre divinità che l'Unico. La Scrittura costantemente richiama a questo rifiuto degli idoli che sono « argento e oro, opera delle mani dell'uomo », i quali « hanno bocca e non parlano, hanno occhi e non vedono... ». Questi idoli vani rendono l'uomo vano: « Sia come loro chi li fabbrica e chiunque in essi confida » (Sal 115,4-5.8).62 Dio, al contrario, è il « Dio vivente » (Gs 3,10),63 che fa vivere e interviene nella storia.

2116 Tutte le forme di divinazione sono da respingere: ricorso a Satana o ai demoni, evocazione dei morti o altre pratiche che a torto si ritiene che « svelino » l'avvenire.67 La consultazione degli oroscopi, l'astrologia, la chiromanzia, l'interpretazione dei presagi e delle sorti, i fenomeni di veggenza, il ricorso ai medium manifestano una volontà di dominio sul tempo, sulla storia ed infine sugli uomini ed insieme un desiderio di rendersi propizie le potenze nascoste. Sono in contraddizione con l'onore e il rispetto, congiunto a timore amante, che dobbiamo a Dio solo.

2117 Tutte le pratiche di magia e di stregoneria con le quali si pretende di sottomettere le potenze occulte per porle al proprio servizio ed ottenere un potere soprannaturale sul prossimo – fosse anche per procurargli la salute – sono gravemente contrarie alla virtù della religione. Tali pratiche sono ancora più da condannare quando si accompagnano ad una intenzione di nuocere ad altri o quando in esse si ricorre all'intervento dei demoni. Anche portare amuleti è biasimevole. Lo spiritismo spesso implica pratiche divinatorie o magiche. Pure da esso la Chiesa mette in guardia i fedeli. Il ricorso a pratiche mediche dette tradizionali non legittima né l'invocazione di potenze cattive, né lo sfruttamento della credulità altrui.

2138 La superstizione è una deviazione del culto che rendiamo al vero Dio. Ha la sua massima espressione nell'idolatria, come nelle varie forme di divinazione e di magia.

Papa Francesco non è Papa? La clamorosa teoria di "Codice Ratzinger". Gianluca Veneziani su Libero Quotidiano il 31 luglio 2022

Il testo è costruito come una perfetta architettura in cui ogni elemento regge e spiega l'altro, in un'impeccabile consequenzialità logica. Certo, è lecito non essere convinti dalla tesi del libro e non credere allo scenario che il piano sconvolgente rivelato in quest' inchiesta aprirebbe. Ma la cura in forma e sostanza, unita al suo messaggio dirompente, aiuta a spiegare perché Codice Ratzinger (Byoblu, pp. 342, euro 22) di Andrea Cionci sia diventato un successo editoriale, considerando che è pubblicato da una piccola casa editrice: oltre 5mila copie vendute in soli due mesi, per diversi giorni secondo nelle classifiche dei bestseller Mondadori e Rizzoli, tuttora primo tra i libri di inchiesta più venduti.

E un interesse crescente a livello internazionale che lo porterà a essere tradotto in quattro lingue: inglese, francese, tedesco e spagnolo. Nonostante le diverse forme di ostruzionismo che in molte librerie portano gli acquirenti a sentirsi rispondere «Il testo non è disponibile», sebbene sia sempre ordinabile.

Ma è da capire. A essere scomodo è il contenuto stesso del libro, la cui tesi di fondo è riassumibile così: Ratzinger è tuttora l'unico Papa, Bergoglio è invece il pontefice illegittimo, o meglio l'antipapa. E questo concetto non si basa su fumoso complottismo, ma sull'interpretazione (anfibologica, cioè spesso con due significati) di documenti e dichiarazioni di Benedetto XVI, a cominciare dalla Declaratio del 11 febbraio 2013, l'atto con cui Ratzinger avrebbe formalizzato le sue dimissioni. Avrebbe, perché, secondo Cionci - che si avvale della consulenza di autorevoli teologi e giuristi - in quella comunicazione Benedetto XVI non ha mai rinunciato al suo ruolo e titolo, ma solo all'esercizio delle sue funzioni.

MUNUS E MINISTERIUM

Tutto verte intorno alla differenza tra i termini munus e ministerium, presenti nella Decalaratio e tradotti entrambi come «ministero». A leggere bene il testo originale, si scopre che Ratzinger dichiara «di rinunciare al ministerium del Vescovo di Roma», cioè a "fare il Papa," ma non abdica mai al suo essere Papa (il munus) limitandosi a dire che «le mie forze non sono più adatte per esercitare in modo adeguato il munus petrino».

Dunque Benedetto XVI resta Papa, pur rinunciando alle sue funzioni. Né diventa Papa emerito, inteso come "papa in pensione" (l'istituto è giuridicamente inesistente), ma emerito nel senso di insigne, "avente diritto" a essere papa.

Ciò, avverte Cionci, viene due chiarito in altri due passaggi della Declaratio se tradotti correttamente. Ratzinger usa il verbo vacet non per parlare di una «sede vacante» che indica la sede pontificia pronta ad accogliere un nuovo pontefice dopo il Conclave, ma di una sede «libera, vuota», tale per cui il suo legittimo titolare non è presente, ma chiunque la occupa ne diventa un usurpatore. Si tratta del concetto di «sede impedita» da fattori interni ed esterni (i nemici di Ratzinger in Vaticano che si ammutinavano contro il suo pontificato, e i poteri a lui ostili fuori dalla Chiesa) che invalida qualsiasi elezione di presunti successori del Papa.

Questo concetto verrebbe esplicitato nel passaggio finale della Declaratio ove Ratzinger parla della convocazione di «un Conclave per l'elezione del nuovo Sommo Pontefice da parte di coloro ai quali compete». Qui Benedetto XVI non userebbe l'espressione generica «cardinali», perché si riferirebbe solo a quei porporati legittimi, nominati prima del 2013, da Ratzinger o Wojtyla, escludendo quelli illegittimi incaricati dal nuovo "presunto" pontefice (Francesco). O, ci spiega Cionci, potrebbe alludere alla possibilità che «a nominare il nuovo Papa sia la comunità dei credenti, la Chiesa catacombale, come accadeva alle origini del cristianesimo». Con quell'atto dunque Ratzinger garantirebbe una vera Chiesa cattolica, ma ormai "fuoriuscita dalla Sinagoga". A ciò si aggiunge il fatto che la comunicazione di Benedetto XVI aveva un effetto differito (lui lasciò il soglio pontificio 17 giorni più tardi) e non venne confermata da una rinuncia formale scritta il giorno del suo addio, il 28 febbraio: entrambi gli aspetti contribuirebbero a invalidare la sua presunta rinuncia al pontificato.

VERITÀ VELATE

Tesi fanta-religiosa? Lecito pensarlo. Ma Cionci rivendica la bontà dell'idea, attingendo alle comunicazioni di Benedetto XVI, scritte e pronunciate in un linguaggio che lui definisce «Codice Ratzinger», fatto di non detti e verità appena velate, ma mai di menzogne. Benedetto XVI avrebbe architettato un geniale "scherzo", facendola in barba a tanti che lo avversavano e che poi lo hanno frainteso. Da qui l'uso di alcuni trucchi retorici, più o meno espliciti: ad esempio, il dire che «il Papa è uno solo», senza mai specificare quale, o lo scrivere «nessun papa si è dimesso negli ultimi mille anni e nel primo millennio è stata un'eccezione»: riferimento a quei due papi del I millennio che furono cacciati proprio da antipapi.

Resta il nostro dubbio sull'interpretazione di alcuni messaggi (vedi quello in cui si parla esplicitamente di «fine del pontificato»), sul fatto che nessun cardinale si sia accorto di questo piano papale e sulla sua efficacia. Ponendo il caso che sia vero, quante possibilità ci sono che, alla morte di Benedetto XVI, cardinali a lui fedeli ingrossino una Chiesa "rifondata" che proclami il suo successore? Temiamo scarse. E allora che senso avrebbe avuto il Codice Ratzinger?

Ma è giusto pure chiedersi perché nessuno abbia mai smentito l'autore, neppure Benedetto XVI quando Cionci gli ha scritto una lettera...

Filippo Di Giacomo per “il Venerdì di Repubblica” il 2 agosto 2022.

Durante l'occupazione nazista di Roma, dall'8 settembre 1943 al 4 giugno 1944, i vertici vaticani erano certi che Hitler stesse per impedire il ministero di Pio XII. 

Di fronte a questa evenienza, ha rivelato lo storico gesuita Giacomo Martina, papa Pacelli aveva predisposto una lettera di dimissioni e una fuga nel monastero benedettino svizzero di Einsielden, dove ancora esiste un "appartamento papale" preparato per un'analoga circostanza. Paolo VI, che ha sofferto di una grave forma di artrite reumatoide, aveva anche lui pensato a un ritiro dal ministero e aveva fatto predisporre una residenza all'interno delle mura dell'abbazia di Montecassino.

A metà anni Ottanta, è stato l'arcivescovo Marcinkus a rivelare che Giovanni Paolo II aveva fatto sistemare il suo eventuale "buen retiro" nella polacca abbazia-fortezza di Czestochowa: temeva di rimanere inabile per la severa infezione da Citomegalovirus che lo aveva colpito subito dopo l'attentato del 13 maggio del 1981. Il 13 luglio anche papa Francesco ha alluso a dove andrebbe in caso di ritiro o di malattia. 

«Né in Vaticano, né in Argentina» ha detto. Di rimando la giornalista che ancora una volta lo intervistava per conto della rete TelevisaUnivision, ha suggerito: «Potrebbe andare a San Giovanni in Laterano?». Il Pontefice ha annuito: «Sì, potrebbe essere così». 

Tenuto conto della qualità degli scritti giuridici prodotti durante questo pontificato, molti hanno temuto: San Giovanni in Laterano è la cattedrale del vescovo di Roma, titolo che Bergoglio sembra preferire ad ogni cosa. Che un "vescovo emerito", anche se dell'Urbe, possa occupare la cattedra del suo successore è un insulto a tutta l'ecclesiologia cattolica, da Cipriano di Cartagine al Vaticano II. Per dirla con Mao, «grande è la confusione sotto il cielo». Non per questo la situazione è eccellente.

Da corriere.it il 30 luglio 2022.

«Dimissioni? La porta è aperta, è una opzione normale, ma fino a oggi non ho bussato a questa porta, non ho sentito di pensare a questa possibilità». Papa Francesco, al rientro dal viaggio in Canada, risponde alle domande dei giornalisti. 

«Questo viaggio è stato un po’ il test - ha aggiunto, riferendosi ai problemi al ginocchio che lo hanno costretto sempre più spesso alla carrozzina e per cui un intervento chirurgico non sarebbe la soluzione ideale - L’intervento chirurgico al ginocchio non va nel mio caso. I tecnici dicono di sì, ma c'è tutto il problema dell'anestesia. Io ho subito dieci mesi fa più di sei ore di anestesia e ancora ci sono le tracce. Non si scherza con l’anestesia».

Da qui la consapevolezza di non poter più intraprendere lunghi viaggi con frequenza: «Non credo di poter andare con lo stesso ritmo dei viaggi di prima. Credo che alla mia età e con questa limitazione devo risparmiare un po' per poter servire la Chiesa. Poi, al contrario, posso pensare la possibilità di farmi da parte, questa, con tutta onestà, non è una catastrofe, si può cambiare Papa. ma sarà il Signore a dirlo».

Gian Guido Vecchi per corriere.it il 30 luglio 2022.

Avanza verso il fondo dell’aereo appoggiato al bastone, una piccola smorfia, si mette seduto. Il volo Az 4002 da Iqaluit verso Roma è decollato da mezz’ora e sta passando sopra la Groenlandia quando Francesco raggiunge i giornalisti che lo hanno seguito nei sei giorni di viaggio in Canada. Il ginocchio destro fa male, il viaggio è stato molto faticoso, ma il Papa non si sottrae alle domande e risponde vivace. Dice che sì, quello ai danni delle popolazioni native è stato un «genocidio». 

Parla dell’«alta qualità internazionale» di Mario Draghi, nota che l’Italia ha avuto «venti governi» dall’inizio del secolo e invita le forze politiche alla «responsabilità», scandisce due volte. Torna a rispondere sulla possibilità di dimissioni, «la porta è aperta, non è una catastrofe, si può cambiare Papa, ma farò quello che il Signore dice e finora non ho sentito di farlo». E lascia aperta, pur senza sbilanciarsi, la possibilità che in futuro la Chiesa possa riconsiderare la sua dottrina sulla contraccezione, «la tradizione è la radice per andare avanti nella Chiesa, la fede viva dei morti, mentre l’”indietrismo” è peccato, è la fede morta dei viventi».

Santità, l’Italia sta attraversando un momento difficile: crisi economica, pandemia, la guerra, e ora siamo anche senza governo. Lei è il Primate d’Italia e nel telegramma scritto al Presidente Mattarella per il suo compleanno ha scritto che il momento è segnato da non poche difficoltà. Come ha vissuto la caduta di Mario Draghi?

«Prima di tutto, non voglio immischiarmi nella politica interna italiana. Secondo, nessuno può dire che il presidente Draghi non fosse un uomo di alta qualità internazionale, è stati presidente della Bce, una buona carriera…Io ho fatto una domanda soltanto a uno dei miei collaboratori: quanti governi ha avuto l’Italia in questo secolo? Mi ha detto: venti. Questa è la mia risposta». 

Che appello fa alle forze politiche?

«Responsabilità. Responsabilità». 

Supponiamo che questo viaggio in Canada sia stato anche un test, una prova, per la sua salute, per quelle che lei stamattina ha chiamato “limitazioni fisiche”. Volevamo sapere cosa ci può dire dei suoi futuri viaggi, se vuole continuare a viaggiare così, se ci saranno dei viaggi che non può fare. Oppure se pensa che l’operazione al ginocchio potrebbe risolvere la situazione?

«Non so, non credo che possa andare con lo stesso ritmo dei viaggi di prima. Credo che alla mia età e con questa limitazione debba risparmiare un po’ le forze per poter servire la Chiesa. Poi, al contrario, posso pensare la possibilità di farmi da parte, con tutta onestà non è una catastrofe, si può cambiare Papa, non c’è problema. Ma credo che debba limitarmi un po’ con questi sforzi. L’intervento chirurgico al ginocchio non va, nel mio caso. I tecnici dicono di sì, ma c’è tutto il problema dell’anestesia, io ho subito dieci mesi fa più di sei ore di anestesia e ancora ci sono le tracce. Non si scherza con l’anestesia. È per questo che si pensa che non sia del tutto conveniente. Io cercherò di continuare a fare dei viaggi ed essere vicino alla gente perché è un modo di servire, la vicinanza».

E il Kazakistan, l’ Ucraina?

«Io ho detto che in Ucraina vorrei andarci. Vediamo adesso cosa trovo quando arrivo a casa. In Kazakistan mi piacerebbe andare, è un viaggio tranquillo, un congresso di religioni. Per il momento tutto rimane. Devo anche andare in Sud Sudan prima che in Congo, che sarà l’anno prossimo perché c’è la stagione delle piogge, vediamo... Io ho tutta la buona volontà, ma vediamo cosa dice la gamba».

Il 4 dicembre, dopo aver visto i gesuiti ad Atene, lei ha detto che quando uno avvia un processo deve lasciare che si sviluppi, che un’opera cresca e poi deve ritirarsi: ogni gesuita deve fare così, nessuna opera gli appartiene perché è del Signore. Potrebbe essere valido un giorno anche per un Papa gesuita?

«Sì, Sì. È una vocazione: che il Signore dica. Il gesuita cerca di fare la volontà del Signore, anche il Papa gesuita deve fare lo stesso: se il Signore ti dice: vai avanti, vai avanti; se ti dice vai all’angolo, vai all’angolo. Quello che il Signore dice. Può dire: dimettiti. C’è una cosa di Sant’Ignazio importante: Ignazio dispensava dalla preghiera, se uno era indisposto, ma mai dispensava dall’esame di coscienza, che non è i peccati o i non peccati ma è cosa mi è successo oggi. Io devo fare un discernimento per vedere cosa mi chiede il Signore. È lui che comanda. Questo è il modo religioso di vivere per un gesuita: stare nel discernimento spirituale per prendere decisioni. Sant’Ignazio in questo era molto fine, gli Esercizi Spirituali sono una scuola di discernimento. Il gesuita deve essere per vocazione un uomo del discernimento. E per questo deve essere pronto a qualsiasi cosa il Signore gli chieda».

Si sente più Papa o più gesuita?

«Io mi sento di servire il Signore con l’attitudine del gesuita. Non esiste una spiritualità papale, ogni Papa porta avanti la sua spiritualità, pensi a Giovanni Paolo II con quella bella spiritualità mariana…Il papato non è una spiritualità, è un lavoro, una funzione, un servizio, ma ognuno lo porta avanti con la propria spiritualità, è un conflitto che non esiste». 

A fine agosto ci sarà un concistoro. Ha mai pensato a quali caratteristiche dovrebbe avere il suo successore?

«Questo è un lavoro dello Spirito Santo. Io non oserei mai pensarlo. Lo Spirito questo lo sa fare meglio di me e di tutti noi, perché ispira le decisioni del Papa, sempre ispira, perché è vivo nella Chiesa, non si può concepire la Chiesa senza lo Spirito Santo. Sulle mie dimissioni, vorrei ringraziare per un bell’articolo che ha scritto uno di voi con tutti i segnali che potevano condurre a una dimissione e tutti quelli che stanno apparendo. Saper leggere i segnali o almeno fare uno sforzo di interpretazione che può essere quella o quell’altra, questo è un bel lavoro per cui vi ringrazio tanto». 

Ma ci sono stati difficili che le hanno fatto pensare, in questo periodo: io mollo? Le è mai venuto in mente?

«La porta è aperta, è una opzione normale, ma fino ad oggi non ho bussato a questa porta, non ho detto andrà in questa stanza, non ho sentito di pensare a questa possibilità. Ma questo non vuol dire che dopodomani non cominci a pensare, no? Ma in questo momento sinceramente no. Anche questo viaggio è stato un po’ il test… è vero che non si può fare viaggi in questo stato, si deve forse cambiare un po’ lo stile, diminuire, pagare i debiti dei viaggi che ancora si devono fare, risistemare… Ma sarà il Signore a dirlo. La porta è aperta, questo è vero». 

Molti fedeli cattolici, ma anche molti teologi, credono sia necessario uno sviluppo nella dottrina della Chiesa sugli anticoncezionali. Sembra che anche Giovanni Paolo I pensasse che un divieto totale necessitasse di una riconsiderazione. Lei è aperto ad una rivalutazione?

«Il dogma, la morale, è sempre in una strada di sviluppo, ma in uno sviluppo nello stesso senso. Per lo sviluppo teologico di una questione morale o dogmatica, c’è una regola che è chiarissima e illumina. È quello che ha fatto Vincenzo di Lerins nel secolo X più o meno. Dice che la vera dottrina per andare avanti, per svilupparsi, non deve essere quieta, si sviluppa ut annis consolidetur, dilatetur tempore, sublimetur aetate. Cioè si consolida con il tempo, si dilata e si consolida e viene più ferma ma sempre progredendo. È per questo che il dovere dei teologi è la ricerca, la riflessione teologica, non si può fare teologia con un “no” davanti. 

Poi sarà il Magistero a dire no, sei andato oltre, torna, ma lo sviluppo teologico deve essere aperto, i teologi ci sono per questo. E il Magistero deve aiutare a capire i limiti. Sul problema dell’anticoncezionale, so che è uscita una pubblicazione su questo tema e su altri temi matrimoniali. Questi sono gli atti di un congresso. Dobbiamo essere chiari: questi che hanno fatto questo congresso hanno fatto il loro dovere, perché hanno cercato di andare avanti nella dottrina, ma in senso ecclesiale, non fuori, come ho detto con quella regola di san Vincenzo di Lerins. Poi il Magistero dirà, va bene o non va bene. Pensa ad esempio alle armi atomiche: ho ufficialmente dichiarato che l’uso e il possesso delle armi atomiche è immorale.

Pensa alla pena di morte: oggi posso dire che siamo vicini all’immoralità lì, perché la coscienza morale si è sviluppata bene. Per essere chiaro: quando il dogma o la morale si sviluppano, sta bene, ma in quella direzione, con le tre regole di Vincenzo di Lerins. Credo che questo sia molto chiaro: una Chiesa che non sviluppa in senso ecclesiale il suo pensiero è una Chiesa che va indietro, e questo è il problema di oggi, di tanti che si dicono tradizionali. No, no, non sono tradizionali, sono “indietristi”, vanno indietro, senza radici. E l’“indietrismo” è un peccato perché non va avanti con la Chiesa. La tradizione è la fede viva dei morti, invece questi “indietristi” che si dicono tradizionalisti sono la fede morta dei viventi. 

La tradizione è proprio la radice, l’ispirazione per andare avanti nella Chiesa, e sempre questa è verticale. E l’“indietrismo” è andare indietro, è sempre chiuso. È importante capire bene il ruolo della tradizione, che è sempre aperta, come le radici dell’albero, e l’albero cresce...Se tu concepisci la tradizione chiusa, non è la tradizione cristiana… sempre è il succo delle radici che ti porta avanti. Per questo, per quello che tu dici, pensare e portare avanti la fede e la morale, ma mentre va nella direzione delle radici, del succo, va bene. Con le tre regole di Vincenzo di Lerins».

Nelle Costituzioni negli Usa e in Canada gli indigeni continuano a essere spodestati della loro terra, senza potere sulla loro terra, a motivo delle bolle papali e della Dottrina della scoperta. Dicono che, quando i coloni vennero a prendere la loro terra, si riferivano a questa dottrina che stabiliva che loro erano inferiori ai cattolici. Non pensa di aver mancato l’opportunità di fare una dichiarazione su questo durante il suo viaggio?

«Io credo che questo sia un problema di ogni colonialismo. Ogni, anche oggi. Le colonizzazioni ideologiche di oggi hanno lo stesso schema: chi non entra nel loro cammino, nella loro via, è inferiore. Ma voglio andare oltre. I nativi non erano considerati solo inferiori. Qualche teologo un po’ pazzo si domandava se avevano l’anima. Quando Giovanni Paolo II è andato in Africa alla porta dove venivano imbarcati gli schiavi, ha dato un segnale perché noi arrivassimo a capire il dramma, il dramma criminale. Quella gente era buttata nella nave in condizioni disastrose. E poi erano schiavi in America. È vero che c’erano voci che parlavano chiaro come Bartolomeo de Las Casas e Pedro Claver, ma erano la minoranza.

La coscienza della uguaglianza umana è arrivata lentamente. Dico la coscienza perché nell’inconscio ancora c’è qualcosa… Sempre abbiamo come un atteggiamento colonialista di ridurre la loro cultura alla nostra. È una cosa che ci viene dal modo di vivere sviluppato nostro, che delle volte perdiamo dei valori che loro hanno. Per esempio i popoli indigeni hanno un grande valore che è quello dell’armonia con il creato. E almeno alcuni che conosco lo esprimono nella parola “vivere bene”, che non vuol dire come capiamo, noi occidentali, passarla bene o fare la dolce vita. No. Vivere bene è custodire l’armonia. E questo per me è il grande valore dei popoli originari: l’armonia. Noi siamo abituati a ridurre tutto alla testa. Invece - sto parlando in genere – la personalità dei popoli originari è che sanno esprimersi in tre linguaggi: con la testa con il cuore e con le mani.

Ma tutti insieme. E sanno avere questo linguaggio con il creato. Poi c’è questo progresso accelerato dello sviluppo, esagerato, nevrotico che noi abbiamo… Non parlo contro lo sviluppo, che è buono. Non è buona quella ansietà che noi abbiamo: sviluppo, sviluppo, sviluppo... Guarda: una delle cose che la nostra società ha perso è la capacità della poesia. I popoli indigeni hanno questa capacità poetica. Non sto idealizzando. Poi questa dottrina della colonizzazione, è vero, è cattiva, è ingiusta ed è usata anche oggi. Lo stesso. Con guanti di seta forse. Ma è usata anche oggi. Per esempio alcuni vescovi di qualche paese mi hanno detto: il nostro Paese quando chiede un credito a qualche organizzazione internazionale e gli mettono delle condizioni anche legislative colonialiste, che gli fanno cambiare un po’ il modo di vivere. 

Ora, tornando alla colonizzazione nostra, diciamo quella in America, quella degli inglesi, dei francesi, degli spagnoli e dei portoghesi, sempre c’è stato quel pericolo, anzi quella mentalità: noi siano superiori e questi indigeni non contano. E questo è grave. Per questo dobbiamo lavorare su quello che dici. Andare indietro e sanare – diciamo così - quello che è stato fatto male. Ma nella consapevolezza che oggi esiste lo stesso colonialismo. Pensa per esempio un caso - che è universale mi permetto di dire - pensa al caso dei Royngya in Myanmar, sono considerati di un livello inferiore, non hanno diritto di cittadinanza. Anche oggi».

La Commissione canadese «per la verità e la riconciliazione», nel 2015, ha definito «genocidio culturale» la vicenda delle scuole residenziali. Coloro che hanno ascoltato la sua richiesta di perdono nei giorni scorsi hanno espresso il loro disappunto perché la parola genocidio non è stata usata. Perché non ha usato la parola genocidio?

«Non ho usato la parola perché non mi è venuta in mente, ma ho descritto il genocidio, ho chiesto scusa e perdono per questo lavoro genocida, ho condannato questo: togliere i bambini alle famiglie, cambiare la cultura, la mente, le tradizioni. Genocidio è una parola tecnica, non mi è venuta in mente ma è vero, è un genocidio. Puoi dire che io dico che è stato un genocidio». 

Chi ha scritto la nota, pubblicata dalla Sala Stampa senza firma, che metteva in guardia il sinodo tedesco?

«Il comunicato lo ha fatto la Segreteria di Stato. È stato uno sbaglio non firmarlo. Ma è un errore di ufficio, non cattiva volontà. Sul cammino sinodale, io ho scritto una lettera due anni fa, l’ho scritta da solo, dopo un mese di preghiera, riflessione e consultazioni, e lì ho detto tutto quello che potevo dire sull’argomento: più di quello non dirò, è quello il magistero. So che non è facile, ma è tutto in quella lettera». 

Papa ai nativi del Nord: "Da voi dobbiamo Imparare come custodire l'ambiente". Paolo Rodari su La Repubblica il 30 luglio 2022.

"Bisogna custodire un rapporto sano e amoroso con l'intero creato". Francesco conclude il suo viaggio apostolico in Canada con una tappa nell'estremo Nord del Paese, a Iqaluit, capitale del Territorio di Nunavut, a ridosso del Circolo polare artico dove il riscaldamento climatico scoglie i ghiacciai come non era mai accaduto negli ultimi decenni. E qui, incontrando nella scuola elementare, in privato, alcuni alunni delle ex scuole residenziali per gli indigeni, e subito dopo i giovani e gli anziani nell'adiacente piazzale, parla della necessità di "prendersi cura, tramandare la cura della terra, cura per le persone, cura per la storia".

Iqaluit, "luogo di molti pesci" in lingua inuktitut, dista appena 300 chilometri dal circolo polare artico: una strada, la famosa "strada verso il nulla", costeggia laghi, dolci colline e tundra senza poi portare da nessuna parte. La città ospita la più grande comunità di Inuit (3.900 persone circa), una popolazione indigena delle coste dell'America, distribuita dalla Groenlandia all'Alaska, e presente anche in Asia, all'estremità della penisola dei Ciukci, in Siberia. Nel 1800 gli Inuit hanno dovuto convivere con chi cacciava le balene e poi con le navi e i commerci nella baia, commerci che crolleranno nel '900, lasciando spazio a quelli delle pellicce. Anche qui Francesco chiede "perdono per il male commesso da non pochi cattolici che hanno contribuito alle politiche di assimilazione culturale e di affrancamento in quel sistema educativo distorto". Con queste politiche "le famiglie sono state disgregate, i piccoli portati via, lontani dal loro ambiente; su tutto è calato l'inverno".

Francesco spiega di essere giunto in Canada per "la volontà di percorrere insieme un tragitto di guarigione e di riconciliazione che, con l'aiuto del Creatore, ci aiuti a fare luce sull'accaduto e a superare quel passato oscuro".

Insieme il Papa ricorda come siano stati i nativi a vivere, rispettandoli, "questi luoghi vasti che per altri sarebbero ostili". Dice: "Voi avete saputo amarli, rispettarli, custodirli e valorizzarli, tramandando di generazione in generazione valori fondamentali, quali il rispetto per gli anziani, un genuino senso di fraternità e la cura per l'ambiente". "Prendersi cura, tramandare la cura: a questo in particolare sono chiamati i giovani, sostenuti dall'esempio degli anziani! Cura per la terra, cura per le persone, cura per la storia". E cita Goethe che nel Faust dice: "Ciò che hai ereditato dai padri, riconquistalo se vuoi possederlo davvero".

Papa Francesco ai giovani: «Urgente ridurre il consumo della carne. Confido in voi». GAIA ROSSI su Il Corriere della Sera il 23 Luglio 2022.

In una lettera scritta per la Conferenza Europea dei Giovani, riuniti a Praga, il Santo Padre parla dell’importanza di un’alimentazione sostenibile per rispettare l’ambiente

Papa Francesco si fa ancora una volta portavoce di un messaggio ambientalista e lo fa con una lettera indirizzata alla Conferenza Europea dei Giovani, che si è tenuta a Praga nei giorni scorsi, in cui parla anche dell’importanza di un’alimentazione più sostenibile per il futuro del mondo. «È urgente ridurre il consumo non solo di carburanti fossili ma anche di tante cose superflue; e così pure, in certe aree del mondo, è opportuno consumare meno carne: anche questo può contribuire a salvare l’ambiente», scrive il Santo Padre, mettendo così l’accento sulle conseguenze degli allevamenti intensivi sul riscaldamento globale.

Nella lettera il Papa poi prosegue: «A tale riguardo vi farà bene – se non l’avete già fatto – leggere l’Enciclica Laudato si’, dove credenti e non credenti trovano motivazioni solide per impegnarsi in favore di una ecologia integrale». Il riferimento è all’Enciclica del 2015, in cui il Pontefice affronta temi come il cambiamento climatico, la mancanza d’acqua, la perdita di biodiversità e che contiene parole molto nette proprio sul rispetto degli animali. «È contrario alla dignità umana far soffrire inutilmente gli animali e disporre indiscriminatamente della loro vita», scrive ad esempio il Papa in uno dei passaggi chiave di quello che è considerato il suo testo programmatico più importante, per il quale è stato anche nominato Persona dell’anno dall’associazione animalista People for the Ethical Treatment of Animals (PETA). Anche a tavola, d’altronde, Papa Francesco dà il buon esempio: conduce una dieta molto leggera e semplice, con tanta frutta e verdura, proteine leggere provenienti prevalentemente da legumi e formaggi freschi e solo una volta a settimana pesce o carne bianca.

Papa Francesco in Canada, le scuse agli indigeni: «Viaggio di penitenza, voglio abbracciarli». Gian Guido Vecchi su Il Corriere della Sera il 24 Luglio 2022.

Papa Francesco è arrivato in Canada: sceso dall’aereo con un montacarichi, viaggia in carrozzina per il dolore al ginocchio. La sua missione: portare le scuse della Chiesa ai nativi del Canada dopo lo scandalo del «genocidio culturale» nelle scuole residenziali, dove morirono tra i 3 e i 6mila bambini

C’è qualcosa di straziante nel canto, ritmato dai tamburi, dei nativi che accolgono il Papa in Canada, sotto un hangar. 

Il cielo è grigio, Francesco è sceso dall’aereo con un montacarichi e ha attraversato la pista in carrozzina. Ci sono il premier Trudeau e Mary May Simon, prima governatrice del Paese di origine inuit, ma il saluto di Francesco è anzitutto ai capi di Prime Nazioni, Métis e Inuit che gli parlano sottovoce, ci sono anche tre sopravvissuti, Bergoglio si china a baciare la mano di una di loro. 

Niente cerimonie festose, anche in aereo Francesco ha ripetuto ai giornalisti che si tratta di «un viaggio penitenziale, facciamolo con questo spirito», il dolore al ginocchio è il meno. 

È arrivato qui ieri per «incontrare e abbracciare le popolazioni indigene» e fare i conti con le responsabilità della Chiesa in quello che la Commissione governativa «per la verità e la riconciliazione», nel 2015, ha definito «genocidio culturale»: lo scandalo delle «scuole residenziali» per i nativi, 150 mila bambini strappati ai genitori e sradicati da case e cultura tra l’Ottocento e il Novecento, assimilazione forzata, botte a chi non parlava inglese e malnutrizione, violenza e abusi, dai tremila ai seimila morti, la scoperta di fosse comuni. 

Lo aspettavano da anni: il Papa che viene nelle loro terre e chiede scusa. 

Cinque giorni di viaggio lo porteranno fino in Québec e vicino al Circolo Polare Artico, venerdì, tra gli inuit di Iqaluit. 

Lunedì mattina, nel tardo pomeriggio italiano, andrà nella Riserva di Maskwacis, che in lingua cree significa «le colline dell’orso» perché vi crescevano i mirtilli prima che nell’Ottocento le pellicce e la corsa all’oro facessero di Edmonton il più ricco dei centri commerciali. Il primo gesto a Maskwacis sarà una preghiera silenziosa nel piccolo cimitero. 

«Indignazione», «dolore» e «vergogna»: dal 28 marzo al 1° aprile, Francesco aveva ricevuto in Vaticano le tre delegazioni, «chiedo perdono a Dio, mi unisco ai vescovi canadesi nel chiedervi scusa». 

In aereo ha sorriso, «oggi non c’è l’Angelus, ma facciamolo qui», e ha parlato della giornata dei nonni e delle nonne «che hanno trasmesso la storia, dai quali i giovani devono riprendere le radici». 

Qui sta il «genocidio culturale»: lo sradicamento. 

Le 139 «scuole residenziali» erano state volute e finanziate dal governo e poi affidate a enti cristiani, più della metà cattolici. La prima fu aperta nel 1831, l’ultima venne chiusa nel 1996. L’anno scorso sono state scoperte fosse comuni accanto ad alcune scuole: i resti di 215 bambini a Kamloops, 751 a Marieval, 182 vicino a Cranbrook. 

Il rapporto governativo spiega che dipendeva da un’indicazione governativa, per risparmiare sui costi.

Simona Siri per “la Stampa” il 25 luglio 2022.

Barry Kennedy oggi ha 62 anni, ma quando la polizia bussò alla porta della casa che divideva con i genitori e le due sorelle se lo ricorda ancora. Aveva quattro anni e come tanti altri bambini indigeni fu prelevato e portato alla Marieval Indian Residential School, un collegio gestito per decenni dalla Chiesa cattolica nella provincia canadese del Saskatchewan. Qui, lo scorso giugno, seppelliti nel terreno della scuola, sono stati ritrovati in tombe di fortuna, senza iscrizioni né altri segni riconoscitivi, i resti appartenenti a 751 tra bambini e bambine.

Quello di Marieval è il più grande ritrovamento del suo genere, ma non è l'unico: già a maggio i membri della tribù Tk' emlups avevano trovato una fossa comune contenente altri 215 corpi nei pressi del collegio di Kamploos, nella British Columbia, anch' esso gestito dalla Chiesa cattolica. Altri 182 resti erano stati trovati vicino ai terreni dell'ex Scuola della Missione di Sant' Eugenio gestito dalla Chiesa cattolica dal 1912 fino all'inizio degli Anni 70.

A oggi sommando le fosse comuni delle diverse scuole si arriva a oltre 1.100 bambini, alcuni non più grandi di tre anni. Un vero proprio genocidio culturale toccato a oltre 150 mila appartenenti a Inuit, Métis e Prime Nazioni, le popolazioni indigene che abitavano il Canada da ben prima che si chiamasse Canada. Uno sterminio operato in nome della "civilizzazione" di questi bambini, prelevati a forza, picchiati, umiliati, spesso abusati sessualmente e psicologicamente. «Ho subito violenza dal momento in cui sono arrivato», ha dichiarato Kennedy alla televisione canadese CTV News Channel.

«Tutto era portato avanti con la forza fisica: venivamo schiaffeggiati, presi a pugni e a calci. Il cibo che ci davano era così rancido che spesso vomitavamo per averlo mangiato, e poi venivamo costretti dai sacerdoti e dalle suore a mangiare il nostro stesso vomito. Questo è quello che abbiamo subito, unito alla confusione di chiederti dov' è la tua famiglia, perché sei lì da solo». Una verità fatta di dettagli agghiaccianti difficili persino da immaginare, atrocità che però «devono essere riconosciute non solo in Canada, ma in tutto il Nord America affinché questo serva come grido di dolore mondiale sugli effetti del razzismo sistemico».

 Florence Sparvier un'altra sopravvissuta agli orrori della Marieval Indian Residential School ha ricordi che la perseguitano ancora oggi. «Erano davvero molto cattivi. Quando dico che ci hanno martellato, intendo letteralmente presi a martellate. Eravamo costretti a pregare il dio cattolico, mentre suore e sacerdoti ci dicevano che i nostri genitori e i nostri nonni non avevano modo di essere spirituali, perché eravamo tutti pagani. Ci hanno sminuito come popolo e lo stanno ancora facendo».

Umiliazioni e soprusi che ricorrono nei racconti di chi è riuscito a uscire vivo, nonostante tutto. Come Elizabeth Sackaney ex studentessa della St. Anne' s Residential School nel Nord dell'Ontario. Il suo ricordo indelebile è quello di una sedia elettrica. «C'era questa sedia, e un tunnel sotterraneo che portava direttamente all'ospedale», ha dichiarato a News Morning, ricordando come all'epoca certi episodi fossero vissuti come divertenti, come un gioco, quando in realtà si trattava di crudeltà gratuita.

 «I preti si mettevano in piedi su un balcone e da lì ci lanciavano le caramelle. Noi litigavamo tra di noi per prenderle, ci azzuffavamo, e loro lì a ridere. All'epoca pensavamo fosse un'attività spassosa, ma ora, quando ripenso a queste cose, capisco che non erano divertenti. Era tutto molto serio». Un sentimento che accomuna Sackaney, così come Kennedy e Sparvier, è la necessità di non addolcire la verità su quello che accadeva in quelle scuole.

È l'unico modo per trovare una qualche forma di chiusura, insieme al fatto che la Chiesa Cattolica deve fare la sua parte, ad esempio rendendo pubblici i documenti relativi alle morti avvenute sotto la sua direzione. «Se vogliamo ottenere una qualche forma di riconciliazione come Paese, queste verità devono essere conosciute, dobbiamo essere disposti ad aiutarci a vicenda e la Chiesa deve essere in grado di rispondere a ciò che le comunità indigene hanno il diritto di sapere». 

Papa: Chiesa guarisca, no a difesa istituzione contro verità.

Redazione Tgcom24 il 27 luglio 2022.  

"Ora tutti noi, come Chiesa, abbiamo bisogno di guarigione: di essere risanati dalla tentazione di chiuderci in noi stessi, di scegliere la difesa dell'istituzione anziché la ricerca della verità, di preferire il potere mondano al servizio evangelico". Lo ha detto Papa Francesco durante la Liturgia della Parola durante il pellegrinaggio al Lac Ste. Anne, luogo sacro per gli indigeni in Canda. "Aiutiamoci, cari fratelli e sorelle, a dare il nostro contributo per edificare con l'aiuto di Dio una Chiesa madre come a Lui piace: capace di abbracciare ogni figlio e figlia; aperta a tutti e che parli a ciascuno; che non vada contro qualcuno, ma incontro a chiunque", ha aggiunto.

Gian Guido Vecchi per il “Corriere della Sera” il 26 luglio 2022.

Le croci sulle tombe sono colorate di penne e simboli dei popoli nativi. Francesco attraversa la soglia del cimitero dei Cree, sospinto in carrozzella tra i prati, le mani giunte, l'aria assorta. Prima delle parole, prima di dire la «vergogna», l'«indignazione» e «il grido di dolore, un urlo soffocato che mi ha accompagnato in questi mesi», la «memoria sanguinante» di «un errore devastante, incompatibile con il Vangelo di Gesù Cristo», prima del mea culpa solenne davanti agli anziani e i sopravvissuti di Prime Nazioni, Métis e Inuit, «chiedo umilmente perdono per il male commesso da tanti cristiani contro le popolazioni indigene: di fronte a questo male che indigna, la Chiesa si inginocchia dinanzi a Dio e implora il perdono per i peccati dei suoi figli», prima di tutto questo c'è il silenzio, una lunga preghiera a capo chino, il Papa che si toglie lo zucchetto bianco, la mano sul cuore.

Il grigio del cielo, il giallo dei campi di colza, vento e un po' di pioggia. I nativi lo attendevano da anni e nel parco di Maskwacis, le «colline dell'orso», sono arrivati in migliaia da tutto il Paese, con vesti e copricapi tradizionali. Si vedono volare due aquile e, spiegano, è un segno importante. Randy Ermineskin, capo della Nazione Cree, dice: «Ho frequentato la scuola residenziale qui, come i miei genitori. So che sono con me, che mi stanno guardando».

Wilton Littlechild, capo dei Montana, parla fuori dalla scuola: «Le parole del Papa sono già storia, è l'inizio del cammino di riconciliazione di cui ha parlato». Del vecchio collegio è rimasto ben poco, in palestra ci sono le foto di classe di bimbi del secolo scorso, cravatte e vestitini a fiori per l'occasione, suore e preti sorridono ma gli alunni hanno gli sguardi seri come i sopravvissuti che ora ascoltano il Papa: «Sono qui perché il primo passo di questo pellegrinaggio penitenziale è rinnovarvi la richiesta di perdono e dirvi, di tutto cuore, che sono profondamente addolorato: chiedo perdono per i modi in cui, purtroppo, molti cristiani hanno sostenuto la mentalità colonizzatrice delle potenze che hanno oppresso i popoli indigeni». Qualcuno piange, molti applaudono.

«Chiedo perdono per i modi in cui molti membri della Chiesa e delle comunità religiose hanno cooperato, anche con l'indifferenza, a quei progetti di distruzione culturale e assimilazione forzata dei governi dell'epoca, culminati nel sistema delle scuole residenziali, con conseguenze catastrofiche».

Enti e congregazioni cattoliche gestivano 66 delle 139 scuole aperte dal governo tra il 1831 e il 1996. Circa 150 mila bambini furono strappati alle loro famiglie e case, la politica per gli «affari indiani» di annientamento delle culture native: botte a chi non parlava inglese, malnutrizione ed epidemie, violenza e abusi, dai tremila ai seimila morti, la scoperta di fosse comuni. Francesco cita Elie Wiesel: «È giusto fare memoria, perché la dimenticanza porta all'indifferenza e "l'opposto dell'amore non è l'odio, è l'indifferenza"».

 La richiesta di perdono «è solo il primo passo», occorre «una seria ricerca della verità sul passato». Alla fine, restituisce i mocassini da bimbo che i nativi, in aprile, gli avevano portato come un pegno in Vaticano. E i capi gli fanno indossare un copricapo tradizionale: l'omaggio più grande.

Bergoglio in Canada: spiritismo, feticci, anticattolicesimo sincretista e istanze globaliste. Andrea Cionci su Libero Quotidiano il 29 luglio 2022.

Andrea Cionci. Storico dell'arte, giornalista e scrittore, si occupa di storia, archeologia e religione. Cultore di opera lirica, ideatore del metodo “Mimerito” sperimentato dal Miur e promotore del progetto di risonanza internazionale “Plinio”, è stato reporter dall'Afghanistan e dall'Himalaya. Ha appena pubblicato il romanzo "Eugénie" (Bibliotheka). Ricercatore del bello, del sano e del vero – per quanto scomodi - vive una relazione complicata con l'Italia che ama alla follia sebbene, non di rado, gli spezzi il cuore

Davvero ci vuole una grande capacità di autosuggestione per continuare a considerare Bergoglio il papa, soprattutto dopo l’ultimo viaggio in Canada nel quale l’arcivescovo di Buenos Aires ha inanellato una serie di iniziative e dichiarazioni letteralmente surreali. Queste trovano un’immagine plastica nel suo ritratto col copricapo piumato da pellerossa, subito divenuto icona per spiritose vignette tra cui quella con la didascalia “L’Apache sia con voi”.

La visita nel paese del sirenetto globalista Trudeau è stata un’occasione imperdibile per l’antipapa fautore della nuova religione mondiale: in primis, screditare la Chiesa cattolica chiedendo perdono per fatti di appena qualche secolo fa. A proposito delle bufale sui misfatti delle “scuole cattoliche”, leggete quanto c’è di vero.

Non sappiamo, poi se la tribù degli Irochesi, con l’occasione, abbia chiesto scusa per aver bruciato e cannibalizzato vivi gli otto Santi martiri canadesi, ma a questo punto, sono dettagli.

Altro obiettivo di Bergoglio, esaltare l’ecologismo semi-panteista della tradizione indigena. Immancabili, i soliti annessi e connessi su fratellanza universale massonica, inclusività immigrazionista per demolire le identità dei popoli, insomma, tutto l’armamentario di Davos  che ben conosciamo, aromatizzato da una bella spruzzata finale di esoterismo.

Già il logo dell’incontro canadese è tutto un programma. Come spiega Vatican News: “si tratta di un cerchio, che vuole raffigurare l’ordine naturale del ciclo della vita, ma anche il Sole, la Terra e gli insegnamenti sacri”. Ma sacri per chi? Infatti si vedono pesci, uccelli, aquile, bisonti, i simboli delle solite pappole eco-sincretiste, ma della croce di Cristo neanche l’ombra: troppo poco inclusiva.

L’ammiccamento sincretista ritorna nel tweet di Bergoglio del 24 luglio: “C’è tanto da imparare dalle #PopolazioniIndigene, dalla loro capacità di porsi in ascolto di Dio, delle persone e della natura. Ne abbiamo bisogno nella frenesia del mondo odierno che rende arduo uno sviluppo realmente umano, sostenibile e integrale”.

