Denuncio al mondo ed ai posteri con i miei libri tutte le illegalità tacitate ed impunite compiute dai poteri forti (tutte le mafie). Lo faccio con professionalità, senza pregiudizi od ideologie. Per non essere tacciato di mitomania, pazzia, calunnia, diffamazione, partigianeria, o di scrivere Fake News, riporto, in contraddittorio, la Cronaca e la faccio diventare storia. Quella Storia che nessun editore vuol pubblicare. Quelli editori che ormai nessuno più legge.

Gli editori ed i distributori censori si avvalgono dell'accusa di plagio, per cessare il rapporto. Plagio mai sollevato da alcuno in sede penale o civile, ma tanto basta per loro per censurarmi.

I miei contenuti non sono propalazioni o convinzioni personali. Mi avvalgo solo di fonti autorevoli e credibili, le quali sono doverosamente citate.

Io sono un sociologo storico: racconto la contemporaneità ad i posteri, senza censura od omertà, per uso di critica o di discussione, per ricerca e studio personale o a scopo culturale o didattico. A norma dell'art. 70, comma 1 della Legge sul diritto d'autore: "Il riassunto, la citazione o la riproduzione di brani o di parti di opera e la loro comunicazione al pubblico sono liberi se effettuati per uso di critica o di discussione, nei limiti giustificati da tali fini e purché non costituiscano concorrenza all'utilizzazione economica dell'opera; se effettuati a fini di insegnamento o di ricerca scientifica l'utilizzo deve inoltre avvenire per finalità illustrative e per fini non commerciali."

L’autore ha il diritto esclusivo di utilizzare economicamente l’opera in ogni forma e modo (art. 12 comma 2 Legge sul Diritto d’Autore). La legge stessa però fissa alcuni limiti al contenuto patrimoniale del diritto d’autore per esigenze di pubblica informazione, di libera discussione delle idee, di diffusione della cultura e di studio. Si tratta di limitazioni all’esercizio del diritto di autore, giustificate da un interesse generale che prevale sull’interesse personale dell’autore.

L'art. 10 della Convenzione di Unione di Berna (resa esecutiva con L. n. 399 del 1978) Atto di Parigi del 1971, ratificata o presa ad esempio dalla maggioranza degli ordinamenti internazionali, prevede il diritto di citazione con le seguenti regole: 1) Sono lecite le citazioni tratte da un'opera già resa lecitamente accessibile al pubblico, nonché le citazioni di articoli di giornali e riviste periodiche nella forma di rassegne di stampe, a condizione che dette citazioni siano fatte conformemente ai buoni usi e nella misura giustificata dallo scopo.

Ai sensi dell’art. 101 della legge 633/1941: La riproduzione di informazioni e notizie è lecita purché non sia effettuata con l’impiego di atti contrari agli usi onesti in materia giornalistica e purché se ne citi la fonte. Appare chiaro in quest'ipotesi che oltre alla violazione del diritto d'autore è apprezzabile un'ulteriore violazione e cioè quella della concorrenza (il cosiddetto parassitismo giornalistico). Quindi in questo caso non si fa concorrenza illecita al giornale e al testo ma anzi dà un valore aggiunto al brano originale inserito in un contesto più ampio di discussione e di critica.

Ed ancora: "La libertà ex art. 70 comma I, legge sul diritto di autore, di riassumere citare o anche riprodurre brani di opere, per scopi di critica, discussione o insegnamento è ammessa e si giustifica se l'opera di critica o didattica abbia finalità autonome e distinte da quelle dell'opera citata e perciò i frammenti riprodotti non creino neppure una potenziale concorrenza con i diritti di utilizzazione economica spettanti all'autore dell'opera parzialmente riprodotta" (Cassazione Civile 07/03/1997 nr. 2089).

Per questi motivi Dichiaro di essere l’esclusivo autore del libro in oggetto e di tutti i libri pubblicati sul mio portale e le opere citate ai sensi di legge contengono l’autore e la fonte. Ai sensi di legge non ho bisogno di autorizzazione alla pubblicazione essendo opere pubbliche.

Promuovo in video tutto il territorio nazionale ingiustamente maltrattato e censurato. Ascolto e Consiglio le vittime discriminate ed inascoltate. Ogni giorno da tutto il mondo sui miei siti istituzionali, sui miei blog d'informazione personali e sui miei canali video sono seguito ed apprezzato da centinaia di migliaia di navigatori web. Per quello che faccio, per quello che dico e per quello che scrivo i media mi censurano e le istituzioni mi perseguitano. Le letture e le visioni delle mie opere sono gratuite. Anche l'uso è gratuito, basta indicare la fonte. Nessuno mi sovvenziona per le spese che sostengo e mi impediscono di lavorare per potermi mantenere. Non vivo solo di aria: Sostienimi o mi faranno cessare e vinceranno loro. 

Dr Antonio Giangrande  

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L’ITALIA ALLO SPECCHIO

IL DNA DEGLI ITALIANI

 

 

ANNO 2022

FEMMINE E LGBTI

QUARTA PARTE

 

  

DI ANTONIO GIANGRANDE

 

 

L’APOTEOSI

DI UN POPOLO DIFETTATO

 

Questo saggio è un aggiornamento temporale, pluritematico e pluriterritoriale, riferito al 2022, consequenziale a quello del 2021. Gli argomenti ed i territori trattati nei saggi periodici sono completati ed approfonditi in centinaia di saggi analitici specificatamente dedicati e già pubblicati negli stessi canali in forma Book o E-book, con raccolta di materiale riferito al periodo antecedente. Opere oggetto di studio e fonti propedeutiche a tesi di laurea ed inchieste giornalistiche.

Si troveranno delle recensioni deliranti e degradanti di queste opere. Il mio intento non è soggiogare l'assenso parlando del nulla, ma dimostrare che siamo un popolo difettato. In questo modo è ovvio che l'offeso si ribelli con la denigrazione del palesato.

 

IL GOVERNO

 

UNA BALLATA PER L’ITALIA (di Antonio Giangrande). L’ITALIA CHE SIAMO.

UNA BALLATA PER AVETRANA (di Antonio Giangrande). L’AVETRANA CHE SIAMO.

PRESENTAZIONE DELL’AUTORE.

LA SOLITA INVASIONE BARBARICA SABAUDA.

LA SOLITA ITALIOPOLI.

SOLITA LADRONIA.

SOLITO GOVERNOPOLI. MALGOVERNO ESEMPIO DI MORALITA’.

SOLITA APPALTOPOLI.

SOLITA CONCORSOPOLI ED ESAMOPOLI. I CONCORSI ED ESAMI DI STATO TRUCCATI.

ESAME DI AVVOCATO. LOBBY FORENSE, ABILITAZIONE TRUCCATA.

SOLITO SPRECOPOLI.

SOLITA SPECULOPOLI. L’ITALIA DELLE SPECULAZIONI.

 

L’AMMINISTRAZIONE

 

SOLITO DISSERVIZIOPOLI. LA DITTATURA DEI BUROCRATI.

SOLITA UGUAGLIANZIOPOLI.

IL COGLIONAVIRUS.

SANITA’: ROBA NOSTRA. UN’INCHIESTA DA NON FARE. I MARCUCCI.

 

L’ACCOGLIENZA

 

SOLITA ITALIA RAZZISTA.

SOLITI PROFUGHI E FOIBE.

SOLITO PROFUGOPOLI. VITTIME E CARNEFICI.

 

GLI STATISTI

 

IL SOLITO AFFAIRE ALDO MORO.

IL SOLITO GIULIO ANDREOTTI. IL DIVO RE.

SOLITA TANGENTOPOLI. DA CRAXI A BERLUSCONI. LE MANI SPORCHE DI MANI PULITE.

SOLITO BERLUSCONI. L'ITALIANO PER ANTONOMASIA.

IL SOLITO COMUNISTA BENITO MUSSOLINI.

 

I PARTITI

 

SOLITI 5 STELLE… CADENTI.

SOLITA LEGOPOLI. LA LEGA DA LEGARE.

SOLITI COMUNISTI. CHI LI CONOSCE LI EVITA.

IL SOLITO AMICO TERRORISTA.

1968 TRAGICA ILLUSIONE IDEOLOGICA.

 

LA GIUSTIZIA

 

SOLITO STEFANO CUCCHI & COMPANY.

LA SOLITA SARAH SCAZZI. IL DELITTO DI AVETRANA.

LA SOLITA YARA GAMBIRASIO. IL DELITTO DI BREMBATE.

SOLITO DELITTO DI PERUGIA.

SOLITA ABUSOPOLI.

SOLITA MALAGIUSTIZIOPOLI.

SOLITA GIUSTIZIOPOLI.

SOLITA MANETTOPOLI.

SOLITA IMPUNITOPOLI. L’ITALIA DELL’IMPUNITA’.

I SOLITI MISTERI ITALIANI.

BOLOGNA: UNA STRAGE PARTIGIANA.

 

LA MAFIOSITA’

 

SOLITA MAFIOPOLI.

SOLITE MAFIE IN ITALIA.

SOLITA MAFIA DELL’ANTIMAFIA.

SOLITO RIINA. LA COLPA DEI PADRI RICADE SUI FIGLI.

SOLITO CAPORALATO. IPOCRISIA E SPECULAZIONE.

LA SOLITA USUROPOLI E FALLIMENTOPOLI.

SOLITA CASTOPOLI.

LA SOLITA MASSONERIOPOLI.

CONTRO TUTTE LE MAFIE.

 

LA CULTURA ED I MEDIA

 

LA SCIENZA E’ UN’OPINIONE.

SOLITO CONTROLLO E MANIPOLAZIONE MENTALE.

SOLITA SCUOLOPOLI ED IGNORANTOPOLI.

SOLITA CULTUROPOLI. DISCULTURA ED OSCURANTISMO.

SOLITO MEDIOPOLI. CENSURA, DISINFORMAZIONE, OMERTA'.

 

LO SPETTACOLO E LO SPORT

 

SOLITO SPETTACOLOPOLI.

SOLITO SANREMO.

SOLITO SPORTOPOLI. LO SPORT COL TRUCCO.

 

LA SOCIETA’

 

AUSPICI, RICORDI ED ANNIVERSARI.

I MORTI FAMOSI.

ELISABETTA E LA CORTE DEGLI SCANDALI.

MEGLIO UN GIORNO DA LEONI O CENTO DA AGNELLI?

 

L’AMBIENTE

 

LA SOLITA AGROFRODOPOLI.

SOLITO ANIMALOPOLI.

IL SOLITO TERREMOTO E…

IL SOLITO AMBIENTOPOLI.

 

IL TERRITORIO

 

SOLITO TRENTINO ALTO ADIGE.

SOLITO FRIULI VENEZIA GIULIA.

SOLITA VENEZIA ED IL VENETO.

SOLITA MILANO E LA LOMBARDIA.

SOLITO TORINO ED IL PIEMONTE E LA VAL D’AOSTA.

SOLITA GENOVA E LA LIGURIA.

SOLITA BOLOGNA, PARMA ED EMILIA ROMAGNA.

SOLITA FIRENZE E LA TOSCANA.

SOLITA SIENA.

SOLITA SARDEGNA.

SOLITE MARCHE.

SOLITA PERUGIA E L’UMBRIA.

SOLITA ROMA ED IL LAZIO.

SOLITO ABRUZZO.

SOLITO MOLISE.

SOLITA NAPOLI E LA CAMPANIA.

SOLITA BARI.

SOLITA FOGGIA.

SOLITA TARANTO.

SOLITA BRINDISI.

SOLITA LECCE.

SOLITA POTENZA E LA BASILICATA.

SOLITA REGGIO E LA CALABRIA.

SOLITA PALERMO, MESSINA E LA SICILIA.

 

LE RELIGIONI

 

SOLITO GESU’ CONTRO MAOMETTO.

 

FEMMINE E LGBTI

 

SOLITO CHI COMANDA IL MONDO: FEMMINE E LGBTI.

 

 

 

 

FEMMINE E LGBTI.

 

SOLITO CHI COMANDA IL MONDO: FEMMINE E LGBTI. (Ho scritto un saggio dedicato)

PRIMA PARTE

 

Diversità di genere.

I LGBTQIA+.

Comandano Loro.

Il Potere nel Telecomando.

I Drag Queen.

Il Maschio.

Il Maschilismo.

I Latin Lover.

Il Femminismo.

Gli Omosessuali.

I Transessuali.

I Bisessuali.

Gli Asessuali.

I Fictiosessuali.

Gli indistinti.

I Nudisti.

L’Amore.

Sesso o amore?

Gli orecchini.

Il Pelo.

Le Tette.

Il Ritocchino.

Le Mestruazioni e la Menopausa.

Il Feticcio.

Bondage; Fetish: Il Feticismo.

Mai dire… Porno.

Mai dire …Prostituzione.

 

SOLITO CHI COMANDA IL MONDO: FEMMINE E LGBTI. (Ho scritto un saggio dedicato)

 

SECONDA PARTE

 

La Truffa Amorosa.

La Molestia.

Lo Stupro.

Il Metoo.

Il Revenge Porn.

 

SOLITO CHI COMANDA IL MONDO: FEMMINE E LGBTI. (Ho scritto un saggio dedicato)

 

TERZA PARTE

Le Violenze di Genere: Maschicidi e femminicidi.

 

SOLITO CHI COMANDA IL MONDO: FEMMINE E LGBTI. (Ho scritto un saggio dedicato)

QUARTA PARTE

 

La Gelosia.

L’Infedeltà.

Gli Scambisti.

Gli Stalker.

Il body shaming. 

Le Bandiere LGBTQ.

San Valentino.

La crisi di Coppia.

Mai dire…Matrimonio.

Mai dire Genitori.

Mai dire…Mamma.

Mai dire…Padre.

Mai dire…Figlio.

 

SOLITO CHI COMANDA IL MONDO: FEMMINE E LGBTI. (Ho scritto un saggio dedicato)

QUINTA PARTE

Il Figlicidio.

Le Suocere.

Il Sesso.

Il Kama Sutra. 

Prima del Sesso.

Durante il Sesso.

Dopo il Sesso.

Il Sesso Anale.

La Masturbazione.

L’Orgasmo.

L’ecosessualità.

L'aiutino all'erezione.

Il Triangolo no…non l’avevo considerato.

Il Perineum Sunning: Ano abbronzato.

Il Sesso Orale.

Il Bacio.

Amore Senile.

 

 

FEMMINE E LGBTI

QUARTA PARTE

 

SOLITO CHI COMANDA IL MONDO: FEMMINE E LGBTI. (Ho scritto un saggio dedicato)

·        La Gelosia.

Ma con la gelosia si può convivere. Non lasciate che questo sentimento possa abbrutirvi ma comunicatelo e sarà un abbraccio, un’apertura all’altro. Lisa Ginzburg su La Gazzetta del mezzogiorno l'01 Ottobre 2022

Buongiorno Lisa, sono sposato da tre anni dopo cinque anni precedenti di relazione. Per nostra decisione non abbiamo figli, siamo felici così. Appena possibile facciamo dei bei viaggi, abbiamo una bella casa. Penso che dovrei sentirmi un uomo sereno. Ma c’è il problema che sono geloso: vivo nel timore che mia moglie possa stancarsi di me, tradirmi con un altro, o un’altra… Non so come uscire dal rovello dei miei pensieri, pensieri di cui io per primo mi vergogno.

*****

Grazie della sua lettera, che tocca, come si usa dire, un nervo scoperto. La gelosia: uno smacco per sé stessi per primi. Ci si vergogna di sé quando si è gelosi, perché nella gelosia non ci piacciamo, ci disistimiamo, e quel disprezzo di noi stessi e quella disistima ci imbruttiscono e ci rendono aggressivi. Questo è piuttosto risaputo, ma come sempre per le regole della vita del cuore, un conto è contemplarle in astratto, un conto è conoscerle in forma diretta e sforzarsi di seguirle dal vero, nella pratica.

Le chiedo: sua moglie si è accorta di questi suoi accessi di gelosia, e diffidenza e paura, o invece lei se li sta tenendo tutti per sé? Glielo domando perché sono convinta che una delle poche strade percorribili per districarsi dal dramma della gelosia (un dramma per sé stessi anzitutto, insisto) sia il decidere di parlarne, di condividerla con chi si ama e che, molte volte senza volerlo, in noi quello stato d’animo lo ha scatenato. Accettare la propria estrema vulnerabilità, e renderne parte l’altro: correndo il rischio di risultare pochissimo attraenti, perché poche cose ci sottraggono fascino quanto mostrarci deboli e insicuri di noi stessi.

Accettare, sfidare il destino e la forza di un affetto: esporsi, mostrarsi deboli. Perché avere pazienza con sé stessi suscita pazienza negli altri, se ci amano, se veramente tengono a noi. Perché dimostrare con dignità un alto rispetto verso sé stessi porta gli altri come per contagio a rispettarci.

Non viva di nascosto questa sua gelosia, come un lato oscuro da non lasciar trapelare, un lato ombra da lasciare in ombra. Così continuerà a esserne manovrato, manipolato, guidato. Piuttosto invece esprima a sua moglie la gelosia che prova e da cui è ossessionato.

Prenda il rischio di comunicargliela, aprirsi, essere onesto nel denudarsi, mostrarsi «brutto» per via della sua poca sicurezza. Si sfidi a essere sincero, senza paura di perdere mostrandosi «perdente».

Il grande monaco vietnamita Thich Nhat Hanh, un uomo saggio e di altissimo spessore umano e spirituale (ci ha lasciato l’anno scorso) ha in più di un suo libro scritto pagine bellissime sulla forza che sa trasmettere chi ha il coraggio di raccontare la propria debolezza. La tempra di chi riesce a dire: «Sto male, mi dispiace e in nessun modo vorrei, ma sto male per te, per qualcosa di te che mi ferisce, da cui mi sento attaccato; abbracciami, per favore».

Se poi l’abbraccio arriva – l’accoglienza incondizionata di come siamo, per quel che siamo – di lì nascono fiori.

Della gelosia ci si vergogna, viene considerata eticamente scorretta, «una cosa da adolescenti» come ho letto in questi giorni in un’intervista al consorte di un personaggio politico vincitore delle recentissime elezioni.

Ma quale adolescenza: la gelosia fa parte della vita del cuore, accade nelle relazioni. Può risvegliarsi sempre, farci soffrire ogni volta di nuovo: dalla prima infanzia sino alla morte.

Sarebbe importante smettere di considerarla un’onta, una deviazione della personalità, una regressione. Darle una voce piuttosto, trovare le parole per dirla. Se l’altro ci vuol bene davvero, se un affetto è saldo, destinato a maturare e a elargire felicità, non nevrosi, anche lo scoglio della gelosia si potrà superare. Insieme. Abbracciandosi.

Importante è non flagellarsi per il fatto di provarla; accettarsi, e di lì farsi accettare. Dichiari a sua moglie i suoi stati d’animo, ne abbia il coraggio, l’onestà. Lei con molte probabilità apprezzerà quel suo spontaneo raccontarsi, quell’aprirsi con sincerità. La abbraccerà forte, troverà come rassicurarla; il vostro amore ne uscirà rinsaldato, i vostri viaggi insieme saranno più felici ancora.

Attenti all’ex: ferire parlandone è facile. È poco galante ascoltare un uomo che racconta la sua vita passata. Ma c’è chi vuole sgravarsi dal peso dei ricordi. Liza Ginzburg su La Gazzetta del Mezzogiorno il 17 Settembre 2022.

Cara Lisa,da sei mesi frequento un uomo, un mio collega del lavoro. Si dimostra gentile, mi invita a cena, ha premure nei miei confronti e ho l’impressione di interessarlo piuttosto. Io sono sola da due anni, è la prima volta che l’ipotesi di una storia sentimentale torna ad affacciarsi. Oltre a essere arrivato all’improvviso, quest’uomo e l’incontro con lui sono un’ipotesi mi convince, che non mi spaventa, o almeno: non troppo. Esco da una storia lunga, ho trentadue anni, mi sembra un dono che arrivi uno al quale io interesso e che a me piace. Istintivamente mi fido di lui, credo che con lui sarei pronta a far cadere le barriere di difesa che in questi due anni ho costruito per proteggermi, non soffrire di nuovo.

Però. C’è un vero però, un grande però. Quando torno a casa dopo essere stata a cena con lui, mi accorgo di essere sempre arrabbiata e mortificata. A ogni incontro, almeno due terzi del tempo lui li passa a parlarmi della sua ex moglie. Si sono lasciati l’anno scorso e hanno un bambino. E lui mi parla pochissimo del bambino, e invece continuamente dell’ex moglie. Non c’è volta che non si dilunghi su di lei, la descrive, mi racconta le loro dinamiche di coppia; ritorna col pensiero aila loro separazione, condivide con me i suoi rancori come io fossi la sua psicologa. Non riesco a non trovare la cosa insultante. E il mio cuore è combattuto, perché vedo una relazione che potrebbe incominciare ma questo suo legame con la ex mi fa male. Rosy 

Cara Rosy,

tanti anni fa imparai un motto divertente che diceva: dura lex, sed l’ex. I vecchi amori ci aleggiano dietro le spalle, nel bene e nel male. Nel bene, perché ci proteggono (o almeno si spera) evitandoci di commettere stessi sbagli, ripetere medesimi errori. Ma anche, i vecchi amori ci ostacolano perché sono ingombranti. Prendono spazio, offuscano gli occhi dalla visione del presente, tutto il presente, compresi i regali che esso può offrire irrompendo sul nostro cammino. Come se in qualche modo ci tenessero in ostaggio, i nostri ex, così come tante volte in ostaggio ci tiene il passato, con il suo sguardo occhiuto e severo, troppo malinconico, quello sguardo limitante che attraverso l’ossessione dei ricordi ci tiene in scacco e prigionieri.

Questo tuo collega è poco rispettoso e poco gentile nei tuoi confronti, perché dovrebbe avere ben chiaro (qualcuno, o la stessa vita, dovrebbe averglielo insegnato) quanto sia poco galante intrattenerti ogni volta, e tanto a lungo, con racconti sulla sua ex moglie. È un passo falso da parte sua, senza ombra di dubbio. Però c’è da chiedersi: sino a che punto lo fa volontariamente, e quanto invece non è «agito» dal suo passato? Perché è evidente che la sua intenzione non è ferirti, certamente lo interessi e gli piaci, come tu stessa hai percepito. Sua intenzione piuttosto, chissà quanto consapevole, è farti sentire che di quel suo passato lui è prigioniero, e vorrebbe non esserlo più. Come ti stesse chiedendo aiuto. Non è gratificante, siamo d’accordo – anzi, insisto, è la cosa meno galante che possa fare nei tuoi riguardi. Ma il punto è capire se il suo desiderio di smarcarsi dal passato sia autentico, vitale, o invece spento, bloccato. Se ti dice della ex moglie potrebbe essere perché parlarne è volere sgravarsi del peso dei ricordi e intanto creare spazio, spazio vuoto per accoglierti, farti entrare nella sua vita. Al contrario, il parlare sempre troppo di lei potrebbe significare che da quel ricordo non è ancora per nulla liberato, né ha alcuna reale volontà di liberarsi.

Delle due possibilità, l’una: se è la prima, cioè una sua indiretta dichiarazione di sua difficoltà e richiesta di tua comprensione, probabilmente vale la pena continuare a vederlo, a uscire con lui, a sentire e approfondire la reciprocità dell’attrazione che senti vi lega. Se invece è la seconda ipotesi, ovvero l’ingombro di un suo invischiante legame ancora troppo forte con i suoi fantasmi, allora meglio farsi forza e accettare che non è il caso di andare oltre. Dire a quest’uomo, o fargli capire, che è meglio non continuare a frequentarsi. Perderesti tempo a insistere, perché incontro dopo incontro stai scavando il solco di una delusione che non ti meriti, un boccone amaro di cui non hai nessun bisogno. Siamo fatti dei nostri amori passati, delle nostre ferite, delle nostre cicatrici. Quelle cicatrici, sempre meglio averle ben medicate prima di aprirci alle nuove occasioni che ci regala la vita. Se non succede, può essere bello siano i nuovi incontri a farci guarire; ma devono essere incontri con persone che ci guardano dritto negli occhi e che noi anche sappiamo vedere, per come sono e per quello che sono. Non sovrapponendo alla loro immagine quella dei nostri ex amori.

Dura lex, sed l’ex: possiamo interessarci al passato di chi ci piace e si interessa a noi, a patto che quel passato non sia una lente scura che impedisce a noi di essere visti, apprezzati, amati. Una regola che non andrebbe dimenticata mai.

Omicidio di Orta Nova, se la gelosia delira fino a diventare «potestà». Ad Orta Nova il ventenne ucciso a colpi di arma da fuoco. In questo caso il limite fra normalità e patologia è difficilissimo da segnare, in quanto si tramuta da passione fisiologica in passione malata. Nunzio Smacchia su La Gazzetta del Mezzogiorno l'08 Settembre 2022.

Nell’omicidio avvenuto ad Orta Nova del ventenne Andrea Gaeta da parte del ventiseienne Mirko Tammaro, che ha catalizzato l’attenzione della cronaca per le sue modalità e i tempi di esecuzione, sembrano esserci, apparentemente, la furia omicida e la vendetta. Se ci si sofferma, invece, più attentamente ad analizzare la spinta criminosa del delitto si nota che sono soprattutto l’amore e la gelosia ad avere armato la mano criminale del presunto assassino. Da sempre dove c’è amore, sentimento totalizzante, c’è quasi sempre gelosia, espressione di forze interne che provengono dall’istinto di conservazione e più precisamente da quello derivato dal possesso, dall’istinto della riproduzione e più specificatamente da tutto ciò che ha più diretta attinenza con la vita sessuale. Occorre distinguere la gelosia dal senso di attaccamento alla persona amata che è una manifestazione naturale dell’amore, che, quando è liberamente espresso ed è sano, si lega sempre al rispetto e alla stima che si ha verso la persona cui si è legati sentimentalmente. Alcune volte la gelosia non è sempre connessa all’esclusivismo amoroso quanto a un concetto di sovranità sull’altro essere, prevalentemente sulla donna, analogo, storicamente e giuridicamente inteso all’idea di «potestà», se non di possesso vero e proprio. La gelosia si sviluppa e si accentua quando nasce la diffidenza nei confronti della persona amata e nasce la preoccupazione seria di perdere ciò che si «possiede».

Nel caso di Orta Nova è emerso che questa preoccupazione esisteva. Ne consegue che la gelosia sorge specialmente nei casi in cui l’affetto è fondato sulla forza e si presenta maggiormente privo di quel contenuto morale che fa dell’amore un sentimento elevato e di alto valore sociale e spirituale. La gelosia si sviluppa con maggiore intensità nei soggetti che, per la loro personalità, sono portati più degli altri alla diffidenza. La genesi della gelosia ci dice che la minaccia di perdere ciò che si ama, favorisce, in chi vuole bene, lo sviluppo di sentimenti vari di paura, di dolore, di rabbia, di odio e alcune volte di vendetta. Ed è questo impulso che si presenta ricco di quell’aggressività che può spingere alla distruzione.

Per la criminologia clinica è sempre importante mettere in chiaro i vari dinamismi fisio-psichici che possono trasformare tale sentimento, così diffuso e in parte socialmente utile, in uno stato passionale che distrugge e uccide. Ci sono anche forme di gelosia diverse da quelle a base puramente sessuale, in quanto sorgono per la difesa di un processo affettivo che si sente minacciato. Anche in questo l’amore, la gelosia e l’odio possono provocare, sia pure raramente, un omicidio. In questo tipo di crimine assumono grande importanza il temperamento individuale e i turbamenti affettivi, intellettivi e volitivi che si sviluppano con il complesso del sospetto. In questo sentimento il limite fra normalità e patologia è difficilissimo da segnare, in quanto si tramuta, incontrollabilmente e con grande facilità, da passione fisiologica in passione malata. Nella casistica più recente si è visto che i fattori scatenanti o preparanti sono essenzialmente i conflitti che si creano all’interno della coppia o meglio fra il soggetto attivo e il soggetto passivo del risentimento. Sono i contrasti che nascono all’interno del nucleo amoroso a rendere più evidente il turbamento affettivo del soggetto attivo, a provocarne un affievolimento e a cagionare un indebolimento delle sue forze inibitorie. Per questa ragione spesso gli omicidi per gelosia vengono commessi per motivi futilissimi e per circostanze banali, che agiscono da fattori scatenati. Ma non sono presenti nel caso in esame.

Elementi determinanti, assolutamente da non trascurare nella dinamica di questo grave reato, sono le alterazioni interiori che si manifestano come «dolore psichico» e che più di altre sono causa di disperazione e di angoscia, che per lunghi periodi possono essere soffocate attraverso uno sforzo di inibizione affettiva, ma che, all’improvviso, per fatti lievi e incontrollabili, possono portare a violente e imprevedibili reazioni di natura psico-motoria. Non di rado, infatti, all’omicidio per gelosia si è spinti da un vero e proprio impeto incontrollabile, dal momento che le crisi emotive possono determinare processi di trasformazione, di disgregazione e di dissociazione della personalità psichica; queste producono non solo le reazioni cosiddette di «corto circuito», ma anche di quelle manifestazioni esplosive, violente e irrefrenabili, nelle quali, appunto, si realizza la reattività emotiva.

Orta Nova, 20enne ucciso a colpi di pistola: fermato presunto killer 26enne, ha confessato. La lite nata per una ragazza. L’arma utilizzata, gettata nelle campagne a seguito del delitto, è stata rinvenuta e sequestrata dai Carabinieri e sono in corso gli accertamenti tecnico-scientifici per ricostruire l'esatta dinamica dell'omicidio. Redazione online su La Gazzetta del Mezzogiorno il 3 Settembre 2022.

ORTA NOVA - Prima un litigio per una ragazza, poi qualche ora più tardi gli spari e il suono delle sirene. Ecco i contorni della notte di sangue ad Orta Nova (Foggia), dove un ragazzo di appena vent'anni, Andrea Gaeta, è stato ucciso con alcuni colpi di pistola che lo hanno raggiunto ad un fianco e al torace. Il suo cadavere è stato trovato riverso, lato guida, nell’abitacolo di una Bmw: la stessa auto sulla quale si era fotografato qualche ora prima di essere ucciso, postando lo scatto sui suoi profili social. Subito dopo l'omicidio i sospetti si sono concentrati su un 26enne, Mirko Tammaro, con precedenti penali per furto, che si è costituito ed è stato a lungo interrogato nella caserma dei carabinieri. E' accusato di omicidio volontario nonché di detenzione e porto illegale di arma comune da sparo. La pistola, gettata nelle campagne subito dopo l’omicidio, è stata ritrovata e sequestrata dai Carabinieri.

Andrea Gaeta ad Orta Nova era molto conosciuto sia per la sua attività professionale, gestiva un’azienda di autotrasporti, sia perché il padre Francesco detto 'spacca pallinè è ritenuto dagli inquirenti al vertice dell’omonimo clan Gaeta vicino alla batteria criminale foggiana dei Moretti.

Da una prima ricostruzione dell’accaduto sembra che i due, venerdì sera, abbiano avuto un litigio perchè uno dei due avrebbe forse insultato e guardato in maniera piuttosto insistente la fidanzata dell’altro. Tutto sembrava essere finito lì ma dopo qualche ora l’assassino ha raggiunto la vittima alla periferia di Orta Nova bersagliandola con ameno cinque di colpi di pistola. Pare inoltre che la vittima non fosse sola al momento dell’agguato ma in compagnia di amici. Un dettaglio tuttora al vaglio degli investigatori che per tutta la notte hanno ascoltato parenti e conoscenti di Andrea.

Un episodio analogo, ovvero un omicidio tra adolescenti per il contendersi di una ragazzina, era già accaduto a luglio scorso a San Severo dove un 17enne, Francesco Pio D’Augelli, venne ucciso con una coltellata al fianco inferta da un 15enne che aveva scambiato qualche messaggio con la sua fidanzata.

Con questo omicidio, sale a dieci il numero delle vittime uccise in Capitanata dall’inizio dell’anno ad oggi. Di fronte a questi numeri preoccupanti il coordinamento provinciale di Libera parla di «una terra martoriata da tanta violenza e dalla presenza delle mafie e della criminalità ha bisogno di attenzione e cura». Poi lancia un messaggio alla «politica e istituzioni» che «devono ascoltare il grido che proviene da questa terra». Raccoglie l’appello di Libera l’assessora regionale al Welfare Rosa Barone. «Chiediamo alla ministra Lamorgese impegni precisi per dare un segnale concreto della presenza dello Stato», dice. Anche il vicepresidente della Regione Puglia, Raffaele Piemontese è convinto che nell’agenda del prossimo governo «il riordino e il potenziamento degli uffici giudiziari e degli organici di forze dell’ordine in Capitanata» dovranno essere intesi «come priorità nazionale».

Quando è il maschio la vittima dell'amore deluso. Il suicidio per amore incombe con altre chiazze di tenebra sul territorio impervio dei rapporti interpersonali. Pervade storie private, ma anche pubbliche. Enzo Verrengia su La gazzetta del Mezzogiorno il 7 Settembre 2022.

A Taurisano la deriva estrema degli amori malati è una svolta a U rispetto al femminicidio: la resa autodistruttiva del maschio. La Polizia salva un quarantaduenne che rivolge contro se stesso la violenza della reazione a un sentimento esaurito.

Forse, nell’intenzione di tagliarsi le vene si potrebbe ravvisare una raffigurazione metaforica in carne e sangue del legame reciso.

Il suicidio per amore incombe con altre chiazze di tenebra sul territorio impervio dei rapporti interpersonali. Pervade storie private, ma anche pubbliche. È trascorso da qualche giorno il settantesimo di quello di Cesare Pavese. «Perdono a tutti e a tutti chiedo perdono. Va bene? Non fate troppi pettegolezzi» scrisse sul bigliettino trovato fra le pagine dei Dialoghi con Leucò, poggiato sul comodino accanto al letto in cui giaceva spento.

D’altro canto in Il mestiere di vivere aveva già sentenziato: «Non manca mai a nessuno una buona ragione per uccidersi», precorrendo il suo fato.

Diciassette anni dopo, si vollero accostare quelle parole al messaggio finale di Luigi Tenco, suicidatosi nella sua camera dell’Hotel Savoy, a Sanremo: «Io ho voluto bene al pubblico italiano e gli ho dedicato inutilmente cinque anni della mia vita. Faccio questo non perché sono stanco della vita (tutt’altro) ma come atto di protesta contro un pubblico che manda “Io tu e le rose” in finale e ad una commissione che seleziona La rivoluzione. Spero che serva a chiarire le idee a qualcuno. Ciao. Luigi». E Mike Bongiorno che assimila il gesto ad una retorica edulcorata: «…una nota di mestizia per il triste evento che ha colpito un valoroso rappresentante del mondo della canzone».

Dalida, cui con ogni probabilità si era immolato Tenco, nutrirà dentro un rimorso il cui esito sarà analogo, quando nel 1987 si toglierà la vita lasciando scritto: «La vita mi è insopportabile. Perdonatemi».

Michel Foucault non lascia dubbi in proposito: «L’amore deluso nel suo eccesso, e soprattutto l’amore ingannato dalla fatalità della morte, non ha altro esito che il suicidio». Quest’ultimo, nella sua sorte, giunse nella forma vicaria dell’AIDS.

Se si dovessero cercare conferme nella letteratura e nell’arte, l’elenco sarebbe sterminato. Figure emblematiche sono quelle di Heathcliff, in Cime tempestose, ossessionato dal fantasma della perduta Catherine, Werther, segnato dall’amore impossibile per Charlotte, che ricambia il suo amore ma non può lasciare il marito, Albert, Jacopo Ortis, che trova anche nel mancato rapporto con Teresa, ormai convolata a nozze, una ragione in più per rinunciare all’esistenza. Un posto speciale in questa galleria di romantici senza freni lo merita Jay Gatsby, preso nella spirale di un amore impossibile, quello per Daisy.

Dalle pagine dei libri a chi sta dall’altra parte e le scrive. «Morire è un’arte, come ogni altra cosa. Io lo faccio in modo eccezionale. Io lo faccio che sembra come un inferno. Io lo faccio che sembra reale. Ammetterete che ho la vocazione». Sono versi di Lady Lazarus, una poesia di Sylvia Plath, pubblicata postuma nel 1965, due anni dopo che si era suicidata.

Una fine che sembra riecheggiare quella di Virginia Woolf, anche lei non redenta dall’espressione artistica. Eppure il desiderio di morte sembra attecchire maggiormente fra gli uomini. Due ricercatori americani Jonathan Scourfield e Rhiannon Evans, hanno pubblicato un saggio sull’American Journal of Men’s Health, in cui effettuano un confronto tra numerosi studi sul tema, con particolare riferimento alle cause del suicidio dopo la fine di una relazione sentimentale.

Al primo posto ci sarebbe la percezione del fallimento della figura maschile con tutti i principali attributi connessi: la forza e l’autosufficienza. Rimasto solo, l’uomo abbandonato prova vergogna a chiedere aiuto ad amici e parenti, così preferisce farla finita. Poi interviene un altro elemento di crisi. Nel caso di coppie sposate, la perdita di stabilità associata al matrimonio, più in generale la sensazione di non avere più una rotta segnata.

Quando in amore la dipendenza affettiva fa cadere nella trappola del narcisista. Valeria Randone su La Repubblica l'11 Giugno 2022.

Vincent Cassel ed Emmanuelle Bercot sono i protagonisti di Mon roi (Il mio re), film che affronta il tema della dipendenza in amore. 

La storia di Paola e Federico e di quel rapporto fatto di passione e silenzi improvvisi. Ecco dove si annida la manipolazione.

Nasce un poco strisciando, si potrebbe trattare di bisogno d'amore, cantava, incantandoci, Patti Pravo. Quando il bisogno d'amore sovrasta ogni logica, ogni amore equilibrato e il benessere psichico di chi lo vive, non si tratta di un "pensiero stupendo" ma di un amore tossico.

"Soltanto il pensiero di vederlo mi infiammava di desiderio. L'attesa era insopportabile. L'amore straripante. La sessualità incontenibile", mi racconta Paola (nome di fantasia) in sede di prima consultazione. Lei ha quarant'anni, un bel lavoro, una famiglia affettuosa, un marito e due figli, e alle spalle una madre algida, che non l'ha saputa amare. Le ha insegnato a barattare la bravura con l'amore, la generosità d'animo e di cuore con i voti scolastici e le ha instillato il seme dell'insicurezza e dell'inadeguatezza.

Paola, appena conclusa università, ha accettato un lavoro modesto a tempo determinato che le desse la possibilità di essere autonoma sul piano economico e di uscire di casa. Si è innamorata di Giorgio (nome di fantasia), lo ha sposato dopo meno di un anno pur di prendere le distanze dalla madre e della sua infanzia dolorosa. Dopo un anno è diventata madre. Ha avuto la sensazione di toccare il cielo con un dito.

Il rapporto con il bambino le ha regalato la possibilità di riscattarsi dalla sofferenza del suo passato familiare. Dopo il primo figlio ne ha avuto un altro. Paola si annulla del tutto come donna. Il suo matrimonio non è nutriente, perché in realtà aveva scelto Giorgio mossa dall'ingenuità e dal bisogno di scappare da casa. Paola era ed è una donna affamata d'amore.

I figli

Dopo il secondo bambino, Paola, ha attraversato un momento di crisi profonda, si è sentita molto sola. Non aveva mai provato mai tanta solitudine. Nonostante questo ha deciso di restare con il marito. Giorgio non si è accorto di nulla, la loro vita coniugale è andata avanti senza grandi scossoni. Ed ecco che è apparso Federico (nome di fantasia), il classico uomo bello e dannato, ma più precisamente è un uomo dalla personalità narcisistica.

L'ha sedotta e portata a sé. Si è insinuato in quel bisogno profondo d'amore e di cure che regola la vita di Paola da sempre. L'ha illusa di curarla e amarla, ma in realtà le ha prosciugato energie psichiche. Pian piano l'ha distrutta.

Paola è si sentita tanto coinvolta da questo suo amante da dimenticare un giorno i bambini a scuola, un'altra vota ha fatto un’incidente con la macchina, e un altro ancora ha causato un problema irreparabile sul posto di lavoro. 

Paola non è innamorata, è manipolata

Nonostante il disagio sempre più pressante, nonostante la crisi del suo matrimonio, del lavoro e degli affetti, il suo amante l'ha obbligata a dimenticare amici e famiglia per controllarla meglio. Ora lei dipende del tutto da lui. La sua sessualità si infiamma solo per lui: passa dal silenzio dei sensi a una sessualità eccessiva, bulimica, straripante, dipendente.

Federico ha adottato la solita strategia del rinforzo intermittente: appare e scompare, la seduce e la maltratta, la riempie di attenzioni e di effusioni per poi punirla con il silenzio.

Un bel giorno viene chiamata dal preside della scuola che frequenta il figlio maggiore: il ragazzino ha picchiato un compagno e sono entrambi in ospedale. La professoressa le dice che il giovane non è mai stato così irascibile e nervoso, e che secondo lei sta soffrendo per qualcosa che non gli è ancora ben chiara. Paola comprende. Finalmente si ferma e inizia un cammino di introspezione. 

Quel bisogno di controllo

Per quanto sembri scintillante, in realtà, il narcisista è una persona sofferente che non sa di soffrire e che mai ammetterà nemmeno a sé stesso di avere bisogno di aiuto.

È un uomo (o donna) affamato di consensi e di approvazione. La ferita e il senso di schiacciante fallimento provato nell'infanzia del narcisista - perché anche lui ha avuto un'infanzia drammatica - lo rendono bisognoso di rassicurazioni sulla sua stessa esistenza (in fondo teme di non esistere se non viene ammirato e lusingato).

La dipendenza affettiva

Come le ottiene e da chi le ottiene - sempre e soltanto dal dipendente affettivo - non è sempre etico e nemmeno indolore, soprattutto per la sua vittima sacrificale. Nel suo cammino cerca con grande affanno e poi incontra il dipendente affettivo, colui che tenterà di nutrirlo, di guarirlo, a costo di rinunciare a sé stesso e alle proprie necessità del cuore.

"Io ti salverò" è la classica frase che ognuno dei due membri della coppia disfunzionale dice all'altro. Il narcisista prosciuga, vampirizza di energie psichiche e il dipendente affettivo, mentre crede di essere amato e aiutato, si fa prosciugare e nel frattempo sposta la sua dipendenza dal genitore che non è stato nutriente al narcisista che di nutriente non ha proprio nulla. E il circolo vizioso prosegue indisturbato.

Le dinamiche sperequate e manipolatorie sono estenuanti e prosciugati e resistono indenni e immodificate negli anni. Si nutrono di colpi di scena, di messaggi a raffica, di rinforzi intermittenti - oggi ci sono, domani ti abbandono per tornare più presente di prima quando capisco che stai soffrendo più che mai (la sofferenza nutre il narcisista) -, a sparizioni strategiche, a punizioni verbali e ad altre inflitte con il silenzio. Seguono minacce verbali o fisiche, richieste sempre più eccessive, parole, parole, parole, sino a schiacciare del tutto la personalità e la persona della dipendenza affettivo. 

Il dolore

In amore non dovrebbe esserci sofferenza, o per lo meno non stabilmente. Il tema del dolore, invece, è sempre centrale nella relazione tra manipolatore e manipolato: il dipendente affettivo grida il suo dolore ma non comprende da dove viene, il narcisista dà la colpa del proprio dolore al partner dipendente affettivo per far sì che si senta in colpa, per poi utilizzare questa colpa per portare acqua al proprio mulino e continuare a manipolare e controllare sempre di più.

In questo perverso gioco di ruoli, c'è chi dà e chi prende. Più il narcisista prende e più il dipende affettivo dà senza riserve (solitamente chi dà di più all'interno di una relazione è chi ha più bisogno). Più il dipendente affettivo dà e più si indebolisce, e più viene prosciugato di energie psichiche e fisiche. La corsa al massacro non finisce qui.

L'amore come veleno

Più il dipendente affettivo si sente debole e più crede di avere bisogno della sua droga, della sua dose quotidiana di veleno. Così beve dall'amaro calice: cerca di nutrirsi ma in realtà si avvelena. Il buco nel cuore. Ma il narcisista cambia?

La coppia male assortita formata da un narcisista e un dipendente affettivo - è difficile che ci sia l'uno senza l'altro - è formata da due persone che soffrono e che hanno un buco nel cuore. L'epilogo finale però è diverso: il dipendente affettivo se va in terapia si salva, il narcisista rimane narcisista.

La possibilità che un narcisista cambi è improbabile. Che torni tutte le volte indietro ad abitare la relazione è invece assolutamente prevedibile. Tornerà ogni volta, dopo ogni abbandono, dopo ogni straziante o strategica sparizione. Tornerà sempre. E lo farà finché il dipendente affettivo non deciderà di curarsi davvero. Quando la vittima comprende di essere vittima, quando va in terapia, quando decide che vuole smettere di stare male e di amare male, solo allora, il narcisista andrà altrove. Quando capirà di aver perso la capacità di controllare il dipendente affettivo e di nutrirsi delle sue energie - tramite il controllo della sua mente e del suo corpo, sessualità inclusa - andrà in cerca della prossima vittima (se non ha già provveduto a sedurla contemporaneamente alla relazione in corso). 

Ricordiamoci che il narcisista non può vivere senza le sue prede, senza brillare, senza manipolare per tentare di stare un po 'meglio.

La sessualità

Un narcisista non va in profondità. Non può permetterselo. È del tutto sprovvisto della capacità di avere relazioni oggettuali scaldate da note di autenticità e profonda intimità. Anche la sessualità viene adoperata per i suoi scopi, non accede infatti quasi mai a una dimensione di scambio e di amorevole intimità. Usa il sesso come mezzo per attirare l'attenzione su di sé, per maltrattare e confondere il partner sulle sue ars amatorie, e in fondo per esercitare il suo continuo controllo. Esattamente come la volpe che non arriva all'uva e dice che è acerba, il narcisista adotta lo stesso modus operandi con la sessualità femminile: la denigra.

Quello che fa il partner sotto le lenzuola non è mai abbastanza. Non è giusto, non è bello, non è buono. E se per caso il narcisista dovesse avere un momento di disagio sessuale, la colpa è ovviamente del partner che non è bravo abbastanza. O è eccessivamente algido o è esageratamente desiderante. Il narcisista tende ad utilizzare la vergogna come arma, la brandisce come se fosse una spada. Fa di tutto per far sì che il partner si senta sbagliato, inadeguato, fuori posto.

L'amore tossico dal quale guarire

Lo mette a confronto con le altre donne (o uomini), lo paragona, lo valuta, lo fa a pezzi sul piano estetico. Così alla fine lui (o lei) potrà insultare, manipolare, offendere, tradire e abbandonare a intermittenza perché giustificato e anche autorizzato dagli eventi. Anche dagli amori tossici si può guarire. Basta inforcare le lenti dell'esame di realtà, chiedere aiuto e farsi aiutare.

Perché un amore sbagliato nella vita può anche capitare, due forse, ma dal terzo in poi c'è lo zampino della coazione a ripetere - un potente meccanismo inconscio inarrestabile e immodificabile se non con l'aiuto di un clinico - che spinge a scegliere soltanto amori disfunzionali.

*Valeria Randone è psicologa, specialista in sessuologia clinica a Catania e Milano. valeriarandone.it

La gelosia che nasce per un “like” di troppo sulle foto di Instagram. GIULIA PILOTTI, editor, su Il Domani il 05 giugno 2022

Un ragazzo ha l’abitudine di mettere troppi cuori sul social network.

Una lettrice sente il peso di essere single solo quando è ora delle ferie.

Cara Giulia,

Non sono mai stata una persona gelosa, ma ci sono alcune cose che non riesco a tollerare. In particolare mi rendo conto che Instagram ha molta influenza sul modo di vivere la mia relazione. Sono fidanzata da diversi anni e sono felice e innamorata. Il mio ragazzo è affettuoso e mi riempie di attenzioni come se fossimo sempre all’inizio della nostra storia. Però su Instagram ho notato che segue molte ragazze, tutte belle, appariscenti, provocanti. Anche se non le conosce di persona, mi dà fastidio che metta like in giro a queste donne, che sono ovviamente più attraenti di me e mi fanno sentire molto insicura del mio aspetto. Ho paura che se continua ad avere questi modelli di bellezza io gli piacerò sempre meno. Posso parlargliene secondo te? 

A.

Cara A.,

Secondo uno studio dell’Università di Sarcazzo l’89 per cento delle persone che iniziano una frase con «non sono una persona gelosa» sono persone gelose. 

Capisco perfettamente il senso di inadeguatezza a cui ci costringono le gnocche che vivono nel nostro telefono, io stessa dopo aver superato indenne l’adolescenza e i miei vent’anni mi scopro preoccupata della circonferenza delle mie cosce fuori tempo massimo, e ho pochi dubbi sull’origine delle mie paturnie. Ma se il tuo fidanzato non è un idiota – come invece forse sono io – credo che sarà in grado di comprendere che quelle natiche levigate e quei perfetti archi di cupido (microscopica parte del corpo di cui nessuno si era mai curato prima d’ora, entrata invece nei nostri pensieri con prepotenza per colpa di Instagram) non sono altro che una fantasia. Dovresti concentrarti anche tu sui molteplici gradi di separazione che intercorrono tra lui e le natiche famose, o anche quelle meno famose. Guardare non è un reato, cuoricinare nemmeno. 

Questo, fra l’altro, vale per tutto: ossessioni per attori e attrici bellissimi, uso e consumo di porno. Che mondo oppresso sarebbe se potessimo provare attrazione fisica solo per le persone con cui abbiamo già una relazione? 

Se la cosa ti preoccupa hai tutto il diritto di farglielo presente, ma sono anche convinta che finché uno sluma alla luce del sole non c’è motivo di allarmarsi. È un comportamento un po’ ridicolo? Certo. Vedere il suo nome sotto la foto di un culo ti fa dubitare della sua maturità emotiva? È comprensibile. Ma gli uomini sono spesso creature vagamente ridicole con una naturale, istintiva propensione per i culi. E questo non significa che nella loro testa si crei un termine di paragone, ma solo che hanno visto due chiappe (che non sono né meglio né peggio delle tue, sono chiappe virtuali, quasi metafora di tutte le chiappe del mondo) e il loro pollice ha automaticamente picchiettato due volte sullo schermo dell’iPhone. Non è colpa loro, è un riflesso. D’altro canto tu metteresti mai a confronto il tuo fidanzato e, non so, Timothée Chalamet? Uno è reale, l’altro è una proiezione. 

Credimi, è tutto nella norma. Almeno finché non accorcia troppo i gradi di separazione e passa dai culi famosi a culi di conoscenti: in quel caso potrai permetterti di fargli passare una notte sul divano a riflettere su sé stesso. 

Cara Giulia,

Sono l’unica single in una compagnia di ragazze fidanzate e la cosa non mi pesa mai, a parte quando si tratta di organizzare le vacanze. Quest’estate, come gli anni scorsi, le mie amiche faranno viaggi stupendi con i loro ragazzi e io invece non ho programmi. Alcune di loro mi hanno invitato ad unirmi, ma l’idea di essere l’unica scompagnata in un gruppo di coppie non mi fa impazzire.

Possibile che questa sia l’unica alternativa? Possibile che non si riesca più a fare niente senza i rispettivi partner? Non facciamo più niente senza i ragazzi e spesso mi sento esclusa solo perché io non ho nessuno. Come faccio a spiegarglielo? Temo che ci rimarrebbero male, ma mi sembra ingiusto che le nostre esistenze siano ormai vincolate ad attività di coppia. È come se non avessero più un’identità individuale, lo trovo un po’ triste. Help.

S.

Cara S.,

Non dev’essere semplice essere nella tua posizione, ma percepisco da parte tua un tono un filo giudicante che purtroppo non amo molto. Hai ragione, i gruppi di coppie possono essere assolutamente estenuanti, con le loro gag su chi si addormenta più spesso davanti alla tv, i bisticci sulle indicazioni del navigatore, i dessert condivisi e i racconti dei soliti quattro aneddoti che fanno ridere solo loro, ma come tu hai deciso di vivere la tua vita da solista le tue amiche hanno optato per un’altra modalità, che potrà sembrarti triste e patetica ma è altrettanto valida. Hai considerato la possibilità che a loro piaccia fare le vacanze con i fidanzati? 

Non devi spiegare niente a nessuno, puoi solo farti passare la gnagnera e proporre un viaggio tra ragazze al prossimo giro, magari anticipando la laminazione definitiva del loro piano ferie, o armarti di buona volontà e partire col gruppo (anche i fidanzati sono esseri umani, non hai nulla da temere). 

C’è poi l’opzione di fare un viaggio per i fatti tuoi, così da non doverti preoccupare di niente se non di avere un numero sufficiente di mutande in valigia. Pensa a tutti i dessert che non dovrai condividere.

GIULIA PILOTTI, editor. Nata a Roma nel 1992, cresciuta a Parma, ora vive a Milano. Ha studiato comunicazione e editoria, lavora in un’agenzia letteraria.

Trova la compagna a letto con l'amante e la accoltella. Redazione il 17 Maggio 2022 su Il Giornale.

La vittima è stata colpita all'addome ed è grave. L'uomo dovrà rispondere di tentato omicidio.

È tornato a casa e ha trovato la fidanzata con un altro uomo. Non ha fatto una scenata di gelosia, non ha urlato o sbraitato come avrebbero fatto in molti, ma direttamente l'ha accoltellata.

Dramma della gelosia a Cutigliano, in provincia di Pistoia, dove una donna di 37 anni è ricoverata in condizioni gravissime. Il tentato femminicidio è avvenuto nella notte tra venerdì e sabato. L'uomo, un fiorentino di 42 anni, verso l'una e mezza del mattino è tornato nella sua abitazione e ha trovato la compagna in camera da letto con l'altro. Probabilmente lei non si aspettava quella sorpresa, forse non sapeva che lui sarebbe rincasato prima e se ne stava tranquillamente con l'amante in atteggiamenti inequivocabili.

Il compagno, superato il primo istante di stupore, senza perdere la calma si è diretto velocemente in cucina, ha aperto il cassetto dove sono gli utensili e ha afferrato un coltellaccio, mentre lei alle sue spalle lo aveva seguito sconvolta e stava cercando di giustificarsi. Senza nemmeno riflettere un istante, però, senza proferire offese, lui l'ha ferita con un colpo violentissimo all'addome. La trentasettenne ha perso subito i sensi ed è crollata a terra, in un lago di sangue.

L'amante, che aveva assistito alla scena senza riuscire a far nulla, a quel punto ha afferrato un attizzatoio dal camino. Tra i due rivali è nata una colluttazione. Alla fine ad avere la peggio è stato l'aggressore, che è stato portato in terapia intensiva all'ospedale San Jacopo di Pistoia, per alcuni colpi ricevuto alla testa. Ora si trova piantonato lì dai carabinieri. Il rivale, invece, è stato medicato, perché colpito in modo superficiale con un attrezzo da giardino al viso e al corpo.

La donna poche ore dopo è stata risvegliata dal coma farmacologico, ma resta ricoverata nell'ospedale di Prato in prognosi riservata. Il suo compagno dovrà rispondere di lesioni e tentato omicidio.

E in queste ore sta facendo il giro dei social la storia di una donna che, dopo aver scritto una accorata lettera, è riuscita ad ottenere dalla Procura di Como le revoca dell'archiviazione del suo caso nei confronti dell'ex marito violento, che l'aveva sottoposta a maltrattamenti. «Spero di non diventare l'ennesimo titolo sul giornale, l'ennesimo femminicidio», scriveva la dottoressa. Ora il caso è stato riaperto e sono stati acquisiti nuovi elementi raccolti dalla vittima, che almeno in un'occasione era finita anche al pronto soccorso.

La gelosia per amore e quella per amicizia. E' così difficile conoscere parti di noi nuove, e sino a quel momento impensate. Lisa Ginzburg su La Gazzetta del Mezzogiorno il 30 aprile 2022.

Ciao Lisa. Mi sono sempre considerata una persona equilibrata, assennata, anche nei miei sentimenti. Nell’ultimo anno, invece, mi è successo di provare una gelosia fortissima. Scoprirmi gelosa mi ha disorientato, è stato sconvolgente. Una gelosia che provo tuttora, violenta, che mai mi sarei aspettata da me stessa ! La cosa che anche mi fa impressione, è che non si tratta di gelosia per amore, bensì per amicizia.

La mia migliore amica, o piuttosto, quella che credevo essere tale, si è messa a frequentare un’altra ragazza. Ci vediamo molto meno, sempre meno, e io adesso ho la sensazione che lei mi eviti, che non gliene importi più niente del rapporto che in questi anni di Università abbiamo costruito insieme. Oltre al dispiacere e alla delusione, non so come controllare questa passione così forte, e nuova per me. Maria Rosaria

Cara Maria Rosaria, è così difficile conoscere parti di noi nuove, e sino a quel momento impensate. Costruiamo la nostra personalità e il nostro carattere su un’idea globale che abbiamo di noi stessi, ma poi accade, ogni tanto, di trovare quell’idea del tutto smentita.

Allora succede di meravigliarci, trasecolare, e giudicarci male: magari, come sta succedendo a te, con molta severità, in modo tutt’altro che positivo. E tuttavia, a me viene da dirti, cosa c’è di così sbagliato nella tua gelosia? Perché condannarla, e condannandola, sentirsene tanto delusi e sopraffatti ?

Che tu sia a disagio con te stessa lo capisco bene. I sentimenti violenti spaventano, non c’è dubbio. Ci mostrano una parte di noi che non ci piace, una parte conflittuale, o competitiva, o possessiva, talvolta persino violenta.

La gelosia contiene nella trappola della sua dinamica proprio questa caratteristica peculiare: farci vedere un lato di noi massimamente sgradevole, che ci fa grande fatica ammettere di avere nel carattere.

Siamo furiosi con la persona dalla quale ci sentiamo traditi, ma contemporaneamente anche furiosi con noi stessi per il fatto di provare gelosia.

Fai un bel respiro profondo e pensa al tuo dispiacere: è grande, ed è legittimo. Vuoi molto bene a un’amica, e lei ti sta trascurando per un’altra amica. Se provi a comprendere questa delusione, le sue dimensioni, i suoi confini, lo spazio che occupa dentro di te, se te ne fai carico, penso che sarai un poco meno gelosa, o almeno, provare gelosia ti prenderà meno energie procurandoti un po’ meno dispiacere e tormento.

E anche, se prima di scatenarti nella disapprovazione di te (siamo sempre bravissimi a trattarci male) ti assumerai il peso di questo dolore di amicizia che ti è capitato, se deciderai di volere più bene a quella te che si è rattristata, magari il sentimento sarà meno aspro, meno difficile da gestire.

Forse allora, alla tua amica, saprai spiegare con calma e senza ricatti che stai soffrendo, riuscirai a dirle che le vuoi molto bene, che ti manca. Non sarai chiusa, magari rabbiosa e bloccata nella non comunicazione, invece vulnerabile e sincera, vera.

E il tuo tormento, da gomitolo aggrovigliato e troppo ingombrante, si farà un unico filo, più morbido, da utilizzare come una sonda per scandagliare il tuo cuore e conoscerlo meglio. Cara Maria Rosaria, a me sembra che siano una sorta di «salti quantici» del nostro maturare, questi momenti di scoperta di nuovi lati di noi. Fanno paura, disorientano, certo; ma se respiriamo forte e decidiamo di affrontarli, troviamo maggiore armonia e diventiamo più forti.

Ci sono anche parti di noi più feroci: impararlo e non flagellarci per questo è un primo modo per addomesticarle, quelle parti. E per vivere meglio, soffrendo un po’ meno dei comportamenti degli altri. Nel tempo, magari, scoprirai quella verità che a me ha cambiato la vita: e cioè che più sei la migliore amica di te stessa, meno le immaturità e conflittualità e rivalità altrui possono scalfirti. Gelosi possiamo esserlo sempre: ma quando siamo i nostri grandi alleati, i migliori amici di noi stessi, allora non c’è sentimento «negativo» che possa destabilizzarci. O almeno, non più di tanto. Amor proprio e gelosia, se non si elidono a vicenda, certo sono inversamente proporzionali. Capirlo è già tanto, anzi tantissimo.

La fame di dialogo elisir dell’amore. Con un sondaggio abbiamo chiesto ai lettori quali ritengano siano i motivi che più mettono in pericolo la vita delle coppie. Lisa Ginzburg su La Gazzetta del Mezzogiorno il 23 aprile 2022.

«Un posto al cuore» ha lanciato un sondaggio chiedendo ai lettori quali ritengano siano i motivi che più mettono in pericolo la vita delle coppie. Grazie delle vostre tante risposte! Ne emerge che la minaccia ritenuta più pericolosa, l’insidia che più può condurre a crisi, rotture, separazioni, è la mancanza di dialogo.

Il dialogo manca, langue, è atrofizzato e anzi agonizza. Si parla poco, si parla sempre meno. Come mi ha scritto un lettore qualche settimana fa, passiamo il tempo (non soltanto in strada, anche tra le mura di casa nostra) a guardare video o consultare compulsivamente google, spotify, netflix, facebook, twitter, chat, forum e via discorrendo. E non parliamo più. Si comunica attraverso internet; se (mettiamo) una sera in casa, dopo cena, un figlio ragazzino chiede al padre o alla madre, o a entrambi: «lo sapevate che …» e riferisce qualcosa che ha imparato a scuola, sulla lingua finnica, sull’aurora boreale, su certe caratteristiche dei mammiferi, il padre o la madre, o entrambi, subito corrono a controllare su google per mostrarsi all’altezza delle informazioni e nozioni riferite dal figlio e delle quali sino a pochi istanti prima non sapevano assolutamente nulla. Annuiscono, perché ora in rete la notizia o la spigolatura l’hanno imparata e fatta propria anche loro: e la conversazione là finisce.

Questo per quanto riguarda le comunicazioni «domestiche». Per l’amore, o quanto di amore resta in una coppia magari di lunga data, è anche peggio: qui la sostituzione del dialogo telematico a quello virtuale agisce in modo dannoso e lesivo giocando di anticipo. Ci si dicono parole più tenere e appassionate sui messaggi whatsapp che dal vero. E mano a mano, a forza di spedire cuoricini e descrivere l’amore, la tenerezza, la materia che compone e dà vita ai legami, le parole vere, il dialogo reale, si appassiscono sino a finire.

Spegnete i telefoni. Spegniamo i telefoni. Facciamo l’amore, non la guerra. Facciamo l’amore, non la sindrome da dipendenza virtuale. Facciamolo e diciamolo, l’amore: quel dire che contempla pause, silenzi, un tacere che a sua volta prelude a conversazioni dense, sincere, composte di toni e di parole che si ricordano. Vi è successo di rovinare una storia d’amore per eccesso di comunicazione virtuale? Un’esperienza traumatica e a suo modo devastante; senza appello, che non permette riparazioni, ricongiungimenti. Che esaspera, e porta a chiudere con esasperazione. Perché la virtualità esaspera, e uccide gli slanci, la libido, la voglia di giocare.

Per dialogare, tra innamorati così come tra individui, ci vuole pazienza, tenacia, ma anche una qualità che manca sempre più, che è ascoltare. L’ascolto. Ascoltare i silenzi soprattutto, gravidi e pregni delle parole autentiche che verranno. E oltre al silenzio, conta praticare una severa selezione: apprendere l’arte di staccare. Il mondo, ogni tanto, sapere tenerlo fuori dalla porta. Perché una coppia per poter parlare deve sentirsi appartata, almeno a tratti. Perché a forza di tenere aperte tutte le vie di comunicazione, si è talmente saturi di parole, persone, contatti, da far coincidere l’intimità con l’assenza di comunicazione. Ti amo, ti voglio bene, sto bene con te, ergo con te mi concedo il massimo dei lussi: star zitto e non comunicare nulla.

Trovare e ritrovare le parole vere sarà la salvezza degli amori: fateci caso, fateci attenzione. Sostituire ai messaggini le carezze, agli emoticon i baci, ai messaggi di testo le dichiarazioni e le conversazioni. In fondo, ridare un posto al cuore è anche questo: recuperare e ridare dignità a una densità e a uno spessore dei dialoghi che solo la cessazione dell’ininterrotto, brulicante brusìo prodotto dal mondo potrà ricreare, ricostruire, far rinascere.

Subito dopo l’assenza di dialogo, con pochi punti di percentuali di «votanti» in meno, avete indicato l’infedeltà, grande minaccia di ogni relazione amorosa e causa di clamorose rotture e conclusioni di rapporti da che mondo è mondo. Nella sua longeva pericolosità, minaccia tuttavia meno insidiosa. Che ci si possa tradire e poi per questo (che lo si confessi o meno) ci si possa lasciare, lo sappiamo. Che ci si lasci perché si è smesso o si sta smettendo di parlare, invece lo sappiamo e lo capiamo meno. In altri tempi e in un mondo diverso da quello presente, non parlare molto tra innamorati nemmeno era un problema. Ma adesso, proprio perché circondati da troppe parole, la fame di dialogo coincide con la fame d’amore. Fame di attenzione. Presenza di dialogo, presenza d’amore. Assenza di brusìo, assenza di depressivo, introverso intontimento.

UN POSTO AL CUORE. «Il mio compagno è geloso di suo fratello». Freud diceva che in una coppia ognuno ha anche, come ombre, i propri genitori. Lisa Ginzburg su La Gazzetta del Mezzogiorno il 02 Aprile 2022.

Ho ventidue anni, da tre anni sto insieme a un ragazzo conosciuto in vacanza. Abitiamo in due paesi vicini, riusciamo a incontrarci quasi tutti i fine settimana. Siamo felici, in modo tranquillo; abbiamo caratteri abbastanza simili, ci intendiamo bene e andiamo d’accordo. È la mia prima relazione seria, e certe volte anche senza volerlo mi sorprendo a fantasticare sul futuro, su un’evoluzione più stabile di questa nostra intesa.

Da qualche tempo però succede una cosa strana. Il fratello del mio innamorato è tornato dall’estero, dove era a fare un Master. Volevo conoscerlo, mi sarebbe parso normale, l’ho chiesto al mio compagno, ma lui mi ha detto che non vuole, che preferisce di no. Ho capito che è geloso. Come si può essere gelosi di un fratello? E che fiducia ha in me? Sono triste e turbata.

Cara Mariangela

hai proprio ragione a essere turbata. Però, un però c’è: forse mi sbaglio, ma4 non credo sia una gelosia che ti riguarda personalmente, e che il tuo ragazzo proverebbe anche per altri. Penso che il problema sia tra lui e suo fratello. Questo nulla toglie alla tua tristezza, o forse la aumenta, perché ti fa sentire esclusa. Freud diceva che in una coppia non si è mai solo in due ma in sei, perché ognuno ha anche, come ombre dietro le spalle, entrambi i propri genitori, ovvero i rapporti con i propri padre e madre.

La tua lettera mi fa venire in mente che talvolta si è persino anche più di sei, perché si aggiungono - per alcuni - i rapporti con i fratelli e le sorelle. La famiglia, sana o disfunzionale che sia, occupa parecchio spazio dentro di noi, è fonte di un peso che accade di frequente di trasferire nelle nostre relazioni più intime, aggravandole inutilmente. Forse il tuo ragazzo è in competizione con suo fratello, forse la rivalità con il fratello lo fa essere insicuro e preoccupato al pensiero che tu e lui vi conosciate. Non si può sapere con certezza.

Certo, farebbe meglio a parlare con te di queste sue vicende problematiche «pregresse», che riguardano la sua infanzia e adolescenza e tutto il tempo passato con i suoi parenti stretti prima di incontrare te. Magari se non lo ha fatto sinora è stato per tutelare la vostra relazione, o perché l’intimità tra voi due non è ancora tale da portarlo a confidarsi su quei viluppi spesso ingarbugliati che sono i nostri legami famigliari.

Affronta il problema con sincerità insieme a lui, se te la senti e vedi che ce ne sono le condizioni. Se invece avverti resistenza nel tuo compagno, può essere appunto che lui voglia tenerti fuori dalle sue questioni di famiglia e che intenda farlo per difendere la serenità del vostro rapporto. Non affrettarti a giudicarlo. Mettiti in ascolto, concentrati su voi due anziché sul comprensibile senso di mortificazione e di rabbia che ti procura questa sua gelosia. Capirai se davvero sta cercando di tutelare la vostra coppia, o se quel che lo anima e lo tormenta è piuttosto la rivalità con suo fratello e il timore che il vostro incontrarvi e conoscervi possa in qualche modo danneggiare voi due. Non sappiamo davvero le motivazioni di certe scelte degli altri che d’istinto ci feriscono.

Allerta i tuoi sensi, affina la tua sensibilità e capirai di più: le sue priorità, le sue ossessioni, i suoi blocchi; indirettamente, anche, ti sarà più chiaro quanto fino a che punto lui tenga a te. Soprattutto, però, mi raccomando, non sentirti esclusa. Vai oltre il senso di offesa che senti. La famiglia di origine dovrebbe entrare il meno possibile nelle nostre storie d’amore; quando lo fa, meglio lasciare la porta chiusa, o quantomeno socchiusa se proprio non si riesce a chiuderla del tutto. Altrimenti anziché in sei, si rischia di essere chissà in quanti. E le relazioni, invase da problematiche antiche inerenti ad altre storie che non le riguardano affatto, sviliscono, si complicano. Dunque preserva la tua storia d’amore! Se conoscere suo fratello non è così importante (e direi che non lo è) socchiudi la porta e goditi l’armonia dell’intesa che hai incontrato e stabilito con il tuo compagno. È molto più importante, credimi.

Da ilmessaggero.it il 26 marzo 2022.

Incapace di intendere e volere per i giudici di primo grado e anche per quelli d'appello. Che hanno confermato che Antonio Gozzini, bresciano di 81 anni, è affetto dal delirio di gelosia, patologia che nell'ottobre del 2019 lo aveva portato ad uccidere a Brescia la moglie Cristina Maioli, insegnante in pensione ammazzata a coltellate dopo essere stata colpita con un mattarello. 

Il marito aveva poi vegliato in casa il cadavere per ore prima di chiamare un'amica di famiglia e spiegare quanto aveva commesso. In primo grado venne chiesta la condanna all'ergastolo, oggi in appello la richiesta si è fermata a 21 anni di carcere. Ma l'epilogo è stato lo stesso, oggi come a dicembre 2020: l'assoluzione dell'imputato per infermità mentale.

Nel corso del processo di primo grado i consulenti dell'accusa e della difesa avevano concordato sull'incapacità di intendere e volere dell'uomo, ma il pm chiese comunque l'ergastolo arrivando a dire che «il rischio è che passi il messaggio che qualsiasi uomo geloso può essere giustificato». 

La decisione del presidente della Corte d'Assise Roberto Spanò di assolvere l'imputato riconoscendo il delirio di gelosia, ma disponendo il trasferimento di Gozzini in una Rems perché socialmente pericoloso, era diventata un caso nazionale. Con l'annuncio di un'ispezione da parte del ministero della Giustizia, con prese di posizione di associazioni femministe e anche di alcuni parlamentari.

Il tribunale di Brescia fu costretto addirittura ad anticipare parte delle motivazioni per far capire che non si parlava di una persona gelosa, ma di una persona affetta da una patologia. 

«Appare necessario tenere doverosamente distinti i profili del 'movente di gelosià, ben noto alla Corte di Assise di Brescia che proprio in ragione di tale concezione distorta del rapporto di coppia nel recente passato ha irrogato in due occasioni la pena dell'ergastolo, dal 'delirio di gelosià, quale situazione patologica da cui consegue una radicale disconnessione dalla realtà», scrisse la Corte. Poi arrivarono le motivazioni in 28 pagine.

«Si tratta di un verdetto assolutorio con il quale la Corte non intende certo riservare al Gozzini un salvacondotto o un trattamento indulgente a fronte della perpetrazione di un'azione orribile, ma semplicemente tener conto di un elementare principio di civiltà giuridica, quello secondo cui non può esservi punizione laddove l'infermità mentale abbia obnubilato nell'autore del delitto la capacità di comprendere il significato del proprio comportamento», scrisse il presidente della Corte d'Assise Roberto Spanò. 

Una tesi evidentemente accolta anche dai giudici d'appello che hanno confermato il primo verdetto nonostante il procuratore generale Guido Rispoli avesse chiesto la condanna a 21 anni di carcere per Gozzini sostenendo che «la sua gelosia patologica non era mai emersa prima dell'omicidio. Se n'è parlato solo a posteriori, solo nel tentativo di trovare una causa di non punibilità».

Lo stesso procuratore generale, dopo la sentenza d'appello che ha confermato il primo grado, si è limitato a dire: «Leggeremo le motivazioni». Soddisfatto l'avvocato Jacopo Barzellotti, difensore dell'81enne imputato che ne aveva chiesto l'assoluzione. «La sentenza è giusta», ha commentato. «Anche perché - ha aggiunto - il movente indicato dall'accusa è totalmente destituito di fondamento. Gozzini avrebbe ucciso la moglie perché non voleva essere ricoverato e sottoposto alle cure necessarie per la sua depressione. Ma emerge dagli atti - ha detto l'avvocato - non solo che Gozzini fosse d'accordo, ma anche pronto al ricovero».

Claudia Guasco per “il Messaggero” il 24 marzo 2022.

La gelosia. Quella che spesso viene impropriamente addotta come movente nei femminicidi, per il gip di Nola, Sebastiano Napolitano, vale un'aggravante (futili motivi) all'accusa di omicidio per Dmytro Trembach, 26 anni, in carcere a Napoli dal 17 marzo con l'accusa di avere ucciso la compagna Anastasiia Bondarenko, 22 anni, ucraina come lui e fuggita dalla guerra, mamma di una bimba di 5 anni viva per miracolo e salvata dalla vicina di casa russa. 

Anastasiia è morta bruciata e l'incendio l'ha appiccato il compagno, perché lei voleva lasciarlo. Un pretesto «così lieve, banale e sproporzionato rispetto alla gravità del reato», scrive il gip nella convalida del fermo, «un mero pretesto per lo sfogo di un impulso criminale».

IN TRAPPOLA La triste storia di Anastasiia finisce in borgo Sant' Antonio Abate a Napoli, in un appartamento con un solo bagno nel quale mamma e figlia vivevano con altri immigrati. La giovane era già venuta in Italia lo scorso settembre, da sola, in cerca di un'occupazione affidando la piccola alle cure dei nonni. Ma non ha trovato lavoro, perciò a novembre è rientrata in Ucraina, per poi tornare di nuovo a Napoli a inizio marzo con la figlia per scappare dalla guerra. Stessa casa e questa volta c'è anche Dmytro Trembach, un debole per l'alcol, definito dal padre «un ragazzo con un carattere freddo, superficiale e menefreghista».

La relazione però non funziona, Dmytro ha un'indole violenta, le liti sono all'ordine del giorno e lei è decisa a separare le loro vite. Nella testa dell'uomo questo è un pretesto sufficiente per eliminarla. Una settimana fa realizza il suo piano. A casa ci sono solo Anastasiia e la bambina, la donna va a fare la doccia. Dmytro entra in azione: dietro al frigorifero ammonticchia mensole e cassetti recuperati da un'altra stanza, impregna un tappetino di liquido infiammabile e appicca il fuoco. 

Le fiamme divampano in fretta, Anastasiia resta intrappolata in bagno e muore carbonizzata. La bimba è atterrita e l'unica persona che la può portare in salvo è Dmytro: ignara del fatto che avesse innescato lui l'incendio, si aggrappa alla sua mano, l'uomo la scrolla via, si gira e se ne va. A metterla al sicuro è la vicina russa Oleva Donchack: «Mi diceva salva mia mamma. Io le chiedevo nella sua lingua cosa stesse succedendo, e lei continuava più volte a urlare corri, corri, salva mia mamma», ha messo a verbale.

Nel primo sopralluogo dei vigili del fuoco sembrava che le fiamme fossero state innescate da un corto circuito, i messaggi di Dmytro inviati alla mamma della vittima hanno subito reso evidente che non era così: «Io ho bruciato Anastasiia. Puoi comprare i fiori per il funerale». Ed era da giorni che lanciava segnali inquietanti. L'11 marzo la madre della giovane, appena arrivata in Italia, si presenta dai carabinieri della stazione Borgoloreto e mostra i messaggi dell'uomo: «Puttana, non vedrai più tua figlia». Non riuscirà mai a contattarla, sei giorni dopo le dicono che è morta. Quanto a Dmytro, fermato mentre era in macchina, davanti agli investigatori cerca di sviare le indagini indirizzandole su un connazionale, dichiara che nell'appartamento in cui si è avvenuta la tragedia lui non c'era, ma la bimba e le celle a cui si è agganciato il suo telefono lo smentiscono. Prova anche a negare la relazione con la vittima e anche in questo caso lo contraddicono i testimoni e, soprattutto, le foto sul suo cellulare.

IL RACCONTO DELLA BIMBA Decisiva, tra le varie deposizioni, proprio quella della bambina sopravvissuta all'incendio. Agli inquirenti ha raccontato che Dmytro aveva litigato con la mamma e le aveva detto «brutte parole». E in più non l'avrebbe neanche soccorsa quando le fiamme sono divampate, è rimasto «indifferente». Le sue parole hanno commosso chi l'ascoltava: «Non mi ha aiutato, gli ho chiesto le chiavi e non me le ha date. Ma io sono riuscita a scappare. Sono stata furba». Dmytro ha ucciso e tradito la fiducia di chi sperava in un futuro migliore, come sottolinea il gip: «Anastasiia era fuggita dalla guerra e aveva raggiunto con la sua bambina il suo concittadino in Italia con cui progettava un nuova vita».

Uccise la moglie, ma i giudici lo assolvono: "Era geloso". Rosa Scognamiglio il 25 Marzo 2022 su Il Giornale.

Antonio Gozzini, l'insegnante in pensione che uccise la moglie nel 2019, è stato assolto dall'accusa di omicidio volontario. Per i giudici l'uomo sarebbe stato affetto da "delirio di gelosia".

"Incapace di intendere e volere". È stato assolto dall'accusa di omicidio Antonio Gozzini, l'81enne che nell'aprile del 2019 uccise sua moglie, Cristina Maioli, sferrandole alcune coltellate al corpo. Secondo i giudici della corte d'Assise d'Appello di Brescia l'uomo avrebbe ucciso la consorte poiché affetto da delirio di gelosia. In Appello il procuratore generale Guido Rispoli aveva chiesto 21 anni di pena per l'imputato ritenendolo capace di intendere e volere.

L'omicidio

I fatti risalgono alla notte tra il 3 e il 4 aprile 2019 in un appartamento di via Lombroso, a Brescia, dove la coppia viveva da tempo. Antonio Gozzini, professore in pensione, si scagliò contro la moglie, Cristina Maioli, 61 anni, insegnante in attività all'Itis Castelli, mentre dormiva in camera da letto. Dapprima la colpì con un mattarello sulla testa poi, le sferrò due coltellate mortali: una alla gola e l'altra alla gamba. Dopodiché rimase a vegliare sul corpo esanime della consorte per circa 24 ore.

Il movente

A 12 mesi dall'apertura del fascicolo per omicidio, Gozzini ottenne l'assoluzione. Per i giudici di primo grado l'81enne non sarebbe stato in grado di intendere e volere, sopraffatto da un "delirio di gelosia". Secondo l'accusa, il movente del delitto era riconducibile al sentimento di gelosia che l'uomo, affetto da depressione, avrebbe nutrito nei confronti della moglie, la quale si sarebbe concessa qualche uscita con amiche e colleghi. La stessa pare avesse suggerito al marito di ricoverarsi in una struttura Rems per curarsi. La difesa, invece, aveva sostenuto la matrice patologica del raptus. "Vanno tenuti ben distinti il delirio da altre forme di travolgimento della facoltà di discernimento che, non avendo base psicotica, possono e debbono essere controllate attraverso la inibizione della impulsività ed istintualità" aveva spiegato il presidente della Corte d’Assise di Brescia, Roberto Spanò, nelle motivazioni della sentenza di primo grado.

La sentenza

In Appello, il procuratore generale Guido Rispoli aveva chiesto una condanna a 21 anni di reclusione per l'81enne. La sua richiesta è stata però respinta dai giudici della corte d'Assise d'Appello di Brescia che, questa mattina, hanno assolto per la seconda volta l'imputato. "La sua gelosia patologica - ha detto il procuratore generale di Brescia in aula - non era mai emersa prima dell'omicidio. Se n'è parlato solo a posteriori solo nel tentativo di trovare una causa di non punibilità". "Non posso che essere soddisfatto perchè la corte di assise di appello si è dimostrata impermeabile alle pressioni mediatiche suscitate da un moto di indignazione dopo la sentenza di primo grado", ha dichiarato all'AGI l'avvocato Jacopo Barzellotti, difensore di Antonio Gozzini. "La corte di assise di appello ha confermato la sua indipendenza - ha continuato il legale - prendendo alla luce di quanto emerso nel dibattimento e dagli esiti delle relazioni psichiatriche la decisione più giusta".

Uccise la moglie per “delirio di gelosia”: Gozzini assolto anche in appello. I giudici di Brescia hanno confermato la sentenza in primo grado: l'uomo era incapace di intendere e di volere perché affetto da “delirio di gelosia”. Gennaro Grimolizzi su Il dubbio il 25 marzo 2022.

La Corte d’appello di Brescia ha assolto Antonio Gozzini, 81enne che nel 2019 uccise la moglie, Cristina Maioli. I giudici d’appello hanno confermato la sentenza in primo grado: Gozzini era incapace di intendere e di volere perché affetto da “delirio di gelosia”, considerato una patologia che impedisce a chi ne è colpito di avere ogni capacità di discernimento. Anche la decisione della Corte d’appello è destinata a far discutere, nonostante la richiesta del Procuratore generale Guido Rispoli.

L’accusa aveva chiesto la condanna di Gozzini a ventuno anni di carcere, in quanto ritenuto pienamente capace di intendere e volere. Il Pg al termine della lettura del dispositivo della sentenza non ha voluto commentare e ha detto soltanto che attende di leggere le motivazioni.Ogni giorno, purtroppo, la cronaca registra episodi violenza ai danni delle donne, che sfociano pure in femminicidi. L’uccisione dell’insegnante Cristina Maioli, non condannata in un’aula giudiziaria e con una sentenza, suscita clamore e perplessità, prima di tutto per le valutazioni in ordine al “delirio di gelosia” ritenuto non punibile. Subito dopo l’omicidio, Gozzini vegliò sulla moglie e all’arrivo dei carabinieri confessò.

Nel dicembre del 2020, in occasione dell’assoluzione in primo grado i giudici evidenziarono che non si intende «riservare a Gozzini un’indulgenza, ma semplicemente tener conto di un elementare principio di civiltà giuridica, quello della funzione rieducativa della pena, secondo cui non può esservi punizione laddove l’infermità mentale abbia obnubilato nell’autore del delitto la capacità di comprendere il significato del proprio comportamento». Diversa la tesi del Procuratore generale di Brescia, che in appello ha chiesto per l’uomo la condanna alla pena massima. «La sua gelosia patologica – ha detto in aula nelle battute finali del processo di secondo grado – non era mai emersa prima dell’omicidio. Se n’è parlato solo a posteriori e solo nel tentativo di trovare una causa di non punibilità».

Viviana Caglioni, un caso le parole dei giudici sul femminicidio: «Era così geloso che non poteva volerne la morte». Maddalena Berbenni su Il Corriere della Sera il 20 Marzo 2022.

Il pm fa ricorso: tesi del tutto illogica. Il fidanzato della vittima è stato condannato a 18 anni, ma non gli è stato addebitato l’omicidio volontario 

Viviana Caglioni è morta il 6 aprile 2020

Viviana insultata. Viviana percossa, in casa, in strada. Viviana isolata dal mondo. Viviana morta. A 34 anni e con il suo carico di dolore, tra i problemi di tossicodipendenza e una famiglia allo sbando, Viviana Caglioni è morta all’ospedale a Bergamo il 6 aprile 2020, dopo una settimana di agonia. Il fidanzato Christian Locatelli, 43 anni, in carcere da quel periodo, è stato condannato in primo grado a 18 anni più 3 di libertà vigilata per il reato di morte come conseguenza dei maltrattamenti. Una sentenza che ora il pm Paolo Mandurino impugna. Vuole l’ergastolo, per l’imputato, e batte, fra gli altri aspetti, su un passaggio scivoloso delle motivazioni della Corte d’Assise del giudice Giovanni Petillo (a latere Alice Ruggeri): «Locatelli agiva mosso da un senso di gelosia e da un senso di possesso nei confronti di Viviana in sé incompatibile con la volontà di ucciderla», la sintesi di due incisi della sentenza.

Gelosia contro ogni logica

«Davvero non si comprende — argomenta il pm — per quale ragione, secondo la Corte d’Assise, il movente della gelosia, pure riconosciuto dal giudice, sarebbe di per sé incompatibile con la volontà di Locatelli di liberarsi della compagna». Per il pm «si tratta di un’asserzione sorprendente, che è e resta del tutto isolata rispetto all’intero panorama giurisprudenziale italiano. Significa di fatto affermare che mai un femminicidio potrebbe essere sorretto dal movente della gelosia, il che è (ovviamente) in contrasto non solo con ogni logica, ma anche con la consolidata (e da tempo) unanime esperienza giurisprudenziale».

I maltrattamenti

La Corte ritiene più che provati i maltrattamenti: «Gli insulti, le urla, le scenate di gelosia, il lancio di oggetti e le percosse dell’imputato si sono verificati con frequenza e continuità». Ritiene anche che sia stato un colpo di Locatelli, nell’appartamento ai piedi di Città Alta, a fare perdere l’equilibrio a Viviana e farle sbattere la testa a terra. Ma poi imbocca una strada sua. Se avesse previsto che la spinta avrebbe causato la morte della fidanzata, Locatelli avrebbe persistito? La risposta dei giudici è «no». E questo innanzitutto per via delle ferite superficiali: «Se non fosse sopraggiunta la caduta (e dunque il trauma cranico letale, ndr), gli schiaffi e i calci di Locatelli mai ne avrebbero determinato la morte». Verosimilmente nemmeno il ricovero, aggiungono. Ma c’è anche l’inerzia dello zio della vittima, unico testimone oculare. Non intervenne in difesa della nipote, concludono, perché non si trattò «di un’aggressione con connotati diversi e più gravi rispetto alle altre pregresse manifestazioni di violenza, che si risolvevano di regola in sberle e schiaffi nei confronti della donna».

L’indole dell’imputato

Le convinzioni del pm e della difesa sono altre e opposte tra loro. Locatelli, assistito dalle avvocatesse Federica Bonacina e Benedetta Donghi, ha impugnato a sua volta per essere assolto: fu solo un incidente, a suo dire. Mandurino insiste sull’omicidio volontario aggravato. Usa parole come «pestaggio» e «ferocia». Rimarca l’indole «particolarmente violenta» e «lo spessore criminale» dell’imputato con 17 condanne dal 2000, per lo più per resistenza e lesioni. «Ammazzo anche te», la frase che, secondo lo zio, gli rivolse quella sera e che avrebbe tradito le sue reali intenzioni, confermate da colpi comunque inferti in parti vitali e nell’atteggiamento successivo alla caduta, quando col 118 avrebbe tentato di sminuire. Unica parte civile, la madre di Viviana: «Non ho ancora avuto modo di leggere l’appello del pm, ma trovo la sentenza equilibrata nel ragionamento giuridico — dichiara il suo avvocato Roberta Zucchinali —. Era un caso molto articolato rispetto al classico femminicidio, che la Corte ha sviscerato in tutti i suoi aspetti, ed erano tanti».

·        L’Infedeltà.

L’amicizia si fa amore tra dubbi e tormenti. «Ci conosciamo da più di dieci anni, ci siamo sempre confidati e capiti. Sono stato io a rompere il ghiaccio, prendere l’iniziativa». Lisa Ginzburg D'Alò su La Gazzetta del Mezzogiorno il 19 Novembre 2022.

Buongiorno Lisa, ho esitato prima di scriverti, non tanto per eventuale vergogna ma perché avevo molti dubbi sui miei stati d’animo. Ho trentotto anni e ho un buon lavoro, mantenermi ho cominciato a farlo da presto, sul piano professionale davvero non ho da lamentarmi. La vita sentimentale invece è sempre stata un punto debole: devo dire non ho mai incontrato una donna con cui andassi veramente d’accordo. Con una ci ho convissuto per ben quattro anni, poi mi ha lasciato dicendo che ero un egoista, un uomo «egoriferito»; sono stato male qualche mese, poi ho capito che non ero innamorato sul serio di lei, che era meglio fosse andata così. Dicono che sono bello fisicamente, io non so, certo di sicuro ho sempre avuto abbastanza successo con l’altro sesso; ma a me ha sempre importato poco, piuttosto mi interessava trovare una persona con cui andare d’accordo, non avere discussioni, una persona con la quale capirsi giorno dopo giorno, nella calma e nel buon senso. Un anno e mezzo fa mi sono fidanzato con la mia migliore amica, a sua volta separata dopo un matrimonio finito molto male. Ci conosciamo da più di dieci anni, ci siamo sempre confidati e capiti. Sono stato io a rompere il ghiaccio, prendere l’iniziativa e fare in modo che la nostra amicizia diventasse altro. Ora viviamo insieme, anche lei lavora come me ha un buon lavoro, siamo quella che si dice una coppia affiatata, credo. Ma certe volte sento che il mio cuore non è veramente preso e forse nemmeno il suo, che non siamo coinvolti per davvero, che siamo ancora più che altro molto amici, che fidanzarsi è stata una decisione (soprattutto mia) e presa con la testa. Insomma, certi giorni mi prendono tanti di quei dubbi che quasi non riesco a concentrarmi sul lavoro. Grazie

L’amore io credo, caro P., è altra cosa da ciò che decidiamo con la testa. Sicuramente hai fatto una scelta saggia, di amor proprio, perché la tua migliore amica essendo la tua migliore amica certo ti accetta come sei, e ti conosce, e non ti accuserà mai di egoismo o altro.

Andrete d’accordo, se resterete insieme, così lascia pensare il tuo racconto. Per lei anche, delusa e amareggiata per via di un matrimonio naufragato male, mettersi con il suo migliore amico è stato quanto di più protettivo, ragionevole, anche costruttivo. D’altra parte, pur nella bellezza dell’epilogo, la vostra decisione di mettervi insieme, proprio perché ha qualcosa di molto mentale, penso che comporterà dei prezzi.

Non è facile sostituire all’amicizia l’amore, non è scontato che una passione prenda piede perché lo decidiamo intenzionalmente. Penso che vi state dando e vi darete affetto, serenità, reciproca consolazione; ma tra le righe sento anche che non sei davvero innamorato di lei, né forse lei di te.

Si può benissimo decidere di soprassedere perché si vuol dare priorità ad altro, altri valori, come il quieto vivere, il comprendersi, il sostenersi l’un l’altro nella vita di tutti i giorni.

Sono valori fondamentali e sani; e d’altra parte, è importante sapere che il proprio cuore va ascoltato, e ascoltato in profondità. «Il cuore ha le sue ragioni che la ragione non conosce» scriveva genialmente il filosofo Pascal: e più si va avanti nella vita, più va tenuta alta la guardia, facendo attenzione a non credere che le ragioni del cuore possano solo venire controllate con la mente e le buone intenzioni. Potrete darvi tutta la serenità del mondo, tu e la tua fidanzata ex migliore amica; ve lo auguro.

D’altra parte i dubbi che ti assediano sulla natura dei tuoi sentimenti hanno una loro ragion d’essere, sono più che legittimi e ti stanno chiedendo di venire ascoltati. Dovrai sviscerarli, come del resto hai cominciato a fare scrivendo questa lettera. Di sicuro troverai una strada ma come si dice, ciò che conta è che quella strada abbia un cuore.

Se non troviamo la forza di ascoltarle, le ragioni del cuore si vendicano causandoci grandi sofferenze; e invece come tutti hai diritto di essere, oltre che bene accoppiato e ben protetto nella vita di tutti i giorni, anche felice. Riflettici: troverai più equilibrio, e anche più gioia nel dedicare spazio a questi pensieri.

Milan Kundera: i guai di coppia, una questione universale. SILVIA PERUGI il 13 Novembre 2022 su Il Quotidiano del Sud.

Milan Kundera è scrittore di fama mondiale. La consacrazione gli è giunta negli anni Ottanta con la pubblicazione del romanzo L’insostenibile leggerezza dell’essere – titolo fortunatissimo, così enigmatico e così musicale da imprimersi indelebilmente nella memoria, che Calvino riformulò all’opposto in L’ineluttabile pesantezza del vivere.

Kundera è considerato l’inventore di un genere letterario, sapiente amalgama di saggistica e di narrativa. All’interno della dimensione romanzata in cui si svolge la vicenda, inserisce profonde digressioni filosofiche dai toni metafisici. Racconta principalmente storie di coppie, a fare i conti con l’amore che travolge le anime e i corpi, con tutte le sue immancabili contraddizioni. Mentre il caso e la Storia perseguitano l’esistenza umana. – Sono gli anni in cui l’Est Europa è agitato da certe aspirazioni riformiste, che l’Unione Sovietica reprime piuttosto come una minaccia. E per alcuni non rimane che l’esilio. – Il tempo e la memoria, l’identità e la nostalgia, la pesantezza del vivere e la leggerezza dell’essere, la malinconia, il sentimento, la libertà, l’ironia, la modernità sono alcuni dei temi sui quali l’autore sviluppa riflessioni profonde, che come fili invisibili collegano un’intera produzione letteraria, tornando ora qui ora là, fino a farne una sorta di trattato dell’umano sentire.

Kundera è considerato un maestro di stile: pur non utilizzando particolari virtuosismi riesce a essere sorprendentemente raffinato. Lo dimostrano già certi suoi titoli. Possiede un senso musicale delle parole – che resiste persino in traduzione. La sua prosa risuona come un valzer: elegante, naturale, delicata, sovrana e piena di grazia. In Kundera tutto è movimento, variazione, incessante esplorazione del possibile: riesce a schiudere dietro i fatti che attraversano le vite dei suoi personaggi, altrettanti interrogativi penetranti che in fondo ci riconducono alla nostra esperienza personale.

I RITRATTI DI SILVIA PERUGI

Per l’autore il compito del romanziere è proprio quello di insegnare alla gente a cogliere il mondo come una domanda, e il senso della letteratura quello di scoprire segmenti di esistenza ancora sconosciuti: “I personaggi dei miei romanzi sono le mie proprie possibilità che non si sono realizzate. Per questo voglio bene a tutti allo stesso modo e tutti allo stesso modo mi spaventano: ciascuno di essi ha superato un confine che io ho solo aggirato”, ha scritto. Il che sta a significare chiaramente il tentativo di raccontare ben oltre ciò che conosce, lo sforzo di andare al di là del proprio personale vissuto per raggiungere una dimensione quasi onirica che ha in sé qualcosa di soprannaturale.

Il racconto di Kundera procede a ondate: prima viene la storia dei personaggi, la storia delle coppie, nella loro singolarità e imprevedibilità, poi attraverso le divagazioni e i commenti successivi il problema privato si trasforma nella questione universale – si fa, dunque, anche nostro. Ecco, questa generalizzazione, anziché aggiungere gravità al dramma, lo alleggerisce: ironicamente esso diviene non “la tragedia”, ma solo uno dei guai in più della vita. La letteratura ridimensiona le esistenze, ce le fa vedere in prospettiva, con quel certo distacco che ci fa quasi sorridere dei problemi nostri nelle vite degli altri. Gli stessi da cui troppo spesso, purtroppo, ci lasciamo sopraffare.

Leggere Kundera invece è esercizio utilissimo a ricordarci quale dovrebbe essere il giusto approccio. Se da qualche parte è scritto che le cose debbano essere – nella loro pesantezza – allora saranno, indipendentemente da quanto ci danneremo per far sì che non siano. Si ripeteranno, perdendo drammaticità.

E se invece, ciò che è appare un’unica volta ed è poi destinato a sparire come se non fosse mai veramente esistito – in tutta la sua leggerezza – allo stesso modo, perché dannarsi tanto sulla scelta migliore da compiere? In fondo, se ogni situazione è irripetibile e ci si presenta per la prima volta, non ci si può certo avvalere dell’esperienza. “Qualsiasi studente nell’ora di fisica può provare con esperimenti l’esattezza di un’ipotesi scientifica. L’uomo, invece, vivendo una sola vita, non ha alcuna possibilità di verificare un’ipotesi mediante un esperimento, e perciò non saprà mai se avrebbe dovuto o no dare ascolto al proprio sentimento”, ha scritto.

Ci sono pagine bellissime di Kundera dedicate all’amore: nella sua necessità, nel suo dover essere, forse la cosa più pesante che esista al mondo. Non c’è scelta in amore, l’amore è inevitabile: “Contro i sentimenti siamo disarmati, poiché esistono e basta – e sfuggono a qualunque censura. Possiamo rimproverarci un gesto, una frase, ma non un sentimento: su di esso non abbiamo alcun potere”.

Eppure, bramiamo quella pesantezza per raggiungere l’appagamento che conduce alla felicità, col suo corollario di leggerezza. E ci sono pagine bellissime di Kundera dedicate alla nostalgia: la sofferenza provocata dal desiderio inappagato di ritornare. La nostalgia illumina ogni cosa della luce rossastra del tramonto. Eppure, inganna. Pensiamo che ci faccia ricordare le cose che sono state, e invece ce le fa dimenticare. Pensiamo che si alimenti del passato, e invece si nutre di fervida immaginazione. La nostalgia non intensifica l’attività della memoria, non risveglia ricordi, basta a se stessa: Ulisse “per vent’anni non aveva pensato che al ritorno. Ma quando fu di nuovo a casa capì, con stupore, che la sua vita, l’essenza stessa della sua vita, il suo centro, il suo tesoro, si trovava fuori da Itaca, in quei vent’anni di vagabondaggio”.

Il passato non torna, neppure nei ricordi. A Milan Kundera appartiene una specie di saggezza. Un tocco, in cui si fondono dolcezza, dolore, tenerezza, malinconia, amarezza, ironia, leggerezza, un certo distacco interiore e una certa “freddezza stranamente gioiosa”. Ha sempre composto i suoi romanzi come sinfonie. Attratto da tutto ciò che è molecolare: il battito di una pupilla, la misteriosa espressione di una ruga. Ha sempre costruito divagando. Scelto un motivo lo riprende e lo trasforma, perdendo e ritrovando il filo del discorso, per poi intarsiarlo con altri motivi, riperdendo e ritrovando il filo, in un gioco continuo di echi e assonanze in cui il racconto ogni volta sembra quasi smarrirsi trascinato dalla conversazione. Ma alla fine di tante variazioni, è riuscito a disegnare la costruzione più rigorosa. A Kundera appartiene quella specie di saggezza di chi riesce a percepire e assecondare il ritmo inesorabile della vita.

Gramellini: «Vorrei lasciare mia moglie per l'amante: ma come lo spiego alle nostre figlie?» Massimo Gramellini su Il Corriere della Sera il 13 Novembre 2022.

 «Vorrei lasciarla per l’altra, ma mi blocca il pensiero di dover spiegare alle mie figlie, a mio padre...» scrive un lettore a Massimo Gramellini, che risponde...

Caro Massimo,

come si fa a dire alla propria moglie e madre delle tue figlie che non la ami più? Ho conosciuto una persona, separata con due bambini anche lei. Siamo usciti diverse volte insieme, e nonostante lei abbia molte paure, ci piacciamo. Sarei disposto a fare il passo, quello di lasciare mia moglie per lei, ma mi blocca la paura di ciò che potrebbero pensare di me le mie figlie, mi blocca il pensiero di dover spiegare ai miei genitori che non sono più innamorato di mia moglie.

Forse non è neanche la paura di dirglielo, ma le conseguenze, soprattutto nel rapporto con mio padre, persona che credo non mi abbia mai capito, avendo io sempre cercato di compiacerlo su tutto. Non voglio rinunciare a lei, perché finalmente sto BENE. Marco

«MENTRE MIA MOGLIE ERA INCINTA HO INCONTRATO IL VERO AMORE... QUATTRO ANNI DOPO ARRIVA L’ULTIMATUM: SCEGLI»

Caro Massimo,

sei anni fa, un mese dopo aver scoperto che mia moglie era incinta, inizio una relazione con una donna. Meravigliosa, intensa, il vero amore come non era mai successo fino ad allora. Lei, nonostante la gravidanza in arrivo, decide di starmi accanto, ma dopo 4 anni di frequentazione clandestina mi dà un ultimatum: «Scegli me o la moglie». Decido di scegliere il bambino e quindi di non lasciare mia moglie che non amo più (e credo di non aver mai amato). Ora, a 2 anni dalla fine del rapporto con la donna che amavo e a cui non ho mai smesso di pensare, scopro che si è fidanzata. È stato per me un pugno nello stomaco... Ho perso quel treno che mi avrebbe reso felice tutta la vita...e ora che faccio? Vorrei solo dimenticarla e trovare un po’ di pace interiore. Non ambisco alla felicità, ma a una rassegnazione serena e non pregna di rimorsi e rimpianti. Aiutami. Marino

Ps: Ah dimenticavo.... l’amante, due mesi dopo la nascita di mio figlio, scoprì di essere incinta ma abortì per amore del sottoscritto. Con il tempo, maturò l’idea di avere un figlio tutto nostro...

LE SLIDING DOORS DI MARCO E MARINO, ENTRAMBI INFELICI: UNO È PIENO DI DUBBI, L’ALTRO DI RIMPIANTI

Ho messo insieme le due lettere

perché configurano il classico meccanismo delle Porte Scorrevoli o Sliding Doors: Marco ha paura di quel che potrebbe succedergli se lasciasse la moglie per l’amante, mentre Marino ha il rimpianto di non averlo fatto. Come se il secondo esortasse il primo a non seguirne l’esempio. Di sicuro entrambi sono infelici. Di quell’infelicità terribile che assale chi è convinto di avere conosciuto la felicità e di essersela negata in nome di... Ecco, in nome di che cosa? Nel caso di Marco l’unico ostacolo al desiderio sembrerebbe la paura. Il matrimonio è finito ed è arrivata un’altra donna con cui costruire un nuovo inizio. Tutto giusto e perfetto, se non fosse che il raggiungimento del traguardo passa attraverso una prova del fuoco. Marco non è solo al mondo, deve rendere conto delle sue scelte a una moglie, due figlie, due genitori, e ciascuno di loro risveglia dentro di lui il fantasma del fallimento. Marco teme il disprezzo del padre, forse ancora più di quello delle figlie. Non sono stato capace di tenere unita la mia famiglia, questa è la sua ombra, più forte persino della luce che gli infonde la nuova passione.

RESTARE O LASCIARE? QUALE DELLE PAURE VA ASCOLTATA? ABBIAMO PAURA DI CIÒ DI CUI ABBIAMO BISOGNO

La soluzione più comoda sarebbe di non rinunciare a nulla: portare avanti la storia clandestina senza mettere a repentaglio quella ufficiale, almeno fino a che non sarà improrogabile compiere una scelta, ma a quel punto il problema irrisolto si presenterà in forme ancora più complesse. Alla paura del giudizio dei familiari si aggiungerà infatti la paura di perdere il nuovo e ormai consolidato amore. Quale delle due paure va ascoltata? Soltanto l’interessato può rispondere. Qui posso solo ricordare la regola generale: il coraggio non consiste nel non avere paura, ma nel fare la cosa di cui abbiamo più paura, perché la paura è una spia che indica la nostra esigenza più urgente. Abbiamo paura di ciò di cui abbiamo bisogno.

ATTENTI A NON REPLICARE IL MARASMA CHE AVETE DENTRO DI VOI: DAGLI ALTRI NON RICEVIAMO MAI CIÒ CHE DESIDERIAMO, MA SOLO CIÒ CHE SIAMO. FINCHÉ SIAMO CAOS, INCONTREREMO CAOS

Marino aveva una situazione di partenza ancora più complessa: ha fatto un bambino con la donna che non amava e messo incinta quella che amava, la quale ha poi rinunciato al figlio per amor suo. Solo dopo quattro anni di frequentazione clandestina lo ha messo davanti al famoso bivio: o me o lei. Marino ha scelto la famiglia e il fatto che oggi ne sia così addolorato sembrerebbe la prova che la sua scelta non fu dettata dall’amore, ma dalla paura. Però non è detto che, andandosene di casa, avrebbe risolto i suoi problemi. Si sarebbe limitato a replicare con l’altra donna il marasma che aveva dentro di sé. Se c’è una cosa, una sola, che mi illudo di avere capito sulle dinamiche sentimentali, è che dagli altri non riceviamo mai ciò che desideriamo, ma solo ciò che siamo. Finché siamo caos, incontreremo caos. Per trovare l’amore di un altro, bisogna prima averlo scovato dentro di noi. Augh.

Quando l'amore funziona ... online. Si mettono insieme e lei vorrebbe conoscerlo e frequentarlo, mentre lui continua a voler «stare» con lei solo via internet. Lisa Ginzburg su La Gazzetta del Mezzogiorno il 12 Novembre 2022

Ciao Lisa; tempo fa ho letto certe tue parole sulla disumanizzazione a cui porta l’eccesso di virtualità. Ho aspettato un po’ di tempo perché mi vergognavo, ma adesso ho deciso di vincere la mia timidezza e raccontarti cosa mi succede ormai da parecchio tempo. Dopo esserci «messaggiati» per diversi mesi, io e F. ci siamo messi insieme. Credevo che a quel punto ci saremmo finalmente visti e frequentati molto di più, invece lui ha continuato a volere «stare» con me solo via internet. Dopo un po’ ho capito che era sua intenzione vivere così tutto, ogni aspetto del nostro rapporto, anche l’intimità, attraverso video e registrazioni vocali che avrebbero sostituito l’incontrarsi e il fare l’amore. Neanche vivessimo a chilometri e chilometri di distanza. Io non riesco, mi fa tristezza, e lui si arrabbia. Un po’ litighiamo, un po’ aspettiamo di trovare un equilibrio. Ho paura che non riusciremo a durare, che finiremo col lasciarci, e mi fa tanta rabbia pensare che sarà stata proprio la vita virtuale il motivo della nostra separazione. M.

Cara M., farsi un’idea complessiva di un’altra persona negli ultimi tempi deve comprendere sapere e capire il rapporto che quella persona ha con internet. Si è trasformata in una caratteristica altrettanto importante di altre più direttamente psicologiche, perché il nostro rapporto con la realtà virtuale – ormai è appurato – modifica le nostre psicologie o comunque le influenza moltissimo.

Forse disponevi di elementi sufficienti per intuire il grado di dipendenza dalla «rete» che ha questa persona, forse potevi prevedere che avrebbe avuto paura della fisicità più naturale, frontale, diretta, sana nella sua corporea verità. Vivere l’intimità a distanza , attraverso la mediazione degli schermi, è molto più malinconico, meno vivificante ma anche, diciamolo, molto più facile. Ci si può spogliare fisicamente ognuno a casa propria, ognuno davanti al suo bravo monitor: evitando di mettersi a nudo per davvero, di prendersi alcuna responsabilità da un punto di vista di coinvolgimento, messa in gioco, presa di rischio di entrare sul serio nella relazione.

Se questa persona ha tanta ritrosia davanti all’ipotesi del contatto reale con te, e tu invece quel contatto lo desidereresti, e ti manca, e trovi stranissimo che non ci sia, direi significa che qualcosa tra voi due, tra le vostre temperature, mi azzarderei a pensare tra le vostre stesse personalità sia troppo diverso per farvi durare come coppia, per farvi star bene nel reciproco mutuo dono di piacere, e sintonia, e armonia. Non è una questione morale, non sto formulando giudizi né penso bisogna farlo.

Si può vivere la sessualità virtualmente e star bene: ma si tratta di qualcosa che o piace, o non piace, non credo ci siano mezze misure. Se davvero hai la sensazione che questa persona sta trincerata dietro i suoi schermi, che si rifugia nella virtualità anche sessuale perché la vita vera, con le sue vulnerabilità, i suoi accidenti, ma anche con la profonda bellezza dell’essere insieme gli fa troppa paura, meglio lasciar perdere. Ti conficchi altrimenti, cara M., in una storia difficile, che ti farà male e che più passa il tempo, più ti sarà difficile chiudere.

Ascoltati in profondità, e se davvero pensi che per lui lasciare l’intimità «trasposta» e arrivare alla piena realtà dell’incontro (e dell’incontro fisico) non sia possibile, allora armati di coraggio, trova la forza e chiudi. La dimensione virtuale non fa per te, lo si intuisce già dalle righe che hai mandato a me, e a «Un posto al cuore». Dare «un posto al cuore» significa anche questo: tutto quanto non fa per noi, tutto quanto non corrisponde ai nostri veri desideri, alle nostre inclinazioni le più autentiche, con lucida passione dobbiamo sapere metterlo da parte, saperlo allontanare. Se qualcuno ci piace e ci intriga, non significa che noi anche si debba calarsi nelle sue ossessioni, in certi suoi gusti a noi del tutto estranei e anzi per noi tossici. Allontanarsi da schemi che avvertiamo per noi nocivi, anzi, può essere un modo per far sentire a quel qualcuno che teniamo davvero a lui/lei, aspettandolo su territori diversi, più diretti e frontali e più umani.

Facendo bene a te stessa con l’allontanarti, magari farai del bene anche a questa persona. Di sicuro al vostro rapporto; di sicuro a te, al tuo benessere psicofisico tanto necessario alle nostre vite.

Coppia e relazioni: perché si sceglie spesso il partner sbagliato? Quali dinamiche possono portare a innamorarsi sempre della persona sbagliata? E come uscire dal circolo vizioso delle relazioni senza futuro? Ne abbiamo parlato con la psicologa e psicoterapeuta Carolina Traverso. FRANCESCA GASTALDI su Io Donna l’8 Novembre 2022. 

Capita di pensare che si tratti di destino o di semplice sfortuna, tuttavia scegliere sempre il partner sbagliato e collezionare relazioni d’amore che fanno soffrire non è mai qualcosa che succede per caso. Alla base, infatti, agiscono spesso meccanismi psicologici di cui non si è consapevoli ma che condizionano in modo determinante le relazioni che si vivono, le modalità in cui ci si rapporta con gli altri, soprattutto in ambito affettivo.

Quali sono dunque questi condizionamenti che portano a passare da una relazione sbagliata ad un’altra? E soprattutto, come interrompere un circolo vizioso che spesso comporta una grande sofferenza?

Ne abbiamo parlato con Carolina Traverso, psicologa  e psicoterapeuta, oltre che esperta mindfulness e autrice di libri tra cui il recente Semplicemente single edito da Hoepli.

Scegliere il partner sbagliato: quando è la spia di un problema

«Innanzitutto dobbiamo dire che può capitare a tutti, anche per semplice inesperienza, di imbattersi in una relazione sbagliata – spiega Carolina Traverso – intendendo per relazione sbagliata una storia nella quale i nostri bisogni più profondi vengono negati, non soddisfatti o, ancora peggio, schiacciati. Tuttavia se questa situazione si ripete è un campanello d’allarme inequivocabile che ci parla di noi e di una nostra inconsapevolezza rispetto ad alcune ferite non risolte».

Ferite che spesso affondano le loro radici nel passato e, più precisamente, nell’infanzia.

«La mente è relazionale. – spiega la psicologa –  Iniziamo già nello nostre primissime interazioni a crearci un racconto di noi stessi, di come va il mondo, delle nostre relazioni e di quello che possiamo o non possiamo aspettarci dagli altri. Questo significa che, se quando eravamo bambini, le nostre figure di accudimento, che di solito sono la mamma e il papà, ci hanno trasmesso l’idea che in fondo i nostri bisogni non contano, che è meglio non esprimere emozioni, che non bisogna disturbare… in qualche modo finiamo per credere che stare in una relazione significhi questo».

Come i vissuti dell’infanzia possono condizionare

Essere cresciuti, sin da piccoli, con l’idea di valere poco o di non meritare abbastanza porta così molto spesso a scegliere partner sbagliati che, in qualche modo, finiscono per avvalorare e dunque rafforzare quella convinzione.

«Se i genitori durante l’infanzia non hanno soddisfatto quei bisogni di riconoscimento, di accudimento e di comprensione – spiega ancora Carolina Traverso – si finisce col convincersi di non meritare amore e questa convinzione condiziona fortemente le relazioni. Così, per esempio, quando si incontra un partner che dà anche solo un briciolo di attenzione, si rischia di buttarsi a capofitto nella relazione trascurando magari altri elementi».

Il narcisismo

La convinzione di non meritare abbastanza porta ad accontentarsi delle briciole ma, a volte, può essere anche alla base di un’altra dinamica “tossica”.

«Quando i bisogni dell’infanzia non sono stati soddisfatti, la reazione classica è quella della resa, ovvero ci si arrende all’idea di potersi aspettare ben poco dalla vita e di conseguenza da un partner – sottolinea la psicoterapeuta – oppure quella del contrattacco, che è poi la dinamica opposta, tipica del narcisista. Una persona cioè che stabilisce che tutti i suoi bisogni devono essere soddisfatti perché nell’infanzia non lo sono stati».

Partner sbagliato e relazioni di co-dipendenza

«Non a caso si creano spesso quelle che vengono chiamate relazioni di co-dipendenza. – continua Carolina Traverso – Ovvero relazioni tra una persona che ignora i propri bisogni pensando di ricevere amore accudendo, e un’altra che, al contrario, dà per scontato che l’altro debba soddisfare tutti i suoi bisogni, assolutamente incurante di quello che l’altra persona desidera».

La mente è attratta da quello che conosce

Un altro aspetto che è bene considerare quando si cerca di capire perché si passa da una relazione sbagliata all’altra, è che si tende ad essere attratti da schemi che già si conoscono.

«Si può arrivare a stabilire che l’amore è quello che si è sperimentato nell’infanzia anche se non si trattava propriamente di amore. – spiega la psicologa – Quando si cresce, quindi, è come se la mente si attivasse su partner che presentano degli aspetti simili a quelli di persone con cui abbiamo vissuto esperienze traumatiche nell’infanzia. È un meccanismo naturale che finisce tuttavia per rafforzare le convinzioni sbagliate che si hanno sulle relazioni e sull’amore».

Accontentarsi del partner sbagliato per paura di rimanere soli

Oltre alle ferite dell’infanzia, anche il timore di restare single può portare a collezionare una serie di partner sbagliati.

«In  una società che ancora ritiene che chi è in coppia sia un persona migliore rispetto a chi non lo è, questo tipo di pregiudizio finisce per essere interiorizzato. – chiarisce Carolina Traverso – Specialmente dopo una certa età, si può sentire una forte pressione sociale e se, a questa pressione, si unisce anche la difficoltà di stare bene con se stessi e la convinzione che stare da soli significhi essere abbandonati, questi meccanismi portano ad accontentarsi, ovvero a stare in relazioni di compromesso. L’esempio classico è ritrovarsi coinvolti in storie di sesso con una persona dalla quale si vorrebbe qualcosa di più ma non si osa dirlo. Oppure scegliere un partner sulla base di considerazioni razionali senza che vi sia un reale trasporto».

Idealizzare il partner sbagliato

Non solo, aver paura della solitudine porta anche spesso a idealizzare le persone e quindi a investire tanto in partner che si rivelano nel tempo sbagliati.

«Per fuggire da una condizione di solitudine e di insicurezza, si incontra una persona e subito si vogliono bruciare le tappe. – spiega la psicologa – Per cui si investe troppo nella storia pensando, già dopo poco tempo, di aver trovato il compagno o la compagna della vita quando in realtà bisogna sempre darsi il giusto tempo per conoscere davvero le persone per non rischiare di trovarsi in relazioni sbagliate».

La paura di impegnarsi può influire?

Capita di sentir dire però che dietro la scelta di partner che si rivelano costantemente inadatti, si possa nascondere anche il timore di impegnarsi davvero in una relazione. Verità o falso mito?

«Si tratta più che altro di una storia che ci si vuole raccontare perché illusoriamente rassicurante. – risponde Carolina Traverso – Chi ha paura di impegnarsi non si impegna e basta. Diciamo piuttosto che chi sceglie partner sbagliati è una persona che non è pienamente in contatto con i propri bisogni e con la possibilità di soddisfarli».

Scegliere sempre il partner sbagliato: reagire si può

Se è vero che quello delle relazioni sbagliate può diventare un circolo vizioso da cui sembra impossibile uscire, è importante sottolineare invece che arrendersi alla sofferenza in amore non è mai la soluzione.

«Nessuno di noi è condannato a vivere sempre relazioni sbagliate. – conclude la psicoterapeuta – Non bisogna arrendersi all’idea che solo gli altri possano avere storie d’amore degne di questo nome e convincersi di essere sbagliati o di avere qualcosa che non va.  Si può reagire facendo un lavoro di sé, imparando a riconoscere i propri bisogni e a validarli, imparando a dire sì quando si vuole dire sì, e no quando si vuole dire no.  È un lavoro che si può fare ad ogni età. Naturalmente bisogna essere disposti a farlo». Io Donna

Quell’amore folle con un uomo sposato. Lei è completamente cotta, pazza di lui; lo aspetta e si illude che lui prima o poi lasci la moglie. Lisa Ginzburg su La Gazzetta del Mezzogiorno il 05 Novembre 2022.

Ciao Lisa, una mia cara amica si è innamorata di un uomo sposato. Io dall’inizio le ho detto che avrebbe sofferto, che era una storia da lasciare stare. Ma lei è cotta, pazza di quest’uomo; lo aspetta e si illude che lui lasci la moglie. Da quattro anni. E il brutto è anche che perché io le ho detto la verità, e ho continuato a dirgliela, lei non mi sopporta e ultimamente mi evita. Lui l’ho visto una sola volta, un tipo che non vale niente. Sto perdendo la mia amica e lei sta perdendo sé stessa.

Ciao Francesca,

sai che ho imparato col tempo che dare consigli d’amore agli amici è pericolosissimo. Non solo perché nella durata è quasi sicuro che quegli amici li perderemo: anche perché i consigli sono sempre sbagliati. Detto questo, io avrei fatto proprio come te. Magari una volta sola e non molte, non in modo ripetuto.

Però che impegnarsi con qualcuno che è impegnato è un danno, una sciagura, una strada senza uscita le andava detto, sono d’accordo. E d’altra parte, lui poteva essere anziché vigliacco come è parso a te e come si sta dimostrando con lei, un uomo invece maturo, limpido, coraggioso. Uno capace infine di decidersi, scegliere l’amante, ovvero lei, la tua amica, lasciare la moglie e assumersi la responsabilità del casino che stava facendo, necessario al suo cuore, alla sua anima profonda.

O invece quest’uomo poteva restare come è, sempre lì a galleggiare vigliacco, ma la tua amica dimostrarsi più grintosa, più determinata, capace dopo quattro anni di sospiri e tormenti di infine sottrarsi a una relazione d’amore senza futuro. Le cose insomma potevano andare diversamente da come stanno andando. Capisco bene la tua pena, lei, la tua amica in totale stallo, che continua a mortificarsi nel suo ruolo di amante, e la vostra amicizia che intanto giorno dopo giorno si sgretola. Forse la tua amica ti evita perché sa che hai ragione. Forse potresti tentare di vederla ancora ma senza mai, mai più toccare l’argomento del suo uomo tristemente adultero.

Certe volte con il silenzio, dopo avere espresso una volta la nostra opinione ma poi lasciando e fidando che parli la vibrazione dell’eco tacita di quel che abbiamo detto, riusciamo a farci sentire meglio, di più. Le nostre parole acquistano forza, si gonfiano nel silenzio e agiscono con maggior forza di quella che traggono dal venire ripetute.

Se le vuoi bene come sembra, aspetta la tua amica, dalla fiducia: dalle tempo. E se quest’uomo vale tanto poco come dici, e la tua amica è una persona intelligente (se è tua amica, tu così certo pensi di lei), prima o poi sarà lei ad ascoltarsi, a capire, a riuscire a chiudere questa lunga storia che la consuma e le fa male. Lei a trovare la strada. Ma non smettere di frequentarla: per quanto possa essere per te doloroso e impegnativo taci, su quello, evita il tema.

Lei è dentro un’ossessione, ma questo non significa che tu debba ossessionarti insieme a lei. Non la aiuti così; la aiuti infinitamente di più facendole sentire che la vita è ampia, più ampia del suo amore triste con l’uomo fedifrago. E se nemmeno questo atteggiamento bastasse, se passato il tempo, altro tempo, lei continuasse ad essere innamorata di lui, a illudersi, aspettarlo, sperare, vorrà dire che è un amore inscalfibile, un rapporto che non ha senso giudicare con l’intelletto e la ragione. Ci sono anche storie d’amore così, che ci paiono assurde e incomprensibili ma che non siamo noi a vivere e con le quali non è giusto che ci confrontiamo nei pensieri. Se la vostra amicizia, di te e lei, è un’amicizia forte, dovrà poter sopravvivere.

Questo amore rappresenterà una zona di lei che a te non è dato capire, ma se lei si ostina a scegliere di viverla, abitarla, allora significa che qualcosa della tua amica lì si esprime e tu non puoi farci nulla. Però puoi volerle bene ugualmente, scegliendo magari di non volerne più sapere niente. Il silenzio e il suo grande potere varranno anche nel suo caso: lei anche dovrà lasciarti libera di ignorare questo pezzo così assurdo ma importante della sua vita che non sarà più parte del vostro essere amiche.

Cara Francesca, l’amicizia è libera, libera anche dal peso dei troppi consigli, libera dalle intrusioni e dal pontificare moraleggiante. Del resto, la cosa più bella che possiamo offrire ai nostri amici è rispetto, spazio. Spazio anche di sbagliare, spazio di farsi del male se quel male guarisce altre ferite, ma anche spazio per continuare ad avere vicino gli amici. Quegli stessi che magari un bel giorno, con un sorriso saggio e malinconico vengono a confidarsi: «Sai, avevi ragione; ma alla fine ce l’ho fatta, con lui (lei) ho proprio chiuso».

Mi sono innamorato di un’altra, ma non voglio far soffrire la mia fidanzata. Come fare? Massimo Gramellini su Il Corriere della Sera il 29 Ottobre 2022.

Sono fidanzato da due anni con una ragazza conosciuta all’Università, ma nel mentre ho conosciuto chi mi ha fatto vedere cosa vuol dire essere felici. Eppure sono paralizzato da questa situazione 

Questa è la rubrica della posta del cuore curata per «7 » da Massimo Gramellini. Il 7 di Cuori è la carta che indica la seconda possibilità, l’occasione che si ripresenta, l’opportunità di portare a termine qualcosa rimasto incompiuto. Per noi è l’invito a ricominciare, a partire alla riscossa, accettando e assecondando il cambiamento. In quale direzione? Vogliamo aiutarvi a sceglierla: scrivete a 7dicuori@rcs.it

Buongiorno Sig. Gramellini, sono fidanzato da due anni con una ragazza conosciuta in ambito universitario. Ci siamo legati e sostenuti molto fin da subito e abbiamo vissuto momenti da ricordare, nonostante siamo caratterialmente e socialmente molto diversi. Negli ultimi mesi progressivamente siamo sempre meno riusciti (io in particolare) a trovare quel sentimento forte che ci legava all’inizio. Nel mentre ho conosciuto una ragazza che mi ha fatto vedere cosa vuol dire essere felici, avere bisogno di una persona in ogni momento, sentirsi radicati dentro di lei. Inizialmente ho cercato di starle lontano, proprio perché volevo ritrovare quel sentimento con la mia ragazza, ma via via l’ho paradossalmente trovato con questa nuova. Penso sia arrivato il momento di fare qualcosa per cambiare la situazione, ma sono totalmente paralizzato dalla certezza che andrei a dare un colpo talmente forte alla mia fidanzata. Non sono assolutamente in grado di farla soffrire e di non poter più essere per lei un porto sicuro. Tommaso

TOMMASO CARO, licenziare in tronco un amore che ci ama è un’arte dialettica davvero maledetta. Se uno non ha la sensibilità di un carciofo secco o il cinismo di certi personaggi della vecchia commedia all’italiana, il famoso o, piuttosto, famigerato Discorso dell’Abbandono è un momento gravido di imbarazzo che il “soggetto lasciante” cercherà di procrastinare il più possibile. O di sostituire con uno degli ultimi ritrovati della tecnica - un messaggino vocale di undici minuti circa, per esempio - oppure attingendo a grandi classici del “paraculismo” come il ghosting: la scomparsa improvvisa, del genere: ancora ieri sera ero avvinghiato a te per rivolgerti promesse d’amore eterno, e oggi, puf, sono sparito, non rispondo più al telefono, ignoro i messaggi e sfuggo agli appostamenti perché non trovo la forza di dirti quello che non vuoi sentire. Ma anche tra coloro che affrontano la questione di persona, non credere che abbondino i coraggiosi. Di solito si ricorre a formule di congedo stereotipate e fasullissime: “Non ti merito”, “Ho paura di legarmi troppo”, “Siamo troppo simili” o “Siamo troppo diversi”, a scelta, ma a volte anche entrambe nello stesso discorso. E chi ne fa uso non appartiene neppure alla categoria dei peggiori: almeno non sta dispensando illusioni alla controparte. I veri pericoli pubblici sono quelli che, per egoismo e comodità, congelano il problema, proponendo ridicole pause di riflessione e lasciando intravedere una luce in fondo al tunnel del loro momentaneo disamore. Chi viene lasciato contro la propria volontà si aggrappa a quelle parole di cortesia come se fossero massime evangeliche, nutrendo la propria speranza errata e aspettando sviluppi positivi che non arriveranno mai. Ma, così facendo, ritarda a sua volta il momento del distacco, della rabbia, della sofferenza e quindi anche della guarigione e della rinascita. Tutta questa premessa era per consigliarti di lasciare al più presto la fidanzata che non ami più, usando con lei parole dolci ma chiare e soprattutto non ipocrite. All’inizio lei ti detesterà. Ma, smaltito il dolore dello strappo, forse tornerà a stimarti. In caso contrario vi lascerete comunque tra qualche tempo, ma tu resterai per tutta la sua vita in testa alla lista delle persone disprezzabili.

Caro Massimo, sono una donna di cinquant’anni separata da oltre un anno e mezzo. Dal momento in cui ho lasciato la casa coniugale il mio secondo figlio, che ha 20 anni, ha chiuso qualsiasi rapporto con me. Sembra avere rimosso di avere una mamma. Io continuo a mandargli doni nelle varie occasioni e, ogni volta che lo incrocio, cerco con un cenno di mostrare che lo sto aspettando solo per abbracciarlo, ma lui al momento è chiuso nella sua rabbia e nulla sembra poter scalfire il muro di silenzio che impone. Questo distacco mi sta dilaniando. Come sopravvivere? Veronica

CARA VERONICA, forse i regali e i cenni, con un figlio come il tuo, non bastano. Si sentirà tradito e abbandonato, anche perché (se ho capito bene), sei tu a essertene andata dalla casa di famiglia. Ha accumulato rancore e si è chiuso dentro una corazza di falsa indifferenza che non può certo essere squarciata da un pensierino cortese. Urge comunicazione verbale, orale e scritta. Anche insistente. Entro certi limiti, lo stalking di una madre non è reato.

Gramellini: «Lasciare marito e amante? Prova a tenerli (finché riesci). L’amore è noia e gioia». Massimo Gramellini su Il Corriere della Sera il 23 Ottobre 2022. 

«Mio marito è la stabilità, il collega donnaiolo è il brivido: quando non ci vediamo, non mi manca», scrive una lettrice a Massimo Gramellini. Ecco la sua risposta per «7 di cuori»  

Caro Massimo,

sposata con un uomo che amo e a cui sono legata dai tempi del liceo, premuroso ed equilibrato, abbiamo due bambine. Al lavoro c’è un collega più giovane di me, affascinante, libero (vola di fiore in fiore), donnaiolo, esperto di cose da donne (dalla lingerie ai sex toys). Nelle trasferte di lavoro che di tanto in tanto ci capitano, qualche volta siamo finiti a letto. Sono certa che accadrà di nuovo. Mio marito è la stabilità, la certezza, il padre ideale per le nostre figlie, l’uomo con cui vorrei passare il resto della mia vita. Il collega donnaiolo è il brivido del proibito: con lui ho sperimentato un rapporto a tre e vari giochi sessuali in seguito entrati a far parte della vita di coppia con mio marito. Ma quando non ci vediamo, non mi manca. So già che mi dirai di abbandonarli tutti e due. E invece penso che sarebbe la cosa peggiore. I miei due uomini si completano a vicenda. Sto bene così. Alessia

ALESSIA CARA,

ignoro da dove vengano le tue certezze: «So già che mi dirai di abbandonarli tutti e due». E perché mai dovrei dirtelo? Forse l’ho suggerito in passato ad altre lettrici, che però si trovavano in situazioni molto diverse dalla tua. Erano in crisi col marito e avrebbero voluto sostituirlo con un amante che però tentennava oppure si rivelava fin troppo simile al titolare. Tu invece hai un marito con cui stai bene, ma che non ti basta sessualmente. Hai bisogno di brividi continui e fantasie sfrenate che una relazione di lunga durata onestamente non può più garantirti. Io distinguo sempre le emozioni dai sentimenti. Le prime sono intense ma transitorie, mentre i secondi fanno meno rumore e però scavano in profondità.

SEMBRI AVERE TROVATO LA FORMULA MAGICA PER TENERE TUTTO INSIEME, EMOZIONE E SENTIMENTO, SESSO E AMORE, PASSIONE E STABILITÀ. NON TI GIUDICO, NON TI BIASIMO, NON TI INVIDIO. TI METTO SOLO IN GUARDIA...

«L’amore è fatto di gioia ma anche di noia», cantava Eugenio Finardi in una splendida canzone della mia adolescenza. Tu sembri avere trovato la formula magica per tenere tutto insieme, emozione e sentimento, sesso e amore, passione e stabilità. Non ti giudico, non ti biasimo, non ti invidio. Ti metto solo in guardia: la vita si muove di continuo e gli equilibri prima o poi si spezzano. Basta che cambi uno qualunque degli elementi della tua formula: che tuo marito scopra l’esistenza dell’altro, che l’altro si innamori di qualcun’altra o che tu scopra che anche tuo marito ha un’amante. Insomma, comprendo che per ora tu non voglia modificare nulla, ma preparati all’eventualità di dovere prima o poi rinunciare a qualcosa e a qualcuno.

Un’amica persa per strada ? Ci incontriamo sempre di meno, ma ci telefoniamo anche con molta parsimonia, presi come siamo a scrollare, guardare, chattare e registrare. Tutte attività individuali

Caro Massimo,

un’amica (ex amica?) con cui ho condiviso viaggi, film, cene, discussioni e confessioni a un certo punto si è allontanata. Dopo un ultimo viaggio di gruppo insieme, al ritorno le ho scritto che avrei avuto piacere di riprendere la nostra amicizia. La risposta, testuale, è stata: «Sono disponibile unicamente per rapporti paritari. Con te è impossibile. Ovviamente per problemi miei». Sempre via messaggio ho chiesto una spiegazione. Nuova risposta: «La tua tendenza a voler fare e far fare le cose che ti interessano, facendo credere all’altra che è quello che vuole, a lungo andare non va bene».

Un’amicizia interrotta via whatsapp; la telefonata sarebbe stata inutile perché non ci sarebbe stata risposta, era già successo in precedenza. Ognuno di noi ha dei difetti, ma perché ai suoi ho sempre cercato di passare oltre, senza sottolineare quello che magari poteva ferirmi? E poi quella frase sulla mia presunta ipocrisia, quando molto spesso era lei che decideva dove andare, cosa fare, cosa vedere... Sarà l’orgoglio ferito, sarà l’umiliazione subita, ma non riesco a farmene una ragione. Anche perché le ho voluto bene.

V.

Della tua lettera colpisce la facilità con cui ormai apriamo e chiudiamo una relazione (d’amore, d’amicizia, di interesse) con un semplice messaggio scritto o vocale, pur di sfuggire il chiarimento che solo un contatto diretto, meglio se fisico, può garantire. Invece non solo ci incontriamo sempre di meno, ma ci telefoniamo anche con molta parsimonia, presi come siamo a scrollare, guardare, chattare e registrare. Tutte attività individuali, se ci pensi. Non so se siano la paura e l’imbarazzo a tenerci lontani gli uni dagli altri e al tempo stesso collegati con tutti. Non so, cioè, se sia lo smartphone ad averci cambiati o se, per dirla alla Baricco, abbiamo inventato lo smartphone proprio perché eravamo cambiati e ci serviva uno strumento in grado di esprimere questa nuova condizione di affollata solitudine e di iperconnessa incomunicabilità. 

Alice Politi per vanityfair.it il 16 ottobre 2022.

Che effetto ha sulla nostra forza di volontà la vicinanza di persone propense al tradimento? Possiamo in qualche modo venire influenzati? Stuzzicati inconsciamente a «rompere gli indugi» e iniziare a fare altrettanto? Se lo sono chiesti alcuni ricercatori della Reichman University di Israele. In uno studio pubblicato sulla rivista Archives of Sexual Behavior, la ricercatrice Gurit E Birnbaum e i suoi colleghi hanno voluto esaminare se gli individui che avevano appreso del comportamento infedele di altri si mostrassero successivamente predisposti a essere infedeli anche nelle proprie relazioni sentimentali.

Gli autori hanno ragionato sul fatto che venire a conoscenza di un comportamento prevalentemente infedele (che nel caso specifico arrivava a raggiungere circa il 70%) potrebbe diminuire il desiderio e l'impegno nei confronti del proprio partner principale, aumentando al tempo stesso il desiderio di un partner alternativo attraente.

La tesi sostenuta dagli autori era che «sapere che altri hanno relazioni extra può far sentire le persone più a loro agio nell'avere atteggiamenti simili». Per testare le loro previsioni, i ricercatori hanno condotto tre studi separati, coinvolgendo partecipanti che avevano relazioni monogame eterosessuali.

Cosa è emerso da tre studi

Nel primo studio, alcuni studenti universitari israeliani impegnati in una relazione da almeno 4 mesi hanno guardato un video su relazioni in cui l'infedeltà era stimata all'86% o all'11%. Hanno quindi chiesto ai partecipanti di scrivere di una fantasia sessuale che coinvolgesse qualcuno diverso dal loro attuale partner. Lo studio ha mostrato che l'esposizione a una prevalenza di infedeltà non ha influenzato il desiderio degli individui né per il partner attuale, né per un partner alternativo. Tuttavia, gli studi 2 e 3 hanno mostrato risultati diversi.

Nel secondo studio, studenti universitari israeliani impegnati in una relazione eterosessuale da almeno 12 mesi hanno letto la «confessione» di una persona che descriveva una sua infedeltà romantica (baciare appassionatamente un collega e nasconderlo al proprio partner) o una scorrettezza in ambito scolastico (copiare il saggio di un altro studente).

Ai partecipanti è stato quindi chiesto di visualizzare 16 foto di individui attraenti e poco attraenti e di rispondere il più rapidamente possibile se tali individui potessero rappresentare per loro un potenziale partner romantico. I partecipanti che avevano letto dell'infedeltà romantica hanno risposto «sì» a più foto, indicando il loro interesse per un numero maggiore di potenziali nuovi partner rispetto ai partecipanti che si erano confrontati con il «tradimento» accademico.

Nel terzo studio, alcuni studenti universitari israeliani impegnati in relazioni eterosessuali da almeno 4 mesi hanno letto i risultati di un sondaggio in cui la prevalenza dell'infedeltà romantica o dell'inganno accademico era stimata all'85%. I partecipanti hanno quindi interagito con un assistente di ricerca (in incognito) utilizzando una piattaforma di messaggistica istantanea. Hanno caricato foto di se stessi e, come partner di messaggistica, è stata mostrata loro la fotografia di un uomo o di una donna attraenti.

L'assistente di ricerca ha chiesto ai partecipanti informazioni su hobby, interessi e preferenze alimentari e alla fine dell'intervista ha dichiarato: «Hai sicuramente sollevato la mia curiosità! Spero di vederti di nuovo e questa volta faccia a faccia». Le risposte dei partecipanti a quest'ultima frase sono state analizzate per verificare l'interesse a rivedere l'intervistatore. Infine, è stato chiesto loro quanto si sentissero attratti dall'intervistatore e quale fosse il loro impegno nei confronti del loro attuale partner.

I risultati del terzo studio hanno mostrato che gli individui esposti alle informazioni di tradimento romantico indicavano un minore impegno nei confronti delle loro relazioni rispetto alla condizione di tradimento accademico. Hanno anche messo in luce che, indipendentemente dalla condizione di tradimento, gli uomini risultavano meno impegnati nelle loro relazioni rispetto alle donne. Inoltre, chi aveva letto i risultati del sondaggio sull'infedeltà romantica e aveva trovato l'intervistatore più attraente aveva maggiori probabilità di terminare lo scambio di messaggi con l'intervistatore, esprimendo il desiderio di un ulteriore incontro.

L'infedeltà altrui può mettere a rischio la motivazione verso la propria relazione. Gli autori ritengono che l'esposizione all'infedeltà possa «normalizzare» quel comportamento e rendere le nostre relazioni attuali più vulnerabili al tradimento. In pratica, confrontarsi con una «norma di infedeltà» può renderci meno motivati a proteggere le nostre relazioni attuali, lasciandoci aperti a potenziali infedeltà in futuro.

Tuttavia, gli autori sottolineano anche che vedere individui alternativi come possibili nuovi partner e persino il desiderio di rivedere una persona attraente non equivale necessariamente a impegnarsi in una relazione. L'ipotesi è che essere esposti a comportamenti adulteri può, ad esempio, rendere meno importanti i propri obiettivi a lungo termine e quindi ridurre i sensi di colpa o attenuare la resistenza all'infedeltà, diminuendo la motivazione a proteggere la relazione attuale.  Ma la ricerca continua…

«Io, eterna amante di un collega: ci siamo presi, lasciati, ma non riusciamo a smettere. Cosa fare?» Massimo Gramellini su Il Corriere della Sera il 2 Ottobre 2022.

«Quando abbiamo smesso di essere clandestini, tremavo all’idea di averlo sempre intorno», scrive una lettrice a Massimo Gramellini. Ecco la sua risposta per «7 di cuori»

Questa è la rubrica della posta del cuore curata per «7 » da Massimo Gramellini. Il 7 di Cuori è la carta che indica la seconda possibilità, l’occasione che si ripresenta, l’opportunità di portare a termine qualcosa rimasto incompiuto. Per noi è l’invito a ricominciare, a partire alla riscossa, accettando e assecondando il cambiamento. In quale direzione? Vogliamo aiutarvi a sceglierla: scrivete a 7dicuori@rcs.it

Caro Massimo,

quasi vent’anni fa ho cominciato una relazione sentimentale con un collega, scandita dai suoi tempi, in quanto quello sposato era lui. Dopo qualche anno di tira e molla, in cui uno dei due non riusciva più a sostenere la situazione e lasciava l’altro per poi tornare sempre, siamo diventati una coppia stabile. Segreta, ma stabile. Io ero perdutamente innamorata e nulla aveva importanza, se non il tempo che riusciva a concedermi. Ero in tutto come lui desiderava che fossi, perché volevo che stesse così bene con me da non poter più fare a meno di noi. Ho buttato giù bocconi amari, week-end senza una telefonata e ho fermato la mia vita mentre lui continuava a vivere la sua con la famiglia in apparente armonia. Finalmente dopo dieci anni trovò il coraggio di lasciare la moglie e noi due diventammo una coppia agli occhi del mondo. A quel punto, però, ottenuto quello che credevo di desiderare da sempre, non avevo più quel bisogno mordente di vederlo... mi bastava sapere che c’era. Cominciammo ad allontanarci perché lui avrebbe voluto andare a vivere assieme, mentre io tremavo solo al pensiero di averlo intorno sempre.