Ma quale Dio, quello cattolico, o Manitù, il Grande Spirito panenteistico? Meglio specificare, dato che si tratta di divinità completamente inconciliabili.

L’annichilimento dell’identità cattolica unito all’ossequio verso la tradizione indigena si configura in quest’altra dichiarazione implosiva: “Oggi non mancano colonizzazioni ideologiche che contrastano la realtà dell’esistenza, soffocano il naturale attaccamento ai valori dei popoli, tentando di sradicarne le tradizioni, la storia e i legami religiosi”.

A proposito, si potrebbe ricordare, a margine, come lui, con lo pseudo motu proprio “Traditiones custodes”, abbia abolito di fatto la messa tradizionale cattolica in latino, cioè l’unica messa a totale garanzia di cattolicità, che proviene dai tempi degli Apostoli, formalizzata da 500 anni. Quindi, grande rispetto per le piume e i totem pellerossa, ma poi si può passare con la ruspa sulle radici, le tradizioni e la storia della fede cattolica.  

Ma le contraddizioni si esprimono anche nei gesti materiali, basti pensare all’esibizione pauperistica del corteo d’ingresso al seminario di St. Joseph: Bergoglio seduto davanti nella 500 bianca alla Guccini, seguìto però da uno stuolo di almeno 26 (tanti ne abbiamo contati QUI) enormi SUV, Jeep, Van, macchine blindate della sicurezza. Ricorda il finto pauperismo del megadirettore galattico di Fantozzi il quale si muoveva in motorino, accompagnato, però, da uscieri che gli correvano al fianco sorreggendo un baldacchino per proteggerlo dalla pioggia.

C’è stato poi un momento in cui l’antipapa ha – di fatto - partecipato a un vero rito spiritista o negromantico. Uno stregone indigeno, fischiando in una canna ha così annunciato QUI al minuto 12.00 davanti a lui e ai vescovi del seguito: “Chiedo alla nonna occidentale di darci accesso al cerchio sacro degli spiriti in modo che possano essere con noi, così possiamo essere uniti e più forti insieme". Per la religione cattolica si trattava di un’evocazione di demoni (come sempre quando ci si rivolge agli “spiriti”) e Bergoglio stava lì, con la mano col cuore, (tipico gesto massonico, peraltro) tutto compreso dalla concentrazione per il pio momento mistico.

Poi i baci: agli acchiappasogni ed altri feticci pagani, il baciamano alla leader indigena. Quasi del tutto oscurata dai media, invece, la visita con “benedizione” alla statua commissionata per la visita antipapale: si tratta di una terrificante, esoterica pseudo-Maria che scioglie i nodi. Le fotografie sono quasi introvabili e non a caso: la figura femminile ha un’espressione adirata, corrusca veramente inquietante e NON schiaccia la testa al serpente (ma lo pigia verso la coda) lasciando al rettile, in tal modo, tutta la libertà di mordere. Controllate voi stessi.

Vedrete ricorrere il solito angelo maschio e angelo femmina, (gli angeli per definizione non hanno sesso!) in ottemperanza a quei caratteri esoterici dell’unione degli opposti già indagati.

L’opera è dello scultore Tim Schmalz, lo stesso autore del barcone di migranti in bronzo che, per un pezzo, è stato esposto in piazza San Pietro, oltre che di un inquietantissimo Jesus Homeless, dove Cristo viene raffigurato avvolto in una specie di sudario, sdraiato sopra una panchina.

Ma tutte queste aberrazioni non-cattoliche e anti-cattoliche non devono né stupire, né scandalizzare. Ricordiamo a tutti: Bergoglio NON è il papa e conseguentemente, in ottica di fede, NON è assistito dallo Spirito Santo perché il vero papa, Benedetto XVI, costretto a togliersi di mezzo dai poteri forti mondialisti e dalla fronda interna modernista-sincretista della Chiesa, NON HA MAI ABDICATO, ma si è ritirato in sede impedita QUI  . In tal modo, Bergoglio e i suoi si sono scismati da soli.

Se siete cattolici, non fatevi turlupinare, tagliate tutti i ponti con la falsa chiesa bergogliana, serva dei poteri mondialisti e di una spiritualità inversa rispetto al Cattolicesimo: tenete duro e rimanete in comunione col Santo Padre Benedetto XVI.

Arriverà il momento della resa dei conti, non temete.

Da Wojtyla a Bergoglio le scuse per i crimini incompatibili con la fede. Francesco è andato in Canada per la medesima ragione: chiedere scusa per i trattamenti e le violenze su 150.000 bambini indigeni canadesi a partire dal 1880. Michele Partipilo su La Gazzetta del Mezzogiorno il 26 Luglio 2022.

«Il primo passo di questo pellegrinaggio penitenziale tra di voi è di rinnovarvi la richiesta di perdono per i modi in cui purtroppo molti cristiani hanno sostenuto la mentalità colonizzatrice delle potenze che hanno oppresso i popoli indigeni». Con queste parole, dopo il viaggio annullato in Africa, è entrato nel vivo il viaggio del Papa in Canada. Una traversata in tre tappe che si concluderà il 29 luglio e che metterà alla prova la tenuta fisica dell’anziano (86 anni in dicembre) Pontefice.

All’arrivo Francesco era apparso di buon umore, sebbene sulla sedia rotelle che non ha mai lasciato, neppure per ricevere i saluti del premier canadese Trudeau e del primo governatore generale indigeno, Mary Simon. Le immagini di quella sedia a rotelle, hanno ricordato un altro papa, Giovanni Paolo II. Anche gli obiettivi della visita hanno richiamato il pontificato di Wojtyla, che si era caricato la croce di chiedere perdono per tutte le colpe commesse dalla Chiesa in duemila anni.

Francesco è andato in Canada per la medesima ragione: chiedere scusa per i trattamenti e le violenze su 150.000 bambini indigeni canadesi a partire dal 1880. Allontanati dalle famiglie, costretti a non parlare la loro lingua e a ignorare la cultura dei padri con l’intento di «rieducarli», nel quadro di una politica di assimilazione forzata, finirono per volontà statale in istituti cattolici, le cosiddette «scuole residenziali». Una violenza che avrebbe portato alla morte almeno seimila ragazzi e ragazze. L’anno scorso sono state scoperte circa 1.300 sepolture anonime, tutte nei pressi dei 139 istituti che, dal 1831 al 1996, erano stati destinati alla «educazione» di quei giovanissimi. «Di fronte a questo male che indigna - ha detto ieri Bergoglio - la Chiesa si inginocchia dinanzi a Dio e implora il perdono per i peccati dei suoi figli. Vorrei ribadirlo con vergogna e chiarezza: chiedo umilmente perdono per il male commesso da tanti cristiani contro le popolazioni indigene».

Il caso delle «scuole residenziali» è stato un evento drammatico per l’intero Paese e uno shock per le gerarchie ecclesiastiche, chiamate a rispondere anche in sede giudiziaria. Una commissione d’inchiesta del governo ha definito «genocidio culturale» quelle deportazioni, nell’ambito delle quali si sono verificati anche molti casi di stupri e violenze da parte di religiosi e sacerdoti pedofili. «Quello che la fede cristiana ci dice è che si è trattato di un errore devastante, incompatibile con il Vangelo di Gesù Cristo», ha detto il Papa nell’incontro con le popolazioni indigene a Maskwacis, dove - sempre sulla sedia a rotelle - si è soffermato in preghiera nel cimitero dei nativi, adiacente all’ex istituto per indigeni Ermineskin.

La questione scuole residenziali ha avuto già strascichi economici, con lo Stato canadese impegnato a pagare alcuni miliardi di dollari in risarcimenti e con la Chiesa cattolica che ha stanziato due tranche di 50 e di 30 milioni di dollari con la stessa destinazione.

Il viaggio penitenziale di papa Francesco ha fatto storcere il naso negli ambienti più conservatori, che avrebbero preferito una missione del Papa in Africa, visti i continui massacri di cristiani e di cattolici, o anche nell’Est europeo, a cominciare dalla più volte ipotizzata missione in Ucraina.

Accanto all’eventuale viaggio a Kiev, la presenza di Bergoglio – obiettano da alcuni ambienti ecclesiastici – sarebbe stata più necessaria in Paesi come Ungheria o Polonia, dove i cristiani sono impegnati in una gigantesca opera di assistenza a milioni di profughi ucraini. Peraltro, si argomenta, sarebbero state visite a corto raggio, che sarebbero risultate meno costose e meno impegnative per la salute dello stesso Pontefice.

Del resto la questione nativi canadesi era già stata affrontata dalla Santa Sede. Giovanni Paolo II andò in Canada nel 1984 e nel 1987 e, in entrambe le occasioni, ebbe incontri con i nativi, esaltandone la cultura, ma anche il rinnovamento portato loro dal cristianesimo. Benedetto XVI incontrò in Vaticano i nativi canadesi già nel 2009, pronunciando una richiesta di perdono che sembrava soddisfacesse tutti. Senza contare l’articolata visita a Roma dal 28 marzo al 1° aprile 2022 dei loro rappresentanti (32 esponenti dei tre ceppi riconosciuti – i meticci, gli Inuits e le Prime Nazioni) in seguito allo scandalo delle sepolture anonime.

Ma evidentemente tutto questo non è stato ritenuto sufficiente sotto un profilo religioso e, forse, anche sotto l’aspetto economico legato alle richieste di risarcimenti.

Le scelte di Bergoglio degli ultimi tempi non sono sempre state decifrabili, vedi annunci e dietrofront sulle visite a Kiev o a Mosca. Una situazione che fuori dalle mura Leonine dà l’impressione di una debole sintonia fra le parole e le azioni del Papa e le parole e le azioni della Segreteria di Stato.

Aborto e nozze gay: a cosa servono davvero. Le “finte” di Bergoglio e il monito di Benedetto XVI.  

Andrea Cionci su Libero Quotidiano il 24 luglio 2022

Andrea Cionci. Storico dell'arte, giornalista e scrittore, si occupa di storia, archeologia e religione. Cultore di opera lirica, ideatore del metodo “Mimerito” sperimentato dal Miur e promotore del progetto di risonanza internazionale “Plinio”, è stato reporter dall'Afghanistan e dall'Himalaya. Ha appena pubblicato il romanzo "Eugénie" (Bibliotheka). Ricercatore del bello, del sano e del vero – per quanto scomodi - vive una relazione complicata con l'Italia che ama alla follia sebbene, non di rado, gli spezzi il cuore

Aborto e nozze gay, nozze gay e aborto: non ci sono altre priorità al mondo, tanto che il direttore Vittorio Feltri sottolineava l’assurdità del fatto che in Ucraina, pur sotto le bombe, la massima urgenza sia divenuta questa. La guerra, la pandemia, il riscaldamento globale, (il quale ora si è trasformato in “cambiamento climatico”, così ci azzeccano sia che faccia caldo o freddo), e tutte le altre emergenze vere o presunte care all’”emozione unica” (upgrade del pensiero unico), passano ormai in secondo piano.

E’ il momento di fare un discorso duro, ma necessario. Queste due istanze, promosse in modo ossessivo-compulsivo dalle solite élite global-massonico-progressiste, NON HANNO NULLA A CHE VEDERE con una sincera attenzione verso le donne o le persone di orientamento omosessuale.

Non servono solo, utilitaristicamente, a sfoltire demograficamente la popolazione , ma sono, piuttosto, gli strumenti più efficaci di una manipolazione di massa, una rivoluzione psico-antropologica e morale portata avanti per disancorare i popoli dal pensiero logico e dalla realtà oggettiva, tagliando definitivamente i ponti con l’eredità cristiana. Un lavaggio del cervello planetario.

Infatti, fra le pochissime e indubitabili certezze che ci sono al mondo abbiamo che i bambini, i quali nascono dall’UNIONE FRA UN UOMO E UNA DONNA, devono essere PROTETTI.

Aborto e nozze gay, invece, RIBALTANO QUESTE OVVIETÀ. Nel momento in cui si riesce a convincere miliardi di persone che sopprimere una vita umana nascente e legalizzare un’unione costituzionalmente antitetica alla creazione di nuovi individui sia un atto sociale, un atto d’amore, li si ha in pugno. E’ come se si riuscisse a convincere le masse che gli asini volano e che il sole è blu.

Vuol dire che, a quel punto, i cittadini saranno arrivati a un tale livello di abbrutimento razionale che saranno cera nelle mani di pochi: potranno essere convinti di qualsiasi cosa, che ci sono gli alieni, che gli insetti sono squisiti, che devono farsi geolocalizzare anche quando vanno al bagno, che bisogna razionare l’acqua e l’aria. L’obiettivo è questo: sovvertire nelle masse il residuo legame con la logica e l’oggettività per assoggettarle e annichilire qualsiasi possibilità di ribellione.

La REALTÀ OGGETTIVA è, infatti, che nessun “grumo di cellule” umane lasciato svilupparsi liberamente NON diventerà un essere umano. Nessuno di voi lettori NON è già stato un grumo di cellule o un feto e se state leggendo qui, è perché siete nati da una madre che NON vi ha abortito. La vita umana inizia dalla fecondazione dell’ovulo. Punto. Infatti, ora si pratica l’aborto al nono mese perché si è capito benissimo che la distinzione fra prima e dopo il terzo mese era solo una ridicola pezza a colore. Ciò che al massimo potrebbe essere dirimente è, semmai, la situazione dentro-fuori il corpo della donna, ma poi bisogna fare i conti con una delle conquiste più banali della società laica e liberale: “Il tuo agitare di braccia finisce dove comincia la punta del mio naso”. La libertà di agire sul nostro corpo finisce dove comincia il corpo di un signor Rossi che viene al mondo per i fatti suoi.

Quando, poi, introiettate il concetto che fare un favore alle donne non è assisterle e tutelarle, facilitando, al limite, l’adozione di un figlio indesiderato, ma fornire loro la licenza di 007, vuol dire che siete già atterrati col razzo sul soffice suolo lunare.

Allo stesso modo, il matrimonio viene da mater e, da sempre, in tutte le società del mondo, ha avuto carattere esclusivamente eterosessuale (anche se non sempre monogamico) e non ha MAI tutelato i labili sentimenti, ma solo il nucleo civile-amministrativo, il patto dove nascono i nuovi cittadini con il migliore habitat per crescere.  E, in merito alla “ciliegina” dell’utero in affitto, come potrebbe mai essere un atto d’amore commissionare un figlio a una donna, privandolo della propria madre?    

Quindi, se riuscite a convincere le masse della saggezza di queste assurdità illogiche, ammannendole come “conquiste dello stato laico”, AVETE VINTO. Vuol dire che il Pathos, l’emozione, il sentimentalismo, l’”empatia”, il pietismo becero hanno sottomesso il Logos, la logica, il pensiero razionale che appura la verità. Non a caso, questa è l’arma principale delle elite massonico-mondialiste per manipolare le masse e viene applicato per tutto, non solo per la distruzione della famiglia naturale, ma anche per l’orgia di diritti, l’immigrazionismo, la privazione di libertà, l’annichilimento delle differenze e delle identità, tutto per creare un nuovo individuo senza sesso, forza, famiglia, etnia, radici, cultura, intelligenza, patria, tradizioni, lingua, che possa essere dominato e sfruttato come una gallina d’allevamento.

E infatti, Benedetto XVI, l’unico vero papa, (in sede impedita, come abbiamo dimostrato in “Codice Ratzinger”, Byoblu ed.), non a caso parlò di aborto e nozze gay come “segni dell’Anticristo”. Ovvio, dal punto di vista cattolico: se Cristo è il Logos, il Verbo incarnato, l’Anticristo non potrà che essere l’A-logos, l’Illogico per definizione che domina, appunto, utilizzando il Pathos. E i conti tornano tutti, come vedete.  

Non a caso abbiamo definito l’anti-papa Bergoglio, il “signore del Pathos”, contrapposto al “signore del Logos”, Benedetto XVI.

Capirete quindi il perché sia stato messo forzosamente sul trono di Pietro il Bergoglio e inquadrerete perfettamente la sua schizofrenica condotta proprio su aborto e nozze gay. Recentemente, il direttore de La Nuova Bussola quotidiana Riccardo Cascioli ha scritto un articolo QUI  intitolato “Papa e aborto, qualcosa non torna” che, pure, suona un po’ come il “mi è semblato di vedele un gatto” di Tweety. Eh sì, Direttore, qualcosa non torna, te lo diciamo da due anni che Bergoglio non è il papa, QUI  ma da quest’orecchio non ci senti.

E’ infatti assurdo che Bergoglio faccia grandi sparate del tipo “l’aborto è come assoldare un sicario”, per far contenti e canzonati i cattolici, e poi definisca Emma Bonino, che ha sulla coscienza sei milioni di aborti, “una grande italiana”. E del suo compare Pannella, Bergoglio disse che apprezzava l’impegno in NOBILI CAUSE.

Peraltro, “Francesco” dà la comunione (per quanto consacrata in comunione con un antipapa) ai turboabortisti Biden e Nancy Pelosi, che non si stancano di propagandare l’aborto al nono mese. Prima del referendum abortista in Irlanda (2018) e a San Marino (2021), dove hanno vinto inaspettatamente i sì, pur essendo i cittadini in maggioranza cattolici, avete sentito Bergoglio ricordare qualcosa in proposito? NO. Si è sempre limitato a piangere sul latte versato e la sua “sincerità” si può comprendere dall’indifferenza con cui accoglie i pochi successi delle istanze pro-vita. Quando la Corte Suprema Usa ha negato l’aborto essere un diritto, lui ha detto che «rispetta la sentenza» ma che non è in grado di entrare nelle questioni tecnico-giuridiche.

Per non parlare delle nozze gay: l’argentino si è detto “personalmente favorevole alle unioni civili”, che legalizzano, in ottica cattolica, il secondo dei “Quattro peccati che gridano vendetta al Cielo”, insieme a Omicidio volontario, Oppressione dei poveri, Defraudare la giusta mercede a chi lavora. Non ha minimamente sanzionato quei cento preti che in Germania hanno benedetto delle coppie omosessuali.

Come ha ben individuato Mattia Spanò andando spulciare il libro delle interviste di Bergoglio, edito dalla LEV, ecco come rispose a una giornalista brasiliana nel 2013 che gli chiedeva: “Perché lei non ha parlato ai giovani in Brasile di aborto e nozze gay?”.

Bergoglio: “La Chiesa si è già espressa su questo, non era necessario tornarci”.

La tecnica è chiara, no? Non occorre avere un master in PNL per capirlo.

Si spiega perfettamente perché Benedetto XVI abbia subito atroci pressioni per togliersi di mezzo e perché al suo posto sia stato piazzato un antipapa che parla di fratellanza universale, elogiato da 70 logge massoniche internazionali, e che sta menando per il naso un miliardo e 285 milioni di cattolici facendo il gioco del Nemico.  

Quindi, non occorre essere credenti per essere contro la manipolazione delle masse, il rimbecillimento indotto e quindi contro le istanze di punta di questo disegno che per i credenti è diabolico e per i laici è terribilmente distruttivo e antiumano.

“Stato laico” non significa uno stato che abiura al pensiero logico.

Papa Francesco ha cambiato idea sul Papa emerito? Nico Spuntoni il 17 Luglio 2022 su Il Giornale.

Nell'ultima intervista, Jorge Mario Bergoglio ha detto che in caso di dimissioni si chiamerà vescovo emerito di Roma. Ma in passato non era stato così netto.

Dimissioni. Una parola che ormai non è più inusuale associare al papato dopo la storica decisione annunciata l'11 febbraio 2013 da Benedetto XVI. Il suo successore Francesco ne ha parlato più volte nel corso di questi nove anni, ripetendo di non escludere la possibilità sebbene non gli sia ancora passato per la mente. Dopo l'operazione chirurgica subita la scorsa estate e l'annullamento di una serie di appuntamenti per via della gonalgia alla gamba destra che lo ha costretto a spostarsi in sedia a rotelle, le dimissioni sono diventate un argomento ricorrente per chi si occupa di Vaticano. Tuttavia, a smentirne l'imminenza è sempre stato lo stesso Bergoglio che ci è ritornato già due volte nell'ultimo mese.

Nell'ultima intervista, concessa ad una giornalista come Valentina Alazraki di cui si fida e che lo scorso novembre ha anche insignito di un'onorificenza, il pontefice ha toccato un nervo ancora scoperto nella Chiesa: la questione del papato emerito. All'emittente messicana Televisa, infatti, Bergoglio ha confidato che in caso di rinuncia diventerebbe "vescovo emerito di Roma" e probabilmente andrebbe a vivere a San Giovanni in Laterano, ovvero nella chiesa cattedrale della diocesi. Queste parole sembrano, dunque, smentire uno scenario immaginato qualche anno fa proprio dallo stesso Francesco sul volo di ritorno dall'Armenia. Rispondendo in spagnolo ad una domanda della giornalista di La Nación, Elisabetta Piqué, Bergoglio disse di aver ringraziato Ratzinger per "aver aperto la porta ai papi emeriti" e che in futuro "forse potranno essercene due o tre".

Sono passati sei anni da allora, ma anche più recentemente non aveva escluso la possibilità di seguire le orme di Benedetto XVI e diventare papa emerito: a Nelson Castro, autore di un libro sulla salute dei papi uscito nel 2021, Francesco aveva detto che sarebbe morto "come papa, in carica o emerito".

La posizione espressa a Televisa, dunque, è una novità che si accompagna ad una serie di affermazioni già fatte, come quella del no categorico ad un ritorno in Argentina in caso di rinuncia. Interessante, inoltre, l'osservazione sul fatto che "la storia stessa aiuterà a regolamentare meglio” il papato emerito. Da una parte, infatti, sembra dar voce alla necessità - rilanciata in più settore della Chiesa - di disciplinare più opportunatamente questa figura; dall'altra, però, non consente di dare per scontato un intervento canonistico per provvedere alla regolamentazione. Regolamentazione di cui aveva parlato la scorsa estate uno dei siti più informati sulle questioni vaticane, Il Sismografo. Il giornalista Luis Badilla, infatti, aveva previsto l'entrata in vigore di una legislazione ad hoc sulla rinuncia papale, spiegando anche che negli ambienti canonistici si discuteva persino della possibilità di prevedere un limite d'età dopo il quale il Papa potrebbe andare "in pensione". Un limite ipotizzato a 85 anni, età che Francesco ha compiuto a dicembre.

(ANSA il 4 luglio 2022) - "Per il momento non penso alle dimissioni": lo ha ribadito il Papa in una intervista a Reuters. La prossima visita all'Aquila, il 28 agosto, ha alimentato speculazioni al riguardo considerato che nel capoluogo abruzzese è sepolto Celestino V, che si dimise nel 1294. Francesco ha smentito questa interpretazione: "Tutte queste coincidenze hanno fatto pensare ad alcuni che la stessa 'liturgia' sarebbe avvenuta. Ma non mi è mai passato per la testa. Per il momento no, per il momento no. Davvero!". Il Papa allo stesso tempo è tornato a dire che la possibilità di dimettersi è presa in considerazione, soprattutto dopo la scelta fatta da Benedetto XVI nel 2013, nel caso la salute gli rendesse impossibile continuare nel suo ministero. Ma alla domanda su quando potrebbe accadere, ha risposto: "Non lo sappiamo. Dio lo dirà".

(ANSA il 4 luglio 2022) - Papa Francesco smentisce alcune voci secondo le quali gli sarebbe stato diagnosticato un cancro un anno fa, quando si è sottoposto a un'operazione per rimuovere un tratto del colon a causa di una diverticolite. 

"L'operazione è stata un grande successo", ha detto il Papa in un'intervista a Reuters, aggiungendo: "non mi hanno detto nulla" sul presunto cancro, che ha liquidato come "pettegolezzi di corte". Ha poi ribadito di non volere un'operazione al ginocchio perché l'anestesia generale dell'intervento dello scorso anno aveva avuto effetti collaterali negativi. Sul suo dolore al ginocchio spiega di aver subito "una piccola frattura" quando ha fatto un passo falso mentre un legamento era infiammato. "Sto bene, sto lentamente migliorando", ha aggiunto, spiegando che la frattura sta guarendo, aiutata dalla terapia con laser e magneti.

(ANSA il 4 luglio 2022) - "Vorrei andare in Ucraina, e prima volevo andare a Mosca. Ci siamo scambiati messaggi su questo perché ho pensato che se il presidente russo mi avesse dato una piccola finestra per servire la causa della pace...". Lo ha detto il Papa a Reuters. "E ora è possibile, dopo essere tornato dal Canada, è possibile che riesca ad andare in Ucraina", ha detto. "La prima cosa è andare in Russia per cercare di aiutare in qualche modo, ma mi piacerebbe andare in entrambe le capitali".

Parlando della situazione in Ucraina, Francesco ha fatto notare che ci sono stati contatti tra il Segretario di Stato, il cardinale Pietro Parolin, e il ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov, su un possibile viaggio a Mosca. I segnali iniziali - ha detto il Papa a Reuters - non sono stati buoni. Si è parlato di questo possibile viaggio per la prima volta, diversi mesi fa, ha detto il Papa, spiegando che Mosca ha risposto che non era il momento giusto. Ha lasciato comunque intendere che ora qualcosa potrebbe essere cambiato: "Ho pensato che se il presidente russo mi avesse dato una piccola finestra per servire la causa della pace...", ha detto lasciando in sospeso l'ipotesi.

CHRIS PLEASANCE PER MAILONLINE e AP il 12 luglio 2022.  

Papa Francesco ha nuovamente accennato alla sua intenzione di ritirarsi, dicendo che "la porta è aperta" per dimettersi da capo della Chiesa cattolica. 

Francesco ha detto che il pensionamento del suo predecessore - papa emerito Benedetto - è andato "piuttosto bene" e che potrebbe anche andare in pensione "se è il momento giusto" e "se sopravvivo". 

Ma l'85enne, che ha subito attacchi di cattiva salute negli ultimi mesi, ha negato di avere intenzione di smettere presto. 

Papa Francesco, 85 anni, ha nuovamente accennato alla sua intenzione di andare in pensione, dicendo che "la porta è aperta" e che potrebbe voler tornare a casa, nella sua nativa Argentina, dopo le dimissioni 

Papa Francesco, 85 anni, ha nuovamente accennato alla sua intenzione di andare in pensione, dicendo che "la porta è aperta" e che potrebbe voler tornare a casa, nella sua nativa Argentina, dopo le dimissioni

Parlando con l'emittente messicano-americana TelevisaUnivision nel suo spagnolo nativo, Francis ha detto: "La prima esperienza è andata piuttosto bene perché [Benedict] è un uomo santo e discreto, e l'ha gestita bene. 

"Ma in futuro, le cose dovrebbero essere delineate di più, o le cose dovrebbero essere rese più esplicite". 

Il papa ha aggiunto: 'Penso che per aver fatto il primo passo dopo tanti secoli ottiene 10 punti. È una meraviglia.' 

Francis ha detto che si sarebbe anche dimesso se fosse stato il momento giusto prima di morire mentre era ancora in servizio, "se sopravvivo". 

Alcuni cardinali e avvocati canonici hanno a lungo messo in dubbio le decisioni di Benedetto in pensione, incluso il suo continuare a indossare la tonaca bianca del papato e mantenere il suo nome pontificio piuttosto che tornare a Josef Ratzinger.

Dicono che quelle scelte e la continua presenza di Benedetto in Vaticano abbiano creato confusione tra i fedeli e consentito ai critici tradizionalisti di Francesco di utilizzare Benedetto come punto di raccolta, minacciando l'unità della Chiesa cattolica. 

Alla domanda se avrebbe continuato a vivere in Vaticano dopo il pensionamento, Francesco ha risposto "sicuramente no".

Ma ha detto "forse" quando gli è stato suggerito di stabilirsi nella Basilica di San Giovanni in Laterano, che è la tradizionale sede del vescovo di Roma. 

«Io sono il vescovo di Roma, in questo caso il vescovo emerito di Roma», ha aggiunto Francesco. 

Ha anche ricordato che aveva programmato di ritirarsi dalla carica di arcivescovo di Buenos Aires al momento del conclave del 2013 che lo ha portato a diventare papa.

Papa Francesco: in caso di dimissioni sarò vescovo emerito di Roma e non resterò in Vaticano. Gian Guido Vecchi su Il Corriere della Sera il 12 Luglio 2022.

Il pontefice chiarisce: «Non ho intenzione di lasciare». Ma poi spiega: «Occorre delineare meglio e rendere esplicite» le regole per le dimissioni». 

«Al momento non ho intenzione di dimettermi», ripete Francesco. Ma spiega, in un’intervista a TelevisaUnivision, che in futuro le dimissioni del Papa andranno definite e «delineate un po’ meglio, rese più esplicite» e che, se mai lo facesse, seguirebbe criteri diversi da Benedetto XVI: si farebbe chiamare «vescovo di Roma emerito» e non Papa emerito, non indosserebbe la talare bianca né vivrebbe in Vaticano, «sicuramente no». Del resto, non tornerebbe neppure in Argentina ma rimarrebbe a Roma, «forse» in San Giovanni in Laterano.

«Se sopravvivo dopo le dimissioni, vorrei confessare e andare a vedere i malati» come un semplice prete, ha spiegato alle giornaliste messicane María Antonieta Collins e Valentina Alazraki. È vero che «gli fa un po’ male il ginocchio» e si sente un poco «sminuito», pur potendo camminare, ma «mai» gli è venuto in mente di dimettersi per questo. Tuttavia, «se vedo che non posso, o mi faccio male o sono un ostacolo», ha spiegato, confida nell’«aiuto» per prendere la decisione di ritirarsi.

«Dio lo dirà», ha spiegato più volte: Francesco non ha mai escluso la possibilità di dimissioni. Già nel 2014 aveva spiegato che Benedetto XVI «ha aperto una porta, la porta dei papi emeriti» e se «un vescovo di Roma sente le forze venir meno, credo debba farsi le stesse domande di Benedetto». Ora le sue parole, piuttosto, aprono alla possibilità di un provvedimento legislativo che definisca per il futuro un quadro di regole in caso di dimissioni di un Papa. E la scelta eventuale di farsi chiamare «vescovo emerito», come avviene nelle altre diocesi, di non vestire di bianco né risiedere in Vaticano, appare come un modo di evitare equivoci interessati e confusione sui cosiddetti «due papi», com’è accaduto in questi anni. Il Papa è uno solo.

Che in Vaticano si stia pensando da tempo a definire la faccenda, del resto, lo confermano le parole del cardinale Giuseppe Versaldi, canonista, prefetto emerito della Congregazione per l’Educazione cattolica: «Sono d’accordo con Papa Francesco, credo che sarebbe necessario ordinare giuridicamente l’ipotesi di dimissioni del Papa, che ormai non sono più impossibili. La prima volta non c’era un ordinamento, ma è andata bene perché Benedetto l’ha gestita bene. Ma non si può lasciare scoperta dal punto di vista istituzionale una tale ipotesi in futuro».

 La sfida per la Chiesa. Le tre ragioni per cui Papa Francesco non è un populista. Dante Monda su L'Inkiesta il 29 Giugno 2022.

Dante Monda approfondisce il tema del progetto di inclusività immaginato dal Pontefice: Bergoglio non è un leader politico che arringa una massa, ma una guida spirituale universale

L’unità del popolo proposta dal populismo si esprime in una «volonté générale» unica, secondo la concezione di Rousseau, considerata di per sé legittima e valida anche moralmente. Müller lo sottolinea nel suo saggio What is populism? definendo il populismo «a particular moralistic imagination of politics», e sottolineando il suo carattere anti-pluralista: «the core claim of populism is thus a moralized form of antipluralism». Mudde e Kaltwasser definiscono infatti, oltre ovviamente all’elitismo, il pluralismo come nemico principale del populismo. La volontà generale non è plurale ma una, e se ha sempre ragione allora si riduce o viene meno lo spazio per altre volontà. L’unità è unanimità omogenea del popolo «puro» da differenze e dissensi. 

Alla luce di queste definizioni si può riprendere l’analisi del pensiero di Francesco, chiedendosi che rapporto abbia con il populismo. Francesco è popolare, ma non «populista», per tre ragioni. Innanzitutto perché non è un leader in senso politico: egli non guida, da sopra, una massa omogenea coesa ideologicamente, come un leader politico. Al contrario, essendo un pastore e un missionario, incontra a tu per tu,  provando a «guardare almeno una persona, un volto preciso», ognuno nella sua diversità e anche lontananza. Solo così riesce a guidare, o meglio ad accompagnare, tutti verso un’unità comune, una comunità, partendo dalle loro singole particolarità. Illuminante in questo senso è il modo in cui egli delinea la tensione fra particolarità e totalità, mantenendola sempre aperta nonostante il principio «il tutto è superiore alle parti» sembrerebbe dare preminenza alla totalità: si tratta di una preminenza simbolica, che indica la direzione verso cui si deve puntare, l’unità, senza però giungervi mai:

“Essere un popolo non significa annullare se stessi (la propria soggettività, i propri desideri, la propria libertà, la propria coscienza) a favore di una pretesa totalità che, in definitiva, non si tradurrebbe in altro se non nell’imposizione di alcuni sugli altri. Ciò che è «comune», ovvero della comunità del popolo, può essere «di tutti» solo se al contempo è «di ciascuno». Riferendoci simbolicamente all’episodio biblico della Pentecoste potremmo dire che non esiste una lingua unica, bensì la peculiare capacità di comprenderci l’un l’altro parlando ognuno nella propria (At 2,1-11)”.

Il riferimento simbolico cui si ispira Francesco è la Pentecoste: universalità ma non omogeneità. Egli scrive «il cristianesimo non dispone di un unico modello culturale». La «lingua», cioè il modo di organizzare le idee e le cose, resta diversa per ciascuno, eppure ci si può comprendere. La «cultura dell’incontro» è proprio questo: vivere la prossimità a partire dalla lontananza e dalla differenza. […] 

La seconda ragione per cui Francesco non è populista, risiede nel contenuto della dottrina teologica cristiana e nelle sue conseguenze etico-politiche. Infatti l’idea che Bergoglio/Francesco ha di popolo […] è diretta derivazione del comandamento evangelico dell’amore per il prossimo: è il farsi prossimo a costruire un «farsi popolo», integrando il conflitto nell’unità, il peccato nella misericordia. Se si dimentica questo elemento fondamentale non si coglie il centro del messaggio, anche politico, di Francesco, che è il Vangelo. È solo l’amore che richiama ad una risposta, a una «responsabilità» da «non fuggire». In questo consiste quello che lui definisce provocatoriamente il «populismo cristiano»: innanzitutto una risposta, un ascolto, non un parlare, o peggio un «gridare, accusare e suscitare contese». L’amore, che è amore di Dio, sovrannaturale, «non avrà mai fine», supera, riconoscendoli ma relativizzandoli, i conflitti e le divisioni, e supera, mantenendola ma relativizzandola, anche la razionalità. La comunità dunque, al contrario della teoria contrattuale di Hobbes, fondata sulla paura e sulla forza, per il cristianesimo nasce dall’incontro nell’amore. Prendendo come riferimento Agostino, Francesco pone al centro del suo pensiero politico l’amor. Esso, come indica il padre della Chiesa, deve essere amor Dei e non amor sui, cioè aperto al trascendente e non auto-riferito. Solo «l’apertura umile e contemplativa nel confronti del prossimo» e la «piena accettazione dell’altro», proprio come segno della trascendenza, costruiscono il popolo. Il paradosso cristiano è lampante e la logica terrena del politico è messa in discussione. Il cristianesimo supera la paralizzante paura e la condanna della debolezza, cardine di ogni struttura politica di disciplina teorizzata more geometrico a partire da Hobbes. La relativizza attraverso una «misericordia» che spinge «a uscire da sé con forza e audacia», e al coraggio sovrumano dell’inclusione:

“Gesù osserva la realtà senza lasciarsi andare ad alcun giudizio né a constatazioni paralizzanti; al contrario, ci invita all’azione fervida. La sua audacia consiste proprio nel compiere un atto inclusivo. … La grandezza e la vulnerabilità del popolo fedele, che colmano di misericordia il Signore, non lo conducono a fare un calcolo prudente dei nostri limiti, secondo il suggerimento degli apostoli, bensì lo spingono alla cieca fiducia, alla generosità e alla magnanimità evangelica, come accade nell’episodio della moltiplicazione dei pani e dei pesci”. 

Terza ragione per cui Francesco non è populista è che non è un politico, ma il capo della Chiesa cattolica, che è universale. […] Pur avendo di mira il bene comune, il politico dovrà sempre riconoscersi come parte, cioè dovrà rappresentare la sua constituency: proprio questo lo rende capace di agire sulla realtà sociale. Il Papa invece, nominato a vita dal collegio cardinalizio, e secondo la dottrina cattolica su ispirazione dello Spirito Santo, in linea di principio non ha vincoli con alcuna parte sociale contingente e non deve lottare politicamente contro nessuno. Per questo egli non parla di politica, se la si intende come gioco di forze contrapposte o anche come sistema di elaborazione di politiche pubbliche, ma di «Politica con la maiuscola», cioè dell’orientamento morale dell’azione nella comunità. La forza del suo appello al cambiamento consiste nel dare indicazioni, direzioni: tocca agli attori politici seguirle e percorrerle. Lo dice chiaramente: 

“Vogliamo un cambiamento che si arricchisca con lo sforzo congiunto dei governi, dei movimenti popolari e delle altre forze sociali… Ma non è così facile da definire il contenuto del cambiamento, si potrebbe dire il programma sociale che rifletta questo progetto di fraternità e di giustizia che ci aspettiamo. Non è facile definirlo. In tal senso non aspettate da questo papa una ricetta. Né il papa né la Chiesa hanno il monopolio dell’interpretazione della realtà sociale né la proposta di soluzioni ai problemi contemporanei. Oserei dire che non esiste una ricetta”.

Sono parole nette. La soluzione immediata, tecnica, ai problemi non la può dare un leader religioso. Addirittura forse «non esiste». Il realismo di Francesco è schietto, egli sa che sulla terra non si può realizzare il regno di Dio tramite un sistema perfetto. Eppure sa anche che si può e si deve mettere in movimento la Storia per far schiudere, già nel presente, il suo compimento pur sempre escatologico, seminando con pazienza e accogliendo l’azione provvidenziale dello Spirito. 

In sintesi Francesco non è populista, nel significato che si dà a questa parola nella teoria politica attuale. Fondamentalmente perché, da pastore missionario (non leader) della Chiesa cristiana (fondata sul comndamento dell’amore) cattolica (cioè universale, superiore alle parti), fuoriesce dalla logica del politico inteso nei termini di Carl Schmitt (amico/nemico), secondo cui il popolo sarebbe un oggetto omogeneo che esiste in quanto contrapposto all’altro, che è il nemico. Insomma egli non è populista perché non è politico. 

“Papa Francesco e “il popolo”. Una sfida per la Chiesa e la democrazia”, di Dante Monda, (Morcelliana), numero pagine, 13 euro

A. Bul. per “il Messaggero” il 9 giugno 2022.

La frase, raccontano, l'ha buttata lì durante un colloquio privato con i vescovi italiani. Ma quella battuta che fino a un decennio fa avrebbe dipinto soltanto sorrisi divertiti sui volti dei presenti, stavolta ha fatto drizzare le antenne a più di un osservatore. «Piuttosto che operarmi mi dimetto», ha detto, con la sua solita verve, Papa Francesco, costretto da più di un mese su una sedia a rotelle per via di un dolore al ginocchio che non vuol sapere di andarsene. Eppure. Eppure in un attimo, dai corridoi del Vaticano, la voce rimbalza sui principali siti internazionali.

«Il Papa si avvicina alla fine del suo pontificato?», si chiede il Washington Post, seguito dal francese Le Figaro. Perché, oltre al precedente di Joseph Ratzinger, il primo pontefice a fare il gran rifiuto da quasi otto secoli a questa parte, chi parla della possibilità di dimissioni di Francesco legge anche altri segnali. 

Indizi, briciole che il Papa avrebbe disseminato nelle scorse settimane per preparare la strada alla sua ipotetica rinuncia. A cominciare dall'annunciata visita del prossimo 28 agosto all'Aquila. Città, guarda caso, legata alla memoria di Celestino V, il primo - e fino a Benedetto XVI unico - capo della chiesa cattolica ad abbandonare il soglio di Pietro, nel 1294. 

Ma c'è di più. Due giorni prima, il 26, il Pontefice ha indetto un concistoro per la creazione di 16 nuovi cardinali elettori. Una data insolita, fa notare chi crede all'ipotesi dimissioni, per convocare porporati da ogni parte del mondo sotto il sole rovente di Roma.

Non solo: nei giorni successivi Francesco ha convocato una riunione straordinaria tra tutti i porporati per parlare con loro della riforma della curia e di come la Chiesa debba adeguarsi alle sollecitazioni esterne. Un appuntamento inedito, non accompagnato da alcuna nota ufficiale di spiegazione, che alcuni hanno letto come un'occasione per dar modo ai potenziali elettori del suo successore di conoscersi, di stringere amicizie e alleanze in vista di un possibile conclave. 

Voci non inedite, anzi. Di rinuncia si era già parlato un anno fa, quando Bergoglio fu ricoverato per un intervento al colon. «Non mi è passato neanche per la testa», chiarì poi il diretto interessato in un'intervista alla radio spagnola. Ipotesi che, ora come allora, il Vaticano torna a liquidare in modo netto. Papa Francesco, filtra da Oltretevere, ha seri problemi al ginocchio, ma non ha perso né il buonumore né la voglia di fare progetti.

A luglio sarà in Africa come da programma: prima in Congo e in Sud Sudan. Poi in Canada.

Missioni impegnative per un uomo che a dicembre compirà 86 anni, ma che è difficile interpretare come un viaggio d'addio. Parlando della sua salute, sempre in compagnia dei vescovi, il Papa ha spiegato che dalla malattia sta imparando molto. L'intervento, invece, «non lo metto in agenda: non mi va di sottopormi a una nuova anestesia - avrebbe confidato -, non mi va di tornare a fare riabilitazione». All'udienza generale di ieri, poi, è tornato sul tema della vecchiaia: «Tanti trucchi, tanti interventi chirurgici» per nasconderla. Poi ha citato le parole di una «saggia attrice italiana», Anna Magnani: «Le rughe? Non toccarle, ci sono voluti tanti anni per averle». Sono «un simbolo dell'esperienza, ha aggiunto Bergoglio. Chissà se vale lo stesso per un acciacco al ginocchio.

Vito Mancuso per “la Stampa” il 9 giugno 2022.

Riflettere sulle eventuali dimissioni di Papa Francesco di cui non pochi nel mondo vociferano significa riflettere sull'essenza del papato. Cos' è il papato? Uno status sacrale o un ministero? Con le sue dimissioni del 10 febbraio 2013 Benedetto XVI ha definitivamente indicato alla coscienza cattolica contemporanea che l'identità del papato consiste nell'essere un ministero, cioè una funzione, un servizio, un compito che si deve svolgere e che, cessando le forze fisiche e psichiche per il suo svolgimento, si deve lasciare. 

Prima delle dimissioni di Benedetto XVI "essere papa" e "fare il papa" era la medesima cosa, la persona e il ruolo si identificavano senza soluzione di continuità, e anzi, se tra le due dimensioni doveva prevalerne una, questa era certamente quella di "essere papa", mentre passava in secondo piano il fatto di avere o no le piene possibilità di poterlo fare. Giovanni Paolo II ebbe una lunga e conclamata malattia, non poteva più "fare" il papa, ma lo era, e ciò bastava.

Prevaleva la dimensione sacrale legata allo status, al carisma, all'essere. Non a caso Giovanni Paolo II, quando qualcuno gli prospettava l'ipotesi delle dimissioni, era solito ripetere: «Dalla croce non si scende». Benedetto XVI volle forse scendere dalla croce? No, piuttosto considerò il papato un ministero, un servizio da prestare, e quindi giunse a riconoscere pubblicamente che il calo progressivo delle sue forze fisiche e psichiche non gli permetteva più di "fare il papa". La funzione ebbe la meglio sull'essenza. 

Tale distinzione tra persona e ruolo introdotta da Benedetto XVI con le sue dimissioni si concretizzò in queste parole dette in latino ai cardinali: «Le mie forze, per l'età avanzata, non sono più adatte per esercitare in modo adeguato il ministero petrino».

Nel testo originario: "munus petrinum", con il sostantivo "munus" che propriamente significa "prestazione, compito, ufficio, servizio". Il passaggio decisivo però in quel clamoroso annuncio papale di nove anni fa è quest' altro: «nel mondo di oggi».

Ecco la frase per intero: «Nel mondo di oggi per governare la barca di san Pietro è necessario anche il vigore sia del corpo sia dell'animo, vigore che, negli ultimi mesi, in me è diminuito». Nel mondo di ieri, faceva intendere Benedetto XVI, la distinzione tra persona e ruolo poteva anche non emergere e un Joseph Ratzinger indebolito avrebbe ancora potuto continuare a essere Benedetto XVI. Nel mondo di oggi, invece, non è più così. Fu un segnale di grande autoconsapevolezza e lucidità. 

L'errore a quel tempo fu semmai quello di non essere stati conseguenti fino in fondo, comprendendo che, con la rinuncia al ministero petrino, si decade anche dal titolo che esso comporta, e che quindi non ha propriamente senso denominare oggi Joseph Ratzinger "Papa emerito".

Lo si può fare per comprensione e gentilezza, così come in ambito laico ci si rivolge a chi ha ricoperto una carica presidenziale continuando a chiamarlo informalmente presidente, ma, come il presidente della Repubblica italiana è Sergio Mattarella e Giorgio Napolitano non è presidente emerito ma solo ex presidente e senatore a vita, allo stesso modo avrebbe dovuto essere per la Chiesa: un Papa che si dimette da Papa non è più Papa, né emerito né di altro tipo. 