«CI ALLONTANAMMO... DOPO CIRCA TRE ANNI, HA COMINCIATO A CORTEGGIARMI DI NUOVO E IO CI SONO CADUTA, DI NUOVO. SOLO CHE LUI È TUTTORA FIDANZATO CON LA DONNA CHE AVEVA CONOSCIUTO E IO, UN ANNO FA, MI SONO SPOSATA CON UN UOMO BUONO E DOLCE»

Non so se fu per questo che lui si avvicinò a un’altra donna, ma quando l’ho scoperto non gli diedi tempo né modo di spiegarmi e non volli poi vederlo né sentirlo, al di fuori di una vita lavorativa in cui dovevamo vederci per forza. Dopo circa tre anni, ha cominciato a corteggiarmi di nuovo e io ci sono caduta, di nuovo. Solo che lui è tuttora fidanzato con la donna che aveva conosciuto e io, un anno fa, mi sono sposata con un uomo buono e dolce, con cui ho trovato stabilità e sicurezza. In sintesi, siamo tornati amanti... come prima... Solo che ora sono anche io ad avere vincoli... A volte mi preparo un discorso per dirgli che non posso continuare, ma poi quando ce l’ho davanti non ce la faccio, cado fra le sue braccia e tutto ricomincia... Lui mi fa sentire fra le sue braccia come nessun altro uomo mi ha fatta sentire mai... ma allora perché ritaglia del tempo per me solo fra un impegno e l’altro? La sensazione è sempre quella di tanti anni fa... se ci sono bene, se non ci sono la sua vita funziona lo stesso. Massimo, non so come uscirne. Mi amerà?... O ha solo capito di avere fra le mani una donna di cui può fare ciò che vuole?

F.

CARA REGINA DEI TIRA E MOLLA,

sei talmente concentrata su che cosa lui prova per te che sembri non avere alcuna consapevolezza di che cosa tu provi per lui. Riepiloghiamo. Finché era un amore bello e impossibile, ti sconquassava, ma appena il castello in aria ha assunto i contorni di un concretissimo appartamento in cui andare a vivere insieme, sei stata tu, mica lui, a tirarti indietro. L’uomo inafferrabile era disposto a lasciarsi prendere e addirittura a infilarsi un paio di pantofole, ma non lo hai voluto. Avrebbe rovinato l’immagine di lui, e di voi, che la tua mente aveva costruito. Per tornare desiderabile ai tuoi occhi ha dovuto recuperare il requisito della indisponibilità. È il saperlo di un’altra e con un’altra che ti eccita. Adesso persino più della prima volta, quando eri sola, e perciò in posizione squilibrata.

EVITA DI PRENDERTI IN GIRO, L’AMORE È UN’ALTRA COSA. LASCIA ENTRAMBI, LA SOLITUDINE È L’UNICA STRADA

Ora invece hai un partner anche tu che ti garantisce il pieno di certezze, così che tu possa andare a cercare il batticuore e il crepacuore là dove lo hai sempre trovato: presso il tuo eterno amante. Non giudico la tua scelta, probabilmente motivata dall’incapacità di osservare con calma le proprie emozioni (è un problema che condividi con quasi tutta l’umanità, me compreso). Evita però di prenderti in giro, deprecando il fatto che lui non sia totalmente devoto alla causa del vostro amore. Se lo fosse, lo avresti già allontanato, come facesti l’altra volta. Tu con lui non hai mai voluto costruire nulla di diverso da quello che hai. Una storia macerata, una tensione che non può mai sciogliersi, pena la sua trasformazione in routine, e una relazione vissuta non con lui ma dentro di te, buona per tormentarti e indossare il ruolo dell’amante infelice e incompleta. L’amore, credo sia un’altra cosa. Un sentimento incondizionato, il contrario dell’egoismo. A occhio, ciò che prova tuo marito per te. In un mondo ideale, governato dalla consapevolezza delle emozioni e dalla sincerità verso gli altri e verso sé stessi, dovresti lasciare entrambi i tuoi uomini: uno perché non lo ami e l’altro perché lo ami in modo malato. Solo nella solitudine potresti rimettere assieme i pezzi di te stessa, smettendo di cercare all’esterno quella completezza che, come tutti, devi prima imparare a trovare dentro di te.

Dagospia il 18 settembre 2022. Sondaggio realizzato dal 2 al 5 settembre 2022 da incontri-extraconiugali.com  su un campione di mille uomini e mille donne iscritti al portale.

Aumentano i tradimenti online, anche grazie alle tentazioni offerte dalle tantissime app di incontri. Lo svela Incontri-ExtraConiugali.com, il sito più sicuro dove cercare un’avventura in totale discrezione e anonimato. 

A tradire online, secondo un sondaggio realizzato dal 2 al 5 settembre 2022 su un campione di mille uomini e mille donne iscritti al portale,  è il 75% degli italiani fidanzati o sposati. Un dato in linea rispetto a quello rilevato dall’Associazione Avvocati Matrimonialisti Italiani secondo la quale solo 3 coppie su 10 sarebbero fedeli. 

«Internet e le nuove app mettono a disposizione una vasta gamma di spazi —dai generici social network ai siti web specializzati— dove parlare senza freni anche di sesso e desideri proibiti, facilitando così la nascita di una nuova forma di adulterio: il microcheating (ovvero piccolo tradimento)» spiega Alex Fantini, ideatore di Incontri-ExtraConiugali.com. 

«Anche mettere un “mi piace” sulle foto dell’ex su Facebook o su Instagram —sostiene Alex Fantini— può essere considerato un tradimento. Per non parlare del sexting, lo scambio di foto e testi piccanti con qualcuno che non sia il partner». Tale orientamento è stato preso anche dalla nostra magistratura, che sempre pi? spesso ha affermato che la fedeltà non è relativa in modo esclusivo al lato sessuale.

La fedeltà coniugale è un dovere che la giurisprudenza ha reso sempre più ampio affermando più volte che un legame di natura sentimentale che si intrattiene nel mondo virtuale, anche attraverso una relazione su Internet oppure al telefono, con messaggi e chat, può determinare un autentico tradimento della fiducia reciproca. 

Se molte persone classificano un tradimento fisico come una grave infedeltà, non tutti però sono d’accordo. Il 65% degli italiani considera il sexting come un atto di infedeltà, ma solo il 26% ritiene che possa esserlo il fatto di mantenere un profilo su un sito o su una app di dating online. 

Nel sondaggio di Incontri ExtraConiugali.com risulta che il 29% considera legittimo mentire online sul proprio stato sentimentale. «E vi è un considerevole 35% di persone di entrambi i sessi che —in assenza di un atto fisico— non considera il sexting come tradimento» mette in rilievo Alex Fantini.

«Comunque sia —prosegue il fondatore di Incontri-ExtraConiugali.com— tanto il tradimento fisico quanto il microcheating, sempre che non vengano scoperti, possono entrambi essere benefici alla coppia, fungendo da compensazione per quello che non si riesce a prendere dalla storia d’amore in corso». 

Accade perché la passione si è spenta oppure perché la coppia è diventata troppo intima sul piano emotivo ma non più su quello sessuale. L’amante ha allora la capacità di riaccendere la sessualità in uno dei due membri della coppia che molto spesso riesce a “portare a casa” l’eccitazione ritrovata.

Tanto è che le coppie che vivono un rapporto extraconiugale si lasciano meno frequentemente delle altre ed è sempre più evidente che il tradimento è funzionale a mantenere una storia, non a distruggerla.

LA CORNEIDE - GIOVANNI DE GAMERRA. Dagoreport del 10 febbraio 2017

Certo, ci vuole un po’ di tempo perché la “Divina Commedia” della cornificazione è uno dei poemi più prolissi della storia umana: sette volumi, più di tremila pagine. Del resto, l’obiettivo che il povero autore si era posto era davvero esteso: raccontare le corna dall’antichità ai suoi tempi. Una materia vasta, converrete, che il poeta ha affrontato con il coraggio di un dottorando al quale si affida la tesi “Brevi cenni sull’universo”. 

“La Corneide” è un poema eroticomico (altro che trenta, quaranta, cinquanta sfumature…)  diviso in 71 canti ciascuno composto da più di 800 ottave. Occhio croce 450-500mila versi che raccontano cornificazioni varie, dall’antichità (prediletta) in poi. Si parte dagli dei o, almeno, dalla mitologia per arrivare sino ai Frescobaldi passando per Elena di Troia, Ulisse, Cicerone, Moliere, la regina Elisabetta I, i re di Francia, Anna Bolena… “Tutti gabbati”, come dice Falstaff, ovvero tutti cornificati o cornificanti. E’ lo stesso.

A scriverlo, è il Dante delle corna, ovvero Giovanni de Gamerra, uno dei librettisti di Mozart (“Lucio Silla”, 1772), dunque sodale del pensiero del salisburghino alla “Così fan tutte”. De Gamerra, un mezzo avventuriero nato a Livorno, fu mandato a studiare in seminario e a di diciassette anni già si firmava abate.  Dal 1765 visse a Milano ben protetto dalle élite – queste non sbagliano mai -, dal conte Firmian, al Beccaria ai Serbelloni, per i quali scrisse, nel 1770, i “Solitari” (vietato alludere) una tragedia domestica in pantomima. 

Proprio l’appoggio della duchessa Serbelloni  gli consentì di entrare alla corte di Vienna, dove era poeta cesareo il Metastasio. Fu allora che, nel 1773, fu stampato il primo dei sette volumi della “Corneide”: non sappiamo chi davvero lo lesse (forse Feerico il Grande e il librettista Calzabigi), ma c’è una testimonianza secondo la quale l’opera divertì l’ottantenne Voltaire, il cui consenso spinse l'autore a comporre gli altri sei volumi.

Nella Corneide l’autore si trasferisce in sogno in una terra ai cui lidi approdano torme di cornuti da tutto l’universo e di tutti i tempi: e qui ti voglio vedere dove metterli! Tanti, come direbbe Eliot “ch'io non avrei creduto che morte tantin'avesse disfatti”. In questa Valle di Giosafat sono tutti uguali, perché come la morte anche le corna democraticamente livellano: umili e potenti sono uniti dalla comune condizione di becchi. 

Con intonazione dantesche, il poeta incontra Euripide, che sarebbe quello che Virgilio è per Dante, ovvero colui che lo guida nel campo eliso delle corna. Un territorio abitato dai becchi a partire dall'antichità classica, che offre spunto a vicende boccaccesche imperniate sull'insaziabilità femminile e gli adulteri più ingegnosi, proprio come nei testi che il librettista italiano Lorenzo Da Ponte predispose per l’immortale Mozart. Che certo fece becca la moglie con la di lei sorella. Ma questo de Gamerra lo risparmia; si sa, gli amici.

La storia più accreditata sulla trasmissione del termine cornuti, infine, parrebbe comunque questa. Il re di Francia invitava i nobili al castello per una battuta di caccia. Ma il mattino dopo, mentre lor signori si sbattevano con i cervi, lui si sbatteva le signore rimaste in stanza. Sta di fatto che di pomeriggio i nostri maschi eroi tornavano carichi dei palchi delle bestiole come trofei. Il mattino dopo, uscendo dalle porte del castello, di tanti trofei si fregiavano e i paesani, vedendoli passare con questi palchi di corna in testa o in mano , dicevano: “Ecco i cornuti”.

Antonio Murzio per true-news.it il 13 settembre 2022.

Si fosse trattato di una partita, si sarebbe potuto dire che Francesco Totti era sotto di diversi gol e ha solo cercato la rimonta. Il risultato finale non è dato sapere, visto che non di reti si tratta ma di corna. La diatriba tra l’ex Pupone e Ilary Blasi, tra chi dei due è stato tradito per primo, quante volte e con quanti amanti, è scesa a livello di Bar Sport dopo l’intervista rilasciata al Corriere della Sera domenica dall’ex capitano della Roma. E meno male che entrambi volevano tutelare i figli. 

Nell’attesa che Cazzullo, in un impeto di giornalismo investigativo, scopra che fine hanno fatto i Rolex di lui e le borse di lei, e che  il quotidiano di via Solferino continui a fornirci particolari sul ruolo dell’amica-parrucchiera di Ilary, vi forniamo un breve excursus storico con alcuni precedenti di tradimenti – attuati o subiti – che hanno visto protagonisti i calciatori.

Un “Tutto il calcio cornuto per cornuto”, che spesso è stato più avvincente della trasmissione radiofonica della domenica pomeriggio. Soltanto che le partite sono sempre state giocate fuori dagli stadi e il rettangolo di gioco si riduceva alle dimensioni di un’alcova. E l’unico non cornuto è colui che istituzionalmente per i tifosi lo diventa quando prende una decisione ritenuta sbagliata: l’arbitro. 

Partite senza spettatori, ma spesso con compagni di squadra che sapevano, durata delle stesse presumibilmente molto al di sotto dei 90 minuti, forse qualche tempo supplementare giocato, ma senza l’ansia della qualificazione, esultanza per il risultato limitata a massimo due persone, niente trionfali giri di campi al termine degli incontri.

Cominciamo con un ex compagno di Nazionale proprio di Totti e insieme a lui campione del mondo nel 2006, Gigi Buffon.

Sposato con Alena Seredova, l’ex portiere della Juventus si separò dall’ex modella ceca praticamente a mezzo stampa. La Seredova rivelò di aver scoperto il tradimento del marito con Ilaria D’Amico (poi diventata sua compagna: i due stanno insieme ancora oggi), dai giornali.

Anche un altro campione del mondo 2006, Andrea Pirlo, divorziò dalla moglie Deborah Roversi nel 2014, dopo 12 anni di matrimonio. L’ex fuoriclasse di Milan e Juve aveva a quanto sembra una relazione extraconiugale con Valentina Baldini, che sarebbe poi diventata la sua nuova compagna.

A essere tradito non una ma due volte è stato sicuramente il calciatore argentino Maxi Lopez: dalla moglie Wanda Nara e dal giovanissimo collega Mauro Icardi che lo stesso Lopez aveva preso sotto la sua ala protettiva al suo arrivo in Italia.

Ignorava che su Maurito anche la moglie Wanda avesse dispiegato… le ali, anche se lei ha sempre sostenuto che la relazione con Icardi, del quale oggi è anche procuratrice, sia cominciata solo dopo il suo divorzio. 

Fatto sta che durante un incontro di campionato Maxi Lopez rifiutò di stringere la mano al suo ex pupillo mentre l’ex moglie accusava lui di tradimento: «Non ho mai tradito il mio ex marito Maxi Lopez. 

Lo giuro sui miei figli. Anzi ho lottato fino alla fine per salvare il nostro matrimonio. Ma non ce l’ho fatta. Mi tradiva sempre, in continuazione. Quando eravamo in Argentina mi ha tradito anche con Marianna, la nostra governante che bella non era. Eravamo in casa e loro facevano l’amore mentre io dormivo in un’altra stanza con i bambini», dichiarò al settimanale Chi.

Ma non si pensi che le corna nel calcio siano roba solo recente. Josè Altafini, già sposato,  ebbe una relazione con Annamaria Galli, con la moglie di Paolo Barison quando giocava nel Napoli. Un altro campione sudamericano che ha indossato la maglia azzurra anni più tardi non gli è stato da meno. Maria Soledad Cabris nel 2007 ha sposato Edinson Cavani ma il matrimonio è durato solamente pochi anni ed è finito principalmente a causa delle scappatelle di lui, che peraltro la lasciò a mezzo mail.

In moltissimi casi accade che i tradimenti vengono consumati in ambito calcistico.  Gianluigi Lentini aveva una relazione con Rita Schillaci, moglie di Totò Schillaci. Lo si seppe nell’agosto del 1993, dopo il grave incidente stradale in cui fu coinvolto l’allora giocatore del Milan. “Stavo andando da Rita”, raccontò poi Lentini. 

Le corna non sono un’esclusiva dei calciatori italiani, anzi uniscono più dell’esperanto. Una riprova? Nel 2005  Edoardo Tuzzio e Horacio Ameli  erano molto amici e giocavano per il River Plate, squadra argentina di Buenos Aires. Ameli ebbe una relazione con la moglie di Tuzzio

Nel 2010 in Gran Bretagna, John Terry, allora capitano del Chelsea, ebbe una relazione con la fidanzata di Wayne Bridge, difensore nella sua stessa squadra. Bridge lasciò il Chelsea e  andò a giocare nel  Manchester City. 

Nel 2013 a Madrid Caroline, moglie di Kevin De Bruyne, centrocampista del Manchester City cercò i di sedurre Thibaut Courtois, giovane portiere del Chelsea, per pareggiare i conti con le corna che le aveva fatto De Bruyne. Raggiunse il suo obiettivo.

Calciatori, separazioni, divorzi, tradimenti: Totti e gli altri. Salvatore Riggio su Il Corriere della Sera il 13 Settembre 2022.

I matrimoni di calciatori da sempre al centro del gossip: Walter Zenga e Roberta Termali fu una delle prime coppie famose a rompersi, poi Ventura-Bettarini, Buffon-Seredova. Fino a Piqué-Shakira

Francesco Totti-Ilary Blasi

«Non sono stato io a tradire per primo», ha raccontato Francesco Totti nell’intervista rilasciata al Corriere della Sera, commentando la rottura della storia d’amore con la moglie Ilary Blasi. La coppia più famosa di Roma (e non solo) si è separata dopo 17 anni di matrimonio (si sposarono il 19 giugno 2005). La conferma definitiva è arrivata poco dopo le 21 di lunedì 11 luglio. Era atteso un comunicato congiunto e invece è intervenuta prima lei, con una dichiarazione all’Ansa, e poi, a stretto giro lui, con due comunicati separati: il primo segnale di una rottura tutt'altro che consensuale come le rivelazioni successive hanno certificato, tra accuse di aver portato via gli orologi (lui) e allusioni pesanti («Ha visto cose per cui potrebbe rovinare cinquanta famiglie», lei).

Piqué-Shakira

Il difensore del Barcellona, Piqué, e la cantante colombiana, Shakira, erano insieme dal 2010 (non si erano mai sposati). Il 4 giugno con un comunicato hanno annunciato la fine della loro storia d’amore. La coppia ha avuto due figli: Milan (9 anni) e Sasha (7 anni). Una storia terminata a causa del tradimento di lui, scoperto da Shakira, con una cameriera di 22 anni. Adesso la cantante vuole andare via da Barcellona e trasferirsi a Miami, negli Stati Uniti. Piqué era contrario, ma un accordo sarebbe stato trovato.

Gigi Buffon e Alena Seredova

Gigi Buffon e Alena Seredova, una coppia amata da tutti. Sono stati insieme dal 2005 al 2014: si sono sposati nel 2011, avevano avuto già avuto due figli, nati rispettivamente nel 2007 e nel 2009. Seredova rivelò di aver scoperto il tradimento del marito con Ilaria D’Amico (poi diventata sua compagna: i due stanno insieme ancora oggi), dai giornali.

Maxi Lopez, Wanda Nara, Mauro Icardi

Leggendario il triangolo Maxi Lopez, Wanda Nara, Mauro Icardi, con il primo che non hai mai perdonato il doppio tradimento dell’ex moglie e dell’ex amico e con lei che ha rinfacciato le scappatelle seriali di Maxi (con cui ha avuto tre figli maschi, motivo di infinite liti): questo prima che la scena del gossip fosse occupata dalla storia di Wanda con Maurito, sfociata in un matrimonio (e due figlie), matrimonio scosso a sua volta dal presunto tradimento (o semplice flirt) dell’ex giocatore dell’Inter con l’attrice argentina Eugenia, «China», Suarez. Come si sa la storia si complica perché Wanda è anche la manager di Mauro, di cui discute tutti i contratti

Andrea Pirlo-Deborah Roversi

Andrea Pirlo e Deborah Roversi si sono lasciati nel 2014, dopo ben 13 anni. I due si sono conosciuti quando lui era una giovane promessa del Brescia e dalla loro unione sono nati due figli, Nicolò e Angela, nati rispettivamente nel 2003 e nel 2006. Qualche anno fa, in un’intervista rilasciata a Vanity Fair, l’ex consorte aveva criticato l’ex centrocampista: «53mila euro al mese? Non ho mai visto tutti questi soldi. In occasione della recente sentenza della Corte di Cassazione che riguarda gli assegni in favore delle ex mogli, sono stata personalmente coinvolta come se fossi una donna che a dispetto del marito si è arricchita. L’assegno che mi è stato riconosciuto non è un assegno divorzile, ma è quello che la legge stabilisce nella separazione dei coniugi. L’importo non è quello indicato dai mass media, è di gran lunga inferiore».

Walter Zenga e Roberta Termali

Il portiere dell’Inter e della Nazionale Walter Zenga si sposa con la prima moglie, Roberta Termali, conduttrice televisiva italiana, nel 1992. Dalla loro storia d’amore nascono due figli, Andrea e Nicolò. I rapporti tra Zenga e i figli sono stati spesso contrastanti. Cinque anni dopo il matrimonio, nel 1997, i due si separano. Poi Walter si è sposato altre due volte.

Christian Vieri ed Elisabetta Canalis

Negli anni 2000 Bobo Vieri, attaccante dell’Inter, ed Elisabetta Canalis, all’epoca velina di «Striscia la Notizia», hanno occupato la maggior parte delle copertine delle riviste di gossip. Per anni hanno formato una coppia iconica, amata dai fan. Dopo la separazione, burrascosa, non è stato facile ricucire un’amicizia che sembrava inevitabilmente compromessa.

Massimiliano Allegri e Ambra Angiolini

Sono stati insieme dal 2017 al 2021. L’indiscrezione della loro separazione era arrivata inizialmente dal settimanale «Chi» che titolava: «Max Addio, è finita con Allegri». Per poi trovare conferma anche da Jolanda Renga figlia dell’attrice e di Francesco Renga. Del resto se ne parlava già prima dell’estate, poi i due erano stati paparazzati insieme in Costiera Amalfitana: baci, abbracci, coccole e selfie proprio per allontanare queste voci e mostrare al mondo che la passione fosse come quella dei vecchi tempi, nonostante gli impegni di entrambi. Invece, fu addio. Con relative polemiche quando Striscia la notizia decise di consegnare il Tapiro ad Ambra (la presunta tradita) e non ad Allegri.

Kakà-Caroline Celico

Nel giugno 2014 Kakà si è separato dalla moglie, Caroline Celico, che ha sposato nel 2005. La notizia è stata data da un agente del calciatore. Le voci sulla fine del matrimonio circolavano in Brasile già da un anno, quando il giocatore, senza la moglie, ha passato un periodo di vacanza nella paradisiaca isola di Fernando de Noronha. Tuttavia, all’epoca sia Kakà sia Celico avevano smentito la separazione. All’inizio di settembre, Caroline Celico aveva ammesso che il rapporto stava affrontando dei problemi. Ora Kakà si è risposato e ha avuto una figlia dal nuovo matrimonio.

Stefano Bettarini-Simona Ventura

Anche chi non segue il calcio ricorda certamente la storia tra il difensore Stefano Bettarini e la showgirl Simona Ventura, coronata con il matrimonio nel 1998, celebrato in diretta televisiva, e naufragata con il divorzio nel 2008, esattamente 10 anni dopo. Dalla loro unione sono nati i figli Niccolò e Giacomo, per quanto l’ex calciatore fosse stato presto accostato ad altre donne. Furono proprio i presunti tradimenti il motivo principale della rottura.

Aguero-Giannina Maradona

Tra la fine del 2012 e l’inizio del 2013 il Kun Aguero, che oggi si è ritirato dal calcio dopo i problemi cardiaci avuti con la maglia del Barcellona, e Giannina Maradona, la secondogenita di Diego, si lasciarono. Nel 2009 ebbero un figlio: Benjamin. Ad andarsene fu Giannina. Nessun tradimento e nessuna terza persona, sembra che a separare i due siano state le (complicate) questioni di cuore del celeberrimo papà di lei, il Pibe de Oro: l’ex attaccante di Manchester City e Barça avrebbe avuto, dissero in Argentina, la malaugurata idea di prendere le parti di Veronica Ojeda che aspettava un figlio da Diego e con cui i rapporti erano burrascosi.

Edinson Cavani e Maria Soledad Cabris

I due si sono sposati nel 2007, anno nel quale l’attaccante sbarcò in Italia, al Palermo, ma il matrimonio è durato pochi anni ed è finito principalmente a causa delle scappatelle di lui, che peraltro la lasciò a mezzo mail il giorno di Natale, almeno così raccontò lei.

Totò Schillaci e Rita Bonaccorso (e Lentini)

In moltissimi casi, e questo è uno di quelli, accade che i tradimenti vengono consumati restando nell’ambiente del calcio. Gianluigi Lentini aveva una relazione con Rita Schillaci, moglie di Totò Schillaci. Lo si seppe nell’agosto del 1993, dopo il grave incidente stradale in cui fu coinvolto l’allora giocatore del Milan. «Stavo andando da Rita», aveva ammesso poi l’ex rossonero.

Kevin De Bruyne e Caroline Lijnen

Carolone Lijnen, moglie del centrocampista del Manchester City e del Belgio, cercò di sedurre Thibaut Courtois, giovane portiere del Chelsea (oggi al Real Madrid), per vendicarsi del tradimento del marito, Kevin De Bruyne. Che, in City-Real della scorsa stagione, segnò con un gusto particolare all’ex rivale in amore. In Premier, nel 2010, John Terry, allora capitano del Chelsea, ebbe una relazione con la fidanzata di Wayne Bridge, difensore nella sua stessa squadra. Bridge lasciò il Chelsea e andò a giocare nel Manchester City

Se il tradimento è una forma di emancipazione. Umberto Galimberti La Repubblica il 28 Agosto 2022. 

Non è raro infatti che riveli quanti bisogni infantili, da cui ancora non ci siamo liberati, siano sottesi alla relazione d’amore. Umberto Galimberti risponde alla lettera di Massimo analizzando per noi cos'è un tradimento

Penso che il tradimento sia un costrutto mentale di chi si considera tradito. Quanto alla violazione della fiducia mi sembra troppo poco per gridare al tradimento. A mio avviso deve esserci a monte un tabù, qualcosa che, magari anche inconsapevolmente abbiamo elevato agli altari del sacro: la patria, l’ideologia, il partito, la famiglia o anche cose più banali.

Da tgcom24.mediaset.it il 28 agosto 2022.

Sole, mare, voglia di leggerezza, e alla fine ecco spuntare fuori un ragazzo (o una ragazza) bello e spiritoso capace di farci girare la testa al punto da cancellare nella nostra mente il partner rimasto a casa, dato che quest’anno abbiamo fatto vacanze separate. Insomma, abbiamo avuto un flirt estivo. 

Non è proprio un comportamento corretto nei confronti del nostro lui “ufficiale”, ma la scappatella sotto l’ombrellone è un classico delle vacanze, tanto comune che, nel caso di ferie per conto proprio, in tanti lo mettono in conto fin dall’inizio. Ma è una buona idea?

PERCHÉ CI SI CASCA – Le ragioni possono essere mille, anche se si parte armati di buona volontà per non far accadere nulla del genere: sulla spiaggia, sotto il solleone, siamo poco vestiti e la vista di un bel corpo può bastare ad accendere il desiderio. Poi scatta il pensiero: un flirt estivo comincia e finisce in riva al mare, non viene a casa con noi e lui (o lei) non lo saprà mai. 

Non ci sono coinvolgimenti emotivi e non ci saranno spiegazioni da dare o sospetti da fugare. Del resto, il bello degli amori vacanzieri è proprio la loro leggerezza e la loro naturale data di scadenza, alla fine delle vacanze.

E AL RITORNO? – Se è vero che lui o lei non lo verrà mai a sapere, noi invece ne siamo però interamente consapevoli. Se la nostra storia “ufficiale” è seria e importante, non possiamo non sentirci in colpa: abbiamo tradito un patto di fiducia e un impegno di sincerità reciproca. 

Poco importa se abbiamo il sospetto che lui (o lei) si siano comportati nello stesso modo nei nostri confronti, a meno che la nostra avventura estiva non sia nata per proprio per rivalsa. In ogni caso, una volta a casa è bene non sollevare l’argomento, dato che non siamo innocenti e non abbiamo alcun diritto alla gelosia. Se ci sentiamo inquieti e sofferenti, facciamo tesoro di queste sensazioni sgradevoli, nel caso si dovesse presentare una prossima volta e manteniamo il silenzio.

NEGARE FINO ALLA MORTE! – Il senso di colpa che ci accompagna deve restare un problema nostro: proibito “liberarsi la coscienza” e confessare la scappatella. È un torto doppio che facciamo al nostro partner: prima l’infedeltà, poi l’incapacità di risparmiargli l’umiliazione e il dispiacere per il torto subito. 

Lo stesso vale, a parti rovesciate, se siamo state noi a patire l’offesa: non permettiamogli di confessare, a costo di dileguarci e sfuggirlo con ogni mezzo. Neghiamoci al telefono, su WhatsApp e non andiamo troppo a ispezionare le gallery che lui ha postato sui social, per non accendere sospetti troppo brucianti.

LE TRE PUNTE DEL TRIANGOLO – I vertici di un triangolo sono per lo più ad angolo acuto: così acuto che pungono e fanno male. Un tradimento, che sia estivo o "classico", ha sempre la caratteristica di far soffrire. L’ingresso di un terzo elemento, estraneo alla nostra storia, deve farci riflettere, anche se a tradire siamo state noi. Che cosa ci ha spinto nelle braccia di un uomo appena conosciuto?

O al contrario, perché lui si è concesso una storiella? Certo, le situazioni affascinanti della vacanza, la cornice romantica fatta di nuotate al largo, cocktail sotto la luna e di spiagge al tramonto non possono reggere il confronto con le cornici in cui viviamo quotidianamente. Ma il nostro partner è il compagno di strada con cui dividiamo ogni giorno: siamo forse annoiate dalla routine che addormenta la passione? 

Ci sono magari incomprensioni e fratture di cui non ci eravamo mai accorte e che adesso invece vengono alla luce? È il caso di fare un esame di conoscenza e rispondere con sincerità a noi stesse, per capire se la nostra (o la sua) cotta estiva non siano un segnale di stanchezza che vale la pena prendere in considerazione. 

Se poi ci rendiamo conto di avere commesso qualche mancanza nei suoi confronti, o se qualcosa di lui ci ferisce e ci mette in sospetto, può essere una buona idea affrontare (con tutta la calma possibile) un chiarimento nel quale mettere a fuoco tutto quello che non va. 

SE LUI LO SCOPRE – Che fare se alla fine lui ci scopre? Sembrava un’eventualità remota, ma non potevamo non sapere che in queste cose il rischio zero non esiste. Può bastare una foto postata da un amico, o un oggetto ricordo che ci siamo dimenticate di far scomparire, qualche messaggio che non abbiamo avuto il tempo di cancellare: le bugie hanno le gambe corte, proprio come dice il proverbio.

Se siamo state così sfortunate da farci “pizzicare” non ci resta che essere sincere fino in fondo e chiedere scusa, nel modo più convincente possibile. A questo punto, possono succedere due cose: lui potrebbe essere così innamorato e magnanimo da perdonarci, oppure potrebbe mostrassi intransigente e rompere la relazione. Comunque vadano a finire le cose, non ci resta che accettare la situazione e fare del nostro meglio per andare avanti, tenendo bene a mente la lezione per la prossima volta.

Attrazioni fatali e occasioni perse. Una celebre immagine del film-cult «Attrazione Fatale». Certi treni, li si prendesse, si farebbe del bene oltre che a sé, anche all’atmosfera collettiva. Lisa Ginzburg su La Gazzetta del Mezzogiorno il 20 Agosto 2022.

Si incontrano a un concerto di musica leggera, in un anfiteatro, posti numerati. Lei è andata con un’amica, lui da solo. Entrambi si apprestano a girare la boa dei cinquant’anni, ma ovviamente ancora non sanno di essere coetanei. Si trovano seduti vicini, gli avambracci si sfiorano, qualcosa di quel contatto subito sprigiona elettricità. Come succede con le attrazioni «fatali», ovvero decise e governate dal destino, i corpi intuiscono subito quel che le menti impiegheranno magari molto tempo a decifrare, o a non comprendere mai. Ovvero che quel lui e quella lei parlano la stessa lingua, che se ascolteranno ciò che la vita intende dir loro, capiranno che sono destinati a comprendersi, piacersi, scambiarsi, forse addirittura innamorarsi. Certo, pare strano che si scateni una cosa tanto forte al semplice sfiorarsi di due che si trovano a sedersi su poltrone vicine: eppure, sarà fatalità, convergenza astrale, sarà quel che sia, durante quel concerto, nella semioscurità dell’anfiteatro ora che è calata la sera e le sonorità della musica leggera raggiungono il cielo spargendosi nell’aria, mentre l’amica di lei assorta e felice segue lo spettacolo, lei e lui si voltano leggermente, più volte, si scambiano sorrisi, timidi prima, poi più arditi, sino allo scambio dei rispettivi numeri di telefono quando l’amica a concerto finito si allontana per chiamare il marito.

Messaggi whatsapp sempre più caldi nei giorni successivi – del resto è estate, seguire l’istinto, e gli istinti in genere pare possibile, legittimo, anche giusto - . Sino a quando lui non la invita per un aperitivo nella sua mansarda in pieno centro, e lei, nemmeno troppo timorosa, si decide ad andare. Ormai ha elementi sufficienti per essersi fatta un’idea, del proprio intuito si fida e l’intuito le ha detto che può fidarsi. Scapolo lui, «per scelta», le confida mentre sorseggiano il primo spritz. Lei invece separata in casa, ma si vergogna a raccontarlo, risulterebbe quel che è, una donna indecisa, che non trova la forza di prendere in mano la propria vita in nome di un figlio adolescente del quale però nulla racconta, non le sembra opportuno. Racconta invece della vita da separata in casa, del malinconico divano sopra cui dorme da tre anni ormai, del marito che non vuole vederla andar via e pur di salvare le apparenze le chiede di restare, languire entrambi immobili in una falsa vita e una stasi logoranti.

Hanno vite diverse, lei e lui che ora bevono l’aperitivo, diversissimi i loro gradi di libertà – lui single per scelta, lei di fatto coniugata sebbene sostenga di non voler esserlo più. Li accomuna non riuscire a andare oltre le rispettive non desiderate condizioni: lui non riesce a trovare una donna adatta a costruire una relazione e comincia a chiedersi se davvero ne sia capace, lei non riesce a trovare il coraggio di concludere il matrimonio, separarsi per davvero, non solo «in casa», mutare infine quel triste divano in una soluzione vera e propria, tutta per lei.

Dopo che sono andati a letto (al secondo spritz, come era molto probabile succedesse, questo è avvenuto), nelle settimane successive i messaggi si fanno rari, da entrambi i lati, rari e guardinghi: lasciato l’ardire del reciproco «adescamento», ora le parole sono poche, felpate, estremamente prudenti. La chimica dei corpi ha funzionato troppo bene, mantenendo le promesse di elettricità del primo sfiorarsi, seduti vicini al concerto; per entrambi la possibilità di innamorarsi è troppo concreta, a portata di mano. Tutto incandescente, infiammabile, pericoloso. Di nuovo all’unisono, come fossero guidati da un implicito tacito accordo, entrambi si dileguano, ciascuno tornando ad auto-confinarsi nello stesso limbo in cui languiva prima di incontrare l’altro. Lui resta scapolo, lei separata in casa. Scampato il pericolo di un innamoramento «vero», potranno riprendere a mandarsi messaggini fitti di cuori e passione repressa, che si è deciso è «impossibile». Quel che conta è obbedire al sogno, non alla realtà; trincerarsi nel «sarebbe stato possibile se» anziché con coraggio dispiegare le ali e aprirsi al nuovo, a un altro sopraggiunto per destino, senza filtri.

Una storia quasi vera, più comune di come si immagini: se la racconto (ora che è estate, fine estate, e insieme alla voglia di leggerezza c’è più tempo per riflettere, tante volte a fine agosto pensare molto è «un classico») e perché conosco tante, troppe storie come questa. Storie di occasioni perse. Vicende che condannare non si può, certo, perché ogni esistenza ruota attorno a equilibri delicati, assolutamente personali. Eppure: certi treni, li si prendesse, si farebbe del bene oltre che a sé, anche all’atmosfera collettiva. Magari sarebbe stato un amore breve, quello scoccato nell’anfiteatro dove si teneva il concerto e proseguito nella mansarda di lui. Ma a seguire quell’incontro, quantomeno un po’ più a lungo, sia lei che lui sarebbero potuti approdare più lontano, ciascuno lungo il suo cammino. Molte volte si ha un freno a mano tirato, e sbloccarlo è difficilissimo; anche quando le condizioni ci sono tutte, o quasi tutte, vince la paura di volare.

Amore o amicizie? Il dilemma d’estate. Piccolo vademecum per trascorrere al meglio le vacanze nel mese di agostofra sentimenti e desideri. Lisa Ginzburg su La Gazzetta del Mezzogiorno il 30 Luglio 2022

Arriva agosto, «agosto moglie mia non ti conosco», agosto in cui molte volte la vacanza migliore la fai con gli amici molto più che con coniugi, fidanzati, innamorati, amanti.

Sono molte le virtù dell’amicizia, diverse in modo antitetico da quelle dell’amore. Anzitutto, l’amicizia è libera: puoi non vederti per anni, ma quando ti ritrovi sembra non sia passato nemmeno un giorno, e proprio quello è molte volte il segno inequivocabile che si tratta di vera amicizia. E poi, l’amicizia è rispettosa, sa aspettare quando le strade per un po’ si allontanano. E l’amicizia è sobria, non conosce il tormento di passioni eccessive e tumultuose; certe volte può essere gelosa (di altri amici) ma di norma l’amicizia lascia respiro, molto spazio, non chiede esclusività, e questo getta luce e bellezza su tutto – la luce della libertà, la bellezza rigenerante dell’ossigeno.

Eppure: c’è una caratteristica peculiare dell’amicizia che la rende stranamente più sentimentale dell’amore, e che riguarda il momento (quando e se accade) della sua fine. Quando una grande, vera amicizia finisce, la sensazione che ci lascia dentro è spesso più difficile da gestire e da elaborare rispetto a quando finisce un amore. Lì il dolore certo è grandissimo, e metabolizzare la conclusione di una storia d’amore, a meno di fughe in avanti e di rimozioni dichiarate, subito e troppo in fretta «rifacendosi un’altra vita», è un percorso lungo e accidentato, difficile e tormentoso. In qualche maniera, assumere la fine di un amore equivale a elaborare un lutto.

Ma la fine di un’amicizia, di una grande amicizia, per certi versi è evento ancora più traumatico. Un accadimento che sparge attorno a sé un silenzio assordante, talvolta definitivo. Un dispiacere da cui non ci riprendiamo in nessun modo, perché quasi sempre non riusciamo a capire, capire per davvero. Già, le ragioni per cui una vera amicizia si conclude sono più sottili e complesse da comprendere e dipanare rispetto a quelle che fanno finire una storia d’amore. Anche perché l’amore è contatto, è fisicità, è carezze o schiaffoni, è lacrime, umori, parole a fiume, crisi che travolgono come valanghe dopo gioie che come altrettante valanghe ci hanno sommerso, e riempito, e cambiato la vita. E la fisicità fa sfogare e fa esprimere, paradossalmente aiutando a chiudere quando le cose devono chiudersi.

L’amicizia no, cresce e si assesta e tramonta su altri parametri, su altri patti. È fiducia, è fedeltà, è rispetto ed è spazio; ma se un’amicizia si incrina, è molto difficile e raro che essa trovi le parole per dire il come e il perché, per sancire e decretare che si è arrivati al capolinea.

La fine di un’amicizia lascia attoniti, increduli e senza parole: è lutto che tante volte resta non detto, e perciò profondissimo e che superare è impossibile. Viviamo in una cultura che tutto concentra con enfasi sull’amore, l’amore romantico, quello che quando finisce ti fa scrivere poesie o comporre canzoni e ti porta a gridare al mondo la tua infinita pena. Ma un mondo che poco o nulla racconta del dolore di quando a finire è un’amicizia: un genere di dispiacere invece anche quello acuto, vivo, che punge il cuore e lo trafigge. Una pena che tanto racconta di noi, e che invece quasi sempre teniamo nascosta e non raccontiamo a nessuno perché soffrire per un amico o un’amica che ha smesso di essere tale è qualcosa che non è contemplato, che non solo è antiretorico, proprio non fa parte della nostra cultura dei sentimenti.

Sarà perché le amicizie, quelle profonde, finiscono per motivi più enigmatici e misteriosi rispetto agli amori. Certo quando un’amicizia si incrina non ci sono lacrime o sfoghi o poesie o canzoni per lenire la sensazione di perdita. Si spengono nel silenzio, le amicizie, silenzi sepolcrali che non si sa come interrompere, perché riannodare i fili di un’amicizia che si è «complicata» è difficile, troppo difficile, e un impegno «socialmente» inutile.

Godiamole dunque le nostre amicizie, nel tempo sospeso e lento dell’estate soprattutto. E dribblando certi luoghi comuni, riflettiamo che la vita del cuore non è fatta soltanto di amori, come la retorica maistream vuole dirci. Del cuore e delle sue ragioni fanno parte gli amici, gli amici veri. Che sono fonte di gioia, talvolta di terribili delusioni e dispiaceri, come che sia di spazio, ossigeno, aria. Andiamo in vacanza anche con gli amici se possiamo, e diversamente, facciamoci vivi con loro. Non ci si pensa abbastanza, ma il benessere del nostro spirito tanto ha a che fare con la qualità delle nostre amicizie. Molto più di quel che si dice, e si sa.

Certi amori poi finiscono... È addio tra Wanda e Icardi. Nuova crisi tra il calciatore e la moglie. Lei: "Non ne posso più". Al capolinea anche la Neri e Amendola. Valeria Braghieri il 5 Agosto 2022 su Il Giornale.

E dire che era uno di quegli amori suggellati anche dai tatuaggi. Se lo erano meritato un marchio eterno, dopo tutte quelle avversità. L'inizio faticoso dovuto alla fine del matrimonio tra lei (Wanda Nara) e Maxi Lopex, uno dei migliori amici di lui (Mauro Icardi) in tempi e modalità a quel punto un po' sospetti; il controversa metamorfosi di lei da semplice moglie a procuratore calcistico dopo una defatigante gavetta di qualche mese a gestire i social dell'attaccante (allora) Neroazzurro; il disastroso contributo di Wanda all'unità di squadra: ha sfasciato lo spogliatoio dell'Inter e si è riempita la cabina armadio di Louboutin; il polemico, ostile, deludente passaggio del calciatore argentino al Psg, dove, perennemente in panchina, si è trasformato in un automa in ricarica; il gossip (ottobre 2021) di un presunto flirt di Icardi con l'attrice Eugenia Sanchez: lì erano volati gli stracci... Wanda che insulta l'altra, Wanda che insulta Icardi, Wanda che si sfila l'anello nuziale e posta l'anulare nudo su Instagram, Wanda che parte, Icardi che la insegue, Icardi che le manda le rose, Icardi che le scrive parole d'amore sui social... Alla fine lei lo aveva perdonato, era tornata a casa con tutti e cinque i figli (le due di Mauro, i tre di Max) e aveva assicurato che «di lui mi fido di nuovo, potrei riempire la stanza con 200 donne...». Sembravano ormai al riparo in una nuova vita antisismica, complice il fatto che lei non si è mai arresa e, frugando alla cieca nel suo illimitato ego aveva trovato la formula del matrimonio erfetto: «ho sette anni più di Mauro, ci tengo ad essere sexy». Insomma c'era di che festeggiare con aghi e inchiostro e quindi, puntuali, erano arrivati nuovi tatuaggi. Solo che ieri, grazie ai media argentini, è arrivato anche un messaggio vocale registrato da Wanda: «Sono venuta in Argentina perché sto divorziando da Mauro. Sto organizzando il divorzio al momento. Starò ancora qualche giorno e poi torno a prendere tutto il necessario. Sto organizzando le cose per il divorzio perché non ne posso più». Delle ragioni non si sa ancora nulla ma confidiamo che, trattandosi di «Wandagate», basti aspettare. Intanto i media si sono precipitati a fare i conti in tasca alla coppia per capire come divideranno cosa: case, soldi e macchine di lusso, macchine di lusso, macchine di lusso. Triste ma inevitabile se si tratta della fine di un «matrimonio brand». Un po' come un mesetto fa è accaduto per la cantante Shakira e il difensore del Barcellona Gerard Piqué, insieme da dodici anni, due figli e, pare, un'imperdonabile distrazione da parte di lui per una misteriosa ragazza «dagli zigomi marcati».

Un po' come, subito dopo, è accaduto per l'ex ma «eterno» Capitano della Roma, Francesco Totti, e la showgirl Ilary Blasi: tre figli, diciassette anni di matrimonio e la schiacciante responsabilità di essere la coppia «presidenziale» della Capitale. Sembra, infatti, che l'unione fosse già finita da un anno ma che i due si fossero accordati sul massimo riserbo per i figli e, forse, per il pubblico. Per questo avevano mantenuto segreti la presunta relazione di Totti con Noemi Bocchi e il misterioso, fantomatico flirt di Ilary con non si sa chi.

Ieri poi, è arrivata anche la notizia dell'amore finito, dopo venticinque anni e un figlio, della coppia di attori Francesca Neri e Claudio Amendola. Talmente dissimili da essere perfetti insieme, quei due. Eppure... Solo qualche mese fa, intervistati in tempi e sedi diversi, entrambi avevano parlato della malattia di Francesca (la cistite interstiziale cronica) e avevano avuto reciproche parole d'amore. Sarà che l'insoddisfazione è il marchio di fabbrica della specie umana. O sarà che non sono bastati i tatuaggi.

V.Arn. per “il Messaggero” il 5 agosto 2022.

Galeotta fu l'estate. E per più di una coppia. Paolo Crepet, psichiatra e sociologo, come mai l'estate sembra segnare la fine di tanti amori, anche vip, apparentemente solidi?

«Accade in estate e pure a Natale, ossia nei periodi di vacanza. I giorni più critici sono 15 agosto e 26 dicembre. Lavorando, spesso si esce la mattina presto e si torna la sera tardi. 

Quanto questi ritmi vengono a mancare, si ha il tempo di porsi domande e capire che si sta vivendo una situazione che non si sente più. Sono banali, banalissime, le cose che ti fanno comprendere che c'è estraneità tra te e la persona con cui hai un rapporto affettivo».

Alcune relazioni sembrano finire all'improvviso.

«Non credo alle coppie che si amavano e scoppiano all'improvviso. Questo nella mia professione non esiste». 

Sulle tante rotture di questa estate può aver inciso la vicinanza forzata per lockdown e pandemia?

«Il lockdown ha influito sicuramente sulla tenuta delle coppie italiane. La stragrande maggioranza è tarata sulla lontananza, è evidente che se si riduce lo spazio vitale diventa difficile gestirlo». 

Oggi storie, anche lunghe, si chiudono più velocemente di un tempo: è diverso il modo di intendere la coppia?

«Un tempo le donne non avevano lavoro e dovevano farsi andare bene anche quello che bene non andava. Oggi, fortunatamente, non è più così».

Valeria Braghieri per “il Giornale” il 5 agosto 2022.

E dire che era uno di quegli amori suggellati anche dai tatuaggi. Se lo erano meritato un marchio eterno, dopo tutte quelle avversità. L'inizio faticoso dovuto alla fine del matrimonio tra lei (Wanda Nara) e Maxi Lopez, uno dei migliori amici di lui (Mauro Icardi) in tempi e modalità a quel punto un po' sospetti; il controversa metamorfosi di lei da semplice moglie a procuratore calcistico dopo una defatigante gavetta di qualche mese a gestire i social dell'attaccante (allora) Neroazzurro;

il disastroso contributo di Wanda all'unità di squadra: ha sfasciato lo spogliatoio dell'Inter e si è riempita la cabina armadio di Louboutin; il polemico, ostile, deludente passaggio del calciatore argentino al Psg, dove, perennemente in panchina, si è trasformato in un automa in ricarica; il gossip (ottobre 2021) di un presunto flirt di Icardi con l'attrice Eugenia Sanchez: lì erano volati gli stracci... Wanda che insulta l'altra, Wanda che insulta Icardi, Wanda che si sfila l'anello nuziale e posta l'anulare nudo su Instagram, Wanda che parte, Icardi che la insegue, Icardi che le manda le rose, Icardi che le scrive parole d'amore sui social... 

Alla fine lei lo aveva perdonato, era tornata a casa con tutti e cinque i figli (le due di Mauro, i tre di Max) e aveva assicurato che «di lui mi fido di nuovo, potrei riempire la stanza con 200 donne...». Sembravano ormai al riparo in una nuova vita antisismica, complice il fatto che lei non si è mai arresa e, frugando alla cieca nel suo illimitato ego aveva trovato la formula del matrimonio perfetto: «ho sette anni più di Mauro, ci tengo ad essere sexy». Insomma c'era di che festeggiare con aghi e inchiostro e quindi, puntuali, erano arrivati nuovi tatuaggi. Solo che ieri, grazie ai media argentini, è arrivato anche un messaggio vocale registrato da Wanda: «Sono venuta in Argentina perché sto divorziando da Mauro. Sto organizzando il divorzio al momento.

Starò ancora qualche giorno e poi torno a prendere tutto il necessario. Sto organizzando le cose per il divorzio perché non ne posso più». Delle ragioni non si sa ancora nulla ma confidiamo che, trattandosi di «Wandagate», basti aspettare. Intanto i media si sono precipitati a fare i conti in tasca alla coppia per capire come divideranno cosa: case, soldi e macchine di lusso, macchine di lusso, macchine di lusso. Triste ma inevitabile se si tratta della fine di un «matrimonio brand». Un po' come un mesetto fa è accaduto per la cantante Shakira e il difensore del Barcellona Gerard Piqué, insieme da dodici anni, due figli e, pare, un'imperdonabile distrazione da parte di lui per una misteriosa ragazza «dagli zigomi marcati». 

Un po' come, subito dopo, è accaduto per l'ex ma «eterno» Capitano della Roma, Francesco Totti, e la showgirl Ilary Blasi: tre figli, diciassette anni di matrimonio e la schiacciante responsabilità di essere la coppia «presidenziale» della Capitale. 

Sembra, infatti, che l'unione fosse già finita da un anno ma che i due si fossero accordati sul massimo riserbo per i figli e, forse, per il pubblico. Per questo avevano mantenuto segreti la presunta relazione di Totti con Noemi Bocchi e il misterioso, fantomatico flirt di Ilary con non si sa chi. 

Ieri poi, è arrivata anche la notizia dell'amore finito, dopo venticinque anni e un figlio, della coppia di attori Francesca Neri e Claudio Amendola. Talmente dissimili da essere perfetti insieme, quei due. 

Eppure... Solo qualche mese fa, intervistati in tempi e sedi diversi, entrambi avevano parlato della malattia di Francesca (la cistite interstiziale cronica) e avevano avuto reciproche parole d'amore. Sarà che l'insoddisfazione è il marchio di fabbrica della specie umana. O sarà che non sono bastati i tatuaggi. 

Gianluca Veneziani per “Libero quotidiano” il 25 luglio 2022.

La fine del matrimonio tra Totti e Blasi è parsa a molti la conferma che da una crisi di coppia non si esce se non con una separazione. Questa tesi viene contestata, sulla base di pratica e teoria, da Leonardo Trione, consulente matrimoniale e fondatore insieme a sua moglie di una comunità, l'associazione "Arca dell'Alleanza", in cui ha assistito 300 coppie in crisi, "salvandone" ben 200. 

Storie e numeri che gli hanno consentito di scrivere "La guarigione della famiglia ferita. Un libro e un metodo per salvare i matrimoni in crisi" (Shalom, pp. 256, euro 7), manuale per affrontare i passaggi a vuoto della vita coniugale e scongiurare separazioni, permettendo di rinnamorarsi. 

Trione, quali sono le cause più frequenti che determinano la crisi di una coppia?

«Dobbiamo partire dal presupposto che il conflitto è inevitabile nella coppia: è normale che essa attraversi momenti di crisi. Il termine crisi è associato erroneamente all'idea di fallimento, invece un evento del genere determina sempre un'opportunità di crescita per ripartire e ritrovare un amore più consapevole.

Detto questo, di solito il tradimento è il manifesto della crisi, ma è anche l'esito di una crisi nata molto prima. La fatica più grande è affrontare subito i problemi, chiedere aiuto e correre ai ripari. Invece generalmente si preferisce l'evitamento, e il tradimento rientra in questa strategia: anziché affrontare la difficoltà, eludo il problema e cerco un altro o un'altra. 

Non a caso, più della metà delle coppie che arrivano da noi hanno già iniziato una relazione extraconiugale, consumando l'atto o coltivando il tradimento tramite chat. Ma, alla base, ci sono cause più profonde, che vanno dalla cattiva educazione all'amore alla frustrazione di coppia, sia affettivo-sentimentale che erotica». 

Il primo punto da cui partire per affrontare una crisi si può sintetizzare così: "il senso della relazione conta più del sentimento e del sesso"?

«Sì, viviamo in un tempo che esalta la sensualità come valore assoluto. Quindi ciò che mi dona piacere si afferma, ciò che mi provoca dolore è male. E spesso i coniugi fanno scelte in base a .m."e j 4. -. r 4 No al mito di "Due cuori, una capanna": non bisogna idealizzare il matrimonio come una bolla fuori dalla società.

Ridare spazio alla tenerezza: la tenerezza è il sentimento più forte che alimenta anche la dimensione erotica (non è vero che il desiderio sessuale è destinato fatalmente a esaurirsi) ciò che sentono o non sentono. "Non sento più nulla per te" diventa spesso la frase con cui ci si lascia. Ma il piacere e il sentimento per definizione sono momentanei. Anziché sul sesso o sul sentimento, io propongo allora di concentrarsi sul senso della relazione, in pratica chiedo ai coniugi di ritagliarsi dei momenti di ascolto per chiedersi perché si sono sposati, cosa li lega ancora oggi e se credono ancora nell'impegno assunto. È una sorta di "check up" periodico, di verifica coniugale, da fare una volta a settimana; un'opportunità per andare in profondità alla relazione, ritrovare ciò che c'è di bello e affrontare ciò che non funziona». 

Lei suggerisce di fare gesti concreti d'amore anche quando non li si sente. Non si rischia così di essere ipocriti?

«Non è ipocrisia, ma una piccola "forzatura" accompagnata da un atto di umiltà, perché significa non concentrarsi solo su ciò che ci ha ferito o deluso, sul risentimento o sul sentimento in calo. Si tratta di passare dal "sento di amarti" allo "scelgo di amarti". In questo modo impegno tutta la mia persona, non solo la parte emotiva. E, anche quando a livello sentimentale qualcosa viene meno, faccio responsabilmente un'azione che magari non corrisponde a quello che provo, ma che poi mi aiuterà a riscoprire i sentimenti. Perché non dobbiamo dimenticarci che l'amore è una scelta, non un sentimento. Il sentimento nutre l'amore, ma non è l'amore».

È giusto dire, a riguardo, che oltre che una persona si ama e si sceglie l'istituzione matrimonio e l'impegno che comporta?

«Sì, l'amore è una scelta che impegna la volontà e richiede responsabilità. Verso il coniuge ma anche e soprattutto verso l'istituzione e/o il sacramento grazie a cui ci si è uniti». 

Lei pone l'accento sulla tenerezza coniugale, sulla necessità di carezze e coccole. L'affidarsi solo a quello non sacrifica la parte più passionale del rapporto? Per dirla con De André: «Non resta che… qualche svogliata carezza e un po' di tenerezza».

«No, al contrario la tenerezza mantiene a galla l'amore. Educarsi alla tenerezza significa vivere l'intimità coniugale in una esperienza più significativa e profonda, che riconosce la persona nella sua interezza, non solo come un corpo. La tenerezza non è tenerume, non significa essere deboli o sdolcinati. Al contrario, è un sentimento forte, esprime protezione, coraggio e accompagna la parte erotica. E la bella notizia è che il calo del desiderio in una coppia non è una condanna irrevocabile: anzi, grazie alla tenerezza, si fa meglio l'amore dopo una crisi superata». 

Dal linguaggio del corpo a quello verbale. Quali strategie comunicative adottare per ricucire la frattura col partner?

«Siamo spesso abituati a una comunicazione di coppia che adotta una modalità imperativa del tipo "Devi andare a prendere nostro figlio", "Mi raccomando, vai a fare la spesa". Basterebbe passare a un metodo empatico che ricorra a espressioni come "Mi piacerebbe questa sera uscire insieme", "Che ne diresti di andare a prendere nostro figlio, te la senti?" Quando coinvolgiamo l'altro, questo non si sente più un burattino. E smette di fare le cose solo perché deve». 

Lei propone anche di usare il Noi nelle discussioni.

«Sì, i litigi sono momenti in cui di solito si usa il Tu per attaccare e l'Io per difendersi. Invece, un metodo intelligente è ricorrere al Noi quando si discute, condividendo le responsabilità. È la condivisione nello scontro, il mettersi in discussione durante una discussione». 

Perché è importante fare regali in una fase di crisi?

«È una forma di attenzione che contribuisce a superare la distanza. Nel donare un oggetto c'è il tendere la mano, che è più importante dell'oggetto stesso, anzi è il vero regalo».

Il passaggio più difficile è affrontare un tradimento. Come si fa?

«Suggerisco di demitizzare il tradimento: quella che appare come una parentesi straordinaria ed eccitante è tale solo perché calata fuori dalla quotidianità. Sono le stesse coppie a riconoscere che si tratta di un paradiso artificiale, una fuga che non ha garantito soluzione ai problemi. Ma è possibile superare un tradimento e perdonarlo solo se si riesce a dare un senso al tradimento stesso, cioè a capire perché si è arrivati fino a quel punto, senza banalizzarlo come una scappatella. Conta poi il sacrificio, inteso come apertura di credito da parte del coniuge tradito e come rinuncia a relazioni extraconiugali da parte del traditore. Quel doppio sacrificio è un investimento per imparare ad amare di più e meglio». 

Perché i miti di "due cuori e una capanna" e della "famiglia-azienda" sono la morte della coppia?

«Quanto al primo, il problema è che molte coppie prima di sposarsi idealizzano il matrimonio come un rapporto esclusivo fuori dalla società. Ma così ci si concentra solo sulle dinamiche della vita coniugale, senza possibilità di un confronto con l'esterno. E più ci si concentrerà su di esse, più ci sarà il rischio di restarvi imprigionati. 

Quanto alla famiglia-azienda, il pericolo è intendere la vita di coppia come un servizio in cui tutto deve funzionare alla perfezione. Ma questa visione si scontra con la realtà che è sempre, e per fortuna, imperfetta. Molte crisi nascono dalle aspettative troppo alte verso partner che poi, nella relazione, inevitabilmente deludono. Meglio allora fare bagni di quotidianità e mettere in conto i limiti altrui, traendo reciprocamente forza dalle proprie debolezze».

Credere in Dio aiuta davvero a far durare di più un matrimonio?

«Sì, la migliore relazione è a tre, perché coinvolge pure Lui. E la fede è la migliore promessa di eternità: ci convince che anche l'amore può durare in eterno». 

Puglia regina per corna e scappatelle, Bari meta prediletta. Vacanze e tradimenti: Bari è tra le città preferite per incontri extraconiugali. Boom di “infedeltà finanziarie”. Gianpaolo Balsamo su La Gazzetta del Mezzogiorno il 17 Luglio 2022.

BARI - Un mix perfetto tra mare, arte e cultura, fra tradizione e innovazione: che la Puglia sia uno dei luoghi più belli d’Italia, nessuno lo dubita. Ma, forse, non tutti sanno che proprio il «tacco» d’Italia è tra le regioni preferite non solo dai turisti ma, anche, dagli habituè della «scappatella» coniugale che, specie d’estate, vuoi per il profumo della salsedine o il clima di restrizione che abbiamo vissuto a causa del Covid sempre in agguato, vuoi per le calde notti estive o la presenza di una procace donna dallo sguardo ammiccante all’ombrellone accanto, per molti è sempre dietro l’angolo.

La conferma arriva dalla classifica 2022 delle città turistiche a più alto tasso di tradimento estivo stilata da «Ashley Madison», la piattaforma internet leader internazionale per chi è alla ricerca di incontri extra coniugali.

Ebbene, secondo la ricerca condotta sulla base delle preferenze raccolte dagli utenti iscritti al noto portale dedicato a chi cerca un’avventura al di fuori della coppia, tra le 20 mete più indicate per coloro che in vacanza vogliono tradire i loro partner c’è anche la città di Bari, unico comune del Sud Italia. Infatti, la maggior parte delle città più infedeli sono situate al centro-nord, mentre in vetta alla speciale classifica c’è Trieste, capoluogo del Friuli-Venezia Giulia, seguita da Roma e Milano.

«007» richiesti «È vero, c’è stato un boom di richieste di uomini e donne di altre regioni che sospettano il tradimento del proprio partner qui da noi, in Puglia. Inoltre, rispetto agli anni precedenti abbiamo registrato anche un incremento di circa l’80%, di persone di ogni fascia di età e ceto sociale, che sospettano di essere tradite, tanto che per andare incontro alle esigenze economiche di tutti abbiamo ideato un nuovo metodo investigativo che unisce innovativi strumenti tecnologici a tecniche tradizionali, quali i servizi di osservazione e l’appostamento».

A parlare è un esperto del settore, Aldo Tarricone, del gruppo Aldo Tarricone Investigazioni by FIRSTNet e 01Protection, una delle agenzie leader a livello regionale e nazionale nell’ambito delle indagini private.

«Spesso - ci racconta lo 007 di Bari - assistiamo a veri e propri tradimenti organizzati: c’è chi ha inventato trasferte lavorative per raggiungere l’amante in un’altra città, chi ha invece “mandato” in vacanza moglie e figli per restare nella propria città con l’amante». Questo significa che, contrariamente da quanto è avvenuto in passato a causa del Covid, quest’anno gli investigatori privati sono entrati in azione anzitempo con i loro servizi. 

Infedeltà finanziaria Ma in Puglia, ci racconta lo stesso Tarricone con un passato da ex ufficiale dell’Arma, c’è da registrare non solo una impennata dei casi di infedeltà sessuale e sentimentale. A preoccupare, infatti, è l’escalation delle «infedeltà finanziarie»: il fenomeno riguarda, ad oggi, almeno 6 coppie su 10, superando l’infedeltà fisica, e nel 12% dei casi porta alla separazione.

«Esatto. Solitamente l'infedeltà finanziaria - spiega meglio Aldo Tarricone - è legata all'infedeltà sessuale e sentimentale, perché la presenza di una terza persona, della quale il coniuge tradito ignora l'esistenza, già di per sé comporta delle spese, per viaggi, cene, camere l'albergo, regali e altro. A volte il traditore crea una vera e propria famiglia parallela, con un conseguente investimento economico di grande entità. In linea più generale, al di là della presenza o meno di una relazione extraconiugale, più della metà delle persone nasconde dei soldi al proprio partner. Sia per la necessità di sentirsi comunque economicamente indipendenti, sia per gestire acquisti personali».

Debiti economici «Molti hanno dei debiti, o situazioni economiche diverse da quelle dichiarate. Molti manager che perdono il lavoro non hanno il coraggio, ad esempio, di comunicarlo al coniuge, perché ciò significherebbe cambiare radicalmente vita. Si finge di avere per molto tempo, quindi, lo stesso tenore di vita, ma le conseguenze di questa condotta possono essere molto gravi per tutta la famiglia», aggiunge il rappresentante del gruppo «01Protection - Aldo Tarricone Investigazioni by FIRSTNet».

Insomma, così come avviene in tutta Italia, anche in Puglia non si tradisce solo con il corpo e con la mente, ma anche con i soldi, ed a farlo sono in moltissimi. Sempre secondo uno studio condotto da sito di incontri extraconiugali Ashley Madison, il 52% dei suoi 70milioni di iscritti (735.000 solo in Italia) ritiene il tradimento finanziario più grave di quello sessuale o comunque equivalente.

Nel 36% dei casi gli stessi intervistati hanno commesso atti d’infedeltà finanziaria, ed il 31% ritiene che questo tipo di tradimento possa portare alla rottura degli equilibri di coppia sicuramente più di una relazione fisica con un’altra persona.

Da liberoquotidiano.it il 29 giugno 2022.

Un malinteso che non è finito nel migliore dei modi per una coppia di amanti. A rovinare il loro momento intimo, non tanto il marito della donna quanto più i carabinieri. È accaduto a Ceccano, in provincia di Frosinone. Qui i vicini di casa hanno chiamato il proprietario fuori per lavoro di una villetta dicendogli di aver visto un estraneo entrare in casa. Immediata la reazione dell'uomo che ha alzato la cornetta e contattato le forze dell'ordine, spaventato e convinto che nell'abitazione si fosse intrufolato un ladro.

Peccato però che all'arrivo dei militari la sorpresa è stata un'altra: la persona in casa non era un malintenzionato, ma l'amante della moglie. A quel punto l'amante ha tentato la fuga, ma è stato fermato e identificato, mentre nei confronti della donna sono solo volate le parole grosse del marito. Un caso alquanto assurdo e che arriva dopo un altro strano caso di tradimento.

In Brasile, un uomo ha fatto ritorno nella propria abitazione prima del previsto: in casa c'erano la moglie e il suo amante. Capito che l'uomo stava tornando, il signore si è calato dal balcone finendo per cadere e morire sul colpo. Ad assistere una scena, anche in questo caso, la vicina ancora incredula. 

Alessandra Menzani da tremenza.com il 19 giugno 2022.

E se il “modello Pupo”, che racconta della sua relazione contemporanea con la moglie e l’amante nella stessa casa, fosse quello vincente? L’idea fa ridacchiare o anche peggio, è vero, ma se studiamo gli ultimi dati in fatto di corna, divorzi e coppie aperte forse non possiamo escludere che, se accettiamo l’idea che la monogamia sia difficile, insostenibile o comunque non duratura, allora la soluzione non è tradirsi di nascosto, ma diversificare alla luce del sole.

Scambismo, coppia aperta, poliamore: chiamiamo la cosa come ci dispiace meno. Il primo sito di incontri clandestini pensato dalle donne, Gleeden, che in tutto il mondo ha oltre nove milioni di utenti attivi (due milioni in Italia) ha realizzato un’edizione 2022 del suo Osservatorio Europeo dell’Infedeltà condotto dalla società inglese YouGov. 

Emergono tante cose, anche figlie di due anni di pandemia e lockdown che bene non hanno fatto, sintetizzabili in un polposo concetto: avere un solo partner sessuale è dura, ma parallelamente al tradimento classico, con bugie, inganni, sesso clandestino, tanti hanno capito che non è malaccio il caro vecchio scambismo, detto anche swinging. Ovviamente non lo usano come argomento alle cene come l’università dei figli o la meta delle vacanze. Si fa ma non si dice.

Passo indietro. A livello europeo, ma soprattutto italiano, quello che emerge dall’Osservatorio è come le coppie di lungo corso abbiano pagato cari questi ultimi due anni di pandemia: più del 30% degli europei rivela, infatti, di  sentirsi sessualmente insoddisfatto  all’interno del proprio tran tran casalingo. La sera sempre con il pigiamone davanti a Netflix, le liti per portare l’immondizia, la convivenza con smart working annesso, i figli che urlano, la noia: a meno che non si tratti di coppie fresche appena formate, il lockdown è stato una tortura e tanti amori si sono frantumati. I più frustrati risultano gli spagnoli, 41%, seguiti dagli italiani, 37%, che sono anche quelli che ammettono di sentirsi, più in generale, poco felici nelle loro relazioni (27%) contro una media europea del 79% di soddisfazione di coppia.

Gli italiani accusano il Covid di avere impattato negativamente le relazioni, rovinandole secondo il 31%, aumentando discordie, 22%, ammosciando la libido (19). 

Il passo successivo: l’aumento dell’infedeltà. Rispetto allo studio del 2019, negli ultimi 3 anni il tasso di infedeltà in Europa è cresciuto del +19%, passando dal 34.5% del 2019 al 41% del 2022. 

Se nel 2019 “solo” il 36% delle donne ammetteva di aver tradito il partner, quest’anno le intervistate infedeli salgono al 39% (+8%), in particolare in Italia e nel Regno Unito dove la percentuale passa dal 33% del 2019 al 41% del 2022. L’unico Paese dove il fenomeno è in calo è, invece, la Germania. Le donne sono arrivate dunque a tradire quasi quanto gli uomini in termini numerici: le signore italiane che cedono alla scappatella passano dal 33% del 2019 al 41% del 2022; cala, invece, quella maschile che scende dal 55% al 49% (-12%).

Si riducono essenzialmente a tre i motivi con cui le donne spiegano perché vanno a cercare nuove emozioni. Sono la mancanza di appagamento, la voglia o la necessità di provare sensazioni forti, il desiderio di mettersi di nuovo in gioco per appagare la propria autostima. 

E fin qui, nulla di rivoluzionario. Il dettaglio interessante è un altro. Emerge come le coppie più  insoddisfatte non diventino necessariamente coppie infedeli. Con un briciolo di fantasia e perversione, ci si reinventa senza per forza mentire e tramare di nascosto, cose che alla lunga portano all’inevitabile separazione. 

Si sperimentano nuove forme di relazione non monogame: coppia aperta, scambismo e poliamore. Gli italiani, anche in questo, non si fanno pregare e rispondono all’appello per il 34%. Non si vuole lasciare il partner ma “solo” diversificare, divertirsi, provare cose nuove e aumentare l’autostima.

Non a caso sono 700mila gli italiani che nell’ultimo anno frequentano club dove si pratica lo scambismo, ma anche luoghi meno notturni come le spa dedicate e i villaggi nudisti e compagnia cantante. Un libro uscito di recente, La mia prima volta in un club privè: 50 coppie raccontano (Erga Edizioni), è firmato da Augusto Pistilli, presidente di Asx-Assosex.  Andiamo verso la normalizzazione dello scambismo, forse.

Aspettiamo solo che accanto a un Pupo che vive con moglie e amante sotto lo stesso tetto, una donna famosa o non faccia coming out con una storia simile: ammette, racconta, condivide la sua vita con il marito e con l’amante ufficiale. Esisterà?

Dagotraduzione dal Daily Mail il 19 giugno 2022.

Gli uomini che amano il sesso sono generalmente trattati come idoli, ma cosa succede invece quando una donna ha una libido molto alta e sceglie magari di avere partner diversi? Viene subito additata come una ninfomane, o offesa pubblicamente, a testimonianza del fatto che esistono ancora due pesi e due misure nel giudicare la vita sessuale maschile o femminile. Cosa significa essere una donna con una libido molto alta oggi? La sexesperta inglese Tracey Cox lo ha chiesto a quattro donne in fasi della vita diverse. Ecco le loro storie: 

Laila, 30 anni, dice che gli uomini fingono di volere una donna che desideri costantemente il sesso, ma quando ne hanno una, la trovano minacciosa. “Gli uomini mentono quando dicono di volere una donna che ama il sesso”, dice Laila, che attualmente è single. 

“All'inizio sono tutti: 'Wow! Sei fantastica. Mi piace quanto ami il sesso'. Poi, quando io voglio fare sesso e loro no, si trasformano in: ‘C'è qualcosa che non va in te. Abbiamo già fatto sesso oggi. Perché non è mai abbastanza?’. Se smetto di assillarli, arrivano le accuse di tradimento. 'Ti conosco! Se non fai sesso ogni giorno, ti arrampichi sui muri. Devi prenderlo da un'altra parte!’. Una volta ho avuto una relazione di un anno con un ragazzo e siamo diventati molto amici con il suo migliore amico e la sua ragazza. Quando ci siamo lasciati, la ragazza mi ha detto che il mio ex aveva detto loro che ero una "troia" e una "ninfomane" perché non ero mai soddisfatta.È la maledizione della donna ad alta libido: ti chiamano sempre troia o puttana, o peggio.”

Gli uomini non sono abituati a donne che non si vergognano di amare il sesso e di volerne tanto.

Alice ha 21 anni, è single e sta completando una laurea in legge. 

“Sono così felice di essere nata nella Generazione Z. Amo il sesso e non mi sono mai vergognata di provarlo. So che non è sempre stato così e mi dispiace per le donne che mi hanno preceduto. Il sesso non è una cosa importante per la mia generazione. Non ci sono "appuntamenti", è molto più informale. Se ti piace qualcuno, ci fai sesso e poi magari più avanti potrebbe nascere una relazione. Il sesso non è qualcosa che si conserva per una persona "speciale". Non sento di dover aspettare un certo periodo di tempo prima di farlo o di essere giudicata. Penso di essere così rilassata riguardo al sesso perché mia madre e mio padre sono fantastici al riguardo. Mi hanno parlato di sesso, contraccezione e consenso mentre crescevo. Vivo a casa e mamma mi compra i preservativi e mi ordina i kit per il test a casa se temo di avere una malattia sessualmente trasmissibile. Sono abbastanza brava e uso la protezione la maggior parte delle volte, ma non sempre. Sono umana!

Durante l'isolamento ho guardato un sacco di porno. Ho fatto sesso Zoom un paio di volte con un ragazzo e ho continuato con il fai-da-te e il mio vibratore. È stata dura per me. Faccio molto sesso normalmente e ho due amici con cui vado a letto. Non tengo il conto di quante persone sono state a letto con me, è irrilevante. Non conosco nessuno che lo faccia. Il sesso è naturale e non c'è nulla di cui vergognarsi. È ovvio che lo facciamo tutti, è quello che si fa quando si è giovani!” 

Grace ha 46 anni e ora ha una relazione felice da quattro anni.

“Ho scoperto molto presto quanto fosse piacevole il sesso. Ricordo che a 13 anni stavo nuda davanti alla finestra della mia camera da letto, che dava su una strada abbastanza trafficata. Volevo che la gente mi vedesse e mi eccitava moltissimo il pensiero di eccitare gli altri semplicemente scoprendo il mio corpo. Ho perso la verginità a 16 anni, ma già dall'età di 13 anni mi divertivo con i ragazzi, lasciando che mi toccassero il seno o mi infilassero le dita dentro. Non avevo idea di essere diversa dalle altre ragazze. Sapevo solo che a volte la voglia di fare sesso era irrefrenabile. Solo quando ho iniziato a parlare di sesso con le mie amiche, alla fine dell'adolescenza, ho capito che non era la norma. Il mio elevato desiderio di sesso è diventato uno scherzo tra i miei amici. Sapevano tutti che ero "pazza per il sesso" e che andavo a letto con molti più ragazzi di loro. Non mi sono mai sentita promiscua. Per me il sesso era una questione di potere e di accumulo. Spesso costringevo gli uomini ad aspettare un mese per venire a letto con me. Indossavo lingerie provocante e proibivo loro di fare qualsiasi cosa che non fosse baciarmi».

«Una volta iniziato a fare sesso, mi stancavo presto di loro. Credo che il gioco mi piacesse tanto quanto il sesso. Non ero molto brava a rimanere fedele. Il mio schema abituale, dai vent'anni ai quaranta, era quello di avere tre ragazzi contemporaneamente. Uno era il ragazzo con cui mi vedevo ma che cercavo di mollare. Il secondo era un ragazzo con cui stavo iniziando una nuova "storia" e flirtavo sempre con uno o due altri. Una parte di me voleva davvero essere come le altre donne, avere un bel ragazzo fisso ed essere una brava fidanzata, ma mi era impossibile accontentarmi. Sapevo perché: mio padre aveva numerose relazioni e questo aveva distrutto mia madre. Lei non l'ha mai cacciato, ma è diventata sempre più piccola ogni volta che scopriva l'ennesima infedeltà e gliela faceva passare liscia. Ricordo di averli guardati entrambi e di aver pensato: "È uno stronzo, ma preferisco essere come lui piuttosto che una persona distrutta come lei". Sono andata a letto con almeno 100 uomini, probabilmente 150 è più vicino alla verità. Non ho rallentato fino ai 40 anni. Non è che gli uomini fossero più difficili da conquistare - ho ancora un bell'aspetto e i ragazzi giovani amano le donne più anziane - ma è stata la solitudine a farmi smettere. Ho fatto un po' di terapia, ho affrontato alcune verità e poi ho incontrato qualcuno che mi piaceva davvero e con cui ho legato. Non volevo tradirlo perché non volevo ferirlo. Avevo finalmente imparato a far entrare qualcuno. È successo quattro anni fa. Stiamo insieme e, pur avendo avuto una forte tentazione, non mi sono allontanata. Il nostro sesso è buono, ma per la prima volta non è il fulcro della nostra relazione o la cosa che mi definisce”.

Isla ha 37 anni, è sposata e ha due figli. 

“Mi sono sposata a 19 anni e prima di mio marito avevo avuto solo un altro amante. A lui piaceva il sesso, ma non era così entusiasta. Era molto stile missionario, luci spente, sesso solo il sabato sera. Abbiamo avuto dei figli presto e la privazione del sonno, i capezzoli doloranti e i bambini che avevano bisogno di poppate notturne hanno fatto sì che non facessimo sesso per un paio d'anni. Sinceramente non ne sentivo la mancanza".

"Ma poi i bambini sono andati improvvisamente a scuola e la vita si è riaperta. Ho sempre amato la danza. Ho studiato danza classica da bambina e ho sempre voluto prendere lezioni per poter fare del teatro amatoriale. Mio marito era d'accordo che mi iscrivessi a un gruppo di salsa locale, così ho iniziato. Ballare mi ha fatto rivivere: Mi sentivo sexy, desiderabile. Gli uomini mi guardavano e ho scoperto che mi piaceva essere al centro dell'attenzione. Sono passata dall'essere una noiosa casalinga a una sexy ballerina di salsa nel giro di sei settimane. È successo l'inevitabile, in fretta. Ho iniziato una relazione con un uomo conosciuto a lezione. Era tutta una questione di sesso e, mio Dio, con lui era fuori dal mondo. Mio marito non mi faceva mai sesso orale, quest'uomo lo faceva per un'ora. Adoravo farlo con lui e non ne avevo mai abbastanza. Dopo la fine di questa storia, ho avuto un'altra relazione, sempre con un compagno di classe. Ero insaziabile. Camminavo per strada e catturavo lo sguardo di ogni uomo che incrociavo, per testare la mia attrattiva e il mio sex appeal".

"Io e mio marito non facciamo ancora sesso e lui non ha idea delle relazioni che continuo ad avere. Sono perfettamente felice della situazione: Ottengo ciò che voglio e nessuno si fa male. Non vengo scoperta perché non lo dico a nessuno. Nessuno di quelli che ballano sa che sono sposata o che ho dei figli. Nessuno sa dove vivo. Non sono sui social media. Mi ci è voluto un po' di tempo prima di scoprire quanto io sia sessuale, fino a quando non ho superato i 30 anni. Ora non c'è più nulla che me lo impedisca".

Anche Shakira ha le corna: nessuno è immune. Francesca Galici il 14 Giugno 2022 su Il Giornale.

Pensare che un bel visino e un fisico da urlo rendano le donne immuni dalle corna è una leggenda metropolitana: Shakira docet.

"Se anche Shakira c'ha le corna...", quante volte lo abbiamo sentito dire negli ultimi giorni? Ecco, basta. Shakira è una di noi. Pure lei a casa sicuramente mette il pinzettone nei capelli e indossa quella t-shirt sformata con la quale ci vergogniamo di mostrarci anche al rider. Certo, forse è mediamente più carina ma questo, è evidente, non la rende immune. Come non ha reso immune Irina Shayk, Demi Moore, Sandra Bullock, Jennifer Aniston e tutte le altre che se dovessimo star qui a far l'elenco potremmo non arrivare mai alla fine.

Però un onore al merito a Shakira va dato: invece di star sul divano a consumare le scorte di Kleenex accumulate dal 1987, la pop-star davanti a un dubbio ha agito. Abbiamo tutte quel sesto senso femminile che ci fa drizzare le antenne quando il nostro uomo lascia il calzino fuori posto. Probabilmente anche lei ha raggruppato le amiche più fidate in un gruppo su Whatsapp dove hanno analizzato in modo maniacale il profilo Instagram di lui e dell'ipotetica lei, magari con tanto di commenti al veleno che, diciamocelo, in questo caso ci stanno e sono giustificati. Ma poi ha messo mano al portafoglio e ha fatto pedinare suo marito da un investigatore privato.

Si è tolta ogni dubbio, perché il tarlo di un sospetto a volte è peggio di un tradimento. Che poi, Shakira ce l'aveva pure detto come stavano le cose. Eccome se l'aveva fatto. La sua ultima canzone è un flusso di coscienza e un atto d'accusa molto chiaro nei confronti di suo marito. Ma la colpa è un po' sua se non ce ne siamo accorti, perché il ritmo caraibico del brano ci ha fuorviati. Se avesse fatto un po' di litania magari ci saremmo pure concentrati sulle parole. "Ho capito che sei falso. Mi congratulo con te, bella interpretazione. Ho messo le mani sul fuoco per te e tu mi tratti come un'altra delle tue voglie", canta Shakira. E già qui i dubbi sono pochi.

Se poi continuiamo ad ascoltare la canzone, i dubbi sono ancora meno: "Non raccontarmi più storie, non voglio saperlo. Come mai sono stata così cieca senza riuscire a vedere. Dovresti ricevere un Oscar, hai recitato benissimo". In ogni caso, grazie a Shakira, ora abbiamo un'altra canzone con la quale accusare il nostro partner. Grazie.

Ps: Come dice una guru italiana del settore, cara Shakira non ti abbattere: "Le corna stanno bene su tutto". E tu parti senz'altro in vantaggio.

 

Paola Tavella per “Specchio – La Stampa” il 13 giugno 2022.

Noi boomers ci siamo già passati, ma ogni generazione ha la sua pena e quindi sta tornando l'adulterio consapevole e consensuale. New York Times ha già pubblicato numerosi vademecum per dire con delicatezza «Tesoro, questa è una coppia aperta»: introdurre l'argomento gradualmente, essere chiari, accettare la risposta, fare un rodaggio.

Il rapporto Censis-Bayer del 2019 sui costumi sessuali degli italiani fra i 18 e i 40 anni certifica che il 13,1% ha esplicite relazioni triangolari. I militanti del poliamore - chi ne fa uno stile di vita, non un accidente della storia - sono il 5,3%. Ma una lettera indirizzata il 10 maggio scorso su The Guardian a Pamela Stephenson Connolly, sessuologa, è piuttosto scoraggiante. 

Un ultraquarantenne, dopo 20 anni e due figli, scrive che la sua amata moglie lo ha sempre tradito fugacemente, adesso invece sta stabilmente con un tale e gli proclama la coppia aperta.

Ma lei è dolcemente complicata, lui invece per niente, quindi si tratta di una coppia aperta solo da un lato, e non è il suo. Inoltre è insicuro poiché, le rare volte che ancora vanno a letto insieme, si sente messo a confronto con l'altro. 

Se non bastasse, la dottoressa Connolly risponde che è tutta colpa sua. Sei stato troppo accomodante, caro marito devastato, ora stabilisci confini e esprimi con fermezza i tuoi sentimenti, così tua moglie ti rispetterà di più e ti troverà di nuovo eccitante.

Controbattere le argomentazioni dei fautori della coppia aperta è complicato perché tendono a porsi come più evoluti e moralmente superiori ai monogami. È essenziale ricordare che sono rarissimi i sinceri utopisti e sognatori, la maggior parte degli aperturisti vuole solo liberarsi dal senso di colpa e dalla noia dei sotterfugi. Per esempio dicono che in amore si soffre comunque, tanto vale allora torcersi per la gelosia, quindi non parliamone più (traduzione: non farmi altre scenate).

La gelosia però è un sentimento pervasivo e degradante, non si allevia o si controlla dichiarando che è inammissibile. Anche definire come vero tradimento quello della fiducia, mentre sarebbe suprema lealtà raccontarsi tutto, finisce con la rabbia di immaginare il leale partner in vacanza o in un motel con qualcun altro, mentre a casa i figli hanno la varicella ed è finito il talco mentolato.

Il risentimento è veleno per l'erotismo, sopportare una situazione incresciosa per paura o per il mutuo rende freddi sotto le lenzuola, dunque perché restare con qualcuno che non ci stimola più?

Ma - parlando di relazioni eterosessuali - c'è quello che potremmo chiamare un grosso elefante nella stanza, ovvero i dati impressionanti sulla violenza domestica e sui femminicidi, stabili e analoghi in tutto l'Occidente, per non parlare dell'altrove.

Non soltanto illustrano magnificamente quale reazione possa avere un uomo "mite", "dedito alla famiglia", "stimato professionista" di qualunque età, ceto sociale, provenienza geografica cui viene preferito un altro, ma invitano seriamente le donne alla prudenza. Gli uomini infedeli possono reagire malissimo e con paranoia anche solo al sospetto di essere ripagati con la stessa moneta, figuriamoci quando se lo sentono dire in faccia.

Uomini e donne pari non sono, pretendere il contrario è stupido e pericoloso. Forse meglio ipocrisia e menzogna: primo non indagare sull'altro, secondo negare sempre, almeno finché dalle miti sentenze dei tribunali nei confronti di violenti e assassini scompariranno le generose attenuanti per gelosia, provocazione e raptus. 

Dagotraduzione dall’articolo di Tracey Cox per il DailyMail il 26 maggio 2022.

Se sei una donna che ha una relazione con un uomo sposato, preparati: non sarà carino ciò che leggerai. 

Alcune statistiche fanno riflettere. Mentre l'88% degli amanti spera che il partner sposato lasci il proprio coniuge per loro, solo il 13% lo fa. Ecco un altro schiaffo in faccia: solo dal 5 al 7 per cento delle relazioni extraconiugali portano al matrimonio. E di queste, il 75% finisce con il divorzio. 

Sei ancora convinta che tutte quelle notti solitarie in attesa degli avanzi di un’altra abbiano un senso? 

Ecco otto motivi per cui il tuo amante sposato probabilmente NON lascerà la moglie... 

La relazione non è così male come sta dicendo lui 

“Mia moglie non mi capisce”, è il cliché che molti uomini mettono in scena, ma la verità è che la moglie di solito lo sa comprendere... Potrebbe lamentarsi del fatto che tutto ciò che hanno in comune sono i bambini e litigano tutto il tempo, ma la realtà brutale spesso è che se la cavano benissimo insieme.

Le persone felici imbrogliano. Spesso, la sua motivazione non è altro che provare l’eccitazione di una relazione extraconiugale. Ma non te lo diranno mai, perché suona egoistico (infatti lo è!).

Secondo un altro studio, il 56% degli uomini che ha vissuto una relazione extraconiugale, ha affermato che il loro matrimoni era felice (contro il 34% delle donne). 

Gli uomini sposati da molto tempo ma che hanno una relazione extraconiugale affermano di avere comunque un rapporto coniugale molto soddisfacente.

Le donne sposate da lungo tempo che hanno relazioni fuori dal matrimonio, invece riferiscono esattamente il contrario: la soddisfazione per il loro matrimonio è la più bassa di tutte. (Questo perché le donne tendono ad avere relazioni quando sono infelici all’interno del matrimonio). 

La soddisfazione coniugale di chiunque diminuisce nel tempo durante il matrimonio, eccetto tra gli uomini che hanno una relazione extraconiugale! 

Come mai? La risposta è semplice... 

Ha tutto ciò che vuole

Che situazione magnifica da vivere per lui: ha la sicurezza emotiva del matrimonio e l'eccitazione sessuale del tradimento!

Per alcuni uomini se il matrimonio va bene ma il sesso con la moglie è noioso o hanno un desiderio sessuale maggiore rispetto al partner, cercare sesso extra può sembrare una soluzione perfetta del problema. Non hanno fretta di "risolvere la situazione" perché la situazione gli piace. Se interrompono l’attuale relazione, troveranno presto qualcun altro. 

I traditori spesso non vedono nulla di sbagliato nel tradire

La maggior parte delle persone prova senso di colpa o rimorso quando fa un torto al proprio partner, ma non è così per tutti.

Alcune persone non vedono nulla di sbagliato nel cercare sesso al di fuori del matrimonio. Questo potrebbe avere un’origine culturale (alcuni paesi fanno credere agli uomini che sia "normale" avere un'amante o due) oppure la causa potrebbe essere l’aver avuto un genitore traditore che l’ha fatta sempre franca. In ogni caso, il messaggio viene ricevuto forte e chiaro: tradire non è qualcosa di cui vergognarsi. 

Un recente studio ha seguito 500 che hanno avuto due relazioni (eterosessuali). I ricercatori hanno chiesto ai partecipanti di dichiarare se fossero o fossero stati infedeli o se sospettassero dei loro partner. Dall’indagine è emerso che le persone che hanno riferito di essere state infedeli nella prima relazione, avevano una probabilità tre volte maggiore di tradire nella seconda relazione rispetto a chi non aveva tradito nella prima.

Sua moglie non lo capisce 

C'è un detto secondo cui una moglie guarda il marito attraverso una lente d'ingrandimento, mentre la sua amante lo osserva attraverso un filtro rosa. Non è vero che sua moglie non lo capisce, di solito lo capisce troppo bene, e vede bene di fronte a sé l'uomo che lui è diventato, piuttosto che l'uomo che lui sperava di diventare. 

Si chiama "istinto dell'eroe": gli uomini sentono un desiderio innato di sentirsi necessari ed essenziali per il proprio partner. Un istinto primordiale: lui che protegge lei dalle bestie feroci.

Una delle principali attrazioni nell’intrecciare una relazione extraconiugale è che in questo rapporto ci si può reinventare. Se lui si è reinventato così tanto nella vostra relazione da assomigliare a malapena a chi è davvero nella vita reale, e dovesse essere smascherato, allora, mostrerà chi è davvero.

Scoprirai che il suo stipendio non è così alto, la sua casa non è così elegante, le sue vacanze non sono neanche lontanamente glamour. Il divorzio è costoso e sconvolgerà i bambini. 

Il divorzio è traumatico, costoso e doloroso: nessuno lo fa a meno che non sia proprio obbligato.

Perderà la sua bella casa e lo stile di vita di cui gode attualmente. La sua famiglia ce l’avrà con lui, il suo lavoro potrebbe risentirne e la gente penserà male di lui, soprattutto se si scopre che si sta separando per un'altra donna. 

La sua immagine sarà offuscata.

Se è un membro rispettato della società e ha una carriera stimata, lasciare sua moglie per la sua amante non gli conviene. Soprattutto, i suoi figli ne sarebbero sconvolti.

Anche se lui è il peggiore dei mariti, ciò non significa che non sia un bravo papà e che non si preoccupi profondamente del benessere dei suoi bambini. Il motivo principale per cui gli uomini non lasciano le loro mogli per le loro amanti è perché non vogliono lasciare i figli. Vedere i propri figli ogni due fine settimana, non è come vederli ogni giorno. 

Sua moglie lo sa

Non essere così sicura che sua moglie non sappia cosa sta succedendo. Potrebbe essere che lei sospetta fortemente o sa già della sua relazione con te ma ha scelto di fare finta di niente. 

Perché dovrebbe? Il matrimonio è un contratto: ognuno ottiene qualcosa dall'accordo.

Lei potrebbe avere i suoi bisogni emotivi e sessuali soddisfatti altrove e rimanere col marito solo a causa dei figli. Potrebbe voler continuare a godere dello status e dello stile di vita che ha stando con lui e considera che chiudere un occhio sia un prezzo che vale la pena pagare.  Potrebbe non voler fare sesso con lui ed essere felice che lui non la importuni più.

Potrebbe anche essere convinta che, mentre lui “gioca in trasferta”, tornerà sempre a casa da lei.

Diffida delle scadenze che vengono posticipate continuamente: andrò via quando nascerà il bambino. Quando i ragazzi lasciano la scuola. Non posso andarmene adesso, suo padre è appena morto. Deve essere operata. 

Ci sarà sempre un'altra scusa. 

Se la sua situazione gli pesasse davvero, se ti amasse davvero così tanto, troverebbe un modo per separarsi nel modo più sensibile e gentile possibile. Non separandosi, sta solo dimostrando ciò che dovrebbe essere dolorosamente ovvio ormai: ferire la moglie è più sconvolgente per lui che ferire te.

La maggior parte delle tresche svaniscono una volta scoperte 

A volte, anche se lui non aveva intenzione di andare via, la moglie lo scopre e lo butta fuori. Ora è alla tua porta che ti piaccia o no. Un bel risultato? Ora potete vivere felici e contenti. Non proprio.

Per la persona che tradisce, l’attrazione è spesso per il tradimento in sé, piuttosto che per la persona con cui lo sta facendo. Il fascino della cosa proibita. 

Il poco tempo che si ha per stare insieme alimenta le fiamme del desiderio. Fare sesso veloce ogni volta che si può - in una stanza d'albergo, in un vicolo, in un bagno pubblico - è erotico. Una relazione extraconiugale è sesso senza alcuna responsabilità.

Quando vieni scoperto e puoi vivere insieme senza doverti nascondere, la dinamica cambia drasticamente. Poi diventa una relazione, come quella che ha appena interrotto. Il sesso è improvvisamente soggetto a tutti i fattori che fanno cadere il desiderio nel tempo. 

Peggio ancora, c'è spesso un alto livello di sfiducia. Sapete entrambi che l'altro è capace di mentire e tradire. Le coppie che sopravvivono di solito sono quelle poche coppie che hanno avuto una relazione extraconiugale per amore. Quelle che hanno trovato la persona giusta anche se purtroppo erano già sposati o impegnati. Sei assolutamente convinto che sia il tuo caso?

Dagotraduzione da un articolo di Tracey Cox per il Daily Mail l'8 maggio 2022.

Quando è stata l'ultima volta che hai fatto sesso? Qualche giorno fa? Una settimana? Un mese? O non riesci davvero a ricordare l'ultima volta che l'hai fatto? 

Anche se ci sono molte valide ragioni per cui il sesso passa in secondo piano, se onestamente non riesci a ricordare l'ultima volta che sei stato intimo (o peggio ancora, non ti interessa), potresti andare dritto verso un matrimonio in bianco. Una volta che si resta senza sesso per più di un anno, è difficile uscire da questa situazione a meno che uno o entrambi non affrontino il problema a testa alta. 

Molto più facile prestare attenzione ai segnali che indicano che ci sono problemi in arrivo... e agire ora. 

Non ti sei mai sentito a tuo agio nel parlare di sesso 

Le coppie che sopravvivono e prosperano sessualmente sono quelle che parlano apertamente di sesso. Quasi tutti i problemi sessuali possono essere risolti se sei in grado di parlare con il tuo partner. È anche vero il contrario: un piccolo problema sessuale può distruggere la tua vita sessuale se non sei in grado di discuterne.

A lungo termine il sesso è abbastanza difficile da mantenere frizzante. Se non hai mai avuto una conversazione aperta su ciò che ti piace e non ti piace, è impossibile. Una buona comunicazione è essenziale per una vita sessuale sana. 

Risolvilo: non è mai troppo tardi per imparare a parlare di sesso. Sì, può sembrare terrificante, se non ci sei abituato. Ma una volta passati quei primi imbarazzanti minuti, la maggior parte delle coppie scopre che è molto più facile di quanto pensassero.

Per introdurre l'argomento del sesso, dì: «Ti amo e voglio che siamo il più felici possibile per restare insieme per sempre. Possiamo parlare di qualcosa? Volevo parlare della nostra vita sessuale. Non abbiamo mai veramente parlato di sesso prima e penso che sarebbe un bene per noi. È qualcosa di cui possiamo parlare ora?». 

Non cercate di sembrare attraenti l'uno per l'altro 

L'attrazione è essenziale se il sesso vuole sopravvivere a lungo termine.  L'amore è gentile, la lussuria no. L'amore risponde all'intelligenza, all'umorismo e ai tratti della personalità, ma il sesso è fisico. La lussuria è fortemente influenzata da ciò che vediamo: è istintiva. Non possiamo controllare cosa troviamo sexy e attraente e cosa no. 

Risolvi il problema: i vestiti comodi vanno bene purché non siano un'uniforme. Se metti un po' di energia e impegno per apparire al meglio, invii un messaggio che sei aperto al sesso e alla connessione. Aiuta anche a dare il via alla tua libido: è molto più probabile che ci sentiamo eccitati, se pensiamo di sembrare sexy.

I tuoi figli ottengono tutto il tuo affetto e la tua attenzione 

È vero, i bambini hanno bisogno di attenzioni costanti e il sesso passa giustamente in secondo piano per i primi sei mesi dopo il parto (anche se la realtà è più simile a due anni). 

Ma se tuo figlio dorme ancora nel letto di mamma e papà dorme ancora nella stanza degli ospiti otto anni dopo, c'è un problema. 

Molti genitori scoprono che tutto il loro tempo e le loro energie si spostano verso i bambini quando diventano genitori. Ma è anche importante impegnarsi l'uno con l'altro per mantenere viva l'energia erotica.

Suggerimento: i bambini felici hanno genitori felici e i genitori felici hanno bisogno di sesso regolare per restare felici. Tutti odiano il concetto di "Date Nights", ma gli studi dimostrano che le coppie che le programmano sono più felici e fanno sesso più spesso di quelle che non lo fanno. 

Distogli gli occhi se il sesso accade in TV o in un film 

Molte coppie trovano le scene di sesso nei film o in televisione stimolanti ed eccitanti. Se, invece, entrambi evitate il contatto visivo e aspettate che la trama scorra avanti, potrebbe essere in arrivo un lungo periodo senza sesso. 

Se non fai sesso da un po', vedere altre persone che lo fanno è un duro promemoria. Se uno di voi non è interessato a riprendere il sesso, sarà particolarmente ansioso di evitare qualsiasi cosa che possa innescare quella temuta conversazione. 

Risolvilo: trova il coraggio di rivolgerti al tuo partner. Usa le scene di sesso come un gancio per introdurre l'argomento. Dì (con spensieratezza): «Beh, sembra che si stiano divertendo! Penso che ci siamo quasi dimenticati come farlo! Mi manca il nostro sesso. Mi chiedo perché non ce l'abbiamo più? Dovremmo parlarne». 

Vai a letto a orari diversi per evitare il sesso

Essere nello stesso letto, sveglio, nello stesso momento aumenta le opportunità di fare sesso. Se eviti di andare a letto insieme al tuo partner, stai riducendo questa possibilità. 

Questa è una classica tattica per evitare il sesso: tanto è vero che la maggior parte delle persone ne è pienamente consapevole quando accade. A meno che non ci sia una buona ragione – sei neo-genitore o uno lavora a turni – non stai prendendo in giro nessuno. 

Un altro scenario comune per le coppie che evitano il sesso: uno va a letto, l'altro va a lavorare un po’ (tradotto: masturbarsi da solo davanti al porno).

Risolvilo: poniti alcune domande difficili. Perché sto evitando il sesso? Cos'è il sesso che mi scoraggia? Cosa potremmo fare per renderlo migliore? 

Non sei affettuoso fuori dal letto 

Quando smetti di fare sesso, smetti di essere affettuoso anche fuori dal letto, per paura che qualsiasi tipo di intimità possa portare all'inizio del sesso. Questo non solo suona la campana a morto per la tua vita sessuale, ma distrugge anche la tua relazione. 

Questo è il motivo per cui se sei in un matrimonio senza sesso o sei diretto in quella direzione, devi parlare di cosa sta succedendo. A volte, soprattutto se state insieme da anni e il sesso è naturalmente giunto al termine, entrambe le persone concordano un compromesso adatto a tutti.

Questo significa che entrambi potete rilassarvi di nuovo nella relazione, l'affetto riprende e l'amore non soffre solo perché la tua libido si è stabilizzata. 

Risolvilo: se non stai facendo sesso, dovresti raddoppiare l'affetto e il tocco fuori dalla camera da letto. Altrimenti, sei davvero solo un buon amico. 

Stai facendo sesso sempre meno e non lo riconosci

Ogni coppia attraversa periodi in cui fai molto sesso e momenti in cui non lo fai. La vita interviene e il sesso è spesso la prima cosa a soffrire perché tendiamo ad aspettare di essere di buon umore e di sentirci energici prima di farlo. Lo stress, un evento traumatico, la nascita di un bambino, la malattia: tutte queste cose influiscono sulla frequenza dei rapporti sessuali. 

Ma è il modo in cui affronti i periodi senza sesso che è più indicativo.

Le coppie con una vita sessuale sana parlano del fatto che non ne fanno. Si rassicurano a vicenda che si tratta di un inconveniente temporaneo e che i servizi riprenderanno presto. Si dicono a vicenda che gli manca. 

Ma se uno di voi evita di riconoscere che il sesso si è fermato, può essere il preludio dell'approccio «Facciamo finta che tutto sia normale anche se non lo è» che può significare che non ti stai solo dirigendo verso un matrimonio senza sesso, potresti già esserci dentro.

Risolvilo: c'è una buona ragione per cui il sesso si è fermato? Se c'è, riconoscilo. Di': «Mi dispiace tanto di non essere dell'umore giusto per il sesso in questo momento. Sono davvero preoccupato per i bambini/il denaro/il lavoro, ma sono sicuro che presto mi sentirò meglio. C'è qualcosa che posso fare per te nel frattempo?». Anche se non ti interessa essere stimolato sessualmente, che ne dici di fare sesso orale al tuo partner o guardarlo mentre si masturba? 

Dici no più spesso di quanto dici di sì 

Hai mai sentito il consiglio che dovresti pensare alla tua vita sessuale come a un conto in banca? L'idea è che se effettui depositi regolari, il saldo rimane sano; se non depositi da un po ', si esaurisce rapidamente nel nulla.

Se uno di voi sta iniziando il sesso e l'altro dice più spesso di no di quanto dica di sì, hai un problema. 

Risolvilo: è una cosa graduale che si è sviluppata nel tempo? Potrebbe essere tutto parte del naturale declino della frequenza sessuale che interessa tutte le coppie a lungo termine. 

Presta più attenzione se si tratta di un cambiamento improvviso. C'è una ragione ovvia? Un trauma, una malattia, un evento della vita che potrebbe spiegare la mancanza di desiderio? Se il motivo è sfuggente, stai in piena allerta: potrebbe soddisfare i suoi bisogni altrove. Ancora una volta, c’è bisogno di tempo per un discorso onesto. 

La tua libido è semplicemente scomparsa

Ci sono molte ragioni per cui la nostra libido svanisce nel nulla. 

Potrebbe darsi che tu abbia avuto una vita di cattivo sesso e finalmente abbia tracciato la linea. Potrebbe essere che non hai mai saputo come eccitarti e hai smesso di provarci. Potresti essere annoiato dopo anni dello stesso tipo di sesso con la stessa persona. Problemi di immagine corporea, depressione, problemi di relazione, problemi di salute: l'elenco degli assassini della lussuria è lungo e non esauriente. 

Il risultato è lo stesso, indipendentemente dal motivo. Il nostro desiderio sessuale è ciò che ci dà l'incentivo a fare lo sforzo di cercare il sesso. 

Risolvilo: una libido appiattita può essere rianimata e uno dei modi migliori è semplicemente ricominciare a fare sesso. Una volta che le coppie riprendono il sesso, viene loro (di solito) ricordato quanto può essere buono il sesso. Masturbarsi da solo è un altro modo efficace per accendere una libido pigra.

Infedeltà: «Solo una coppia su quattro è monogama e felice. Resiste chi non è né ricco né povero». Giancarlo Dimaggio su Il Corriere della Sera il 17 Aprile 2022.

Cosa rimane della stabilità affettiva oggi? È tempo di accogliere forme di relazione alternative al modello “insieme per tutta la vita”? Due psicoterapeuti si confrontano. «I dati ci dicono che la monogamia, in un certo senso, è per chi non è né ricco né povero».

Nel mio micromondo coppie che pensavo stabili si sono spezzate. Amici mi hanno svelano le loro infedeltà. Mi hanno colto impreparato, avrei voluto esercitare assenza di giudizio e non sono stato capace. Lo hanno notato, con sofferenza. Persistendo in una prospettiva moralistica sarei stato un buon amico? I pazienti mi raccontano di stabili matrimoni miserabili e di infedeltà calcolate o tormentose. In seduta sono capace di un ascolto privo di giudizio ma ne esco con delle domande. 

Ho bisogno di parlare con Lawrence Josephs e di chiedergli: cosa rimane della coppia oggi? La monogamia stabile è il modello normativo che dovremmo seguire? O è solo un ideale arcaico, irrealistico? L’infedeltà è giustificabile, inevitabile addirittura? Ancora, è il tempo di accogliere forme alternative di relazione, le non-monogamie consensuali? 

L’argomento lo affronta anche Alessandro Cattelan nella quarta puntata di Una semplice domanda : racconta di un corso prematrimatrionale cattolico e di una coppia di porno-attori che tenta di avere una relazione a quattro. Devo parlare con Lawrence Josephs, psicoanalista, autore di Infedeltà. 

Dal suo osservatorio cosa vede: le coppie sono più stabili, meno stabili, hanno più problemi, meno problemi?

«Abbastanza costanti, i tassi d’infedeltà sono relativamente alti, così come i conflitti. Quello che cambia è l’innalzamento dell’età a cui ci si sposa e si fanno figli, il tasso di divorzi ondeggia sempre attorno al 50%. La società diventa più permissiva, le persone che rimangono insieme per scelta e stando bene sono poche». 

Quanto poche?

«Attorno al 25% considerando la specie umana nel complesso, forse meno». 

Solo?

«Le società patriarcali conservatrici forzano le persone a stare insieme. Lì gli uomini sono più infedeli delle donne a causa del doppio standard. Ma in Europa e in America le donne stanno arrivando agli stessi livelli perché le conseguenze del tradimento sono meno severe. Circa il 50% di coppie divorzia in America e molti di quelli che rimangono sposati sono infelici, ma non ho una statistica per questo. Naturalmente da terapeuti è probabile che vediamo soprattutto le persone che hanno più problemi». 

E quando osserva il mondo fuori dalla stanza terapeutica, cosa nota?

«Vedo che solo una minoranza di persone rimane insieme in una vita serena, sicura, con una sessualità soddisfacente. Gli altri hanno vite di coppia che mantengono perché non hanno alternative, magari non li vuole nessuno (sorridiamo, ndr ), hanno paura di essere scoperti, hanno istinti sessuali meno intensi». 

Nel libro sembra sostenere che l’evoluzione non è a favore della fedeltà.

«Gli studiosi Buss e Schmitt parlano di strategie sessuali a breve e lungo termine. Alcuni tipi di personalità si orientano verso scelte a lungo termine: chi ha un attaccamento sicuro, basso narcisismo e buone capacità di riflettere sugli stati mentali. È una minoranza. Dipende anche dalle condizioni ecologiche». 

Infatti ha notato che ambienti ricchi di risorse favoriscono quelle che Marco Del Giudice (psicologo italiano, University del New Mexico) chiama strategie di vita lente, mentre povertà, fame, deprivazione favoriscono l’adozione di strategie definite veloci.

«Le persone a strategia lenta investono nella stabilità e nella crescita dei figli, mentre i veloci investono più sulla riproduzione e meno sulla genitorialità. La disponibilità di risorse sì, favorisce le strategie lente, quindi maggiore fedeltà. Però a livelli estremi di disponibilità di risorse le cose cambiano, immagina i maschi alpha ricchi: non badano alla monogamia. In un certo senso la monogamia sembra la strada per chi non è ricco né povero». 

Quindi: se hai abbastanza risorse, né troppe né troppo poche, allora probabilmente avrai una coppia stabile?

«Per chi sta nel mezzo la migliore scommessa è adottare strategie stabili a lungo termine». 

Secondo Josephs due dimensioni sottostanno alla stabilità/instabilità delle relazioni: stile di attaccamento e narcisismo. Col primo si intende il modo in cui le persone predicono che gli altri risponderanno quando chiedono aiuto. Chi ha uno stile di attaccamento sicuro immagina che entro certi limiti gli altri saranno disponibili, chi ha stili insicuri si aspetta che gli altri saranno disinteressati, preoccupati a loro volta o abusanti. Sulla seconda dimensione, in parte, discordo. 

Riguardo al narcisismo sono convinto solo in parte. Credo che molti altri disturbi di personalità dispongano le persone all’infedeltà. Per esempio, penso alle personalità evitanti, che hanno difficoltà con l’intimità e l’apertura emozionale. Quando stanno male non riescono ad aprirsi col partner e cercano conforto altrove.

«In realtà non intendevo che l’infedeltà fosse una prerogativa del narcisismo, ho più che altro studiato quelle due dimensioni. In generale un po’ tutte le forme di psicopatologia sembrano associate all’infedeltà. E magari altre psicopatologie sono associate alla fedeltà. Per esempio i paranoidi rifuggono da sesso casuale e tradimenti per paura di essere ricattati o contrarre malattie». 

Che destino attende le relazioni a lungo termine? Soprattutto, qual è la sua motivazione personale a esplorare un territorio così spinoso?

«Mi sento fortunato (dice con un filo di autoironia, ndr ), sono vicino alla pensione, ho tre figli e credo di appartenere alla minoranza di persone con una relazione stabile, felice. Quando ero un giovane professore di 30 anni le studentesse flirtavano coi professori, ora è cambiato. Forse è per la mia età, non sono più un bersaglio attraente. Ma non le vedo flirtare neanche coi miei colleghi giovani, la cultura è cambiata. Da giovane non avevo la tendenza a rubare le donne degli altri, ma sono sicuro che alcune donne sposate si sarebbero rese disponibili. In pratica so che tutti potrebbero tradire, io avrei potuto farlo». 

Ha ma sperimentato gelosia intensa, disturbante, o affrontato la gelosia di sua moglie?

«Mia moglie è psicologa, è troppo impegnata a vedere pazienti e fare soldi per flirtare (neanche provo a trattenere la risata!, ndr ). Siamo un team, mi trovo bene nella stabilità, soffrirei la mobilità verso il basso se ci separassimo. Vogliamo passare le nostre risorse ai figli. Se sei un team che funziona, perché mandarlo all’aria?». 

Come terapeuta ha avuto difficoltà a fronte di coppie in cui un membro era infedele, oppure coppie poliamorose?

«Non ho reazioni moralistiche, sono pronto ad accogliere tutto: molte persone non riescono a mettere insieme amore e piacere nella monogamia. Negli States poliamore, coppia aperta, scambismo sono sempre più diffusi. Una coppia inizia monogama e a un certo punto uno dice: voglio un matrimonio aperto. L’altro non è d’accordo e vengono da me: Dr. Josephs, sistemi tutto. Io non prendo parte, ma sono situazioni difficili da risolvere, spesso le divergenze sono inconciliabili». 

Ripenso alla coppia di porno-attori mostrata da Cattelan: hanno battuto la strada del poliamore e non ha funzionato. Ho studiato la letteratura sulle non-monogamie consensuali. Esistono due schieramenti opposti: chi sostiene che segnalino una disfunzione, chi le considera una forma di relazione soddisfacente e stabile quanto la monogamia, se non di più. La realtà è che lo stato della ricerca scientifica nel campo è pari a zero. Esistono pochi studi e condotti male, niente che ci aiuti a capire se la monogamia sia da preferire alle non-monogamie o viceversa, se le seconde siano alternative valide e magari più vitali. Cercando scienza, ho trovato solo zeloti contro zeloti. 

Nel caso di poliamori, coppie aperte, scambismo, ha storie da raccontare? Sono iniziate in questo modo e poi? Si amano ancora, si sono trasformate in monogamie, è subentrato l’odio?

«Mi vengono in mente due coppie. La prima è un matrimonio gay andato bene. Il mio paziente voleva avere rapporti con altri uomini e lo disse al partner. Concordarono che era ok, entrambi fecero sesso casuale con altri, ma senza intimità. Sembrava funzionare e chiuse la terapia. Tornò dopo due anni, arrabbiato: il partner faceva sesso con altri, ma con intimità! E lui era geloso. Poi ha realizzato: “Lui non va da nessuna parte, si infatua ma non dura più di qualche mese, alla fine torna da me, lo posso accettare”. Invece nella seconda coppia lui è stato scoperto infedele e ha detto: non voglio interrompere questa storia, voglio un matrimonio aperto». 

Come è intervenuto?

«Ho spiegato che se volevano rimanere insieme o la moglie doveva accettare la relazione del marito, anche se era risentita, o il marito doveva lasciare passare le opportunità sessuali senza coglierle. In entrambi i casi ci sarebbe stato un sacrificio. Dopo un mese il marito ha detto: ho 65 anni, posso rinunciare». 

Siamo cresciuti con un mandato: formerai una coppia stabile, avrai figli. Non tradire. Ci hanno promesso: il mandato si realizzerà, non sarai tradito. Mi rimbomba in mente: 25%. La promessa di sicurezza, di un legame caloroso e avvolgente che, iniziato quel giorno, ci terrà compagnia per il resto della vita è, alla luce dei dati e forse delle teorie, falsa. La monogamia stabile finché morte non vi separi non è più, statisticamente parlando, normale. Un brano mi accompagna, Strangelove dei Depeche Mode, colonna sonora di un interrogativo senza risposta: per la maggioranza, tre quarti di umani, quale forma di Stranamore avrà la meglio?

Dagotraduzione dal Daily Mail il 17 aprile 2022.

Avete molti amici single e volete evitare errori di coppia? Louanne Ward, australiana, esperta di relazioni sentimentali, ha alcuni consigli e alcuni suggerimenti su errori da evitare. «Essere single ha le sue sfide e il galateo degli appuntamenti è sempre un argomento caldo tra single e coppie allo stesso modo», ha detto al Daily Mail. 

«Ma ci sono un sacco di cose che le coppie fanno di fronte ai loro amici single che sono altrettanto discutibili... la cieca mancanza di consapevolezza sociale può essere imbarazzante».

C'è una linea sottile tra le battute sarcastiche e lo sminuire l’altro, dice Louanne. Fare una battuta a spese del tuo partner o colpirlo con sarcasmo non è solo umiliante e irrispettoso, ma sta compromette le tue amicizie. 

«Umiliare pubblicamente il tuo partner potrebbe sembrare uno scherzo innocuo per te, ma è una nota bandiera rossa per comportamenti tossici», ha detto. «Farlo di fronte a testimoni compromette la tua relazione e mette lo spettatore innocente in una posizione imbarazzante perché alla fine deve scegliere se ridere con te o difendere la vittima».

Il suo consiglio è di non fare commenti sprezzanti di fronte agli altri. «Può essere divertente per te e anche per il tuo partner, ma lo spettatore non ha accesso alle regole della tua relazione, quindi non includerlo nel gioco» ha detto.

Per quanto tutti siano felici che tu abbia trovato un partner, non tutti vogliono sentirti parlare costantemente di quanto sia perfetta la tua relazione, di quanto sia fantastico il sesso e di quanto sia meravigliosa la vita ora che vi siete trovati.

«Le confessioni d'amore sui social media sono commoventi e nutrono sentimenti profondi a cui i tuoi amici single sono favorevoli, ma se racconti ogni mazzo di fiori, biglietto d'amore, cena romantica, occasione in arrivo e cosa stai pianificando non è così diverso dal vantarsi della nuova bici che hai ricevuto per il tuo ottavo compleanno sapendo che i genitori dei tuoi amici non potevano permettersi di comprarne una», ha detto Louanne. 

Divertiti ad essere innamorato e ispira i tuoi amici single a continuare il viaggio per trovare la loro anima gemella, ma esercita empatia e sii consapevole di come si sentono gli altri.

Abbiamo tutti assistito a scene di "accoppiamento in natura" su National Geographic. 

«Sappiamo che gli uccelli lo fanno, le api lo fanno e noi lo facciamo... Ma PER FAVORE non farlo davanti neanche a un SOLO amico. L'affetto è una bella espressione d'amore, ma c'è una linea da non superare», ha detto. 

«Ficcare la lingua nell'orecchio del tuo partner mentre sta conversando, toccare le zone erogene in modo evidente o baciarsi appassionatamente sono attività da praticare durante i vostri appuntamenti quando siete solo voi due». 

In definitiva, sii consapevole di ciò che ti circonda. Se sei con un solo amico e trascorri la notte a sbaciucchiare il tuo partner, hai appena invitato uno spettatore ignaro a un momento a cui non si è mai iscritti.

Può essere vero che tutti amiamo un po' di rivalità sul campo sportivo, nella sala del consiglio e con i nostri fratelli, ma quando si tratta di passare del tempo con amici accoppiati nessuno vuole fare l'arbitro. 

«Le discussioni fanno parte della vita... ma hanno un tempo e un luogo. Entrare in una discussione in piena regola di fronte agli altri è già abbastanza imbarazzante, ma di fronte a un solo amico, lo mette a disagio e lo fa sentire su un campo di battaglia senza un'arma», ha detto Louanne. 

«Non c'è nessun posto dove scappare e nessun posto dove nascondersi, soprattutto se la discussione si intensifica e si arriva al punto di includere l'unico amico a cui si chiede di esprimere la sua opinione su chi ha torto».

Sicurezza e possessività tendono a farci segnare il territorio. «Una minaccia a qualcosa o qualcuno può generare un intenso bisogno di rivendicare cose che non possiedi», ha detto. 

«La gelosia colpisce il cervello e può innescare il rilascio di ormoni dello stress che causano una fuga o una risposta di lotta. Può anche causare "dolore sociale" e paura di essere rifiutato». «Potrebbe essere una risposta naturale, ma essere possessivi e gelosi può essere la situazione più atrocemente imbarazzante per tutte le persone coinvolte». 

Intercettare una conversazione, metterti nel mezzo, reindirizzare l'attenzione su di te, respingere la terza parte, essere eccessivamente alla mano e affettuosi sono tutte forme di marcatura del tuo territorio. 

Vittorio Sabadin per “il Messaggero” il 13 aprile 2022.

In un matrimonio c'è qualcosa di peggio dell'infedeltà coniugale: l'infedeltà finanziaria. Nascondere al marito o alla moglie parte dei propri introiti, delle spese o dei debiti, causa crisi di coppia più profonde dei tradimenti, ha rivelato un sondaggio di US News & World Report. Ma il fenomeno non è solo americano: anche in Gran Bretagna una ricerca condotta nel 2019 ha dato risultati simili. 

Il 76% delle persone che hanno scoperto infedeltà finanziarie ha dichiarato che queste hanno avuto un effetto molto negativo sul rapporto di coppia. Nel 10% dei casi le menzogne sui soldi hanno portato al divorzio. Un tradimento può essere perdonato, ma l'infedeltà finanziaria è considerata un affronto molto più grave. Secondo US News & World Report, nel 30% delle coppie un coniuge ha ammesso di avere detto bugie. Per il 31% si trattava di acquisti segreti, per il 28% di debiti nascosti e per il 23% di redditi non dichiarati.

Jenny Olson dell'Università dell'Indiana, ha spiegato alla BBC che un'infedeltà finanziaria si verifica quando si fanno con i soldi cose che sai che il tuo partner disapproverebbe, e le si mantengono segrete. La ragione per la quale si nasconde la verità è nella maggior parte dei casi legata alla vergogna di dover ammettere di avere sperperato denaro in acquisti futili o in prestiti concessi ad amici inadempienti, oppure di avere contratto debiti, o di essere dipendente da vizi inconfessabili come il gioco d'azzardo o il sesso.

Negli Anni 60 del secolo scorso le mogli avevano ottenuto di avere conti bancari comuni e la condivisione del denaro era la norma assoluta, perché la maggior parte delle donne lasciava il lavoro se aveva dei figli. L'infedeltà finanziaria era rara e facile da scoprire: bastava dare un'occhiata al libretto degli assegni lasciato sul tavolo.

Oggi è tutto diverso: i capifamiglia sono due, hanno entrate separate, spesso hanno più di un lavoro, i flussi di reddito sono autonomi e più difficili da tracciare. I sondaggi e le ricerche hanno evidenziato che l'infedeltà finanziaria non si scopre quasi mai grazie a una confessione, ma solo in seguito a distrazioni seguite da un po' di indagini.

È un'infrazione che non viene perdonata: nelle famiglie ogni giorno bisogna prendere decisioni di spesa per la casa, per i figli, per l'auto nuova, per i viaggi e le vacanze. Chi nasconde i redditi disponibili incrina per sempre il rapporto di fiducia con i propri congiunti. Ma il fenomeno è in crescita anche perché quasi la metà dei matrimoni finisce con un divorzio. Avere tenuto da parte un tesoretto consente di pagare un avvocato e di trovare un appartamento nel quale trasferirsi e sopravvivere in autonomia, in attesa che un giudice decida quanti soldi andranno a chi. Si dice che il vero amore sia eterno, ma già Confucio aveva notato che dura solo tre mesi, e non si sa mai.

·        Gli Scambisti.

Barbara Costa per Dagospia il 29 ottobre 2022.

"Offro mia moglie a chiunque se la voglia sb*ttere" è trama di un bel porno, com’è pure reale desiderio di mariti e di mogli focose che… questo vogliono! Nel porno è "hotwifing" il termine coniato per quei porno dove due attori fanno marito e moglie (punto i fari sulla versione etero, ma ve n’è di ogni assortimento) e riflettono sullo schermo le fantasie che certe vere coppie, stabili e rodate, hanno, e che alcune in scambievole accordo mettono in pratica: vedere e, perché no?, a chi va partecipare all’accoppiamento del partner con una terza (ma pure quarta, quinta, sesta…) persona.

Si slaccia ogni monogamia, dogma duale, giuramento di fedeltà, per ciò che tutto è meno che un tradimento. Alla coppia felice per sempre e parimenti a letto, a due corpi che a due e soltanto a due raggiungono soddisfazione sessuale pure dopo i primi tempi di carnali fuochi d’artificio… qualcuno ci crede ancora? È un mito – quello dell’imperituro idillio a due – creato al fine di mettere ordine nella società, e incatenare le donne a un solo pene per assicurarsi prole autentica e tale riconosciuta dalla collettività.

Mito ucciso dalle donne ribelli a quel solo pene per la vita (ma di più se questo pene non era scelto, o frutto di scelta immatura, e spesso un pene che nulla piaceva), e in società fiere di ospitarne quanti più tra le gambe, non necessariamente tra i piedi. Questo mandare a farsi f*ttere la monogamia tradizionale, questo suo volerla da certi partiti politici e moti di pensiero alla disperata recuperare, quando essa è ora una scelta, tra le altre, e tra due pari persone, ma non più un’imposizione, fa la fortuna di porno che ne pitturano le forme le più incantatrici.

Come fa "Luxure", che da tempo di hotwife in calore con marito al seguito – di volta spettatore, di volta in azione in triadi bisex, con un’altra donna, o con un altro uomo – ne fa serial di brave mogli che hanno vizi e tentazioni e impulsi, e che vogliono, devono placare. Il godimento che si prova nel vedere la propria metà posseduta o che possiede un altro corpo, e di più nel vederla orgasmare a opera e maniera d’altri mani, lingue, sessi, è esplosivo e particolarissimo in chi di questo legittimo feticismo è cultore. 

"Luxure" è brand di famiglia Dorcel: "Gli Impulsi di Mia Moglie", con la coppia Freya Mayer e Ricky Mancini è recente uscita, e la sola pecca che si può fargli è presentarlo a esempio poliamoroso: l’hotwifing differisce e non tocca il poliamore, bensì lo scambismo coniugale. Se reciproco, tra i due protagonisti assenziente, tratta due corpi, tocca una coppia che si scinde e solo sessualmente e momentaneamente per un’ora, un pomeriggio, una notte. Fuori dall’ebbra scambista, la coppia rientra nella sua vita quotidiana, e d’intesa a due mille volte migliorata.

Che è quello che sul serio succede nelle reali e più riuscite e fauste delle coppie scambiste. Diversamente il poliamore vede in sé sì rapporti sessuali tra più persone, e però che sono tra loro poste in una o più "costellazioni" di sentimenti reciproci. Il poliamore include il sentimento tra più persone che non lo sentono né lo vivono né lo dispiegano a due e né in monogamia ma in una "poligamia sentimentale" dove tutti gli aderenti sono attivi e consapevoli e innamorati e partecipi della costellazione familiare che si sono impegnati a costruire.

Ci sono persone per cui l’immagine di un uomo e una donna per la vita a due a sc*pare in talamo nuziale è concezione limitata e soffocante della sessualità. Hanno corpi che reclamano differenti passioni, accanto e non ripudiante quella a due. In mezzo ai loro pongono un altro corpo, più altri, moltiplicandone le delizie. 

È in questo modo, con questo sesso, che pervengono una completezza. Guardano dentro sé stessi con occhi differentemente aperti, occhi ai monogami diversi, avversi, e intollerabili. Ma sono pure scelte, personali e parallelamente duali, di modi coscienti di intendere il sesso. La coppietta felice è, e di frequente, un’ipocrisia. C’è chi in alcun modo la può soffrire, figurarsi vivere.

V.G. per repubblica.it il 23 ottobre 2022.

"Questa è la storia di una normale coppia che si è sposata, ha messo su una bella casa, ha allevato due figli, soddisfatta sul lavoro, appassionata di sport. Poi un giorno un collega mi ha fatto vedere un filmato su un club privé e ho pensato: voglio andarci. E così abbiamo fatto".

Sono sempre di più e sempre più giovani le coppie di swingers, quelle cioè che si scambiano il partner per qualche ora, una sera, una vacanza. S'incontrano nei club privé nati per lo più in casolari fuori città all'inizio dei Novanta e diventati oggi locali aperti di giorno e di notte. Ce ne sono di minuscoli, un po' squallidi, e altri considerati "di alto livello": spa naturiste, giardini, parchi, piscine, cocktail bar, palcoscenici, discoteche, dark room, salette private con barriere visive per spiare da fuori, dal buco della serratura, incontri e giochi erotici.

Il passaparola viaggia sui social. E sono almeno 700 mila le persone che frequentano i club con una crescita del 5-10% ogni anno, Covid a parte. Rinnovano la loro tessera da libertini per associazioni come Assosex che controlla circa il 60% delle strutture esistenti in Italia, tutte private, per bypassare la legge che vieta gli atti osceni in luogo pubblico. Poi ci sono quelli che si danno appuntamento in casa dell'una o dell'altra coppia, nei parking, nei pacchetti vacanza all inclusive: trasgressione col buio, turismo culturale alla luce del sole.

Anche per questo l'età media s'è abbassata: s'affacciano ventenni, venticinquenni, trentenni, prima erano una piccola minoranza. E così per le donne, sempre più attratte, raccontano, dai giochi saffici.

"Che facciamo stasera?" "Io ho un'idea ce l'avrei - mi dice lui - proviamo un club privé, dicono che ci si possono conoscere persone diverse e sentirsi liberi di essere sé stessi senza maschere". Intese come sovrastrutture; di maschere tangibili se ne vedono eccome, stile "Eyes wide shut". Perché il club degli scambisti non è per tutti, ma ci si trova di tutto: belli, brutti, così così, magri, in sovrappeso, eterosessuali, bisessuali, omosessuali, avvocati, medici, modelle, massaggiatori, ballerini, infermieri, sposati e non, con e senza figli.

Cinquanta di queste coppie hanno deciso ora di raccontarsi in un libro, "La mia prima volta in un club privé". Le ha riunite insieme, in maniera fin qui inedita, Augusto Pistilli, che da trent'anni, da quando fondò "La Gioconda", nota come "la villa di Grottaferrata", anima il mondo dei club per scambisti.

"Alla soglia dei sessant'anni, la mia nuova compagna mi parlò dei club privé", racconta Antonio. E come lui, come loro, ci sono "Marco e Luisa, una coppia di Roma", conosciuti sul lavoro, "entrambi impiegati in un ospedale romano"; "Alby e Lilly, coppia curiosissima con un ruolo sociale abbastanza importante: lui noto avvocato del foro romano, io con un ruolo in procura". 

O "Ludovico e Luisa, di Bari, io esco da una separazione dopo cinque anni di matrimonio, Luisa l'ho conosciuta attraverso il mio studio di consulenza". A scrivere il suo racconto è anche una donna, "la mamma di Giulia, una ragazza disabile". Per anni, per farle vivere momenti erotici, l'ha portata in Svizzera dove ci sono assistenti sessuali per le persone con handicap. 

E poi ci sono "Elena e Giovanni, lui sovrappeso, io 163 centimetri per 92 chili, temevamo che il nostro aspetto fisico fosse un handicap"; due sorelle alla scoperta dei propri limiti, una ragazza con sua zia, due giovanissimi fidanzatini, maggiorenni ovviamente, o "Mario e Carlotta, io impiegato tecnico, lei insegnante, due figli di 12 e 18 anni e primi dieci anni di matrimonio da coppia normale". Prima di scoprire i privé e quel mondo fatto di primi sguardi, approcci a quattro o più, giochi erotici, fino allo scontato finale, una volta che i figli sono a letto e si è varcata la soglia.

La crisi matrimoniale non c'entra nulla, dicono, anzi. "A differenza di quanto si pensa - spiega Pistilli - la coppia che va a giocare in questi ambienti non ha alcun difetto di fabbrica. Al contrario è molto in sintonia, proprio perché c'è una maggior conoscenza e complicità sessuale". Oltre alla ricerca della trasgressione, talvolta estrema, la soddisfazione di fantasie e desideri erotici con più persone, poca gelosia e una buona dose di esibizionismo. "Ci siamo avvicinati al mondo della trasgressione in età matura, quando, con i figli grandi, ci siamo riappropriati della nostra libertà", scrivono due signori, sposati ormai da trent'anni.

"Per molti - secondo la psico-sessuologa  Chiara Camerani - lo swinging costituisce un'alternativa onesta all'adulterio e alla menzogna, ma solo se la scelta è pari e condivisa". Un cenno di diniego, una presa più forte, una stretta di mano decisa significa basta. "Sono principalmente le coppie felici, mature e comunicative - conclude Camerani - ad affrontare meglio e con soddisfazione l'esperienza dello swinging". Quelle che ci tornano ancora e ancora, almeno due volte al mese.

·        Gli Stalker.

Condòmini spiati e filmati a Genova, da un vicino. A processo lo stalker, un giudice di pace. Redazione CdG 1947 su Il Corriere del Giorno il 25 Ottobre 2022.

Tutto è iniziato con l’esposto presentato nel gennaio 2017 dagli otto condomini. Da qui le prime indagini che avevano portato al sequestro delle immagini registrate dalle telecamere “puntate” verso l’ingresso di casa di alcuni inquilini. Oltreché cellulari e altri apparecchi elettronici.

Con telecamere piazzate di fronte all’ingresso di casa altrui, pronte a registrare le immagini di vita privata, e con riprese fatte con il cellulare “ha reso la vita impossibile” a quasi tutto lo stabile. Atteggiamenti che “ci hanno portato a uno stato perenne di ansia e terrore” al punto che “alcuni di noi hanno provato a cambiare abitazione, mentre nemmeno più invitiamo gli amici a casa” e “non troviamo più amministratori di condominio disposti a venire. In sei mesi ne sono fuggiti almeno tre“. Una situazione letteralmente da incubo.

Gli otto inquilini di uno stabile genovese, poco distante dalla stazione Principe, hanno denunciato per stalking il vicino in questione, non si sono trovati di fronte a un cittadino qualunque: infatti quello che hanno accusato di essere un molestatore seriale è un avvocato, all’epoca dei fatti giudice di pace fra Genova e Savona (la cui identità viene omessa per tutelare le presunte vittime dei molti atteggiamenti persecutori denunciati). I procedimenti penali che sono seguiti a due diversi esposti, presentati fra il 2017 e il 2018, che hanno innescato il solito balletto di competenza (fra la procura di Torino chiamata a indagare e giudicare sui magistrati liguri) e la procura di Genova.

Tutto è iniziato con l’esposto presentato nel gennaio 2017 dagli otto condomini. Da qui le prime indagini che avevano portato al sequestro delle immagini registrate dalle telecamere “puntate” verso l’ingresso di casa di alcuni inquilini. Oltreché cellulari e altri apparecchi elettronici. Dopo questi fatti, nel 2018 ecco un’altra denuncia, da parte di due degli otto vicini che avevano già presentato il primo documento.

Dopo che la procura di Torino ha decretato il rinvio a giudizio e rispedito solo una parte degli atti nel capoluogo ligure la situazione è la seguente: un processo è in corso a Torino, un altro deve ancora iniziare a Genova, di fronte al giudice Ferdinando Baldini, uno dei tre componenti del collegio impegnato nel dibattimento sul tragico crollo del ponte Morandi.

Sul banco degli imputati sempre lui, l’ avvocato-giudice di pace che si è difeso sostenendo come in ballo ci fossero soltanto problemi e discussioni condominiali, come se ne possono trovare in qualunque situazione. La linea difensiva sostiene che nemmeno permangono più conflitti di vicinato, visto che l’uomo si è trasferito in tutta un’altra zona della città ed eventuali condanne a questo punto comporterebbero “soltanto risarcimenti alle vittime“. L’ormai ex giudice di pace – ha lasciato l’incarico per motivi non dipendenti dai fatti in questione – è difeso dall’avvocato Stefano Savi, mentre gli inquilini del palazzo sono assistiti da Maurizio e Andrea Tonnarelli. Ora è atteso il verdetto dei giudici.

Stalker, un termine comune. Redazione e Elisabetta Aldovrandi su L'Identità il 19 Ottobre 2022

“Stalker”. Un termine entrato nel linguaggio comune, tanto da essere spesso utilizzato in contesti scherzosi e amichevoli. In realtà, lo “stalking” è un reato, introdotto con la legge n. 38 del 2009, e consiste in ripetute condotte di minaccia o di molestia che provocano degli effetti sulla vittima, come ansia, paura o timore per la propria incolumità, al punto da indurla a cambiare abitudini di vita. Ma in cosa consistono queste condotte?

Comunicazioni indesiderate, come l’invio di mail o messaggi, non solo alla vittima ma anche a suoi amici o parenti. Oppure, tentativi di avvicinamento, con pedinamenti, appostamenti sotto casa o davanti al luogo di lavoro o nei posti abitualmente frequentati.

Infine, vi sono i comportamenti “associati”, come far recapitare oggetti a casa della vittima per intimidirla e insinuarle il dubbio che l’autore di quelle azioni sia a conoscenza degli aspetti più riservati della sua vita. Ma chi è lo stalker? Non sempre è un ex o un corteggiatore respinto. A volte è una persona sconosciuta. Lo stalker può ricercare intimità con la sua vittima, credendosi innamorato e pensando che, insistendo fino allo sfinimento, riuscirà a conquistarla. Senza che questa neppure sappia della sua esistenza.

Talvolta può anche diventare violento: è il caso di chi vede nella vittima il bersaglio su cui riversare frustrazioni e avere rivalsa delle ingiustizie (immaginarie o reali) subite. Alla base di simili comportamenti c’è la difficoltà a gestire le proprie emozioni, e l’incapacità di vedere la vittima come una persona che ha il diritto di esprimere un legittimo rifiuto. Tuttavia, la presenza di un disturbo della personalità non coincide per forza con l’incapacità di intendere e di volere.

Solitamente lo stalker è pienamente in grado di comprendere il disvalore morale e giuridico delle sue condotte, da lui giustificate con il fine ultimo della conquista della persona “amata” o della vendetta per un torto subìto. Fino al 2019, quando entrò in vigore il Codice Rosso, le condanne per questo tipo di reato non avevano come aspetto principale la riabilitazione del colpevole, che una volta scontata la condanna tendeva a ripetere il reato commesso.

Da tre anni, invece, chi viene denunciato non soltanto rischia di essere sottoposto alla misura cautelare del divieto di avvicinamento e, nei casi più gravi, agli arresti domiciliari col braccialetto elettronico o alla custodia cautelare in carcere, ma se condannato può ottenere la sospensione condizionale della pena, se prevista per legge, solo se si sottopone a un trattamento di recupero.

Questa norma, sulla quale in audizione in Commissione Giustizia alla Camera dei Deputati insistetti personalmente, rappresenta un mezzo di sostegno e aiuto alla riabilitazione per chi commette gravi reati lesivi dell’incolumità altrui, psicologica o fisica, e fornisce tutela anticipata alla vittima, spesso lasciata sola ad affrontare situazioni i cui segnali di pericolosità sono a volte difficili da interpretare.

Peraltro, con l’entrata in vigore del Codice Rosso, le denunce per stalking sono aumentate: secondo i dati del Ministero dell’Interno si è passati dalle 16065 del 2019 alle 17539 del 2021.

Se si mettono in campo strumenti efficaci, dunque, le persone ritrovano fiducia nelle istituzioni. Ma le dinamiche relazionali devono improntarsi al rispetto verso l’altro, che va appreso da bambini. Lo stalking, del resto, nulla ha a che vedere con l’amore.

Nello Trocchia per “Domani” il 30 settembre 2022.

«In quel periodo ho avuto paura e non mi era mai successo». Le parole sono di Federico Ruffo, popolare conduttore Rai, alla guida di Mi Manda Rai3, e per anni inviato delle trasmissioni d’inchiesta della rete. 

Racconta la sua breve relazione, in tutto due incontri, e soprattutto il seguito “infernale” con Lodovica Rogati, balzata alle cronache grazie al lavoro investigativo di Emiliano Fittipaldi su questo giornale, che ha descritto ruolo e precedenti partendo dall’ultimo caso che ha riguardato il senatore Matteo Richetti e sul quale si è in attesa del lavoro della procura di Roma (il pm ha chiesto l’archiviazione per Rogati).

Lodovica Rogati smentisce tutto, «falso, falso» prima di dirci che andiamo dietro a «dei poveretti», ammette solo di averlo conosciuto, ma sostiene di averlo allontanato lei. Ruffo non è uno sprovveduto, ha subito pressioni e minacce nel suo lavoro, è abituato a situazioni molto complicate. «Io ne ho viste di ogni, dopo un’inchiesta sulle infiltrazioni dei clan nel mondo del calcio mi hanno perfino bruciato casa, ma non ho mai avuto paura come in quel periodo». Il periodo è quello nel quale ha incrociato Rogati. 

Come l’hai conosciuta?

«La conosco perché lei si presenta. Una decina di anni fa realizzo un’inchiesta per Presadiretta, dopo qualche giorno, come spesso accade, ricevo segnalazioni e e-mail da parte di alcuni ascoltatori. Tra queste una è di Lodovica Rogati, mai vista e conosciuta prima, che si presenta come autrice e sceneggiatrice. Mi chiede di incontrarla perché deve dirmi alcune cose», dice Ruffo.

Ma poi vi vedete?

«Non subito perché io ero impegnato in montaggio, un giorno mi chiama e mi dice che sarebbe partita per l’Africa e il nostro appuntamento sarebbe stato rimandato per troppo tempo così mi chiede di vederci a breve. Le dico che sarei uscito da lavoro dopo mezzanotte, ma lei risponde di non preoccuparmi e di andare a casa sua. In quelle settimane il tenore delle nostre conversazioni era diventato più intimo e alla fine ci vedemmo due volte, solo due volte, in questo si esaurisce il nostro rapporto», dice Ruffo.

Da questo momento in poi per il conduttore Rai le cose si sono fatte strane: «Un giorno cambia tutto nel nostro fugace e breve rapporto, anche se avevo già avvertito delle crepe, un’anomalia rispetto a una normale relazione tra un uomo e una donna. Un giorno mi chiama infuriata e comincia a chiedermi conto di nomi di donne, con le quali avevo avuto, in passato, piccole e grandi relazioni. Io nella testa comincio a chiedermi: come fa a conoscere tutti questi nomi?», dice Ruffo. 

Il giornalista si stranisce e controlla il proprio profilo social, ma non riesce ad accedere perché qualcuno aveva cambiato la password, una circostanza che Ruffo non può addebitare a Rogati, ma che scopre proprio in quei giorni.

Una coincidenza che si incrocia con fatti accaduti in quel periodo: telefonate notturne, chiamate che lo gettano nel panico. «Una sera mi chiama e mi dice che il suo ex è entrato nel profilo, ha scoperto il nostro rapporto e l’ha picchiata brutalmente e si sta recando in ospedale, il suo ex sarebbe armato e starebbe arrivando a via Teulada per spararmi», dice Ruffo. 

Il tutto avviene nel cuore della notte, il giornalista avvisa che a via Teulada ci sono le guardie armate e che non crede a una sola parola detta da Rogati.

«Un pomeriggio mi chiama un avvocato che si presenta come legale rappresentante di una signora che mi seguiva sui social, la signora aveva ricevuto da Lodovica Rogati un messaggio nel quale le veniva spiegato che non avrebbe dovuto più disturbare, per la precisione, ‘‘importunare persone sposate (...) i personaggi pubblici non si importunano”», racconta Ruffo, che si scusa con l’avvocato e con la signora.

«Un’altra volta sto andando in trasferta all’improvviso ricevo una telefonata. Era un sito di gossip, non ricordo il nome che mi chiede un commento sulla relazione che ho intrapreso con Lodovica Rogati. Gli rispondo che non c’era alcuna relazione e che l’interesse per la vita privata di un inviato era nullo», ricorda Ruffo. 

Il giornalista si sente accerchiato e decide di andare dai carabinieri. Il reato di stalking è complicato da dimostrare, l’avvio di un’azione penale avrebbe comportato una reazione e comunque un allungamento dei tempi. 

Così alla fine il giornalista non denuncia, ma riparla con Rogati, aveva scoperto i precedenti a suo carico (ne è uscita sempre pulita, il principale si è chiuso con la prescrizione del reato) e le dice che non avrebbe sporto denuncia, ma che non avrebbe mai più voluto sentirla.

Per Ruffo l’incubo finisce anche se il giornalista ricorda alcune strane coincidenze negli anni successivi. Quando il conduttore Rai inizia una relazione, la partner riceve messaggi nei quali Ruffo viene descritto come soggetto ‘inaffidabile’ e ‘frequentatore di trans’. Commenti che arrivano da utenti che interagivano con il profilo di Rogati. 

Oggi Ruffo ricorda quella storia e spiega le ragioni che l’hanno spinto a raccontarla. «Perché mi sento meno solo e anche meno stupido e perché faccio così anche un poco il mio lavoro, indipendentemente da come finirà la vicenda Richetti e il lavoro della procura (il pm ha chiesto l'archiviazione per Rogati, ndr), provando a restituire brandelli di verità».

Chiamiamo Lodovica Rogati per chiederle di rispondere nel merito, ma non la prende bene. «È falso, falso, non ha le prove, dove sono le prove? Si prenderà la denuncia per diffamazione e anche lei», dice quando le elenchiamo i fatti raccontati da Ruffo. 

Alla fine ammette di conoscerlo, ma cambia la storia e racconta la sua versione. «Io ho ancora i messaggi di Ruffo, lui voleva conoscermi, l’ho allontanato velocemente, personaggio con il quale non volevo avere nulla a che fare», dice. 

Dedica qualche parola anche al nostro giornale: «Fate pena che state dietro a dei poveretti, io sono una cittadina libera con una fedina penale pulita, sono totalmente incensurata, voi siete un giornalino della parrocchia».

 

"Devi morire". Ma il giudice assolve lo stalker: "È agorafobico". Valentina Dardari il 16 Giugno 2022  su Il Giornale.

Uno stalker è stato assolto perché ritenuto affetto da agorafobia, la patologia che non permette a chi ne soffre di uscire di casa e di avere relazioni sociali 

Uno stalker 43enne di Firenze è stato assolto perché ritenuto affetto da agorafobia, la patologia che non permette, a chi ne soffre, di uscire di casa e di frequentare luoghi aperti. L’uomo era stato accusato di stalkeraggio nei confronti della sua ex fidanzata residente a Roma, verso la quale aveva inviato in due anni messaggi come per esempio:“Non meriti amore, devi morire o passare il resto dei tuoi giorni sola come un cane o in un letto di ospedale". Oggi il 43enne è stato processato con rito abbreviato e il giudice Angelo Giannetti ha giudicato lo stalker innocente con formula piena perché ‘il fatto non sussiste’. Le motivazioni della sentenza verranno rese note entro il 22 luglio.

Minacce alla ex e al suo nuovo compagno

Secondo quanto reso noto, l’uomo era stato accusato di aver perseguitato la sua ex fidanzata ricorrendo a messaggi che le avevano creato ansia e paura per la sua incolumità, oltre a mostrarsi “geloso e possessivo, accusandola falsamente di averlo tradito". Il 43enne utilizzava i social minacciandola di recarsi sotto la sua abitazione per vendicarsi e minacciando di morte anche il nuovo compagno della donna. In seguito alle denunce sporte dalla vittima dal novembre del 2021 lo stalker era stato raggiunto da un divieto di avvicinamento emesso dal giudice per le indagini preliminari di Roma. Dopo vi è stata la richiesta di rinvio a giudizio e gli avvocati della difesa, Fabio Generini e Francesco Stefani, all’udienza dello scorso 28 aprile hanno deciso per il rito abbreviato.

I legali del 43enne hanno portato diverse indagini difensive e, tra queste, anche un documento in cui risultava che il loro assistito era da circa cinque anni seguito dal centro di salute mentale della Asl di Firenze, in quanto affetto da agorafobia, ovvero una patologia che porta chi ne soffre a trascorrere molto tempo chiuso nella propria casa. Tra le situazioni che più frequentemente vengono evitate da chi mostra sintomi di agorafobia si riscontrano: uscire da soli o stare a casa da soli, guidare o viaggiare in automobile, frequentare luoghi affollati come mercati o concerti, prendere l’autobus o l’aeroplano, essere su un ponte o in ascensore. Questa patologia, che porta a ridurre al massimo i rapporti sociali, è stata riconosciuta anche in una relazione psichiatrica di un consulente della difesa.

La tesi della difesa

Secondo quanto sostenuto dai legali del 43 enne, questa condizione sarebbe tale da impedire al loro assistito di intrattenere relazioni sociali e men che meno di essere in grado di raggiungere Roma per stalkerare la sua ex. La difesa ha anche asserito che non vi era persecuzione verso la donna, precisando, rispetto agli argomenti avanzati dall'accusa, che la ragazza non ha mai cambiato le proprie abitudini di vita e che era solita assumere dei tranquillanti anche prima del rapporto con il 43enne di Firenze. Conseguenza dell’assoluzione è stata la revoca della misura del divieto di avvicinamento. Gli avvocati dell’uomo hanno affermato: "Con ampia attività di indagine difensiva abbiamo dimostrato l'insussistenza delle accuse che aveva mosso la procura al nostro assistito, basandosi su denunce della persona offesa che avevano inizialmente portato anche all'adozione da parte del gip di Roma di una misura cautelare nei confronti del nostro assistito". Misura che il "giudice, emettendo la sentenza di assoluzione, ha revocato".

Denuncia il corteggiatore per stalking. La giudice romantica: "Ma no, è amore". L'uomo, invaghito della tabaccaia, le fa appostamenti e le scrive lettere. Per il Tribunale "non ci sono atti di molestia o minaccia". Luca Fazzo  il 4 Settembre 2022 su Il Giornale.

Va bene che viviamo tempi terribili, dove le donne sono vittime di persecuzioni, violenze, omicidi. Ma una semplice lettera d'amore - per quanto sperticata, per quanto sopra le righe - non può diventare la prova di un reato: anche se da quella dichiarazione carica di passione la destinataria ha tratto motivo di preoccupazione e d'ansia, al punto di cambiare le proprie abitudini di vita. Chiamato a stabilire dove finisce il corteggiamento e dove iniziano la molestia e la persecuzione, un giudice (donna) milanese non ha avuto dubbi. Non c'è reato, dice il giudice. Lo spasimante, se lo vorrà, potrà tornare a avvicinare l'oggetto dei suoi desideri. Purchè, ovviamente, non vada più in là. La Procura, che aveva chiesto che all'uomo fosse ordinato di stare alla larga, e che voleva portarlo a processo, si rassegna: e chiede l'archiviazione.

Lei è la bella tabaccaia di un bar sulla circonvallazione esterna di Milano, ritrovo abituale dei poliziotti delle Volanti all'ora del cambio turno. Lui è un uomo non più giovane, maltrattato dalla vita, fedina penale non proprio immacolata, ma che ora riga dritto. Abita vicino al bar-tabacchi, entra, la vede, resta folgorato. E il 7 marzo scorso le invia tre pagine di lettera, scritte fitte al computer, che la lasciano di sasso. «Dopo aver riso a crepapelle con le sue amiche - premette - cestini questa lettera», «non voglio mettere in difficoltà la sua vita». Ma io la amo, dice lo spasimante. Lei è la mia Dulcinea del Toboso, «e non potrei essere anch'io don Chisciotte e amare una donna segretamente? Però mi sono anche detto: pechè non dirglielo che è una bella donna, e che la desidero, cosa potrebbe esserci di male?».

Invece la tabaccaia la prende malissimo, e si capisce: perchè nella lettera anonima ci sono anche dettagli della sua vita privata, lo sconosciuto sa che è sposata, conosce il suo indirizzo di casa. Si sente messa nel mirino. Così porta la lettera anonima dai carabinieri. Risalire al mittente è impossibile. Ma pochi giorni dopo l'uomo esce allo scoperto: va al bar, fa la coda alla cassa, quando arriva il suo turno fa l'occhiolino alla donna. Per la tabaccaia è un attimo metterlo in relazione alla lettera. Sbircia l'auto parcheggiata li accanto, segna la targa. Pochi giorni dopo si ritrova l'uomo sotto casa, poi davanti al lavoro. Sembra il copione di altre storie finite tragicamente. La donna è sempre più allarmata. L'uomo viene identificato grazie alla targa, parte l'inchiesta della Procura. Il 4 maggio il pm chiede che scatti per lui il divieto di avvicinamento.

Ma una settimana dopo, l'11 maggio, il giudice preliminare Sara Cipolla respinge la richiesta. Per il reato di stalking, scrive, «è necessaria una pluralità di atti di minaccia o molestia». Qui invece, c'è solo la lettera alla donna: «dal contenuto si desume che l'uomo intende rimanere un suo ammiratore segreto, che non intende turbare la serenità del suo matrimonio, e che con tale gesto abbia semplicemente desiderato esternarle il suo amore». Che poi l'uomo abbia continuato a presentarsi al bar non vuol dire nulla: «Si è limitato ad accedere in un luogo pubblico, come faceva da oltre un anno, per consumare il caffè». Gli incontri sotto casa possono ben spiegarsi: l'uomo ha un box nella stessa via.

E l'ansia, i patemi della donna? Perché si possa parlare di stalking per il giudice Cipolla «non basta la sensazione di mero fastidio o irritazione». Così il sedicente don Chisciotte, difeso dall'ottimo avvocato Angelo Colucci, si vede prosciogliere. Sperando che si decida comunque a lasciare in pace la signora.

Marialuisa Jacobelli, arrestato lo stalker della giornalista di Dazn: 600 mail, insulti e botte. Luigi Ferrarella su Il Corriere della Sera l'1 Luglio 2022. 

Francesco Angelini, imprenditore monegasco, ha perseguitato per mesi la giornalista, con telefonate, appostamenti, insulti, botte. Jacobelli aveva denunciato sui social le continue aggressioni del’uomo: «Costretta a cambiare casa e abitudini»

Galeotto fu il fantasma di Mbappé. Il playboy 51enne biasimava che la sua «fiamma» 29enne, giornalista e protagonista nel 2020 del reality di Maria De Filippi «Temptation Island», potesse essere stata con un giocatore di colore del Paris Saint-Germain: lo riassumono ora pudicamente gli atti giudiziari a proposito dei commenti dell’imprenditore monegasco Francesco Angelini (adirati e pure striati di venature linguisticamente sgradevoli) sul flirt con il bomber del Psg e della nazionale francese Kylian Mbappé, attribuito mesi fa dai giornali di gossip all’attuale conduttrice della piattaforma tv Dazn, Marialuisa Jacobelli, 1 milione e 600mila followers su Instagram. 

E questo anche se i contatti della ragazza con il calciatore, di qualunque natura fossero stati, erano stati precedenti alla relazione sentimentale allacciata da Angelini e Jacobelli (figlia di Xavier, direttore di Tuttosport) tra settembre e dicembre 2021. 

Da quella prima esplosione di ira, che il 2 gennaio 2022 in una stanza del Palace Hotel di Montecarlo costringe la ragazza a chiamare in aiuto un’amica dopo aver subìto uno schiaffo e il lancio di una bottiglia, Angelini inizia la sfilza di atti persecutori denunciati il 17 giugno da Jacobelli alla Squadra Mobile di Milano — «pesante turpiloquio afferente la sfera sessuale, aggressioni fisicamente condotte, messaggi ripetuti e sempre mortificanti, ossessiva volontà di conoscere movimenti e frequentazioni» – che hanno ora indotto il gip milanese Livio Cristofano a ordinare la custodia cautelare in carcere del «molestatore seriale e compulsivo, incapace di accettare le decisioni dissenzienti delle sue compagne e contenere la propria parossistica e immotivata gelosia». 

Sulla valutazione del pm Pasquale Addesso ha pesato l’analogia con lo stalking di una precedente compagna che Angelini aveva patteggiato nel 2018 a 2 anni di pena sospesa, e il passaggio dalle parole ai fatti (di percosse) a inizio aprile a casa di Jacobelli. In mezzo, un martellamento di 600 mail di insulti e minacce, 278 telefonate alla giovane, 1.072 a sua madre, appostamenti testimoniati dalle 1.422 volte nelle quali i tabulati del telefonino dell’uomo lo localizzano vicino casa della giornalista. 

Come spesso accade tra perseguitata e stalker, «lui voleva convincermi a dargli un’altra possibilità», e per un certo periodo «ho cercato di assecondare» l’uomo conosciuto a Londra a una partita del Chelsea, «tanto da non interrompere completamente la frequentazione. Il 23 gennaio per il mio compleanno organizzò un week end a Parigi», ma, «dopo aver visto una mia foto su Instagram, ha iniziato a insultarmi con le solite frasi “sei una mignotta” e “ti rovino”. Da quel momento ho capito che dovevo troncare la relazione. Tuttavia è capitato si presentasse a casa mia e in alcune occasioni cercavo di calmarlo facendolo entrare in casa». 

Come l’1 aprile, quando però «sono stata nuovamente vittima della sua follia con insulti, minacce di morte, calci ai polpacci, spinte e sberle sul viso»; scena che si ripete il 3 aprile quando «mi ha afferrato per il collo e poi mi ha scagliato un borsone addosso, sempre con minacce di morte» e in seguito con appostamenti sotto casa, pedinamenti in palestra, suonate al citofono. Tali da indurla «a cambiare casa» e «non pubblicare sul mio profilo Instagram foto o video per paura di essere localizzata». Un «grave disagio emotivo», riassume il gip, che le ha «instillato una sensazione di costante preoccupazione per la propria incolumità e di deterioramento della propria attività professionale connotata da una dichiarata popolarità mediatica».

Giuseppe Guastella per il “Corriere della Sera” il 9 giugno 2022.

Il suicidio era l'unica, disperata via d'uscita, da volere davvero o solo da inscenare, che Carlotta Benusiglio fosse in grado di intravedere per sottrarsi alla condizione di vittima di stalking che ormai le era insopportabile.

Marco Venturi, che aveva tutti gli elementi per poter immaginare che dopo l'ennesimo scontro l'ex fidanzata avrebbe potuto fare qualcosa di grave ma non se ne curò, viene condannato a 6 anni di reclusione in abbreviato perché la morte della sua ex compagna viene ritenuta «conseguenza» degli atti persecutori che le aveva inflitto. La Procura aveva chiesto per lui 30 anni di carcere.

Un caso giudiziario Per la prima volta, una sentenza mette in relazione lo stalking subito da una donna e il suo suicidio, addossando la responsabilità del secondo - come conseguenza del primo - al suo persecutore. 

Il caso è quello della stilista ed ex modella di 37 anni Carlotta Benusiglio che il 31 maggio 2016 fu trovata impiccata a un albero dei giardini di Piazza Napoli, a Milano. In sei anni il caso giudiziario ha oscillato tra la tesi del suicidio e quella dell'omicidio commesso da Marco Venturi, oggi 46enne, che avrebbe poi inscenato la volontà dell'ex compagna di togliersi la vita legando con lucida freddezza il suo corpo a un ramo. Un'ipotesi che ora il giudice dell'udienza preliminare accantona definitivamente.

Le indagini

Le prime indagini su Venturi per istigazione al suicidio si chiusero a ottobre 2016 con una richiesta di archiviazione che, però, un mese dopo fu revocata da un altro pm (il precedente si era trasferito) il quale ribaltò tutto e chiese il suo arresto per omicidio volontario che, però, fu negato dal gip, dal Tribunale del Riesame e dalla Cassazione per mancanza di sufficienti elementi di colpevolezza.

Il cadavere fu riesumato ma anche una nuova autopsia non riuscì a escludere definitivamente l'ipotesi del suicidio. Sembrò ottenere questo risultato inizialmente una consulenza tecnica voluta dalla famiglia Benusiglio sulle immagini delle telecamere di sorveglianza che erano già agli atti dell'inchiesta.

Registrano la coppia alle 3,39 in Piazza Napoli dopo l'ultima violenta lite, lei davanti e lui che la segue a pochi metri; poi lei da sola che alle 3,40 attraversa la strada e va verso il parco; quindi lui solo dalle 3,42 alle 3,50, mentre preleva i soldi da un bancomat.

Dicono anche che alle 3,41 una sagoma vicina all'albero ostruisce la luce di un lampione: sarebbe il corpo della donna appena morta. La consulenza della famiglia sosteneva che alle 3,41 e 49 dallo stesso albero si allontana qualcosa che potrebbe essere la sagoma di Venturi, ma per la polizia e per il perito del giudice si tratta solo di un effetto elettronico, un «artefatto di compressione».

Le vessazioni

Venturi aveva a lungo sottoposto la ex modella a quelli che tecnicamente sono «atti persecutori» - è stato condannato anche per questo - in un rapporto molto conflittuale, tempestandola di telefonate e messaggi, presentandosi sotto casa, spiando i suoi movimenti fino ad aggredirla e minacciarla. 

La disperazione

Tutto ciò potrebbe aver fatto precipitare Carlotta Benusiglio nella disperazione fino a scegliere di morire. Su come questo sia avvenuto non è ancora chiaro, forse lo sarà tra 90 giorni con le motivazioni della sentenza.

Due le possibilità: che si sia uccisa volontariamente oppure a causa di un incidente. «Uno dei due deve lasciarci la pelle, ecco quando finirà», scriveva dieci giorni prima a un'amica. Annuncio o minaccia? Già il Tribunale del Riesame non escluse che la donna avesse voluto «platealmente "sfidare" Venturi con un gesto estremo, magari dimostrativo di una capacità, gesto rapidamente sfuggito di mano (...) e dalle conseguenze tragiche». 

L'uomo forse aveva chiara la situazione, ma per negligenza lasciò colpevolmente che l'ex compagna si allontanasse da sola nella notte in quello stato, ma non è responsabile diretto della sua morte.

«In attesa delle motivazioni, è certo che la sentenza dice che sono stati i suoi comportamenti a portare alla morte di Carlotta», afferma l'avvocato Gian Luigi Tizzoni, legale della famiglia. «Siamo contenti. Non è stato condannato a tanti anni ma volevamo che fosse ridata dignità a Carlotta. Credevo nella giustizia, è arrivata», afferma commossa Giorgia, sorella della vittima. 

I difensori di Venturi, gli avvocati Veronica Rasoli e Andrea Belotti, guardano con fiducia all'appello: «Per ora è importante che sia caduta l'ipotesi che lo descriveva come un assassino che strangola e poi inscena un suicidio per impiccagione».

Alessia Marani per “il Messaggero” l'8 giugno 2022.

Due anni di inferno fatti vivere all'ex fidanzata tormentata, minacciata, terrorizzata con continue ed esplicite minacce di morte. Per M. M., 43enne originario di Firenze il gup del tribunale di Roma ha disposto il rinvio a giudizio per stalking aggravato nei confronti della ex di qualche anno più giovane. Il 16 giugno verrà processato con rito abbreviato, come richiesto dalla difesa. 

«Devi morire, passare il resto dei tuoi giorni sola come un cane o in un letto d'ospedale tra sangue e dolori», le scriveva in ripetuti messaggi, «cagionandole - scrive il giudice nel capo di imputazione - un perdurante e grave stato di ansia e di paura», «non meriti amore o amici». Ultimamente, l'uomo, al momento disoccupato, aveva preso di mira anche il nuovo compagno della vittima, a sua volta divenuto oggetto di minacce. 

LE PERVERSIONI M. M., pur vivendo lontano dalla Capitale, aveva contattato più volte l'ex ragazza, difesa dall'avvocato Aldo Minghelli, anche attraverso falsi profili Facebook con cui provava ad agganciarla.

E avviava il suo show perverso, annunciandole pratiche sessuali con una foto di lei che la ritraeva ancora bambina, a 5 anni, oppure altre perversioni indossando le scarpe appartenute alla madre di lei. Del suo repertorio del terrore facevano parte anche una sfilza di messaggi su whatsapp in cui si mostrava ossessionato dalla gelosia, accusandola falsamente di averlo tradito.

Pensando di fare leva sulla sua pietas, le comunicava a più riprese di volere togliersi la vita se non fosse tornata con lui: «Se mi uccido sarà colpa tua», l'incalzava. Al culmine della sua frustrazione non esitava nemmeno a dirle che «vengo a Roma io con le mie sorelle, verremo sotto casa tua per vendicarci». La vicenda è una storia complessa: l'ex coppia aveva vissuto, per alcuni periodi, a casa della famiglia di lui. Un ambiente in cui la ragazza avrebbe subito altre vessazioni, insultata perché all'epoca non aveva un lavoro ed era in forte sovrappeso.

GLI SMS Il 31 gennaio del 2021 alla vittima arrivavano messaggi vocali e scritti che le procuravano letteralmente un crollo nervoso, alla presenza dei suoi genitori e dell'attuale fidanzato. Non basta. M. M. non desiste nonostante lei cerchi di ignorarlo e si rivolga alle forze dell'ordine. E il 2 agosto dello scorso anno, tra l'altro, le scriveva: «Farai i conti anche te con Dio e credo che là sotto ci faremo compagnia». Un messaggio inquietante comparso sul display del cellulare che ha spinto la giovane donna, in preda a un profondo stato d'ansia «per un fondato timore per la sua incolumità», a rivolgersi nuovamente all'autorità giudiziaria.

Il 43enne, attualmente sottoposto alla misura del divieto di avvicinamento, è stato, dunque, rinviato a giudizio con l'accusa di stalking con l'aggravante di essere stato legato alla persona offesa da relazione affettiva e di avere commesso il fatto attraverso strumenti telematici. Nei confronti dell'imputato è stata, inoltre, applicata la misura del divieto di avvicinamento. 

LE DISPOSIZIONI Nel capo di imputazione della Procura capitolina vengono elencate tutte le condotte persecutorie messe in atto dall'indagato. Con il passare dei mesi il suo atteggiamento si era fatto aggressivo con comportamenti più che bizzarri verso la vittima, diventata bersaglio delle sue continue follie. Il nuovo rinvio a giudizio per stalking nella Capitale arriva a distanza di pochi giorni da quello disposto nei confronti di un di 38enne di origini brasiliane che per tredici mesi ha preso di mira una ragazza di 25 anni conosciuta su Facebook.

In questo caso l'uomo, oltre ai messaggi minacciosi, era passato alle vie di fatto arrivando aggredire la donna colpendola con calci e pugni. Cause di stalking se non debitamente trattate, spesso, purtroppo, sono prologo di violente aggressioni o femminicidi. Questi ultimi, in Italia, dall'inizio dell'anno sono stati già 23.

Romina Marceca per “la Repubblica – Edizione Roma” il 29 maggio 2022.

La misura cautelare del divieto di avvicinamento, ma senza braccialetto, e di invio di messaggi o chiamate al telefono arriva nel primo pomeriggio di sabato. Ma lo stalker di Waima Vitullo, la pornodiva perseguitata con 600 messaggi e 100 telefonate al giorno, torna subito all'attacco. « Mi mandi la polizia a casa? Io sono a Roma per ammazzarti. Tanto in galera non ci vado perché prima uccido te e poi mi ammazzo io» , gli scrive subito lui in una decina di nuovi messaggi.

Scatta così l'ennesima denuncia da parte di Waima Vitullo che continua a rifugiarsi in una casa protetta e lontana dal figlio. La donna è rimasta per tutto il pomeriggio al distretto San Giovanni per segnalare la violazione del provvedimento del giudice. Da aprile ha sporto tre denunce. 

«Lo Stato deve reagire in modo più deciso, l'allontanamento è una misura troppo blanda. Quell'uomo non si fermerà e si prende gioco di magistrati e forze dell'ordine» , dice Bo Guerreschi, la presidentessa della onlus " bon't worry" che assiste la donna. 

La storia di Waima è stata raccontata da Repubblica nei giorni scorsi quando la pornostar era stata costretta a lasciare la sua casa per paura dell'ex con il quale aveva troncato la relazione nello scorso febbraio e ha cominciato a perseguitarla. Waima ha atteso per oltre un mese la misura cautelare, il suo stalker però non sarebbe intenzionato a fare marcia indietro. «Te l'ho detto, ti cancello dalla faccia della terra», le ha scritto sempre ieri. 

La misura cautelare dispone che quell'uomo, di origini napoletane, deve stare a «350 metri di distanza da Waima anche in caso di incontro occasionale». E lontano due chilometri dalla casa dove Waima vive e dalla scuola del suo bambino. Waima Vitullo ha scritto una lettera a Repubblica. Dopo la pubblicazione dei primi due articoli c'è stata un'accelerazione della decisione del giudice. 

«Ho 43 anni e non avrei mai immaginato di ritrovarmi a raccontare tutto questo. Ti senti soffocare. Non chiedevo nulla. Solo un po' di serenità nella vita che quest' uomo, che diceva di amarmi, mi ha tolto. Voi vi chiederete, perché tutto questo? Non lo so e nessuna donna lo saprà mai», è quanto scrive Waima. Che aggiunge: «Donne non abbiate paura, ci sto mettendo la faccia e non per visibilità. Non è facile, credetemi, ma è sicuramente meglio di morire senza aver parlato».  

Romina Marceca per “la Repubblica - ed. Roma” il 29 maggio 2022.

È stata costretta a scappare dal suo appartamento di Cinecittà e a nascondersi in una casa protetta dopo l'ennesimo messaggio di morte: «Vedo tutto buio. Appena metti piede fuori, io compaio davanti a te». 

«Ti mando all'altro mondo insieme a quel morto di fame di tuo padre, troia», un altro degli ultimi avvisi da parte dell'ex. Seicento tra vocali e messaggi Whatsapp al giorno hanno fatto piombare Waima Vitullo nel tunnel del terrore. «Ho paura che quell'uomo mi uccida, chiedo al gip di accelerare i tempi. Ascoltatemi, lui è libero e io sono dovuta scappare».

Waima ha deciso di parlare a Repubblica e fornire il suo nome, conosciuto nel panorama dei film a luci rosse e per la partecipazione al reality "I Mammoni", perché spera che possa servire a tutelarla. 

Il suo codice rosso sembra essersi incastrato nei passaggi burocratici, nonostante la richiesta del pm subito dopo la denuncia della donna. Dopo un mese non è arrivata nessuna decisione del tribunale.

«La burocrazia frena la nostra azione. Un fascicolo aspetta di essere spostato da una parte all'altra del palazzo di giustizia. Quell'uomo doveva essere allontanato nell'immediatezza. Sta sfidando lo Stato», denuncia Bo Guerreschi, presidentessa di "Don't worry", la onlus che assiste la vittima. 

Waima è anche una mamma che rischia la vita e da martedì mattina vive nella casa protetta messa a disposizione dall'associazione che combatte la violenza di genere. La prima denuncia è stata presentata il 16 aprile scorso ma le vessazioni psicologiche vanno avanti da febbraio, a due mesi dalla fine della relazione con un uomo napoletano più giovane di lei.

«La mia assistita non è l'attrice dei film hard e dei Mammoni, Waima è una donna disperata che ha paura. È vessata da oltre 600 messaggi al giorno inviati da un uomo che le sta distruggendo la vita», ci tiene a sottolineare l'avvocata Licia D'Amico. 

«Mi sono data anche delle colpe che non ho. È ossessionato da me, non come donna ma come oggetto. Era sotto casa mia ogni giorno. Si vuole prendere il mio sorriso. Non dormo più, mi tormenta, non mangio. Non me lo meritavo, nessuna donna lo merita», piange Waima.

L'attrice conosce quell'uomo nel maggio del 2021 durante una serata a Italia Uno. «Poi ci siamo incontrati di nuovo a Napoli», continua Waima. 

La storia d'amore viene troncata da lei quando «una sera ho dovuto chiamare la polizia perché per un motivo stupido ha iniziato a sbattersi la testa sull'armadio e ha cominciato a scendere e a salire dal letto. Lì ho capito che alcuni segnali che avevo colto in passato avevano un senso».

A dicembre scorso la storia finisce, da febbraio inizia l'inferno. «Mi ripete - racconta Waima - che non sarò mai felice». È ancora Bo Guerreschi a chiedersi: «Deve morire per essere ascoltata?».

Fulvio Fiano per il “Corriere della Sera - ed. Roma” il 24 maggio 2022.

Vessato, insultato, minacciato e aggredito. Calunniato e screditato al lavoro. Ostacolato e «dissuaso» a suon di appostamenti e pedinamenti dal continuare la storia nella quale si era rifugiato dopo essere stato cacciato di casa. 

Tra i due partner, però, stavolta lo stalker è una donna, moglie della vittima che infine l'ha denunciata. Ieri, davanti alla quinta sezione collegiale è cominciato il processo che dovrà eventualmente superare anche i consueti canoni di giudizio culturale, nel caso emergesse la prova della colpevolezza dell'imputata. Lui e lei sono entrambi romani.

I fatti risalgono alla primavera-estate del 2020 quando l'uomo, 55 anni, impiegato all'ambasciata americana, viene mandato fuori casa dalla moglie di due anni più giovane, al culmine di anni difficili fatti di pubbliche ramanzine ed epiteti poco lusinghieri che la donna gli rivolge durante le cene con gli amici, di debiti contratti per far fronte col suo solo stipendio al tenore di vita preteso dall'imputata, di continue umiliazioni verbali subite dalla vittima davanti ai due figli. 

In aula, rispondendo alle domande del pm Claudia Alberti, l'uomo ripercorre i giorni passati a dormire in garage e l'ospitalità ricevuta da un amico fino al momento di trasferirsi a casa della donna che aveva intanto conosciuto. È sulla nuova compagna, sua coetanea, che si scatena però l'ira dell'imputata.

«Cercò di entrare a casa mia fingendo di essere un tecnico dell'Acea - racconta ai giudici la donna, parte lesa anch'essa -. Un'altra volta mi avvicinò in auto mentre aspettavo l'autobus e cominciò a seguirmi. Via mail mi mandava le foto di casa mia e della mia auto per intimorirmi. Mi diceva: "Ti denuncio, so come le hai comprate", alludendo chissà a cosa. Ho smesso di dormire e per mia tranquillità l'auto l'ho cambiata e la casa l'ho venduta», aggiunge in lacrime.

In un'altra occasione l'imputata si sarebbe presentata sotto casa della «rivale» assieme ai figli urlando: «Guardate con che p... se n'è andato vostro padre». In almeno altre due occasioni la donna avrebbe aggredito fisicamente il marito (si stanno separando) assieme al figlio adolescente: al cinema e davanti al suo ufficio. 

Ma, come testimoniato da un collega dell'uomo, il perimetro di azione dell'imputata era molto più ampio: «Ci diceva che il marito spendeva i soldi in droga, prostitute e gioco d'azzardo, tutte cose false. E quando l'ho invitata a calmarsi perché lui avrebbe perso il lavoro, lei mi scrisse: "Spero tu possa passare le stesse cose". Ero in viaggio di nozze».

Francesca De Martino per “Il Messaggero” il 6 maggio 2022.

Sfogare tutta la rabbia contro l'ex suocera ultrasettantenne e vicina di casa, in un palazzo a Tor Bella Monaca, era diventato quasi il suo obiettivo quotidiano: pugni continui contro la parete, il cancello d'ingresso sbattuto più volte con tutta la forza possibile, insulti e minacce di morte urlati direttamente dal pianerottolo del condominio. 

Queste le vessazioni che la vittima, per la Procura, sarebbe stata costretta a subire per tre anni, dal 2018 al 2021. Un periodo vissuto nel terrore e sotto una pressione tale da far finire la donna in cura da uno specialista.

Per questi fatti, una quarantacinquenne romana, domestica, è stata rinviata a giudizio dal gup Tamara De Amicis. Il pm Stefano Pizza contesta all'imputata l'accusa di stalking.

I fatti contestati si sarebbero consumati dal 2018 al 2 novembre del 2021. L'imputata, assistita dall'avvocato Tranquillino Sarno, dal 2018 si sarebbe accanita contro l'ex suocera «tanto da cagionarle un perdurante e grave stato d'ansia e di paura e obbligarla a seguire un percorso medico», annotano i magistrati negli atti.

Il palazzo in zona Tor Bella Monaca, in cui abitano ancora oggi le due donne, per la 45enne sarebbe diventato come uno sfogatoio. 

Per i pm, l'imputata avrebbe dato il tormento alla vittima approfittando del fatto che a dividerle c'era, di fatto, solo una parete. E, proprio contro il muro divisorio, l'imputata avrebbe concentrato tutta la sua rabbia con colpi continui.

Poi, ancora, avrebbe sbattuto sempre più forte il cancello d'ingresso dell'abitazione dell'ex suocera «molestandola e minacciandola in ogni occasione, così da squilibrarla e farla vivere continuamente sotto pressione», sostiene l'accusa. 

Sempre nel 2018, la 45enne avrebbe bussato alla porta della vittima con il solo scopo di offenderla e minacciarla: «Vi ammazzo, vi tiro fuori le budella». E ancora: «Devi morire di infarto», «devi andare dentro una cassa da morto», questo l'elenco di insulti riportato negli atti.

A luglio 2020, invece, l'imputata sarebbe passata agli insulti urlati a squarciagola dal pianerottolo del condominio: «Devi morire», «porti il pannolone». Un episodio simile, per i magistrati, si sarebbe ripetuto a novembre dello stesso anno: «Vi strappo l'anima. Vi è rimasto poco da vivere», avrebbe gridato la donna, sempre dal pianerottolo, ai familiari dell'ex marito. 

Nel novembre del 2021, l'imputata sarebbe riuscita ad avvicinare la persona offesa, nel pianerottolo offendendola dal vivo e precisando che sarebbe stata lei a volere la separazione dal figlio. Nel settembre prossimo, la donna dovrà rispondere dell'accusa di stalking davanti al Tribunale monocratico. 

Da "La Stampa" il 12 aprile 2022.

Ciao a tutti, Mi sento in dovere come atleta e personaggio pubblico di condividere con voi quello che ormai piano piano sta uscendo ovunque.. Vorrei dare l'esempio non solo dentro il campo, ma anche e sopratutto fuori, aiutare tutte le persone che hanno o stanno passando questo momento difficile come è successo a me in passato e in questo ultimo periodo.. 

Ragazzi e ragazze non abbiate paura di denunciare, la violenza, in qualsiasi forma essa sia, non va assolutamente sottovalutata. 

Siate coraggiosi, perché io in prima persona so benissimo quanto possa essere difficile, sopratutto quando ti rendi conto che il passato potrebbe tornare nel presente, ma vi posso assicurare che sarebbe ancora più difficile affrontarlo da soli! 

Vorrei ringraziare innanzitutto i carabinieri che mi hanno protetta in questo cammino, rendendosi sempre disponibili in ogni occasione.

Un ringraziamento speciale va anche alla mia società, Vero volley Monza, che mi ha sostenuta e aiutata ad affrontare questo brutto episodio, tutelandomi in ogni situazione.

I ringraziamenti non finiscono qui, e questi sono i più importanti di tutti, grazie davvero a tutte le persone che mi sono state accanto ultimamente, cercando di rendermi le giornate migliori e strappandomi qualche volta anche un sorriso, senza di voi sarebbe stato tutto più difficile. 

È stato Doloroso riaprire una vecchia ferita, ma sono estremamente felice che tutto questo per ora sia finito. Grazie per sostenermi sempre.

Un abbraccio, Ale.

Valentina Errante per “il Messaggero” il 12 aprile 2022.

«Se sei nell'altra sala da sola ti disintegro, in senso buono prima che mi debba giustificare anche con il gip». Per Angelo Persico, 55 anni, ex bancario e padre di due figlie, l'ossessione ha un nome: Alessia Orro. Il pensiero della pallavolista di 23 anni, in forze alla nazionale, non lo ha mai abbandonato dal 2018. A poco è servito l'arresto di tre anni fa, il procedimento giudiziario che si è concluso con il patteggiamento della pena di un anno e otto mesi, il periodo ai domiciliari e l'ordine del giudice di seguire un percorso di riabilitazione e di non contattare né avvicinare più la ragazza. 

 Era tornato libero dopo la detenzione in casa e così aveva ripreso a braccare Alessia. Con centinaia di messaggi su Instagram e una persecuzione fisica che non conosceva soste. Fino a domenica, quando è stato di nuovo arrestato in flagranza dai carabinieri di Villasanta (Monza) mentre stava pedinando la sua vittima, che entrava nel palazzetto dello sport «Arena di Monza» per gli allenamenti. L'accusa è ancora di stalking.

Persico aveva ripreso a tormentare Alessia con messaggi d'amore sul suo profilo Instagram: «Ho bisogno solo di te, lo giuro, sulle mie figlie. Abbi pietà di me». O ancora: «La doccia è un po' piccolina ma ci possiamo stringere» e quando la pallavolista lo aveva bloccato, i messaggi non erano finiti, il bancario di Novara aveva cominciato a seguirla da un altro profilo e aveva ripreso a tormentarla: «Sono andato a prendere delle rose. Ti amo Alessia. Non lasciarmi da solo se mi lasci da solo anche questa volta sei una p..».

E ancora: «Questa è l'apocalisse, sono stato chiaro. Al mio segnale scatenate l'inferno». Intanto aveva acquistato un abbonamento vip per seguire la squadra, nella speranza di incontrare Alessia all'uscita degli spogliatoi. Sempre presente, non solo sui social ma anche nella vita reale. Ad ogni allenamento alla Vero Volley Monza. La squadra aveva fatto un cordone intorno a lei e, dopo la nuova denuncia i militari non avevano impiegato molto a stabilire che lo stalker era sempre lui. 

L'uomo che tre anni prima aveva tormentato Alessia e ora era tornato libero. Così i militari avevano attivato le telecamere di Villasanta con un sistema di segnalazione della targa dell'auto, che scattava ad ogni passaggio. Domenica lo hanno arrestato dentro a un bar. Tre anni fa l'arresto era avvenuto all'aeroporto, Persico era sceso da un aereo decollato da Olbia, dove era andato a seguire la trasferta della Unet Yamamay di Busto Arsizio.

Non era la prima volta, anzi: l'uomo aveva inseguito Alessia anche in Turchia, cercando di prenotare una stanza vicina alla sua in hotel. Nel 2019, il gip di Varese aveva accolto l'istanza dell'avvocato della difesa che aveva chiesto per il suo assistito la possibilità di seguire un percorso di riabilitazione, con la possibilità di riprendere il lavoro. 

Il provvedimento, che disponeva i domiciliari, ai quali si era anche opposta il pm Flavia Salvatore, che aveva chiesto la misura cautelare in carcere, prevedeva anche una serie di divieti: non contattare in alcun modo la sua vittima, e neanche parenti, amici e colleghi. 

Ma al momento dell'arresto Persico aveva già un precedente: in passato aveva perseguitato altre due donne ed era stato fermato in possesso di due coltelli e arrestato. 

Pochi mesi dopo c'era stato il processo: Persico aveva patteggiato un anno e otto mesi, ai domiciliari per continuare appunto il percorso di riabilitazione, che chiaramente non ha sortito gli effetti sperati. 

Alessia, che già dopo il primo arresto aveva voluto lanciare un messaggio, è tornata a farlo tramite la sua pagina Facebook, invitando le vittime di stalking a denunciare: «Io in prima persona so benissimo quanto possa essere difficile», ma che affrontarlo da soli «sarebbe ancora più difficile», seppur sia stato «doloroso riaprire una vecchia ferita». Poi ha ricordato come «la violenza, in qualsiasi forma essa sia, non va assolutamente sottovalutata».

Da ilmessaggero.it il 10 aprile 2022.

Offese a sfondo sessuale, frasi pesantemente misogine, dileggio teso a sminuire le donne. Un nuovo rapporto sulle falle di Instagram si basa su migliaia e migliaia di messaggi postati sul social, sotto il profilo di donne famose, influencer, politiche o intellettuali. Il risultato sembra essere sempre lo stesso: ognuna di loro è stata bersaglio privilegiato di sistematici attacchi misogini. Uomini che odiano le donne.

Il monumentale rapporto è stato pubblicato dalla piattaforma britannica indipendente Center for Countering Digital Hate (CCDH). Dalle pagine del testo appare subito chiaro il fallimento di Instagram a proteggere le sue utenti da questo fenomeno generalizzato e apparentemente inarrestabile. Tra i profili maggiormente presi a bersaglio quelli della presentatrice inglese Rachel Riley, dell'attivista Jamie Klingler, della giornalista Bryony Gordon. 

Lo studio evidenzia, inoltre, l'impossibilità per le utenti a segnalare le note vocali offensive che vengono inviate direttamente a loro oppure l'impossibilità a segnalare i messaggi inviati in modalità vanish, ossia quando una immagine viene mostrata per un certo periodo di tempo e poi scompare. Instagram, inoltre, al momento permette agli estranei di effettuare chiamate vocali a donne che non conoscono tramite messaggio diretto. Questo, ovviamente, porta a quella che è stata definita un'epidemia di abusi misogini.

Lo studio ha riportato decine di esempi di utenti che inviano alle donne foto porno o immagini di se stessi senza veli. A questo si aggiungono poi i messaggi violenti o addirittura le minacce di morte. Nel 2020, la più grande indagine globale sulla violenza online ha rilevato che una ragazza su cinque (19%) ha lasciato o ridotto significativamente la sua attività sui social, proprio per questo motivo e perché non si sentiva sufficientemente protetta.

«Sebbene non condividiamo molte delle conclusioni del CCDH, siamo assolutamente d'accordo sul fatto che le molestie nei confronti delle donne siano inaccettabili - spiega Cindy Southworth, Head of Women’s Safety, Meta - Proprio perché non ammettiamo la violenza di genere o qualsiasi tipo di minaccia di violenza sessuale, lo scorso anno abbiamo annunciato degli strumenti per tutelare maggiormente i personaggi pubblici femminili. I messaggi di persone non seguite vengono raccolti in una casella di posta separata, da dove è possibile bloccare o segnalare il mittente, oppure disattivare completamente le richieste di messaggi. È possibile ricevere chiamate da persone che non si conoscono solo se viene accettata la loro richiesta di messaggio, inoltre diamo la possibilità di filtrare messaggi offensivi in modo da non doverli mai visualizzare». 

Giusi Fasano per il "Corriere della Sera" il 22 febbraio 2022.

«Non mi sembra vero. Cammino per strada senza guardarmi le spalle, di notte dormo e sono libera di muovermi senza aver paura. Sognavo questo momento da 33 anni e adesso che è arrivato quasi mi ci perdo in tutta questa libertà». Per quanto assurdo possa sembrare, Nadia ha l'impressione di inciampare nel suo nuovo orizzonte libero. Lo stalker che l'ha perseguitata per 33 anni è in carcere e non c'è più il rischio di incontrarlo a ogni angolo, di temere un'aggressione ogni santo giorno. «Quell'uomo mi ha cambiato la vita» racconta lei. «Ho vissuto il tempo della mia adolescenza e della mia giovinezza con la paura cucita addosso. Avevo 16 anni quando è cominciato tutto e adesso ne ho 49. Si rende conto di quel che ho passato?». Nadia è madre di una ragazzina di 13 anni e vive a Falconara Marittima (vicino Ancona). In realtà non si chiama così, ma di questa storia incredibile è importante tutto tranne il nome.

Aveva 16 anni, appunto, quando nel giro dei suoi amici comparve quel tizio, sette anni più grande di lei. A quell'età è facile sognare e riempire le giornate di parole. I due diventarono buoni amici senza mai andare oltre, mai nemmeno un bacio. Solo che lui si fece un po' troppo invadente, pressante. Aveva scambiato la gentilezza di lei per disponibilità e quando Nadia capì decise di tagliare i ponti. Dal giorno dopo è cambiato tutto. Lui la cercava, era ovunque, la seguiva, la aspettava a ogni angolo. Lei ne parlò con i genitori, all'inizio pensarono che prima o poi si sarebbe arreso ma con il passare dei mesi capirono che era esattamente il contrario.

La vita di Nadia diventò blindata. Partirono le prime denunce. Tanto è lunga la persecuzione subita da questa donna che si può dire che lei sia una specie di testimone del cambiamento di sensibilità rispetto all'argomento della violenza di genere. «I primi anni mi sono anche sentita dire: ma no, vedrà che poi smette» ricorda lei. «C'era un'attenzione diversa per questo genere di cose. Quando è arrivata la legge sullo stalking io ci avevo già fatto il callo con quel tema...». 

Di denunce ne ha firmate così tante che nemmeno ne conosce più il numero. I primi anni la persecuzione era quel farsi trovare ovunque: al super, sotto casa, dal parrucchiere, al bar, per strada e già sarebbe stato sufficiente a far saltare i nervi a chiunque. Ma il peggio doveva ancora arrivare. Lei ha messo le sbarre alle finestre e ai balconi - per dire - e in 33 anni avrà cambiato una decina di volte la serratura del portone di casa perché la trovava bloccata dalla colla. Per stare lontano da quell'incubo nel 2001 Nadia decise (a quel punto era sposata) di andare a vivere lontano da Falconara per un po'.

Rientrò nel 2009 con una figlia piccola e la speranza che fosse tutto finito, finalmente. Ma si illudeva. Lui ricominciò come ai vecchi tempi. Anzi, peggio. Perché cominciò a usare anche i social per insultarla e minacciarla. Nel 2011 venne emesso nei suoi confronti un divieto di avvicinamento e per altri cinque anni la lasciò in pace. «Ho sempre pensato: prima o poi la smette», dice lei. «Ma quello ha sempre aspettato il momento per ricominciare. Sempre. E io ogni volta ho ripreso ad avere paura, a uscire sempre accompagnata. Una tortura». Ci sono stati lunghi periodi in cui lo sentiva alle spalle anche se voltandosi non lo vedeva. Si sentiva osservata, spiata.

Dal 2019 in avanti, la situazione è nettamente peggiorata fino a diventare ingestibile dall'autunno del 2021. «Soltanto fra ottobre e oggi lo abbiamo querelato quattro volte» rivela l'avvocato di Nadia, Fabrizio Belfiore. Per capirci: scriveva messaggi sinistri e minacciosi su Facebook postandoli con la foto di lei, l'indirizzo, il numero di telefono; oppure li lasciava nella cassetta delle lettere o sul tergicristallo dell'auto, scritti con un normografo (poi trovato nella perquisizione). In uno di quei post sinistri lo si vede alle prese con un fucile e una pistola.

Il messaggio più preoccupante diceva «bisognerebbe scioglierla nell'acido». Su questo punto il racconto di Nadia mette i brividi: «Sono arrivata a uscire con il cappello in testa, gli occhiali da sole e magari due mascherine pensando: così se mi butta l'acido mi proteggo un po'. Questa è la paura. Per fortuna i carabinieri sono stati bravi e hanno raccolto tutto quel che serviva per mandarlo in carcere. Io oggi mi sento libera, certo, però non posso dire di stare bene. Ho un buco allo stomaco perenne e provo rabbia, se ci penso. Mi chiedono: perché non lasci Falconara? La risposta è: perché non è giusto. Qui ho i genitori anziani che hanno bisogno di me, ho gli amici, la scuola di mia figlia, i suoi amici.

Questa è la mia città, dalla mia finestra si vede il mare e io adoro il mare. Andar via sarebbe scappare. Perché devo scappare e rinunciare a tutto? Perché devo fare io la fatica di ricominciare daccapo altrove? Non è giusto». Nessuna più di lei sa che cosa significa non arrendersi. Ed è questo il suo messaggio per tutte le altre che oggi camminano guardandosi le spalle: «Non mollate mai e denunciate sempre. Ha torto chi perseguita, non chi subisce. Io credo nella giustizia. Sono certa che arriverà». 

Stalking dalle “fiamme gialle” alla DIA di Roma. Il Corriere del Giorno il 4 Febbraio 2022.

La vicenda chiaramente ha avuto un epilogo giudiziario con un provvedimento disposto lo scorso 29 dicembre dal giudice delle indagini preliminari del Tribunale di Roma, dr. Ezio Damizia, nei confronti di un capitano della Guardia di Finanza che perseguitava una donna maresciallo capo che lo rifiutava.

Anche alla DIA si registra un caso di stalking che vede come protagonisti due appartenenti al corpo della Guardia di Finanza distaccati presso gli uffici di Roma. La vittima è una donna 38 anni, sottufficiale delle Fiamme Gialle, che è stata molestata, offesa, minacciata e perseguitata dal suo diretto superiore, da un suo superiore anch’egli 38enne, capitano e figlio di un ex-consigliere di Stato, entrambi in servizio presso la sede capitolina della Direzione investigativa antimafia, solo perché si era rifiutata di avere una relazione sentimentale. 

La vittima esasperata era arrivata al punto di chiedere il trasferimento da Roma a Napoli, ma il suo “capo” ha cercato in ogni modo di metterle il bastone tra le ruote. “L’indagato era solito inviarle messaggi con cui le diceva che le avrebbe fatto terra bruciata intorno – scrive il Gip dr. Ezio Damizia -. Alla richiesta di trasferimento per motivi famigliari avanzata dalla vittima, lui l’ha intimidita rappresentandole che, in virtù delle sue conoscenze, non le avrebbero mai concesso l’aggregazione nel reparto di Napoli. Sebbene il capitano in varie occasione rassicurasse la sua sottoposta di non cercarla più, pochi giorni dopo le inviava puntualmente messaggi su Whatsapp dal “contenuto fortemente minatorio” come “...Se so che starai sola allora smetterò, ma se mai dovessi sapere che stai frequentando qualcuno dentro la Dia o fuori, inizio da Roberto, poi Fabio, e sai che non mi fermo… devi chiedere aiuto“. 

Ma non solo arrivando a messaggi ancora più violenti. “Occhio che sei sotto osservazione, non sbagliare“, “Mi hai rovinato la vita, ti sgozzo”; “Addio vomito, sei pure bugiarda, falsa e bugiarda, la peggio specie (…) pagherai col destino“; “Non me ne frega niente che ti senti male, muori! Ti auguro tutti i mali, non verrò neppure al tuo funerale”, “Mi hai rovinato la vita, ora prego che ci sia un finale degno a questa malvagità. Addio, il destino ti darà presto ciò che meriti” al punto tale “da far temere – aggiunge il Gip Damizia – per l’incolumità della persona offesa“. 

L’anno precedente nel novembre 2020 aveva iniziato a scambiarsi dei messaggi con il capitano ora indagato, ed a incontrarsi anche al di fuori dalla sede di lavoro, ma dopo solo due mesi, nel gennaio 2021, accorgendosi che l’uomo cominciava ad avere un comportamento ossessivo nei suoi confronti aveva deciso di interrompere la frequentazione . Il capitano della Guardia di Finanza di fronte al rifiuto di intrattenere un vero rapporto sentimentale, ha dapprima assunto “un atteggiamento aggressivo, accusatorio e intimidatorio”, che con il passare del tempo ha avuto una escalation pericolosa. In particolare, dagli atti d’indagine risulta che abbia mandato alla donna dei messaggi, come si legge nell’ordinanza dal “contenuto ossessivo e petulante, con cui chiedeva insistentemente alla persona offesa di aspettarlo all’interno del luogo di lavoro per il caffè, pretendendo che la stessa gli dedicasse altro tempo anche extra lavoro; pretese a cui la vittima non riusciva sempre a sottrarsi in quanto non in grado di gestire un rapporto con una persona che era pur sempre a suo superiore gerarchico“. La maresciallo capo infatti per non rimanere sola con lui, a volte si rivolgeva ad altri colleghi chiedendo loro di accompagnarla. 

Il capitano un giorno aveva inviato alla donna un messaggio audio con cui le comunicava la volontà di togliersi la vita. A questo punto, il maresciallo ha inoltrato il messaggio al superiore gerarchico e l’ufficio, ha provveduto immediatamente a requisirgli in via precauzionale l’arma di ordinanza. In altre circostanze l’ aveva minacciato prospettando la propria intenzione di andare parlare con il capo del personale della Dia per screditarla, aggiungendo che i suoi colleghi l’avrebbero “aspettata al varco”. L’ufficiale indagato il 2 dicembre 2021 ha inviato un proprio messaggio audio al telefono di un amico della donna, dicendogli che a breve la sua amica avrebbe dovuto mandare il curriculum al McDonald’s per trovare un lavoro.

La donna, dopo aver denunciato il suo superiore, è tornata a integrare la denuncia con nuovi episodi persecutori subiti per tre volte in un mese. Il maresciallo capo della Guardia di Finanza lo scorso 10 dicembre 2021, ha raccontato in un lungo verbale agli inquirenti che l’hanno convocata e sentita a sommarie informazioni, l’incubo con cui ha dovuto convivere per quasi un anno. 

Nemmeno il trasferimento del maresciallo capo a Napoli ha convinto il “capitano-stalker” a mollare la presa, ed “ha ininterrottamente posto in essere tale persecuzione inviando messaggi con cadenza quasi giornaliera nel periodo in cui la persona offesa era in servizio a Roma diventati ancora più continui e ossessivi dal momento in cui la stessa si trasferiva a Napoli” come si legge nell’ordinanza. L’ufficiale è arrivato alla squallida azione di mandare una email al padre della donna, all’indirizzo istituzionale della scuola dove insegna e quindi leggibile da tutto il personale, a partire dal preside, in cui lo informava della millantata relazione che intratteneva con sua figlia, invitandolo a prendersi cura di lei.

A causa di queste continue vessazioni e persecuzioni, la maresciallo capo 38enne è stata di fatto costretta a dover cambiare il numero di telefono e tutte le sue abitudini di vita, non uscendo più la sera da sola, trascorrendo la maggior parte del proprio tempo libero fuori servizio da sola in casa e, per non correre il rischio di incontrarlo, ha preferito non iscriversi in palestra, vivendo di fatto in “un obiettivo stato di ansia, nonché di paura per la propria incolumità fisica“.  

La vicenda chiaramente ha avuto un epilogo giudiziario con un provvedimento disposto lo scorso 29 dicembre dal giudice delle indagini preliminari del Tribunale di Roma, dr. Ezio Damizia, considerato che il capitano 38enne “è sempre più ossessionato” perseguitando la donna-maresciallo con “stazionamenti sotto la sua abitazione e invio serale di messaggi e telefonate moleste e denigratorie” ha applicato nei suoi confronti con una contestazione di reato per stalking, la misura cautelare del divieto di avvicinamento ai luoghi abitualmente frequentati dalla vittima e dai suoi congiunti, e il divieto di comunicare con lei attraverso qualsiasi mezzo verbale, scritto, telefonico e telematico.

Paola Italiano per "la Stampa" l'1 dicembre 2021. «Se telefonando potessi dirti addio, te lo direi, se guardandoti negli occhi potessi dirti basta, te lo direi». E invece no: c'è chi non riesce a farlo, e non lo fa. Sono quelli che spariscono, che non chiamano perché non sanno dire, non parlano perché non sanno spiegare, evitano perché non sanno affrontare la fine di una storia. Un dissolvimento che prende il nome di «ghosting»: e che oggi si manifesta nelle molteplici forme che può avere un'assenza: non esserci vuol dire non farsi vedere, non chiamare, ma anche non rispondere alle email, rendersi invisibile sui social, nelle chat, bloccare qualcuno impedendogli l'accesso a ogni istante della vita che si decide di condividere online. Morgan ne parla il sabato sera su Rai 1: e se accendere un faro sul fenomeno è importante, si tratta però di materia da maneggiare con cura, perché si entra nel territorio della medicina, della depressione e dei disturbi della personalità. «Il ghoster sparisce da un momento all'altro, senza un motivo evidente, magari anche dopo anni di relazione», spiega Tiziana Corteccioni, psichiatra e psicoterapeuta. E bisogna subito mettere dei paletti. Il ghoster non dà nessuna spiegazione: non è una persona che dice «è finita, non ti amo più, ora smettila di cercarmi». Non dice proprio nulla. E da qui nasce la prostrazione della vittima: «Si prova una profonda rabbia, ci si sente impotenti perché non si riesce a dare una spiegazione: e allora scatta il meccanismo per cui la vittima si attribuisce la colpa di questa sparizione, comincia a pensare di aver detto o fatto qualcosa di sbagliato». La vittima si sente il carnefice, e questo provoca un'ansia che può diventare depressione, e allora serve un aiuto medico per venirne fuori. «Io finché non l'ho vissuto - ha detto Morgan sabato sera - non avrei mai immaginato che le ripercussioni potessero essere anche dei danni fisici. L'idea di non poter parlare a una persona a cui vuoi parlare ti fa mancare il fiato». 

È un terreno scivoloso e se ne rende conto poco dopo la trasmissione Roberta Bruzzone, la criminologa opinionista di Ballando con le Stelle che commenta così:

«La sofferenza per essere stati lasciati non legittima la persecuzione di chi ha deciso di non voler più avere a che fare con noi/voi. Ci sono ottimi Professionisti della salute mentale a cui rivolgersi per evitare di trasformarsi in stalker o anche peggio». 

Ma capita davvero che la vittima del ghosting, non facendosene una ragione, si trasformi in stalker?

«Nella mia esperienza no- risponde la psicoterapeuta -: se succede è perché anche la vittima ha a sua volta una fragilità».

E la cosa peggiore che può accadere a una vittima che cerca di reagire è lo «zombieing»: il fantasma riappare, torna, magari dopo anni. Quasi sempre viene riaccolto, quasi sempre sparisce di nuovo senza dire ba. Dare spiegazioni vuol dire assumersi una responsabilità. Significa trovarsi a dover gestire angoscia e rabbia. Morgan dice «Non dimenticare che hai detto ti amo a una persona, anche se non la ami più», lamentando il silenzio opposto da chi sparisce: e nessuno può dargli torto, se non fosse che a chi sparisce in questo modo non si può chiedere un comportamento razionale, perché spesso alla base ci sono disturbi della personalità. «È un comportamento tipico del narcisista - dice Corteccioni - il cui tratto distintivo è l'assenza di empatia e quindi non considerare minimamente cosa proverà l'altra persona». Insomma, il ghoster con il suo comportamento fa molti danni, ma è anche una persona che ha bisogno di un percorso terapeutico. Morgan parla anche di allarme ghosting tra i giovani: «È vero. È un fenomeno molto comune, anche perché molto di più trai ragazzi le relazioni sono digitali.

E il ghosting è uno degli effetti collaterali negativi: se da un lato diventa molto più facile incontrarsi, se stare dietro una tastiera toglie molte paure e insicurezze, dall'altro diventa anche molto più facile sparire. Il problema però è più ampio: quello che manca è un'educazione relazionale, l'insegnare come si può costruire una relazione sana che rispetti i bisogni propri, ma anche quelli dell'altro».

Luca Dondoni per "la Stampa" l'1 dicembre 2021. «Credo che su Rai1 e in prima serata non si fosse mai parlato di "ghosting" e mi fa piacere essere stato il primo. La verità è che bisogna maneggiare questo tema con delicatezza, evitando di farne uno strumento di polemica». Ma dove c'è Morgan c'è (spesso) polemica e le parole del musicista nella clip di presentazione di una esibizione nei panni di ballerino concorrente al programma della Carlucci sono state Ballando sulle Stelle era una semplice clip per presentare un'esibizione è diventato oggetto di dibattito. In studio alla trasmissione di Rai 1 c'era la criminologa Roberta Bruzzone, opinionista del programma. Non ha detto nulla in diretta, ma successivamente ha postato sui social: «La sofferenza per essere stati lasciati - ha scritto Bruzzone - non legittima la persecuzione di chi ha deciso di non voler avere più nulla a che fare con voi/noi. Ci sono ottimi professionisti per non diventare stalker o peggio». Il riferimento non è diretto, ma è implicito: Morgan è stato denunciato da una sua ex per stalking. La procura di Monza aveva chiesto per l'artista il rinvio a giudizio, ma le carte sono passate per competenza territoriale a Lecco. Il musicista si è sempre proclamato innocente. «La verità - è la controreplica di Morgan a Bruzzone - è che bisogna maneggiare questo tema con delicatezza, evitando di farne uno strumento di polemica. Se si contrappongono i pregiudizi ci rimette un attimo anziché aiutare le vittime di ghosting, acutizzare le drammatiche laceranti sofferenze di chi si trova devastato ad affrontare un'esperienza traumatica non prevista, spaventosa, che all'improvviso massacra una vita normale. Il ghosting può diventare una catastrofe dalla quale spesso, chi ci cade, non emergerà più». «Sabato a "Ballando con le stelle" - aggiunge ancora l'artista - ho proposto con delicatezza, poeticità, umiltà un momento di tv culturale che può essere socialmente utile. La dottoressa Bruzzone dovrebbe essere anche lei infastidita dal ghosting perché quando penso al modo in cui finiscono certi rapporti mi vengono in mente bruttissime sensazioni di violenza e di infelicità. Dico alla dottoressa Bruzzone che rimango disponibile per affrontare insieme a lei se fosse interessata il tema che possiamo chiamare la "violenza del silenzio" o ancora meglio il "silenzio punitivo del narcisista. Nessuno - conclude Morgan - giustifica chi opera dello stalking, ma ne indaga l'origine per evitarlo e prevenirlo. Nel caso del ghosting se si chiama "stalker" una persona che ha bisogno e vuole parlare con chi lo ha lasciato mentre invece non si indaga il fatto che possa essere ferito e disperato anche qui si fa un errore».

Giordano Tedoldi per “Libero quotidiano” il 12 novembre 2021. Petulanza, termine molto ampio che indica tanti comportamenti: "insistenza fastidiosa" dice il grande dizionario Battaglia, ma anche "pretesa eccessiva, richiesta insistente" e perfino "atto violento e sedizioso". Tutti abbiamo subito (e forse anche esercitato) comportamenti petulanti, ma adesso abbiamo un'arma in più per arginarli: una sentenza della Cassazione che ha condannato a due mesi di carcere un quarantanovenne residente nella provincia di Novara, il quale mandava raffiche di messaggi alla moglie, dalla quale si stava separando. Non volendo rassegnarsi alla rottura della relazione, cercava in ogni modo di contattare la donna, di coinvolgerla in scambi ossessivi che spesso sconfinavano nell'insulto. Ma già nel 2020 la Corte d'Appello di Torino aveva scartato l'ipotesi di stalking, perché l'uomo non provocava "un grave stato di timore e ansia" nella moglie (donna, evidentemente, di forte tempra), e il suo reato era piuttosto quello, più lieve, di "disturbo alle persone", che prevede l'arresto fino a sei mesi. Così, i giudici torinesi motivarono la condanna del marito per il «carattere molesto del continuo invio di messaggi, ammesso dallo stesso imputato, non rassegnatosi alla fine del matrimonio con la donna, e quindi sull'indubbia volontaria petulanza degli stessi». Ora la Cassazione ha confermato la lettura della Corte d'Appello, ricordando che, in stretti termini giuridici, la petulanza indica «un modo di agire pressante e indiscreto» oppure «un atteggiamento di arrogante invadenza e di intromissione continua e inopportuna nella altrui sfera di libertà». Decisivi per il processo sono stati gli screenshot prodotti in grande quantità dalla ex moglie del condannato, dove lei peraltro, quando lui la aggrediva, gli rispondeva per le rime ma, hanno stabilito i giudici, era una mera «reazione al comportamento del marito». Insomma, legittima difesa all'assalto verbale di lui. Il fatto, come si vede, non è di eccezionale gravità: in questo caso la lite tra i coniugi non è degenerata in atti efferati, come purtroppo accade, e nemmeno si è arrivati allo stalking. Ma la suprema corte, condannando un uomo per petulanza, fissa un precedente notevole dal momento che moltissimi, vittime di comportamenti simili, pensano che non ci sia altro da fare che far perdere le proprie tracce, cambiare numero di telefono o l'account di posta elettronica, sparire dai social o bloccare l'interlocutore "petulante". Invece no, se ci sono gli estremi - il "carattere molesto del continuo invio di messaggi" per dirla con i giudici -, si può sporgere denuncia. Il tipo del petulante, infatti, è uno strano personaggio: a prenderlo con le buone si rischia solo di incoraggiarlo. Perché normalmente è qualcuno che vuole comunque affermare il suo punto di vista, non è disposto ad alcuna mediazione e, soprattutto, non sa contenere le proprie passioni. Pertanto non sono le risposte ai suoi insulti o i tentativi diplomatici di avviare un dialogo civile che possono risolvere la situazione, continuerà ad accerchiarvi con ossessionanti richieste e recriminazioni. Un bombardamento che, specialmente se attuato da persone con cui si ha avuto una relazione intima, può essere molto logorante per la propria psiche. Bene dunque che intervenga la magistratura, con la sua autorevolezza e i suoi potenti mezzi di dissuasione, a fermare l'esercito di petulanti che non cessano mai di digitare chilometrici messaggi di accuse o ritorsioni ai loro ex, o a coloro con cui vorrebbero avere una relazione, ma non sono ricambiati, e non si rassegnano al rifiuto. Si dirà che con questa sentenza si aprirà la diga a un profluvio di denunce per "petulanza", un po' come è accaduto quando venne codificato il reato di stalking. Ma anche se così fosse confidiamo che i magistrati sapranno valutare caso per caso, distinguendo le normali tensioni nelle relazioni, gli scatti di nervi, le schermaglie di rito, da un comportamento che provoca realmente una molestia, volontaria e insistente, e che sia a senso unico, cioè sempre da una parte contro un'altra. Del resto la giurisprudenza deve tenere conto del fatto che con i telefonini, i social, le applicazioni che ci rendono sempre contattabili, e dunque potenziali bersagli, le relazioni possono davvero diventare fagocitanti e ossessive. Insomma è un po' anche la conseguenza del nuovo modo di comunicare, a distanza ma sempre raggiungibili dalla freccia avvelenata.

Andreina Baccaro per corriere.it il 16 giugno 2021. Telefonate anonime, citofonate nel cuore della notte, consegne di pizze non richieste, anche venti in una stessa sera e l’iscrizione a un’agenzia matrimoniale. Vessazioni andate avanti per un anno e mezzo e dietro le quali nessuno immaginava ci fossero due carabinieri. Che adesso rischiano un processo. La vittima di quegli scherzi, un avvocato bolognese che li aveva conosciuti e frequentati, per la prima volta racconta lo stato d’ansia vissuto in quel periodo. I due imputati, accusati di stalking, falso e abuso d’ufficio, si sono sempre difesi sostenendo di aver fatto solo una goliardata, ma per la vittima non fu così. L’avvocato, ignaro che dietro la cornetta del telefono ci fossero proprio i due conoscenti in divisa, si era rivolto a loro, che però secondo l’accusa lo convinsero ad omettere dalla denuncia alcuni episodi e mandarono un’informativa falsa al pm. Il pubblico ministero Stefano Dambruoso ha chiesto il rinvio a giudizio e lunedì 21 giugno il gip Sandro Pecorella emetterà il verdetto, su una vicenda che è già stata interpretata da diversi punti di vista in sede giudiziaria: la Cassazione ha respinto l’interdizione dal servizio per sei mesi, riqualificando i reati, mentre il Tar ha respinto il ricorso dei carabinieri contro la sospensione disciplinare. 

Avvocato, perché aveva deciso di denunciare?

«Perché la cosa andava avanti da troppo tempo, era intollerabile dover continuare a coesistere con questa situazione inaccettabile. Nel 2019 ho deciso di presentare la denuncia che avevo preparato ma tenuto ferma. Gli indagati mi avevano convinto a non depositarla, ma poi l’ho formalizzata perché non vedevo altro modo di far cessare tutto. Non è che mi aspettassi niente, pensavo fosse impossibile risalire agli autori». 

Quando poi ha scoperto chi c’era dietro cosa ha pensato?

«Non potevo di certo immaginarlo, ho fatto fatica a crederci per molto tempo. Aldilà dell’amicizia, io e mia moglie vivevamo già molto isolati all’epoca per via di problemi familiari, mi rifiuto di pensare che un carabiniere possa fare una cosa del genere. Non è stato facile accettarlo, un carabiniere aiuta, come fanno tanti. Mi rivolgevo anche a loro quando avvenivano questi episodi, li informavo». 

È possibile che i due indagati non si siano accorti che lei non stava vivendo tutto questo come uno scherzo?

«Lo escluderei, lo scherzo si fa per condividerlo con la vittima. Io per queste persone ero diventato un lavoro, hanno trovato pizzerie disposte a fare consegne ripetute nella stessa sera. Ma poi non capisco la ratio: vede, se un amico le fa uno scherzo poi lo condivide con lei, ride con lei di lei e di se stesso e poi si ricorda come un episodio piacevole. Mentre chi è ignoto e tale rimane non può fare questo, io escludevo che fosse una cosa benevola, mi ero convinto che fosse qualcosa di pernicioso perché lo scherzo è fatto da una persona che si conosce e si frequenta mentre lo sconosciuto non può apprezzare l’impatto, il disagio che provoca. Per un certo periodo ho cambiato gestore telefonico, poi dopo non rispondevo più al telefono. Senza considerare i contraccolpi nel quadro familiare: mia moglie mi diceva “ma che mostro ho sposato? Perché qualcuno ci ha preso di mira? Cosa hai combinato?”. Non riuscivo proprio a capire chi potesse essere». 

Cosa si aspetta adesso?

«Nulla, non ho certamente intenzioni vendicative. La legge è uguale per tutti, così come le garanzie difensive, la legge deve essere sinonimo di giustizia anche se processuale. Non mi aspettavo un epilogo così, a me bastava starmene in pace, non dovermi confrontare con queste cose».

Matteo Salvini, minacce di morte alla figlia: "Le faccio schizzare fuori il cervello". Ma la denuncia cade nel vuoto. Libero Quotidiano il 12 giugno 2021. Matteo Salvini non è nuovo a minacce e insulti pesanti sui social, dove è molto esposto ormai da anni. Il segretario della Lega riesce ormai a non dare più peso agli hater che infestano i suoi profili, da Twitter a Instagram passando per Facebook. C’è però un caso piuttosto particolare che gli ha fatto storcere il naso, al punto da renderlo pubblico ai suoi sostenitori. Si tratta di minacce, destinate sia a lui che alla figlia, da parte di un utente che su Instagram si fa chiamare Soldato ariano anti salvinista. “Guardate com’è bella la mia principessina - aveva scritto l’anonimo lo scorso ottobre - altro che la figlia infame di Salvini (che non può che essere infame quasi quanto lui), spero che un giorno sua figlia crepi”. Non contento, l’uomo aveva poi aggiunto frasi ancora più gravi in un successivo commento: “Salvini a tua figlia le faccio schizzare fuori il cervello, fatti i ca*** tuoi, l’ultimo avvertimento… ti sgozzo vivo se ti esprimi in campi in cui non sei esperto e non parlarmi di cultura che qualche secolo fa eravate come animali”. Salvini aveva denunciato questo utente anonimo, ma senza ottenere assolutamente nulla: “Il profilo di questo anonimo ‘signore’ è ancora attivo, dopo mesi dalla denuncia di queste minacce deliranti e vomitevoli, a una bimba di 8 anni, e la ‘giustizia’ italiana non ha ancora fatto e ottenuto nulla. Ma non ha ancora fatto e ottenuto nulla. Tanti di voi sono stati sospesi per un post o un aggettivo non gradito… Viva la democrazia e la libertà. Sempre”. 

La falla nel sistema giudiziario: gli stalker liberi di diventar incubo. Il criminologo clinico Paolo Giulini spiega quali sono le caratteristiche dello stalker e come reagire di fronte ai suoi comportamenti ossessivi. Sofia Dinolfo - Sabato 20/02/2021 - su Il Giornale. Sono tante le storie di stalker che perseguitano le proprie vittime, impedendo loro di avere una vita normale. Si tratta di individui, sia uomini che donne, legati a un’altra persona da un rapporto affettivo o professionale durato per un certo periodo di tempo e che ha avuto una fine. Proprio la fine di quel rapporto è qualcosa che non viene accettata dallo stalker, che cerca quindi di avvicinarsi alla vittima a qualsiasi costo pur di riallacciare il precedente legame. Quali sono i tratti che caratterizzano la figura dello stalker? Ne abbiamo parlato con Paolo Giulini, criminologo clinico e presidente della cooperativa Cipm.

Chi è lo stalker e quali sono le caratteristiche che lo contraddistinguono?

"Non esiste un singolo profilo psico-comportamentale dello stalker, perché si tratta di individui che esibiscono una gamma molto larga di comportamenti. Diciamo che perseguitare la vittima costituisce un po' il mezzo per soddisfare la propria pulsione aggressiva, quando non è erotica. La condotta di questi soggetti non si manifesta attraverso una violenza effrattiva con lesioni del corpo, ma sadica nel rendere succube chi la subisce. Diventare l’incubo di chi viene perseguitato è la modalità dello stalker. Si tratta di un'aggressività bianca, fredda, spesso congelata. Nei casi che abbiamo seguito si vedono persone che compiono uno stillicidio di atti che colonizzano la mente della vittima. Gli aspetti tipici emotivi dello stalker sono l’orgoglio, la speranza e la rabbia. L’orgoglio deriva dal fatto che lo stalker non vuole essere abbandonato. La speranza è legata all’illusione di mantenere un legame e la rabbia è il senso che emerge dall’abbandono e dalle sue conseguenze".

Quali sono i meccanismi che scaturiscono nella mente dello stalker? Perché tormentare la vittima?

"Lo stalker, in particolare quando le persecuzioni avvengono nelle relazioni affettive, è generalmente incapace di fronteggiare un rifiuto in modo efficace, e dunque l'idea di rinunciare a qualcuno con cui ha avuto una relazione. Poi perseguita la vittima per alleviare questa angoscia, per riempire il vuoto o per sfogare la propria collera. Torniamo quindi ai tre aspetti: orgoglio, speranza e rabbia. Si evita la sofferenza prodotta dalla separazione attraverso la molestia inflitta. Nella nostra esperienza vi sono anche situazioni meno frequenti di condotte persecutorie, agite alla ricerca di un contatto intimo con persone non conosciute. In questi casi, le insistenze e le molestie scaturiscono o da veri e propri stati deliranti o da fissazioni, spesso connesse a disturbi evolutivi e all’impossibilità di accettare un rifiuto".

Come scatta la scintilla?

"Ci sono tre fattori. Innanzitutto lo stalker addossa alla vera vittima la colpevolezza della chiusura del rapporto mentre, allo stesso tempo, lui crede di essere la vittima. Poi c’è un fattore predisponente presente in questo soggetto, e che è collegato a una patologia dell’attaccamento sviluppata durante la crescita. Spesso e volentieri si tratta di un soggetto che si è sentito insicuro, trascurato nella relazione affettiva in fase evolutiva. Poi c'è un fattore precipitante, ovvero la perdita significativa di quella persona che gli è stata accanto e che diventerà poi la vittima. Lo stalker, da quel momento, avverte la necessità di dare un senso a quell’abbandono con azioni che poi si ripetono sfociando in una sorta di violenza sadica, che porta a rendere l'altro succube. Si tratta nella maggior parte dei casi di soggetti che non riescono ad accettare l’abbandono del partner o di un’altra figura significativa e attuano una vera persecuzione nel tentativo maldestro di stabilire questo rapporto o vendicarsi".

Ma lo stalker si rende conto di essere tale o no?

"L’autore di atti persecutori, soprattutto quando queste condotte sono commesse nell’ambito delle relazioni affettive o di un contatto intimo desiderato con qualcuno di poco conosciuto, ha la consapevolezza di rendere succube la sua vittima, di diventare il suo incubo e ne prova piacere. In questo modo riesce ad appagare l’orgoglio, sfogare la rabbia e mantenere viva la speranza di poter recuperare il rapporto. Proprio quella speranza è l’aspetto pericoloso del comportamento persecutorio".

C'è una prevalenza di stalker maschili o femminili o si equivalgono?

"Ci sono delle ricerche americane del 2002 che ci dicono che gli stalker sono prevalentemente una figura maschile e che solo l’11% sono donne. I dati più recenti ci dicono che la percentuale delle donne è del 10%".

Perché sono più i maschi?

"La violenza in generale è un fenomeno al maschile. La violenza relazionale è spesso un aspetto tipico dell’uomo e della sua difficoltà di integrare i cambiamenti della nostra civiltà, dove il ruolo della donna è cambiato con una maggiore autonomia ed emancipazione. Credo che nella grande maggioranza dei casi questi uomini abbiano una barriera d’orgoglio smisurato, che pesa sulle loro relazioni affettive".

Che differenza c’è tra il profilo maschile e quello femminile di queste personalità? Ci sono modalità di azione differenti?

"Le azioni delle donne sono più sottili e legate a una dimensione comunicativa, attraverso il sistema delle chat nei social. L'uomo è più fisico, è più presente nei luoghi con gli inseguimenti e i pedinamenti".

Gli atti persecutori si hanno solo nei confronti del partner?

"Oltre alla figura del partner che ha interrotto il rapporto, lo stalker può indirizzare i suoi comportamenti ossessivi verso altre persone con le quali ha avuto dei legami non sentimentali, come ad esempio i colleghi di lavoro o un medico curante".

Sono persone che possono essere recuperate?

"Non si tratta di persone malate, che non hanno competenza di quello che stanno facendo, ma sicuramente sono persone vulnerabili. Questo vuol dire che sono responsabili e devono pagare la pena, non possono essere giustificati. Però le loro vulnerabilità devono essere intercettate e trattate. Una volta che il sistema penale punisce queste persone, deve anche offrire loro dei percorsi specifici per trattare gli aspetti dello psichismo che hanno favorito questi comportamenti. Diversamente, scontata la pena, chi viene condannato per atti persecutori avrà ancora la convinzione di essere vittima e tornerà ad attuare quei comportamenti sbagliati. Il metodo più efficace per aiutare queste persone a comprendere come doversi comportare è il trattamento di gruppo. Non parlo di terapia, perché non siamo di fronte a una malattia, parlo di un trattamento clinico criminologico, perché si fa su persone che con la loro condotta hanno provocato sofferenza ad altre persone".

La vittima come può affrontare uno stalker?

"La vittima deve avere dei comportamenti non ambivalenti ma è molto difficile. Spesso le vittime utilizzano come mezzo di difesa dei meccanismi che sono speculari a quelli dei loro stalker. In esse spesso sorge il senso di colpa, la vergogna di essere bersaglio di comportamenti di questo tipo e hanno difficoltà a parlarne. Invece devono raccontare tutto a persone di fiducia o anche alla polizia e interrompere qualsiasi forma di comunicazione con lo stalker".

·        Il body shaming. 

Estratto dell'articolo di Massimo Basile per “la Repubblica” il 19 agosto 2022.

Via "spaz" dalle canzoni. Quel termine slang per dire "pazzo" è offensivo verso i disabili. Due mesi fa l'aveva tolto la cantante rap Lizzo da un suo testo. Ora lo ha fatto Beyoncé. Il politicamente corretto ha assunto negli ultimi dieci anni un'accezione negativa, di intolleranza, ma di mezzo ci sono le sensibilità delle persone.

E nell'era di internet, dei messaggi moltiplicati, proprio le canzoni sono finite nel mirino, perché devono indicare una strada virtuosa, diversa dalla giungla dei social. Se negli anni Ottanta le canzoni dei Beastie Boys venivano considerate misogine e sessiste e mandavano in delirio i fan, se ai concerti le donne finivano in gabbia mentre danzavano con giganteschi peni, ora è il web che si ribella e chiede di staccarsi dal linguaggio offensivo verso donne, gay, minoranze, disabili.

A giugno il popolo del web ha convinto Lizzo a cambiare il testo di una canzone. Il brano si chiama Grrrls ed era finito nel mirino per la presenza della parola "spaz", "spastica". (…)

Dopo aver letto tutti questi messaggi, la cantante è passata all'azione e ha deciso di ammettere l'errore. «Mi è stato fatto notare - aveva scritto su Twitter - che una parola era risultata offensiva nella mia nuova canzone Grrrls. Lasciatemi chiarire una cosa: non voglio promuovere un linguaggio offensivo. Come donna grassa nera in America ho ricevuto tanti insulti per cui conosco molto bene il potere che le parole possono avere».

(…) È toccato anche a Beyoncé: ha annunciato che cambierà il testo della canzone Heated del nuovo disco, Renaissance, per la stessa parola usata da Lizzo. «Non voleva essere offensiva - ha detto una portavoce - ma verrà tolta». 

Una giovanissima Taylor Swift, nell'album d'esordio del 2006, era inciampata in un passaggio in cui diceva: "Allora vai a dire ai tuoi amici che sono ossessiva e pazza/ Va bene, io dirò ai miei che sei gay". O quel "ritardati" usato dai Black Eyed Peas.

Ventotto anni fa, ben prima del tribunale social, era finito nella bufera Michael Jackson, criticato per il brano They don't care about us per i toni antisemiti usati, con quel "jew me", assonanza con la parola "jew", "ebreo" e lo slang "svendimi, ingannami", detto in segno di sfida, e "kike", termine dispregiativo inglese per indicare gli ebrei. L'artista si difese, sostenendo che l'obiettivo era l'opposto: voleva mettere a nudo il pregiudizio e il razzismo. Non gli hanno creduto.

Sabrina Ferilli su Vanessa Incontrada, un caso il post contro la sua cover: «Body shaming? Basta crociate». Candida Morvillo su Il Corriere della Sera il 5 Agosto 2022. 

L’attrice su Instagram contro l’eccesso di polemiche (e copertine) sul corpo: «Si parli del lavoro di Vanessa. Critico questo modo di raccontare tutto e il suo contrario»

Per come tutti la raccontano, c’è Sabrina Ferilli che non ne può più delle copertine di Vanessa Incontrada in carne ma felice, tutta la vicenda che tiene banco su web e social da 48 ore, è però assai più complessa di così. Tanto per cominciare, Ferilli — in un suo commento su Instagram che si unisce al coro di quelli che «basta non se ne può più dell’eccesso di body positivity » — ce l’ha non tanto con la collega, ma con chi insiste per incasellarla come simbolo di body shaming .

Terza copertina

Incontrada, infatti, sull’ultima copertina di Vanity Fair (la sua terza sul tema), compare assieme al titolo «Sei bellissima — Glielo gridano dalle piazze d’Italia, alla faccia delle critiche». Nelle sette pagine d’intervista Vanessa parla poco del suo corpo. Le chiedono che ha provato quando si è vista paparazzata in bikini su un altro settimanale e lei risponde «Indifferenza». E, nel servizio, non fa accenno al «bellissima» gridato nelle piazze.

Un passo indietro

Per capire il riferimento, bisogna fare un passo indietro all’8 giugno, quando il settimanale Nuovo pubblica una foto rubata in spiaggia, di Vanessa in costume, la quale dimostra un’apparente taglia 48. Quattro giorni prima, su Instagram, lei aveva messo una foto in cui correva sfoggiando un’apparente taglia 42. Da qui, un inferno di critiche via social al direttore del Nuovo , Riccardo Signoretti, accusato di averla peggiorata col Photoshop o di aver sbagliato persona o comunque di aver fatto body shaming anche solo pubblicandola. Passano dieci giorni e, il 18 giugno, la Vanessa Incontrada che sale sul palco di piazza del Plebiscito ospite dello show di Gigi D’Alessio e Raiuno è una bellissima curvy strizzata in un tubino nero che ha una taglia più affine a quella vista sul Nuovo che alla versione runner autopubblicata. Ed è qui che la piazza intona «Sei bellissima», quindi, Gigi D’Alessio le fa mangiare una mozzarella a favore di telecamera, chiara risposta a chi la critica per la sua forma fisica. Con Vanity dove riecheggia quel «sei bellissima», saremmo al cerchio che si chiude: Vanessa lì fotografata però è smilza quasi come quella che correva su Instagram, con una taglia apparente 44.

I commenti

I commenti social sono di questo tenore: «Pensate che sia giusto rappresentare la donna curvy solo se photoshoppata e tirata a lustro». Nel day after di questa vicenda lei non ha voluto rilasciare dichiarazioni. Sabrina Ferilli aveva scritto: «...Critico questo modo di raccontare tutto e il contrario di tutto che porta a un corto circuito insopportabile! Probabilmente s’è rotta anche lei di essere messa in mezzo a ‘sta storia che dura da secoli! È che a un certo punto, da donna matura, deve pure capire che ‘ste storie non hanno più senso... E magari fare una copertina in meno e raccontare che lavoro sta facendo, visto che meritatamente lavora tanto! Dai su! Ma basta».

Troppe polemiche

Signoretti, invece, precisa che il suo servizio parlava dell’estate da single di Vanessa e non faceva alcun riferimento alla sua forma fisica: «Inoltre - dice - ero certo che fosse lei: l’abbiamo verificato dal tatuaggio sul polso e dai denti e ho chiesto garanzia scritta che la foto fosse recente e non ritoccata. Ma purtroppo la gente è così abituata alla foto finta che non crede a quella vera». Alla fine, la sequela di falsi presupposti ha finito per generare l’effetto contrario: troppe polemiche a caso e a sproposito e un sacco di gente stufa che dice «basta parlare di body positivity e body shaming».

Da liberoquotidiano.it il 5 agosto 2022.  

“Posso dire? Questa storia ha rotto il ca**o": Selvaggia Lucarelli commenta così la copertina di Vanity Fair con Vanessa Incontrada. 

Una prima pagina che raffigura l'attrice in un lungo ed elegante abito rosso con su scritto "Sei bellissima". 

Secondo la giornalista di Domani, è sbagliato porre così tanta attenzione sul corpo della Incontrada, sia quando lo si fa in modo positivo sia quando lo si fa in modo negativo. 

E così in una storia su Instagram ha scritto: "Mettere sempre al centro il proprio corpo è incoraggiare il sistema che ci vuole sempre giudicate per il nostro corpo".

Poi la Lucarelli ha dedicato proprio un post alla questione, sottolineando tutte le contraddizioni che ruotano intorno a questa vicenda: "E sei grassa, no sei magra, “guardatemi nuda, io vado bene così”, no non va bene così, quella copertina è bodyshaming, no è solo una sua foto in costume, e allora io vado in tv e mi mangio una mozzarella così faccio vedere che me ne frego, dai diciamole che è bellissima, ok per la copertina in cui mi dite bellissima, non parliamo più del corpo della Incontrada però mi raccomando parliamo del corpo di Vanessa Incontrada fingendo di parlare d’altro".

La giornalista, insomma, critica duramente la scelta del giornale, soprattutto perché questa è la terza volta che si lancia lo stesso messaggio, sempre con l'attrice spagnola sotto i riflettori. 

Un giudizio simile è stato dato da Sabrina Ferilli: "Critico questo modo di raccontare tutto ed il contrario di tutto che porta ad un corto circuito insopportabile! 

Probabilmente s’è rotta le balle anche lei di essere messa in mezzo a sta storia che non ha più senso! Dura da secoli! 

È che uno ad un certo punto da donna matura deve pure capire che ste storie non hanno più sensoe magari fare una copertina in meno e raccontare che lavoro sta facendo! Visto che meritatamente lavora tanto! Dai su! Ma basta!".

Virginia Nesi per il “Corriere della Sera” il 29 luglio 2022.

Su una spiaggia ci sono cinque donne con forme fisiche molto diverse. Una di loro sorride in topless con una cicatrice da mastectomia. Le altre rivendicano invece peli, cellulite, smagliature, cuscinetti. Hanno lo sguardo fiero perché di un pensiero sono certe: «El verano también es nuestro», «L'estate è anche nostra». 

Così recita lo slogan diffuso dal ministero di Irene Montero, la ministra spagnola femminista a capo del dicastero dell'Uguaglianza che in Spagna sta portando avanti cambiamenti radicali, come la nuova legge sull'aborto che introduce il congedo mestruale e quella contro ogni atto sessuale senza consenso. 

La campagna, creata con l'Instituto de las Mujeres, incoraggia tutte le donne ad andare al mare e godersi le vacanze «senza stereotipi e senza violenza estetica contro i nostri corpi», si legge in un tweet del ministero. «È necessario riconoscere la diversità dei corpi e combattere la violenza estetica», dice al Corriere la direttrice dell'Instituto de Las Mujeres Antonia Morillas. Per lei le aspettative fisiche poco realistiche non solo colpiscono l'autostima, ma negano i diritti e «li rendono vulnerabili».

«In un periodo dell'anno come l'estate dove le donne occupano di più lo spazio pubblico - penso alle uscite in piazza, in spiaggia, per strada - lo stereotipo di genere legato ai canoni di bellezza genera discriminazioni multiple. Queste pressioni condizionano il nostro modo di stare, abitare e vivere».

Irene Montero ha scritto in un tweet: «Tutti i corpi sono validi e abbiamo diritto a goderci la vita così come siamo, senza colpa, né vergogna. L'estate è per tutte!». La ministra dei Diritti sociali e Agenda 2030 Ione Belarra ha ricondiviso: «Tutti i corpi sono corpi da spiaggia. E da montagna. Devono essere curati, rispettati e goduti». L'iniziativa non ha risparmiato le critiche. C'è chi si domanda dove siano gli uomini e qualcuno commenta: «Mettete un signore grasso come me perché possiamo identificarci tutti».

Antonello Guerrera per “la Repubblica” l'1 agosto 2022.  

Doveva essere il manifesto dell'inclusività, della tolleranza e della lotta al body shaming. Invece è stata una vergogna internazionale, perché la gamba artificiale di una modella inglese è stata clamorosamente censurata, di un'altra protagonista del manifesto è stata utilizzata una foto a sua insaputa, e così è stato un boomerang clamoroso per il governo spagnolo, promotore di questa campagna di sensibilizzazione presto tramutatasi in indignazione.

Eppure, c'erano tutti gli elementi per essere lodati. Un manifesto della ministra per le Pari opportunità con alcune donne felicemente rappresentate in spiaggia a prendere il sole, libere da complessi e da fesserie sessiste o machiste: una felicemente sovrappeso, altre due di colore stese sulla sabbia, un'altra più anziana, in piedi, sorridente in topless mentre mostra il seno parzialmente amputato da una mastectomia. 

Dove starebbe dunque il problema? Ebbene, alla donna di colore che sulla sabbia inscena con la mano il simbolo della vittoria, ovvero la 32enne modella e influencer inglese Sian Green-Lord, nessuno ha mai chiesto il permesso di utilizzare una sua fotografia per il manifesto.

Qualcosa che del resto, sempre per la stessa campagna, era già successo qualche giorno fa con un'altra collega londinese, Nyome Nicholas- Williams, che aveva denunciato il "furto" di una sua immagine del profilo Instagram "a sua insaputa". 

Ma con Green-Lord è successo di peggio. Per questo è comprensibilmente furiosa: «Non riesco a spiegare la rabbia che ho in corpo». Come racconta la Bbc , la donna ha perso la gamba destra in un incidente nel 2013 durante una vacanza a New York, dove un taxi l'ha travolta sul marciapiede.

Ora, nella campagna del governo spagnolo contro il body shaming e le discriminazioni, le è stata incredibilmente cancellata la protesi alla gamba, rimpiazzata nel disegno da un arto normale. 

Come se la gamba artificiale, e dunque la sua disabilità, non meritassero di comparire nel manifesto ufficiale delle pari opportunità. 

«Sono senza parole. È qualcosa di inaccettabile», ha commentato la modella inglese. Fino a ieri sera il governo spagnolo non si era ancora espresso sulla vicenda. Ha parlato invece il creatore della campagna, tal Arte Mapache, che si è scusato pubblicamente: «Date le critiche, giustificate, a quanto accaduto, ho deciso che il miglior modo per scusarmi dei danni provocati dalle mie azioni sarà quello di condividere i proventi del mio lavoro e del mio impegno a tutte le persone coinvolte nell'immagine della campagna. Ho sbagliato, farò

di tutto per farmi perdonare ».

Lagnosi di tutto il mondo, sdoganatevi! La suscettibilità di Brunetta, il corpo di Calenda e il vittimismo social militante. Guia Soncini su L'Inkiesta il 26 Luglio 2022.

Va ancora di moda sentirsi discriminati per qualsiasi cosa, ma arriverà il momento in cui cresceremo e smetteremo di pensare che i peli delle nostre ascelle, la nostra altezza o la forma fisica siano il centro del mondo

«Calenda assomiglia troppo ai pinguini del Madagascar. Sarà bodyshaming? Io non voglio fare bodyshaming a Calenda, però cazzo, è veramente uguale». Federica Cacciola è un’autrice comica, ieri su Instagram ha pubblicato un video sui dilemmi dell’elettrice di sinistra che non sa chi votare. Chissà se l’ha registrato prima o dopo la visione di Mezz’ora in più.

Domenica, al programma di Lucia Annunziata su Rai3 (le crisi di governo sono ottime per aggiungere puntate ai contratti dei talk-show), era ospite Renato Brunetta. Che, come tutti gli ambiziosi di questo tempo sbandato, mica vuol essere Giulio Andreotti: vuol essere Giorgia Soleri.

Giorgia Soleri è una ragazza senza particolari qualità che si è ritrovata protagonista delle homepage dei giornali italiani grazie a un combinato disposto che andrebbe studiato nelle facoltà di comunicazione.

Approfittando della visibilità che aveva come apparente fidanzata d’un cantante per adolescenti (Damiano dei Måneskin), Soleri: ha pubblicato un libro di poesie (vuoi negare il ruolo di nuova Patrizia Cavalli a una che non sa come sia strutturato un sonetto ma ha 660mila follower? Gli editori devono pur campare, e Soleri le poesie te le fa andare in classifica); è diventata testimonial su Instagram di capi d’acrilico di varie marche; si è posizionata come vittima multidisciplinare, che viene discriminata (non si sa da chi) perché non si depila le ascelle, e con cui un reparto ospedaliero fu cafone quando abortì (per le altre patologie si sa che negli ospedali son tutti amabilissimi), e che infine ha inventato l’endometriosi.

Prima di lei non era mai stata diagnosticata a nessuno, prima di lei il mondo ignorava che fosse una patologia da bestemmie plurime, prima di lei il Parlamento non se ne occupava. È tutto un complesso di occhi di bue, intesi come riflettori da cui ognuna vuol essere illuminata. La starlette che si posiziona come testimonial dell’endometriosi, la deputata che la riceve in Parlamento come se davvero fino a quel momento lo Stato avesse ignorato quella patologia (che era persino nella lista di fragilità con le quali vaccinarsi in anticipo), i giornali che sanno che i titoli che sanno di lagna saranno i più cliccati e che quel che le ventenni d’oggi vogliono sentirsi dire non è «siete fortunate, ai miei tempi se avevi l’endometriosi la diagnosi era “quante storie”», bensì «siete le più sfortunate le più vittime le più vessate della storia dell’umanità».

Ho un’amica che ogni mattina mi manda una foto di qualche sito di giornale italiano per il quale ancora una volta Soleri è una notizia. L’altroieri era «ho tentato il suicidio», e abbiamo convenuto fosse insuperabile: d’ora in poi come avrebbe fatto a diventare titolo? Siamo state ottimiste, ieri era già di nuovo titolo con un più innocuo «perché non mi depilo». Un’ascella, un suicidio: tutto fa brodo di clic.

E quindi, in un mondo in cui solo il vittimismo genera facile consenso, Brunetta domenica va dalla Annunziata – la quale, come tutti quelli che non vogliono essere Giorgia Soleri, vuol essere Barbara D’Urso – e spiega a lei e a noi tutti quanto lo faccia soffrire che Marta Fascina gli abbia dato del tappo. Non: ammazza che ficcante dialettica ha la Fascina, si vede che Hegel l’ha studiato al Bagaglino. Non: rompete tanto i coglioni con la Zan e poi quando uno è avversario politico vale tutto. No.

Renato Brunetta, 72 anni, decide di metter su l’occhio lucido e, mentre Lucia D’Urso Annunziata lo esorta a togliersi questo peso dal cuore, confessa quanto lo feriscano i commenti sulla sua altezza, ma ora ha deciso di appropriarsene (lui dice «sdoganare», perché ormai non ce n’è uno che non parli in frasifattese) e di darsi del tappo da solo, e quindi grazie Marta, che mi hai fatto venir voglia di darmi del tappo prima che me lo diano gli altri, che magnifica storia di empowerment (Brunetta non dice «empowerment», perché c’è un limite anche al frasifattese).

L’altro giorno il portiere isterico d’un condominio nel cui cortile m’ero fermata a rispondere al telefono, mentre gli dicevo che me ne stavo già andando senza che me lo dicesse e di non farsi venire crisi isteriche che fanno male alla salute, ha fatto un gesto che percorreva le mie frolle carni e ha detto una cosa tipo: muore prima lei, visto com’è ridotta. Se avessi avuto ventisei anni, l’età della Soleri, questo commento mi avrebbe ferita, invece di farmi pensare «eh, lo dice sempre anche il cardiologo»?

Forse sì, ma ci dev’essere pure un’età in cui diventi adulto e pensi che se qualcuno è dialetticamente così scarso da doverti dire «brutta cicciona» il problema è suo e non tuo, e invece di offenderti ti vien voglia di dargli un buffetto. Ci dev’essere un’età in cui ti fa ridere l’idea di somigliare più a un pinguino del Madagascar che ad Alain Delon periodo Gattopardo. Ci dev’essere un momento in cui cresciamo e smettiamo di pensare che i peli delle nostre ascelle siano il centro del mondo.

Se il video la Cacciola l’avesse fatto l’altroieri, avrei pensato: ah, vedi, venire presi per il culo per il proprio aspetto è diventato privilegio dei maschi, di una donna non direbbe mai che ha il culone, altrimenti la seppellirebbero di «solo alle donne, puntesclamativo». Poi è arrivato Brunetta, e ora è solo questione di tempo. Entro la fine della campagna elettorale, Renzi frignerà perché qualche vignettista l’ha ritratto coi nei, Calenda farà un comizio al bioparco e con l’occhio lucido confermerà la sua stima ai pinguini usati per irriderlo, e Gasparri chiederà una bandierina del pride che rappresenti l’identitarismo strabico. Invece di far passare la suscettibilità alle femmine, l’abbiamo contagiata ai maschi. Brunetta direbbe: l’abbiamo sdoganata.

«Sono grassa e ne vado fiera». La battaglia di Dalila Bagnuli contro il body shaming. Da vittima di cyberbullismo a consulente sui social in nome della fat acceptance. «Ho smesso di definirmi curvy o morbida ma parlo di me come di una fiera ragazza grassa, perché è quello che sono». Margherita Abis  su L'Espresso il 25 Luglio 2022. 

Sei grassa è il peggior insulto che una donna possa ricevere. O almeno, così ci insegnano. Questa è la storia di come si sradica una convinzione, ed è una storia corale, composta da molte voci.

«Io ho smesso di definirmi curvy o morbida ma parlo di me come di una fiera ragazza grassa, perché è quello che sono», spiega Dalila Bagnuli, 23 anni, attivista femminista che si occupa di body positivity e sui social combatte la grassofobia.

L’idea è liberare una semplice caratteristica fisica dall’accezione negativa. Lei stessa, per raggiungere questa consapevolezza, ha dovuto lavorare in profondità.

Ma ora non vacilla nemmeno mentre racconta come si annienta un bullo e come, con la diffusione dei social, sono cambiate le modalità del body shaming. Su Internet subiamo un vero e proprio bombardamento e ciclicamente ci troviamo di fronte a mode sempre nuove, sfide pericolose, trovate sadiche, come quella che alle porte dell’estate aveva iniziato a imperversare su TikTok, la Boiler Summer Cup. Come molte altre challenge social “gemelle”, è un mix di cyberbullismo, body shaming, grassofobia e «convinzione di rimanere impuniti». I meccanismi sono spesso i medesimi. Nel caso della Boiler Summer Cup venivano prese di mira le ragazze in sovrappeso, filmandole a loro insaputa e postando i video dell’avvenuta “conquista” sui social per collezionare punti in base al peso ipotizzato della vittima.

A lanciare l’allarme di ciò che si può subire sui social, in questo e in molti altri casi, sono spesso le attiviste.

Dalila Bagnuli si batte con la lucidità e la fierezza di chi ormai ha la scorza dura ma il passato, come a volte accade in questi casi, è sempre lì in agguato. Cruciale nella sua esperienza da attivista è stato proprio il bullismo subito dalla prima alla terza superiore da parte dei compagni di classe. «Era il 2015, ero una ragazzina. Avevo paura di andare in spiaggia e mostrarmi in costume perché temevo di incontrare qualche compagno che mi riprendesse. Mi venivano fatti video e foto di nascosto e venivano trasformati in meme, con lo scopo di deridermi sull’aspetto fisico. I contenuti venivano diffusi sui canali Telegram a cui non ero iscritta. I video poi giravano e si diffondevano non solo nella mia classe ma in tutta la scuola. Venivo presa di mira perché ribadivo la mia opinione, non mi abbassavo di fronte ai soprusi e perché ero una ragazza grassa. Sono arrivati a organizzare anche risse contro di me».

Anche a sette anni di distanza, le dinamiche verso i giovani si ripropongono. Foto scattate di nascosto, immagini (spesso di minori) diffuse senza consenso, cyberbullismo, post che diventano virali sui social, body shaming.

Dinamiche che portano anche a una visione distorta di sé e a non sentirsi mai a posto con il proprio corpo. «Questo tipo di bullismo mi ha reso tanto insicura e mi sono sempre vista grassa anche quando non lo ero. Ogni volta che mi riferisco a quel periodo, dico che ero una ragazza grassa ma così non era. Quando poi sono ingrassata davvero, mi sono resa conto della dimensione reale del mio corpo e del fatto che forse sono diventata così anche per quello che ho subito. Il dolore che ho provato in adolescenza mi ha causato continui attacchi di panico», prosegue Bagnuli.

Un pezzetto alla volta, è riuscita a trasformare la rabbia in carburante. Con un obiettivo: provare a cambiare le cose. Oggi lo fa attraverso la body positivity, movimento che promuove l’accettazione di tutti i corpi a prescindere da peso, altezza, genere, colore della pelle o “imperfezioni” in contrasto agli standard di bellezza attuali, considerati un costrutto sociale da abbandonare. La body positivity promuove la “fat acceptance” e combatte la grassofobia, atteggiamento discriminatorio rivolto alle persone in sovrappeso.

«Voglio aiutare, essere un punto di riferimento per ragazze e ragazzi che hanno sofferto come me, persone che si sentono sole», dichiara Bagnuli.

A lei si rivolgono parecchie persone, spesso giovanissime, che cercano un supporto, un consiglio, una possibilità di sfogo. Sono infatti spesso i più giovani a essere i protagonisti di queste vicende. Ma non solo. A subire body shaming sono anche donne adulte. Può succedere dopo aver affrontato un cambiamento del fisico, come in gravidanza. Non di rado capita addirittura alle celebrità, da Vanessa Incontrada a Victoria Beckham, che di recente ha parlato del body shaming subito negli anni ’90, quando fu spinta a salire su una bilancia durante una trasmissione televisiva, in modo da essere sottoposta alla verifica pubblica del suo peso dopo il parto. E anche i colpevoli, non sono solo i ragazzini. Nel 20 per cento dei casi, secondo una ricerca del 2021 condotta da Skuola.net, sono gli adulti a prendere di mira i ragazzi, discriminandoli o ridicolizzandoli per determinate caratteristiche fisiche. Tutto questo può portare a conseguenze anche gravissime per le vittime, come ansia, attacchi di panico, disturbi alimentari, depressione.

Non è solo la grassofobia il fulcro del body shaming, qualunque caratteristica fisica può diventare pretestuosa ed essere presa di mira: l’altezza, la bassezza, la peluria, l’acne, la psoriasi o la magrezza. L’altra faccia della grassofobia è infatti lo skinny shaming, la discriminazione nei confronti di persone considerate troppo magre. A volte viene reputato meno grave lasciarsi andare a commenti discriminatori verso chi ha un fisico asciutto. Immediata l’associazione a ipotetici problemi di salute o a disturbi alimentari. Allo stesso modo, il leitmotiv ricorrente verso i corpi in sovrappeso è una non richiesta preoccupazione per presunti problemi di salute. «Devi dimagrire (o ingrassare) perché se no la tua salute ne risentirà». In realtà, quello che viene posto come una sorta di attenzione verso l’interlocutore è semplicemente un giudizio, una critica o addirittura una forma di bullismo. «Se una persona fuma ad esempio non viene bullizzata o derisa con il pretesto della salute. Viene considerata una questione sua e basta. La stessa cosa dovrebbe valere per il peso corporeo», dice Bagnuli. Ciò che attiviste come Bagnuli tendono a rifuggire è l’utilizzo di un lessico medico per descrivere i corpi; si eliminano termini come “obesità” e “anoressia”.

Spesso un corpo grasso viene automaticamente associato a una persona che non ha cura di sé: altro mito da sfatare. Tra i tanti, c’è anche quello che riguarda gli uomini; si ritiene solitamente che siano solo le donne a essere colpite dal body shaming. In buona parte dei casi tuttavia, sono gli uomini a subirlo anche se sono meno propensi a raccontare e condividere le prese in giro. Tra le caratteristiche che si ritiene un uomo debba necessariamente possedere ci sono l’altezza e una muscolatura importante, per poter proteggere e difendere il suo fragile angelo del focolare (la donna), altra convinzione che deriva da una mascolinità tossica. E di conseguenza i ragazzi con un corpo minuto vengono spesso ridicolizzati.

Nei film, nelle serie tv, nei romanzi le rappresentazioni delle persone grasse sono spesso assenti oppure relegate a qualche siparietto comico. Talvolta vengono ridicolizzate, o associate a personalità negative o goffe. Basti pensare ai flashback sulla “Fat-Monica” in Friends. Anche Thor, il più muscoloso e “prestante” degli Avengers, in un momento di sconforto della serie cinematografica perde i suoi tratti estetici distintivi perché inizia a prendere peso e a trascurare il suo aspetto e viene così messo in ridicolo. Succedeva anche nei cartoni animati, dalla Regina di Cuori di Alice nel Paese delle meraviglie a Ursula della Sirenetta, i villains grassi per eccellenza.

Fa anche riflettere il fatto che nei film, le scene amorose coinvolgano nella maggior parte dei casi persone con corpi stereotipati, tonici e muscolosi e si tenda a escludere quelli che non rientrano in questi canoni.

Del resto, se i canoni estetici variano nel tempo, è impossibile definire a priori che cosa consideriamo un difetto e cosa un punto di forza. La grassofobia è una tendenza più recente, mentre altri tipi di discriminazioni nascevano da convinzioni passate che negli anni si sono evolute. Convinzioni, se non addirittura superstizioni popolari, come nei confronti delle persone con i capelli rossi o gli stereotipi verso le bionde.

A dare largo spazio alla body positivity negli ultimi tempi sono anche le aziende e le case di moda che hanno portato in passerella persone con corpi considerati non conformi, mettendo in mostra apparenti imperfezioni. Si mira all’inclusione, anche se spesso questo può diventare una mera strategia di marketing: nella realtà capita non di rado che chi si rivolge agli stessi negozi in cerca di taglie forti, finisce per rimanere deluso.

Altro approccio per certi versi affine alla body positivity è la body neutrality, che ridimensiona il ruolo del corpo e il suo aspetto esteriore, promuovendo un atteggiamento di neutralità verso di esso.

Gran parte del lavoro sul tema del body shaming e del bullismo può essere svolto nelle scuole, osserva Bagnuli: «È da lì che si dovrebbe partire. Certe cose non vanno minimizzate, non sono ragazzate. La scuola dev’essere vicina alle vittime di bullismo, non le deve far sentir sole o colpevolizzare. Né deve giustificare dicendo che questo ci rende più forti. Il bullismo non rende più forti, rende più sofferenti». E la differenza è netta.

Sofia Mattioli per “la Stampa” il 18 luglio 2022.

In tempi in cui la libertà di autodeterminazione e il corpo delle donne sono costantemente sotto attacco (non solo negli Stati Uniti), a nemmeno un mese dal giorno in cui la Corte Suprema statunitense ha abolito la storica sentenza Roe v. Wade, ogni inno al potere del corpo è un messaggio di resistenza, il corpo è tutto ciò che abbiamo.

Per questo, e non solo, il nuovo album Special di Lizzo, superstar multiplatino, vincitrice di 3 Grammy, incoronata «Entertainer of the Year» da Time e Entertainment Weekly nel 2019, è un condensato di inni al self love che sembrano uscire dallo specchio e diventano cori universali, collettivi, condivisi. Realizzato in tre anni in studio e apparentemente lontano dall'attualità, fa i conti con messaggi universali. 

Virali, se si pensa che il singolo About Damn Time che anticipava il disco, inno alla self-confidence da oltre 228 milioni di streaming nel mondo, ha raggiunto la #2 della Billboard Hot 100 e su TikTok ci sono più di 4 milioni di utilizzi del suono.

«I producer Ricky Reed e Blake Slatkin - racconta Lizzo - mi hanno detto: "Abbiamo un brano davvero interessante". Ho risposto che l'avrei ascoltata al telefono, ero stata in studio per tre anni!

In dieci minuti ero lì. Il resto è storia, è l'ultima che ho realizzato dell'album, forse c'è un elemento di urgenza in più rispetto alle altre canzoni". 

Icona mondiale della body positivity, Lizzo con i 12,8 milioni di follower su Instagram è ispirazione quotidiana per una platea immensa, stimolo a definire e colmare di nuovi significati parole, spesso introiettate dal pinkwashing o svuotate dal marketing, come self-acceptance e empowerment.

«Potrei scrivere un libro intero in merito ai suggerimenti da dare a chi vorrebbe amare se stesso, ma non trovo il coraggio», dice. «Ho capito che il self-love è una destinazione, è la tua vita, tutti i giorni cambierà quello che pensi di te, è così che funzionano la nostra mente, i nostri sentimenti». 

Nel video di About Damn Time- che ha sbriciolato ogni classifica e soundtrack di una challenge su TikTok replicata da un plotone di celeb da Selena Gomez a Reese Witherspoon o Shiloh Jolie Pitt- Lizzo imprime la sua impronta a tutto ciò che tocca. Nonostante i numeri da capogiro Lizzo continua a raccontare un percorso intimo di crescita, il suo, intimo e collettivo allo stesso tempo.

L'amore per se stessi passa attraverso passi di consapevolezza, coraggiose riappropriazioni del desiderio e si libera da gabbie e male gaze, lo sguardo maschile sulle donne. Ancor più Lizzo non ha paura di cadere davanti agli occhi dell'immensa platea, online e offline. «È importante ricordare che su un palco, su TikTok o in qualsiasi modo io mi presenti, chi guarda vede solo una parte.

Anche la mia musica è una parte, Lizzo, la performer, la diva, vi invito nella mia vita attraverso i social, ma c'è una gran parte di me che la gente non conosce e molti non conosceranno mai».

 A proposito dell'hate speech online aggiunge: «Non sono stata su Twitter per un po', ma sono tornata: non mi interessano gli hater, sono diventata più brava a leggere i commenti negativi perché sono in realtà stupidi». Ancora a proposito di percezione collettiva continuamente filtrata da numeri, data, visualizzazioni e like, Lizzo prosegue: «Non so quello che succederà, quello che posso dire è di non guardare il viaggio di nessun altro, non far sì che il percorso di qualcun altro ti definisca. Rispetta il tuo tragitto, stai facendo del tuo meglio. Niente di quello che vedi online è vero, tutti affrontano le loro battaglie». 

L'album Special con echi alla disco stroboscopica, sample dei Coldplay e dei Beastie Boys, flauti ma anche rimandi al funk e all'R&B come formule che innescano cambiamenti collettivi è un lavoro maturo, invito continuo a cogliere il potere rivoluzionario di una radio accesa o di una playlist.

«Credo che la disco music e il funk negli anni Settanta e Ottanta siano stati di grande aiuto, la gente aveva bisogno di quella musica. Ora ci troviamo in un'altra era in cui la gente ha ugualmente bisogno di musica per risollevarsi e sentirsi meglio. Nel brano About Damn Time ci sono rimandi all'energia di Juice ma a un livello superiore, io mi sono elevata, la mia consapevolezza è all'apice. Sento che quello che ho da dire è urgente, spero che chi senta il brano, si possa cantarlo, immedesimarsi e sentirsi meglio».

Con uno show su Amazon Prime, Watch Out For The Big Grrrls, e una linea di shapewear, «YITTY», il cui nome si basa sui principi dell'amore, della sicurezza e dell'accettazione di se stessi, Lizzo ha espanso il suo universo. Il focus, però, rimane il potere catartico innescato da una performer sul palco. Lizzo celebrerà l'uscita dell'album iniziando il suo più grande tour di sempre in Usa, The Special Tour, dal 23 settembre, con Latto come special guest. «Sono soddisfatta, non ho potuto dire nulla sui progetti per molto tempo, ora è tutto fuori. È il mio anno».

Grazia Sambruna per mowmag.com il 25 giugno 2022.

È arrivata l’estate: il caldo, il sudore, il sogno delle vacanze, le vacanze che saranno in posti ancora più caldi di quelli in cui ci troviamo a sudare ogni santo giorno, i social unificati che concorrono per “normalizzare” (parola sempre orrenda!) il vestiario sciatto da spiaggia, le imperfezioni fisiche e soprattutto la prova costume all’insegna della body positivity: come as you are. Quest’anno esiste pure una corrente “estremista” di webstar intente in una nobile crociata contro i filtri Instagram: “sono tossici”, dobbiamo mostrarci come siamo. Lodevolissimo, anzichenò. Ma tutto questo fermento ha una qualche benché minima conseguenza sulla realtà dei fatti?

No. Ci stiamo per avventurare in un discorso scivoloso, ben consapevoli che non piacerà a nessuno. Eppure, è di nuovo il momento di indicare il cielo e dire che è azzurro: ancora oggi, anno del Signore 2022, nonostante tutti gli hashtag ad hoc da cui siamo aggrediti quotidianamente che ci stimolano ad amare, comunque sia, il nostro corpo, su questo piano di realtà non esiste anima che vorrebbe presentarsi sul bagnasciuga sovrappeso. Perché siamo tutti body positive, sì, ma col grasso degli altri. 

Nonostante gli tsunami di like e cuoricioni ai post delle influencer ventenni che raggiungono sorridenti i due quintali, la cellulite che un tripudio di sedicenti attiviste ci sbatte in faccia due volte al dì credendo che stare a casa a fotografarsi il deretano equivalga alle grandi lotte femministe dei ruggenti anni che furono, no, non siamo ancora convinti che “grasso” sia oggettivamente “bello”. Cioè, sugli altri, per carità, è perfetto. Lo apprezziamo e socializziamo anche per fare, a nostra volta, incetta di follow. Insomma, il grasso è fantastico, inclusivo, spaziale, groundbreaking… finché non capita a te. 

Sarà un retaggio del tossico mindset ereditato dalla comunicazione dei decenni passati, per carità. Ma se avete avuto la fortuna di passare già qualche giorno a mare, oppure se avete chiacchierato con qualche amica in procinto di fare le valigie, nove su dieci vi sarete accollati pipponi sulla prova costume, sulla dieta miracolosa che nel giro di quattro giorni quattro promette di trasformare boiler in etoile, almeno un asciugo a tema: “Non sono pronta”. Pronta per cosa? 

La questione è, da sempre, più spiccatamente femminile ma non tralascia anche la psiche degli ometti. Un tempo si pensava che questo tipo di insicurezze croniche in prospettiva della “prova costume” fosse il risultato di campagne pubblicitarie e copertine di riviste che immortalavano canoni di bellezza inarrivabili (e malaticci: magrezza era tutta bellezza). Oggi, con tutto il duro lavoro dei social verso il Graal dell’inclusività, perché esiste ancora l’ansia di apparire “grassi”? 

Perché il percorso comunicativo è agli inizi, dirà qualcheduno. Ci vuole tempo per cambiare la mentalità di una società forgiata dal fuoco di mille XXS per decenni e decenni. Forse è così. Oppure, c’è da fare i conti con la realtà fattuale: ogni volta che i media puntano sulla body positivity, sempre di corpi parlano. Il focus centrale di ogni campagna, sia pure di sensibilizzazione, è la nostra immagine. La nostra immagine, dunque, rimane il core business delle vendite dei brand, dei post cuore a cuore delle influencer, delle storie Instagram in cui le modelle si mostrano “imperfette” sottintendendo “come te”. Perché tu sei imperfetta. Il messaggio arriva forte e chiaro, anche se celato tra le righe e con tanti sorrisoni acchiappalike. 

E sapete una cosa? Lo siamo. Siamo tutti imperfetti da Giselle Bundchen alle sorelle Kardashian che pompano le loro forme come manco i motorini sotto le grinfie dei Gemelli Diversi ai tempi di Pimp my ride. Gli eccessi nella comunicazione su un tema così delicato come quello del corpo generano mostri. Nella realtà come nelle nostre teste. E non c’è hashtag che possa combatterli. Anzi, questi mostri si nutrono della stessa sostanza degli hashtag. #LoveYourself (nonostante…).  

Nonostante l’aria di progresso e rivoluzione che si respira sui social, in riva al mare o a bordo piscina la situazione rimane invariata: la più invidiata, chiacchierata e adocchiata dalla platea femminile resta sempre quella che pare il cosplay di una radiografia. Cosa che, per altro, da mai incontra il gusto estetico del maschio medio, se vogliamo aggiungere questo piccolo dato statistico. 

Cantare “Sei bellissima” a Vanessa Incontrada (per altro, qualcuno ha mai fatto caso al testo della canzone? Perché, contestualizzato, quel ritornello non ha nulla a che fare con un complimento) è un bel gesto. Ma non sposta una virgola rispetto alla questione del corpo che ci ritroviamo, di quello che percepiamo di avere e di quello che vorremmo. Forse “grasso” (sano!) un giorno sarà bello. Quel giorno non è oggi. E finché il dibattito sull’accettazione di sé avrà come complemento oggetto sempre e solo ogni minimo particolare della nostra fisicità (da accettare e normalizzare, per carità), i mostri che tutti noi, chi più chi meno, ospitiamo nelle nostre teste potranno dormire sonni tranquilli.

Fino alla prossima estate, alla prossima rivoluzione. Che, come sempre, durerà giusto il tempo di una storia Ig filtrata Amaro. C’è una soluzione? Al momento, no. Navighiamo a vista ammirando per finta la cellulite delle altre, nella speranza che non capiti a noi. Non così. Mai. Fuori dai social, la realtà è la stessa di dieci-venti anni fa. Ed è decisamente più problematica di un asterisco. L’estate, ovvero, la sagra dei paraculi in infradito ha inizio: tocca scegliere da che parte stare. 

Nastiness. La strana legge dell’attivismo social: no al body shaming, tranne che su Chiara Nasti. Assia Neumann Dayan su L'Inkiesta il 24 Giugno 2022.

La influencer riceve regolarmente commenti acidi e cattivi per aver detto che lei in gravidanza non è diventata grassa. Ma i principi sono buoni solo se valgono per tutti, se contassero solo per i presentabili sarebbe un inferno. Ah, forse lo è già.

Dalle tavole della Legge dell’Attivismo Social: nessuno deve commentare il corpo altrui, a meno che non si tratti di quello di Chiara Nasti. Ha un’esenzione mutuabile? È l’Anticristo? È mom shaming? Oppure i buoni sono buoni solo con chi è presentabile, altrimenti che muoia Sansone con tutti i filistei? 

Chiara Nasti, 2 milioni di follower su Instagram, varie comparsate in televisione, scrive, in estrema sintesi, che lei non è ingrassata in gravidanza a differenza di tante altre che «svaccano». 

Lei ha 24 anni, è al quinto mese di gravidanza, ha messo su un gender reveal poco ricco all’Olimpico (il padre del bambino è un calciatore della Lazio), una delle sue più famose citazioni è «l’acqua non è di mio gradimento e non la bevo da 1-2 anni. Bevo acqua di cocco o coca-cola», ha detto che il suo ex fidanzato Niccolò Zaniolo (giocatore della Roma) ha un gamberetto in mezzo alle gambe e da quel momento l’Internet ha questo dubbio assillante sulla paternità della creatura che porta in grembo, e non perde occasione per farglielo presente. 

Questa sarà la stessa gente che dice per carità, prego signora incinta si sieda al posto mio sul tram, prego signora incinta mi passi davanti in cassa, signora incinta che pelle luminosa che ha, posso toccarle la pancia? Di solito è anche la stessa gente che non riesce a declinare incinta al plurale. 

Quindi dicevamo: Nasti scrive su Instagram che lei in gravidanza ha messo su solo 100 grammi, mentre le donne di solito «svaccano». Il dilemma morale si complica: cosa faccio, insulto una poco più che ventenne incinta dicendole che è una «ritardata» (cito testuale i commenti) in quanto colpevole di un grave reato di grassofobia, oppure difendo il principio secondo cui ognuno del suo corpo fa come gli pare? 

Senza stupore alcuno, il popolo ha scelto Barabba – che saluto. 

Onestamente, io non ho mai letto in vita mia cose più sgradevoli degli insulti a Nasti, e vi assicuro che ho letto molti romanzi italiani. Gente indignata scrive che è colpa della società tossica che ci vuole magre in gravidanza, quando invece a dirtelo sono il ginecologo, il Ministero, l’Oms, pure tua madre te lo dice, mica il patriarcato. 

Il ministero della Sanità scrive che l’aumento di peso «deve essere contenuto tra i 9 ed i 12 Kg» e che sarebbe meglio non mangiare troppi frittini, troppi carboidrati, troppa roba grassa, e quindi mi dispiace, il vostro ginecologo non è grassofobico se vi dice che in gravidanza il peso va controllato (ho letto autoproclamate attiviste dire alle gestanti di cambiare ginecologo qualora dicesse loro di non prendere troppo peso in gravidanza) e a questo punto mi chiedo: non è il caso di smetterla quando c’è di mezzo la salute altrui? 

Va bene morire per un’idea, o per marketing, però insomma, mi darei una calmata. Il peso è una questione di soldi? Come tutto. Mangiare bene è un lusso, e bisognerebbe fare in modo di parlare di questo invece di dire che un chilo d’amore pesa meno di un chilo di grasso. 

Quello che penso è che l’aumento di peso in gravidanza sia una questione gigantesca e feroce e che vada affrontata in maniera molto seria e non in termini infantili, la ciccia d’amore e il grasso felice di una nuova vita che nasce. 

Vedere il proprio corpo che cambia è un trauma, e non mi venite a raccontare che basta essere gentili con sé stesse e pensare fortissimamente che non sia importante, perché lo è, anche se non vorremmo che lo fosse. 

Il peso non ci definisce, ma una persona è libera di sentirsi definita dal proprio peso. Sminuire questo aspetto è ipocrita, ed è oltretutto molto pericoloso. Dire a qualcuno cosa dovrebbe o non dovrebbe provare è una violenza: se stai male perché sei ingrassata in gravidanza sei una madre cattiva perché dovresti solo pensare al bene di tuo figlio, mica al tuo corpo, però poi ti dicono che sei anche una donna e non solo una madre, e a una può anche esplodere il cervello con tutti questi pensieri. 

Tornando a Nasti, su Instagram fioriscono post e commenti di indignazione. Ci sono le influencer che dicono di essere ingrassate 20 kg e che stavano «da Dio» (io presi 25 kg, e non stavo «da Dio», ma sarà perché non sono modella), quelli che una mamma non si fa vedere in costume da bagno con le tette rifatte – sempre per il discorso che non bisogna giudicare il corpo altrui, a meno che non sia il suo -, quelli che gli assistenti sociali dovrebbero toglierle il bambino, poi ci sono molestie sessuali, calunnie, diffamazioni, vari tipi di abuso, bullismo, body shaming, le dicono che è una «ritardata» (310 brave persone che mettono mi piace al «ritardata»), che se le merita tutte queste parole brutte perché è una cretina. 

A questo punto pensavo che qualche anima pia avrebbe detto qualcosa, ma il popolo ha deciso che Chiara Nasti è impresentabile, cosa che forse è pure vera, ma questo mi ha fatto pensare al fatto che i principi sono buoni solo se valgono per tutti, se valgono solo per i presentabili siamo tutti finiti. Siamo tutti finiti?

Quello di Chiara Nasti è un atto di body shaming che non può essere ignorato. Camilla Poretti il 30/05/2022 su Notizie.it.

Quello che l'influencer ha fatto è un atto gravissimo, che andrebbe condannato anche perché quella di cui stiamo parlando è una persona che di lavoro “influenza” gli altri. 

Che i cori da stadio con cui i tifosi sostenevano che il figlio non fosse in realtà del suo attuale fidanzato ma dell’ex Nicolò Zaniolo siano disgustosi è fuor di dubbio. Ma la famosa modella e influencer Chiara Nasti, rispondendo a un commento su Instagram, ha perso il controllo, umiliando l’ex fidanzato e scatenando una bufera enorme.

Nonostante la Nasti abbia cancellato prontamente il commento, lo screenshot ha iniziato a circolare sul web e tutta Italia è venuta a conoscenza delle parole usate contro il calciatore: “Cosa ne penso del coro di Zaniolo? Che con quel gamberetto non si sa come abbia già avuto un bambino. Siete tutti sfigati e fate anche schifo”. 

Ed eccoci davanti a un chiaro esempio di body shaming, una forma di bullismo che si accanisce contro l’aspetto fisico, il peso o specifiche parti del corpo della persona presa di mira, online o offline. Tutti possono esserne vittima, anche persone famose, atleti professionisti, uomini e donne. Esistono svariati studi su questa pratica ai danni delle donne, tutti si scandalizzano (giustamente) quando la vittima è di sesso femminile, ma si parla molto meno del body shaming rivolto agli uomini.

Se il body shaming femminile si concentra sul peso, sui peli e sulla silhouette che deve rispecchiare i canoni imposti dalla società, il body shaming maschile si focalizza su quelle caratteristiche fisiche che vengono associate alla virilità. Proprio per questo è difficile che un uomo ne voglia parlare, rimanendo così una vittima silente.

Scrivere pubblicamente che il proprio ex ha un “gamberetto” tra le gambe, oltre ad essere un reato perseguibile penalmente (diffamazione), è anche una forma grave di body shaming maschile.

Un modo subdolo che fa leva sugli stereotipi, che colpisce la vittima in uno degli aspetti più vulnerabili, sfruttando e amplificando le sue insicurezze.

Quello che l’influencer ha fatto è un atto gravissimo, che andrebbe condannato anche perché quella di cui stiamo parlando è una persona che di lavoro “influenza” gli altri, che dovrebbe essere un esempio positivo per le nuove generazioni, non l’esatto contrario. Chiara Nasti ha sminuito e screditato la parte più intima del suo ex davanti a milioni di persone, un gesto sleale che non può essere ignorato.

Claudia De Lillo per “la Repubblica” il 31 maggio 2022.

Il racconto che segue non ci regalerà ali per volare ma un carico greve per scivolare ancora un po' verso la vacuità di certi abissi. Lei si chiama Chiara Nasti. 

Nastilove è il suo nome da influencer su Instagram dove conta due milioni di follower. Ha 24 anni e aspetta un figlio dal giocatore della Lazio, Mattia Zaccagni (forse qualcuno, in un'incauta scorribanda social, una decina di giorni fa è inciampato nel loro gender reveal party allo stadio Olimpico in un tripudio di sfrenatezza e coriandoli).

In passato la nostra eroina è stata fidanzata con Nicolò Zaniolo, centrocampista della Roma e compagno di Zaccagni in Nazionale. 

Durante i festeggiamenti per la vittoria giallorossa in Conference League i tifosi hanno intonato un coretto: «Il figlio di Zaccagni è di Zaniolo». E mentre loro cantavano felici e arguti, il loro beniamino, autore del gol decisivo contro gli olandesi del Feyenoord, rideva sotto i baffi perché la virilità, si sa, passa anche dalla fama di inseminatore di altrui femmine. A Coverciano il ct Mancini ha rimproverato Zaniolo che ha poi dovuto abbandonare il ritiro per problemi fisici.

Questo teatrino avrebbe potuto calare qui il suo sipario se uno dei due milioni di follower di Chiara Nasti, non le avesse domandato, con l'urgenza dell'indagatore di animi, un parere. Lei avrebbe potuto soprassedere, distrarsi con un selfie, con un baby shower o con un aforisma ermetico. E invece no. Cosa ne pensi del coro di Zaniolo, @nastilove? «Con quel gamberetto non si sa come abbia già avuto un bambino. Siete tutti sfigati e fate anche schifo».

Pan per focaccia. Di fronte alla bassezza della tifoseria lei sceglie di scavare sempre più giù, con la stessa vanga sudicia, nelle profondità sordide della volgar tenzone. Sceglie la stessa arma, la lingua che l'interlocutore padroneggia. Colpisce lì, dove fa più male: la dimensione del pisello, misura definitiva del valore di un macho e del mondo. E se pensavamo che quella battaglia quasi tutta tristemente femminile contro il body shaming ci avesse insegnato qualcosa, ci sbagliavamo. 

Dopo anni a combattere contro sguardi giudicanti («Sei grassa, piatta, culona, cessa, vergognati, scompari»), c'è chi si ritrova, vittima e artefice del potere velenoso di certe parole, a invocare gamberetti e impotenza.

Giovanna Cavalli per il “Corriere della Sera” il 31 maggio 2022.

In campo sarebbe un'entrataccia a gamba tesa, da rosso immediato. «Che ne penso del coro di Zaniolo? Che con quel gamberetto non si sa come abbia già avuto un bambino». Seguiva postilla omnicomprensiva: «Siete tutti sfigati e fate anche schifo». 

Questo ha scritto di getto e con livore l'influencer napoletana Chiara Nasti, 24 anni, felice compagna dell'attaccante della Lazio Mattia Zaccagni, 26, da cui aspetta un bebè (maschietto annunciato con party da oltre 60 mila euro allo stadio Olimpico, subito universalmente bollato come evento «supercafone») ma anche celebre ex del talento della Roma con maglia n. 22 (papà di Tommaso, avuto nel frattempo dall'ex fidanzatina Sara Scaperrotta) per cui , nella primavera del 2021, si tatuò sul braccio un cuore trafitto dalla freccia: nemmeno il tempo che si asciugasse l'inchiostro e si erano già lasciati per sempre.

Non bene, era chiaro allora e lo confermano quelle tre righe malevole e offensive, in risposta, va detto, all'ennesimo commento villano e provocatorio sulla sua pagina Instagram da 2 milioni di follower, a proposito dell'altrettanto becero coro dedicatole dai tifosi giallorossi in festa sotto al Colosseo per la vittoria della Conference League nella finale di Tirana: «Il figlio di Zaccagni è di Zaniolo», ripetuto ossessivamente sotto ogni nuova foto del suo profilo «Nastilove», finché lei non è stata costretta a bloccare i commenti.

E al ritmo del quale ha sciaguratamente saltellato e sorriso anche Nicolò (immortalato nei filmati), pur senza ripeterlo, ma agitando le braccia verso la folla dall'alto del bus che portava in trionfo lui, Mourinho e compagni. 

Uno sgarbo che Chiara Nasti non ha perdonato e di cui, in questo derby del cattivo gusto, si è vendicata alla prima occasione, con un post e una metafora ittica di rara ineleganza. Salvo poi cancellarlo pochi minuti dopo, forse pentita, quando però era troppo tardi e una mano lesta aveva già scattato un'istantanea dello sfogo, liberandolo nell'immensità vociante del web, che con il trash, si sa, ci va a nozze.

Peraltro l'ex naufraga all'Isola dei Famosi 2018, dopo aver risposto per le rime ai detrattori che la criticavano per il baby shower allo stadio («Disprezzate perché non potete avere lo stesso»), nei giorni scorsi se l'era anche presa con chi sui social ha osato dirle che «Quando sarai mamma, le serate te le devi scordare», replicando sprezzante: «Tu forse te le devi scordare, io posso assumere cento tate». La sua intemerata contro Nicolò ha sorpreso in negativo la mamma del giocatore, Francesca, che con Chiara era rimasta in buoni rapporti. 

Da Zaniolo (per fortuna) nessuna risposta diretta alle offese. Soltanto un post di roma.giallorossa rivolto ai tifosi laziali e condiviso su una sua breve storia di Instagram: «Gli avete fatto cori e striscioni per due anni interi, gli avete insultato la famiglia, avete esultato per i suoi infortuni, gli avete minacciato la sorella, da voi nessuna morale»), pubblicato senza commenti.

Ma il pettegolezzo attira pettegolezzo, perciò quando il giocatore ieri ha lasciato il raduno della Nazionale per un problema alla caviglia e un affaticamento muscolare, qualcuno ha subito insinuato che fosse stato il ct Roberto Mancini ad allontanarlo per evitare screzi nello spogliatoio (dove è rimasto Zaccagni). O per punirlo delle sue intemperanze anti-laziali. Non è così, trattasi di vero lieve infortunio, che il medico aveva accertato già domenica. Anzi, qualcuno racconta che Zaniolo e Zaccagni poche ore prima fossero amichevolmente seduti a tavola insieme, come se niente fosse.

·        Le Bandiere LGBTQ.

Alberto Giannoni per “il Giornale” il 6 giugno 2022.

Diritti di tutti sì, tranne che dei cristiani. Al «Pride» di Cremona, sabato, qualcuno ha fatto sfilare un manichino vestito da Madonna, una Maria a grandezza naturale e con i seni scoperti. 

Un gesto di blasfemia del tutto gratuito, che ieri ha suscitato la reazione del vescovo, del centrodestra, e anche quella del riservato imprenditore mecenate Giovanni Arvedi, patron della Cremonese appena tornata in «A».

Così l'evento, tanto enfatizzato, ha mostrato plasticamente qual è il rischio concreto: sono i diritti dei cristiani, probabilmente, quelli del tutto ignorati. E se il sindaco Gianluca Galimberti (Pd), fra l'altro ex presidente dell'Azione cattolica locale, apprestandosi a scendere in piazza aveva dichiarato entusiasta che «la manifestazione accende un faro sulle discriminazioni che ancora esistono», gli elettori offesi ieri hanno cominciato a rispondere: «Sì le discriminazioni verso i cristiani».

Il «Pride», ovvio, aveva ottenuto un enorme sostegno a sinistra. A partire dal patrocinio del Comune di Cremona e pure di Crema. «Per la prima volta - aveva annunciato trionfale l'assessore alla Cultura e segretario del Pd Luca Burgazzi - nella nostra città si terrà questa manifestazione segno che anche la nostra comunità è sempre più aperta e attenta ai diritti di tutti». «Tutti», o quasi. Con la «scusa» dei parcheggi erano state spostate dal Duomo anche le cresime. Troppo atteso, questo «Pride».

Sostenuto in ogni modo da una miriade di sigle dell'associazionismo politico. E pensare che il centrodestra aveva approcciato la questione con realismo. FdI aveva chiesto al sindaco «garanzie». 

«È nostra fermissima convinzione che ognuno abbia il diritto di manifestare le proprie idee ma anche il proprio orgoglio», avevano premesso Francesca Gazzina e i consiglieri Marcello Ventura e Beppe Arena, sollecitando però il Comune ad attivarsi per «evitare con fermezza quegli episodi che durante alcune manifestazioni analoghe, hanno preso di mira simboli e persone appartenenti al mondo religioso». Preoccupazione fondata, che aveva ricevuto risposte superficiali.

Ora, a sinistra, l'enfasi della vigilia a sinistra si è tramutata in imbarazzo e mutismo. E il centrodestra attacca. Il gruppo di Fi, guidato da Carlo Malvezzi, parla di «profondo dispiacere» per quelle «immagini oltraggiose», e chiede comprensibilmente la revoca del patrocinio. 

Del caso parla anche il leader leghista Matteo Salvini. «Offendere la fede, la cultura e la sensibilità di milioni di italiani non c'entra niente con la richiesta di diritti, ma è solo un'esibizione di ignoranza e arroganza».

E se prima dell'evento gli organizzatori annunciavano il sostegno di sindacati e aziende, ieri hanno dovuto registrare l'intervento di Arvedi, che ha espresso «stupore e rammarico» per il fatto in sé («immagini stonate perché offendono la sensibilità altrui») e per il mancato intervento delle autorità.

Addolorato il vescovo, Antonio Napolioni: «Raccolgo - ha scritto - lo sconcerto di numerosi cittadini, credenti e non credenti, per la presenza di immagini offensive ed evidentemente blasfeme, che non possono avere alcun valore educativo o comunicativo di valore e diritti». Una vera lezione, quella della Curia, attenta a sottolineare come questi gesti «feriscono anche i tanti che si stanno impegnando per una società senza discriminazioni».

Da wearegaylyplanet.com il 5 giugno 2022.

La comunità LGBTQ+ da sempre ha adottato dei simboli per potersi identificare e dimostrare unità, orgoglio e i propri valori, oltre che riconoscersi con codici segreti e simboli misteriosi. I simboli della comunità LGBTQ+ spesso sono entrati a far parte della cultura pop, e specialmente le bandiere pride sono il simbolo più conosciuto e diffuso specialmente durante i Pride. In questo articolo vedremo tutte, ma proprio tutte le bandiere LGBT (spesso comunemente chiamate bandiere gay) ma per capirle, non possiamo non sapere la storia della prima bandiera, quella arcobaleno.

Bandiera arcobaleno: storia e versioni

La prima tra le bandiere gay è la bandiera arcobaleno, comunemente chiamata rainbow flag, e nata nel 1978 dalla mente di Gilbert Baker. Alla nascita la bandiera arcobaleno aveva 8 colori invece di 6 e nacque da un’idea di dare alla comunità LGBTQ+ un simbolo rivoluzionario. 

“Pensai alla bandiera americana e alle sue tredici stelle e strisce, alle colonie che fuggirono dall’Inghilterra scappando negli Stati Uniti. Pensai al tricolore rosso, bianco e blu della rivoluzione francese e a come entrambe le bandiere devono la loro creazione a una battaglia, una ribellione e una rivoluzione. Pensai che la nazione gay dovesse avere una bandiera che proclamasse la propria idea di potere”.

A quel punto i giochi erano fatti e da questa ispirazione nacque la bandiera arcobaleno. Si pensa che sia stata ispirata a “Somewhere over the rainbow” dal Mago di Oz, ma in realtà, per quanto Baker fosse felice di sentire questa storia, i colori vennero scelti pensando al loro significato spirituale. 

Per diversi problemi sia di produzione che pratici, la bandiera arcobaleno passò da 8 a 6 colori, che è quella usata adesso, e per questo furono aggiornati anche i significati dati a ogni colore. Ecco la versione aggiornata a 6 colori:

Rosso = Vita

Arancione = Guarigione

Giallo = Luce del sole

Verde = Natura

Blu = Armonia

Viola = Spirito

Dal 1978 a oggi la bandiera si è evoluta, cambiata e sono nate tantissime altre versione per poter rappresentare al meglio ogni singola sottocultura esistente e legata al movimento LGBTQ+. Ma quali sono tutte le bandiere del Pride, cosa significano e dove si possono trovare? Ecco la guida completa delle bandiere LGBTQ+ e del loro significato.

Bandiera arcobaleno: tutte le versioni della bandiera del Pride

Indipendentemente dal luogo nel mondo in cui ti trovi, le bandiere del Pride sono riconosciute da tutti e sono un simbolo universale di diritti, uguaglianza e appartenenza alla comunità LGBTQ+. 

Esistono tantissime varianti sia perché le bandiere sono cambiate nel tempo (per esempio quella arcobaleno ha diverse versioni, tutte usate), sia perché esiste una bandiera per ogni orientamento, preferenza e genere sessuale. Ecco tutte le bandiere LGBTQ+ del Pride e dove trovarle.

Bandiera arcobaleno di Gilbert Baker

Utilizzata durante una manifestazione per la prima volta in assoluto da Harvey Milk, la bandiera arcobaleno originale è stata creata nel 1978 da Gilbert Baker. Purtroppo è cambiata nel tempo perché il fucsia era di difficile produzione e poi con il tempo anche l’azzurro è stato cancellato per motivi pratici, ma ancora oggi viene utilizzata in manifestazioni particolarmente legate alla storia del movimento.