Ha avuto l'incarico di esercitare il "munus petrinum", ma poi, lasciato l'incarico, è solo un ex Papa. Per questo Ratzinger non avrebbe dovuto continuare a vestirsi di bianco, ma avrebbe dovuto tornare a vestirsi di nero, o di rosso, non più però di bianco.

Se le cose fossero andate così, oggi Papa Francesco avrebbe molto meno difficoltà a dimettersi da Papa e a tornare a essere semplicemente Jorge Mario Bergoglio.

Al momento però non lo può fare perché l'eventuale presenza di ben due papi emeriti accanto al nuovo Papa nella pienezza dei poteri creerebbe obiettivamente una situazione imbarazzante: tre papi nello stesso momento, vivi e presenti in Vaticano. Li riuscite a immaginare in una foto tutti e tre vestiti di bianco? L'interrogativo in ogni caso è sempre il medesimo di allora: «nel mondo di oggi» papa Francesco è in grado di continuare a guidare la barca di Pietro come essa richiede? 

Nove anni fa Benedetto XVI rispose nel modo che sappiamo, oggi è solo la coscienza di Papa Francesco a poter rispondere e certamente essa lo illuminerà nel modo migliore. Una cosa comunque, a mio avviso, deve essere chiara: che se papa Francesco si dimetterà, dovrà compiere un ulteriore passo in avanti rispetto al suo predecessore e rinunciare anche alla qualifica di "Papa emerito" e alla veste bianca. Sarebbe la maniera migliore di augurare buon lavoro al suo successore.

Il Papa e le due parole (inventate). La fake news della scomunica di Papa Francesco a Minniti. Fabrizio Mastrofini su Il Riformista il 3 Giugno 2022. 

Perché Papa Francesco non è andato a Firenze il 22 febbraio 2022 all’incontro dei sindaci e dei vescovi dei paesi del Mediterraneo? Non per i problemi al ginocchio, quelli erano semmai la scusa per “marcare visita”. Il motivo in realtà era politico: il Papa non voleva incontrare l’ex-ministro dell’Interno Marco Minniti ed altri “implicati nell’industria delle armi”. Tanto rivela il blog “silerenonpossumus” (non possiamo tacere), che si vanta “di fornire uno sguardo sulla Chiesa e sul mondo da dentro lo Stato della Città del Vaticano”.

Lo straordinario della “faccenda” riguarda non tanto la fantasia degli autori del blog (tutti rigorosamente anonimi, come si fa nella migliore pratica della mancata trasparenza!) ma che venga ripreso addirittura da il manifesto. E così vediamo in che modo destra e sinistra si saldino tra loro. Ma al di là di questo, la fantasiosa ricostruzione del blog sconfina nel paradossale. Secondo quanto si scrive, nell’incontro a porte chiuse con i vescovi italiani riuniti in assemblea che si è svolto il 23 maggio, papa Francesco avrebbe motivato il suo mancato viaggio a Firenze per non incontrare Minniti & Co. A domanda, avrebbe risposto così. Ma la sorpresa è un’altra. Cioè che di fronte alla risposta del Papa, scrive il blog, “è intervenuto l’Arcivescovo di Firenze, Sua Eminenza Rev.ma il Sig. Cardinale Giuseppe Betori, il quale ha detto al Papa: ‘Padre Santo Lei è stato informato male perchè c’erano due convegni. C’era il convegno dei vescovi e quello dei sindaci che lo ha organizzato il sindaco Nardella. Ci siamo uniti solo successivamente, l’ultimo giorno’.

Francesco ha quindi ribattuto: ‘No, no, tu puoi continuare a dire quello che vuoi, a me hanno detto che c’erano questi signori e ho visto i video di questi invitati, c’era anche Minniti’. Il Cardinale Betori ha continuato a dire al Papa che non era il medesimo convegno ma il Papa ha concluso dicendo: ‘No, no, io ho visto. Poi mi hanno fatto vedere quando erano al ministero quali leggi hanno fatto, sono dei criminali di guerra e ho visto anche i campi di concentramento in Libia dove tenevano questa gente che loro hanno respinto’!”. Ricostruzione veramente fantasiosa se appena si conosce il cardinale Betori, un bravo sacerdote di sicuro, ma fuori posto nel ruolo di aprire un contraddittorio con il Papa. E poi, diciamolo pure, un blog che scrive “Sua Eminenza Rev.ma il Sig. Cardinale Giuseppe Betori” e “Padre Santo” (‘Santo’ già in vita…?) probabilmente vive ancora nell’Ottocento (o forse anche prima…) e non appare molto attendibile.

Insomma vale la pena di portare avanti un’altra lettura, con buona pace de il manifesto che si presta a dare credito a chissà chi. Infatti la ricostruzione è appoggiata su niente, come nel migliore dei mondi cattolici: quali sono le fonti? Da dove viene il virgolettato? E trattandosi di un articolo non firmato ma solo siglato, dentro un sito in cui si parla di una “redazione” ma non c’è un solo nome – solo richiesta di soldi – il sospetto che si tratti di una farloccata davvero diventa molto alto. Farloccata che forse racconta un’altra storia. Questa sì, assai seria. Tutti sappiamo come è andata a finire quella assemblea dei vescovi italiani: cioè con la scelta del cardinale Zuppi primo della terna per il nuovo presidente, confermato alla velocità del suono da Papa Francesco. Ecco allora che si avanza un sospetto. Nel fantasioso dialogo a porte chiuse, forse si voleva gettare un’ombra proprio sul Papa e proprio sul cardinale Zuppi quale scelta di papa Francesco stesso. Insomma, è un messaggio trasversale, tipico del mondo cattolico, per dire e far sapere all’arcivescovo di Bologna che ci sono orecchie in ascolto attente e bocche pronte a far circolare indiscrezioni. Del resto, già un blog con quel nome, rinvia a modalità operative da indiscrezioni, lettere anonime, maldicenze, pettegolezzi.

Ed è qui che si annida uno dei veri problemi della Chiesa cattolica, in Italia e non solo. Il tanto famigerato e desiderato “rinnovamento” – si chiami ‘parrusia’ come una volta ha detto il Papa, cioè parlare liberamente; la tanto sbandierata ‘sinodalità, chimera che nessuno sa come sia fatta – casca dentro modi di agire, di comportarsi, di parlare, che vanno in tutt’altra direzione. E certamente un nuovo presidente della Cei, da solo, non può cambiare una mentalità incancrenita, visto che il libero dibattito nella Chiesa non esiste. Infatti proliferano i blog tradizionalisti, si sprecano le critiche da destra e da sinistra, e manca l’unica condizione davvero necessaria: il dialogo e il dibattito sulle diverse posizioni per arrivare poi a delle sintesi efficaci e soprattutto vincolanti. Accade perché anche qui è in atto una sofisticata strategia che punta a disinformare. I problemi della Chiesa italiana non riguardano la nuova presidenza della Cei o la visita mancata del Papa a Firenze o se il Papa sia in sintonia o meno con i vescovi sulla diagnosi e sulla prognosi della situazione della Chiesa in questo paese.

Magari fosse così! In realtà i problemi della Chiesa italiana sono molto più gravi, come si ostina a dire ogni tanto un sito serio (vi invito a frequentarlo) come www.settimananews.it (dei Dehoniani di Bologna). E i problemi veri si chiamano formazione dei preti, capacità di coinvolgere dei laici competenti nelle scelte da fare, pastorale inesistente verso i giovani (infatti per la fascia di età dai 17 anni in su in parrocchia non esiste), pastorale familiare in grande affanno. Non a caso – ad esempio – papa Francesco ha dedicato quest’anno a valutare l’impatto che ha avuto l’Esortazione apostolica “Amoris Laetitia” del 2016 sulla pastorale familiare. Si tratta, per intenderci, del documento conclusivo dopo due Sinodi dei vescovi, che ridisegna l’approccio della Chiesa verso le famiglie, con una piccola apertura verso i divorziati e risposati che è diventato un vero e proprio “casus belli”. E che comunque è solo una nota (la 451) dentro un documento ampio e complesso. Ma tant’è, quella piccola nota ha reso difficoltosa la ricezione del documento in tutto il mondo, come ha documentato venti giorni fa un convegno di studio dell’Università Gregoriana e del Pontificio Istituto Giovanni Paolo II per la Scienze del Matrimonio e della Famiglia (diretto da mons. Vincenzo Paglia). E così tra lotte intestine, veti incrociati, dispute teologiche piuttosto inutili, la Chiesa in Italia segna il passo e resta poco capace di parlare ai concittadini.

Ecco allora emergere a passo di carica (papale), il carisma del cardinale Zuppi. Ma sarà capace, un uomo solo, di impartire una nuova rotta a tutta la situazione? Certamente la risposta è negativa, se prima non si affrontano i nodi irrisolti: dal proliferare dei siti tradizionalisti al vezzo costante di riverire il potente di turno davanti, disfacendo e distruggendo di nascosto. La Chiesa insomma è un’immensa tela di Penelope che non porta da nessuna parte fino a quando non si porrà mano davvero alle situazioni e fino a quando non si deciderà di mettere seriamente a tema l’importanza di avere una linea per davvero comune e sensata. Per riuscire a farlo, serve avere una cultura del dialogo e del dibattito ed una capacità di dipanare i nodi irrisolti. Che si chiamano – qui come altrove – senso e desiderio del potere, narcisismo ecclesiale, controllo delle coscienze, mentalità da ‘buco della serratura’.

Ve lo vedete voi un sacerdote o un vescovo, capace di dire a una coppia di sposi: decidete liberamente come esercitare la vostra sessualità, siate responsabili, perché solo vostra è la scelta? Quando accadrà, avremo davvero compiuto dei passi in avanti. In attesa, il consiglio alla leadership ecclesiale è: fai i conti con la tua opposizione interna, perché se la lasci libera di screditarti e di dire quel che vuole senza contraddittorio, non andrai certamente molto avanti e le situazioni non cambieranno. Invece devono cambiare, perché i preti calano drammaticamente in una Chiesa che ha puntato sulla clericalizzazione e ora non sa che fare, in una Chiesa in cui la formazione è inadeguata (seminari pensati dal Concilio di Trento…), mentre autoreferenzialità e narcisismo dilagano. E così sia!

Fabrizio Mastrofini. Giornalista e saggista specializzato su temi etici, politici, religiosi, vive e lavora a Roma. Ha pubblicato, tra l’altro, Geopolitica della Chiesa cattolica (Laterza 2006), Ratzinger per non credenti (Laterza 2007), Preti sul lettino (Giunti, 2010), 7 Regole per una parrocchia felice (Edb 2016).

Il no del Papa a Minniti è tutto vero, ma resta l’intimidazione a Zuppi. Fabrizio Mastrofini su Il Riformista il 5 Giugno 2022. 

Mi ha chiamato un sacerdote, “uno che sa”, per dirmi che la ricostruzione del dialogo Papa-vescovi italiani sul mancato viaggio a Firenze è tutta vera. Certo le frasi esatte non sono forse quelle riportate da “silerenonpossumus” (al quale ho dato del “farlocco”, esagerando, anche se resta un sito ‘opaco’ e con testi anonimi) ma nella sostanza papa Francesco ha detto che non andava al convegno dei vescovi e sindaci del Mediterraneo (due convegni distinti, con un momento comune) per il ginocchio malato ma soprattutto per la politica del governo italiano (ministro dell’Interno Marco Minniti) di freno all’emigrazione contenendo i profughi in veri e propri lager in Libia.

Dunque è vero, il Papa si è espresso in quel modo. Allora, vuol dire che la situazione è peggio ancora di come l’avevo descritta. Avevo sottolineato che la Cei ha un problema di comunicazione interna e fare uscire quella parte di un dialogo riservato è un messaggio trasversale al neopresidente cardinale Zuppi per dirgli che qualcuno vede, ascolta, registra, fa trapelare. Invece è ancora peggio. Prima di tutto perché nella sostanza il Papa ha ragione. La politica di alcuni governi sui profughi è andata letteralmente sulla pelle di questi poveracci; quelli arrivati fortunosamente hanno raccontato torture e trattamenti disumani, come le cicatrici testimoniano, non invenzioni. E che hanno fatto i vescovi, la società civile, tutti noi? Abbiamo ignorato e lasciato il Papa da solo a denunciare politiche medievali di autentica insensibilità. Quindi onore al coraggio del Papa.

Però sia lecito chiedere: perché i vescovi hanno sollevato la domanda a fine maggio? Possibile che a febbraio quando è arrivata la cancellazione del viaggio a Firenze, nessuno – presidenza della Cei, vescovo di Firenze o altri – nessuno abbia chiesto il perché? Dobbiamo aspettare giugno, peraltro dieci giorni dopo quel colloquio riservato. E a che serve fare uscire quattro mesi dopo la notizia (ma è una notizia?) se non a mandare, appunto, un messaggio trasversale al presidente della Cei oggi in carica? Da qui i nodi davvero irrisolti: la Chiesa in Italia si rivela un’immensa tela di Penelope, dove si scrive di giorno e di sera si disfa facendo trapelare qualsiasi notizia senza capire davvero la logica. E così il risultato è andare da nessuna parte, fino a quando non si porrà mano davvero alle situazioni e fino a quando non si deciderà di mettere seriamente a tema l’importanza di avere una linea per davvero comune, condivisa, sensata e soprattutto evangelica.

Per riuscire a farlo, serve una cultura del dialogo e del dibattito ed una capacità di dipanare i nodi irrisolti. In attesa, il consiglio alla leadership ecclesiale è: fare i conti con l’opposizione interna, perché se la lasci libera di screditare e dire quel che vuole senza contraddittorio, le situazioni non cambieranno. Invece devono cambiare, perché i preti calano drammaticamente in una Chiesa che ha puntato sulla clericalizzazione e ora non sa che fare, in una Chiesa in cui la formazione è inadeguata (seminari pensati dal Concilio di Trento…), mentre autoreferenzialità e narcisismo dilagano. E in una società che ha bisogno di prospettive, di progetti, di speranza.

Fabrizio Mastrofini. Giornalista e saggista specializzato su temi etici, politici, religiosi, vive e lavora a Roma. Ha pubblicato, tra l’altro, Geopolitica della Chiesa cattolica (Laterza 2006), Ratzinger per non credenti (Laterza 2007), Preti sul lettino (Giunti, 2010), 7 Regole per una parrocchia felice (Edb 2016).

Le invenzioni dei reazionari. “Papa Francesco è molto malato”, la fake dei vescovi di destra per screditare Bergoglio. Fabrizio Mastrofini su Il Riformista il 19 Maggio 2022. 

E ci risiamo con i rumors su papa Francesco: è malato tanto, è malato troppo. E soprattutto l’accusa è di avere a breve l’intenzione di indire un Concistoro per nominare i cardinali e dirigere “da remoto” l’elezione del suo successore. Tutte balle. Si può dire che sono tutte balle, cioè sciocchezze? Intanto mentre viaggiano le notizie sulla salute malferma, il Vaticano ha annunciato il viaggio in Canada a fine luglio, un tragitto non proprio leggero per un Pontefice di 85 anni. Ma le smentite portate dai fatti non servono di fronte alla manipolazione dei fatti stessi. C’è addirittura un gruppo (non faccio i nomi per non dare pubblicità) che ha inventato una rivista dedicata ai cardinali. Perché – dicono – i cardinali tra loro non si conoscono e dunque come potranno scegliere il prossimo papa? E allora via a una rivista in diverse lingue sfogliabile nel sito internet costruito apposta. L’idea in sé sarebbe anche interessante.

Peccato che il secondo numero, ultimo uscito, riporti in copertina un’intervista nientepopodimeno che con il novantunenne cardinale Camillo Ruini. Che poi lo conoscono tutti. E nelle pagine interne un’altra intervista con il cardinale Brandmuller, noto per appartenere al gruppo che firmò i “dubia” cioè le domande sulla ortodossia dell’Esortazione Apostolica Amoris Laetitia del 2016 su matrimonio e famiglia. Insomma la rivista è un’operazione antipapale molto smaccata, che ha spazi di manovra perché papa Francesco non si occupa dei suoi critici. Ma forse su questo sbaglia… Da analizzare, tra tutte, la curiosa accusa al Papa di nominare troppi cardinali e di voler dirigere il prossimo conclave. Qui si capisce l’infondatezza e il pregiudizio verso Papa Francesco. Se nomina i cardinali dirige il prossimo conclave, se non li nomina che succede? E poi i cardinali invecchiano e superati gli 80 anni escono dal gruppo degli elettori. Non devono venire sostituiti? Dovrebbero essere 120 (gli elettori) ma Giovanni Paolo II in alcuni momenti ne nominò molti di più. Lì andava bene?

Tutte le scuse sono buone quando ci sono i pregiudizi. Ma perché ci sono? Perché, si dice, papa Francesco è troppo progressista, è aperturista in teologia e in morale (soprattutto matrimonio e famiglia). E qui si coglie l’infondatezza delle critiche. Un cardinale progressista è una contraddizione in termini: nel caso specifico di Jorge Mario Bergoglio stiamo parlando di un sacerdote di una generazione formatasi prima del Concilio Vaticano II. Per altri cardinali più giovani (ma sempre sopra i 60 anni…), parliamo di una generazione vissuta dopo il Concilio. Non idee rivoluzionarie, ma un Concilio terminato nel 1965, che ha avviato una riforma degli studi e delle modalità di diventare sacerdoti solo a partire dagli anni Settanta e Ottanta. Papa Francesco in teologia non dice in realtà niente di particolarmente nuovo. Nuova semmai è la modalità con cui affronta i problemi. Anzi, non nuova ma diversa dal solito. Nel documento “Veritatis Gaudium” in cui definisce le linee-guida dell’insegnamento delle Università e Facoltà cattoliche, si esprime a favore di un tipo di studio che sia consapevolmente “interdisciplinare” e “transdisciplinare”. Un’impostazione intelligente, vista la necessità di farla finita con la superspecializzazione dei saperi e mettere la teologia in dialogo con tutte le discipline.

Cosa c’è di rivoluzionario? Semmai la Chiesa deve recuperare una certa arretratezza. Nell’Esortazione Apostolica “Evangelii Gaudium” del 2013 indica le linee portanti del pontificato che poi saranno declinate nei discorsi, nelle omelie, nei viaggi, nell’impostazione pastorale e di governo. Le parole-chiave: “Chiesa in uscita” per indicare la nuova evangelizzazione e le caratteristiche che deve avere per essere efficace, inclusiva, rispondente ai bisogni delle persone; le indicazioni di una Chiesa povera per i poveri; un elenco dei rischi e delle tentazioni da evitare per non trasformare l’attività ecclesiale in un puntello per i poteri del mondo. Delinea, il Papa, le caratteristiche dell’annuncio evangelico e il coinvolgimento dei poveri, con l’enucleazione di alcuni princìpi: il tempo è superiore allo spazio, l’unità prevale sul conflitto, la realtà è più importante dell’idea, il tutto è superiore alle parti.

Temi che le scienze umane masticano da decenni mentre la Chiesa ora si affaccia alla riflessione inter e trans-disciplinare perché di fronte ai problemi occorre un atteggiamento nuovo. Qui in effetti è il vero punto di fusione. La domanda giusta è: perché la teologia è in ritardo rispetto alla comprensione del mondo e rispetto alle risposte da dare al bisogno di senso delle persone? Perché con Giovanni Paolo II papa e con il cardinale Joseph Ratzinger prefetto della Dottrina della Fede, ha prevalso un’impostazione di chiusura. Il prefetto ha condannato e silenziato i migliori teologi degli anni Ottanta e Novanta impegnati in un dialogo e riflessione di frontiera con le culture e le religioni. Il Papa, che appoggiava pienamente il cardinale, ha pubblicato, tra le altre, un’enciclica intitolata “Fides et Ratio” e un’altra intitolata “Veritatis Splendor” per argomentare un’idea precisa: la teologia deve seguire il Magistero.

Uccidendo, di fatto, la libertà di ricerca in teologia, introducendo la “missio” cioè l’approvazione del vescovo per i teologi docenti nelle facoltà e università cattoliche. Libertà di ricerca addio se le tue tesi e se le tue ricerche possono valerti l’estromissione dall’insegnamento o la scomunica, come nel caso di un teologo srilankese pioniere nel dialogo con i mondo dell’Oriente. La crisi della teologia del Novecento nasce da qui. Dal fatto di essere stata costretta a svincolarsi dai temi caldi della contemporaneità. E riconnettersi è difficile, nonostante la spinta propulsiva di papa Francesco. Comunque sia qualcosa sta accadendo. Sebbene con grande lentezza e con diverse contraddizioni (episcopati che stanno fermi e non seguono il Papa, mancanza di vere sinergie e libere discussioni che approdino a qualche risultato) si vede qualche spiraglio.

Ad esempio l’enciclica “Fratelli Tutti” ha smosso un gruppo di teologi coordinati dalla Pontificia Accademia per la Vita, che hanno prodotto un Appello per prendere sul serio la fraternità universale e rinnovare la teologia. Anche qui chi non grida allo scandalo fa di tutto per mettere il silenziatore a iniziative valide, facendo finta di non vedere che il mondo è drammaticamente già cambiato con la “terza guerra mondiale a pezzi”, con la pandemia, con il conflitto in Europa. Qualche spiraglio si apre anche negli Usa, dove alcune teologhe e teologi lavorano per mettere al centro della riflessione l’etica (che nel mondo cattolico si chiama teologia morale) incrociandola con la Dottrina sociale della Chiesa, nella consapevolezza che qui ci sono i temi pregnanti del futuro.

E anche quando papa Francesco sottolinea l’importanza di un approccio che si chiama Bioetica Globale (una sola vita da vivere, un solo pianeta, quindi rispetto assoluto per l’ambiente e possibilità di crescita economica, sociale, culturale per ogni essere umano contro ogni visione utilitarista, sovranista, liberista…) in realtà introduce nel dibattito cattolico temi già presenti da un pezzo nel mondo laico, nel tentativo di riannodare i fili del dialogo tra Chiesa e società. Dunque tutto bene? Il nuovo avanza, sia pure con difficoltà? Non proprio, manca un pezzo importante. Se papa Francesco dice che per lui è decisivo “avviare processi” di cambiamento, sarebbe utile avere “procedure” di attuazione e un vero dialogo, per creare consenso e partecipazione attorno ai “processi di cambiamento”. È un aspetto che manca e potrebbe far cadere tutte le aspettative attorno a un pontificato denso di stimoli e spunti di riflessione.

Fabrizio Mastrofini. Giornalista e saggista specializzato su temi etici, politici, religiosi, vive e lavora a Roma. Ha pubblicato, tra l’altro, Geopolitica della Chiesa cattolica (Laterza 2006), Ratzinger per non credenti (Laterza 2007), Preti sul lettino (Giunti, 2010), 7 Regole per una parrocchia felice (Edb 2016).

Codice Bergoglio: come il falso papa Francesco sta rovesciando la fede cattolica nel nuovo messale.  Andrea Cionci su Libero Quotidiano il 25 aprile 2022

Andrea Cionci. Storico dell'arte, giornalista e scrittore, si occupa di storia, archeologia e religione. Cultore di opera lirica, ideatore del metodo “Mimerito” sperimentato dal Miur e promotore del progetto di risonanza internazionale “Plinio”, è stato reporter dall'Afghanistan e dall'Himalaya. Ha appena pubblicato il romanzo "Eugénie" (Bibliotheka). Ricercatore del bello, del sano e del vero – per quanto scomodi - vive una relazione complicata con l'Italia che ama alla follia sebbene, non di rado, gli spezzi il cuore

Lunedì scorso vi abbiamo presentato una sintesi, redatta con l’aiuto di teologi che – ovviamente – non possono comparire, circa la personalissima spiritualità di Bergoglio, la quale non ha niente a che spartire col Cattolicesimo, nonostante l’apparenza. Anzi, il "Bergogliesimo" ne costituisce l'antitesi.

Per i cattolici, questo può essere consentito solo dal fatto che Francesco non è il papa, (visto che Benedetto XVI si è autoesiliato in sede impedita) e quindi non ha il munus petrino, l’investitura divina che garantisce al papa  l’infallibilità ex cathedra e l’assistenza dello Spirito Santo nell’insegnamento (Art. 892 CCC).

La nostra inchiesta sul Codice Ratzinger, tradotta in tre lingue QUI è ormai “celebre”, come conferma il collega Armando Savini. Anche Mons. Viganò ha aperto a concetti che promaniamo dal 2021 QUI, eppure in Italia continuano a uscire libri che ripetono come un mantra la solita narrativa su papa Francesco fingendo di ignorare il “Segreto di Pulcinella”.

Per fortuna, anche negli Usa si sta comprendendo la sede impedita: dopo l’accettazione di Patrick Coffin, QUI tra i più autorevoli commentatori cattolici, anche il prof. Edmund Mazza QUI ha fatto nuove dichiarazioni sull’invalidità delle dimissioni di papa Ratzinger.

Insomma, piano piano lo stanno capendo tutti che Benedetto XVI non ha mai abdicato, tranne che da noi. Del resto si sa: nemo propheta in patria.

Ma torniamo a bomba: come abbiamo visto, il Bergogliesimo è, dunque, una sorta di anticristianesimo filo-massonico (nascosto da una colata di propaganda buonista-emozionale) che, nella sua essenza, attinge a Modernismo, Esoterismo, Neoluteranesimo, Neopaganesimo, Neognosticismo, Neoarianesimo, Neomarcionismo e a varie altre eresie come l’Apocatastasi (vulgo “misericordismo”). Come un tarlo, questa inversiva neoreligione mondialista sta corrodendo il Cattolicesimo autentico dall’interno, tramite sottili, impercettibili, ma devastanti cambiamenti.

Sono affermazioni gravi e, pertanto, oggi vi documenteremo il tutto.

Intanto, uno sguardo al quadro della presunta “Maria che scioglie i nodi” che venne regalato nel 2015 dalla presidentessa argentina Cristina Fernandez a Francesco. Pochi giorni fa, abbiamo recuperato le foto, censurate dal web italiano, che mostrano una pseudo-Madonna con provocanti spalle scoperte, la quale non schiaccia affatto la testa al serpente, ma anzi lo accarezza, circondata da angeli femmina con le mammelle al vento. Per approfondire il contenuto esoterico di questa inquietante immagine pseudo-devozionale, che evoca l’Unione degli opposti tanto cara agli alchimisti, ammiccando forse alla demoniaca Lilith, leggete QUI  .    

Ancor più di recente, è uscita una foto di Bergoglio durante la visita pastorale in Cile del 2018. Sulla sua pianeta campeggia uno strano simbolo, una specie di omino-alieno coi capelli dritti. Si tratta del “Gigante di Acatama”, un geoglifo, cioè un disegno fatto con cumuli di pietre (119 m) che si trova nel deserto del Cile e rappresenta una divinità precolombiana: probabilmente il Tunupa (a volte detto Tarapacà), figlio del dio creatore Viracocha il quale, visto che secondo il mito sarebbe stato crocifisso, nel ‘500 fu adoperato dai gesuiti per l’inculturazione di Gesù Cristo. QUI Siamo alle solite: come avvenuto per la Pachamama QUI vengono rispolverati i feticci del pantheon andino che 500 anni fa potevano transitoriamente servire ai missionari per convertire gli indigeni. Il loro attuale “richiamo in servizio”, del tutto immotivato, visto l’ottimo radicamento del Cristianesimo in America latina, non trova altra giustificazione se non nell’ambito di quell’eco-sincretismo idolatrico che afferisce al Neopaganesimo bergoglista di cui sopra.

Il fatto oggettivo è che “papa Francesco” portava sulla casula un idolo pagano il quale, per la teologia cattolica, è da considerarsi un DEMONE. Non è la prima volta, comunque: sempre nel 2018, Bergoglio aveva indossato una casula con un altro simbolo pagano, il Triskell celtico, (peraltro arcobalenato), una sorta di svastica a tre braccia simbolo delle forze universali Aria, Terra, Acqua QUI. Nonostante il tentativo di San Patrizio di associarlo alla Trinità, è ritenuto ancor oggi un simbolo magico pagano potentissimo.  Vi sembra normale tutto ciò?

L’inserimento di soppiatto di queste simbologie afferisce, così, proprio a quel “Codice Bergoglio” di cui abbiamo trattato: l’elemento di raccordo subliminale fra il Bergogliesimo esteriore, mediatico-demagogico-buonista e i suoi contenuti occulti, eretici ed inversivi del Cattolicesimo.

Ma adesso entriamo davvero nel vivo: vi dimostreremo con quale furbizia Bergoglio e i vescovi modernisti a lui sodali, recuperando quanto già ampiamente seminato dalla massoneria ecclesiastica durante il Concilio Vaticano II, stanno lentamente, impercettibilmente sovvertendo la fede cattolica dalle sue fondamenta.

Nel 2020, infatti, con una copertina abbastanza inquietante QUI, debutta il nuovo messale in cui figurano diversi cambiamenti, apparentemente insignificanti, ma che, indagati con l’aiuto di teologi realmente cattolici, svelano tutto il loro dirompente contenuto. Ci baseremo su una sintesi di tali novità prodotta da Avvenire QUI .

Cominciamo con un’aggiunta “inclusiva”: accanto al vocabolo «fratelli» è stato aggiunto «sorelle». Ecco che si dice: «Confesso a Dio onnipotente e a voi, fratelli e sorelle…».

Né più né meno che un ossequio al politicamente corretto, il quale sta distruggendo la cultura e la mentalità dell’Occidente cristiano. Ce lo spiegava lo stesso Avvenire, QUI nel 2012, quando sotto il pontificato attivo del vero papa Benedetto era ancora un giornale cattolico: “...in nome del politically correct, persiste un’ostinata opera di disconoscimento delle proprie radici religiose, facendo finta di non comprendere quanto la sua civiltà sia debitrice al Cristianesimo”. 

Ma la prima, gravissima aberrazione è sul Gloria: la frase “e pace in terra agli uomini di buona volontà”, cambia in «e pace in terra agli uomini, amati dal Signore».

Attenzione: questo è il più sottile, ma allo stesso tempo dottrinalmente devastante, dei trucchi. La frase originale specifica che la pace del Signore giunge SOLO agli uomini che Lo accolgono, NON A TUTTI. La modifica bergogliana opera un cambiamento da complemento di qualità a frase attributiva. Già c’è un errore teologico perché tutti gli uomini sono, in effetti, amati dal Signore (sebbene non tutti Gli rispondano con buona volontà), ma soprattutto la VIRGOLA spiana definitivamente il concetto in senso misericordista-neoluterano: l’uomo non ha più merito, non è più co-artefice della propria salvezza, ma viene salvato da Dio a prescindere. La pace viene elargita a tutti, gratis. Per esempio, un conto è dire: “la promozione giungerà agli studenti che meritano”, altra cosa è dire: “la promozione giungerà agli studenti, che meritano”. Nel primo caso saranno promossi solo alcuni studenti, nel secondo saranno promossi tutti, magari perché si pensa che, in generale, siano dei bravi ragazzi. Capite che astuzia diabolica? Due teologie completamente diverse. Il misericordismo è però quanto di più insidiosamente inversivo possa esistere per il Cattolicesimo: se tutti vanno in paradiso, che bisogno c’è di impegnarsi e perfezionarsi nella morale cristiana? Si può tranquillamente annegare nel peccato. E chi è che punta a questo? Non esattamente Gesù.

A tal proposito, nell’Angelus di domenica 24 aprile, Bergoglio ha detto: “il Vangelo ci dice che il Signore non cerca cristiani perfetti”. Curioso, perché in Matteo 5,48 si legge: “Siate voi dunque perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste”. Con la sua solita tecnica, Bergoglio, sfruttando il giusto insegnamento di San Tommaso a non essere superbi nella fede, fa subliminalmente passare il concetto che il cristiano non debba puntare alla perfezione. Così come quando ha detto che “i Comandamenti non vanno rispettati in senso assoluto” o come quando alla benedizione urbi et orbi, con la tecnica retorica della “preterizione”, ha insinuato nelle menti il dubbio sulla Risurrezione. Subito dopo, Bergoglio ripara sempre alla sua affermazione, rientra nei ranghi, ma intanto il seme è gettato nelle menti dei fedeli. Forme di manipolazione-adulterazione ad alto livello, tuttavia ben riconoscibili.

Il Neoluteranesimo torna prepotentemente anche in quest’altro cambiamento: il sacerdote inviterà a pregare non più dicendo “Pregate, fratelli, perché il mio e vostro sacrificio sia gradito a Dio, Padre onnipotente”, ma «Pregate, fratelli e sorelle, perché questa NOSTRA FAMIGLIA, radunata dallo Spirito Santo nel nome di Cristo, possa offrire il sacrificio gradito a Dio Padre onnipotente».

Viene dunque sminuito il ruolo del celebrante, secondo quell’equiparazione luterana tra sacerdozio ministeriale (dei sacerdoti) e battesimale (dei comuni fedeli). Un concetto anni luce lontano dal Cattolicesimo che ritorna anche nel cambiamento da «Ti rendiamo grazie per averci ammessi alla tua presenza a compiere il servizio sacerdotale» mutato in «perché ci hai resi DEGNI di stare alla tua presenza…». Se lo dicono da soli, i preti bergogliani, che Dio li ha resi degni: un antropocentrismo arrogante del tutto opposto alle continue formule di umiltà e richiesta di perdono espresse dal sacerdote nella Messa antica, in latino, quella teocentrica, cattolica per eccellenza che il vero papa Benedetto aveva liberalizzato e che, ovviamente, Bergoglio ha eutanasizzato con il motu proprio Traditionis custodes QUI  .

Ancora Luteranesimo nell’intercessione per la Chiesa con il passaggio dall’unione con «tutto l’ordine sacerdotale» che diventa con «i presbiteri e i diaconi». Il diaconato è l’ordine sacro minore, inferiore a quello dei preti. La chiesa modernista e in special modo bergogliana punta moltissimo a valorizzare il diaconato: questo è la porta fra mondo del laicato (anche) femminile e l’ordine sacro, esclusivamente maschile. I modernisti, soprattutto tedeschi, vogliono le donne-sacerdote, insistono sul fatto che nell’antichità esistessero delle diaconesse, ma queste avevano il solo compito di accompagnare alla vestizione le battezzande, un po’ come oggi a Lourdes ci sono delle inservienti che aiutano le donne malate a fare le abluzioni nell’acqua benedetta. Impensabile per il Cattolicesimo aprire il sacerdozio alle donne, (ogni religione ha le sue regole) ma il diaconato è, per i modernisti, il punto debole sul quale fare leva per scardinare il sacerdozio esclusivamente maschile.

Una delle modifiche più spudoratamente volte in senso esoterico-filomassonico riguarda invece la II Preghiera eucaristica che prima recitava: «Padre veramente santo, fonte di ogni santità, santifica questi doni con l’effusione del tuo Spirito». Adesso diventa: «Ti preghiamo: santifica questi doni con la RUGIADA del tuo Spirito».

La rugiada? Sì, spiegano i bergogliani, perché figura nella versione latina del messale di Paolo VI in quanto, nel III secolo, con la rugiada si intendeva la benedizione di Dio che si posa sul mondo. Il dettaglio è che appena un secolo dopo venne dogmatizzata la Terza Persona trinitaria, quindi, che senso ha recuperare una metafora ormai obsoleta dello Spirito Santo quando questo ormai è già “bell’e codificato”? Basta una ricerchina e si scopre che la rugiada è, guarda caso, il NETTARE DEI ROSACROCE, ordine segreto pseudo-massonico esoterico che, anticristicamente, non riconosce Gesù come Figlio di Dio. E si potrebbe ricordare, a margine, come Bergoglio indossi al collo proprio il Buon Pastore con le braccia incrociate esclusivamente tipico dei RosaCroce.  QUI 

La più maligna delle inversioni si ritrova però nel cambiamento del Padre Nostro, la preghiera data direttamente da Cristo e perfettamente tradotta dal greco da San Girolamo, anche nella frase “non ci indurre in tentazione” oggi cambiata in “non abbandonarci alla tentazione”. La premessa della frase corretta, nell’originale, è che Dio, nel Suo ineffabile mistero, può mettere alla prova i Suoi figli, per temprarne la fede, mentre la frase di Bergoglio presuppone che Dio possa davvero abbandonare alla tentazione. QUI 

E’ quindi come se chiedeste a vostro padre: “Babbo per favore, non avvelenarmi il caffè”. Nonostante la petizione al negativo, stareste supponendo che vostro padre possa avvelenarvi. Capite perché si tratta di una blasfemia? Un concetto dell’abbandono, questo, al quale Bergoglio è molto affezionato tanto che nella recente intervista pasquale a Lorena Bianchetti ha detto: “Torniamo all’inizio, le tre del pomeriggio. Gesù muore, muore solo. La solitudine più piena, ABBANDONATO ANCHE DA DIO: “Perché mi hai abbandonato?” 

ATTENZIONE! Questa affermazione, lasciata così, è gravissima: la frase che pronuncia Gesù sulla croce NON È AFFATTO DI DISPERAZIONE perché si sente abbandonato dal Padre, ma è di LODE, una suprema accettazione della volontà del Padre che riprende l’inizio del SALMO 21, cioè una preghiera che comincia con: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?» e termina glorificando Dio: “Si parlerà del Signore alla generazione che viene; annunzieranno la sua giustizia; al popolo che nascerà diranno: «Ecco l’opera del Signore!»”.

Il vero papa Benedetto lo illustrava benissimo nel suo libro “Gesù di Nazareth” del 2007. Spiegano i più grandi teologi che la crocifissione è avvenuta con il “consenso trinitario”, ovvero, la croce è stata permessa e voluta da tutte e tre le Persone, Padre, Figlio e Spirito Santo per la redenzione dell’uomo.

In questa manomissione vediamo, quindi, la componente filo-massonica deista del modernismo bergogliano, la stessa per cui, ad esempio, Dio è rimasto completamente estraneo alla pandemia come dice Mons. Delpini: il Grande Architetto dell’universo massonico ha creato l’uomo, ma poi lo ha lasciato a se stesso. Non è affatto Padre, né tantomeno ha mandato il Figlio a offrirsi “in sacrificio per la nostra salvezza”.

E infatti che cosa cambiano ancora? Nella consacrazione si passa da “(Gesù), offrendosi volontariamente alla Sua passione” a «consegnandosi volontariamente alla passione». Arriva la terza matrice eretica del nuovo messale bergogliano: il Neoarianesimo. "Consegnarsi" potrebbe farlo anche un delinquente alla Polizia, ma è ben diverso dall’"offrirsi", che comporta una volontarietà profondamente, santamente consapevole. Questo è italiano. 

E’ la solita visione modernista, la quale riprende l’antica eresia di Ario (vedasi Enzo Bianchi teologo prediletto da “papa Francesco” QUI  ) che vuole Gesù come un grande uomo, ma ingenuo, che non si aspettava di essere messo in croce, fatto avvenuto solo perché Egli aveva annunciato una misericordia-misericordista di Dio per tutti, senza merito e senza inferno. Buonanotte Cattolicesimo.

Ancora massoneria e antropocentrismo nella nuova enunciazione del rito della pace: «Scambiatevi un segno di pace» che diviene «Scambiatevi il DONO della pace». L’originale formula non si riferisce certo a quella pace materiale di cui parla in continuazione Bergoglio, ma è la pace spirituale donata da Dio, che può giungere perfino in un contesto di guerra materiale. Qui invece è come se gli uomini si scambiassero un dono tutto loro.

Molte di queste modifiche sottili, ma devastanti, erano in caldo da vari decenni. Il potere del clero modernista è tale che nemmeno papa Benedetto riuscì a inserire il filologico “versato per voi e per MOLTI in remissione dei peccati”, al posto del misericordista “e per tutti” che ancor oggi figura nella messa di Paolo VI.

L’antipapa Francesco ha dato completamente la stura a questi oscurissimi processi preparati fin dai tempi del Concilio. Così, se siete cattolici, ora sapete come vi stanno TRUFFANDO, ma per fortuna il vero Vicario di Cristo, Benedetto XVI, li ha scismati tutti ritirandosi in sede impedita. Per adesso, se volete fare qualcosa per salvare la vostra Fede, la Chiesa (e non solo), tagliate tutti i ponti con la falsa chiesa bergogliana, rimanete in comunione col vero papa Benedetto XVI e denunciate ovunque la sua sede impedita.

Se volete approfondire l'intera questione, troverete l'inchiesta di 60 capitoli in fondo a questo articolo

Papa Francesco "penultimo Pontefice, poi la fine del mondo": la catastrofica profezia di Malachia. Libero Quotidiano il 16 aprile 2022.

"Papa Francesco penultimo Pontefice": questo quanto si legge nella Profezia di Malachia, un testo attribuito a san Malachia, arcivescovo di Armagh vissuto nel XII secolo, contenente 112 brevi motti in latino riguardanti i papi. Secondo questa profezia, come spiega Affariitaliani, dopo Bergoglio ci sarebbe solo un altro Papa, l'ultimo, Pietro, chiamato a occuparsi delle difficoltà della chiesa. Proprio lui assisterà alla fine di Roma.  

La previsione di un'Apocalisse preoccupa soprattutto per via del momento storico che stiamo vivendo. La guerra cominciata dai russi in Ucraina non accenna a fermarsi e il rischio è che si arrivi a un punto di non ritorno. In un periodo come questo molti guardano anche alle profezie che, pur non avendo assolutamente nulla di scientifico, spingono i più curiosi a dare una sbirciatina. Le più famose sono sicuramente quelle di Nostradamus. Ma adesso anche quelle di Malachia stanno attirando una certa attenzione.  

In ogni caso, però, secondo gran parte degli storici, il manoscritto di Malachia sarebbe un falso storico, redatto nella seconda metà del XVI secolo. Il testo, infatti, non conterrebbe nessuna previsione del futuro: si tratterebbe solo di promemoria sul fatto che la sequenza dei papi sarà comunque destinata a finire. 

Profezia di Malachia e Papa Francesco, "la fine del mondo". La previsione disastrosa ai tempi della guerra. Giada Oricchio su Il Tempo il 17 aprile 2022.

L’invasione dell’Ucraina per mano della Russia di Vladimir Putin sta concretizzando scenari che fino a poco tempo fa si ritenevano impossibili. Tornano i fantasmi della Seconda guerra mondiale con il timore di un’apocalisse nucleare. Un cambiamento storico “annunciato” da diverse profezie religiose, tra cui quella considerata apocrifa, ma attribuita a San Malachia, arcivescovo di Armagh vissuto nel XII secolo.

Il sito di Affari italiani ricorda che il testo di Malachia prevede Papa Francesco come penultimo Pontefice, mentre l’ultimo sarebbe Pietro (dunque un ritorno laddove tutto è iniziato) che assisterà alla fine di Roma. Il monito di Malachia recita: “In persecutione extrema S.R.E. sedebit", da tradursi come “Regnerà durante l’ultima persecuzione della Santa Romana Chiesa” o “La Santa Romana Chiesa sarà in una persecuzione finale. Pietro Romano, che pascerà il gregge fra molte tribolazioni; passate queste, la città dai sette colli sarà distrutta e il tremendo Giudice giudicherà il suo popolo. Fine”.

Il manoscritto è formato da 112 brevi motti in latino che descriverebbero i papi a partire da Celestino II, eletto nel 1143. Tuttavia, gli storici lo ritengono un falso storico risalente a metà XVI secolo: non sarebbe una nuova profezia ma un semplice memento che, prima o poi, la sequenza dei papi finirà.

Bergogliesimo: il Cattolicesimo rovesciato di Bergoglio. Sicuri che “papa Francesco” sia cattolico?

Andrea Cionci su Libero Quotidiano il 18 aprile 2022.

Andrea Cionci. Storico dell'arte, giornalista e scrittore, si occupa di storia, archeologia e religione. Cultore di opera lirica, ideatore del metodo “Mimerito” sperimentato dal Miur e promotore del progetto di risonanza internazionale “Plinio”, è stato reporter dall'Afghanistan e dall'Himalaya. Ha appena pubblicato il romanzo "Eugénie" (Bibliotheka). Ricercatore del bello, del sano e del vero – per quanto scomodi - vive una relazione complicata con l'Italia che ama alla follia sebbene, non di rado, gli spezzi il cuore

Non si parla male del papa. E infatti noi non lo facciamo: primo, perché Bergoglio non è il papa, (ma lo è Benedetto XVI, l’emerito, cioè colui “che merita”, che ha diritto di essere papa); secondo, perché analizziamo con approccio laico e analitico le sue posizioni, esercitando quel diritto di critica garantito dalla Costituzione, portando documenti e fatti REALI.

Un fatto, ad esempio, è che, oggi, nel giorno di Pasquetta, il presunto papa Francesco farà cantare in Vaticano, per i giovanissimi, un tizio-icona gay che promuove nelle sue canzoni omosessualismo (quindi il secondo dei quattro cattolici “peccati che gridano vendetta al Cielo”), oltre a pornografia, turpiloquio, oscenità, droga, prostituzione, sballo e similia. Documentatevi. E’ solo l’ultima perla di una collana lunga nove anni, percepita anche questa, ovviamente, con qualche debole stupore, ma poi più nulla. La Finestra di Overton (vulgo “rana bollita”) funziona così: a piccoli passi, si arriva lontano.

Su tutto, un curioso paradosso. Ricordate la storia del Parmesan? Vedendo messo a rischio il marchio del Parmigiano, gli italiani insorsero con spirito da Battaglia d’Arresto (1917). Oppure, quando si scoprì che nella Nutella c’era il pur innocuo olio di palma: rivolte popolari tipo Vandea. E quale sdegno e ludibrio se, nella Carbonara, un cuoco si azzarda a mettere la panna!

Poi, però, se il papa non è il papa, se non ha l’investitura da Dio, se porta al collo un simbolo anticristico come il Buon pastore rosacrociano, se intronizza Pachamame, promuove culti esoterici e magie dei nodi, rovesciando il Cattolicesimo come un calzino e mettendo a rischio la nostra sovranità nazionale  e la salvezza delle anime, VA TUTTO BENE.