Bandiera arcobaleno classica

La bandiera arcobaleno a 6 colori è la bandiera più comune e tutt’ora è la più usata. Dopo aver rimosso dalla bandiera a 8 colori il fucsia, nel 1979 si decise di dividere la bandiera in due per mettere su una strada di San Francisco tre colori su un lato e gli altri sull’altro lato. Poiché i colori erano dispari si decise di toglierne il turchese per rendere tutto più uniforme.

Bandiera arcobaleno “Philadelphia People Of Color Inclusive Flag”

Nel 2017 dopo diversi episodi di razzismo nei confronti della comunità nera di Philadelphia il municipio decise di includere due nuovi colori per rappresentare anche le persone di colore appartenenti alla comunità LGBTQ+. 

Bandiera arcobaleno Progress Pride Flag

Questa è la nuova versione della bandiera arcobaleno che sta riscuotendo particolare successo anche a seguito delle manifestazione del Black Life Matters. La nuova versione include sia il nero e il marrone in riconoscimento delle persone di colore della comunità LGBTQ+, ma inserisce anche i tre colori della bandiera trans. Creata da Daniel Quasar con un progetto su Kickstarter, è ancora difficile da trovare ma diventerà sempre più diffusa.

Bandiera arcobaleno Intersex-inclusive Pride Flag

Questa è l’ultima bandiera diventata virale. Creata nel 2021 da Intersex Equality Rights UK, questa bandiera vuole essere ancora più inclusiva inserendo i colori della bandiera intersex. Lanciata a maggio è diventata subito virale anche se difficilmente è stata avvistata nelle piazze dove si è celebrato il Pride. 

Bandiera Transgender: tutte le versioni della transgender pride flag

Anche se la bandiera Trans Pride più conosciuta è la classica con i colori rosa, bianco e azzurro, vedremo subito come è nata e cosa significa, ci sono anche altre bandiere meno usate che rappresentano l’orgoglio transessuale. Eccole tutte. 

Bandiera Transgender di Monica Helms

Questa bandiera è stata creata da Monica Helms, una donna transessuale, nel 1999 e fu usata per la prima volta durante il Pride di Phoenix. 

Colori bandiera transgender:

Azzurro, rappresenta il colore tradizionalmente associato ai bambini

Rosa, rappresenta il colore tradizionalmente associato alle bambine

Bianco, rappresenta il culmine dei due colori

Il bianco della bandiera trans è proprio il simbolo principale perché rappresenta l’identità trans e tutto il suo spettro, rappresentando tutte le persone transgender, chi sta effettuando una transizione, chi ha un genere neutro, nessun genere, intersex ecc.

Bandiera Transgender di Michelle Lindsay

Realizzata nel 2010 da Michelle Lindsay, questa bandiera dell’orgoglio transessuale mette insieme i colori blu e rosa come simbolo del sesso maschile e femminile, ma in bianco al centro compare uno dei simboli più rappresentativi della comunità transessuale. Sulla destra c’è il simbolo maschile, in basso quello femminile e a sinistra quello che li comprende entrambi come simbolo di transizione.

Bandiera transgender di Jennifer Pellinen

La bandiera dell’orgoglio transgender di Jennifer Pellinen è meno usata e rappresenta il percorso che viene fatto dalle persone transgender durante la transizione, ovvero dal blu (uomo) al rosa (donna) e viceversa. 

Altre bandiere transgender

Ci sono moltissime altre bandiere transgender, su Wikipedia puoi trovarle quasi tutte, anche se negli ultimi anni la versione di Monica Helms è quella più diffusa e diventata simbolo di una comunità intera. 

Bandiere lesbica: tutte le versioni della lesbian pride flag

Come per tutte le bandiere, c’è sempre un’evoluzione e diverse tipologie di simboli e colori, come le bandiere del lesbian pride che esistono in diverse versioni, alcune modificate nel tempo perché risultavano essere poco inclusive. 

Bandiera Lesbica

La storia delle bandiere dell’orgoglio lesbico è un po’ travagliata ma fortunatamente dal 2018 pare si sia trovato un simbolo comune e inclusivo. La bandiera a 5 colori, in realtà originariamente ne aveva di più ma per comodità di produzione sono stati scelti meno colori, è la versione aggiornata di una serie di bandiere che erano state realizzate in passato. Ogni colore ha un significato specifico che può raccontare e rappresentare nel migliore dei modi la comunità lesbica in tutto il mondo. 

Bandiera Lesbica Lipstick

La bandiera lesbica lipstick è stata una delle prime bandiere a strisce realizzate per dare un simbolo alla comunità lesbica. La versione originale prevedeva anche uno stampo di rossetto con bacio in alto a sinistra, ma questa versione non è mai stata del tutto accettata perché la sua creatrice aveva diverse volte avuto delle uscite razziste, bi-fobiche, trans-fobiche e denigratorie nei confronti delle lesbiche più mascoline. Per questo motivo la bandiera, che comunque si trova in vendita, non è mai stata un grandissimo successo.

Bandiera Lesbica Arcobaleno di Emily Gwen

La nuova bandiera lesbica è stata creata nel 2018 da Emily Gwen che ha creato una bandiera a 7 colori che rappresenta diversi aspetti della comunità lesbica.

Arancione scuro: non conformità di genere

Arancione: indipendenza

Arancione chiaro: comunità

Bianco: sorellanza

Rosa: serenità e pace

Rosa antico: amore e sesso

Rosa scuro: femminilità

Come dicevamo nella prima bandiera in questa sezione, la versione di Emily Gwen a 7 colori, che comunque è molto diffusa, è stata poi rivista in una versione a 5 colori per rendere la bandiera più facilmente producibile ed economica. 

Bandiera Lesbica Labrys

Questa bandiera creata nel 1999 non è mai del tutto diventata popolare per diversi motivi. Il primo perché la bandiera è stata in realtà creata da un uomo, Sean Campbell, che decise di includere nella bandiera l’ascia Labrys usata dalle amazzoni greche. Forse troppo aggressiva, è di fatto poco usata ed è stata recentemente sostituita da una nuova bandiera. Inoltre il triangolo nero è un simbolo nazista che riguardava le persone “asociali” ma anche le lesbiche e non è mai stato riscattato e usato come simbolo positivo alla stregua del triangolo rosa per gli omosessuali.

Bandiera Lesbica Butch

Anche se non si conosce molto bene la nascita di questa bandiera comunque poco conosciuta, è un simbolo molto caro alla comunità delle lesbiche Butch, ovvero quelle che fanno propri alcuni tratti e caratteristiche socialmente associati agli uomini. I 7 colori cambiano quindi dall’arancione al rosa, optando per delle sfumature che vanno dal viola al blu.

Bandiera Bisessuale

Creata da Michal Page nel 1998, la bandiera rappresenta la comunità bisessuale utilizzano il blu e il rosa (colori stereotipati del maschio e della femmina) che fondendosi nel mezzo diventa lavanda. Michael Page si ispirò al vecchio simbolo della bisessualità chiamato “biangles” ovvero due triangoli, un rosa e un blu, che incrociandosi si trasformano in lavanda.

Bandiera Pansessuale

La bandiera pansessuale fu creata nel 2010 per rappresentare i pansessuali. Bandiera pansessuale significato e colori: i tre principali colori della bandiera rappresentano dei simboli precisi. Rosa per le ragazze, blu per i ragazzi e giallo per tutte le persone non binarie e generi non specificati. 

Bandiera Asessuale

La bandiera per gli asessuali fu creata nel 2010 ispirandosi al logo dell’organizzazione Asexual Visibility and Education Network. Rappresenta diverse identità e nello specifico i graysexual (ovvero l’area fluida tra sessuali e asessuali) e demisessuali, ovvero le persone che provano attrazione sessuale solo se avviene una connessione emotiva.

Bandiera Polisessuali

La polisessualità, differentemente dalla pansessualità, rappresenta l’attrazione per diversi generi, ma non tutti. Per questo i colori della bandiera bisessuale simboleggia dei generi definiti.

Rosa: attrazione per il genere femminile

Blu: attrazione per il genere maschile

Verde: per i generi non appartenenti a quello maschile e femminile

La bandiera è stata creata Samlin nel 2012 e mostrata a tutti tramite un post su Tumblr.

Bandiera non-binary

La bandiera non-binary fu creata nel 2014 da Kye Rowan (che all’epoca aveva poco più di 14 anni) ed è stata creata per rappresentare al meglio questa identità di genere. 

Bandiera non-binary significato e colori:

Giallo: tutti i generi fuori da quelli binari di uomo e donna

Bianco: rappresenta le persone con diversi o più generi

Viola: rappresenta chi è uomo e donna o ha una fluidità tra questi due generi

Nero: rappresenta la mancanza di genere

Questa bandiera non è in contrapposizione con le altre bandiere non-binarie, ma è stata creata per aggiungere completezza.

Bandiera Intersex

Creata nel 2013 dall’organizzazione Intersex International Australia, la bandiera utilizza due colori che mai sono stati usati per definire un genere sessuale in quanto il giallo e il viola vengono intesi, in questo caso, come colori neutri. 

Genderfluid bandiera

La bandiera, creata nel 2015, vuole rappresentare la possibilità di fluttuare e la flessibilità dei generi delle persone genderfluid o non binarie. Per questo motivo ci sono i colori associati alla femminilità e alla mascolinità, insieme ai colori che rappresentano tutte o nessun altro genere.

Bandiera genderfluid significato e colori:

Rosa: femminilità

Bianco: assenza di genere

Viola: combinazione di mascolinità e femminilità

Nero: tutti i generi, incluso il terzo genere

Blu: mascolinità 

Genderfluid significato

Genderfluid è uno dei termini per cui si cerca maggiormente il significato. La parla genderfluid si riferisce alla propria identità di genere, e non all’orientamento sessuale o romantico. Una persona genderfluid può essere gay, lesbica, bisessuale, pansessuale ecc, mentre la sua indentità di genere non può essere fissata su un solo genere (maschile, femminile, agender ecc.) ma oscilla tra tutti questi costantemente. Se vuoi scoprire i significati di altri orientamenti sessuali, romantici o identità di genere, leggi la nostra guida.

Bandiera Genderqueer

Oltre a questa bandiera esiste anche una bandiera genderqueer per le persone non binarie e fluide, ma allo stesso tempo queer. I colori sono diversi come il loro significato. 

Bandiera Genderqueer significato e colori:

Lavanda: androginia e queer

Bianco: assenza di genere

Verde: tutte le persone fuori dal genere binario. 

Bandiera Agender

Le persone agender rifiutano ogni genere sessuale e per questo motivo i colori della bandiera simboleggiano l’assenza si genere. Fu creata da Salem Fontana su Tumblr nel 2015 e divenne subito utilizzata da tutte le persone agender.

Bandiera Aromantici

Le persone aromantiche non provano affezione amorosa e spesso sono anche collegate alle persone asessuali. Ma la differenza nelle bandiere è che quella asessuale usa il viola per rappresentare la mancanza di attrazione sessuale, cosa che gli aromantici invece potrebbero avere, mentre in questa il verde viene utilizzata per celebrare tutte le persone che vivono senza un’attrazione romantica. 

Bandiera Leather Pride

La bandiera leather ha forse un utilizzo largo come quella arcobaleno ed è utilizzata da tutti gli amanti del S&M, feticisti della pelle, BDSM e pratiche relative a questa comunità. Fu creata da Tony DeBlase e mostrata per la prima volta in assoluto nel 1989 al Leather Contest di Chicago, e da quel momento il successo di questa bandiera non si è mai arrestato. Ogni colore e il cuore hanno un significato anche se DeBlase voleva che ognuno potesse attribuire il proprio senso ai colori della bandiera. 

Cuore: amore

Bianco: purezza dell’amore quando viene espresso in una relazione aperta mentalmente, onesta e consenziente

Nero: pelle

Blu: denim

Sia la pelle che il denim furono inseriti perché sono i due tessuti più comuni e usati nella comunità leather.

Bandiera Bear Pride

Anche conosciuta come International Bear Brotherhood Flag, questa bandiera rappresenta la sottocultura bear della comunità LGBTQ+. I colori della bandiera vogliono rappresentare quelli del manto degli orsi (ma anche i diversi colori della pelle umana) ed è stata disegnata da Craig Byrnes nel 1995 con lo scopo di essere un simbolo inclusivo che potesse celebrare i tratti distintivi di questa cultura, ovvero le caratteristiche sessuali secondarie come peli, barba e corpo.

Bandiera Rubber Fetish Pride

Creata da Peter Tolos e Scott Moats nel 1995, questa bandiera rappresenta tutta la comunità degli amanti del rubber come elemento sensuale, sensoriale e mentale. Ogni colore ha un significato:

Nero: lussuria nei confronti del rubber lucido e nero

Rosso: passione sanguigna per il rubber e le persone che lo indossano

Giallo: spinta a giocare e avere fantasie erotiche che includano il rubber

Bandiera Ally

Questa bandiera anche conosciuta come bandiera alleati o straight ally flag. LGBT Ally significato: tutte le persone che sostengono la comunità LGBTQ+ pur non facendone parte. Questa bandiera è quindi una delle più importanti perché rappresenta tutte le persone eterosessuali che supportano la comunità LGBTQ+ facendo attivismo. 

Questa bandiera è comparsa nel intorno al 2000 ed è stata creata dagli straight ally del movimento LGBTQ+. La V rovesciata in realtà rappresenta la A di “attivismo” e “ally” colorata della bandiera arcobaleno, mentre le strisce nere e bianche rappresentano l’orientamento eterosessuale.

·        San Valentino.

Marino Niola per "la Repubblica" il 14 febbraio 2022.

L'amore non è mai sbagliato. Lo ha detto Damiano dei Maneskin. Il bello è che San Valentino avrebbe sottoscritto la frase. Perché l'aureolato non è semplicemente il protettore dei fidanzatini, non è un santo per cuori di cioccolato. Ma è il patrono dell'amore di chiunque per chiunque. Senza limiti di genere e di generazione. Con le parole di oggi, un amore queer. E nonostante si faccia di tutto per trasformarlo in un santino zuccheroso, questo antico e simpatico martire del terzo secolo non si lascia ridurre ad una ghiotta occasione di marketing. Lui è molto più avanti. È un rivoluzionario.

E il messaggio contenuto nella sua storia è assolutamente contemporaneo. In fondo Valentino da Terni, diventa quel santo che è diventato perché difende una love story proibitissima fra una donna cristiana e un uomo pagano. Che per quel tempo è un amore sbagliato. Un'unione che fa scandalo, proprio come oggi fanno scandalo le unioni gender fluid. Ecco perché San Valentino avrebbe non solo sottoscritto la frase di Damiano ma anche approvato il bacio in diretta tv che il front man della band romana ha dato al suo chitarrista Thomas Raggi nel giugno scorso in Polonia, sul palco del Polsat SuperHit Festival 2021.

Perché il gesto della rockstar aveva lo scopo di sostenere i pari diritti per la comunità Lgtqia+. Come dire che ciascuno dovrebbe essere libero di essere chi si sente di essere e di amare chi si sente di amare. E la vicenda di San Valentino ne fa un testimonial dell'amore senza se e senza ma. Un amore che è necessariamente alla pari. E fa fuori i ruoli fissi dell'eros e del pathos, dei sentimenti e dei trasalimenti. Il maschile e il femminile, il cacciatore e la preda, il cavaliere e la dama.

Perché l'anagrafe del cuore non rilascia carte d'identità. E non domanda né il sesso né l'età né la religione né la nazionalità. In realtà questo santo ama l'amore a trecentosessanta gradi. Tant' è vero che la sua festa coincide con l'annuncio della primavera, quando i sensi cominciano a risvegliarsi e la natura intera è attraversata da una vibrazione amorosa. Il giorno di San Valentino, infatti, viene istituito nel 496 dopo Cristo da papa Gelasio, per contrapporre la ricorrenza cristiana a quella pagana dei Lupercali. 

Un rito della natura fremente e sfrenato, con gli uomini che frustano delicatamente le donne per strada per solleticare le loro passioni. E il nome febbraio viene proprio da quei frustini, in latino februa. Da allora Valentino diventa il patrono di ogni amore che a nullo amato amar perdona, chiunque sia questo/a amato/a. Maschile o femminile, umano o animale. E a consacrarlo sono personaggi come Geoffrey Chaucer, il padre della letteratura inglese che ne fa il simbolo dei passerotti in amore, con o senza ali.

Ma il carico da novanta ce lo mette Shakespeare nell'Amleto dove la dolce Ofelia dice al principe di Danimarca, "domani è San Valentino, busserò alla tua finestra e diventerò la tua Valentina". E nei paesi dove si parla la lingua del grande William, ancora oggi si chiamano Valentini sia gli innamorati in carne e ossa, sia i biglietti d'auguri tra partner in love. E sempre in nome del martire dell'amore, nell'Europa medievale nascono le cosiddette corti d'amore. 

Tribunali femminili che si riuniscono il 14 febbraio per giudicare e condannare le colpe degli uomini. Tradimenti, violenze coniugali, stalkeraggi, promesse mancate, liti fra coppie di diverso sesso ma anche dello stesso. Insomma, gli abusi sessisti commessi in nome di una idea distorta dell'amore. Un MeToo prima del #MeToo. Perché San Valentino viene dal passato ma era già nel futuro.

DAGONEWS il 14 febbraio 2022.

Mentre le coppie si preparano a celebrare il giorno di San Valentino, l'esperta di appuntamenti australiana Louanne Ward è pronta a sfatare alcuni luoghi comuni sul giorno degli innamorati: toglietevi dalla testa che le rose rosse siano i fiori più romantici da regalare e non è nemmeno vero che gli uomini pensano di più al sesso rispetto alle donne. 

1. Più coppie si lasciano prima (e il giorno di San Valentino) - VERO

Se è vero che "stagione delle rotture" è comune intorno a Natale e Capodanno, il nuovo sondaggio mostra che il giorno di San Valentino "manda tutto all’aria". «Se molti single sono alla disperata ricerca di un appuntamento prima del 14 febbraio, le persone in coppia non vedono l’ora di farla finita. Le festività natalizie possono generare tensioni e problemi che, se lasciati irrisolti nel nuovo anno, si traducono in un accresciuto desiderio di rompere».

La metà degli australiani intervistati ha rivelato di aver litigato con il proprio partner il 14 febbraio, dimostrando che la stagione delle feste "rappresenta un momento di accese discussioni per molte coppie". Ward ha scoperto che la causa principale della rottura è la mancanza di romanticismo. 

2. Gli uomini sono meno romantici delle donne - FALSO (MA ANCHE VERO)

Ward sostiene che questa affermazione sia molto controversa: il 58% degli intervistati crede che le donne siano in realtà più romantiche degli uomini, mentre quasi l'altra metà è irremovibile sul fatto che sia il contrario.

Secondo la principale antropologa Helen Fisher, gli uomini hanno maggiori probabilità di innamorarsi a prima vista perché il loro cervello e il loro sistema ormonale conferiscono loro tendenze romantiche più visive rispetto alle donne.

Secondo Ward le donne “selezionano” il partner, rendendo gli uomini più inclini a dire prima “ti amo”. In sostanza c’è una sorta di parità. 

3. Gli uomini si preoccupano di più del sesso rispetto alle donne - FALSO

Non sono solo gli uomini a interessarsi di più al sesso. Sia donne che uomini si preoccupano del sesso, dell'affetto e dell'intimità. In effetti, due terzi dei partecipanti al sondaggio lo hanno valutato come importante il giorno di San Valentino. 

4. La lingerie rende felici sia gli uomini che le donne - VERO

Cosa sarebbe una festa di San Valentino senza la lingerie? Più di tre quarti degli uomini la comprerebbe per la loro dolce metà e quasi il 70% spera di vedere il proprio partner in abbigliamento sexy. Un 64% delle donne sarebbe felice di riceverla in dono dal proprio partner.

5. Acquistare un regalo per dimostrare il tuo amore è importante - FALSO

Dimentica rose, orsacchiotti e cioccolatini, il 63% degli uomini e delle donne preferisce sentirsi amati il 14 febbraio piuttosto che ricevere un regalo obbligatorio. Mentre un regalo può essere apprezzato, i risultati indicano che è il sentimento che c'è dietro che conta veramente (non quanti soldi spendi).

6. Le rose rosse sono il fiore più romantico - FALSO

Le rose rosse sono una scelta sicura per San Valentino, ma non è sempre la prima scelta per una donna. Il sondaggio ha rilevato che quattro donne su cinque preferiscono il loro fiore preferito alle tipiche rose rosse che fanno parte di ogni campagna di marketing di San Valentino.

Dagospia il 14 febbraio 2022. Da I Lunatici Radio2. 

Simona, escort italiana nata e residente a Roma, è intervenuta ai microfoni di Rai Radio2 nel corso del format "I Lunatici", condotto da Roberto Arduini e Andrea Di Ciancio, in diretta ogni notte dall'1.30 alle 6.00 del mattino.

La escort italiana ha parlato del comportamento degli uomini in prossimità di San Valentina: "Io sono sempre pronta e preparata ad accoglierli, questi maschietti hanno sempre desiderio di compagnia e io li aspetto a braccia aperte. In certe occasioni sono sempre molto presenti. A San Valentino se ne vanno a cena fuori a fare i romantici con mogli e fidanzate, con il tavolino illuminato dalla candela, ma poi di sesso non ne fanno. Ce ne sono tantissimi che al mattino, oppure in pausa pranzo, vengono da me, fanno quello che devono fare, e poi a cena vanno con mogli e fidanzate.

A San Valentino con mogli e fidanzate di sesso non ne fanno, perché bevono, uno o due bicchieri di troppo, e quindi vanno in letargo. E poi non intendono San Valentino come una serata di sesso, pensano a un'occasione romantica, quindi evitano di fare sesso. Per questo vengono da me o il pomeriggio prima dell'appuntamento romantico o la mattina dopo. Il picco a San Valentino c'è nella pausa pranzo e nel pomeriggio, prima che arrivi la serata, magari mentre le ragazze si fanno carine dal parrucchiere e si preparano per l'evento galante". 

Simona va oltre nel suo ragionamento: "Molti uomini alle compagne, fidanzate o mogli che siano, certe prestazioni che pretendono da noi escort nemmeno le chiedono. Hanno una concezione strana della propria donna, pensano che la propria donna non debba sporcarsi nel fare certe cose, vanno  direttamente dalla escort".

La escort romana, poi, ha detto la sua sulla proposta della Lega legata alla regolamentazione della prostituzione: "Magari! Fateci pagare le tasse! Io voglio pagare le tasse! Sono assolutamente favorevole. Però una cosa del genere in Italia non si farà mai. Sono molto scettica".

·        La crisi di Coppia.

DAGONEWS l’11 Dicembre 2022.

Un'esperta ha rivelato otto aspettative irrealistiche nei rapporti di coppia, dal bisogno che il partner si "completi", al non permettergli di trovare altre persone attraenti. 

La dottoressa Lalitaa Suglani, psicologa di Birmingham, ha condiviso un post su Instagram, affermando che spesso abbiamo delle aspettative nelle nostre relazioni, anche se potremmo non esserne consapevoli. 

La dottoressa ha aggiunto che quando queste aspettative non vengono soddisfatte, "possiamo sentirci frustrati e delusi, perché questo ci porta a sentirci non amati e non curati".

Tuttavia, ha osservato l'autrice, spesso non ci rendiamo conto che "le nostre aspettative si basano sui nostri standard, sui nostri ideali che sono modellati da ciò che abbiamo sperimentato, dai nostri affetti e dal mondo che ci circonda".   

E continua: "La parola chiave è "NOSTRI", non loro. Vogliamo che l'altra persona soddisfi i nostri standard, ideali e obiettivi, ma dobbiamo anche considerare le loro aspettative nei nostri confronti e trovare uno spazio sicuro per parlarne". 

Tra le otto aspettative irrealistiche elencate, c'è quella di pensare che il partner non debba essere in disaccordo con noi e di volere che prenda sempre le nostre parti.

Il secondo punto che ha elencato è la necessità che il partner partecipi a tutti i nostri progetti.

In terzo luogo, ha detto che non è realistico aspettarsi che il partner si "completi" o che faccia di tutto per renderci felici. 

Tra i punti elencati dalla dottoressa Lalitaa c'è anche l'impossibilità di trovare altre persone attraenti, così come l'essere costantemente connessi tramite messaggi o chiamate. 

Le ultime tre aspettative irrealistiche della dottoressa includono la necessità che il partner sia in grado di leggerci nel pensiero e di sapere come ci sentiamo. 

Infine, la dott.ssa Lalitaa ha affermato che pretendere che l'altra persona ci capisca sempre ed in tutto non è realistico all'interno di una relazione, di qualsiasi genere essa sia.

DAGONEWS il 27 novembre 2022.

Ci sono cose che in una relazione non si dovrebbero mai dire? Molte!

Le parole sono potenti. Ci sono molte cose che, una volta uscite dalla nostra bocca, non possono essere rimangiate e nessuna giustificazione o spiegazione cambierà il fatto che la vostra relazione è compromessa per sempre a causa di queste.

Le cose davvero cattive ("Non ti amo e non ti ho mai amato") tendiamo a gridarle durante le discussioni; altre ("Il tuo sedere è grosso") vengono fuori nei momenti di forte irritazione. In ogni caso, il danno è fatto e a volte è irreparabile.

Bisogna pensare prima di parlare. Anche nel bel mezzo di una ondata di rabbia

Ecco alcune cose che non dovrebbero mai uscire dalla vostra bocca secondo la sexperta Tracey Cox.

“È tutta colpa tua”

Una frase molto diffusa da scagliare contro il partner quando le cose non vanno per il verso giusto. È colpa tua se non siamo stati invitati a quella festa, se non viviamo nella zona giusta, se i nostri figli non vanno bene a scuola". Per cominciare, bisogna essere in due per far funzionare e per far fallire una relazione. Attribuire all’altro tutto ciò che non va nella vostra relazione è ingiusto e impraticabile. 

“Non mi piaci più/ Non mi ecciti più”

Anche nel bel mezzo di una litigata se dite al vostro partner che non è abbastanza bello da farvi desiderare di andare a letto con lui o che non riesce più a eccitarvi, uccidete la vostra vita sessuale con una sola frase. Come può riprendersi?

Avete decimato la sua autostima. Non si tratta solo di distruggere la fiducia nell’ambito sessuale, ma anche di un indizio non tanto velato che potreste abbandonare la relazione per soddisfare le vostre pulsioni sessuali.

E, a proposito, da evitare sono anche frasi come: fai anche schifo a letto/hai il pene piccolo, ecc. Sono frasi cattive e dispettose, che colpiscono e fanno sì che il partner dubiti delle sue capacità sessuali da quel momento in poi. Criticare cose che il partner non può cambiare, come le dimensioni del pene, è imperdonabilmente crudele. 

“Sei pazzo”

In pratica stai dicendo: "Non vale la pena prendere in considerazione nulla di ciò che provi o dici perché non ci si può fidare della tua opinione o del tuo giudizio".

Se il vostro partner sta attraversando un momento difficile e si sente debole e vulnerabile, questo è ancora più imperdonabile. Altrimenti noto come "colpire qualcuno quando è a terra". 

“Ti odio”

Ironicamente, questa è la frase che per me ha meno effetto. Ricorda la frase "Ti odio mamma/papà!" pronunciata quando si hanno cinque anni e ci vengono negati i dolci.

È così infantile che mi fa venire voglia di ridere piuttosto che sentirmi profondamente offesa. Detto questo, non è comunque piacevole da sentire e non consiglio a nessuno di dirlo con leggerezza.

Mi sentirei profondamente offesa se il mio partner mi dicesse "non ti sopporto": è una frase da adulti e molto più sinistra. 

“Non ti amo più”

Anche le relazioni con basi solide vengono completamente destabilizzate da questa affermazione. Durante i litigi più aspri, dovreste sapere, nel profondo del vostro cuore, che il vostro partner vi ama. Forse non vi ama in questo momento, ma vi ama.

Se glielo togliete, cosa vi rimane? Per far funzionare una relazione ci vuole molto di più dell'amore, ma l'amore è ciò che ci spinge a impegnarci e a superare i momenti difficili. 

“Zitta/o”

È facile dirlo nella foga del momento, ma ha l'effetto opposto a quello desiderato. Se intendete dire: "Per favore, ascolta quello che ho da dire/lasciami finire", ditelo. Altrimenti, la risposta del vostro interlocutore sarà inevitabilmente: "Non dirmi di stare zitto!", seguita da una sfuriata di un'ora.

“Calma”

L'insinuazione è che il vostro partner non abbia un punto di vista valido e stia reagendo in modo eccessivo a qualcosa. Un uomo che lo dice a una donna è ancora più esasperante. Come nel caso di "stai zitto". Dire a qualcuno di calmarsi quando è estremamente turbato infiamma anziché lenire. Rende le persone più agitate, perché non si sentono valorizzate. 

“Sei grassa”

Il body shaming, sia esso fatto con ironia che detto seriamente, fa crollare l'autostima del partner. Non è una cosa solo femminile: persone di ogni sesso e sessualità possono essere insicure del loro peso o del loro aspetto.

MOGLIE PICCHIA IL MARITO 3

Nessuno ma proprio nessuno che abbia messo su qualche chilo ha bisogno che il proprio partner (o chiunque altro) glielo faccia notare. (A meno che non siate naturalmente un po' troppo magri), dirlo fa sentire la persona poco attraente. 

“Sei davvero diventato come tua madre o tuo padre”

Va bene dirlo se il partner ammira i propri genitori e lo prende come un grande complimento. Ma se il vostro partner ha un rapporto tossico o malsano con un genitore, lo state ferendo. È raro che una persona non abbia qualche problema infantile che si aggira nella sua psiche. Se si sono fidati abbastanza da parlarvene, sbatterglielo in faccia è imperdonabile.

“Mi hai costretto a farlo”

Siamo tutti colpevoli di averla tirata fuori dal vaso almeno una volta. Si tratta di una semi-ammissione di colpa, "So di aver fatto qualcosa di sbagliato..", che però sposta il comportamento sbagliato sul partner, "Ma mi hai spinto tu a farlo". Nessuno obbliga nessuno a fare qualcosa. Siamo tutti responsabili delle nostre azioni. 

“Non mi ami più come all'inizio”

Ah, eccolo di nuovo. Il buon vecchio mito della "favola". Quello che dice che se si è "veramente innamorati" ci si sente e ci si comporta come all'inizio. Crescete! Il sesso e l'amore, dopo cinque o dieci anni di relazione, sono molto diversi da quelli che si provavano quando si era in preda all'infatuazione. L'infatuazione è l'amore più inaffidabile di tutti, basato su cose superficiali come l'aspetto e la lussuria ormonale. L'amore a lungo termine - spesso chiamato "vero amore" dai terapeuti - è la varietà "con tutti i crismi". Vediamo il nostro partner come è realmente e lo amiamo comunque. Gli adulti maturi non vogliono essere amati come adolescenti. 

“Sbagli a essere arrabbiato o infastidito.”

Non avete il controllo delle emozioni del vostro partner, quindi solo lui sa come si sente. Potreste non capire perché si sentono in un certo modo, ma non attaccate la loro sensibilità. 

“Non mi interessa”

Sembra una frase banale e innocente, ma parla al vostro partner a un livello primordiale. Se dite "non mi interessa" abbastanza spesso, il vostro interlocutore capirà che non provate più nulla per lui o che non vi interessa cosa succede alla relazione. 

“Sei sempre o mai...”

È falso: nessuno fa "sempre" o "mai" qualcosa. Se volete che il vostro partner rinunci completamente a soddisfarvi, ricordategli che non riesce mai a fare nulla di buono.

“Perché non puoi essere più simile a..”

I paragoni uccidono. A chi piace essere paragonato sfavorevolmente a qualcun altro? Piuttosto che costringere il vostro partner ad adottare le qualità che secondo voi mancano, è molto più probabile che si impunti e decida di fare l'esatto contrario. 

“Sapevo che era un grosso errore”

Questo lascia intendere che avevate dei dubbi fin dall'inizio e che ci stavate pensando prima ancora che iniziasse la discussione.

Altrettanto tagliente è: "Ecco perché non riesci a mantenere una relazione/il tuo ex ti ha lasciato".

“Voglio il divorzio/È finita”

Queste parole dovrebbero uscire dalla bocca solo quando sono vere. Se le pronunciate come una vuota minaccia per spaventare il vostro partner, rischiate la relazione. Non si rischia solo questo: se si lanciano sempre ultimatum e non si va mai fino in fondo, si perde tutto il potere nella relazione. 

“Non dire nulla”

Altrettanto dannoso che dire la cosa sbagliata, è non dire nulla. Rimanere imbronciati per giorni, fare il trattamento del silenzio al partner quando c'è un problema di cui si deve parlare: cosa state cercando di ottenere onestamente? Punire il partner facendo ostruzionismo è una delle cose più distruttive che si possano fare a una relazione. I problemi non scompaiono se ignorate il vostro partner, ma si accumulano fino a diventare un crescendo irrisolvibile.

·        Mai dire…Matrimonio.

«Sono divorziata e non ho più forze». «L’amore fra me e mio marito è stato logorato dall’impossibilità di avere un figlio. Ora ho 40 anni e vivo ormai in solitudine». Ma la vita è ancora lunga...Lisa Ginzburg su La Gazzetta del Mezzogiorno il 10 Dicembre 2022

Buongiorno Lisa, ho quarant’anni, da due anni sono una donna single dopo un matrimonio durato abbastanza per lasciarmi addosso l’identità di «divorziata». Penso che se io e il mio ex marito avessimo avuto il coraggio di lasciarci prima, probabilmente ora mi sentirei più libera; invece abbiamo oltrepassato una soglia dopo la quale per me sentirmi disponibile a un nuovo incontro è quasi impossibile. Troppo legame, troppo dolore nel lasciarci. Il fatto è che volevamo un figlio, e non siamo riusciti ad averlo; e quel tentativo, esasperato, portato avanti sino allo stremo, ci ha consumati, logorati. Ha logorato il nostro amore, ma anche il mio cuore.

So che sono “ancora giovane” come mi dicono le amiche, ma so anche che questa frattura sentimentale è arrivata dopo così tanto faticare che non ho energie nuove, e se guardo al mio avvenire, rischio di vederlo tutto vuoto, all’infinito vuoto.

Cara R., il cuore è un muscolo: se si sforza troppo, dopo ha bisogno di grande riposo per recuperare la sua normale attività.

Aprirsi ad un nuovo amore fa parte della normale attività di un cuore? Non saprei dirlo; leggo qua e là teorie per cui ci si innamora tot volte nella vita, tre volte, cinque volte e quant’altro: non di più e non di meno, come se si trattasse di una formula matematica, di qualcosa di prefigurabile.

Io piuttosto sono dell’idea che incontrare un amore ci accade quando la nostra anima è pronta, quando certi passaggi di tempo, senza che noi abbiamo fatto nulla dal punto di vista, si sono compiuti dentro di noi.

Per dirla con Shakespeare, «quando l’anima è pronta, lo sono anche le cose».

Se la guarigione è compiuta e il cuore è sano, quel che ci accade ne sarà lo specchio. Le cose che ci succedono sono riflesso del nostro spirito interno, della nostra attitudine.

Se a lungo nulla succede, quella anche può essere una forma di cura, una forma di autoprotezione del cuore. In attesa che il muscolo riprenda il suo esercizio, il vigore, l’azione dei gesti.

Immagino il logoramento, il senso di fallimento che tu e il tuo ex marito avete attraversato, la desolazione del vostro lasciarvi, quali siano stati i termini in cui è avvenuto.

Come che sia stato e sia ora, ora il tuo cuore ha bisogno di riposo, massimo riposo; poi si vedrà. Magari ti accadrà qualcosa di bellissimo tra poco, magari dovrai aspettare del tempo.

Voltare pagina, certo lo farai, ma la questione è la disposizione, il tuo stato di spirito. Certe volte per voltare la pagina bisogna impegnarsi lucidamente, “mettercela tutta”, altre volte viene da sé: perché ci si lancia in avanti con fiducia, e si attende con amor proprio e tranquillità, sicuri che la vita troverà le sue soluzioni.

Consolati, confortati, fai tutto quello che ti viene in mente per medicare il tuo cuore.

La vita farà il resto; molte volte, la questione è la fiducia: un cieco, confidente abbandonarsi a soluzioni inattese, senza dover controllare tutto con il cervello, piuttosto, dolcemente cullando il cuore allenandolo alla bellezza dell’ignoto.

Non sappiamo come andrà: pensarlo tante volte è la più giusta medicina, il più dolce dei rimedi per far riposare il cuore, e lasciare che da solo trovi le sue guarigioni.

Credici, perché credere nelle risorse del cuore è il primo punto di partenza, ciò che più può aiutarci a innamorarci di nuovo, guarire, gioire. Il futuro ti appare vuoto, dici; ma tu non guardarlo, non pensarci, lascia fare alla vita.

Ti senti “divorziata”, ma di qui a non molto questa etichetta potrai lasciarla andare, sentirti semplicemente una persona di nuovo sola, il cuore aperto, proteso senza strappi verso l’avvenire.

La vita ha risorse che mai sapremmo immaginare con il cervello; basta con amorevole discrezione lasciare che faccia il suo corso, insieme al tempo. Ti faccio tantissimi auguri.

Sesso fuori dal matrimonio vietato per legge in Indonesia. Punibili anche i turisti di Bali e dintorni. Storia di Alessandra Muglia su Il Corriere della Sera il 6 Dicembre 2022.

Nuova stretta sui diritti nel più grande Paese a maggioranza musulmana al mondo da poco protagonista sulla scena mondiale per aver ospitato il G20. Ieri il Parlamento indonesiano ha approvato un nuovo codice penale che criminalizza il sesso al di fuori del matrimonio e lo trasforma in un reato punibile fino a un anno di carcere. Finora soltanto l’adulterio era vietato per legge. Nel nuovo codice ci sono altri provvedimenti di natura «morale», tra cui quella che vieta alle coppie non sposate anche di vivere insieme. Divieti che valgono anche per gli stranieri, destinati quindi a mettere in allerta visitatori in trasferta e i milioni di turisti che ogni anno si riversano a Bali. Il nuovo codice entrerà in vigore fra tre anni ed è considerato solo l’ultimo dei provvedimenti che stanno progressivamente erodendo le libertà civili di un Paese a maggioranza islamica, un tempo considerato tra i più tolleranti. Negli ultimi anni Giacarta ha introdotto leggi considerate sempre più repressive e discriminatorie, soprattutto nei confronti della comunità Lgbtq+. Nel dicembre 2019, per dire, ha introdotto un test sull’orientamento sessuale obbligatorio per i professori stranieri di alcune scuole private. I matrimoni tra persone dello stesso sesso sono illegali in tutto il paese e l’omosessualità è illegale nella provincia autonoma di Aceh, l’unica in Indonesia dove vige la sharia. Ma un nuovo articolo sul diritto consuetudinario fa temere che alcuni regolamenti locali ispirati alla legge islamica potrebbero essere replicati in altre aree, rafforzando la discriminazione verso le donne e i gruppi Lgbt. Il nuovo codice sostituisce quello del 1946, entrato in vigore dopo l’indipendenza dai Paesi Bassi. «Il vecchio codice risale al patrimonio olandese... e non è più rilevante», ha detto il deputato Bambang Wuryanto, che ha guidato la commissione incaricata di rivedere il testo dell’era coloniale. La sua modifica è stata oggetto di dibattito per decenni. La prima bozza del nuovo Codice penale era stata presentata nel settembre del 2019, ma fu ritirata per via delle grandi proteste di studenti e attivisti. Ora è passata in una versione «alleggerita»: gli atti sessuali prematrimoniali ed extramatrimoniali potranno essere denunciati solo dal coniuge, dai genitori o dai figli, il che di fatto limita la portata del testo. Gli attivisti per i diritti umani temono che le nuove leggi possano lo stesso dare man forte alla polizia della moralità e sottolineano un crescente scivolamento verso il fondamentalismo in un Paese a lungo acclamato per la sua tolleranza religiosa, con il secolarismo sancito dalla sua Costituzione. In allerta non sono soltanto gli attivisti. Poche settimane dopo aver ospitato il G20 , un summit che ha rafforzato la posizione dell’Indonesia sulla scena mondiale, critici anche esponenti del business: il nuovo codice minaccia di danneggiare il l’immagine del Paese come destinazione turistica e di investimenti, ha avvertito Shinta Widjaja Kamdani, vicepresidente della Camera di commercio indonesiana. L’ente nazionale del turismo che sta cercando di attirare visitatori stranieri dopo la pandemia ha definito il nuovo codice come «dannoso e totalmente controproducente».

2 dicembre: nel ‘70 sì al divorzio ma il Paese è diviso. Mons. Ruppi alla Gazzetta: «Triste giorno». Annabella De Robertis su La Gazzetta del Mezzogiorno il 02 Dicembre 2022

È il 2 dicembre 1970: «La Gazzetta del Mezzogiorno» annuncia a caratteri cubitali l’approvazione alla Camera della proposta di legge sul divorzio. «Alle 5,40 di ieri il presidente Pertini ha dato all’assemblea di Montecitorio l’annuncio che la proposta Fortuna-Baslini per l’istituzione del divorzio in Italia era stata approvata in via definitiva. In serata il Presidente della Repubblica ha promulgato la legge che sarà ora pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale per diventare operante dopo i 15 giorni della "vacatio legis"».

Nonostante la strenua opposizione della Democrazia Cristiana, partito di maggioranza – capo del Governo era Emilio Colombo – cinquantadue anni fa avveniva una conquista di civiltà per il nostro Paese. Fino ad allora il divorzio in Italia era possibile esclusivamente attraverso la Sacra Rota: solo la Chiesa, cioè, poteva sciogliere il vincolo del sacramento. A partire dall’Unità d’Italia, circa una decina erano stati i tentativi di introdurre l’istituto del divorzio, tutti bocciati a causa dell’ingerenza della Chiesa.

Nell’aprile 1969 la proposta di legge, firmata dal deputato socialista Loris Fortuna e dal liberale Antonio Baslini, viene ufficialmente presentata e passa finalmente al voto del Parlamento. Dopo 33 sedute e la prima approvazione alla Camera, la discussione passa al Senato: il testo emendato torna, così, alla Camera e, al termine di una seduta parlamentare durata oltre 18 ore, la legge è approvata con 319 voti a favore e 286 contrari. La vittoria è chiara, ma non si placano le polemiche, come anticipa il titolo in prima pagina della «Gazzetta»: papa Paolo VI, in viaggio pastorale a Sidney, apprende con «profondo dolore» la notizia.

Una nota vaticana di protesta è stata già inviata al Governo. Così commenta Andreotti, capogruppo dei deputati della Democrazia Cristiana: «Abbiamo fatto tutto quanto era in noi per scongiurare una legge che consideriamo particolarmente pericolosa. Come influirà la legge Fortuna sulle scelte matrimoniali dei giovani? Questo interrogativo ci angoscia». «È un triste giorno per i cattolici», scrive Cosmo Francesco Ruppi in una lettera al direttore della «Gazzetta». Festeggia, invece, Orlandi, del Partito socialista unitario: «Il divorzio è necessario per mettere fine a tante situazioni anormali. Lo scioglimento del matrimonio non è la causa, ma la conseguenza del dissolvimento del vincolo familiare». Molto presto si mobiliteranno le forze cattoliche per indire un referendum di abrogazione della legge appena approvata: nel 1974 il 59,3% dei votanti sceglierà di non cancellare il nuovo istituto giuridico e la legge 898 Baslini-Fortuna sarà confermata.

Suor Cristina e gli altri veli: storie di nozze e divorzi in tv. Beatrice Dondi su L’Espresso il 28 Novembre 2022

Altro che incentivo ai matrimoni in Chiesa: ci si scambiano più fedi davanti alle telecamere che all’altare. E a volte ci si lascia

Se il senatore leghista Furgiuele avesse dato un’occhiata a quanto passa il convento, più che proporre il bonus per i matrimoni in chiesa avrebbe potuto dirottare il suo “incentivo wedding” sui programmi dedicati alle nozze, risparmiandosi probabilmente le critiche piovute da manca e persino da destra. Perché in un Paese ormai specchio della tv ci si sposa più nel piccolo schermo che davanti all’altare.

Matrimoni talmente laici ai limiti dell'irriverenza, dove non solo ti conosci a pochi secondi dalla fede al dito ma addirittura, ed è il caso di quest'ultima edizione di “Matrimonio a prima vista”, a tenere in piedi il gioco non ci provi nemmeno.

Così in un capolavoro di quadrature del cerchio una delle tre coppie, dopo una manciata di puntate, ha mostrato una tale insofferenza reciproca da mollare la presa e salutare la produzione con tanto di pubblica sgridata, intercettazione di una richiesta di accordo e cacciata dal programma in grande stile. Insomma, una disfatta plateale dei cosiddetti esperti al punto che il programma in onda ora su Real Time meriterebbe di essere ribattezzato divorzio al primo sguardo.

Senza contare poi che si è appena concluso “Quattro matrimoni,” in cui le spose in barba al romanticismo duellano con le colleghe per portarsi a casa il viaggio premio sotto lo sguardo critico del conduttore costretto per contratto a fare le pulci alle torte multipiano.

Intanto mentre i contadini cercavano mogli e le suocere sceglievano gli abiti bianchi, si è arrivati all’ardire di proporre una seconda stagione dell'insostenibile “Chi vuole sposare mia mamma”, quel progettino capitanato da Caterina Balivo che in uno slancio di modernità ha aggiunto in corsa anche i padri in cerca di compagnia, con la complicità di altrettanto insostenibili figli.

Sino a che nel Paese delle nozze infrante da telecomando, che ha cavalcato neanche fosse un Palio il naufragio Totti-Blasi, persino Suor Cristina ha divorziato, niente meno che da Gesù. Dopo quindici anni di amore altissimo, intervallato dai microfoni di “The Voice” e dai ritmi di “Ballando con le stelle”, la vita con le Orsoline aveva fatto il suo tempo. E rigorosamente in uno studio, l’ex religiosa ha dichiarato di aver gettato il velo alle ortiche, pronta a ricominciare una nuova vita, possibilmente in diretta. Perché no, le nozze religiose non pagano. E sì, se il senatore leghista avesse guardato la tv se ne sarebbe accorto subito.

Non trova marito e sposa un pupazzo. Che la tradisce...Storia di Gabriele Laganà su Il Giornale il 17 novembre 2022.

Un pupazzo per marito. No, questo non è il titolo di un film ma la storia a tratti surreale che arriva dal Brasile. Protagonista una 37enne, Meirivone Rocha Moraes, che ha deciso di convolare a nozze con un pupazzo. Una scelta a dir poco estrema quella della donna. Ma a volte la disperazione fa compiere gesti davvero particolari. Per non dire discutibili.

A far conoscere i due bizzarri sposi, racconta Leggo, è stata la mamma di Meirivone. Quest’ultima, probabilmente stanca delle lamentele della figlia in merito alle difficoltà di trovare l'anima gemella, ha deciso di impegnarsi in prima persona. E così è stato. Ma c’è una particolarità. Invece di cercare una persona in carne ed ossa la donna ha creato una bambola dalle fattezze maschili che, poi, ha dato alla figlia.

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Chissà, forse quel gesto era dettato dal puro sarcasmo. Sia quel che sia, da quel momento la vita di Meirivone è cambiata. L’apice della felicità il 18 dicembre del 2021 quando la singolare "coppia" si sposa. Alla cerimonia hanno preso parte 250 invitati. Dal grande giorno passa poco tempo e Meirivone e Marcelo (questo il nome del marito-pupazzo) "mettono al mondo" il loro "bambino". Il piccolo, anche lui di pezza, è "nato" con un "parto in casa" grazie all'aiuto di un medico e di un'infermiera. 

Ma anche le favole più belle hanno una fine. Dopo solo un anno di matrimonio ecco che arrivano le prime crepe nel rapporto tra donna e pupazzo. Meirivone annuncia su Tik Tok che lei e Marcelo dormono in stanze separate. Il motivo? Lei ha scoperto che il consorte l’aveva tradita con un'altra donna.

"L'ho scoperto tramite un'amica che mi ha detto di aver visto Marcelo entrare in un motel con un'altra donna mentre io ero ricoverata in ospedale con Marcelinho, nostro figlio, che aveva un virus", ha raccontato con una certa convinzione Meirivone. "All'inizio pensavo stesse mentendo- ha aggiunto- ma poi ho iniziato a guardare attraverso il suo telefono e ho visto le conversazioni, il che mi ha fatto capire che mi stava tradendo davvero". La donna continua nella sua invettiva spiegando che il marito "ha continuato a negare tutto e ha detto che mi ama molto, oltre a chiedere perdono tra le lacrime".

Non si sa perché la donna si sia spinta a tanto. Resta la stranezza di una storia assurda che ha attirato la curiosità di molti.

Ex moglie e compagna del defunto si ritrovano all’obitorio, ma spunta una moglie segreta. Federica Palman il 07/11/2022 su Notizie.it.

Le due donne hanno scoperto dell'esistenza della moglie segreta, e legittima, quando è stato chiesto chi dovesse firmare le pratiche per la sepoltura.

Una storia che ha dell’incredibile è stata raccontata da Il Secolo XIX e ha come protagonista un uomo appena deceduto.

Nel momento di firmare le pratiche per la sepoltura spunta una moglie segreta

L’ex moglie e la compagna dell’uomo si sono ritrovate, seppur in stanze diverse, a piangere la sua morte all’obitorio, ma, quando è arrivato il momento di sbrigare alcune pratiche burocratiche legate alla sepoltura, hanno entrambe scoperto l’esistenza di una terza donna, moglie legittima del defunto.

Un messo comunale si è avvicinato alle due donne, spiegando loro che era la moglie a dover firmare i documenti, ma il nome riportato sull’atto ufficiale dell’anagrafe non corrispondeva a nessuna di loro. In questo modo si è scoperto che l’uomo aveva una moglie segreta da sette anni prima: solo pochissime persone sapevano della sua esistenza.

La donna vive nel centro di La Spezia

La moglie legittima del defunto è stata trovata in un appartamento nel centro di La Spezia.

La donna non era a conoscenza della morte del marito e, dopo essere scoppiata in un triste pianto, si è recata all’obitorio per firmare le pratiche necessarie per la sua sepoltura, incrociando gli sguardi furiosi dell’ex moglie e della compagna dell’uomo.

Da leggo.it l’8 novembre 2022.

A La Spezia un uomo è morto all'improvviso, lasciando una grossa sorpresa ai suoi cari. Durante la compilazione di alcuni documenti in obitorio, l'ex moglie e l'attuale compagna sono state raggiunte da una terza donna. Quella che si è presentata come attuale consorte del defunto e della quale le altre due donne non sapevano niente. 

La moglie segreta

La donna, il cui nome è spuntato al momento della firma per l'atto di sepoltura, era rimasta segreta fino al giorno della morte del marito. L'incredibile storia del «poligamo clandestino» è stata riportata da Il Secolo XIX. La morte dell'uomo, di cui non si conosce il nome, ha inevitabilmente unito nel cordoglio per la perdita, sia l'ex moglie che la sua compagna. Prima dei funerali, entrambe le donne si sono presentate in obitorio per la compilazione di alcuni documenti e per poter piangere il caro estinto. Nessuna delle due, ne tantomeno i familiari del defunto, avrebbero potuto immaginare cosa sarebbe accaduto di li a poco. 

La scoperta choc

Durante la compilazione di alcune pratiche burocratiche, secondo quanto riportato, un impiegato del comune, al momento della firma per l'atto di sepoltura, si è avvicinato alle due donne informandole che l'unica firma valida sarebbe stata quella della moglie dell'uomo. E solo allora le due donne hanno fatto la scoperta scioccante. Nessuno dei loro nomi corrispondeva a quello sull'atto ufficiale dell'anagrafe. 

La terza incomoda

Solo, quindi, con la morte dell'uomo si è venuto a scoprire l'esistenza di una terza donna. La sua attuale moglie si era sposata con l'uomo ben sette anni prima in gran segreto. Tutti, anche i familiari ignoravano l'esistenza di questo matrimonio, facendo scoppiare il caos. La legittima consorte, è stata rintracciata in un appartamento nel centro di La Spezia. La donna non era a conoscenza della morte del marito, e dopo essere esplosa in un pianto di dolore ha dovuto raggiungere anche l'obitorio in tutta fretta per firmare le ultime pratiche legate alla sepoltura. E proprio in quel momento ha dovuto fare la conoscenza dell'ex moglie e dell'attuale compagna, furiosa per una scoperta davvero inaspettata.

"Mio marito in affitto per donne sole". L'idea dell'"imprenditrice". Valentina Dardari su Il Giornale il 3 novembre 2022

Una 38enne inglese, residente a Milton Keynes, Bucks (nel Regno Unito), ha avuto l’idea di affittare il proprio marito a donne sole e gli affari stanno andando benissimo. Tariffa a ora o giornaliera, ma non fa lavori idraulici o elettrici. Laura Young, questo il nome dell’imprenditrice inglese, ha deciso di mettere il proprio coniuge su piazza a sole 40 sterline all'ora, più o meno 47 euro, o anche a una tariffa giornaliera di 250 sterline. L’uomo può essere affittato però principalmente da donne. Sulla pagina Facebook di Laura si possono vedere continue pubblicità che sponsorizzano l’azienda familiare, nata grazie a un podcast in cui un signore raccontava di riuscire a vivere montando mobili, e subito preso d’esempio dalla 38enne che ha messo le abilità del marito sul social e sull’app Nextdoor, con tanto di video.

Di cosa si occupa

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James, questo il nome del coniuge 42enne tuttofare, ha praticamente tutta l’agenda occupata. I suoi lavori vanno dal fissare scaffali al montare tende, armadi, e perfino costruire un muro. Non si occupa però di nessun lavoro idraulico o elettrico. L’azienda va benissimo, anche perché i ruoli sono ben definiti: Laura è la mente e James il braccio. La 38enne, che non manca certo di inventiva, ha anche pensato a una super offerta di Natale, in cui il maritino si rende disponibile a installare le luci per le festività, sia all’interno che all’esterno delle abitazioni. Intervistata dal Mirror, la donna ha spiegato: “Non mi sarei mai aspettata che decollasse così tanto. Abbiamo dovuto iniziare a rifiutare i lavori e ridurre i nostri orari, quindi ora lo facciamo dal lunedì al venerdì dalle 9:00 alle 17:00”.

Un successo inaspettato

Un successo inaspettato che ha costretto il 42enne a dire addio al suo lavoro principale, quello di magazziniere, per occuparsi a tempo pieno dei lavoretti a ore. I soldi servono particolarmente a questa famiglia in cui ci sono tre figli, e due di questi sono autistici. Anche il padre ha un problema di autismo, scoperto quattro anni fa, che non crea problemi alla sua ‘impresa edile’.“È veramente bravo a costruire tutto, senza dover leggere le istruzioni. Ho quindi pensato che sarebbe stato qualcosa che avrebbe potuto fare”, ha ffermato la donna. James ha una mente metodica e vede le cose diversamente dalle altre persone, ha aggiunto la moglie che è costretta a prendere appuntamenti anche a 150 miglia di distanza, tanta è la richiesta. Laura ha raccontato che il primo cliente doveva sostituire il telaio della porta, mentre adesso al marito viene anche chiesto di ricostruire un muro.

Spose scappano dal ristorante senza pagare il conto del pranzo di nozze: «Non ci hanno portato le costolette». FABIANA SALSI Il Corriere della Sera il 3 ottobre 2022.

È successo a Durham, nord est dell'Inghilterra, dove è in corso una «battaglia per il buffet»: da una parte le neospose, dall’altra un ristoratore che ha denunciato tutto su Facebook 

C’è chi, per pagare meno, non avverte il ristorante di aver prenotato per festeggiare il proprio matrimonio, ma c'è anche chi va via senza neanche provare a pagare. È successo a Durham, nord est dell'Inghilterra, dove è in corso una vera e propria «battaglia per il buffet». Così l'ha soprannominata il Daily Mail che per primo ha riportato la notizia, che è diventata virale per via del post del The Town House Durham, hotel che ha ospitato i festeggiamenti: per ritrovare le due neospose fuggitive, Claire Nattrass e Joanne Robinson, il proprietario dell’albergo Luke Hay deve infatti aver pensato che un annuncio su Facebook, con la loro foto in primo piano, fosse il modo più efficace.

Il post su Facebook

«Mai in un milione di anni avremmo pensato di doverlo fare, ma queste sono Joanne e Claire. Joanne e Claire pensano che sia giusto non pagare. In tempi duri come questi per le imprese hanno deciso di derubarci», scrive il Town House sul suo profilo. «Hanno festeggiato un matrimonio nel nostro hotel, ci hanno fatto accumulare costi enormi per il cibo, e poi sono andate via senza pagare. Sono così deluso che qualcuno possa fare una cosa del genere», racconta sempre l’albergo. Infine l’appello: «Ora cerchiamo di trovare il loro indirizzo per inviare loro un po' di corrispondenza legale perché non lasceremo correre. Tempi e spese sono troppo duri per non provare a riavere questi soldi! Se tra voi qualcuno le conosce, contattateci».

La polemica

Alla fine l'indirizzo l’albergatore lo ha trovato, e la battaglia è proseguita a colpi di accuse. «Ci hanno fatto passare per criminali, hanno rovinato il nostro grande giorno», hanno detto al Daily Mail Claire Nattrass e Joanne Robinson, raccontando a loro volta di aver dovuto chiamare la polizia per via delle «minacce» ricevute dal personale dell'hotel arrivato a casa loro, e di aver dovuto perfino cancellare i loro account dai social media a causa delle accuse e degli insulti ricevuti da centinaia di persone che avevano letto il post dell'albergo.

La replica delle spose

Sempre al Daily Mail le due neospose hanno spiegato di non essere state trattate come si sarebbero aspettate: che il loro buffet non comprendeva costolette e hamburger come richiesto, che il personale zelante ha sparecchiato troppo presto, e di aver ritrovato sul tavolo piatti costosi che non erano stati pattuiti. Nonostante tutto, però, Claire e Joanne hanno assicurato che pagheranno appena potranno: tutto meno 200 sterline per il buffet e i costi dei vini che non erano previsti.

La risposta (non definitiva) dell’hotel

Luke Hay, il proprietario della struttura, ha respinto le loro affermazioni come "sciocchezze", annunciando che pretenderà la somma piena. Il caso è finito nelle mani della polizia ma intanto la bacheca social dell'albergo si è riempita di messaggi di conoscenti o presunti tali della coppia di ragazze che si dicono pronti a provare sono delle traditrici e truffatrici. Insomma, la storia è completamente degenerata. Il conto da pagare per mettere la parola «fine» in ogni caso sarà decisamente molto più salato di quello del pranzo di nozze.

Coppia prenota il pranzo di nozze al ristorante senza dire che è un matrimonio. FABIANA SALSI Il Corriere della Sera il 3 ottobre 2022.

Un semplice tavolo per venti, anziché un tradizionale banchetto nuziale: l’idea di una coppia per risparmiare che non è piaciuta al ristoratore 

In fondo è un pranzo, a prescindere dal motivo per cui viene organizzato: deve aver ragionato così la coppia di neosposi che ha prenotato un tavolo per 20 persone in un ristorante sulla via Appia, a Roma, senza però specificare che si trattava di un banchetto di nozze.

Il ristoratore è rimasto spiazzato: «Avreste dovuto avvisarmi», ha dichiarato trovandosi di fronte ai due ragazzi evidentemente reduci dalla cerimonia, con abito bianco e smoking. «Ma avremmo speso troppo», la replica all’unisono. Come hanno spiegato al Il Messaggero, infatti, i due neosposi non hanno organizzato pranzi e menu speciali sia perché desideravano una festa intima, sia per ragioni economiche. 

«Quando parlavo di pranzo di nozze, i costi lievitavano di default»

Non è una novità che, chissà per quale ragione, tutti i servizi legati ai matrimoni — dal maquillage all'acconciatura passando per fotografo, pasticciere e banchetto (quest’ultimo con incidenza maggiore sul budget totale) — costano molto più del normale.

«Non appena dicevo che era per un pranzo di nozze, aumentava il prezzo», ha infatti spiegato il neosposo al quotidiano romano, raccontando altresì di avere cercato soluzioni abbordabili in diversi locali della Capitale e dintorni, ma di non aver trovato alcunché alla portata delle sue finanze. «Per questo ho deciso di prenotare senza dire che ci saremmo sposati la mattina», ha proseguito orgoglioso della sua scelta.

Alla fine, infatti, pare che la festa sia andata bene. Il proprietario del locale è rimasto con l'amaro in bocca: tralasciando la questione dell'incasso, chissà, magari avrebbe voluto accogliere gli sposi in maniera più romantica.

Finché divorzio non ci separi. Quasi triplicate le separazioni tra "nonni": la vita più lunga e un benessere maggiore portano a non accontentarsi anche quando si ha una certa età...Serena Coppetti il 4 Ottobre 2022 su Il Giornale.

Va tutto benissimo finché non finisce male. Non ci eravamo ancora ripresi dagli (sfarzosi) stracci volati sotto forma di Rolex e borsette nelle coppia scoppiata Blasy-Totti, che sono entrati in gioco a gamba tesa anche Mauro Icardi e Wanda Nara, un matrimonio che è anche una società con lui sempre più ex - ex Inter, ex Psg (ora al Galatasaray in Turchia) e adesso forse anche ex della sua procuratrice - e lei che ha annunziato su Instagram con una storia (di 50 parole) la storia (di 9 anni) finita. Se pur eccellenti, non sono eccezioni. In Italia ci si sposa sempre meno e (in proporzione) si divorzia sempre di più. Anche quando non si è più proprio giovanetti. Li chiamano «gray divorce» i divorzi grigi, più che raddoppiati, anzi quasi triplicati in Italia dal 2000 a oggi. E la pandemia pare sia stata detonante: uscire di casa dopo mesi di forzata convivenza ha significato per molti puntare dritto allo studio dell'avvocato. Risultato: boom di divisioni. Quante? Con esattezza lo sapremo solo il prossimo anno. Ma la fotografia impietosa dell'Istat sui primi 9 mesi del 2021 ha sistemato già un discreto più 32,8% di divorzi rispetto al 2020.

MEGLIO SOLI CHE SPOSATI

Quello che è certo, è che nessuno si accontenta più. Neanche a 80 anni. E allora se il tenore di vita permette di pagare il prezzo della libertà ci si dice addio anche da nonni. Nel 2000, infatti, i divorzi con il marito ultra 65enne erano il 3,4%, nel 2018 sono diventati l'8,5%. Più che raddoppiati, quasi triplicati. Nel caso delle mogli la proporzione è la stessa: dall'1,9% al 4,8% (dati Istat). «Non ci sopportimao più mi dicono serenamente quando vengono in studio», racconta l'avvocato Armando Cecatiello, esperto di diritto di Famiglia che ha appena dato alle stampe un libro «Patrimoni famiglie e matrimoni» con l'eloquente sottotitolo «Conoscere i propri diritti e doveri per scelte consapevoli e serene». Separarsi in questi casi è meno conflittuale. Il quadro patrimoniale è chiaro e le situazioni affettive ben consolidate. «Il nostro lavoro in questo caso è soprattutto quello di far capire che la libertà ha un costo e conviene separarsi se tutti possono stare bene», sottolinea Cecatiello.

Se prima l'uomo si separava intorno ai 44 anni ora l'età media è sui 50, mentre lei passa da 41 ai 47 anni. Prima di sposarsi gli italiani ci pensano parecchio. E magari decidono di non farne di niente. A guardare gli ultimi dati Istat (a partire dal 2008) è una discesa libera. Quell'anno sono stati celebrati 246.613 matrimoni e conclusi 54.351 divorzi, nel 2019 (ultimo dato confrontabile prima della pandemia) ci sono state 184.088 nozze e 85.349 divorzi, segnale di un trend ormai chiaro (nella tabella sotto tutti i dati). Il 2020, anno del Covid, resta ovviamente un anno anomalo: a fronte di appena 96.841 nozze ci sono stati 66.672 divorzi e 79.917 separazioni. «Quello che è successo durante la pandemia ce lo diranno definitivamente solo i dati di febbraio 2024», spiega Antonella Guarneri, ricercatrice dell'Istat. Anche se i numeri relativi ai primi 9 mesi del 2021 anticipano che non c'è stata nessuna inversione di rotta. Anzi. Nonostante tutti i rinvii dell'anno del Covid non si raggiungono ancora i numeri del 2019 (-8,8% quelli religiosi e -4,5% quelli civili). La convivenza forzata ha messo a dura prova nozze, convivenze, amori (o giù di lì), appena nati ma anche di lunga data. Il polso della situazione si misura oltre che nei matrimoni eccellenti naufragati con gossip, negli studi degli avvocati, a quanto pare presi d'assalto dopo la pandemia. E come sempre il boom è sempre dopo le vacanze, a settembre e a gennaio. «Specie dopo il secondo lockdown - fa notare l'avvocato Cecatiello - abbiamo avuto parecchie richieste, anche se i tribunali non hanno mai chiuso e gli avvocati lavoravano. Il grosso lo vedremo il prossimo anno. Anche perché la strada della separazione non è più lunghissima ma prevede comunque tempi precisi». La chiave di volta è stata nel 2015 il divorzio breve, fa notare Guarneri. In quei due anni i numeri sono lievitati: dai 50mila costanti fino ad allora, a oltre 80mila fino al raddoppio dei 12 mesi successivi (quasi 100mila). Dai 5 anni che dovevano intercorrere tra separazione e divorzio, siamo passati prima a 3, poi all'anno ridotto a 6 mesi in caso di consensualità. Una tipologia per fortuna sempre in crescita: nel 2021 (solo i primi 9 mesi) quasi il 50% in più rispetto all'anno precedente e un 6% in più rispetto anche al 2019. Così come è in crescita la negoziazione assistita. Perchè litigare e andare in Tribunale non è più la via maestra. O meglio: non manca certo chi è pronto a dare battaglia al coniuge, ma ora una nuova generazione di legali cerca di stemperare gli animi e limitare le risse.

COME È CAMBIATO IL DIVORZIO

È finita. Non ne posso più. Mi voglio separare. Inizia così. In genere dopo 15 anni, come evidenzia la lente di ingrandimento dell'Istat. Ma può proseguire in parecchi modi. Prima si litigava di più. «Specie quando ci sono patrimoni condivisi», spiega l'avvocato Gian Ettore Gassani, presidente dell'Associazione matrimonialisti italiani, autore di parecchi libri sul tema («C'eravamo tanto armati», «Vi dichiaro divorziati») e ultimo «La guerra dei Rossi».

La rissa, anche legale, era quasi scontata e l'approdo in Tribunale quasi dovuto. Ora le cose sono un po' cambiate. O stanno cambiando. «C'era anche una vecchia cultura degli avvocati che iniziavano con il contenzioso, quindi subito in tribunale, e se poi si trovava l'accordo tanto meglio. Ora invece ci sono tantissimi strumenti che ci portano a poter aiutare i clienti a prendere decisioni più consapevoli», sottolinea Cecatiello. La riforma Cartabia in vigore da giugno scorso «per la quale siamo ancora in attesa di alcuni decreti attuativi, ha dato una spinta verso le cosiddette «AdR», le Alternative dispute resolution, i metodi alternativi per evitare di andare in tribunale. In pratica, di solito: mediazione familiare, negoziazione assistita, secondo un modello di derivazione americana. E infatti gli ultimi dati Istat dicono che una separazione consensuale su tre e un divorzio (consensuale) su due avviene al di fuori del Tribunale. «Andare direttamente in tribunale significa anche avere velocemente una decisione del giudice, perché alla prima udienza vengono prese le decisioni più importanti», specifica Cecatiello. Di solito quelle legate al mantenimento dei figli e la casa familiare.

In un primo periodo si potrà anche tirare un sospiro di sollievo. «Chi lascia è felice di essere libero. Chi viene lasciato si trova con un minimo di comfort, magari mancato durante il periodo di separazione: spesso uno dei due smette di provvedere alla famiglia e l'altro può trovarsi in gravi difficoltà». Ma «la decisione presa dall'alto, cioè dal giudice, non è stata ponderata bene dalla coppia», ed è altissima la percentuale di chi ricomincia litigare dopo qualche mese. Per i soldi (oggi più di ieri) o per i tempi con i figli e lo fa in sede di divorzio o chiedendo la modifica delle decisioni. Quindi «il peggior contenzioso è quello che viene da una decisione già presa. Non bisogna arrivare a quel punto - precisa - Prima era più così perchè è così che viene inteso da una vecchia scuola di avvocati ancora legati a creare zizzania, a guardare più alle situazione divisive invece che a quelle che possano portare a una visione di accordo». Ora c'è una nuova tendenza specie degli avvocati specializzati, di fare un lavoro di negoziazione, a partire dalla mediazione familiare, «quando ci accorgiamo che hanno forti problemi di comunicazione: è inutile trovare un accordo perché dopo poco ricominceranno a non capirsi». A volte basta qualche seduta da un mediatore familiare o comunque una persona competente «per ripristinare le naturali basi della comunicazione», aiutando la coppia seppur scoppiata da lì per sempre.

UN CURATORE SPECIALE PER I FIGLI

Così ora negli studi degli avvocati non si trovano più solo i legali ma anche mediatori, coach, psicologi per capire davvero quello che si vuole oppure per accettare la decisione dell'altro. E questo significa aiutare anche i figli, spesso al centro della battaglia con effetti devastanti. «È stata formalizzata dalla nuova riforma anche la figura del curatore speciale - spiega ancora Cecatiello - Si tratta di un avvocato che nell'ambito del processo viene assegnato ai minori se il giudice ritiene che i genitori non si dimostrano capaci di capire qual è l'interesse vero dei figli». Il curatore incontra i ragazzi, si fa portavoce dei loro diritti in Tribunale, «è un'eccezione sul divieto dei minorenni di incontrare un avvocato». «Oggi dai 12 anni in su devono essere sentiti in Tribunale. C'è maggiore attenzione ai ragazzi che hanno diritto ad essere tutelati anche attraverso un professionista che guardi solo dalla loro parte». Per evitare la guerra a suon di dispetti.

«Le persone che divorziano sono in un momento difficile e spesso fanno cose stupide perchÉ magari prese dall'odio, dalla gelosia, dai sentimenti. Se ci sono avvocati che invece di fomentare e aizzare il conflitto lo abbassano, che dicono al cliente di avere un comportamento adeguato nell'interesse soprattutto dei figli ma anche nell'interesse proprio, per non doversi vergognare domani di qualche comportamento, alla fine si riescono ad avere situazioni migliori e le persone riescono anche ad essere felici dopo un periodo brutto». Scoppiati, insomma, ma in qualche modo contenti.

Valeria Randone per lastampa.it il 5 ottobre 2022.

Questa è una storia di dispetti taciuti e poi agiti. Di doni elargiti e poi ritratti. Di un cane, povero cane, trattato alla stessa stregua di un oggetto, di una borsa, di un gioiello, di un anello di fidanzamento, di un orologio. È una storia che nasce sotto i migliori auspici ma che naufraga sotto le peggiori nefandezze.

È la storia di un cane, Mia, un Chihuahua, acquistato per rendere felice la donna amata e poi strappato via dalle sue braccia per punirla. (…)

Senza chiederle il permesso e senza valutare i rischi di una denuncia per sequestro, ha portato via con sé il cane pur di spezzare il cuore alla sua compagna, ed è andato via di casa. Mia ha iniziato a non mangiare più, a tremare più del solito e rimanere chiusa dentro il trasportino. Aveva smesso di scodinzolare, di giocare e di essere allegra, di esplorare e anche di mangiare.

In alcuni momenti sembrava che piangesse: i suoi occhi grandi e profondi si inumidivano talmente tanto che le conferivano un’aria triste e addolorata. Giorgia, dal canto suo, era disperata, ma non avrebbe mai e poi mai accettato di ritornare con Giorgio sotto il peso di un ricatto emotivo. Si rivolse alla polizia, al suo avvocato e aveva il cuore talmente tanto stretto in una morsa che sembrava avere smesso di batterle in petto.

Una punizione così grande, per Mia e per lei, era qualcosa di così grave da farle vedere Giorgio come un mostro. Non sarebbe mai più potuta tornare tra le sue braccia.

La restituzione Giorgio, che in fondo voleva bene a Mia, vedendola così triste ed emaciata decise che avrebbe rinunciato a lei e alla punizione e che l’avrebbe restituita alla sua amata padrona. Mia in un paio di giorni aveva perso ben quattrocento grammi, che per un cane così picciolo sono un’enormità. 

Questa triste storia si conclude con il ricongiungimento di Mia e Giorgia, con il recupero dei grammi persi, con due cuori che hanno ricominciato a battere e con una separazione definitiva: quella tra Giorgio e Giorgia. Questa storia ci regala due insegnamenti.

Uno: due persone insicure e ferite dalle loro infanzie tormentate e irrisolte non possono pensare di trovare un equilibrio sano e funzionale azzerando ogni distanza, ma il percorso per diventare una coppia adulta e in cammino è ben altro.

Due: un animale non è un giocattolo, un oggetto, un surrogato affettivo, ma ha le sue necessità emotive e fisiche, e spezzategli il cuore per un ricatto non è servito a far tornare indietro il partner in fuga.

Roberto Faben per “La Verità” il 5 ottobre 2022. 

(…)  In Italia i casi di chi, bando agli indugi, decide di lasciare proprietà immobiliari e finanziarie o quote di esse ai propri compagni di vita del genere animale, soprattutto cani e gatti, non mancano.

Tuttavia, ascoltando testimonianze in merito di legali e operatori esperti della questione, le cose non sono così semplici. Anzi, rivelano le vicissitudini relazionali di persone, spesso anziane, con abbondanza di peculio ma con penuria estrema di rapporti fiduciari con familiari o affini, quando non in stato di pressoché completa solitudine, lenita solo dalla compagnia degli animali con cui risiede.

All'atto di pensare al futuro dei propri gatti o cani, indotto dallo spettro che essi finiscano prigionieri di mura domestiche o a vagare, affamati e smarriti, nel folto popolo dei randagi, spesso fa da pendant un gesto simbolico, ossia, nell'impossibilità di individuare un degno fiduciario di prossimità, il lasciare ogni bene posseduto ad associazioni protezioniste di animali, con la clausola di prendersi cura anche dei propri.

Diritto a 4 zampe L'avvocato Francesca Zambonin, 47 anni, un marito, un figlio e un cane femmina di razza Amstaff, Mia, è titolare di uno studio legale, a Binasco (Milano), che si occupa di controversie di diritto di famiglia spesso legate alla proprietà di animali da affezione con collegate eredità e contese, tanto da darsi anche un marchio, «Avvocato Animali». 

«Un mio assistito, ottantenne» rivela, «ha lasciato un ingente patrimonio, abitazioni e conto corrente, a due associazioni animaliste, con la condizione che si prendessero cura dei suoi cani, due meticci».

L'operazione sarebbe legittima. Molto spesso però, nel caso il testamento sia olografo, ossia redatto dal dichiarante senza avvalersi di un legale, si accendono contenziosi. Carla Rocchi, presidente di Enpa, l'Ente nazionale protezione animali, il più antico organismo con questo fine, costituito nel 1871 da Giuseppe Garibaldi, su pressione di una nobildonna inglese, Anna Winter, racconta che «un signore ha lasciato alla nostra associazione una somma di denaro e un appartamento, pregandoci di farci carico dei suoi due gatti e indicando una pensione di sua fiducia ove lasciarli in ricovero e mantenerli. Ma siamo in contenzioso con i parenti, che rivendicano il lascito, per quanto ciò non ci abbia esentato dal prenderci subito cura dei due animali». 

Casa dolce casa «Da un'altra persona abbiamo invece avuto in eredità una palazzina di quattro appartamenti da adibire all'accoglienza di famiglie in difficoltà con animali. Una è stata data a una famiglia di profughi ucraini con animali, che ora sono andati via e stiamo cercando di dare gli alloggi in locazione». 

Situazioni complesse, dunque, e di non semplice soluzione. Claudia Ricci, 48 anni, legale di Enpa, tratta quotidianamente controversie in cui, figli e parenti espropriati di eredità causa intenzione del dipartito di lasciare tutto al proprio cane o gatto, o agli animali in genere, impugnano l'atto testamentario.

«A chi fa testamento non è consentito» precisa, «deprivare coniuge e figli della legittima». Può inoltre accadere, dettaglia l'avvocato, che, «quando i parenti del defunto sono convocati dal notaio per la lettura del testamento, apprendano come la quota di eredità loro assegnata, comprenda cani e gatti» appartenuti al disponente. Peccato però che, non di rado, quegli animali, veri devoti della buonanima, siano considerati dagli assegnatari un inutile peso.

In caso di assenza di testamento e di eredi fino al 6° grado, spetterà al Comune di residenza farsi carico della destinazione degli animali del defunto. (…)

Il cagnolino conteso Un esempio? «Una coppia di conviventi si contendeva un cane, un meticcio». Cos' ha previsto la sentenza? «Che lo avrebbero tenuto un mese ciascuno, a rotazione. La cosa è durata un po', ma erano lontani, uno a Roma e l'altro a Brescia». E dunque? «Alla fine, uno dei due, sfinito, ha deciso di lasciare definitivamente il cane all'altro».

Irene Soave per corriere.it il 26 settembre 2022.  

Dal delitto d’onore alla guerra dei Rolex: il termine “divorzio all’italiana” resiste nei decenni, ma (per fortuna) il significato non è più lo stesso.

1961: il codice civile, articolo 149, stabiliva ancora che “il matrimonio non si scioglie che con la morte di uno dei coniugi”. In Italia si registravano un milione e mezzo di separati ufficialmente, e il doppio di fatto; l’adulterio era punito con uno o due anni di carcere, il “delitto d’onore” - che ne avrebbe “lavato” l’offesa - con appena tre. Quasi un’esclusiva per maschi. 

Così quell’anno il regista Pietro Germi intitolò Divorzio all’italiana la feroce commedia in cui Marcello Mastroianni, sposato, si innamorava della cugina (Stefania Sandrelli) e si liberava di sua moglie compiendo un delitto d’onore: appunto, un “divorzio all’italiana”. 

Oggi si separano 97.474 coppie l’anno e divorziano 85.349 (Istat 2019), la procedura si è tanto snellita che si può divorziare - in alcuni casi - senza neppure vedere un giudice. Ma i casi più più recenti - come l’addio Totti-Blasi, più seguito di una crisi di governo - certo meno cruenti, non sembrano meno aggressivi. 

Il difficile esordio

«In cinquant’anni», spiega l’avvocato Carlo Rimini, ordinario di Diritto privato alla Statale di Milano e professore di Diritto di famiglia a Pavia, «il divorzio ha cambiato pelle. Quando è stato introdotto, nel 1970, la legge lo rendeva difficile: i coniugi dovevano sottoporsi a un doppio tentativo di conciliazione, e fino al 1987 tra separazione e divorzio dovevano passare 5 anni, in alcuni casi 7. Oggi si può divorziare quasi come si cambia compagnia telefonica, per iniziativa anche di un coniuge solo». 

La strada tra ieri e oggi è stata lastricata di leggi, come quella del 2014 sulla negoziazione assistita e quella del 2015 sul divorzio breve (possono bastare sei mesi dalla separazione, se assistiti da avvocati e senza figli): nel solo biennio 2014-15, in un boom storico, i divorzi sono passati da 50 mila l’anno a oltre 80 mila, per raggiungere i 99 mila nell’anno seguente. Ma la legge del 1970 è sempre in piedi, in tutta la sua solennità.

L’Italia aveva conosciuto il divorzio, prima, solo con il codice napoleonico (1808-1814) in alcune regioni. La prima ondata massiccia di rotture coniugali risale al primo dopoguerra: nel proporre una legge sul divorzio nel 1922, due deputati socialisti facevano riferimento a migliaia di reduci che avevano trovato una famiglia cui erano ormai estranei. Il fascismo era, naturalmente, contrario (ma una fotografia di come potesse essere un ménage di regime l’abbiamo nel film Una giornata particolare di Ettore Scola). 

Nel 1954, una proposta di legge sul “piccolo divorzio” tentava di sanare anche la situazione di 500 mila mogli di emigrati che non tornavano. Non passò. Nella sua indagine I separati (1961) la sociologa Gabriella Parca riporta come, in Italia, ci si separasse tanto pur senza diritti (lo faceva un italiano su mille, il doppio della Gran Bretagna dove il divorzio era lecito); il 90% dei divorziati, 10 anni dopo la legge, era separato da prima che il divorzio esistesse. 

Nel 1970 l’Italia divorzia

La legge Fortuna-Baslini, dopo migliaia di firme raccolte in tutta Italia (la maggioranza in Sicilia, “patria” del delitto d’onore), fu approvata con il numero 898 il 1° dicembre 1970. Alcune parrocchie scampanarono a morto. “L’Italia divorzia: sposa questo secolo”, titolava memorabilmente il Times. E già il 29 dicembre il tribunale di Modena, primo in Italia, scioglieva il matrimonio di Luisa Benassi, sarta, allora 25 anni e un figlio di 9. «Sono sollevata», ha raccontato ai giornali due anni fa, nel cinquantenario della legge che le ha «salvato la vita», di «essermi liberata di quel marito. Mi aveva fatto di tutto». ll nome di lui non è passato alle cronache, quello di lei, oggi nonna di un ventiduenne, sì: «Fu uno scandalo: mi trattavano da donnaccia, me ne dicevano di tutti i colori, dovetti lasciare il mio paese, Castelvetro». Ma la tendenza era inaugurata. Nel 1971 i divorzi furono 17.134, raddoppiati già l’anno dopo (31.717).

I casi celebri

Nel 1971 divorzia Ornella Vanoni, dall’impresario Lucio Ardenzi, sposato nel 1960 «quando ero ancora innamorata di Gino» (Paoli). Dopo di lei chiedono il divorzio in poche settimane tante altre star - il più celebre, Vittorio De Sica - che il Corriere del 17 marzo 1973 titola “Esauriti i divorzi dei vip”. Un cancelliere del foro di Roma racconta: «Finora un’istanza su quattro la presentava un attore o un cantante. Qui sembrava Cinecittà». 

E i divorzi più celebri hanno sempre appassionato gli italiani. Pochi brillano per stile. Da manuale di etichetta, datata 2002, è la separazione tra Eros Ramazzotti e Michelle Hunziker, con divorzio sette anni dopo. 

«In un momento di crisi abbiamo trovato chi, anziché aiutarci, ci ha separati», è la sola versione che entrambi forniscono della rottura. O Fabrizio Frizzi e Rita Dalla Chiesa, dalla cui separazione del 2002 è nata un’amicizia. Anni di recriminazioni e velenosi retroscena seguirono invece la separazione (1999) tra Al Bano e Romina, già distrutti per la scomparsa della figlia. 

A mezzo stampa, e «doloroso», così lei, fu il divorzio datato 1996 tra Luciano Pavarotti e la moglie-agente Adua Veroni: lui si era innamorato di Nicoletta Mantovani e sul Corriere un’intervista a Veroni titolava “Luciano mi dica se vuol divorziare” (la risposta fu sì).

I giornali hanno ospitato spesso missive di questo tipo: la più celebre è stata quella con cui Veronica Lario su Repubblica, nel 2007, chiedeva al marito Silvio Berlusconi «pubbliche scuse» per alcune «galanterie» rivolte in pubblico ad altre donne. La richiesta di separazione arriva nel 2009. 

I costi una scelta

Di questo e di altri divorzi celebri si chiacchiera, soprattutto, a proposito di mantenimento: quello che il Cavaliere doveva versare all’ex moglie, 3 milioni di euro al mese durante la separazione e 1,4 dopo il divorzio, era poi stato cancellato in appello secondo il precedente di una sentenza di Cassazione del 2014 (sul caso dell’ex ministro Vittorio Grilli contro l’ex moglie Lisa Lowenstein).

Che decise che l’eventuale assegno di mantenimento non va più calcolato tenendo come riferimento il “tenore di vita”, rigettando cioè «l’idea del matrimonio come una sistemazione definitiva». Vari “divorzi d’oro” sono stati ridimensionati da questa sentenza: come quello di Barbara D’Urso, che non dovrà più mantenere l’ex marito, il ballerino Michele Carfora. 

Ma il tema non tocca la maggioranza degli italiani. «Il matrimonio», spiega Carlo Rimini, «non crea di per sé alcuna condivisione. Circa l’80% degli sposi sceglie la separazione dei beni, e solo in 1 divorzio su 5 il giudice stabilisce che il più debole abbia diritto a un assegno di mantenimento, oltretutto in genere basso. 

I casi più ingiusti sono quelli nei quali una donna di 50 o 60 anni, che non lavora per essersi dedicata alla famiglia, viene lasciata e si trova senza un reddito. Per lei l’unica tutela è l’assegno mensile. Ma spesso le viene riconosciuta una somma che non la compensa dei sacrifici». “Moglie” e “marito” sono spesso sinonimi di “coniuge debole” e “coniuge forte”, nei divorzi all’italiana: lavora, in Italia, appena il 49,3% delle donne adulte. Ruoli che - sempre in via tendenziale - si rovesciano dopo il divorzio quando ci sono figli. 

«Rilevanti redistribuzioni di reddito», spiega Rimini, «avvengono in questi casi. La casa coniugale viene perlopiù assegnata al genitore con cui i figli prevalentemente vivono, in genere la madre. L’altro genitore, in genere il padre, deve versare anche un assegno per i figli. Nel determinare questo assegno i giudici sono piuttosto generosi. Nelle famiglie a reddito medio-basso il marito con figli ne esce con le ossa rotte».

I conti in tasca alla coppia

È facile fare un prosaico gioco di simulazione: chi può divorziare? Coppia residente a Milano, due figli, lui professionista, 3.200 euro al mese, lei poniamo 1.200. Mutuo in comune da 1.000 al mese. Divorziano: dai 3.200 di lui si sottrae la rata del mutuo (condiviso con la moglie: basteranno 500?) e il contributo di mantenimento per i figli, variabile, alcune centinaia di euro; l’affitto di una nuova casa adatta ai bambini, almeno 1.200; in tasca resta poco. E sono stipendi alti per la media italiana (1.500 al mese): sotto questa soglia si rinuncia? Quasi mai.

«Le separazioni impoveriscono, e specialmente la casa è un problema», spiega Luisa Francioli, avvocata e co-responsabile dell’ufficio legale del Centro ausiliario minori di Milano. «Eppure è difficile che una coppia in cui almeno uno dei due ha deciso di lasciarsi rinunci a farlo. Molti tornano dai genitori, o vanno in periferia. Ma se la situazione è invivibile, ci si lascia. Lo mostra l’anno del Covid: la convivenza forzata ha fatto esplodere molte coppie. Anche giovani, e con figli piccoli». L’idea che i figli preferiscano genitori uniti a tutti i costi «è superata». «Proteggere i figli», intento dichiarato sempre dai contraenti di separazioni soprattutto celebri, è soprattutto «facilitare i rapporti con l’altro genitore, quello con cui non convivono stabilmente», prosegue Francioli. Spesso il padre.

«Oggi i padri chiedono al giudice più tempo con i figli, e quasi sempre lo ricevono. A volte sono richieste strumentali, di battaglia; ma i padri più giovani sono davvero coinvolti nella gestione dei figli, e anche quando la famiglia si spacca si danno molto da fare per diventarlo». L’affido condiviso dei figli, dall’entrata in vigore della legge 54/2006 è ormai la modalità ordinaria. L’Istat registra per il 2018 75.760 affidi condivisi su 79 mila separazioni. Nel 59% dei casi la casa coniugale è assegnata alla madre. Altri numeri: dal 1991 al 2018 si registra un boom. Nel 1991 i divorziati erano 375.569; nel 2018 1.671.534.

Le cause dei divorzi

Dal 1991 a oggi sono raddoppiati i “divorzi grigi”, tra i 65 e i 79 anni, e persino gli over 80 sono il 3,2% del totale; ma ci si lascia a ogni età. Perché? Stime artigianali di addetti ai lavori indicano come causa di 4 divorzi su 10 un nuovo amore, in metà dei casi del marito e in metà della moglie; tre, disamore semplice; gli altri violenza, dipendenze, odio per i suoceri; la grande maggioranza sono poco conflittuali, e solo il 20% somiglia per acredine alla “guerra dei Rolex” di questi giorni. 

Ancora Istat: si divorzia un po’ più al Nord che al Sud; più tra i diplomati (18 mila coppie di diplomati si sono divise nel 2018) che tra i laureati (5.300); le sole a divorziare pochissimo sono le donne disoccupate, appena 7 mila sulle 62 mila divorziate 2017, uniche costrette a resistere alla forza centrifuga che divide chi non vuole più vivere insieme, fortissima, ben più di quella centripeta dell’amore, da ben prima del 1970.

Estratto dell'articolo di Barbara Carbone per “il Messaggero” l'8 settembre 2022.

La famiglia tradizionale scricchiola, i divorzi raddoppiano e si moltiplicano, in Italia, le famiglie monoparentali. Sono oltre tre milioni quelle composte da un solo genitore e dai figli. Secondo le ultime rivelazioni dell'Istat, nel nostro Paese, su 25,6 milioni di famiglie, il 12% è costituito da nuclei monoparentali. 

I genitori soli sono quasi sempre donne: 2,4 milioni di madri sole con figli contro 565 mila padri. Fuori dal Bel Paese le cose non vanno meglio. Secondo quanto riportato dal quotidiano britannico The Times, in Inghilterra, una famiglia su quattro è formata da un solo genitore con figli e negli Stati Uniti le famiglie a metà sono addirittura più del 23% del totale. 

[…] Il divorzio è il principale motivo per il quale un genitore, quasi sempre la madre, può ritrovarsi solo nella crescita e nell'educazione della prole. 

Ci sono però anche altre cause come le gravidanze extraconiugali, la morte del coniuge o, molto più frequentemente, l'assenza di un genitore vivo. […]

Diventare grandi senza la guida della mamma o del papà ha, secondo gli psicologi dell'età evolutiva, conseguenze emotive importanti, spesso drammatiche. […] 

La società è mutata e, di conseguenza, anche le relazioni affettive hanno cambiato pelle al punto che, oggi, appare riduttivo guardare alla famiglia senza tener conto delle nuove relazioni familiari: monogenitoriali, ricostruite, di fatto e omosessuali. La famiglia non è più solo una formazione sociale fondata sul matrimonio ma un posto in cui c'è amore. Non mancano però quelli che, di relazioni stabili e accudimento dei figli, proprio non vogliono sentir parlare. Sempre più uomini e donne scelgono di stare soli.

È il Rapporto Annuale dell'Istat a consacrare l'Italia come il Paese dei single. Ben il 33,2 % degli italiani vive da solo. Una percentuale che, per la prima volta, sorpassa quella delle coppie con figli, che ormai, costituiscono il 31,2% delle famiglie. Si stima che, nel 2045, le coppie senza figli saranno più numerose di quelle con figli.

La famiglia tradizionale pare reggere, seppur con percentuali non incoraggianti, solo al Sud. Mentre nel Nord-est single e le coppie con figli si equivalgono (ciascuna il 30% del totale), nel Centro e nel Nord-ovest prevalgono le famiglie unipersonali (36% contro 28% circa delle coppie con figli) mentre nel Mezzogiorno risultano ancora preponderanti le coppie con figli (circa 36% contro circa 30% delle persone sole). […]

Gli ermellini aprono all'addebito del divorzio per colpa della ex. Il divorzio di Ferragamo, la Cassazione: “Assegno alla moglie anche se è stata infedele”. Redazione su Il Riformista il 3 Settembre 2022

Dovrà continuare a percepire l’assegno di mantenimento nonostante l’infedeltà. Anzi la cifra che le verrà riconosciuta sarà ritoccata al rialzo perché deve essere adeguato al costo della vita della città dove si trasferita nel 2019, ovvero Londra.  E’ quanto stabilito dalla Cassazione in merito alla vicenda dell’imprenditore Ferruccio Ferragamo, 76 anni, che nonostante i tradimenti dell’ex moglie Ilaria Giusti (più giovane di lui di 20 anni) dovrà continuare ad elargirle l’assegno, pari a 60mila euro al mese.

Della decisione degli Ermellini ne scrive oggi il Messaggero. Ferragamo è presidente dell’omonima casa di moda che ha un patrimonio stimato in circa 4 miliardi di euro. L’assegno da 60 mila euro dovrà essere aggiornato perché l’ex moglie dopo la separazione si è trasferita nel Regno Unito con l’unico figlio, oggi maggiorenne, e la cifra, secondo quanto stabilito dalla Cassazione, dovrà essere adeguata al costo della vita di Londra.

Si tratta dell’ennesimo capitolo di una vicenda iniziata nel 2019 di una coppia sposata in Italia nel marzo 2004. L’ex moglie voleva che la causa di divorzio venisse decisa in un tribunale britannico, mentre Ferragamo ha ottenuto che il giudice competente fosse quello di Firenze.

Nella decisione della Cassazione c’è anche un punto a favore dell’imprenditore toscano. “La prima sezione civile della Suprema Corte, nell’ordinanza depositata ieri – scrive il quotidiano romano -, ha aperto la strada alla possibilità che l’addebito del divorzio (ossia la colpa della rottura del matrimonio) gravi sulla consorte, spiegando che all’iniziale tolleranza dell’imprenditore verso l’infedeltà della moglie si sono sommate ulteriori storie dell’ex prodotte in giudizio”.

Ferragamo, infatti “aveva chiesto di essere ammesso a provare che la predetta relazione era stata seguita da altre, in tal modo lasciando chiaramente intendere che la tolleranza da lui inizialmente manifestata era venuta meno, a causa della reiterata violazione del dovere di fedeltà che aveva determinato il fallimento dell’unione”. Adesso la parola passa ora ai giudici della Corte d’Appello di Firenze.

Addio al Celibato. Elvira Serra per il “Corriere della Sera” l'1 settembre 2022.  

Di Gimbo e i suoi fratelli abbiamo visto (quasi) tutto sui social. Il campione europeo di salto in alto Gianmarco Tamberi, che oggi pomeriggio nella Villa Imperiale di Pesaro sposerà Chiara Bontempi dopo un allenamento di 13 anni, ha raccontato su Instagram la sua fuga per la vittoria in Ungheria, dove l'aspettavano altri undici amici per festeggiare il suo addio al celibato.

«Saremmo dovuti partire insieme con me bendato, per farmi la sorpresa. Ma lo spostamento della premiazione per l'oro di Monaco ha cambiato i piani e così sono arrivato da solo», ci ha raccontato per telefono l'atleta olimpionico. Discoteca, gara di go kart con tanto di consegna della medaglia sul podio («Non mi hanno fatto vincere, non lo avrei mai accettato!»), tasso alcolico da autista al seguito («Un pelino abbiamo bevuto, ma non mi faccia passare per alcolizzato!»), dal 19 al 21 agosto (venerdì-domenica) si è messo nelle mani di Pozzi, Sbu, Pallò, Palpi, Dixit, Giallo, Cozza, Gigio, Espi, Massi, Sabba.

«Sono i miei amici di sempre, quelli che mi cantano i cori durante le gare. È stata una cosa speciale, non mi hanno fatto pagare niente, a parte qualche giro di Tequila... A un certo punto in discoteca li ho presi da parte in cerchio e gli ho fatto un discorso: quello che avevo raggiunto nello sport era il frutto del nostro lavoro di squadra, e con quella stessa squadra potevamo fare ancora molto di più e arrivare a Parigi insieme». Naturalmente la fuga a Budapest non ha impensierito (troppo) Chiara, che aveva già fatto il suo «Bachelorette Party» con le amiche ai primi di agosto, sul mare di Rimini.

La storia di Gimbo ci dice tanto su come eravamo. Un tempo i festeggiamenti prima del matrimonio erano prerogativa dello sposo. E si risolvevano perlopiù in una serata alcolica, a ridosso delle nozze. L'evoluzione paritetica ha imposto divertimenti anche per la sposa, dove il massimo della trasgressione era assistere a uno spogliarello maschile (il partner, del resto, si stupefaceva davanti a una finta torta da cui saltava fuori una graziosa signorina).

Oggi, invece, l'addio al nubilato e al celibato sono diventati tappe fondamentali verso ogni matrimonio che si rispetti, sono quasi sempre condivisi sui social e sono anche piuttosto dispendiosi. Un weekend lontano dalla propria città è il minimo sindacale, ancora meglio se all'estero, con gadget personalizzati, dalle t-shirt ai costumi da bagno.

E se è vero che ci si sposa di meno (nel 2021 l'Istat ha calcolato 179.152 matrimoni, un'enormità rispetto ai 96.841 contingentati dal Covid nel 2020, ma sempre meno dei 184.088 del 2019) i primi quattro mesi dell'anno hanno visto una risalita: da gennaio ad aprile a sposarsi sono stati in 22.058, l'anno prima nello stesso periodo 16.921. C'è da dire che diminuiscono anche i divorzi (66.662 nel 2020 - però c'era la pandemia - 85.349 nel 2019, 88.458 nel 2018), ma anche qui qualcosa è cambiato. Cominciano a diffondersi alcuni «riti di passaggio», quando non veri e propri «divorce party».

Federica Pellegrini è stata rapita nel sonno. D'intesa con l'allora fidanzato Matteo Giunta (ormai consorte dal 27 agosto), a giugno le amiche l'hanno svegliata di soprassalto per andare a Formentera. Villa in affitto sul mare, costume bianco per lei con la scritta «Bride to Be (futura sposa) e azzurro per le damigelle, giro in yacht, balli, tuffi, brindisi e un unico veto imposto dalla Divina: «Niente spogliarellisti». 

Manuela Arcuri, per le nozze bis con Giovanni Di Gianfrancesco, non ha rinunciato all'addio al nubilato a Mykonos. «Ormai il piccolo viaggio è la scelta di tendenza. Le mete più gettonate sono Valencia, Ibiza, Madrid e Mykonos per le donne, i Paesi dell'Est e l'Olanda per gli uomini» spiega la wedding planner romana Maria Rita Ferrari. A organizzarli sono in genere i testimoni o i migliori amici, che offrono l'esperienza ai futuri sposi. Va avanti: «C'è anche chi resta in città».

Una delle nuove mode è il "make up party ": una giornata interamente dedicata alle ragazze, magari in una villa, dove una visagista fa un corso di trucco e una massaggiatrice fa a turno dei piccoli trattamenti. «Si pasteggia con sushi e molto alcol: mi pare che oggi, rispetto al passato, tra le donne circolino un po' troppi mojito e caipiroske». 

Una volta, però, nessuno si sarebbe sognato un addio al nubilato a colpi di fucile, pardon , «marcatore». È quello che succede nel Trevigiano, a Carbonera, dove nell'azienda di Denis Torresan, Matteo Vettori ed Emanuele Rizzato dedicata al «Paintball» (lo scopo di questo sport considerato estremo è di eliminare l'avversario colpendolo con palline di gelatina piene di vernice colorata) si festeggiano tre-quattro «addii» a settimana, un terzo dei quali al celibato.

Con 25 euro a persona vengono fornite 250 palline più le dotazioni di sicurezza obbligatoria, cioè guanti, paracollo, pettorina e il famoso marcatore. Sara Gasparini, 32 anni, lo ha sperimentato alla fine di maggio. Racconta: «Volevo qualcosa di non convenzionale, non le solite giornate alle terme o in spiaggia. 

Alla fine, per l'ultimo gioco, ho indossato un abito da coniglietto rosa. Ne siamo uscite ammaccate, ma contente. I lividi ci hanno impiegato 15 giorni per sparire: ecco perché avevo voluto farlo un mese e mezzo prima delle nozze».

 Più romantiche le attività organizzate da Francesco Culcasi a Favignana. Dice: «Ultimamente vanno forte le uscite in barca con lo skipper, un menu speciale a base di crudités e tonno, tramonto a Levanzo e rientro alla Camparia per un aperitivo o la cena, seguendo la suggestione dei Florio con la Tonnara. Anche se forse al top del romanticismo c'è stata la cena nel Castello di Santa Caterina, aspettando l'alba».

Angelo Garini, autore del Manuale del wedding planner , registra feste a Capri, «che permette di tenere insieme benessere, salute, mare e moda», ed esperienze di navigazione a Venezia, «con barche noleggiate per tre-quattro giorni». 

Mentre sui gadget di accompagnamento ormai ci si può sbizzarrire. Cira Lombardo, organizzatrice di eventi con base a Napoli, ma operativa in tutta Italia e in Spagna, fa realizzare «costumi da bagno, cappelli con i nomi delle amiche della sposa, borse di paglia, palloncini a forma di cuore, magliette "team bride", salvagenti a ciambella personalizzati». «In definitiva, rispetto al passato adesso le donne sono altrettanto protagoniste. E le loro attività sono orientate al benessere: mare, terme, locali chic per la cena o per ballare», sintetizza la wedding designer Barbara Vissani.

C'è chi poi festeggia anche il divorzio. In America e in Giappone è ormai un fenomeno diffuso, esistono anche i divorce planner. 

Christine Gallagher ci ha pure scritto un libro, nel 2016: The Divorce Party Handbook . Sottotitolo: come organizzare un'indimenticabile festa di divorzio. Dispensa consigli e dritte «per ogni gusto e budget», con «idee creative per menu, giochi, inviti, regali e intrattenimenti».

La popstar statunitense Katy Perry organizzò un divorce party il 23 ottobre di dieci anni fa: scelse diabolicamente la data in cui avrebbe celebrato l'anniversario di matrimonio dall'ex marito Russell Brand. Gli addetti ai lavori deplorano queste iniziative. Angelo Garini è tranchant: «Non amo il concetto, perché è un momento di sconfitta, da non festeggiare».

Non tutti però hanno in mente ricevimenti kitsch. 

Su YouTube girano immagini della ceca Maya Krasna, in Australia dal 2003, che si qualifica come divorce celebrant e officia «cerimonie di divorzio» da 970 dollari per la coppia o 790 per il singolo. Una delle frasi clou è: «Sei pronto a lasciarti il passato alle spalle e a ricordare con gratitudine le cose belle condivise?».

Questi rituali interessano Laura Arosio, docente di Sociologia generale alla Bicocca di Milano, che liquida certe derive goliardiche bollandole come «trappole commerciali». Esordisce: «Non le chiamerei feste di divorzio, ma cerimonie e riti di divorzio: una festa ha in sé l'idea di qualcosa di cui essere contenti. Quello che sta succedendo è un fenomeno nuovo e ha a che fare con la necessità di ritualizzare un momento di passaggio importante, come lo sono il battesimo, le nascite, i matrimoni».

Se negli Anni '70 si immaginava che il matrimonio sarebbe durato per tutta la vita, oggi la realtà è molto cambiata. Basti pensare che nel 1940 il 98,7 per cento delle nozze avveniva in chiesa, mentre nel 2021 i riti civili sono stati il 54,3 per cento del totale. Arosio prosegue: «La possibilità che un matrimonio finisca in separazione legale o divorzio è concreta.

Con l'aumento delle persone che sperimentano la fine di una relazione, si afferma un nuovo passaggio e serve un rito che svolga due funzioni: aiutare chi lo sta vivendo a dargli un senso e a condividerlo, a farlo sapere agli altri». Nelle cerimonie già in uso nel resto del mondo si restituiscono gli anelli, oppure si batte con un martelletto su un tavolo, o si arriva con la stessa macchina dall'officiante e si va via separati.

L'austriaca Krisztina Nemeth da molti anni lavora con l'«energia». Ne parla così: «Quando una coppia si innamora e decide di sposarsi entra nella relazione con una bellissima energia di legame, che però nella vita può cambiare. La maggior parte delle volte la conclusione avviene in modo non bello». A luglio in Carinzia ha praticato un «divorzio energetico» a una donna romana di 50 anni, che aveva già legalmente divorziato, ma in maniera molto burrascosa.

Racconta: «Abbiamo fatto una cerimonia molto semplice, dove al posto del vero ex marito c'era un "figurante", anche lui in procinto di divorzio. Ho unito le loro mani con una stola che poi ho sciolto. Ho fatto scrivere in un foglio le cose che volevano lasciar andare e quelle di cui essere grati e lo hanno bruciato sul fuoco. Infine, abbiamo ballato tutti insieme fino alle 3 del mattino. È stata una notte bellissima, preludio di un nuovo inizio». 

Legge per il divorzio, scontro nel 1912 sulla «Gazzetta». La Gazzetta del Mezzogiorno del 1912. Per sciogliere il matrimonio si emigrava: il caso venne sviluppato dal quotidiano di Puglia. Annabella De Robertis  su la Gazzetta del Mezzogiorno il 23 Agosto 2022

È il 23 agosto 1912. «Si torna a parlare di divorzio in Italia!» scrive con orgoglio il giornalista e futuro direttore del «Corriere delle Puglie» Leonardo Azzarita, che dedica al tema un lungo articolo. Dall’anno precedente è in carica il quarto governo Giolitti e il Paese è impegnato nel conflitto in Libia contro l’Impero ottomano.

«La Cassazione torinese ha risuscitato l’argomento che pareva ormai dormire sonni tranquilli fra le pieghe polverose della coscienza degli uomini politici italiani e fra quelle altre non meno capaci e non meno accomodanti della coscienza dei sociologi», scrive il cronista. La magistratura piemontese ha sentenziato sfavorevolmente nei confronti di chi, non potendo divorziare in Italia, è costretto a recarsi in Ungheria o in Svizzera. Si è accesa, pertanto, un’aspra polemica tra i giornali cattolici e quelli liberali e democratici.

«L’argomento, vecchio quanto l’umanità, trito e ritrito per le continue trattazioni di filosofi e di teologi e di scrittori d’ogni categoria e d’ogni secolo, è pur sempre fresco e scottante in Italia: e tale rimarrà finché il divorzio non entrerà nella nostra legislazione, non di straforo, ma per la via maestra del codice», commenta Azzarita. La prima proposta di legge sul divorzio è datata 1901 e fu presentata da Berenini e Borciani, ma non ebbe seguito per la dura opposizione da parte non solo dei cattolici, ma anche dei socialisti stessi. La sentenza di Torino riapre la questione perché, secondo Azzarita, non sarebbe puramente antidivorzista, ma si limiterebbe a sopprimere l’abuso dei matrimoni consacrati in Italia, ma sciolti all’estero, «a tutto beneficio dei ricchi e a tutto danno e scorno delle classi e povere e della media borghesia, sulla quale più che mai presa il gravame matrimoniale».

All’estero, infatti, è sorta un’industria del divorzio degli italiani, con avvocati specializzati in materia.

«I clericali han paura del divorzio, non per i danni che esso una volta adottato possa arrecare, ma per il fiero colpo che sarebbe inflitto al dogma dell’indissolubilità matrimoniale proclamato dalla Chiesa, ed essi fanno di una grossa questione sociale una questione religiosa. Il divorzio si risolverebbe in un’istituzione di sicurezza sociale, all’istesso modo che l’ospedale e il carcere. Il freno è, invece, un incentivo alla ribellione sorda, all’infedeltà, alla vendetta, al delitto, e quindi l’indissolubilità del matrimonio è una istituzione antisociale e antiumana». Gli italiani dovranno aspettare ancora quasi sessant’anni per ottenere l’ingresso nel Codice civile di una compiuta legge sul divorzio.

Nozze al tempo della calura. Fino a qualche tempo fa ci saremmo inventati qualsiasi cosa per scansarcelo. Ora invece, dopo la pandemia, è un segno di ritorno alla vita. Gaetano Cappelli su La Gazzetta del Mezzogiorno il 21 Agosto 2022

Ehi chi si vede! Per quest’anno non cambiare, stessa spiaggia stesso mare… Anche se a scagliarci in un lontano dimenticato universo basta poco. In questo caso, un matrimonio. Fino a qualche tempo fa ci saremmo inventati qualsiasi cosa per scansarcelo. Ora invece, dopo questi due anni di pandemia, è comunque un segno di ritorno alla vita. Anche se di agosto. Anche se con quest’afa assassina. E quindi eccoci qui, vestiti di tutto punto, e ovviamente grondanti come in un bagno turco ma decisi a commuoverci per l’avverarsi del sogno di questi due giovani virgulti. Che poi giovani manco tanto. Avranno quarant’anni almeno – è tanto che, poverini, rinviano la cerimonia –, e già almeno un figlio se non due – vestiti da paggetti guardano titubanti i genitori: il padre nella sua divisa da palafreniere, con tanto di tuba, e la mamma mezza nuda nell’abito da sirena, che si promettono amore eterno davanti al prete, a sua volta titubante per le nudità tatuate della promettente. Ma cosa possiamo farci? Oggi funziona così.

Tutto invece come una volta per il resto; e il resto è il menù che leggiamo con raccapriccio – considerandone la assai generosa dovizia ne avremo da qui a tarda notte, e magari ci scappa pure la spaghettata albesca. Massì dai, ci diciamo di nuovo considerando la cupa tetraggine dei mesi del lockdown – questa è di nuovo vita! Ottimismo che sembra però subire un colpo definitivo quando, dopo aver navigato a vista nell’immenso arcipelago dei tavoli, ce lo troviamo seduto lì, proprio al nostro. È Ics Ipsilon. Era il più deficiente tra gli amici di una volta e considerando lo sguardo altezzoso e bovino con cui ci fissa, parrebbe rimasto lo stesso di sempre. Ne siamo più che sicuri quando, presentandoci alla moglie, una tizia ugualmente altezzosa, nonostante l’abito a rouche e la pettinatura cotonata, stile vecchio west, le dice lui è il mio fratellone di sangue [sic], quante ne abbiamo combinate insieme – mentre tu pensi a quante ne combinavi sì, ma pur di togliertelo di torno. «E dimmi dimmi», continua tronfiamente il mentecatto, «ti sei poi sposato, vecchio po…», «Certo certo» fai indicandole tua moglie prima dell’irreparabile. «E Tizio e Caia che fine hanno fatto, sempre sfigati?», riprende lui imperturbabile, dove Tizio ha attualmente un suo quadro a Kassel Documenta e Caia ha messo a punto una tecnica innovativa per la conservazione dei legumi. «Ah, la vecchia passione per i piselli!» se la ride il demente. «Per il resto» fa, aggiustandosi la pochette dello stesso orribile disegno della cravatta, «Potenza è sempre provinciale come una volta?». Io mi alzerei per prenderlo a parole. Invece comincio a tossire. E tossisco tossisco, finché ad alzarsi non sono lui e quel boiler inghirlandato della sua signora. Evviva!

Sesso durante il matrimonio? Ecco quanto si fa: dati sconvolgenti. Daniela Mastromattei su Libero Quotidiano il 09 agosto 2022

«Anto' fa caldo», così la seducente Luisa Ranieri con addosso una mini sottoveste cerca di tenere a bada le avances del focoso marito in una calda e afosa serata di mezza estate. Era uno spot televisivo diventato il tormentone del 2002. Una scena che probabilmente si ripete chissà quante volte in questi giorni, complici le bollenti temperature straordinarie. Certo, è facile in questa stagione dare la colpa a Lucifero (l'anticiclone africano) per respingere il partner, mantenendo la scusa del classico mal di testa nel resto dell'anno. Che tra l'altro ha pure i giorni contati: secondo alcuni studi l'eccitazione cancellerebbe emicrania e dolori dovuti alle tensioni muscolari. Tuttavia, nel fantastico mondo del matrimonio («...in ricchezza ein povertà finché morte non vi separi») il sesso si fa desiderare. E chissà che non abbia ragione Oscar Wilde nel dire che non bisognerebbe mai sposarsi e restare sempre innamorati (in case separate).

Appena fidanzati l'erotismo è a mille ogni momento (nonostante i richiami della Chiesa, ribaditi recentemente da Papa Bergoglio, sulla preziosa virtù della castità prima delle nozze). Poi, che succede? «L'amore non consiste nel guardarsi l'un l'altro, ma nel guardare insieme nella stessa direzione», direbbe Antoine de Saint Exupéry, autore de Il Piccolo Principe. «La vita di una coppia è caratterizzata da varie tappe e una routine che portano a diversi cambiamenti, a nuovi equilibri e a piccoli grandi aggiustamenti reciproci», spiega a Libero la sessuologa Maria Antonietta Donà. «Fare sesso è anche un modo di comunicare; da sposati, o conviventi, ci sono tanti altri modi di comunicare e amarsi; si lavora insieme sul progetto famiglia. Ma non è detto che se diminuisce la frequenza con cui si fa sesso diminuisca di conseguenza anche la soddisfazione erotica», aggiunge la dottoressa Donà.

«La sessualità va coltivata, bisogna continuare a corteggiarsi e a non dare mai nulla per scontato; per esempio è utile rivivere quei momenti che hanno permesso l'innamoramento inziale, come la cena fuori, il week end, vestirsi come piace al partner, truccarsi. E al primo campanello d'allarme, è importante aprirsi, parlare, raccontarsi. Rimandare il confronto peggiora solo le cose». La verità è che l'uomo e la donna vivono il sesso in modo diverso. «Lui lo desidera più spesso anche da un punto di vista biologico, mentre lei punta più a un benessere psicofisico, ama sentire il compagno vicino sotto altri aspetti», sottolinea la sessuologa. Come si misura la salute erotica di una coppia? Studi recenti sostengono che dovrebbero fare l'amore una volta a settimana. Siamo lontani dalla ricetta di Jennifer Lopez e Ben Affleck che hanno inserito una bizzarra clausola nel contratto prematrimoniale, ovvero la frequenza di ben quattro rapporti sessuali a settimana. È stata un'iniziativa della Lopez che però Affleck sembra aver sottoscritto con piacere. Ma può essere davvero questa la soluzione per evitare infedeltà e mantenere nel tempo un buon rapporto di coppia?

C'è chi è critico. «Programmare a tavolino la vita intima è del tutto controproducente», spiega Marco Inghilleri, psicoterapeuta, sessuologo e vicepresidente della Società italiana di sessuologia ed educazione sessuale (Sises), in un'intervista al Mattino «formalizzare una condizione che non è formalizzabile è impossibile; il matrimonio dovrebbe essere un punto di arrivo di un innamoramento. Bisogna sapere adattare la storia della coppia ad esigenze in evoluzione. Si inizia con tutta una serie di presupposti legati all'innamoramento, ma poi dopo cinque anni, anche per una questione di carattere biologico, il desiderio cala. Entriamo in crisi, però solo se cerchiamo di parametrare la relazione attuale con i presupposti iniziali».

Ecco perché bisogna essere preparati e «avere la capacità di trasformare la sessualità da una dimensione erotica ad una di tipo affettivo e a manifestazioni di amore. In genere, nel rapporto di coppia si parte con la malsana aspettativa di sentirsi amati, ma poi col tempo bisogna riuscire a imparare che amare è più importante di essere amati. Che è anche un modo per uscire dalla dimensione commerciale del do ut des (dal latino: io do affiché tu dia): un ricatto paradossale», afferma Inghilleri. Invece «l'amore non aspetta di essere invitato, si offre per primo», come scriveva il poeta spagnolo Fray Luis de León. «Nella fase iniziale il desiderio sessuale è parte integrante della conoscenza e di fusione delle due persone; un modo per entrare in sintonia con l'altro attraverso il proprio corpo», asserisce la psicoteraputa Mioli Chiung. «E man mano che la relazione si consolida si crea un sentimento di sicurezza emotiva, di fiducia e appartenenza che, a volte, va a rimpiazzare il desiderio sessuale».

IN BIANCO

Ecco qua. Dopo qualche anno la passione si trasforma in amicizia, condivisione e complicità. I "sexless marriage", come li chiamano gli anglosassoni, secondo le ricerche, coinvolgono circa il 30 per cento delle coppie. «Accettare un matrimonio bianco vuol dire vivere felici, perché in un rapporto è proprio la sessualità il tema di conflittualità più frequente», ne è convinto Paolo Crepet. La pensa così anche la sessuologa Roberta Rossi: «La decisione comune rende paritaria la rinuncia e in questo modo la coppia gode di una maggiore vicinanza emotiva che soddisfa probabilmente il bisogno di intimità e che dunque non lascia percepire la necessità di intraprendere un'attività sessuale. Quindi se vissuta da entrambi come non limitante la mancanza non esiste, si annulla e i partner possono godere appieno della loro relazione affettiva. A quel punto diventa essenziale sentirsi amati». E «se vuoi essere amato, ama», direbbe Seneca. Per chiudere, meglio affidarsi al pensiero di Pedro Almodòvar: «L'erotismo è importante non per il sesso in sé, ma per il desiderio. Il sesso è solo ginnastica, il desiderio è forza del pensiero. E la forza del pensiero ha un potere immenso, può fare qualunque cosa».

Da unionesarda.it l'8 aprile 2022.  

All’attento impiegato comunale di un paese della Bergamasca non sono sfuggiti alcuni elementi che gli hanno fatto sorgere il dubbio sulla vera età di una futura sposa. La donna, insieme al fidanzato, è andata in municipio per preparare le pubblicazioni di matrimonio ma, hanno accertato poi gli agenti della Polizia locale, ha falsificato la carta d’identità togliendosi 15 anni.

In pratica sul documento aveva circa 30 anni, nella realtà 45. Quando l’impiegato ha fatto notare che dalla banca dati risultava come veritiera quest’ultima età, la donna ha spiegato che quella era in realtà sua zia, nata nello stesso giorno, nello stesso luogo, ma tre lustri prima. Questo non ha convinto il dipendente che ha preso tempo avvisando intanto le autorità.

La futura sposa, raccontano i media locali, è quindi tornata dopo qualche giorno col fidanzato. Le sono stati chiesti di nuovo i documenti, alla presenza di un agente in borghese, e la donna ha detto di aver dimenticato tutto a casa, compreso il codice fiscale. Ha mandato il compagno a recuperarli e le carte sono state riesaminate. Nuova contestazione, questa volta ufficiale, sulla veridicità. Ma lei a quel punto si è arrabbiata, abbassandosi anche la mascherina per chiedere ai presenti: “Secondo voi quanti anni ho?”.

In conclusione, è stata messa alle strette e ha consegnato la patente che riportava la vera data di nascita. Inevitabile una denuncia per parziale contraffazione di documento, false dichiarazioni, tentata truffa a pubblico ufficiale. Il fidanzato non si sa come l’abbia presa, fatto sta che le pubblicazioni sono state annullate.

Da liberoquotidiano.it il 10 aprile 2022.

Non voleva in alcun modo far sapere la sua vera età, così quando insieme al fidanzato si è recata al municipio per preparare le pubblicazioni di matrimonio, ha mentito, sia al futuro sposo che all’impiegato comunale di un paese della Bergamasca. Il quale però si è insospettito e grazie agli accertamenti degli agenti della Polizia locale ha scoperto che la donna aveva falsificato la carta d’identità togliendosi 15 anni. 

La futura sposa infatti sul documento aveva circa 30 anni, nella realtà 45. E quando l’impiegato ha fatto notare che dalla banca dati risultava come veritiera quest’ultima età, la donna si è giustificata dicendo che quella di 45 anni era in realtà sua zia, nata nello stesso giorno, nello stesso luogo, ma tre lustri prima. Una scusa che, come riporta l'Unione sarda, non ha convinto il dipendente che ha quindi avvertito la polizia locale.

Dopo qualche giorno la coppia è tornata in Comune. Alla donna sono stati chiesti di nuovo i documenti, alla presenza di un agente in borghese. Lei ha detto di aver dimenticato tutto a casa, compreso il codice fiscale. Quindi il fidanzato è andato a casa a prenderli e i documenti sono stati controllati. Ed è emersa la verità. 

La futura sposa a quel punto si è infuriata e si è abbassata la mascherina urlando: "Ma secondo voi io quanti anni ho?". Purtroppo per lei è finita male, con una denuncia per parziale contraffazione di documento, false dichiarazioni, tentata truffa a pubblico ufficiale. E le pubblicazioni sono state annullate. 

Perugia, la moglie lo tradisce, lui chiede risarcimento all'amante per 600mila euro. La Repubblica il 7 aprile 2022.

Lo riporta il Messaggero. L'istanza è stata respinta dai giudici civili di primo e secondo grado che hanno anche disposto a carico dell'ex marito della donna il pagamento delle spese legali.

Ritenendo di essere stato tradito dalla ormai ex moglie, un uomo residente in Umbria ha chiesto 600 mila euro di risarcimento al presunto amante della donna (i due hanno sempre negato la relazione) per avere distrutto la sua famiglia ma la sua istanza è stata respinta dai giudici civili di primo e secondo grado che hanno anche disposto a suo carico il pagamento delle spese legali. La vicenda è riportata dal Messaggero sulle pagine dell'Umbria. 

I legali dell'uomo - scrive il quotidiano - hanno fatto riferimento agli articoli del codice civile che disciplinano il matrimonio. A loro avviso quando l'infedeltà "produce danno dà titolo al coniuge tradito di chiedere il relativo risarcimento anche nei confronti del terzo". 

I giudici di primo grado non hanno però neanche ritenuto provato il tradimento respingendo quindi la richiesta. Mentre quelli d'appello hanno stabilito per il presunto amante - rappresentato in giudizio dall'avvocato Marco Brusco - "il diritto di autodeterminazione, nonché della propria libertà sessuale, costituzionalmente garantiti". Hanno quindi ribadito l'insussistenza di una "condotta illecita fonte di responsabilità risarcitoria".

Egle Priolo per “il Messaggero” il 7 aprile 2022.

Lui, lei e l'altro. Dove l'altro l'amante ora può tradire per sentenza, per il diritto alla libertà sessuale di cui parla la Costituzione. Lei nega e lui è tradito e beffato. Due volte. Lui, il marito, chiede infatti 600mila euro all'amante della ex moglie per avergli rovinato la vita, ma i giudici dicono no e lo condannano pure a pagare migliaia di euro di spese legali. Una storia nata tra le strade di Deruta, città umbra della ceramica, dove i cocci di un triangolo amoroso sono arrivati fino in tribunale per la pretesa del marito a essere risarcito dell'adulterio: non essendo più reato, l'uomo ha chiesto conto ai giudici civili della violazione dei doveri di fedeltà.

Ma non alla moglie e madre dei suoi due figli minorenni, bensì all'amante, considerato terzo in una coraggiosa rilettura degli articoli del codice civile che disciplinano il matrimonio e impongono la fedeltà: le corna diventano allora un illecito «che quando produce danno secondo gli avvocati dell'ex marito dà titolo al coniuge tradito di chiedere il relativo risarcimento anche nei confronti del terzo».

I POST SUI SOCIAL Una posizione ardimentosa che l'uomo ha provato a far valere fino alla Corte d'appello di Perugia, dopo che i giudici di primo grado di Spoleto, rigettando la sua domanda e condannandolo, non hanno neanche considerato provata l'infedeltà. L'ex marito, prima della separazione, ha fatto anche seguire la moglie, ha portato in aula le testimonianze di chi aveva notato la donna salire nell'auto del presunto amante e appartarsi con lui, di chi li ha visti entrare in un albergo, più il verbale dei carabinieri che per caso li avevano fermati insieme.

E non solo. Ha cercato di dimostrare l'illecita infedeltà anche portando come prova i post con cui la coppia, secondo lui, lo sbeffeggiava liberamente su Facebook. Compresa una lunga favola che la donna ha pubblicato parlando di castelli in rovina - pronti a cadere «con chi so io dentro» - in una ricostruzione fantastica e fiabesca di una principessa liberata da una situazione evidentemente stretta. Ma nei post arrivati sul banco dei giudici c'erano anche immagini di Viagra e foto di bovini con possenti corna, scatti impreziositi dalla didascalia «A buon intenditor... chi vuol capire capisca». Tutte pubblicazioni, affidate al social e quindi sotto gli occhi di amici e parenti, che l'uomo ha considerato insulti e sberleffi indirizzati a lui.

Così arrabbiato da perderci pure in salute, per la delusione e la vergogna. «Io lavoro tutti i giorni a Spoleto, finito il turno portavo i bambini agli allenamenti di calcio, li seguivo nei compiti e nelle attività extrascolastiche, collaboravo in famiglia e lei invece mi tradiva ha raccontato ai giudici -. Quello ha iniziato a farle regali, a corteggiarla in maniera incalzante. Insomma, l'ha istigata a tradirmi, facendola allontanare di casa pomeriggi interi e pure di sera, senza una spiegazione neanche ai bambini. Avevamo una bella famiglia che si è distrutta per colpa di lui. E ora deve risarcire me e i miei figli».

«NESSUNA RESPONSABILITÀ» Da parte loro, i due presunti amanti che neanche una sentenza e un investigatore privato sono riusciti a sbugiardare e smentire non hanno mai ammesso la tresca e lasciano tutti nel dubbio. Di certo ci sono solo le loro foto insieme su Facebook e oscuri riferimenti a gusci e minestre. «Senza castello vivo bene», scrive lei. «Minestra sei un tordo. Vai a leggere una bella storia con i tuoi compari», scrive l'altro. Se lui fosse per loro una minestra riscaldata e un cesto di ortaggi, non si saprà mai.

I giudici di primo grado hanno considerato le frasi «più incomprensibili che offensive», mentre quelli di appello hanno dato ragione all'avvocato Marco Brusco e stabilito «il diritto di autodeterminazione, nonché della propria libertà sessuale, costituzionalmente garantiti» dell'altro. Che, seppur amante, non ha responsabilità (tanto meno civile) della fine di un amore. Un precedente importante anche per la giustizia lumaca: se ogni coniuge tradito facesse causa al presunto amante, in tribunale ci sarebbero cesti pieni. Di denunce.

Matteo Mion per “Libero quotidiano” il 7 aprile 2022.

Nessun addebito di colpa nella separazione, se è stata l'infelicità a determinare il tradimento. Questo è il principio espresso dall'ordinanza 11.130/2022 dalla Corte di Cassazione che ha negato la pronuncia di addebito della separazione a carico della moglie, nonostante ne fosse stata accertata l'infedeltà, perché tale comportamento era intervenuto quando il rapporto era già in crisi. L'"accertamento dell'anteriorità della crisi coniugale" prevale ed è causa di estinzione dell'obbligo di fedeltà derivante dal matrimonio.

La decisione è un corollario di diritto di una constatazione ad contrariis di mero buon senso: una persona felice del proprio rapporto di coppia non tradisce: un principio da ritenersi applicabile ad entrambi i coniugi.

Non è stata dunque l'infedeltà a rendere intollerabile la prosecuzione del rapporto matrimoniale, perché in corso di causa il referto medico ha dimostrato lo stato d'insoddisfazione della donna, sebbene non ancora sfociato in una crisi di coppia. Nel caso di specie, infatti, la moglie si rivolse al servizio psicologico in cerca d'aiuto e, per ammissione dello stesso marito, aveva cambiato atteggiamento e abitudini: ecco dimostrata l'anteriorità rispetto al tradimento di uno stato d'infelicità e di depressione.

Ora un uso cinico e baro di quanto deciso dalla Suprema Corte potrebbe condurci alla considerazione per cui basta un certificato medico per tradire, ma mi sento di condividere l'ingresso nell'ordinamento del diritto famiglia del precedente secondo cui è l'infelicità di coppia che determina il tradimento e non viceversa.

La Cassazione pone l'accento sulla valenza probatoria da attribuire all'infedeltà di un coniuge perché "grava sulla parte che richieda l'addebito della separazione l'onere di provare la relativa condotta... mentre è onere di chi eccepisce l'inefficacia dei fatti posti a fondamento della domanda, provare l'anteriorità della crisi matrimoniale all'accertata infedeltà": da oggi, però, può bastare un attestato medico di depressione!

Care ragazze, è ora di ammettere che il matrimonio non è sempre un buon affare. Meglio single. Antonella Baccaro su Il Corriere della Sera il 2 Aprile 2022.

In Italia 1 persona su 6 vive da sola: cambiamo la narrazione di chi fa (o subisce) questa scelta. La scrittrice Bella De Paulo: «Molte e molti stanno perseguendo un modello di relazione che assomiglia più all’amicizia». 

A cosa rinunciamo quando ci sposiamo? L’insolito quesito, posto ai lettori, qualche tempo fa, sul New York Times dalla scrittrice Kaitlyn Greenidge, ha il coraggio di ribaltare un consolidato stereotipo. Che sulla propria vita sentimentale, prima o poi, debba essere il single a dover fare i con ti. E che questi siano comunque in perdita. «Viviamo in un tempo in cui tutte le storie che la cultura prevalente ci ha raccontato su noi stessi andrebbero riscritte» suggerisce Greenidge. È arrivato dunque il momento di una nuova narrazione? Sarà possibile ammettere che il matrimonio non è necessariamente il migliore affare? O addirittura che single è meglio?

IL 35,1% DELLE FAMIGLIE ITALIANE È COMPOSTO DA UNA SOLA PERSONA, PARI A 9.073.852 FAMIGLIE UNIPERSONALI. NEL 1971 ERA IL 12,9%. e’ INVECE DI 1,8 MILIONI LA CRESCITA DELLE FAMIGLIE UNIPERSONALI FRA IL 2009 E IL 2020: È L’UNICA FORMA DI FAMIGLIA DI SUCCESSO (LE ALTRE SONO IN PERDITA)

Quando nel 2011 il Corriere della Sera decise di pubblicare, per la prima volta per un quotidiano, una rubrica settimanale sui single (titolo: Supplemento singolo) la situazione era densa ma anche fluida. Densa, perché il tema c’era tutto: la fenomenologia delle single era matura. Fluida, tanto che il primo concetto che dovemmo chiarire all’interno della rubrica fu cosa s’intendesse per single . Convenimmo di considerare tale chiunque non avesse una relazione “stabile”, pur sapendo che il nostro presupporre che questo potesse voler dire avere anche più relazioni instabili (e non nessuna) era un auspicio, quasi un incoraggiamento, più che una realtà. Soprattutto all’interno delle piccole comunità tradizionaliste di cui si componeva e si compone il nostro Paese.

Che non fossimo la Gran Bretagna e nemmeno gli Usa, ci era chiaro. In Italia eravamo ancora lontani dall’immaginario collettivo che allora era influenzato da due tipologie pop: la britannica Bridget Jones, eroina finto-sfigata dei diari di Helen Fielding, e la newyorchese Carrie Bradshaw, protagonista glamour della bibbia delle single anni ‘90: Sex and the City . Punti in comune: una visione disinvolta del sesso e una gestione dissennata delle finanze. Stereotipi. Che, pur essendo per definizione approssimativi, segnalavano comunque il passaggio da un modello indefinito e residuale a uno finalmente acquisito. E se per le single il prezzo dell’ammissione in società fu quello di passare per “allegre cicale”, pazienza. Sempre meglio che continuare a essere considerate “zitelle tristi”. L’obiettivo successivo era ripulire il profilo dagli eccessi macchiettistici. E poi chiedere qualcosa di più: il riconoscimento del cambiamento di un modello sociale fino ad allora basato sulla famiglia tradizionale. Una famiglia che nel frattempo non c’era più.

« GLI ADULTI NON SPOSATI HANNO GUADAGNI PIÙ BASSI E MENO PROBABILITÀ DI OCCUPAZIONE. SE È DAVVERO COSÌ, PERCHÉ IL MATRIMONIO È IN CRISI?»

«Un’epidemia di solitudine devastante»

Già, perché oggi in Italia una persona su sei, secondo l’ultimo censimento Istat, vive da sola. Negli Usa, dove i fenomeni sociali arrivano prima, circa quattro adulti su dieci vivono senza un partner. Una situazione che il centro studi americano Pew Research definisce «un’epidemia di solitudine devastante»: il 38% degli adulti americani oggi non vive con un coniuge o un altro partner, rispetto al 29% del 1990. «La crescita della popolazione single» secondo il rapporto «è dovuta soprattutto al numero di coloro che non sono mai stati sposati». Dunque è conseguenza principale del declino del matrimonio. Eppure questo sembra garantire più benessere della singletudine. Sempre il Pew Research Center segnala che gli adulti «non sposati hanno guadagni più bassi, in media, di quelli in coppia, meno probabilità di essere occupati o economicamente indipendenti». Se è così, perché allora nel 2020 l’agenzia governativa National Center for Health confermava che i tassi di matrimonio avevano raggiunto negli Usa il loro punto più basso in più di 100 anni? Negli Anni Cinquanta l’America completava il passaggio dalle famiglie “allargate”, quelle comunità che si organizzavano nei paesi intorno a un’impresa famigliare, a quelle “nucleari”, insediatesi nelle città con la rivoluzione industriale. Sono questi gli anni del benessere economico e dello schema padre al lavoro- moglie a casa. E molti figli.

«LA COMUNITÀ “ELETTIVA” È UNA SORTA DI RITORNO ALLA FAMIGLIA ALLARGATA,MASENZA VINCOLI BIOLOGICI, CEMENTATA DAL CO-HOUSING

IL 70% DI CHI VIVE SENZA LEGAMI STABILI HA PIÙ DI 40 ANNI E CIRCA IL 55% PIÙ DI 50. OLTRE UN TERZO È REDUCE DALLA FINE DI UNA RELAZIONE

I quattro motori dell’ascesa dei single

Cosa succederà dopo, lo illustrava dieci anni fa Eric Klinenberg in Going solo. L’ascesa straordinaria e il sorprendente appeal del vivere da soli . Un’inchiesta basata su oltre trecento interviste a uomini e donne di tutte le età e classi sociali. L’autore ricostruiva come mai nel 1957 più della metà degli americani definisse le persone non sposate «malate, nevrotiche, immorali», mentre nel 1976 solo un terzo di essi conservasse sui single opinioni negative. Klinenberg individuava quattro motori naturali dell’ascesa dei single nella seconda metà del ‘900: l’emancipazione femminile, la rivoluzione della comunicazione (telefono, Internet), l’urbanizzazione di massa e l’aumento della longevità.

Il menù di coppia da cui scegliere

Nel 1962 esce negli Usa un libro che sembra il precursore di Sex and the City . S’intitola Sex and Single Girl . L’autrice del best seller, Helen Gurley Brown, incita le donne a vivere da sole: «Lasciate stare le coinquiline, fatevi un appartamento da sole, fosse pure un garage». Questo cambiamento, unito alla rivoluzione culturale sessantottina e nel 1969 all’avvento negli Usa del divorzio senza colpa, segnano il declino della famiglia nucleare. Finisce il tempo in cui sposarsi, fare sesso, fare figli rientrano in un unico contratto, diventando piuttosto un menù da cui scegliere. Ma le ragioni dell’ascesa dei single non sono solo culturali. «Stiamo vivendo il cambiamento più rapido della struttura familiare della storia umana» ha scritto di recente su The Atlantic David Brooks nel saggio dal titolo: La famiglia nucleare è stata un errore, è tempo di trovare modi migliori per vivere insieme. In cui sostiene che il modello nucleare oggi resiste ma soltanto dove c’è il benessere: solo le persone più abbienti infatti possono mettere su famiglia sapendo di poter letteralmente comprare quel sostegno (baby sitter, care giver, ecc) che la famiglia allargata una volta forniva naturalmente.

Le famiglie italiane diventano più piccole

Il problema dunque è anche economico: in assenza di sostegni esterni il modello nucleare fallisce. E in Italia? «Un paradosso sembra caratterizzare l’Italia da 40 anni a questa parte: il permanere di una cultura fortemente familista e una progressiva contrazione della famiglia» scrivono Rossella Ghigi e Romano Impicciatore ne La famiglia italiana (Il Mulino, novembre 2018). Il crollo della natalità è ormai drammatico. Con una sorpresa. «Dal 2006» registrano gli autori «le regioni del Nord hanno sorpassato quelle del Sud quanto a fecondità. In generale, sono semmai le coppie a doppio reddito, più diffuse al Nord, a potersi permettere di fare il primo e soprattutto il secondo. E sono le regioni in cui gli enti locali mettono a disposizione servizi che consentono alle madri di tornare al lavoro dopo la maternità».

La fatica (e il valore) dell’indipendenza

Se la famiglia fallisce per ragioni economiche e culturali, la singletudine sembra soddisfare le pulsioni individualiste. Il Pew Research Center nel 2019 registrava che per più dei quattro quinti degli adulti americani «sposarsi non è essenziale per una vita appagante». Scrive sempre Greenidge sul New York Times : «Quelli che oggi si spaventano per la crescita del numero dei single americani non vedono che questi numeri includono vite di indipendenza conquistata a fatica». L’indipendenza come moneta che non può essere scambiata con nient’altro. «Uno dei mei beni più preziosi e di valore: la mia lotta per controllare la mia vita» la definisce la poetessa americana Diane Di Prima. E come la mettiamo con la solitudine? Non fa più paura ciò che viene associato ai single? Con la pandemia anche loro sono cambiati: sono tornati in famiglia, hanno unito le proprie solitudini a quelle di altri simili.

Il nuovo paradigma famigliare: la comunità “elettiva”

Scrive Bella De Paulo, scrittrice guru dei single: «Molte persone stanno perseguendo un modello di relazione che assomiglia più all’amicizia». Legami affettivi plurimi, non vincolanti, che conciliano il desiderio d’indipendenza con la voglia di comunità. A vincere oggi è la fluidità degli schemi variabili. David Brooks parla di uno nuovo paradigma famigliare: la comunità “elettiva”, una sorta di ritorno alla famiglia allargata ma senza vincoli biologici, cementata dal co-housing. «È il barlume di un nuovo mondo che avanza» dice Greenidge, non una minaccia. Le uniche a non essersene accorte sono le istituzioni politiche e economiche, anche nel nostro Paese granitiche custodi di una realtà che non c’è più.

Michela Allegri per “Il Messaggero” l'8 marzo 2022.

In Italia una persona su sei vive da sola. Il numero delle famiglie è aumentato, ma quello dei componenti è progressivamente diminuito. Emerge dall'ultimo Censimento permanente della popolazione 2018-2019 fatto dall'Istat: in 50 anni le famiglie sono cresciute di quasi 10 milioni, ma il numero medio dei membri è sceso da 3,35 del 1971 a 2,29. 

Dai dati emerge che il 15% degli italiani vive per conto proprio. Da report, aggiornato al 31 dicembre 2019, emerge che il 99,4% dei 59.641.488 residenti in Italia abita in famiglia, mentre 382.067 persone sono ospiti in case di riposo, istituti di cura e residenze collettive.

Da un confronto con il censimento del 2011 si nota che le famiglie sono aumentate di 1.239.356 unità (facendo registrare un +5%): sono passate da 24.611.766 a 25.851.122. 

Andiamo più indietro: il confronto con il 1971 è significativo. Circa 50 anni fa il numero dei nuclei familiari era molto più basso: 15.981.177. I membri, però, sono scesi dai 3,35 del 1971 ai 2,29 attuali. 

E sono diminuite di molto le famiglie numerose: nel 1971 quelle formate da cinque componenti o più erano 3.437.440, e rappresentavano il 21,5% del totale. Nell'ultimo censimento, invece, se ne contano solo 1.318.804: poco più del 5%.

Non solo si fanno meno figli rispetto al passato, ma si tende anche ad abitare di più da soli. Le famiglie unipersonali, 9.073.852 nel 2019, sono ormai il 35,1% del totale. Cinquant'anni fa erano circa un terzo: il 12,9%. 

I nuclei familiari composti da una sola persona sono cresciuti del 21 per cento nelle regioni del Centro: dal 1971 sono passati dal 10,9% al 37,1% del totale. Il primato resta però al Nord-ovest: i single salgono al 37,7% dal 16% di cinquant'anni fa.

Più di una famiglia su tre è formata da una sola persona. Quelle composte da due, tre, oppure quattro soggetti, sono rispettivamente il 27,1%, il 18,5% e il 14,2%. I nuclei di cinque persone sono il 3,7%, mentre le famiglie numerose, cioè quelle di 6 o più componenti, sono solo l'1,4% del totale. 

I single sono maggiormente diffusi in Liguria e Valle D'Aosta, dove sono unipersonali più di quattro famiglie su 10. I numeri sono alti anche nel Lazio: sono il 39,3%. In Puglia e in Campania, invece, meno di 3 famiglie su 10 hanno un solo componente.

Per quanto riguarda le città, a Trieste le famiglie di single costituiscono quasi la metà del totale: sono il 47,2%. Sul secondo gradino del podio c'è Genova (45,6%), mentre al terzo posto c'è Savona (45,4%). In fondo alla classifica si trovano Barletta, Andria e Trani (23,5%), e Napoli (24,8%).

Il Nord ha anche un altro primato: ospita più della metà delle famiglie di soli stranieri. I nuclei con almeno un componente straniero, censiti nel 2019, sono 2.416.717. Di questi, il 32,6% è costituito da famiglie unipersonali, il 19,5% ha due componenti, il 18% tre, mentre sono il 29,9% quelle che ne hanno quattro o più.

Nel 57% dei casi risiedono nel Nord Italia - soprattutto nel Nord-ovest -, il 25% vive nell'Italia centrale, mentre il 13% e il 5% si trovano rispettivamente nel Sud e nelle Isole.

Una novità assoluta riguarda il rimpicciolimento delle famiglie al Sud, dove storicamente sono sempre state più numerose. Nell'ultimo censimento Istat il numero medio dei componenti dei nuclei meridionali è di 2,5, ma nei primi anni Settanta era 3,75.

Andando meno lontano nel tempo, all'inizio del nuovo millennio, i membri delle famiglie del Sud erano in media 2,92. Quelle più numerose, comunque, vivono in Campania (2,63 persone) e in Puglia (2,47).

“Duemila euro a matrimonio”, il regalo di Zingaretti agli sposini: come ottenere il bonus. Roberta Davi su Il Riformista il 28 Febbraio 2022. 

Sposarsi a Roma (o nel Lazio) e ricevere un ‘regalo’ di 2mila euro direttamente dalla Regione. Un’opportunità per tutte le coppie, italiane o straniere, a patto che decidano di sposarsi o unirsi civilmente dal 1° gennaio al 31 dicembre 2022, rivolgendosi a imprese laziali per organizzare il loro giorno più bello.

‘Nel Lazio con amore’ è l’iniziativa che punta ad aiutare i futuri sposi sostenendo le spese della filiera del wedding, duramente colpita dall’emergenza Covid, grazie a un fondo di 10 milioni di euro.

Per cosa si può ottenere il rimborso

Le spese che danno diritto al rimborso riguardano tutti i vari aspetti di un matrimonio: dalla stampa delle partecipazioni all’acquisto degli abiti; dal noleggio dell’auto da cerimonia agli addobbi floreali, fino all’affitto della sala per il ricevimento, l’acquisto delle fedi, il servizio di animazione, le riprese video e il book fotografico. Nelle spese ammissibili rientrano anche i servizi di catering e di ristorazione, nonché il viaggio di nozze prenotato in agenzia: in questi ultimi due casi il bonus previsto è di 700 euro.

Ogni coppia può chiedere un rimborso per un massimo di cinque documenti di spesa, che rispettino determinati requisiti. Ossia le spese, tracciabili e conformi alla normativa fiscale, devono essere sostenute nel periodo compreso tra il 14 dicembre 2021 e il 31 gennaio 2023, ma non essere state effettuate online. Inoltre devono presentare causale compatibile con le attività per le quali viene concesso il contributo ed essere dimostrate attraverso un documento di pagamento (come bonifico, scontrino POS) con importo identico a quello del documento di spesa (fattura, scontrino fiscale). Nel caso in cui ci siano discordanze, è ammissibile l’importo minore.

Come presentare la domanda

La domanda  per partecipare al bando ‘Nel Lazio con amore’ va inoltrata attraverso lo sportello telematico disponibile sul sito regione.lazio.it/nellazioconamore dalle ore 10:00 del 28 febbraio 2022 alle ore 10.00 del 31 gennaio 2023 o fino ad esaurimento risorse. È necessario allegare le fatture e indicare i dati relativi alla cerimonia. Può essere presentata solo da uno dei componenti della coppia.

Allo stesso indirizzo saranno anche pubblicate le risposte alle domande più frequenti sotto forma di FAQ.

“Bando pensato per settore in crisi”

“Il bando è pensato e voluto per sostenere un settore che ha sofferto in modo particolare la crisi economica“, spiega il governatore del Lazio, Nicola Zingaretti. “Abbiamo messo in campo dieci milioni di euro con un occhio rivolto anche al comparto turistico, nella consapevolezza e con l’orgoglio di poter vantare, in ogni parte della nostra regione, tantissime location tra le più magiche e affascinanti al mondo grazie a un patrimonio artistico e culturale ineguagliabile. Spazi ideali anche per celebrare un giorno speciale come quello del matrimonio”.

Nella Regione Lazio matrimoni e unioni civili sono passati da circa 15mila nel 2019 a meno di 9mila nel 2020, a causa delle restrizioni imposte dal Covid. “Facciamo ripartire un settore fermo da troppo tempo: negli ultimi due anni tutta la filiera del wedding ha sofferto una contrazione importante a causa della pandemia – aggiungono Valentina Corrado, assessore al Turismo e Paolo Orneli, assessore allo Sviluppo Economico – . Vogliamo premiare le eccellenze regionali e aiutarle a ripartire con il piede giusto con un provvedimento di sostegno alla ripresa economica”. 

Roberta Davi

La donna ha dimostrato di aver perso parte dello stipendio e gli avanzamenti di carriera. L’ex moglie rinuncia alla carriera per la famiglia? La Cassazione: “Il marito paghi gli alimenti”. Redazione su Il Riformista il 23 Febbraio 2022. 

L’assegno di mantenimento? Una donna ne ha diritto se ha sacrificato la propria vita lavorativa, e quindi la propria carriera, per occuparsi della famiglia.

I giudici della Corte d’Appello di Genova hanno così respinto la richiesta di un professionista di revocare gli alimenti all’ex moglie: l’uomo si è visto negare per l’ennesima volta questa possibilità.

Le motivazioni

La donna, assistita dall’avvocato Liana Maggiano, ha dimostrato davanti ai giudici di aver lavorato part time per dieci anni dopo la nascita della figlia, perdendo parte dello stipendio, dei contributi previdenziali e anche gli avanzamenti di carriera.

Per la corte d’appello genovese “nel riconoscimento e determinazione dell’assegno divorzile con la funzione assistenziale concorre la funzione compensativa-perequativa ‘a determinate condizioni’, quando si imponga la necessità di compensare uno dei coniugi per il particolare contributo che dimostri di avere dato alla conduzione della vita familiare ed alla formazione del patrimonio comune o dell’altro coniuge durante la vita matrimoniale, sacrificando le proprie concrete aspettative professionali”. 

Una vicenda iniziata nel 2016

Nel 2016 il tribunale di Genova aveva condannato il marito a versare un assegno divorzile alla moglie sulla base del tenore di vita. L’anno successivo, nel 2017,  l’ex marito aveva deciso di fare appello, dato che la Cassazione era intervenuta sulla questione, eliminando questo criterio. La Corte d’appello aveva però confermato gli alimenti alla donna con criteri “personalizzati”, dato che la Cassazione non definiva quali fossero i principi per liquidare o meno l’assegno. L’uomo, non soddisfatto, aveva quindi impugnato in Cassazione, mentre nel 2018 le Sezioni Unite si pronunciavano sui criteri per cui concedere oppure negare il mantenimento.

Nel 2019 sempre la Cassazione si è espressa nuovamente sul tema, stabilendo che l’ex marito, con un reddito elevato, non è tenuto  per questo motivo a versare l’assegno di divorzio alla ex moglie che guadagna meno. La nuova sentenza però sottolinea le rinunce della moglie a favore della famiglia: una scelta che quindi va ‘ricompensata’ per le perdite economiche subite.

Valeria Braghieri per "il Giornale" il 18 febbraio 2022.

Certi amori sono il punto più alto della nostra carriera di donna. O di uomo. Esiste un prima, ma di fatto non esiste più un dopo. Ci si inchioda a quel punto anche se apparentemente si va avanti, si ama di nuovo, ci si fidanza di nuovo, ci si sposa di nuovo. Ma sono solo «vagabondaggi di verifica». Escursioni per convincersi di essere ancora vivi, desiderabili, in piedi. Si va per il mondo per il tempo che resta, e magari ci si diverte anche, ci si emoziona, ci si convince. Ma un pezzo manca sempre. Perché tra certi amanti non si chiude. Non si conclude niente. È finita senza finire. E se è vero che gli addii fanno male, quelli mancati stingono su tutta la vita. Il primo marito, la prima moglie, il fidanzato «storico», il padre dei propri figli.

C'è gente che ti prende la forma, tutto ciò che viene dopo va leggermente largo, o un pochino stretto. Qualcuno si convince che chi gli sta accanto gli cada a pennello, altri si osservano allo specchio con meno indulgenza, notando le pieghe o il tessuto che fa difetto. Ma poi si fa finta di niente comunque. 

Però c'è anche qualcuno che viene inchiodato alla verità dagli altri. Come quando in televisione partono le note di Felicità, le voci di Al Bano e Romina tornano a impastarsi dopo anni di separazione, e il pubblico va letteralmente in visibilio. O come quando, mercoledì sera su Canale 5, a Michelle Impossible, Eros Ramazzotti e la Hunziker si sono ritrovati davanti alle telecamere con tanto di bacio sulla bocca: ascolti alle stelle, internet impazzito, gossip surriscaldato.

Altro esempio di due che la gente, se non la vita, vuole assieme. Stesso entusiasmo anche alla notizia di un ritorno di fiamma tra l'imperiale Jennifer Lopez e l'insopportabile Ben Affleck. Quando i due attori si sono rimessi assieme, dopo una separazione durata anni, nessuno ha pensato alla moglie di Affleck (Jennifer Garner), al matrimonio in pezzi, alle figlie della coppia

Un po' come per l'amore irrequieto tra Belén Rodriguez e Stefano De Martino, la gente segue appassionatamente le escursioni sentimentali della showgirl, ma alla fine è assieme a De Martino che la vuole. Malgrado, ai tempi, la nascita della loro love story avesse diviso i più per il dolore che la cosa provocò nella cantante Emma Marrone, allora fidanzata del ballerino di Amici. 

Perché non necessariamente la storia migliore è la storia perfetta. C'è quella che nasce abusiva, scorretta, sbagliata. E ci sono gli strappi crudeli, le conclusioni brutte, a volte gli schiaffi, i traditi, le ingannate... ma chissà perché, quella, per tutti, resta «la storia».

Anche se nessuno sa cosa succeda davvero dentro a una relazione. Gli indiani d'America dicevano che ci vogliono mille voci per raccontare una sola storia e non c'è nulla di più vero, specie in quelle d'amore. Ma ogni tanto c'è qualcosa che passa tra due persone, una specie di energia tesa, di luce di traverso che prende la direzione giusta. Se ne accorgono loro e se ne accorgono anche tutti gli altri. Ci sono persone che funzionano meglio insieme. Che, insieme, valgono il doppio. È lì che inizia il «tifo», come per la squadra del cuore quando schiera in campo la formazione perfetta.

Succede ogni volta che Al Bano e Romina cantano assieme, ogni volta che Belén e Stefano vengono fotografati in soffici accappatoi bianchi durante un week end romantico in Franciacorta, ogni volta che Jennifer e Ben appaiono sul cartellone alla partita dell'NBA. Ed è successo l'altra sera con Michelle ed Eros in tv. C'è l'incanto degli amori che ritornano, perché chiunque ne ha uno che vorrebbe far tornare. Quello dopo il quale si è decolorato l'universo, quello che ci ha lasciati con la disperazione a tracolla. Per questo certi secondi atti piacciono così tanto a tutti. Chi non vorrebbe poter tornare indietro per correggere le bozze?

Il matrimonio festeggia i 40mila anni. Quando è nata l'esigenza di uomini e donne di sposarsi? Tanto tempo fa...Di SILVIA PERUGI su Il Quotidiano del Sud il 14 febbraio 2022.

DA quanto tempo gli uomini si sposano? C’è un dipinto piuttosto famoso, realizzato dal pittore fiammingo Jan Van Eyck nel 1434: è il Ritratto dei coniugi Arnolfini. L’uomo e la donna rappresentati, riccamente abbigliati, sono mostrati nella loro camera da letto, mentre si rivolgono allo spettatore tenendosi per mano. Giovanni Arnolfini, dall’aspetto assai severo, sta compiendo un gesto cerimonioso con la mano destra, che può essere interpretato come giuramento. È probabile che i due stiano pronunciando la loro promessa di fedeltà matrimoniale alla presenza di testimoni. Gli Arnolfini non sono soli nella stanza. Un grande specchio alle loro spalle ci rivela che sono presenti altre due figure. Colpisce la sposa, che raccoglie sul ventre un lembo dell’ampio vestito: gesto di buon auspicio che allude alle future gravidanze, come il colore verde dell’abito, a simboleggiare la fertilità.

Più indietro nel tempo, uno dei capolavori più conosciuti dell’arte antica è il Sarcofago degli sposi, opera etrusca del VI secolo a.C. La scultura raffigura una coppia di sposi, sdraiati su un triclinio, probabilmente a un banchetto, stretti in un tenero abbraccio mentre stanno per bere del vino. Uno dei momenti più belli della quotidianità, che si voleva protrarre anche dopo la morte. È una scena di vita e insieme di intimità, riprodotta sul sarcofago che conteneva i resti dei defunti, uniti anche nell’aldilà.

Ma è possibile andare ancora più indietro, fino a rintracciare una pittura rupestre in Val Camonica. Un uomo e una donna ritratti con accanto i loro due bambini. Ciò che attrae lo spettatore è la linea simbolica che unisce i piedi di marito e moglie come un giogo. È questo il significato di “con-iugi”: uniti dal giogo, dunque legati stabilmente.

Gli uomini si sposano dalla preistoria. Gli archeologi hanno osservato che fino al Paleolitico medio (duecentomila-cinquantamila anni fa) i villaggi presentavano ancora la struttura del clan, ma con il Paleolitico superiore, quarantamila anni fa, tutto cambia: le case sono disposte in circolo e ognuna è piccola, chiaramente adatta ad accogliere un solo nucleo.

L’uomo e la donna pur rimanendo nel gruppo hanno sentito il bisogno di isolarsi. Per un senso di sopravvivenza: la donna doveva essere protetta e aveva bisogno che il suo uomo, stabilmente, in rapporto fiduciario, procurasse il cibo mentre era gravida e allattava. Il passaggio successivo è la gratificazione, il senso d’appartenenza, lo star bene insieme senza sentire il bisogno di altre relazioni. I più diversi rituali per unirsi erano sempre religiosi. Il matrimonio è nato come sacralizzazione dell’unione tra due persone, rigorosamente di sesso diverso.

Il risultato delle analisi condotte dimostra che solo le società in cui è avvenuto questo passaggio – dal clan al nucleo – si sono evolute, tutte le altre si sono estinte. Da esigenza antropologica, il matrimonio nei millenni è divenuto parte integrante della nostra cultura, globalmente intesa e declinata secondo modi e forme differenti. C’è il matrimonio religioso, quello civile, quello imposto, quello combinato, quello poligamico, quello tra persone dello stesso sesso. Il matrimonio ha acquisito nel tempo significati nuovi: giuridici, economici, sociali.

Basta pensare all’origine etimologica della parola in sé: il matrimonio presso i Romani è il dovere della madre di dare ai figli un padre legittimo (il marito) e fa il paio con la parola “patrimonio”, cioè il dovere del padre di lasciare ai figli un’eredità. Questo dice moltissimo di come un comportamento nato spontaneamente tra gli uomini per senso di sopravvivenza si sia imbevuto nel tempo di tutt’altri elementi che hanno finito per prendere il sopravvento. Per primo fu il diritto romano a dare riconoscimento e corpo al complesso delle situazioni socio-patrimoniali legate al matrimonium, facendo discendere effetti civili da una situazione di fatto: allora i presupposti del matrimonio erano la convivenza dell’uomo e della donna e la capacità di agire degli sposi.

Il matrimonio era sempre contraddistinto da rituali. Il  cristianesimo fece propria questa usanza e introdusse la figura del sacerdote. Rimase l’essenzialità dello scambio del consenso. La cerimonia cristiana restò a lungo una semplice benedizione degli sposi. Col Concilio di Trento venne disciplinata dal  diritto canonico, mentre nei Paesi protestanti cominciò a diffondersi l’esigenza di una celebrazione avente effetti civili, distinta dal matrimonio religioso. In Italia, con l’entrata in vigore del codice civile del 1866 fu riconosciuto valore giuridico unicamente al matrimonio civile. Chi sceglieva anche il rito religioso lo celebrava precedentemente o successivamente a quello.

A seguito del Concordato del 1929 tra l’Italia e la Santa Sede, poi rivisto nel 1984, si stabilirono le clausole da rispettare perché un matrimonio celebrato con rito cattolico potesse essere trascritto dall’ufficiale di stato civile e produrre gli effetti riconosciuti dall’ordinamento giuridico italiano.

A dirla tutta, dati statistici alla mano, a oggi i matrimoni più stabili sono quelli celebrati con rito religioso: con una probabilità di durata significativamente più alta, quasi doppia, rispetto ai matrimoni civili. Pare si senta maggiormente la responsabilità del “per sempre” pronunciato dinnanzi a un ministro di culto. Il matrimonio regolato dalla legge è un contratto che sancisce diritti e doveri dei coniugi, anche nel momento in cui decidono di porvi fine.

La stessa legge definisce i rapporti economici tra gli sposi, inevitabile conseguenza di una vita in comune e aspetto certamente non trascurabile quando capita che essa cessi di esserlo e che le strade di marito e moglie si dividano. Il matrimonio è anche un modo per sentirsi “normali” e seguire un percorso di vita condiviso socialmente.

È innegabile che sposarsi, pur non modificando nulla all’interno della relazione che due conducono da anni, magari conviventi da tempo immemore e con figli, serva a ufficializzare in qualche modo l’unione presso terzi. Nel 2022 ci si sposa perché culturalmente abbiamo introiettato attraverso i millenni che due persone che si amano, che stanno bene insieme e che condividono la quotidianità stabilmente e che desiderano continuare a farlo, allora si sposano. Poi ci si può sposare per un’infinità di altri motivi più o meno edificanti: avere una casa propria, per una scalata sociale, vivere a spese di qualcun altro e tristemente, anche perché non si ha altra scelta. Ma se il motivo è il primo, quello che deriva dalla nostra cultura: due persone si sposano perché stanno bene insieme, si amano, condividono stabilmente la quotidianità e progettano di continuare a farlo, allora una domanda per nulla banale trova una risposta per niente scontata.

Ma che bisogno hanno due persone di sposarsi nel 2022? Oggi che i figli sono legittimi anche se nati al di fuori del matrimonio, che anche la convivenza implica diritti e doveri che prescindono da un sì pronunciato sull’altare, sposarsi è la risposta istintiva a un bisogno profondo, radicato nell’essere umano dalla preistoria e declinato attraverso i millenni in un’infinità di sfumature culturali: un tributo che ancora paghiamo alla specie per senso di sopravvivenza.

Sacra Rota, il Covid annienta i matrimoni: nozze nulle aumentate del 25%. Gabriele Laganà il 18 Febbraio 2022 su Il Giornale.

Altro dato negativo reso pubblico dal Tribunale ecclesiastico è quello relativo alla sempre più breve durata dei matrimoni.

In Campania cala la durata dei processi per nullità matrimoniale e allo stesso tempo diminuiscono di molto anche le richieste di nullità, come riportano il Corriere del Mezzogiorno e Napoli Today. Sono questi i dati emersi ieri mattina nel corso dell'inaugurazione dell'anno giudiziario del Tribunale ecclesiastico interdiocesano (Tei) alla presenza, tra gli altri, dell'arcivescovo don Mimmo Battaglia, dei vicari giudiziali Luigi Ortaglio e Ciro Esposito e di monsignor Filippo Iannone, presidente del Pontificio Consiglio per i Testi legislativi.

Secondo Ortaglio sono 4 i motivi principali della riduzione delle richieste di nullità: "La riduzione dei matrimoni religiosi, il distacco di 4 diocesi dalla giurisdizione del nostro Tribunale, la brevità dei processi e la pandemia".

Ma vi è un altro elemento negativo provocato dall’emergenza sanitaria che dal febbraio del 2020 sta sconvolgendo le nostre vite: nell’ultimo anno sono aumentati del 25% i casi di nullità dovuti alla fragilità psicologica dei coniugi. In altre parole Covid non solo crea danni fisici ma anche psicologici con persone segnate nel profondo dal nemico invisibile. E ciò, di conseguenza, si riflette anche sulla vita di una famiglia.

"Se negli anni 80 e 90- ha spiegato il vicario giudiziale- la causa principale per chiedere di annullare il vincolo era la simulazione (quando uno dei coniugi simula o nasconde verità importanti) nel 2021 i casi di nullità sono stati nel 94% dei casi dovuti all'esclusione della prole (uno dei coniugi non voleva figli), nel 34% alla frode, nel 5% all'errore, nel 3% alla mancanza di futuro e nel 44% dei casi all'incapacità, termine che esprime appunto la fragilità psicologica dei coniugi". Un dato, quest'ultimo, che preoccupa gli stessi responsabili del Tribunale.

Negli anni scorsi, infatti, questo specifico caso di nullità era decisamente basso (tra il 5 e il 7%). La crescita esponenziale, molto probabilmente, è dovuta all'emergenza sanitaria e alle misure restrittive, come lockdown e isolamento, attuate per contenere il diffondersi del Covid.

Numeri impressionanti che fanno emergere, secondo quanto evidenziato da Ortaglio, una crescita della fragilità psicologica delle coppie che dimostrano "incapacità e dipendenza affettiva, tanto da mettere in discussione anche i nostri percorsi pastorali".

Vi è poi un ulteriore dato allarmante: quello relativo alla durata media dei matrimoni. Proprio in questo ultimo periodo è emerso che la convivenza di una coppia che si rivolge al Tribunale ecclesiastico per chiedere l'annullamento è di 32 mesi. Per Ortaglio è urgente, in considerazione di tutto ciò, mettere in campo "una più attenta collaborazione tra l'Ufficio di Pastorale familiare della diocesi e l'ufficio giudiziario".

Sul delicato tema è intervenuto anche l’arcivescovo Battaglia che ha indicato come sia necessario attuare "un percorso pastorale che non deve trascurare la tutela dei minori". A tal fine lo stesso Battaglia ha annunciato di aver "lanciato il patto educativo per la città".

Gabriele Laganà. Sono nato nell'ormai lontano 2 aprile del 1981 a Napoli, città ricca di fascino e di contraddizioni. Del Sud, sì, ma da sempre amante dei Paesi del Nord Europa. Seguo gli eventi di politica e cronaca dall'Italia e dal mondo. Amo il calcio, ma tifo in modo appassionato solo per la Nazionale azzurra. Senza musica non potrei vivere. In tv non perdo i programmi che parlano di misteri e i film horror, specialmente del genere zombie. Perdono molte cose. Solo una no: il tradimento

Dagotraduzione dal New York Post il 14 febbraio 2022.

Florence Williams era ingenua riguardo al crepacuore prima che suo marito abbandonasse il loro matrimonio di 25 anni nel 2017. Sebbene lo scisma fosse iniziato due anni prima, perché aveva scoperto un'e-mail compromettente inviata a un'altra donna, nulla poteva prepararla per il tributo fisico che gli è costata la sua dipartita. 

All'inizio si sentiva esausta e agitata, «come se fossi collegata a una presa elettrica difettosa», scrive Williams nel suo libro "Heartbreak: A Personal and Scientific Journey" (WW Norton), in uscita in questi giorni. 

Presto seguirono insonnia, palpitazioni cardiache, nebbia cerebrale e contrazioni oculari. Pochi mesi dopo la loro iniziale separazione, un controllo di routine con il medico di Williams ha portato ad alcune notizie sorprendenti: la sua glicemia era aumentata. Soffriva non solo di depressione e ansia, ma anche di diabete di tipo 1 non diagnosticato, una malattia autoimmune progressiva che colpisce tipicamente durante l'infanzia.

Williams aveva appena compiuto 50 anni ed era sbalordita. Il diabete non faceva parte della sua storia familiare. Essendo una scrittrice scientifica pluripremiata, ha iniziato a chiedersi: lo stress della rottura potrebbe aver causato questi sintomi? Esiste una cosa come il «diabete da divorziato»? 

E così, Williams ha intrapreso un'indagine di tre anni, studiando i pericoli fisiologici del crepacuore. Ha visitato esperti in tutto il paese che le hanno fornito intuizioni scioccanti. Come ha detto uno psicologo: «Innamorarsi ci mette una pistola carica alla testa». 

Studi recenti mostrano che circa il 40 per cento di tutti i primi matrimoni finisce con un divorzio. Sebbene il tasso di divorzi sia diminuito rispetto al suo picco nel 1981, gli psicologi considerano ancora la rottura del matrimonio come «una delle esperienze di vita più stressanti e consequenziali che abbiamo, appena al di sotto della morte di una persona cara». 

Secondo un'analisi del 2011 su 6,5 milioni di persone in 11 paesi, i divorziati hanno il 23% in più di probabilità di morire più giovani rispetto a quelli coniugati. È considerato «un costoso evento della vita», al pari del fumo. Uno studio della Carolina del Sud si aggiunge alla pila di dati sconcertanti:  su 1.300 persone studiate in 40 anni, i divorziati avevano il 57% di probabilità in più di morire rispetto alle loro controparti ancora sposate.

Le persone felicemente sposate vivono più a lungo, hanno tassi più bassi di cancro, ictus e infarto e tendono a essere complessivamente meno stressate, secondo una moltitudine di studi longitudinali. (Anche le persone in matrimoni difficili se la passano male dal punto di vista della salute, ma non così male come i divorziati, secondo il libro di Williams, forse perché conoscere la persona con cui vivi ti spinge a cercare altrove un supporto emotivo). 

Inoltre, il crepacuore fa davvero male ai nostri cuori. Le persone infelici nell'amore - in relazioni interrotte o malsane - soffrono di tassi più elevati di malattie cardiache. C'è anche una condizione chiamata cardiomiopatia takotsubo, o "sindrome del cuore spezzato", che si verifica quando un'improvvisa sofferenza (come essere scaricati) provoca sintomi di infarto in persone sane. Gli effetti sono reali: il 5% di queste persone morirà, mentre il 20% soffrirà di complicazioni a lungo termine.

Gli effetti collaterali del crepacuore non si fermano al cuore. I ricercatori della Ohio State University hanno scoperto che dopo un recente divorzio le persone producono meno cellule T naturali, fondamentali per combattere infezioni e cancro. 

Uno studio danese pubblicato a gennaio ha mostrato che gli uomini che vivono da soli per più di sette anni e hanno avuto due o più rotture hanno mostrato tassi più elevati di interleuchina 6, chimica infiammatoria, associata a infarti più elevati e morte prematura. (Questo studio non ha riscontrato aumenti simili nelle donne, sebbene altri studi abbiano mostrato aumenti infiammatori per tutti.) 

Il divorzio - con la sua terribile combinazione di rifiuto, umiliazione e sconvolgimento, combinato con il bilancio emotivo, le battaglie per l'affidamento dei figli e le pressioni finanziarie (il costo medio per ottenere il divorzio, secondo Business Insider, è di 15.000 dollari) - crea una tempesta perfetta per l’infiammazione.

Sebbene la Williams ammetta che è «impossibile dire con certezza che il suo diabete è stato causato dal suo divorzio», ci sono ampie prove per dimostrare che le malattie autoimmuni si verificano spesso durante eventi di vita stressanti. 

Per indagare ulteriormente, Williams ha incontrato Steve Cole, scienziato del Social Genomics Core Laboratory dell'UCLA, per campionare il suo sangue e vedere le prove del suo crepacuore a livello molecolare. Si scopre che aveva un aumento delle proteine nel sangue che attivano i geni associati all'infiammazione e alle firme dello stress nel sangue. 

«Questi cambiamenti nella tua vita stanno decisamente filtrando fino al livello molecolare nel tuo corpo», ha detto Cole a Williams. «Le mie cellule sembrano ancora quelle di una persona sola?» ha chiesto. «Sì, direi di sì», le ha risposto.

Sotto uno scanner fMRI, il cervello di una persona con il cuore spezzato assomiglia a quello di una persona che ha sperimentato un dolore estremo simile a bruciature o scosse elettriche, secondo uno studio del 2011 dello psicologo sperimentale Ethan Kross. Parte di questo dolore deriva dalla natura intrecciata delle relazioni romantiche, scrive Williams. Più a lungo viviamo con qualcuno, più i nostri corpi si intrecciano. Le nostre frequenze cardiache si allineano. Le nostre onde cerebrali si sincronizzano. E anche brevi pause possono causare risposte allo stress più elevate e disturbi del sonno, secondo uno studio del 2017 pubblicato su Nature.

La sofferenza di una rottura è in realtà una risposta evolutiva adattativa, che ci spinge a riaccoppiarci il più velocemente possibile, secondo Williams. «Ci spinge a riconnetterci con i nostri partner perduti dopo brevi separazioni», scrive Williams. La scienza mostra che ci vogliono circa quattro anni prima che il corpo si riprenda da una relazione a lungo termine e, soprattutto se la persona riesce a trovare un'altra relazione sana, molti, se non tutti, gli effetti sulla salute possono essere annullati. 

«L'amore romantico è come un gatto addormentato», ha detto un ricercatore a Williams. «Può essere risvegliato in qualsiasi momento».

·        Mai dire Genitori.

Da Ansa il 17 giugno 2022.

Dopo la sentenza della Corte costituzionale sul doppio cognome, per attribuire al figlio un solo cognome "è imprescindibile" l'accordo tra i due genitori. 

In mancanza di questo accordo, "devono attribuirsi i cognomi di entrambi i genitori, nell'ordine dagli stessi deciso, e qualora questo ulteriore accordo manchi, come precisa la Corte nella decisione, è necessario l'intervento del giudice". 

Lo scrive il capo Dipartimento Affari interni e territoriali del Viminale, Claudio Sgaraglia, in una circolare ai prefetti per sensibilizzare i sindaci affinché forniscano le indicazioni agli uffici di stato civile dei Comuni sulla sentenza.

Dunque, in attuazione della sentenza della Corte costituzionale, si legge nella circolare, "l'ufficiale dello stato civile dovrà accogliere la richiesta dei genitori che intendono attribuire al figlio il cognome di entrambi, nell'ordine dai medesimi concordato, al momento della nascita, del riconoscimento o dell'adozione, fatto salvo l'accordo per attribuire soltanto il cognome di uno di loro soltanto". 

Francesca Del Vecchio per “la Stampa” il 12 ottobre 2022.  

Il doppio cognome ai bebè è ancora minoritario.

Lo dicono i dati raccolti nelle città italiane. La crescita dei casi, attesa dopo la sentenza della Corte Costituzionale del 1° giugno scorso che ne stabilisce l'attribuzione automatica, non c'è stata. 

Tra quelle analizzate, Milano guida la classifica con una percentuale di bambini il cui cognome non è solo paterno - come previsto dall'automatismo anagrafico prima della pronuncia della Suprema Corte - pari al 18% (725 casi): l'Assessorato ai Servizi Civici e Generali di Palazzo Marino ha rilevato che tra il 1° giugno e il 4 ottobre sono nati 3.900 bambini, 680 hanno ricevuto il doppio cognome, prima quello paterno, poi quello materno; 25 con quello materno in prima posizione, 20 hanno ricevuto solo il cognome materno. 

Restando in Lombardia, seguono Varese con il 15%, su 207 bebè nati dal 1° giugno ai primi di ottobre, 31 hanno avuto il doppio cognome; Lecco (circa il 12%) 7 casi su 57 nati tra il 1° giugno e il 1° settembre. Como e Brescia vicine al 10% sul totale dei nascituri. Chiudono la classifica Pavia, al 6,7% circa, con 12 doppi cognomi assegnati su 178 nati e Bergamo, la cui ultima rilevazione risale alla fine di agosto, con il 5%.

D. e M. "freschi" neo genitori residenti alle porte di Milano hanno dato a Leonardo solo il cognome paterno: «Al momento non sentiamo la necessità che li abbia entrambi. - spiega il papà -.

Ha già un secondo nome e non volevamo complicare la situazione».

Non va meglio altrove: a Torino, in tre mesi sono stati registrati con il doppio cognome solo 102 bimbi sui 1.500 nati, circa il 10%; a Bologna, la cui percentuale si attesta intorno al 12%, appena 124 su 1.048 hanno il cognome sia di mamma che di papà. Così come a Modena (8,5%) con 48 doppi cognomi su 559 nuovi nati e a Genova (circa il 7%) dove tra il 1° giugno e il 4 ottobre sono stati registrati con il doppio cognome 65 bimbi e uno con quello materno su 914 nascite. A Firenze solo 8 nuovi nati nei tre mesi successivi alla sentenza della Corte hanno ricevuto in dote il doppio cognome, 4 solo quello della mamma. Anche Bari resta ben al di sotto del 10%, circa il 6, con trenta neonati su 500 registrati con entrambi i cognomi.

La tendenza pare abbastanza uniforme in tutto il Paese, nonostante la pronuncia degli Ermellini fosse stata accolta con favore - e definita «storica» - soprattutto tra gli under 35. Nelle motivazioni della sentenza, datata 27 aprile 2022 (e registrata in Gazzetta ufficiale il 1° giugno), i giudici specificavano che l'automatica attribuzione del solo cognome paterno portasse all'invisibilità della madre e fosse segno di «una disuguaglianza fra i genitori». La Corte aveva anche sollecitato la politica affinché legiferasse per «impedire che l'attribuzione del doppio cognome comporti, nel succedersi delle generazioni, un meccanismo moltiplicatore». Luigi e Licia, genitori di E., infatti hanno scelto il «tradizionale» cognome paterno. 

Sono preoccupati che la burocrazia possa complicare la vita del loro bambino da adulto: «Abbiamo optato per la semplicità e per rimanere in linea con quanto deciso per il nostro primogenito: un domani sarebbe difficile spiegare a due fratellini il perché di due cognomi diversi». C'è invece chi sceglie l'attribuzione doppia e in ordine alfabetico per «portare avanti i cognomi di entrambe le famiglie d'origine, poco numerose», e chi ritiene che «era finalmente ora». Prima di questa pronuncia, un'altra sentenza della Corte, datata 2016, aveva aperto all'aggiunta del cognome materno a quello paterno senza l'istanza alla Prefettura.

Filippo Femia e Flavia Amabile per “La Stampa” il 3 giugno 2022.

Rischia di rimanere una rivoluzione sulla carta, quella del doppio cognome.

La pronuncia della Corte Costituzionale, che lo scorso 27 aprile ha dichiarato illegittima la trasmissione automatica del cognome paterno, potrebbe cambiare di poco o nulla la situazione attuale. 

Pubblicata in Gazzetta ufficiale mercoledì, la nuova norma è in vigore da ieri: oltre a indicare entrambi i cognomi, per i nuovi nati sarà possibile scegliere anche solo quello della mamma o del papà. Servirà l'accordo dei genitori, altrimenti deciderà un giudice.

Ma ad ascoltare in giro per l'Italia le opinioni delle partorienti o di chi ancora non ha dichiarato all'anagrafe la nascita del figlio, poche sembrano interessate a dare la spallata definitiva a un retaggio del patriarcato, come è stato definito. 

All'ospedale Sant'Orsola di Bologna è stato realizzato un sondaggio informale in sala parto. Risultato: il 90% delle coppie è intenzionata a mantenere il cognome paterno. «Una piccola percentuale sceglierà quello materno e una altrettanto limitata quota il doppio cognome», spiega Gianluigi Pilu, direttore dell'unità operativa di ostetricia e medicina dell'età prenatale.

La stessa sensazione arriva dal Policlinico Gemelli, a Roma: «Prevale senza dubbio il cognome paterno, solo qualche caso sporadico sceglie altre formule», chiarisce Antonio Lanzone, responsabile dell'ambulatorio di ostetricia.

Anche all'ospedale Sant'Anna di Torino, che detiene il record di nascite in Italia (6.700 nel 2021), qualche giorno fa c'era scarso interesse per la possibilità del doppio cognome. Un papà brizzolato, ancora emozionato per la nascita del primogenito, si aggrappava al benaltrismo.

Nelle motivazioni della sentenza della Corte Costituzionale si legge che l'assegnazione automatica del cognome paterno provoca «l'invisibilità della madre» e «non rispetta l'eguaglianza e la pari dignità dei genitori». «Ma quale patriarcato, sono ben altri i problemi che abbiamo in questo momento», taglia corto l'uomo. Discorso chiuso. 

Prima di lui si era messa in coda agli sportelli dell'ufficio nascita una giovane coppia. «Due cognomi? Per carità, già quello paterno è lunghissimo». Informata dell'opzione di utilizzare anche solo quello materno la ragazza ha scosso la testa: «Preferiamo che le cose restino così».

Al primo piano dell'ospedale Fatebenefratelli a Roma, papà Angelo Mirra sorride mentre esce dal reparto maternità con la carrozzina blu nuova di zecca, dentro dorme il piccolo Leonardo. 

Un cognome o due? «Uno solo - risponde -. Ne abbiamo discusso, però quello di mia moglie è molto lungo. Ci sembrava eccessivo chiamare nostro figlio Leonardo Mirra Giovinazzo. Avremmo anche dovuto cambiare i documenti del primo figlio. Più comoda la formula tradizionale». 

Nulla contro il doppio cognome però, ci tiene a precisare. «In famiglia siamo tutti favorevoli. Mio fratello e la compagna hanno da poco avuto un bambino: ha preso entrambi i cognomi». Cognome paterno anche per Arianna Fanelli, appena nata. Il padre, Paolo, aspetta l'inizio delle visite per entrare in reparto.

«La legge è giusta ma mia moglie non ha espresso il desiderio di dare il suo cognome alla piccola - chiarisce -. Si chiama Rossi, un cognome molto generico, non ha sentito il bisogno di conservarne la memoria». Tra timori di complicazioni burocratiche, assonanze tra nome e cognome o semplice resa allo status quo ante, il doppio cognome non sembra quindi decollare. 

Dopo la sentenza della Consulta tocca ora al Parlamento intervenire con una legge. La Corte Costituzionale ha ripetutamente richiamato deputati e senatori a un intervento «impellente» che definisca criteri chiari. Specie per «impedire che l'attribuzione del cognome di entrambi i genitori comporti, nel succedersi delle generazioni, un meccanismo moltiplicatore».

Tradotto: cognomi chilometrici. I giudici hanno indicato un altro fronte aperto, la possibilità di bambini con cognome diverso rispetto a fratelli e sorelle. E hanno anche indicato possibili soluzioni: quella più opportuna sarebbe rendere vincolante, anche per gli altri figli, la scelta realizzata per il primogenito. 

Contro il rischio che i cognomi proliferino, invece, l'indicazione è che il genitore titolare del doppio cognome ne scelga uno solo da trasmettere, sempre che i genitori non optino per l'attribuzione del doppio cognome di uno soltanto di loro. 

Serve una legge, dunque, per dribblare possibili liti e giungle burocratiche. Il rischio è una situazione come quella del Lussemburgo, dove senza accordo tra i genitori si decide l'ordine dei due cognomi con un sorteggio. Altro che rivoluzione.

Da “tgcom24.mediaset.it” il 31 maggio 2022.

L'automatica attribuzione del solo cognome paterno "si traduce nell'invisibilità della madre" ed è il segno di una diseguaglianza fra i genitori, che "si riverbera e si imprime sull'identità del figlio". Lo sottolinea la Corte Costituzionale nelle motivazioni della sentenza del 27 aprile che ha cancellato la regola dell'automatica assegnazione ai figli del cognome del padre. 

Tuttavia serve un "impellente" intervento per "impedire, nel succedersi delle generazioni, un meccanismo moltiplicatore che sarebbe lesivo della funzione identitaria del cognome".

Proprio per la funzione svolta dal cognome, osservano i giudici, è opportuno che il genitore titolare del doppio cognome scelga quello dei due che rappresenti il suo legame genitoriale, sempre che i genitori non optino per l'attribuzione del doppio cognome di uno di loro soltanto. 

La Corte Costituzionale ha rimesso alla valutazione del legislatore anche "l'interesse del figlio a non vedersi attribuito - con il sacrificio di un profilo che attiene anch'esso alla sua identità familiare - un cognome diverso rispetto a quello di fratelli e sorelle".

Sul punto la sentenza segnala una possibile soluzione, e cioè che la scelta del cognome attribuito al primo figlio sia vincolante rispetto ai figli successivi della stessa coppia. 

Tutte le norme dichiarate illegittime dalla Corte costituzionale riguardano l'attribuzione del cognome al figlio. Pertanto, dal giorno successivo alla sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale, la sentenza troverà applicazione alle ipotesi in cui l'attribuzione del cognome non sia ancora avvenuta.

"Eventuali richieste di modifica del cognome seguiranno la disciplina prevista a tal fine, salvo specifici interventi del legislatore", sottolinea poi la Corte Costituzionale.

Filippo Femia per “la Stampa” il 5 marzo 2022.

Per vincere la loro battaglia sono disposte a spingersi fino a Strasburgo e ricorrere alla Corte europea per i diritti dell'uomo. Ieri due donne torinesi, una coppia omosessuale, hanno visto infranto il loro sogno. Volevano che la figlia portasse il cognome di entrambe, ma dai giudici è arrivata una doccia fredda. La Corte d'Appello ha confermato la decisione adottata dal Tribunale di Torino un mese fa, rigettando il ricorso presentato dalla coppia e dal Comune, che si era costituito in giudizio: per i giudici quella registrazione è un atto illegittimo e va disapplicata. 

Torino era stata la prima città, nell'aprile del 2018, a consentire la registrazione all'Anagrafe di figli di coppie omogenitoriali. Una battaglia di civiltà, che l'allora sindaca Chiara Appendino aveva intrapreso sfidando i codici: «Se necessario forzerò la legge», disse. Da quel momento gli ufficiali dello Stato civile hanno registrato in Comune un'ottantina di bambini di coppie omosessuali. «Siamo molto deluse e arrabbiate - si sfogano le due donne -. È spaventoso che, da un momento all'altro, in una materia così delicata, i Tribunali possano cambiare idea, incuranti che da questa loro decisione dipenda la vita futura di un minore». 

Il loro avvocato, Orazio Celeste, sottolinea invece che si è aperto un «contrasto giurisprudenziale». Una recente sentenza del Tribunale di Cagliari era stata di segno opposto rispetto a quella di Torino: «Così rischiamo di trovarci di fronte a una giurisprudenza a macchia di leopardo sul territorio nazionale». Nelle motivazioni del decreto di rigetto, i giudici citano la legge 40 del 2004, quella che regola la procreazione medicalmente assistita (Pma), in Italia consentita soltanto alle coppie eterosessuali. Il riconoscimento di un figlio nato in seguito a Pma e chiesto da due persone dello stesso sesso, ragionano i giudici, viola quella norma. 

Una norma che il Torino Pride, coordinamento delle associazioni per i diritti Lgbtq, ha definito «arretrata e approvata con furore ideologico. E disallinea il nostro Paese da posizioni più avanzate anche nella stessa Unione Europea». In alcuni Stati, come Spagna e Olanda, possono infatti ricorrere alla procreazione assistita anche le coppie omosessuali. Il tema, ora, diventa politico. 

Il sindaco di Torino Stefano Lo Russo e l'assessore ai Diritti Jacopo Rosatelli hanno subito annunciato battaglia, richiamando ancora una volta il Parlamento a colmare un vuoto legislativo e «fare finalmente la propria parte per riformare tutte quelle normative in materia di famiglia che conservano un contenuto discriminatorio. La società è pronta, la politica lo sia altrettanto». Dalla giunta, dunque, nessun passo indietro: «È necessario riconoscere la genitorialità delle coppie dello stesso sesso nel supremo interesse dei minori a crescere in una famiglia con pienezza di diritti». 

I consiglieri comunali d'opposizione, invece, esultano per la decisione dei giudici. «La legge vale per tutti. La famiglia è composta da una mamma e da un papà», ha dichiarato la consigliera di Fratelli d'Italia Paola Ambrogio di Fratelli d'Italia. La collega di partito, la deputata Augusta Montaruli, ha invece parlato di «capricci» e «pretese illegittime delle cosiddette famiglie arcobaleno». Le due donne torinesi, però, non si arrendono: «Continueremo la nostra battaglia - hanno annunciato - anche al di fuori delle aule di giustizia. Non per il diritto di essere madri, ma per riconoscere a tutti i bambini il diritto ad avere due genitori».

Bernardo Basilici Menini,Filippo Femia per La Stampa il 9 febbraio 2022.

«Lo farò, a costo di forzare la legge». Era l'aprile 2018 e l'allora sindaca di Torino Chiara Appendino dichiarava battaglia: sarebbe andata fino in fondo e avrebbe registrato all'anagrafe il piccolo Niccolò Pietro come figlio di due donne. Un riconoscimento storico: per la prima volta in Italia un atto comunale certificava il figlio di una coppia omogenitoriale. Da allora ci sono state altre 78 trascrizioni, 78 coppie dello stesso sesso riconosciute come genitori. 

Ieri, però, è arrivata la doccia gelata: il sindaco Stefano Lo Russo ha comunicato che secondo il Tribunale sono atti illegittimi e ha annunciato che la città si è costituita in giudizio per difendere una conquista sul fronte dei diritti. «Rispetteremo qualunque sentenza - ha dichiarato il primo cittadino - ma politicamente è ingiusto nei confronti di tanti cittadini che quasi si devono vergognare e fare sotterfugi per vedere riconosciuto un diritto». 

La decisione del tribunale di Torino (settima sezione, presidente Cesare Castellani) è stata notificata lo scorso 3 dicembre: un decreto che ha negato a una coppia di mamme la possibilità di dare al figlio il doppio cognome. Secondo il giudice quella scelta dipende da un atto - la trascrizione all'anagrafe di un figlio di due madri o due padri - che non ha legittimità.  

Ora si spalanca un futuro di incertezza per i 79 bambini di Torino, che da apripista sui diritti rischia di trasformarsi nella città dove è stata pronunciata la sentenza in grado di condizionare la giurisprudenza futura. La prima udienza è fissata per il 13 febbraio e il sindaco sembra intenzionato a sospendere le trascrizioni in attesa della sentenza. Ma il primo cittadino ha chiarito che si tratta di una battaglia da combattere, non solo a livello locale.  

Ieri ha puntato il dito contro il Parlamento, definendolo «pigro, per non usare termini più duri» e ha invocato un'iniziativa per colmare il vuoto legislativo: «Il quadro normativo è in ritardo rispetto alla società - ha aggiunto -. È intollerabile che nel 2022 non ci sia una norma chiara su questo tema, lasciato sulle spalle di Comuni e tribunali». Anche l'assessore ai Diritti Jacopo Rosatelli ha indicato la necessità di estendere il tema su scala nazionale: «L'intervento del Parlamento non è più rinviabile - dice -. Lì siedono i politici che hanno applaudito Mattarella quando parlava di rispetto dei diritti e dignità delle persone. E poi devono farsi perdonare l'affossamento del ddl Zan». 

Anche l'ex sindaca Chiara Appendino si è fatta sentire: «Nella nostra città la strada per i diritti di tutte e tutti è stata tracciata con forza. Ora serve un intervento normativo che garantisca il diritto di costituire e far parte di una famiglia pienamente riconosciuta». Tra la comunità Lgbtq torinese si respira più voglia di lottare che amarezza.  

Nel 2018 Marco Giusta era assessore ai Diritti della giunta Appendino e oggi è il coordinatore di Torino Pride: «Purtroppo la decisione del tribunale non tiene conto del Paese reale - attacca -. I figli delle famiglie omogenitoriali esistono, vanno a scuola, sono inseriti nel tessuto sociale. È il momento di togliere i paraocchi ideologici e riconoscere i diritti di queste persone, che chiedono solo un po' di serenità». 

Oggi Niccolò Pietro, il bambino che ha innescato la rivoluzione del 2018, ha quattro anni. La madre, Chiara Foglietta, da consigliera comunale è diventata assessora ai Trasporti e alla Transizione ecologica: «La nostra storia non può essere dichiarata illegittima - dice senza mezzi termini -. I diritti dei nostri figli vengono prima di ogni altra decisione. Il percorso è complesso e la soluzione ha bisogno di un'iniziativa parlamentare. In assenza di una legge, però, noi ci siamo». La battaglia continua.

Figli col doppio cognome: a Torino lo sceglie solo una famiglia su dieci. Sofia Francioni il 23 Agosto 2022 su Il Corriere della Sera.

Tresso: vince la tradizione. Ma ci penseranno i giovani. 

A Torino per dare il cognome della madre al neonato si muove una coppia su mille. I servizi civici dell’Anagrafe comunale non lasciano dubbi agli interrogativi, controllando i certificati emessi a due mesi dalla storica sentenza della Corte Costituzionale, che permette per la prima volta nella storia d’Italia di dare il proprio cognome al figlio al di là delle barriere del sesso e del genere, il responso è univoco.

La rivoluzione della matrilinearità in città non decolla e dalla Capitale dei diritti, i torinesi sembrano preferire ancora rimanere dalla parte della tradizione.

Dal 1 giugno 2022 a oggi, in oltre due mesi e su 1.049 atti di nascita registrati dai cittadini italiani negli uffici delle anagrafi del capoluogo piemontese, sono soltanto 102 le coppie che alla fine hanno scelto di attribuire il cognome di entrambi i genitori alla propria bambina o bambino.

Sull’ordine dei cognomi prediletto dai torinesi — se la scelta ricada prima su quello della madre o quello del padre — al momento però dalle anagrafi non è possibile avere ulteriori dettagli. Di certo c’è che da quando la Consulta il 27 aprile ha sentenziato che la regola dell’automatismo del cognome paterno è «discriminatoria e lesiva dell’identità del figlio» soltanto una coppia su mille a Torino una sola famiglia ha attribuito al nascituro, cui spetta il primato in città, il solo cognome del madre.

Una scelta a favore della tradizione che arriva da una Torino, Città dei diritti, che nel 2018 è stato il primo comune italiano a registrare nell’anagrafe cittadina il figlio di due madri, riconoscendo per la prima volta nella storia d’Italia il diritto al cognome alle coppie omogenitoriali. Una tendenza di cui si stupisce anche l’assessore alla Cura della Città, Protezione civile, Servizi civici e decentramento Francesco Tresso.

«I torinesi di solito sono più progressisti — afferma l’assessore—. Il fatto che solo una coppia su mille abbia deciso di dare il cognome materno al proprio figlio dimostra che c’è ancora un tradizionalismo da vincere. Forse questa nuova possibilità sarà sfruttata in massa dalle nuove generazioni: dalle mamme e dai papà di domani. I giovani, sul cui progressismo ho meno dubbi, sapranno sfruttare sicuramente la portata storica di questa sentenza, inedita per il nostro Paese».

In quel 10% che dal 2 giugno a Torino ha scelto di dare alla prole il doppio cognome, l’assessore Tresso vede invece un segnale di cambiamento. «Non è un trend così negativo — dice —. Dimostra però che c’è bisogno di assestamento». Dalla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale della norma, le anagrafi torinesi hanno riscritto tutta la modulistica, occupandosi di formare anche il personale.

Per l’assessore Tresso è fuori discussione: «Gli uffici erano pronti — riferisce sicuro — ma alla sentenza della Corte Costituzionale devono seguire dei decreti attuativi, perché i dubbi sono ancora molti e potrebbero aver soffocato gli entusiasmi in questa prima fase iniziale».

Nonostante la portata storica della sentenza e la concreta possibilità per i neo-genitori di scegliere liberamente sul cognome da attribuire, scelta che può ricadere su quello di entrambi i genitori o solo quello della mamma o anche quello del padre, i vuoti in effetti sono ancora molti.

«Dopo la seconda generazione cosa succederà? Speriamo che escano a breve dei decreti attuativi che forniscano ulteriori dettagli — continua ancora l’assessore —. Che cosa succederà quando ci saranno figli di genitori con doppi cognomi o situazioni in cui entrambi i genitori non sono concordi sul cognome da dare al neonato? Bisognerà capire come muoversi».

«Sono sicuro — conclude Francesco Tresso — che questo orizzonte incerto ha pesato anche sulle scelte di questi mesi dei torinesi. Da parte nostra, il Comune di Torino da settembre si preoccuperà sicuramente di realizzare sul suo sito istituzionale una divulgazione più chiara che possa chiarire come usare la modulistica e possa informare sulle novità».

Alessandra Arachi per il corriere.it il 27 aprile 2022.

Sono illegittime tutte le norme che attribuiscono automaticamente soltanto il cognome del padre con riferimento ai figli nati nel matrimonio, fuori dal matrimonio e ai figli adottivi. 

Lo ha deciso mercoledì la Corte Costituzionale con una sentenza che ha definito «discriminatoria e lesiva dell’identità del figlio la regola che attribuisce automaticamente il cognome del padre e ha precisato che «la regola diventa che il figlio assume il cognome di entrambi i genitori nell’ordine dei medesimi concordato, salvo che essi decidano di comune accordo, di attribuire soltanto il cognome di uno dei due».

Contro la Convenzione europa dei diritti dell’uomo

In attesa della sentenza - che sarà depositata nelle prossime settimane - dalla Consulta fanno sapere che le norme censurate sono state dichiarate illegittime per contrasto con gli articoli 2, 3 e 117, primo comma, della Costituzione, quest’ultimo in relazione agli articoli 8 e 14 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. 

Secondo la Corte nel solco del principio di eguaglianza e nell’interesse del figlio, entrambi i genitori devono poter condividere la scelta sul suo cognome, che costituisce elemento fondamentale dell’identità personale. È compito del legislatore regolare tutti gli aspetti connessi a questa decisione. 

«Sentenza storica»

Il caso è stato sollevato da una giovane famiglia lucana per una storia di tre fratelli, i primi registrati col cognome della madre e il terzo registrato automaticamente con il cognome del padre perché nato dopo il matrimonio tra i due genitori. I due genitori avrebbero voluto registrare con il cognome della madre anche il terzo figlio - per renderli tutti uguali - ma gli uffici comunali si sono opposti e i magistrati in primo grado hanno dato ragione al Comune. 

A sottoporre la vicenda alla Consulta, a novembre dell’anno scorso, è stata la Corte d’appello di Potenza dichiarando «rilevante e non manifestamente infondata» la questione di legittimità costituzionale delle norme in materia, sollevata dagli avvocati Domenico Pittella e Giampaolo Brienza che hanno commentato: «Storico risultato. La pronuncia della Corte Costituzionale sul cognome del nato rappresenta una piccola rivoluzione».

I disegni di legge in Parlamento

In Parlamento sono depositate cinque proposte di legge che prevedono che con un accordo tra genitori ci sia la possibilità di scegliere di attribuire un solo cognome, quello del padre o della madre o di entrambi cognomi nell’ordine che si ritiene. In caso di conflitto tra i genitori, tra le ipotesi c’è che il doppio cognome venga attribuito in ordine alfabetico. 

Uno dei disegni di legge è quello del Pd depositato in Senato e la presidente del «gruppo Simona Malpezzi ha chiesto «al presidente della commissione Giustizia Andrea Ostellari che si adoperi perché il provvedimento venga approvato rapidamente e in piena aderenza a quanto stabilito dalla Corte».

La senatrice di Italia Vica Donatella Conzatti ha così commentato: «Peccato che il Parlamento sia stato bruciato sul tempo dalla Corte Costituzionale. Ora procediamo rapidamente. Attraverso il nome delle madri passano le biografie e le storie delle donne».

Francesco Grignetti per “La Stampa” il 28 aprile 2022.

Una piccola grande rivoluzione investirà le famiglie italiane. Grazie a una sentenza della Corte costituzionale, si può dire addio al cognome paterno. O quantomeno, addio agli automatismi. 

Dopo lunga attesa, infatti, visto che il Parlamento non decide, la Corte costituzionale ha cancellato con un colpo di spugna tutte le norme che prevedono questo automatismo: le ha dichiarate incostituzionali, illegittime, e perciò non più inapplicabili.

A questo punto il Parlamento dovrà legiferare in tutta fretta, perché non può bastare una sentenza che ha stabilito un principio costituzionale, e l'applicazione pratica deve essere necessariamente regolata con legge. 

È davvero una piccola grande rivoluzione che stravolge un costume millenario, ma attesa perché le norme censurate contrastano con la Costituzione e la Convenzione europea dei diritti dell'uomo.

«La Corte - viene spiegato con comunicato ufficiale - ha ritenuto discriminatoria e lesiva dell'identità del figlio la regola che attribuisce automaticamente il cognome del padre. Nel solco del principio di eguaglianza e nell'interesse del figlio, entrambi i genitori devono poter condividere la scelta sul suo cognome, che costituisce elemento fondamentale dell'identità personale». 

La famiglia è cambiata da un bel po'; ora deve adeguarsi anche l'ultima delle vecchie norme. «Un altro passo in avanti verso l'effettiva uguaglianza di genere nell'ambito della famiglia», commenta asciutta la ministra della Giustizia, Marta Cartabia, che è stata presidente della Corte negli anni passati e questa materia ben la conosce.

I supremi giudici avevano dato tempo al Parlamento, ma nessuna decisione è ancora in vista. Dunque cambiano essi le regole, come hanno chiesto lungamente le donne di questo Paese. 

«La regola diventa che il figlio assume il cognome di entrambi i genitori nell'ordine dai medesimi concordato, salvo che essi decidano, di comune accordo, di attribuire soltanto il cognome di uno dei due». 

Fissato il principio, però, occorre pur sempre una legge che ne regoli gli sviluppi. Sì, perché il figlio di una coppia avrà un doppio cognome, ma che succede alla generazione successiva? La legge dovrà stabilire anche se fratello e sorella dovranno seguire lo stesso ordine tra i due cognomi, oppure se l'ordine può essere diverso. «In mancanza di accordo sull'ordine di attribuzione del cognome di entrambi i genitori - prosegue la Corte - resta salvo l'intervento del giudice».

«Per anni - commenta a La Stampa la ministra per la Famiglia, Elena Bonetti, Iv - la politica ha rimandato questa scelta, che è inscritta nella nostra Costituzione. Finora i cognomi delle mamme, le loro storie personali, sono stati destinati ad essere cancellati dalla memoria collettiva. È davvero tempo di cambiare e di dare al Paese una legge che riconosca la piena parità di dignità tra padri e madri anche nell'attribuzione del cognome ai figli, allo stesso modo in cui è condivisa la responsabilità genitoriale». 

Bonetti assicura che il governo vuole arrivare a una legge in tempi brevi. «Non solo perché alle donne sia finalmente riconosciuto il diritto di scegliere di dare ai figli anche il proprio cognome, ma perché ai figli non sia negato il diritto all'integrità della loro storia personale».

Nel 2016, con una storica sentenza firmata da Giuliano Amato come relatore, la Corte aveva già definito «indifferibile» l'intervento del legislatore, «secondo criteri finalmente consoni al principio di parità», sul cognome da attribuire ai figli. 

E di nuovo un anno fa, nel febbraio 2021, la Corte costituzionale aveva dato un'altra picconata sulla questione del cognome paterno, definendolo «retaggio di una concezione patriarcale della famiglia» e di «una tramontata potestà maritale». 

In Parlamento nel frattempo si erano accumulate diverse proposte di legge nel disinteresse generale. E ora dice Simona Malpezzi, capogruppo del Pd al Senato: «Facciamo presto». Ma la Lega già tira il freno. Secondo Andrea Ostellari, presidente della commissione Giustizia del Senato, «bisogna prima attendere di leggere le motivazioni della Corte».

Liana Milella per “la Repubblica” il 28 aprile 2022.

La decisione della Consulta sui cognomi allinea l'Italia all'Europa?

«Come accade spesso, anche stavolta il nostro Paese arriva ultimo. Ci sono voluti 35 anni di casi simili e innumerevoli moniti al Parlamento per garantire l'uguaglianza», spiega Alexander Schuster, l'avvocato civilista di Bolzano, esperto di diritto di famiglia, autore di ricorsi sia in Cassazione che alla Cedu proprio su questo tema.

Il principio non era già nella Costituzione?

«Già nel 1947, la Carta imponeva all'articolo 29 l'uguaglianza morale e giuridica dei coniugi. Ma ci sono voluti 80 anni per arrivare al traguardo». 

Cosa succede in concreto?

«Sarà possibile per due genitori dare al figlio il cognome del solo padre, della sola madre, o di entrambi nell'ordine desiderato». 

La Corte parla però del cognome di entrambi i genitori, non di uno solo.

«La regola principale diventa quella del doppio cognome, ma la coppia, se è d'accordo, può fare quello che vuole: dare un solo cognome o tutti e due, nell'ordine che preferisce.

Non c'è alcun automatismo».

Quando nasce il bambino i genitori che dovranno fare?

«Ogni coppia potrà decidere. Come si accordava sul nome o sul prenome, domani dovrà concordare anche il cognome e, se sarà doppio, anche l'ordine di sequenza». 

Finora il cognome era solo quello del padre.

«Non è così, dal 2016 la Corte aveva già consentito di posporre, o aggiungere in coda, quello della madre. Mentre adesso l'ordine potrà cambiare: prima quello della madre e poi quello del padre, oppure solo quello della madre».

Se i genitori hanno due cognomi ciascuno cosa succede al figlio?

«Occorrerà vedere se la sentenza affronta questo aspetto. Oppure questo e altri problemi dovranno trovare risposta nell'intervento del Parlamento che la Corte sollecita». 

Che succede se i genitori non sono d'accordo?

«La via obbligata, come per altre questioni che coinvolgono la prole, sarà quella del giudice, con tutti i limiti di un tale scenario, in cui alla fine la soluzione potrebbe essere proprio il doppio cognome». 

È una sentenza storica?

«Sì. Finalmente si registra una piena uguaglianza dei genitori davanti alla legge e soprattutto ai figli».

La sentenza arriverà tra qualche settimana. Chi nasce oggi può ottenere il cognome della madre?

«Le sentenze di incostituzionalità sono retroattive. Tuttavia il bambino che è già nato, e che oggi ha già un cognome, non potrà cambiarlo solo con la richiesta dei genitori in Comune. Salvo che la Corte dia indicazioni differenti nella sentenza, la regola sarà che quel bambino, e per lui i suoi genitori, dovranno rivolgersi al tribunale o al prefetto: questa sarà la via più agevole, perché sarà alla portata di tutti e senza bisogno di avvocati».

Se la decisione della Corte vale anche per il passato non si rischia una montagna di richieste?

«Può essere. Il numero dipenderà dai genitori italiani e dalla loro volontà di sganciarsi dalla tradizione del cognome paterno». 

La nuova regola per chi vale?

«Sicuramente vale per le coppie coniugate, anche in caso di adozione congiunta, e per quelle eterosessuali che non hanno contratto matrimonio. Invece per quelle dello stesso sesso, essendo negato ai loro figli il diritto di avere subito un secondo genitore, il cognome potrà essere del solo genitore riconosciuto. Solo la sentenza potrà chiarire se la nuova regola varrà anche per l'adozione di una coppia dello stesso sesso».

Codici fiscali e sentimenti. Storia della trattativa Stato-Anagrafe sul mio doppio cognome (che c’è anche se non c’è). Assia Neumann Dayan su L'Inkiesta il 29 Aprile 2022.

La madre è sempre certa, eppure grazie alla sentenza della Corte costituzionale ora i figli non avranno proprio più dubbi sull’identità della mamma, oltre che del papà. Ma siamo sicuri sia una scelta saggia nel Paese in cui è regola non scritta trasmettere al figlio il nome del nonno? 

Avrei voluto scrivere di come e perché io sia rimasta intrappolata per quasi un’intera giornata all’interno dell’anagrafe di Milano per farmi togliere il secondo nome, ma la Corte costituzionale ha pensato bene di distrarre l’opinione pubblica dai miei gravissimi problemi anagrafici aggiungendone dei nuovi. Inizierò quindi dalla fine di questa mia lunga storia personale fatta di nomi e cognomi, di codici fiscali e sentimento: quando è morto mio padre, sebbene sui miei documenti non ci fosse il suo cognome, nessuno mi ha mai chiesto l’esame del DNA, e ok che è scritto su Wikipedia che sono sua figlia, ma qua parliamo di questioni da tribunale internazionale, di rapporti diplomatici, di trattative Stato-Anagrafe.

Mi imbambolavo davanti all’idea di vedermi in qualche talk show a raccontare la mia straordinaria storia di figlia senza prove, di discendente di prestigiosa stirpe senza cognome, ereditiera senza averne l’aria, figlia illegittima amatissima. E invece no, nessuno mi ha chiesto la prova ontologica o genetica di certificazione della stirpe, niente talk show, suo padre è morto firmi qui grazie e arrivederci.

La faccio breve, cosa che non è: i miei genitori non sono mai stati sposati, ho solo il cognome di mia madre sui documenti, mio padre l’ho conosciuto che andavo alle elementari; per lui ero la più Dayan di tutti i suoi figli, così come per mia nonna ero la più Dayan dei suoi nipoti -sì, ho un carattere frizzantino e una buona mira-, ci tenevano che usassi il loro cognome in società, pensando che mi avrebbe aiutato. Le uniche occasioni in cui mi è tornato utile sono state all’aeroporto di Tel Aviv: dicevo ai funzionari «sono Assia Dayan» e mi facevano passare in fretta. Abbiamo convenuto che ci fosse tempo per sbrigare le pratiche burocratiche per aggiungere il cognome sui documenti, non è così immediato vivendo in due stati diversi, ma non abbiamo fatto in tempo. Mio padre si chiamava Assi, io mi chiamo Assia, da queste parti preferiamo il didascalismo alla fantasia: e questo nome è l’unica cosa che mi rimane.

La Corte costituzionale ha dichiarato illegittime le norme che attribuiscono automaticamente il cognome paterno ai figli, definendo questa come una pratica «discriminatoria e lesiva dell’identità del figlio». Faccio una premessa: non so quanto questo doppio cognome sia utile o rappresentativo di buoni concetti, ma c’è da dire che le nuove generazioni perlomeno non avranno più dubbi su chi sia la loro mamma.

Come faccia il solo cognome paterno a essere lesivo dell’identità di qualcuno lo capisco solo se sei il figlio del mostro di Rostov: se questo fosse vero, tutti i nati prima del doppio cognome sono parte lesa, forse si può pensare a una class action, a un risarcimento miliardario, a un codice fiscale a scelta. La sentenza prosegue così: «Nel solco del principio di eguaglianza e nell’interesse del figlio, entrambi i genitori devono poter condividere la scelta sul suo cognome, che costituisce elemento fondamentale dell’identità personale».

Che il cognome rappresenti elemento identitario è piuttosto vero, è una delle poche cose che ci si porta dietro per tutta la vita: sta lì a ricordarti da dove vieni, chi sei, cosa sei stato, cosa sarai, cosa saranno i tuoi figli. Siccome l’aspetto identitario è tutto, mi sento di poter parlare in quanto vittima dell’anagrafe: non me ne è mai importato niente. Un Kennedy sarebbe stato felice di essere chiamato Bouvier e non Kennedy? Forse sì, a scansare le maledizioni. I miei fratelli e mia sorella che hanno il cognome Dayan sono più felici e figli di me? Forse giusto mia sorella che fa colazione sui Warhol. Questa è una sentenza femminista? Credo che il cognome paterno derivi dal fatto che, insomma, della mamma siamo certi, dei padri meno; difficilmente dimenticherò l’ostetrica che mi spiega che il gruppo sanguigno alla nascita non si fa più perché si erano verificati troppi casi di padri che non lo erano.

La Corte costituzionale prosegue: «Pertanto, la regola diventa che il figlio assume il cognome di entrambi i genitori nell’ordine dai medesimi concordato, salvo che essi decidano, di comune accordo, di attribuire soltanto il cognome di uno dei due. In mancanza di accordo sull’ordine di attribuzione del cognome di entrambi i genitori, resta salvo l’intervento del giudice in conformità con quanto dispone l’ordinamento giuridico». Membri della Corte costituzionale, voi state parlando a una nazione dove se al primogenito non si dà il nome del nonno si passa per direttissima dal battesimo al divorzio, state parlando di codici fiscali incalcolabili, state fornendo estrosi moventi per intasare i tribunali: signori giudici, siete proprio sicuri?

Rivoluzione Consulta: il cognome del padre non sarà più automatico. Sentenza storica della Corte costituzionale: il figlio assumerà automaticamente il cognome di entrambi i genitori, a meno che non si accordino diversamente. Il Dubbio il 28 aprile 2022.

Sono «illegittime tutte le norme che attribuiscono automaticamente il cognome del padre» ai figli. A stabilirlo è la Corte costituzionale che ha ritenuto la regola «discriminatoria e lesiva dell’identità del figlio», sottolineando che «nel solco del principio di eguaglianza e nell’interesse del figlio, entrambi i genitori devono poter condividere la scelta sul suo cognome, che costituisce elemento fondamentale dell’identità personale».

Un risultato storico, che rappresenta una piccola rivoluzione, per gli avvocati Giampaolo Brienza e Domenico Pittella che hanno portato il caso davanti alla Corte Costituzionale. Da ora infatti la regola prevederà che il figlio assuma automaticamente il cognome di entrambi i genitori nell’ordine dai medesimi concordato, salvo che essi decidano, di comune accordo, di attribuire soltanto il cognome di uno dei due. In mancanza di accordo sull’ordine di attribuzione del cognome di entrambi i genitori, precisa la Corte, «resta salvo l’intervento del giudice in conformità con quanto dispone l’ordinamento giuridico». La Consulta ha quindi dichiarato l’illegittimità costituzionale di tutte le norme che prevedono l’automatica attribuzione del cognome del padre, «con riferimento ai figli nati nel matrimonio, fuori dal matrimonio e ai figli adottivi»: ora «è compito del legislatore regolare tutti gli aspetti connessi alla presente decisione». La sentenza con le motivazioni (relatrice è la giudice Emanuela Navarretta) sarà depositata nelle prossime settimane.

La rivoluzione della Consulta: ai figli anche il cognome della madre. Abbattuto l’ultimo retaggio patriarcale: per la Corte è «discriminatoria e lesiva dell’identità del figlio la regola che attribuisce automaticamente il cognome del padre». Ma ora la palla passa al legislatore: «Regolare tutti gli aspetti connessi alla decisione». Simona Musco su Il Dubbio il 28 aprile 2022.

Dopo decenni di inerzia legislativa, cade l’ultimo retaggio patriarcale del diritto di famiglia. E ad abbatterlo è stata la Consulta, che con la pronuncia di oggi ha garantito ai genitori il diritto di dare ai propri figli il cognome della madre, diritto finora negato dall’articolo 262 del codice civile. La Corte presieduta da Giuliano Amato ha infatti stabilito che è «discriminatoria e lesiva dell’identità del figlio la regola che attribuisce automaticamente il cognome del padre». E a questa decisione si è arrivati dopo 34 anni di inerzia legislativa, dopo la decisione della Corte costituzionale numero 176 del 1988 che, pur dichiarando inammissibili le questioni, aveva aperto alla possibilità di sostituire la regola vigente «con un criterio diverso, più rispettoso dell’autonomia dei coniugi», anziché «avvalersi dell’autorizzazione a limitare l’uno in funzione dell’altro».

Quell’invito al legislatore rimase inascoltato. Ma oggi il giudice delle leggi, che a gennaio dello scorso anno ha deciso di sollevare davanti a se stesso la questione costituzionale, ha dichiarato l’illegittimità di quell’automatismo, in contrasto con gli articoli 2, 3 e 117, primo comma, della Costituzione, quest’ultimo in relazione agli articoli 8 e 14 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Per la Corte, dunque, «entrambi i genitori devono poter condividere la scelta» sul cognome, «elemento fondamentale dell’identità personale». In mancanza di accordo sull’ordine di attribuzione del cognome di entrambi i genitori, resta salvo l’intervento del giudice in conformità con quanto dispone l’ordinamento giuridico. Ed ora la palla passa al legislatore, cui spetta il compito, afferma la Consulta, di «regolare tutti gli aspetti connessi alla presente decisione».

Sono due le vicende che hanno portato a quella che già viene definita «una sentenza storica». Il primo caso è quello sollevato dal Tribunale di Bolzano, relativo ad una coppia che voleva dare alla figlia – nata fuori dal matrimonio – il solo cognome della madre, che meglio si accordava col nome scelto. Ma ad impedirlo era appunto l’articolo 262 del codice civile, secondo cui «il figlio assume il cognome del genitore che per primo lo ha riconosciuto» e «se il riconoscimento è stato effettuato contemporaneamente da entrambi i genitori il figlio assume il cognome del padre». Il secondo caso, invece, è quello sollevato dal Tribunale di Potenza, ed investe in maniera ancora più importante l’interesse del minore e dell’omogeneità del gruppo familiare. La vicenda riguarda infatti il rifiuto opposto dal Comune alla richiesta di due coniugi di attribuire al figlio minore il solo cognome della madre, scelta motivata dal fatto che le due sorelle del piccolo, nate prima del matrimonio, portano il solo cognome materno, essendo state riconosciute solo successivamente dal padre. Da qui la volontà di garantire al bambino la possibilità di crescere in un nucleo familiare omogeneo: cambiare cognome alle sorelle significherebbe infatti stravolgere la loro identità.

«La scelta – si legge nella memoria dell’avvocato e consigliere del Consiglio nazionale forense Giampaolo Brienza, coadiuvato dall’avvocato Domenico Pittella – non è motivata da un “capriccio”, ma dall’esigenza di prendere la migliore decisione nell’interesse» del bambino «e degli altri figli». Ancor prima di una violazione del principio di eguaglianza tra i coniugi, infatti, ad essere violato sarebbe «il diritto dei fanciulli alla propria identità, alla pari dignità e all’unitarietà familiare». E la Consulta ha dato loro ragione. «La Corte Costituzionale, con la storica pronuncia, dà tutela effettiva alla vita privata e familiare ponendo fine alla ingiusta ingerenza che lo Stato finiva per esercitare sui componenti la famiglia – ha commentato Brienza -. Infatti nel nostro tempo, in un mondo globalizzato, si vede il concetto di famiglia uscire fuori dai canoni tradizionali, assumendo diverse e nuove forme. La società in continua evoluzione trova oggi al suo fianco il diritto, che con essa pure si evolve. Così in piena applicazione dell’articolo 8 della Cedu la Corte Costituzionale, ponendo in essere tutto quanto necessario per facilitare la tutela della vita privata e familiare, rende lo Stato italiano moderno, facendo sì che tutti i membri di una famiglia se ne sentano parte. Così l’Italia, Stato membro dell’Unione europea, acquista una visione proiettata nel futuro verso una piena armonizzazione con gli altri Stati membri». Si tratta, insomma, di «una piccola rivoluzione».

L’iter che ha portato alla decisione parte da lontano. Dopo la pronuncia del 1998, infatti, la Consulta nel 2006, con la sentenza numero 61, aveva rimarcato come a distanza di 18 anni «l’attuale sistema di attribuzione del cognome è retaggio di una concezione patriarcale della famiglia», frutto «di una tramontata potestà maritale, non più coerente con i principi dell’ordinamento e con il valore costituzionale dell’uguaglianza tra uomo e donna». L’ultima pronuncia, quella del 2016, ha segnato un ulteriore passo in avanti, garantendo la possibilità del doppio cognome e sancendo «l’irragionevole disparità di trattamento tra i coniugi, che non trova alcuna giustificazione nella finalità di salvaguardia dell’unità familiare». Ma a pronunciarsi in merito è stata anche la Cedu, che nel 2014, con la sentenza “Cusan e Fazzo contro Italia”, ha censurato l’impossibilità di attribuire il solo cognome materno, stabilendo la violazione dell’articolo 14 (divieto di discriminazione) e dell’articolo 8 (diritto al rispetto della vita privata e familiare), a causa di una lacuna del sistema giuridico italiano. Il legislatore, però, è rimasto inerte.

Le proposte non mancano: in Senato è infatti depositato un disegno di legge a prima firma della capogruppo del M5S in commissione Cultura, Danila De Lucia, ma ce ne sono altri presentati da quasi tutti i partiti, compreso il Pd, che per voce della presidente dei senatori Simona Malpezzi, ha espresso soddisfazione, ma anche amarezza perché, «per l’ennesima volta, la Corte è arrivata prima del legislatore. Ora chiediamo al presidente della commissione Giustizia Ostellari che si adoperi perché il provvedimento venga approvato rapidamente e in piena aderenza a quanto stabilito dalla Corte». E a replicare, a stretto giro, è stato proprio Andrea Ostellari: «Il ddl è già stato incardinato e l’iter della Commissione Giustizia prevede che ora si svolgano le audizioni. La senatrice Malpezzi, se ritiene la questione effettivamente prioritaria, si adoperi per accelerare i lavori. Da parte nostra non ci sono preclusioni». Ma la sentenza «merita un’attenta analisi».

Pesaro, doppio cognome a una bimba. Primo caso in Italia. Claudio Del Frate su Il Corriere della Sera il 29 Aprile 2022.

Il tribunale ha applicato quanto stabilito dalla Corte Costituzionale con la sentenza del 27 aprile ordinando all’anagrafe di aggiungere al cognome del padre anche quello della madre.  

Il tribunale di Pesaro, per la prima volta in Italia, ha applicato quanto stabilito dalla Corte Costituzionale che consente di dare ai figli anche il cognome della madre. I giudici hanno infatti ordinato all’anagrafe di un piccolo comune marchigiano di modificare l’atto di nascita di una bambina aggiungendo al cognome paterno anche quello della madre. È stata quest’ultima ad appellarsi al tribunale chiedendo che fosse riconosciuto in questo modo lo sforzo compiuto per crescere la figlia, dopo la fine della relazione con il padre di lei. Quest’utimo si è fino all’ultimo opposto all’adozione del doppio cognome.

Nel loro decreto, i giudici di Pesaro fanno esplicito riferimento al provvedimento adottato dalla Corte Costituzionale il 27 aprile (e non ancora ufficialmente depositato): «Rilevato che la Corte Costituzionale ha riconosciuto il pieno diritto del figlio di adottare il cognome materno, anche in assenza di un accordo con il padre, si ordina che...» e di seguito vengono date disposizioni agli ufficiali dell’anagrafe.

«Che si sappia è il primo caso in Italia che accoglie il pronunciamento dei giudici costituzionali» spiega l’avvocato Andrea Nobili del foro di Ancona, che con il collega Bernardo Becci ha seguito il caso. «Però un pronunciamento in questo senso non è stato un fulmine a ciel sereno - aggiunge - dal momento che la giurisprudenza europea e altre sentenze avevano in qualche misura già anticipato quanto stabilito dagli “ermellini”».

Il legale inquadra poi così la situazione che ha condotto alla sentenza: «La nostra assistita aveva una relazione con un uomo con cui non era sposata; da questo legame è nata una figlia ma poco dopo la storia tra lui e lei è terminata. Benché il padre della bimba sia sempre stato presente e non si sia disinteressato dell’educazione della bimba, la madre ha chiesto che venisse riconosciuto, almeno su un piano di parità il ruolo da lei avuto nell’educare e crescere la piccola. Per questa ragione, due mesi fa, abbiamo presentato il nostro ricorso al tribunale».

La pronuncia della Corte. Doppio cognome, il vero motivo (liberale) per cui è assurdo. Corrado Ocone l'1 Maggio 2022 su Nicolaporro.it.

Fra i tanti argomenti di buon senso che sono stati portati, anche su queste pagine, per criticare la pronuncia della Corte costituzionale sull’uso del doppio cognome, mi sembra che ne sia mancata una di principio e propriamente liberale. È qui forse opportuno portare questo punto all’attenzione dei lettori, anche perché la Corte proprio sul terreno dei principi ha posto a questione: non solo definendo discriminatoria e lesiva dell’identità del figlio la regola che gli attribuisce automaticamente il cognome del padre, ma anche invocando il principio di uguaglianza presente nella Costituzione.

Certo, la Carta va interpretata e fatta vivere nel tempo, ma ciò non significa che lo si debba fare necessariamente in senso “progressivo”, come oggi una certa ideologia comune vorrebbe. Pur non essendo un costituzionalista, la mia impressione è che sia sbagliata, o meglio illiberale, proprio la “filosofia” che sta alla base della pronuncia della Corte, che è poi l’idea di voler imporre per via politica o giuridica una norma alla società anche se essa non sia affatto emersa dalla società stessa come un improrogabile bisogno. Insomma, è qui all’opera, a me sembra, il solito costruttivismo, cioè la superbia del legislatore che crede di saperne più di coloro, uomini e donne ovviamente, a cui la legge si applicherà, e che quindi in base a un principio astratto vuole “ridisegnare” e “raddrizzare” la società “storta” che abbiamo ereditato.

In questo, davvero, il diritto consuetudinario anglosassone dimostra una netta “superiorità  morale” su quello razionalistico continentale, il quale non tiene in conto che la razionalità è anche quella che si sedimenta nelle tradizioni di una società. Che ovviamente non sono e non vanno concepite come statiche, ma che non possono essere resettate senza che se ne siano verificate le condizioni. E sinceramente questo sentirsi discriminati per non avere un doppio cognome non mi pare proprio che sia un problema particolarmente avvertito dalle donne e dagli uomini di questa nostra Italia martoriata (e con ben più gravi problemi da affrontare). 

C’è poi più in generale, alla base di tutto, un problema filosofico che andrebbe affrontato, anche se non si richiede certo al legislatore di farlo. Bisognerebbe cioè chiedersi cosa significhi effettivamente il principio di uguaglianza in una società libera: può essere un assoluto? Può essere assunto come ispiratore di ogni norma? Ora, a parte il fatto ben risaputo che una cosa è l’uguaglianza e un’ altra è l’ugualitarismo, il quale, volendo eliminare le differenze fra gli umani, finisce per essere esso stesso discriminante, il fatto da considerare e tenere ben presente come quel principio abbia una forza altamente corrosiva e vada quindi usato con sagacia e discernimento.

Pretendere che istituzioni come la scuola, la famiglia, l’impresa, seguano il modello democratico e abbandonino ogni principio gerarchico, significa semplicemente farle morire, e far morire con loro la stessa società. Un minimo di gerarchia, e distinzioni delle funzioni, ci vuole sempre, anche se se poi e giustamente la gerarchia non va concepita in modo astratto e rigido. Ognuno di noi, anche l’uomo più potente, è “signore” per certi versi e “servo” per altri, in un rapporto che può cambiare ma che non può essere eliminato. Oggi le donne si sono “emancipate” per molti versi, ed è un bene. Così come un bene è sicuramente che questo processo continui. Ridurre però a facili schematismi i rapporti di potere, e pensare che essi semplicemente possano sparire dalla faccia della terra, è non solo utopistico ma anche deleterio. Altri se ne creerebbero con la pretesa di non esserlo. E sarebbero i più pericolosi. Corrado Ocone, 1 maggio 2022   

Il cognome della madre ai figli, una battaglia per i diritti delle donne. In Senato è partito l'iter per unificare cinque diversi disegni di legge in un testo unico per dare la possibilità alle madri di trasmettere il loro cognome ai figli. Laura Garavini, senatrice di Italia Viva, ha presentato uno di questi disegni di legge. CHIARA PIZZIMENTI su Vaniy fair il 20 febbraio 2022.  

È una maggioranza trasversale quella che sta sostenendo in Senato la legge sulla possibilità di attribuire il cognome della madre. In commissione Giustizia è partito l'esame dei cinque disegni di legge presentati sul tema da riunire in un testo unico. Il relatore è Francesco Urraro della Lega, i testi vengono da diverse parti politiche. Uno di questi è stato presentato da Laura Garavini, che aveva già presentato una proposta nella precedente legislatura che si era arenata in Senato dopo l'approvazione alla Camera.

«Venendo a contatto con tante realtà europee diverse, perché eletta nella circoscrizione estero Europa», spiega la senatrice, «ho sempre avvertito molto quanto il poter scegliere il cognome da attribuire ai figli fosse da un lato apprezzato dai genitori che ne avevano la possibilità e dall'altro quanti ambissero a poterlo fare». E aggiunge: «Mi sono confrontata con tante nostre connazionali che all'estero hanno vissuto situazioni paradossali. All'estero potevano dare il doppio cognome, ma lo vedevano cambiato dalle autorità italiane».

Proprio a eliminare lo squilibrio normativo esistente puntano tutti i disegni di legge. «Esiste attualmente in Italia, con un lungo iter, la possibilità soltanto di aggiungere il cognome materno. Con la nuova legge questo iter sarebbe semplificato e non solo». Il ddl della senatrice Garavini (e gli altri sono simili) prevede il diritto per i genitori di assegnare il cognome secondo il loro volere: quello paterno, quello materno o entrambi nell'ordine desiderato. Senza accordo sull'ordine si sceglie quello alfabetico. Se si hanno più figli vale per quanto deciso per il primo. Non è retroattivo, ma si può dare a figli adottivi e ai figli nati fuori dal matrimonio in caso di riconoscimento. Se ne trasmette poi soltanto uno.

L'ispirazione è il principio della parità che è nella Costituzione. È anche una necessità visto che l'Italia ha già avuto richiami dal Consiglio d'Europa e dalla Corte Europea dei diritti. Anche la Corte Costituzionale ha parlato della «violazione del principio di uguaglianza morale e giuridica dei coniugi».

Nella scorsa legislatura il provvedimento è arrivato alla Camera, ma si è arenato al Senato. La speranza è che anche l'appoggio già mostrato dalle ministre Elena Bonetti e Marta Cartabia porti le condizioni per l'approvazione. Anche la presidente del Senato Casellati si è spesa per la trattazione dell'iter parlamentare. «Nella precedente legislatura c'è stata una forte opposizione soprattutto da parte di colleghi uomini, segno di provincialismo e di un retaggio culturale patriarcale. Mi auguro che questa volta ci sia una maggioranza ampia e trasversale» conclude la senatrice Garavini.

Mortificano le vere lotte femministe, Hoara Borselli all'attacco delle barricate della sinistra per il cognome materno. Hoara Borselli su Il Tempo il 20 febbraio 2022.

 Le frasi e le declinazioni al femminile, gli asterischi, la schwa: per la sinistra le parole sono fondamentali e inclusive, tanto che finisce per perdersi in sterili battaglie ideologiche sulle lettere. L'ultima «conquista» di genere arriva dalle parole pronunciate dal ministro delle Pari opportunità, Elena Bonetti, in un'intervista rilasciata al Corriere il 18 Febbraio, sul provvedimento, in corso di approvazione al Senato, che permetterebbe alle donne di attribuire al figlio il proprio cognome. La Bonetti ribadisce: «Ai figli il cognome della madre. Basta rinviare la libertà delle donne».

Difficile, se non impossibile, trovare un nesso logico tra l'attribuzione del cognome della madre ai figli e la conquista di libertà per le donne. Se il senso delle lotte femministe nostrane per l'emancipazione della donna passa dal nome di appartenenza, è il caso di ricordare loro quali battaglie hanno dovuto affrontare le nostre paladine per portare in dote al genere femminile conquiste come la legge 898 sul divorzio del 1° Dicembre 1970 e la 194 sull'aborto, del 22 Maggio 1978. E poi la riforma dello stato di famiglia, e l'abolizione del reato di adulterio (che era un reato esclusivamente femminile), per non parlare del diritto di entrare in magistratura (1964) e nel governo col rango di ministro (1976). Un tempo le femministe combattevano per ideali concreti per migliorare veramente la condizione della donna. Sessualità, stupro, violenza domestica, costruzione degli asili, erano ciò per cui venivano riempite le piazze con vere rivoluzioni culturali. Oggi quelle stesse femministe, di fronte alla proposta della Bonetti, lancerebbero il loro il fazzoletto rosa al vento, in segno di resa. «La battaglia dei cognomi» può calare un mesto sipario su quello che fu, e aprire scenari desolanti su ciò che sarà. Immersi nella sterile narrazione di un politicamente corretto esasperato, che non consente di parlare delle donne come persone che si possono difendere.

Il MeToo ha consegnato l'immagine del genere femminile come quella di un burattino fragile e senza coraggio. Un femminismo negazionista che per affermare il giusto principio di difesa, di quello che un tempo veniva definito «sesso debole», non ammette riflessioni e tratta le ragazze come esseri inconsapevoli, in balia degli eventi, destinate ad essere dominate dagli uomini. Attribuire ai figli il cognome della madre è veramente la conquista di emancipazione cui si sentiva il bisogno? L'enigma del cognome pone poi un ulteriore quesito sterile: se i genitori non dovessero trovare l'accordo per il nome cosa succede? A questa domanda il ministro Bonetti propone che venga attribuito il doppio cognome in ordine alfabetico, mozione che viene subito rimandata alla mittente nell'intervista in quanto viene fatto notare che in questo modo, tra qualche generazione, i bambini avranno decine di cognomi. La risposta del ministro di IV è degna del miglior Antani di «Amici Miei»: «Innanzitutto non è obbligatorio aggiungere entrambi i cognomi. Si può decidere per uno solo, quello della madre o del padre indifferentemente. Il legislatore cercherà sicuramente di semplificare, ma la semplicità non consiste di certo nell'attribuire in automatico, e sempre, il cognome del padre, come avviene adesso».

Ci troviamo di fronte all'ennesima sterile controversia ideologica di sinistra. Per i democratici, la battaglia contro la nomenclatura parentale diventa una priorità essenziale, riducendo e depotenziando gli argomenti concreti per le donne come le discriminazioni sul lavoro o le adozioni. Al contrario è più proficuo perdersi nel politicamente corretto della linguistica per dare un segnale fatuo di rivoluzione culturale. Pochi giorni fa è stata promossa una raccolta firme «a difesa della lingua nostra» su change.org, dopo che il ministero dell'Istruzione aveva usato la schwa in un documento ufficiale, scatenando una petizione contro il famigerato asterisco in quanto «frutto di un perbenismo, superficiale e modaiolo, intenzionato ad azzerare secoli e secoli di evoluzione linguistica e culturale con la scusa dell'inclusività». Da madre mi sono chiesta se poter attribuire ai miei figli il mio cognome avrebbe legittimato il mio ruolo più di quanto già non lo sia. «No», mi sono risposta, anzi, se sentissi la necessità di vedermi un passo avanti rispetto al padre per sentirmi migliore, vorrebbe dire che il MeToo è stato invasivo nella mia testa più di quanto non lo sia stato un figlio nel mio corpo. 

Doppio cognome, Emanuela Folliero: “Che odissea per darlo a mio figlio. Ora approvate la legge”. Giovanna Casadio su La Repubblica il 19 febbraio 2022.

L’ex showgirl e la sua battaglia: "Con le nuove norme sarà tutto più facile, ora è impossibile: molte mie amiche si sono arrese". "Accidenti se è una buona idea la legge sul doppio cognome. Certo che lo è. Io ho dovuto lottare quattro anni per darlo a mio figlio Andrea, che ora ha 14 anni e di cognomi ne ha due, quello del padre e quello della madre, il mio, Folliero. L'avevo giurato a me stessa, per il mio orgoglio di donna che si è fatta da sola, e ci sono riuscita".

Cognome dei figli: normativa, giurisprudenza nazionale e Corte Edu e le sei proposte in Parlamento. Riccardo Radi su filodiritto.com il 17 Febbraio 2022

Giustizia: la matematica è un’opinione

È iniziato al Senato l’esame dei sei disegni di legge sulla disciplina civilistica relativa al cognome ai figli, che prevedono, con diverse soluzioni, l'attribuzione anche del cognome materno.

Alcune delle proposte di legge, poi, intervengono anche sulla normativa civilistica relativa al cognome dei coniugi. Le tante proposte riusciranno nell’intento di superare l'attribuzione automatica del cognome paterno, indicato dalla Corte Costituzionale, come un “retaggio di una concezione patriarcale della famiglia”? 

Cognome dei figli: quadro normativo

Cognome dei figli in Costituzione: Il diritto al nome trova riconoscimento a livello costituzionale nell'art. 22 Cost., secondo cui "nessuno può essere privato, per motivi politici, della capacità giuridica, della cittadinanza e del nome", da leggersi in combinato disposto con l'art. 2 Cost., che riconosce e garantisce in via generale i diritti inviolabili dell'uomo, tra i quali è pacificamente annoverato il diritto all'identità personale.

Il nome, secondo la Corte costituzionale, "assume la caratteristica del segno distintivo ed identificativo della persona nella sua vita di relazione (...) accanto alla tradizionale funzione del cognome quale segno identificativo della discendenza familiare" (Sentenza n. 13/1994).

Cognome dei figli nel Codice Civile: L'art. 6 del codice civile specifica che ogni persona ha diritto al nome comprensivo del prenome (ossia il nome) e del cognome, per i quali non sono ammessi cambiamenti o rettifiche se non nei casi e con le formalità richieste dalla legge. Per quanto concerne più direttamente la questione relativa alla scelta del cognome l'ordinamento italiano non contiene una norma che disciplina espressamente l'attribuzione del cognome al figlio legittimo.

La trasmissione del patronimico sembra doversi desumere da una lettura sistematica delle norme afferenti al cognome.

Preliminarmente alla disamina della normativa è opportuno osservare che tale disciplina è stata oggetto di un recente intervento della Corte costituzionale, la quale ha dichiarato l'illegittimità di ogni forma di automatica attribuzione del cognome paterno. In particolare, per quanto concerne il codice civile, l'art. 237, secondo comma c.c. in tema di possesso di stato, poneva - già nella sua formulazione anteriore al d.lgs. 154/2013 - come elemento costitutivo l'aver sempre portato il cognome del padre che si pretende di avere, per l’esame dell’articolo: Art. 237 del Codice civile.

L'art. 262 c.c., poi, prevede che "il figlio nato fuori dal matrimonio deve assumere il cognome del genitore che per primo lo ha riconosciuto; se il riconoscimento è contemporaneo di entrambi i genitori, il figlio assume il cognome del padre". Quando però la paternità viene accertata successivamente al riconoscimento della madre, spetta al figlio decidere se vuole assumere il cognome del padre aggiungendolo, anteponendolo o sostituendolo a quello della madre; se, invece, la filiazione è stata accertata o riconosciuta dopo l'attribuzione del cognome da parte dell'ufficiale dello stato civile, il figlio può mantenere il cognome precedentemente attribuitogli se è ormai diventato segno della sua identità personale, aggiungendolo, anteponendolo o sostituendolo a quello del genitore che successivamente l'ha riconosciuto.

Nel caso in cui il figlio sia minore la decisione sul cognome compete al giudice, previo ascolto del minore che abbia compiuto gli anni dodici e anche di età inferiore ove capace di discernimento. L'adottato di maggiore d'età aggiunge ai sensi dell'art. 299 c.c. il cognome dell'adottante premettendolo al proprio. La disposizione precisa che, nel caso di adozione compiuta da coniugi, l'adottato debba assumere il cognome del marito.

Ulteriori disposizioni in tema di nome sono poi dettate dal Regolamento per la revisione e la semplificazione dell'ordinamento dello stato civile di cui al d.P.R. 3 novembre 2000, n. 396. L'attuale art. 29, secondo co. del d.P.R. 396/2000 richiede - in relazione alla dichiarazione di nascita- l'enunciazione del prenome che si vuole attribuire. L'art. 33, co. 1, del DPR 396/2000, poi, prevede che "il figlio legittimato ha il cognome del padre, ma egli, se maggiore di età alla data della legittimazione, può scegliere, entro un anno dal giorno in cui ne viene a conoscenza, di mantenere il cognome portato precedentemente, se diverso, ovvero di aggiungere o di anteporre ad esso, a sua scelta, quello del genitore che lo ha legittimato".

Da ultimo l'art. 34 del d.P.R. n. 396 del 2000 vieta di imporre al bambino lo stesso prenome del padre vivente, allo scopo di evitare omonimie dovute all'identità del cognome. 

Cognome dei figli nelle fonti sovranazionali

A livello di fonti sovranazionali, la Carta di Nizza (2000) sui diritti fondamentali dell’Unione Europea, vincolante a seguito dell’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, vieta ogni forma di discriminazione basata sul sesso (art. 21) nonché l’obbligo di assicurare la parità tra uomini e donne in tutti i campi (art. 23).

Per quanto riguarda in particolare l'attribuzione del cognome l'articolo 16 della Convenzione sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione nei confronti della donna (adottata a New York il 18 dicembre 1979 e ratificata dall’Italia con legge 14 marzo 1985 n. 132) impegna gli Stati aderenti a prendere tutte le misure adeguate per eliminare la discriminazione nei confronti della donna in tutte le questioni derivanti dal matrimonio e nei rapporti familiari, ed in particolare ad assicurare, in condizioni di parità con gli uomini, gli stessi diritti personali al marito e alla moglie, compresa la scelta del cognome (lett. g).

Ancora, le raccomandazioni n. 1271 del 1995 e n. 1362 del 1998 (e ancor prima con la risoluzione 37/1978), del Consiglio d'Europa hanno affermato che il mantenimento di previsioni discriminatorie tra donne e uomini riguardo alla scelta del nome di famiglia non è compatibile con il principio di eguaglianza sostenuto dal Consiglio stesso, ha raccomandato agli Stati inadempienti di realizzare la piena eguaglianza tra madre e padre nell’attribuzione del cognome dei loro figli, di assicurare la piena eguaglianza in occasione del matrimonio in relazione alla scelta del cognome comune ai due partners, di eliminare ogni discriminazione nel sistema legale per il conferimento del cognome tra figli nati nel e fuori del matrimonio.

Infine gli articoli 8 e 14 della CEDU sanciscono rispettivamente il diritto al rispetto della vita privata e familiare (norma che involge comunque ogni aspetto della identificazione personale) e il divieto di ogni forma di discriminazione. 

Cognome dei figli e le sentenze Corte Edu

Proprio per la violazione di tali disposizioni l'Italia è stata condannata dalla Corte europea dei diritti dell’uomo con la Sentenza 7 gennaio 2014 (Cusan e Fazio c. Italia).

Il giudice di Strasburgo - mutando in parte il proprio precedente orientamento (Sentenze - di inammissibilità- 12.4.1996, ric. 22940/93 e 6.5.2008, ric. 33572/02) - ha ritenuto la preclusione all’assegnazione al figlio del solo cognome materno una forma di discriminazione basata sul sesso che viola il principio di uguaglianza tra uomo e donna. In proposito la Corte ha rammentato che “l’articolo 8 della Convenzione non contiene alcuna disposizione esplicita in materia di cognome ma che, in quanto mezzo determinante di identificazione personale (Johansson c. Finlandia, n. 10163/02, § 37, 6 settembre 2007, e Daróczy c. Ungheria, n. 44378/05, § 26, 1° luglio 2008) e di ricongiungimento ad una famiglia, ciò non di meno il cognome di una persona ha a che fare con la vita privata e familiare di questa. Il fatto che lo Stato e la società abbiano interesse a regolamentarne l’uso non è sufficiente ad escludere la questione del cognome delle persone dal campo della vita privata e familiare, intesa come comprendente, in certa misura, il diritto dell’individuo di allacciare relazioni con i propri simili”.

In relazione all’art. 14 della Convenzione, si legge nella sentenza che “nella sua giurisprudenza, la Corte ha stabilito che per discriminazione si intende il fatto di trattare in maniera diversa, senza giustificazione oggettiva e ragionevole, persone che si trovano, in un determinato campo, in situazioni comparabili”; in relazione al caso dedotto in giudizio “la Corte è del parere che, nell’ambito della determinazione del cognome da attribuire al «figlio legittimo», persone che si trovavano in situazioni simili, vale a dire il ricorrente e la ricorrente, rispettivamente padre e madre del bambino, siano stati trattati in maniera diversa. Infatti, a differenza del padre, la madre non ha potuto ottenere l’attribuzione del suo cognome al neonato, e ciò nonostante il consenso del coniuge”.

Più in generale, la Corte di Strasburgo è intervenuta su diversi profili afferenti al diritto al nome: dalla libertà dei genitori di scegliere il prenome dei figli (Sentenze 24.10.1996 ric. 22500/93 e 6. 12.2007 ric. 10163/02), ai requisiti per ottenere il cambiamento del cognome (Sentenza 25.11.1994, ric. 18131/91), alla conservazione di un cognome già acquisito e diventato segno identificativo della personalità (Sentenza 22.2.1994 ric. 16213/90).

Per quanto concerne la giurisprudenza della Corte di giustizia UE, il tema dell'attribuzione del cognome ai figli è affrontato in particolare in due Sentenze del 2003 e del 2008. Nella decisione 2 ottobre 2003 (caso C-148/02, Carlos Garcia Avello c. Belgio), la Corte di Lussemburgo ha affermato che costituisce discriminazione in base alla nazionalità (e dunque violazione degli artt. 12 e 17 del Trattato) il rifiuto da parte dell'autorità amministrativa di uno Stato membro di consentire che un minore avente doppia nazionalità possa essere registrato allo stato civile col cognome cui avrebbe diritto secondo le leggi applicabili nell'altro Stato membro (nel caso di specie, i minori in questione - aventi nazionalità belga e spagnola - erano stati registrati dall'ufficiale di stato civile belga con il doppio cognome del padre, in ottemperanza alla legge belga che attribuisce ai figli lo stesso cognome del padre, invece che col primo cognome del padre seguito dal cognome della madre, come previsto dalle leggi e dalle consuetudini spagnole.

Conseguentemente, detti minori risultavano chiamarsi Garcia Avello in Belgio e Garcia Weber in Spagna, con conseguenti problemi di carattere pratico, oltre che personale). Facendo seguito alla Sentenza del 2003, il Tribunale di Bologna, con decreto del 9 giugno 2004, ha stabilito che "la doppia cittadinanza del minore legittima i suoi genitori a pretendere che vengano riconosciuti nell'ordinamento italiano il diritto e la tradizione spagnoli per cui il cognome dei figli si determina attribuendo congiuntamente il primo cognome paterno e materno: solo così sono garantiti al minore il diritto ad avere riconosciuta nell'ambito dell'Unione una sola identità personale e familiare e ad esercitare tutti i diritti fondamentali attribuiti da ciascuna delle normative nazionali, spagnola ed italiana, cui egli è legato da vincoli di pari grado e intensità".

La sentenza 14 ottobre 2008 (caso C353/06, Grunkin v. Germania) costituisce il corollario della precedente decisione. Le circostanze di fatto appaiono in parte diverse dal precedente caso: il figlio dei coniugi Grunkin ha la sola cittadinanza tedesca e i suoi genitori chiedono non allo Stato ospitante, la Danimarca, bensì allo Stato di origine, la Germania, il riconoscimento del doppio cognome attribuito secondo legislazione danese. In questo caso non viene evidentemente in rilievo una disparità di trattamento fondata sulla nazionalità atteso che le autorità hanno applicato al minore la stessa regola riservata a tutti cittadini tedeschi.

Trovano invece applicazione i principi relativi alla cittadinanza europea e alla libertà di circolazione: il cittadino di uno Stato membro che abbia circolato in un altro Stato ha il diritto di conservare il cognome attribuito secondo la legislazione dello Stato di residenza; il cognome così attratto alla sfera del diritto comunitario prevale su norme interne dello Stato di origine eventualmente difformi.

Pur in assenza di un parametro testuale espressamente dedicato al nome, applicando i principi comunitari di cittadinanza europea, libertà di circolazione e divieto di discriminazione in base alla nazionalità, la giurisprudenza europea consegue l'effetto di tutelare l'identità personale del singolo, come soggetto che deve essere registrato e conosciuto come la stessa e unica persona in tutti gli Stati membri. 

Cognome dei figli e la giurisprudenza nazionale

La questione relativa all'attribuzione del cognome è stata oggetto poi di un ampio dibattito anche nella giurisprudenza nazionale.

Per quanto concerne la giurisprudenza costituzionale, si segnala la sentenza 8 novembre 2016, n. 286, con la quale la Corte costituzionale ha accolto la questione di legittimità costituzionale sollevata dalla Corte di appello di Genova sul cognome del figlio di una coppia italo brasiliana, dichiarando l’illegittimità della norma (desumibile dagli artt. 237, 262 e 299 c.c., 33 e 34 del d.P.R. 396/2000) che non consente ai coniugi di comune accordo di trasmettere ai figli, al momento della nascita, anche il cognome materno; nonché degli art. 262, primo comma e 299, terzo comma, c.c nella parte in cui - con riguardo ai figli nati fuori dal matrimonio e agli adottati - prevedono l’automatica attribuzione del cognome paterno, in presenza di una diversa volontà dei genitori.

Tale decisione prende le mosse dalla rimessione effettuata nel 2013 dalla Corte d’appello di Genova, la quale ha sollevato − in riferimento agli artt. 2, 3, 29, secondo comma, e 117, primo comma, della Costituzione – questione di legittimità costituzionale della norma desumibile dagli artt. 237, 262 e 299 del codice civile, 72, primo comma, del regio decreto 9 luglio 1939, n. 1238 (Ordinamento dello stato civile) e 33 e 34 del d.P.R. 3 novembre 2000, n. 396 (Regolamento per la revisione e la semplificazione dell’ordinamento dello stato civile, a norma dell’articolo 2, comma 12, della L. 15 maggio 1997, n. 127), nella parte in cui prevede "l’automatica attribuzione del cognome paterno al figlio legittimo, in presenza di una diversa contraria volontà dei genitori".

Il giudice rimettente denuncia, in primo luogo, la violazione dell’art. 2 Cost., in quanto verrebbe compresso il diritto all’identità personale, che implica il diritto del singolo individuo di vedersi riconoscere i segni di identificazione di entrambi i rami genitoriali.

Viene, inoltre, evidenziato il contrasto con gli artt. 3 e 29, secondo comma, Cost., poiché sarebbe leso il diritto di uguaglianza e pari dignità dei genitori nei confronti dei figli e dei coniugi tra di loro.

La Corte Costituzionale, nell’esaminare la questione sottopostale, l’ha ritenuta fondata, censurando la norma sull’automatica attribuzione del cognome paterno nella parte in cui non consente ai genitori – i quali ne facciano concorde richiesta al momento della nascita – di attribuire al figlio anche il cognome materno.

La Corte rileva come a distanza di molti anni dalla precedente sentenza del 2006 (vedi supra) nel nostro ordinamento non sia stato ancora introdotto un “criterio diverso, più rispettoso dell’autonomia dei coniugi”; neppure con il decreto legislativo 28 dicembre 2013, n. 154 (Revisione delle disposizioni vigenti in materia di filiazione, a norma dell’articolo 2 della legge 10 dicembre 2012, n. 219), con cui il legislatore ha posto le basi per la completa equiparazione della disciplina dello status di figlio legittimo, figlio naturale e figlio adottato, riconoscendo l’unicità dello status di figlio, è stata scalfita la norma oggi censurata.

Nella famiglia fondata sul matrimonio resta così attualmente preclusa la possibilità per la madre di attribuire al figlio, sin dalla nascita, il proprio cognome, nonché la possibilità per il figlio di essere identificato, sin dalla nascita, anche con il cognome materno.

La Consulta ritiene, in linea con la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, che tale preclusione pregiudichi il diritto all’identità personale del minore e, al contempo, costituisca un’irragionevole disparità di trattamento tra i coniugi, che non trova alcuna giustificazione nella finalità di salvaguardia dell’unità familiare.

Per tutte queste motivazioni la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale delle norme del codice civile richiamate anche se solo nella parte in cui, impongono, anche in presenza di una diversa e comune volontà dei coniugi, l'automatica trasmissione del cognome paterno.

In assenza dell’accordo dei genitori, pertanto, residua la generale previsione dell’attribuzione del cognome paterno.

In precedenza la Consulta era stata chiamata a pronunciarsi su un caso simile, in cui si chiedeva di sostituire il cognome materno a quello paterno (sentenza n. 61 del 2006).

In quell'occasione i giudici, pur definendo l'attribuzione automatica del cognome paterno un “retaggio di una concezione patriarcale della famiglia”, dichiararono inammissibile la questione, con una pronuncia in sostanza di “incostituzionalità accertata, ma non dichiarata”.

La Corte, infatti, pur riscontrando l'illegittimità della disciplina impugnata, ha ritenuto di pronunciarsi per l'inammissibilità della questione sollevata in ragione della necessità di non invadere con una sentenza di tipo manipolativo la sfera di discrezionalità politica riservata al legislatore.

Sul tema del cognome è recentemente re intervenuto il Giudice delle leggi, che, con l’ordinanza 11 febbraio 2021, n. 18 ha sollevato, disponendone la trattazione innanzi a sé, la questione di legittimità costituzionale del primo comma dell'articolo 262 c.c. nella parte in cui, in mancanza di diverso accordo dei genitori, impone l’acquisizione alla nascita del cognome paterno, anziché dei cognomi di entrambi i genitori.

Secondo la Consulta la suddetta disposizione del codice civile si porrebbe in contrasto con gli articoli 2, 3 e 117, primo comma della Costituzione, quest’ultimo in relazione agli artt. 8 e 14 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali.

La Corte, in questo caso giudice a quo della questione, era stata a sua volta investita dal Tribunale di Bolzano. Il giudice altoatesino, chiamato a decidere sul ricorso proposto dal PM, ai sensi dell’art. 95 del d.P.R. n. 396/2000 (Regolamento per la revisione e la semplificazione dell’ordinamento dello stato civile), al fine di ottenere la rettificazione dell’atto di nascita di una bambina, cui i genitori, non uniti in matrimonio, avevano concordemente voluto attribuire il solo cognome materno, prendeva atto che tale scelta dovesse considerarsi preclusa dal primo comma dell'articolo 262 c.c.

Questa disposizione, anche come interpretata dalla Sentenza n. 286 del 2016 della Corte costituzionale, non sembra riconoscere la possibilità per genitori, di comune accordo, di trasmettere al figlio, al momento della nascita, il solo cognome materno, essendo unicamente consentita l'assunzione in aggiunta al patronimico del cognome della madre.

Il Tribunale dubitava quindi della compatibilità costituzionale di tale preclusione, la quale si sarebbe posta in contrasto con l’art. 2 della Costituzione, sotto il profilo della tutela dell’identità personale; l’art. 3 Cost., sotto il profilo dell’uguaglianza tra donna e uomo, e con l’art. 117, I c., Cost., in relazione agli artt. 8 e 14 della CEDU, che trovano corrispondenza negli artt. 7 e 21 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (CDFUE), proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e adattata a Strasburgo il 12 dicembre 2007.

Il Giudice delle leggi richiama nell'ordinanza la propria pronuncia n. 286/2016. Dopo aver rilevato come il proprio monito ad una sollecita rimodulazione della disciplina non abbia avuto séguito, la Corte ritiene di non potersi esimere, ai fini della definizione del giudizio, dal risolvere pregiudizialmente le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 262, primo comma, c.c., nella parte in cui, in mancanza di diverso accordo dei genitori, impone l’automatica acquisizione del cognome paterno, anziché dei cognomi di entrambi i genitori, per contrasto con gli artt. 2, 3 e 117, c. I, Cost., quest’ultimo in relazione agli artt. 8 e 14 CEDU.

Con l'ordinanza n. 18 il Giudice costituzionale ha quindi disposto la rimessione davanti a sé delle questioni di legittimità costituzionale del primo comma dell'articolo 262 c.c., nella parte in cui, in mancanza di diverso accordo dei genitori, impone l’acquisizione alla nascita del cognome paterno, anziché dei cognomi di entrambi i genitori, in riferimento agli 2,3 e 117 Cost., poiché lo stesso meccanismo consensuale – che il rimettente vorrebbe estendere all’opzione del solo cognome materno – non porrebbe rimedio allo squilibrio e alla disparità tra i genitori.

Relativamente alla giurisprudenza di legittimità, (successiva alla sentenza del 2006 della Corte costituzionale), si segnala in primo luogo la decisione 14 luglio 2006, n. 16093 con la quale la Corte di Cassazione, seguendo le indicazioni della Consulta, conferma la sentenza con la quale si era negato ai ricorrenti l'accoglimento della domanda diretta ad ottenere la rettificazione dell'atto di nascita del minore in favore del cognome materno.

Successivamente la Corte di Cassazione ha ritenuto di modificare la propria posizione, (in ragione della sopravvenuta interpretazione dell'art. 117, co. 1 Cost, data dalla Corte costituzionale nelle sentenze n. 348 e 349 del 2007) con l'ordinanza interlocutoria 22 settembre 2008, n. 23934(1) (le cui argomentazioni sono peraltro riprese dal Giudice costituzionale nella sentenza del 2016). Con tale ordinanza la prima sezione della Cassazione - ritenendo che, in virtù del rinvio mobile contenuto nell'art, 117 Cost, l'art. 16 della Convenzione di New York e gli artt. 8 e 14 della CEDU dovessero imporsi sulla regola del patronimico- chiedeva infatti al Primo Presidente di valutare "se possa essere adottata un'interpretazione della norma di sistema (che impone nel caso di filiazione legittima l'attribuzione del cognome paterno) costituzionalmente orientata ovvero- se tale soluzione sia ritenuta esorbitante dai limiti dell'attività interpretativa- la questione possa essere rimessa nuovamente alla Corte costituzionale".

La Suprema Corte, peraltro, al fine di fugare ogni dubbio circa il possibile vuoto normativo derivante da un eventuale intervento manipolativo della Consulta, sempre in quella sede precisava che "la soluzione...appare... a rima obbligata, perché non si tratta di scegliere tra una pluralità di alternative, ma solo tra l'ammettere o escludere la possibilità di deroga alla norma di sistema, in un contesto in cui le altre fattispecie non resterebbero prive di regole, dovendo alle stesse comunque applicarsi la predetta norma implicita (ovvero la regola del cognome del padre)".

La giurisprudenza ha delineato la strada da percorrere, sarà in grado il Legislatore di dare una risposta in tempi brevi? Non vorremmo dover aspettare Godot.

Francesco Camp per "il Messaggero" il 12 febbraio 2022.

Fu lei a procurarsi i coltelli, poi rivolse una lama contro i famigliari del suo ragazzo, mentre quest'ultimo colpiva mortalmente il padre. Per questo la 27enne Annalisa Guarnieri, di Adria, è stata condannata a 21 anni di reclusione. Concorso in omicidio. 

Non fu lei a vibrare il fendente che uccise il 45enne Edis Cavazza, il 4 febbraio dello scorso anno, a Sant'Apollinare, alle porte di Rovigo nell'area che ospitava le roulotte della famiglia di origine sinti, ma è stata ritenuta comunque colpevole. A centrare l'uomo con un machete alla clavicola sinistra, provocando un'emorragia letale, secondo quanto emerso dalle indagini, sarebbe stato il suo allora fidanzatino, all'epoca 17enne. 

IL CONTESTO Un parricidio consumatosi in un clima di violenza e degrado, come emerso chiaramente e drammaticamente da testimonianze ed atti d'indagine che hanno tratteggiato un quadro di estrema marginalità. La Corte d'Assise di Rovigo non ha riconosciuto nei confronti della 27enne l'aggravante della premeditazione, inizialmente contestata.

Nonostante questo, però, è stato sostanzialmente confermato tutto l'impianto dell'accusa formulata nei suoi confronti dal sostituto procuratore Maria Giulia Rizzo, che ha coordinato le indagini della Mobile rodigina: secondo gli investigatori non solo sarebbe stata lei a procurarsi due machete, uno dei quali ha colpito a morte Edis Cavazza, comprandoli in una tabaccheria il 26 gennaio, 9 giorni prima del fatto, ma avrebbe anche rafforzato l'intento criminoso del ragazzo spronandolo a reagire alle prevaricazioni del genitore, oltre a tenere a bada con una lama i suoi familiari che si trovavano in una delle roulotte, minacciandoli in modo che non intervenissero a dividere padre e figlio, nel momento in cui l'omicidio si è consumato.

IL MAXI RISARCIMENTO Lo stesso pm Rizzo aveva chiesto una pena di 21 anni. La 27enne è stata condannata anche a pagare alla vedova e ai cinque figli minori della vittima, costituiti parte civile con l'avvocato Monica Violato del foro di Padova (mentre la sorella maggiore ha scelto di non farlo), un risarcimento di 1 milione e 800mila euro, pari a 300mila euro a testa. 

Il fidanzato, non ancora 18enne al momento del fatto, è a giudizio davanti al Tribunale dei minori di Venezia: qui è in corso l'udienza preliminare con rito abbreviato ed è stata accolta la richiesta del suo difensore, l'avvocato Alberto Zanner, di sottoporlo a perizia, per valutare maturità e capacità di intendere e volere. Il 9 marzo, sarà proprio il consulente a relazionare sulla perizia.

IN LACRIME La sentenza di condanna è stata letta dal presidente Angelo Risi alle 17.30, dopo due ore di camera di consiglio. L'imputata non è riuscita a trattenere le lacrime e, mentre la Corte si ritirava, ha chiesto spiegazione al proprio difensore, l'avvocato Sandra Passadore, singhiozzando ed appoggiandosi a lei, prima di essere portata via dagli agenti della polizia penitenziaria che l'hanno riaccompagnata nella casa circondariale femminile di Verona, dove si trova ormai da un anno.

Insieme al compagno, infatti, erano stati fermati già tre ore dopo il delitto, a Ceregnano, davanti a casa di suo padre, non appena scesi dall'Opel Zafira della vittima, che avevano preso per allontanarsi dal luogo della tragedia. È stato un processo lampo, la prima udienza è stata appena il 17 dicembre scorso. La difesa è già pronta ad impugnare la sentenza: «Faremo sicuramente appello», ha commentato l'avvocato Passadore.   

 "Via mamma e papà". Blitz delle toghe contro il dl Salvini. L'ordinanza, di fatto, annulla quanto determinato dal decreto firmato nel 2019 dall'allora ministro dell'Interno Matteo Salvini. Federico Garau il 17 Novembre 2022 su Il Giornale.

La dicitura neutra "genitore" da apporre sulle carte di identità è da ritenere valida: questa la sentenza pronunciata dal tribunale civile di Roma che, in sostanza, contrasta con quanto stabilito nel decreto Salvini del 31 gennaio 2019.

Il ricorso

I giudici hanno accolto il ricorso inoltrato contro tale normativa da due donne rappresentate da Rete Lenford e da Famiglie Arcobaleno. Queste ultime, una la madre naturale di una bambina e l'altra nel ruolo di madre adottiva, chiedevano di poter apporre sul documento della piccola la dicitura generica "genitore", anziché "padre" o "madre", secondo quanto determinato dal decreto firmato dall'allora ministro dell'Interno Matteo Salvini.

"Resta genitore 1 e 2", "Avanti" È scontro tra Garante e Salvini

Per effetto di tale sentenza, quindi, il Viminale dovrà riconoscere la dicitura neutra richiesta dalle due donne per la carta di identità della bambina. Il passo successivo è l'impegno del sindaco di Roma Gualtieri, "come ufficiale del Governo, ad indicare le qualifiche neutre di genitore in corrispondenza dei nomi delle ricorrenti". Ciò che significa, in concreto, apportare le modifiche "al software e/o all'hardware predisposto per la richiesta, la compilazione, l'emissione e la stampa delle carte d'identità elettroniche".

Il nodo

"Il giudice afferma che il decreto oltre a violare le norme, sia comunitarie che internazionali, è viziato da eccesso di potere", dichiara l'avvocato Federica Tempori, che insieme al collega Vincenzo Miri ha tutelato gli interessi legali delle due donne." Avevamo una sentenza di adozione passata in giudicato, e le mamme si sono presentate al comune per chiedere la carta identità", racconta ancora il legale, "ma allo sportello giustamente, hanno detto che non si poteva procedere con la dicitura neutra ma occorreva la scritta 'padre e madre o chi ne fa le veci'".

Una situazione che non è stata accettata dalle protagoniste della vicenda, che hanno deciso di inoltrare un primo ricorso al Tar e successivamente al tribunale ordinario. Lo stesso che, prosegue l'avvocato, "con una sentenza bellissima ci ha dato ragione". Ravvisando il sopra citato vizio di eccesso di potere del decreto Salvini, i giudici hanno deliberato contro il contenuto della normativa. "Discutendosi, nella fattispecie, del rilascio della carta d'identità elettronica valida per l'espatrio, la falsa rappresentazione del ruolo parentale di una delle due genitrici, in evidente contrasto con la sua identità sessuale e di genere", si legge nell'ordinanza, "comporta conseguenze (almeno potenziali) rilevanti sia sul piano del rispetto dei diritti garantiti dalla Costituzione, sia sul piano della necessaria applicazione del diritto primario e derivato dell'Unione europea".

Secondo i togati, spiega ancora l'avvocato Tempori, "in quel provvedimento il ministro va oltre le sue competenze: la carta di identità è, infatti, un documento certificativo di una realtà già preesistente nell'atto di nascita, che stabilisce una madre partoriente e una adottiva. Non può quindi esserci discrasia tra documento di identità e l'atto di nascita".

Il commento di Salvini

Stasera il commento del vicepremier Matteo Salvini, che su Twitter ha dichiarato: "Usare sulla carta d’identità le parole PADRE e MADRE (le parole più belle del mondo) secondo il Tribunale Civile di Roma sarebbe una violazione delle norme comunitarie e internazionali, da qui la decisione di sostituirle con la più neutra parola 'genitore'". E ancora: "Illegali o discriminanti le parole MAMMA e PAPÀ? Non ho parole, ma davvero".

La parola «genitore» sui documenti dei figli «non lede i diritti di nessuno. L’ho scritto anche a Salvini». Alessandra Arachi su Il Corriere della Sera il 17 Novembre 2022 

La causa della coppia arcobaleno. Parla la madre della bimba: «La mia compagna ha adottato mia figlia con una step child adoption grazie a un tribunale. Noi siamo integrate e nessuno la discrimina: è la prova che la società è più avanti» 

Sonia lei ha scritto una lettera al ministro Matteo Salvini: si aspetta una risposta?

«Non è importante che risponda a me personalmente».

La sua storia personale è quella di una famiglia composta da due mamme e una bambina.

«Sono decine di migliaia le famiglie che vivono la nostra stessa condizione, due mamme o due papà. Per questo spero che il ministro risponda a quelle migliaia e migliaia di cittadini che ogni giorno si pongono domande legittime e che si aspettano risposte per migliorare la loro vita e quella dei loro cari, senza scalfire di un millimetro i diritti di nessun altro».

Tutto nasce da quella sentenza del tribunale civile di Roma.

«Un ricorso che con gli avvocati di Rete Lenders, Vincenzo Miri e Federica Tempori, abbiamo fatto tre anni fa. Volevamo ottenere la possibilità di scrivere sui documenti di nostra figlia la dicitura “genitore” invece di “padre” e “madre”».

Un ricorso in opposizione, appunto, al decreto che Salvini aveva fatto come ministro dell’Interno.

«Già. Il problema nasce quando io e la mia compagna, che siamo unite civilmente, siamo andate in circoscrizione per la carta di identità di nostra figlia: l’unica possibilità era quella di scrivere padre e madre, ma era evidentemente un falso».

Dice: «nostra figlia», ma lo è legalmente?

«Sì, io sono la madre biologica e la mia compagna l’ha adottata».

Come è stato possibile?

«Una sentenza passata in giudicato, una step child adoption che passa per i tribunali».

La step child adoption è stata stralciata dalla legge sulle unioni civili.

«Si, appunto. E questo è successo con un governo di centrosinistra».

Cosa significa questo per lei?

«Che i problemi dei nostri diritti come altri sono di tipo istituzionale, la società è molto più avanti».

Quindi non è una questione di destra o di sinistra?

«A livello di società certamente no. Io e la mia compagna frequentiamo famiglie di destra, di sinistra, di centro. Mai nessuno ci ha offeso, denigrato o non ci ha riconosciuto. Mai».

E la bambina?

«Vale lo stesso per la bambina».

È integrata?

«Più che integrata. Nessuno ci fa caso se è figlia di due mamme. Del resto nostra figlia non è l’unica nella scuola in questa condizione. Il mondo va avanti e noi siamo costrette a passare per i tribunali».

Questa ordinanza vi ha dato ragione su tutta la linea.

«Sì, un’ordinanza di tribunale, appunto. E poi peccato che valga soltanto per il nostro caso specifico. Alla fine poi nemmeno per quello».

Che vuole dire?

«Eravamo partite con un problema di software in circoscrizione e siamo ancora a quel punto».

Si spieghi meglio?

«Le diciture per le carte di identità sono automatiche, ovvero assegnate da un programma di un computer. Tre anni fa era impostato con “padre” e “madre”».

E adesso?

«Quando dopo l’ordinanza siamo tornate lì nulla era cambiato. Abbiamo dovuto lasciare sui documenti la dicitura falsa di padre e madre. Non credo che adesso qualcuno si sbrigherà per modificare il programma del computer».

Giuseppe Salvaggiulo per “La Stampa” il 18 novembre 2022.

Il muro alzato dal governo non scoraggia le due mamme che hanno ottenuto dal tribunale di Roma il riconoscimento del diritto a vedersi rilasciata per la loro figlia di 7 anni una carta d'identità con la dicitura «genitori» anziché «padre e madre» come previsto dal decreto Salvini del 2019. Sonia, madre biologica della bambina, ha scritto una lettera aperta allo stesso Salvini, che aveva commentato negativamente («Non ho parole, padre e madre sono le parole più belle del mondo») l'ordinanza del giudice. Il team legale che le ha assistite con le associazioni Rete Lenford e Famiglie Arcobaleno prepara le contromosse alle obiezioni sollevate dal governo per sottrarsi all'esecuzione della condanna del tribunale.

Nei prossimi giorni la strategia sarà definita. L'ordinanza sarà formalmente notificata al Viminale, con una richiesta di adempimento. «Stiamo individuando tutti gli strumenti per attuare la pronuncia, fino alla nomina da parte del Tar di un commissario che si sostituisca al ministero in caso di inerzia», spiega l'avvocato Vincenzo Miri. Il commissariamento è lo strumento predisposto dalla giustizia amministrativa per costringere amministrazioni pubbliche riottose a obbedire a comandi provenienti dall'autorità giudiziaria.

Il comunicato di Palazzo Chigi, nella serata di mercoledì, avanzava però ostacoli di tipo informatico (adeguamento del software) e organizzativo (caos nel sistema di identificazione) all'esecuzione dell'ordinanza. Non si tratta di questioni nuove. Il ministero li aveva sollevati anche davanti al tribunale. In una relazione evidenziava «i chiari problemi applicativi sottesi all'eventuale modifica del software per l'emissione e la stampa della carta di identità».

Il giudice Crisafulli, per «evitare una lunga e costosa consulenza tecnica», aveva chiesto «delucidazioni» allo stesso ministero. La Direzione centrale per i servizi demografici del Viminale aveva risposto definendo «tecnicamente fattibile l'intervento sul software, che però implicherebbe la concessione e l'emissione di un documento anagrafico elettronico privo di fondamento legale, poiché difforme dalle disposizioni normative attualmente vigenti, con tutte le possibili conseguenze che potrebbero sorgere in caso di operazioni di controllo da parte delle forze dell'ordine». In sintesi: è complicato modificare il software, e anche volendo l'esito sarebbe un pasticcio che metterebbe nei guai la stessa bambina e le due mamme. 

Ma il giudice ha «serenamente» rigettato questa tesi, deducendo l'inesistenza di «difficoltà insormontabili se non impossibilità» di natura tecnica e alzando il velo sulle fragili basi giuridiche del decreto Salvini, «che oltre a violare l'innumerevole elenco di principi costituzionali e internazionali è viziato da eccesso di potere». Per questo ha ordinato al Viminale di emettere la sospirata carta di identità «apportando se necessario ogni opportuna modifica tecnica a software e hardware». 

Il clamore suscitato dalla vicenda ha spinto negli ultimi giorni altre coppie omosessuali a rivolgersi alle associazioni, per far valere il loro analogo diritto. In assenza di una modifica del decreto Salvini, pur richiesta due volte dal Garante della privacy, quella giudiziaria resta l'unica strada. «Vogliamo che tantissime altre famiglie arcobaleno non debbano affrontare un processo e quindi non escludiamo ricorsi di massa (class action) nei tribunali per spingere il governo ad annullare un decreto puramente ideologico», ipotizza l'avvocato Miri.

(ANSA il 18 novembre 2022) - La sezione civile del tribunale di Arezzo ha respinto il ricorso di Luisa e Federica, coppia arcobaleno di Anghiari legata in unione civile, che chiedevano allo Stato il riconoscimento della genitorialità di madre per entrambe riguardo a due gemellini nati a giugno. 

La causa era stata promossa per estendere anche a Luisa lo status di madre, non solo per Federica, quella che ha partorito i due gemellini. Luisa è la donna della coppia che ha fatto la fecondazione eterologa in Spagna per poi trasferire l'ovocita, per una maggiore adattabilità, all'utero di Federica. Il tribunale ha seguito l'articolo 4 comma 3 della legge 40 2004.

Se tutto è concesso ai genitori. Due tribunali, a L'Aquila e a Roma, hanno riconosciuto il diritto di una coppia di donne lesbiche di definirsi legalmente genitori di un figlio che nella realtà è stato concepito da una sola delle due. Karen Rubin il 18 Novembre 2022 su Il Giornale. 

A pochi giorni di distanza due tribunali, a L'Aquila e a Roma, hanno riconosciuto il diritto di una coppia di donne lesbiche di definirsi legalmente genitori di un figlio che nella realtà è stato concepito da una sola delle due, con l'irrinunciabile gamete maschile di un donatore. A Roma il ricorso riguardava la possibilità di indicare sulla carta d'identità del bambino la madre biologica e la sua compagna con il termine neutro di genitori e non più madre e padre. All'Aquila invece è stato disposto che le donne potessero dare entrambe il proprio cognome al bambino. Nella sentenza aquilana l'omogenitorialità è descritta come portatrice di un legame inscindibile, che non ha nulla di diverso rispetto a un vero e proprio vincolo genitoriale dove sussistono ambedue i generi sessuali. 

Nei casi in questione la figura paterna è ritenuta inutile, interscambiabile con quella materna come se non esistessero più caratteristiche peculiari del femminile e del maschile, come se il padre e la madre non avessero diverse funzioni, complementari. Se la morte del pater familias, più autoritario che autorevole, è stata salutata da tutti con soddisfazione, lo stesso non è avvenuto per il padre che educa stabilendo regole e limiti che mettano un argine al figlio in età adolescenziale, permettendo alla madre di donare quell'amore incondizionato che mal si attaglia al conflitto e a una serie di battaglie generazionali in cui sono spesso necessari molti no. 

Negli atti dell'inchiesta sul minore che a Torino ha stuprato una studentessa all'interno di un campus, il giovane viene dipinto come incontenibile, senza una guida che gli impedisca di fare la vita di uno sbandato. Il padre in una dichiarazione ha affermato che il figlio ne combinava tante ma mai si sarebbe aspettato che potesse fare una cosa tanto grave. Sempre negli atti c'è scritto che il ragazzo è un violento incurante delle sofferenze altrui. Mancanza di limiti ed assenza totale di empatia non contraddistinguono solo i pochi giovani che si macchiano di reati con un effetto immediato sui coetanei. I dati sul bullismo sono inquietanti. La maggior parte dei giovani è stata vittima di bullismo o cyberbullismo. Quasi tutti si sentono soli. Il disagio giovanile, del bullo e della vittima, che ormai interessa ogni strato della società dipende dalla fluidità del pensiero, sull'essere maschio o femmina, sui ruoli padre o della madre, sul bene e il male, perché tutto è concesso, ai figli ma soprattutto ai loro genitori.

·        Mai dire…Mamma.

Come cambia il cervello della donna durante la gravidanza. Luca Sciortino su Panorama l’11 Dicembre 2022

Uno studio olandese arriva a conclusioni sorprendenti: i mesi della gestazione producono alterazioni nella materia grigia femminile

Che la gravidanza produca cambiamenti importanti nell’organismo femminile era noto. Dopotutto, si tratta di un periodo caratterizzato da tempeste ormonali che richiedono numerosi adattamenti nel corpo della donna. Restava un territorio inesplorato quello dell’impatto sul cervello di questo periodo cruciale nella vita della donna. In un articolo su Nature Communications a firma di scienziati olandesi dell’Amsterdam University Medical Center viene illustrata una ricerca le cui conclusioni sono sorprendenti: la gravidanza produce alterazioni nella cosiddetta “materia grigia” della donna e nelle basi neurali della percezione del sé e del legame madre-figlio. La materia grigia è costituita dalle zone del sistema nervoso centrale in cui sono predominanti i “somi” dei neuroni, quelle parti del corpo centrale di queste cellule che contengono il nucleo.

Nella fase preliminare di questo studio, i ricercatori trovavano, usando varie tecniche di imaging, una riduzione dell’ammontare della materia grigia nel cervello della donna che durava fino a due anni dopo il parto. Il campione sotto studio era costituito da 80 donne di cui 40, in gravidanza dopo l’inizio dello studio, venivano monitorate fino a un anno dopo il parto. Nella fase successiva i ricercatori si chiedevano se questi cambiamenti nel cervello erano legati a determinati comportamenti nel comportamento, anche in relazione alla prole. Emergeva che la perdita di materia grigia avviene in concomitanza all’instaurarsi del desiderio di preparare un ambiente accogliente per il nascituro. In questo senso, la perdita di materia grigia non è necessariamente un fatto negativo ma è funzionale alle necessità di prendersi cura della prole. Ma il cambiamento nel cervello delle donne in gravidanza riguardava soprattutto il cosiddetto il “default mode network” , un sistema costituito da regioni adiacenti del cervello che hanno attività correlate fra loro. Questo sistema è attivo nell’introspezione, nella fase del ricordo e nell’empatia durante le interazioni sociali. Le donne che con la gravidanza subivano marcati cambiamenti nel “default mode network” risultavano avere (secondo un test specifico formulato dai ricercatori) anche un legame con la prole più forte e più piacevole delle altre donne che esibivano cambiamenti di minore entità. In queste ultime erano più frequenti i sentimenti di rabbia o risentimento verso la prole. Un’altra cosa interessante è che maggiori erano i cambiamenti cerebrali delle donne in gravidanza, registrati con le tecniche di imaging, più era probabile che queste stesse donne vedevano il feto come un individuo, cioè come un’altra cosa da sé. Su quali siano i fattori che causano questi cambiamenti i ricercatori hanno le idee abbastanza chiare: secondo loro, sono proprio gli ormoni. Da analisi di campioni di urina infatti emergeva che le donne con più alti livelli di estrogeni durante il terzo trimestre di gravidanza subivano maggiori cambiamenti cerebrali D’altra parte, fattori come il sonno, livelli di stress, non risultavano avere alcuna influenza sui cambiamenti cerebrali. Resta comunque la possibilità che altri fattori non misurati nello studio – incluso l’esercizio fisico, l’alimentazione e la genetica - possano essere coinvolti nei processi che hanno luogo nel cervello delle donne in gravidanza.

(ANSA il 6 dicembre 2022) - La legge danese che vieta l'adozione di bambini da parte di una madre che ha pagato la maternità surrogata che ha permesso la loro nascita viola il diritto dei minori al rispetto della vita familiare e privata. L'ha stabilito la Corte europea dei diritti umani (Cedu) in una sentenza che diverrà definitiva se le parti non otterranno un nuovo giudizio. La vicenda riguarda una donna a cui le autorità danesi hanno rifiutato di riconoscere la possibilità di adottare i gemelli nati in Ucraina da una madre che è stata pagata per la gestazione.

I bimbi sono già legalmente figli del marito della donna che è il loro padre biologico, hanno la nazionalità danese, e alla signora è stata riconosciuta la custodia congiunta dei piccoli. Ma per la Corte di Strasburgo questo non basta a garantire i diritti dei minori. Non permettendo l'adozione, dice la sentenza, le autorità hanno impedito di far riconoscere legalmente il rapporto genitore-figlio, e questo ha posto i bambini in una posizione giuridica incerta, per esempio, fa notare la Cedu, per quanto riguarda l'eredità.

Nel ribadire che "l'interesse del minore è primario", la Cedu sostiene che la Danimarca non ha trovato il giusto equilibrio tra l'interesse della società a limitare gli effetti negativi della maternità surrogata a pagamento e gli interessi dei gemelli. I giudici della Cedu hanno inoltre stabilito che il Paese dovrà pagare 5 mila euro ciascuno ai bimbi per danni morali.

Cesare Bechis per corriere.it il 23 novembre 2022.

Angelo Bellanova, il figlio 55enne di Maria Prudenza, la donna di 82 anni trovata morta il 22 novembre all’interno di un congelatore nella sua casa di campagna a Ceglie Messapica, ha confessato. E la sera tardi, dopo lunghe ore di interrogatorio da parte del magistrato e dei carabinieri, avrebbe ammesso che, dopo il decesso avvenuto per cause naturali, non ha avuto il coraggio di seppellirla. 

È stato così denunciato a piede libero per occultamento di cadavere. Resta ancora da scoprire quando la donna sia morta e, quindi, da quanto tempo sia stata nascosta dentro la ghiacciaia con l’intento probabile del figlio di continuare a riscuotere la pensione dell’anziana madre. L’esame dovrà anche confermare la versione fornita dal figlio agli inquirenti circa le cause naturali del decesso.

Il chiarimento arriverà dall’autopsia, già disposta dal pm che coordina le indagini, Mauro Gallone della Procura di Brindisi, che sarà effettuata nelle prossime ore non appena – sembra un macabro particolare - il corpo della donna si sarà scongelato. I carabinieri del Nucleo radiomobile della Compagnia di San Vito dei Normanni hanno scoperto il cadavere della 82enne, rannicchiato nel congelatore, nel pomeriggio del 22 novembre. 

Il corpo è stato trasferito all’obitorio dell’ospedale “Camberlingo” di Francavilla Fontana dove sarà effettuata l’autopsia. La prima ispezione esterna fatta dal medico legale Domenico Urso ha confermato che sul corpo non sono stati trovati segni di violenza. La famiglia, come ha detto anche il sindaco Angelo Palmisano, era seguita dai Servizi sociali del Comune di Ceglie Messapica fino al luglio scorso ed era in attesa del rinnovo del servizio.

Ceglie Messapica, confessa il figlio dell'anziana trovata nel congelatore: «È morta da giorni». L’uomo ha raccontato agli investigatori che quando si è accorto della morte della madre ha vegliato il corpo per un giorno poi «per senso di paura di essere giudicato per la morte del genitore e per lo sconforto» ha occultato il cadavere. La Gazzetta del Mezzogiorno il 23 Novembre 2022.

Sarebbe morta il 17 novembre scorso Maria Prudenza Bellanova, la donna di 82 anni il cui corpo è stato trovato ieri dai carabinieri all’interno di un congelatore nella villetta dove l’anziana viveva con il figlio a Ceglie Messapica. A raccontarlo ai carabinieri, che ieri lo hanno interrogato fino a tarda sera, è stato proprio quest’ultimo Angelo Bellanova di 55 anni, che ha ammesso di avere messo il corpo nel congelatore ed è ora denunciato per occultamento di cadavere. La procura di Brindisi che indaga sull'accaduto ha disposto il sequestro della villetta.

L’uomo, assistito dal suo avvocato Aldo Gianfreda, ha raccontato agli investigatori che quando si è accorto della morte della madre, ha vegliato il corpo per un giorno poi «per senso di paura di essere giudicato per la morte del genitore e per lo sconforto» avrebbe deciso di occultare il cadavere. Secondo quanto emerso nel corso dell’interrogatorio, madre e figlio avevano un rapporto «di profonda simbiosi» e così l’uomo sarebbe rimasto «traumatizzato» dopo aver capito che la donna era morta. Tutti elementi che dovranno essere approfonditi. Il 55enne da alcuni testimoni è stato descritto come «taciturno ma mai scortese».

Secondo alcune nipoti della donna, comunque, da mesi l’uomo si sarebbe rifiutato di far vedere la zia. Ieri ad allertare le forze dell’ordine sono stati da alcuni familiari, con i carabinieri che hanno raggiunto l’abitazione dove vivevano madre e figlio con il personale di una cooperativa dei servizi sociali che fino a settembre aveva seguito la famiglia.

Nelle prossime ore il pubblico ministero titolare del fascicolo, Mauron Gallone, dovrebbe disporre l’autopsia per accertare se le cause della morte siano state naturali e a quanto tempo fa risalga.

I «genitori elicottero» da cui è impossibile liberarsi. Cristina Brasi su Panorama il 26 novembre 2022.