Come abbiamo ampiamente documentato in questa inchiesta di 60 capitoli QUI - senza l’ombra di una smentita (nemmeno dal vero Santo Padre QUI) – Benedetto XVI non ha abdicato, ma si è ritirato in sede impedita; Bergoglio non possiede il munus petrino, il titolo di papa concesso da Dio, quindi è un antipapa, o papa illegittimo, pertanto non gode dell’assistenza dello Spirito Santo né ex cathedra, né nell’insegnamento ordinario (Art. 892 CCC). Se siete cattolici, state quindi assumendo un “cibo” spirituale senza alcun “MARCHIO D.O.D.”, denominazione di origine divina. La gran parte di Voi – scusate se parliamo chiaro - sta praticamente andando dietro a un Pifferaio di Hamelin che vi potrebbe dire qualsiasi cosa, e la prendereste per buona fidandovi di uno Spirito Santo che, invece, è “assente giustificato”.

Eppure, fin dall’inizio dell’antipapato, molti cattolici sono stati scandalizzati da Bergoglio, tanto che alcuni di loro si chiedevano: ma è davvero cattolico?

NO. Non lo è, e questo, in termini teologici, può essere consentito, appunto, solo dal fatto che Francesco non è il papa legittimo, non avendo il munus di origine divina che è il “marchio di garanzia sul papa”, custode della fede.

Se si continua a ritenere a tutti i costi che Bergoglio sia il papa e sia cattolico, non si capirà nulla di quello che sta facendo a livello politico e religioso. Cambiando la prospettiva, invece, ogni elemento apparentemente assurdo e incoerente trova la sua giusta e perfetta collocazione.

Di seguito, proporremo un approfondimento molto riassuntivo, redatto con l’aiuto di alcuni teologi (che non possono comparire, per ovvi motivi), volto a inquadrare il cosiddetto “Bergogliesimo”: uno pseudo-cristianesimo rovesciato, profondamente contaminato da concetti eretici, esoterici, pagani e da ossessioni personali di Bergoglio.

Non vi sarebbe nulla di illecito nel propugnare una fede nuova, originale, ispirata a questi temi, ma il problema è che lo si fa in modo non dichiarato, senza investitura divina, parassitando il “contenitore” di una religione già esistente, con il tentativo di rovesciare gradualmente il Cattolicesimo portandolo verso un pastiche religioso sincretista, panteista, neo-pagano, filo-massonico, funzionale a un progetto politico mondialista talmente evidente da essere dichiarato candidamente.

Il Bergogliesimo è, dunque, un sistema di pensiero politico-religioso articolato in due aspetti: uno ESTERIORE e uno OCCULTO. Entrambi sono collegati da una specie di simbolico e intuitivo “Codice Bergoglio”, radicalmente diverso dal Codice Ratzinger, logico e luminoso, che ormai ben conoscete, con cui il vero papa ci riconduce alla sua sede impedita. 

L’aspetto esteriore è MEDIATICO-EMOZIONALE: si serve della militarizzazione dei media, (quasi tutti asserviti in suo favore) e di continue “rotture del protocollo” che sembrano spontanee, ma sono preparatissime (vedasi l’episodio della visita al negozio di dischi organizzata a tavolino col proprio fotografo). In tal modo, si ammannisce al pubblico la facile e dolciastra narrativa di un presunto “nuovo San Francesco”, vicino ai poveri e accogliente con gli ultimi. Basti pensare al modo in cui il suo “flamen”, Fabio Fazio, ne tesse le lodi.

Tale narrativa demagogica è rafforzata da costanti ripetute in continuazione: misericordismo/buonismo (salvezza automatica universale, legittimazione implicita del peccato), progressismo (contro la dottrina, la morale e la liturgia tradizionale), pauperismo, ecologismo. Forse l’immigrazionismo è l’unico elemento meno trasversalmente accettabile. Infatti, se ci avete fatto caso, in caduta libera di consensi, Bergoglio ha piuttosto rallentato su questo fronte (che aveva raggiunto livelli parossistici), ma, per il restante, si tratta di richiami dal facilissimo appeal che fungono da carta moschicida tanto per i laici, come per la massa dei fedeli, ormai del tutto dimentichi, o incuranti delle basi dogmatiche del Cattolicesimo.

L’aspetto OCCULTO del Bergogliesimo, non cristiano, dal forte carattere psicoanalitico, è invece basato su un impianto:

- MODERNISTA (cioè soggettivista-pragmatico e contraddittorio. Per il modernista la fede non è in una verità oggettiva, ma è un sentimento, un istinto a-razionale dell’uomo);

- NEO-LUTERANO (ripresa del concetto luterano di salvezza e legittimazione del peccato);

- NEO-GNOSTICO (basato sul principio dell’unione degli opposti: bene-male, sacro-profano);

- NEO-PAGANO (culto panteista della madre terra);

- NEO-MARCIONISTA (contro la visione di un Dio vetero-testamentario troppo “rigido”);

- CRIPTO-NEO-ARIANO (minimizzazione della divinità di Cristo).

Il “Codice Bergoglio”, come accennavamo, COLLEGA questi due aspetti, quello esteriore-mediatico a quello occulto: si esprime in gesti, simboli e dichiarazioni chiaramente comprensibili solo a pochi “iniziati” e sodali. In forma non percepita razionalmente, gli stessi gesti-simboli hanno la funzione di traghettare, a livello subliminale, la massa inconsapevole dei fedeli verso nuovi contenuti non più cristiani. Il Codice Bergoglio (per il quale vi rimandiamo al link dell’inchiesta sopra citata) si serve, dunque, di:

- simboli esoterici: per esempio, croce pettorale rosacrociana; presepe esoterico 2020 in Piazza San Pietro; rugiada rosacrociana nel messale; novena di Maria dei nodi-rito magico dei 9 nodi; culto del San Giuseppe dormiente; simboli e riti pagani anche nelle chiese (intronizzazione della Pachamama, l’offerta di terra sull’altare di San Pietro ecc.);

- desacralizzazione del Sacro: continue offese e blasfemie come il non inginocchiarsi davanti al Santissimo; frasi come «la Trinità litiga a porte chiuse», «Non esiste un Dio cattolico», «Gesù fa lo scemo», «Gesù ha mancato la morale», «Si è fatto serpente», ecc.;

- sacralizzazione del profano: inginocchiarsi davanti a carcerati, islamici; baciare i piedi a politici; il monumento ai migranti in Piazza San Pietro; il “burattone” Amal e, ovviamente, la progressiva demolizione della dottrina e della morale cattolica, operata anche tramite artifici manipolatori nella comunicazione: “detto/non detto”; contraddizioni del genere “sì, ma anche no”; mancate risposte (cfr. Dubia); interviste a Scalfari mai del tutto smentite; note a piè di pagina per legittimare l'adulterio (Amoris Laetitia), ecc.

Infine, un aspetto centrale del Bergogliesimo è la promozione di concetti personali di Bergoglio, come lo “Spirito”, il “Poliedro”, che non trovano alcun riscontro nella dottrina della Chiesa.

Ma il grande leit Motiv, il tratto caratteristico e preponderante della personalissima anti-teologia di Bergoglio è l’UNIONE DEGLI OPPOSTI: l’accoglienza e l’accettazione di tutto, anche del male e del peccato, in nome di una pseudo-pacificazione totale. Questo, ovviamente, a prezzo dell’apostasia dalla verità cattolica. Il senso del peccato – o del merito - è continuamente eroso dal misericordismo, un elemento talmente seduttivo da essere paragonabile a quello di un professore che prometta a tutti gli studenti la promozione, qualunque sia il rendimento.

Tutto è livellato, appiattito, confuso, mescolato in nome di cinque precetti massonici facili facili: l’(ossimorica) fratellanza universale, la pace, l’ecologia, il sincretismo e l’accoglienza. Basta, fine. Una ricetta eccellente per le élite mondialiste che ci vogliono regalare quel Nuovo ordine mondiale citato dallo stesso Bergoglio il 13 marzo 202, e infatti lo sponsorizzano al massimo, con film e serie Netflix. Naturalmente, le verità ultime (Inferno Paradiso Purgatorio, Giudizio) e i dogmi cattolici, essendo troppo “divisivi” oltre che “sgradevolmente meritocratici”, devono essere spazzati via, vedasi la fine che ha fatto la messa in latino. Presto toccherà alla Transustanziazione, obiettivo finale.

Come ovvio, questo è un percorso perfettamente contrario a quello del Cattolicesimo romano, dove Cristo è l’unica via, la verità e la vita che offre la perfezione unica e totalizzante di un messaggio proveniente direttamente da Dio, attraverso il Verbo incarnato. Qui si capisce il discorso (sovente equivocato da alcuni tradizionalisti) che pronunciò il vero papa Benedetto XVI quando nel 2005 disse che l’unico Nuovo ordine mondiale da edificare è quello che prende per mano il Bambino Gesù QUI. Sì, il Cattolicesimo, per sua missione, punta, infatti, a convertire il mondo intero a Cristo, (la perfezione della sfera), nient’affatto a creare una babelica convivenza fra gli opposti, come si vorrebbe nella Teoria del Poliedro di Bergoglio, dove sussistono contemporaneamente facce diverse e opposte. Ovviamente, il proselitismo cattolico non può essere impositivo, ma deve convincere le genti con l’amore e la verità, tuttavia, per i cattolici, Gesù va annunciato a chiare lettere lasciando poi piena libertà.  “Andate e predicate il mio Vangelo”, disse Cristo, e Bergoglio dice, al contrario: “Arrivate e portate i vostri dèi” come dimostrato dalle sue posizioni pro-immigrazione e contro il proselitismo.

Il Bergogliesimo è, dunque, una pseudo religione in grandissima parte sovrapponibile al sistema filosofico e agli obiettivi della Massoneria, che, di per sé è, infatti, l’antitesi completa rispetto al Cattolicesimo. E tutto torna, nonostante le zuccherose intenzioni manifestate in superficie: l’impianto è radicalmente inverso.

Quindi, attenzione: il Bergogliesimo non è qualcosa di cristianamente imperfetto, di vagamente eretico, ma un insidiosissimo virus spirituale che sta mandando lentamente in cancrena il Cattolicesimo. E come per tutte le cancrene, non c’è che l’amputazione per salvarsi.

A questo ha pensato il vero papa Benedetto XVI, apprestando lo scisma purificatorio di cui abbiamo già scritto. Si tratta solo di capire se i cattolici verranno buttati fuori dalla sede, il Vaticano, con tutti i suoi tesori, per “ripartire dalle catacombe”, o se riusciranno a recuperarla. In ogni caso, i semi del vero Cattolicesimo saranno salvi e quello è un sistema “tosto”, duro a morire, dato che è sopravvissuto per 2000 anni.

Si potrebbe dire, quindi, che Bergoglio, la Mafia di san Gallo e la massoneria internazionale hanno fatto i conti ... senza l’Ostia.

APPROFONDIMENTO

Lo “spirito”

Bergoglio parla di “spirito” come forza che spinge all’armonia e all’unità sociale, oltre a ispirare le “riforme” della Chiesa e il progresso. Non è, però, lo Spirito Santo, ma una sua contraffazione, in quanto prescinde da morale e dottrina cattolica; è “relativista”; unisce gli opposti; è sincretista, vuole la “diversità di religioni”, suscita le eresie e accoglie le varie religioni per poi unificarle (religione unica mondiale, diversità riconciliata); è a-razionale, è pragmatico-emozionale-magico, è un’“onda positiva”. Bergoglio collega lo spirito con le vibrazioni/energie armonizzate e con le opposizioni polari. Questi elementi si ritrovano nell'esoterismo e sono descritti come principi cosmici nel testo Kybalion (1908), summa degli insegnamenti ermetici.

Il “poliedro”

È un solido con più facce, opposto alla sfera (cristiana) che è simbolo di perfezione e omogeneità. Il poliedro è per il Bergogliesimo la metafora dell’esistenza, della società e della Chiesa. È la “diversità riconciliata”: più cose diverse, anche opposte e contraddittorie, ma parte dello stesso insieme, della stessa “unità”. Serve, in pratica, a giustificare il relativismo morale e il sincretismo religioso. Il poliedro si ricollega alla geometria sacra e ai solidi platonici (poliedro come struttura dell'universo), che vengono ripresi dall'alchimia (poliedro come unificazione degli opposti).

I Quattro postulati della Evangelii gaudium

I Quattro postulati, attribuiti alla società e alla divinità-spirito o all’esistenza-mondo, sono presi dalla tesi di dottorato di Bergoglio (mai completata) ed erroneamente attribuiti a Romano Guardini. Questi principi arbitrari trovano riscontro in alcuni concetti gnostici e risultano vagamente “alchemici”:

- “il tempo è superiore allo spazio”: progressismo; l’insistenza sull’“innescare i processi”;

- “l’unità prevale sul conflitto”: superiorità della pace sociale rispetto alla morale e alla verità. Si collega al poliedro (diversità riconciliata);

- “la realtà è più importante dell’idea”: prassi e dimensione sociale più importanti della dottrina. Per fare un esempio, Amoris laetitia: adulterio; se la realtà non corrisponde alla norma (molti non la seguono), si adatti la norma caso per caso.

- “il tutto è superiore alla parte”: sincretismo/relativismo; si collega al poliedro (nessuna religione-morale può essere assolutizzata, tutte devono coesistere).

Il misericordismo e la lotta alla rigidità

Bergoglio riprende diverse correnti eretiche del passato. Prima di tutto, l’Apocatastasi, già definita come eresia nel III secolo: l’idea di una salvezza universale. Bergoglio non ha mai recisamente negato/rettificato quanto riportato da Eugenio Scalfari nella sua intervista, ovvero che le anime destinate all’Inferno si dissolvono, vengono distrutte.

Il neo-luteranesimo ritorna in vari elementi chiave:

- riabilitazione della figura di Lutero;

-il principio di salvezza “a basso costo”, che prescinde dal pentimento (per il luteranesimo basta credere di essere predestinati per salvarsi);

-la legittimazione del peccato (per il luteranesimo, più si pecca più si dimostra la forza della predestinazione, meno si pecca più si è empi, perché si cerca di “comprare” la salvezza);

-il principio per cui il male non si può vincere e il bene e il male sono congiunti: i salvati sono ancora malvagi, peccatori; il Messia si “contamina” con l'incarnazione, assorbendo il male.

Il neo-marcionismo, eresia in cui la divinità dell’Antico Testamento, rigida, è vista come falsa, in nome di un Messia “più buono e tollerante”. Bergoglio fa lo stesso col Cattolicesimo: propone una nuova fede più “misericordiosa”.

Il neo-arianesimo, eresia secondo cui Gesù non era il Figlio di Dio, attribuita da Eugenio Scalfari direttamente a Bergoglio e smentita solo in modo vago e impreciso. Dottrina promanata da Enzo Bianchi ritenuto per lungo tempo il “teologo di papa Francesco”, tanto da predicare al ritiro spirituale mondiale dei preti ad Ars (2018).

La teoria gnostica della “redenzione di Giuda”

Strettamente collegata all’unione degli opposti e al misericordismo vi è l’ossessione bergogliana di Giuda salvato. La più antica riabilitazione dell’Iscariota si ha nel Vangelo di Giuda (apocrifo gnostico), dove la divinità veterotestamentaria è rinnegata e Giuda è presentato come il prediletto tra gli apostoli, il più sapiente, che commette il tradimento solo per eseguire un ordine del Maestro.

La figura del “Giuda bergogliano” si ritrova nel capitello di Vézelay, nel quadro posto nello studio di Bergoglio, nel logo del giubileo 2015 e, in parte, in un racconto di Borges di cui Bergoglio era amico. Borges ha scritto Le tre versioni di Giuda (Finzioni, 1944), racconto in cui si parla della teoria gnostica della “redenzione di Giuda”: il tradimento dell’Iscariota come necessario per la redenzione; tradimento come atto di umiltà (non sentirsi degni di essere buoni, tipico di certi concetti luterani); Gesù come “peccatore” (idem); Giuda come vero Messia, incarnazione divina (implica la divinità come unione di bene e di male).

Il logo del giubileo della misericordia (2015) richiama in modo inquietante i concetti bergogliani: rimanda al becchino del capitello di Vézelay che porta Giuda sulle spalle. Le due figure del logo condividono lo stesso occhio, paiono la stessa entità.

Infine il quadro appeso nello studio di Bergoglio mostra un presunto Gesù che abbraccia il cadavere di Giuda. L’immagine è ambigua e sembra che le due figure siano quasi fuse, come se una esca dal corpo dell’altra.

L'identificazione di Giuda e del Salvatore è assurda, ma solo se si ragiona con categorie teistiche e cristiane. Non lo è, invece, se si parte da presupposti gnostici e panteisti.

Il neo-paganesimo

Il Bergogliesimo è, dunque, un panteismo implicito, in quanto rinnega la divinità cristiana e tenta una sintesi impossibile tra le varie religioni, in quanto molti principi sono compatibili unicamente con una visione panteista (mondo eterno, nessuna divinità trascendente).

L’ecologismo ha un ruolo centrale nel Bergogliesimo dove si coltiva una ripresa dei culti pagani con, in particolare, quello della “madre terra”, la Pachamama, che viene ripreso e adattato negli anni ’80 dalla cosiddetta “teologia india”, che mescola il Cristianesimo al paganesimo sudamericano. Nella teologia india, inoltre, sono presenti il pauperismo e il Vangelo è riletto in senso indigeno-marxista. Bergoglio, non a caso, ha proposto un cambio di mentalità e una “chiesa dal volto amazzonico”.

Questo, per sommi capi, quanto siamo fin qui riusciti a ricostruire della personalissima religione di Bergoglio. E, come vedete, siamo molto lontani dal Cattolicesimo, anzi, agli antipodi.

La dottrina di Papa Francesco. Sant’Agostino non parlò mai di guerra giusta. Fabrizio Cicchitto su Il Riformista il 21 Aprile 2022. 

Dove sono i teologi, nel conflitto in corso? Guerra di valori, la definisce il Patriarca ortodosso Kirill di Mosca, intendendo che la Russia combatte un corrotto Occidente. E i teologi nostrani dove sono? A don Mauro Cozzoli, della Lateranense, abbiamo lasciato campo libero a disquisire di “guerra giusta”, qualche tempo fa sull’agenzia Ansa. Don Giuseppe Lorizio, anche lui docente alla Lateranense, ha scritto – giustamente e in controtendenza – che ci vuole un rinnovamento profondo della teologia pena la sua insignificanza. Però in tv – prendiamo ad esempio Floris martedì dopo Pasqua – si discetta confondendo la difesa con la guerra giusta. E mettendo a tacere una voce autenticamente pacifista come quella di don Fabio Corazzina, efficace parroco di Brescia quando predica – ma non in tv – ed esponente di Pax Christi Italia.

Dando invece spazio alla “teologa ucraina” Natalia Karfut (non si sa dove insegni teologia) che si è presentata con una fotocopia dal “Compendio della Dottrina Sociale” della Chiesa, per dire che al numero 500 si parla di guerra giusta. Se avesse letto tutta intera la parte relativa del più ampio “Catechismo”, avrebbe avuto un’idea più precisa. Lo facciamo subito qui in questo articolo. In tutte queste trasmissioni si tace sempre e comunque del Papa, che pure ha parole inequivocabili proprio sulla “guerra giusta”. Ma siccome vanno in un’altra direzione rispetto alla “vulgata” che deve dominare, si fa finta che il Papa non esista. E così la confusione è molto grande. Vale la pena di mettere ordine. Come scrive giustamente don Rocco D’Ambrosio, docente alla Gregoriana, la dottrina cattolica si tira un po’ da ogni parte, soprattutto quando si argomenta per sentito dire, per giustificare tutto ed il suo contrario. Ed invece il pensiero della Chiesa è più preciso. Il “Catechismo della Chiesa cattolica” spiega che ci sono condizioni che ci possono far parlare di “guerra come legittima difesa con la forza militare. Essa è giustificata solo se sottomessa a rigorose condizioni di legittimità morale” (che il danno causato dall’aggressore alla nazione o alla comunità delle nazioni sia durevole, grave e certo; che tutti gli altri mezzi per porvi fine si siano rivelati impraticabili o inefficaci; che ci siano fondate condizioni di successo; che il ricorso alle armi non provochi mali e disordini più gravi del male da eliminare).

“Questi sono gli elementi tradizionali elencati nella dottrina detta della ‘guerra giusta’. La valutazione di tali condizioni di legittimità morale spetta al giudizio prudente di coloro che hanno la responsabilità del bene comune” (Catechismo, par. 2309). E qui si dovrebbe aprire un dibattito, proprio per indicare “chi” abbia tale e tanta legittimità dal punto di vista morale. In ogni caso su questa linea si inserisce il richiamo all’ingerenza umanitaria, formulato da Giovanni Paolo II: “Quando le popolazioni civili rischiano di soccombere sotto i colpi di un ingiusto aggressore e a nulla sono valsi gli sforzi della politica e gli strumenti di difesa non violenta, è legittimo e persino doveroso impegnarsi con iniziative concrete per disarmare l’aggressore. Queste tuttavia devono essere circoscritte nel tempo e precise nei loro obiettivi, condotte nel pieno rispetto del diritto internazionale, garantite da un’autorità riconosciuta a livello soprannazionale e, comunque, mai lasciate alla mera logica delle armi” (Discorso 1 gennaio 2000). Da notare che “ingerenza umanitaria” è un concetto usato per giustificare l’invasione dell’Iraq da parte di una coalizione occidentale. La cui legittimità morale ad ergersi come difensori dei diritti umani, appare quanto meno dubbia.

Se possiamo distinguere tra aggressore e aggredito (sul piano teorico, almeno) – ma in assenza degli esperti di scienze umane (leggi psicologi) le cui teorie sistemiche e strategiche (in psicologia, s’intende!), aiuterebbero a comprende i meccanismi psicologici e sociali dei conflitti (e aiutare nel disinnescarli, prevenirli, contrastarli…) – sul terreno le situazioni sono sempre molto diverse. E sono i tipi e la quantità di armi a fare la differenza. Qui interviene Papa Francesco. E non da oggi. A parte i numerosi interventi profusi in questi 50 e passa giorni di guerra, la linea più avanzata nella Dottrina Sociale la troviamo nell’enciclica “Fratelli Tutti” del 2020 che impone – impone, è il caso di dirlo – un drastico cambiamento di prospettiva. Siccome le guerre sono tutte “giuste” viste da una parte o dall’altra – pensiamo ai papi del Medioevo che benedivano spaventosi massacri definiti Crociate – e siccome le armi di cui siamo in possesso ci possono far distruggere tutta la terra non una ma centinaia di volte, occorre superare l’idea stessa di guerra. E per chi cita sant’Agostino come grande fautore della “guerra giusta”, Papa Francesco fa notare che “elaborò un’idea della guerra giusta che oggi ormai non sosteniamo”. E proprio il vescovo di Ippona scrisse che “dare la morte alla guerra con la parola, e raggiungere e ottenere la pace con la pace e non con la guerra, è maggior gloria che darla agli uomini con la spada” (Epistula 229, 2: PL 33, 1020).

Chiaro? Più chiaro leggendo bene i paragrafi 258-260 della “Fratelli Tutti”, e ricordando Giovanni XXIII quando scriveva “riesce quasi impossibile pensare che nell’era atomica la guerra possa essere utilizzata come strumento di giustizia” (“Pacem in Terris”, par. 67). In particolare Papa Francesco argomenta così (sintetizzo). La possibilità di una legittima difesa mediante la forza militare è lecita con regole precise (quelle elencate prima). E tuttavia “nella valutazione di questa condizione ha un grandissimo peso la potenza dei moderni mezzi di distruzione” (par. 2309) e dunque come si vede, la “guerra di legittima difesa” è poco praticabile in se stessa. Papa Francesco aggiunge: “Tuttavia si cade facilmente in una interpretazione troppo larga di questo possibile diritto” e si finisce per “giustificare indebitamente” anche attacchi “preventivi” o azioni belliche che causano problemi più gravi.

“La questione è che, a partire dallo sviluppo delle armi nucleari, chimiche e biologiche, e delle enormi e crescenti possibilità offerte dalle nuove tecnologie, si è dato alla guerra un potere distruttivo incontrollabile, che colpisce molti civili innocenti. (…) Dunque non possiamo più pensare alla guerra come soluzione, dato che i rischi probabilmente saranno sempre superiori all’ipotetica utilità che le si attribuisce. Davanti a tale realtà, oggi è molto difficile sostenere i criteri razionali maturati in altri secoli per parlare di una possibile ‘guerra giusta’. Mai più la guerra!” (par. 258). Nei passaggi successivi il Papa sottolinea che l’ordine internazionale non può mai essere fondato sulla paura, sul ricorso alla forza come strumento di consenso. E insiste su un’idea molto semplice: è la politica – nel senso più nobile del termine – che non deve mai abdicare dal suo ruolo e deve impegnarsi a fondo per portare nel mondo pace e sviluppo, non conflitti.

Che dire? La linea della Chiesa dal Concilio in poi Magistero è inequivocabile. Abbiamo visto Giovanni XXIII, poi Paolo VI affermare senza incertezze che è lo sviluppo il nuovo nome della pace (sempre “Populorum Progressio”). Ed ora Papa Francesco. Come facciano sedicenti teologi televisivi, o commentatori, a ignorare completamente 60 anni di Magistero Sociale, è veramente difficile comprenderlo. A ripensarci bene, ha ragione don Giuseppe Lorizio: la teologia – i teologi – faranno bene a rinnovarsi sul serio e a prendere l’unica strada sensata e possibile, cioè integrare etica e Dottrina sociale per rinnovare il pensiero teologico di fronte alle drammatiche sfide del presente, pena l’insignificanza. Del resto, chi parla davvero di pace oggi? A parte il Papa, il cardinale Parolin, mons. Vincenzo Paglia (sul fronte della Santa Sede), moltissimi tacciono ed i pochi sacerdoti in tv (vedi don Fabio Corazzina) vengono interrotti e non possono spiegare. Meglio la tv che furoreggia, della tv che faccia riflettere un po’? Fabrizio Cicchitto

Anti temporalismo. Perché non ha senso paragonare Papa Francesco ai pacifisti cripto-putiniani. Carmelo Palma su L'Inkiesta il 30 Aprile 2022.

Il neutralismo del Pontefice non è un’ecumenica o ipocrita equidistanza tra aggressori e aggrediti, ma una scelta strategica per evitare che la Chiesta Cattolica sia strumentalizzata e offra sponde all’etno-nazionalismo politico-religioso. Seppur nell’oltranzismo pacifista, la sua è una difesa religiosa della società aperta e del mondo globalizzato.

Le posizioni di Papa Francesco sulla guerra all’Ucraina hanno suscitato dubbi e anche sgomento tra gli aggrediti, ma rimane sbagliato accomunarlo ai pacifisti cripto-putiniani nascosti dietro il suo talare ed eleggerlo, come essi vorrebbero, a patrono universale del neutralismo politico. 

Ridurre la sua figura e il suo messaggio a quelli di un padre Zanotelli più alto in grado e, come il padre comboniano, persuaso che la guerra, anzi ogni guerra, sia solo un prodotto dell’infamia dell’Occidente liberal-capitalistico e abbia come unico rimedio una sorta di comunismo evangelico, è fare un’operazione uguale e contraria a quella di quanti, dopo la sua elezione, denunciarono da posizioni iper-tradizionaliste che un antipapa ateo e comunista aveva usurpato il soglio di Pietro. E questi vedovi del ratzingerismo immaginario sono gli stessi – ironia della storia – che oggi plaudono al rifiuto di Francesco di rompere con l’osceno contoterzista del cesaropapismo putiniano, il patriarca ortodosso di Mosca Cirillo, e con sua teoria della guerra santa anti-relativista e anti-omosessuale.

Bisognerebbe insomma evitare di fare coincidere la realtà storica del pontificato di Francesco con l’immagine prodotta dalle fantasie e dai timori dei suoi più interessati seguaci e spregiatori. 

È più ragionevole e più laico interpretare il fenomeno Bergoglio, anche dal punto di vista teologico-politico, come una manifestazione della trasformazione della Chiesa universale e della sua geografia morale e materiale e leggere la sua ostinata contrarietà a patrocinare, in questa guerra, la parte giusta contro quella sbagliata, non come un’ecumenica o ipocrita equidistanza, ma come una volontà di tenere la Chiesa cattolica alla larga da qualunque collateralismo strategico, per conservarle piena libertà di manovra e di parola e per emanciparla dalla servitù di qualunque Cesare locale e globale. 

Tutto questo, in base a una virtù dettata storicamente da una necessità, cioè dall’essere oggi la Chiesa – al di là della sua specifica vocazione – il ricettacolo di tutte le disperazioni della Terra e dall’avere un popolo in gran parte disperso, povero e perseguitato, per cui l’organizzazione ecclesiale non è, neppure in senso derivato, un’istituzione politica, ma piuttosto quell’immenso ospedale da campo dell’umanità, che è la rappresentazione che da subito Francesco ha voluto dare della Chiesa del nuovo millennio.

Certo è che sulla guerra all’Ucraina – che è di aggressione in senso politico, ma che è una guerra civile in senso religioso e segue un dolorosissimo scisma del campo ortodosso – Papa Francesco ha posizionato la Chiesa in un altrove in cui la pace pericolosamente confina – per gli ucraini, ma non solo per loro – con il martirio e non con la giustizia e in cui anche la difesa dei diritti degli aggrediti sembra implicare il contagio con la violenza degli aggressori e l’inammissibile compromissione con lo spirito di Caino. 

Francesco e vasti settori della Chiesa Cattolica sembrano proporre agli ucraini qualcosa di molto simile a quello che Gandhi propose agli ebrei di fronte alle persecuzioni naziste nell’approssimarsi della soluzione finale: accettare il sacrificio come scandalo necessario e come sola possibile breccia nel muro della violenza e nella coscienza dei violenti. 

In Francesco e in Gandhi, la fede religiosa nella conversione dei malvagi e la fiducia politica nella riconciliazione con i nemici liberati dall’inganno della violenza si identificano nella convinzione che solo andando «come agnelli in mezzo ai lupi» (Luca 10:3) si propizia un ordine umano che manifesta la potenza di Dio e della verità, cioè di un amore capace di estinguere la seduzione dell’odio. 

L’etica della croce, che ha animato per secoli l’apostolato missionario, non è però di per sé una garanzia di responsabilità politica.  Come scrisse brutalmente Hannah Arendt, che pure era tutt’altro che incline a un realismo politico deterministico, «se il dramma potente e ben riuscito della resistenza non violenta di Gandhi si fosse scontrato con un nemico diverso – la Russia di Stalin, la Germania di Hitler, o magari il Giappone anteguerra, invece che con l’Inghilterra – il risultato non sarebbe stato la decolonizzazione, ma un massacro e la sottomissione» (Sulla violenza, 1970). 

Non c’è da stupirsi quindi che la voce con cui Francesco, pur senza allontanare lo sguardo dal male e dall’orrore, parla alle vittime di una guerra criminale suoni alle orecchie degli ucraini e dei loro sostenitori come un silenzio succube ai propositi dei carnefici. L’impressione è ulteriormente aggravata dal fatto che la resistenza ucraina ha tutte le caratteristiche della legittima difesa militare, autorizzata dal Catechismo della Chiesa Cattolica, quando sussistano queste tre condizioni: «che il danno causato dall’aggressore alla nazione o alla comunità delle nazioni sia durevole, grave e certo; che tutti gli altri mezzi per porvi fine si siano rivelati impraticabili o inefficaci; che ci siano fondate condizioni di successo», (§2309) e che lo stesso Catechismo stabilisce che «la legittima difesa, oltre che un diritto, può essere anche un grave dovere, per chi è responsabile della vita di altri. La difesa del bene comune esige che si ponga l’ingiusto aggressore in stato di non nuocere. A questo titolo, i legittimi detentori dell’autorità hanno il diritto di usare anche le armi per respingere gli aggressori della comunità civile affidata alla loro responsabilità» (§2265).

Malgrado quindi l’etica del martirio sia una matrice fondamentale dell’esperienza cattolica e della sua affermazione storica – la conquista del mondo attraverso la conversione degli uomini – nei due millenni trascorsi dalle origini la Chiesa è stata tutt’altro che un’istituzione pacifista o nonviolenta. Fare notare questa contraddizione può essere un efficace artificio retorico, ma non svela il senso – positivo o negativo che lo si voglia giudicare – della scelta di Francesco, che chiama in causa l’idea che della Chiesa del terzo millennio ha questo Papa, che viene dalla fine del mondo e il ruolo politico che immagina per l’istituzione ecclesiale. Un ruolo, a tutta evidenza, del tutto esterno ed estraneo agli equilibri di potenza degli stati e ai blocchi ideologici e politici costruiti attorno a questi equilibri.

Ci può essere in questa scelta, come suggeriscono alcuni intellettuali cattolici, la volontà di preservare un ruolo per la diplomazia vaticana, in Ucraina e non solo. Ma possiamo azzardare che ci sia in primo luogo la volontà, radicalmente anti-temporalistica, di non schierare Dio su un campo di battaglia. È logico che a un Occidente, che si sente orfano di Giovanni Paolo II e del suo impegno anti-comunista e anti-totalitario, Papa Francesco appaia un Papa più equivoco e accomodante e che la delusione sia bruciante nel momento in cui, dopo la fine della II Guerra Mondiale, si affaccia sullo scenario della storia una nuova guerra globale tra libertà e illibertà, tra i sostenitori della democrazia e quelli di autocrazie violente e criminali.

La ragione per cui il Papa non fa in questa guerra il cappellano militare delle democrazie è però, in fondo, l’altra faccia della medaglia della precedente e quanto mai provvidenziale scelta di impedire che la Chiesa cattolica offrisse sponde all’etno-nazionalismo politico-religioso. Questo Papa non vuole, perché in ogni caso non può essere occidentalistico. Vuole una Chiesa radicalmente allineata alla sua sostanza umana: senza patrie, senza terre, senza potere. Anche perché oggi la Chiesa prospera in termini di vocazioni, di conversioni e di fermento ecclesiale dove non esistono affatto radici cristiane.

Non si tratta di negare quanto la storia politica della nostra porzione di mondo sia tributaria alla cultura cristiana. Si tratta di impedire che la Chiesa terzomondiale, che oggi è quella reale, venga usata come alibi ideologico dai tanti leader cosiddetti cristiani – da Trump, a Le Pen, da Orban a Salvini: tutti in ottimi rapporti con Mosca – che vorrebbero usare la croce in modo sacrilego: come una pietra di confine insuperabile e non come una pietra dello scandalo universale e come un messaggio di fratellanza universalistico. Quella di Francesco, anche nell’oltranzismo pacifista, rimane una difesa religiosa della società aperta e del mondo globalizzato.

Criticare quindi Francesco come se fosse una quinta colonna putiniana, come una sorta di Pagliarulo o di Orsini con i paramenti sacri è oggettivamente una cosa sbagliata, ingenerosa e sciocca. Anche perché a questo Papa, assai più che al precedente, va riconosciuto di avere profeticamente impedito che quella cattolica, come altre chiese cristiane, finisse affossata nella trincea del tradizionalismo religioso e del tribalismo morale anti-moderno, dentro e fuori dall’Europa. Affossamento che la paranoia dei valori non negoziabili, coltivata sotto i precedenti pontificati, rendeva certamente possibile, oltre ad accomunare, come già detto, la predicazione cattolica a quella del cekista ortodosso di Mosca, che benedice, proprio in nome di questi valori, le bombe e gli eccidi di Putin.

L’ecumenismo di Francesco, quale limite all’orrore nel segno del Cristianesimo? RAFFAELLA GHERARDI su Il Quotidiano del Sud il 28 Aprile 2022.

NON c’è dubbio che la guerra santa di invasione che il duo “Putin- Kirill” ha scatenato il 24 febbraio 2022 contro l’Ucraina e la decadenza dell’intero Occidente lascerà profonde tracce non solo dal punto di vista semplicemente umano per i massacri, le distruzioni, gli stupri, le deportazioni, l’esodo di milioni di persone che essa già finora è stata in grado di provocare, ma anche sotto il profilo religioso e specificamente della/delle eredità cristiane e anche all’interno del mondo cattolico.

La domanda di cosa significhi sentirsi cristiani non può non balzare oggi alla coscienza di tutti coloro che, pur con accenti diversi, fanno del messaggio del Vangelo il riferimento di una fede che, almeno fino a ieri, veniva ritenuta in questo terzo millennio del tutto lontana dal poter ispirare una guerra odiosa e da vera e propria crociata, anche contro coloro che non solo condividono la fede in Cristo ma anzi, come il popolo ucraino, sono persino fratelli nel credo dell’ortodossia. Anche se si sprecano oggi le giustificazioni storiche (o presunte tali)  a proposito di una Chiesa, quella russa, da sempre vocata a un rapporto “armonico” col potere politico, la cerimonia pasquale russo-ortodossa in cui Putin, col cero devotamente in mano nella cattedrale di Cristo Salvatore a Mosca, presenzia al solenne rito pasquale celebrato dal  Patriarca Kirill (rendendogli poi anche grazie a seguire del suo fermo appoggio allo Stato e, ovviamente, è da intendersi anche alla guerra/non guerra “operazione speciale” in atto a suon di bombardamenti indiscriminati, fosse comuni di centinaia di civili e barbarie di ogni tipo), è qualcosa che ripugna alle coscienze di questo vituperato occidente che oserebbe poter pensare che le guerre scatenate nel nome di Cristo non possano più avere alcuna giustificazione. 

In quello stesso momento in cui congiuntamente Kirill e Putin celebravano la resurrezione di Cristo, lo stesso Putin respingeva anche nei giorni della Pasqua ortodossa (così come nella settimana precedente, neanche a dirlo, in quelli della Pasqua cattolica) ogni tentativo di arrivare almeno a una tregua umanitaria e anzi semmai i bombardamenti contro obiettivi civili si intensificavano ancora di più così come i suoi fidi alleati e boia ceceni mostravano a tutto il mondo i loro sguaiati festeggiamenti e balli sulle rovine fumanti della città martire di Mariupol, delle fosse comuni con migliaia di vittime civili, e la volontà di annullare nel sangue ogni forma residua di resistenza. Per contro di fronte all’orrore della benedizione di una guerra santa, culminato nei fastosi riti pasquali celebrati da Kirill, senza batter colpo sui massacri in atto nel segno di un Dio vendicatore (contro le colpe del popolo ucraino reo di voler essere libero e sovrano e di un occidente che persino osa pensare nei termini di decadenti diritti umani), anche da tante parti del mondo ortodosso, e persino all’interno della ortodossia russa, si levavano grida di aiuto e di speranza rivolti al Papa di Roma.

Tralasciando ogni riferimento al richiamo da parte dei leader politici ucraini alla possibilità di un ruolo prettamente politico per Francesco in qualità di possibile mediatore di pace, oppure anche come semplice personale e inconfutabile  testimonianza da parte sua (in forza di una autorevolezza morale riconosciutagli da tanti nel mondo e non solo cristiano), semmai avesse accettato l’invito a recarsi in Ucraina, degli orrori che si stavano compiendo in quel paese, il grido di dolore proveniva, per esempio, dal prete ortodosso di Bucha che, proprio in occasione della Pasqua, dichiarava: «Se l’arrivo di Papa Francesco potrà contribuire alla pace, noi lo aspettiamo. È anche importante che venga a vedere coi suoi occhi cosa è successo qui». E ancora, in riferimento alla Via Crucis di Roma: «Far portare la croce a due donne, russa e ucraina, è una buona idea di unità, ma una delle due parti deve ammettere le proprie colpe e pentirsi».

Ora se è chiaro che solo la disperazione di chi sta ora subendo in prima persona una devastante guerra di aggressione, ammantata di giustificazioni metafisico/religiose/cristiane,  può condurre all’identificazione di un popolo, quello russo, con il suo tiranno, ai Cattolici tutti non ha potuto che far piacere vedere rivolgersi al proprio Papa, quale testimone riconosciuto dei valori fondativi del Vangelo, le grida di dolore di chi la violenza inaudita della guerra in atto la sta sperimentando ogni giorno e ne è vittima e per chiedergli aiuto. E in effetti è noto a tutti quale complicato itinerario abbia percorso il Papa in questi più di due mesi di guerra, nel tentativo di mediare il messaggio pacifista/fondamentalista del “no alla guerra, senza se e senza ma”, con la necessità di non celare il fatto che, nel caso in oggetto, ci sono un paese e un popolo aggrediti che  rivendicano la necessità di resistere per sé stessi e per le proprie scelte democratiche e una potenza imperiale che nemmeno riconosce la loro esistenza e vuole ricondurli a suon di bombe nell’alveo della propria tirannia, benedetta da Kirill.

Alcune tappe di questo percorso sono apparse più felici di altre a seconda della sensibilità dei singoli o anche delle eredità culturali del cattolicesimo nelle varie parti del mondo contemporaneo e non è certo il luogo qui di discettare in proposito. Quel che, a mio avviso, occorrerebbe che Francesco chiarisse bene fin da subito e  in profondità di fronte ai cattolici di oggi ma anche di fronte a tutti i cristiani che vedono nel messaggio evangelico l’esatto contrario di qualsiasi bellicistico proposito per innescare sanguinose guerre di religione/di potenza (consci del fatto che la storia ne è drammaticamente piena e che lo stesso occidente cristiano moderno ha fatto molta fatica per lasciarsele alle spalle) è quale via egli intenda perseguire sotto la bandiera dell’ecumenismo e del dialogo interreligioso a lui da sempre cari. Più specificamente, per quanto riguarda l’ortodossia e ancora più da vicino quella russa di Kirill: esiste o no uno spartiacque “dopo la benedizione della guerra di aggressione all’Ucraina”? Un “dopo Bucha”, dopo le numerose “Bucha” che via via si stanno ogni giorno aggiungendo? Ancora più prosaicamente si apre una serie di interrogativi: «Quale prospettiva intende perseguire il Papa nei suoi rapporti con Kirill? Intende far finta di nulla e comportarsi con lui da potere a potere, sperando di ricavare qualcosa, magari grazie alla mediazione di quest’ultimo col suo grande referente politico Putin, per la martoriata Ucraina? In nome del realismo politico Kirill può essere ancora un interlocutore come prima, sul quale conviene calare il silenzio sul misfatto della sua benedizione a una guerra di religione cristiana e di potenza?».

Certo con qualche sorpresa i cattolici e i cristiani di tutto il mondo che aborrono le guerre di religione/di potere addirittura condotte oggi, 2022, nel segno del messaggio evangelico, non possono non vedere con qualche preoccupazione alcuni eventi e dichiarazioni recenti da parte di Francesco di cui hanno dato conto i giornali. I suoi auguri per la Pasqua a Kirill, per esempio. Un giornale di stretta area cattolica titola: La lettera del Papa al patriarca Kirill: “Operiamo per la pace in Ucraina dilaniata dalla guerra” e altri giornali mettono comunque in rilievo, anch’essi in gran parte fin dai titoli la funzione di operatori di pace che Francesco pone in risalto per se stesso e per Kirill. «Caro Fratello – così suona il messaggio centrale della lettera a quest’ultimo -, possa lo Spirito Santo trasformare i nostri cuori e renderci veri operatori di pace, specialmente per l’Ucraina dilaniata dalla guerra, affinché il grande messaggio pasquale della morte alla nuova vita in Cristo diventi una realtà per il popolo ucraino, desideroso di una nuova alba che porrà fine alla oscurità della guerra». Capolavoro politico questa affermazione che cerca perlomeno di trascinare Kirill, (messo da Francesco sul suo stesso piano), a vedere di lenire le piaghe del popolo ucraino: assordante silenzio sul fatto che quelle piaghe le ha volute e le vuole proprio lui, Kirill nella sua stretta alleanza guerrafondaia con Putin.

Il fine, – lenire le piaghe del popolo ucraino, appunto – si potrebbe commentare, giustifica i mezzi; il prezzo: il riconoscimento a Kirill della pari dignità da parte del Papa di Roma nel segno del comune riferimento cristiano anche per quanto riguarda questa guerra…. E che Vatican news informi poi che nel sito ufficiale della chiesa russo ortodossa la lettera di Francesco sia stata pubblicata… beh, non stupisce: miglior legittimazione Kirill non poteva sperare per sé stesso anche nel corso di una cristiana guerra santa di aggressione di cui egli sposa profondamente le “ragioni”.

Alla coscienza cattolica e cristiana contemporanea sarebbe bene che il Papa chiarisse anche certe oscurità della sua recente intervista al quotidiano argentino “La Nacion”.  Egli ha confermato il rapporto “molto buono” che ha con Kirill, avendo anche cura di sottolineare quanto segue: «Mi dispiace che il Vaticano abbia dovuto annullare un secondo incontro con il Patriarca Kirill che avevamo programmato per giugno a Gerusalemme. Ma la nostra diplomazia ha ritenuto che un incontro tra noi in questo momento potesse portare molta confusione» Come è noto Francesco e Kirill si sono incontrati una sola volta, nel 2016, a L’Avana dove hanno firmato una dichiarazione congiunta. Davvero stupisce comunque il rimpianto esplicitato chiaramente dal Papa per aver dovuto in qualche modo soccombere ora alle ragioni della diplomazia per quanto riguarda il rinvio dell’incontro.

Ma davvero, verrebbe da chiedere, Sua Santità, capo della religione cattolica e artefice di un messaggio religioso cristiano che ripudia la guerra santa, non ha pensato da solo quanto un incontro del genere sarebbe costato all’intera coscienza cattolica e cristiana contemporanea, dopo la cristiana guerra santa di aggressione all’Ucraina benedetta da Kirill? Ma poi a seguire il Papa specifica la dichiarazione precedente secondo i termini seguenti, che però non risultano chiarificatori più di tanto dato che genericamente si ricordano le ragioni del dialogo interreligioso a lui da sempre caro: «Io ho sempre promosso il dialogo interreligioso. Quando ero arcivescovo di Buenos Aires ho riunito in un fruttuoso dialogo cristiani, ebrei e musulmani. È stata una delle iniziative di cui vado più orgoglioso. È la stessa politica che promuovo in Vaticano… per me l’accordo è superiore al conflitto».