Spesso, come per la vicenda di Angelo Bellanova che ha vegliato la madre per 24 ore rima di nasconderla in un freezer, si scoprono problematiche educative familiari che possono portare al peggio «genitori elicottero» da cui è impossibile liberarsi 27/11/22, 08:41 I «genitori elicottero» da cui è impossibile liberarsi - Panorama https://www.panorama.it/news/cronaca/genitori-elicottero-omicidio-mamma-papa-educazione 2/8 Il 22 novembre 2022 è stato ritrovato, nel congelatore di casa, il corpo di Maria Prudenza Bellanova di 82 anni. Il figlio, Angelo Bellanova, ha ammesso di aver deposto il cadavere nel congelatore dopo aver vegliato sulla salma per un giorno. Le motivazioni che avrebbe espresso per il gesto sarebbero ravvisabili nel “senso di paura di essere giudicato per la morte della madre e per lo sconforto”. Abbiamo chiesto alla nostra Profiler, la Dott.ssa Cristina Brasi, Psicologa, Criminologa e Analista Scientifica del Linguaggio non Verbale, quali sono le ragioni che possono portare a un legame simbiotico e disfunzionale con la figura parentale.

Il “parenting” è un termine utilizzato per descrivere i comportamenti genitoriali specifici che hanno un ruolo fondamentale nella definizione dei comportamenti infantili. Esso comprende la capacità del genitore di rispondere ai bisogni del figlio e la capacità di porre ad esso dei limiti. La responsività genitoriale, come definito da Baumrind, è il limite a cui i genitori arrivano nel promuovere intenzionalmente l’individualità del bambino, la sua autoregolazione e la propria affermazione attraverso l’adattamento, il supporto e l’acquiescenza nei confronti dei suoi bisogni e delle sue richieste. In questo processo è fondamentale la capacità genitoriale di porre dei limiti e si attua per mezzo delle richieste che questi fanno ai bambini al fine di farli divenire parte integrante della famiglia. Tali richieste afferiscono agli elementi ascrivibili alla maturità, al controllo e agli sforzi disciplinari e di volontà. Lo stile di accudimento non è riferibile solo all’ambito fisico correlato ai bisogni corporei, ma concerne anche le necessità affettive, relazionali e sociali. Nella fattispecie, secondo Bornestin, si ravvisano il “nurturant caregiving” (le cure premurose) ovvero l’accoglimento e la comprensione delle esigenze fisiche del bambino; il “material caregiving” (l’assistenza materiale) riguardante le modalità con cui i genitori preparano, organizzano e strutturano il mondo fisico del bambino; il “social caregiving” (l’assistenza sociale) includente tutti i comportamenti attuati dai genitori nel coinvolgere emotivamente i bambini in scambi interpersonali, siano essi visivi, verbali, affettivi o fisici e, in ultimo, il “didactic caregiving” (la cura didattica), ossia le strategie utilizzate per stimolare il figlio a comprendere il proprio ambiente di vita. Quando le figure parentali corrispondono a quelle ascrivibili ai “genitori elicottero” , termine coniato per identificare quei genitori che si sostituiscono ai figli nella risoluzione dei problemi della vita, uno stile genitoriale caratterizzato da comportamenti di iper-vigilanza e iper-protezione, con la tendenza ad ergersi al di sopra del proprio figlio, nel tentativo di prevenirne fallimenti e insuccessi, il bambino andrà incontro a conseguenze importanti anche sul lungo termine. Questi genitori si sostituiscono ai figli, affrontando, e a volte anticipando, le difficoltà al posto loro, privandoli dell’opportunità di mettersi alla prova. Il messaggio implicito che viene trasmesso è: “Non ho fiducia in te, non sei in grado di farlo, quindi lo faccio io per te”. I genitori iperprotettivi che controllano troppo intaccano le abilità di controllo emotivo e comportamentale dei propri figli. Ciò darà luogo all’impossibilità, da parte del bambino, di costruirsi competenze e abilità personali, sociali e affettive. Il bisogno di autonomia del piccolo non si manifesterà più in quanto sarà sempre il genitore a decidere e a pensare al suo posto. L’effetto è quello del venire a mancare del processo di separazione-individuazione che ha inizio nei primi anni di vita, finalizzato al consolidamento di un senso dell’essere. Una seconda fase di tale processo è riscontrabile nell’adolescenza, dove avverrebbe il consolidamento del senso di Sé, precedentemente precostituito. L’adolescente vivrebbe inoltre una transizione verso una maggiore autonomia. In termini di sviluppo normotipico si dovrebbe assistere a una graduale separazione dalla famiglia accompagnata da un investimento nelle relazioni tra pari e in quelle romantiche, oltre che ad una progettazione relativa al futuro. Nel caso di genitori disfunzionalmente iperprotettivi e ipercontrollanti tutto ciò non ha luogo. La formazione dell’identità avviene infatti nel momento in cui l’adolescente inizia a selezionare le identificazioni dell’infanzia, decidendo cosa tenere e quanto abbandonare, in quanto considerato inutile. Dal momento in cui tali processi non hanno avuto luogo ci si troverà ad avere un basso livello di integrazione, aumentando la probabilità che l’organizzazione di personalità dell’individuo sia patologica e associata a categorie riconducibili ai disturbi di personalità. Via via che la patologia diviene più grave, maggiormente le capacità riflessive verranno a ridursi, lo stesso accade per l’empatia e la capacità di assumere ruoli differenti, oltre al ravvisarsi di un aumento delle difese di scissione.

Fiorello a Meloni: «Ma una mamma deve per forza stare a casa con i bambini? Giorgia, vengo io a fare il depu-tato». Giovanna Cavalli su Il Corriere della Sera il 18 Novembre 2022 

Lo showman replica alle polemiche sulla premier al G20 di Bali con la figlia: «Al di là di come la si pensi politicamente, qui c’è maschilismo, c’è sessismo» 

«Sarò il tuo depu-tato, prendo 3 euro l’ora», si è offerto ironico Fiorello, mettendo (forse) una parola definitiva all’accanito dibattito sulla scelta della premier Giorgia Meloni di portare con sé la figlia Ginevra, 6 anni, al G20 di Bali. «Al di là di come la si pensi politicamente, qui c’è del mammismo, c’è maschilismo, c’è sessismo, c’è tutto nelle polemiche», ha detto ieri mattina lo showman nella sua diretta Instagram (e RaiPlay) di «Aspettando Viva Rai 2!», prequel del programma che andrà in onda sull’omonima rete dal 5 dicembre.

«Ma una mamma deve per forza stare a casa con i bambini? O può lavorare e al contempo essere madre?», domandava (retoricamente) ai suoi ospiti: «E poi Giorgia Meloni non è l’unica, basti pensare ad altri capi di Stato che si sono portati dietro intere famiglie. Berlusconi forse non si portava figli e nipoti? Prodi? Prodi era pieno. E Draghi non si portava Di Maio e pure la balia di Di Maio, che era un navigator?».

Infine la proposta alla premier. «Lo avete letto su tutti i giornali, lei tanti anni fa ha fatto da tata alla mia figlia più grande, Olivia, ed è stata bravissima, le leggeva i libri. Allora io adesso le voglio rendere il favore. Voglio parlare non alla presidente del Consiglio, ma alla donna Giorgia. Ciao, sono Rosario, ti ricordi? Se ti capitasse un altro G20, cara Giorgia, perché spendere soldi per una babysitter? Ci vengo io e faccio da tato a Ginevra».

Nel libro autobiografico «Io sono Giorgia», edito da Rizzoli, la leader di Fratelli d’Italia lo ha rivelato lei stessa: «Per me la militanza significava avere scelto di lavorare la sera o la domenica per riuscire a contribuire alle spese di casa senza togliere tempo all’attività politica. E così ho fatto la babysitter (anche della figlia della compagna di Fiorello, sì)».

All’epoca aveva 18 anni e si occupava della piccola Olivia, che ne aveva 4, come raccontò nel 2019 al «Maurizio Costanzo Show». E in una vecchia intervista spiegava che «giocavamo col Lego, non con le Barbie, perché io le detesto. E poi guardavamo i cartoni. Cenerentola? Orribile, mettitela te la scarpina di vetro! Io odio il rosa, le principesse e tutta quella roba lì. Poi c’era Pocahontas, altra storia diseducativa dove la protagonista si innamora del conquistatore, mentre io sono per l’autodeterminazione dei popoli».

Fiorello: "Allora cosa deve fare?". Figlia della Meloni, sinistra demolita. Libero Quotidiano il 17 novembre 2022

 al centro delle polemiche per essersi portata a Bali al G20, la figlia Ginevra. Durante la lettura dei giornali, questa mattina 17 novembre in diretta Instagram ad Aspettando Viva Rai2, Fiorello spezza una lancia a favore di Giorgia Meloni: "Al di là di come la si pensa politicamente, destra o sinistra…qui c'è del mammismo, femminismo, sessismo: c'è tutto nelle polemiche. Tu non puoi polemizzare, quando per anni si sta parlando delle mamme", attacca il conduttore. "È giusto che la mamma faccia solo la mamma? Deve per forza stare a casa con le bambine? O può anche la mamma anche lavorare ed essere madre? È quello che ha fatto Giorgia Meloni, fa la madre e, dice, 'io mia figlia la porto con me'…". 

Poi, ironizzando ancora, Fiorello continua scherzando: "Quante volte i vostri genitori vi hanno detto andiamo a Bali? A me, mai". Ma, aggiunge, "voglio fare un appello qui su instagram, voglio parlare alla donna Giorgia, non al presidente del consiglio: Donna Giorgia io sono Rosario, tu ti ricordi di me - tutti lo sanno è uscito su tutti i giornali, che Giorgia ha fatto da tata a mia figlia Olivia - Giorgia è stata bravissima come tata, le piaceva leggerle i librii. o voglio renderle il favore: Giorgia se ti dovesse capitare un altro G20, io per ripagare tutto quello che tu hai fatto per me e per mia figlia, vengo, prendo tre euro l'ora, non tantissimo, e faccio io da tato a Ginevra quando sei in giro. Tre euro e vengo io, sarò il tuo DepuTato. Evviva le mamme".

Mammina cara. Giorgia, Ivanka e la rappresentazione del puccettonismo istituzionale. Guia Soncini su L’Inkiesta il 17 Novembre 2022.

Abbiamo fatto finta che i corpi femminili non costituissero la vera disparità di genere, poi arrivano le nuove donne di potere a dirci che devono stare coi loro figli anche durante i vertici internazionali o allontanarsi dalla politica per dedicarsi completamente a loro

Chi è, oggi, la rappresentazione più plastica del puccettonismo contemporaneo? Chi, tra i casi raccontati dalle pagine dei giornali in questi giorni, si presta meglio a dirci quale disastro sia, per le donne della mia età, l’intersezione tra famiglia e lavoro?

Giorgia Meloni e Ivanka Trump sono della stessa generazione, una nata nel 1977 e l’altra nel 1981, tutt’e due figlie di onesti bugiardi. Honest liar è la definizione che Dave Chappelle ha dato di Donald Trump sabato scorso al Saturday Night Live: se avete visto all’opera Trump, apprezzerete il guizzo; se avete letto l’autobiografia di Giorgia Meloni, non potrete non trovare che la definizione si attagli anche al grande assente, Francesco Meloni.

Giorgia Meloni è sui giornali perché, al G20 di Bali, si è portata Ginevra, la bambina al centro del suo posizionamento politico (sono una donna, sono madre), ma anche la bambina per la quale non si volevano i riflettori: il padre ha detto che non avrebbero vissuto a palazzo Chigi per farle fare una vita normale, la madre ha come primo gesto istituzionale diffidato tramite studio legale i giornali dall’occuparsene.

Ivanka Trump è sui giornali perché il padre ha annunciato che si ricandiderà, alle presidenziali del 2024. La seconda figlia, già consigliera durante il suo precedente mandato presidenziale, e sposata con un tizio che pure era nello staff presidenziale, ha preso le distanze scegliendo l’impermanenza: non un post di Instagram di quelli che restano per sempre – e nei quali i suoi sette milioni e mezzo di follower vogliono vedere i vestiti, mica annoiarsi con la politica – ma una storia di quelle che spariscono dopo ventiquattr’ore.

«Voglio molto bene a mio padre. Questa volta, scelgo di dare la priorità ai miei figli piccoli e alla vita privata che ci stiamo costruendo come famiglia. Non ho in programma di farmi coinvolgere dalla politica. Vorrò sempre bene a mio padre e lo appoggerò sempre, ma questa volta dal di fuori. Sono grata di aver avuto l’onore di mettermi al servizio degli americani, e sarò sempre fiera di molti dei risultati raggiunti dalla nostra amministrazione».

Se abitassimo tempi normali, potremmo concentrarci sull’ultima frase: molti ma non tutti, quali sono i risultati di cui invece non sei fiera, Ivanka, diccelo, rinnega tuo padre e rifiuta il suo nome e non essere più una Capuleti. Ma abitiamo tempi in cui chiunque ci sembra innanzitutto madre o padre o figlio o figlia, molto prima che astronauta o cardiochirurgo o premio Nobel; e quindi ci tocca concentrarci sul resto.

Come mai nel 2016, con un bambino di pochi mesi, potevi essere consigliori di papà, e ora che il bambino ha sei anni devi dedicartici? Il terzogenito di Ivanka è coetaneo dell’unicogenita di Giorgia Meloni: gli sceneggiatori si stavano già scaldando per un G20 con Trump presidente e una cotta da terza elementare tra il puccettone americano e la puccettona italiana, e Ivanka ha boicottato la rinascita del grande cinema italiano.

Ma anche: «voglio dedicarmi ai figli» è la carta pigliatutto, ma che succede se entra in conflitto coi tuoi doveri di figlia? Che succede quando dici al mondo, come ha detto Giorgia Meloni portandosi la figlia a Bali, che sì, il mondo ha fin qui fatto bene a diffidare delle donne, giacché esse considerano inaccettabile dormire quattro notti lontane dai puccettoni di mamma loro?

E poi, da quel che ho letto sui giornali, mi par di capire che il papà sia rimasto a casa. Quindi Ginevra non può stare quattro notti lontana dalla mamma ma può stare quattro notti lontana dal papà? Ma se i padri servono meno, il congedo di paternità che ce lo siamo inventato a fare?

La società occidentale in questo secolo ha cercato in tutti i modi di fingere che quest’inferiorità femminile – questa per cui mestruiamo e partoriamo e organizziamo gli impegni di lavoro attorno alla recita scolastica – non esista: ci siamo, all’uopo, appunto inventati il congedo di paternità. Un punto della dialettica dell’immaginario fattasi welfare che dice: siccome un corpo di donna ha partorito un bambino e un corpo di donna lo nutre a intervalli sfinenti, allora un corpo di uomo ha diritto a una vacanza retribuita dal lavoro.

Abbiamo cercato in tutti i modi di far finta che i corpi delle donne non costituissero la vera disparità di genere, e poi arrivano le donne di potere e ci dicono che devono stare coi loro puccettoni anche durante i vertici internazionali. Che poi, non è tanto l’obiezione formulata da molte (di giorno ai vertici internazionali mica hai tempo di stare con la bambina; ma questo sarebbe valso anche con la mamma a Roma, che di giorno governerà, mica giocherà con Ginevra a Barbie principessa del ballo, si spera); l’obiezione vera è: se due missili finiscono in territorio polacco quando a Bali sono le tre di notte, ti chiameranno per avvisarti, si spera; e il telefono sveglia pure la bambina in camera con mamma sua?

È bello ipotizzare che Ivanka prenda le distanze da Donald non per la di lui evidente cialtronaggine e impresentabilità, più evidente oggi di quanto lo fosse nel 2016; è bello pensare che la vera differenza tra la prima candidatura di Donald Trump e la prossima è che nel frattempo è morta Ivana, sua prima moglie e madre di Ivanka. È bello pensare che, a mamma morta, Ivanka risponda finalmente alla domanda «vuoi più bene a mamma o a papà», schierandosi col cadavere della prima moglie rimpiazzata con modello più giovane.

D’altra parte Giorgia Meloni, allorché accusata di discriminare i grassi additandoli come portatori di «devianze», postò una foto con la madre obesa: posso mai discriminare i grassi, puccettona di mamma mia quale sono?

È tutt’un affare di famiglia, e di grande immedesimabilità presso le elettrici. Che, proprio come Giorgia fa e Ivanka dice, sono anch’esse gente che al primo moccio al naso del puccettone molla l’ufficio e corre a riprendersi il pupo all’asilo. Gente che figuriamoci se non salterebbe la Casa Bianca per seguire l’inserimento montessoriano del terzogenito. Figuriamoci se permette agli impegni coi governi stranieri di farle saltare la favola della buonanotte alla puccettona di casa. Forse hanno ragione Giorgia e Ivanka. Forse, se tutto il mondo è elettorato debole che vuole specchiarsi in figure altrettanto deboli, è il momento giusto per far largo al puccettonismo istituzionale.

Da openline.it il 15 Novembre 2022.

Francesca Guacci, 28 anni, di Massanzago (Padova), è una fitness influencer che sui social parla spesso di palestra, alimentazione e benessere psicofisico. Guacci ha raccontato in un’intervista a Il Gazzettino dell’intervento di salpingectomia bilaterale a cui si è sottoposta e che porta all’impossibilità di incorrere in una gravidanza naturale. «Ho scoperto che esisteva questa possibilità quando ero adolescente e gran parte delle conoscenze le ho apprese attraverso il web, perché i medici sono sempre stati poco predisposti. 

Anche dopo il compimento della maggiore età, mi sono sentita contrastata. Il mio ginecologo e i vari dottori ai quali mi sono rivolta non volevano fornirmi le informazioni necessarie, pareva sempre che fossi troppo piccola e troppo immatura. Solo per quello però. Per tutto il resto ero una donna fatta e finita, che doveva prendersi le proprie responsabilità». 

La salpingectomia bilaterale

I medici erano contrari ma lei ha deciso diversamente: «A 22 anni non ce l’ho più fatta e ho preteso di affrontare quell’intervento, anche perché nel frattempo avevo intrapreso un profondo percorso personale, il quale mi ha portata ad appassionarmi sempre più all’attività fisica e alla meditazione introspettiva. Volevo essere finalmente libera di trasformarmi nella donna che ho sempre sentito di essere. Lo ritenevo un mio preciso diritto e dovere».

La salpingectomia bilaterale consiste nella rimozione chirurgica di entrambe le tube di falloppio. L’intervento chirurgico è stato eseguito in anestesia totale e con laparoscopia. Un ospedale in provincia di Padova le ha negato l’operazione, poi eseguita nel Veronese: «Gli anticoncezionali non erano abbastanza per me. Prima dell’operazione vivevo ogni rapporto con il terrore di rimanere incinta, diventavo odiosa e intrattabile, non mi sentivo mai serena e libera. Mi è successo di non avere la copertura della pillola, che il preservativo si rompesse». 

Per lei «i figli non sono semplicemente un accessorio: meritano amore, tempo, attenzioni. Per la vita che voglio io, non c’è posto per loro. Sono consapevole dei miei gusti e del mio egoismo, ma al tempo stesso credo che ogni donna debba essere libera di prendere la scelta che ritiene più opportuna». E l’ipotesi di cambiare idea tra qualche tempo non la spaventa: «Ogni decisione porta con sé una responsabilità. Non credo che mi pentirò mai. E, se anche dovesse accadere, penserò alla fecondazione in vitro».

Cos’è la salpingectomia, l’operazione che ha fatto Francesca Guacci per non avere figli: quando si pratica e quali sono le indicazioni. Silvia Turin su Il Corriere della Sera il 15 Novembre 2022.

L’esperto commenta il caso della fitness influencer: «Non si dovrebbe fare perché è irreversibile». Focus sulla salpingectomia: i tipi di operazione, le indicazioni e le norme del Codice di Deontologia Medica e del Codice Civile

Ha fatto discutere il caso di Francesca Guacci, l’influencer di Massanzago che ha raccontato di essere stata operata per l’asportazione totale delle tube (intervento di sterilizzazione) a 22 anni.

Guacci, ora 28enne, è tornata pubblicamente sulla sua scelta spiegando di voler essere utile a «tante ragazze e donne che decidono di non volere figli», come ha dichiarato al Corriere del Veneto. «Posso diventare comunque madre – ha precisato la donna —, ma senza una gravidanza naturale. Ho le ovaie e l’utero, quindi ho le mestruazioni, non sono in menopausa, posso fare la fecondazione in vitro».

Le tube di Falloppio consentono l’incontro tra gli spermatozoi e l’uovo femminile. Asportare entrambe le tube (o salpingi) impedisce, infatti, alla donna una gravidanza naturale. Si chiama intervento di sterilizzazione ed è definitivo. Viene distinto in tre forme:

- sterilizzazione terapeutica, diretta a risolvere problemi patologici in corso o potenziali;

- sterilizzazione eugenica, diretta a impedire la nascita di figli colpiti da (certe o probabili) tare ereditarie;

- sterilizzazione anticoncezionale, motivata dal desiderio di evitare la procreazione.

Mentre gli interventi terapeutici ed eugenici sono sempre consentiti, sulla terza opzione intervengono l’Art. 5 del Codice Civile («Gli atti di disposizione del proprio corpo sono vietati quando cagionino una diminuzione permanente dell’integrità fisica») e il Codice di Deontologia Medica all’Art. 40 («Ogni atto medico diretto a intervenire in materia di sessualità e di riproduzione è consentito soltanto al fine di tutelare la salute»).

Ma che tipo di intervento è la salpingectomia e in quali casi si pratica?

«Gli interventi per sterilizzazione possono essere o l’asportazione totale delle tube (che è la salpingectomia) o un’asportazione parziale con una resezione tubarica – spiega al Corriere Salute Paolo Guarnerio, ginecologo, Direttore dell’Unità operativa complessa della ASST Santi Paolo e Carlo, presidio San Carlo —. Adesso, quando si esegue una sterilizzazione tubarica, si tende a togliere le tube per intero, in quanto le pubblicazioni scientifiche ci dicono che il tumore dell’ovaio il più delle volte è a partenza tubarica, quindi, nel contesto di un intervento che mira alla sterilizzazione, sarebbe controproducente per la futura salute della donna lasciare le tube in sede».

Quali sono le indicazioni per la sterilizzazione anticoncezionale?

«Le indicazioni sono per donne che abbiano subito più cesarei, che comunque hanno avuto più figli, già avanti con l’età. Al di sotto dei 30 anni non si sterilizza mai una donna, se non in casi eccezionali, perché nella vita fertile della donna le decisioni e gli eventi casuali possono essere molteplici: dalla perdita accidentale di un figlio, al cambiare semplicemente il partner che vorrebbe magari altri figli – dice lo specialista—. Recentemente l’abbiamo fatto a una donna che era al suo quarto cesareo a 29 anni».

Il chirurgo che operò l’influencer, Marco Torrazzina, oggi direttore Uoc Ginecologia e Ostetricia dell’ospedale di Villafranca (Verona), ha dichiarato al Corriere del Veneto: «La salpingectomia è un intervento che si può fare senza limiti di età: basta essere maggiorenni e in grado di intendere e di volere. Perché qualche ospedale rifiuta di farlo? Sono scelte della singola struttura, ma non ci sono impedimenti di legge».

Ammettiamo si fosse davanti a un caso come quello descritto: una 22enne in salute che vuole questo intervento, come si regola un medico?

«Eticamente non possiamo farlo: come si può rendere sterile per sempre una ragazza di 22 anni che non si sa cosa deciderà nel futuro, chi incontrerà – sottolinea Guarnerio —? Non si può fare».

Dipende dalla scelta del medico o dell’ospedale? Non si può davvero fare?

«Non è che non si può, non si deve. O non si dovrebbe», conclude lo specialista.

Nello specifico, il Codice di Deontologia Medica all’Art. 40 recita: «(…) Ogni atto medico diretto a intervenire in materia di sessualità e di riproduzione è consentito soltanto al fine di tutelare la salute» e il successivo commentario, a cura della Federazione Nazionale Ordine Medici Chirurghi e Odontoiatri (FNOMCeO), precisa: «Con esso si individua la tutela della salute, intesa nell’ampia accezione (…), quale finalità che renda leciti trattamenti medici inerenti alla sessualità e riproduzione – e prosegue con il caso di cui sopra —. Con riferimento alla sterilizzazione (…) vengono avanzati dubbi sulla legittimità giuridica della sterilizzazione anticoncezionale, specie se permanente e irreversibile in quanto contraria al disposto dell’Art. 5 del Codice Civile». Il commentario aggiunge, infine, per completezza di informazione: «Vi è chi sostiene che la legge di riforma sanitaria (23 dicembre 1978, n. 833), (…) abbia creato spazi di legittimità e di liceità all’atto medico sterilizzante. Esso, pertanto, verrebbe ad acquisire il significato di intervento da attuare nell’ambito del S.S.N.».

Texas, uccide l'amica incinta per rubarle il feto: condannata a morte. Pena capitale: questo quanto sancito dalla giuria della contea di Bowie, in Texas, per la ventinovenne Taylor Rene Parker. Massimo Balsamo il 12 Novembre 2022 su Il Giornale.

Uccise l'amica incinta per prelevare il feto, ora è arrivata la sentenza: pena di morte. Questo quanto accaduto in Texas, negli Usa, una vicenda che vede come protagonista la ventinovenne Taylor Rene Parker. La tragedia risale al 9 ottobre 2020: la ventinovenne si recò a casa della conoscente Reagan Simmons-Hancock per realizzare il piano agghiacciante. Oltre cento pugnalate per stroncare la vita della giovane ventunenne. Ma non solo: la Parker prelevò il neonato prematuro dalla pancia della vittima, tentando la fuga. Un viaggio terminato poco dopo a causa dell'intervento della polizia. Purtroppo per il feto niente da fare, nonostante i tentativi dei sanitari.

Stati Uniti sotto choc

Il dramma avvenuto in Texas ha scosso l'opinione pubblicata, ora è arrivato il verdetto della giustizia. La giuria della contea di Bowie ha condannato Taylor Rene Parker alla pena capitale per la morte dell'amica e del figlio. A tal proposito, le autorità hanno rimarcato che la donna ha causato la morte del feto "a causa dell'incapacità di fornire le cure necessarie al bambino". Taylor Rene Parker diventa così la settimana donna nel braccio della morte del Texas.

Ed emergono particolari atroci, riportati da Abc. La killer, infatti, aveva detto al compagno e ad altre persone a lei care di aspettare un figlio. Per rendere la bugia credibile, ha utilizzato anche una pancia finta in silicone e ha organizzato una festa per la rivelazione del sesso del primogenito. La Parker ha provato a mentire fino alla fine, anche dopo l'omicidio dell'amica: una volta intercettata dalle forze dell'ordine, ha provato a inscenare un parto appena avvenuto.

La famiglia della vittima

"Siamo grati che sia stata fatta giustizia oggi, non solo per la nostra famiglia ma anche per i nostri amici, alla squadra dell'accusa e alla nostra comunità", le parole di Jessica Brooks, madre della vittima, ai microfoni di CNN KSLA. Così, invece, la sorella della vittima, Emily Simmons: "Sono felice che sia finita, perchè Taylor Rene Parker è stata un tale peso nella nostra vita per così tanto tempo che non sono stata in grado di pensare a mia sorella senza pensare a lei".

Inventing mamma. Le bugie delle influencer e le storie che non funzionano se tutti sono cattivi. Assia Neumann Dayan su L’Inkiesta il 7 Novembre 2022.

Nonostante lo scandalo dello scioglipancia di Wanna Marchi ancora facciamo molta fatica a pensare che qualcuno possa mentire per venderci un prodotto. E che una mamma possa essere una stronza

Tra un «ma c’era il vetro!» e un «se non dormi 12 ore per notte muori», tra le storie degli unici due che si siano laureati a vent’anni, cioè Carlotta Rossignoli e Unabomber, sui social siamo infine giunti al grande scandalo che coinvolge quella che nella mia mente è stata la prima mamma influencer italiana. Riassumo brevemente per quelli che hanno un lavoro e non passano la giornata a guardare le figure di un libro immaginario: Julia Elle, in arte “Disperatamente Mamma”, ha costruito una carriera raccontando la propria storia: ha scritto libri sulla sua vita, sulla sua maternità, ha più di 640 mila follower a cui racconta quotidianamente tutte le difficoltà dell’essere donna mamma imprenditrice (spoiler: nessuna, è ricca, è magra, e mette il pigiama ai bambini alle 17:30), va nei programmi del pomeriggio a rilasciare interviste di immedesimabile autobiografia, ha scritto e interpretato una web serie su sé stessa, parlando sempre e solo di una cosa: indovinate voi quale.

Ha tre figli i cui nomi iniziano tutti con “Ch”, ha sempre raccontato che è stata mollata, incinta del secondo, dal padre dei suoi primi due figli: fatto sta che l’altro ieri Paolo Paone, l’ex compagno e padre dei suoi bambini, fa un post su Instagram dove dice che lui non è il padre biologico del “secondogenito” e che Julia Elle non glielo fa vedere perché lui non può accampare diritti. «Mi vedo costretto a questa precisazione non soltanto per correttezza nei confronti del pubblico ma anche e soprattutto perché stanco e fiaccato da anni di commenti che mi accusano di non essere un buon padre per Chris», scrive.

Non avere abbastanza schiena per sostenere le accuse di perfetti estranei fan di un’influencer e sentirsi costretti a scrivere un’ansa sulla paternità di un figlio perché il pubblico ha il diritto di sapere ha certamente più a che fare con il pretesto che con la verità. Visto che il problema è la verità, questo bambino lo sa di chi è figlio o l’ha scoperto così? La gente ha tutto il diritto di saperlo, o a un certo punto ci si appella al concetto di privacy? Il problema dei minori sui social non riguarda solo il mettere le foto o i video per fare soldi e visualizzazioni, riguarda anche e soprattutto la tutela dei bambini nel caso di separazioni.

Per la foto di classe è necessario che entrambi i genitori firmino una liberatoria, così come in pubblicità o in televisione: questo succede anche quando i bambini fanno sponsorizzazioni sui social? I guadagni vengono divisi?

Aaron Sorkin ha detto che per scrivere un buon cattivo bisogna non pensarlo come tale, ed è per questo che «you can’t handle the truth!» funziona: alla fine quel povero soldato non era tagliato per la vita militare, secondo me dormiva pure 12 ore filate, e poi che bell’uomo Jack Nicholson. Mi ricordo quando Julia Elle scrisse un post dove dichiarava di essere stata povera per 15 minuti. Non aveva dietro gli spicci per comprare un gelato al bambino, e da qui è partito tutto il suo monologo sull’indigenza. Sui social dice una cosa, nei libri un’altra, prima era povera, poi non era proprio povera povera, dice che il papà del bambino è uno che l’ha mollata incinta dopo una notte di passione, invece lui dice di no, e da Disperatamente Mamma a Inventing Mamma è un attimo. Perché non abbiamo il diritto di recesso quando compriamo le vite degli altri?

Viviamo nell’ossessione per la verità: ho visto con questi occhi influencer commentare film e serie tv in base al criterio di aderenza alla realtà, le stesse che dicono che è inutile farsi le pippe sulla sirenetta nera, perché le sirene mica esistono: in un sol colpo sono morti il cinema, la letteratura, la filologia, il senso del ridicolo, una strage per cui nessuno pagherà. Il pubblico si è sentito truffato. Davvero lo scioglipancia di Wanna Marchi non scioglieva la pancia? Mi state dicendo che l’io narrante non è davvero un “io” e forse nemmeno “narrante”? Come ha potuto un’influencer mentire su Instagram? Ma nessuno fa fact checking sui romanzi?

Il pubblico, che per sua natura sceglierà sempre Barabba, sta dalla parte del papà: rivuole indietro i soldi del biglietto, ma c’è da chiedersi se quella che vendeva Julia Elle non fosse semplicemente una verità a buon mercato, o se semplicemente facciamo molta fatica a pensare che una mamma possa mentire o essere una stronza. Il problema ti esplode in faccia quando scopri che il trauma è forse inventato – ve lo dice la vostra Cassandra di fiducia: succederà con tutte le influencer che lucrano su qualche disgrazia – e ti chiedi: ma quindi la scema sono io che ci ho creduto? Sì, le sceme siamo noi, ci abbiamo creduto esattamente come abbiamo creduto allo scioglipancia, alla sirenetta, ai bambini di due anni trans, alla dottoressa senza sonno, alle mamme che dicono di essere emotivamente e fisicamente stanchissime anche se hanno la tata, i domestici, le case di proprietà, una vita tra un massaggio e un parrucchiere e una sfilata e una festa e una crisi di pianto.

Alla fine, quello che mi domando è: la stronza è lei che forse ha mentito per costruirci una carriera o lui che ha esposto pubblicamente il figlio ai pettegolezzi? La prima vittima in guerra è sempre la verità, ma pure i bambini non scherzano. Questo bambino dovrà pur andare a scuola in mezzo alle voci di corridoio e fare anche la faccia allegra perché la mamma deve fare i video pagati: il giorno dopo lo scandalo, inspiegabile a livello logico, subito è apparso un video di sponsorizzazione con la creatura. In seguito, lei ha pubblicato una storia dove dice che per tutelare i bambini sceglierà il silenzio e gli avvocati. Se proprio vogliamo la verità, iniziamo col dire che le storie non funzionano se i protagonisti sono tutti cattivi.

Aggiornamento: ieri Julia Elle ha pubblicato delle stories su Instagram in cui spiega che ha mentito perché Paone era violento con lei e la figlia, che è dovuta scappare da un inferno domestico, che lui l’ha minacciata con un coltello, che il bambino sa che il suo papà è un altro. Ha pubblicato delle chat dove lui scrive che per gli insulti non c’è la galera. Dice di essersi rivolta a un centro antiviolenza. Dice di averli sempre «protetti anche nella vita reale», e questo «anche» dice quasi tutto sulla vicenda. Saranno contenti gli avvocati, un po’ meno i bambini che non potranno mai più riappropriarsi della loro storia. Una volta una ragazza aveva chiesto a Julia Elle se dovesse rimanere col marito che la menava o andare via, e lei aveva risposto: «Scegli la tua fatica». Chiamare i carabinieri sembra non essere mai contemplato, sarà troppo faticoso. Il rischio che si corre vivendo la propria vita su un set è che la quarta parete si può rompere, poi è difficile non passare per l’Amazing Amy di turno.

Da ansa.it il 9 ottobre 2022.  

Le donne italiane partoriscono dopo i 30 anni, in media a 33, e continua l'eccessivo ricorso al taglio cesareo anche se si registrano segni di rallentamento.

Esclusi i parti cesarei, ora quasi tutti i papa ' (il 95,4%) assistono alla nascita. E' il quadro che arriva dal report annuale del Ministero della Salute sul Certificato di Assistenza al Parto (CeDAP), relativo al 2021 in 364 punti nascita. 

L'88% delle donne preferisce le strutture pubbliche e il 62,8% delle nascite si svolge in strutture con alti volumi di attività, sopra i 1000parti annui. 

In 2,9 gravidanze ogni 100, le donne hanno fatto ricorso alla fecondazione assistita.

Da leggo.it il 19 settembre 2022.

Hanno fatto prostituire una minorenne. Di questo sono accusate la mamma e la sorella della ragazza. Al termine dell'inchiesta giudiziaria i carabinieri della compagnia di Partinico (Palermo) hanno eseguito un'ordinanza cautelare nei confronti di 6 indagati (di cui 2 destinatari della custodia cautelare in carcere, 2 degli arresti domiciliari con braccialetto elettronico e 2 dell'obbligo di dimora nel comune di residenza) accusati vario titolo di sfruttamento e favoreggiamento della prostituzione nonché di atti sessuali con minore.

Il provvedimento è stato emesso del gip dl tribunale di Palermo. Le misure sono state eseguite tra le province di Palermo e Agrigento. L'indagine, scattata nell'agosto 2021 e condotta fino al febbraio di quest'anno con l'ausilio di intercettazioni telefoniche, ha consentito ai militari dell'Arma, coordinati dalla procura, di documentare come una ragazza minorenne fosse stata indotta dalla madre e dalla sorella ad avere rapporti sessuali, a pagamento, con due degli indagati, facendo emergere un giro di prostituzione creato e alimentato proprio dalle due donne, secondo l'accusa. 

Quest'ultime, inoltre, avrebbero avuto l'appoggio di un loro familiare e di coloro che, dopo aver consumato atti sessuali con le donne, si sarebbero adoperati per organizzare incontri e procacciare loro ulteriori «clienti».

Da bari.repubblica.it il 19 settembre 2022.

La Regione Puglia pagherà un milione di euro a una 33enne di Canosa e alla sua vera famiglia (madre, padre e fratello), a cui per 23 anni sono stati impediti i rapporti familiari a causa dello scambio di due neonate nella culla. La sentenza del Tribunale civile di Trani arriva a dieci anni dalla scoperta dell'assurda storia delle bambine di Canosa, partorite il 22 giugno 1989 e poi affidate per errore a due madri che non erano quelle naturali. 

Una di loro, Caterina (che credeva di aver partorito la bimba chiamata Lorena e invece era la mamma di Antonella) dovrà essere risarcita per 215mila euro, così come il marito, mentre 81mila euro andranno all'altro figlio, "per non aver potuto vivere compiutamente la relazione parentale". Ad Antonella, invece, la Regione pagherà circa mezzo milione (a fronte di una richiesta di tre), anche se nessuna cifra potrà mai restituirle la vita mancata.

La sua esistenza è stata a dir poco difficile e in una famiglia indigente: la madre l'ha abbandonata da piccola, il padre l'ha maltrattata al punto da farla finire in orfanotrofio e poi in adozione. Meno disastrosa, ma comunque non serena, la vita dell'altra bambina, Lorena, caratterizzata da un rapporto difficile con i genitori. 

La scoperta della loro vera identità è avvenuta casualmente nel 2012, guardando delle foto su facebook e notando delle somiglianze tra donne che non avevano alcun legame di parentela.

A dare conferma ai sospetti, l'anno successivo è arrivato il test del dna, dal quale è emerso che Antonella è figlia di Caterina e Lorena di Loreta. Quella scoperta scioccante, alcuni anni dopo, si è tradotta in due richieste di risarcimento milionarie alla Regione, tramite le cause avviate davanti ai Tribunali di Bari e Trani. La seconda è stata intentata da Antonella e dai suoi veri genitori contro la Regione e le Asl Bari e Bat, che però non sono state ritenute legittimate a risarcire eventuali danni. L'unica responsabile, alla fine, sarebbe dunque la Regione, perché ad essa faceva capo l'ospedale di Canosa nel quale avvenne lo scambio.

L'episodio che ha cambiato le vite di Antonella e Lorena sarebbe avvenuto dopo il parto, quando le neonate sono state portate al nido, dove a nessuna delle due fu applicato il braccialetto identificativo. In tal modo - è scritto nella sentenza - le mamme non ebbero modo di accorgersi dell'errore, anche se da quel momento cominciò a concretizzarsi il danno. Il personale ospedaliero, sostiene oggi il giudice, ha infatti l'obbligo di operare perché il parto e le successive cure avvengano senza danni ma anche di "consegnare" alla madre il neonato che ha partorito. Tale "inadempimento contrattuale" da parte della struttura avrebbe determinato un enorme danno per tutte le persone coinvolte nella vicenda.

La Regione ha anche giocato la carta della prescrizione, puntando sul fatto che il presunto danno dovrebbe essere calcolato a partire dal momento della nascita. Ma secondo il tribunale il danno si conteggia da quando i protagonisti della vicenda hanno avuto cognizione dello scambio, quindi dal 2012, il che elimina ogni ipotesi di prescrizione.

Alessia Strinati per leggo.it il 10 settembre 2022.

Mette al mondo due gemelli ma sono di due padri diversi. Una donna in Brasile ha raccontato la sua storia, spiegando di aver scoperto che i suoi due bambini sono in realtà figli di due uomini diversi. La 19enne, di Minerios a Goias, ha spiegato di aver sostenuto un test di paternità perché voleva confermare chi fosse il padre dei bimbi e ha poi fatto la scoperta choc.

La giovane ha spiegato di aver fatto sesso con entrambe gli uomini il giorno del concepimento dei suoi figli. In dubbio quindi sulla paternità ha voluto fare un test del DNA ma mai si sarebbe aspettata un risultato simile. La 19enne ha raccolto il DNA dalla persona che pensava fosse il padre ma, dopo due test, i risultati sono tornati positivi solo per uno dei gemelli. Quando ha poi prelevato i campioni dell'altro uomo con cui aveva avuto rapporti è venuta fuori la compatibilità.

Il fenomeno, sebbene molto raro, non è impossibile ed è scientificamente chiamato superfecondazione eteroparentale. Al mondo ne esistono solo 20 casi. Il medico che ha assistito la 19enne ha dichiarato alla stampa locale: «È possibile che accada quando due ovuli della stessa madre vengono fecondati da uomini diversi. I bambini condividono il materiale genetico della madre, ma crescono in placente diverse». I bambini hanno ora 16 mesi, ma pare che a prendersi cura di tutti e due sia solo il padre di uno di loro.

Svolta arcobaleno di Peppa Pig, è rivolta: "La Rai non mandi in onda l'episodio". Il Tempo l'08 settembre 2022

Bufera sulla Rai per la svolta arcobaleno di Peppa Pig, il popolare cartone animato dedicato ai bambini in età pre-scolare. Nell'episodio trasmesso mercoledì 7 settembre in Gran Bretagna è apparso infatti un nuovo personaggio, Penny Polar Bear, che vive con due mamme. "È inaccettabile la scelta degli autori del cartone animato Peppa Pig di inserire un personaggio con due mamme. Ancora una volta il politicamente corretto ha colpito e a farne le spese sono i nostri figli. Ma i bambini non possono essere solo bambini?", ha dichiarato Federico Mollicone, responsabile cultura di Fratelli d’Italia e candidato nel collegio plurinominale Lazio 1-01 della Camera dei Deputati. 

"Come ha dimostrato recentemente Giorgia Meloni siamo e saremo sempre in prima linea contro le discriminazioni, ma non possiamo accettare l’indottrinamento gender. Per questo chiediamo alla Rai, che acquista i diritti sulle serie di ’Peppa Pig’ in Italia col canone di tutti gli italiani, di non trasmettere l’episodio in questione su nessun canale o piattaforma web", dice Mollicone che si riferisce al fuori programma in un comizio in cui è salito sul palco un attivista per i diritti delle coppie omosessuali.

La vicenda ha provocato la reazione anche dell'associazionismo. Jacopo Coghe, portavoce di Pro Vita & Famiglia, ha affermato che "è intollerabile usare cartoni animati in salsa LBTQIA+ per influenzare la mente dei bambini e normalizzare situazioni che si fondano sull’ideologia gender. Per questo il primo episodio di Peppa Pig trasmesso in UK con la presenza di 'due mamme lesbiche' è di una gravità assoluta. Due donne possono dotarsi di un figlio solo acquistando gameti umani e praticando la fecondazione artificiale, violando il diritto del figlio di crescere con suo papà. I cartoni animati devono divertire ed educare i più piccoli, non confonderli con la presenza di elementi politicamente corretti", si legge in una nota in cui si chiede alla Rai di non trasmettere l’episodio. 

Valeria Braghieri per “il Giornale” l'8 settembre 2022. 

Tutta questa rivoluzione per poter rappresentare una famiglia composta da due mamme anche nei cartoni animati, per poi averne una che «fa il medico» e una che «sta a casa a cucinare gli spaghetti». Una classica famigliola arcobaleno... anni Cinquanta. 

È stata una delle amiche di Peppa Pig, l'orsacchiotta con gli occhiali Penny Polar Bear, (in una puntata dell'episodio «Families» in onda su Channel 5 in Gran Bretagna), a raccontare come fosse composta la sua famiglia e a spiegare felice di vivere con due mamme. Si è trattato della prima volta in cui il tema ha fatto irruzione nella serie animata di Peppa. Fino ad oggi c'erano stati solo tradizionalissimi mamme e papà.

Ma va detto che il padre di Peppa è sempre stato tratteggiato in maniera così goffa e poco incisiva (per usare decisamente due eufemismi) che ci siamo stupiti del fatto che a scappare con una compagna donna non fosse stata la mamma di Peppa. Indeciso a tutto, bersaglio di scherno, mai risolutivo e corredato di una voce acuta e tremula. Ah beh, ovviamente è rosa pure lui, essendo il papà di Peppa. Era normale che il maschile avesse i minuti contati in questa serie. 

La maialina rosa, invece, è un fenomeno globale che va in onda in ben centottanta Paesi. Tanto per capire, Quentin Tarantino ha detto di lei «È la più grande importazione britannica del decennio».

Quindi è normale che si sia scelto questo contenitore per dare il via all'inclusione e accontentare le molteplici richieste che, nel corso degli anni, sono state rivolte dalle associazioni LGBTQ ai produttori del cartone visto che, dopo l'uscita di «Peppa' s Adventures: The Album», pubblicato nel 2021, Peppa è diventata una vera e propria icona per la comunità gay. I fan hanno notato che diversi aspetti delle canzoni presenti nell'album facevano riferimenti ai diritti LGBTQ, inclusa la canzone «Rainbow».

Insomma era il terreno perfetto per il complicato innesto. D'altra parte è comprensibile che le mamme e i papà arcobaleno abbiano voglia di vedersi rappresentati nei programmi che guarderanno i loro figli. E anche che i figli delle famiglie arcobaleno abbiano il diritto di vedere nei ppropri cartoni famiglie come le loro. Peppa, ovviamente, li ha accontentati tutti.

Per l'esattezza lo ha fatto la sua amica Penny Polar, con i suoi occhiali, la sua vocina ancora compressa dall'età, la naturalezza disarmante che i bambini sanno maneggiare con tanta perizia eppure inconsapevolmente: «Vivo con mia mamma e l'altra mia mamma. Una mamma è un dottore e una mamma cucina gli spaghetti. Io amo gli spaghetti». Et voillà. L'inclusione. In rosa e arcobaleno.

Da lastampa.it l'8 settembre 2022.  

«Deve essere tutelato l'interesse della minore, che deve poter fruire del diritto di essere mantenuta, istruita, educata ed assistita moralmente da entrambe le persone che considera di fatto suoi genitori e che hanno concorso alla sua nascita sulla scorta di un progetto genitoriale condiviso». 

Con questa motivazione il Tribunale civile di Bari ha rigettato l'istanza di parziale rettifica della trascrizione sul registro di stato civile del Comune di Bari dell'atto di nascita di una bambina, figlia di due madri, nata nel 2017 negli Stati Uniti con la maternità surrogata.

Nell'istanza, presentata dopo la separazione delle due donne, si chiedeva la cancellazione del nome di una delle due mamme, quella senza legami genetici con la figlia. Nell'atto di nascita americano c'era l'indicazione di entrambe come genitori (l'atto riporta il termine parent), sebbene solo una presenti un legame genetico (e non biologico) con la minore, mentre l'altra ha prestato il consenso allo svolgimento della procedura di concepimento.

Secondo i giudici baresi, sulla base anche di una sentenza della Corte Costituzionale del 2021, «il consenso alla genitorialità e l'assunzione della conseguente responsabilità nella formazione di un nucleo familiare dimostra la volontà di tutelare l'interesse del minore alla propria identità affettiva, relazionale, sociale e a mantenere il legame genitoriale acquisito nei confronti di entrambi i genitori, eventualmente anche in contrasto con la verità biologica della procreazione».

Anche dopo la separazione la bimba continuerà ad avere due mamme: la sentenza a Bari. Deve essere tutelato l’interesse della minore, che deve poter fruire del diritto di essere mantenuta, istruita, educata ed assistita moralmente da entrambe le persone che considera di fatto suoi genitori. Redazione online su La Gazzetta del Mezzogiorno l'08 Settembre 2022.

«Deve essere tutelato l’interesse della minore, che deve poter fruire del diritto di essere mantenuta, istruita, educata ed assistita moralmente da entrambe le persone che considera di fatto suoi genitori e che hanno concorso alla sua nascita sulla scorta di un progetto genitoriale condiviso». E’ la motivazione con la quale il Tribunale civile di Bari ha rigettato l’istanza di parziale rettifica della trascrizione sul registro di stato civile del Comune di Bari dell’atto di nascita di una bambina, figlia di due madri, nata nel 2017 negli Stati Uniti con la maternità surrogata. Nell’istanza, presentata dopo la separazione delle due donne, si chiedeva la cancellazione del nome di una delle due mamme, quella senza legami genetici con la figlia.

Nell’atto di nascita americano c'era l’indicazione di entrambe come genitori (l'atto riporta il termine parent), sebbene solo una presenti un legame genetico (e non biologico) con la minore, mentre l’altra ha prestato il consenso allo svolgimento della procedura di concepimento. Secondo i giudici baresi, sulla base anche di una sentenza della Corte Costituzionale del 2021, «il consenso alla genitorialità e l'assunzione della conseguente responsabilità nella formazione di un nucleo familiare dimostra la volontà di tutelare l'interesse del minore alla propria identità affettiva, relazionale, sociale e a mantenere il legame genitoriale acquisito nei confronti di entrambi i genitori, eventualmente anche in contrasto con la verità biologica della procreazione».

Le due donne si erano sposate a New York nel 2016. Ricorrendo alla maternità surrogata - vietata in Italia - hanno avuto una figlia, nata in California nel novembre 2017, che quindi oggi ha quasi 5 anni. L’atto di nascita registrato negli Stati Uniti è stato trascritto nei registri dello stato civile del Comune di Bari un anno dopo, a firma direttamente del sindaco Antonio Decaro come delegato di stato civile. Poi la coppia si è separata e il pubblico ministero, su istanza dei nonni della bambina, i genitori della madre che aveva dato il proprio ovulo e anche il cognome, con il supporto della stessa donna, ha promosso il procedimento per chiedere la cancellazione del nome dell’altra mamma dall’atto trascritto, eccependo la «mancanza di un legame biologico tra la madre intenzionale e la minore». «Nessuna delle due donne - fa presente il Tribunale - ha un legame biologico con la minore, considerato che una è il genitore genetico, non avendo partorito la minore ma avendole trasmesso il suo patrimonio genetico».

Nel procedimento, al fianco della madre «intenzionale», assistita dall’avvocato Domenico Costantino, si è costituito il Comune di Bari. Condividendo le ragioni di questi ultimi, i giudici (presidente Saverio De Simone), parlando di «vuoto legislativo», evidenziano "l'importanza e l’urgenza di una tutela dell’interesse preminente della minore alla bigenitorialità, ad essere cresciuta da entrambe le persone che ne hanno voluto la nascita e che si sono assunte nei suoi confronti le relative responsabilità, senza subire le conseguenze di tardivi ripensamenti di uno dei componenti della coppia». Anche la successiva «rottura della relazione sentimentale delle componenti della coppia genitoriale non assume rilievo - spiega il Tribunale - , poiché non fa venir meno il valore del progetto di genitorialità condivisa. Ed invero, tale progetto, superate le iniziali situazioni di conflittualità che caratterizzano ogni separazione, dovrà essere comunque attuato, avendo la piccola diritto alla continuità del legame affettivo con entrambe le madri».

Parla il legale

«Non v'è dubbio che il bambino nato all’estero da pratiche alternative deve essere tutelato da una piena genitorialità, quale principio di rilevanza costituzionale primaria dell’interesse superiore del minore, che si sostanzia nel preservare il legame che unisce il figlio a coloro i quali hanno assunto nei suoi confronti la responsabilità genitoriale sin dalla sua nascita. Tale diritto non può essere in nessun caso compresso dal venire meno del rapporto affettivo tra i genitori né tanto meno dalla carenza normativa in ordine alla questione». Lo dichiara l’avvocato Domenico Costantino, commentando il decreto con il quale il Tribunale civile di Bari ha rigettato la richiesta di parziale rettifica della trascrizione fatta dal Comune di Bari dell’atto di nascita di una bambina nata in America con maternità surrogata e figlia di due donne. Il legale ha assistito nel procedimento la mamma «non genetica», del cui nome si chiedeva la cancellazione dalla trascrizione dell’atto di nascita.

L’avvocato, come pure i giudici baresi, richiama una sentenza del 2021 della Corte Costituzionale che «ha affermato che, pur essendo vietata in Italia la gravidanza per altri, è necessario riconoscere piena tutela ai bambini italiani nati in Paesi in cui la pratica è consentita, sì da non essere discriminati». Il difensore evidenzia che «l'assenza di un legame biologico o genetico tra il soggetto riconosciuto come genitore e il minore ricopre sempre meno importanza nella giurisprudenza e nella normativa internazionale, comunitaria e interna, dovendosi valorizzare al contrario altri aspetti della genitorialità, quali la volontarietà, il consenso e l’assunzione della responsabilità genitoriale».

«La prospettiva, segnatamente nell’ambito delle relazioni familiari - conclude il legale - , deve essere ed è quella dei bambini».

Da cataniatoday.it il 2 settembre 2022.

È nata all'Ospedale Cannizzaro di Catania Alessandra, figlia della donna che ha ricevuto il primo trapianto di utero realizzato in Italia. Si tratta della prima nascita di questo tipo nel nostro Paese e del sesto caso al mondo di gravidanza portata a termine con successo dopo un trapianto di utero da donatrice deceduta. La madre, oggi 31enne, era nata priva di utero a causa di una rata patologia congenita, la sindrome di Rokitansky.

Il trapianto era stato effettuato nell'agosto 2020 in piena pandemia presso il Centro trapianti dell'Azienda ospedaliero universitaria Policlinico di Catania da un’equipe multidisciplinare composta dai professori Pierfrancesco e Massimiliano Veroux, Paolo Scollo e Giuseppe Scibilia, nell'ambito di un programma sperimentale coordinato dal Centro nazionale trapianti. Successivamente la donna è stata seguita dall’equipe del prof. Paolo Scollo presso il reparto da lui diretto di Ostetricia e ginecologia dell’Azienda ospedaliera Cannizzaro, unità operativa complessa clinicizzata dell’Università Kore di Enna. Al Cannizzaro la paziente e il marito hanno poi iniziato il percorso di fecondazione assistita omologa, grazie agli ovociti prelevati e conservati, prima dell’intervento, nella biobanca per la preservazione della fertilità dello stesso ospedale.

"Il tentativo di fecondazione è andato a buon fine e la signora ha condotto una gravidanza regolare fino alla 30esima settimana - spiega il professor Scollo - quando ha contratto il Covid ed è stata pertanto ricoverata nella sezione della Ginecologia del Cannizzaro dedicata alle pazienti positive. L’infezione è stata per un certo tempo asintomatica ma, qualche giorno fa, un episodio di febbre alta e conseguenti contrazioni ci ha indotto a procedere con un taglio cesareo". La signora ha così partorito alla 34esima settimana una bambina di 1.725 grammi, alla quale lei e il padre hanno voluto dare il nome della donatrice dell’utero, una donna di 37 anni, già madre, deceduta per arresto cardiaco improvviso e che aveva espresso in vita il proprio consenso alla donazione al momento del rinnovo della carta d’identità.

"Madre e figlia - continua Scollo - sono state quindi trasferite in terapia intensiva: la donna nel reparto adulti, la bambina nell'unità di terapia intensiva neonatale, dove è sottoposta a terapia antibiotica di prassi per i prematuri e ad assistenza respiratoria non invasiva. Entrambe si trovano in condizioni stabili".

“Si è trattato di un trapianto estremamente complesso - racconta Pierfrancesco Veroux, professore ordinario di chirurgia vascolare e trapianti dell’Università degli studi di Catania - che ha presentato sin dall’inizio le difficoltà tecniche che ne limitano l’uso estensivo nel mondo. In questo caso l'utero, sin dal declampaggio dei vasi, ha mostrato una grande vitalità che ha poi permesso grazie a una perfusione ottimale di 'vivere' nella paziente e di portare a termine una gravidanza quanto mai attesa. Il Centro trapianti da me diretto ha seguito in questi due anni con cadenza settimanale la futura mamma al fine di monitorare le condizioni cliniche e modulare la terapia immunosoppressiva, soprattutto nella delicata fase finale condizionata dal Covid. L’utero trapiantato, al momento della nascita della 'nostra' piccola Alessandra, ha confermato la piena funzionalità, facendo ben sperare per il futuro".

"La nascita di questa bambina è un risultato straordinario", commenta il direttore del Centro nazionale trapianti Massimo Cardillo. "Questa sperimentazione è ancora agli inizi, soprattutto per quanto riguarda gli interventi a partire da donatrici decedute, che sono solo il 20% dei già pochi trapianti di utero finora realizzati nel mondo. Una gravidanza con esito positivo a soli due anni dal primo trapianto è dal punto di vista scientifico un successo per la Rete trapiantologica italiana: innanzitutto per tutti i professionisti dell'Ospedale Cannizzaro e del Policlinico di Catania che stanno conducendo la sperimentazione e che hanno seguito fin dall'inizio il percorso della paziente, e poi per il Centro regionale siciliano e per il coordinamento nazionale che hanno lavorato al reperimento dell'organo".

Per Cardillo "la piccola Alessandra oggi rappresenta per le donne nate prive di utero una speranza concreta di poter condurre una gravidanza ed è l'ennesima testimonianza di come la medicina dei trapianti e la donazione degli organi siano un valore da promuovere sempre di più".

Da Ansa il 30 Agosto 2022.

Una neonata è stata abbandonata vicino all'ospedale San Gerardo di Monza ed è stata trovata da un'infermiera in una scatola posta sul cofano di una vettura.

La donna ha dato l'allarme agli agenti della Questura di Monza. 

I poliziotti hanno ricostruito come alle 5.20 l'infermiera, che stava andando al lavoro, ha sentito dei gemiti. Si è avvicinata e ha trovato la neonata avvolta in una copertina all'interno della scatola. Ha avvertito il pronto Soccorso pediatrico il cui personale si è preso cura della bimba risultata nata da poche ore, in buone condizioni e dai tratti ispanici. Ora gli agenti indagano per rintracciare la madre. 

Lasciata su un'auto nel parcheggio dell'ospedale. Neonata abbandonata in una scatola poche ore dopo la nascita e ritrovata da una infermiere: sta bene. Redazione su Il Riformista il 30 Agosto 2022 

Abbandonata poche ore dopo la nascita in una scatola lasciata sul cofano di un’auto nel parcheggio dell’ospedale San Gerardo di Monza. A trovare la neonata è stata una infermiera che si stava recando a lavoro poco dopo le 5 del mattino. Ha sentito dei gemiti provenire all’interno di quella scatola posizionata sulla vettura e ha trovato la piccola avvolta in una copertina. La donna ha lanciato subito l’allarme, avvertendo i poliziotti della Questura di Monza. Poi ha portato la piccola all’interno del pronto soccorso pediatrico lasciandola alle cure dei sanitari.

La neonata era nata poche ore prima: è in buone condizioni e ha dei tratti ispanici che farebbero pensare a origini latino-americane, secondo quanto riferito dalla polizia intervenuta poco dopo in ospedale. Ignoti, per il momento, l’identità della madre, i motivi che avrebbero spinto la donna ad abbandonare la figlia e il luogo dove sarebbe avvenuto il parto. Accertamenti in corso da parte degli agenti che sono alla ricerca della donna che ha messo poche ore prima al mondo la piccola per poi lasciarla nel parcheggio dell’ospedale.

“Da padre mi sono emozionato ed immedesimato umanamente per quanto stava accadendo ed intimamente abbiamo gioito perché tutto stava volgendo al meglio per il bene della piccola” riferisce all’Ansa uno degli agenti della Questura di Monza e Brianza, che questa mattina è accorso all’ospedale San Gerardo, dopo che un’ostetrica ha trovato la neonata.

“Appena arrivati sul posto abbiamo ricostruito i primi momenti della vita di questa piccola – ha detto l’agente – dopo aver raccolto la testimonianza commossa della professionista che l’ha trovata e soccorsa”.

Gb, kit da 30 euro e donatore trovato via WhatsApp: 24enne incinta con l'inseminazione fai da te. Redazione Tgcom24 il 17 agosto 2022.

Una 24enne londinese, Bailey Ennis, è rimasta incinta tramite l'inseminazione artificiale. E fin qui non ci sarebbe nulla di particolare sennonché la ragazza ha fatto tutto da sola, senza rivolgersi a nessuna clinica. Nel settembre 2021, ha selezionato un "candidato" sui siti di donatori di sperma e, dopo averne avuto il consenso, ha comprato un kit per l'inseminazione. Un acquisto da 30 euro in tutto, grazie a un rivenditore specializzato online. Così Bailey è rimasta incinta al primo tentativo, nell'ottobre 2021, e il 2 luglio ha partorito Lorenzo.

"Avere un bambino da sola è la cosa migliore che abbia mai fatto", ha commentato la giovane. 

La decisione - "È da quando sono adolescente che desidero diventare mamma, e come donna gay, ho sempre saputo che sarebbe stato un caso di inseminazione artificiale. Ma non avevo alcun desiderio di avere una relazione. Volevo solo avere un bambino", ha raccontato Ennis, come riporta la stampa inglese. Da qui la decisione di procedere con l'inseminazione artificiale.  

La scelta del donatore - La giovane ha quindi cercato un donatore online. "Ho trovato una persona che aveva una buona cartella clinica ed era già stato un donatore per due coppie Lgbtq. Ci siamo scambiati dei WhatsApp e ci siamo incontrati per un caffè prima di concordare il tutto", ha raccontato la 24enne. La ragazza ha poi comprato il kit e, al momento giusto, ha invitato il donatore a casa sua a Bromley, un quartiere alla periferia di Londra. "Mi ha portato la sua donazione e poi mi ha aiutato a usare il kit: coppette sterili, siringhe, test di ovulazione. È stato davvero facile. Non c'è stato alcun imbarazzo", ha aggiunto Ennis. 

Il caso - Come sottolinea La Stampa - che riporta la storia nella sua edizione odierna - l'inseminazione fai da te espone la donna a diversi rischi. Le cliniche ufficiali - nelle quali il procedimento può costare fino a 3mila euro - non solo controllano i donatori da punto di vista medico e psicologico, ma assicurano anche che non abbiano diritti legali sul bambino. Tutele non garantite in un accordo privato. Tuttavia, per Ennis non sembra essere un problema. Il donatore "potrà conoscere Lorenzo se vorrà, in qualsiasi momento della sua vita", ha specificato la 24enne. L'uomo si è anche detto pronto ad aiutarla a concepire un altro bambino. 

Il racconto su TikTok - Ora la giovane racconta la sua storia su TikTok e mostra la sua quotidianità con il piccolo Lorenzo, dando consigli alle mamme single come lei. 

Segrate, abbandona la figlia, si ubriaca e fa sesso in strada. Libero Quotidiano il 23 agosto 2022

Lascia sua figlia di 10 anni da sola per tutto il pomeriggio, si ubriaca e poi si apparta con un uomo per strada, probabilmente per fare sesso. Per questo una donna russa di 40 anni, residente a Segrate, è stata denunciata dalla Polizia di Como. Su di lei pendono le accuse di abbandono di minore e atti osceni in luogo pubblico. La bambina sarebbe stata trovata in lacrime, la madre seminuda e ubriaca. Il fatto, che risale a domenica scorsa, è stato raccontato dal quotidiano La Provincia di Como.

Tutto è iniziato quando madre e figlia sono arrivate al lido "Giulietta al lago" nel primo pomeriggio. La donna si sarebbe allontanata più volte dalla bimba, forse perché ubriaca. E a un certo punto l'avrebbe lasciata per appartarsi in un posto diverso con un uomo. Intorno alle 19 la bambina avrebbe iniziato a piangere perché senza la sua mamma. Quando i gestori del lido se ne sono accorti, le sarebbero stati accanto, facendosi spiegare bene la situazione. Ed è allora che avrebbero deciso di chiamare la polizia.

Arrivati sul posto, gli agenti ci avrebbero messo circa 40 minuti a trovare la donna, poi rintracciata a un centinaio di metri dal luogo in cui si trovava la figlia. Accompagnata in questura, la 40enne si sarebbe rifiutata di parlare. Sarebbe stata la figlia a fornire i suoi dati ai poliziotti. A quel punto è scattata la denuncia. La bambina, invece, sentito il tribunale dei minori, sarebbe stata affidata a una vicina di casa di origine ucraina. 

Positiva alla cocaina la neonata lasciata in auto sotto il sole, genitori denunciati. Tonj Ortoleva il 31 Luglio 2022 su Il Giornale.

I genitori della piccola di due mesi, presi dalla discussione, hanno chiuso la piccola dentro l'auto parcheggiata sotto al sole e sono andati a litigare davanti a un bar. 

I genitori litigano furiosamente davanti a un bar lasciando la figlia di due mesi chiusa in auto sotto al sole cocente. Fondamentale l’intervento di alcuni passanti che hanno allertato carabinieri e 118. La bambina è stata portata in ospedale mentre i genitori sono stati denunciati.

La lite con la neonata chiusa in auto

La vicenda è accaduta ieri a Latina, nella frazione di Borgo Montello, popolosa periferia della città. I genitori della bambina, 40 anni lui, 38 lei, stavano consumando qualcosa al bar insieme alla figlia neonata, appena due mesi, che stava nel passeggino. Gli avventori del bar li hanno notati perché stavano discutendo. A un certo punto si sono recati verso l’auto, parcheggiata poco distante, assieme alla bambina. Il tutto sempre discutendo. La piccola è stata messa in auto, sul seggiolino. Dopo aver sistemato il passeggino nel portabagagli, invece di risalire in auto e andare via, i genitori hanno proseguito a litigare, tornando verso i tavolini del bar. La lite ha assunto toni sempre più aspri e ci sono stati anche spintoni e insulti. Nel frattempo alcuni passanti, tra cui la commessa di un negozio poco distante, hanno notato la bambina che piangeva in auto. Sotto al sole, coi finestrini chiusi la bimba stava decisamente male. Qualcuno ha provato a convincere i genitori a intervenire, facendo notare la piccola chiusa in auto, ricevendo male parole in cambio. I commercianti della zona hanno allertato i carabinieri che si sono portati sul posto con un’ambulanza al seguito. La bambina è stata così tirata fuori dall’auto e soccorsa.

La mamma ha tentato di allontanarsi dal luogo dei fatti

I carabinieri di Latina hanno immediatamente identificato i genitori, la cui identità era nota alle forze dell’ordine. La mamma della piccola, alla vista dei militari, s’è allontanata ma è stata rintracciata un’ora dopo. La bambina è stata portata all’ospedale Santa Maria Goretti dove è tuttora ricoverata in osservazione. Quando sarà dimessa sarà affidata a un centro per minori in quanto ad entrambi i genitori è stata revocata la potestà genitoriale. Dovranno rispondere dell’accusa di abbandono di minore per la quale sono stati denunciati.

La piccola positiva alla cocaina

In serata è uscita la notizia che la bimba di 2 mesi è positiva alla cocaina. Il dettaglio emerge dalle analisi svolte all'ospedale Goretti di Latina dove è stata visitata ed è stato constatato che fortunatamente non era in pericolo di vita.

Latina: genitori litigano, bimba in auto sotto al sole salvata da passante. Redazione Tgcom24 il 31 luglio 2022

I genitori litigano in strada, mentre la figlia, di due mesi, è in auto al caldo e con i finestrini chiusi. A notare la scena una commessa di un negozio. È successo a Borgo Montello, in provincia di Latina. La donna ha subito chiamato i carabinieri. La piccola è stata portata in codice rosso, ma non corre pericolo di vita. Il Tribunale per i minorenni di Roma ha emesso d’urgenza un decreto di sospensione della responsabilità genitoriale. Il padre e la madre, entrambi con precedenti penali, dovranno rispondere di abbandono di minore.

Cosa è successo - I due, lei originaria dei Castelli Romani e lui una fedina penale non proprio immacolata, erano nei pressi di un bar e stavano litigando in maniera animata: parole grosse e spintoni che non sfuggiti ai passanti. Soprattutto non sono sfuggiti ad una commessa che ha anche notato che nell'auto c'era una bimba che stava male e piangeva: la donna ha lanciato l'allarme intuendo che le alte temperature di questi giorni avrebbero potuto provocare qualcosa di più grave di un semplice disagio alla neonata che piangeva e si dimenava. La commessa ha preso la bimba e l'ha portata in un bar cercando di calmarla e accudendola e poi ha allertato i carabinieri e il 118. 

Abbandono di minore, sospesa la patria potestà - I sanitari hanno soccorso la piccola e l'hanno portata all'ospedale Santa Maria Goretti di Latina dove è entrata in codice rosso. Affidata alle cure dei sanitari rimarrà sotto osservazione per qualche giorno. Poi sarà affidata a un istituto perché il Tribunale per i Minorenni di Roma ha emesso d'urgenza un decreto di sospensione della responsabilità genitoriale dopo che sarebbe stata accertata la positività della bimba alla cocaina, come riporta Il Messaggero. Ora per la piccola sarà designato un tutore in attesa di essere affidata ad un'altra famiglia. Sia la madre che il padre dovranno rispondere di abbandono di minore. 

Da leggo.it il 30 luglio 2022.

È morta nei giorni scorsi dopo una grave malattia, a 69 anni, Gabriella Carsano, la mamma a cui nel novembre del 2011 venne tolta la figlia di due anni secondo una decisione del Tribunale dei minori di Torino. La piccola era stata concepita attraverso la fecondazione artificiale quando la donna era 56enne e il marito, Luigi Deambrosis, 68enne. 

I due vivevano in un paese del Casalese (Alessandria) e la vicenda aveva avuto inizio con una denuncia dei vicini di casa, secondo cui la figlia, quando aveva pochi mesi, era stata lasciata sola in auto durante una breve commissione. La lunga vicenda giudiziaria aveva avuto varie tappe e alla fine i due genitori, Gabriella e Luigi, furono assolti dall'accusa di inadeguatezza genitoriale e abbandono, ma nel frattempo la bimba era stata data in affidamento e nel 2018 l'adozione della piccola era diventata definitiva. Per questo motivo la coppia non ha mai più riavuto la propria bambina e la loro battaglia fu persa nonostante l'accusa si fosse rivelata infondata.

Il vedovo accusa gli assistenti sociali

«Ho solo una cosa da dire, l'hanno fatta morire gli assistenti sociali». Risponde così al telefono all'ANSA Luigi Deambrosis, 81 anni, vedovo dopo la scomparsa della moglie, Gabriella Carsano, 69 anni, la donna da tempo malata, a cui nel novembre del 2011 venne tolta la figlia di 2 anni da Tribunale dei minori di Torino. 

Senza la forza di dire altro, l'anziano aveva usato già in passato poche parole per la vicenda giudiziaria iniziata nel 20211 e che nel 2018 aveva decretato l'adottabilità definitiva per la bambina, che allora aveva 8 anni. «È una sentenza che non si può neanche commentare. Non abbiamo null'altro da dire» erano state le sue parole dopo la pronuncia della Cassazione. 

Morta Gabriella Carsano, la "mamma-nonna" cui fu tolta la figlia perché giudicata "inaffidabile". Redazione Tgcom24 il 29 luglio 2022.

È morta a 69 anni, dopo una grave malattia, la "mamma-nonna" Gabriella Carsano, cui nel novembre 2011 il Tribunale dei minori di Torino tolse la figlia di 2 anni. La vicenda iniziò con una denuncia da parte dei vicini di casa, secondo cui la bambina - quando aveva pochi mesi - fu lasciata sola in auto durante una breve commissione. La donna e il marito Luigi Deambrosis furono assolti dall'accusa di inadeguatezza genitoriale e abbandono, ma nel frattempo la piccola era stata data in affidamento. Nel 2018 l'adozione è diventata definitiva, e la coppia non ha mai più riavuto la bimba.

L'accusa del marito - La piccola era stata concepita attraverso la fecondazione artificiale quando la donna aveva 56 anni e il marito 68. I due vivevano in un paese del Casalese, in provincia di Alessandria. "Ho solo una cosa da dire: l'hanno fatta morire gli assistenti sociali", ha detto Deambrosis, ora 81enne e vedovo, interpellato dall'Ansa.

Il commento alla sentenza - L'uomo aveva già usato poche parole per commentare le varie tappe della vicenda giudiziaria, cominciata nel 2011 e di fatto conclusasi nel 2018 con l'adottabilità definitiva della bambina, che allora aveva 8 anni. "È una sentenza che non si può neanche commentare. Non abbiamo null'altro da dire", aveva detto dopo la pronuncia della Cassazione.

Morta Gabriella Carsano, la «mamma-nonna»: 12 anni fa le portarono via la figlia. Floriana Rullo su Il Corriere della Sera il 29 Luglio 2022.

Partorì a 56 anni, e dopo poco fu giudicata inaffidabile. Il marito ora dice: «L’hanno fatta morire gli assistenti sociali». 

È morta Gabriella Carsano, aveva 69 anni. È lei la mamma-nonna, come la ribattezzarono i media, che visse il dramma di vedersi portar via la figlia con una motivazione che fece molto discutere, e che venne interpretata così: troppo in là con gli anni, sia lei che il marito, per poterla accudire. Gabriella - scomparsa per un mesotelioma - e Luigi Deambrosis, coppia di Mirabello Monferrato (Alessandria), vennero ritenuti inadatti alla genitorialità dopo essere stati accusati ingiustamente di aver abbandonato la piccola in macchina per quattro minuti.

«Ho solo una cosa da dire, l’hanno fatta morire gli assistenti sociali» dice Deambrosis, oggi 81enne, interpellato dall’Ansa. L’anziano aveva usato già in passato poche parole per la vicenda giudiziaria iniziata nel 20211 e che nel 2018 aveva decretato l’adottabilità definitiva per la bambina. «È una sentenza che non si può neanche commentare. Non abbiamo null’altro da dire» erano state le sue parole dopo la pronuncia della Cassazione.

La vicenda

Una storia lunga e penosa. Luigi e Gabriella desideravano avere un figlio sin dagli anni 90, senza riuscirci, nonostante trattamenti medici vari. Allora tentarono la via dell’adozione nazionale e poi inutilmente anche quella internazionale. Fra i motivi dei vari rigetti anche la questione dell’età: troppo «anziani». Non si arresero e nel 2009 volarono all’estero per la fecondazione eterologa. Finalmente, nel maggio del 2010 nacque a Torino la loro bambina. La gioia dura poco: a due anni la piccola venne portata via, affidata a una casa-famiglia, perché i vicini denunciarono: «Il padre l’ha lasciata sola in macchina a piangere per 40-45 minuti». «Non è vero», ribattè Luigi, «l’ho lasciata al massimo per 7-8 minuti, era al sicuro e sempre sotto il mio controllo. Stavo scaldando il latte e poi saremmo andati dalla mamma». Niente da fare. Passa la versione dei vicini e nel settembre del 2011 il Tribunale dei minori decide per l’adottabilità.

I magistrati comunque smentirono di aver deciso l’adottabilità per motivi anagrafici. Di fatto, però, fu da quella sentenza in poi che Luigi e Gabriella diventarono per tutti i «genitori-nonni», quelli troppo vecchi per prendersi cura della loro bambina. Dopo il giudizio di primo grado l’appello confermò nel 2012. Nel frattempo la piccola è cresciuta in un’altra famiglia.

La lunga vicenda giudiziaria ha avuto varie tappe e alla fine i due genitori, Gabriella e Luigi, furono assolti dall’accusa di inadeguatezza genitoriale e abbandono, ma nel frattempo, come detto, la bimba era stata data in affidamento e nel 2018 l’adozione era diventata definitiva. Per questo motivo la coppia non ha mai più riavuto la propria bambina e la loro battaglia fu persa nonostante l’accusa si fosse rivelata infondata.

La fine triste di Gabriella, «troppo vecchia» per essere madre. Giusi Fasano su Il Corriere della Sera il 31 luglio 2022 

Gabriella Carsano, così si chiamava, aveva 68 anni e se n’è andata dopo 12 anni senza un sorriso, dopo aver provato tutto - ma proprio tutto - per far capire al sistema giustizia che lei sarebbe stata una mamma amorevole. 

Viola ha 12 anni. La legge dice che quando ne avrà 25 potrà conoscere l’identità dei suoi genitori biologici e noi speriamo con tutto il cuore che lo voglia fare, quando sarà il momento. Perché almeno saprà del bene smisurato che le ha sempre voluto sua madre, uccisa pochi giorni fa da un mesotelioma. Saprà di quella donna che prima del tumore si è ammalata di infelicità acuta, per lei male incurabile senza la bambina che aveva messo al mondo.

Gabriella Carsano, così si chiamava, aveva 68 anni e se n’è andata dopo 12 anni senza un sorriso, dopo aver provato tutto - ma proprio tutto - per far capire al sistema giustizia che lei sarebbe stata una madre amorevole, perfetta, e che suo marito, Luigi Deambrosis, oggi ottantenne, sarebbe stato un bravissimo papà. «Non siamo troppo vecchi» avrà ripetuto Gabriella un milione di volte dopo che il tribunale dei minori di Torino, nel 2011, nel decidere l’adottabilità della piccola aveva scritto: la coppia non si è mai posta «domande sul fatto che la bambina si ritroverà orfana in giovane età e, prima ancora, sarà costretta a curare i genitori anziani che potrebbero presentare patologie più o meno invalidanti proprio nel momento in cui, giovane adulta, avrà bisogno del sostegno dei suoi genitori».

Nonostante quelle frasi i giudici smentirono di aver deciso l’adottabilità per motivi anagrafici ma da quella sentenza in poi Luigi e Gabriella diventarono per tutti i genitori-nonni, quelli troppo vecchi per prendersi cura della loro bambina. Viola era nata a maggio del 2010, era appena arrivata nella sua casa dell’Alessandrino quando un vicino denunciò: «Il padre l’ha lasciata sola in macchina a piangere per tre quarti d’ora». Non era vero: assoluzione definitiva, dopo anni, dal reato di abbandono di minori. Ma intanto lei era stata affidata a una casa-famiglia e, anche dopo quell’assoluzione, si preferì non spezzare l’equilibrio che la piccola aveva trovato altrove. Niente da fare, non sarebbe mai più tornata a casa.

I figli sono di chi li cresce, è vero. Ma certo questa storia è amara, tristissima. Non ci sono genitori cattivi che hanno trascurato, maltrattato abbandonato. C’è stato un eccesso di desiderio, d’amore, e poi di disperazione. Cara Viola, o qualunque sia il tuo vero nome, speriamo davvero che tu voglia sapere di tua madre, quando avrai 25 anni.

Muore Gabriella Carsano, la mamma-nonna cui era stata tolta la figlia neonata. Cristina Palazzo, Luigi Deambrosis e Gabriella Carsano su La Repubblica il 29 Luglio 2022. 

Lei e il marito ebbero la bambina quando erano già avanti con gli anni, un vicino li accusò di averla abbandonata in auto.

È morta Gabriella Carsano, la donna che con il marito Luigi Deambrosis, affrontò una lunga lotta per riavere la figlia neonata, avuta quando avevano 56 e 68 anni, che era stata tolta dopo che un vicino accusò la coppia di averla abbandonata in auto per alcuni minuti.

La donna è stata stroncata da un mesotelioma, aveva 68 anni e viveva con il marito a Mirabello Monferrato, nell'Alessandrino. È da lì che nel 2010 la loro storia divenne nota in tutta Italia quando il tribunale dei Minori decise di dare in affidamento la bambina, che poi fu data in adozione a un'altra famiglia nel 2015. 

La coppia durante la lunga battaglia ha sempre avuto il sostegno degli abitanti di Mirabello. Era partita una raccolta firme lanciata da Luigi Ferrando, sindacalista della Uil di Casale Monferrato. "Molti anni fa, con l'allora sindaco Luca Gioanola, scegliemmo di raccogliere firme per chiedere la riapertura del processo - racconta Ferrando -. Ne avevamo raccolte migliaia e inviate a Roma, ci fu poi la richiamata in appello ma non sortì nulla. I genitori furono assolti dall'accusa di inadeguatezza genitoriale e abbandono ma era passato diverso tempo così la bimba restò alla famiglia adottiva. Non voglio entrare nel merito dei pronunciamenti della legge, ma questa donna ha sofferto un sopruso enorme, una mamma che si vede strappare una bimba ne soffre e ha sempre lottato, non si è mai rassegnata. Se i tempi della giustizia fossero stati più veloci probabilmente avrebbero potuto riavere la bimba. Cosa abbiamo fatto tutti per alleviare quel dolore?". 

Il dolore maggiore della donna, ricorda Ferrando, "era non sapere dove fosse la bambina e che forse non l'avrebbero mai più visto". La petizione fu inviata anche alla comunità europea "ma l'allora presidente Sassoli era in malattia e non riuscimmo nell'intento. In seguito, Gabriella si trincerò nel dolore". L'aveva vista l'ultima volta tre mesi fa, "ma non sapevo della sua malattia, me ne ha parlato il marito". 

"La vicenda che li ha visti coinvolti li ha segnati parecchio, nonostante non avessero mia perso la speranza credo che  queste vicende logorino emotivamente e non sia facile", racconta Marco Ricaldone, sindaco di Mirabello, dove la coppia ha continuato a vivere negli anni. Anche lui come Ferrando era presente venerdì ai funerali. In tanti in queste ore stanno esprimendo cordoglio alla famiglia. 

 Caterina Galloni per blitzquotidiano.it il 18 Luglio 2022.

A Kaspiysk, Russia, una donna di 33 anni arrestata per aver venduto il figlio neonato per circa 3.500 euro perché voleva sottoporsi a un intervento al naso. Secondo quanto riportato dal Mirror, la donna avrebbe detto a un’amica che non voleva tenere il bambino dopo cinque giorni dalla nascita. 

Ha ricevuto un anticipo di 324 euro e ha consegnato il figlio. Quando il bambino ha avuto bisogno di cure mediche, la coppia ha chiesto il certificato di nascita. Ma la donna lo avrebbe consegnato solo dietro pagamento di altri 1.600 euro. Alla coppia aveva detto che non lavorava, non aveva un posto dove vivere né denaro.

La donna e il figlio venduto

Secondo alcuni report in un secondo momento aveva informato i nuovi “genitori” che intendeva utilizzare i soldi ricavati dalla vendita del figlio per sottoporsi a un intervento al naso così da respirare meglio.

Ma prima che ricevesse il restante denaro, la polizia ha arrestato la madre e la coppia con l’accusa di traffico di esseri umani. La donna che ha comprato il bambino ha detto alla polizia: “La madre biologica voleva lasciarlo in ospedale. Non poteva provvedere al bambino e l’ho preso”. 

L’intervento al naso

In una dichiarazione ottenuta da NewsFlash, il Comitato Investigativo della Federazione Russa per la Repubblica del Daghestan ha dichiarato: “Le autorità hanno avviato un procedimento penale contro una residente di 33 anni della città di Kaspijsk.

E’ sospettata di aver commesso un reato ai sensi del paragrafo ‘h’ della parte 2 dell’articolo 127.1 del codice penale della Federazione Russa (acquisto e vendita commessi in relazione a una persona che si trova in uno stato di impotenza). 

Secondo gli investigatori, il 25 aprile 2022, la donna ha dato alla luce un figlio  al Caspian City Central Hospital. Il 30 aprile 2022, è stata dimessa dall’ospedale, ha incontrato un residente locale, ha accettato di consegnare il figlio appena nato, che si trovava in stato di impotenza, per un compenso di 200.000 rubli.

Ha rinunciato ai diritti sul bambino e ricevuto una somma di 20.000 rubli. Il 26 maggio 2022 ha ricevuto il resto del denaro per un importo di 100.000 rubli. E’ in corso un’indagine per accertare le circostanze del reato e consolidare le prove della colpevolezza dell’indagata”.  

Madre fa ingerire detersivi al figlio, poi tenta il suicidio. ANSA il 18 Luglio 2022.

Una 41enne avrebbe fatto ingerire un mix di detersivi al figlio di sei anni, per poi lanciarsi nel vuoto dal terzo piano dell'abitazione dove viveva a Francavilla Fontana (Brindisi). Madre e figlio ora sono ricoverati all'ospedale "Perrino" di Brindisi, non in pericolo di vita. Sono stati alcuni passanti ad accorgersi del tentativo di suicidio della donna, che avrebbe subito spiegato le condizioni del figlio. Da qui l'intervento immediato dei sanitari che hanno accertato l'intossicazione del minore e riscontrato un'ustione alla bocca. Sul caso è stata aperta un'inchiesta da parte dei carabinieri della Compagnia di Francavilla Fontana per ricostruire le fasi precedenti del dramma familiare. (ANSA).

Francavilla fontana: bimbo ingerisce detersivo, la madre tenta il suicidio. Il Quotidiano del Sud il 18 Luglio 2022.

Avrebbe visto il figlio di sei anni ingerire per errore dell’acqua con candeggina, per questo una donna di 41 anni ha tentato il suicidio lanciandosi nel vuoto dal terzo piano dell’abitazione dove vive. È accaduto a Francavilla Fontana, provincia di Brindisi.

Madre e figlio ora sono ricoverati all’ospedale «Perrino» di Brindisi, e non si trovano in pericolo di vita. Sono stati alcuni passanti ad accorgersi del tentativo di suicidio della donna, che avrebbe subito spiegato le condizioni del figlio. Da qui l’intervento immediato dei sanitari che hanno accertato l’intossicazione del minore e riscontrato un’ustione alla bocca.

In un primo momento si ipotizzava che fosse stata la madre ad aver dato appositamente un mix di detersivi al bimbo, ipotesi poi esclusa dagli investigatori, perché il bambino avrebbe bevuto da una bottiglia, scambiando il liquido per acqua.

Sul caso è stata aperta un’inchiesta da parte dei carabinieri della Compagnia di Francavilla Fontana. 

Brindisi, bimbo ingerisce detersivo e la madre si lancia dal terzo piano per il panico: entrambi sono in ospedale. Lucia Portolano su La Repubblica il 18 Luglio 2022.  

Il fatto è accaduto questa mattina a Francavilla Fontana: il bambino è sotto osservazione, la donna avrebbe riportano varie fratture ed è in Rianimazione. Entrambi non sono in pericolo di vita

Dramma in una casa di Francavilla Fontana, in provincia di Brindisi: un bambino di 6 anni ha ingerito un composto chimico, e la mamma terrorizzata, e sentendosi in colpa, si è lanciata dal terzo piano. Entrambi sono ricoverati all’ospedale Perrino di Brindisi, il piccolo è fuori pericolo, mentre la donna di 41 anni è in Rianimazione.

Bari, neomamma muore cadendo dalle scale di casa con la neonata in braccio: la piccola è in codice rosso. Daniele Leuzzi su La Repubblica il 18 Luglio 2022.  

Tragedia nella notte a Palese, la donna è cadute dalle scale di un'abitazione. A nulla sono serviti i tentativi degli operatori del 118 che hanno provato ad eseguire le manovre di rianimazione, e poco dopo il trasporto in ambulanza nel Policlinico di Bari è deceduta.

Tragedia nella serata di ieri a Palese. Una neomamma di 34 anni, Isabella Siciliani, è morta in seguito ad una rovinosa caduta dalle scale a chiocciola della sua abitazione, mentre stringeva tra le braccia la propria figlia di 24 giorni di vita.

Non è chiaro se la vittima sia caduta perché scivolata o per un improvviso malore. L'incidente è avvenuto intorno alle tre della scorsa notte.

A nulla sono serviti i tentativi degli operatori del 118 che hanno provato ad eseguire le manovre di rianimazione, e poco dopo il trasporto in ambulanza nel Policlinico di Bari è deceduta. La piccola, invece, in seguito all’incidente è stata ricoverata in codice rosso.

Francavilla, il figlio di 6 anni beve la candeggina, la mamma si spaventa e si lancia dal balcone: in ospedale. Redazione online su La Gazzetta del Mezzogiorno il 18 Luglio 2022.  

Sfiorata la tragedia questa mattina alle 8. Anche il piccolo è al Perrino di Brindisi, con la bocca ustionata

Spaventata per aver visto il figlio di 6 anni ingerire dell’acqua con candeggina, una madre di 41 anni avrebbe tentato il suicidio. È questa la nuova ricostruzione che emerge dall’attività investigativa dei carabinieri di Francavilla Fontana (Brindisi) in merito all’episodio di questa mattina che ha coinvolto una donna e il suo bambino. L’ipotesi iniziale di un tentativo della madre di intossicare il figlio di appena sei anni non avrebbe trovato conferma. Così gli stessi militari ascoltando la donna hanno ricostruito l’accaduto, ed in particolare che la causa del lancio nel vuoto dal terzo piano della palazzina dove abitavano era da addebitare ad uno stato di forte panico della 41enne dopo essersi accorta che il bambino aveva bevuto un sorso di acqua e candeggina. La donna ed il figlio ora sono entrambi ricoverati al «Perrino» di Brindisi, non in pericolo di vita. Al piccolo è stata riscontrata un’ustione alla bocca, ma potrà essere dimesso con la madre nei prossimi giorni. 

«A seguito degli accertamenti effettuati è in corso il trasferimento del bambino nell’ospedale pediatrico Giovanni XXIII di Bari dove verrà ricoverato in Terapia intensiva». Lo ha reso noto l’Asl di Brindisi in merito alle condizioni del bimbo di sei anni che questa mattina per errore avrebbe ingerito della candeggina all’interno del suo appartamento di Francavilla Fontana (Brindisi) dove vive con la madre. La donna per lo spavento ha tentato il suicidio, lanciandosi nel vuoto dal terzo piano. La madre e il piccolo sono stati trasportati d’urgenza al «Perrino» di Brindisi e le loro condizioni sono peggiorate negli ultimi minuti. Per il bambino è stato disposto il trasferimento a Bari; la 41enne invece, è ancora ricoverata a Brindisi, con i medici che stanno valutando l’evolversi del suo quadro clinico. Sul caso sono in corso le indagini da parte dei carabinieri di Francavilla Fontana.

DAGONEWS l'8 luglio 2022.

Scoperta choc per un 33enne cinese che, durante un controllo medico, ha scoperto di essere intersessuale. L’uomo, dopo anni di consulti medici sbagliati, è tornato in ospedale perché aveva sangue nelle urine e un forte dolore all’addome. 

Secondo il “South China Morning Post”, Chen Li, grazie a esami più approfonditi, ha scoperto di essere nato con cromosomi sessuali femminili, le ovaie e l’utero, nonostante avesse organi genitali maschili: in sostanza ha scoperto che le perdite di sangue erano dovute al ciclo così come i dolori addominali.

Chen, inorridito nello scoprire di essere intersessuale dopo 33 anni di vita da uomo, si è fatto rimuovere chirurgicamente l'utero e le ovaie. Il suo chirurgo, Luo Xiping, ha detto al “South China Morning Post” che il paziente «potrà vivere da uomo, ma non potrà avere figli».

Da blitzquotidiano.it il 9 luglio 2022.

Una giovane coppia cinese ha provato ad avere un figlio per quattro anni ma non ci sono mai riusciti. I due, l’uomo di 26 e la donna di 24 anni, hanno così deciso di rivolgersi a degli specialisti che hanno risolto il mistero. I medici hanno scoperto che i due per tutto questo tempo avevano tentato il concepimento in modo completamente sbagliato. 

Coppia prova ad avere un bambino per quattro anni, ma sbagliavano tutto

Dai primi colloqui era venuto fuori che la giovane donna aveva rapporti regolari con il marito, ma tutte le volte l’esperienza si rivelava “insolitamente dolorosa”. Come riporta il sito inglese Metro.uk, proprio questo strano racconto ha fatto insospettire il personale sanitario. Da qui la scoperta scioccante.

La scoperta dei medici

La donna è stata prima sottoposta a tutti gli esami del caso per scongiurare l’ipotesi di malattie di tipo ginecologico, ma dagli esami si è invece scoperto che la donna era vergine. Ed è stato in quel momento che hanno appreso che la coppia praticava esclusivamente sesso anale, ignorando completamente le modalità di concepimento. A questo punto il dottore che aveva in cura la giovane paziente, che li ha seguiti in questa particolare storia, ha regalato alla coppia un manuale ‘pratico’. Qualche mese dopo, grazie ai preziosi consigli del dottore, finalmente è arrivata la buona notizia.

Gaslighting. L’aborto, gli ormoni e la subdola filosofia del “già che sei in piedi”. Assia Neumann Dayan su L'Inkiesta il 2 Luglio 2022.

Per le mamme non c’è mai pace: se non vuoi fare un quarto figlio le altre donne ti giudicano nei forum perché ormai ne hai fatti tre, se ti sei appena seduta il marito ti chiede l’ennesimo favore. E se stai partorendo l’ostetrica non ci pensa neanche a farti l’epidurale, tanto stai già soffrendo

La filosofia del “già che sei in piedi” è una teoria che ho elaborato negli ultimi sei anni, una teoria grazie alla quale mi sto portando avanti con il discorso di ringraziamento per la cerimonia dei Nobel. Il “già che sei in piedi” è nella mia mente la più esatta traduzione del concetto di gaslighting, ossia sia una manipolazione psicologica maligna che si presenta quando uno ti dice: “Già che sei in piedi, mi prendi il telecomando?” quando in realtà ti sei appena seduto. Nessuno ti vede in piedi, perché tutti ti pensano comodo. 

Questa rivoluzione copernicana del sentire investe anche le madri. Prendiamo l’aborto. Se leggete i gruppi Facebook di mamme, le donne che anonimamente chiedono un consiglio sull’interruzione di gravidanza ricevono come risposta: già che ne hai uno, tienilo, dove si mangia in tre si mangia anche in quattro, che se sposti un po’ la seggiola stai comoda anche tu. 

Una mamma ha scritto che è incinta del quarto figlio, che il marito non ne vuole altri, che vivono con il solo stipendio di lui e un mutuo trentennale, e che lei non sapeva bene cosa fare: tutte in coro le hanno scritto che le avrebbero donato i vestiti smessi dei loro bambini, che poteva mettere su un servizio di Tagesmutter e crearselo da sé un lavoro perché questo sì che è empowerment femminile – beccati questo, patriarcato! -, che ci sono tante famiglie che con i sussidi statali vivono alla grandissima e sono riuscite persino a comprare casa in centro vicino a Citylife, che l’aborto è una cosa brutta brutta brutta, e non c’è un solo commento, uno, che non le dica che questa gravidanza è una notizia favolosa, già, non è davvero favolosa? 

Mamma, già che ne hai fatti tre, già che sei in piedi, partorisci, e poi passami il telecomando. Questo è tutto quello che so sul “niente utero, niente opinioni”. Il “già che sei in piedi” in sala parto raggiunge il massimo del suo potenziale. 

Partorire è un’esperienza di premorte attraverso la quale una donna non è che si percepisce lucidissima, e quindi il dubbio ti viene: non è che sono io? Non è che questa non è violenza ostetrica, ma sono io che non so come funziona? Magari le ostetriche ti dicono: signora, già che è in travaglio, già che soffre, soffra bene, non le serve mica l’epidurale.  Signora, già che vedo la testa, la smetta di urlare. Signora, già che ci siamo, le scollo le membrane. Signora, già che è nuda, non le spiace vero se la faccio visitare da questi giovanotti specializzandi? Signora, già che suo figlio ha fame, non lo vede che ha fame, lo attacchi al seno, ma quale biberon. Sono loro? Siamo noi? Qual è la mail dell’URP? 

Nei corridoi degli ospedali si sente lo sciabattare di alcune signore Danvers che mettono in atto il meccanismo Rebecca: mamma, sei inadeguata, non sei proprio come ti eri immaginata, ma io posso aiutarti a uscire da questo casino.

In un’indagine del 2017 della Doxa (nata su iniziativa dell’Osservatorio sulla Violenza Ostetrica Italia e finanziata dalle associazioni La Goccia Magica e CiaoLapo Onlus) veniva rilevato che circa 1 milione (il 21% del totale) di madri in Italia avevano subito violenza ostetrica. Aogoi, Sigo e Agui scrissero che quella ricerca era offensiva nei confronti del personale ostetrico e ospedaliero, e che era evidente «l’inattendibilità di denunce di violenza ostetrica avanzate sempre da soggetti ignoti e che restano tali in quanto mai identificati». 

Nel 2018 Aogoi, Sigo e Agui effettuano una ricerca «basata su 11.500 partorienti spalmate su 106 punti nascita», dove «emerge una realtà ben differente. Evidenziato anche come il 97% circa delle donne si dichiara soddisfatta della qualità dei servizi che ha ricevuto nel reparto di Ostetricia e il 96% dei servizi del ginecologo». Sono loro? Siamo noi? Avrò spento la luce a gas? 

La cosa che più mi ha impressionato quando ero in ospedale è stato essere chiamata «mamma» da tutti. Immagino che questa pratica sia stata pianificata per non imparare mai i nomi di nessuno come nella migliore tradizione della professionalità italiana, poi ci pensi e ti rendi conto che da quel momento non hai più un nome proprio, ma un nome comune di ruolo sociale. Smetti di essere una persona, diventi una parte, e sei non sei abbastanza centrata poi succedono i brutti guai. 

Com’è possibile che tu pianga di fronte al dono della vita, forse non vuoi bene a tuo figlio? In questo momento pare che la risposta a tutto sia: «ormoni». Piangi? Ormoni. Hai sempre fame? Ormoni. Tuo figlio ha la dermatite atopica? Ormoni. Ti viene da urlare perché i parenti ti si piazzano in camera e ti dicono che stai sbagliando tutto? Ormoni. Sono gli ormoni o sei pazza? Sono gli ormoni. 

Succede poi che si torna a casa, succede che la mamma stia con il bambino tutto il giorno, e che il marito torni al lavoro. Chi esce di casa pensa sempre che chi rimanga non faccia niente, cosa vuoi che sia. E quindi: già che sei a casa, ti spiace far da mangiare? Già che sei a casa, ti spiace pulire? Già che sei a casa, come puoi pretendere che io tenga il neonato dopo una giornata a spaccarmi la schiena per mantenervi? E già che ti senti in colpa, puoi esserlo davvero? Già. Saranno gli ormoni.

Passa qualche mese, e quando la gente smette di dire «ormoni» inizia ad andare un pochino meglio e ci si ricorda di avere un nome proprio. Vale comunque la pena, ogni tanto, far presente che ci si è appena sedute.

Mirella Serri per “la Stampa” il 25 giugno 2022.  

Donne all'assalto. La più recente protesta femminile si esprime con modalità peculiari.

Addio al Novecento, addio alle piazze piene e alle manifestazioni vocianti. Oggi un silenzioso esercito di donne esibisce il proprio disagio per le discriminazioni, per il gender gap e per la precarietà del lavoro in maniera tacita mentre si sottrae ai diktat imperanti. Non è una notizia recente e tanto meno sorprendente ma pance tonde e gravidanze scarseggiano e il numero di figli per donna in Italia è attualmente inferiore a 1,3.

Siamo tra le nazioni a "lowest low fertility", ovvero abbiamo l'indice di fecondità al minimo storico. Si omologano persino gli stranieri: stando agli ultimi dati Istat, gli emigrati che si stabiliscono in Italia abbandonano gli stili di vita fondati sulla prole numerosa e tirano in barca i remi della riproduzione.

Però il più recente rapporto tra gli italiani e la fertilità ci riserva parecchie sorprese, come ci spiega Alessandra Minello in Non è un paese per madri. L'Italia è molto diversa dalle altre nazioni europee: gli abitanti della penisola non hanno rinunciato per nulla all'idea della famiglia numerosa. Al contrario. L'Italia soffre di una patologia particolare, chiamiamola in questo modo, che nasce dal fertility gap, dalla differenza tra il numero di figli desiderati e la fecondità realizzata. 

Già, proprio così. Come risulta dall'ultimissima indagine Istat, Famiglie, soggetti sociali e ciclo di vita, oltre la metà degli italiani sarebbe felice di avere due figli, quasi un quarto vorrebbe averne tre o anche più, mentre è assai ridotta (5,6 per cento) la quota di quanti si accontentano del figlio unico. I rilievi statistici ci dicono che il 41 per cento di chi ha già un primo figlio ambisce ad averne un altro. Ma ci informa pure che questa aspirazione è sempre più destinata a rimanere tale.

Il fertility gap nell'Italia esprime la rivolta delle donne contro Stato e strutture che non sono in grado di sostenerle nella maternità. Le childfree, le fanciulle che escludono drasticamente l'orizzonte della procreazione, da noi sono una minoranza, vanno dai 18 ai 24 anni, hanno un titolo di laurea e il loro numero diminuisce con l'aumentare dell'età. 

Mentre abbiamo la più alta percentuale d'Europa di signorine che partoriscono il primo figlio oltre i quarant' anni. La protesta che si esprime nel fertility gap ha i connotati di un orizzonte che si sposta sempre più in là: le coppie rimandano la nascita del primo figlio e lo fanno tanto a lungo da arrivare a non realizzarla mai. Sono in crescita le appartenenti al gentil sesso che raggiungono la fine della loro età riproduttiva senza figli e le famiglie con il figlio unico. 

Il sogno di un pargolo destinato a restare un'ambizione dipende da molteplici fattori di natura economica, psicologica ed esistenziale: nutriamo, per esempio, aspettative assai alte nei confronti del benessere che vogliamo garantire alla prole. Viviamo così immersi nello status anxiety, nella preoccupazione per tutto ciò che non riusciamo a dare. Mentre a volte sono più coraggiosi e audaci nelle sfide della genitorialità coloro che affrontano situazioni complesse, dalle madri single alle mamme (o papà) omosessuali, anche questi in crescita.

A farci rinviare l'installazione di un fiocco rosa o azzurro in casa contribuiscono i contratti a scadenza, le carriere lente, i bassi stipendi. E anche il modello familiare patriarcale: quasi il 40 per cento delle famiglie italiane si organizza in maniera tradizionale, con l'uomo come unico responsabile del reddito e la donna casalinga e dedicata alla cura degli anziani e dei pargoli, una situazione che ha una diffusione capillare soprattutto al Sud. 

Lo status anxiety arriva al diapason quando le future madri capiscono che casa, lavoro, riproduzione e organizzazione peseranno sulle loro spalle. E allora ci ripensano. I dati del 2021 testimoniano un calo delle nascite doppio rispetto all'anno precedente e a questo contribuiscono la recessione economica, la pandemia e ora la guerra in Ucraina. 

Si sta riducendo anche quel 50 per cento delle donne che partecipa al mercato del lavoro retribuito: la percentuale è ancora una volta tra le più risicate d'Europa. Sono poche poi le manager che occupano ruoli apicali. Mancano infine, com' è noto, gli asili e le strutture sanitarie. Tra il miraggio di un pupo e la sua mancata realizzazione si esprime il malcontento in Italia.

Madri cattivissime. Il dogma dell’allattamento al seno e i tabù delle neomamme. Assia Neumann Dayan su Il Corriere della Sera il 17 giugno 2022.

Fin dal corso preparto ai genitori viene ripetuto fino allo sfinimento il concetto più ricattatorio mai elaborato: il biberon è un interferente. Quindi i padri non servono a nulla e le donne sono costrette sempre ad allattare: anche se stanno male, anche se gli fa schifo, anche se vorrebbero uscire senza il loro neonato, almeno una volta

Il 13 maggio scorso Bette Midler, citando un tweet sulle magagne dell’industria del latte artificiale durante la crisi che ha devastato migliaia di famiglie americane, ha scritto su Twitter: «TRY BEASTFEEDING! It’s free and available on demand». 

In mezzo alla marea di persone che le dava della poveraccia, c’era il commento di Christina Pushaw – addetta stampa di un senatore della Florida – che faceva più o meno così: il tuo è un commento omofobo, come possono ad esempio Pete e Chasen Buttigieg – genitori di due gemelli, Pete segretario dei trasporti dell’amministrazione Biden, Chasen insegnante in una scuola Montessori – allattare al seno?

Questa è una deviazione interessante. Visto che non sono solo le donne ad abortire secondo alcuni, e di conseguenza non sono solo le donne a partorire, indovinate un po’? Esatto, non sono solo le donne ad allattare. Rimarranno a difendere l’ultimo avamposto della biologia solo le così dette talebane dell’allattamento – dove i talebani al confronto si rivelano essere anime moderate – e l’Organizzazione Mondiale della Sanità, che tanto abbiamo apprezzato negli ultimi anni? 

Visto che l’OMS vuole cambiare nome al vaiolo delle scimmie perché sarebbe discriminatorio non ho capito esattamente nei confronti di chi, al solo pensiero di sembrare omofobi penseranno di cambiare le linee guida e relativa semantica? Meno male che quasi nessuna delle attiviste di Instagram è mamma, se no sai quante grafichette Canva da fare. Se Dio avesse chiesto a Sara e non ad Abramo di sacrificare Isacco, esisterebbe la Bibbia? Oppure gliel’ha chiesto e lei ha risposto che c’è la parità genitoriale, e quindi chiedesse a lui che non poteva far tutto lei in quella casa? Esisterebbe il senso di colpa? 

Le linee guida sull’allattamento esclusivo al seno, per chi non lo sapesse, sono il concetto più ricattatorio mai elaborato (dopo il sacrificio di Isacco). Inizia tutto al corso preparto, prosegue in sala parto dove si configurano gli estremi della circonvenzione d’incapace, per finire pressoché mai, esattamente come l’allattamento a termine. 

Qual è il termine? Fino a quando mamma e bimbo lo desiderano, dicono loro, e le donne che allattano oltre i sei anni esistono eccome. È colpa loro o di chi dice che questo è il modo giusto di essere madre? Io la aprirei anche la parentesi sugli influencer spiritosi che prendono per il culo le donne che si fanno fare i gioielli di latte materno o che raccontano in anonimo la propria vita sessuale: tutti abbiamo riso, sui social nessuno muore innocente, ma c’è da ridere o il bullismo è solo quello degli altri? 

L’OMS non è l’Organizzazione Milano Sanità, non parla solo alle persone che vivono dentro la circonvallazione interna, dove esistono gli antibiotici, i disinfettanti, i bollitori per l’acqua, le scuole Montessori, la gente sta su Twitter invece che lavorare. 

Se i medici ti dicono che allattare al seno è la cosa migliore la fai, il problema è quando ti dicono che lo devi fare anche se stai male, anche se ti fa schifo, anche se vorresti uscire senza il tuo cazzo di neonato (scusa neonato) ma non puoi perché il biberon è un interferente e quindi i padri non servono a un cazzo (scusate padri), e poi devi rientrare al lavoro e come fai, e ti scendono le tette e ti fai orrore, ma avrete tutte un posto nel regno dei cieli delle madonne che allattano, signore mie. 

Le “Linee di indirizzo nazionale sulla promozione, protezione e sostegno dell’allattamento al seno” si aprono così, con un incipit di una tale potenza tale c’è Franzen che piange in un angolo: «Il Ministero della salute riconosce che l’allattamento al seno costituisce il modo di alimentazione naturale e normale nella prima infanzia». 

Naturale e normale, segnatevelo, perché per ogni affermazione esiste una reazione uguale e contraria: tutto quello che non è allattamento al seno non è né normale, né naturale, e tu sei una cattiva madre ancor prima di diventarlo. 

Primo principio della termodinamica dell’allattamento: «Il Ministero della salute, in conformità con le indicazioni dell’Organizzazione Mondiale della Salute (OMS), raccomanda perciò, come misura di salute pubblica, che i bambini siano allattati esclusivamente al seno fino a sei mesi e che l’allattamento al seno continui poi, con adeguati alimenti complementari fino a che la madre ed il bambino lo desiderino, anche dopo l’anno di vita». Posso forse io rifiutarmi di seguire una misura di salute pubblica? Ma non c’è la galera? 

Nel “Position statement sull’uso di farmaci da parte della donna che allatta al seno” si dice: «A tutela di questo obiettivo sanitario ed economico, l’allattamento con formule dovrebbe essere riservato a condizioni di reale e documentata controindicazione medica oppure per scelta informata della madre».

Qua siamo nei pressi del comma 22, perché la scelta informata funziona così: ti faccio il lavaggio del cervello ancor prima che tu partorisca, ti dico che l’allattamento al seno non fa ammalare tuo figlio, non fa ammalare te, previene la SIDS, ti racconto che alcune donne si sono accorte di avere un tumore al seno perché il figlio non riusciva a ciucciare e l’allattamento ha salvato loro la vita, ti dico che pure le madri adottive riescono ad allattare, ti parlo di anticorpi, di sacrificio necessario, di salute pubblica, ci sono consulenti gratis sempre a tua disposizione, e poi lo dice l’OMS, vorrai mica contraddire l’OMS, ma chi ti credi di essere? 

E no, la foto di Gisele Bündchen che allatta mentre le fanno i capelli non è veritiera, pensate un po’ (vale anche per le italiche imitazioni). Come fai a dire di non voler allattare, se lo dici significa che non vuoi bene a tuo figlio. 

Ho ascoltato molte mamme che non si curavano, non prendevano farmaci o rimandavano visite di controllo perché avevano paura di interrompere l’allattamento. Ci sono mamme che non si separano mai dal neonato perché se il bambino vuole la tetta e non ci sei potrebbe anche crepare di fame, o subire un trauma, però per carità fai come vuoi, c’è la libera scelta, non la vedi la libera scelta, sta proprio qua.

Perché le donne che hanno allattato al seno dicono che è stato il momento più bello della loro vita? Perché è così che si sentono i chirurghi, gli attivisti, Abramo. È l’unico momento della tua vita in cui sei indispensabile a qualcuno, come si fa a competere con una sensazione del genere? E quando finisce, cosa rimane? Si rimane da sole a guardare uno specchio dove non ci si riconosce più. 

Mom&Dad. Partorirai con dolore e citronella. Assia Neumann Dayan su L'Inkiesta il 10 Giugno 2022.

 La competenza delle donne e il pretesto assurdo per limitare l’uso dell’epidurale

Nel sito di EpiCentro, portale dell'epidemiologia per la sanità pubblica, si suggerisce di ridurre l’impiego di tecniche meno dolorose (anche il cesareo). Lo si fa per il bene della madre e del figlio, dicono, ma soprattutto per risparmiare un po’.

Sono nel mio periodo Simone Weil, tra il misticismo e la guerriglia e la sventura e un’eredità morale da lasciare a nessuno, ma soprattutto chissà se Simone Weil soffriva del burnout da attivista. L’altro giorno stavo cercando un modo per litigare sui social in pausa pranzo, ma sapete com’è, ci si conosce tutti, una pacca sulla spalla e via, prego si accomodi ha ragione lei, ma no si figuri ha più ragione lei, poi mi scopro a odiare tutti quelli che non la pensano come me, non ci posso fare niente se non ho grande considerazione di idee che non sono le mie.

Si tende sempre a lasciar correre perché siamo tutti impegnati a ripagare un debito, un favore all’assessore che ci ha presentato il libro o all’influencer che ci ha taggato in una storia, siamo mediocri, siamo sciatti, prendiamoci un caffè, scriviamo un tweet divertente, però mettiamo una faccetta che ride se no pensano male. Viviamo in un posto dove tutti ripetono in continuazione: «Questa cosa non mi fa sentire a mio agio, ritratta» e non puoi nemmeno rispondere «fatti curare» che se no è attentato alla salute mentale. Ma ora basta parlare di voi, parliamo di soldi, parliamo di traumi, parliamo di noi, così magari riesco a litigare con qualcuno.

Non c’è madre che io conosca che non veda l’ora parlare del proprio parto; a differenza degli innumerevoli traumi immaginari di quest’epoca, quello del parto è un trauma reale. Funziona così: pensi di morire, però poi non muori. Dà tanta felicità vedere nascere un figlio, quasi quanto sopravvivere a un incidente aereo. Nel magico mondo delle madri, i più grandi accidenti vengono tirati tra quelle del cesareo e quelle del naturale, ma ancor più tra quelle dell’epidurale e quelle senza. Vi avverto: questa è una brutta pagina di sanità, pensiero magico, giudizi universali e aromaterapia.

Sul sito di EpiCentro (portale dell’epidemiologia per la sanità pubblica, a cura dell’Istituto superiore di sanità) vado a leggere questo manifesto programmatico dal titolo: “Ma il vero investimento è la competenza delle donne”. Riporto un estratto significativo: «Ogni forma di medicalizzazione (e l’epidurale è tale, quando proposta come soluzione per il parto indolore) è una minaccia per la competenza della donna e della persona che nasce. Lo stesso vale per il taglio cesareo non necessario, vera e propria mutilazione genitale femminile, sia fisica che simbolica: compito di un sistema sanitario pubblico e ragione della sua esistenza è invece il sostegno e la valorizzazione delle competenze delle persone».

Cosa sono queste “competenze della persona che nasce”? Parliamo di neonati gifted? Queste competenze che si sentono minacciate non possono chiamare il 112? Il cesareo come “mutilazione genitale femminile”: c’è qualcosa che dovremmo sapere sul womb raiding? Siamo in pericolo? I libri di scienze delle scuole elementari ci hanno mentito? Sarà che non sono medico, ma mi ricordavo una diversa disposizione degli organi genitali.

Ma il punto poi arriva e, chissà perché, si parla di soldi: «È curioso che i “soloni” dell’economia raccomandino la riduzione della spesa sanitaria senza però considerare gli sprechi della medicalizzazione dovuti agli interventi preventivi, diagnostici e terapeutici inutili, che secondo le stime ammontano a circa il 30%». Follow the money, pure in sala parto. E allora eccoci alle soluzioni alternative proposte in un altro documento: «Analgesia del travaglio: prove, pratiche e controversie». Quali sono queste alternative? Per citarne alcune: supporto continuo in travaglio di partner e ostetrica (se qualcuno avesse provato anche solo a respirarmi vicino durante il parto ora sarei in galera), applicazione di pezze fredde o calde, aromaterapia con ginger e citronella, strategie cognitive («ripetizione di affermazioni positive quali “il mio corpo è forte e ce la farà”»), immersione in acqua, ipnosi, agopuntura.

La conclusione: «L’attrazione avvenuta negli ultimi decenni verso l’epidurale in travaglio non è spiegabile con le prove di efficacia derivanti dalla ricerca clinica. I ricercatori, gli operatori e le persone in gravidanza dovrebbero indirizzare maggiormente l’attenzione verso le misure di comfort e verso i metodi non farmacologici di controllo del dolore. Questi non hanno gli effetti indesiderati dell’epidurale e non incrementano la spesa sanitaria».

Ma allora facciamo tutte come la spostata che ha partorito in riva all’oceano, nascondiamoci nelle caverne a fare aromaterapia e chiediamo a Prissy di mettere l’acqua a bollire, anche se l’epidurale dovrebbe essere un diritto garantito e gratuito. Quando ho partorito ho ovviamente chiesto l’epidurale. «Aspetti che vado a chiamare l’anestesista» mi disse l’ostetrica, per poi tornare dopo cinque minuti dicendomi che l’anestesista aveva avuto un’emergenza, al che mi sono messa a urlare che l’emergenza ero io e che avrei chiamato i carabinieri. A saperlo, avrei portato un po’ di citronella da casa.

Utero in affitto, Papa Francesco: «È una pratica inumana, donne sfruttate e bambini come merce».  Elsa Corsini venerdì 10 Giugno 2022 su Il Secolo D'Italia.

“La dignità dell’uomo e della donna è minacciata anche dalla pratica inumana e sempre più diffusa dell’utero in affitto”. Così papa Francesco in un passaggio dell’intervento davanti alle associazioni familiari cattoliche in Europa. Una pratica – ha detto –  in cui le donne, quasi sempre povere, sono sfruttate, e i bambini sono trattati come merce”. Il pontefice ha poi rivolto un duro attacco alla piaga della pornografia. “È ormai diffusa ovunque tramite la rete. Va denunciata come un attacco permanente alla dignità dell’uomo e della donna”.

Utero in affitto, il Papa: una pratica inumana

Si tratta – ha spiegato Bergoglio – non soltanto di proteggere i bambini, compito urgente delle autorità e di noi tutti. Ma anche di dichiarare la pornografia come una minaccia per la salute pubblica. Le reti di famiglie, in cooperazione con la scuola e le comunità locali, sono fondamentali per prevenire, per combattere questa piaga. Sanando le ferite di chi è nel vortice della dipendenza”. Poi ha rivolto un pensiero alle famiglie che in Europa vivono un momento “che per molte è tragico. E per tutte è drammatico a causa della guerra in Ucraina. Mi associo alla vostra dichiarazione”, ha detto ripentendo ‘Madri e padri, al di là della loro nazionalità, non vogliono la guerra. La famiglia è la scuola della pace’. Le famiglie e le reti di famiglie sono state e sono in prima linea nell’accoglienza dei rifugiati, specialmente in Lituania, Polonia e Ungheria”.

Sempre oggi il Papa ha ricevuto in udienza, nel Palazzo Apostolico Vaticano,  Ursula von der Leyen, presidente della Commissione Ue. “Nel corso dei cordiali colloqui in Segreteria di Stato -riferisce la Santa Sede- ci si è soffermati sulle buone relazioni bilaterali. E sul comune impegno ad adoperarsi per porre fine alla guerra in Ucraina, dedicando particolare attenzione agli aspetti umanitari e alle conseguenze alimentari del protrarsi del conflitto”. Al momento dello scambio dei doni, il Pontefice ha donato alla von der Leyen una fusione in bronzo con due mani che si stringono, sullo sfondo del colonnato di San Pietro, con una donna con bambino. E una nave di migranti e la scritta “Riempiamo le mani di altre mani”.

Slitta il viaggio di Bergoglio in Africa

Sullo slittamento del viaggio del pontefice in Africa, previsto dal 2 al 7 luglio, il capo della comunicazione vaticana ha fatto sapere che non è stato cancellato ma solo posticipato. “Ci sono stati dei miglioramenti, il Papa sente meno dolore. E i medici gli hanno consigliato di non pregiudicare il tutto. Uno sforzo eccessivo, infatti, potrebbe riportare la situazione indietro”, ha aggiunto Bruni nello spiegare che ci sono due rischi possibili da evitare. “Il Papa continua con le infiltrazioni, la fisioterapia e il riposo. E proprio il fatto che negli ultimi mesi si sia spostato sulla sedia a rotelle sembra aver favorito il miglioramento del dolore”. Per il momento, il viaggio in Canada a fine luglio resta confermato.  Possibile l’assenza del Papa alla messa del Corpus Domini, in programma il 16 giugno prossimo.

Lorenzo Bertocchi per “La Verità” l'11 giugno 2022.

Anche questo è Francesco. Le parole pronunciate dal Papa, come spesso accade quando non parla di ambiente o di presunte aperture pastorali, non trovano lo stesso eco sui media. È il rischio che corrono anche quelle proferite ieri, durante l'udienza alla Federazione delle Associazioni familiari cattoliche in Europa. Qui papa Bergoglio ha detto che la famiglia «fondata sul matrimonio [] è la prima cellula delle nostre comunità e dev' essere riconosciuta come tale, nella sua funzione generativa, unica e irrinunciabile».

La sottolineatura è importante, soprattutto perché seguita da un'indicazione precisa: «Gli Stati hanno il compito di eliminare gli ostacoli alla generatività delle famiglie e di riconoscere che la famiglia costituisce un bene comune da premiare, con delle naturali conseguenze positive per tutti». L'affondo rivolto ai governanti non lascia troppo scampo a interpretazioni, il Papa indica la famiglia, con la sua funzione generativa, come un bene comune che ha una valenza «per tutti» e come tale va riconosciuta. Piaccia o meno, qui siamo nei paraggi dei cosiddetti «principi non negoziabili», una formula che a Francesco sembra non piacere molto, ma che in realtà qui ricalca con attenzione, indicando la generatività della famiglia fondata sul matrimonio come contenuto centrale del bene comune. Lo fa anche parlando esplicitamente di un «inverno demografico» che «è grave; per favore, state attenti! È gravissimo».

La soluzione è quella di lavorare anche alla «nascita e il consolidamento di reti di famiglie. È un servizio prezioso, perché c'è bisogno di luoghi, di incontri, di comunità in cui le coppie e le famiglie si sentano accolte, accompagnate, mai sole». Ma non c'è dubbio che questa rete di famiglie non sia una rete a caso, ma appunto fatta da famiglie fondate sul matrimonio e generative, un concetto che, ha detto Francesco, «non è ideologico, perché rappresenta il luogo naturale delle prime relazioni e della generazione».

Siamo decisamente lontani dalla figura di papa Bergoglio cara a certi interessati interpreti, anche a quelli che ne hanno fatto una specie di novello attivista di Greenpeace o un seguace di Greta Thunberg. Ieri mattina ha ricordato, per esempio, che «il fatto di avere figli non deve mai essere considerato una mancanza di responsabilità nei confronti del Creato o delle sue risorse naturali. Il concetto di "impronta ecologica" non può essere applicato ai bambini, poiché essi sono una risorsa indispensabile per il futuro».

Quello che va affrontato, ha proseguito citando sempre una risoluzione della Federazione di associazioni incontrata ieri, sono semmai «il consumismo e l'individualismo, guardando alle famiglie come il miglior esempio di ottimizzazione delle risorse».

E poi, due colpi molto incisivi di Francesco, che non gli provocheranno gli applausi di certi suoi interessati spettatori. Il primo sulla «piaga della pornografia, che è diffusa ormai ovunque tramite la Rete: va denunciata come un attacco permanente alla dignità dell'uomo e della donna. Si tratta non soltanto di proteggere i bambini, compito urgente delle autorità e di noi tutti, ma anche di dichiarare la pornografia come una minaccia per la salute pubblica». Il secondo affondo, invece, richiamando il fatto che «la dignità dell'uomo e della donna è minacciata anche dalla pratica inumana e sempre più diffusa dell'utero in affitto, in cui le donne, quasi sempre povere, sono sfruttate, e i bambini sono trattati come merce».

Il neo papà ha 63 anni. Diventa mamma di una bimba a 58 anni: “Un evento unico”. Roberta Davi su Il Riformista il 7 Giugno 2022. 

A 58 anni è diventata mamma per la prima volta. La piccola Ilaria è venuta al mondo lunedì 6 giugno all’ospedale Perrino di Brindisi.

Un evento festeggiato dall’intero reparto di ostetricia e ginecologia, considerando l’età della puerpera. Il primario Paolo Amoruso, che ha seguito l’intera gravidanza ottenuta grazie all’inseminazione artificiale, ha confermato che la neonata e la madre sono in buone condizioni. 

“È andato tutto davvero bene”

Nella stessa struttura sanitaria, due anni fa, partorì una donna di 56 anni:  “Quello delle ultime ore è un evento ancora più unico– sottolinea il primario- se pensiamo che si tratta di una paziente di 58 anni. Ed è andato tutto davvero bene“. Sono riusciti a portare avanti la gravidanza, sottolinea ancora il medico, fino quasi al nono mese “nel miglior modo possibile”.

La bimba è nata di poco più di 2,3 chilogrammi. “Noi siamo un reparto di secondo livello, per cui abituato ad avere bambini anche più piccoli, questa neonata è assolutamente in accordo con l’epoca gestazionale” conclude il primario.

La neo mamma, originaria di Ostuni, e la piccola Ilaria potranno presto far ritorno a casa, dove ad aspettarle c’è il neo papà, che ha 63 anni. Roberta Davi

Maria Novella De Luca per “la Repubblica” il 31 maggio 2022.

Le loro voci, le loro storie. Arrivano dal silenzio e dal segreto. Scelgono quasi tutti l'anonimato e l'ombra, sono millecinquecento, forse duemila l'anno, la statistica per ora è soltanto approssimativa, filtra dalle cliniche dell'Est, tutto il resto sfugge. Sono le coppie (eterosessuali, in questo caso) che diventano genitori, legalmente nei Paesi in cui accade, con la maternità surrogata, criminali, in un prossimo futuro, per lo Stato italiano, dove la gestazione per altri è già un reato, ma se venisse approvato il disegno di legge unificato Meloni-Carfagna diventerebbe "reato universale", punito anche con il carcere. 

Lorenzo e Margherita ad esempio, volati in Ucraina tre anni fa, oggi genitori di Luce (così la chiameremo, perché, dicono, lei è la nostra luce), finiti in un limbo giudiziario per il quale Luce risulta "apolide".

O Francesco e Grazia il cui figlio è nato nel bunker di una clinica di Kiev, sotto un cielo ferito dagli allarmi bomba, abbracciato dopo un lungo e periglioso viaggio. «Esporci oggi con nome e cognome? Con il rischio che per aver fatto nascere legalmente un bimbo ci considerino dei fuorilegge nel nostro Paese? No, grazie. Il nostro Comune ha trascritto il certificato, il piccolo sta bene, anche se ogni rumore lo spaventa, e bisogna cullarlo piano piano perché si tranquillizzi. Pappe, biberon e silenzio, per adesso va bene così». Martina che donerà l'utero Ma c'è anche chi il silenzio lo rompe, come Patrizia Lo Bracco e Damiano Pini, Ginevra è la loro quinta figlia, nata grazie a una "portatrice".

O le coppie omosessuali, dove le madri surrogate spesso diventano parte della famiglia. C'è Martina Colomasi, avvocata, 33 anni, che si propone come madre surrogata solidale. «Anni fa ho già donato i miei ovociti grazie ai quali una donna, che naturalmente non conosco, è diventata mamma. Vorrei avere la libertà, anche, di donare il mio utero, magari dopo aver avuto io un figlio, lo farei per mio fratello che è gay, per chi non può portare avanti una gravidanza. E sono autonoma, non ho certo bisogno di soldi». 

Maria Sole Giardini, è nata senza utero, la sua sindrome si chiama Rokitansky, chiede invano che il tribunale in Italia la autorizzi a diventare madre grazie alla gestazione, altruistica, di un'altra donna. «Come me ci sono altre seimila italiane. E tante donne pronte a donare l'utero. Lo Stato ci ascolti». Nomi e voci da un mondo che fatica a venire allo scoperto. Provando ad ascoltare senza giudicare.

Perché la maternità surrogata è un tema controverso, di feroci contrapposizioni. Le donne che danno il proprio utero con un rimborso spese o un compenso, sono "libere" o soggette al bisogno? Quanto conta il loro dolore nel distaccarsi da quella gravidanza? E il bambino che nasce da queste triangolazione ne porterà le conseguenze? 

Le legge, il desiderio, la realtà Per anni si è parlato di maternità surrogata soltanto in relazione alle coppie di uomini diventati padri negli Usa e in Canada con la gestazione di supporto. Storie alla luce del sole, grazie anche all'incessante lavoro dell'associazione "Famiglie Arcobaleno".

Eppure, statisticamente, nell'universo della surrogacy, le coppie Lgbtq sono numericamente residuali, forse il 10 per cento. Poi è arrivato il Covid e la guerra in Ucraina e un velo si è squarciato sul vero fenomeno della maternità surrogata eterosessuale. Ricordate le centinaia di culle ammassate in un albergo di Kiev, epicentro della gestazione per altri, costo medio 70mila euro, in attesa che i genitori committenti potessero andare a prendere i loro neonati? Nei primi mesi di guerra è toccato alla nostra ambasciata evacuare le coppie italiane in fuga con i loro piccoli, mentre le gestanti ucraine partorivano nascoste nei bunker.

Spiega Giorgio Muccio, avvocato di Bologna, che segue decine di coppie "emigrate" per fare la surrogacy. «Possiamo parlare di oltre 1.500 coppie eterosessuali, i gay non sono ammessi, che si sono rivolte nell'ultimo anno alle cliniche ucraine, più un'altra quota che si disperde tra Grecia, Russia, Georgia. Dall'Ucraina le coppie tornano con un certificato di nascita dove appaiono come genitori del bambino. E il figlio deve avere il Dna almeno di uno dei due». 

La bambina apolide Cosa accade quando una coppia torna in Italia dove la maternità surrogata è proibita? «In questi ultimi anni - spiega Muccio - i Comuni hanno trascritto i certificati di nascita rilasciati dai Paesi dove la surrogacy è legale. In alcune situazioni è stata contestata un'alterazione di stato civile ».

Poi ci sono i casi limite. Lorenzo, papà di Luce, fa l'avvocato e pesa le parole. Abita in Veneto, è seguito dall'avvocato Muccio e della sua incredibile storia si occuperà la Corte di Strasburgo. «Luce è arrivata nella nostra vita dopo 14 anni di tentativi e l'attesa, vana, di un'adozione. Con la donna che generosamente ci ha aiutati a diventare genitori, Vania, siamo rimasti sempre in contatto, Luce saprà tutta la verità sulla sua nascita. Oggi però viviamo un incubo: a tre anni dalla nascita, nonostante Luce abbia il mio Dna, per l'opposizione prima del Comune poi del tribunale, non sono ancora riuscito a darle il mio cognome. Luce per l'Italia non esiste, non può andare all'asilo pubblico, non ha la copertura sanitaria. Luce è apolide».

Il papà gay Andrea Rubera e Dario De Gregorio hanno tre figli nati con gestazione di supporto in Canada, dove, racconta, «la legge sulla surrogacy è tra le più rigorose del mondo». «Prima di compiere questo passo ci abbiamo pensato a lungo, se fosse stato possibile avremmo adottato, abbiamo conosciuto "Famiglie Arcobaleno" e capito che saremmo stati in grado di diventare genitori. Abbiamo scelto il Canada perché lì la maternità surrogata è totalmente altruistica, ed è la donna che sceglie la coppia di futuri genitori, non il contrario. Si segue un percorso lungo, ci si conosce, la mamma surrogata diventa un elemento paritario di questa avventura. Lei si chiama Carrie ed è oggi una figura fondamentale nella nostra vita. La risposta alle situazioni di sfruttamento, che esistono, non è il disegno di legge di Meloni, ma leggi come quella canadese».

Monica Serra per “la Stampa” il 28 maggio 2022. 

«Non ce la facevo più, ho fatto un disastro». Così Rosa è crollata davanti alla sorella minore, Loredana. Non voleva che entrasse in bagno. Che vedesse quel che restava della madre ottantaquattrenne, Lucia Cipriani. Uccisa, forse soffocata nella vasca, due mesi fa. E fatta a pezzi, coperti da un cellophane fissato ai bordi con il nastro adesivo.

Poi Rosa Fabbiano, 58 anni, una vita da operaia passata a occuparsi della madre, che aveva problemi di deambulazione e un principio di demenza senile, ha aggiunto: «Portami dai carabinieri». 

Loredana aveva già un brutto presentimento. Da troppo tempo non riusciva a parlare con la madre. Alle sue telefonate rispondeva solo con «strani messaggi». Così alle 6,30 di giovedì mattina è partita da Trento, dove vive, per andare a trovarla a Melzo, nel Milanese, e «vedere da vicino cosa fare con lei, aiutarla a gestire le visite in ospedale». Prima di partire aveva avvisato la sorella Rosa: «Lei mi aveva detto che non c'era bisogno, che andava tutto bene».

L'appuntamento era alle 9,30 era proprio sotto casa della madre, in via Boves, a Melzo. Al telefono «Rosa aveva un tono di voce normale», si legge nel verbale raccolto dai carabinieri. Una volta nell'appartamento, però, Loredana ha notato qualcosa di strano: «Le finestre erano tutte spalancate». E la sorella le ha impedito di andare in bagno: «Sono rimasta impietrita, senza sapere il perché. Ho provato paura per la mia incolumità». 

Le due sorelle sono uscite, si sono messe in macchina per andare in caserma. «A quel punto Rosa ha iniziato a urlare, mi ha detto che non voleva più andare dai carabinieri, che voleva suicidarsi, ha aperto la portiera e ha fatto per scendere». Quando i militari sono arrivati, chiamati da Loredana, le due sorelle erano in un campo e Rosa «era in un panico totale. Mentre urlava si è avvicinata a un fossato. Io la trattenevo per la maglietta. Provava a buttarsi».

Così, i carabinieri sono andati a casa della vittima. E nel bagno hanno trovato quel che restava dell'anziana, oramai in stato di decomposizione. Vicino la vasca c'era una sega ripulita, forse usata per fare a pezzi il corpo. Sparsi nella casa diversi profumatori per ambienti. In bagno c'erano anche gli abiti della vittima, che la 58enne aveva provato a bruciare. Una vicina di casa ha raccontato che il 12 aprile aveva «visto fumo e sentito un odore stomachevole uscire dal bagno». Aveva avvisato Rosa: «Quando le ho chiesto se il fumo proveniva dalla lavatrice, mi aveva detto di sì». 

Rosa Fabbiano però non ha confessato. Ai carabinieri del Nucleo investigativo di Milano, diretti dai comandanti Michele Miulli e Antonio Coppola, ha fatto solo un cenno con la testa. Alle domande della pm Elisa Calanducci, giovedì sera, non ha risposto. Ora è in carcere con l'accusa di omicidio, vilipendio e occultamento di cadavere. Forse racconterà la sua verità domani all'interrogatorio di convalida del fermo. Spiegherà se davvero ha ammazzato la madre perché non ce la faceva più ad occuparsi di lei. Di certo in questi mesi Lucia ha continuato a percepire la pensione e il mantenimento dell'ex marito. Su un conto cointestato con la figlia.

 L'omicidio per il quale è sospettata una figlia, è avvento in provincia di Milano. Donna originaria di San Giorgio fatta a pezzi nella vasca da bagno La Redazione su La Voce di Manduria venerdì 27 maggio 2022.  

È di San Giorgio jonico, in provincia di Taranto, Lucia Cipriano, di 84 anni, il cui corpo fatto a pezzi e in avanzato stato di decomposizione è stato trovato nella vasca da bagno della sua casa in provincia di Milano dove viveva da anni.

I principali sospetti si concentrano su una delle tre figlie, Rosa Fabbiano, 58 anni, fermata nelle scorse ore con l'accusa di omicidio, vilipendio e occultamento di cadavere.

A trovare il cadavere è stata la figlia minore che ieri mattina ha fatto la tragica scoperta nell'appartamento della pensionata a Melzo, in provincia di Milano. Non sono ancora state accertate le cause del decesso né un possibile movente, ma al momento gli investigatori seguono la pista dell'omicidio. 

I medici e gli operatori del 118 sono intervenuti sul posto a metà mattinata, dopo aver ricevuto la chiamata disperata da parte della figlia. Residente a Trento, la 47enne non aveva notizie della madre da diverse settimane e la sorella Rosa, una 58enne che vive nel Comune di Mediglia, a pochi chilometri di distanza, si sarebbe inventata diverse scuse per spiegare l'assenza dell'anziana, tra cui un ricovero presso una Rsa, viste le precarie condizioni di salute della donna.

Così, raggiunto il paesino nel Milanese, la figlia più giovane si è presentata presso la palazzina di quattro piani di via Boves, dove Lucia viveva da sola: nel bagno, ha trovato il cadavere. Non è ancora stato chiarito da quanto tempo sia morta l'anziana, ma lo stato del corpo pur considerando le alte temperature dell'ultimo periodo che potrebbero aver accelerato il processo di decomposizione farebbe pensare a molti giorni fa, forse addirittura più di un mese.

L'anziana non aveva amici né frequentazioni particolari ed era solita trascorrere da sola la maggior parte del tempo. La figlia Rosa sarebbe stata quella che la vedeva più spesso e che, più delle altre, le era vicina.

(ANSA il 30 maggio 2022) - Il gip di Milano Giulio Fanales ha convalidato il fermo e disposto la misura cautelare in carcere per omicidio volontario aggravato e vilipendio di cadavere aggravato per Rosa Fabbiano, 58 anni, finita a San Vittore per aver ucciso l'anziana madre Lucia Cipriano, 84 anni, trovata morta, dopo circa due mesi, e fatta a pezzi nella vasca da bagno della sua abitazione di Melzo, nel Milanese.

Ieri la donna nell'interrogatorio davanti al giudice, alla presenza anche dell'aggiunto Laura Pedio e del pm Elisa Calanducci, titolari dell'inchiesta condotta dai carabinieri, si era avvalsa della facoltà di non rispondere, così come già aveva fatto davanti agli inquirenti nella serata di giovedì scorso.

(ANSA il 30 maggio 2022) - I "motivi fondanti" dell'omicidio commesso da Rosa Fabbiano, la 58enne che a Melzo, nel Milanese, ha ucciso la madre Lucia Cipriano, 84 anni, facendo a pezzi poi il cadavere ritrovato nella vasca da bagno dopo circa 2 mesi, sono "da ricondursi all'assoluta incapacità dimostrata dall'indagata nel sopportare il decadimento fisico e mentale altrui e, in particolare, di coloro che le sono affettivamente legati". 

Lo scrive il gip di Milano Giulio Fanales nell'ordinanza di convalida del fermo e di applicazione della misura cautelare in carcere e, in particolare, nella parte in cui mette in luce il pericolo di reiterazione del reato da parte della donna. 

"Esiste un concreto ed attuale pericolo di commissione di reati della medesima specie - scrive il giudice - desumibile, in primo luogo, dai motivi fondanti l'agire delittuoso in parola, da ricondursi all'assoluta incapacità dimostrata dall'indagata nel sopportare il decadimento fisico e mentale altrui e, in particolare, di coloro che le sono affettivamente legati". Circostanza tale, secondo il gip, "da fare ragionevolmente presumere la possibilità del ripetersi di simili azioni a fronte di una qualsivoglia condizione similare in cui l'indagata possa venirsi a trovare nelle usuali ed alterne vicende di vita".

La figlia avrebbe ucciso la madre, come si legge nell'imputazione, "facendola prima adagiare all'interno della vasca da bagno" e dopo "coprendola con un telo in cellophane, che fissava ai bordi della vasca con del nastro adesivo, in modo da non far passare aria". E poi avrebbe mutilato "il cadavere" e "lo occultava, mantenendolo all'interno della vasca da bagno, sigillata da un telo di cellophane e celando la morte della donna agli altri congiunti". 

Oltre a "guanti in lattice" e "segni di bruciatura" sui vestiti dell'anziana, i carabinieri hanno anche trovato sul bordo della vasca "una lama per seghetto della lunghezza di 31 cm". E poi un'altra "sega con lama metallica lunga complessivamente 45 cm".

L'altra figlia Loredana Fabbiano, che vive a Trento e che il 26 maggio arrivò a Melzo perché non riusciva più a sentire la madre, ha raccontato agli inquirenti che era riuscita a sentire la madre "per l'ultima volta al telefono" il 22 marzo e che la sorella Rosa l'aveva "informata" del "notevole peggioramento delle condizioni psicofisiche della madre". 

Il 12 aprile, poi, sempre Rosa ha detto alla sorella "di avere portato la madre a casa propria, per poterla accudire più agevolmente". E poi con messaggi le aveva riferito "l'intenzione di collocare la madre all'interno di una residenza sanitaria". Tutte informazioni false, secondo le indagini, per coprire il delitto che la donna potrebbe aver commesso già a fine marzo. 

A fronte delle richieste "insistenti della sorella circa le condizioni della madre" la 58enne "rispondeva in modo evasivo, facendo riferimento ad una presunta positività al Covid, oppure ad un asserito ricovero della stessa presso il reparto psichiatrico dell'Ospedale di Melegnano".

(ANSA il 30 maggio 2022) -  Il marito di Rosa Fabbiano, la 58enne finita in carcere per aver ucciso la madre di 84 anni a Melzo, nel Milanese, ha messo a verbale "di avere sempre osservato la moglie occuparsi in via esclusiva della suocera", che aveva altre due figlie, e di avere saputo da lei "alla fine del mese di marzo, che la madre" sarebbe stata "ricoverata all'interno di un centro di assistenza e cura non meglio precisato", così diceva, "in ragione del deterioramento delle sue condizioni psichiche". 

E sempre l'uomo ha raccontato "di avere constatato, a seguito di ciò, che la moglie mostrava particolare ritrosia nel parlare ulteriormente della suocera, a detta di lei oramai non più curabile, perché affetta da una forma irreversibile di demenza". 

La testimonianza del marito della donna si legge nell'ordinanza di custodia cautelare in carcere firmata dal gip di Milano Giulio Fanales. Il 26 maggio scorso, quando un'altra figlia della donna, che vive a Trento, era arrivata a Melzo perché non riusciva più a contattate la madre da un paio di mesi, Rosa Fabbiano l'ha portata nella casa dell'anziana ripetendole, però, "No, non andare in bagno", dove il cadavere dell'84enne è stato poi ritrovato.

Poi, fuori dall'abitazione Fabbiano era fuggita via: si è anche avvicinata "ad un fossato presente nelle vicinanze", spiega il gip, e ha tentato "di gettarsi, venendo però trattenuta per la maglietta dalla sorella". E' in quel momento che avrebbe detto: "Sono stanca. Ho fatto un disastro! Vi ho rovinato la vita a tutti". 

"Non ce la facevo più, ho fatto un disastro", avrebbe detto Rosa Fabbiano alla sorella Loredana che era arrivata a Melzo per vedere come stava la madre. Quando la sorella, a cui Rosa aveva impedito di entrare nel bagno di casa della madre, la stava portando dai carabinieri, come lei stessa aveva chiesto, la 58enne ha pure manifestato "l'intento di suicidarsi". 

Anche la terza figlia dell'anziana ha dichiarato agli inquirenti "di avere perso ogni contatto personale e telefonico con la madre circa nel mese di marzo, a seguito del notevole peggioramento delle condizioni di salute di lei, palesemente priva di lucidità, e di avere ritenuto che la madre fosse stata portata dalla sorella Rosa presso l'abitazione di quest'ultima". Era solo Rosa ad avere le chiavi di casa dell'anziana ed era lei "in concreto ad accudire in modo continuativo la madre".

Il figlio di Rosa Fabbiano, sempre a verbale, ha spiegato di aver saputo dalla madre che, dopo un "fallimentare tentativo" di affidare Lucia Cipriani "ad una badante, la nonna era stata collocata all'interno di una struttura sanitaria". Proprio una badante ha raccontato di aver visto l'anziana il 24 marzo (in quella data, quindi, era ancora viva), quando solo per un giorno l'ha accudita, ma poi se ne è andata per "la sostanziale ingestibilità" dell'anziana. 

Quel giorno la badante chiamò la figlia e una "guardia medica", stando alla deposizione, per farle costatare "l'impossibilità concreta di prosecuzione della cura nelle forme domestiche". Il giorno dopo Rosa Fabbiano disse alla badante di non rientrare nell'abitazione, ma che lei le avrebbe consegnato all'esterno i suoi "effetti personali".

Omicidio di Melzo, le bugie della figlia Rosa Fabbiano: «Mamma ha il Covid», «è a casa mia», «l’ho fatta ricoverare». Pierpaolo Lio su Il Corriere della Sera il 30 maggio 2022.

Omicidio di Lucia Cipriano a Melzo (Milano). La badante romena (ingaggiata per un solo giorno di lavoro) e la guardia medica ultime due persone ad aver visto viva l’84enne. La figlia Rosa Fabbiano resta in carcere con le accuse di omicidio, vilipendio e occultamento di cadavere.

Sono le 22 del 24 marzo quando una donna romena ingaggiata a inizio giornata come badante telefona a Rosa Fabbiano dall’appartamento della madre, Lucia Cipriano. Dopo neanche 24 ore con la pensionata 84enne si rivolge a Rosa per chiederle di raggiungerla. Le vuole mostrare come sia ormai impossibile gestire e aver cura dell’anziana donna a domicilio, le cui condizioni di salute e di lucidità erano crollate negli ultimi mesi. Con lei c’è anche la guardia medica. Sono le ultime due persone a vedere Lucia Cipriano viva. Il giorno successivo Rosa contatta la badante e la informa che potrà recuperare fuori dalla porta i suoi effetti personali. Da quel giorno la figura della 84enne finisce inghiottita in un limbo di bugie e depistaggi che la figlia maggiore Rosa, 57 anni, fermata per omicidio, vilipendio e occultamento di cadavere, mette in piedi per nasconderne la fine tragica.

Le menzogne della figlia

«L’ho portata a casa mia per soccorrerla in caso di necessità»; «Non sta bene, ha preso il Covid»; «L’ho fatta ricoverare in una Rsa qua vicino a casa mia»: sono le scuse con cui per settimane riesce a tenere alla larga le due sorelle, Loredana e Cosima, quando queste chiedono di poter parlare o vedere la madre. Il corpo della 84enne sarà invece scoperto dai carabinieri due mesi dopo, il 26 maggio, smembrato e in stato di avanzata decomposizione, all’interno della vasca da bagno dell’alloggio popolare in cui la pensionata viveva in via Boves a Melzo, nell’hinterland est di Milano.

La scoperta del cadavere

Nell’appartamento al secondo piano i carabinieri del nucleo investigativo di Milano hanno trovato l’occorrente usato per fare a pezzi il cadavere: una sega di 31 centimetri, numerosi guanti in lattice, una tuta protettiva con zip anteriore, una cuffietta. Per la 57enne, il gip di Milano Giulio Fanales ha convalidato il fermo e disposto la misura cautelare in carcere. Il giorno precedente, la donna, nell’interrogatorio davanti al giudice, alla presenza anche dell’aggiunto Laura Pedio e del pm Elisa Calanducci, titolari dell’inchiesta, si era avvalsa della facoltà di non rispondere, così come già aveva fatto davanti agli inquirenti nella serata di giovedì scorso.

Rosa al figlio e al marito: «Lucia è incurabile»

Dopo quell’episodio del 24 marzo, in cui Rosa è costretta a prendere atto che la madre non è più in grado di proseguire la sua vita come prima, la pensionata «scompare». Nessuno riesce più a contattarla direttamente. A fine marzo, anche ai suoi cari, il marito e il figlio, Rosa racconterà di aver fatto ricoverare la madre, «ormai non più curabile» per via dei segnali di demenza sempre più marcati. E pochi giorni dopo, il 12 aprile, una vicina si lamenterà dell’odore «stomachevole» che esce dalla finestra del bagno. Per il gip Giulio Fanales, i motivi dell’omicidio commesso da Rosa Fabbiano «sono da ricondursi all’assoluta incapacità dimostrata dall’indagata nel sopportare il decadimento fisico e mentale altrui e, in particolare, di coloro che le sono affettivamente legati».

La decisione del tribunale del lavoro. Punite lavoratrici in sciopero, Elisabetta Franchi perde in tribunale: è condotta antisindacale. Fabio Calcagni su Il Riformista il 14 Maggio 2022. 

Le polemiche per il suo intervento sul ruolo delle donne nella sua azienda non è ancora finito, ma per Elisabetta Franchi si apre un nuovo fronte. La stilista ha perso la causa intentata contro la sua  azienda, la Betty Blue, venendo condannata dal tribunale del lavoro di Bologna per comportamento antisindacale.

È stato infatti parzialmente accolto un presentato dalla Filcams-Cgil, col giudice Chiara Zompi che ha ritenuto una condotta illegittima e antisindacale inviare contestazioni disciplinari a chi non ha lavorato perché ha aderito a uno sciopero indetto contro gli straordinari.

La decisione riguarda lettere inviate il 23 e 25 novembre 2021 e l’8 aprile 2022. Non è invece antisindacale, per il giudice, la richiesta di fare straordinari, senza consenso, nei limiti delle 250 ore annue.

La Betty Blue, società che ha chiuso il 2021 con ricavi superiori ai 120 milioni di euro, aveva imposto alle lavoratrice dello stabilimento di Granarolo l’allungamento oltre l’orario standard per soddisfare un picco di ordini e a quel punto alcune di loro hanno scioperato.

Secondo Zompi, scrive l’Ansa, dopo aver analizzato le contestazioni disciplinari alle lavoratrici che si sono rifiutate di fare lo straordinario, il giudice ha compiuto un distinguo tra quelle arrivate prima della proclamazione dello sciopero, comunicata il 12 novembre 2021, che appaiono legittime. 

Non è così invece per quelle successive, tra fine novembre 2021 e aprile 2022. Per il giudice “la reiterata elevazione di contestazioni disciplinari a carico di un gruppo di lavoratrici che già avevano manifestato la loro volontà di aderire allo stato di agitazione promosso dal sindacato ricorrente” costituisce “di per sé comportamento intimidatorio ed evidentemente finalizzato a scoraggiare l’adesione dei dipendenti allo sciopero dello straordinario, legittimamente proclamato”.

La condotta dell’azienda guidata dalla stilista “comprova un utilizzo sistematico dello strumento disciplinare a fini intimidatori, con effetti che appaiono perduranti nel tempo“. Dunque, oltre a dichiarare l’antisindacalità della condotta, la sentenza del tribunale del lavoro di Bologna ordina di “cessarla, di non dare seguito alle contestazioni e di astenersi per il futuro dall’utilizzare il potere disciplinare per limitare l’esercizio della libertà sindacale”.

L’azienda ha due possibilità: può fare ricorso in tribunale o mettersi d’accordo con i sindacati per chiudere lo scontro sugli straordinari del sabato.

Fabio Calcagni. Napoletano, classe 1987, laureato in Lettere: vive di politica e basket.

Parla un'impiegata di Elisabetta Franchi: "A noi donne rende la vita impossibile". Caterina Giusberti su La Repubblica il 15 maggio 2022.  

La dipendente dell'imprenditrice condannata per condotta antisindacale: "Si è infuriata perché una delle sue assistenti è incinta".

"Lavoro per la Betty Blue da più di dieci anni e gli straordinari li ho sempre fatti, compresi il 25 Aprile, l'8 dicembre e l'Epifania. Mi sento offesa perché ci ha dato delle inadempienti, delle irresponsabili, di quelle che le minano il business. Invece siamo professioniste e abbiamo sempre preso il lavoro molto seriamente: se oggi l'azienda è arrivata a questi livelli è anche merito nostro".

Caterina Giusberti per “la Repubblica” il 15 maggio 2022.

«Lavoro per la Betty Blue da più di dieci anni e gli straordinari li ho sempre fatti, compresi il 25 Aprile, l'8 dicembre e l'Epifania. Mi sento offesa perché ci ha dato delle inadempienti, delle irresponsabili, di quelle che le minano il business.

Invece siamo professioniste e abbiamo sempre preso il lavoro molto seriamente: se oggi l'azienda è arrivata a questi livelli è anche merito nostro». 

Sotto accusa c'è Elisabetta Franchi (Betty Blue è la sua azienda), l'imprenditrice al centro delle polemiche per aver dichiarato di assumere donne over 40 («le prendo quando hanno fatto tutti i giri di boa»), che giovedì è stata anche condannata dal tribunale del lavoro di Bologna per condotta antisindacale nella vertenza promossa dalla Filcams-Cgil. A parlare, chiedendo l'anonimato, è invece una delle sue dipendenti, che dopo aver scioperato ha ricevuto giornate di sospensione dal lavoro, lettere di richiamo e ordini di servizio, finché la vicenda non è arrivata in tribunale.

Cos' è successo?

«Siamo state massacrate per esserci rivolte al sindacato, ecco cos' è successo. Prima delle scadenze di campionario abbiamo sempre fatto gli straordinari: chi arrivava prima, chi lavorava il sabato mattina, festività, domeniche incluse, nessuna si è mai tirata indietro. Solo che nel tempo Franchi ha accentrato tutto su di sé, è diventata anche amministratrice delegata dell'azienda e ha perso qualsiasi freno: scartavetra le persone in modo veramente ignobile. Per lei la vita privata non esiste, ha milioni di chat con tutti i gruppi produttivi dove scrive a tutte le ore, inclusa la domenica. E tu devi sempre risponderle». 

Come siete arrivate alla vertenza?

«In ottobre ci è arrivata una mail che diceva: dovete fare gli straordinari, o l'azienda prenderà dei provvedimenti disciplinari nei vostri confronti. Quando hanno cominciato ad arrivare le prime lettere di richiamo ci siamo rivolte alla Cgil.

Non è stato un passo facile perché lì dentro la gente ha paura: su 150 dipendenti, siamo in una quarantina ad esserci iscritte al sindacato. 

Abbiamo scioperato, rifiutandoci di fare gli straordinari. E il risultato è stato che le nostre settimane erano fatte così: il lunedì mattina ricevevamo la lettera di richiamo per gli straordinari non fatti la settimana precedente, il mercoledì la richiesta di straordinari nuovi, minimo otto ore a settimana. E il venerdì l'ordine di servizio per intimarci di essere presenti al lavoro il sabato. C'è chi ha ricevuto lettere di richiamo per avere fatto mezz' ora di straordinario in meno. Alcune di noi sono in malattia da Natale, con lo psicologo e tutto il resto. A me a dicembre è venuto un attacco di panico e sono finita in ospedale. Ma non esiste che dopo tutto quello che ho dato all'azienda io mi faccia trattare così».

E la polemica sulle over 40?

«Per noi non è niente di nuovo, la pensa proprio così. Adesso per esempio una delle sue assistenti è incinta, e lei è arrabbiatissima. Una collega è appena tornata dalla maternità e le hanno cambiato l'ufficio, proprio come le era successo con la sua prima gravidanza. Tutte le donne che adorano i suoi abiti non se lo immaginano, ma questo è il clima che si respira nell'azienda di Elisabetta Franchi. Di bello, a parte i vestiti che facciamo, lì dentro non c'è proprio niente». 

Da corriere.it l'8 maggio 2022.

Elisabetta Franchi non ha mai peli sulla lingua. La stilista, 53 anni, fa della schiettezza un suo vanto, come ha spiegato in una diretta Instagram su Moda Corriere qualche tempo fa. Secondo lei è proprio la sua spontaneità una componente del suo successo. Ma le ultime dichiarazioni che ha rilasciato durante un evento a Milano («Donne e Moda: il barometro 2020», organizzato da PwC Italia e Il Foglio) le hanno attirato una valanga di critiche sui social. In pratica, parlando di donne e lavoro ha spiegato perché nella sua azienda non c'è posto per le under 40 in posizioni di rilievo. Perché se le donne giovani si assentano due anni per una maternità è un problema. Ma alla domanda «anche lei ha fatto figli lavorando» — rimanendo a capo del marchio di moda che porta il suo nome — la Franchi non ha dato una risposta, ed è passata oltre. 

Ecco cosa ha detto, come si può vedere in un video postato su Twitter da Stefano Guerrera (che ha dato il via a una discussione con polemiche). «Quando metti una donna in una carica molto importante poi non ti puoi permettere di non vederla arrivare per due anni perché quella posizione è scoperta — ha affermato durante l'intervista-incontro —. Un imprenditore investe tempo e denaro e se ti viene a mancare è un problema, quindi anche io da imprenditore responsabile della mia azienda spesso ho puntato su uomini». 

E ancora: «Oggi le donne le ho assunte ma sono anta, questo va detto, comunque ancora ragazze ma cresciute. Se dovevano far figli o sposarsi lo hanno già fatto e quindi io le prendo che hanno fatto tutti i giri di boa e lavorano h24, questo è importante». Insomma, chi firma un contratto con la sua azienda deve dare una disponibilità totale, giorno e notte. 

Apriti cielo. Su Twitter sono fioccati commenti al vetriolo. Ma ci sono anche le ironie e i commenti di persone che la giustificano. L'argomento tiene banco tra chi inorridisce a tale ragionamento e chi non riesce a crederci.

La titolare della casa di moda. “Donne ai vertici dopo 40 anni, hanno già figli o sono separate”, la polemica sulle frasi di Elisabetta Franchi. Vito Califano su Il Riformista il 7 Maggio 2022. 

È polemica per le parole dell’imprenditrice Elisabetta Franchi a un evento organizzato dal quotidiano Il Foglio e Pwc. L’imprenditrice titolare dell’omonima etichetta di moda ha spiegato di assumere donne, in particolare ai vertici della sua azienda, soltanto oltre i 40 anni. “Sono già sposate, hanno già avuto figlie o si sono già separate”. Questa è la frase che ha fatto esplodere la bufera.

Nessun passo indietro tutavia da parte dell’imprenditrice e della casa moda. Il video dell’intervento, che ha preso a circolare massicciamente su Twitter, è stato ri-postato dalla stessa manager su Instagram. “Il mondo della moda non è tutto lustrini e paillettes. È un mondo molto duro, fatto di sacrifici, rinunce, ma anche soddisfazioni. Per questo, come dico sempre, non smettete mai di crederci!”.

L’intervistatrice Fabiana Giacomotti, curatrice de Il Foglio della Moda, aveva provato a incalzare. Se insomma le donne non vengono assunte, se si preferiscono gli uomini – come ha detto di aver fatto in passato Franchi -, è “perché una donna non viene aiutata … tu intanto come hai fatto? Perché tu hai allevato due figli”. E quindi la spiegazione della donna: “Io oggi le donne le ho messe perché sono ‘anta’, questo va detto: comunque ancora ragazze, ma cresciute. Se dovevano sposarsi lo hanno già fatto, se dovevano avere figli, li hanno già fatti, se dovevano separarsi, hanno fatto anche quello… per cui io le prendo che hanno fatto tutti e quattro i giri di boa. Sono lì belle tranquille che lavorano con me affianco h24, questo è importante. Cosa che invece gli uomini non hanno. Io che sono una donna emiliana ed emancipata credo che noi donne siamo un dovere, che è quello nel nostro Dna, che non dobbiamo neanche rinnegarlo: i figli li facciamo noi, incinto ancora… no, e comunque il camino in casa lo accendiamo noi. È una grande responsabilità”.

Franchi è una imprenditrice “che è riuscita a conquistare l’universo femminile – si legge sul sito ufficiale – grazie al suo stile e alla sua creatività: un successo frutto di una grande passione, di uno scrupoloso studio del prodotto, di un’assoluta dedizione al lavoro e di una buona dose di concretezza”. È nata nel 1968 a Bologna, quarta di cinque figli, umile estrazione, cresciuta dalla sola madre. La passione per la moda era nata con la sua bambola che poteva vestire come voleva. Ha studiato all’Istituto Aldrovandi Rubbiani di Bologna. Ha aperto il suo primo atelier nel 1995, la Betty Blue Spa è nata nel 1998, dal 2008 il cuore dell’azienda è diventata una ditta farmaceutica dismessa di circa seimila metri quadrati. Il marchio Elisabetta Franchi è nato nel 2012, il primo showroom direzionale è stato aperto a Milano in via Tortona nel 2013. Il brand ha raggiunto 120 milioni di euro di ricavi nel 2019, conta su 1.100 multimarca e 87 boutique monomarca in tutto il mondo.

“L’evoluzione stilistica del brand e la sempre attenta cura nei dettagli, la portano a diventare una tra le firme più richieste dallo Star System, vestendo celebrities internazionali del calibro di Angelina Jolie, Kate Hudson, Jessica Alba, Emily Blunt, Jennifer Lopez, Lady Gaga, Kendall Jenner, Dita Von Teese, Kourtney Kardashian, per citarne alcune”. Il brand è schierato sul fronte animalista: ha eliminato la pelliccia animale dalla prodizione come la piuma d’oca e la lana d’angora. È stata insignita dell’onorificenza di Cavaliere dell’Ordine “Al Merito della Repubblica Italiana” da parte del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella.

L’intervento ha suscitato anche una certa ilarità in sala. Risatine e sorrisi mentre Franchi spiegava la sua teoria. Il ragionamento era partito dalla constatazione di Franchi: “Parlo dalla parte dell’imprenditore, quando metti una donna in una carica importante, se è molto importante, non ti puoi permettere di non vederla arrivare per due anni perché quella posizione è scoperta. E un imprenditore investe tempo, energia e denaro. Se viene a mancare è un problema. E quindi anch’io da imprenditore spesso ho puntato su uomini”.

La replica di Franchi alle polemiche

È arrivata dalle storie Instagram di Franchi la replica alle polemiche per le sue dichiarazioni. “L’80% della mia azienda sono quote rosa di cui il 75% giovani donne impiegate, il 5% dirigenti e manager donne. Il restante 20% sono uomini di cui il 5% manager”, dice la stilista in una storia Instagram. “C’è stato un grande fraintendimento per quello che sta girando sul web, strumentalizzando le parole dette”.

“La mia azienda oggi è una realtà quasi completamente al femminile”, dice ancora Franchi. “L’oggetto di discussione dell’evento a cui ho partecipato è la ricerca di Price ‘Donne e Moda’ da cui è emerso che nella realtà odierna le donne non ricoprono cariche importanti – scrive – Perché? Purtroppo, al contrario di altri Paesi, è emerso che lo Stato italiano è ancora abbastanza assente, mancando le strutture e gli aiuti, le donne si trovano a dover affrontare una scelta tra famiglia e carriera“. “Come ho sottolineato, avere una famiglia è un sacrosanto diritto – prosegue – Chi riesce a conciliare famiglia e carriera è comunque sottoposta a enormi sacrifici, esattamente quello che ho dovuto fare io”. 

Vito Califano. Giornalista. Ha studiato Scienze della Comunicazione. Specializzazione in editoria. Scrive principalmente di cronaca, spettacoli e sport occasionalmente. Appassionato di televisione e teatro.

Elisabetta Franchi, le reazioni. Gassmann: «Boicottatela». Bruganelli: «L’azienda è sua, può decidere». Michela Proietti su Il Corriere della Sera l'8 Maggio 2022.

All’indomani della bufera social scatenata dall’intervento della stilista a un convegno durante il quale ha dichiarato di preferire dirigenti donne che hanno compiuto 40 anni, la rete si è popolata di reazioni. Contrarie e in alcuni casi favorevoli. 

C’è già chi parla di «epic fail» riguardo al caso Elisabetta Franchi, che al talk organizzato da PWH Italia e Il Foglio sul tema «Le donne e la Moda», ha espresso a chiare lettere la sua visione aziendale legata all’impiego di donne sotto i quaranta anni . L’imprenditrice e stilista 53enne ha dichiarato di aver assunto donne in ruoli dirigenziali, ma solo dopo gli «anta», ovvero quelle che «hanno superato i quattro giri di boa», intesi come matrimonio, gravidanze ed eventuale separazione. La rettifica della stilista non è tardata ad arrivare, sia su suoi canali social che in una intervista esclusiva rilasciata al Corriere della Sera , ma questo non è stato sufficiente a spegnere le polemiche sul web.

La polemica su Twitter

Medioevo, passi indietro in direzione opposta alla parità di genere, persino «schiavismo»: la rete non ha risparmiato parole durissime alla stilista che ha precisato nelle ore successive la sua politica aziendale da sempre dalla parte delle donne, con l’80 per cento della forza lavoro al femminile. Tra le tante voci che si sono sollevate non è mancata quella di Alessandro Gassmann, che ha twittato : «Mi auguro che tutte le clienti under 40 della #Franchi cessino di acquistare i suoi prodotti, perché troppo occupate in altro». Dura la replica anche della politica con la deputata Marianna Madia, che ha scritto su Twitter: «Una somma di stereotipi sciocchi su donne, uomini, giovani, lavoro e impresa. Per fortuna la nostra società è nel complesso più avanti di così, anche se le carenze di welfare sono ancora davvero troppe». Più d’uno ha chiesto un intervento della Ministra delle Pari Opportunità Elena Bonetti («ma @elenabonetti ministra delle Pari Opportunità ha parlato del caso #elisabettafranchi o spera di fare passare la bufera (tanto è domenica, è la #festadellamamma ) senza esporsi con mezza opinione?).

Mi auguro che tutte le clienti under 40 della #Franchi ,cessino di acquistare i suoi prodotti, perché troppo occupate in altro. #lafraintesa

Selvaggia Lucarelli e Myrta Merlino «contro»

Opinioni illustri e punti di vista comuni, come quello di @siriomerenda: «Elisabetta Franchi presenta la collezione autunno-inverno Medioevo... #elisabettafranchi #Medioevo #7maggio» o di Maria Giovanna Gradanti: «Se volete lavorare da #ElisabettaFranchi, venite già "figliate". Mi vergogno per lei e per tutte le donne presenti in sala (intervistatrice compresa) che ridacchiavano e annuivano a questa perla di pensiero aziendale». Per l’attivista Cathy La Torre una scivolata senza scusanti. «Le parole di #ElisabettaFranchi su donne e lavoro lasciano sgomente: come si può pensare alla donna perlopiù in chiave famigliare e/o nel ruolo di madre, e quindi condizionare in base a questo una assunzione? Cara Elisabetta, avere un utero non è una colpa. Diciamolo insieme».

Pareri celebri mescolati a tante riflessioni del popolo del web: «Il prossimo ospite invitato a parlare di donne, lavoro e maternità. #elisabettafranchi», ha twittato Selvaggia Lucarelli postando una foto di Checco Zalone e paragonando l’intervento della Franchi a quello dell’attore nel film «Sole a Catinelle»; Myrta Merlino ha invece parlato di «misere parole di #ElisabettaFranchi l’opposto del necessario. Avremmo bisogno di sorellanza, progresso, femminismo nei fatti. Forza ragazze. Vogliamo e siamo altro. Non molliamo anche quando altre #donne sono il nostro limite». L’utente @RitaVagnarelli ha ricordato - in risposta alla disponibilità illimitata al lavoro auspicata dalla Franchi - un punto di vista opposto: «#elisabettafranchi E a proposito di lavoro h.24 Brunello Cucinelli: «Nessuno dovrebbe lavorare dopo le 17.30».

Il modo di #elisabettafranchi di esprimere la sua politica aziendale non sarà sicuramente stato gradevole ma ricordo che è la SUA azienda, che paga LEI i suoi dipendenti e credo sia libera di assumere CHI REPUTA PIÙ OPPORTUNO. E adesso scatenatevi pure con la vostra demagogia.

Sonia Bruganelli: «demagogia»

Ma non sono mancati i sostenitori della Franchi, come @Gianni_Bitontii, schierato invece dalla parte della imprenditrice: «L’errore di #elisabettafranchi è aver detto la verità in un mondo dominato dai social e da persone incapaci di leggere fino in fondo 5 righe di intervista. Era una critica allo Stato, l’avete trasformata in un attacco alle donne. Ma non sono sorpreso, chissà come mai». Dalla parte della Franchi anche Sonia Bruganelli, che da sempre non ha paura di scontrarsi contro il politically correct. «Il modo di #elisabettafranchi di esprimere la sua politica aziendale non sarà sicuramente stato gradevole ma ricordo che è la sua azienda, che paga lei i suoi dipendenti e credo sia libera di assumere chi reputa più opportuno. E adesso scatenatevi pure con la vostra demagogia».

Sessismo, moda, famiglia e affari in Russia: la caduta dell’intoccabile Elisabetta Franchi. SELVAGGIA LUCARELLI su Il Domani l'8 maggio 2022.

Elisabetta Franchi, tradita da un linguaggio dispotico («le donne le prendo, le donne le metto») e parlando sempre di sé al maschile («parlo da imprenditore») snocciola una serie di scempiaggini.

Elisabetta Franchi, forte di pr e di inserzioni pubblicitarie, ha saputo crearsi intorno una patina di intoccabilità che gli stessi titoli riparatori di alcuni giornali oggi raccontano bene. 

Forse è la prima volta che una polemica che la riguarda non viene oscurata in poche ore. Anzi, di solito non si apre neppure. Per esempio c’è la questione Russia: mentre la maggior parte dei marchi di lusso e non solo di lusso sono scappati da Mosca, Elisabetta Franchi ha tenuto aperti i suoi 15 monomarca in Russia nel silenzio generale. Compreso il suo (che però il 25 febbraio ha posato per una foto con la scritta NO WAR). 

Un sorriso a duecento denti e un serafico “Auguri a tutte le mamme!”. É così che Elisabetta Franchi saluta l’8 maggio dal suo profilo Instagram all’indomani del guaio in cui si è cacciata per l’intervista su donne e maternità  rilasciata alla giornalista Fabiana Giacomotti, durante un evento del Foglio in collaborazione con Pwc.

E se la provocazione può lasciare basito chi non la conosce, non stupisce certamente chi è abituato alla sfrontatezza e all’esibizionismo del personaggio che da anni risponde alle critiche facendo cancellare commenti dalle sue pagine (come in questi giorni), smuovendo i suoi legali alla prima polemica, caricando compulsivamente foto e video di una vita felice “alla faccia di”.

Ecco, questa mattina, mentre le sue frasi infelici sulla maternità facevano il giro di stampa e web, lei mostrava la casa addobbata di palloncini rosa e puntava la videocamera del cellulare sui figli piccoli che la celebravano pubblicamente con doni e poesie, in questa specie di Dynasty che è la sua vita in cui anche la felicità sembra di poliestere, come i suoi vestiti. 

Ma questa è la fine dell’episodio, partiamo dall’inizio.

L’EVENTO DEL FOGLIO

Il 4 maggio Elisabetta Franchi partecipa all’evento "Donne e moda: il barometro 2022”, evento organizzato dal quotidiano Il Foglio per discutere su «come sia cambiato il lavoro femminile nella moda« e le difficoltà che le donne incontrano ancora nel riuscire ad occupare ruoli apicali.

Denunciata per comportamenti anti-sindacali dalla Cgil, Elisabetta Franchi deve essere sembrata l’ospite più adatto su piazza. Presenti anche il ministro delle Pari opportunità Elena Bonetti, quella che “si fece dimettere” da Matteo Renzi e la vice ministra alla cultura Lucia Borgonzoni, quella che “Non leggo un libro da tre anni”.

Insomma, l’evento prometteva bene fin dall’inizio. E in effetti non ha deluso.

Il compito di intervistare Elisabetta Franchi tocca alla giornalista Fabiana Giacomotti, una che ha più o meno lo stesso piglio ficcante di Giuseppe Brindisi con Sergey Lavrov e l’accoglie in brodo di giuggiole perché grazie a questo incontro ha già 150 follower in più su Instagram. E neppure indiani, pare.

Il resto è già storia. Elisabetta Franchi, tradita da un linguaggio dispotico («le donne le prendo, le donne le metto») e parlando sempre di sé al maschile («parlo da imprenditore») snocciola una serie di scempiaggini che non si sa neppure da che parte iniziare.

In alcuni momenti quello che dice è così surreale da sembrare il discorso di Checco Zalone in Sole a catinelle, quello «Mi parlate di lavoro femminile ma IO IMPRENDITORE quando il marito la mette incinta IO devo pagare gli assegni familiari, io devo pagare la formazione di chi la sostituisce, io devo fare il reintegro. Allora sai che ti dico:  operaia te vuoi andare incinta, la botta te la do io!». Ecco, il senso di surrealtà era questo.

Che poi, a dirla tutta, le premesse erano pure interessanti, perché la maternità è un costo importante per le aziende e se per le aziende solide è riassorbibile, per quelle meno solide può essere un ostacolo.

Il problema è che per tutta l’intervista non si sentirà mai parlare di welfare, contratti collettivi, asili nido, congedi parentali, bonus, tutele per il datore di lavoro e il dipendente, gender gap, nulla.

Per quindici minuti si assisterà solo a un processo di colpevolizzazione delle donne la cui maternità è rappresentata, a tratti, come un dovere, un ostacolo, un impedimento e pure uno strazio fisico di cui però non bisogna lamentarsi, se si vuole diventare Elisabetta Franchi.

Quindi l’ormai celeberrimo: «Lo stato non aiuta, io se una donna fa un figlio mi ritrovo per due anni con un posto magari al vertice vuoto, per questo io spesso punto solo su uomini, le donne le ho MESSE solo ANTA, hanno già fatto figli, matrimoni, le PRENDO che hanno fatto tutti i giri di boa e lavorano con me h 24».

E qui già ci sarebbe molto da dire, visto che un’azienda sana come la sua (129 milioni di fatturato pre Covid) potrebbe supplire alle carenze dello stato con un’idea di welfare aziendale e invece, a quanto pare, l’unico welfare aziendale pensato dalla Franchi ad oggi è la “dog hospitality”, ovvero i dipendenti possono portare il cane nella sede di Granarolo. Per il resto, nessuna idea, nessuna proposta, niente.

Il sistema è sbagliato? E io rispondo non rendendo più virtuoso il sistema, ma presentando il conto alle donne. Tagliando le gambe da una parte a quelle giovani che quindi nella sua azienda difficilmente potranno fare carriera e dall’altra assumendo solo donne adulte che nella sua testa sono sempre a sua disposizione (ma poi da quando le donne dopo i 40 anni non fanno più figli e non hanno più pensieri o esigenze personali?).  Insomma, la questione fertilità è il primo parametro per lavorare, nel suo mondo. Ma non solo.

FIGLI DA WEEKEND

Sempre in questo devastante processo di colpevolizzazione della donna lavoratrice che si permette pure di fare figli, c’è spazio anche per la considerazioni mediche: «Io talvolta mi ritrovo con un buco in una posizione strategica…beh io ho fatto due tagli cesarei organizzati, dopo due giorni ero a lavorare con i punti che non puoi lavorare, non puoi mangiare, non puoi respirare… un grande sacrificio eh». Capito?

Ora, a parte questa descrizione apocalittica dei postumi del cesareo, il problema quindi non è più il welfare zoppicante, ma il fatto che le donne non programmino le nascite dei figli come l’appuntamento dal parrucchiere per la ricrescita e aspettino pure che i punti siano riassorbiti. Tutte le donne ad eccezione di lei, dunque.

Tra l’altro, il cesareo programmato buttato lì come un’ottima idea per ottimizzare i tempi è un altro passaggio a dir poco osceno. I corpi non sono macchine. A meno che non ci siano problemi specifici, come da linee guida dell’Iss, non c’è alcuna ragione per cui una donna che può partorire naturalmente debba affrontare un’operazione chirurgica che ha costi e rischi sia per la madre che per il nascituro.

E a leggere bene la biografia di Elisabetta Franchi viene fuori che neppure per lei, la super donna, la gravidanza è stata un ritaglio di tempo tra una sfilata e un viaggio a Dubai (quando aspettava suo figlio è stata 40 giorni in ospedale). Ma non è finita qui.

«I figli me li sono fatti, mi piacciono, durante il weekend con loro mi diverto», dice. E poi: “Sono emiliana e nonostante sono così eMMancipata, noi donne abbiamo un dovere che è nel nostro dna, i figli li facciamo noi, il camino lo accendiamo noi. Questi uomini sono dei bambinoni, dei mammoni e non vogliono crescere mai».

Qui c’è tutto il suo pensiero distorto: la deresponsabilizzazione del maschio con l’attenuante benevola “so’ ragazzi”, l’idea che la donna debba sobbarcarsi la genitorialità al cento per cento perché è un soffietto per il camino nel dna.

Fortuna che è emmancipata.

L’intervistatrice ride, poi dice alla vice ministra Borgonzoni che la Franchi «è da applausi». E ancora: «Mi sono accertata che siano ANTA, che abbiano fatto tutto...», ribadendo che le donne per lavorare da lei devono aver fatto tutti i giri di boa, lasciando dunque intendere che in fase di assunzione pretenda di avere informazioni personali da parte delle candidate. Pratica illecita, per la cronaca. 

Evidentemente non è proprio rigidissima se si tratta di parenti, visto che sua nipote Naomi Michelini (figlia di sua sorella Catia, oggi protagonista a Uomini e donne) ad appena 27 anni lavora già in azienda in un ruolo, appunto, apicale («E’ più cattiva di me», dice di lei zia Elisabetta). Avrà promesso di non figliare?

Promette bene anche sua figlia, che di anni ne ha 16, e nella sua biografia su Instagram scrive: «Money is the reason we exist».

L’INTOCCABILE

Infine, non poteva che chiudere questa memorabile intervista con la solita stoccata retorica sui giovani «Io di voglia di fare sacrifici in questi giovani non ne vedo tanta!». «Eh ma neppure lo puoi dire perché poi ti si scatenano contro gli hater!», sottolinea sorridendo l’intervistatrice.

Ora, immaginerete che il contenuto di questa intervista sia finito di chat in chat, tipo carboneria, finché non è esploso.

Invece no, lo ha postato fieramente la stessa Franchi sulla sua pagina, segno che c’è un livello di inconsapevolezza della gravità del suo pensiero preoccupante.

E penserete che poi si sia scusata. No, ha detto: «sono stata fraintesa, sono mamma», perché essere mamme è un ostacolo nel lavoro ma un bel supporto al vittimismo prêt-à-porter, quando serve. Ora, ci sarebbe ancora un’infinità di cose da dire. Per esempio sul silenzio di tutte le persone presenti in sala tra giornalisti, politici e rappresentanti di Pwc Italia.

Non ha detto neppure nulla la ministra alle Pari Opportunità Elena Bonetti (che era in collegamento) e questo nonostante siano trascorsi giorni dall’evento.

Nessuno ha alzato la mano e ha pensato bene di interromperla controbattendo, protestando, invitando l’intervistatrice a fare il suo lavoro, anziché sorridere e annuire entusiasta.

La verità è che Elisabetta Franchi, forte di pr e di inserzioni pubblicitarie, ha saputo crearsi intorno una patina di intoccabilità che gli stessi titoli riparatori di alcuni giornali oggi raccontano bene. Perfino il silenzio delle molte influencer che in altri casi non esitano ad esporsi, è indicativo della sua sfera di influenza. Negli anni, le polemiche su di lei si sono sempre spente velocemente.

C’è stato il fratello che l’ha accusata di aver inventato un’infanzia di stenti per romanzare la sua vita, c’è la già citata vertenza sindacale ancora aperta, ci sono ex dipendenti che raccontano di un carattere molto, troppo irascibile, ci sono i suoi frequenti scivoloni sui social (memorabile la sua solidarietà ai terremotati postando una foto in canotta hashtag #sole #montagna), ma la verità è che ha 3 milioni di follower, è cavaliere del lavoro, è stata celebrata in una docu-serie e da numerosi programmi tv, ha vinto il premio EY imprenditore dell’anno.

Forse è la prima volta che una polemica che la riguarda non viene oscurata in poche ore. Anzi, di solito non si apre neppure. Per esempio c’è la questione Russia: mentre la maggior parte dei marchi di lusso e non solo di lusso sono scappati da Mosca, Elisabetta Franchi ha tenuto aperti i suoi 15 monomarca in Russia nel silenzio generale. Compreso il suo (che però il 25 febbraio ha posato per una foto con la scritta NO WAR). Insomma, la guerra no, ma gli affari sì.

Morale: Elisabetta Franchi, cecchè ne dica, è la dimostrazione che dopo gli ANTA non si è fatto tutto. Si possono fare figli come li ha fatti lei, per esempio, specie se come lei si ha un dipendente filippino che ti apre le tende in camera ogni mattino, mentre tu sei ancora a letto. E ci sono ancora molti, moltissimi giri di boa da compiere.

C’è per esempio ancora tempo per una devastante, colossale, irrecuperabile brutta figura. Riuscendo però in un’impresa storica: quella di trasformare l’8 maggio, la festa della mamma, nel primo maggio. Più del concertone.

SELVAGGIA LUCARELLI. Selvaggia Lucarelli è una giornalista, speaker radiofonica e scrittrice. Ha pubblicato cinque libri con Rizzoli, tra cui l’ultimo intitolato “Crepacuore”. Nel 2021 è uscito “Proprio a me", il suo podcast sulle dipendenze affettive, scaricato da un milione di persone. Ogni tanto va anche in tv.

LAVORO MOLESTO. «Non corriamo rischi con la maternità: assumiamo donne sopra gli anta, anzi, prendiamo un uomo». Chiara Sgreccia su L'Espresso il 9 Maggio 2022.   

Dopo la bufera scatenata con le parole di Elisabetta Franchi raccogliamo la testimonianza di Roberta, che seleziona curriculum per le aziende: «Succede sempre, scegliere i candidati in base al sesso è una pratica comune».

«Ti sono mai state fatte domande sulla tua volontà di sposarti o avere figli durante un colloquio di lavoro?». Il 27 per cento delle donne intervistate ha risposto «sì». Una donna su tre. È quanto emerge dall’indagine La cultura della Violenza realizzata dall’Ong WeWorld in collaborazione con Ipsos. Anche se discriminare un lavoratore in base al genere è scorretto, viola la dignità della persona, i diritti umani fondamentali, la normativa italiana e ha anche un forte impatto negativo su economia e società, succede troppo spesso. «Più o meno nella metà dei casi in cui le aziende ci contattano per la ricerca del personale, mi viene chiesto di indagare sulla vita privata delle candidate», racconta Roberta che lavora come recruiter in un’agenzia per il lavoro che ha sedi in tutta Italia.

Roberta è un nome di fantasia. All’agenzia spetta la pubblicazione e la diffusione dell’annuncio per l’occupazione e la prima fase di selezione: «Le aziende mi dicono che preferiscono uomini, oppure donne molto giovani, che sono più flessibili negli orari, o che abbiano superato i 40 anni. Così credono di evitare il “rischio maternità”. Di solito questo tipo di richieste avviene per l’assunzione di persone con contratto indeterminato o, comunque, per lunghi periodi». Roberta si è sempre rifiutata di fare domande su figli e relazioni personali. Non ha mai tolto a nessuna la possibilità di arrivare al colloquio con l’azienda per il sesso, l’età o lo stato civile. «Ma è l’impresa che prende la decisione finale. In molti casi i feedback ambigui che ho ricevuto sui candidati mi hanno fatto capire quanto spesso le lavoratrici siano valutate con parametri differenti da quelli di un uomo».

In questi giorni di polemica, dopo il discorso che Elisabetta Franchi ha tenuto al convegno di PWC Italia e Il Foglio, qualcuno si è mostrato stupito per la desolante considerazione delle donne che l’imprenditrice della moda ha espresso. Ma, come spiega Roberta, la discriminazione che subiscono le lavoratrici è una pratica che avviene nella normalità e nel tacito assenso generale. Anche il suo. «Quello che faccio, però, è ignorare le condizioni discriminatorie che mi vengono imposte dai datori di lavoro. Sarà pure silente ma la mia è una battaglia quotidiana. Una continua mediazione tra la realtà del settore dell’imprenditoria italiana e il mondo che vorrei, di pari opportunità, con servizi, tutele e garanzie per le donne che vogliono lavorare». Sono pochi, invece, i timori che si fanno i datori di lavoro nell’esplicitare che una trentenne, che magari ha anche un compagno, è meno gradita di un uomo. «Ci è piaciuta molto ma abbiamo delle perplessità», scrive via e-mail all’agenzia il proprietario di un’azienda metalmeccanica, dopo aver fatto il colloquio a una candidata molto qualificata secondo Roberta. Per poi chiarire al telefono: «Ha 37 anni ed è fidanzata, la probabilità che abbia un figlio a breve è alta, no?».

Così mentre una lavoratrice dovrebbe «avere gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore», come scritto nella Costituzione (articolo 37), nella vita vera, una donna è un problema perché potrebbe avere dei figli. Poco contano la singola opinione in merito, le aspirazioni personali, le qualifiche. Pare che per tante persone “donna” sia sinonimo di “madre”, meglio se disposta a essere l’unica a sacrificarsi per il bene della famiglia. Eppure, nonostante questo infondato pensiero comune, le condizioni che, sempre secondo l’articolo 37 della Costituzione, dovrebbero garantire alla lavoratrice «l'adempimento della sua essenziale funzione familiare e assicurare alla madre e al bambino una speciale adeguata protezione» non esistono. In Italia, il 42,6 per cento delle mamme tra i 25 e i 54 anni non è occupata, con un divario rispetto ai loro compagni di più di 30 punti percentuali, si legge nel report Le Equilibriste di Save The Children.

La fotografia di un Paese che a parole sostiene di voler «liberare il potenziale delle donne per tornare a crescere», come ha detto la ministra per le Pari Opportunità e la Famiglia Elena Bonetti, ma che nella pratica resta in silenzio quando dovrebbe intervenire. Arrecando danno non solo alla persona singola ma anche alla salute della società, lacerata dalle disuguaglianze, alla crescita economica e al benessere nei luoghi di lavoro sempre più compromessi dalla retorica del sacrificio.

Maria Corbi per "La Stampa" l'8 maggio 2022.

Ha dell'incredibile che quel manifesto antifemminista - in sostanza: non assumo donne perché poi vanno in maternità - sia stato pronunciato proprio da lei, Elisabetta Franchi, una che il suo successo nel difficile mondo della moda se lo è costruita con le unghie partendo dalle bancarelle dei mercati, passando dal fare cappuccini al bar, perdendo un marito e socio con una bambina di pochi mesi da crescere. 

E invece quelle parole sono uscite dalla sua bocca, durante il convegno Donne e moda: il barometro 2022 organizzato da PwC con Il Foglio. Si parla di madri lavoratrici e la stilista spiazza tutti confessando di assumere donne dagli «anta» in su: «Se dovevano sposarsi si sono già sposate, se dovevano far figli li hanno già fatti e se volevano separarsi hanno già fatto anche quello. Quindi diciamo che io le prendo quando hanno già fatto tutti i giri di boa e sono lì belle tranquille con me al mio fianco e lavorano h24».

Una dichiarazione che pialla decenni di lotte per la tutela del lavoro delle donne, per le pari opportunità, per la condivisione delle responsabilità genitoriali. Ma non paga di aver condiviso la sua ricetta aziendale ha continuato: «Poi io sono emiliana e, nonostante sia così emancipata, credo che noi donne abbiamo un dovere che è quello scritto nel nostro Dna e non dobbiamo neanche rinnegarlo, cioè che i figli li facciamo noi e comunque il camino in casa lo accendiamo noi, quindi è nostra responsabilità occuparcene».

Diciamo che il mese era già iniziato storto sul suo Instagram dove ha postato una foto di una «ombrellina», una hostess che ripara con un ombrello un pilota di Formula Uno. E sotto la foto il commento: «Voi grandi uomini senza l'aiuto di noi piccole donne cosa sareste.. evviva gli uomini, evviva le donne evviva, l'amore che ci completa». 

Selvaggia Lucarelli lo riposta con un laconico: «direttamente dal paleolitico». Si potrebbe derubricare come una delle tante sciocchezze che circolano sui social se non fosse che Elisabetta Franchi su Instagram è molto seguita e una docufiction sulla sua vita, Essere Elisabetta, è diventata un po' un manuale per le ragazze con sogni e voglia di farcela.

Adesso tutte loro sanno che potranno farcela, ma non certo partendo dall'azienda della loro eroina. Anche se quello che ha detto con maldestra sincerità purtroppo sono ancora in tanti a pensarlo, con l'accortezza di non dirlo. Perché se il tasso di occupazione delle donne in Italia è ancora tra i più bassi in Europa, la disparità tra le donne occupate e gli uomini occupati non dipende certo dalla pandemia, ma è legata soprattutto alla genitorialità. 

I dati confermano che il ragionamento della Franchi non è poi così solitario: le donne occupate con figli che vivono in coppia sono solo il 53,5%, contro l'83,5% degli uomini a pari condizioni. Per i single, i tassi di occupazione sono 76,7% per maschi e 69,8% per le femmine.

Donne, figli, lavoro. Fiume di critiche dopo la "gaffe" della Franchi. Valeria Braghieri il 10 Maggio 2022 su Il Giornale.

La stilista aveva dichiarato di preferire collaboratrici sugli anta: impietosi i giudizi.

«La parola parto la uso solo per viaggiare»...

Questa è anche divertente. Ma le altre «battute» che chiosano l'intervento della stilista e imprenditrice Elisabetta Franchi non sono tutte così ironiche. Né quelle che arrivano dal mondo di Internet, né quelle che arrivano dal mondo della Politica.

La Franchi, com'è noto, è intervenuta l'altro giorno durante il convegno «Donne e moda: il barometro 2022» organizzato da PwC Italia e dal quotidiano «Il Foglio». Ha praticamente raccontato ciò che già ci aveva tristemente rivelato, qualche giorno fa, il settimo rapporto di Save the Children sulla condizione della donna nel lavoro, ma le stesse cose, dette da lei, hanno scatenato lo sdegno. Perché è vero, lei le ha dette da imprenditore, anzi da imprenditrice, quindi l'effetto è stato deflagrante. D'altra parte il fatto di non frequentare eufemismi fa parte del suo charme. E anche quel suo accento emiliano pare inadatto alle formule troppo diplomatiche. È una donna che si è fatta da sola e continua a non chiedere permesso. Quindi si è espressa esattamente così: «Quando decidi di mettere una donna in una carica importante, se è davvero un posto molto prestigioso poi non ti puoi permettere di non vedere quella persona per due anni. Io da imprenditrice spesso ho puntato sugli uomini. Io oggi le donne le ho coinvolte ma quelle sopra una certa età, quelle anta, perché se dovevano sposarsi o fare figli o separarsi, hanno già concluso questi passaggi». Poi ha ammorbidito il tiro, ma come spesso accade, forse è stato anche peggio. Ha cercato di spiegare che in effetti una donna ha tutti i diritti di avere dei figli, ma ha anche aggiunto che poi, ovviamente, sparisce dal lavoro perché ha voglia di stare con loro, di fare le vacanze con loro, i week end con loro, ogni tanto ha l'esigenza di andare dal parrucchiere... e insomma non riesce più a lavorare, come l'azienda avrebbe bisogno, «h 24»... E, sempre per attutire il realistico affondo, ha aggiunto che lei i figli li ha fatti, che la diverte il fatto di trascorrere del tempo con loro, che i fine settimana li passa allegramente in compagnia dei suoi bambini. Ed ecco fatto il disastro: involontariamente ha unito la rabbia di genere alla rabbia sociale. Della serie, le donne comuni «non possono coniugare famiglia e lavoro», lei invece sì «perché è Elisabetta Franchi». Dagli inviti «a boicottarla» dell'attore Alessandro Gassman, all'indignazione della deputata Pd Marianna Madia ha ha definito l'intervento della stilista «una somma di stereotipi sciocchi su donne, uomini, giovani, lavoro e impresa»; all'affondo della conduttrice Myrta Merlino che ha parlato di «misere parole, l'opposto del necessario... Avremmo bisogno di sorellanza, progresso, femminismo nei fatti. Forza ragazze. Vogliamo e siamo altro. Non molliamo anche quando altre donne sono il nostro limite». A difendere la stilista, invece, Sonia Bruganelli, moglie di Paolo Bonolis: «Ricordo che è la sua azienda, che paga lei i suoi dipendenti e credo sia libera di assumere chi reputa più opportuno. E adesso scatenatevi pure con la vostra demagogia».

La Franchi respinge ogni accusa e precisa che la sua azienda è piena di quote rosa: «Non accetto strumentalizzazioni. Sono una donna imprenditrice a capo di un’azienda da 131 milioni di fatturato e che ha tirato avanti anche la famiglia, con grande fatica». Ieri, in serata, arriva anche un comunicato nel quale, tra le altre cose, ammette di essersi espressa «in modo inappropriato» ma, numeri alla mano, dimostra che, nella sua azienda, su 300 dipendenti, l'80% sono donne, di cui la maggioranza under 40 e che le donne manager sono il doppio degli uomini. Ma ribadisce che, di fatto, «le donne sono ancora costrette a scegliere tra l'essere madri ed essere lavoratrici». E aggiunge che «invertire la rotta si può e si deve».

Sarebbe interessante se tutta questa indignazione nei confronti delle parole della Franchi sortisse in qualcosa di costruttivo per le donne. Ma in Italia piacciono sempre i linciaggi, e mai le soluzioni.

Vittorio Feltri per “Libero quotidiano” il 9 maggio 2022.

Elisabetta Franchi, titolare di una Casa di moda di qualche spessore, è al centro di polemiche brucianti solo perché ha detto pubblicamente una ovvietà. Questa. In qualsiasi azienda, non solo nella sua, se si tratta di assumere una persona in posizione apicale, la scelta cade sempre su una donna ultraquarantenne perché, oltre ad aver maturato una notevole esperienza, ha esaurito il classico percorso femminile. Nel senso che si è sposata, ha già avuto un figlio o due e spesso si è pure separata liberandosi da lacci e lacciuoli. Pertanto costei si dedicherà al lavoro con grande entusiasmo. 

Cosa ci sia di strano in queste affermazioni di buon senso sinceramente non capisco. E invece la povera Elisabetta Franchi è stata travolta dalle solite accuse tardofemministe. Non è una novità che a molte donne giovani scatti il cosiddetto orologio biologico, verso i trenta anni sentono impellente l'esigenza di diventare mamme e magari si accoppiano col primo idiota che passa per strada. Poi il bimbo cresce, il marito o il compagno si è rivelato un colossale rompicoglioni, il quadretto famigliare si sfascia e finalmente la signora può essere se stessa, dedicarsi alla professione senza doversi occupare delle mutande del coniuge, e ottenere il successo che merita.

Tutti sanno che le cose stanno esattamente così ma non si possono dire perché esse contrastano non con la realtà bensì con i pregiudizi delle femministe, quasi tutte brutte peraltro. Elisabetta Franchi essendo molto intelligente non si fa intimidire dalle cretine che amano il pensiero unico e dichiara con la nostra totale approvazione che le quarantenni sono equilibrate e capaci. Se si tratta di lavorare posso testimoniare che anche le cinquantenni sono formidabili, di norma più brave dei maschi in ogni campo. Se invece il problema è fare una scopata, allora l'età può scendere fino a diciotto anni. Se lei ci sta.

Elisabetta Franchi nella bufera. Ma il valore della donna va oltre la retorica della sua difesa. Mario Benedetto su Il Tempo il 09 maggio 2022.

Se vi chiedessero un giudizio su Machiavelli come vi esprimereste? Può piacere o meno, ma comunque gli sarebbe riconosciuta da tutti una certa dignità intellettuale. E se vi dicessi che l’autore del Principe, opera che è alla base della sua fama giunta sino ai giorni nostri, reputava la donna una «proprietà» dell’uomo? Immagino cambiereste idea, giustamente. Ma senza demolire tutto il resto dell’eredità che Machiavelli ha consegnato alla storia, dalla cultura generale sino alla scienza politica, della quale si può ritenere un padre. 

Attualizziamo il ragionamento e proviamo ad applicarlo all’attualità di queste ore, facendo una premessa che non lasci alibi a chi non voglia seguirci nell’analisi e intenda dare una lettura senza sfumature, tribale, alle righe che verranno: Elisabetta Franchi l’ha detta quantomeno maluccio. È evidente, non si può che approcciare con scetticismo una dichiarazione basata su questione non solo di genere, ma anche anagrafica e legata a scelte di vita che non devono mettere le donne davanti a un bivio: mamma o lavoratrice. Ma spesso, purtroppo, è così nella realtà. Dunque, con spirito costruttivo, questa è una prima considerazione da far seguire alle parole della stilista, che pongono una questione reale. Questa persona ha avuto l’ardire, e il coraggio, di dire ciò che i tanti purtroppo pensano o, purtroppo ancora, mettono in pratica. 

Dunque non limitiamoci alla polemica e andiamo oltre nella ricerca non solo di riflessioni sull’etica pubblica, ma anche di proposte e soluzioni rispetto a comportamenti sanzionabili, nonché a condizioni di contesto in cui le imprese oggi si trovano a operare. Se da un lato esistono tutele nei confronti delle donne lavoratrici, dall’altro non è solo la rincorsa al profitto, ma anche un eccessivo aggravio di costi che vanno dalla pressione al cuneo fiscale che contribuiscono a rendere le aziende organizzazioni più «ciniche». Ci sono indubbiamente imprenditori e imprenditori e, se il nostro sistema riesce a reggere e fare anche sviluppo in condizioni difficili come quelle attuali, significa che la maggioranza dei nostri uomini d’impresa italiani rappresenti un modello da seguire. La loro sensibilità deve sempre fare i conti con i numeri, che si traducono non solo in guadagni, ma anche in stipendi e occupazione.

A tal proposito, secondo aspetto: la stilista di cui parliamo è una donna. Con una storia affascinante, complessa, che l’ha portata a rappresentare un marchio tra i più conosciuti e apprezzati nel mondo. Allora non cediamo alle pulsioni dell’istinto e della pancia, portando dalle stelle alle stalle chi, come lei, ha avuto uno scivolone. Da criticare, ma anche da comprendere nella sua complessità e da «utilizzare» in senso buono, per porre una questione che porti a interrogare ciascuno di noi, nei suoi comportamenti quotidiani, dai semplici cittadini ai decisori pubblici. Il che va rispettivamente dal rispetto di mogli, collaboratrici al lavoro per garantire norme e regole che consentano a ciascuna di esse di esprimere il loro miglior potenziale, a vantaggio di tutti. 

A chi ha sostenuto che se ci fossero state donne alla guida della Russia non sarebbe scoppiata la guerra va ricordato che, pur collaterali nello scacchiere generale del potere, esse sono rappresentate da pezzi da novanta come Elvira Nabiullina, a capo della Banca Centrale Russa, non proprio secondaria negli ingranaggi putiniani. O di Valentina Matvienko, Presidente del Consiglio Federale Russo, dunque tra le donne più potenti del Paese. Di certo, al contrario, non si può far ricadere solo su di loro la responsabilità del conflitto. Ma da tutte queste considerazioni, sino a quest’ultima, una conclusione va tratta. Non è con la retorica che si costruisce il progresso e si supera il gender cap, ma con il giusto spirito critico. Che non risparmi giudizi severi, ma li indirizzi non tanto a lotte ideologiche quanto a soluzioni utili, per tutti i generi. A partire da quello che, senza dubbi, oggi merita ancora più attenzione e spazio.

Catia Franchi difende la sorella Elisabetta: «È stata fraintesa e ora la massacrano: in azienda abbiamo un sacco di giovani con figli». Simona Marchetti su Il Corriere della Sera il 9 Maggio 2022.

La Dama di «Uomini e Donne» si schiera con la stilista, al centro di feroci critiche dopo le sue dichiarazioni sulle dirigenti «anta». «In azienda abbiamo tantissime ragazze giovani, alcune hanno avuto figli e poi sono tornate a lavorare». 

Le dichiarazioni di Elisabetta Franchi al convegno di PWH Italia e Il Foglio, dove ha detto di assumere come dirigenti nella sua azienda solo donne che hanno superato i 40 anni, hanno suscitato un vespaio di polemiche e in molti hanno puntato il dito contro la stilista. In sua difesa si schiera la sorella maggiore Catia, che il pubblico della tv ha imparato a conoscere come Dama del Trono Over di «Uomini e Donne». «Elisabetta è stata fraintesa - spiega la donna, che lavora nell’azienda di famiglia - non intendeva dire quello che tutti hanno invece pensato e adesso viene massacrata. Sono tutti bravi a parlare e a criticare, ma in questo tipo di situazioni lavorative lo Stato non ti aiuta in niente. Mia sorella è sempre stata dedita al lavoro, fin dall’inizio ha fatto solo sacrifici e ancora adesso non ha orari. Fra l’altro abbiamo tantissime ragazze giovani che lavorano con noi in azienda, alcune hanno avuto figli e poi sono tornate a lavorare, quindi qual è il problema?».

La scoperta del carcinoma

Quanto ai fatidici «anta», la stessa Catia ha le idee ben chiare. «Gli anni ci sono e non si possono nascondere - ammette -. Noi donne siamo il frutto delle nostre esperienze, di vita e di lavoro, ecco perché amo anche le mie rughe. Alla mia età sarei ridicola se mi facessi tirare o mi facessi fare le punturine e tutta quella roba lì, non sarei credibile e invece io voglio essere me stessa. Sempre» , a 58 anni Catia si considera una sopravvissuta, dopo aver scoperto di avere un carcinoma.

Appassionata da sempre di moda , quando i figli sono diventati grandi, Franchi ha iniziato a lavorare con la sorella. «Io ed Elisabetta siamo molto legate - ammette - e abbiamo preso da nostro padre la voglia di lavorare. L’infanzia difficile ha cementato il nostro legame, abbiamo fatto il collegio insieme e io mi prendevo cura di lei. Ci siamo sempre l’una per l’altra, quando ha saputo del mio tumore, mi ha telefonato e mi ha detto “nessun problema, adesso sistemiamo tutto” e così è stato. D’altra parte noi siamo così, siamo forti e determinate e siamo abituate fin da piccole a risolvere i nostri problemi».

Da leggo.it il 10 maggio 2022.

Dopo la bufera social, la stilista Elisabetta Franchi è voluta tornare sulla sua posizione, chiarendo (con tanto di grafici) quante donne sono assunte nella sua azienda, che conta 1100 negozi multimarca e 87 store monomarca in tutto il mondo e ha un fatturato da 129 milioni: «Riconosco di essermi espressa in modo inappropriato, ma i fatti, parlano chiaro: nella mia azienda su 300 dipendenti, l'80% sono donne, di cui la maggioranza e under 40, e le donne manager sono il doppio degli uomini. In sostanza ho assunto più donne che uomini e per la maggior parte giovani». 

Ma la sua posizione rimane la stessa, come scrive Veronica Cursi su ilmessaggero.it: «E' purtroppo un dato di fatto - come mostrano i numeri di Camera della Moda e Confindustria - e la mia stessa personale esperienza come capo d'azienda quanto sia ancora disseminata di ostacoli l'ascesa professionale delle donne verso ruoli apicali, anche nel settore della moda. Lavorare nel mondo della moda richiede disponibilità, reperibilità, ritmi serrati, dedizione e spesso tutto ciò coincide con grandi rinunce riguardo alla propria sfera privata, quelle che io per prima come capo d'azienda ho dovuto fare per garantire continuità e presenza al lavoro»

Cose che una donna giovane, che magari rimane incinta o progetta di avere un bambino, dunque, secondo Elisabetta Franchi non può fare, come dice lei stessa: «Non tutte le donne possono affrontare questi sacrifici - afferma in un comunicato - anche per l'impossibilita per molte di loro, pur volendo, di rientrare al lavoro dopo la maternità, per mancanza di supporti famigliari e sociali che impedisce loro di proseguire con successo il proprio percorso professionale. Di fatto le donne sono tuttora costrette a scegliere tra l'essere madri ed essere donne lavoratrici. Riguardo all'età delle dirigenti, solitamente si arriva a un ruolo dirigenziale, che e diverso da quello manageriale, dopo anni di esperienza sul campo e spesso coincide con gli "anta", ma questo vale anche per gli uomini». 

E conclude: «Invertire la rotta si può e si deve». Peccato non l'abbia detto proprio nel corso di quel convegno magari parlando di welfare, contratti collettivi, asili nido, congedi parentali. E dando lei, come donna di successo, il primo esempio.

«Dobbiamo lavorare perché posizioni del genere siano esecrate e marginalizzate», e alle donne vanno dati al più presto «gli strumenti per non essere costrette a scegliere tra lavoro a famiglia». Il ministro del Lavoro, Andrea Orlando, risponde così ad una domanda sull'imprenditrice Elisabetta Franchi. In quest'ottica è essenziale «il maggior coinvolgimento degli uomini nella gestione della famiglia, e quindi i congedi parentali per entrambi i genitori sono una scelta da rafforzare. I tassi di occupazione femminile più alti - ha aggiunto Orlando - sono in quelle aree del Paese in cui ci sono asili nido, le residenze per gli anziani e in generale i servizi che funzionano meglio».

Dal “Giornale” il 19 maggio 2022.

Una storia agghiacciante, di disperazione e di sfruttamento viene alla luce da un reportage di France Tèlèvision: «Le sacrificate dello zucchero». E la storia è da brividi. In India, nel distretto di Beed, principale zona di produzione dello zucchero di canna, il 36% delle lavoratrici agricole sono senza utero dopo aver subito un intervento di ablazione totale, spesso anche in giovane età, per trovare un'occupazione ed essere più produttive.

A documentare il calvario delle indiane impiegate nei campi di canna da zucchero è un reportage dell'emittente France Tèlèvisions diffuso questa sera nel programma «Envoyè Spècial». 

Ogni anno, per sei mesi, nella città di Beed, nel Maharashtra (centro-ovest) si raccoglie la canna da zucchero, un'attività che impiega oltre un milione di lavoratori, di cui la metà sono donne.

Generalmente vengono reclutate dai «mukadam», ovvero agenti pagati dai proprietari delle piantagioni per far arrivare in loco intere famiglie da impiegare nei campi, già dall'età di 10 anni. 

Le condizioni di lavoro sono estremamente dure: sveglia puntata alle 3 di notte, oltre 10 ore di lavoro sotto il sole cocente e un solo giorno di riposo al mese. Durante i sei mesi del raccolto vivono in tende installate dai titolari delle fabbriche di zucchero, senza acqua corrente né luce. Nei campi sono sempre i famigerati mukadam a controllare i lavoratori agricoli e la loro produttività.

Sono sempre loro a suggerire alle ragazze e alle donne di procedere a un'isterectomia totale, con ablazione delle ovaie, per eliminare dolori mestruali, problemi legati al parto, presentando l'intervento come banale. 

I medici della regione che eseguono l'operazione invasiva argomentano che così facendo evitano di sviluppare un tumore, in realtà un rischio di gran lunga inferiore per la salute della donna rispetto alle conseguenze di un'isterectomia, specie se praticata in giovane età.

«Se non tolgono l'utero, è un problema per noi, sono meno produttive. E se hanno un cancro, non servono più a nulla» ha riferito a «Envoyè Spècial» un reclutatore, precisando che il costo dell'intervento è a loro carico e che durante il ricovero e la convalescenza non vengono pagate.

«Il mukadam ci urla addosso se non lavoriamo abbastanza. Ci picchia molto forte, anche quando stiamo male» ha raccontato una donna ai giornalisti di France Tèlèvisions mentre il marito è impegnato a consegnare in fabbrica le canne appena tagliate.

Come se fosse anta. La simpatica sbagliatezza di Elisabetta Franchi (e il solito pubblico di merda). Guia Soncini su Linkiesta il 9 Maggio 2022.

In un mondo di arricchiti senza stile, l’imprenditrice di moda lo è più clamorosamente degli altri, ma senza fare la morale agli altri. L’altro giorno ha detto la più indicibile delle verità, ma – come sempre – l’ha detta male.

Ci sarebbero molte cose da dire sull’ultimo scandale du jour, ma la più importante è: in che mondo pensa di vivere Elisabetta Franchi? Perché o vive in un mondo in cui le donne «-anta» (definizione sua, ragionevolmente traducibile in: oltre i quarant’anni) si può star certi non si facciano più venire la smania di fare figli, o vive nel proprio, di quell’Elisabetta Franchi che ufficialmente ha 53 anni e due figli alle scuole dell’obbligo. 

Comunque. Se finora nel fine-settimana leggevate Musil, vi servirà forse un breve profilo della protagonista dello scandalo in scorso. Elisabetta Franchi è, secondo la leggenda propalata da lei stessa: un’ex bambina povera e maltrattata (tempo fa per Instagram s’aggirava un signore che sosteneva d’essere suo fratello e raccontava che la fiaba nera della famiglia disfunzionale Elisabetta la raccontasse perché plagiata dalla tata, una signora bionda che coniuga persino i verbi e che Elisabetta tratta perciò come avesse in casa la Grazia Deledda d’Emilia); un’ex banchista della piazzola (mercato di straccivendoli del sabato bolognese); la vedova d’un tizio che prima di morire le ha aperto un’azienda d’abbigliamento, facendone la Sally Spectra della periferia bolognese. 

La figlia avuta dal defunto è passata da poco da bambina goffa ad adolescente che si fa autoscatti sexy, con fioritura di scommesse tra i follower: sedurrà il secondo marito della madre, o sarà la madre a sedurre uno dei fidanzatini portati a casa dal liceo per ricchi somari che frequenta (e che ovviamente ho frequentato anch’io: se non ci riconosciamo tra noi)? Per ora, la ragazza ha sfidato la madre portando in barca la borsa classica Dior della quale la madre da anni produce un’imitazione. No, quella col logo EF non me la metto, voglio l’originale CD. Chissà che coltellata, cuore di mamma. 

Vedova, Elisabetta si è risposata con quello che, sempre nella leggenda propalata da lei stessa, era stato un flirt degli anni di scuola, Alan, uomo dalle mansioni professionali misteriose ma che ha probabilmente lo stesso chirurgo plastico di Mickey Rourke. I due hanno avuto un figlio, che si chiamava Leone già prima che nell’Instagram arrivasse un Leone più famoso e più decorativo: a volte essere i primi non basta. 

In casa Franchi c’è un numero spropositato di cani, ognuno dei quali adottato e con un qualche passato persino più drammatico di quello della proprietaria; passati che Elisabetta non si stanca di raccontare in storie di Instagram saltate anche dai follower più devoti: sì, lo sappiamo che la cagna taldeitali era stata investita da una macchina e tu l’hai salvata, ce l’hai già raccontato un fantastiliardo di volte, no, non te li diamo i soldi per la fondazione che salva i cani cinesi. 

Ma il personaggio più supercalifragilistico di casa Franchi è il cameriere, filmato ogni mattina mentre le porta il caffè a letto e lei gli ordina di cantare, o le volte in cui parte per visitare i parenti al paese d’origine, con più loghi Vuitton addosso d’un tronista. 

Elisabetta è metodicamente impresentabile. Mette i suoi vestiti addosso alle celebrità più cheap (pagandole per indossarli assai più di quanto sborsino i marchi prestigiosi, dicono i pettegolezzi e dice anche la logica). Nei mesi più tosti della pandemia non la si vedeva mai mai mai con una mascherina, neanche nei suoi uffici in cui tutti la indossavano tranne lei. Va ai convegni di Giorgia Meloni. Dice le cose che sull’Instagram dicono tutte – «se vuoi puoi» e altri slogan un tanto al chilo – ma le dice male, le dice come una che poi si fotografa dalle Maldive dicendo quanto soffre per la guerra. 

A me Elisabetta Franchi è simpatica proprio per la sua sbagliatezza. Perché si è fatta fare dall’architetto una casa stupenda ma se l’è fatta fare a Milano Marittima, giacché da giovane e povera vedeva come traguardo del proprio riscatto avere una casa lì; ma cosa diventi ricca a fare, se poi non ti accorgi che Milano Marittima ha il mare più brutto del mondo? Perché affitta yacht costosissimi ma poi li usa per andare a Montecarlo, e lo trova pure un bel posto, quell’abuso edilizio per ricchi, e a Montecarlo va a mangiare nei ristoranti italiani costosi e il marito commenta «noi italiani sempre top». (La nipote – che lavora con lei ed è una giovane lei – ogni tre mesi si fotografa con un libro, sempre lo stesso: è un libro di Pierluigi Celli. Ogni volta vorrei farle cento domande su quel libro). 

In un mondo di arricchiti senza stile, la Franchi lo è più clamorosamente degli altri, lo è senza fare la morale agli altri. 

Elisabetta Franchi l’altro giorno ha detto la più indicibile delle verità, ma – come sempre – l’ha detta male. 

Voleva dire: nel paese dei falsi invalidi, le normali tutele di maternità si deformano in meccanismi per cui se una dipendente fa un figlio sta a casa quattro anni, e se torna al lavoro poi fugge dall’ufficio al primo moccio al naso del bambino, e per un imprenditore che investe soldi e tempo per formare una professionalità questo è l’inferno. 

Voleva dire: il problema non è che non ci sono abbastanza asili, se il problema fosse lo stato sociale gli Stati Uniti sarebbero a natalità zero da sempre, il problema è che per le italiane e gli italiani ogni scusa è buona per battere la fiacca. 

Ha invece detto: io le assumo negli -anta, così si sono già sposate, hanno figliato, si sono separate, e possono lavorare «acca24» (come tutti quelli che parlano in analfabetese, Franchi dice «call» invece di «riunione», e dice «accaventiquattro» perché, sommando ogni mezzo secondo che risparmia ogni volta che non dice «ventiquattr’ore al giorno», può mandare a memoria tutte le opere della Pléiade). 

Si è scatenato l’inferno. Ogni asilo in cui non si trova posto è colpa della Franchi. Ogni donna convinta dagli spot dello shampoo di valere mentre il mercato del lavoro s’ostina a ritenere non valga un cazzo è colpa della Franchi. Ma le mie preferite sono quelle che colgono l’occasione per dire d’averla sempre odiata perché fa i vestiti per le magre e loro non ci entrano. Pensa se avessero mai provato una giacca disegnata da Hedi Slimane: sarebbero andate a mettergli una bomba a casa. (Ragionevolmente, una che abbia prima o poi considerato di comprare un capo Franchi è ignara dell’esistenza di Slimane, ed è bene che lo resti per gli equilibri dell’universo). 

Sabato sera Elisabetta Franchi, il cui consulente per la comunicazione è evidentemente un esponente della mozione «peggio la toppa del buco», ha pubblicato un testo di scuse in cui parla degli enormi sacrifici per conciliare lavoro e famiglia che ha dovuto fare anche lei (che effettivamente nel discorso aveva detto che passa i weekend coi figli, che è una bella rottura di coglioni per ambo le parti). 

Non ha detto «in azienda da me non ci sarà l’asilo nido ma si possono portare i cani», accattivandosi almeno metà del sentimentalismo instagrammatico. Non ha detto «le assumo quarantenni perché quella è l’età in cui si comincia a far figli, come dimostra la mia stessa vita, e ci tengo che abbiano la maternità pagata». Non ha detto «non mi è mai stato chiesto un congedo di maternità perché tutte le mie impiegate sono donne percepite, e le donne percepite sono donne, mica sarete così transfobici da pensare serva un utero?». Non ha detto «sono a favore del congedo di paternità obbligatorio, così mentre siete a sgobbare i padri possono stare a casa a dare biberon di latte che avrete passato il tempo libero a tirarvi». 

Non ha detto nessuna delle cose che avrebbero potuto farle da scialuppa di salvataggio della reputazione, né si è concessa il lusso di dire grandi verità quali: ma la smettete di aspettarvi che cantanti, sportivi, stilisti e altre categorie ontologicamente analfabete dicano cose sensate su doveri e diritti, guerra e pandemia, massa e potere, essere e tempo? La smettete, pubblico di merda?

Michela Marzano per “La Stampa” il 26 aprile 2022.

Provo a spiegarmi meglio. Leggendo commenti e critiche al mio pezzo sulla gestazione per altri (Gpa), mi sono resa conto che, forse, non ero stata chiara. Oppure avevo dato per scontato cose che, scontate, purtroppo non lo sono affatto. Quindi ricomincio e, questa volta, cerco di procedere con ordine. 

O almeno ce la metto tutta, iniziando dal tema del femminismo. Anch' io, ovviamente, sono femminista; e non ho mai smesso di esserlo, come qualcuno ha detto. Esattamente come non ho smesso di stare dalla parte delle donne. Ma stare dalla loro parte, almeno per me, significa non trattarle in maniera paternalistica e non pensare che esistano persone che sappiano meglio di loro cosa sia giusto (corretto, buono, salutare) o sbagliato (dannoso, cattivo, scorretto) fare.

Non era d'altronde questo il significato degli slogan degli anni Settanta? «Io sono mia», «il mio corpo mi appartiene», «l'utero è mio e lo gestisco io». Le donne, per decenni, si sono battute affinché ognuna di loro potesse costruire autonomamente la propria vita, scegliendo se (e quando) diventare madre, se (e quando) fare sesso, se (e quando) usare la contraccezione o interrompere una gravidanza. E quando una donna non è in condizione di scegliere, perché oppressa, demunita e non libera? Potrebbe immediatamente obiettare qualcuno.

Aggiungendo che la mia concezione della libertà è astratta e disincarnata. Ma non è così. Anzi. Sono talmente consapevole dei limiti della libertà individuale, e quindi della necessità di non dimenticare mai il contesto all'interno del quale si prende una decisione, che sono convinta che nessuna scelta è del tutto libera. 

Ma questo è vero sempre e per chiunque: uomini, donne e persone trans, giovani e meno giovani, eterosessuali e omosessuali, ecc. Decidiamo tutti all'interno di situazioni che non abbiamo scelto, visto che nessuno di noi decide in quale Paese o regione o famiglia nascere; nessuno sceglie le proprie abilità o le proprie disabilità, il proprio sesso o il proprio orientamento sessuale. Siamo tutte e tutti gettati nel mondo e, in quel mondo, proviamo a comporre con i limiti e le fratture della nostra esistenza. 

Perché allora rimettere in discussione le parole di quelle donne che dicono di aver scelto liberamente di portare avanti una gestazione per altri? Perché dovrebbero essere prese sul serio solo le parole di chi sostiene che mai e poi mai potrebbe farlo? Il secondo snodo è quello del «diritto a un figlio». Non capisco perché mi si attribuisca questa posizione visto che non ho mai detto che un tale diritto esista. 

Tanto più che, come ho scritto nel mio ultimo libro, Stirpe e Vergogna, se non ho avuto figli, è proprio perché ho a troppo lungo pensato di non aver alcun diritto di mettere al mondo una creatura che, non avendo chiesto nulla, mi avrebbe potuto un giorno rinfacciare di essere nata. Avere un figlio non è un diritto, è un dono. La paternità e la maternità non sono diritti, ma gioia e responsabilità.

E il motore per diventare padre o madre, non è l'astratta rivendicazione di un diritto, ma il desiderio profondo di trasmettere qualcosa, lasciare una traccia, dare e ricevere. Non certo il Dna, come ha scritto l'altro giorno Lucetta Scaraffia. Che quando affronta certi temi, forse, potrebbe fare lo sforzo di andare sul campo e interagire con chi, questi temi, li vive sulla propria carne. Visto che tante volte non esiste alcun legame genetico tra i bambini che nascono attraverso la GPA e i loro genitori. 

E allora perché, si chiederà qualcuno, non adottare? Perché mettere al mondo altri bambini che vivranno il trauma dell'abbandono, come ha suggerito Scaraffia? Anche in questo caso, però, la confusione è grande. Intanto, nel nostro Paese, l'adozione è riservata alle coppie sposate da almeno tre anni. Il che esclude ovviamente tutte e tutti gli altri. Non possono adottare le coppie di fatto, non possono adottare le persone single, non possono adottare nemmeno le coppie gay o lesbiche.

E anche chi ha i requisiti per poter adottare, deve iniziare un percorso estenuante che non sempre finisce bene. Quante coppie sposate aspettano invano che il famoso «abbinamento» si faccia? Facile dire: con i tanti bambini abbandonati che ci sono sarebbe meglio adottarli che farne nascere altri! Peccato che, ancora una volta, la realtà sia molto più complessa. Tanto più che diventare genitore adottivo non è per chiunque.

Vogliamo dirlo una volta per tutte che ci vogliono doti eccezionali per adottare, visto che si deve essere capaci di accompagnare bambini e bambine che hanno vissuto il trauma dell'abbandono e, in molti casi, anni di solitudine, dolore e violenze? Vogliamo dirlo che è talmente difficile che ci sono coppie che, dopo aver adottato, rinunciano, condannando così un figlio al «doppio abbandono»? Arriviamo così al tema dell'abbandono. 

E conseguentemente a quello dell'accesso alle origini che molti di coloro che oggi si preoccupano tanto dei bambini nati per GPA negano a chi è nato da madre che partorisce in maniera anonima. Il dramma, per questi piccolini, non è tanto legato al «distacco» dalla persona che li ha partoriti, quanto al «perché» dell'abbandono.

Che è poi una conseguenza dell'assenza di desiderio. Queste bambine e questi bambini nascono senza essere stati desiderati. Durante la gravidanza, non c'è nessuno che proietta su di loro aspettative e sogni. Non c'è nessuno che, quando vengono al mondo, li accoglie con un «amore della mamma» o un «amore del papà». A differenza di chi nasce grazie alla GPA, che esiste proprio perché desiderato. Poi, come sanno bene le famiglie arcobaleno, anche questi bambini avranno il diritto di conoscere le modalità attraverso cui sono nati. Ma loro, almeno, non dovranno interrogarsi sul perché nessuno ha desiderato la loro nascita.

Lucetta Scaraffia per “La Stampa” il 26 aprile 2022.

È bastato che i partiti di destra depositassero un progetto di legge, in realtà piuttosto infelice - come può l'Italia da sola definire crimine internazionale l'affitto dell'utero? - che subito scattasse una polemica fondata sulla logica mutilante della polarizzazione, per cui dentro ognuno dei due schieramenti è ammesso solo il più rigido allineamento.

Non è facile avanzare critiche libere e non ideologiche sulla pratica dell'utero in affitto. Come succede del resto per tutte le altre circostanze odierne in cui viene prospettato un allargamento dei diritti individuali, un'operazione ritenuta da molti positiva sempre e in ogni caso anche se applicata a diritti come il "diritto a un figlio": diritti sulla cui vera esistenza come tali è lecito nutrire dubbi fondatissimi. Infatti chi in queste situazioni si dichiara contrario e osa sollevare delle critiche viene subito stigmatizzato come un ottuso conservatore, per giunta "cattivo", animato da scarsa comprensione per il prossimo.

Sicché la complessità morale alla quale egli vorrebbe dare voce, che è nelle cose, finisce per essere derisa e vilipesa da una certezza morale dai toni arroganti nella quale i fatti sono sostituiti dai sentimenti. Il dolore di una donna che non può avere figli, la speranza di un'altra che affittando l'utero può aiutare la famiglia: questi sono i sentimenti "buoni" che dovrebbero cancellare dei fatti che buoni invece non sono.

Bisogna cominciare con il dire che il rapporto fra le due mamme (quella che prende in affitto e quella che affitta) - se si possono chiamare così - non è mai diretto. È mediato da agenzie internazionali che forniscono assistenza medica e legale, ovviamente sempre orientata a favore di chi le paga, cioè il committente. Agenzie costose, per cui in generale alla madre surrogata arriva ben poco della cifra spesa dai committenti. Il rapporto presentato al Parlamento europeo nel 2016 da Petra de Sutter denuncia molti degli aspetti coercitivi del contratto di surrogazione: tanto è vero che chiede regole più severe nonché un sostegno psicologico per le madri surrogate. Possiamo allora domandarci: come mai tutto questo sarebbe necessario, se si tratta di libera scelta?

Bisogna poi aver presente che per le donne che affittano il proprio utero questa pratica è dannosa, in primo luogo fisicamente. Infatti, anche se la loro "prestazione d'opera" viene sempre presentata come un percorso naturale, non è per nulla così. Dal punto di vista medico infatti non solo il prelievo di ovuli - qualora esso avvenga dalla madre surrogata - ma anche il trasferimento nel suo utero di un embrione altrui richiede cure costanti. 

La futura madre deve dunque sottoporsi a cure ormonali molto pesanti già settimane prima del trasferimento, cure che continueranno per mesi al fine di evitare aborti spontanei.

Abbiamo idea di cosa significa? Tutta l'operazione è nel complesso molto difficile e presenta un tasso di riuscita bassissimo, che non supera il venti per cento.

Spesso va ripetuta più volte. Quanti sanno che queste donne arrivano a essere sottoposte anche a dieci iniezioni al giorno?

Quanti sanno che la stimolazione ovarica e quella ormonale possono essere causa di tumori? Se poi si dà il caso che attecchisca un numero di embrioni superiore a quello desiderato, allora la madre surrogata dovrà necessariamente essere sottoposta ad aborto selettivo. Infatti, per contratto essa è priva di ogni potere nei confronti di ciò che sta dentro di lei: e dunque se per caso cambiasse idea, e volesse rinunciare alla gravidanza, non potrebbe. L'accordo contrattuale infatti anticipa la proprietà del feto ai committenti anche prima della nascita. 

Tuttavia, anche se queste donne fossero libere di decidere, anche se avessero deciso davvero nella più completa libertà di vendere l'utero per un proprio progetto, rimarrebbe sempre una grande, inquietante domanda intorno a questa situazione: qual è il travaglio emotivo, il turbamento, di queste donne mentre sentono crescere dentro di sé una vita con la quale dovranno rescindere immediatamente ogni legame?

Non a caso si cerca di controllare questo effetto scegliendo sempre donne che hanno già avuto figli, e questo già rivela la consapevolezza che l'abbandono di una creatura tenuta un grembo per nove mesi non è per nulla facile. La gravidanza è un processo complesso. Se da una parte l'epigenetica ci ha reso consapevoli che lo scambio genetico non finisce con il momento del concepimento, ma continua nell'utero, durante i mesi della gravidanza, la psicologia e l'osservazione pediatrica hanno approfondito i vari modi in cui, già durante la gravidanza, il rapporto fra madre e figlio è fonte di impressioni indelebili e importanti.

Il corpo delle donne non è come un forno in cui si mette a cuocere una torta. Il distacco dalla madre che porta nel suo ventre il bambino è un trauma, sempre. La cosa che a me pare terribile è che mentre per i casi dei bambini dati in adozione si riconosce senza problemi il trauma che per essi ha rappresentato l'abbandono da parte della madre naturale, e si riconosce senza problemi che anche per la madre costretta ad abbandonarlo si tratti di una scelta dolorosissima, nel caso dell'utero in affitto viceversa ciò non si vuole vedere, anzi si nega che si tratti di un trauma in questo caso addirittura programmato.

Di un trauma prodotto appositamente per rendere "felici" due adulti egoisti, che, non volendo adottare un bambino abbandonato, ne vogliono uno che abbia i loro geni, che porti il loro indelebile marchio di fabbrica. In questi casi, cara Michela Marzano, si tratta come vedi precisamente della ricerca a tutti i costi di un legame biologico, anche se tu scrivi che "la genitorialità vera ha ben poco a che vedere con il Dna o con il sangue".

Come se la misura del nostro comportamento, delle nostre scelte, dovesse essere solo l'intensità del desiderio, e tutte le altre pur necessarie componenti di ogni scelta che voglia essere d'amore - cioè il senso di responsabilità, l'attenzione al bene dell'altro prima che al bene proprio, la rinuncia e il sacrificio - non contassero nulla. Ma è bene che si sappia quanto invece passa spesso sotto silenzio: la condanna della pratica dell'utero in affitto non viene solo da vecchie conservatrici bigotte, viene da gran parte del femminismo di tutto il mondo. Da una moltitudine di donne, madri e non, che non hanno dimenticato, non possono dimenticare, cosa sia il dolore, né cosa voglia dire l'amore. 

Lucetta Scaraffia per “la Stampa” il 6 maggio 2022.

Nel corso del dibattito che si sta svolgendo su questo giornale sulla possibilità di avere un figlio attraverso il ricorso all'utero in affitto è tornata più volte, da parte dei sostenitori o meglio sostenitrici di tale pratica, una accusa: chi è contrario la definisce utero in affitto, mentre dovrebbe dire «gestazione per altri» che diventa l'acronimo GPA. 

Il motivo di tale accusa è evidente: la parola affitto richiama l'aspetto venale - le madri surrogate vengono sempre pagate - mentre la dizione «per altri» maschera l'operazione come un atto altruistico. Che il conflitto su questo tema sia anche una battaglia linguistica lo spiega uno dei saggi contenuti nel libro uscito in Francia Les marchés de la maternité, opera di femministe di sinistra contrarie alla GPA, fra cui la più nota senza dubbio è Sylvane Agacinski che ha già scritto molto sul tema. Il termine gestazione poi viene sostituito a gravidanza, che pure non cambierebbe l'acronimo, perché è meno legato all'essere umano, e quindi agli aspetti affettivi, come conferma anche il fatto che in tutto il discorso il nome madre tende a scomparire.

Gravidanza, maternità, diventano così parole obsolete, sostituiti da termini generali che cancellino il vecchio modo di pensare. «Per altri» è legato al dono e alla gratuità, anche se si tratta di una transazione commerciale fra acquirenti e commercianti, che eseguono un contratto nel quale sono negoziati l'acquisto e la vendita di un bambino e l'affitto dell'utero di una donna. 

La sigla GPA suggerisce quindi una negazione, cioè la negazione di una gravidanza pagata che cerca di divenire negazione della gravidanza stessa, divenuta gestazione, un fatto solo biologico, come per gli animali. Ma in fondo nega anche la biologia, cioè il fatto che la madre e il feto sono così legati che le cellule del feto si mescolano a quelle della madre e restano presenti per almeno 27 anni dopo la nascita. E soprattutto nega il fatto che la madre surrogata, durante la gravidanza, deve staccarsi dal suo corpo e dalle sue sensazioni profonde per prepararsi alla separazione dal figlio, deve negare i legami che sta tessendo con il bambino.

La manipolazione della filiazione comincia quindi da una manipolazione del linguaggio. La negazione di un principio giuridico basilare - «la madre è quella che partorisce» - stabilisce infatti che la filiazione può venir stabilita per convenzione, attraverso un contratto. Ma il contratto è possibile? Una persona non ha un corpo, è un corpo, fatto insieme di materia e di spirito, non può quindi né venderlo né affittarlo, a meno di tornare alla schiavitù. I diritti dell'uomo sanciscono infatti l'indisponibilità del corpo umano. Così un bambino, un nuovo essere umano, non può essere venduto né ceduto, quale che sia il materiale biologico con il quale è stato concepito. In caso di GPA invece entrambi diventano oggetto di vendita e di profitto.

La GPA fa del bambino un prodotto che si comanda, si fabbrica e si consegna. Si tratta, afferma con chiarezza Agacinski di una «appropriazione mercantile della fecondità femminile». Concetto ribadito dalla più apprezzata delle femministe italiane, Luisa Muraro. Nella nostra società in cui nascono pochi bambini la gravidanza è ipervalorizzata, e lo resta anche nel caso di utero in affitto - descritto come dono unico a una coppia che non può averne - grazie all'altruismo sbandierato dalle madri portatrici che maschera l'aspetto mercantile dell'operazione.

Queste donne, che per 25.000 /35.000 dollari accettano rischi medici, che possono anche portarle alla morte, sanno che l'altruismo esibito è necessario sia per mantenere la stima di se stesse che per raccogliere la stima sociale. Sanno che socialmente è insostenibile vendere una gravidanza e un bambino. Si tratta di una retorica che per di più nasconde un evidente sfruttamento: le somme che ricevono le madri in affitto sono una minima parte di quello che pagano i committenti, cioè, negli Stati Uniti - dove forse lo sfruttamento è meno grave - una somma che va da 100.000 a 150.000 dollari. 

L'esibizione di altruismo serve solo a legittimare tali pratiche. I soldi sono il motore della GPA, ma le donne non si vendono, piuttosto sono vendute a caro prezzo e sfruttate finanziariamente. Il desiderio di figlio di coppie abbienti diventa così un'arma di sottomissione delle persone più deboli - donne e bambini - e di degradazione dell'essere umano. A chi non sa riconoscere il limite del suo desiderio la legge, ricorda Simone Weil, deve saper opporre la proibizione.

Vecchi miti: «Care mamme, vi hanno ingannate: sacrificarvi per i figli non li renderà migliori». Chiara Maffioletti su Il Corriere della Sera il 3 aprile 2022.

«Gran parte dell’infelicità dei giovani adulti deriva dal rapporto con i genitori», dice la psicoterapeuta Stefania Andreoli. Che dedica alle madri il nuovo libro: «Ciascuna faccia la cosa giusta in nome della propria soddisfazione. Dobbiamo rispondere solo a noi». 

«Per quanto ci sentiamo preparate e attente - e lo siamo -, per quanto abbiamo voglia di riequilibrare le cose, sottopelle noi donne abbiamo quasi tutte quell’intercapedine dentro cui cadiamo, perché tutte poggiamo i piedi su concetti strutturati da millenni. Ma è ora di fare pulizia di pensiero». Se migliaia di persone (basta dare un’occhiata ai suoi follower su Instagram) hanno quotidianamente voglia di abbracciare molto forte Stefania Andreoli, è perché questa psicoterapeuta e scrittrice dice, con una chiarezza disarmante, esattamente quello che c’è bisogno che venga detto. Urlato, anzi. Il suo nuovo libro ha nel titolo il mantra che molte mamme dovrebbero ripetersi ogni giorno: Lo faccio per me . Una risposta utile per le più svariate domande - perché torni al lavoro? Perché lo metti al nido? Perché esci con le amiche? -, e sempre validissima. «Non se ne può più con questa idea che intende la maternità come qualcosa per cui immolarsi» riprende Andreoli. «Bisogna normalizzare una serie di concetti». 

Ad esempio?

«Le mamme non sono indispensabili per il benessere del figlio. Sono ampiamente sostituibili, e lo dico concependo la maternità in un modo altissimo, non per fare l’operazione inversa rispetto a quanto è stato fatto finora. Di certo però abbiamo mitizzato questo ruolo. E pensare che chi fa la mamma e basta garantisca la miglior crescita possibile a un figlio non è così vero. Anzi».

Nel tentativo di sfatare qualche mito, partiamo con il botto: la mamma è sempre la mamma.

«Falso. Nel libro ho voluto raccontare che i cattivi genitori esistono e possono essere anche le madri. Non sono più buone, più vicine a quella diffusa idea di Madonna a cui vengono accostate. Prima di diventare genitori siamo tutti persone. Per quanto siamo contemporanei e ingaggiati nel tentativo di stare nel reale, viviamo ancora di frasi fatte di cui siamo portatori apparentemente sani. Quello slogan da propaganda serviva per tenere le mamme buone a casa e alla fine ci siamo quasi affezionate all’idea, illuse che potesse essere almeno quello un nostro primato. Ma non è vero come non lo è che di mamma ce n’è una sola: non si può pensare sia la sola figura che cresce il bambino. Guai». 

Nel libro parla della maternità come di una relazione.

«Il punto è questo: un figlio è sempre un soggetto, così come la madre che spesso però, anche inconsapevolmente, non ha introiettato questo concetto, per me ovvio. La vera perversione è sentire di avere tutta la responsabilità verso un figlio, perché cresca in un certo modo, come se fosse una nostra propaggine. Le madri devono ripensare alla loro importanza per consentire al figlio di respirare, di compiere la sua vita senza che si senta stretto in un patto di lealtà da cui poi è difficilissimo uscire».

I genitori, le mamme in particolare, sarebbero bravissime a dare ai figli le radici di cui parla Gibran, un po’ meno a fornire loro le ali per volare via...

«Sì, ma il figlio non è qualcuno che diventerà una persona: è già una persona. È già qualcuno che non è noi. Lo sappiamo ma in fondo non ci crediamo. La mia intenzione prima di scrivere questo libro era dedicarne uno ai giovani adulti, che meritano tutta la nostra attenzione e preoccupazione perché sono smarriti. In terapia vedo soprattutto loro. Ma poi ho capito che gran parte di questa infelicità deriva proprio dal rapporto con i genitori». 

Un rapporto soffocante? 

«Sì, ma anche per le mamme. Bisogna scrollarsi di dosso il peso del senso di colpa attraverso un invito: diventa la mamma che senti di essere. E se sei una mamma-chioccia, che non desidera più tornare al lavoro, va bene, ma sappi che lo stai facendo per te e non per tuo figlio. Bisogna abbandonare l’idea per cui i genitori pensano di dover decidere anche per i figli quello che è giusto. Dopo una certa età, ovvio. Ma oggi non viene più trasmessa l’idea che essere adulti è bello».

Ha qualche consiglio per riuscire a farlo?

«Finché un bambino è piccolo - diciamo quando va alle elementari -, dei due il grande dovrebbe essere il genitore e il piccolo il figlio. Il vantaggio di essere bambino è che non hai l’onere della scelta: c’è chi lo fa per te. Invece spesso vedo genitori impegnati nell’accontentare in ogni modo bimbi piccoli per “farli felici”. Mi sento dire: “Mio figlio ha 8 anni e non vuole dormire nel suo letto”. Oppure: “Ha 7 anni e ha voluto vedere Squid Game “. Ma non ci deve essere ogni volta un tavolo di trattative: soddisfare sempre e comunque i bambini è il peggio che gli si possa offrire. E quindi, il genitore educa e poi con l’ingresso nelle scuole medie deve mollare un po’».

Sta dicendo che, di base, spesso accade il contrario?

«Esatto, abbiamo invertito questo ordine: lasciamo che i piccoli si comportino secondo la loro sensibilità e, di fatto, chiediamo loro come vogliono crescere e poi li riacciuffiamo quando diventano grandi, perché non ci fidiamo, vivendo la vita al posto loro. Mi viene in mente una donna di 28 anni che mi ha raccontato che non può dormire dal fidanzato perché i genitori non vogliono».

Le madri insomma si candidano ad assolvere questo ruolo in eterno, protese verso i propri figli in uno svezzamento perenne...

«Un tempo se volevi ottenere qualcosa dovevi uscire e prendertela. Oggi non trasmettiamo l’idea che essere adulti sia cool . Un cortocircuito che rischia di creare persone molto infelici. I figli mai cresciuti, ma anche tutte le donne che una volta diventate madri puntano ogni fiches sul ruolo materno, dimenticando tutte le altre cose importantissime che esistono al di fuori, come l’essere professioniste, appassionate di qualcosa, ex fidanzate, amiche, studentesse. Dimenticando insomma tutta quella merce di grande qualità che poi si può anche offrire ai propri figli, che è la totalità di chi siamo. E dunque ecco il mio invito: ognuno deve fare la cosa giusta in nome della propria soddisfazione, non di quella del figlio. Altrimenti la relazione madre-figlio diventa patogena. Vorrei dire a tutte le mamme che pensano di doversi sacrificare che le hanno ingannate: non sarà quello che renderà vostro figlio felice. Ognuno deve cercare il senso della vita per sé».

Questo dunque è il segreto per essere un bravo genitore: trovare un senso alla propria esistenza al netto dei figli?

«Il senso dell’esistere, esatto. Siamo qui per godere di tutto quello che la vita può offrire: qualcosa che non si può esaurire nell’essere la mamma di qualcuno. Personalmente, non credo affatto non ci sia niente di più bello che mettere al mondo un figlio e lo dico, ripeto, con un grande senso della maternità: ho due figli e ne avrei voluti quattro. Ma la mia vita va al di là di loro e sono agghiacciata dall’idea che non esista niente di più bello che mettere al mondo un bambino. Non solo, rendiamoci conto di quanto sia gravoso per un figlio sentire di essere il senso della vita di un altro... Poi si parla tanto di amori tossici, pericolosi. Divento severa, ma se davvero ci si sente realizzate solo con un figlio, il rischio è che se poi quel bambino non fa il bravo, se non ti fa sentire un bravo genitore, allora si sta da cani tutti».

Fatte tutte queste premesse, esiste un momento giusto per mettere al mondo un figlio?

«Quando si è già felici. Se pensi invece che sarà la maternità a compierti ho il timore si parta con il piede sbagliato. E non dimentichiamo che esistono anche i padri: non hanno partorito, ma ci sono quelli che vogliono comunque esserci, che si svegliano di notte, che fanno tutto come noi donne. E non usiamo il termine mammo che è peggio di una parolaccia. Ci appropriamo di un certo primato del materno ma è un trappola».

Una piccola provocazione. Se suggerisce di ricercare un proprio appagamento allentando la tensione sulla maternità, perché scrive un libro pensato per le mamme?

«Ma io non solo accetto la provocazione, dico anche che sogno un mondo in cui i manuali per genitori non vengano più editati e le persone che fanno il mio mestiere rimangano senza lavoro. Evviva l’autodeterminazione, prendere le scelte che dobbiamo prendere, che vanno bene in quanto migliori per noi. Ed è solo a noi che dobbiamo rispondere».

Esistono mamme egoiste?

«Ma speriamo! Nell’immaginario collettivo è uno dei peggiori difetti, ma in psicologia l’egoista è chi si procura il proprio soddisfacimento da solo, senza chiedere che lo facciano i figli. L’idea che una madre che antepone sé stessa ai figli sia degenere è sbagliata perché in realtà accade esattamente il contrario».

È così, insomma, che costruisce per loro le ali e, finalmente, li libera.

Egle Priolo per “il Messaggero” il 31 marzo 2022.

È nato piangendo, come tutti. Ma a consolare le sue lacrime non sono serviti latte e abbracci.

Poi ha iniziato a tremare, senza fermarsi, con nessuna voglia di mangiare. Così, per giorni. Ma è bastata una confessione della madre per capire la verità: in gravidanza, lei, non ha mai smesso di sniffare cocaina. La diagnosi allora diventa inquietante ma per i medici purtroppo ovvia: i tremori e il pianto inconsolabile del suo bambino sono una crisi d'astinenza da droga. Che il piccolo ha assunto da feto per 9 mesi e che potrebbe portarlo fino alla morte in culla, senza una terapia di morfina o metadone.

Il destino di questo bambino - nato in un ospedale umbro e dopo un lungo ricovero affidato ai nonni, mentre la madre è finita in comunità a disintossicarsi e il padre è stato arrestato per droga è purtroppo identico a quello di circa 2.000 neonati a cui ogni anno in Italia si diagnostica la Sindrome da astinenza neonatale (San), un insieme di sintomi e segni clinici anormali, che si possono manifestare nei figli delle donne che hanno assunto sostanze stupefacenti o psicotrope durante la gravidanza.

Quando, con il parto e la nascita, l'assunzione - che passa la barriera placentare - viene interrotta, si causa una sintomatologia multiorgano che interessa il sistema nervoso centrale e autonomo e l'apparato gastroenterico. Come spiegano i responsabili della Società italiana di Neonatologia, «l'esposizione materna a sostanze tossiche durante la gravidanza può esporre il feto all'insorgenza di malformazioni congenite, ritardo di crescita intrauterino, microcefalia, emorragie o infarti cerebrali. Oltre a questi danni, che insorgono già in epoca prenatale, c'è poi la San. L'insorgenza della sintomatologia dipende dalla sostanza stupefacente assunta, ma generalmente compare tra le 24 e le 72 ore di vita. Raramente l'esordio può essere più tardivo, a 5 o 7 giorni dalla nascita».

LE CONSEGUENZE Gli esperti spiegano come le conseguenze sulla salute e sullo sviluppo del bambino si evidenzino sia a breve che a lungo termine, con i sintomi che non si limitano ai primi mesi di vita. Possibili i disturbi neuro-comportamentali, come ritardo del linguaggio, disturbi dell'attenzione, iperattività, comportamento aggressivo e impulsivo, disturbi di apprendimento e pure depressione. L'abuso di cannabinoidi, per esempio, non induce una vera e propria crisi di astinenza neonatale, ma ha però «effetti neuro comportamentali a breve e lungo termine e incide negativamente sullo sviluppo cognitivo, comportamentale e fisico. Gli oppiacei hanno un forte impatto sullo sviluppo neurocomportamentale del bambino a lungo termine, così come la cocaina».

I CASI Secondo i dati forniti dal Bambin Gesù di Roma, si stima che «possa essere affetto da San dal 3 al 50% dei neonati» le cui madri hanno fatto uso di stupefacenti mentre erano incinte. Ma in Italia ancora non esiste una statistica ufficiale, perché nonostante i tanti casi compresi i boom in qualche regione, nel Lazio il primo fu circa 6 anni fa il fenomeno è più ridimensionato rispetto agli Stati Uniti e varia per territori. In base agli ultimi dati disponibili, all'ospedale Fatebenefratelli di Roma ultimamente non ci sono stati casi, ma ne sono stati registrati anche 4 in un mese al Casilino e sei a Milano. In tutta l'Umbria sono circa 20 all'anno, e all'ospedale della Misericordia di Grosseto tempo fa ce ne sono stati 2 in due settimane. Dieci bimbi con la San sono nati in pochi mesi a Palermo, più una neonata arrivata in overdose all'ospedale di Licata, in provincia di Agrigento.

LA PREVENZIONE Una soluzione c'è e arriva da due fattori, come spiega il presidente della Società italiana di Neonatologia Luigi Orfeo, direttore di Neonatologia e Terapia intensiva neonatale dell'ospedale San Giovanni Calibita Fatebenefratelli di Roma: «Una maggiore consapevolezza delle donne sugli effetti che le sostanze stupefacenti producono ai loro bambini, che le spinge a diminuire o rinunciare all'assunzione, e l'aumento dei servizi territoriali di prevenzione e assistenza, come i Sert, che riescono a intervenire con programmi mirati e seguire meglio le donne tossicodipendenti durante la gravidanza.

Ma ancora non basta: che il miglior modo per abbassare ulteriormente la casistica sia quello di puntare sempre di più sulla comunicazione sociale e la sensibilizzazione delle giovani generazioni, coinvolgendo anche i ragazzi, non solo le donne, e parlando loro direttamente anche attraverso i social network».

Dagotraduzione dal Daily Mail il 28 marzo 2022.

Una donna ha citato in giudizio una clinica di New York perché, dopo essere stata sottoposta alla fecondazione in vitro, ha partorito un figlio maschio invece che una femmina. Secondo Heather Wilhalm-Routebenberg e sua moglie Robbie, la CNY Fertility Albany a Latham sarebbe responsabile, tra l’altro, di violazione di contratto e negligenza medica. 

La coppia infatti aveva deciso di accedere alla procedura dopo che Robbie aveva subito un aborto spontaneo. Le due avevano deciso di impiantarsi entrambe l’embrione dell’altra, e avevano ricevuto rassicurazioni sul fatto che tutti e due sarebbero stati di sesso femminile perché Heather, alla fine del college, era stata vittima di ripetute violenze sessuale. 

All’inizio la coppia era eccitata dall’arrivo del bambino. Ma quando la gravidanza è arrivata a 15 settimane, il loro ginecologo ha proceduto a controllare alcuni valori con un test del sangue. Il medico ha chiesto alla coppia: «Conoscete già il sesso del bambino?».

«Stiamo per avere una ragazza», ha risposto Heather. «Per me è molto importante avere una ragazza», ha aggiunto. Ma la coppia è rimasta inorridita nello scoprire che in realtà stavano avendo un maschio, e Heather ha detto che avere un feto maschio dentro di lei era «proprio come uno stupro». 

Ricordando il momento in cui avevano scoperto cosa era successo, Heather ha detto: «Siamo rimaste a bocca aperta. Ero convinta che dovesse essere il risultato di qualcun altro». «Ho guardato Robbie e le ho detto: "E se non fosse tuo, chi c'è nel mio corpo?!" È stato allora che sono impazzita, è stato allora che ho sentito che il mio corpo era stato preso in ostaggio. Ho pensato che fosse l'embrione di qualcun altro, non il nostro embrione sbagliato».

«Mi ha spaventato a morte. Non so come spiegarlo: sembrava che dentro di me vivesse un alieno. Ho detto a Robbie: "Se questo è il figlio di qualcun altro, dovremo restituirlo». «Il nostro medico ci ha offerto la possibilità di interrompere. Rispetto le decisioni degli altri, ma non è mai stata una scelta per me. Speravo che qualcuno avrebbe avuto il nostro bambino e noi nostra figlia, e li avremmo scambiati dopo la nascita e sarebbe stata una storia felice». Ma non è andata così. 

Heather ha poi raccontato che il bambino infine è nato a dicembre 2020. «Volevo una connessione pelle e a pelle, ma ho finito per indossare abiti in modo che non mi toccasse il petto. Ho iniziato a provare un’ansia estrema. Guardavo il bambino e vedevo i volti degli uomini adulti che conosco. Il bambino ha compiuto un anno e mezzo e penso sempre all’errore. È un ragazzo adorabile. Sorride proprio come Robbie, ha le fossette di Robbie e questo rende tutto più facile. Nostro figlio è fatto di magia. Fa le cose per essere divertente: usa certi toni di voce e ride per farci scoppiare a ridere. È esilarante ed è stato un bambino facile».

Heather dice che il piccolo ha stretto un legame con Robbie e ha aggiunto: «Provo un immenso senso di colpa e vergogna perché non sono stata in grado di essere emotivamente presente per lui. Non voglio fare la vittima. È un essere innocente, non meritava niente di tutto questo. La clinica ha incasinato i primi anni di formazione del nostro bambino. Questo è il motivo per cui gli sto facendo causa, perché amo così tanto mio figlio. Pensiamo che nostro figlio si meritasse quel legame fin dall'inizio».  

"Ti picchio se non prendi tutti 10", mamma denunciata dalla figlia. Valentina Dardari il 25 Marzo 2022 su Il Giornale.

Tra le punizioni il mettere la testa della 14enne nell'acqua gelata e picchiarla con il mestolo o le stampelle. La donna, una cinese di 37 anni, è agli arresti domiciliari.

Una mamma cinese di 37 anni ha minacciato la figlia qualora non avesse portato a casa da scuola tutti 10. Questa è la richiesta fatta da una madre alla figlia di 14 anni, costretta a studiare almeno 12 ore al giorno. In caso contrario botte da orbi o punizioni corporali, come legarle le mani dietro la schiena o spingerle la testa nel lavandino colmo d’acqua fredda. Visto che non è sempre impresa facile prendere il massimo dei voti, qualche volta alla ragazzina è capitato di subire queste pene. Fino a quando, come ha riportato il Corriere della sera, la giovane ha deciso di denunciare la mamma alle forze dell’ordine, grazie all'aiuto di un insegnante. Adesso la donna si trova agli arresti domiciliari nella sua abitazione all’Esquilino. L’accusa nei suoi confronti è di maltrattamenti in famiglia. La figlia, che è nata a Firenze, è invece andata a vivere con il suo papà italiano, che dopo essersi separato dalla moglie ha preso una casa in Emilia Romagna.

Punizioni corporali

Nonostante la donna viva in Italia da più di 20 anni, non deve aver perso la mentalità del suo Paese d’origine, la Cina, dove il rendimento scolastico è una delle cose più importanti per i genitori, in particolare per le madri che sono chiamate "tigri", pretendendo anche con metodi rudi che i propri figli diano sempre il massimo nello studio. La 14enne doveva seguire alcune regole, come quella di imparare almeno 4 lingue straniere: italiano, cinese, inglese e spagnolo. Doveva anche essere bravissima a scuola, dal momento che un voto come l’8 in pagella era considerato negativo. Inoltre l’adolescente doveva eccellere anche nello sport. Non raggiungere questi obiettivi voleva dire essere punita in modo molto severo dalla mamma. O anche, nei momenti peggiori, essere picchiata con il mestolo o con le stampelle ortopediche.

La testa nell'acqua gelida

La giornata della ragazzina iniziava solitamente alle 7 del mattino quando, dopo aver fatto colazione, si preparava per andare a scuola come tutte le altre compagne. Ma dal momento in cui oltrepassava la porta dell’istituto era conscia di dover stare attenta ai professori, essere la prima nello sport, e fare i compiti a oltranza appena tornata a casa. La domenica poteva dormire un po’ di più. Ovviamente non poteva né vedere né sentire i suoi compagni di scuola fuori dall’orario scolastico, se non per studiare. Anche se si addormentava sui libri la mamma le immergeva la testa nell’acqua gelida per svegliarla. A volte la ragazza arrivava a scuola con alcuni segni evidenti sul corpo delle punizioni subite in famiglia.

Il papà della 14enne, che dopo la separazione si è trasferito in un’altra regione, non era a conoscenza di quali atrocità stesse passando la figlia. Per sua fortuna un giorno la ragazzina si è addormentata a scuola e quando l’insegnante l’ha svegliata in modo energico, la poveretta è scoppiata in lacrime raccontando tutto. Il docente ha quindi chiamato il “Telefono Azzurro” e ha messo a conoscenza l’operatore che ha risposto al telefono. La mamma cinese è stata arrestata.

Dopo anni ha avuto il coraggio di denunciare le angherie subite. Bimba fa arrestare la madre, prof chiama Telefono azzurro: “Aiutatela, se non prende 10 viene massacrata”. Roberta Davi su Il Riformista il 25 Marzo 2022. 

Vessazioni e angherie. Violenze andate avanti per moltissimo tempo, da quando era solo una bambina: la madre le infliggeva punizioni e la picchiava se a scuola non prendeva voti altissimi. La ragazzina, oggi quindicenne, si è decisa a confessare tutto e a denunciare l’incubo vissuto. Per la donna, una trentasettenne di origini cinesi, sono scattati gli arresti domiciliari, chiesti e ottenuti dalla Procura di Roma. La gip Mara Mattioli ha parlato di ‘punizioni agghiaccianti’.

La vicenda

A descrivere l’orrore subito dalla ragazzina, emerso negli atti del pubblico ministero Antonio Verdi, è La Repubblica Roma. La madre le immergeva la testa in una bacinella con dell’acqua gelata, oppure la lasciava seduta su una sedia per ore, con le mani legate, impossibilitata a muoversi. A volte le impediva di dormire, in modo che potesse ‘riflettere’ sul suo comportamento. Maltrattamenti iniziati nel 2017, quando la ragazza aveva appena 10 anni. Le sue giornate erano scandite da continui impegni: ore e ore di studio, sport, corsi di lingue, sempre sotto il costante controllo della madre. E se le performance scolastiche non la soddisfacevano-ossia, se non portava a casa tutti 10- scattavano le punizioni. 

A far emergere la situazione di disagio vissuta dall’adolescente è stata la professoressa di spagnolo. La ragazzina, dopo l’ennesima giornata estenuante, si è infatti addormentata durante la lezione. Quando l’insegnante le ha chiesto cosa fosse successo, lei le ha raccontato, in lacrime, tutte le vessazioni subite. Sul suo corpo, anche i segni delle botte della madre.

La denuncia

La prof si è quindi rivolta al Telefono Azzurro,  prima riportando le parole della sua studentessa e poi mettendola in contatto gli operatori. La quindicenne ha così raccontato anche dell’indifferenza del compagno della madre che, nonostante sapesse tutto, non era mai intervenuto. Stando alla sua testimonianza si tratterebbe di un avvocato.

La trentasettenne è ora accusata di maltrattamenti in famiglia aggravati. Roberta Davi

Figli coppie omogenitoriali, Torino sospende registrazioni. ANSA il 23 marzo 2022. Torino interrompe le trascrizioni dei figli delle coppie omogenitoriali. Una decisione "presa con grande difficoltà in via cautelativa, in attesa del pronunciamento della Cassazione", annuncia "amareggiato" il sindaco Stefano Lo Russo, destinatario di una comunicazione prefettizia che lo richiama ad attenersi alle norme ricordando che l'eventuale registrazione costituisce una violazione di legge. "Dietro le leggi - dice - ci sono sentimenti, persone, bimbi, storie personali. È iniquo che un cittadino, a seconda del Paese in cui nasce, abbia diritti o no, è una violenza ed è su queste cose che si fonda l'unità di un continente". (ANSA).

Filippo Femia per “La Stampa” il 24 marzo 2022.  

«Violenza», «discriminazione intollerabile», «decisione iniqua». Non usa toni morbidi il sindaco di Torino Stefano Lo Russo quando annuncia che si trova obbligato a interrompere l'iscrizione all'Anagrafe dei figli di coppie dello stesso sesso. Una decisione subìta «con grande amarezza: obbedire mi costa moltissimo».

A mettere spalle al muro l'amministrazione comunale è stata una nota inviata dal prefetto: «Mi ha comunicato che il sindaco, in quanto ufficiale di stato civile, agisce come ufficiale di governo e non come titolare di un potere proprio - spiega i tecnicismi Lo Russo - e deve quindi attenersi al dispositivo di legge: la trascrizione della registrazione dei figli delle coppie omogenitoriali costituisce una violazione».

Non resta che prenderne atto e fermare quella che il primo cittadino ha definito «battaglia di civiltà», iniziata nel 2018 a Torino (primo Comune in Italia) durante l'amministrazione Appendino. La brusca frenata arriva dopo un'ottantina di iscrizioni all'Anagrafe, che dal punto di vista giuridico rimangono valide. Ma d'ora in avanti i bambini nati da una coppia omosessuale avranno, tecnicamente, un solo genitore.

«Ritengo che in questo modo i cittadini italiani siano privati di un diritto riconosciuto in altri Paesi dell'Ue. È iniquo, in questo momento i bambini italiani sono di serie B», ragiona il sindaco. Ma la sua non è una resa senza condizioni. Anzi. In attesa del pronunciamento della Cassazione, l'amministrazione comunale studia ora come portare la battaglia sul piano politico.

«Speriamo che altre città italiane si uniscano alla nostra battaglia per ottenere un riconoscimento normale negli altri Paesi e che solo da noi rappresenta un problema», aggiunge l'assessore ai Diritti, Jacopo Rosatelli. Il coordinamento Torino Pride, che riunisce le associazioni cittadine per i diritti Lgbt, è stato convocato domani in Comune: l'ipotesi è quella di organizzare una grande manifestazione prima della Giornata internazionale contro l'omofobia, il 17 maggio.

L'obiettivo dell'amministrazione Lo Russo è spingere il Parlamento ad agire, intervenendo su un quadro legislativo tuttora poco chiaro nonostante le ripetute sollecitazioni della Corte Costituzionale. «C'è un deficit culturale e di iniziativa politica nelle aule parlamentari - attacca Lo Russo -. I nostri politici stanno scaricando su famiglie, bambini, sindaci e sui tribunali una incapacità di legiferare in maniera adeguata per le esigenze dei cittadini. È molto grave e profondamente ingiusto perché crea una sperequazione: una discriminazione intollerabile nell'Europa dei diritti». L'affondamento del ddl Zan ad opera di questo Parlamento, però, non lascia spazio a troppe illusioni.

Torino, il prefetto scrive al sindaco: ferma le registrazioni di figli di coppie omogenitoriali. Stefania Aoi La Repubblica il 23 Marzo 2022.  

Dopo la lettera in cui si sostiene che il Comune viola la legge, Lo Russo ha sospeso l'operazione: "Molto amareggiato, ma il caso va risolto a livello politico".

Due pronunciamenti, uno del tribunale e uno della Corte d’Appello, contro le registrazioni dei figli delle coppie omogenitoriali all’anagrafe di Torino. E da ultimo una lettera del Prefetto che ricorda al sindaco che è un ufficiale del governo e che se va avanti nell’iscrizione dei bambini figli di due madri in Comune viola la legge e commette abusi d’ufficio. Così il sindaco Stefano Lo Russo dopo aver ricevuto ieri sera il parere dell’Avvocatura ha deciso di sospendere il registro avviato dall’ex sindaca Chiara Appendino nel 2018. Sette le coppie omogenitoriali che avevano chiesto e stavano aspettando risposta dagli uffici per registrare i propri piccoli. Adesso si attende che si pronunci la Corte di Cassazione.

Ma nel frattempo Palazzo di città ha deciso di muoversi su un piano politico. E venerdì convocherà le associazioni Lgbtqi per organizzare delle forme di protesta. “Sono molto amareggiato – ha detto Lo Russo – è vergognoso che nel nostro paese le coppie arcobaleno non possano fare ciò che possono fare quelle che vivono in altri paesi europei. Si tratta di una discriminazione”.

Se il sindaco dovesse insistere sulla strada percorsa fino a oggi rischierebbe sia sanzioni pecuniarie che, in caso di esposto per abuso di ufficio, di essere sospeso dal suo ruolo. “Conseguenze poi ci sarebbero anche per i bambini figli di due madri nel futuro – racconta il primo cittadino – in caso di questioni ereditarie i loro diritti sarebbero impugnabili. Soprattutto perché non c’è un termine di prescrizione agli eventuali ricorsi di terzi”.

L’assessore ai Diritti Jacopo Rosatelli ha assicurato che resteranno per ora le registrazioni già effettuate che sono circa 70. Di sicuro entrambi i politici hanno biasimato il Parlamento. “Vivono in un Paese che non è quello reale”, ha detto con forza Lo Russo. “Abbiamo visto cosa è successo con il Ddl Zan, la situazione è davvero difficile”.

Le reazioni

"Apprendo con grande sgomento che il Comune di Torino, apripista con Chiara Appendino della registrazione all'anagrafe dei bambini figli di coppie omogenitoriali, provvedimento del quale eravamo tutti molto fieri, è costretto a sospendere le registrazioni dei bambini per via di una comunicazione del Prefetto che richiama ad attenersi alle norme. Un terribile passo indietro". Lo dichiara Davide Serritella, deputato torinese del M5s. "Sarà mia premura capire in che modo sia stata maturata tale decisione e sostenere una battaglia che vede coinvolte le sensibilità di famiglie e bambini", aggiunge in una nota.

"Oggi il sindaco di Torino ha comunicato che a seguito della richiesta della prefettura ha deciso che il comune di Torino non riconoscerà più i figli delle coppie Lgbt+. Siamo basiti da questa decisione, un nostro sindaco non lo avrebbe mai fatto". E' quanto dichiara Fabrizio Marrazzo portavoce del Partito Gay per i diritti Lgbt+, Solidale, Ambientalista, Liberale e primo firmatario Referendum 'Si Matrimonio Egualitario'.

"È l'ennesima dimostrazione che siamo ormai fuori tempo massimo. È necessario e urgente che il Parlamento si assuma la responsabilità di legiferare per garantire pari diritti e tutele ai figli e alle figlie della famiglie arcobaleno". Così l'attivista per i diritti Lgbt+ Marilena Grassadonia, ex presidente di Famiglie Arcobaleno, oggi responsabile Diritti e Libertà di Sinistra Italiana. "La buona volontà di sindaci e sindache da sola non basta - aggiunge - Come Sinistra Italiana continueremo a lavorare affinché si giunga presto a una legge che metta al centro la responsabilità genitoriale, a tutela dei minori, anche per le coppie di genitori Lgbt+".

"Serve una legge sui figli delle coppie delle stesso sesso e serve una legge sui matrimoni. Essere timidi e incerti sui diritti crea solo confusione e dolore, sulla pelle delle persone". Ad affermarlo la capogruppo del Pd in Consiglio comunale, Nadia Conticelli.

Claudia Guasco per “Il Messaggero” il 23 marzo 2022.

Ha lasciato il coltello accanto al corpo, l'arma con la quale ha ucciso la madre colpendola ripetutamente al cuore e all'addome. La lite e la feroce aggressione sono avvenute in una manciata di minuti, ieri poco prima dell'alba, in un appartamento di Cologno Monzese dove Begoña Gancedo Ron, 61 anni, è morta nel suo letto accoltellata dal figlio. Il giovane, 28 anni e «problematico», come raccontano i vicini, con una segnalazione per consumo di stupefacenti alle spalle, è stato arrestato nel pomeriggio con l'accusa di omicidio volontario. Ha fatto tutto da solo, mentre nella stanza accanto dormivano le sue sorelle, due gemelle di 24 anni con sindrome di down.

LA MINACCIA L'aveva promesso e l'ha fatto. Lunedì il giovane ha dato in escandescenze per strada, gridava «uccido mia madre», tanto da spingere i residenti a chiamare i carabinieri. Ma Begona non si è salvata. Nata in Spagna e cittadina italiana da molti anni, si era trasferita a Cologno dopo aver conosciuto il padre dei suoi figli. Una quindicina di anni fa il marito Felice è morto di infarto e lei si è ritrovata sola con tre bambini. Ma non si è mai persa d'animo: per vent' anni dipendente di una cooperativa che prestava servizi al Comune, nel 2020 ha vinto il concorso per l'incarico di funzionaria in biblioteca, dove lavorava con dedizione con i più piccoli partecipando con entusiasmo anche a iniziative per promuovere il bilinguismo. 

«Siamo tutti increduli per l'accaduto - afferma il sindaco di Cologno Angelo Rocchi - Maria Begoña Gancedo Ron era gentile, dolce e molto riservata». Era «leale», «mamma straordinaria», «non meritavi questo», la piangono ora gli amici sui social. «Era una signora molto a modo, dal carattere mite - la ricorda il primo cittadino - Tutti la conoscevamo ma non avevamo idea avesse dei problemi in casa. Non era una persona che si lamentava. Anzi, recentemente, quando gli spazi della biblioteca erano stati rinnovati, era molto contenta».

La famiglia era un impegno grande, ma lei non faceva mai pesare le sue difficoltà anche se c'erano le due gemelle da accudire e il maggiore inaffidabile. Il movente del delitto, avvenuto al culmine di una lite, è ancora in fase di approfondimento, così come la concatenazione di eventi che ha portato alla morte della donna. 

Due giorni fa all'ora di pranzo il figlio ha perso il controllo, è stato visto vagare in strada lanciando minacce contro Begoña. Alcuni residenti hanno chiamato il 112 e sul posto sono arrivati i soccorritori e un'ambulanza. «Era fuori di sé, gridava e diceva che avrebbe ucciso la madre, poi lo ha fatto», racconta in lacrime un'amica della vittima. «Proprio i carabinieri sono intervenuti qui, li ho visti mentre passavo per caso - racconta un vicino - Saranno state le 13 e quel ragazzo, il figlio della vittima, dava in escandescenze. Si era seduto sull'auto del postino e gli impediva di andare via». Riferisce anche che «la madre ha provato a farlo ragionare e si è beccata una gomitata». Così rientra a casa e poco dopo il figlio la segue.

COLTELLO DA CUCINA Verso le quattro e mezza del mattino i dirimpettai sentono prima le voci che si alzano, la lite tra madre e figlio, poi le grida disperate di Begoña. Chiamano il 112 e quando arrivano i carabinieri trovano la donna morta nel suo letto, in una pozza di sangue. Sul torace e all'addome le ferite profonde. L'arma del delitto, un coltello da cucina, era lì accanto. In casa c'erano il ventottenne, in forte stato di choc, e le due sorelle. «Soffro di cuore, voglio andare in ospedale», ha detto il giovane ai militari che lo hanno portato in pronto soccorso. Il giovane si trova ora ricoverato in ospedale e piantonato, è in stato di arresto è sarà interrogato nelle prossime ore.

Delitto di Casalecchio. "Perché non muori?": il racconto della madre avvelenata dal figlio. Il compagno perse la vita. Rosario Di Raimondo La Repubblica il 17 Marzo 2022.

I fatti risalgono a un anno fa. La donna finì in rianimazione e riuscì a salvarsi. "Sembrava un film dell’orrore. Gli urlavo: 'Chicco, sono la mamma, perché stai facendo questo?'. E lui mi diceva delle cose che una madre non dovrebbe sentire: 'Perché non muori? Tanto il veleno tra un po’ ti farà effetto'". In aula cala il silenzio. Tutti gli sguardi sono rivolti a una donna di 56 anni che adesso piange, non riesce a parlare, fatica a respirare, deve abbassare la mascherina nera e cercare conforto dalla psicologa che le sta a fianco.

Simona Buscaglia per “la Stampa” il 16 marzo 2022.

Lavori precari e futuro incerto: il momento «giusto» per un figlio sembra non arrivare mai, tanto che sempre più italiane ricorrono alla fecondazione assistita. A dirlo sono i numeri dell'ultima relazione del ministero della Salute sull'attività dei centri di Procreazione medicalmente assistita (Pma), che fa riferimento al 2019: sono 78.618 le coppie trattate, 1.109 in più rispetto all'anno prima (erano quasi 71 mila nel 2014). Sono 14.162 i nati vivi con tutte le tecniche di procreazione assistita (il 3,4% degli oltre 420 mila nati nell'anno), in aumento rispetto ai 14.139 nel 2018.

L'identikit della coppia italiana che si rivolge a un centro specializzato vede spesso persone che hanno messo a posto tutti gli aspetti della propria vita e in età avanzata pensano ai figli: «L'età però gioca il ruolo determinante - spiega Maurizio Bini, responsabile per la diagnosi e terapia della sterilità e crioconservazione del Niguarda di Milano -. Nel mondo le donne che si rivolgono alla fecondazione artificiale con l'età più avanzata sono proprio quelle italiane: il basso tasso di successo del nostro Paese, nonostante la qualità dei centri, è prevalentemente collegato a questo fattore. Il nostro numero delle donne sopra i 40 anni che provano con la fecondazione artificiale è il più alto in Europa».

La crescita delle coppie che si rivolgono ai centri specializzati per la fertilità «è determinata da due fattori - spiega Bini -. In primo luogo sono coppie che hanno provato poco ad avere un figlio: una volta si attendeva un anno, ora 2 mesi. Sono coppie in là con l'età, che avevano già rinunciato ai figli. Aggiungiamo poi i fattori di inquinamento ambientali che aumentano l'infertilità».

A questo quadro si somma la drastica diminuzione delle nascite, fenomeno nazionale che trova conferma nei dati delle regioni. In Lombardia in 10 anni si sono persi oltre 28 mila bambini. Secondo un'elaborazione di Polis-Lombardia, nel 2020 si registra un nuovo record negativo: 69.234 nati, 3.904 in meno rispetto al 2019 (-5,3%) e 28.580 in meno (-29,2%) del 2010, quando erano quasi 98 mila. In Lombardia le coppie che si sono rivolte ai centri Pma passano da 18.692 nel 2018 a 19.091 nel 2019, dove i nati vivi sono stati 4.050. Nel Lazio cambia poco: 38.889 nascite nel 2019, -9,5% rispetto al 2018. Qui i nati con le tecniche di Pma sono 1.137 e le coppie trattate 8.320 (da 7.823).

In Piemonte nel 2019 sono 974 i bambini nati con la Pma, stesso numero del 2018, nonostante siano leggermente diminuite le coppie trattate (da 4.681 a 4.651), in una regione dove però intanto nel 2020 sono nati poco più di 27 mila bambini, altro record negativo. 

A pesare molto sono le politiche per la famiglia: «Il fatto che le condizioni ottimali per pensare ai figli siano sempre più difficili da ottenere porta le donne ad attendere di più - conclude Bini -. Servono delle tutele sul lavoro, bisogna assicurare sempre il reintegro della donna che ha avuto un figlio, oltre ad aiuti concreti in linea con il costo della vita: non bastano 50 euro al mese per spingere le persone ad avere i figli prima».

Alessandra Arachi per il “Corriere della Sera” il 15 marzo 2022.

Sono dieci anni che in Italia diminuiscono le nascite, ma un numero sotto i 400 mila non si era mai visto dall'Unità d'Italia. Nel 2021 si è arrivati a 399.431 nuove culle, per la precisione, secondo i dati del report demografico presentato ieri dall'Istat. Adesso sulla nostra natalità, dopo la pandemia, incombe anche l'incubo del conflitto ucraino. 

Rileva il presidente dell'Istat Giancarlo Blangiardo: «Nel 1941 soltanto la dichiarazione di guerra fu di impatto, ebbe un effetto immediato sui progetti riproduttivi della popolazione italiana di allora». Ma non è un problema soltanto dei bambini italiani. Da dieci anni infatti sta continuando a diminuire anche il numero dei figli degli immigrati.

«Erano 80 mila nel 2012, siamo arrivati oggi a 60 mila», ha detto Blangiardo illustrando anche l'elevato indice di mortalità: «Abbiamo registrato un elevato numero di decessi, 709 mila, un numero che abbiamo avuto soltanto nella Seconda guerra mondiale. Un forte impatto lo ha avuto il Covid: circa 59 mila morti, pari all'8,3% del totale». Ed ecco che la popolazione continua a diminuire, inevitabilmente. Nel 2021 siamo scesi sotto i 59 milioni di abitanti (58.983.122). 

Spiega Blangiardo: «Il confine negativo dei 59 milioni era stato superato nel 2007, abbiamo cioè fatto un salto indietro di quindici anni». Dal 2007 il numero era cresciuto e fino al 2014 avevamo un Paese di 60-61 milioni di abitanti. Non ci si aspettava una simile diminuzione. «Invece nel 2021 rispetto al 2020 abbiamo perso 253 mila cittadini, pari allo 0,4%. Non è un dato irrilevante perché il numero degli abitanti stabilisce un grande Paese». 

Commenta il presidente del nostro istituto di statistica che tuttavia vuole sottolineare uno spiraglio di speranza: «Nell'ultimo bimestre dell'anno scorso abbiamo avuto una ripresa e il numero degli abitanti è paragonabile a quello dell'ultimo bimestre del 2019, prima della pandemia». Blangiardo fa un'analisi di questo crollo della natalità: «È una malattia cronica», dice. E al tempo stesso suggerisce una via di guarigione. 

«Dobbiamo curare - sottolinea - i sintomi di questo malato. Che sono quelli di natura economica, i figli costano. E poi c'è il fattore tempo per le madri che devono lavorare per portare a casa il secondo stipendio e hanno difficoltà a conciliare il lavoro con la famiglia. Questi i sintomi che devono essere curati. Basta con le chiacchiere, dobbiamo affrontare i problemi uno alla volta».

Non è vero, secondo il presidente dell'Istat, che i giovani non hanno voglia di avere una famiglia. Garantisce Blangiardo: «Il modello della famiglia tra i giovani è rimasto come un tempo, desiderano due e anche più figli. Sono gli impedimenti esterni che li frenano». Ma lo Stato non è rimasto immobile: «Da questo punto di vista - spiega - l'assegno unico per chi ha i figli, non soltanto per le famiglie povere, è un segnale che lo Stato ci manda. Non dico che 100 o 200 euro cambiano la vita, ma adesso non investiamo soltanto sullo Stretto di Messina, per la prima volta puntiamo anche sul capitale umano».

Non fa sperare troppo bene per il futuro neanche il numero dei matrimoni: dopo la pandemia nel 2021 sono stati il doppio rispetto al 2020, ovvero circa 179 mila. Ma il dato, comparato a quello del 2019, non risulta sufficiente a recuperare quanto perso da allora. Nel 2021, infatti, i matrimoni sono stati infatti inferiori del 2,7% rispetto al 2019. Soltanto i matrimoni civili sono tornati ai livelli del 2019, anzi li hanno superati dello 0,7%».

Anticipazioni da Oggi il 9 marzo 2022.

Dopo le polemiche seguite alla pubblicazione dell’immagine di Tiziano Ferro e del marito Victor Allen e dei loro due figli Margherita, 9 mesi e Andres, 4 mesi, Nichi Vendola commenta l’odio social con un toccante scritto sul settimanale OGGI, in edicola da domani. 

«Una foto d’amore è solo una foto d’amore. Eppure può in un lampo trasformarsi in un campo di battaglia, in una pietra dello scandalo, in una docile preda per i bracconieri dei social o per i moralisti di professione. Succede oggi a Tiziano Ferro, a suo marito e alle due piccole creature di cui sono diventati padri. È accaduto a me e al mio compagno sei anni fa, quando venne al mondo, col suo sorriso contagioso, nostro figlio Tobia».  

E poi: «Discutere con serietà di regolamentare le tecniche di riproduzione della vita, senza isterie e bardature da crociati, sarebbe una prova di maturità. Cavarsela, invece, minacciando la galera a chi cerca di diventare genitore è grottesco».

Scrive ancora Vendola: «Fortunatamente la conoscenza sbriciola i pregiudizi, l’amicizia squaglia la paura, e alla fine la gente normale ti giudica per come sei, non un alieno con un figlio bionico, ma un padre innamorato del suo bambino: perché la paternità non la guadagni con l’analisi del Dna ma con la cura quotidiana, la pazienza, l’ascolto, l’accoglienza, la protezione, il rispetto, l’affetto... Sarebbe bello non riempire di sputi una foto d’amore. Sarebbe bello non dimenticare mai che dietro quello scatto in bianco e nero, che arma i nostri risentimenti e il nostro furore ideologico, ci sono individui concreti, non ologrammi». 

La scelta di vivere senza figli: “Non siamo donne sbagliate”. Gabriella Cantafio su La Repubblica il 5 Marzo 2022.

Hanno tra 28 e 42 anni e per l’Istat rappresentano il 17% delle donne in età fertile: “Non penalizzateci, rispettate la nostra idea”.

"Da bambina non mi è mai piaciuto giocare alla mamma, però, attorniata da gente sposata con figli, credevo che matrimonio e maternità fossero tappe obbligatorie. Crescendo, mi sono resa conto di non avere propensione all'accudimento, di preferire il lavoro e la passione per i viaggi". Clara Di Lello, fotografa 28enne di Vasto, ha creato il gruppo Zona Childfree su Facebook, uno spazio sicuro in cui confrontarsi con altre donne che non desiderano figli.

Margherita Fiengo Pardi per Specchio - Stampa il 13 febbraio 2022.

"Chiedimi se". L'idea di intitolare così il video che racconta la storia della mia famiglia mi è venuta quando avevo tredici anni - adesso ne ho diciannove. Non riesco a ricordarmi precisamente chi fosse e dove fosse, ma sicuramente si trattava di un personaggio pubblico che era andato in televisione a dire che per i figli di due donne o di due uomini sarebbe stato meglio non essere mai nati. 

Chiedilo a me, chiedimi se è davvero così, volevo dire allora - e lo dissi, ma a mia madre. Oggi lo posso dire meglio, e l'ho detto con le immagini, e con quel titolo: non voleva essere un delirio megalomane, ma di fronte a chi considera che nascere con due mamme sia peggio di essere nati sotto le bombe o addirittura di non essere nati per niente, credo che una risposta vada data. 

E poi ho pensato anche un'altra cosa: ma chi meglio di me può spiegare cosa vuol dire avere genitori omosessuali?

Quella contronatura Credo di essere stata intervistata per la prima volta a otto anni, «la figlia di due donne». Prima di allora per me era normale avere due madri, ero una bambina, facevo una vita normale, sì avevo due mamme, ma a scuola c'era anche chi non aveva il papà, chi era stato adottato, tante situazioni diverse. E io tutto pensavo meno che di vivere in una condizione particolare. Adesso è un po' diverso, ma quando sono nata io eravamo davvero pochi, forse tre o quattro famiglie in tutta Italia. 

All'inizio quando mi intervistavano era divertente, mi piaceva che tutti volessero sapere la mia. Le mie madri tra l'altro erano contrarie, non volevano che mi esponessi, sono stata proprio io a convincerle che invece era giusto: ma come, tutti parlavano di me e io non potevo dire la mia? Ero io la figlia, ero io che non dovevo esistere, ero io che ero contronatura. E allora era con me che dovevano parlare.

Una vita allo scoperto Del resto mantenere l'anonimato sarebbe stato impossibile. Provo a spiegare: all'inizio noi, come famiglia, non avevamo nessun diritto, anche i single avevano più diritti di noi. Se mia madre veniva prendermi a scuola doveva presentare una delega, come fosse stata una baby sitter o la madre di un'amica. Alle mie madri non è stato bene, hanno aperto un'associazione insieme ad alcune famiglie con la nostra stessa situazione, e per forza si sono trovate in prima linea. 

Inevitabilmente tutti ci siamo trovati esposti, la nostra storia è diventata pubblica su Facebook, e una serie di cose che sono successe non si potevano prevedere. Eravamo una famiglia come tante, e molte persone ci dimostravano affetto, mandavano messaggi carini, gli piaceva vedere le foto e qualche storia della nostra famiglia, due madri e quattro figli nati con la fecondazione e cresciuti tutti insieme.

Poi però in tanti hanno cominciato a venirci contro, è stato un periodo duro: le mie madri hanno ricevuto minacce di morte, c'era chi diceva che venivamo maltrattati, cose così. Adesso quando sento Salvini che dice che siamo contronatura ci rido su, ma quando hai otto anni - e i miei fratelli ne avevano quattro e cinque - e ti senti dire che non dovresti esistere dai, anche un attimo. 

Mi divertivo a dire la mia All'inizio quando mi intervistavano mi divertivo a dire la mia, poi col tempo mi sono resa conto che forse non è stato troppo sano per noi. Ma non abbiamo avuto alternative, eravamo tempestate. Che cosa avremmo dovuto fare, vivere nascosti? La cosa che mi chiedevano sempre era se gli altri bambini mi prendevano in giro. Una domanda stra-idiota, un bambino ti prende in giro se hai gli occhiali, non se hai due mamme.

Alla materna quando i miei compagni hanno capito che avevo due mamme le volevano avere tutti, «beata te che hai due mamme, io solo una». In tutta la mia storia scolastica non ho avuto un solo momento difficile da questo punto di vista: molti mi invidiavano, altri erano super interessati. 

Gli unici che ce l'avevano con me non mi conoscevano, andavano in televisione, erano personaggi pubblici, parlavano di cose che chiaramente non conoscevano e secondo me non pensavano neanche al fatto che ci fossero dei bambini di mezzo, che li stavamo ascoltando. 

Sì lo so, la figura paterna... L'altra domanda che arriva sempre è quella sul padre. Un altro luogo comune. Noi ce ne strafottiamo di non avere un padre. Mia madre è come due padri, quando avevo 13 anni mi ha costruito un soppalco con le sue mani. Sì, lo so, la figura paterna Sono solo parole. E quelli che non ce l'hanno il padre? Contronatura pure loro? Il caro Salvini e la cara Meloni dicono che «non esiste». E invece quelli che non hanno un padre o una madre esistono da sempre e possono vivere benissimo.

La faccia bella, sempre C'è una cosa però che ho vissuto un po' male. Come figli di due mamme abbiamo dovuto sempre essere perfetti, dovevamo sempre apparire felicissimi. Ora io sono felice, ma questa cosa che devi sempre mostrare la faccia bella perché al primo cedimento ecco, «è perché hai due madri» non è facile da portare ogni giorno sulle spalle. Conosco tanti ragazzi, tante famiglie, ci sono problemi ovunque, anche noi abbiamo problemi, tutti abbiamo dei problemi più o meno grandi.

Ci sono i ragazzi depressi, quelli col disturbo alimentare, quelli che soffrono di ansia. Mica tutti hanno i genitori omosessuali. Anche per le mie madri, loro non lo dicono, ma è ovvio che sono strapiene di complessi perché appena succede una cosa si sentono venire addosso sempre le solite critiche: «siete incapaci, non dovevate fare i figli, siete contronatura, ci vuole il padre...».

Se guardo la mia cerchia stretta di amici, molti i genitori neanche li vedono più, qualcuno li detesta, a me pare che sia andata più che bene. Penso di essere, tra quelli che conosco, una di quelle che ha il miglior rapporto con i genitori.