E ancora la Politica: eccola balzare di nuovo alla ribalta… Quel che è certo è che la guerra in corso squassa profondamente la coscienza di tanti cattolici nei confronti del loro Papa… a lui il compito di chiarire anche a loro tanti perché.

Carlo Tecce per espresso.repubblica.it il 29 Aprile 2022.  

«È frustrante, troppo frustrante. Nient’altro», si sfoga l’arcivescovo Visvaldas Kulbokas, agente diplomatico vaticano, da settembre nunzio apostolico a Kiev, nato sul mar Baltico a Klaipeda in Lituania nel ’74. C’è un episodio fin qui inedito che spiega il ruolo di papa Francesco nella guerra in Ucraina, i rapporti altalenanti con la Chiesa ortodossa di Mosca, l’ostentata convergenza del patriarca Kirill I col regime di Vladimir Putin. Un episodio che l’Espresso ha ricostruito con testimoni diretti e che riguarda lo strazio di Mariupol e migliaia di vite.

Il 22 marzo, a quasi un mese dall’aggressione militare dei russi, l’ambasciata ucraina presso la Santa Sede ha comunicato che il presidente ucraino Volodymyr Zelensky aveva ricevuto una «promettente» telefonata da papa Francesco, ne seguiranno altre, più sintetiche, non rivelate. Per il Vaticano era l’occasione per approvare davanti al mondo la fiera resistenza ucraina che, però, si preferisce chiamare «legittima difesa».

Il governo di Kiev non può ottenere armi, droni o cannoni da Jorge Mario Bergoglio e neppure molto denaro, anche se già un paio di anni fa per la regione del Donbass ci fu una donazione di 16 milioni di euro di cui 5 prelevati dai fondi papali e da marzo decine di migliaia di euro ogni giorno affluiscono sui conti delle sette diocesi e delle organizzazioni religiose. 

In Ucraina i cattolici sono circa 3,2 milioni su 43 milioni di residenti, una minoranza ben ramificata, ma il pontificato di Jorge Mario Bergoglio, sfruttando le relazioni già avviate da Joseph Ratzinger, s’è prodigato parecchio per l’unità dei cristiani e ha intensificato i contatti con gli ortodossi.

Proprio il nunzio Kulbokas, che ha servito da consigliere anche nella sede di Mosca, fu l’interprete durante lo storico incontro tra papa Francesco e il patriarca Kirill che si tenne a Cuba il 16 febbraio 2016 in una laica saletta all’aeroporto internazionale dell’Avana. In quella circostanza i due capi cristiani, con spirito ecumenico, si assegnarono un compito preciso: «Gli esiti della conversazione mi permettono di assicurare che attualmente le due Chiese possono cooperare - riassunse Kirill - per la difesa dei cristiani e lavorare affinché non ci sia guerra e la vita umana venga rispettata ovunque». Cristiani sono i russi. Cristiani sono gli ucraini.

Il patriarca e il pontefice firmarono anche una dichiarazione congiunta che al paragrafo 26 conteneva un appello per risolvere il conflitto nell’area orientale del Donbass: «Deploriamo lo scontro in Ucraina che ha già causato molte vittime, innumerevoli ferite ad abitanti pacifici e gettato la società in una grave crisi economica e umanitaria. Invitiamo tutte le parti alla prudenza, alla solidarietà sociale e all’azione per raggiungere la pace. Invitiamo le nostre Chiese in Ucraina a lavorare per pervenire all’armonia sociale». Questo auspicio verrà subito disatteso perché la Chiesa di Kiev si staccherà dalla Chiesa di Mosca per assumere una sua indipendenza gerarchica.

Per il governo di Kiev, comunque, papa Francesco è una lunga campata che conduce a Mosca. Ne è una prova inconfutabile la doppia evacuazione degli orfanotrofi di Vorzel e Kherson avvenuta fra il 9 e il 10 marzo per curare decine di neonati. Su richiesta delle autorità ucraine fu il Vaticano a intercedere con i generali russi per una tregua. 

Il 22 marzo Zelensky e Bergoglio hanno parlato di pace e di come salvare i profughi che non hanno più tempo per aspettare che arrivi. Allora il 23 marzo, su mandato di papa Francesco, la segreteria di Stato col cardinale Pietro Parolin ha ordinato alla nunziatura di Kiev, fra le poche ambasciate che non hanno abbandonato mai la capitale, di allestire al più presto un piano per entrare in sicurezza con un convoglio di almeno 50 autobus a Mariupol e aprire un corridoio umanitario per estrarre dalla mattanza russa 2.500 civili alla volta finché consentito. Finché possibile.

Il cardinale Parolin ha discusso con Andriy Yermak, il capo di gabinetto di Zelensky. Il nunzio Kulbokas ha informato i suoi referenti al ministero degli Esteri di Kiev e ha affrontato i dettagli con la vicepresidente (cattolica) Irina Vereshchuk. La prima bozza prevedeva una missione a Mariupol di un vescovo cattolico e di un vescovo ortodosso. Per la Chiesa di Roma era pronto monsignor Pavlo Honcaruk, vescovo della diocesi di Zaporizhia. E sempre lì a Zaporizhia, il governo locale avrebbe fornito pacchi di viveri, l’assistenza dei medici e rifugi per la notte. «Poi ci siamo accorti che il livello era insufficiente per convincere i militari russi».

Così il Vaticano ha coinvolto la Chiesa di Mosca. Il patriarca Kirill I è in una posizione scomoda e perciò equivoca e confusa. Un giorno ha definito la «guerra giusta», un altro, il 16 marzo in videoconferenza con papa Francesco, l’ha ridefinita «ingiusta» e ha garantito l’impegno degli ortodossi per le «questioni umanitarie». In sostanziale coerenza con le ultime dichiarazioni, Kirill I ha accettato di partecipare al convoglio per Mariupol. Vuol dire che la missione era svolta in nome del patriarca di Mosca e del pontefice di Roma. 

Un messaggio potente che accorciava le distanze fra i popoli e imponeva domande (e pressioni) ai governi. Il 27 marzo era la data scelta per la partenza. La delegazione l’avrebbe guidata il nunzio Kulbokas. Più titoli per i negoziatori e i cittadini del pianeta. La Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa fanno tacere le armi.

L’artiglieria di Mosca non spara più su Mariupol. Invece no. I generali russi hanno ignorato il pontefice e il patriarca. Non hanno fermato i cannoni. Hanno proibito alla carovana cattolica e ortodossa l’ingresso a Mariupol. «Un fallimento, un dolore. Un costo enorme. Un costo che non possiamo misurare – racconta monsignor Kulbokas – perché in mezzo ci sono vite che non abbiamo potuto sottrarre alla furia degli spari. È frustrante non riuscire a soddisfare le richieste di chi sta per morire. È molto complicato da accettare». 

Da quel 27 marzo la diplomazia ha sentito la pace più lontana. E molte speranze sono appassite. Adesso le ragioni si capiscono. Almeno si percepiscono. Bergoglio ha cancellato l’appuntamento con Kirill I fissato a giugno a Gerusalemme su «indicazione della diplomazia vaticana». Duplice lettura: non inchinarsi a Mosca, non imbarazzare Kirill. Altra annotazione: il patriarca di Mosca, nonostante Mariupol, le tragedie, le sofferenze, le atrocità della guerra scatenata dall’Armata rossa, ha accolto alla veglia di Pasqua il fedele Putin con annessa candela e dunque ha confermato la sua totale sintonia col Cremlino. (Queste sono le immagini trasmesse, alcuni sospettano fossero di repertorio). 

Però il Vaticano insiste puntando gli stessi varchi che Putin ha sbarrato. In questo modo va decifrata l’ultima lettera che papa Francesco ha indirizzato ancora a Kirill. «C’è stato un secondo piano per Mariupol», precisa il nunzio Kulbokas. Alla vigilia di Pasqua, per due operazioni, una pubblica, l’altra riservata, papa Francesco ha inviato per la terza volta in Ucraina il cardinale polacco Konrad Krajewski, l’elemosiniere apostolico. Krajewski ha consegnato un’ambulanza a Kiev e poi è andato a pregare fra le rovine apocalittiche di Borodjanka, Irpin, Vorzel, Bucha.

Il cardinale ha esitato a rientrare a Roma perché ha tentato invano di ricevere il nullaosta dai russi per accedere alla zona dell’acciaieria Azovstal di Mariupol e riportare alla luce e alla vita migliaia di civili intrappolati. «Ora sono qui in Vaticano e non ho programmi per domani. Papa Francesco mi ha suggerito di lasciare il motore acceso perché potrei tornare in Ucraina in qualsiasi momento. Siamo in uno stato di allerta permanente», puntualizza col suo tono perentorio il cardinale Krajewski.

Si sono registrate incomprensioni (o meglio, tensioni) anche fra il governo di Kiev e la Chiesa di Roma. Come per la preghiera pasquale di una donna ucraina e una russa. Il Papa ha ricevuto copiose critiche per la sua ritrosia nel citare Putin. In Ucraina la propaganda non ha risparmiato il Vaticano. La nunziatura apostolica ha smontato le menzogne più pericolose. Per esempio che l’Istituto per le opere religiose, meglio noto con l’acronimo Ior, custodisse i soldi di Putin.

Oppure che il Vaticano fosse contrario alle spedizioni di armi in Ucraina: «Ciascuno è libero di diventare martire e sacrificare sé stesso, ma la teologia cattolica - rammenta il nunzio Kulbokas - riconosce la legittima difesa. Noi non offriamo soluzioni politiche o militari. Questo è un principio chiaro. Noi non incoraggiamo un maggior armamento e non individuiamo le clausole di un accordo. 

Per questo motivo, come esplicitato dal Papa, non ci rivolgiamo ai presidenti e non menzioniamo né il governo di Kiev né quello di Mosca, però lavoriamo sempre per la pace sapendo distinguere fra chi offende e chi reagisce. Sotto la croce non esistono distinzioni, ci sono gli ucraini e anche i russi. Non mandiamo via nessuno». A breve sarà in visita a Kiev monsignor Paul Richard Gallagher, il ministro degli Esteri. La diplomazia vaticana è concentrata sui civili e su un unico uomo che porta a Putin. Kirill I che fu Vladimir Michajlovic Gundjaev. Il sedicesimo patriarca di Mosca e di tutte le Russie.

Papa Francesco: "Io filo-Putin? Coprofilia". Raptus contro i giornalisti "pagati" che amano gli escrementi. Libero Quotidiano il 16 aprile 2022.

"Io filorusso? I giornalisti cadono nella calunnia e nella coprofilia". Sono le testuali parole di Papa Francesco, nella risposta a una lettera inviatagli dal giornalista argentino Gustavo Sylvestre, della tv argentina C5N e riportata da Crux Now. Dichiarazioni durissime, e inusuali anche per un Pontefice, come Bergoglio, che non ha mai disdegnato immagini crude come quella, famosa, del pugno in faccia. Il tema è caldissimo, anche in Argentina: il Papa per settimane ha rifiutato di pronunciare il nome di Vladimir Putin, per non far pesare esclusivamente sul presidente russo le responsabilità della guerra in Ucraina. In uno schema binario "bianco o nero" come quello che regna in periodo bellico, la posizione del Vaticano è stata scambiata rapidamente per una tacita opposizione alla resistenza della popolazione ucraina, in nome di una generica "Pace".

I giornalisti che lo accusano di essere filo-russo per non aver condannato Putin, spiega Francesco, stanno cadendo nella "disinformazione, nella calunnia, nella diffamazione e nella coprofilia", che delinea la condizione perversa di chi è interessato agli escrementi. La lettera del Papa è stata pubblicata dal giornalista sul suo blog personale, dove però manca la missiva inviata al Pontefice. Nella sua lettera a Sylvestre, il Papa ha anche affermato che alcuni dei giornalisti che lo accusano di una posizione pro-Putin potrebbero essere pagati per scrivere tali articoli: "Che tristezza! Una vocazione così nobile come quella dell'informazione, sporcata". 

Tutto questo nelle stesse ore in cui hanno iniziato a circolare, in Italia, i contenuti della intervista esclusiva di Lorena Bianchetti, presentatrice di A sua immagine su Rai1, al Pontefice in occasione della Pasqua. Ospite questa mattina di RTL 102.5 in Non Stop News, la conduttrice spiega: "Sono stati toccati tantissimi temi, tutti quelli che riguardano l'attualità. Nel mio piccolo ho cercato di portare con me tutti noi che viviamo le preoccupazioni, le sfide, le angosce di ogni giorno. Il pretesto è proprio il Venerdì Santo. Siamo partiti anche dalle espressioni di Gesù, che muore in croce da innocente, così come tanti innocenti continuano a morire a causa della guerra e non solo. Sono convinta che le parole del Santo Padre siano un'iniezione di bellezza, forza e incoraggiamento".

Domenico Agasso per “la Stampa” il 4 aprile 2022.

«Siamo tutti colpevoli, il Signore abbia pietà di noi, di tutti noi». Papa Francesco torna a Roma da La Valletta con un volo AirMalta e parla del conflitto in Ucraina con evidente dolore e compassione. Conferma la sua disponibilità per un viaggio a Kiev ma precisa che «non so se si potrà fare e se è conveniente». Su Putin afferma: «Non l'ho sentito, ma gli direi quello che ho detto finora a tutte le autorità». Assicura di non conoscere ancora le notizie delle esecuzioni in strada e delle fosse comuni a Bucha. E denuncia che «non impariamo! Siamo innamorati delle guerre e dello spirito di Caino».

Santità, ci hanno colpito le immagini provenienti da Bucha, un paese vicino a Kiev, dove gli ucraini hanno trovato decine di cadaveri per strada, alcuni con le mani legate, come se fossero stati «giustiziati». Sembra che la sua presenza in quella zona sia sempre più necessaria. Pensa che sia fattibile? E quali sarebbero le condizioni?

«Grazie per avermi comunicato questa notizia che non conoscevo ancora. Sempre la guerra è una crudeltà, una cosa inumana. Io sono disposto a fare tutto quello che si debba fare, e la Santa Sede, soprattutto la parte diplomatica, il cardinale Parolin e monsignor Gallagher, stanno facendo di tutto, ma di tutto, non si può pubblicare tutto quello che fanno, per prudenza, per riservatezza, ma siamo al limite del lavoro. Fra le possibilità c'è il viaggio.

Ci sono due ipotesi: una - me lo ha chiesto il presidente della Polonia - sarebbe inviare il cardinale Krajewski a visitare gli ucraini che sono stati ricevuti in Polonia; lui è andato già due volte, ha portato due ambulanze ed è rimasto lì con loro e lo farà un'altra volta. 

L'altro viaggio che qualcuno mi ha domandato è a Kiev: io lo dissi con sincerità che avevo in mente di andarci, la mia disponibilità sempre c'è. Ma non so se si potrà fare, e se è conveniente farlo. Poi da tempo si ragiona su un incontro con il patriarca Kirill, si sta lavorando a questo, si sta pensando al Medio Oriente come luogo».

Dall'inizio della guerra ha parlato con Vladimir Putin?

«Le cose che ho detto alle autorità di ogni parte sono pubbliche. Nessuna è riservata.

Quando ho parlato con il Patriarca lui poi ha fatto una bella dichiarazione. Il presidente della Russia l'ho sentito alla fine dell'anno quando mi ha chiamato per farmi gli auguri.

Il presidente dell'Ucraina l'ho sentito due volte. 

Poi il primo giorno di guerra ho pensato di andare all'ambasciata russa per parlare con l'ambasciatore che è il rappresentante del popolo, e fare le domande e dire le mie impressioni. Ho sentito anche l'arcivescovo maggiore di Kiev Schevchuck. Poi ogni due o tre giorni con regolarità una giornalista, Elisabetta Piquet, che stava a Leopoli e ora a Odessa. Lei mi dice come stanno le cose. Vorrei farvi le condoglianze per i vostri colleghi giornalisti che sono caduti. Siano dalla parte che siano, non interessa».

Quale sarebbe il messaggio per Putin se avesse la possibilità di parlargli?

«I messaggi che ho dato a tutte le autorità, sono quelli che ho diffuso pubblicamente.

Non uso un doppio linguaggio». 

Ci sono guerre giuste?

«Ogni guerra nasce da un'ingiustizia. Perché c'è lo schema di guerra. Per investire per comprare armi. Dicono: ma ne abbiamo bisogno per difenderci. Quando è finita la Seconda guerra mondiale tutti hanno respirato il "mai la guerra". È cominciata un'ondata di lavoro per la pace anche con la buona volontà di non distribuire le armi, le armi atomiche dopo Hiroshima e Nagasaki. Settant' anni dopo abbiamo dimenticato tutto.

Ci sono stati dei grandi come Ghandi che hanno scommesso sullo schema della pace. Ma noi siamo testardi come umanità. Siamo innamorati delle guerre, dello spirito di Caino. Sono addolorato. Non impariamo. Che il Signore abbia pietà di noi, di tutti noi. Tutti siano colpevoli!». 

Com' è andata la visita a Malta?

«Sono contento, ho visto un entusiasmo della gente impressionante. Uno dei problemi che ho notato è la migrazione. Ed è grave perché Grecia, Cipro, Malta, Italia, Spagna sono i paesi più vicini all'Africa e al Medio Oriente: atterrano qui, arrivano qui, i migranti, e vanno accolti sempre! Ogni governo deve dire quanti ne può ricevere.

Per questo ci vuole un'intesa con i Paesi dell'Europa, dove però non tutti sono disponibili. Ma almeno bisogna non lasciare tutto il peso a questi Paesi limitrofi. Oggi (ieri, ndr) sono stato nel centro di accoglienza e le cose che ho sentito lì sono terribili, la sofferenza per arrivare qui, e poi i lager nella costa libica. 

Questo sembra criminale no? L'Europa sta facendo il posto con tanta generosità agli ucraini che bussano alla porta, così deve fare anche per coloro che vengono dal Mediterraneo».

La sua salute come va?

«È capricciosa, ho questo problema al ginocchio che provoca altri problemi di deambulazione, è un po' fastidioso, ma sta migliorando, almeno posso andare avanti. Due settimane fa non potevo fare nulla. È una cosa lenta, vediamo se guarisce, ma c'è il dubbio che a questa età non si sa come finirà la partita, speriamo che vada bene».

 Fausto Carioti per “Libero quotidiano” il 4 aprile 2022.

Nei tanti libri sull'identità italiana e la nostra idea di patria, e negli editoriali che da trent' anni scrive per il Corriere della Sera, la costante di Ernesto Galli della Loggia è il realismo, anche quando questo comporta giudizi duri. Le cose che dice in questa intervista non fanno eccezione. 

Inevitabile iniziare da Vladimir Putin, professore. In queste settimane i paragoni storici sul presidente russo si sono sprecati. A lei chi ricorda?

«Nessuno. Non è mai capitato che un funzionario dei servizi segreti diventasse capo di un grande Stato europeo. Naturalmente, dato il ruolo che ricopre, Putin risente di tendenze ed idee radicate nella storia russa, e quello che fa e dice rientra in una certa tradizione del suo Paese. Ma come personaggio è un uomo nuovo». 

Joe Biden lo ha definito «un macellaio» e ha detto che non può restare al potere. Nessun dubbio che questo sia ciò che pensa di Putin. Il punto è se il presidente degli Stati Uniti, potenza nucleare, possa dire ciò che pensa del suo corrispettivo russo. Ha sbagliato?

«Sì, credo proprio che abbia sbagliato. A meno che Biden non sappia, attraverso le fonti dell'intelligence statunitense, che nelle alte sfere russe è in atto un forte movimento per spodestare Putin. In tal caso le sue parole potrebbero aver avuto lo scopo di incoraggiare tale movimento. 

Dubito che sia così, però. La cosa più probabile è che le sue parole siano state dettate dall'emozione per l'incontro che aveva appena avuto con i profughi ucraini, e questo significa che dal punto di vista politico sono state uno sbaglio». 

Lei non sembra credere all'ipotesi di una "primavera di Mosca", di una rivolta popolare che depone lo "zar", nella quale invece qualche osservatore occidentale spera.

«Escludo che possa esserci una rivolta popolare. Tra l'altro la maggioranza dei russi ignora quasi tutto di ciò che sta accadendo in Ucraina, inclusi le modalità dell'invasione e il numero dei soldati morti. Oggi Putin può essere spodestato solo dai vertici dell'esercito russo».

 Che ragioni avrebbero?

«Hanno dovuto obbedire a una decisione politica, ma a nessun militare piace essere infilato in un'avventura senza sbocchi come si sta rivelando quella ucraina. Per questo gli unici che potrebbero fare un cambio della guardia al Cremlino sono loro, i capi dell'esercito, ovviamente d'intesa con altri poteri russi». 

Lei ci crede?

«Non faccio previsioni, lì dentro ci sono troppe cose che ignoriamo completamente. Mi limito a fare ipotesi di scuola».

Veniamo all'Italia, professore. Gli elettori, secondo i sondaggi, hanno simpatia per la causa ucraina, ma sono contrari all'aumento delle spese militari. Non è contraddittorio, per un Paese che si proclama figlio della resistenza armata partigiana?

«Vecchia storia: le persone sono raggiunte da una telefonata, si trovano sottoposte a una domanda a bruciapelo e non possono stare lì a cavillare e sofisticare. Motivo per cui i sondaggi vanno sempre presi con molta cautela». 

Proviamo a prenderli cautamente sul serio.

«È normale che di primo acchito la maggioranza degli elettori sia contraria ad aumentare le spese militari, perché appaiono soldi sottratti alla spesa sociale. Ma è chiaro che c'è una contraddizione con la volontà di sostenere la resistenza Ucraina, che per continuare a combattere ha bisogno delle armi che possiamo darle.

È una delle contraddizioni tipiche dell'opinione pubblica, che spesso vuole la botte piena e la moglie ubriaca. Spetterebbe alla classe dirigente politica mettere d'accordo certe esigenze contraddittorie».

E finora come si è comportata la classe politica italiana?

«Un dato che merita attenzione è quello dei trecento parlamentari che si sono rifiutati di andare in aula a seguire l'intervento di Zelensky. Posso credere che qualcuno avesse problemi di famiglia odi altro tipo. 

Ma la grande maggioranza di loro - parliamoci chiaro - sono personaggi di secondo piano, sicuri di non essere rieletti, che stanno cercando una ricollocazione politica e finanziaria per il loro futuro. E siccome non da oggi, ma da anni, c'è una forte attività della Russia per "penetrare", diciamo così, i sistemi politici occidentali, allo scopo di acquistare "simpatie", credo che le due cose siano legate. Mi fermo qui, non voglio dire di più».

Fosse vero ciò che lei ipotizza sarebbe gravissimo. A parte gli interessi nascosti dei singoli, però, c'è un problema di linea ufficiale dei partiti e delle alleanze, e lo dimostrano le sofferenze di Enrico Letta e del suo "campo largo".

«Confesso che sul Pd mi ero illuso. Mi aspettavo che restasse sulla posizione espressa all'inizio da Letta, aderente alla linea di Draghi, che prevede il sostegno pieno all'Ucraina e il rispetto dell'impegno, assunto in sede Nato, di aumentare in tempi rapidi la spesa per il riarmo, portandola al 2% del Pil».

Non è andata proprio così.

«No. Di fronte alla presa di posizione di Conte, che ha dichiarato la propria indisponibilità, il Pd ha fatto una rapida riconversione su posizioni possibiliste e ha aperto la trattativa: non più due, ma cinque, sei anni... Ha ancora paura di essere diverso da come era in passato, di staccarsi dai vecchi dogmi e di affrontare una battaglia chiarificatrice all'interno della sinistra».

Un'occasione persa per Letta e i suoi, insomma.

«Sì. Inoltre credo che pesi molto la paura di andare da soli alle elezioni, senza i Cinque Stelle. La loro unica speranza di ottenere un successo che li porti al governo è legata all'alleanza col M5S». 

Che ha deciso di trasformare l'ultimo anno di legislatura in una guerriglia continua contro Draghi.

«Le scelte di Conte fanno parte del grande capitolo della dissoluzione dei Cinque Stelle.

Conte è alla testa di un movimento che ogni giorno perde consensi. Ha bisogno come l'aria che respira di costruirsi un ruolo, visto che, tra l'altro, lui personalmente non ne ha alcuno, non essendo nemmeno eletto in parlamento.

Come molti politici superficiali, crede che avere un ruolo significhi avere una posizione eccentrica, di cui i giornali l'indomani parleranno. E siccome il suo contendente interno, Di Maio, è schierato su una posizione atlantista, Conte ha scelto di schierarsi in senso contrario». 

Detta in questo modo, sembra che il capo politico del movimento sia Di Maio e che Conte sia il suo sfidante.

«Nei fatti, mi pare che le cose si avviino ad essere così. I Cinque Stelle cercano una nuova ragion d'essere, dato che tutte le loro identità precedenti, l'"uno vale uno" e le altre chiacchiere, si sono rivelate vane. Di Maio, con la sua azione governativa, sta cercando di costruire questa nuova piattaforma, ma si scontra con un gruppo di dissidenti, alla testa dei quali si è messo Conte. 

Mi sembra, però, che i parlamentari del movimento abbiano capito che, se vogliono essere rieletti, è dalla parte di Di Maio che debbono stare. Infatti, nella sostanza, è a lui che rispondono i gruppi in parlamento». 

Se le cose stanno così, la scissione è inevitabile.

«Direi proprio di sì. E sbaglierò, ma credo proprio che Di Maio sia la carta vincente, perché stare al governo gli dà il ruolo e l'immagine che Conte non ha».

Chi si oppone alle spese militari, però, può dire di avere dalla propria parte il papa. Anche grazie a giganti come sant' Agostino, la Chiesa ha elaborato una dottrina della «guerra giusta», secondo la quale è moralmente lecito, in certe circostanze, l'uso delle armi. Ora Bergoglio ha espresso «vergogna» perla scelta di portare la spesa militare al 2% del Pil, che giudica «una pazzia». È una novità rispetto alla tradizione della Chiesa?

«Sì, è in parte una novità. Mi pare, peraltro, che le dichiarazioni del papa siano state molto contraddittorie. Dapprima ha preso posizioni filorusse; poi, forse anche a causa delle critiche che gli sono state mosse da dentro la Chiesa, ha cambiato posizione, iniziando a parlare di "aggressione", pur senza mai nominare la Russia. Alla fine sembra essersi attestato su una posizione di generica condanna della guerra e del riarmo».

Questo pesa sull'azione del Vaticano?

«Credo che le posizioni del papa mettano soprattutto in grave difficoltà la diplomazia vaticana. La quale ha una grande tradizione e notevole capacità, ma mi sembra che soffra molto di una guida così incerta e ambigua. Più in generale, penso che la leadership "politica" del papa, chiamiamola così, sia da tempo molto confusa, e alla fine sfoci in una pressoché assoluta irrilevanza politica».

Franca Giansoldati per "Il Messaggero" il 20 marzo 2022.

Nel nono anniversario dell'inaugurazione del suo pontificato Papa Francesco ha scelto di pubblicare la Costituzione Apostolica Praedicate Evangelium con la quale ha di fatto riformato la Curia, dandole un assetto più compatibile con «il discernimento dei segni dei tempi». Tanto per cominciare anche una donna potrà (finalmente) diventare capo dicastero, nasce un dicastero per la Carità che guiderà l'Elemosiniere pontificio per garantire assistenza nei casi di maggiore necessità, la commissione sugli abusi viene inserita in pianta stabile alla Congregazione della Fede, che sarà divisa in due tronconi.

Infine la Segreteria per l'Economia avrà il controllo sull'Obolo di San Pietro e anche una sezione di controllo sulle risorse umane. Tra le novità più significative spicca l'accorpamento della Congregazione per l'Evangelizzazione dei popoli e del Pontificio consiglio per la promozione della nuova evangelizzazione, confluiranno in una realtà destinata a diventare il cuore pulsante della Curia: i due capi dicastero saranno pro-prefetti, mentre le redini le avrà il Papa. 

Nell'organigramma curiale questa realtà avrà un peso specifico maggiore, superando quello della Dottrina della Fede, da sempre custode del Magistero e per secoli ritenuta la congregazione più importante. Questa costituzione era attesa da anni: le bozze erano state scritte e riscritte diverse volte, fino ad arrivare alla versione finale che sostituisce la Pastor bonus che era stata promulgata da Giovanni Paolo II nel 1988. Il testo normativo che si compone di 54 pagine e 250 articoli entrerà in vigore il prossimo 5 giugno, festa della Pentecoste.

Nel preambolo, tra i principi generali, viene abbattuto un muro laddove si specifica che tutti - e dunque anche fedeli laici e laiche - potranno essere nominati in ruoli di governo della Curia romana, in forza della potestà vicaria del Successore di Pietro. Infine, altra novità, è il turn over dei preti che lavorano nelle amministrazioni: il loro mandato da ora in poi sarà solo quinquennale, rinnovabile una volta e poi dovranno tutti tornare in diocesi. E sempre nel preambolo vengono cristallizzati i valori sui quali dovranno lavorare, a sostegno dei vescovi: aiutare ad evangelizzare, rispettare l'opzione preferenziale dei poveri, proteggere i minori e lavorare per la pace nel mondo.

La rivoluzione di Papa Francesco, la Curia diventa missionaria: ecco la nuova Costituzione apostolica.  Gian Guido Vecchi su Il Corriere della Sera il 19 Marzo 2022.

Le donne laiche possono guidare i dicasteri vaticani: «Ogni fedele può farlo». ««ogni cristiano, in virtù del Battesimo, è un discepolo- missionario». La novità-simbolo è il nuovo «Dicastero per l’Evangelizzazione» guidato direttamente dal Pontefice.  

La novità-simbolo, come un riflesso della rivoluzione di Francesco, è il nuovo «Dicastero per l’Evangelizzazione» che sarà guidato direttamente dal Papa e diventa il primo «ministero» del Vaticano superando la supremazia storica tra i dicasteri dell’ex Sant’Uffizio, la Dottrina della fede. Nel giorno di San Giuseppe, il Papa ha promulgato la nuova Costituzione apostolica sulla Curia romana che entrerà in vigore il 5 giugno, a Pentecoste, e sostituisce la «Pastor Bunus» di Giovanni Paolo II, pubblicata nel 1988 e in vigore dall’89. Del resto già il titolo, «Praedicate evangelium», ne riassume il senso: la predicazione del Vangelo «è il compito che il Signore Gesù ha affidato ai suoi discepoli».

Anziché una Chiesa chiusa e preoccupata anzitutto dell’ortodossia teologica, le famose «dogane pastorali» più volte deplorate da Francesco, la Chiesa «in uscita» di Francesco punta a una «conversione missionaria» che è «destinata a rinnovarla». Nel testo, tra l’altro, si dice che «qualunque fedele può presiedere un Dicastero o un Organismo» e «ogni cristiano, in virtù del Battesimo, è un discepolo- missionario» e «non si può non tenerne conto nell’aggiornamento della Curia, la cui riforma, pertanto, deve prevedere il coinvolgimento di laiche e laici, anche in ruoli di governo e di responsabilità»: significa che anche le donne laiche possono guidare i dicasteri vaticani, cosa peraltro nota ma che ora viene messa nero su bianco. Nel 2018 lo stesso Papa spiegò che «anche una donna può essere a capo di un Dicastero» e il cardinale Pietro Parolin nel 2016 aveva ricordato che «in teoria una donna potrebbe anche ricoprire l’ufficio di Segretario di Stato, che non è legato a sacramenti e sacerdozio».

La riforma registra per buona parte gli accorpamenti e le modifiche già decisi in Curia dal 2013. Il nuovo Dicastero per l’Evangelizzazione accorperà la vecchia Congregazione per l’Evangelizzazione dei popoli e il Pontificio consiglio per la nuova evangelizzazione, i cui capi diventeranno «pro-prefetti» perché prefetto sarà «direttamente il Romano Pontefice». Altra novità rilevante è l’istituzione del «Dicastero per il Servizio della Carità»: l’Elemosineria apostolica guidata dal cardinale Konrad Krajewski sale di grado e diventa il terzo Dicastero della Curia, subito dopo l’ex Sant’Uffizio. Come l’Evangelizzazione, diventa centrale il Dicastero che è «un’espressione speciale della misericordia e, partendo dall’opzione per i poveri, i vulnerabili e gli esclusi, esercita in qualsiasi parte del mondo l’opera di assistenza e di aiuto verso di loro a nome del Romano Pontefice». Nel testo, è significativo anche il fatto che la Commissione per la tutela dei minori entri a far parte del «Dicastero per la Dottrina della Fede».

Con la nuova riforma, non ci sono più «Congregazioni» e «Pontifici Consigli» ma solo Dicasteri. La Curia romana «è composta dalla Segreteria di Stato, dai Dicasteri e dagli Organismi, tutti giuridicamente pari tra loro». Si precisa che è uno strumento al servizio del pontefice e «non si colloca tra il Papa e i Vescovi, piuttosto si pone al servizio di entrambi secondo le modalità che sono proprie della natura di ciascuno». Infine, nella a nuova costituzione c’è anche traccia delle dimissioni di un Papa, evento impensabile fino a Benedetto XVI: nel testo non si dice più, come nella «Pastor Bonus», che tutte le cariche decadono «alla morte del sommo Pontefice» ma «in caso di Sede Apostolica vacante».

Sandro Magister per magister.blogautore.espresso.repubblica.it il 15 marzo 2022.

Dall’inizio della Quaresima passa di mano in mano tra i cardinali che eleggeranno il futuro papa questo memorandum. Il suo autore, che si firma col nome di Demos, “popolo” in greco, è sconosciuto, ma risulta sicuro padrone della materia. Non si può escludere che sia egli stesso un cardinale.

I commentatori di ogni scuola, anche se per ragioni diverse, con la possibile eccezione di padre Spadaro, SJ, concordano sul fatto che questo pontificato è un disastro sotto molti o più aspetti, una catastrofe.

1. Il successore di san Pietro è la roccia su cui è edificata la Chiesa, una grande fonte e causa di unità mondiale. Storicamente, a partire da sant'Ireneo, il papa e la Chiesa di Roma hanno un ruolo unico nel preservare la tradizione apostolica, la regola della fede, nel garantire che le Chiese continuino a insegnare ciò che Cristo e gli apostoli hanno insegnato. In precedenza il motto era: “Roma locuta. Causa finita est”. Oggi è: “Roma loquitur. Confusio augetur”. 

(A) Il sinodo tedesco parla di omosessualità, di donne sacerdote, di comunione per i divorziati. E il papato tace.

(B) Il cardinale Hollerich rigetta l'insegnamento cristiano sulla sessualità. E il papato tace. Ciò è doppiamente significativo perché il cardinale è esplicitamente eretico; non usa parole in codice o allusioni. Se il cardinale continuasse senza la correzione romana, ciò rappresenterebbe un'altra più profonda rottura della disciplina, con pochi (o nessuno?) precedenti nella storia. La congregazione per la dottrina della fede deve agire e parlare. 

(C) Il silenzio è ancor più in evidenza quando stride con la persecuzione attiva dei tradizionalisti e dei monasteri contemplativi.

2. La centralità di Cristo nell'insegnamento si indebolisce; Cristo viene rimosso dal centro. A volte Roma sembra addirittura confusa sull'importanza di uno rigoroso monoteismo, alludendo a un certo concetto più ampio di divinità; non proprio panteismo, ma come una variante del panteismo indù. 

(A) Pachamama è idolatrica, anche se forse non era intesa come tale inizialmente. 

(B) Le monache contemplative sono perseguitate e sono fatti tentativi per cambiare gli insegnamenti dei carismatici. 

(C) L'eredità cristocentrica di san Giovanni Paolo II nella fede e nella morale è oggetto di attacchi sistematici. Molti docenti dell’istituto romano per la famiglia sono stati allontanati; la maggior parte degli studenti se ne sono andati. L’accademia per la vita è gravemente disastrata, ad esempio alcuni suoi membri hanno recentemente sostenuto il suicidio assistito. Le pontificie accademie hanno membri e oratori ad invito che sostengono l'aborto. 

3. Il mancato rispetto della legge in Vaticano rischia di diventare uno scandalo internazionale. Questi problemi sono stati concretizzati nel processo in corso in Vaticano a dieci accusati di negligenza finanziaria, ma il problema è più vecchio e più ampio. 

(A) Il papa ha cambiato la legge quattro volte durante il processo per aiutare l'accusa. 

(B) Il cardinale Becciu non è stato trattato con giustizia perché è stato rimosso dal suo incarico e privato delle sue dignità cardinalizie senza alcuna prova. Non ha ricevuto il giusto processo. Tutti hanno diritto a un giusto processo. 

(C) In quanto capo dello Stato vaticano e fonte di ogni autorità di legge, il papa si è servito di questo potere per interferire nei procedimenti giudiziari.

(D) Il papa a volte, se non spesso, governa con decreti pontifici, motu proprio, che eliminano il diritto di appello delle persone colpite. 

(E) Molti membri del personale, spesso sacerdoti, sono stati sbrigativamente cacciati dalla curia vaticana, spesso senza una valida ragione. 

(F) Le intercettazioni telefoniche sono regolarmente praticate. Non sono sicuro di quanto spesso ciò sia autorizzato. 

(G) Nel processo inglese contro Torzi, il giudice ha criticato aspramente i pubblici accusatori vaticani. I quali o sono incompetenti e/o sono stati condizionati, impediti di fornire il quadro completo.

(H) L'irruzione della gendarmeria vaticana al comando del dottor Giani, nel 2017, nell'ufficio del revisore dei conti Libero Milone, in territorio italiano, era probabilmente illegale ed è stata in ogni caso intimidatoria e violenta. È possibile che le prove contro Milone siano state fabbricate. 

4. (A) La situazione finanziaria del Vaticano è grave. Negli ultimi dieci anni (almeno) ci sono stati quasi sempre deficit finanziari. Prima del COVID, questi deficit erano di circa 20 milioni di euro all'anno. Negli ultimi tre anni sono stati circa 30-35 milioni di euro all'anno. I problemi datano a prima sia di papa Francesco che di papa Benedetto.

(B) Il Vaticano ha di fronte un pesante deficit del fondo pensioni. Intorno al 2014 gli esperti della COSEA stimavano che nel 2030 il deficit sarebbe stato di circa 800 milioni di euro. Questo prima del COVID. 

(C) Si stima che il Vaticano abbia perso 217 milioni di euro sul palazzo di Sloane Avenue a Londra. Negli anni '80 il Vaticano fu costretto a sborsare 230 milioni di dollari dopo lo scandalo del Banco Ambrosiano. A causa dell'inefficienza e della corruzione, negli ultimi 25-30 anni il Vaticano ha perso almeno altri 100 milioni di euro, e probabilmente parecchi di più, forse 150-200 milioni..

(D) Nonostante la recente decisione del Santo Padre, i processi di investimento non sono stati centralizzati (come raccomandato dalla COSEA nel 2014 e tentato dalla segreteria per l’economia nel 2015-16) e restano privi del consiglio di esperti. Per decenni, il Vaticano ha avuto a che fare con finanzieri di cattiva reputazione, evitati da tutti i banchieri che godono di stima in Italia. 

(E) Il rendimento delle 5261 proprietà immobiliari vaticane resta scandalosamente basso. Nel 2019 il ricavo medio (prima del COVID) era di quasi 4.500 dollari all'anno. Nel 2020 era di 2.900 euro per proprietà.

(F) Il ruolo mutevole di papa Francesco nelle riforme finanziarie (progressi incompleti ma sostanziali nella riduzione della criminalità, molto meno riusciti, tranne che allo IOR, in termini di redditività) è un mistero e un enigma. 

Inizialmente il Santo Padre ha sostenuto con forza le riforme. Poi ha impedito la centralizzazione degli investimenti, si è opposto alle riforme e alla maggior parte dei tentativi di smascherare la corruzione e ha sostenuto (allora) l'arcivescovo Becciu, al centro dell'establishment finanziario vaticano. Poi, nel 2020, il papa si è rivoltato contro Becciu e alla fine dieci persone sono state messe a processo e accusate. Nel corso degli anni, sono state avviate poche azioni penali a partire dalle segnalazioni di infrazioni dell'AIF.

I revisori dei conti di Price Waterhouse and Cooper sono stati allontanati e il revisore generale Libero Milone è stato costretto a dimettersi nel 2017 con accuse inventate. Si stavano avvicinando troppo alla corruzione in segreteria di Stato. 

5. L'influenza politica di papa Francesco e del Vaticano è trascurabile. Intellettualmente, gli scritti papali mostrano un declino rispetto ai livelli di san Giovanni Paolo II e di papa Benedetto. Le decisioni e le linee politiche sono spesso "politicamente corrette", ma ci sono stati gravi fallimenti nel sostenere i diritti umani in Venezuela, Hong Kong, Cina continentale e ora nell'invasione russa.

Non c'è stato alcun sostegno pubblico per i fedeli cattolici in Cina che sono stati perseguitati a intermittenza per la loro fedeltà al papato per più di 70 anni. Nessun sostegno pubblico vaticano alla comunità cattolica in Ucraina, in particolare ai greco-cattolici. 

Questi temi dovrebbero essere rivisitati dal prossimo papa. Il prestigio politico del Vaticano è ora a un livello basso. 

6. A un livello diverso, minore, dovrebbe essere regolarizzata la situazione dei tradizionalisti tridentini (cattolici).

A un livello ancora più modesto, dovrebbe essere nuovamente consentita la celebrazione delle messe “individuali” e con piccoli gruppi al mattino nella basilica di San Pietro. Al momento, questa grande basilica di prima mattina è come un deserto. 

La crisi del COVID ha coperto il forte calo del numero di pellegrini presenti alle udienze papali e alle messe. 

Il Santo Padre ha scarso appoggio tra seminaristi e giovani sacerdoti e nella curia vaticana esiste una diffusa disaffiliazione.

1. Il collegio dei cardinali è stato indebolito da nomine eccentriche e non è stato più riconvocato dopo il rifiuto delle posizioni del cardinale Kasper nel concistoro del 2014. Molti cardinali sono sconosciuti l’uno all’altro, aggiungendo una nuova dimensione di imprevedibilità al prossimo conclave. 

2. Dopo il Vaticano II, le autorità cattoliche hanno spesso sottovalutato il potere ostile della secolarizzazione, del mondo, della carne e del diavolo, specialmente nel mondo occidentale e hanno sopravvalutato l'influenza e la forza della Chiesa cattolica.

Siamo più deboli di 50 anni fa e molti fattori sono al di fuori del nostro controllo, almeno a breve termine, ad esempio il calo del numero dei credenti, la frequenza delle presenze alla messa, la scomparsa o l'estinzione di molti ordini religiosi. 

3. Il papa non ha bisogno di essere il miglior evangelizzatore del mondo, né una forza politica. Il successore di Pietro, in quanto capo del collegio dei vescovi, che sono anche i successori degli apostoli, ha un ruolo fondamentale per l'unità e la dottrina. Il nuovo papa deve capire che il segreto della vitalità cristiana e cattolica viene dalla fedeltà agli insegnamenti di Cristo e alle pratiche cattoliche. Non viene dall'adattamento al mondo o dal denaro.

4. I primi compiti del nuovo papa saranno il ripristino della normalità, il ripristino della chiarezza dottrinale nella fede e nella morale, il ripristino del giusto rispetto del diritto e la garanzia che il primo criterio per la nomina dei vescovi sia l'accettazione della tradizione apostolica. La competenza e la cultura teologica sono un vantaggio, non un ostacolo per tutti i vescovi e soprattutto per gli arcivescovi. 

Questi sono fondamenti necessari per vivere e predicare il Vangelo. 

5. Se i raduni sinodali continuano in tutto il mondo, consumeranno molto tempo e denaro, probabilmente distogliendo energie dall'evangelizzazione e dal servizio piuttosto che approfondendo queste attività essenziali.

Se ai sinodi nazionali o continentali sarà data autorità dottrinale, avremo un nuovo pericolo per l'unità della Chiesa mondiale, per cui, ad esempio, la Chiesa tedesca ha già ora posizioni dottrinali non condivise da altre Chiese e non compatibili con la tradizione apostolica. 

Se non ci sarà una correzione romana di simili eresie, la Chiesa si ridurrebbe a una vaga federazione di Chiese locali, con visioni diverse, probabilmente più vicina a un modello anglicano o protestante, rispetto a un modello ortodosso.

Una immediata priorità per il prossimo papa deve essere quella di eliminare e prevenire uno sviluppo così pericoloso, richiedendo unità nell'essenziale e non permettendo differenze dottrinali inaccettabili. La moralità dell'attività omosessuale sarà uno di questi punti critici. 

6. Mentre il giovane clero e i seminaristi sono quasi completamente ortodossi, a volte piuttosto conservatori, il nuovo papa dovrà essere consapevole dei cambiamenti sostanziali apportati alla leadership della Chiesa dal 2013, forse soprattutto in Sud e Centro America. C'è un nuovo balzo nell’avanzata dei protestanti “liberal” nella Chiesa cattolica.

È improbabile che uno scisma avvenga a sinistra, dove abitualmente non fanno drammi sulle questioni dottrinali. Uno scisma è più probabile che arrivi da destra ed è sempre possibile quando le tensioni liturgiche sono infiammate e non smorzate. 

Unità nelle cose essenziali. Diversità in quelle non essenziali. Carità in tutto. 

7. Nonostante il loro pericoloso declino in Occidente e l'intrinseca fragilità e instabilità in molti luoghi, si dovrebbe prendere in seria considerazione la fattibilità di una visita apostolica all’ordine dei Gesuiti. Sono in una situazione di catastrofico declino numerico, da 36 mila membri durante il Concilio a meno di 16 mila nel 2017 (con probabilmente il 20-25 per cento di loro sopra i 75 anni di età). In alcuni luoghi, c'è anche un catastrofico declino morale.

L'ordine è altamente centralizzato, suscettibile di riforma o rovina dall'alto. Il carisma e il contributo dei Gesuiti sono stati e sono così importanti per la Chiesa che non dovrebbe essere loro consentito di scomparire indisturbati dalla storia o di ridursi semplicemente a una comunità afroasiatica. 

8. Occorre affrontare il disastroso calo del numero dei cattolici e l'espansione dei protestanti in Sud America. Ciò è stato pochissimo menzionato nel sinodo amazzonico. 

9. Ovviamente occorre lavorare molto sulle riforme finanziarie in Vaticano, ma questo non dovrebbe essere il criterio più importante nella selezione del prossimo papa.

Il Vaticano non ha debiti sostanziali, ma i continui disavanzi annuali alla fine porteranno al fallimento. Ovviamente, si prenderanno provvedimenti per rimediare, per separare il Vaticano da complici criminali e bilanciare entrate e spese. Il Vaticano dovrà dimostrare competenza e integrità per attirare consistenti donazioni che aiutino a risolvere questo problema. 

Nonostante il miglioramento delle procedure e una maggiore trasparenza, le continue difficoltà finanziarie rappresentano una grande sfida, ma sono molto meno importanti dei pericoli spirituali e dottrinali che la Chiesa deve affrontare, specialmente nel Primo Mondo.

DAGOREPORT l'8 marzo 2022.  

Le disgrazie non vengono mai da sole. Auspice la guerra in Ucraina, il più famoso dei Papa boys tenta di ricicciarci sulla scena come “fine interprete” di Papa Bergoglio o, addirittura, come colui che “sussurra” al Papa. In realtà padre Antonio Spadaro sono tre anni che il Papa lo vede solo in fotografia. Faccenda abbastanza imbarazzante per i giornalisti che seguono i viaggi del pontefice sull’aereo papale e che vedono Bergoglio girarsi di spalle, facendo finta di non vederlo, ogni volta che il suo confratello si avvicina. 

Alla comitiva papale padre Spadaro si era unito la prima volta grazie al mega contratto che Monica Maggioni, allora neo direttrice di RaiNews24, gli aveva fatto in cambio di “programmi” che il gesuita prometteva fornire alla testata (come? magari filmando di nascosto il Pontefice nei momenti privati? Mah…). Fino a quando la Segreteria di Stato è intervenuta per fargli notare che quello che stava facendo non era per nulla dissimile a quello che Paolo Gabriele, l’assistente infedele di Benedetto XVI, aveva fatto con Papa Ratzinger.  

Ma a far imbufalire Papa Bergoglio, oltre alla venale monetizzazione della sua fiducia, è stato l’attivismo para diplomatico del gesuita siciliano (ospite frivolo e loquace di tante cene diplomatiche con improvvide idee sui rapporti e iniziative –e relativi viaggi a Hong Kong- tra Vaticano-Cina) e la distruzione della comunità intellettuale degli scrittori della Civiltà Cattolica, disgregatasi dopo che padre Francesco Occhetta e altri 3 confratelli se ne sono andati sbattendo la porta. 

Padre Spadaro continua a seguire i viaggi del Papa come “notaro” (trascrittore) degli insegnamenti del pontefice gesuita fa ai suo confratelli presenti nei Paesi da lui visitati: i gesuiti, a Papa morto, pensano di pubblicare un volume sugli insegnamenti del loro confratello vestito di bianco, caso mai servisse a farli uscire dalla crisi di identità dove sono precipitati da decenni. 

E Padre Spadaro continua ad avere come press agent Beppe Giulietti, presidente della FNSI e, da ex segretario dell’UsigRai, voce ascoltata da tutti i direttori che non sanno distinguere un’ostia consacrata da un uovo al tegamino e credono “il Vaticano” abitato da un battaglione di improvvidi dilettanti bisognosi dei consigli di un gesuita ambizioso e provinciale e (per molti, compresi i suoi confratelli) di cultura assai ridotta. 

Certamente potente nei primi anni del pontificato bergogliano (a lui vengono attribuite alcune delle peggiori nomine episcopali di Papa Francesco, come quella di Nunzio Galantino e Corrado Lorefice) è stato lestamente rimpiazzato nel cuore del Papa da don Dario Viganò, esperto di cinema, docente di comunicazione, geniale impresario cine-televisivo, per cinque anni, dal 2013 al 1918, dominus della riforma abortita del sistema mediatico vaticano. Anche lui, con le sue società di produzione, molto esperto nel monetizzare l’amicizia molto confidenziale che il Pontefice gli aveva attribuito. 

Dalla congiura di palazzo che ha portato don Dario Viganò a una quasi totale emarginazione, è balzato alla ribalta don Marco Pozza. In teoria, sarebbe il cappellano del carcere “Due Palazzi” di Padova. In pratica, lo “straccio di prete” (così si definisce) è romanziere (sei libri pubblicati), autore televisivo, conduttore, commentatore del Vangelo per il programma “Le ragioni della speranza” (mitica una sua trasferta in Terra Santa con 22 autori e tecnici al seguito per registrare 4 puntate da 15 minuti ciascuna). 

Appassionato di sport e giornalismo (visto che –vestito come un fricchettone griffato e stagionato con scarpe da tennis d’ordinanza-  dava del “tu” al papa, trattandolo come un “nonno” neanche tanto sveglio, tanto è bastato per fargli meritare nel 2016 un “premio speciale” di giornalismo ‘’Biagio Agnes’’), ha tenuto a far sapere a chi lo segue nel web che ora è anche occupato a scrivere la sua prima enciclica (immaginandosi, probabilmente, futuro Papa): quando gli resta tempo, si occupa anche della cappellania. 

Ma anche lui è stato fulmineamente scaricato quando sulla scena è apparso don Luigi Maria Epicoco. Qui la storia diventa complessa perché don Marco Pozza ha un fratello che fungeva da “segretario personale” del vescovo Giovanni D’Ercole quando questi era ausiliare di L’Aquila. Don Epicoco è pugliese e di seminari ne ha girati tanti, prima di entrare nel cuore di monsignor D’Ercole che la regola che proibisce di accogliere e ordinare chi è stato dimesso da un seminario non l’ha proprio mai compresa. 

A L’Aquila sanno tutti delle furibonde liti che hanno agitato la curia vescovile fino a quando il giovane prete l’ha avuto vinta sul giovane laico. Anche don Epicoco è una penna agile e i suoi libri hanno pure la sorte di essere venduti. Ma sembra che la scintilla tra lui e Papa Francesco sia scoppiata quando il brillante scrittore è ricorso al Pontefice (che l’anno scorso aveva regalato alla Curia un suo libro) perché non gli veniva rinnovata una cattedra all’Università Lateranense e il suo vescovo, il cardinale Petrocchi, dopo tanto girovagare provava a fargli comprendere la necessità di iniziare a fare il prete per davvero accettando l’incarico di parroco. 

L’ironia della sorte ha voluto che a portarlo dal Papa sia stato don Dario Viganò. Risultato: cattedra restituita e nomina ad “assistente ecclesiastico” del Dicastero della comunicazione. Quale sia il suo compito nessuno lo sa, ma per il momento tutti zitti e avanti il prossimo.

Papa: boccia aiuto suicidio, 'non c'è diritto a morire'. ANSA il 9 febbraio 2022.

Non c'è un diritto alla morte. Promuovendo le cure palliative, Papa Francesco avverte: "Dobbiamo però stare attenti a non confondere questo aiuto con derive anch'esse inaccettabili che portano a uccidere. Dobbiamo accompagnare alla morte, ma non provocare la morte o aiutare qualsiasi forma di suicidio. Ricordo che va sempre privilegiato il diritto alla cura e alla cura per tutti, affinché i più deboli, in particolare gli anziani e i malati, non siano mai scartati. Infatti, la vita è un diritto, non la morte, la quale va accolta, non somministrata. E questo principio etico riguarda tutti, non solo i cristiani o i credenti".

Il Papa promuove dunque le cure palliative: "Due considerazioni per noi cristiani rimangono in piedi. La prima: non possiamo evitare la morte, e proprio per questo, dopo aver fatto tutto quanto è umanamente possibile per curare la persona malata, risulta immorale l'accanimento terapeutico". "La seconda considerazione riguarda invece la qualità della morte stessa, del dolore, della sofferenza. Infatti, dobbiamo essere grati per tutto l'aiuto che la medicina si sta sforzando di dare, affinché attraverso le cosiddette 'cure palliative', ogni persona che si appresta a vivere l'ultimo tratto di strada della propria vita, possa farlo nella maniera più umana possibile", ha sottolineato Papa Francesco. (ANSA).

L'intervista del Papa in tv. La rivoluzione del “compagno” Papa Francesco: un grande messaggio che alla sinistra non basta. Lea Melandri su Il Riformista il 9 Febbraio 2022.  

“Malattie sociali”, che tutti conosciamo, ma coperte ogni volta dall’indifferenza di molti, cancellate dallo sguardo che si volge altrove, dall’impotenza politica di chi ha in mano le sorti del mondo, buone intenzioni che cadono nel vuoto per l’affermarsi di altre priorità. Al primo posto le guerre – «guerre ideologiche, di potere, guerre commerciali, vendita delle armi» – con gli effetti mortiferi che vi fanno seguito: migrazioni, povertà, crisi umanitarie.

Le parole di Bergoglio, intervistato da Fazio a Che tempo che fa parlano a tutti, per quello che dicono e per quello che non dicono, e che peraltro non gli è stato chiesto: in piena luce le questioni sociali e politiche che oggi fanno pressione sulle popolazioni e sui governi del mondo, elencate con la semplicità e la forza di chi le ha meditate a lungo e fatte proprie con profonda empatia. Ma anche una sferzata contro il clericalismo che allontana la Chiesa dal messaggio evangelico. «Dio si è fatto uomo attraverso la venuta di Cristo – ha scritto nel suo post Angela Azzaro -. Il papa ha abbandonato ogni sacralità e si è fatto personaggio televisivo. È venuto a noi per dirci che la nostra indifferenza è diventata insopportabile, e che dobbiamo aprirci all’altro. Il suo consenso all’interno della Chiesa non aumenterà. Non aumenterà tra fedeli e cittadini. Ma doveva farlo, doveva tentare di salvare chi soffre, chi muore in mare, chi viene discriminato. Doveva ricordare il valore del perdono».

Quella di Bergoglio è una rivoluzione, rispetto al conservatorismo della Chiesa, alle sue ipocrisie, una rivoluzione che si richiama al Cristo dei Vangeli per essere riportata all’oggi, all’ordine esistente e alla barbarie che rischia di travolgerlo. Dalla condanna delle logiche di guerra, legate a interessi economici, del trattamento dei migranti, definito un crimine – con riferimento ai “lager libici” -, della devastazione della natura, che rende il mondo sempre più inabitabile: che cosa manca in quello che potrebbe essere visto come il manifesto di un altro mondo possibile? Non sono mancati nei social commenti critici sul silenzio riguardo a questioni come l’aborto e l’omofobia. Non gli è stato chiesto, ma avrebbe sicuramente dato, con la stessa sincerità, risposte che a molte, molti di noi non piacciono. Ma che senso avrebbe avuto “processarlo” per posizioni sessiste ancora radicate nel cattolicesimo, anziché apprezzarlo per battaglie di giustizia sociale che nessuna sinistra riesce a fare proprie?

La rivoluzione di Bergoglio è anche quella di essere entrato nel più popolare dei media, la televisione, non con l’aureola di un potere sovrannaturale, ma con la semplicità di un essere umano che parla ai suoi simili, di una persona che sa riconoscere i suoi dubbi su questioni religiose, così come la sua solitudine, il bisogno della vicinanza di amici, l’amore per la musica, e, in passato, anche il tango, il ballo della sua terra d’origine. Il “realismo puro” con cui Bergoglio riesce a nominare le miserie nascoste dietro la “cultura dell’indifferenza”, si accompagna sempre a un forte e profondo coinvolgimento personale, che non dimentica privilegi e differenze. Li nomina senza riserve – «non sono un campione di peso, sopporto come tutta la gente sopporta. E poi non sono solo, c’è tanta gente che mi aiuta…» -, ma sa anche indicare la strada che porta a camminare insieme agli altri, a riconoscersi nella fragilità e dipendenza del nostro essere umani, e a “prendersene cura”. Vedere non basta – dice – soprattutto se poi si volge lo sguardo da un’altra parte. È il tatto, il “toccare”, il senso più completo, quello che “ci mette la realtà nel cuore”.

In un tempo di pandemia, che ha messo allo scoperto i corpi, con i loro limiti e interdipendenze, la mano che si tende per alleviare la sofferenza dell’altro è qualcosa di più e di diverso dalla carità cristiana. È la necessità di fare oggi della cura non più un destino femminile, ma una responsabilità politica collettiva. Alla sinistra dei “duri e puri” tutto questo non bastava? Nessuno è perfetto. Grazie “compagno” Bergoglio. Lea Melandri

Che tempo che fa, Fabio Fazio e Papa Francesco: "Con la sua saliva...". Accusa durissima: "Cosa non ha chiesto al Pontefice". Libero Quotidiano il 07 febbraio 2022.

Dopo l'intervista a Papa Francesco a Che tempo che fa, Dagospia "apre il fuoco" su Fabio Fazio: "Con la sua saliva si potrebbe risolvere il problema della siccità in un Paese di media grandezza", scrive velenosissimo il sito di gossip politico fondato e diretto da Roberto D'Agostino. Motivo? Il "tenore" dell'intervistatore, più volte in passato accusato di essere poco incisivo e troppo condiscendente con alcuni dei suoi ospiti. In gergo, di "zerbinarsi" di fronte ai vip che riscuotono il suo favore, umano e politico. 

Certo, l'intervista a un Pontefice vale una intera carriera. In questo senso, dunque, chapeau a Fazio, al suo staff di autori e a Rai3. Ma l'impressione è che l'intervista a Bergoglio sia stata un po' anche una occasione persa resta. Non a caso Dagospia sottolinea come dal padrone di casa non sia arrivata "nessuna domanda 'scomoda', ma a questo Fabiolo ci ha abituato: con la sua saliva si potrebbe risolvere il problema della siccità in un Paese di media grandezza". 

Nella fattispecie, si parla dello scandalo sessuale che da settimane sta scuotendo  il Vaticano e del possibile dossier sugli abusi degli uomini di chiesa italiani che potrebbe travolgere la Santa Sede. Non a caso, il giornalista Alvise Armellini su Twitter sottolinea proprio questo punto: "Il più importante talk show della Rai Che tempo che fa ha intervistato Papa Francesco per un'ora e non ha chiesto nulla riguardo lo scandalo degli abusi sessuali. Sembra che non sia un tema nell'agenda pubblica italiana". 

Forse, ma questo è un sospetto malizioso instillato da Dagospia, il fatto che l'intervista sia stata non in diretta, ma "registrata, tagliata e lavorata" ("L'orologio di Papa Francesco segnava le 17. E due minuti dopo le 17.30", sottolinea Dago con tanto di screenshot) non era casuale. 

Che tempo che fa, Papa Francesco e l'intervista "in diretta"? Dagospia contro Fazio: "Guardate bene qua". Libero Quotidiano il 07 febbraio 2022.

L'intervista di Fabio Fazio a Papa Francesco a Che tempo che fa si candida indubbiamente a diventare l'evento televisivo di questo 2022. Un colpaccio su cui Dagospia si diverte a fare le pulci, a partire da un dettaglio: l'orologio al polso sinistro del Pontefice. 

"La prima intervista televisiva in diretta a un Pontefice della storia? Non era in diretta!", strilla il sito di gossip politico fondato e diretto da Roberto D'Agostino, che dimostra le sue tesi con tanto di screenshot da Rai3: "L'orologio di Papa Francesco segnava le 17. E due minuti dopo le 17.30: segno che non solo il colloquio con Fazio era registrato, ma è stato anche tagliato e lavorato". Una questione legata, probabilmente, anche a problemi logistici e per così dire, ma che si lega a un'altra questione e solleva un altro problema televisivo. 

Quale? Dagospia lo spiega con un'altra annotazione non proprio marginale, e decisamente velenosa: "Nessuna domanda 'scomoda', ma a questo Fabiolo ci ha abituato: con la sua saliva si potrebbe risolvere il problema della siccità in un Paese di media grandezza". Il riferimento è all'assenza di riferimenti allo scandalo sessuale che stra travolgendo il Vaticano e al dossier sugli abusi degli uomini di chiesa italiani, che potrebbe scoperchiare una situazione devastante per l'immagine della Santa Sede.

L'intervista in prima serata del Pontefice. Papa Francesco a “Che Tempo Che Fa”: “Il male più grande della Chiesa è la mondanità spirituale, non sono tanto santo”. Antonio Lamorte su Il Riformista il 6 Febbraio 2022.  

Puntata storica di Che Tempo Che Fa: alla trasmissione di Fabio Fazio su Rai3 ospite Papa Francesco. Il Pontefice, in collegamento dal Vaticano, ha risposto alle domane per quasi un’ora. Un’intervista serrata, piena di temi attuali: i migranti, la guerra, i problemi che affliggono “la Madre Terra”, il prossimo, il bullismo, i suicidi tra i giovani, l’aggressività nella società, il chiacchiericcio tossico che logora le relazioni, il male. “Non sono solo nella Chiesa – ha detto Bergoglio – Sopporto come tutte le persone sopportano. Se lei va e vede tanta gente che sopporta cose brutte o cose quotidiane, tanta gente che sopportano difficoltà familiari, economiche, padri di famiglia che vedono che il salario non arriva a fine mese, e poi con la pandemia di troppo, non sarei onesto se dicessi che sopporto tanto. Io sopporto come tutti gli altri. Non sono un campione di peso“.

Il leitmotiv dell’intervista: il tornare farsi carne dal verbo, tornare a toccare: “Vediamo poveri, migranti che muoiono, bambini che hanno fame, vediamo le ingiustizie ma c’è la tentazione molto brutta a guardare da un’altra parte. Guardiamo, ci lamentiamo un po’ e poi è come se nulla fosse accaduto. È necessario sentire e toccare, non basta vedere. Entra la psicologia dell’indifferenza. Ci manca toccare le miserie. Penso ai medici, agli infermieri che hanno dato la vita in pandemia, hanno toccato il male e scelto di rimanere con gli ammalati. Il tatto è il senso più completo, pieno, quello che ci mette la realtà nel cuore. toccare è farsi carico dell’altro, se guardiamo senza toccare con le mani il dolore della gente, mai potremmo trovare una soluzione, una via“.

E quindi la citazione, ricordata da Fazio: una persona può guardare un’altra persona dall’altro in basso solo se la aiuta a rialzarsi. Tutti hanno il diritto di essere perdonati. Papa Francesco ha citato anche il cantante brasiliano Roberto Carlos, in chiave ecologista: una canzone nella quale un figlio chiede al padre “perché il fiume non canta più. Il fiume non canta perché non c’è più”. La Chiesa del futuro: il Pontefice la immagina “come la immaginava Paolo VI dopo il Concilio: una Chiesa in pellegrinaggio. Il male più grande della Chiesa attuale è la mondanità della Chiesa, una Chiesa mondana. Peggio ancora dei Papi libertini. Questa mondanità spirituale nella Chiesa fa crescere il clericalismo, una cosa perversa della chiesa, che genera la rigidità, sotto la quale c’è sempre putredine. Il verbo si è fatto carne, dobbiamo tornare a farci carne. In questo scandalo del verbo incarnato c’è la Chiesa del futuro”.

Un lungo passaggio dell’intervista, dedicata alla guerra e alle crisi migratorie. “La guerra è un controsenso della creazione. Nella Bibbia Dio crea uomo e donna, ma poi arriva una guerra tra fratelli, uno cattivo contro un innocente, per invidia, e poi una guerra culturale. Si tratta di un controsenso della creazione, la guerra è sempre distruzione. Fare una famiglia, portare avanti la società è costruire, la guerra è distruggere”, ha detto.

“Con i migranti quello che si fa è criminale. Per arrivare la mare soffrono tanto, ci sono filmati sui lager, uso la parola sul serio: lager in Libia. Cosa soffrono? Vogliono fuggire. I filmati sono nella sezione del dicastero umano. Soffrono, poi rischiano per attraversare il Mediterraneo, alcune volte sono respinti da chi ha responsabilità locale e dicono: no, qui non vengono e muoiono sul mare”. Il migrante “va sempre accolto, perché è in difficoltà, poi va accompagnato, poi promosso e integrato nella società, questo è molto importante. Ci sono Paesi che con il calo demografico che vivono hanno bisogno di gente, penso a Spagna e Italia, e un migrante integrato, aiuta quei Paesi”.

Papa Francesco non è solo: ha amici, “persone che conoscono la mia vita: ho bisogno di rapporti umani. Perciò vivo a Santa Marta e non nella residenza pontificia. I papi che c’erano prima di me erano santi ma io non sono tanto santo. Le amicizie a me danno forza. Ho bisogno degli amici. Sono pochi ma veri”. La prima cosa che voleva fare era: il macellaio. Quando andavo alla feria a fare la spesa con la madre vedevo che metteva i soldi in una busta e pensavo avesse tanti soldi. Questo per le mie radici genovesi, che sono attaccati i soldi. Anche i piemontesi ma dissimulano”. A 19 anni, dopo la facoltà di medicina, la vocazione e l’entrata in seminario.

Anche un breve passaggio ironico sull’aneddoto della visita, lo scorso mese, del Pontefice a un negozio di dischi a Roma: “Sono amici, hanno cambiato il negozio e sono andato a benedirlo. Mi hanno detto: non c’è nessuno e notte. E proprio lì c’era un giornalista che aspettava un amico per prendere il taxi. Mi piace la musica classica e il tango. Un porteño (abitante di Buenos Aires, ndr) che non balla il tango non è un porteño“. In chiusura: un’ode, con citazione di san Thomas More, al senso dell’umorismo. “Per salutare mi viene in mente una scena del film del dopoguerra, credo fosse Vittorio De Sica che leggeva le mani e chiedeva 100 lire: io vi chiedo 100 preghiere”. 

Antonio Lamorte. Giornalista professionista. Ha frequentato studiato e si è laureato in lingue. Ha frequentato la Scuola di Giornalismo di Napoli del Suor Orsola Benincasa. Ha collaborato con l’agenzia di stampa AdnKronos. Ha scritto di sport, cultura, spettacoli.

Guerre, plastica, migranti. Papa "Che" Bergoglio si confessa da Fazio in tv. Serena Sartini il 7 Febbraio 2022 su Il Giornale.

Francesco da Santa Marta: "Ho bisogno degli amici. Da piccolo? Volevo fare il macellaio".

La guerra è un «controsenso della creazione» e viene messa al primo posto, davanti a poveri e migranti. Parla della cultura dell'indifferenza, della tragedia dei morti in mare, dei lager in Libia, del Mediterraneo diventato oramai il cimitero più grande d'Europa, e ammonisce tutti i Paesi europei ad indicare la quota di migranti da accogliere. Condanna chi getta in mare la plastica («è criminale») e il «chiacchiericcio». Per la prima volta un Papa interviene in una trasmissione televisiva: lo fa Jorge Mario Bergoglio a Che tempo che fa, il talk show di Fabio Fazio su Raitre.

«Credo che non sarei onesto se dicessi che sopporto tanto dice il Papa -. Io sono uno che sopporta come tutti, ma non sono solo. Ci sono i vescovi, i fedeli, la chiesa intera che mi aiutano. Non sono un campione di peso che sopporta le cose, sono come tutti».

Soffermandosi sul tema del migranti e sui morti in mare, Francesco ripete: «È un segnale della cultura dell'indifferenza. Le guerre sono al primo posto, i bambini, i migranti, i poveri contano poco. Pensa dice il Papa rivolgendosi a Fazio nell'intervista registrata ieri pomeriggio e mandata in onda ieri sera - che un anno senza comprare armi significherebbe dare educazione a tutto il mondo, gratuitamente. Ma questo è in secondo piano. Si pensa alle guerre e noi siamo abituati a Cristo. La guerra è un controsenso della creazione, è sempre distruzione». Un lungo passaggio è dedicato al tema dell'immigrazione. «Quello che si fa con i migranti è criminale condanna Bergoglio in Libia ci sono dei veri e propri lager. Ci sono filmati di questi lager: e cosa soffrono coloro che vogliono fuggire? Soffrono e poi rischiano per attraversare il Mediterraneo, diventato oramai il cimitero più grande d'Europa. E poi vengono respinti. Questo succede oggi». Ma il Papa va oltre e offre una soluzione, chiedendo che ciascun Paese indichi la quota di migranti che è in grado di accogliere. «È un problema di politica interna che deve essere affrontato bene: ognuno dica quanti può accogliere e si metta d'accordo, in comunione. Adesso c'è un'ingiustizia, vengono in Spagna e Italia, i due Paesi più vicini e non li ricevono altrove». Ma «il migrante va sempre accolto, accompagnato, promosso e integrato. Dobbiamo pensare intelligentemente alla politica migratoria. Il Mediterraneo è oggi il cimitero più grande d'Europa ci deve far pensare». Bergoglio torna poi su un tema a lui caro, la condanna della «cultura dell'indifferenza». «C'è sempre la tentazione a guardare da un'altra parte. Ma non basta vedere, è necessario sentire, toccare». E affronta anche il tema della difesa dell'ambiente. «Pensiamo di essere onnipotenti di fronte alla Terra. Dobbiamo riprendere il rapporto con la Terra, il buon vivere. Buttare la plastica in mare è un crimine, uccide», dice, citando poi una canzone di Roberto Carlos nella quale un figlio chiede al padre «Perché il fiume non canta più. Il fiume non canta perché non c'è più...». Poi un accenno al tema delle molestie sulle donne: «Ci sono impiegate che ogni giorno pagano col corpo la stabilità lavorativa, e questo succede ogni giorno». Nella seconda parte dell'intervista emerge poi un Papa più personale. «Mi piace la musica, ascolto il classico e il tango. Se l'ho ballato? Certamente, un porteno che non balla il tango non è un porteno». Non si dice «solo». «Ho degli amici, pochi ma veri, ne ho bisogno. Mi piace stare con loro. Non mi piace stare solo, per questo non sono andato ad abitare nel palazzo pontificio. I Papi che mi hanno preceduto erano santi, io non sono santo, non ce l'avrei fatta». Infine, una confessione: «Quando andavo da piccolo con mia mamma a fare la spesa volevo fare il macellaio, perché vedevo che aveva una tasca dove metteva i soldi. Poi a 19 anni è arrivata la vocazione». Serena Sartini

Papa Francesco da Fabio Fazio: l'intervista a «Che tempo che fa», in diretta. Gian Guido Vecchi e Redazione Online su Il Corriere della Sera il 06 febbraio 2022.

Papa Francesco ha parlato in collegamento video da Casa Santa Marta con Fabio Fazio.  

Domenica sera Papa Francesco è stato intervistato da Fabio Fazio a Che tempo che fa (RaiTre). Francesco ha parlato in collegamento video da Casa Santa Marta, in Vaticano, dove risiede. Qui il pezzo di Gian Guido Vecchi; sotto la diretta dell'evento. 

La guerra, «un controsenso della creazione». I migranti, i poveri e la necessità di «toccare» il dolore dell’altro, «non basta vedere, è necessario sentire». La «mondanità spirituale» che è «il male più grande della Chiesa» e «fa crescere una cosa brutta, il clericalismo, una perversione della Chiesa». Ma anche notazioni più personali, come quando Fabio Fazio gli chiede: si sente mai solo, ha amici? E Francesco risponde: «Sì, sono un uomo comune, a me piace stare con gli amici, ne ho bisogno. Di amici ne ho pochi ma veri». 

Il Papa si fa intervistare a «Che tempo che fa», su Rai Tre, in collegamento da Santa Marta, quasi una sintesi del magistero di Francesco a beneficio degli spettatori. 

Le migrazioni, anzitutto, i «lager» in Libia e il trattamento «criminale» dei migranti, la Ue che deve «mettersi d’accordo» nella distribuzione e non lasciare tutto a Paesi come «Italia o Spagna», il Mediterraneo divenuto un «cimitero», e le tragedie come i 12 migranti trovati morti di freddo al confine tra Grecia e Turchia: «Questo è un segnale della cultura dell’indifferenza. Le categorie al primo posto in questo momento sono le guerre. La gente è al secondo posto. Ci sono categorie che importano e altre sono in basso: i bambini, i migranti, i poveri, coloro che non hanno da mangiare. Con un anno senza fare armi, si potrebbe dare da mangiare ed educazione a tutto il mondo. Vediamo come si mobilitano le economie e cosa è più importante oggi, la guerra: la guerra ideologica, di poteri, la guerra commerciale e tante fabbriche di armi». 

Ci sono segnali di speranza, come la storia John, un ragazzo ghanese, 25 anni, di cui ha parlato all’Angelus : «Per arrivare qui ha sofferto tutto quello che soffrono tanti migranti, e alla fine si è sistemato nel Monferrato, ha incominciato a lavorare, a fare il suo futuro, in un’azienda vinicola. E poi si è ammalato di un cancro terribile, è in fin di vita. E quando gli hanno detto la verità, cosa avrebbe voluto fare, ha risposto: “Tornare a casa per abbracciare mio papà prima di morire”. Morendo, ha pensato al papà. E in quel paese del Monferrato hanno fatto subito una raccolta e, imbottito di morfina, lo hanno messo sull’aereo, lui e un compagno, e lo hanno inviato perché potesse morire tra le braccia del suo papà. Ci fa vedere che oggi, in mezzo a tante brutte notizie, ci sono cose belle, dei santi della porta accanto». 

Fazio gli chiede anche delle tensioni tra Russia e Ucraina, del pericolo delle guerre. Un «controsenso» presente fin all’inizio, dal racconto biblico di Caino: «C’è come un anti-senso della creazione, per questo la guerra è sempre distruzione. Fare la guerra è una meccanica di distruzione». A proposito di «toccare il dolore», Francesco cita come esempio «i medici, gli infermieri e infermiere che hanno dato la vita in questa pandemia: hanno toccato il male e hanno scelto di rimanere lì con gli ammalati». Francesco parla dei suoi gusti musicali, «classici ma anche il tango» che ballava da ragazzo, com’è doveroso a Buenos Aires: «Un porteño che non balla il tango non è un porteño!». 

Ricorda che da piccolo sognava di fare «il macellaio», perché «quando andavo con la nonna vedevo che metteva via tanti soldi...». 

Parla anche del perdono, «è un diritto umano». Della preghiera, «è quello che fa il bambino quando si sente impotente e dice: papà, mamma». E ancora la cura del creato, la necessità di essere vicini ai figli. Il dolore innocente: «Perché soffrono i bambini? Non c’è risposta. Dio è forte, sì, onnipotente nell’amore. Invece l’odio, la distruzione, sono nelle mani di un altro che ha seminato per invidia il Male nel mondo». 

Alla fine chiede di pregare per lui e cita «Miracolo a Milano» di De Sica: «In quel film un indovino leggeva le mani e diceva “grazie cento lire”, io vi dico: cento preghiere». 

Ore 21.36 - «Pregate per me». E cita De Sica

Il Papa , chiudendo l'intervista, ha chiesto di «pregare per me: e se qualcuno non prega, di mandare energie positive, pensieri positivi». Poi il Papa ha citato un film di De Sica, Miracolo a Milano: «Lì c'era un indovino che mendicava chiedendo 100 lire. Io vi chiedo 100 preghiere». 

Ore 21.33 - «Non guardo la televisione. E la medicina dell'umorismo»

«Non guardo la televisione, no. Non la condanno ma non la guardo da anni». Poi il Pontefice ha parlato del «senso dell'umorismo»: «È una medicina. Io prego per avere il senso dell'umorismo, che ti fa gioioso, ti fa relativizzare le cose, ti fa tanto bene».

Ore 21.30 — «Da grande volevo fare il macellaio»

«Quando andavo a fare la spesa con mia mamma e con mia nonna, vedevo che tutti pagavano il macellaio. E quando mi chiedevano cosa volessi fare da grande, dicevo: "Il macellaio, perché ha tanti soldi". Questo è un po' l'animo genovese che ho ereditato da parte di mia madre. Anche i piemontesi sono un po' attaccati i soldi ma dissimulano... Più seriamente: ho lavorato tanto sulla chimica, la vocazione è arrivata a 19 anni quando stavo preparandomi a entrare nella facoltà di medicina. Ma la chimica mi aveva sedotto tanto, mi piaceva».

Ore 21.28 — «Ho degli amici? Sì»

«Se ho degli amici? Sì, certo. Ho pochi amici, ma veri. Mi piace stare con loro. Ho bisogno degli amici. Per questo non sono andato ad abitare nel palazzo pontificio. I papi che mi hanno preceduto erano santi, io non sono tanto santo, non ce l'avrei fatta. Qui parlo con qualcuno, mi faccio degli amici... mi piace vivere con altre persone, è più facile».

Ore 21.26 — Cosa significa pregare?

«Pregare è quello che fa il bambino quando chiama papà, mamma: riconosce i propri limiti. Ma se non riconosci di avere un papà... Dio è padre, e noi lo chiamiamo papà. Quando ti abitui a chiamare papà Dio, stai andando bene nella vita religiosa. Se pensi che Dio sia quello che ti vuole bruciare nell'inferno, allora la tua religione è superstizione. I bambini, nello sviluppo psicologico, passano dall'età dei perché. Se guardiamo bene, però, il bambino non aspetta nemmeno la risposta: quello che vuole è lo sguardo del papà e della mamma, perché quello dà sicurezza. Pregare è questo».

Ore 21.22 — La Chiesa del futuro e il rischio più grande

«Immagino la Chiesa del Futuro come Paolo VI nell'enciclica Evangelium Nuntiandi: una Chiesa in pellegrinaggio. Il male più grande della Chiesa è la mondanità spirituale. È la cosa peggiore che possa succedere alla Chiesa, peggio ancora dei Papi libertini. Il clericalismo genera rigidità, e sotto ogni rigidità c'è putredine. La mondanità spirituale genera clericalismo che porta a posizioni rigide, ideologiche, dove l'ideologia prende il posto del Vangelo. Il clericalismo è una perversione della Chiesa» . 

Ore 21.18 - «Perché soffrono i bambini? Non so rispondere»

«Dio è onnipotente, ma nell'amore. La distruzione è in mano a un altro, che semina divisione e distruzione da sempre. Dio ci accompagna sempre, ma poi lascia liberi. Dio è forte nell'amore. Io quando vedo soffrire i bambini mi chiedo: perché? Perché? Non c'è risposta. Io credo, cerco di amare Dio che è mio padre, ma non ho risposta. L'unica strada, di fronte a questa sofferenza, è soffrire con loro». 

Ore 21.16 — Il diritto umano di essere perdonati

Esiste un «diritto» a essere perdonati. Il perdono è un diritto umano, dice il Papa. «Dio ci ha fatto buoni ma liberi, la libertà è quella che ci permette di fare tanto bene ma anche tanto male, siamo liberi. Siamo liberi e padroni di prendere le nostre decisioni, anche sbagliate. La capacità di essere perdonato è un diritto umano, tutti abbiamo il diritto di essere perdonati se chiediamo il perdono. Abbiamo dimenticato che chi mi chiede il perdono ha il diritto di essere perdonato, se si ha qualche debito con la società va pagato ma col perdono. Il padre del figliol prodigo aspettava i figlio per perdonarlo». 

Ore 21.11 — «Aiutare a rialzare»

Il Papa ha poi ricordato che «guardare dall'alto in basso è lecito solo in un caso: quando si sta aiutando qualcuno a rialzarsi. Un altro sguardo dall'alto in basso non è lecito, mai. Perché è uno sguardo di dominio. Ci sono impiegate che ogni giorno pagano col corpo stabilità lavorativa, questo succede ogni giorno». 

Ore 21.08 - «Giocate con i figli, ascoltateli»

Il Papa ha poi affrontato il tema della vicinanza tra genitori e figli: «Chiedo spesso in confessione: giocate con i figli? A volte sento risposte dolorose: esco quando dormono, torno dal lavoro quando dormono. È la società crudele che impone ritmi crudeli. Bisogna giocare con i figli. Ascoltarli. Quando sono adolescenti, magari davanti a qualche scivolata, bisogna stare con loro». 

Ore 21.06 — Il «chiacchiericcio»

Il Papa torna poi a parlare del «chiacchiericcio», da cui iniziano «aggressività, guerre e divisioni». L'aggressività «distruttiva è un problema sociale. Il problema dell'aggressività sociale è stato studiato bene da psicologi e quindi non ne parlo. Sottolineo solo quanto è cresciuto il numero dei suicidi giovanili. C'è un'aggressività che scoppia, penso al bullismo nelle scuole, è un problema sociale, non di una sola persona. L'aggressività va educata, c'è un'aggressività positiva e una distruttiva. Comincia con una cosa piccola, con la lingua, con il chiacchiericcio. Il chiacchiericcio nelle famiglie, tra le persone, distrugge, distrugge la identità. No al chiacchiericcio, se hai una cosa contro l'altro o te la mangi te o vai da lui e gliela dici in faccia, ci vuole coraggio». 

Ore 21.01 - «I dischi? Non sono andato a comprare...»

Quali dischi ha comprato quando è andato nel negozio qualche giorno fa? «Non sono andato a comprare: quei negozianti sono amici, sono andato a benedire il nuovo negozio... era scuro, era notte, e sono andato a benedire il nuovo negozio. C'era un giornalista, e la notizia è uscita... Cosa ascolto? Ascolto i classici. E il tango. L'ho anche ballato: un porteno (cittadino di Buenos Aires) che non balla il tango non è un porteno...», ha detto il Papa. 

Ore 20.58 — Il rapporto con la Terra

«Pensiamo di essere onnipotenti di fronte alla Terra. Dobbiamo riprendere il rapporto con la Terra dei popoli aborigeni, il buon vivere. Dobbiamo farci carico della Madre Terra: i pescatori di San Benedetto del Tronto venuti da me hanno trovato una volta tonnellate di plastica e hanno ripulito quel tratto di mare. Buttare la plastica in mare e criminale, uccide». Papa Francesco cita poi una canzone di Roberto Carlos nella quale un figlio chiede al padre «perché il fiume non canta più. Il fiume non canta perché non c'è più...». 

Ore 20.54 - «Di fronte alle tragedie, non basta vedere, bisogna sentire e toccare»

«Quando Gesù parla di come bisogna comportarci, usa la parabola del buon Samaritano. Due persone, magari anche brave, vedono un uomo ferito a terra, e passano oltre. Il samaritano si ferma, tocca, sente la sofferenza, e agisce. Di fronte alle sofferenze noi spesso vediamo e passiamo oltre, dimentichiamo. Vedere non basta, bisogna sentire, toccare. Quando c'è qualcuno che arriva a confessarsi, spesso chiedo: quando dai l'elemosina, tocchi la mano della persona a cui la dai? Lo guardi negli occhi? Medici e infermieri, in questi anni di pandemia, hanno toccato il male, e hanno scelto di restare». 

Ore 20.49 - 

Ore 20.46 — La guerra è un controsenso della creazione

La guerra, dice il Papa, è «un controsenso della creazione». Dio «crea gli uomini, e però subito vengono le guerre. È un controsenso della creazione. Per questo la guerra è sempre distruzione. Lavorare la terra, curare i figli, portare avanti una famiglia, lavorare per la società significa costruire. La guerra, invece, distrugge». 

Ore 20.44 — I migranti e la cultura dell'indifferenza

Il Papa poi parla della «cultura dell'indifferenza», di cui «siamo ammalati»: «C'è un problema di categorizzazione, di primo e secondo posto e le guerre, mi dispiace dirlo, in questo momento sono al primo posto. Bambini, migranti, poveri, coloro che non hanno da mangiare non contano, sono nelle categorie basse, non sono al primo posto. Nell'immaginario universale quello che conta è la guerra. Con un anno senza fare armi si può dare da mangiare e fare educazione per tutto il mondo in modo gratuito, ma questo è in secondo piano. Si pensa alle guerre, è duro ma è la verità. La prima categoria è la guerra, gli altri al secondo posto. Guerra ideologica, commerciale, di potere, per andare avanti e tante fabbriche di armi».  

Ore 20.42 - «Non sarei onesto se dicessi che sopporto tanto»

«Non sono un campione di peso, che sopporto tanto. Non sono uno che sopporto tanto, se confrontato con tante famiglie che fanno fatica a pagare le bollette, ad arrivare a fine mese... E non sono da solo, ho tante persone che mi aiutano» 

Ore 20.40 - Il ringraziamento

«Buonasera e grazie di questo incontro», dice Papa Francesco, all'inizio dell'intervista. 

Ore 20.00 - Nella mattinata di domenica, in occasione della recita dell'Angelus, Papa Francesco ha affrontato diversi temi — dalla morte del piccolo Rayan, il bimbo di 5 anni precipitato in un pozzo in Marocco, per salvare il quale sono stati vani i tentativi di decine di soccorritori («Tutto un popolo si è stretto per salvare Rayan ce l'ha messa tutta: sono i santi della porta accanto») alla piaga dello sfruttamento della prostituzione («Martedì prossimo, memoria liturgica di Santa Giuseppina Bakhita, si celebrerà la Giornata mondiale di preghiera e riflessione contro la tratta di persone. Questa è una ferita profonda - inferta dalla ricerca vergognosa di interessi economici senza alcun rispetto per la persona umana. Tante ragazze, le vediamo sulle strade, che non sono libere, sono schiave dei `trattanti´, che le mandano a lavorare e se non portano i soldi le picchiano. Oggi succede questo, nelle nostre città. Pensiamoci sul serio»).

DAGONOTA il 7 febbraio 2022.

La prima intervista televisiva in diretta a un Pontefice della storia? Non era in diretta! C'è un dettaglio che non è passato inosservato ai telespettatori: l’orologio di Papa Francesco segnava le 17. E due minuti dopo invece le 17.30: segno che non solo il colloquio con Fazio era registrato, ma è stato anche tagliato e lavorato. 

Nessuna domanda “scomoda”, ma a questo Fabiolo ci ha abituato: con la sua saliva si potrebbe risolvere il problema della siccità in un Paese di media grandezza.

Domenico Agasso per “La Stampa” il 7 febbraio 2022.

«La guerra è un controsenso». «Non sono un santo come i Papi miei predecessori, ho bisogno degli amici». Francesco nello storico collegamento con la trasmissione «Che tempo che fa» su Rai 3 dialoga a tutto campo con Fabio Fazio, che esordisce chiedendogli come faccia a sopportare il peso di tante storie di sofferenza che incontra e conosce: il Pontefice risponde che «tutta la Chiesa mi aiuta».

Bergoglio e Fazio dialogano per circa un'ora sulla «cultura dell'indifferenza» e i bambini che muoiono. I drammi dei rifugiati. La cura del pianeta. L'aggressività sociale. I compiti dei genitori. La musica. Il futuro della Chiesa. Il Vescovo di Roma denuncia che «in Libia ci sono lager», è urgente «pensare alla politica migratoria», e l'Unione europea «deve mettersi d'accordo» per evitare che l'onere della gestione ricada solo su alcuni Paesi. 

Il Papa ricorda le tragedie dei migranti che attraversano il Mediterraneo, «ormai diventato un cimitero», per sfuggire a violenze e fame. Ed esorta tutti a non girarsi dall'altra parte. Francesco osserva che «ci manca il toccare le miserie. Il toccarle ci porta all'eroicità, penso a medici e infermieri che hanno toccato il male durante la pandemia e hanno scelto di stare lì. Il tatto è il senso più pieno. Toccare è farsi carico dell'altro».

Poi, l'urgenza della questione climatica: «Dobbiamo prenderci cura della Madre Terra, tutelare la biodiversità». Fazio - visibilmente emozionato - pone lo sguardo sulle famiglie e sul ruolo dei genitori: per Francesco «serve vicinanza con i figli. Quando parlo con coppie giovani chiedo sempre: "Tu giochi con i tuoi figli?". A volte sento risposte dolorose: "Padre, quando esco dormono e quando torno pure". 

Questa è la società crudele che allontana i genitori dai figli». Anche quando i ragazzi e le ragazze «fanno qualche scivolata, da grandi, bisogna essere loro vicini, bisogna parlare con loro», esorta Bergoglio. Padri e madri «devono essere quasi complici dei figli, quella complicità che permette di crescere insieme».

Il Pontefice con tono angosciato riflette sul mistero della sofferenza dei bambini malati: «Ho fede, ma se mi chiedete perché, non so rispondere». Si sofferma sui problemi della Chiesa: «Oggi il male più grande è la mondanità spirituale», perché «fa crescere una cosa brutta: il clericalismo. È una perversione della Chiesa che genera la rigidità», dove «c'è putredine». E poi, qualche confidenza più intima. 

La musica: «Mi piacciono i classici, tanto. E il tango. Lo ballavo (sorride, ndr)». L'amicizia: «Ho degli amici che mi aiutano, pochi ma veri». E scherza: «Non che io sia normale, ho delle mie anormalità. Ma mi piace stare con gli amici. Ho bisogno degli amici». È uno dei motivi «per cui non sono andato ad abitare all'appartamento pontificio. Gli altri Papi sono santi ma io non sono tanto santo, ho bisogno dei rapporti umani».

Giorgio Gandola per “La Verità” il 7 febbraio 2022.  

Chi è quell'uomo vestito di bianco accanto a Fabio Fazio? Papa Francesco in un colpo solo riesce a secolarizzare definitivamente l'immagine pontificia, a prolungare il dopofestival di Sanremo e a mettere in crisi Woody Allen. 

Sono le 20,40 quando il Santo padre compare nel contenitore di Che tempo che fa su Raitre, in collegamento da Santa Marta e accolto dal bravo conduttore delle coscienze con «profonda emozione e immensa gioia». L'immagine è straniante. Dove Luciana Littizzetto imperversa con le sue moine da balera, ecco comparire il Papa. 

Tanti saluti al sacro, vince il profano. Non è un record, il primo a collegarsi con una trasmissione Tv fu Karol Wojtyla a Porta a porta, solo in audio. Partono le domande e viene avanti una sorprendente novità: perfino il pontefice è strabiliato dalla prosopopea e dal conformismo cosmico del curato Fazio, che riesce a citare il «farsi carne».

Lui, non Francesco. Quanto soffre davanti alle sofferenze? La risposta è un rimprovero: «Domanda forzata, il peso dei problemi lo sopportiamo tutti. Non sarei onesto se dicessi che sopporto tanto, i miei collaboratori mi aiutano a farlo». I temi sono quelli cari a Bergoglio. L'indifferenza davanti ai poveri («Siate buoni»), l'allarme climatico («Difendete la madre Terra»), la lotta alle guerre come drammatica priorità («I conflitti producono i bambini che muoiono di freddo o sulle spiagge») e il problema dei migranti. Qui la risposta mette in crisi Fazio, è una picconata all'europeismo di facciata. 

«L'Unione europea deve trovare una soluzione con la Libia, oggi ad accogliere sono solo Italia e Spagna. Altrove non li ricevono, ma la risposta deve essere continentale. I migranti vanno accolti ma anche integrati». Poi critica il chiacchiericcio delle malelingue e rivela: «Ascolto musica classica e tango». Carlos Gardel sarebbe contento. Sembra una puntata di Young Pope scartata da Paolo Sorrentino perché troppo surreale.

Eppure è qui, dentro i 38 pollici, e diventa immediatamente il paradigma di una desacralizzasione che va considerata. È il segno dei tempi, dove la vera livella non è più la morte ma l'apparire in televisione a un talk show. Pure dopo Michele Serra che spiega peggio di Checco Zalone (e in chiave postsovietica) la crisi fra Russia e Ucraina; pure dopo Roberto Saviano che commenta qualunque cosa con approccio da esploratore dell'ovvio. E quindi definisce con orgoglio il Papa, prendendoci, «l'ultimo socialista».

Eppure la Chiesa non è intrattenimento, è fede e immortalità. Sembra paradossale, ma la spiegazione più efficace la diede Karl Marx criticando il capitalismo dove «tutto ciò che ha consistenza evapora, ogni cosa sacra viene sconsacrata e gli uomini sono costretti a considerare la loro posizione nella vita e i loro rapporti reciproci con sguardo di disincanto». Quando nel 2003 Giovanni Paolo II entrò nel bouquet dei candidati per il Nobel per la pace, in Vaticano erano molto preoccupati.

«Non perché non lo meritasse», ha scritto La Nuova Bussola quotidiana, «ma perché in quel modo il Papa sarebbe stato collocato sullo stesso piano degli altri, mentre lui è qualcosa di diverso, ha una connessione con il sacro che gli altri non hanno». Diciannove anni dopo si è solo abbassato il livello di guardia e il Nobel è diventato il caramellato salotto fazista. 

La domanda vera è: ma dentro quel minestrone laico - dove Zlatan Ibrahimovic è uguale a Mahmood che è uguale a Barak Obama che è uguale a Peppa Pig - c'era Jorge Bergoglio o papa Francesco? Il quesito è già una risposta e dà il segno dell'impronta molto mediatica del pontificato. Se davanti a San Pietro c'è il deserto, che almeno lo share sia in aumento.

Mentre il Papa si mostra, Fazio gongola. Il fratacchione di Vincenzo De Luca può procedere con il suo illusionismo da tinello davanti all'uomo più inclusivo della Terra, all'inventore della parola resilienza, immediatamente adottata dal progressismo new age anche per insaporire le pietanze vegane. 

Al di là della simbologia fatta a pezzi, c'è un altro aspetto da sottolineare: la banda Fazio è riuscita a strumentalizzare il Papa con il giochino dell'audience. Annunciato come guest star del programma delle 20, arriva 40 minuti dopo, manco fosse un Giuseppe Conte orchestrato da Rocco Casalino.

Nel frattempo l'attesa sale, gli sponsor se la ridono e lo Spirito Santo raddoppia i fatturati di deodoranti, ammorbidenti e ovetti cioccolatosi. Poiché la Chiesa ha 2000 anni, ogni gesto va giudicato con il metro dell'eternità: se Gesù incontrò tutti e di tutto (dal pubblicano alle prostitute), non può scandalizzare che papa Francesco entri nel circo di Che tempo che fa. Resta una frase, a ronzare sopra l'applausometro di una domenica sera: «Rivalità e vanagloria sono due tarli che rendono debole la Chiesa». Le pronunciò proprio lui. Parole potenti, forse inquinate dalla passerella fazista. Destinate a diventare il testo di una canzone di Blanco. 

DAGONOTA il 7 febbraio 2022.

Siamo alle solite: la Rai, cioè i contribuenti italiani, sono gli unici cornuti e mazziati! Per i diritti di riproduzione dell’intervista del sagrestano Fabio Fazio a Papa Francesco servono 970 euro al minuto. Se un’emittente volesse trasmettere l’intero filmato dovrebbe sganciare la bellezza di 54.320 euro.

Si tratta di soldi che non finiscono nelle casse di Viale Mazzini, ma in quelle del Centro Televisivo Vaticano. È infatti il CTV a chiedere alla Rai questo prezzo per il girato del Papa. È lo stesso Centro Televisivo Vaticano che poi cede gratis dirette e filmati a TV2000 che, dai tempi della direzione di Paolo Ruffini e Lucio Brunelli, dà tutto gratuitamente a Mediaset.

UN MINUTO DEL FILMATO DELL'INTERVISTA DEL PAPA A RAI3 IN VENDITA A 970 EURO? VERO?

Da ilsismografo.blogspot.com il 7 febbraio 2022.  

Da fonti autorevoli non italiane, che l'esperienza l'hanno vissuta direttamente, si è saputo che la RAI vende a 970 euro un minuto dell'intervista di Fabio Fazio a Papa Francesco, mandata in onda, in differita tra le 20.40 e le 21.36 di ieri domenica 6 febbraio.

Il filmato è stato preregistrato alle ore 17 circa come si vede nell'orologio che porta il Papa, come riportato da siti italiani. Tale orologio in alcuni momenti permette di individuare i tagli fatti in fase di montaggio. 

L'intero filmato verrebbe a costare 54.320 euro. Si è saputo anche che chiunque abbia il desiderio di comprare alcuni minuti della registrazione o tutto il filmato deve avere prima un nullaosta del Dicastero per la comunicazione. Questo materiale acquistato si potrebbe diffondere solo in Italia.

Si attende la smentita o le precisazioni della RAI per evitare che nei rumors si coinvolga la Santa Sede o il Santo Padre stesso. Se fosse vero, niente di male, è il mercato.

Potrebbe essere magari una buona occasione per aiutare le diocesi e le parrocchie, anche le Ong, che si occupano di migranti e rifugiati o per aiutare i programmi per le vaccinazioni nel Terzo mondo. 

Valeria Arnaldi per tag43.it il 7 febbraio 2022.

Le parole di Papa Francesco sono rimbalzate veloci in Rete, ieri, dopo l’intervento alla trasmissione Che tempo che fa. Intervista definita, e non a torto, un pezzo di storia della nostra televisione. E veloci oggi corrono anche quelle del conduttore Fabio Fazio. Soprattutto, quelle “mancate”. Alcuni giornalisti della stampa estera lo accusano infatti di non aver posto alcuna domanda scomoda al Pontefice, in particolare sui dossier riguardanti la pedofilia nella Chiesa in Germania e in Francia e su quello italiano atteso per maggio, in coincidenza della Conferenza episcopale italiana, che potrebbe travolgere il Vaticano.

Fazio e il “silenzio” sugli abusi sessuali

«Il più importante talk show della Rai Che tempo che fa ha intervistato Papa Francesco per un’ora e non ha chiesto nulla riguardo lo scandalo degli abusi sessuali. Sembra che non sia un tema nell’agenda pubblica italiana», annota su Twitter Alvise Armellini, giornalista che scrive per AFP News Agency, The Telegraph e altre testate straniere, rilanciato da Stefano Menichini che ha raccolto le voci fuori dal coro dei colleghi: «È giusto sapere che il giornalismo di Fazio e lo stile comunicativo del Papa non sono convincenti per tutti».

Gavin Jones, reporter Reuters, entra nel dibattito aggiungendo altri punti non toccati nell’intervista come «il matrimonio gay, il diritto a morire, l’aborto, il disegno di legge italiano bloccato sui crimini contro la comunità LGBT (ddl Zan), o qualsiasi altra delicata questione etica». E Armellini mette in chiaro: «Non è che il Papa sia stato timido nel parlare degli scandali degli abusi. La mia impressione è che sarebbe stato pronto ad affrontare l’argomento se solo lo avessero sollevato». Al confronto prende parte pure Stefano Menichini: «È giusto sapere che il giornalismo di Fazio e lo stile comunicativo del Papa non sono convincenti per tutti».

Fabio Fazio criticato anche dai giornalisti del New York Times e de L’Express

Dure anche le critiche di Jason Horowitz, capo della redazione romana del New York Times: «Primo pensiero dopo l’apparizione senza notizie (spot?) di Papa Francesco in un talk show italiano – l’ospite ha trascorso un’ora a chiedere cose come “cos’è la preghiera?” – è che il Vaticano si preoccupa ancora più dell’Italia che di qualsiasi altro luogo e che i grandi media italiani rimangono uno spazio sicuro per il Vaticano».

Dello stesso tenore il tweet di Anne Tréca, firma della testata francese L’Express, che sottolinea come il Papa sia stato «intervistato per un’ora e non una sola domanda sui crimini di pedofilia nella Chiesa. Un argomento ancora tabù in Italia». Tra i commenti, la giornalista rilancia quello dello scrittore Riccardo Perissich: «Il Papa per un ora da Fazio. Tante cose interessanti, ma possibile che nessuno chieda mai al Vescovo di Roma perché Italia è unico Paese in cui manca una grande inchiesta sulla pedofilia nella Chiesa? Forse è l’unico dove non è mai successo niente?».

Suddeutsche Zeitung: «Fazio diventa piccolissimo»

Punta l’indice contro Fabio Fazio anche il tedesco Suddeutsche Zeitung : «Con quasi tutti i suoi interlocutori, Fazio assume la posizione che gli congeniale: mette in scena l’uomo di chiesa, diventa piccolissimo, non lo interrompe mai. È così che è diventato famoso, non come intervistatore tosto». La testata “suggerisce” poi le domande che il conduttore avrebbe dovuto porre al Pontefice, chiedendosi come mai non sia stato chiesto nulla su abusi sessuali sui bambini da parte di sacerdoti e altri temi “caldi”. Non mancano poi gli appunti di testate italiane, a partire da Dagospia, che sottolinea come l’intervista sia stata «registrata, tagliata e lavorata», con “salti” anche importanti: « L’orologio di Papa Francesco segnava le 17. E due minuti dopo le 17.30

LA RAI FA MARCIA INDIETRO. ORA L'INTERVISTA CON FRANCESCO È GRATUITA PER LE PROGRAMMAZIONI NEWS

Da ilsismografo.blogspot.com il 7 febbraio 2022.  

La RAI fino a poche ore fa voleva 970 euro per un minuto d'immagini dell'intervista del Santo Padre a Fabio Fazio ieri sera nel programma "Che tempo che fa". Intervista che però lo stesso Fazio aveva illustrato come un  inedito "modo di evangelizzare" (sic) ...

Era un po' curioso farsi pagare tanto per la diffusione e amplificazione del magistero del Pontefice. Non lo sappiamo con tanto di verifica ma ci risulta da fonti primarie che l'intervento per correggere questa spiacevole stortura, in clamorosa contraddizione con gli insegnamenti sul mercato e la fede della Chiesa Cattolica, porta la firma di Papa Bergoglio. 

Farebbe bene la RAI a chiarire tutti i passaggi di quest'operazione sulla quale ha nascosto molte verità, elementari e proprie del giornalismo sano, usando soprattutto l'omissione e omertà. Agire così non è buon giornalismo, almeno non ha nulla da spartire con quanto al riguardo il Papa insegna da quasi 9 anni.

FRANCESCO E FABIO FAZIO. Quella dei papi con la Tv è una relazione che va avanti da 70 anni. ENRICO GALAVOTTI E FEDERICO RUOZZI su Il Domani il 07 febbraio 2022.

L’ospitata di papa Francesco a Che tempo che fa ha avuto un effetto dirompente, ma è quasi un secolo che i vicari di Cristo sono costretti a misurarsi con i media di massa: una breve storia

«Pronto signor Vespa?». 

«Buonasera Santità. […] È una sorpresa che francamente non ci aspettavamo».

Era il 1998. Giovanni Paolo II interruppe con una telefonata in diretta la trasmissione Porta a Porta per ringraziare il conduttore per lo speciale sui suoi vent’anni di pontificato che stavano mandando in onda.

Quel Bruno Vespa che lo aveva intervistato da cardinale e che nell’ottobre del 1978 aveva annunciato in mondovisione quel nome difficile da pronunciare: «Il cardinale Wojtyła, il cardinale primate di Cracovia, che è una delle città più cattoliche del mondo. È questa una scelta, scusate il termine, veramente straordinaria. Ritorna un papa non italiano!». Dalle immagini di archivio presenti nelle Teche Rai Vespa è visibilmente commosso per quella improvvisata pontificia, la prima volta – come scrissero i giornali – di un fuori programma papale che decideva così di iscriversi direttamente nel palinsesto e nella storia della Rai.

La malattia che lo porterà alla morte sette anni dopo, nel 2005, lo stava già affliggendo pesantemente nel fisico e nella voce. La telefonata era stata tutta molto studiata. Dietro alla “apparente” sorpresa che colse il conduttore e gli studi di via Teulada 66 c’era il grande stratega comunicativo e storico portavoce di Giovanni Paolo II Joaquín Navarro-Valls. L’effetto fu rilevante, questo è fuor di dubbio. Come quello che ha innescato l’annuncio dell’intervista di Fabio Fazio a papa Francesco, domenica sera, all’interno del programma di successo di Raitre, Che Tempo che fa, alzando l’asticella delle celebrities ospiti: Obama, Lady Gaga. Ora il pontefice (i video dell’intervista si possono trovare sul sito di RaiPlay).

«Queste persone sono amici miei da anni, hanno risistemato il negozio. Sono andato a benedire il nuovo negozio. È vero che ascolto musica, mi piacciono i classici, tanto. Anche il tango mi piace tanto».

Quello che occorrerebbe evitare è il grido a cui molti ricorrono quando si parla di storia del papato e media. Lo slogan della “prima volta” è sempre suggestivo e seducente, ma rende tutto enfatico e fa capire poco dei processi. La Rai dal 1954 almeno fino a metà anni Ottanta ha detenuto il monopolio dell’immagine del pontefice. Questa intervista segna sicuramente un passo in avanti nel rapporto tra papa e televisione (e in particolare tra papa e Rai). Tuttavia, è in linea con un suo preciso progetto comunicativo e, più in generale, con il suo programma di pontificato di chiesa in uscita.

ARCHEOLOGIA PONTIFICIA PRETELEVISIVA

Se è con Wojtyla che si inizia a parlare di «rivoluzione comunicativa» proprio in riferimento alla sua capacità di essere comunicante a livello globale attraverso le telecamere ed è con lui che si può parlare di papa mediatico, per l’impatto che la televisione ebbe nel suo pontificato, abbattendo una serie di muri della comunicazione vaticana, l’incontro tra pontefici e mezzi audiovisivi va retrodatato di parecchio.

È il 1898 (e non il 1896, come si suole dire, basandosi su una letteratura ormai datata) e i fratelli Lumiere avevano da poco “inventato” il cinematografo quando Leone XIII, il papa della Rerum Novarum, decise di accogliere la richiesta di un operatore inglese: William Kennedy Laurie Dickson, un collaboratore di Edison, concorrente dei fratelli francesi, entra così nei giardini vaticani e imprime su pellicola la figura del pontefice immerso nella quotidianità, anche nell’atto della benedizione, che ora diventava, grazie a quel mezzo, esportabile, atemporale e aspaziale.

È soprattutto durante il pontificato di Pio XII che si assistette a una trasformazione dell’immagine del pontefice, da subito sotto i riflettori dell’Istituto Luce e delle cineprese del Centro cattolico cinematografico: la sua volontà di azione diretta sulla coscienza degli uomini in una società di massa lo spinse a servirsi di ogni mezzo per far arrivare il messaggio della Chiesa, appoggiando così il suo magistero anche sul sostrato che avevano ormai creato i nuovi messi di comunicazione: rafforzò Radio Vaticana, accolse le prime sperimentazioni sul mezzo televisivo, accettò soprattutto di essere l’attore di se stesso in un film del 1942, Pastor angelicus.

Nonostante il piccolo schermo nasca sotto il pontificato pacelliano, tuttavia è papa Giovanni XXIII il papa della televisione, come lo consacrò «Tv sorrisi e canzoni». Cresce, infatti, attorno a Roncalli un vero e proprio consenso, fin da quei primi giorni di fine ottobre 1958 e il mezzo televisivo si fa medium e contemporaneamente agente di storia: la televisione si inserisce in quel processo, enfatizzando quei gesti, contribuendo a rinsaldare quella partecipazione. Anche papa Giovanni fu attore di se stesso nella Giornata del papa, girato dalla Rai nel 1959: per la prima volta le telecamere della Rai entravano nei luoghi in cui il pontefice viveva la sua vita privata, provando anche a rispondere alla curiosa domanda: «cosa fa il papa tutto il giorno?». 

LE INTERVISTE

Ripercorrendo così gli ultimi settant’anni si può vedere in modo chiaro come i papi abbiano compreso l’importanza del ricorso ai mass media, superando anche molte pregiudiziali con cui avevano bollato la nascita dei mezzi di comunicazione. Lo hanno fatto con grande prudenza, ad esempio evitando di ricorrere al termine «intervista», come avvenne nel caso di quello che invece fu definito «l’incontro in Vaticano» che era avvenuto nel 1959 tra Montanelli e Giovanni XXIII. Ma già nel 1965 il “Corriere della sera” poteva scrivere senza smentite della intervista concessa da Paolo VI a Cavallari.

E pure nel suo brevissimo pontificato Giovanni Paolo I affermò con convinzione che se san Paolo fosse vissuto ai nostri giorni avrebbe fatto il direttore della Reuters e forse si sarebbe rivolto alla dirigenza della Rai per avere più spazio in Tv (magari ripiegando sulla Nbc).

Poi nel 1994 ci fu grande clamore per il libro-intervista di Giovanni Paolo II curato da Vittorio Messori: ma quasi nessuno ricorda che quel libro fu solo un ripiego rispetto ad un vero e proprio dialogo televisivo che, per ragioni non meglio precisate, non ebbe luogo.

Fu quindi Paolo Frajese, volto storico del TG1, a ottenere una breve intervista con Giovanni Paolo II davanti al suo presepe nell’appartamento pontificio, consentendo per la prima volta alle telecamere di indugiare in una intimità del papa che era considerata inesistente o comunque inviolabile.

LE CRITICHE

È curioso vedere come la notizia della intervista di Fazio a papa Francesco abbia fatto sollevare più di un sopracciglio in questi giorni. L’argomento principale a cui si è ricorsi per criticare questa iniziativa è stata quella di insinuare il rischio di una dissacrazione della figura papale. Ma non si tratta di un rilievo né originale né pertinente, che è figlio soprattutto di chi ha scarsa conoscenza  o confidenza con la storia del cristianesimo dal Concilio Vaticano II in qua: un concilio che aveva appunto riqualificato il modo d’essere dei vescovi e, quindi, dello stesso vescovo di Roma.

«Io ho solo cercato di indicare la strada della Chiesa verso il futuro: una Chiesa in pellegrinaggio. E oggi il male più grande della Chiesa, il più grande, è la mondanità spirituale. Una Chiesa mondana».

Molti dei rilievi emersi in questi giorni erano allora già stati mossi a Giovanni XXIII quando usciva dal Vaticano per visitare le parrocchie; a Paolo VI quando aveva preso l’aereo per i primi viaggi intercontinentali e a Giovanni Paolo II quando non disdegnava di farsi fotografare mentre sciava o camminava in montagna.

Su questo, ormai da decenni, i vescovi di Roma hanno dimostrato un approccio molto più laico di tanti commentatori della stampa: Giovanni XXIII, sulla propria agenda, si definiva «un mortale di 103 chili di peso» e tutti hanno ben presente come più volte lo stesso Francesco si sia rapidamente qualificato come un «peccatore».

È dal 1990 che Bergoglio non vede la televisione, salvo alcuni eventi (l’elezione del presidente, l’11 settembre, ecc.). Come ha detto, è una promessa fatta alla Vergine del Carmelo. Non la guarda, ma la usa. Anche come pulpito: alle televisioni italiane papa Francesco aveva rilasciato già alcune interviste: quella a Tv2000, l’emittente della Conferenza episcopale italiana per la conclusione del Giubileo straordinario della misericordia, e la seconda al Tg5 nel gennaio 2021.

I TEMI

L’intervista con Fabio Fazio, che certo avrebbe potuto cogliere questa occasione per incalzare il papa su temi di più stretta attualità come la crisi russo-ucraina e sullo scricchiolio degli assetti democratici, è servita a Francesco per ritornare su questioni che gli stanno particolarmente a cuore.

A partire dalla crisi migratoria, per la quale il papa ha invocato perentoriamente un invito a fare politica nel senso più alto del termine e cercare quindi una soluzione «continentale» a un problema che non può essere abbandonato alle strumentalizzazioni di determinate forze politiche: strumentalizzazioni che, ha insistito Bergoglio, hanno anche il difetto di essere miopi, perché non prendono atto del dramma che la crisi della natalità sta producendo per il nostro futuro.

Il papa ha quindi toccato il tema della guerra, come prodotto di una cultura che la giudica indispensabile per la massimizzazione di interessi tanto specifici quanto opportunistici, e la crisi dell’ecosistema, che una volta di più mette in luce la drammatica incapacità della politica di svolgere il proprio mestiere, curando un bene comune davvero collettivo e sostenibile.

Papa Francesco, nell'intervista a Che tempo che fa, ha parlato della questione migratoria: «Quello che si fa con i migranti è criminale. Per arrivare al mare soffrono tanto. Ci sono dei filmati sui lager, e uso questa parola sul serio, lager, nella Libia, lager dei trafficanti. Soffrono e poi rischiano per attraversare il Mediterraneo».

Come in altre occasioni il papa ha insistito sul tema della misericordia, che ha un valore che trascende la vita di fede: si tratta, ha detto il papa, di un diritto inalienabile di ciascun essere vivente: ed è trasparente la critica a quei sistemi giudiziari che chiudono definitivamente dietro una porta coloro che sono condannati alla pena dell’ergastolo, comminando quella che è, di fatto una pena di morte dilazionata.

È tornato sui mali della chiesa: il chiacchiericcio che distrugge ovunque è praticato («dite in faccia le cose, siate coraggiosi), tema che risuona nella sua omiletica fin dai primi giorni del suo pontificato, e la mondanità («la mondanità spirituale è il peggiore dei mali, peggio dell’epoca dei papi libertini) perché fa crescere il clericalismo, una vera e propria perversione della Chiesa («il clericalismo è una rigidità e sotto ogni tipo di rigidità c’è putredine sempre»).

Poi sono emersi i «segreti»: il sogno da bambino di fare il macellaio, l’obbligo per ogni argentino che si definisca tale di saper ballare il tango, la recita quotidiana della preghiera di San Tommaso Moro per ottenere il dono dello humour.

Ma forse la cosa più importante è quella che ha detto alla fine, quando ha confidato di avere degli amici («pochi ma veri»): perché in questo modo ha smontato l’ultimo grande mito che avvolgeva il papa e cioè quello della sua solitudine. Bergoglio ha detto di non sentirsi solo e che per lui essere a stretto contatto con altre persone è necessario come respirare. Che è un modo come un altro per ricordare a tutti i cristiani che non si è mai tali se non lo si è insieme agli altri.

«Sì, ho degli amici che mi aiutano, conoscono la mia vita come un uomo normale, non che io sia normale, no. Io ho delle mie anormalità eh, ma come un uomo comune che ha degli amici».

ENRICO GALAVOTTI E FEDERICO RUOZZI

Papa Francesco, ecco chi è l'uomo accanto a lui: Sandrone. Vaticano e potere, il segreto (svelato) del Pontefice. Libero Quotidiano il 07 febbraio 2022.

Il segreto del potere di Papa Francesco in Vaticano è tutto nella sua "famiglia", la cerchia ristrettissima di collaboratori, uomini fidatissimi ma "a  rotazione". Una svolta storica, quella imposta da Bergoglio, che ha stupito il Vaticano e creato non poco scalpore nelle alte sfere.

La mappa del "cerchio magico" del Pontefice è tracciata dal Giornale, che parte ovviamente dal suo braccio destro, il segretario personale. "Colui che lo assiste in ogni incombenza, che ha il compito di organizzare visite e incontri, che gli gestisce l'agenda". Un ruolo centrale cambiato 3 volte in 9 anni. Oggi è l'uruguaiano padre Gonzalo Aemilius, 42 anni, in carica dal 26 gennaio 2020. Prima di lui, c'erano stati il maltese Alfred Xuareb, durato 13 mesi e poi nominato nunzio in Corea e in Mongolia, e l'argentino Fabian Edgardo Marcelo Pedacchio Leaniz, segretario personale dal 2014 al 2019 e coinvolto, pur tra mille smentite, in un piccante dossier pubblicato da un diacono argentino sposato, Jorge Sonnante, che sosteneva come il prelato fosse registrato su siti di incontri on line. In ogni caso, l'alternanza di collaboratori è stata decisa da Bergoglio per spezzare la tradizione che voleva un segretario personale fisso (don Stanislao Dziwisz a fianco di Giovanni Paolo II per 26 anni, monsignor Georg Gaenswein "ombra" di Papa Ratzinger). 

Il 42enne Padre Aemilius ha conosciuto Bergoglio nel 2006: "L'allora arcivescovo di Buenos Aires gli telefonò perché aveva sentito parlare del suo lavoro con i ragazzi di strada - ricorda il Giornale -. Nato da una famiglia agiata di Montevideo, una nonna ebrea e genitori non credenti, padre Gonzalo si è convertito durante il liceo, colpito dall'opera di alcuni sacerdoti che aiutavano i giovani in difficoltà". Nella "famiglia" del Santo Padre ha fatto parte dall'aprile 2014 al luglio 2020 anche il secondo segretario monsignor Yoannis Lahzi Gaid, "sacerdote copto considerata la «voce araba» del Pontefice nei discorsi ufficiali e nelle catechesi e primo cattolico orientale". A sostituirlo è stato l'italiano don Fabio Salerno, 42enne nato a Catanzaro con lunga esperienza nella diplomazia vaticana.  

Dal punto di vista più privato, spicca la scelta di non vivere nel Palazzo Apostolico ma a Casa Santa Marta, circondato da persone, dove alloggiano i cardinali e i vescovi in visita a Roma. Bergoglio vive nella stanza 201 e utilizza il Palazzo Apostolico solo per le visite ufficiali. Non ha nessun aiutante di camera (Paolo Gabriele, a fianco di Papa Ratzinger, fu il famigerato "corvo" del caso Vatileaks che portò, di fatto, alla crisi e alle dimissioni di Benedetto XVI). Francesco pranza a mensa, è autonomo e a fianco a lui, oltre al segretario personale, c'è solo Sandro Mariotti, "detto Sandrone per la stazza": è lui l'aiutante di camera che assiste il Papa in tutte le necessità quotidiane, "il valletto chiamato a reggere l'ombrello in caso di pioggia, incaricato di prendere ogni oggetto dato al Papa perché le mani di Francesco siano sempre libere". Ed è lui che "prepara e disfa le valigie, anche se il Papa argentino è molto autonomo e non è inusuale vederlo mentre porta da solo i bagagli". Oltre al Prefetto della casa pontificia, sorta di "padrone di casa" e gran cerimoniere, ci sono gli autisti della Papamobile, spesso sottovalutati ma onnipresenti. Sono cinque, tutti gendarmi. Anche loro, insieme al capo della sicurezza Gianluca Gauzzi Broccoletti, sono figure chiave nella gestione della Santa Sede.

L'intervista a Papa Francesco, Fazio e la parabola dei Kiss. Il Pontefice a Che tempo che fa è ipnotizzante. Ogni critica diventa inutile di fronte alla portata del gesto. Che, per i miei figli è (quasi) meglio di un concerto dei Kiss...Francesco Specchia su Libero Quotidiano l'8 febbraio 2022.

Francesco Specchia, fiorentino di nascita, veronese d'adozione, ha una laurea in legge, una specializzazione in comunicazioni di massa e una antropologia criminale (ma non gli sono servite a nulla); a Libero si occupa prevalentemente di politica, tv e mass media. Si vanta di aver lavorato, tra gli altri, per Indro Montanelli alla Voce e per Albino Longhi all'Arena di Verona. Collabora con il TgCom e Radio Monte Carlo, ha scritto e condotto programmi televisivi, tra cui i talk show politici "Iceberg", "Alias" con Franco Debenedetti e "Versus", primo esperimento di talk show interattivo con i social network. Vive una perenne e macerante schizofrenia: ha lavorato per la satira e scritto vari saggi tra cui "Diario inedito del Grande Fratello" (Gremese) e "Gli Inaffondabili" (Marsilio), "Giulio Andreotti-Parola di Giulio" (Aliberti), ed è direttore della collana Mediamursia. Tifa Fiorentina, e non è mai riuscito ad entrare in una lobby, che fosse una...

“Perché Dio consente che i bambini muoiano? Me lo chiedo e non so rispondermi. L’unica soluzione è spiegare che Dio è onnipotente ma nel bene, è che bisogna soffrire assieme a loro…”. Hai detto niente.

Mentre Papa Francesco, nell’oramai leggendaria intervista a Che tempo che fa (Raitre con ascolti triplicati del 30% di share) si sofferma su uno dei più cupi misteri del creato, i miei figli sono sprofondati sul divano e lasciano cadere le figurine dei Pokemon. Attratti irresistibilmente da quel signore dall’italiano incerto in papalina retrattile e veste bianca che “somiglia un po’ a Stanlio di Stanlio e Ollio”, Gregorio Indro e Tancredi vengono sbatacchiati dal suo vento del logos, anche se non hanno la più pallida idea significhi. Il Papa parla della “gestione criminale dei migranti” (ma lancia anche un messaggio politico sulle “quote” di accoglienza che ciascuno Stato potrebbe mettere a disposizione) e della sua idea, da piccolo, di fare il macellaio “per questione di soldi”; del fatto di non poter fare a meno degli amici e di poter fare a meno del clericalismo, il peggiore dei mali (“Ecco perché vivo a Santa Marta, gli altri papi erano santi, io non me la cavo”); del Covid e della guerra; dei lager in Libia e del Mediterraneo come “cimitero”. Parla di tutto quello che ci aspetta da lui, il Papa. Anche Fabio Fazio, intimorito, chiede tutto quello che pensi gli avrebbe chiesto. Ma c’è qualcosa che trattiene i miei ragazzi, li avvinghia come l’edera, come una forza misterica, come se fossero in classe inchiodati davanti alla maestra. Quando Francesco dice di aver ballato il tango, Gregorio, che di solito dedica più di dieci minuti della sua attenzione solo ai concerti dei Kiss e alle partite del Milan, qui si ferma e sorride: “Figo, però…”.

 Non ci sono notizie particolari, peraltro, in quest’intervista ambientata, a distanza, in un salottino glabro e minimalista. Il Financial Times e Lucetta Scaraffia a Omnibus, affermano che tra il Papa e Fazio “è stata un’occasione persa, il conduttore non gli ha chiesto degli abusi sessuali nella Chiesa”. Ovviamente non è vero, è stata tutt'altro che un'occasione persa.. E, nel caso della stampa estera, l’esternazione è il frutto soprattutto di invidia sociale dei colleghi per un’intervista che mai faranno nella vita (lo so perché la stessa invidia l’ho provata anch’io).  E, se è per questo, Fazio poteva chiedere al Papa anche lumi sull’aborto, o sulla Legge Zan, o sul sacerdozio femminile. Certo, quello sarebbe stato ottimo giornalismo. Ottimo ma non essenziale, in fondo. Fazio, che ha la grande capacità di rendere empatiche anche le piante, qui non doveva fare esattamente giornalismo. Il Papa in tv come Lady Gaga si staglia nella storia del piccolo schermo, in realtà, come un gigantesco evento di comunicazione globale; e anche come una forma di evangelizzazione del pubblico accompagnata da potente impatto emotivo. Che poi, insomma se ci intigniamo sulla falsa diretta o sullo swatch al polso del Pontefice con un orario sospetto, be’, perdiamo di vista la portata dell’evento

L’unico precedente è stato l’intervento di Papa Wojtyla a Porta a porta, su Raiuno, con Vespa per l’unica volta spiazzato. Ma erano altri tempi, il Papa viveva allora una posizione di siderale distacco col resto del mondo. Oggi il gesuita Bergoglio vive nei media; Tv 2000 riempie i palinsesti delle sue giornate, dei suoi viaggi e della sue encicliche, per dire. Il passaggio da Fazio è quasi un transito naturale: è la presenza in una trasmissione molto cattolica di sinistra che alterna i suoi respiri sociali, da sempre, sui passi di Francesco. La cosa più divertente è stato il racconto dell’episodio del Santo Padre che, di notte, benedice un negozio di dischi a Roma. Chissà se lì ascoltavano i Kiss…

Da liberoquotidiano.it l'8 febbraio 2022.

Daniele Luttazzi non si sarebbe perso per nulla al mondo l'intervista di Fabio Fazio a Papa Francesco a Che tempo che fa. Il motivo lo spiega lo stesso comico in un editoriale sul Fatto quotidiano: "Un tempo, a farci caso, si notava che, mentre l'intervistato rispondeva, Fabiofazio muoveva le labbra in sincrono con lui, deformazione professionale di chi per anni ha lavorato carpendo la parlata delle sue vittime. Oggi il suo regista evita con cura le inquadrature ravvicinate a due profili, che una volta permettevano di notare quel tic: chissà se ce l'ha ancora".

Insomma, continua Luttazzi, come volevasi dimostrare, "niente inquadrature ravvicinate a due profili, peccato; ma la gara a chi sparava i prosperi più grossi è stata eccitante, una lunga giaculatoria contro la guerra, le ingiustizie e la plastica che inquina, ci facevamo i temini già alle elementari". 

Il comico continua a sfotterlo: "Fabiofazio, sempre in disaccordo ('Ha ragione, Santo Padre'), osava addirittura chiedergli perché si spaccia per rappresentante di Dio in Terra"; "Sovrumani, immagino, gli sforzi di Fabiofazio per trattenersi dall'imitazione del simpatico Bergoglio".

E ancora: "Fabiofazio chiede ai giornalisti ospiti (di Repubblica, Stampa e Corriere: avete mai letto critiche a Fabiofazio su Repubblica, Stampa e Corriere?)", affonda Luttazzi, "un giudizio sintetico sul papa. L'entusiasmo generale di quei professori di sinistra lo tranquillizza visibilmente: poteva riverire il papa come previsto". 

Ed ecco quindi che "appare il papa. Fabiofazio scatta in piedi, e il pubblico pure: siamo a messa". Nessuna domanda "sulla pedofilia nel clero e su Ratzinger, sulla gestione delle finanze vaticane e sulla furbata dell'8 per mille, sulle lotte interne alla Chiesa cattolica, sul maschilismo ecclesiastico, sulla selezione dei preti e sull'anacronistico celibato". Insomma "non un'intervista" ma "un salmo responsoriale, con Fabiofazio". 

Giorgio Gandola per “La Verità” l'8 febbraio 2022.

«La mondanità spirituale è il problema numero uno della Chiesa». Detto questo, papa Francesco ha bucato il video e non c'erano dubbi: 6,7 milioni di italiani (con punte di 8,7) hanno visto la prima intervista rilasciata da un Pontefice a una nostra tv nazionale, in quello che giornalisticamente verrà ricordato nella storia del piccolo schermo come lo scoop di Fabio Fazio. Dopo il Discorso della Luna di San Giovanni XXIII (1962) e la telefonata di San Giovanni Paolo II a Porta a porta (1998), il percorso mediatico della Chiesa in Italia si è completato con uno share medio del 25,42% e 672.000 interazioni social. Il festival di Sanremo è ancora lontano, ma siamo quasi a livello di partite (di qualificazione) della Nazionale di calcio.

Tutti sanno cosa è accaduto, non tutti ciò che non è stato evidenziato. Per esempio che l'intervista non era in diretta, ma registrata alle 17 di domenica e mandata in onda dopo revisione e possibili tagli alle 20.40 mentre Fazio nulla faceva per specificarlo. Poiché Dio si annida nei particolari, la scoperta (da parte del sito Dagospia) dipende da un curioso dettaglio: l'orologio del Pontefice segnava le 17 e - dopo un tempo che non era di mezz' ora - le 17.30, a riprova che qualcuno ha lavorato al montaggio. 

Un simile evento dovrebbe valere oro per la Rai, che infatti ha deciso di vendere i diritti di riproduzione dell'intervista a 970 euro al minuto, totale 54.320 euro. Ma per accordi contrattuali, il ricavato non finirà alla tv pagata dal contribuente bensì al Centro televisivo vaticano, che solitamente cede gratis i filmati a Tv 2000, e da qui ai concorrenti della Rai. 

La trattativa per la storica apparizione televisiva è stata portata avanti da Paolo Ruffini, ex direttore di Rai 3, oggi prefetto del dicastero per la Comunicazione della Santa Sede. E al di là dello spirito di colleganza del manager, la scelta della rete fortemente connotata a sinistra conferma la sintonia di Francesco con le istanze e la narrazione dem, tanto che Roberto Saviano nel prologo di Che tempo che fa lo aveva definito «l'ultimo socialista».

Proprio per rispettare questa sintonia tematica e non turbare l'aura di serenità, l'intervista è sembrata un tentativo di ridurre la missione papale alle tematiche sociali oggi più gettonate: la causa dei migranti, il riscaldamento del pianeta, la ricerca della bontà attraverso la misericordia. E basta. 

Per questa inadeguatezza nel valorizzare l'eccezionale interlocutore (però sappiamo che ballava il tango e da piccolo voleva diventare macellaio), il sacrestano Fazio viene accusato di alcuni peccati di omissione. Il primo è l'incomprensibile decisione di neppure sfiorare il tema della persecuzione dei cristiani nel mondo, tornata su livelli inaccettabili; proprio ieri l'ennesimo sacerdote cattolico è stato rapito in Nigeria. Nel 2021 fra missionari e laici ne sono stati uccisi 22.

Il secondo tema «dimenticato» è stato quello della pedofilia del clero, e su questo argomento i giornalisti stranieri sono molto indignati.«I grandi media italiani restano uno spazio sicuro per il Vaticano», ironizza Jason Horowitz, corrispondente da Roma del New York Times. La comfort zone è un peccato mortale per Alvise Armellini, che scrive per il Daily Telegraph e il Financial Times. 

«Un'ora di intervista e nessuna domanda sugli scandali legati agli abusi sessuali nella Chiesa», ha notato. «Ho un po' l'idea che si sia stati più realisti del re, o più cattolici del Papa. Nel senso che è un tema su cui Bergoglio si è espresso parecchie volte, è stato anche intervistato a questo proposito da diversi colleghi in altri Paesi. 

Quindi penso che se gli fosse stata fatta la domanda, lui avrebbe risposto. Magari non volentieri, ma sarebbe stato pronto a rispondere». La gestione di Fazio è stata timida, da gran ciambellano. Dava l'impressione di gongolare per avere vinto al minuto uno, quando il Papa è comparso sul teleschermo. Così non ha saputo andare oltre qualche frase da catechismo. 

Gli era già successo davanti a Emmanuel Macron; in questi casi la figura da leone da scendiletto è assicurata. Bisogna aggiungere che neppure il Pontefice, spontaneamente, si è sentito in dovere di trattare, davanti a milioni di fedeli, argomenti scottanti. Più facile navigare sulla corrente lenta dell'accoglienza e della transizione green. Un altro tema molto interessante sul quale sollecitare Francesco sarebbe stato il documento dei vescovi tedeschi, che qualche giorno fa hanno chiesto al Vaticano di rimuovere l'obbligo di celibato.

Un affondo sulla dottrina, qualcosa di rivoluzionario che il sacrestano di Rai 3 non avrebbe saputo gestire. «È stata un'occasione perduta», scrivono i media esteri. La banalità della televisione ha fatto il resto, restituendo frasi già note ed espressioni già mille volte metabolizzate. Basta andare su Youtube per comprendere quanto fosse più spirituale e potente la parola di papa Roncalli nel buio di San Pietro illuminato dalla luce lunare, rispetto all'ora di papa Bergoglio a Che tempo che fa. Non certo per colpa sua, ma di un mezzo così abusato e corrivo da togliere la dimensione del sacro a tutto ciò che inquadra.

Santa polenta! Tutto il cibo nella vita di Papa Francesco. Stefania Leo su L'Inkiesta l'8 Febbraio 2022.

Durante la storica intervista a “Che tempo che fa”, Bergoglio ha confessato che da bambino sognava di diventare macellaio. Ma il cibo è sempre stato un leitmotiv della vita del Pontefice. 

Ospite di Fabio Fazio a “Che tempo che fa”, Papa Francesco ha svelato che da bambino sognava di fare il macellaio. Non per la carne, ma per la borsa dove l’uomo teneva i soldi, appoggiata sul ventre. «Colpa dei geni genovesi» da parte di madre, ha scherzato il Pontefice, che con questa intervista ha scritto un pezzo di storia della televisione italiana. Di cibo, Papa Francesco parla spesso. Durante la chiacchierata con Fazio ha detto, «nell’immaginario universale, quello che conta è la guerra, la vendita delle armi. Con un anno senza fare armi, si potrebbe dare educazione e cibo gratis a tutto il mondo, ma questo è in secondo piano». In un tweet lanciato in occasione della Giornata Mondiale contro lo spreco alimentare ha scritto: «È scandaloso non accorgersi di quanto il cibo sia un bene prezioso e di come tanto bene vada a finire male». Saranno i geni italiani o la semplice attenzione alle cose terrene tenute insieme a quelle spirituali, ma il cibo torna spesso nei discorsi del Pontefice. Ma cosa mangia Papa Francesco? Cosa gli piace?

Il rapporto tra Jorge Mario Bergoglio e la cucina inizia da ragazzo. Come ha raccontato nel libro “El Jesuita”, «mia madre (Maria Regina, ndr.) rimase paralitica dopo aver partorito l’ultimo figlio, il quinto. Quando tornavamo da scuola la trovavamo seduta a pelare patate, con tutti gli altri ingredienti per il pranzo già disposti. Ci diceva come dovevamo mescolarli e cucinarli». Il giovane Bergoglio iniziò così ad occuparsi dei fornelli. Tra i piatti preferiti dai familiari preparati da lui, c’erano i calamari ripieni.

Successivamente, Bergoglio diventò famoso in seminario per le sue doti culinarie: preparava spesso da mangiare per i compagni di noviziato. Secondo quanto riportato dal giornalista Roberto Alborghetti, autore di “A tavola con Papa Francesco” (Mondadori Electa), diventato rettore del collegio gesuita di San Miguel, cucinava per gli studenti. Un suo grande cavallo di battaglia era il maialino ripieno e l’asado, tipico arrosto argentino. Invece, quando non c’era molto tempo, il futuro Pontefice preferiva i tramezzini al prosciutto o le empanadas, fagottini di carne tipici della cucina sudamericana. Papa Francesco è fedele al suo palato dalle influenze italiche anche durante i suoi viaggi. Ad esempio, quando visita le carceri, spesso resta a pranzo insieme ai detenuti. Durante la visita alla casa circondariale Giuseppe Salvia di Napoli, il 21 marzo 2015, il Papa ha pranzato con i detenuti, gustando un piatto di maccheroni al forno conditi con ragù napoletano.

Per i suoi ottanta anni, Papa Francesco ha ricevuto una torta molto speciale da Hedera, pasticceria di Francesco Ceravolo a Borgo Pio. Il pan di Spagna servito a strati, è stato farcito con cuore di mate, la bevanda preferita da Bergoglio. Nel 2017, chiacchierando con l’allora First Lady Melania Trump, Papa Francesco menzionò la putizza, un dolce mitteleuropeo a base di nocciole e uvetta. Questa sua conoscenza gastronomica è diventata subito famosa in tutto il mondo, grazie alla ripresa del Guardian, New York Times e Washington Post.

Nel libro “TerraFutura. Dialoghi con Papa Francesco sull’ecologia integrale” dello scrittore e fondatore di “Slow Food” Carlo Petrini, il Pontefice ha messo accanto cibo e sesso. «Il piacere di mangiare è lì per mantenerti in salute, proprio come il piacere sessuale c’è per rendere più bello l’amore e garantire la perpetuazione della specie». In più, Bergoglio li ha definiti entrambi piaceri “divini”: «Il piacere arriva direttamente da Dio, non è né cattolico, né cristiano, né altro, è semplicemente divino».

Al centro dei suoi discorsi da Pontefice, Papa Francesco colloca spesso il pane, che lui considera «la raffigurazione universale del cibo». In passato ha raccontato che da bambini, quando il pane cadeva sul pavimento, lo si doveva raccogliere subito e baciarlo: «non si buttava mai via il pane, simbolo dell’amore di Dio per te, il Dio che ti dà da mangiare». In casa Bergoglio i pranzi erano lunghi e abbondanti, soprattutto la domenica, quando le cuoche della famiglia si scatenavano nella preparazione di risotti, pasta fatta in casa, pollo e dolci. Forse anche per questa centralità che il cibo ha sempre avuto nella sua vita, Francesco è stato anche il primo Pontefice ad augurare ai fedeli: «Buon pranzo!». In più, oltre a non voler risiedere negli appartamenti pontifici, tra le rivoluzioni (anche culinarie) di Francesco c’è il non aver voluto un cuoco personale.

Oggi il Pontefice pranza nel refettorio della Domus Santa Marta, occupando un tavolo defilato. Consuma una cucina semplice, non molto diversa da quella di altre mense, con primi di pasta o a base di riso, zuppe, piatti di carne o di pesce, con verdure, insalata e frutta. C’è spazio per un bicchiere di vino, bianco o rosso, per lo più piemontesi. Dalla residenza di Castel Gandolfo arrivano latte yogurt, un ottimo miele, verdure coltivate nell’orto impiantato lì e della carne. Secondo quanto dichiarato dallo chef veneto Sergio Dussin, convocato spesso nelle cucine del Vaticano, «Francesco mangia di tutto, gusta molto le verdure, compreso il nostro radicchio di Treviso».

Papa Francesco, urla selvagge durante l'udienza: intervengono i Gendarmi, caos in Vaticano. E il Pontefice commenta così...Libero Quotidiano il 02 febbraio 2022

Un fuoriprogramma per Papa Francesco. A pochi minuti dall'inizio dell'udienza generale tenuta nell'Aula Paolo VI, alcune urla hanno interrotto il discorso del Pontefice. Come nulla fosse, Bergoglio non si è scomposto ma ha preferito rivolgere al fedele un messaggio di solidarietà, invitando i presenti a pregare per lo sconosciuto. 

"Abbiamo sentito una persona che gridava, che aveva qualche problema, non so se fisico, psichico, spirituale, ma un fratello nostro con qualche problema. Vorrei finire pregando per lui, il nostro fratello che soffre, poveretto. Se gridava è perché soffre, ha qualche bisogno, non essere sordi al bisogno di questo fratello". Da qui la decisione di recitare una Ave Maria insieme ai pellegrini: "Cari fratelli e care sorelle, la gioia e il dolore che toccano la mia vita riguarda tutti, così come la gioia e il dolore che toccano la vita del fratello e della sorella accanto a noi riguardano anche me. Io non posso essere indifferente agli altri".

L'identità dell'uomo non è nota, ma stando alle agenzie di stampa si tratta di un signore dal volto scoperto, vestito di nero e con in mano una mascherina. L'uomo sarebbe stato in evidente stato di alterazione e, dopo aver inveito contro il Pontefice, sarebbe stato bloccato e portato via dalla gendarmeria vaticana. Un imprevisto che per Bergoglio non è una novità. Lo scorso dicembre il Papa fu costretto a interrompere l'incontro con i fedeli ripreso dalle telecamere per rispondere a una telefonata urgente. Anche in quel caso le motivazioni sono state silenziate, ma se ha risposto qualcosa di importante dovrà sicuramente essere accaduto.

Qual è il nemico "numero uno" di Papa Francesco. Francesco Boezi il 16 Gennaio 2022 su Il Giornale.

Papa Francesco ha tuonato contro più avversari interni in questi quasi nove anni di pontificato, ma ce n'è uno che continua ad essere citato più degli altri: il "chiacchiericcio".

Se Papa Francesco ha un avversario che vorrebbe scardinare, quello è di sicuro il "chiacchiericcio" che a suo dire alberga non solo all'interno della Curia romana, ma in generale anche in tutti gli altri ambienti ecclesiastici.

Sono anni che Jorge Mario Bergoglio tuona contro atteggiamenti che ritiene debbano essere esclusi dalla vita e dagli usi della Chiesa cattolica. L'ultima occasione per ribadire tutta l'avversione provata da Francesco nei confronti del "chiacchiericcio" è stata l'udienza al capitolo generale dei Chierici Regolari Teatini. Il pontefice, in quella circostanza, ha definito questo problema interno alla Chiesa come la "peste più grande". Un'espressione senza mezzi termini (peraltro già sfoderata nel recente passato) che fa il paio con quella che Bergoglio aveva già scelto nel novembre dell'anno appena trascorso, quando aveva parlato di "laureati in chiacchiericcio". 

Già due anni fa, nel settembre del 2020, Bergoglio aveva avvertito su come "conflitti" ed "antagonismi" derivassero dal "chiacchiericcio". E così la pastorale sul tema procede sin da quando l'attuale vescovo di Roma siede sul soglio di Pietro o quasi. Per dirne un'altra: quando l'arcivescovo di Parigi Michel Aupetit è stato "dimesso" dal Santo Padre in seguito alle voci su una presunta relazione con una donna, il primo pontefice gesuita ha detto di averlo messo da parte per il "chiacchiericcio" che contornava la vicenda. Insomma, il pettegolezzo, per Francesco, è il paradigma delle cose che non vanno. Ed è un tema che in questo senso lo unisce anche al suo predecessore, Benedetto XVI, che già nel 2010, pur con delle differenze concettuali, aveva parlato di come Gesù accompagna i fedeli "verso il coraggio che non si lascia intimidire dal chiacchiericcio delle opinioni dominanti".

Nel corso di questi giorni, nell'udienza citata, il leit motiv è stato tutto fuorché modificato: "Fratelli - ha scandito a braccio il pontefice argentino, come ripercorso dall'Adnkronos - la peste più grande in una congregazione religiosa, in una comunità religiosa, quando i frati non si prendono cura l'uno dell'altro, anzi quando incomincia il chiacchiericcio. Siate uomini consacrati, uomini di Vangelo, ma uomini". E ancora: "Se tu hai qualcosa contro l'altro...abbi i pantaloni di dirgli in faccia le cose o tacere. O quell'altro criterio, dirlo a chi può mettere rimedio, cioè i superiori. Ma non fare dei gruppetti, che questa è la spiritualità del 'tarlo', che fa cadere la forza d una comunità religiosa. Niente chiacchiericcio per favore".

Francesco ha spesso legato l'esistenza del "chiacchiericcio" alla persistenza dell'esistenza di faide dottrinali o meno che siano. Dunque all'edificazione di correnti interne al Vaticano che nulla hanno a che fare con le direttive sull'unità e l'indissolubilità della Chiesa che Bergoglio va ripetendo da quasi nove anni ormai. Il colpo del ko contro questo problema - un vero e proprio avversario esistenziale per il pontificato di Francesco - secondo l'impostazione del sovrano pontefice, potrebbe essere la nota riforma della Costituzione apostolica che dovrebbe modificare più di qualcosa in termini di assetti, pesi e contrappesi interni della Santa Sede. Ma della riforma sembrano essersi perse le tracce.

Francesco Boezi. Sono nato a Roma, dove vivo, il 30 ottobre del 1989, ma sono cresciuto ad Alatri, in Ciociaria. A ilGiornale.it dal gennaio del 2017,  seguo la politica dai "palazzi", ma sono anche l'animatore della rubrica domenicale sul Vaticano: "Fumata bianca". Per InsideOver mi occupo delle competizioni elettorali

·        Il Papa Fascista.

«Quei silenzi di Pio XII sulla Shoah». Donatella Di Cesare il 12 Dicembre 2022 su L’Espresso.

Il ruolo del Pontefice nella seconda guerra mondiale. Le parole di Francesco sul conflitto attuale. L’imparzialità della Chiesa. Lo storico Andrea Riccardi riflette sul tacere come strategia per la pace. «La mia posizione verso papa Pacelli non vuole essere giustizialista»

È appena uscito il libro di Andrea Riccardi, “La guerra del silenzio. Pio XII, il nazismo, gli ebrei” (Laterza), in cui viene affrontato un capitolo oscuro e controverso del Novecento sulla base di documenti consultabili per la prima volta. È un’opera che rappresenta certamente il culmine degli studi condotti nel corso di molti anni dall’autorevole storico e che è destinata a far discutere.

La silenziosa lotta di Papa Pio XII contro i totalitarismi. Il saggio di Andrea Riccardi ricostruisce la politica della Santa sede senza preconcetti. Il Pontefice conosceva la violenza nazista e si mosse con prudenza. Matteo Sacchi il 13 Dicembre 2022 su Il Giornale.

Quando divenne Vicario di Pietro, assumendo il nome di Pio XII, Eugenio Pacelli (1876 - 1958) pronunciò la formula di rito «Miserere mei, Deus, secundum (magnam) misericordiam tuam». E di quella formula il Papa si ricordò nel suo testamento redatto nel maggio del 1956, prendendo atto di aver svolto il suo pontificato «in un'epoca così grave» che «ha reso più chiare alla mia mente la mia insufficienza e indegnità».

Uomo di grande acume, di grande prudenza, e di grande umiltà si era trovato ad affrontare uno dei momenti più complessi mai attraversati da un Pontefice. Capo di uno Stato sostanzialmente privo di qualsiasi vera autonomia territoriale, si era trovato circondato dalle potenze dell'Asse. Aveva visto esplodere una guerra la cui violenza verso i civili non era paragonabile a nessuno dei conflitti precedenti. Aveva dovuto prendere atto che i cattolici erano spaccati al loro interno tra fedeltà nazionali e doveri morali, che un'intera fede religiosa, verso cui il cattolicesimo aveva pesanti responsabilità storiche, stava venendo violentemente estirpata dall'Europa attraverso la feroce strage di milioni di ebrei.

Reagì con una politica fatta di costanti, e rischiosi aiuti materiali ai perseguitati dal nazismo e dal fascismo. Reagì anche con una serie di azioni diplomatiche (era un diplomatico di formazione) e di prese di posizione ufficiali in cui però molti hanno visto una timidezza che gli è stata a lungo rimproverata. Una serie di silenzi, soprattutto sul destino degli ebrei, che hanno portato a critiche feroci come quella, molto nota, contenuta nell'opera teatrale Il Vicario del drammaturgo tedesco Rolf Hochhuth (1931-2020) che negli anni '60 scatenò una grandissima discussione sul ruolo di Pio XII. Questo ruolo viene ora ripensato e rivisitato in toto da Andrea Riccardi nel saggio La guerra del silenzio. Pio XII, il nazismo, gli ebrei (Laterza, pagg. 362, euro 25).

Riccardi, uno dei più noti storici della Chiesa cattolica, utilizzando una enorme messe di documenti, non tratteggia solo la figura del Pontefice ma ricostruisce la tela di rapporti interni ed esterni al Vaticano che ha condizionato le scelte di Pio XII. Ed ha il merito di inserire anche le scelte relative alla Shoah in un contesto più ampio.

Compulsando il volume risulta subito evidente che ridurre le strategie comunicative del Vaticano a una sorta di timidezza di Pio XII - che indubbiamente aveva una personalità ben diversa dal volitivo Pio XI - è un atteggiamento quanto meno antistorico.

Il libro mostra innumerevoli esempi di come discorsi, appelli ed encicliche, tra i principali strumenti per trasmettere il pensiero del Pontefice fuori dalla Santa sede c'era la Radio vaticana, siano passati attraverso strettissime forche caudine. Il 10 ottobre 1941 Pio XII incontra Angelo Giuseppe Roncalli, delegato apostolico a Istanbul (e futuro Papa Giovanni XXIII). Tra i due c'era stima e come ricordò poi Roncalli del Papa: «Mi chiese se il suo silenzio circa il contegno del nazismo non è giudicato male».

Il tema del dramma del silenzio attraversava tutti i vertici vaticani e la risposta era sempre complessa. Annotava ancora Roncalli nel 1942: «Oh le pene della Santa sede! Spesso non c'è che il gemito innanzi alle ingiustizie subite. Si potrebbe gridare più forte. Ne verrebbero altri guai». Guai per chi? Per i cattolici che in molta parte d'Europa erano ostaggi dei totalitarismi, anche per gli ebrei che la Santa sede si sforzava di proteggere. Dall'8 settembre del 1943 anche per tutti coloro che si erano rifugiati in Vaticano, un francobollo difeso solo da una striscia bianca tirata nel mezzo di Piazza San Pietro e in cui i tedeschi minacciavano, continuamente, di irrompere. Dal volume esce quindi un quadro molto più variegato dove la scelta non è sempre il silenzio, anzi, si gioca spesso con equilibrismi rischiosissimi per cercare di aiutare chi soffre o favorire la pace.

Qualche esempio. Alla fine del 1939 avviene la prima visita di un Papa al Quirinale sabaudo. Come spiega Riccardi, per Pio XII «era una mossa ardita». Un tentativo di contatto diretto con la monarchia italiana per impedire l'ingresso in guerra del Paese. Ancora il 7 maggio 1940 il Papa incontra i principi di Piemonte, Umberto e Maria José. Ne approfitta per avvisare Maria José, sorella del re Leopoldo del Belgio, che Bruxelles correva «un pericolo grave ed immediato». Una scelta rischiosa e tutt'altro che neutrale rispetto all'invasione tedesca che sarebbe avvenuta due giorni dopo.

Anche nel caso delle persecuzioni antiebraiche gli interventi sono molti e ripetuti. Tutti condotti con lo stile proprio di Pio XII, più da diplomatico accorto, che da voce profetica che corra il rischio di parlare nel deserto. O di essere zittita per sempre. Per rendersene conto basta leggere le pagine dedicate ai moltissimi sforzi della Santa sede per aiutare gli ebrei ungheresi. Oppure alle grandi difficoltà per riuscire a bilanciare la propria politica rispetto ai cattolici tedeschi. Del resto ci furono silenzi ritenuti necessari anche sul totalitarismo comunista. Ne esce un affresco ricco di chiaroscuri e che, fortunatamente, si tiene lontano da qualsiasi atteggiamento giudiziario (assolutorio o colpevolista poco importa) nei confronti di Pio XII.

Un ritratto equilibrato di un Pontefice che, per usare le parole di Riccardi, «ebbe coscienza di un suo dovere che andava al di là della Chiesa cattolica, anche se il suo ministero era rivolto principalmente ad essa». Però «Pio XII e la Chiesa del suo tempo furono testimoni e attori di una vicenda più grande di loro. Non era la Chiesa del Vaticano II o di Giovanni Paolo II a contatto con una opinione pubblica libera e vivace. Non c'era l'opinione del mondo globale. L'isolamento era la condizione e la grave fragilità della Santa sede». E questo i critici di Pio XII lo dimenticano sempre.

Corrado Augias per “il Venerdì – la Repubblica” il 24 giugno 2022.

Una ventina d'anni fa lo scrittore britannico John Cornwell pubblicò un saggio su papa Pio XII dal titolo eloquente: Il papa di Hitler. Era eccessivo. Papa Pacelli fu soprattutto il papa della sua Chiesa ed è all'interno di questa premessa che il suo atteggiamento verso il nazifascismo va esaminato. 

È esattamente quello che fa David I. Kertzer (Simonetta Fiori lo ha intervistato sul Venerdì del 20 maggio, ndr) nel saggio Un papa in guerra (Garzanti) per il quale si è avvalso anche dei nuovi documenti degli archivi vaticani resi, finalmente, pubblici e, sperabilmente, integrali. Quale il quadro? Premetto che il racconto è terribile e affascinante. 

Pio XII era un uomo all'antica, figlio, per così dire, della Roma della restaurazione.

Vedeva il mondo con gli occhiali del seminario in cui s' era formato, amava sinceramente la sua religione, compresi i dogmi e la pompa dei riti. Fu lui a proclamare l'ultimo dogma su Maria che, nel 1950, dichiarò Assunta in cielo corpo e anima. 

Tale la sua fede. 

Sicuramente Pacelli non amò i nazisti, al contrario vide nel regime di Hitler un nemico e un concorrente della fede cristiana. Fu più cauto con Mussolini anche perché lo considerò un possibile intercessore presso il demoniaco Führer dei tedeschi.

L'autore fa notare come Pacelli valutasse sua prima responsabilità: «proteggere la chiesa istituzionale, le sue proprietà, le sue prerogative». Quando Hitler nel 1939 invase la Polonia scatenando la guerra, Pacelli non disse una parola in difesa di quel popolo profondamente cattolico e del suo clero. Vero che la Chiesa aiutò alcune vittime della persecuzione ma, si fa notare, fu un compito di gran lunga inferiore a quello che un papa avrebbe potuto svolgere.

Quanto agli ebrei, Pio XII considerava i "perfidi giudei" eredi del popolo che aveva mandato a morte Gesù. 

Quando più di mille ebrei vennero rastrellati nella sua città per essere mandati ad Auschwitz, il papa non disse una parola. Non fu complice, fu debole e, conclude Kertzer: «Come leader morale Pio XII dev' essere considerato un fallimento»

David I. Kertzer per “la Repubblica” il 25 giugno 2022.

Il 20 giugno, il quotidiano del Vaticano ha dedicato un'intera pagina a una critica del mio nuovo libro, Un papa in guerra. Il sito web Vatican News ha successivamente pubblicizzato la critica fornendo una traduzione in inglese dell'articolo. 

Il mio libro ricostruisce il dramma vissuto da Pio XII durante la Seconda guerra mondiale. L'articolo de L'Osservatore Romano si concentra su tre punti. Il primo riguarda le trattative segrete tra il Papa e l'emissario di Hitler iniziate poco dopo l'elezione di Pio XII. 

Matteo Luigi Napolitano, l'autore del pezzo de L'Osservatore Romano, sostiene che il mio racconto non offre nulla di nuovo, ma non fornisce alcuna prova che la natura, la portata o i dettagli dei colloqui siano mai stati resi noti prima. 

In realtà, i verbali completi, redatti in lingua tedesca, dei colloqui segreti del Papa con l'inviato di Hitler, il principe nazista Philippe von Hessen, sono venuti alla luce solo ora, con l'apertura degli archivi vaticani nel 2020, e pubblicati per la prima volta nel mio libro.

Napolitano descrive questi colloqui come motivati dal desiderio di Hitler di rivedere il concordato con il Vaticano sulla scia dell'espansione del Terzo Reich. Questo non è vero. Appena eletto, Papa Pacelli inviò subito segnali a Hitler che lasciavano intendere che era desideroso di raggiungere un'intesa. 

Ordinò infatti di sospendere le critiche alla persecuzione tedesca della Chiesa cattolica che avevano caratterizzato le pagine del giornale vaticano negli ultimi mesi di vita di Pio XI.

Nel giro di poche settimane, Hitler decise di inviare von Hessen, genero del re d'Italia Vittorio Emanuele III, per avviare i colloqui segreti. Il Papa voleva che Hitler rispettasse i termini del concordato che lo stesso Pacelli aveva negoziato sei anni prima. 

Hitler voleva che il Papa ponesse fine a tutte le critiche pubbliche al trattamento della Chiesa da parte del governo nazista. In questo ebbe successo. Pio XII e il Vaticano rimasero in silenzio.

Napolitano sostiene poi che il Papa pose come condizione per continuare i negoziati l'accordo da parte di Hitler di rispettare cinque punti che egli aveva stilato in un documento per il führer, cosa che, scrive Napolitano, «Kertzer conosce». 

L'insinuazione è che io lo sapessi ma non l'abbia menzionato. Però, nel mio libro cito il documento per intero. Tuttavia, quando Ribbentrop rispose ai cinque punti, chiedendo se il loro adempimento fosse necessario per l'avvio dei negoziati, il Papa negò espressamente che fosse così. 

La critica dell'Osservatore Romano si rivolge poi alla mia breve discussione della prima enciclica di Pio XII, la Summi Pontificatus, emanata poco dopo l'invasione tedesca della Polonia nell'ottobre 1939.

Mi si accusa di non aver rappresentato l'enciclica come un attacco alla Germania per la sua aggressione. Eppure non lo era. Come ha scritto John Conway, storico della Chiesa in Germania, «Papa Pio XII espresse simpatia e dolore per tutti i popoli che erano stati trascinati nel tragico abisso della guerra, ma non fece alcun riferimento all'aggressione tedesca». 

L'enciclica fu trattata con rispetto dai principali giornali fascisti italiani. È vero che in privato alcuni leader tedeschi non erano soddisfatti delle parole che potevano essere lette come una critica allo Stato totalitario contenuta nel documento.

Come ampiamente documentato nel mio libro, l'enciclica seguiva la prassi adottata da Pio XII per tutta la durata della guerra, più volte segnalata dai diplomatici stranieri in servizio in Vaticano: egli preparava con cura i suoi discorsi in modo che avevano passaggi che potessero essere utilizzati da entrambe le parti come prova del sostegno del Papa alla loro causa.

Dietro le quinte, sia gli Alleati che i tedeschi e gli italiani si scagliarono contro il Papa per quelle dichiarazioni che ritenevano più amichevoli nei confronti dei loro nemici. Ma pubblicamente entrambi fecero tutto il possibile per presentare il papa come dalla propria parte.

Il terzo punto focale dell'attacco dell'Osservatore Romano riguarda la retata delle SS di oltre mille ebrei a Roma il 16 ottobre 1943. Mi si rimprovera di non aver incluso, nella mia ampia citazione del resoconto del Segretario di Stato, cardinale Maglione, del suo incontro del 16 ottobre con l'ambasciatore tedesco Ernst von Weizsäcker, la sua dichiarazione che «la Santa Sede non deve essere messa nella necessità di protestare. Qualora la Santa Sede fosse obbligata a farlo, si affiderebbe, per le conseguenze, alla Divina Provvidenza».

Ma cosa aggiunge esattamente questo al resoconto fornito ne Un papa in guerra? Cito Maglione che dice all'ambasciatore: «È doloroso, per il Santo Padre, doloroso oltre ogni dire che proprio a Roma, sotto gli occhi del Padre Comune, siano fatte soffrire tante persone unicamente perché appartengono a una stirpe determinata».

E quando Weizsäcker risponde con la domanda «che farebbe la Santa Sede se le cose avessero a continuare?», riporto la risposta del cardinale: «La Santa Sede non vorrebbe essere messa nella necessità di dire una parola di disapprovazione». 

In effetti, il Papa non pronunciò alcuna parola di protesta mentre gli ebrei di Roma venivano mandati a morire ad Auschwitz. Annunciando l'apertura degli archivi del papato di Pio XII, Papa Francesco ha detto: «La Chiesa non ha paura della storia». 

Si può solo sperare che, dopo l'iniziale reazione difensiva alla rivelazione di questa storia, il Vaticano possa iniziare il processo di venire a patti con essa. L'agiografia papale può avere il suo posto, ma mi sembra più importante comprendere meglio questo tragico capitolo della storia umana.

Pio XII chiese di nascondere nei conventi ebrei e ricercati dai nazisti: le carte dagli archivi vaticani. Vittorio Giovenale martedì 15 Febbraio 2022 su Il Secolo d'Italia.

Fu direttamente Pio XII a chiedere di nascondere nei conventi i ricercati dai nazisti. È quanto rivela il memoriale del monastero di Santa Maria dei Sette Dolori a Roma, nel quale si legge che a sollecitare la protezione dei perseguitati durante i nove mesi dell’occupazione tedesca della Capitale era stato il Papa in persona. 

La ricostruzione della vicenda, anticipa l’Adnkronos, è del ricercatore Antonello Carvigiani, autore del saggio “Il desiderio del Papa: salvare vite umane. Pio XII nella cronaca del monastero di Santa Maria dei Sette Dolori”, che apparirà sul prossimo numero della rivista “Nuova Storia Contemporanea “(Le Lettere), diretta dal professore Francesco Perfetti.

Si legge nella cronaca conventuale: “Le truppe tedesche, padroneggiando l’Italia, perseguitano ovunque uomini e li deportano nei campi di concentramento. In modo speciale perseguitano gli ebrei che fucilano o li fanno morire nelle camere a gas. In tale frangente ebrei – fascisti – soldati – carabinieri e borghesi, cercavano rifugio negli istituti religiosi; che con grave pericolo, aprono le porte per salvare vite umane. È questo il desiderio espresso, ma senza obbligo, dal Santo Padre Pio XII, che per primo riempie di rifugiati il Vaticano – la Villa di Castel Gandolfo e San Giovanni in Laterano”.

Tra il settembre del 1943 e il giugno del ’44, il monastero di Santa Maria dei Sette Dolori, a Trastevere, alle pendici del Gianicolo, in via Garibaldi, divenne uno dei più importanti rifugi per i ricercati dai nazisti. Secondo la ricerca dello storico Renzo De Felice, pubblicata nel 1961 (“Storia degli ebrei italiani sotto il fascismo”, Einaudi) nel monastero trovarono scampo 103 ebrei. La cronaca della casa religiosa fornisce però un altro computo: “Nel nostro convento sono rifugiate circa 150 persone, sono intere famiglie con numerosi bambini – donne e uomini che tratteniamo qui con le proprie famiglie, dopo che i superiori ci hanno dato il permesso di lasciarli qui. Per dar posto a tanta gente, abbiamo ceduto parecchie stanze nostre e ci siamo ristrette in poche stanze. Il locale sopra la Chiesa, detto il Noviziato, è pieno di gente e le famiglie hanno formato con cartoni dei piccoli recinti, dove vivono per essere più liberi gli uni dagli altri”. Sono quasi 50 rifugiati in più rispetto all’elenco pubblicato da De Felice, il quale, però, spiegava di riferirsi nella sua ricerca agli ebrei. Si può ipotizzare, dunque, che gli altri rifugiati siano ricercati per motivi diversi: antifascisti o renitenti alla leva.

L’eroismo delle monache: il convento era di fronte al presidio nazista

Fu un vero e proprio atto di audacia quello delle monache. Il monastero sorgeva, infatti, al cospetto del palazzo che ospitava una caserma dei carabinieri, occupata, tra il 1943 e il ’44, dalle truppe tedesche. Un rischio ben presente nella coscienza delle religiose, che si preoccuparono di non far avvicinare le persone che nascondeva alle finestre.

“È pericoloso per essi avvicinarsi alle finestre – si legge nella cronaca . perché i tedeschi che hanno occupato la caserma dei carabinieri qui davanti al nostro cancello, stanno sempre guardando con i binoccoli sulle nostre finestre, e siccome hanno già sentore di qualche cosa, possono irrompere da un momento all’altro dentro il monastero, e portarli via”.

L’ordine di Pio XII: “Accogliete gli ebrei perseguitati”

Commenta Antonello Carvigiani: “Confrontando questa cronaca con quelle coeve di due altri monasteri romani – Santi Quattro Coronati e Santa susanna – si rafforza l’ipotesi di una medesima comune derivazione dei tre testi in questione: una disposizione – scritta o orale – arrivata direttamente dal Vaticano”. Carvigiani avanza anche una ipotesi: questi memoriali dei conventi romani potrebbe costituire la testimonianza indiretta dell’esistenza di quella famosa circolare vaticana – datata 25 ottobre 1943 – di cui, in passato, il cardinale Tarciso Bertone ha in più occasioni parlato senza mai però essere in grado di renderla pubblica.

Il 17 aprile del 2007 Bertone, allora segretario di Stato della Santa Sede, spiegò alla stampa che Pio XII, il 25 ottobre 1943, siglò “una circolare della Segreteria di Stato, con la quale si forniva l’orientamento di ospitare gli ebrei perseguitati dai nazisti in tutti gli istituti religiosi, di aprire gli istituti e anche le catacombe”. Questa affermazione venne ripetuta in più occasioni da Bertone, anche nella presentazione del libro di Suor Margherita Marchione, “La verità ti farà libero” (Città del Vaticano, Lev, 2008).

Hitler progettò di rapire papa Pio XII. Lo scrisse Goebbels. Il blitz raccontato nel libro “Il Vaticano nella tormenta”. Giovanni Trotta venerdì 24 Gennaio 2020 su Il Secolo d'Italia.

Hitler voleva rapire il Papa e il Vaticano era pronto a difenderlo, ma senza usare le armi. È quanto emerge dall’Archivio della Gendarmeria Pontificia, scandagliato dal medico, storico e scrittore Cesare Catananti, già direttore del policlinico Gemelli di Roma. L’autore dalle rivelazioni ha tratto il volume Vaticano nella tormenta, pubblicato dalle Edizioni San Paolo. “Proprio così – racconta Catananti – Hitler voleva davvero rapire Pio XII, come risulta dai diari di Joseph Goebbels, il ministro della Propaganda del Terzo Reich.

Il piano di Hitler raccontato da Goebbels

Goebbels riferisce di un incontro con Hitler il giorno successivo alla caduta di Mussolini, il 26 luglio. E quella stessa sera Hitler disse: “Ora basta! Dobbiamo invadere il Vaticano e prendere il Papa e arrestare anche il Re d’Italia”. E successivamente Karl Wolff, il capo delle Ss in Italia, dichiarò che Hitler lo aveva chiamato per preparare un’organizzazione che invadesse il Vaticano e prendesse il Pontefice”. Non è chiaro poi perché il progetto non si concretizzò.

Ma come avrebbe reagito, in quel caso, Pio XII? “Dagli Archivi risulta un piano di difesa del Papa che ha dell’incredibile: c’è per la prima volta una documentazione dettagliata su come organizzare la difesa del Santo Padre. C’è scritto che è proibito l’uso delle armi, al massimo si possono usare gli idranti dei vigili del fuoco… E comunque, bisognerà esercitare una difesa passiva ma energica, con un piano di progressivo arretramento verso il Palazzo Apostolico, dove alla fine la guardia nobile si sarebbe dovuta mettere attorno al Papa, per proteggere la sua sacra persona fino al loro spargimento di sangue”.

Quanto durò la “tormenta” descritta nel suo libro? “Imperversò per almeno quattro anni, tra il 1940 e il 1944 – spiega Catananti – ovvero dall’ingresso in guerra dell’Italia fino alla Liberazione di Roma. Il Vaticano era, come è tuttora, una enclave dentro Roma. E a un certo punto, dal 1943 in poi dopo la caduta di Mussolini, confinava direttamente con il Terzo Reich. Era già un polo di interesse per i fascisti, in quanto era forte il dubbio che la Segreteria di Stato vaticana appoggiasse gli alleati. Anche i tedeschi lo sapevano e dunque il Vaticano era sotto un doppio fuoco: fascista e nazista”.

Dagli archivi, come emerge la figura di Pio XII e il suo impegno, o disimpegno, nei confronti degli ebrei avviati nei campi di concentramento nazisti e destinati all’Olocausto? “La questione di Pio XII rimarrà probabilmente aperta ancora per lungo tempo – spiega Catananti -. Certamente, chi voleva ascoltare dal Papa del tempo parole chiare e nette contro il nazismo, non le ascoltò”. Ma “Pio XII preferì tacere e agire. Dagli atti della Gendarmeria non c’è ombra di dubbio che l’opera di salvataggio che fece per assistere tanti ebrei è assolutamente dimostrata. Così come l’asilo ai militari scappati dai campi di prigionia e, dopo la Liberazione di Roma, anche ai militari tedeschi. A un certo punto, in Vaticano c’erano militari alleati e militari tedeschi, ospitati nella caserma della Gendarmeria, posti tutti sotto la protezione del Papa”. 

Simonetta Fiori per “il Venerdì di Repubblica” il 22 maggio 2022.

Un segreto rimasto custodito dentro il Vaticano per oltre ottant'anni. È la trattativa clandestina tra Pio XII e Hitler che getta una nuova luce sul silenzio del Papa dinnanzi allo sterminio degli ebrei. Cancellata da tutte le carte ufficiali della Santa Sede, viene ora resa pubblica dopo l'apertura degli archivi di Eugenio Pacelli voluta nel marzo del 2020 da papa Francesco. 

«Avevo già lavorato sui fondi archivistici dei Paesi occidentali, ma mi mancava un riscontro su questo lato del Tevere», dice David I. Kertzer, professore americano della Brown University, già insignito del Pulitzer per il saggio su papa Pio XI e il Fascismo, ossia sulle vicende storiche che precedono il periodo trattato nel suo nuovo lavoro.

Un Papa in guerra. La storia segreta di Mussolini, Hitler e Pio XII - in uscita in anteprima mondiale da Garzanti - contiene molti documenti che erano stati espunti dai dodici volumi delle fonti archivistiche della segreteria vaticana relative alla Seconda guerra mondiale e che riguardano una delle questioni storiografiche più controverse e spinose: la mancata denuncia da parte di papa Pacelli del genocidio nazista degli ebrei. «Devo dare atto al Vaticano di aver consentito l'accesso ai suoi fascicoli finora tenuti nascosti. Anche se non possiamo illuderci che ci sia davvero tutto. Pio XII era un uomo molto cauto, e può essersi adoperato per non lasciare ulteriori tracce scritte».

Alto, longilineo, un piglio sportivo a dispetto dei 74 anni, il professor Kertzer è figlio di un rabbino che partecipò allo sbarco delle forze alleate in Italia al principio del 1944. Il 4 giugno, nella Roma appena liberata, ebbe modo di conoscere la sorte di molti ebrei vittime del nazismo. 

Non è un caso che suo figlio David abbia dedicato larga parte delle sue ricerche alla storia italiana dell'Ottocento e del Novecento. E allo studio del pregiudizio antisemita all'interno della Chiesa cattolica. Il suo libro su Edoardo Mortara, il bambino ebreo sottratto da Pio IX alla famiglia, ha ispirato Steven Spielberg per il progetto di un film al momento sospeso, ma che secondo Kertzer non è stato mai abbandonato. 

«Sono in costante contatto con Spielberg e con Tony Kushner, lo sceneggiatore» racconta mentre passeggia nel grande parco dietro l'Accademia Americana, sul Gianicolo, a Roma. «Ho letto che anche Marco Bellocchio avrebbe in animo di fare un film sulla stessa storia, ricorrendo ad altre fonti. Ma io spero che il lavoro di Spielberg possa partire presto». Un papa in guerra esce in Italia ancora prima dell'edizione americana. E il sogno dell'autore è che possa leggerlo papa Francesco, «anche se le sue priorità oggi sono altre».

Partiamo dalla trattativa segreta di Pio XII con Hitler. Che cosa ha trovato negli archivi vaticani?

«Verbali in lingua tedesca rimasti nascosti per ottant'anni. Raccontano gli incontri segreti tra Pio XII e l'emissario del Führer, il principe Philipp von Hessen (Filippo d'Assia), un eccentrico personaggio omosessuale che aveva sposato Mafalda di Savoia, quindi genero di Vittorio Emanuele III. Gli incontri si svolsero fin dal principio del pontificato di Pio XII al di fuori dei normali canali diplomatici. Lo stesso ambasciatore tedesco presso la Santa Sede ne rimane all'oscuro». 

Quali furono i contenuti dei colloqui?

«Papa Pacelli chiede a Hitler di fermare la politica di aggressione contro la Chiesa cattolica in Germania. E, in cambio della pace religiosa, l'emissario di Hitler pone due condizioni: il non pronunciamento del Papa sulla questione razziale e la non ingerenza del clero tedesco sulla politica interna del Terzo Reich. 

Da maggio del 1939 gli incontri andarono avanti per parecchi mesi, in preparazione della visita del ministro degli Esteri von Ribbentrop nel marzo del 1940. E dalle carte risultano anche le cinque richieste avanzate da Pacelli «per disintossicare l'atmosfera pubblica prima di cominciare qualsiasi colloquio». 

Scontento dei deboli segnali che arrivavano dalla Germania, il Papa chiedeva di porre fine agli attacchi contro la Chiesa, il ripristino dell'educazione religiosa nelle scuole e della libertà dei sacerdoti, la cessazione dei sequestri delle proprietà. Hitler si disse d'accordo con le condizioni stabilite da Pacelli».

In sostanza, lei sostiene che il Papa barattò il suo silenzio sulla ferocia nazista in cambio della sospensione delle ostilità contro la Chiesa?

«Voleva difendere la sua Chiesa ed evitare spaccature nel mondo cattolico tedesco. Il silenzio di Pacelli colpì la sensibilità pubblica europea fin dai primi giorni della guerra, dopo l'invasione tedesca della Polonia. Secondo la mitografia apologetica, le polemiche sarebbero cominciate negli anni Sessanta, quando uscì il celebre libro di denuncia Il vicario di Rolf Hochhuth. È una sciocchezza: lo scandalo per l'assordante silenzio di Pio XII fu immediato». 

Lei accenna anche a un ordine emanato nel 1938 per la cancellazione dei documenti che riguardavano gli abusi sessuali dei preti in Austria.

«Negli archivi della segreteria di Stato è conservato un documento del marzo del 1938: la segreteria era allora retta da Pacelli, futuro Pontefice. L'ordine imponeva agli ordinari diocesani austriaci di bruciare tutta la documentazione relativa a questioni di immoralità del clero. L'Austria era stata appena annessa da Hitler e il Vaticano temeva ritorsioni».

Nel suo libro viene raccontato il bombardamento diplomatico da parte di europei e americani affinché il Papa si pronunci sulla "barbarie tedesca" contro gli ebrei. La segreteria di Stato mostra qualche insofferenza. «Perfino dal Perù», sbotta Domenico Tardini, futuro segretario di Stato. Fin dal gennaio del 1942 il Papa era perfettamente informato della campagna di sterminio avviata dai nazisti.

«Il Papa riceveva resoconti dettagliati da ecclesiastici di fiducia. Sul suo tavolo arrivano i rapporti del cappellano militare padre Pirro Scavizzi ("Per i soldati di Hitler, in Germania, Polonia e Ucraina, la parola d'ordine è sterminare gli ebrei senza pietà"). E arrivano le notizie del nunzio a Bratislava sul "piano atroce" messo a punto dal cattolico Jozef Tiso, il leader nazista slovacco. Anche l'arcivescovo della Chiesa ucraina a fine agosto informa il pontefice delle "diaboliche razzie" dei tedeschi. E a settembre sui massacri in Polonia giunge il racconto di prima mano di Giovanni Malvezzi, vicedirettore dell'Iri».

Però quando gli americani gli chiedono conferma delle notizie terribili sugli ebrei il Papa si sottrae.

«Sì, nel settembre del 1942 il presidente Roosevelt, attraverso il suo inviato Myron Taylor, non solo invita Pio XII a una parola pubblica di condanna ("rincuorerebbe tutti gli altri che stanno lavorando per salvare gli ebrei dalla morte e dalla sofferenza"), ma gli chiede anche se sia in possesso di informazioni che confermino lo sterminio in Europa. 

La risposta arriverà solo un mese dopo, piuttosto annacquata. Nonostante il Papa fosse molto bene informato, liquida la questione dicendo di aver avuto sì qualche notizia "ma di non averne potuto verificare l'esattezza". In realtà era stato monsignor Angelo Dell'Acqua, il membro della Segreteria di Stato che si occupava della questione, a suggerirgli prudenza, anche "perché l'esagerazione è facile tra gli ebrei". Avvalorare queste notizie al cospetto degli americani avrebbe potuto favorire "i loro scopi politici a danno della Santa Sede"».

Colpisce nel linguaggio di monsignor Dell'Acqua, futuro vicario di Roma, il pregiudizio antisemita. Fu sempre lui, nel dicembre del 1943, a suggerire al Papa di non firmare un appello per mettere fine alle deportazioni degli ebrei italiani.

«Dopo il drammatico nuovo ordine di arrestare tutti gli ebrei in Italia e di mandarli nei campi di concentramento, il padre gesuita Pietro Tacchi Venturi sollecita il pontefice a firmare un appello affinché il governo tedesco metta fine alla campagna omicida. Ma monsignor Dell'Acqua suggerisce al Papa di non fare niente: a suo parere il testo preparato dal gesuita era eccessivamente solidale con gli ebrei. "Sarà anche vero che sono sottoposti a maltrattamenti", scrive in una nota, "ma è il caso di dirlo così apertamente?". Pio XII segue il suo consiglio».

Nonostante l'appello fosse stato concepito per salvare gli ebrei, gli argomenti tradiscono una persistente ostilità.

«Sostanzialmente si diceva che le leggi razziali di Mussolini, promulgate cinque anni prima, erano riuscite a tenere gli ebrei al loro posto. E di conseguenza non c'era bisogno di quelle nuove misure. Dopo la caduta di Mussolini, il 25 luglio del 1943, padre Tacchi Venturi s'era adoperato con il ministro dell'Interno non perché le leggi antisemite fossero cancellate ma per limitarne l'applicazione agli ebrei non convertiti al cattolicesimo, salvando solo quelli battezzati o sposati con mogli cattoliche». 

Anche dopo la razzia del ghetto di Roma, il 16 ottobre del 1943, Pio XII si dà da fare per liberare gli ebrei divenuti cristiani.

«Gli sforzi del Vaticano si concentrano soltanto sugli ebrei battezzati o sposati con cattolici, ottenendone la liberazione. Nei giorni immediatamente successivi al rastrellamento del Ghetto, Pacelli incontra il delegato britannico Osborne e quello americano Tittmann: a entrambi confida di non aver motivo di lamentarsi delle forze armate tedesche che hanno grande rispetto del Vaticano. Non un accenno al migliaio di ebrei condotti a morire ad Auschwitz ».

Lei tende a liquidare anche l'opera di salvataggio svolta dalla Santa Sede a favore degli ebrei nascosti in conventi, chiese, monasteri. Con quali argomenti?

«No, io non liquido ma preciso. Gli ebrei furono solo una piccola parte di quella ampia comunità di rifugiati che trovò ospitalità nelle istituzioni e nei territori del Vaticano. E non si trattò di un ordine del Papa». 

Nel suo libro L'inverno più lungo Andrea Riccardi dimostra che il Papa non poteva non saperlo.

«Ma dopo l'irruzione nazista nella basilica di San Paolo, Pio XII ordinò di allontanare le persone che vi si erano nascoste. Solo dopo l'intervento di qualche cardinale rientrò il comando di Pacelli, sempre molto preoccupato di non alienarsi il favore dei tedeschi. Quello che non è stato mai raccontato è che, dietro la sua veste di pastor angelicus e mediatore di pace, Pio XII aveva fin da principio fortemente sostenuto, attraverso gli organi di stampa e la rete delle parrocchie, l'ingresso dell'Italia in guerra: la nuova documentazione lo dimostra».

Come pensa sarà accolto il suo libro in Vaticano?

«Mi aspetto polemiche molto vivaci, soprattutto da parte di chi continua a celebrare Pacelli come l'ultimo vero Papa, prima della rivoluzione del Concilio Vaticano II. Ma è difficile litigare con i documenti: ho decine di migliaia di pagine con le fonti digitalizzate, tra gli archivi vaticani e quelli dei Paesi coinvolti nella guerra. Mi auguro che la discussione tenga conto di queste nuove fonti».

·        La Papessa.

La papessa, è esistito davvero un papa donna? La papessa è un film tratto da un bestseller che, tuttavia, affonda le radici in una leggenda secondo la quale sarebbe esistito un papa donna nel Medioevo. Erika Pomella il 18 Settembre 2022 su Il Giornale.

La papessa è il film che va in onda questo pomeriggio alle 18.30 su Iris. Diretto da Sönke Wortmann e uscito nei cinema italiani nel 2010, La papessa è una pellicola che porta sul grande schermo la leggenda medievale della Papessa Giovanna, prima e unica donna ad aver ricoperto il ruolo di Santo Padre nella storia della chiesa cattolica. Ma la donna è esistita davvero?

La papessa, la trama

Johanna (Johanna Wokalek) è una donna che è in qualche modo costretta a vivere una vita nella quale non si riconosce. Dopotutto nel 814 d.C. per le donne non c'era altra possibilità se non quella di trovare marito, mettere al mondo dei figli e, con molte probabilità, morire giovane a causa di complicanze del parto o della vita in generale. Johanna, però, non è una ragazza che si arrende e, convinta che la fede incrollabile che prova nei confronti di Dio le stia indicando un percorso diverso, si oppone con ferocia al padre (Iain Glen), con il quale inizia una sorta di guerra civile. Durante gli studi nella cattedrale di Dorstadt, poi, la ragazza incontra il Conte Gerold (David Wenham), nobile alla corte del vescovo, per il quale comincia a provare dei sentimenti. Ma ben presto Johanna capisce che la sua vocazione è un'altra e la sua determinazione la spinge a combattere per diventare qualcosa che tutti, fino ad allora, ritenevano impossibile.

È esistita davvero una papessa Giovanna?

Tratto dal libro campione di vendite firmato da Donna Woolfolk Cross, La papessa affonda in realtà le sue radici in una leggenda che risale al Medioevo, ai giorni in cui il regno di Carlo Magno stava per crollare, quando la Chiesa era in qualche modo padrona della vita quotidiana dei fedeli. Come si può leggere sul sito dell'Internet Movie Data Base, la leggenda ha cominciato a diffondersi proprio durante il Medioevo, quando per le strade si cominciò a sentire l'eco della notizia di una donna salita sull'altare di Pietro. Il nome di Papa Giovanna è stato menzionato in numerose opere che vennero però date alle stampe solo secoli dopo il suo presunto regno. Nel corso degli anni, comunque, gli storici hanno decretato che la leggenda non era altro che una storia fittizia: la mancanza di documenti o prove evidenti. Come si legge su Famiglia Cristiana, fu il domenicano Jean de Mailly a redigere la prima versione della leggenda, secondo cui Giovanna era una giovane vissuta durante l'epoca carolingia che si travestì da uomo per poter seguire negli studi il ragazzo di cui si era innamorata.

All'epoca il sapere era una faccenda prettamente maschile perciò Giovanna si trovò in un ambiente precluso alle donne, del quale si entusiasmò. Divenne una studiosa di successo, viaggiò molto e, alla fine, venne eletta papa nel 853 d.C. Secondo la leggenda il suo pontificato durò appena due anni perché la donna non riuscì a rinunciare al suo amore e rimase incinta. Secondo quanto tramandato la donna avrebbe deviato una processione per poter partorire: i fedeli, consapevoli di quello che era appena accaduto, uccisero Giovanna. Dopo Jean de Mailly ci furono altri che continuarono a diffondere la leggenda, probabilmente con l'intento di gettare un'ombra sulla curia romana e sulla corruzione dell'epoca. Ma gli studiosi contestarono la leggenda e dimostrarono che non c'era alcun documento che la sostenesse. IMDB, invece, riporta l'esistenza di alcune teorie complottiste secondo cui la mancanza di prove reali e concrete dell'esistenza di Giovanna sia dovuta proprio a un insabbiamento da parte della Chiesa stessa, incapace di accettare un tale potere nelle mani di una donna.