Senza diritti Per qualsiasi altra domanda, comunque, chiedetelo a me. Non fate le vostre teorie, mi viene da dire, chiedetelo a me se mi maltrattano, anziché dipingere cazzi sulla faccia di un bambino con due papà, sul poster in strada. Io sono cresciuta senza diritti, sono stata registrata all'anagrafe a 16 anni - grazie sindaco Sala che ha trascritto me e molti altri figli arcobaleno anche se non c'era nessuna legge che glielo consentiva, tanta stima - sono dovuta diventare un'adulta per sentirmi dire «Tua madre ti adotta». Ma cosa mi adotta se viviamo insieme da tutta la vita?.

Fecondazione assistita: in Italia si possono congelare ovuli e spermatozoi? Quali sono i costi? E chi può farlo? Silvia Turin su Il Corriere della Sera il 10 febbraio 2022.

Quali sono le regole per il congelamento dei gameti? Chi può farlo in un ospedale pubblico? E chi può usare ovuli o spermatozoi congelati? 

In Italia è permesso congelare ovuli e sperma?

Sì. Con alcune indicazioni specifiche di procedura e utilizzo. 

Qual è il percorso? Pubblico o privato?

Il congelamento è previsto all’interno di un percorso pubblico se vi sia indicazione medica, il classico esempio è la chemioterapia: dato che danneggia la spermatogenesi e l’ovaio, prima di cominciare il trattamento, si offre questa opportunità tramite il sistema sanitario nazionale.

Il desiderio di una donna di congelare gli ovociti da giovane per avere l’opportunità di avere bambini anche dopo la fine dell’età fertile (la cui pratica viene chiamata «social freezing») non passa, invece, attraverso la sanità pubblica. È comunque una pratica lecita. 

Quanto può costare?

Un ciclo di congelamento degli ovociti costa tra i 3 e i 4mila euro. Va tenuto in conto che, siccome le tecniche di fecondazione non sono molto efficaci, sarebbe meglio fare anche 3 cicli, per avere un numero adeguato di ovociti che garantiscano una probabilità di successo accettabile. Le possibilità di avere un bambino con un ciclo di stimolazione anche in una donna giovane sono infatti di circa il 30%: ecco perché bisogna prevedere di farlo più di una volta. Gli ovociti vanno poi custoditi in una biobanca, il che può richiedere tra i 150 e i 300 euro di spesa all’anno. In tutto si può arrivare a spendere anche intorno ai 10-12mila euro. 

In caso di indicazione medica (come la chemioterapia), la conservazione degli ovociti è coperta dal pubblico?

Sì è prevista, ma sul territorio nazionale la situazione delle biobanche è variegata: ci sono posti in cui non viene proprio fatta. 

Qual è la procedura per la donazione degli ovociti?

Il percorso non è banale: per 10 giorni si prendono farmaci per stimolare le ovaie e servono ecografie di controllo, infine, ci sarà il prelievo in day hospital sotto anestesia. Servono tempo e disponibilità. I rischi sono minimi rispetto al passato (anche se non assenti): adesso le iniezioni ormonali a cui si devono sottoporre le donatrici non provocano più la sindrome da iperstimolazione ovarica (la risposta abnorme delle ovaie ai trattamenti per produrre parecchi ovociti, ndr). 

Congelare lo sperma è più facile?

Sì e la procedura è esente da rischi, è facilissima, ma l’indicazione è la stessa: farlo per motivi medici. 

Si ricorre maggiormente alla conservazione di ovociti?

Sì perché il desiderio è quello di preservare la capacità di avere bambini nella donna anche dopo i quarant’anni. Nell’uomo la fertilità scende con l’età, ma molto più lentamente, per cui la conservazione atta a questo fine non viene fatta. 

Quali sono i problemi legati alla pratica della conservazione degli ovociti?

Come detto, la crioconservazione degli ovociti non è una tecnica eccezionale. E’ buona ma non eccezionale. Non c’è garanzia di successo. Non riuscire ad ottenere una gravidanza scongelando gli ovociti rientra nella normalità delle cose. Dopo una certa età aumentano anche i rischi ostetrici. Si offre la crioconservazione degli ovociti a una paziente che sta cominciando una chemio e che rimarrà sterile, si offre un’opportunità. Ma se si crioconservano gli ovociti solo perché si vogliono bambini a 40 o 50 anni, non è questa la strada. Il successo di una fecondazione in vitro in media è del 20-30%, il motivo di questa scarsa performance non è del tutto chiaro, ma va considerato quando si fanno progetti di vita. Anche il numero di ovociti che si hanno a disposizione conta.

Il rischio è quello di investire molto (sia in termini emotivi, sia in termini economici) per quella che erroneamente si crede una certezza. 

Per quanto tempo si conservano gli ovociti? C’è qualche problema di durata o di numero?

Una volta congelati, per gli ovociti gli anni non contano. Non c’è un limite di quantità per la conservazione, per ogni donna è utile in genere conservare 20-25 ovociti, considerando le percentuali di successo e i tentativi che si possono fare. 

La donazione in Italia è rimasta al palo, perché?

Attualmente in Italia si prendono ovociti soprattutto dall’estero, dalla Spagna. C’è un passo legislativo da fare per incentivare la donazione: è di fatto bloccata la possibilità di fare campagne di reclutamento che invece servirebbero a creare una cultura, come si è fatto in Spagna, dove le ragazze che studiano donano 3-4 volte in cambio di un incentivo economico, che però non è il fulcro della donazione ed è un rimborso fissato dalla legge intorno ai 900 euro. Anche il 75% dello sperma in Italia arriva da banche del seme straniere. 

Chi può utilizzare gli ovuli o lo sperma congelati?

Le stesse persone che li hanno congelati, a meno che non li abbiano donati, ma si deve fare questa scelta all’inizio, per una serie di motivi legislativi e di indagini sanitarie. Non può essere fatto a posteriori, attualmente. In Francia stanno mettendo a punto una legislazione che lo consenta. 

La fecondazione eterologa è permessa in Italia?

Sì, dopo la Legge 40/2004. La precedente ministra della Salute, Beatrice Lorenzin, l’ha inserita nei LEA (i livelli essenziali di assistenza garantiti dal servizio sanitario, ndr). Non è però permessa a coppie dello stesso sesso né a single. Ogni Regione decide quali sono i limiti di età per accedervi. In Lombardia dopo i 43 anni bisogna utilizzare il servizio privato. 

Cosa non è permesso in Italia riguardo i temi di procreazione e fecondazione assistite?

L’utilizzo degli spermatozoi post-mortem, la ricerca sugli embrioni e la maternità surrogata. 

Come si scelgono i donatori in Italia? C’è qualche opzione sulle caratteristiche?

In Italia vige l’anonimato, anche in Spagna, ecco perché importiamo i gameti da quel Paese, perché per questo tipo di procedure bisogna scegliere Stati che seguano le stesse normative. Attualmente è prevista la possibilità di scegliere un minimo di «corrispondenza» somatica: si cerca di avere lo stesso gruppo sanguigno, il colore dei capelli, degli occhi, più o meno l’altezza fisica, ma niente altro. In altri Paesi, come negli Stati Uniti, le opzioni sono più dettagliate. Non c’è una legge specifica su questo in Italia, ma da un punto di vista etico non si vuole andare oltre. E, sebbene in un centro privato una persona potrebbe chiedere qualsiasi cosa, non è una pratica utilizzata, perché va a incidere sui «dati sensibili» protetti dalla privacy e dall’anonimato, che deve rimanere garantito. 

I nati non possono sapere chi sia il genitore biologico?

In Italia no. In moltissimi altri Stati, invece, prevale il diritto del nascituro una volta diventato maggiorenne: addirittura in Australia si è deciso di togliere l’anonimato in maniera retroattiva per garantire i diritti dei nati.

Con la consulenza scientifica di Edgardo Somigliana, direttore Procreazione Medicalmente Assistita, Policlinico di Milano. 

Carlo: "La mia ex moglie posta le foto di nostra figlia sui social: posso impedirglielo?" Sabrina Orsini su La Repubblica il 9 febbraio 2022.  

Il diritto di famiglia parla chiaro: entrambi i genitori devono dare il proprio consenso alla condivisione di contenuti dei figli minori. Non solo. Per rispondere alla richiesta del nostro lettore, l'avvocatessa Sabrina Orsini solleva un altro tema: "un giorno, potrebbe essere il minore a chiedere conto del danno subìto"

Gentile Avvocato, sono un padre divorziato e vorrei sottoporre alla sua attenzione una questione che mi gira in testa ormai da parecchio tempo e che non mi pare che si stia risolvendo spontaneamente.

Sono il padre di una ragazzina che oggi ha 12 anni e che vive prevalentemente con la mamma, con la quale ha un rapporto molto stretto e quasi di amicizia, considerando che siamo stati dei genitori particolarmente giovani (quando Elisa è nata la sua mamma aveva appena 19 anni).

Le elaborazioni del "Sole24Ore" dei dati Istat sulla denatalità. La crisi delle culle, l’Italia in pieno crack demografico: “Al Sud – 40% di figli in 20 anni”. Antonio Lamorte su Il Riformista il 7 Febbraio 2022. 

L’Italia è in pieno declino demografico: la denatalità e cronica ormai, da 20 anni a questa parte. E generalizzata su tutto il territorio con picchi tra il Mezzogiorno e le isole. È quanto emerge dalle statistiche Istat degli ultimi vent’anni e le elaborazioni su base provinciale effettuate dal Sole 24 Ore del Lunedì sulla natalità nell’anno post pandemia appena concluso. Il dato nazionale, aggiornato al 2020, è di 6,8 figli ogni mille abitanti, il 27,7% in meno rispetto al 2002. L’Italia è anche il fanalino di coda dell’Europa.

Ad aprire la classifica elaborata dal quotidiano di Confindustria è la provincia Barletta Andria Trani dove il calo in vent’anni sfiora il 40%. A chiuderla la provincia di Parma: – 13%. La variazione negativa è ovunque a due cifre. Oristano la provincia dove si registra il tasso di natalità più basso: 4,6 nati ogni mille abitanti. A piazzarsi in cima alla classifica anche Enna e le altre province sarde, penalizzate dallo spopolamento. Al Nord colpite in particolare le province di Bergamo e Biella, al centro Prato e Massa Carrara.

Il 28% in meno delle nascite rispetto al 2002 vuol dire oltre 125mila figli in meno nell’arco dell’anno. Secondo i dati provvisori nel 2021 sarebbero sparite altre 10.500 culle per un totale di circa 136mila. Il solo mese di gennaio ha fatto registrare 5.000 nati in meno rispetto allo stesso mese del 2020. Dato saliente: le nascite hanno continuato a crescere fino al 2008 (anno in cui è esplosa la crisi economica) quando si è verificata la svolta in negativo. Fino al 2008 a essere interessati erano soprattutto il Mezzogiorno e le isole. Dopo il calo si è generalizzato su tutto il territorio.

Perdono culle anche le grandi città: Roma conta 6,4 nati ogni mille abitanti e una perdita del 32% sui vent’anni. Napoli supera il 32% ma il tasso di natalità è sopra la media nazionale: all’8,4. Anche a Milano, Bologna, Palermo e Catania i tassi si conservano superiori rispetto alla media. In fondo alla classifica, come si accennava, Parma preceduta da Trieste e Bolzano. A livello Europeo l’Italia è ultima per numero di nuovi nati rispetto ai residenti: il più basso dell’area euro dove la media è all’8,9.

Il calo demografico riguarda tutti i paesi (meno 14%) ma in Italia è più accentuato. Dalla crisi economica in poi soltanto l’Austria e la Germania risultano in controtendenza con una variazione positiva del 2% e del 15%. Il quotidiano pone l’accento sulle politiche di contrasto di Berlino che prevede un mix di quattro strumenti. “La combinazione tra solido investimento sulle politiche familiari (in particolare sui servizi per l’infanzia) e gestione di rilevanti flussi migratori (che hanno rafforzato la popolazione in età attiva e riproduttiva) porta le nascite tedesche ad aumentare di oltre 110mila dal 2011 al 2019, mentre nello stesso periodo l’Italia ne perde altrettante”, il commento di Alessandro Rosina.

La quota di figli di immigrati in Italia era in crescita fino al 2012: da allora è in continuo calo –  59.800 nel 2020. L’Italia è in pieno crack demografico, come evidenziato anche dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella nel discorso del giuramento: “Dobbiamo disegnare e iniziare a costruire, in questi prossimi anni, l’Italia del dopo emergenza … Un’Italia che sappia superare il declino demografico a cui l’Europa sembra condannata”. Lo scorso dicembre anche Papa Francesco aveva lanciato un appello nell’Angelus: “Parlando della famiglia, mi viene una preoccupazione vera, almeno qui in Italia: l’inverno demografico. Sembra che tanti hanno perso l’illusione di andare avanti con figli, tante coppie preferiscono rimanere senza o con uno figlio soltanto. È una tragedia. Facciamo tutto il possibile per riprendere una coscienza, per vincere questo inverno demografico che va contro le nostre famiglie, la nostra patria e il nostro futuro”.

Antonio Lamorte. Giornalista professionista. Ha frequentato studiato e si è laureato in lingue. Ha frequentato la Scuola di Giornalismo di Napoli del Suor Orsola Benincasa. Ha collaborato con l’agenzia di stampa AdnKronos. Ha scritto di sport, cultura, spettacoli.

Valentina Errante per “il Messaggero” il 4 febbraio 2022.  

Anna (il nome è di fantasia) indossava il velo e il bracciale con il Corano. Rispettava il dettato dell'Islam e per lei, che di anni ne ha 12, la mamma aveva anche trovato un marito, di dieci anni più grande.  

Un ragazzo pakistano fratello del suo nuovo compagno. Una storia di abusi e divieti, che non si consuma però all'interno di una famiglia di cultura islamica. Perché la mamma di Anna è italiana, originaria del Salento, e vive in Germania, dove si era trasferita anni fa con il papà di Anna, anche pugliese come lei. 

Dopo la separazione, la donna si è convertita all'Islam, si è sposata in Pakistan ed è tornata col nuovo marito a vivere in Germania. È stato il padre della bambina a chiedere l'intervento della Procura e del Tribunale dei minorenni e del questore di Lecce fermando i folli progetti dell'ex moglie. I giudici hanno sospeso la potestà genitoriale ala mamma della bambina e l'hanno affidata ai nonni paterni, che vivono in provincia di Lecce con gli altri due fratelli di Anna. 

Il provvedimento si basa sul concreto pericolo, valutato dai magistrati, che la bambina potesse essere portata in Pakistan per sposarsi. È stato ritenuto inoltre necessario l'intervento del questore che ha revocato il consenso all'espatrio e «congelato» la validità del passaporto della dodicenne. 

È in Germania che ha inizio la storia della promessa sposa bambina, nel Paese in cui i suoi genitori si erano trasferiti per motivi di lavoro. Dopo la separazione, la donna, alla quale sono affidati i tre figli, ha conosciuto un uomo pachistano sui social. È volata in Pakistan lo ha sposato con rito islamico.  

Il matrimonio non risulta trascritto in nessuno dei Paesi interessati. E con il nuovo marito è tornata in Germania, dove vive anche il padre dei ragazzi. È stata la notizia della promessa di matrimonio a sconvolgere l'uomo che, ha chiesto l'intervento del Tribunale, non appena la famiglia, in tempi diversi e per differenti motivazioni, si ritrovata tutta in Puglia. 

Si è rivolto a tre avvocati, attraverso i quali ha chiesto l'intervento delle autorità italiane che, dopo aver ottenuto una ricostruzione dei fatti attendibile, fondata anche sull'ascolto della piccola, hanno disposto i provvedimenti ritenuti urgenti e necessari. 

Il Tribunale per i minorenni di Lecce ha emesso un decreto di sospensione della responsabilità genitoriale della madre e ha stabilito che gli incontri con la figlia debbano avvenire soltanto in ambiente protetto.

Il questore ha bloccato il passaporto e la procura ordinaria ha avviato un'inchiesta per costrizione o induzione al matrimonio, maltrattamenti in famiglia, sottrazione e trattenimento di minore all'estero, abbandono di minore. Sono al vaglio degli inquirenti anche eventuali ipotesi di abusi sessuali. Al momento, secondo i legali che si sono occupati del caso, la ragazzina si trova nel luogo più sicuro per sé. Vive con il padre, i nonni e i due fratellini, va a scuola, ed è al riparo da ogni pericolo.

SE CHI HA SCELTO UNA VITA SENZA FIGLI NON È MINORANZA. Simonetta Sciandivasci per “La Stampa” il 19 gennaio 2022.

Il numero di Specchio in edicola ieri con La Stampa aveva un titolo forte: Questa non è una madre. È una frase che, a lungo, è stata un'accusa rivolta alle donne ritenute cattive madri (perché fumavano in casa, perché lasciavano i figli soli, perché non erano protettive, perché non smettevano di lavorare, perché non sapevano cucinare, perché divorziavano, e decine di altri perché). 

Ora è diverso: il modello unico non esiste o, se esiste, è stato picconato e discusso, in favore di nuovi modelli e, meglio ancora, di nessun modello. Ma non abbiamo scelto quella frase per discutere nuovi criteri, o ruoli: lo abbiamo fatto per affrontare un tema importante, la diminuzione delle nascite, che ha altrettanto importanti matrici, molto diverse e non sempre rappresentate nella loro diversità.

Sappiamo bene che, nel nostro paese, a voler fare bambini e a non poterne fare perché le istituzioni non aiutano, perché il lavoro, per come è strutturato, non consente che di lavorare e cenare davanti a un pc e poi stramazzare al suolo prima ancora di arrivare a letto, perché crescere un figlio ha costi da tenutari di barca ormeggiata a Saint Tropez, ci sono moltissime donne e uomini (e sottolineiamo uomini, perché se c'è una insopportabile coazione culturale, che è una pigrizia che non possiamo e non dobbiamo più permetterci, è l'idea che i figli siano soltanto delle donne).

Lo sappiamo anche grazie all'Istat, che da anni fotografa con cura tutto questo e porta avanti statistiche sociali senza le quali non potremmo orientarci, non sapremmo che paese siamo. Siamo anche consapevoli, però, che tutte queste mancanze imperdonabili, specie in un paese che chiede alle famiglie di non estinguersi, non sono le uniche ragioni per cui l'Italia registra, da anni, record di non nascite. 

Sappiamo che chi non fa figli viene spesso incolpato e (perdonate la parola abusata ma esatta) discriminato - dal discorso pubblico, dal costo della vita, dalla forma che hanno gli appartamenti, dalle porzioni delle conserve e pure dagli Angelus del Papa. In altri paesi meno inospitali del nostro per i bambini e i loro genitori, non si registra una demografia molto più florida e questo è qualcosa in cui guardare per dirci una delle molte verità che questa nuova fenomenologia ci mette davanti agli occhi. Per dirci, cioè, che esistono anche donne e uomini che non vogliono fare figli.

Prendo la parola in modo diretto, come ho fatto nel pezzo che ho scritto per Specchio: sono una di quelle persone. Posso permettermi di fare un figlio, ma non lo faccio. Ieri mi sono sentita dire, insieme a una serie di insulti ignobili ma pure insieme a molte riflessioni importanti, che non voglio un figlio perché ho 36 anni - «ne riparliamo quando ne avrai 46», che è un bel modo di dare torto al mio asfissiante ginecologo: me ne ricorderò, grazie.

Conosco trentenni, quarantenni e cinquantenni che di figli non ne vogliono neppure sentire parlare e non sono indigenti o nichilisti o cinici, né odiano questo paese. Temo siano un gruppo di persone destinato ad aumentare e che, quindi, è importante rappresentare con onestà . Il dovere di verità non ha bisogno di ragioni, ma in questo caso ce n'è una: poiché continuiamo a dire che il paese non reggerà un futuro in cui ci saranno più vecchi che giovani, significa che quel futuro sarà anche nelle mani di chi oggi non fa un bambino. Significa che dobbiamo elaborare modi di prosperare non più basati sulla procreazione di tutti i cittadini. Vogliamo coinvolgere i nostri lettori e chi scrive su questo giornale in una riflessione lunga e libera su tutto questo. Se viva, noi siamo qui. 

I NOSTRI BAMBINI SONO IL FUTURO A TE, SIMONETTA, IL MONDO NON PIACE? Assia Neumann Dayan per “La Stampa” il 19 gennaio 2022.  

Cara Simonetta ti scrivo, come se fossi Istat. Ti scrivo anche se sei minoranza, sai, noi mamme abbiamo il cuore grande e stiamo in pensiero per tutti. Nel tuo pezzo di ieri su Specchio parlavi del tuo non volere figli, o meglio, ti sei seduta sulla riva del fiume ad aspettare che noi commentatori, noi Istat, noi madri e non madri e tutte le sfumature che la modernità richiede, passassimo tra i giunchi.

Può essere poco elegante scrivere su un giornale e citare un articolo di ieri dello stesso giornale, ma con le buone maniere nessuno ha mai pagato il mutuo, o quantomeno la fibra veloce. Ho letto, ammetto molto divertita, le centinaia di commenti sui social al tuo articolo, che si dividono in diversi sottoinsiemi del grande diagramma di Venn del "adesso dico la mia", per poi unirsi in un grande cerchio d'intersezione: quello del "sì, però". Avranno letto il tuo articolo o solo guardato il video? Come sia, come non sia, leggo che tutti hanno di base molto a cuore l'estinzione del genere umano. E la pensione.

Cara Simonetta, perché non ci hai pensato? Perché non hai riflettuto sul fatto che se tutti la pensassero come te il mondo finirebbe? Non ti piace il mondo? Scrivi su una testata nazionale, suvvia, e hai deciso di fare un manifesto sulle gioie della non maternità, non ti sembra una pessima idea, non pensi ai giovani che potrebbero prenderti come esempio? Esiste una parola per definire una non madre? Donna? Nullipara? Beata lei?

Ci sono dei commenti splendidi, ma splendidi davvero, dove si insinua che, insomma, prima o poi sarai vecchia anche tu cara la mia Simonetta, e avrai bisogno di un/una badante: pensa tu la comodità di averne uno/una gratuitamente, nuda proprietà, testamento oleografo a seguire in cambio di cure, pensa tu come un figlio ti può tornare utile. Un signore commenta: «Vorrei suggerirgli che fare figli non dovrebbe servire solo alla società ma anche a se stessi... è un atto egoistico volerli avere, non volerli avere... ci serve per avere una buona vecchiaia.

Forse in questo delirio di eterna giovinezza non ci si rende più conto che a un certo punto il nostro corpo cede e avere delle persone che cercano di aiutarti in questo periodo della vita è fondamentale, specialmente se con un legame forte genitoriale. Per quanto mi riguarda non volere figli non è un atto egoistico, ma solo una esigenza per credere di non invecchiare perciò è una fuga dalla realtà (...).magari verremo sostituiti da una società robotica (...) chissà forse questa signora sta prevedendo il futuro». Scusa Simonetta, ma questo commento visionario mi sembra più lucido di qualunque cosa abbia mai letto sull'argomento.

Poi a commento di un commento c'è l'immancabile riflessione sui cani e sui bambini, e tu, cara Simonetta, ce l'hai un cane? O nemmeno i cani vanno bene? Una signora scrive: "Mi viene da portare un confronto: avere un figlio o un cane. Il figlio ti può deludere, tradire, ma il suo disamore per te è motivato, consapevole e dipende dall'amore che è circolato tra voi, non dalle crocchette che gli hai dato". 

Ora, secondo me dipende anche dal numero di pacchetti di figurine che gli hai comprato nella vita, e sono sicura di non sbagliarmi. Una signora giustamente risponde: «Conosco una signora 85enne con la vita rovinata del figlio cocainomane e pensare che lei lo ha amato sempre tanto».

Forse le figurine non erano l'esempio più preciso. Cara Simonetta, tu dici di appartenere a «un misero 5 per cento», a «una florida e talvolta felice minoranza di donne che non fanno figli perché non vogliono», parli di «persecuzioni socioculturali», dici che se Mario Draghi ti portasse in dono «un milione di euro in contanti» (Simonetta, che cos' hai contro i bonifici? Forse è perché non sei madre?) per prenderti cura di un bambino declineresti l'offerta. Presidente Draghi, noi madri accettiamo anche il pos, non faccia complimenti. 

Certo, ci sono commenti di appoggio, perlomeno in apparenza: «Ed è una scelta legittima e da rispettare! Ma ancora si ha la necessità di doverlo ribadire, sapendo che la mentalità comune, in parte, contrasterà questo pensiero. Noi siamo ancora culturalmente eredi dell'angelo del focolare, in questo paese, ahimè! Chi sceglie di fare figli non è migliore di chi sceglie di non farli!». 69 "mi piace" cara Simonetta, fai tu, più o meno come il tuo 5 per cento.

Cara Simonetta, adesso le mamme vengono ascoltate e lette con curiosità grazie a una tragedia di dimensioni mondiali, grazie a un disastro sanitario e umano, grazie ad una pandemia: raccontano le loro giornate, monetizzano, sponsorizzano, scrivono manuali, ma ora dimmi, cara Simonetta, ci hai pensato alla noia di una rubrica con i racconti quotidiani di una non mamma in quanto tale?

Cosa ci raccontate? I libri che avete tempo di leggere? Le mostre che avete tempo di andare a vedere? Il tempo libero di cui usufruite con arroganza? «Cari lettori, oggi non ho portato il bambino a scuola non perché è in Dad, ma perché non ho nessun bambino»: no Simonetta, così non credo tu possa vincere il Pulitzer, te lo dico con grande affetto e con grande stima.

Quello che penso io sul non volere figli è questo: non lo comprendo, perché un figlio ce l'ho, e questo esclude qualsiasi pensiero diverso dal mio. Avere un figlio ha molto più a che fare con la paura della morte che con la vita, o con la pensione, e ogni riflessione mi sembra legittima, e fragile. Cara Simonetta, scusa ma ora devo proprio andare, devo comprare qualche pacchetto di figurine, preparare la cena, e vincere il Pulitzer.

Elena Marisol Brandolini per “il Messaggero” l'8 gennaio 2022. Ci sono voluti oltre 25 anni prima che un giudice aprisse un processo penale contro l'ex-dittatore peruviano Alberto Fujimori, con l'accusa di avere costretto alla sterilizzazione migliaia di persone, la stragrande maggioranza donne, nel corso del suo mandato presidenziale.  

Il rinvio a giudizio è stato infatti deciso dal magistrato Rafael Martínez nell'ultima sessione del procedimento che si è concluso lo scorso dicembre. L'ex presidente è ritenuto responsabile del «reato contro la vita il corpo e la salute, lesioni gravi, seguite dalla morte in un contesto di grave violazione dei diritti umani». 

Nella sua sentenza, Martínez ha annunciato che co-imputati nel processo saranno anche gli ex-tre ministri della Sanità nominati durante l'amministrazione Fujimori (dal 1990 al 2000), Yong Motta, Marino Costa Bauer e Alejandro Aguinaga.  

Attualmente Fujimori, di 83 anni, sta scontando una pena di 25 anni a lui inflitta nel 2009 per un reato di lesa umanità come autore dell'assassinio di 25 persone, tra cui vari studenti universitari e un bambino, nelle stragi dei primi anni Novanta commesse dal Grupo Colina, un distaccamento militare voluto dal suo governo per combattere il terrorismo. 

L'ex-presidente fu arrestato in Cile nel 2005 e quindi estradato in Perù. Perciò, perché questo nuovo processo penale contro di lui possa avere inizio, la Corte Suprema de Justicia cilena deve prima procedere ad ampliare l'ambito della sua estradizione. La sterilizzazione forzata fu una strategia di controllo delle nascite utilizzata alla fine del secolo scorso dall'amministrazione Fujimori per combattere la povertà del paese.  

Applicata nei confronti dei settori sociali con scarse risorse economiche, incluse alcune comunità indigene del Paese, si dipanò negli anni tra il 1996 e il 2000 con l'organizzazione di veri e propri festival della salute, per obbligare le persone alla sterilizzazione attraverso l'inganno e il ricatto. 

Così almeno 1.300 donne furono costrette a subire un'operazione chirurgica di chiusura delle tube nell'ambito del Programma di Salute Riproduttiva e Pianificazione Familiare. Ma, secondo dati del ministero della Sanità, durante questo periodo, si sarebbero realizzate oltre 340.000 chiusure delle tube e 24.000 vasectomie e si calcola che almeno 180.000 di queste furono forzate e perciò in violazione dei diritti umani. 

L'intimidazione era rivolta anche ai funzionari del ministero della Sanità che rischiavano il licenziamento o venivano estromessi da alcune gratifiche se non avessero raggiunto una quota mensile di sterilizzazioni. Il ministero della Giustizia e dei Diritti Umani ha aperto dal 2016 un Registro di Vittime delle Sterilizzazioni Forzate. 

Delle 8.000 vittime che vi figurano, solo 2.000 hanno denunciato di essere state sterilizzate forzatamente, si tratta per lo più di donne povere, andine, indigene di lingua quechua; di queste, oltre 1.300 subirono gravi lesioni e almeno cinque persero la vita per successive complicazioni. 

Come la giovane Mamérita Mestanza, costretta a sottoporsi alla sterilizzazione e morta a 33 anni per un'infezione, convertitasi perciò in un simbolo della lotta. Le vittime sono riunite nella Asociaciación de Mujeres Peruanas Afectadas por las Esterilizaciones Forzadas, diretta da una delle prime denuncianti, Rute Zúñiga, María Esther Mogollón ne è la portavoce. 

Ora aspettano che si faccia finalmente giustizia, perché nel passato l'indagine è stata più volte archiviata. Nessuno dei cinque presidenti che hanno governato dopo Fujimori ha voluto farsi carico del problema. Mogollón spera che il neo-presidente Pedro Castillo, eletto nel luglio scorso, sia coerente con la solidarietà espressa in campagna elettorale alle sopravvissute. 

(ANSA il 5 gennaio 2022) Il Papa chiede alle istituzioni di semplificare l'iter per le adozioni. "Non bisogna avere paura di scegliere la via dell'adozione, di assumere il 'rischio' dell'accoglienza". "Auspico che le istituzioni siano sempre pronte ad aiutare in questo senso dell'adozione, vigilando con serietà ma anche semplificando l'iter necessario perché possa realizzarsi il sogno di tanti piccoli che hanno bisogno di una famiglia, e di tanti sposi che desiderano donarsi nell'amore", ha detto nell'udienza generale, proseguendo le catechesi su san Giuseppe, oggi focalizzando sull'aspetto di "padre putativo" di Gesù. Il Papa è tornato anche a parlare dell' "inverno demografico": "Tante coppie non hanno figli perché non vogliono, o uno e non di più" ma hanno "cani e gatti che occupano il posto dei figli". "Questo negare la maternità e la paternità vi diminuisce, ci toglie umanità, la civiltà diviene più vecchia e senza umanità perché si perde la ricchezza della paternità e della maternità. E soffre la patria che non ha figli". "Chiedo a San Giuseppe - ha proseguito - la grazie di svegliare le coscienze e pensare a questo: avere figli, la maternità e la paternità è la pienezza della vita di una persona". Generare figli o adottare "è un rischio ma più rischioso è non averne, negare la maternità e la paternità". "Un uomo che non sviluppa il senso della maternità gli manca qualcosa". Infine Papa Francesco ha sottolineato che "viviamo in un'epoca di orfanità", "la nostra civiltà è un po' orfana, si sente questa orfanità". Il Papa ha invocato l'aiuto di San Giuseppe, "per risolvere il senso di orfanità che oggi ci fa tanto male". (ANSA).

Papa Francesco nel mirino delle femministe: "L'utero è nostro. E i soldi pure". Accuse da brividi al Pontefice. Gianluca Veneziani su Libero Quotidiano l'8 gennaio 2022.

Dio salvi il Papa da animalisti e femministe e lui magari smetta di vezzeggiare quel mondo a tinte verdi, rosa e rosse che ufficialmente lo esalta, ma poi alla prima occasione buona lo scarica. I primi a farlo sono stati gli animalisti, dopo l'affondo di Bergoglio contro i cani e i gatti che prendono il posto dei figli in molte famiglie, di fatto limitando la natalità. Associazioni di settore e utenti social non l'hanno presa benissimo, dicendogliene quattro in modo papale papale. L'accusa più ricorrente riguardava la scarsa «competenza» di Francesco sul tema: a che titolo, era l'obiezione, il Papa parla di figli, visto che lui come tutti i consacrati non può averne? Significativo quello che scriveva ad esempio l'Enpa, l'Ente Nazionale per la Protezione degli Animali: «Santità, guardi alla Chiesa che alleva eserciti di suore e preti votati alla non riproduzione e che in genere sono ostili agli animali!». Alcuni commentatori sui social andavano giù ancora più pesanti, mettendo addirittura in relazione l'appello della Chiesa alla riproduzione con l'interesse di certi preti perla pedofilia. Né bastava a salvare Francesco dalla valanga di commenti negativi la sua patente di devoto dell'ambientalismo, di "gretino sacro", come qualche detrattore lo definisce.

CONTRADDIZIONI

Anzi, molti gli facevano notare la contraddizione tra l'esigenza di salvare il pianeta e il suo invito a figliare. «Perché fare figli se il mondo rischia di finire in pochi anni per colpa del cambiamento climatico?», si chiedeva provocatoriamente un'utente. La sovrappopolazione, insomma, farebbe più danni che benefici alla Terra... Ma non solo gli animalisti hanno accolto con sospetto le parole di Francesco. Molto infastidite sono state anche le femministe, sostenendo di avere avuto conferma dell'atteggiamento sessista e patriarcale della Chiesa. L'allarme lanciato dal pontefice per cui «tante coppie non hanno figli perché non vogliono» e il conseguente appello alla natalità sono stati letti come un riduzionismo delle donne al ruolo di madre e una violazione della loro autodeterminazione. Si leggevano così sui social reazioni indignate in stile slogan anni '70 tipo «L'utero è mio e i soldi pure: se non voglio figli e voglio spendere il mio stipendio in cibo per animali non deve interessare a nessun altro», «Francè, il giorno che avrai un utero, potrai parlare», «Ma una donna potrà scegliere di fare quello che vuole e di vivere come crede?».

OLTRAGGIO A DIO

Del restò già l'Angelus di Capodanno del Papa contro la violenza sulle donne, da lui definita «un oltraggio a Dio», era stato criticato dal mondo femminista e accusato di ipocrisia. Il pontefice, si poteva leggere ad esempio su blitzquotidiano.it, è tanto bravo a condannare la discriminazione delle donne, ma è il primo a praticarla, in quanto impedisce loro di accedere al sacerdozio. La tesi era stata portata avanti anche dalla rivista femminista tedesca Emma, che aveva nominato Papa Francesco «misogino dell'anno 2021» perché, per usare le parole della pastora valdese Letizia Tomassone, «è a capo di una struttura religiosa patriarcale e verticistica che pratica un apartheid di genere» e «alimenta una ideologia antiabortista che porta milioni di donne a morire di aborti clandestini». Ancora una volta, insomma, invitare a fare figli anziché a sopprimerli prima della nascita vuol dire essere sessisti. Queste reazioni scomposte alle sue frasi dovrebbero fungere da lezione pastorale per Francesco. 

LEZIONE PASTORALE

Ogniqualvolta lui segue il magistero e proclama messaggi pro-life e pro-family, come è giusto e naturale, anzi soprannaturale, che faccia un Papa, quando insomma non obbedisce al Vangelo politicamente corretto e non pronuncia frasi sui migranti, l'ambiente e contro il capitalismo, tutti i corifei di sinistra che di solito lo inneggiano improvvisamente lo rinnegano tre volte. Stia attento perciò Bergoglio a non farsi sedurre da certi applausi facili di un mondo lontano dalla Chiesa; si rivolga piuttosto ai vicini che, in questi tempi bui, hanno tanto bisogno di un pastore. Ché le pecorelle smarrite necessitano di molta più cura rispetto a cani e gatti... 

Vittorio Feltri contro Papa Bergoglio: "Roba odiosa, e ti chiami Francesco?". A valanga. Vittorio Feltri su Libero Quotidiano il 06 gennaio 2022.

 Il nostro Papa spesso dice cose sorprendenti, per usare un termine gentile, e ciò nonostante risulta simpatico e spesso è piacevole sentirlo parlare. Ma qualche volta, anche se non lo critichiamo per una forma di rispetto, ci lascia quantomeno perplessi. Ieri per esempio ne ha detta una talmente grossa che non la salta neppure un cavallo. Egli, quale premessa al suo ennesimo discorso, ha sostenuto che bisogna aiutare i bambini in difficoltà e, se del caso, occorre adottarli per garantire loro un futuro sereno, una esistenza scevra di sofferenze. Fin qui come si fa a non essere d'accordo con Bergoglio?

Ma c'è un seguito. Il Santo Padre nella foga della sua dissertazione si è lasciato andare a una considerazione inaccettabile. Rivolgendosi a tutti noi ha raccomandato: basta prendere in casa cani e gatti, serve provvedere a curare bimbi e bimbe, assicurando loro un focolare domestico in grado di garantire ad essi una crescita felice. Mi domando in che cosa consista il contrasto tra gli animali domestici e l'accoglienza di una creatura umana rimasta orfana. A me risulta, in base alla esperienza, che si possano ospitare nella propria magione sia dei fanciulli sia dei mici e dei botoli, tutto ciò senza problemi.

Difficilmente chi non ama le bestie riesce ad amare un figlio, specialmente se adottivo. Io e mia moglie abbiamo avuto quattro eredi e il quinto lo abbiamo accolto e ancora oggi che ha oltre 50 anni lo invitiamo al nostro desco, nessun sacrificio. Al tempo stesso nella abitazione che abbiamo acquistato c'è sempre stato posto anche per cani e gatti e perfino per una lumaca. Infine, ricordiamo al Papa che si chiama Francesco, il nome del santo che più di ogni altro aveva grande amore per le bestie, addirittura per un lupo che egli provvide a sfamare e a rendere mansueto. Caro Bergoglio perdoni se l'abbiamo colta in contraddizione, se le capita l'occasione chieda scusa per aver attaccato i "gattolici" praticanti e i cinofili i quali hanno sperimentato che chi miagola e chi abbaia ha delle connotazioni simili a quelle di un pargoletto. O si amano le creature di Dio o non si amano. Le ami anche lei senza fare odiose distinzioni.

Da ANSA il 3 gennaio 2021. Un neonato è stato trovato vivo, abbandonato appena partorito, nel contenitore dei rifiuti di una toilette di un aereo di linea dopo l'atterraggio alle isole Mauritius. Una donna di 20 anni che l'avrebbe partorito durante il volo dal Madagascar è ora piantonata in ospedale. Madre e figlio sono entrambi in buone condizioni di salute, fanno sapere le autorità aeroportuali delle Mauritius. 

Il neonato - scrive la Bbc - è stato trovato per caso dallo staff dell'aeroporto, salito a bordo dell'aereo della Air Mauritius per un controllo doganale, i cui addetti hanno notato nella toilette carta igienica macchiata abbondantemente di sangue. Il neonato è stato quindi trasferito d'urgenza in ospedale.

La donna, una cittadina malgascia arrivata nell'arcipelago per un contratto di lavoro di due anni, è stata fermata, ma ha negato di essere la madre. Controlli medici compiuti in ospedale hanno invece accertato che aveva appena partorito. Una volta terminati gli accertamenti medici, la donna sarà incriminata per abbandono di neonato.

·        Mai dire…Padre.

«C’è una paternità vissuta soprattutto come assenza, come molte volte accade nelle famiglie di oggi». Lisa Ginzburg su La Gazzetta del Mezzogiorno il 03 Dicembre 2022

In una scuola media cittadina, la professoressa di Lettere ha la buona idea di coinvolgere i genitori degli studenti invitandoli ad andare nelle classi a raccontare la loro professione. Un’ora a disposizione durante la quale dire come si lavora, di cosa esattamente si compone l’attività quotidiana, come si è arrivati a quel determinato mestiere, se lo si ama o no, sino a che punto è una strada che ci si sente di consigliare ai ragazzi. Nobile iniziativa, per come si propone di avvicinare questi ultimi al mondo del lavoro, un mondo per anagrafe ancora distante, percepito in modo vago, e spesso (troppo spesso) prospettato a tinte fosche, come via via più inarrivabile, di difficilissima conquista. Anche, per converso, giusta iniziativa nel suo tentativo di aprire ai genitori le porte della scuola, quello spazio dove i figli consumano tanta parte del loro tempo e che molte volte resta sconosciuto, quello pure vago, indefinito.

A tre mesi dal lancio dell’iniziativa, hanno risposto solo madri. Madri che sono andate di persona, con entusiasmo, passione, con calore raccontando il loro lavoro, trasmettendo ai ragazzi le loro mansioni professionali, e le la loro passione, le possibilità, gli orizzonti. Non un solo padre: non uno. Non un solo maschio adulto che abbia colto l’importanza della proposta avanzata dall’insegnante, non uno che come genitore si sia sentito in dovere (o che abbia presagito il piacere, le due cose non sono così lontane) di aderire, con generosità e presenza condividere qualcosa della propria vita professionale.

Personalmente, trovo la notizia desolante: racconta di una paternità vissuta soprattutto come assenza, come spessissimo accade nelle famiglie italiane odierne. Eppure siamo nel 2022, in un presente che dovrebbe avere ragionato e masticato molto della questione delle pari «opportunità» anche nel senso di pari responsabilità. Qualcosa si è fatto per fare evolvere la paternità, favorire una maggiore consapevolezza degli uomini nel senso di loro assunzione di responsabilità anche emotiva del loro mettere al mondo i figli, allevarli, seguirli? Qualcosa si sarà fatto sì, ma certo non abbastanza, se il mondo della scuola ancora è visto «cosa da mamme».

Si potrebbe vedere un dato positivo nel fatto che le tante madri che sono andate nella scuola a raccontarsi sono donne che lavorano; ovvero, in altri tempi stessa iniziativa non avrebbe visto aderire nessuno, né i padri assenti e disattenti, né le madri perché casalinghe. Nonostante il felice palmare incremento della professionalità al femminile, resta un elemento retrivo e antiquato in questa spartizione di ruoli. Resta un risultato malinconico quello ottenuto dalla solerte insegnante che ha visto venire nelle sue classi solo ed esclusivamente mamme, angeli del focolare, angeli tuttofare. Tra le molte cose che l’educazione sentimentale collettiva vorrebbe ampliata e approfondita, c’è una riflessione sul maschile anche nel senso della paternità. Essere padri non è solo portare denaro a casa e sornioni guardare «lei», la Mamma, prodigarsi per i figli e seguire di loro ogni aspetto della vita. Oppure, se ci si separa, essere figure sole o accompagnate da nuove compagne, figure pronte ad e accogliere non senza impaccio gli stessi figli per i fine settimana, vacanze o altro tempo stabilito magari in tribunale. Essere padri è anche e soprattutto essere persone, esattamente come le madri. Persone adulte che si mettono in gioco, raccontando ai figli che cosa è la loro vita, come l’hanno costruita; e che si lasciano coinvolgere dalla vita dei loro figli, senza ritenere che andare nella loro scuola e passarci un’ora del loro tempo significhi sprecare quel tempo. La parità incomincia da un umile sentirsi uguali: padri, madri, tutti adulti e tutti nella stessa barca, lungo l’impervio, meraviglioso cammino del crescere dei figli.

Come siamo drammaticamente indietro su questo fronte, in Italia. Piccole notizie come questa che riporto bastano a confermarlo. Drammaticamente indietro rispetto ad altri Paesi europei e del mondo, ma drammaticamente indietro prima ancora rispetto al tempo della Storia. Un tempo che corre , nostro malgrado va avanti e ci vuole (ci vorrebbe) sempre più umani, in maturazione, spinti da un inesausto desiderio di crescere, migliorarci, cambiare, metterci in discussione. La parità tra i generi, quella pure dovrebb’essere portata nella scuola come oggetto di insegnamento e riflessione da condividere e affrontare con i ragazzi. Padri e madri non si nasce, non si nasce «imparati»: ci vogliono tanta umiltà e tantissima attenzione per apprendere a esserlo al meglio. Rimboccarsi le maniche sapendo che in primo luogo, oltre al saper provvedere materialmente al benessere dei figli, dobbiamo saper mostrare loro gli adulti che siamo, che abbiamo saputo diventare. Con massima onestà: e più saremo onesti, e veri, più loro ci capiranno e sapranno apprezzarci. I padri siano padri, lasciati polverosi schemi del passato, e abbracciando la novità del diventare umani. Tanto, tanto più umani.

Da "Il Messaggero" il 25 novembre 2022.

Un nuovo anticoncezionale maschile verrà testato sugli uomini per la prima volta in Australia. L'innovativo metodo contraccettivo consiste nell'iniezione di un idrogel che impedisce al liquido seminale di raggiungere l'esterno. I test condotti dai ricercatori dell'Epworth Freemasons di Melbourne indicano che gli effetti del nuovo sistema anticoncezionale durano circa 2 anni e che non hanno significativi effetti collaterali. 

«Il nuovo contraccettivo potrebbe portare finalmente a una parità nella responsabilità della contraccezione tra uomini e donne» commenta Alessandro Palmieri, presidente della Società Italiana di Andrologia.

«La procedura - spiega Ilaria Ortensi, del Comitato esecutivo SIA e seminologa - consiste nell'iniezione di un idrogel nei vasi deferenti, l'ultimo tratto del tubicino' che il liquido seminale attraversa per raggiungere l'esterno. È importante assicurarsi che l'ostruzione non aumenti il rischio infezioni batteriche.

DAGONEWS il 16 novembre 2022.

I ricercatori hanno avvertito che gli esseri umani potrebbero andare incontro a una crisi riproduttiva se non si dovesse intervenire per contrastare il calo del numero di spermatozoi, dopo aver scoperto che il tasso di declino sta accelerando. 

Uno studio pubblicato sulla rivista “Human Reproduction Update”, basato su 153 uomini, suggerisce che la concentrazione media di spermatozoi è scesa da 101,2 milioni per ml a 49,0 milioni per ml tra il 1973 e il 2018, con un calo del 51,6%. Nello stesso periodo il numero totale di spermatozoi è diminuito del 62,3%.

Una ricerca dello stesso team del 2017 ha rilevato che la concentrazione di spermatozoi si è più che dimezzata negli ultimi 40 anni. All'epoca, tuttavia, la mancanza di dati relativi ad altre parti del mondo aveva fatto sì che i risultati si concentrassero su una regione che comprendeva Europa, Nord America e Australia. L'ultimo studio include dati più recenti provenienti da 53 Paesi. 

Il calo della concentrazione di spermatozoi è stato osservato non solo nella regione precedentemente studiata, ma anche in America centrale e meridionale, Africa e Asia.

Inoltre, il tasso di declino sembra essere in aumento: esaminando i dati raccolti in tutti i continenti a partire dal 1972, i ricercatori hanno scoperto che le concentrazioni di sperma sono diminuite dell'1,16% all'anno. Tuttavia, esaminando solo i dati raccolti a partire dal 2000, il calo è stato del 2,64% all'anno.

Studi precedenti hanno rivelato che la fertilità è compromessa se la concentrazione di spermatozoi scende al di sotto di circa 40 milioni per ml.

Sebbene non sia chiaro cosa possa essere alla base di questa apparente tendenza, un'ipotesi è che le sostanze chimiche che alterano il sistema endocrino o altri fattori ambientali possano svolgere un ruolo, agendo sul feto nel grembo materno. Gli esperti sostengono che anche fattori come il fumo, l'alcol, l'obesità e un'alimentazione scorretta potrebbero avere un ruolo. Uno stile di vita sano potrebbe contribuire ad aumentare il numero di spermatozoi.

Il professore Richard Sharpe, esperto di salute riproduttiva maschile presso l'Università di Edimburgo, ha affermato che i nuovi dati mostrano che la tendenza sembra essere un fenomeno mondiale.

Maria Vittoria Prest per blitzquotidiano.it l’8 novembre 2022.

Si tratta di “un caso su un milione”. I medici la chiamano superfecondazione eteropaternale. Ci sono solo circa 20 altri casi al mondo. Due padri diversi per due gemelli partoriti da una brasiliana di 19 anni il cui nome non è stato reso noto che ha dichiarato di aver fatto sesso con due uomini nello stesso giorno. 

La giovane di Minerios, nel Goias, Brasile, ha spiegato di aver fatto un test di paternità perché voleva conferme su chi fosse il padre. Conferma, che arriva però per uno solo dei gemelli.

A questo punto la donna si è ricordata di aver fatto sesso con un altro uomo lo stesso giorno e quando questa seconda persona ha fatto il test, è risultato essere il padre del secondo gemello. Il fenomeno è scientificamente denominato superfecondazione eteropaternale. 

Parlando al Globo, il suo medico Tulio Jorge Franco ha spiegato: “È possibile che si verifichi quando due ovuli della stessa madre vengono fecondati da uomini diversi. I bambini condividono il materiale genetico della madre, ma crescono in placente diverse”.

Ha sottolineato, però, che si tratta di un caso estremamente raro, una situazione “su un milione” e che ci sono solo circa 20 altri casi al mondo in cui ciò è accaduto. 

I media locali hanno riferito che i bambini hanno ora 16 mesi ma il dottor Franco ha parlato del caso solo questa settimana. Solo uno dei padri si occupa di entrambi i bambini, dando sostegno alla madre.

Ilaria Sacchettoni per il “Corriere della Sera – ed. Roma” il 15 ottobre 2022.

Un divorzio sfociato in desolante esperienza affettiva fotografa la straordinaria capacità di finzione individuale ma anche le strettoie giuridiche attraverso le quali deve passare un magistrato che voglia sul serio fare giustizia. Così, tra i casi approdati di recente davanti a un gip del Tribunale di Roma, questo è forse il più significativo. 

 Una coppia che definiremo alto borghese, manager pubblico lui, dipendente di un'alta istituzione lei, si innamora e si sposa. I due hanno un bambino che chiameremo Paolo, tirato su con affetto, dedizione, senso di responsabilità. Il tempo scorre e al ragazzo vengono concesse attenzioni importanti, fa sport, riceve un'istruzione raffinata, coltiva i suoi hobby.

Nel frattempo, un giorno dopo l'altro, l'amore finisce, la coppia si logora, matura la volontà di divorziare, le strade si separano e al culmine di liti, insulti e ripicche deflagra la rivelazione di lei: Paolo non è il figlio biologico del manager pubblico, suo legittimo marito, bensì di un amante rimasto per anni in silenziosa oscurità come in una trama ottocentesca elaborata per denunciare dolorose ipocrisie e tormenti di coppia. 

La verità viene a galla amara eppure, a suo modo, salutare. Lui affronta la realtà. La grande menzogna, giura la moglie, è stata perpetrata per anni in modo da assicurare al figlio tutti i privilegi di un'esistenza confortevole e sicura. E la finzione imposta al vero padre? E i sentimenti sviluppati dal ragazzo verso il suo padre «legale»? Tutti argomenti passati in cavalleria per oltre un decennio. Il marito è in un angolo e tenta di uscirne a suo modo.

Per prima cosa revoca al figlio la podestà genitoriale (con dolore può darsi) quindi denuncia la sua ex alla magistratura. Di nuovo una separazione che approda nelle aule di un Tribunale con il suo carico doloroso. 

Qui però la storia si complica e il pm si trova di fronte a un dilemma: esercitare l'azione penale pur sapendo che rischia di separare un adolescente da sua madre dopo che ha già perso il padre. Non è un nodo facile da sciogliere. La donna è iscritta sul registro degli indagati per falso in stato civile. La menzogna perpetrata per anni ha avuto il suo punto di partenza nell'atto che reca la sua firma nel quale si dichiara la paternità del ragazzo. Un falso. Si rischiano fino a due anni di carcere.

La signora, assistita da un avvocato con una clientela significativa, viene ascoltata dal pm che ha effettuato l'indagine. Ma la sua difesa risulta fragile. La volontà di proteggere il minore, di assicurargli una collocazione sociale elevata non può giustificare l'illecito commesso. Il magistrato decide di chiedere il processo per la donna. L'ex marito invece si costituirà parte civile. Con lui l'altra vittima delle presunte simulazioni materne, il ragazzo con due padri e nessun padre .

Sterilità, "sperma quasi compromesso": lo studio, un grosso rischio per l'umanità. Libero Quotidiano il 18 aprile 2022.

L'inquinamento chimico starebbe riducendo drasticamente la fertilità umana. Il numero di spermatozoi vitali contenuti nel seme dei maschi starebbe diminuendo sempre di più. Basti pensare che nei Paesi industriali questo dato è sceso dai 99 milioni per millilitro del 1973 ai 45 milioni del 2017, obbero a un passo dalla soglia di infertilità, che si attesta invece intorno ai 40 milioni per millilitro. Questa tesi sconvolgente è emersa dal saggio "CountDown", scritto dalla ricercatrice  Shanna H. Swan insieme alla giornalista Stacey Colino, e citato dal Venerdì di Repubblica.

"Il problema si è tanto aggravato che ormai la metà degli interventi di fecondazione assistita riguardano l'infertilità maschile, mentre le banche dello sperma cominciano ad avere difficoltà a trovare donatori con seme di qualità", ha spiegato la Swan. Secondo lei, "il vero nemico è tutto intorno a noi, nella plastica, la moquette, il cibo, le pentole e i prodotti per l'igiene e i cosmetici che ci circondano. Tutti contengono sostanze in grado di interferire con la funzione riproduttiva, come gli ftalati nelle plastiche, il bisfenolo A nelle bottiglie in Pet, i pesticidi in frutta e verdura, i rivestimenti antiaderenti nelle pentole, i ritardanti di fiamma al bromo dei tessuti, e così via".

Questo attacco chimico alla riproduzione umana sta già avendo delle conseguenze: una di queste è la costante crescita nell'uso delle tecniche di fecondazione assistita. In Italia, per esempio, si è passati dai 26 mila tentativi del 2005 ai 99 mila del 2019, mentre negli Usa vi ricorre ormai una coppia su otto. "Questa crescente difficoltà a procreare senza un aiuto medico giustifica l'allarme che vogliamo lanciare con questo libro - contina Swan -. Stiamo rischiando un crollo della capacità riproduttiva della nostra specie, che potrebbe in futuro provocare gravi problemi sociali ed economici, scenari tipo la società distopica de 'Il racconto dell'ancella', dove la rarità dei bambini ha reso le donne schiave".

Diventare padri: tutto quello che c’è da sapere su gravidanza e parto. Chiara Daina su Il Corriere della Sera l'8 aprile 2022.

Incontri di accompagnamento alla nascita, visite mediche durante la gestazione e controlli non sono più appannaggio esclusivo delle mamme. I papà vogliono esserci.

Anche i padri aspettano un figlio. E hanno quindi il diritto di essere coinvolti in tutto il percorso della gravidanza fino alla nascita del bambino. «Purtroppo stando ai dati che abbiamo raccolto da alcune Regioni l a presenza del padre in sala parto, inizialmente limitata per effetto delle misure anti-Covid, non è più tornata ai livelli raggiunti pre-pandemia nonostante le evidenze scientifiche raccomandino la sua partecipazione accanto alla mamma» spiega Angela Giusti, ricercatrice dell’Istituto superiore di sanità (Iss).

Trattati da spettatori

Durante la degenza in ospedale per la nascita i papà non vanno trattati da spettatori. «Sono di diritto dei caregiver — sottolinea Giusti —. In generale ogni volta che i genitori entrano in contatto con i servizi sanitari, per gli incontri di accompagnamento alla nascita, per le visite in gravidanza e nel dopo parto, ai padri deve essere garantita la possibilità di partecipare in giorni e orari compatibili con i loro impegni di lavoro. In questo senso lo smart working e l’offerta di corsi preparto online hanno permesso a molti più papà di esserci». Giusti è la responsabile scientifica per l’Iss del progetto «Parent», finanziato dalla Commissione europa per promuovere il ruolo di cura paterno e prevenire la violenza maschile. Al progetto, durato dal 2019 al 2021, hanno preso parte Italia, Portogallo, Austria, Lituania. Da noi è stato coordinato dall’associazione «Cerchio degli uomini», per conto del network «Il giardino dei padri» (che comprende altre cinque organizzazioni che si occupano di identità maschile e contrasto alla violenza di genere), e ha previsto la formazione di 129 tra ostetriche, infermieri, pediatri e neonatologi, dell’Ausl di Reggio Emilia, Asl Roma 2, Asl Torino 4 e Asl Città di Torino.

Le stesse domande ad entrambi i genitori

«Tutto quello che viene proposto alla madre vale anche per il padre, tranne gli esami clinici», sottolinea Alessandro Volta, direttore del programma Materno infantile dell’Azienda sanitaria reggiana e formatore del corso. «Gli operatori sanitari devono rivolgere al padre le stesse domande che fanno alla madre. Se fuma, se fa sport, se ha malattie pregresse, problemi di dipendenza, se mangia sano, se il figlio è desiderato, se ha dubbi e paure sul rischio di aborto e malformazioni. Se è assente, va comunque chiesto che cosa ne pensa e gli va recapitato del materiale informativo sullo stile di vita da seguire. Il papà può contribuire a evitare abitudini dannose per la mamma e lo sviluppo del feto».

Raccomandati i corsi preparto di coppia. «Troppo spesso sono riservati alle donne e solo un paio di incontri sono aperti agli uomini. Sebbene servano molto anche a questi ultimi. La donna vive naturalmente la condizione di maternità, mentre nell’uomo va attivato un processo di empatia e di “adozione” nei confronti della creatura che non ha dentro di sé» aggiunge. Nella fase del travaglio e del parto il padre ha un ruolo cruciale.

«È importante la sua presenza attiva dall’inizio alla fine. Il padre sostiene psicologicamente e fisicamente la mamma, le massaggia la schiena, l’aiuta a camminare, a bere e mangiare, a prendere decisioni su un eventuale cesareo d’emergenza o la somministrazione di ossitocina per indurre le contrazioni valutando insieme a lei i rischi» rimarca Volta.

Tagliare il cordone

Il neopapà può tagliare il cordone ombelicale, fare il primo bagnetto e praticare il contatto pelle a pelle subito dopo la nascita (e a casa). «Quando la madre non è disponibile o nelle ore successive, il padre porta al petto il proprio bambino per creare quel legame unico e speciale di attaccamento genitore-figlio», spiega Giusti.

Il ritorno a casa

Al rientro dall’ospedale un papà più informato fa la differenza. «Se è coinvolto nel percorso sa a che cosa fare attenzione e come gestire le varie situazioni, sentendosi meno escluso, meno geloso e più protettivo verso la mamma e il bambino» continua Volta. Sarà utile innanzitutto che conosca le posizioni dell’allattamento e il corretto attacco al seno del bambino, così da aiutare la madre a prevenire le ragadi. «Dovrà sapere che nei primi 7 giorni il bambino può calare di peso fino al 10% rispetto alla nascita e che bisognerà chiedere un consulto ostetrico se non recupera la settimana successiva, se fa poca pipì (meno di 5 volte al giorno) e non cresce di circa 150-200 grammi alla settimana — ricorda il medico —. Il padre potrà inoltre osservare lo stato emotivo della madre , considerando che nel post partum i momenti di sconforto sono normali e passano spontaneamente, ma in alcuni casi può esserci una vera depressione che necessita invece un aiuto professionale».

Riconoscere il pianto del bebè

Se il bimbo piange? «Dovrà avvolgerlo in un telo e cullarlo per riprodurre il senso di protezione e il movimento in pancia o portarlo fuori se spaventato dal silenzio per fargli rivivere i rumori di quando era in grembo». A l papà si consiglia di partecipare ai controlli periodici dal pediatra. «Per imparare come si introducono i cibi complementari al latte, come regolare il ritmo veglia-sonno, trasportare il bimbo in auto in sicurezza, posizionarlo nella culla», conclude Volta.

Michela Allegri per “il Messaggero” il 29 marzo 2022.

Durante il giorno era obbligata a lavorare nel negozio di famiglia, in zona Ponte Milvio. Di notte, invece, doveva sopportare in silenzio gli abusi del padre, che si intrufolava nella sua cameretta quando le luci erano spente. Vessazioni andate avanti per dieci anni, da quando la vittima, di origine cinese, era solamente una bambina. 

Una volta diventata maggiorenne, ha deciso di chiedere aiuto: si è rivolta ad un centro antiviolenza, ha sporto denuncia e se ne è andata di casa. Ora i genitori sono finiti sotto inchiesta e a loro carico è stato disposto il divieto di avvicinamento alla figlia. Il pubblico ministero Antonio Verdi ipotizza nei confronti di entrambi i maltrattamenti in famiglia, mentre solamente il padre è accusato anche di violenza sessuale.

LE VESSAZIONI La vittima ha 19 anni. Ha raccontato agli inquirenti di essere stata vessata per un decennio. Le violenze sarebbero iniziate quando lei aveva 9 anni e andava ancora alla scuola elementare. Sarebbe stata costretta a lavorare anche per 12 ore al giorno, sacrificando la sua infanzia e la sua adolescenza. 

Agli investigatori che indagano sul caso, la diciannovenne ha detto di avere dovuto sopportare anche violenze fisiche: sostiene di essere stata picchiata e spintonata più volte, in particolare nelle occasioni in cui ha cercato di opporsi. Uscita da scuola, invece di andare a giocare con le amiche, la vittima si sarebbe dovuta recare ogni giorno nel negozietto di proprietà dei genitori.

Non c'era tempo per coltivare hobby e amicizie: le giornate della ragazzina scorrevano sempre identiche tra scuola, studio e lavoro. I soprusi sarebbero proseguiti anche una volta abbassata la saracinesca, diventando agghiaccianti tra le mura domestiche. Il padre avrebbe più volte abusato di lei, riservandole attenzioni morbose. Secondo la vittima, la madre era a conoscenza delle violenze, ma non sarebbe mai intervenuta. 

LA DENUNCIA Dopo anni di soprusi, la giovane ha preso coraggio e ha reagito, allontanandosi da casa e chiedendo aiuto. Il 23 dicembre scorso, la decisione di sporgere denuncia. La ragazza ha raggiunto un centro antiviolenza e ha raccontato la sua storia.

I passi successivi sono stati la segnalazione in Procura e l'allontanamento dalla famiglia. Il 7 gennaio, la ragazza ha formalizzato la denuncia davanti agli agenti del commissariato Ponte Milvio. Gli inquirenti hanno disposto un'audizione protetta. 

Sono stati sentiti anche alcuni compagni di classe e gli insegnanti del liceo frequentato dalla giovane. I professori hanno raccontato che la ragazza era strana e sembrava entrata in depressione: era molto chiusa e riservata, sempre sulla difensiva, spaventata. Per un periodo aveva praticamente smesso di parlare. Il racconto della ragazza, per gli inquirenti, ha trovato conferma: è lineare e coincide con diverse circostanze testimoniate da amici e insegnanti.

LA SCOMPARSA Quando la diciannovenne se ne è andata da casa, i genitori non hanno capito quello che stava succedendo. Pensavano fosse scappata, oppure che le fosse successo qualcosa. Hanno quindi denunciato la scomparsa, rivolgendosi all'ambasciata cinese. Quando la segnalazione è arrivata in Procura, le ricerche si sono subito interrotte: la vittima era già in un centro antiviolenza in una località segreta e protetta.

Non riusciranno a distruggere la figura del Padre. Gian Piero Joime il 19 Marzo 2022 su Culturaidentita.it.

La famiglia italiana è in crisi, l’Italia è in crisi: famiglie sempre più piccole, divise, senza figli. Dal 2013 ad oggi l’Italia fa registrare ogni anno un nuovo record negativo delle nascite: il saldo naturale, già negativo, arriva a – 215 mila nel 2019 e le nuove nascite a poco più di 420 mila, nuovo minimo storico dal 1918. Da leggere in correlazione con quello relativo all’aumento costante dell’età media in cui una donna diventa madre, passata dai 31 anni e mezzo nel 2014 ai 31,9 nel 2018. Nel 2019 l’età media al momento del parto ha toccato i 32,1 anni. Venti anni prima, nel 1998, l’età media era di 30,2 anni. In aumento i casi di prima maternità per donne che hanno superato i 40 anni: le ultraquarantenni italiane fanno più figli di quanti ne facciano le donne sotto i venti anni.

La famiglia è in crisi e l’Italia rischia quindi di scivolare nel buio demografico: meno figli ieri, meno madri oggi e quindi ancor meno figli domani. Segno evidente di un profondo cambiamento dei costumi e della composizione delle famiglie italiane, e del profondo senso di insicurezza verso il futuro, dovuto alle note difficoltà di accesso al mondo del lavoro, alla sua crescente precarizzazione, e dunque alle maggiori difficoltà nel sostenere la crescita dei figli. E soprattutto dovuto alla costante cultura dominante che ha contribuito a demolire le basi culturali della famiglia, a sovvertirne le radici.

La famiglia moderna oggi appare indebolita, fluida, decentrata, incerta, relativa e infantile; è la famiglia del genitore 1 e genitore 2.

Certo molto diversa dalla famiglia tradizionale nella quale siamo nati, cresciuti e siamo stati educati, la grande famiglia verticale dai ruoli chiari e forti, la grande alleanza generazionale, con i nonni ed i genitori stabilmente presenti, dove fratelli e cugini spesso lavoravano insieme prima nell’Italia contadina poi in quella artigiana ed industriale.

La crisi della famiglia ha determinato e determina la crisi delle prime figure educative di riferimento, e la progressiva riduzione del fondamentale ruolo di regolatore delle misure, ovvero del genitore. Tra le figure della famiglia tradizionale, quella del padre è stata forse la più analizzata – si pensi alle opere di Freud, Kafka, Lacan – in particolare nel suo processo definito di evaporazione, ovvero di progressiva scomparsa dell’autorità paterna.

L’idea dell’evaporazione del padre, che ha le sue radici teoriche nell’opera di Freud, partendo dal noto conflitto di Edipo si basa sul concetto della funzione regolatoria del padre, e dunque sulla sua capacità di imporre dei limiti alla soddisfazione dei desideri; i desideri però sono alla base dello sviluppo della società dei consumi e non devono avere dei limiti, anzi vanno costantemente creati e soddisfatti, anche ricorrendo ai debiti.

E così nella moderna famiglia infantile l’unico centro di gravità è costituito dai figli, attorno ai quali ruotano, con più o meno successo, diverse figure adulte che contribuiscono, nel migliore dei casi, alla loro crescita; oppure abdicano alla loro funzione educativa, delegandola ad altre istituzioni, generalmente la scuola e lo sport, a loro volta in crisi; oppure usano il telecomando. Oggi al centro della famiglia impera l’immagine sociale, pompata da televisione e new media. Inoltre l’identificazione sociale non è più con il tipo di lavoro e lo stile di vita del padre, ma più spesso con modelli indotti proprio dalle pubblicità televisive, incidendo così sul modello d’autostima paterno; in più l’alienazione diffusa ed il conseguente bisogno di tempo libero hanno diviso la famiglia in tante attività disgreganti, e quindi, per stanchezza e per debolezza, la sera parla solo la televisione, più o meno cattiva maestra.

La famiglia infantile moderna appare lontanissima dal vissuto di intere generazioni di italiani e di europei, pervase dallo spirito dei padri e delle madri, che solo con amore, senza doppi fini o funzioni giuridiche, in assoluta naturalezza, hanno cresciuto il mondo.

La crisi della figura paterna rispecchia la crisi generale del sistema sociale: e forse proprio da questo si può e si deve partire, dalla certezza che la crisi sia la normale condizione di vita e che la funzione paterna sia proprio quella di insegnare non la specializzazione o l’apparenza, ma l’arte iniziatica della sopravvivenza in un sistema in perenne cambiamento.

L’atteggiamento del padre può in questo svolgere una funzione esemplificativa e di lenta e graduale emancipazione, quando il bambino è troppo protetto a casa o l’adolescente assorbito dalle playstation, aiutando i figli ad affrontare l’insicurezza di fronte agli altri ed al mondo, per acquisire senso del sé e del limite. E forse ricreare quelle condizioni di stabilità emotiva necessarie a rilanciare il ruolo della famiglia.

Il padre può e deve con i figli passare al bosco, navigare, andare per paesi stranieri e ascoltare lingue sconosciute, costruire tavoli e sedie.

Insegnare ad osare, a gestire l’ insicurezza, che è salutare per la vita come l’incertezza lo è per la ricerca. Questo perché – come rileva Erich Fromm – « la nostra cultura tende a creare individui che non hanno più coraggio e non osano più vivere in modo eccitante ed intenso. Veniamo educati ad aspirare alla sicurezza, come unico scopo della vita. Ma possiamo ottenerla solo al prezzo di un completo conformismo, e di un’improduttiva apatia. Da questo punto di vista la sicurezza è l’opposto della gioia, poiché la gioia nasce da una vita vissuta intensamente » .

La figura del padre è sopravvissuta, anche se con difficoltà, a guerre, esplorazioni, commerci, consumismi , analisi psicanalitiche, new media: sopravviverà anche all’alienante teoria del genitore 1 e 2, alla cancel culture di ogni tradizione.

Semplicemente perché è così che va il mondo, perché è nello spirito delle cose, perché lo vogliono i figli.

Alessandro Fulloni per il "Corriere della Sera" il 23 febbraio 2022.

«Quando ho saputo che cosa avvenne quella sera del 10 agosto 2020? Qualche ora dopo, in piena notte. Mi telefonò un'amica: "Laura, il tuo ex marito è morto. È rimasto ucciso dopo una lite con i ragazzi. Non è chiaro cosa sia successo". Trasecolai e pensai che mai avrei immaginato un epilogo così, semmai potevo ipotizzare il contrario: e cioè che Pasquale potesse uccidere i nostri figli. Tanto che averli lasciati soli per sette mesi mi stava straziando. Quando mi avvertirono, stavo lavorando: assistevo un anziano. E finito il turno, alle sette, ho lasciato la Sardegna per correre a Genova, dai ragazzi». 

Laura , 56 anni, un diploma di segretaria d'azienda e un impiego da colf, è una donna energica. È la mamma di Alessio e Simone Scalamandré, di 30 e 22 anni, condannati lunedì dalla Corte d'Assise di Genova per aver ucciso il padre a martellate. Il reato contestato è di omicidio volontario in concorso , aggravato dal vincolo di parentela. 

Laura, si aspettava questa pena di 21 anni per il più grande e di 14 per il piccolo?

 «No. E sono devastata. Ho atteso a casa l'esito della sentenza nel corso di una mattinata interminabile. Non pensavo a una condanna. Immaginavo che sarebbero state riconosciute le motivazioni che hanno indotto Alessio a difendersi dall'aggressione del padre. Eppure confido che la verità trionfi in Appello. Alessio e Simone nel mio cuore sono innocenti, sono vittime di mio marito esattamente come me». 

Facciamo un passo indietro. Com' è stata la vita con suo marito?

«Semplicemente un inferno. Ero vessata, umiliata, minacciata, insultata e picchiata anche davanti ai ragazzi, costretti più volte a intervenire per fermare la sua furia». 

Lui aveva una pistola?

«Sì. E quando gli accennavo che le cose tra me e lui avrebbero dovuto cambiare, andava a prenderla, estraendola dalla cassaforte a muro in cui era custodita. Una sera la poggiò sul tavolo, e cenammo tutti e quattro in un'atmosfera di terrore, con la rivoltella davanti agli occhi. Altre volte erano stati Alessio e Simone a fermare il padre, disarmandolo quasi fisicamente con infinite suppliche: "Papà ma cosa fai? Non puoi risolvere le cose così...". Allora Pasquale si calmava, i ragazzi gli volevano bene e lui lo sapeva». 

Ci sono dei selfie che vi ritraggono tutti assieme, sorridenti...

«Foto che non rispecchiavano il mio stato d'animo. Vivevo di continuo sulle spine, massacrata dentro. Ma cercavo impiego come colf e pensavo che quegli "scatti" solari postati dai ragazzi fossero un'illusoria "referenza", definiamola così, da mostrare magari nei colloqui, in cui fingevo di essere serena». 

Quando ha denunciato suo marito?

«Dopo il Capodanno 2019. Andammo a un veglione con amici. A mezzanotte lui provò a baciarmi, io mi scostai e s' infuriò... Mi fu chiaro che dovevo salvarmi: e mi rivolsi al centro anti-violenze Mascherona e all'avvocata Nadia Calafato che ora difende Simone (mentre Alessio è assistito da Luca Rinaldi, ndr )».

Poi?

«Dopo il divieto di avvicinamento cambiai quattro volte domicilio, informando le forze dell'ordine. I ragazzi mi coprivano, ma lui mi ha sempre ritrovato, pedinando e minacciando le mie amiche. Così nel febbraio 2020 fui trasferita in un centro protetto in Sardegna». 

Torniamo al 10 agosto...

«Pasquale andò a casa dei ragazzi, voleva sapere dove fossi e voleva obbligare Alessio a modificare le deposizioni contro di lui in vista del processo per maltrattamenti. Lo pressava... Al suo rifiuto, il padre è diventato una belva e Alessio si è difeso. Ripeto: i miei figli hanno visto anni di violenze, sono vittime come me». 

Ammazzarono il padre violento: figli condannati a 21 e 14 anni. Rosa Scognamiglio il 22 Febbraio 2022 su Il Giornale.

L'uomo picchiava e stalkerava la moglie. I figli lo colpirono con un martello al culmine di un litigio: condannati per omicidio volontario a 21 e 12 anni di reclusione.

Uccisero il padre violento al culmine di un litigio in cui l'uomo pretendeva di saper dove si fosse rifugiata la ex moglie. Per la Corte d'Assisse fu omicidio volontario aggravato dal grado di parentela. Ieri i due fratelli, Alessio e Simone Scalamandrè, 30 e 22 anni, sono stati condannati rispettivamente a 21 e 12 anni di reclusione. "Mi aspettavo che la Corte riconoscesse il vissuto drammatico a cui sono stata costretta ad assistere" ha commentato Laura, la mamma dei due ragazzi, tramite il suo legale.

I fatti

I fatti risalgono alla sera del 10 agosto 2020, alla periferia di Genova. Lui - stalker e marito violento sottoposto a divieto di avvicinamento dell'ex moglie - si era precipitato a casa dei figli per sapere dove fosse l'ex moglie pretendendo che la donna ritirasse le accuse nei suoi confronti. I due ragazzi si rifiutarono di rispondere. Tanto bastò a scatenare una lite furibonda al termine della quale Alessio colpì il padre con un martello, uccidendolo.

La condanna

Ieri la Corte d'Assise ha condannato i due fratelli Scalamandrè a 30 e 22 anni di reclusione per omicidio volontario aggravato dal grado di parentela. Mamma Laura, assente alla lettura della sentenza, si è chiusa in un doloroso silenzio affidandosi all'avvocato Nadia Calafato che la difende nella causa per maltrattamenti contro l'ex marito. Un coniuge violento dal quale la donna non aveva mai chiesto la separazione "per paura della reazione", precisa il Corriere della Sera. "Per evitare che papà la picchiasse, uno di noi restava a casa con lei", hanno spiegato i ragazzi.

Le violenze

I maltrattamenti sono tutti agli atti. Laura ha raccontato di aver subito violenze e soprusi per quarant'anni di matrimonio. E ha riportato anche una circostanza in cui il marito, ex dipendente dell'aziende dei trasporti pubblici genovese, estrasse una rivoltella poggiandola minacciosamente sul tavolo della cucina. Quello fu l'episodio che la indusse a rivolgersi a un centro antiviolenza. Il coniuge, sottoposto a divieto di avvicinamento, continuò a stalkerarla pedinando lei e i suoi familiari. Per ben 4 volte riuscì a scoprire dove si fosse rifugiata, fino alla sera di quel drammatico agosto. "Un comma del 'codice rosso' impedisce al singolo giudice di valutare caso per caso le attenuanti. In questa vicenda del tutto evidenti" ha spiegato Luca Rinaldi, avvocato del primogenito, che in Appello si rimetterà nuovamente alla Corte costituzionale nel tentativo di ribaltare la sentenza che ha condannato per omicidio volontario i due fratelli Scalamandrè.

Rosa Scognamiglio. Nata a Napoli nel 1985 e cresciuta a Portici, città di mare e papaveri rossi alle pendici del Vesuvio. Ho conseguito la laurea in Lingue e Letterature Straniere nel 2009 e dal 2010 sono giornalista pubblicista. Otto anni fa, mi sono trasferita in Lombardia dove vivo tutt'oggi. Ho pubblicato due romanzi e un racconto illustrato per bambini. Nell'estate del 2019, sono approdata alla redazione de IlGiornale.it, quasi per caso. Ho due grandi amori: i Nirvana e il caffè. E un chiodo fisso...La pizza! Di "rosa" ho solo il nome, il resto è storia di cronaca nera.

La sentenza della Corte d'Assise. Padre violento ucciso a colpi di mattarello, i figli Alessio e Simone condannati a 21 e 14 anni. Vito Califano su Il Riformista il 21 Febbraio 2022.

Alessio e Simone Scalamandrè sono stati condannati dalla Corte di Assise di Genova a 21 e 14 anni di reclusione. I due fratelli, di 30 e 22 anni, sono accusati di aver ucciso il padre Pasquale, 62 anni, al termine di una lite nell’abitazione dei due ragazzi nel quartiere San Biagio del capoluogo ligure. I fatti risalgono al 10 agosto 2020. I legali degli imputati attendono le motivazioni della sentenza per ricorrere in appello.

La vittima era indagata per maltrattamenti nei confronti della madre dei ragazzi. Pasquale Scalamandrè si era recato nell’abitazione per chiedere al figlio maggiore di ritirare le accuse nei suoi confronti. Il processo si sarebbe svolto a breve. La tragedia dopo che il confronto tra il padre i figli è degenerato violentemente. L’uomo era stato colpito da un mattarello – ritrovato insanguinato nell’appartamento – e altri oggetti contundenti. Ad avvertire il 112, intorno alle 9:30 di mattina, Alessio Scalamandrè. Accorsi sul posto, i sanitari non hanno potuto fare altro che constatare la morte dell’uomo.

Le indagini avevano appurato che dal tribunale era stato emesso un provvedimento nei confronti della vittima che non poteva avvicinarsi né ai figli né alla donna – che secondo Genova24 aveva trovato rifugio da qualche mese in una struttura protetta in Sardegna. Il fratello maggiore era stato arrestato per omicidio aggravato dal grado di parentela – reato per il quale la pena minima è di 21 anni di reclusione – in concorso con il fratello minore, segnalato in stato di libertà. Il sostituto procuratore Francesco Cardona aveva chiesto la condanna rispettivamente a 22 e a 21 anni. L’avvocato di Alessio Scalamandrè, Luca Rinaldi, aveva sollevato, come si legge sul sito dell’Ansa, con il parere favorevole del pm, la questione della legittimità costituzionale dell’articolo di legge previsto dal cosiddetto Codice Rosso, che impedisce che le attenuanti superino le aggravanti in caso di vincolo di parentela.

La Corte d’assise, presieduta dal giudice Massimo Cusatti, non ha ritenuto di inviare gli atti alla Corte ma nel calcolo della condanna del più piccolo dei due fratelli, Simone, ha applicato l’articolo 114 del codice penale che fa riferimento al “contributo minimo” dell’imputato nella commissione di un reato in concorso, una delle poche attenuanti che consente di abbattere sensibilmente la pena, come chiesto dall’avvocato di Simone, Nadia Calafato.

“Sentenza che rafforza la nostra convinzione sul fatto che i due imputati in maniera fredda e calcolata abbiano ucciso il loro padre”, il commento degli avvocati di parte civile Stefano Bertone, Irene Rebora e Greta Oliveri. I due imputati erano presenti in aula alla lettura della sentenza. La vicenda aveva portato anche alla fondazione di un “Comitato tutti per Alessio” per “sostenere e supportare Alessio, Simone e Laura attraverso iniziative solidali”.

Il caso di Alex Pompa

La tragedia familiare ricorda quella di Alex Pompa, 20 anni di Collegno, Torino, assolto lo scorso novembre dalla Corte d’Assise di Torino per l’omicidio del padre (“il fatto non costituisce reato”) che da tempo vessava la moglie e il figlio Loris con soprusi e violenze. Il 30 aprile del 2020, Giuseppe, 52 anni, venne colpito per 34 volte con dei coltelli da cucina. Il fratello Loris aveva assistito alle violenze. Alex Pompa chiamò subito i carabinieri. Il padre Giuseppe è stato descritto al processo come persona irascibile, aggressiva, molesta e ossessionante. L’uomo non perdeva occasione per umiliare e svilire Maria, la moglie e madre dei suoi due figli. E quando diventava aggressivo e violento, Alex e Loris difendevano la madre.

Secondo gli autori della consulenza psichiatrica Alex era talmente provato dalla situazione che soffriva “di un disturbo post traumatico da stress”. Dopo l’assoluzione, in un’intervista a Porta a Porta, il 20enne aveva dichiarato: “Ho subito detto che mi ero pentito, so di non aver fatto una cosa bella. E potessi tornare indietro, preferirei morire io, ma eravamo arrivati a un livello tale che la violenza vissuta quella sera non può essere equiparata agli episodi di violenze vissuti prima”.

Vito Califano. Giornalista. Ha studiato Scienze della Comunicazione. Specializzazione in editoria. Scrive principalmente di cronaca, spettacoli e sport occasionalmente. Appassionato di televisione e teatro. 

Uccise il padre violento che minacciava tutta la famiglia, assolto: "Legittima difesa per evitare una strage". Sarah Martinenghisu La Repubblica il 23 febbraio 2022.  

In 122 pagine le motivazioni della sentenza per Alex Pompa: "Traumatizzato e terrorizzato, non aveva alternative". “Tanto sangue, tante ferite, tanti coltelli. All’apparenza un omicidio d’impeto di cui era da subito noto l’autore”. Ma l’omicidio commesso da Alex Pompa, il diciottenne che il 30 aprile 2020 ha ucciso suo padre Giuseppe, è invece avvenuto per “legittima difesa”: per questo il giovane, tre mesi fa, è stato assolto dalla corte d’Assise presieduta dal giudice Alessandra Salvadori.

La Procura di Torino: «Alex non ha ucciso per legittima difesa, non vi è prova di lotta in casa e il padre tentava di fuggire». Simona Lorenzetti su Il Corriere della Sera il 5 Aprile 2022.

Il pm Aghemo ricorre contro l’assoluzione del ragazzo che uccise il papà per difendere la madre: «Il fratello Loris ha mentito e la Corte d’Assise ha travisato le prove». 

«Non vi è prova di una lotta» tra Giuseppe Pompa e il figlio Alex, «ma solo del tentativo» del genitore di sottrarsi «all’aggressione». E «non vi è la prova del fatto che il padre fosse riuscito ad armarsi, ma solo del fatto che fosse riuscito a impossessarsi di uno dei coltelli impugnati» dal ragazzo, «perdendone subito il possesso per l’intervento» dell’altro figlio Loris. Insomma, per il pm Alessandro Aghemo, Alex non ha ucciso per legittima difesa. Nelle 122 pagine dei motivi d’appello, il magistrato sottolinea che i giudici della Corte d’Assise hanno «travisato» le prove, «valutandole in modo erroneo, in modo da offrire una ricostruzione dell’accaduto completamente sganciata da quanto era emerso nel dibattimento, frutto di una rivisitazione del compendio probatorio dominata da una tesi preconcetta d’innocenza dell’imputato».

Il delitto avvenne la sera del 30 aprile 2020 nella casa di famiglia a Collegno. Alex, poco più che maggiorenne, non ha mai negato le proprie responsabilità: «Mio padre voleva ammazzare me, mia madre e mio fratello. C’è stata una colluttazione e sono riuscito a prendere un coltello e mi sa che l’ho ammazzato». La scena del crimine racconterà poi che il genitore è stato colpito con 34 coltellate, 15 alla schiena, inferte con sei diversi coltelli. Al termine di un processo lungo e sofferto, la Corte d’Assise ha assolto il ragazzo (difeso dagli avvocati Claudio Strata e Giancarla Bissattini) spiegando che tra padre e figlio c’è stata una «lotta» nella quale «entrambi erano armati di coltello». «Ogni diversa conclusione — chiosava la Corte — si fonda sulla pretesa (davvero inaccettabile) che Alex restasse immobile in attesa di scoprire se il padre avrebbe davvero messo in atto le sue dichiarate intenzioni di macellare moglie e figli».

Per il pm le prove raccontano un’altra storia. Quella sera Giuseppe è senza dubbio furioso, come lo era stato in tante altre occasioni. Ossessionato dalla gelosia, aggredisce verbalmente la moglie non appena rientra a casa dal lavoro. Dopo cena la situazione degenera. Secondo il pm, le testimonianze della mamma e del fratello maggiore — unici testimoni — sono discordanti: le risposte offerte in aula sono «sintomatiche della conoscenza degli atti processuali» e depongono per «la lora scarsa genuinità». In particolare, la narrazione di Loris è segnata «da omissioni, falsità e reticenze», comportamento dettato anche dal «timore di conseguenze penali».

In aula madre e figlio avrebbero cercato di enfatizzare gli eccessi verbali del padre, anche usando espressioni come «serata infernale» e riferendosi all’uomo come a «un diavolo». Ma soprattutto non vi è prova alcuna — secondo la Procura — che Giuseppe «si stesse dirigendo in cucina per prendere un coltello», mentre sarebbe del tutto evidente la volontà dell’uomo di uscire di casa: «Venite giù», urlava ai figli come loro stessi hanno raccontato. E in egual modo non sarebbe stata provata una lotta intorno al tavolo della cucina, circostanza per altro «mai riferita» dai protagonisti. Piuttosto, la vittima cerca «di fuggire» e «offre la schiena all’aggressore» — che lo colpisce con 15 coltellate —, «trovandosi in una situazione di vulnerabilità».

Infine: «Non è stato chiarito perché Giuseppe Pompa non abbia parato i colpi, né abbia tentato di rifugiarsi in un’altra stanza. In ogni caso, se non l’ha fatto è perché gli è stato in qualche modo impedito, a meno di ritenere che stesse attendendo inerme la sua morte».

·        Mai dire…Figlio.

Il duplice omicidio a Racalmuto. Marito e moglie uccisi a coltellate in casa: la figlia li ritrova, il figlio interrogato. Vito Califano su Il Riformista il 13 Dicembre 2022

Due corpi, feriti a morte, ritrovati nella loro abitazione. Giuseppe Sedita e Rosa Sardo erano marito e moglie. Vivevano a Racalmuto, in provincia di Agrigento. Il macabro ritrovamento questo pomeriggio, al terzo piano di un palazzo di contrada stazione. Sul posto sono presenti i carabinieri.

Le vittime avevano 66 e 62 anni. L’Ansa riporta che sui cadaveri straziati i segni dei colpi di un’arma da taglio, forse un coltello. A ritrovare i cadaveri una figlia dell coppia che aveva le chiavi della casa, dove era arrivata perché preoccupata dalla prolungata assenza dei genitori.

Ha trovato il padre e la madre in salotto, scrive Il Giornale di Sicilia, distesi a terra in una pozza di sangue. È stata lei a dare l’allarme e a chiamare i carabinieri che sono intervenuti sul posto. Secondo quanto si è appreso, i militari starebbero interrogando in caserma il figlio della coppia, che ha 34 anni.

La coppia aveva sei figli. I militari hanno interrogato i vicini di casa per primi. A coordinare le indagini i pm di Agrigento. I tecnici della Scientifica sul posto per controllare l’appartamento in cerca dell’arma del delitto. Questa sera in casa era prevista una festa, riporta sempre il Giornale di Sicilia. Giuseppe, operaio forestale, avrebbe dovuto festeggiare il suo pensionamento.

Secondo i primi accertamenti l’omicidio si sarebbe consumato molto prima del ritrovamento dei corpi. Disposta l’autopsia sui due cadaveri. Solo qualche settimana fa, sempre in provincia di Agrigento, un altro omicidio che aveva scosso la comunità: quello del cardiologo Gaetano Alaimo, ucciso da un paziente all’interno dello studio medico in cui lavorava a Favara.

Vito Califano. Giornalista. Ha studiato Scienze della Comunicazione. Specializzazione in editoria. Scrive principalmente di cronaca, spettacoli e sport occasionalmente. Appassionato di televisione e teatro.

Comprare un figlio si può (per la Corte UE). Daniela Missaglia su Panorama l’08 Dicembre 2022.

 La modernità scientifica coniugata ad un relativismo giuridico che fa scempio dei valori etici potrebbe condurre, un giorno, a rendere ordinario, accettato, qualcosa che di normale non è.

Follia? Abominio puramente teorico degno di un romanzo di Asimov? Macché. La verità è che l’attualità supera la fantasia: chiedere alla Corte UE, per conferma; e mi riferisco all’ultima sentenza contro la Danimarca in materia di maternità surrogata. “C’è del marcio in Danimarca” , diceva Shakespeare nell’Amleto e debbono averlo pensato i Giudici che hanno partorito la ‘geniale’ pronuncia della Corte di Giustizia Europea nel condannare la Danimarca semplicemente per il fatto di avere, nel proprio ordinamento, una legge che vieta il riconoscimento dello stato genitoriale a chi ‘compri’ i figli attraverso procedura di maternità surrogata. Il ricorso che ha provocato questa condanna nasce dal caso di una signora danese che, non potendo avere figli propri, in luogo di accedere alle procedure di adozione, ha pensato bene di recarsi con il coniuge fertile in Ucraina (ovviamente prima dello scoppio del conflitto) per pagare una donna affinché, con il seme del consorte, partorisse i figli in sua vece. Nascevano così due gemelli, riconosciuti dal marito e perciò dotati di nazionalità danese, bambini che la coppia riportava in Danimarca svolgendo poi domanda di adozione da parte della ‘madre’ surrogante. Peccato che i giudici del paese scandinavo negassero risolutamente il diritto di questa madre ‘pagante’ a diventare genitore dei bambini, accettando unicamente che ne avesse la custodia. Alla donna questo non è bastato e, esauriti i gradi di giudizio, si rivolgeva alla Corte di Strasburgo la quale, sanzionando la Danimarca, ha riconosciuto che le leggi in vigore in questo Paese penalizzassero i bambini e i loro interessi. Insomma, siamo sempre al solito problema di un potere giudiziario che si sostituisce a quello legislativo, espressione della volontà del popolo nelle moderne democrazie.  La CEDU non dice che la maternità surrogata sia lecita ma usa espressioni ambigue nel sostenere che bisogna trovare il giusto equilibrio fra norme volte a limitare gli effetti negativi della maternità surrogata a pagamento e gli interessi dei bambini. Peccato che, di fatto, condannando la Danimarca, i giudici europei operino una scelta di campo che è chiara e conduce – una volta ancora – verso il mercimonio dei figli. Ci stiamo avvicinando pericolosamente, a passi sempre più spediti, a questo risultato perché il secolarismo dei valori inaugurato dalla Rivoluzione francese agisce un po’ come le dinamiche di Borsa, per chi se ne intende: al di là delle fluttuazioni congiunturali dei titoli nel breve-medio periodo, la direzione è sempre solo una e punta verso l’alto. Come l’acqua che scende dalla montagna: la puoi irregimentare in un canale, vincolare con una diga, creando laghi artificiali o bacini di raccolta ma questa punterà sempre a valle. L’antico retaggio cristiano del mondo occidentale ogni tanto sembra ricordarsi delle proprie origini e pone uno stop a condotte contrarie all’etica dei Vangeli ma, puntualmente, arriva qualcuno che allenta la morsa dei divieti. Il paradosso è che questo ‘qualcuno’ siede spesso sugli scranni di chi deve decidere e pensa di poter camuffare attraverso la logica giuridica una volontà precisa di scardinare le norme che hanno una storia e una ragione giustificatrice basata su antichi valori e sul diritto positivo. Come si può contrastare questa deriva? C’è poco da fare: l’Unione Europea è una realtà e occorre adeguarsi alle indicazioni che provengono dai suoi organi. PUBBLICITÀ 09/12/22, 08:41 Comprare un figlio si può (per la Corte UE) - Panorama https://www.panorama.it/news/cronaca/maternita-surrogata-corteue-sentenza-danimarca 5/9 Certo, politici e governanti potranno fare sfoggio di fermezza e autonomia, richiamando le tradizioni culturali e la volontà popolare, ma quando si entra in un club ci si deve adattare alle sue regole. Regole che, sempre più spesso, sdoganano condotte che cozzano contro i nostri più profondi convincimenti. Delle due l’una: o ci adattiamo o…. ci adattiamo. “Signora, di gemelli me ne sono venuti tre, che faccio, lascio?”. Benvenuti nel futuro.

“La storia nascosta di quei 400 mila bimbi che vogliono sapere chi sono mamma e papà”. Eleonora Ciaffoloni su L’Identità l’8 Dicembre 2022

In Italia sono 400mila le persone adottate che non hanno il diritto di riconoscimento della propria origine biologica. Individui che, affidati e adottati, non hanno la possibilità di risalire ai genitori naturali a causa di una legge che protegge l’anonimato della genitorialità. Per questo, dal 2009, è nato a Napoli il Comitato Nazionale per il Diritto alla Conoscenza delle Origini Biologiche, grazie a un gruppo di persone che si erano incontrate in rete: “La problematica era ancora un tabù e non si osava parlarne in famiglia”. Così, la Presidente del Comitato Anna Arecchia, ha raccontato il lungo percorso. “Dai nostri incontri è nato il desiderio di provare a fare qualcosa per cambiare la legge che per cento anni impediva ai figli adottati di ritrovare le origini biologiche. Vedevamo la discriminazione a danno delle persone non riconosciute alla nascita, ma anche l’impossibilità dal punto di vista anamnestico di risalire alla familiarità”. Dal primo movimento napoletano il comitato si è allargato a molte regioni, grazie a tutti i figli adottivi impegnati sul territorio, con iniziative per portare all’attenzione il problema. Ma non solo manifestazioni: “Attraverso i contatti con i parlamentari del territorio ci siamo impegnati a mostrare la nostra necessità e abbiamo cominciato a presentare i primi disegni di legge alla Camera e al Senato. Nei primi chiedevano di abbassare la soglia di età per richiedere il riconoscimento e andando avanti li abbiamo resi più progressisti. Si chiedeva in ogni caso di interpellare la madre biologica e di chiedere il consenso alla rimozione dell’anonimato”. Tuttavia, nel nostro ordinamento il diritto all’anonimato della madre biologica è stato ulteriormente ribadito, ragion per cui il diritto al riconoscimento delle origini non ha trovato piena tutela. Eppure, i primi Ddl erano stati accolti: “Venivano definiti moderati e perfettamente accoglibili, perché si trattava di un percorso mite che riguardava un nuovo interpello della madre biologica che avrebbe potuto cambiare idea nel corso degli anni”. Il primo Ddl è stato presentato durante la XVI legislatura: “Pensavamo che la strada fosse spianata perché non ci venivano mosse critiche. Approdati in commissione giustizia i tempi si sono ritenuti non maturi, nonostante in Europa tutto era progredito. Abbiamo riproposto i Ddl nella XVII ed è stato fatto un passo avanti: nel 2013 la Corte costituzionale ha approvato il ricorso di un adottato, esprimendosi sulla nostra stessa linea, cioè con l’interpello della madre biologica, distinguendo la genitorialità giuridica e biologica”. Così, la Corte costituzionale, delegando il legislatore ad approvare un Ddl, ha dato un input: l’approvazione alla Camera è stata quasi all’unanimità e passò al Senato per la discussione che però non si concluse, vista la fine della XVII legislatura. Ma il percorso non si è interrotto: “Di nuovo, con l’inizio della XVIII legislatura, ci siamo mossi per trovare i parlamentari più idonei come firmatari, ma abbiamo ottenuto solo qualche audizione al senato”. Fino ad oggi: “Nato il nuovo Governo siamo ripartiti dalle storie del territorio e a novembre abbiamo presentato Ddl n. 562 da parte di Giampiero Zinzi della Lega”. Il testo, non ancora definitivo, si rivolge agli adottati e alle persone per cui non è mai stata regolarizzata l’adozione, affidati, affiliati senza nessuna procedura e consente di fare richiesta alla maggiore età e non al raggiungimento dei 25 anni. “A partire dal primo abbiamo cercato di migliorarlo, cercando di sanare le criticità e rispondere alle esigenze”. Zinzi, neoeletto alla Camera, si è reso disponibile a sostenere la battaglia: “Zinzi, Gianpiero, è il figlio di Domenico Zinzi, che aveva sostenuto il primo nostro Ddl. C’è necessità che un parlamentare assapori il clima della battaglia: una cosa è sentir parlare del problema, altra è partecipare”. Le prossime mosse? “Stiamo pensando di chiedere un incontro alla ministra Roccella, che avevamo già incontrato ai tempi della XVII legislatura che e avevamo trovato dalla nostra parte. Potrebbe essere un volano per un Ddl che non ha nemmeno bisogno di essere discusso. Siamo indietro rispetto a tutta Europa”. Nel frattempo, il comitato continua a lavorare sul territorio: “Dopo la stasi dovuta al Covid e alla demoralizzazione di fronte alle non risposte della politica, ora stiamo riprendendo forza ed è imminente un convegno su Napoli con la presentazione del Ddl”. I tempi potrebbero essere maturi, ma si resta ancora in attesa, da anni, di veder riconosciuto un diritto che nel resto d’Europa è la normalità.

Questione di prospettiva. La florida e talvolta felice minoranza di donne che non fanno figli perché non vogliono. Simonetta Sciandivasci su L’Inkiesta il 30 Novembre 2022

Spesso vincono gli schematismi di una rappresentazione o come vittime di un Paese in cui diventare madri è un privilegio o come un manipolo di ciniche carrieriste. Un libro corale, curato da Sciandivasci, per inquadrare l’inverno demografico con la lente giusta, che non è morale né economica

Piazza Bellini, Napoli. Il conservatorio è a due passi, si sente un pianoforte, un uomo gli si accoda fischiettando, i passeri si accodano a lui. È settembre, quasi ottobre, c’è quel caldo dimissionario che all’ombra diventa fresco e fa pensare che basta poco per cambiare tutto, basta attraversare la strada e mettersi dalla parte dell’ombra.

È vero: all’ombra si cambia. Mangio patatine, bevo succo d’ananas, aspetto. Ho appuntamento per un’intervista con una scrittrice, ogni suo minuto di ritardo mi regala un piacere grasso e agile, mi sembra la notte dopo gli esami, il cielo sul deserto.

Perdere tempo per colpa di un altro è un piacere incomparabile. Il ritardo del treno, la fila alle poste, la lentezza del barista, di WeTransfer, del trascolorare di un ricordo: prima m’innervosivano, il più delle volte per contagio, adesso mi rallegrano.

Il ritardo di Valeria Parrella mi elettrizza, sogno di perdere il treno, non trovare un posto per dormire, finire con il rimanere qua per sempre, assunta da un fioraio e sposata a un cameriere, come in Pane e tulipani. Un po’ sogno e un po’ ho pensieri che non portano domande, nuvolette che non portano pioggia.

Penso per pensare, ed è un fatto così bello e nuovo che ha un sapore, è un boccone, mi scende in gola con un salto in lungo.

Ho trentacinque anni, e alle spalle una vita che in un’altra vita sarebbe già compiuta, ma in questa, la mia, sembra appena cominciata.

Se sembra, è? È passato un anno da quando sono quasi morta, la qual cosa mi ha arrecato un talento considerevole nel vedere il bello del brutto, il bellissimo del bello, il bello e basta: un talento che un pragmatico – sbagliando – definirebbe capacità inventiva.

Diceva Juliette Binoche nel Danno: “Chi ha subito un danno è pericoloso: sa di poter sopravvivere”.

Il danno che ho subito io è l’abbandono, il guasto irreparabile che, doloso o colposo che sia, ci fa sperimentare la morte in vita.

Poteva mai avere torto Juliette Binoche, per di più nuda tra le braccia di Jeremy Irons, nudo anche lui? Vengo dal Novecento: laggiù, qualsiasi cosa si dicesse in un film francese e/o tra un uomo e una donna nudi in un letto, era vera. Tuttavia, quando il danno l’ho subito, non sono diventata pericolosa, almeno non nel modo che intendeva Juliette Binoche, e cioè disposta a tutto, capace di tutto, fredda glaciale anedonica ferita a morte vendicativa.

Tutt’altro. Sono diventata sensibile al bagliore, sensibile alle chance, sensibile all’estate, ai menu, al tempo, al caldo, al freddo, al rumore, ai ponteggi, al pomeriggio, ai notiziari, agli artigiani, alle conchiglie, alle ragioni degli altri. Praticamente, sensibile a tutto.

Mi piace, accende, eccita ogni cosa. Durerà? Sarò così per sempre o c’è un orologio biologico anche per questo? Esploderò? Prenderò fuoco? Ci penso con divertimento mentre mangio le mie patatine, bevo il mio succo d’ananas, ordino «Me ne porta ancora?», poi mi fermo, respiro e aggiungo, con un godimento specialissimo, un’elettricità temporalesca ma interna, invisibile, silenziosa, molto a modo: «Sia di patatine che di succo, per piacere?».

Penso (eh sì: penso) a quanto sto bene adesso e qui, a piazza Bellini, a Napoli, mi sembra di esserci nata; penso a quanto sono buone le patatine (ne avevo mai mangiate di così buone?); penso a quanto è bello fare il bis; a che gigantesca invenzione sono i tavolini fuori con gli ombrelloni sopra; a quanto sono importanti le piazze.

Arrivano le patatine, il succo, il ghiaccio a parte che non ho chiesto e che mi sembra un’ottima idea, uno slancio filantropico indimenticabile, e arriva Valeria Parrella, con diciotto minuti di ritardo e una camicetta rosa pesca così identica alla sua carnagione che per un secondo mi sembra nuda.

Parliamo a lungo, anche lei beve succo mangia patatine ordina pensa ride si ferma guarda. Mi dice molte cose, parliamo di politica, di potere, di parole, dei romanzi di Liala, delle camicie di suo padre, poi le chiedo: Morirebbe per un ideale? Risposta: Morirei solo per mio figlio. Che cosa c’era di diverso, nella sua vita, prima di diventare madre? Risposta: Che sarei morta per un ideale.

Penso che vorrei abbracciarla, ma non lo faccio. Continuo a chiederle cose, un sollievo stupendo mi si allarga dentro, sono il balcone di una casa sul mare, vuota, che si apre e lascia entrare la luce e la brezza, sono la tenda che comincia a volare.

Sono sollevata perché non sono trafitta, e invece avrei potuto esserlo, avrei potuto sentire il morso di una mancanza, la piccolezza della mia esistenza, l’insensatezza di una vita che se non dà altra vita è mal spesa, la tristezza di non avere qualcuno per cui non morire per un ideale, la tristezza di non avere qualcuno per cui morire. E invece no, nonostante i trentacinque anni, l’orologio biologico ormai ridotto a cronometro, il precariato, la vita sentimentale ridicola, la carta dell’appeso che continua a uscire a ogni stesa di tarocchi che faccio: il paragone tra me, così inconclusa e inessenziale, e Parrella, così perimetrale e necessaria, tra me senza figli e Parrella con figli, tra me che in Afghanistan non ci vado perché voglio restare viva per il mio succo d’ananas e Parrella che in Afghanistan non ci va perché ha il dovere di restare viva per suo figlio, è un paragone che non mi ferisce, non mi graffia, non mi interroga: è un paragone che non faccio, e che fino a non molto tempo fa avrei fatto.

La ragione essenziale di questo libro sta in quel momento, dopo quella domanda, dopo quella risposta, dopo quel succo d’ananas, dopo quell’abbandono.

I figli che non voglio, a cura di Simonetta Sciandivasci, Mondadori, 216 pagine, 18 euro

Estratto dell’articolo di Giovanni Del Giaccio e Roberta Pugliesi per “Il Messaggero” l’11 novembre 2022.

La decisione di vendere casa, un garage da ripulire e la scoperta che le ha cambiato la vita. Adesso, dopo 52 anni, Loriana Sasso operaia di Sora, riabbraccia la madre naturale che il 28 agosto del 1970 l'aveva data alla luce all'età di 14 anni. E questo grazie ad un'amica conosciuta sui social network. È una storia di gioia e di dolore quella di Loriana, che per 46 anni ha vissuto circondata dall'amore di due genitori adottivi che per tutta la vita le hanno però nascosto la verità. La scoperta è stata del tutto fortuita ed è avvenuta nel 2016. Da allora un certosino lavoro di ricerca, fino all'incontro con la madre naturale. 

Era un giorno come tanti e Loriana stava mettendo a posto il garage della casa di Frosinone, dove aveva vissuto con i genitori dal 1976. In uno scatolone, fra i tanti ammucchiati e ricoperti di polvere, Loriana trova una cartellina con all'interno dei documenti e un passaporto. È in quel momento che scopre di essere stata adottata nel dicembre del 1972, quando aveva poco più di due anni. […] 

La storia ha dell'incredibile e ha molte tappe. Il nome Loriana, intanto, le viene dato dai genitori adottivi. Alla nascita lei era Zorica Dinkonski. E poche ore dopo aver visto la luce in un ospedale di Banatsko Novo Selo, nell'ex Jugoslavia, viene presa dalla nonna e venduta perché non avrebbero potuto mantenerla. Un'associazione si sarebbe occupata di lei.

Per due anni resta in affido presso una famiglia di Belgrado, fino a quando arrivano Ignazio e Marisa. Da allora fino al 2016 la vita che ogni figlio desidera, un'infanzia felice e spensierata trascorsa fra l'Etiopia - dove si trovavano i nonni - e Frosinone dove arriva, come detto, nel 1976 quando il papà trova lavoro a Ferentino. 

Nel 1988 conosce Riccardo, il ragazzo di Sora che poi sposerà nel 1997. Loriana ha una famiglia sua ormai, spesso va a Frosinone a trovare i genitori. Nel 2000 muore la madre, un dolore che non dimenticherà mai. Undici anni dopo pure il padre. La casa di Frosinone viene data in affitto a eccezione del garage, dove sono ammucchiate tante cose, ricordi dell'infanzia, oggetti inutili e documenti. […] 

La verità arriva grazie a un'amicizia social. […] Tania, questo è il nome dell'amica, si fa inviare i documenti nel tentativo di aiutarla. Sarà il padre della ragazza, Rafoica, a recarsi, carte alla mano, nel paesino della Serbia dove era nata, nell'ufficio anagrafe del Comune. Un lavoro difficile, lungo, che alla fine ha permesso a Loriana di chiudere il cerchio. 

Loriana ha incontrato la madre naturale Leposava Dinkovski la prima volta nel mese di luglio, poi una seconda volta ad agosto. È stata un'esplosione di gioia per entrambe e soprattutto la scoperta di non essere stata abbandonata ma di essere rimasta nel cuore e nella mente di quella donna ormai 69enne per 52 anni. Ha trovato anche un fratello con cui si è stretto immediatamente un legame fortissimo […].

 È stata la madre Leposava a raccontarle quello che era successo 52 anni prima, confidandole il dolore per quello strappo mai ricucito, non voluto. «Eravamo poveri, tuo padre non ti voleva e mi abbandonò, io avevo solo 14 anni. Tua nonna ti prese e ti portò via e mi chiuse in una stanza per due giorni. Quando uscii tu non c'eri più», le ha detto la madre. 

Loriana non è arrabbiata o delusa perché non ha mai saputo di essere stata adottata e per lei i genitori restano Ignazio e Marisa, coloro che l'hanno amata incondizionatamente tutta la loro esistenza. Ma è iniziata per lei una vita nuova.

Estratto dell’articolo di Rob. Pugl. per “Il Messaggero” l’11 novembre 2022.

 «Un cuore che scoppia all'improvviso». È questa la sensazione provata da Loriana Sasso quella mattina di sei anni fa quando, rovistando fra gli scatoloni conservati nel garage della casa di famiglia ha trovato il vecchio passaporto e alcuni documenti relativi alla sua adozione. 

Qual è stata la sua sensazione in quel momento?

«Non riuscivo a capire cosa avevo fra le mani, ho impiegato diverso tempo per comprendere del tutto quello che mi stava succedendo. Ma non appena ho visto il passaporto ho compreso che nella mia vita era davvero tutto da riscrivere. Nel mio cuore c'erano sempre stati soltanto i miei genitori Ignazio e Marisa, per me erano loro mamme papà e nessun altro. Ho raccontato ai miei familiari quello che era successo e ho provato immediatamente a trovare una strada per rintracciare i miei genitori naturali». […] 

Come?

«Ricordo che chiamai persino Maria De Filippi e la redazione del programma C'è posta per te. Venni ricontattata dopo un po' di tempo e mi dissero che non era stato possibile risalire a mia madre e così fini lì».

 E invece?

«Devo tutto a Tania e a suo padre. Ci siamo conosciute sui social grazie a una passione comune. Lei vive a Trieste ma è originaria della Serbia. Siamo diventate amiche al punto che le ho raccontato tutto quello che mi era successo nel 2016». […] 

Fino all'incontro con la madre naturale, com' è andata?

«È una sensazione che non si può descrivere con le parole, un'emozione talmente forte, un filo che tiene unite due anime che non si conoscono ma che si appartengono e che all'improvviso stringe il cuore. Il legame tra la madre naturale ed un figlio è qualcosa che non si spezza mai. Ci siamo incontrate in aeroporto, siamo rimaste a guardarci intensamente per alcuni secondi, poi siamo scoppiate in un pianto a dirotto, ci siamo abbracciate forte. Sono state lacrime di gioia, lacrime che riempiono il vuoto che il destino aveva scelto per noi».

Da repubblica.it il 21 ottobre 2022.

"Quando i genitori non hanno mezzi sufficienti, gli altri ascendenti, in ordine di prossimità, sono tenuti a fornire ai genitori stessi i mezzi necessari affinché possano adempiere i loro doveri nei confronti dei figli". Parola della Cassazione. 

Tradotto: nonni e parenti prossimi devono mettere mano al portafogli se i genitori non sono in grado o non hanno la possibilità economica di mantenere i propri figli. Un principio che i giudici hanno stabilito lo scorso 17 ottobre, spiegando che i parenti sono tenuti a "fornire ai genitori stessi i mezzi necessari affinché possano adempiere i loro doveri nei confronti dei figli". Il tutto "in proporzione alle rispettive sostanze e secondo la loro capacità di lavoro professionale o casalingo".

Dunque non basterà accompagnare i nipotini al parco o prenderli a scuola, ma anche mantenerli. Attenzione: non significa elargire denaro ai piccoli, ma aiutare i genitori. Il tutto secondo tre criteri ispirati all’articolo 316 bis del codice civile.

I parenti prossimi devono intervenire "se il genitore obbligato a versare il contributo di mantenimento dei minori si rende inadempiente", ovvero dopo un pignoramento o nel caso in cui sia impossibilitato a svolgere un'attività lavorativa. E ancora "se il genitore presso cui sono collocati i minori sia privo di reddito o abbia un reddito insufficiente a provvedere al loro sostentamento". Sempre se i nonni possiedono "le risorse reddituali o patrimoniali, per provvedere al mantenimento dei nipoti che versano in stato di bisogno". Dunque occorre prima capire anche le condizioni economiche in cui versano i nonni.

Generazione POV. La lotta di classe comincia già prima del parto, con i (costosissimi) test prenatali. Assia Neumann Dayan su L'Inkiesta l'8 Settembre 2022.

Perché non si fanno più amniocentesi e villocentesi gratuite? Non esiste una risposta ufficiale, ma l’età delle mamme si è alzata, e i costi di screening invasivi e relativi approfondimenti sarebbero insostenibili per la sanità pubblica

La generazione diventata famosa per i Point Of View è arrivata a spiegarci che cos’è la lotta di classe. Mentre Chiara Ferragni pubblica un video della telecamera di sicurezza dove suo figlio le dice che è un fiore, ed è tutto tenerissimo e super cute, la generazione dei POV dice che quella cosa lì non si fa, che è più sbagliata delle altre. No, non lo è, è esattamente come il resto: sono tutti troppo presi a fare filosofia morale, quando l’unica domanda da farsi sarebbe: quello è lavoro minorile? Stiamo riproducendo l’esperimento carcerario di Stanford, e non può finire bene.

Ora che sappiamo che cos’è la lotta di classe, che ci sono le classi sociali, cosa è consenso e cosa no, che i ricchi fanno schifo, che abbiamo malattie che non sapevamo di avere dopo aver medicalizzato anche l’anima, mi preme dire solo una cosa: non siamo tutti deficienti. 

Parliamo pure di astrofisica, di quanto misura la morale di chi posta i video dei figli minorenni, di quanto consuma un elicottero, come se fossimo tutti diventati degli eroici Zapruder. Parliamo di cose da ricchi che non dovrebbero esserlo, e no, non sono le brioche di Sissi. L’amniocentesi e la villocentesi fino a pochi anni fa erano gratuite per le gestanti sopra i 35 anni: quando io ho partorito nel 2016 questa opzione c’era. Adesso non più, solo nei casi in cui il feto presenti delle anomalie. 

Quasi tutte le donne incinte effettuano il test del DNA fetale, che è un test a pagamento (se non in alcune illuminate regioni in cui è per ora gratuito), probabilistico e non diagnostico, con un costo medio di 800/1000 euro. Se il test del DNA presenta delle criticità, si fanno villocentesi o amniocentesi, che hanno un rischio basso di aborto. 

«Spesso il comparare i due rischi (rischio di avere un figlio malato e il rischio di abortire un figlio sano per le complicanze legate alla procedura invasiva) può aiutare a prendere una decisione, anche se i due eventi negativi hanno significati e pesi ben diversi per la singola donna. La domanda da porre alla donna/coppia è: la preoccupa di più avere un figlio malato oppure avere un aborto come possibile conseguenza di un esame invasivo?» c’è scritto in un documento dell’Associazione degli Ostetrici e Ginecologi Ospedalieri Italiani (Aogoi), e mi sembra il punto centrale della questione. 

È una decisione morale? È una decisione sanitaria? È eugenetica? I proprietari di jet privati cosa ne pensano? Il margine di errore dei test di screening si aggira intorno all’1%, e quell’1% è tutto nei gruppi Facebook di mamme. 

Perché non si fanno più amniocentesi e villocentesi gratuite? Non esiste una risposta ufficiale, ma l’età delle mamme si è alzata, e i costi di test invasivi e relativi approfondimenti sarebbero insostenibili per la sanità pubblica che si raccomanda: «il test sia inserito nei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA) e/o nei percorsi regionali della gravidanza fisiologica, per lo screening delle trisomie 13, 18, 21, nella prospettiva di una sua implementazione a livello nazionale, superando le criticità regionali e la disparità di accesso da parte delle gestanti; sottolinea l’appropriatezza e sicurezza del test e l’incisivo e positivo impatto sulla spesa sanitaria». 

La lotta di classe comincia prima di nascere, mica con lo champagne in fresco sul ghiacciaio. Può una famiglia con un reddito basso permettersi di spendere mille euro per un esame? O il test del DNA fetale è la questione più discriminante che c’è? Meglio parlare dell’aperitivo col jet privé, guardate io non ci dormo la notte. 

Ho chiesto a una persona competente se esistessero gli obiettori di coscienza dei test prenatali: nel mondo esiste qualunque tipo di coscienza e altrettante obiezioni, non vedo perché un ginecologo non possa rifiutarsi di fare dei test prenatali se è contrario all’aborto. 

La risposta è: no, non esistono, legalmente non si possono rifiutare di fare dei test diagnostici, anche perché questa parte dell’etica è affidata ai genitori. Esiste infatti solo una risposta sui vari forum di mamme alla domanda: «Chi di voi non ha fatto test, perché non li ha fatti?» ed è questa: perché per me non cambierebbe nulla. Questo rientra nel grande problema di un’epoca in cui il nostro sentire viene prima di un qualsiasi ordine morale. 

Non molto tempo fa Chris Pratt è finito nella più imbecille delle polemiche quando ha scritto sui social l’annuncio della nascita della figlia, ringraziando la moglie che aveva partorito una bambina bellissima e sana, come un qualsiasi «non sono mica un mammo» di Instagram. La gente con la connessione veloce, ma il cervello purtroppo non altrettanto, lo mise alla gogna perché era chiaro che l’aveva scritto per fare un torto alla prima moglie, da cui aveva avuto un figlio nato prematuro. «L’importante è che sia sano» è diventato offensivo, poi qualcuno mi spiegherà come si fa a vivere facendo finta che la salute rientri nel campo morale, facendo finta che «per me non cambierebbe nulla» sia una risposta cosciente e non un tic per fare bella figura in pubblico. 

Riguardo agli obiettori, c’è effettivamente stato un caso nel 2014: un ginecologo obiettore non aveva comunicato ai futuri genitori la presenza di anomalie fetali, impedendo alla donna di decidere se abortire o meno. Succedono cose davvero spaventose, un po’ vi capisco: meglio pensare che la lotta di classe riguardi solo le cose che non potremo mai avere. 

Se il cognome determina la personalità. "Il cognome è una parte essenziale e irrinunciabile della personalità". Con questa motivazione, il tribunale per i Minorenni di Bologna, ha dato il via libera all'adozione. Valeria Braghieri il 5 Settembre 2022 su Il Giornale.

«Il cognome è una parte essenziale e irrinunciabile della personalità». Con questa motivazione, il tribunale per i Minorenni di Bologna, ha dato il via libera all'adozione da parte della compagna della madre biologica e ha riconosciuto a una bimba di undici anni (nata con procreazione eterologa da un donatore) il cognome di entrambe le donne.

I giudici hanno inoltre spiegato che l'adozione «risponde pienamente al superiore interesse della minore, consentendole di godere della continuità affettiva, educativa ed emotiva di una famiglia solida e stabile, nella quale la stessa ha potuto costruire la propria identità». Benissimo. Ma è il passaggio sul cognome «parte essenziale e irrinunciabile della personalità» a far riflettere. Leggendo, ci è subito venuto da pensare a come ci abbia forgiati il nostro. Se ci fossimo chiamati in un altro modo avremmo fatto un lavoro diverso, avremmo scelto di sposare un altro uomo o di non sposarci affatto? Di andare ad abitare in Groenlandia, di non avere figli, di studiare il sanscrito o di allevare tigri?

Abbiamo sempre creduto che certi cognomi potessero forse plasmare destini, ma non certo personalità. È più facile che nella vita si finisca con l'occuparsi di pasta se di cognome si fa Barilla, o di cachemire se ci si chiama Loro Piana. È più naturale sposare una nobile quando si è un Grimaldi, viaggiare su un jet privato se si è un Musk, iniziare a giocare a calcio molto presto e molto bene se ci si chiama Martinez o Ronaldo o Leao. Con certi cognomi è in generale più comodo venire al mondo e vivere, perché aprono porte e rendono tutto più semplice. Ma è vero anche il contrario. E cioè che certi (altri) cognomi sono una condanna. Quelli legati a crimini, o quelli trascinati negli scandali. Per non dire di peggio. Stando alla motivazione del Tribunale di Bologna come dovrebbe sentirsi chi si chiama Hitler? Che personalità sarebbe condannato ad avere qualcuno con un cognome come Stalin? O forse, al contrario, è proprio nei loro cognomi che si devono ricercare le motivazioni di certe condotte? È vero, per fortuna o purtroppo, che certi cognomi connotano. Si portano dietro un mondo e un giudizio. Ma nel bene e nel male è rassicurante sapere che da un cognome si inizia, non si finisce. Diversamente non esisterebbe il libero arbitrio, o sarebbe incontrovertibile che le colpe dei padri ricadono sui figli. È giusto, ed è rassicurante che sia un diritto, venire al mondo con un'appartenenza. Potersi ricondurre a qualcuno, a qualcosa, a qualche posto. Ma è altrettanto giusto, ed è rassicurante che sia una certezza, che un cognome sia solo «un cominciare». Il primo contenitore dentro il quale costruire ciò che si sceglie di essere.

Il 15 novembre 8 miliardi di abitanti sulla Terra. È anche una buona notizia. Claudio Del Frate su Il Corriere della Sera il 15 Luglio 2022.

Il risultato è frutto (anche) di un prolungamento dell’aspettativa di vita media (+9 anni rispetto al 1990). Crolla anche la mortalità infantile: -60% rispetto a trent’anni fa. 

Il 15 novembre prossimo la popolazione del pianeta Terra raggiungerà gli 8 miliardi di persone. Lo ha calcolato una proiezione effettuata dall’Onu a basata sui ritmi di crescita demografica degli ultimi anni. In un periodo in cui si sommano guerre, carenze alimentari, emergenze climatiche il fatto che il mondo diventi sempre più affollato può apparire un trauma. E invece le Nazioni Unite fanno notare che il tetto degli otto miliardi di abitanti è il frutto (anche del netto miglioramento di alcuni standard sanitari. Ad esempio il crollo della mortalità infantile a livello planetario. Insomma quel record è in qualche modo anche una buona notizia. Ecco perché.

La linea di crescita demografica tracciata da un report pubblicato dall’Onu dice che dopo il limite degli 8 miliardi fissato al 15 novembre, nel 2030 saremo in 8 miliardi e mezzo e via via fino a 10 miliardi e 400 milioni alla fine di questo secolo. Le dinamiche di crescita sono molto diverse a seconda dei continenti L’Estremo Oriente e il Sud Est asiatico saranno ancora l’area più affollata del pianeta ma la lo sviluppo più impetuoso arriverà dall’Africa (Congo, Egitto Etiopia, Nigeria). Già nel 2023 assisteremo a un evento storico: per la prima volta l’India diventerà lo Stato più popolato della Terra, con oltre 1,4 miliardi di persone superando seppur di poco la Cina.

Ma la novità messa in luce dal rapporto del Palazzo di Vetro è un’altra. La crescita della popolazione è motivata da una parte dai minori livelli di mortalità infantile e dall’altra da un’aspettativa più lunga. In altre parole, a livello globale si muore di meno e più tardi. Un dato fotografa efficacemente questo balzo: l’aspettativa di vita media sulla Terra nel 2019 aveva raggiunto i 72 anni e 8 mesi con una crescita di quasi 9 anni rispetto al 1990. Non ci fosse stato il Covid, il dato sarebbe stato ancora più alto. Nel 2050 questo indicatore arriverà a 77 anni e 2 mesi.

Contemporaneamente è caduto l’indice di fertilità femminile: segnala sempre l’Onu che nel 2021 ogni donna ha partorito in media 2,3 figli contro i 5 che si registravano nel 1950. Anche in questo caso il dato medio racchiude realtà profondamente diverse . Alcune aree, ad esempio quella sub-sahariana o l’America Latina mantengono livelli di fertilità alti tra le adolescenti: il 10% delle partorienti con meno di 20 anni di età è concentrato qui e questo pone ancora gravi problemi legati all’assistenza sanitaria e all’educazione dell’infanzia. Altra previsione formulata dal rapporto: i Paesi in cui la fertilità cala ma la fascia anagrafica più consistente è quella in età lavorativa (25-64 anni) avranno negli anni a venire maggiori opportunità di crescita economica . Asia, America del Sud e Caraibi fanno parte di questa macro area.

Volendo allargare il campo su un altro dato va detto che anche la mortalità infantile è decisamente calata: l’Unicef segnala che nel 2019 questo indice (seppur ancora angosciante) era sceso ai livelli più bassi della storia: i decessi di bimbi nei primi 5 anni di vita erano stati 5,2 milioni («tutti quasi sempre evitabili» denuncia Unicef) contro i 12,5 milioni del 1990. Un crollo del 60%.

In generale la curva di crescita della popolazione sulla terra tenderà ad appiattirsi da qui al 2100 proprio in seguito al calo della fertilità. Il risultato sarà che sempre più Paesi sperimenteranno un invecchiamento generale della popolazione, anche stavolta con un quadro assai sbilanciato: tra trent’anni gli over 65 in Europa saranno quasi il 26% degli abitanti nel 2050 ma appena il 4,6% nell’Africa meridionale.

Daniela Uva per “il Giornale” il 12 luglio 2022.  

Un miliardo di abitanti in più in soli 11 anni, con l'India destinata a diventare il Paese più popolato del mondo a scapito della Cina. Nonostante la crisi della natalità che colpisce la maggior parte dei Paesi più sviluppati, e due anni di pandemia, entro novembre la popolazione della Terra raggiungerà quota otto miliardi di individui. 

Saranno i 46 Stati meno sviluppati quelli che registreranno la crescita più rapida, al punto che molti raddoppieranno la loro popolazione tra il 2022 e il 2050. La previsione è contenuta nel report World population prospects 2022, pubblicato ieri dal dipartimento per gli Affari economici e sociali delle Nazioni unite (Undesa) in occasione della Giornata mondiale della popolazione. 

Il documento spiega che gli abitanti del pianeta sono destinati a crescere progressivamente, seppure al ritmo più lento dal secondo dopoguerra, per arrivare a circa 8,5 miliardi nel 2030 e 9,7 miliardi nel 2050, e raggiungere il picco di circa 10,4 miliardi durante il decennio che inizierà nel 2080, restando a quel livello fino al 2100.

Il rapporto aggiunge che più della metà del previsto aumento della popolazione fino al 2050 sarà concentrato in soli otto Paesi - India, Repubblica democratica del Congo, Egitto, Etiopia, Nigeria, Pakistan, Filippine e Tanzania mentre gli abitanti di Australia, Nuova Zelanda, Africa settentrionale, Asia occidentale e Oceania aumenteranno più lentamente, ma comunque progressivamente, fino alla fine del secolo. 

E' inoltre probabile che l'Asia orientale e sudorientale, l'Asia centrale e meridionale, l'America latina e i Caraibi, nonché l'Europa e l'America settentrionale, raggiungano il picco della loro popolazione e assistano al declino prima del 2100.

Le Nazioni unite mettono anche in luce che l'India è fra i dieci Paesi del mondo nei quali il deflusso dei migranti ha superato il milione nel periodo compreso fra il 2010 e il 2021, soprattutto per effetto dei movimenti temporanei di manodopera. È stato invece il Pakistan a registrare il primato relativo a questo fenomeno con meno 16,5 milioni di cittadini, mentre nazioni come Siria, Venezuela e Myanmar hanno segnalato il deflusso di migranti a causa dell'insicurezza e dei conflitti per le assediano. 

Quanto all'aspettativa di vita globale alla nascita, questa voce è scesa a 71 anni nel 2021, in calo rispetto ai 72,8 del 2019, principalmente a causa dell'impatto della pandemia di Covid.

Lo stesso studio spiega che l'India sta per superare la Cina in termini di popolazione, per diventare entro il 2023 il più abitato del pianeta. Oggi gli indiani sono un miliardo 412 milioni, mentre i cinesi sono un miliardo 426 milioni. Entro la metà del secolo il primo Paese raggiungerà quota un miliardo 668 milioni di persone, mentre il secondo dovrebbe scendere a un miliardo 317 milioni intorno al 2050. 

«Raggiungere una popolazione mondiale di otto miliardi è un traguardo numerico, ma la nostra attenzione deve essere sempre rivolta alle persone. Otto miliardi di persone significano otto miliardi di opportunità per vivere una vita dignitosa e realizzata», commenta il segretario generale dell'Onu, Antonio Guterres.

Aggiungendo che fra i motivi di questo costante incremento ci sono i progressi nella salute che hanno allungato la durata della vita, ridotto la mortalità materna e infantile e dato origine allo sviluppo di vaccini a tempo di record. Così come le innovazioni tecnologiche, che hanno facilitato le vite, connettendo gli individui. 

Questione di "autoresponsabilità”. Iscritta all’Università da 18 anni, il giudice le toglie il mantenimento: il papà non dovrà più dare soldi alla figlia 36enne. Elena Del Mastro su Il Riformista l'1 Luglio 2022

Ogni mese dava alla figlia 300 euro come stabilito dal giudice ai tempi della separazione. Peccato che la figlia in questione avesse 36 anni e che da 18 anni fosse iscritta all’Università senza mai accennare alla laurea. O meglio, dando cenni di speranza, ma senza mai raggiungere davvero il traguardo. Così il papà pensionato, stufo di questo atteggiamento, ha chiesto al giudice di poter sospendere l’assegno di mantenimento. Il tribunale di Napoli gli ha dato ragione: “È questione di autoresponsabilità”.

A raccontare l’assurda vicenda il Corriere del Mezzogiorno. Protagonista un ex bancario di Portici, provincia di Napoli che alla figlia aveva anche comprato un appartamento. La giudice gli ha dato ragione, ribaltando un precedente verdetto, e sospendendo l’assegno.

Il bancario in pensione di Portici, alcuni anni fa si è separato consensualmente dalla moglie, ex estetista. La figlia, che da grande voleva fare il medico, si è iscritta all’università all’età di 18 anni, ma 18 anni dopo non è ancora riuscita a coronare il suo sogno. E il padre si è stufato di versarle l’assegno mensile. Il presidente del Tribunale, però, gli dà torto e conferma l’accordo sottoscritto al momento della separazione.

Un altro giudice, quello del processo civile avviato con l’istanza di divorzio, accoglie invece le lamentele dell’ex bancario, che chiedeva di rivedere gli accordi stipulati in precedenza a proposito del mantenimento della figlia. E decide di sospendere l’assegno. “Tenuto conto – si legge nel provvedimento, pubblicato dal quotidiano – dell’età della figlia, del tempo trascorso dall’iscrizione all’università, dal tenore della documentazione sul percorso e sullo stato di avanzamento degli studi“, va “sospeso l’assegno di contributo al mantenimento della figlia in ragione del principio di autoresponsabilità, atteso che è trascorso quantomeno il doppio del tempo previsto per il corso di laurea”.

Invano l’aspirante dottoressa ha cercato di dimostrare di essersi impegnata negli studi e che non è colpa sua se non si è ancora laureata, accampando anche questioni di salute. Il padre, che tempo fa le ha pure regalato un appartamento da circa 300 mila euro, ha invece sostenuto che non era affatto così: non solo non studiava, ma non si è mai nemmeno data da fare per cercare un qualche lavoro.

Elena Del Mastro. Laureata in Filosofia, classe 1990, è appassionata di politica e tecnologia. È innamorata di Napoli di cui cerca di raccontare le mille sfaccettature, raccontando le storie delle persone, cercando di rimanere distante dagli stereotipi.

Titti Beneduce per corriere.it il 17 giugno 2022.

«Le volevo bene, non avevo intenzione di ucciderla»: è crollato in Questura, davanti al pm minorile, il ragazzo di 17 anni che mercoledì sera ha ucciso a coltellate la madre adottiva, Filomena Galeone di 61 anni, in un appartamento del centro storico. Per lui il fermo è scattato nella notte con l’accusa di omicidio aggravato dalla crudeltà e dal legame di convivenza. Il ragazzo avrebbe inflitto alla donna trenta coltellate. Per stamattina è prevista l’udienza di convalida del giovane difeso dagli avvocati Ilaria Criscuolo e Flavio Ambrosino.

La telefonata tra la madre e la zia

L’aggressione mortale nei confronti di Filomena, psichiatra e dirigente medico in servizio all’Asl di piazza Nazionale, è avvenuta al culmine di una lite scoppiata per motivi banalissimi, mentre in casa c’erano solo madre e figlio. La donna ha rimproverato il ragazzo per una ricarica della Playstation che le sembrava troppo costosa: 100 euro. Poi ha sentito al telefono la sorella e ha continuato a commentare con lei la vicenda: questo probabilmente ha fatto scattare nel diciassettenne il raptus omicida.

Erano più o meno le 20 quando si è avventato contro la madre con furia cieca, colpendola fino a finirla. Poi, sporco di sangue, è uscito più volte fuori al balcone piangendo gridando frasi non sempre comprensibili: ha parlato di un tentativo di suicidio di Filomena, poi ha detto che non voleva farle del male. Lo hanno visto (e filmato) in molti, abitanti della zona e passanti occasionali: la zona delle rampe San Giovanni Maggiore, a due passi da piazza del Gesù e dell’Università Orientale, è sempre piena di turisti e giovani frequentatori della movida. 

Il padre: «Resterò vicino a mio figlio»

Il ragazzo si è barricato in casa e alla polizia che gli chiedeva di aprire la porta ha risposto di non avere le chiavi; sono dovuti intervenire i vigili del fuoco per forzarla. La scena che gli agenti hanno trovato all’interno è stata agghiacciante: sangue dappertutto e il corpo martoriato di Filomena riverso sul letto. È accorso il marito, anche lui medico: è un neurologo in servizio al Cto e collabora con l’Università Suor Orsola Benincasa. Alla polizia ha detto dal primo momento che, nonostante il dolore terribile, resterà vicino al figlio, adottato alcuni anni fa in Lituania, e lo sosterrà in tutti i modi. Il ragazzo è stato portato via a tarda sera e anche questa scena, purtroppo, è stata filmata con i cellulari. In molti hanno sentito il ragazzo gridare: «Adesso vado a Nisida».

«Un ragazzo taciturno ma tranquillo»

Secondo le testimonianze dei vicini di casa, il diciassettenne è un ragazzo tranquillo, beneducato, mai stato protagonista di episodi di violenza. Taciturno e riservato sì, affermano: ma nessuno tra quanti lo conoscevano lo aveva mai creduto capace di una tale esplosione di violenza. Mercoledì sera i vicini avevano davvero creduto, come lui aveva detto, che la madre si fosse uccisa. L’autopsia sulla salma di Filomena si farà probabilmente domani; sabato quindi potrebbero svolgersi i funerali.

Filomena Galeone uccisa da una trentina di fendenti. Madre massacrata a coltellate dal figlio: l’omicidio dopo il rimprovero per la Playstation al 17enne. Antonio Lamorte su Il Riformista il 17 giugno 2022. 

Il ragazzo di 17 anni che ha ucciso la madre nel centro storico di Napoli avrebbe scagliato quelle 30 coltellate fatali dopo un banale rimprovero per una ricarica da 100 euro alla Playstation. Niente da fare per Filomena Galeone, 61 anni, medico dirigente dell’Asl 1 originaria del casertano. Previsto oggi, stamattina, l’interrogatorio davanti al gip minorile Angela Draetta per la convalida del fermo firmato dalla pm Fabrizia Pavani. Il minorenne è accusato del reato di omicidio aggravato dai futili motivi e dalla crudeltà.

Il dramma si è consumato mercoledì scorso intorno alle 19:00. Il 17enne ha appena finito l’ultimo anno di liceo. Aveva speso 100 euro per un acquisto alla Ps4. La madre lo aveva rimproverato. I due erano soli in casa. Il padre, medico anche lui, era ancora al lavoro. Il giovane ha raccontato nelle sue prime dichiarazioni, riporta La Repubblica Napoli, che la madre si sarebbe sfogata al telefono per quella discussione

Il ragazzo avrebbe a quel punto preso un coltello da cucina, di quelli per tagliare la carne. Dopo il delitto il minore si è barricato in casa, si è affacciato al balcone in stato confusionale con il sangue che cola dalle braccia. “Mia madre mi vuole accoltellare, mia madre mi vuole accoltellare”, grida prima. “Non volevo farlo, adesso finirò a Nisida”, urla poco dopo. Avrebbe confessato poco dopo in questura, dopo l’arresto degli uomini dell’Upg agli ordini della dirigente Francesca Fava.

È stato portato nel Centro di prima accoglienza dei Colli Aminei. Si è mostrato pentito. “Ho distrutto una famiglia felice … perché noi eravamo felici”, ha detto tramite i suoi difensori, i penalisti Ilaria Criscuolo e Flavio Ambrosino. “Dite a mio figlio che gli voglio bene, non lo lascerò solo”, ha dichiarato il padre del ragazzo affidando un messaggio agli avvocati Criscuolo e Ambrosino.

Si scrive in queste ore di un blackout, qualcosa che ha fatto perdere il controllo al 17enne. Galeone si occupava del coordinamento dell’Unità operativa assistenza anziani del Distretto 33 dell’Asl di Piazza Nazionale. Era una psichiatra, si occupava in particolare di neuropatologie da invecchiamento e Alzheimer. Aveva adottato il figlio con il marito, professionista medico anche lui. Era nata nel casertano, a Santa Maria la Fossa nel 1961, e si era laureata nel 1989 specializzandosi in Neurologia nel 1993. Era dirigente medico dell’Asl Na 1 centro dal 2004.

Antonio Lamorte. Giornalista professionista. Ha frequentato studiato e si è laureato in lingue. Ha frequentato la Scuola di Giornalismo di Napoli del Suor Orsola Benincasa. Ha collaborato con l’agenzia di stampa AdnKronos. Ha scritto di sport, cultura, spettacoli.

«Noi, per dieci anni vittime di nostro figlio». A Torino nasce un centro per proteggere i genitori. Simona De Ciero su Il Corriere della Sera il 23 maggio 2022.

Ha aperto il frigorifero e ci ha fatto pipì dentro. «Ricordo perfettamente quella frazione di secondo, quando capii che, non reagire a quell’ennesimo gesto di violenza, avrebbe significato distruggere definitivamente la mia famiglia. E non certo per il cibo da buttare. Ormai eravamo sul lastrico e il frigo era vuoto da giorni. Il cuore, invece tracimava, ma di dolore. E mio figlio, ci aveva già fatto troppo male per fingere, ancora che qualcosa potesse cambiare».

Era l’inverno del 2015 quando Alberto, Anna e il figlio minore Federico (nomi di fantasia), vanno alla stazione dei carabinieri più vicina, per denunciare, dopo anni di torture, le molestie subite per mano di Marco, il figlio più grande. «Aveva dodici anni quando ha iniziato a pretendere cose fuori dalla nostra portata e reagire in modo esagerato di fronte ai nostri, per la verità rari, rifiuti — continua Alberto — una moto, poi due, poi tre; tante auto, mille pezzi di ricambio per modificarle come fossero Lego, centinaia di scarpe e vestiti: voleva sempre di più e diventava ogni giorno più aggressivo».

Televisori distrutti, mobili spaccati con il coltello, vasi e piatti e bicchieri polverizzati in segno di minaccia. Marco ha tenuto in ostaggio il fratello e i genitori per quasi dieci anni, prima che forze dell’ordine e Gruppo Abele trovassero, insieme, il modo per salvarli. «Si va dai carabinieri a denunciare Marco e le sue violenze, dissi ad Anna e Federico, quel giorno. E così facemmo».

L’uomo rivela di aver tentato più volte, insieme alla moglie, di farsi aiutare. Arrivati di fronte alla caserma o alla questura, però, c’era sempre qualcosa che li bloccava. «La paura immobilizza il pensiero, e noi avevamo paura di tutto: di aver fallito come genitori e del giudizio della gente — si confida ancora Alberto —. Così, tra umiliazioni e soprusi, sono passati dieci anni e il muro di omertà che avevamo alzato di fronte al mondo sembrava troppo alto da abbattere. Da soli è dura, troppo dura. In queste situazioni è indispensabile l’appoggio di qualcuno che ti dica che stai percorrendo la strada giusta e ti sorregga». I genitori di Marco hanno chiesto e ricevuto aiuto da Adriana Casagrande, psicoterapeuta responsabile del servizio di accoglienza del Gruppo Abele, che offre supporto a persone con dipendenza da sostanze e da comportamento, autori di violenza intra familiare, affidi alternativi alla detenzione.

E, con lei, sono stati in terapia ogni settimana per quasi dieci anni, prima di trovare la forza di essere abbastanza «spudorati» da denunciare il proprio ragazzo. In questi giorni il Gruppo Abele ha avviato il progetto «Le Querce di Mamre», un servizio di accoglienza destinato ai genitori vittime dei figli che, in caso di pericolo, offre loro un rifugio provvisorio in una struttura protetta del Gruppo, e vicino a un educatore pronto a sostenerli durante tutto il periodo di allontanamento da casa.

«Quando siamo entrati in caserma, la prima cosa che ci ha chiesto il comandante raccogliendo le deposizioni, era se avessimo un posto sicuro dove nasconderci — ricorda Alberto —. Pensai alla dottoressa Casagrande che da mesi, dopo aver saputo che Marco era arrivato a puntare una pistola scacciacani alle tempie di Anna, cercava di convincerci a sporgere formale denuncia».

L’uomo la chiama e la dottoressa risponde che «qualcosa avrebbe trovato». Sette anni fa, però, non esisteva una casa accoglienza per genitori vittime di violenza. Così, il Gruppo li nasconde nella Cascina Abele di Murisengo, Alessandria, allora destinata a giovani ragazzi con storie problematiche alle spalle. «Ci riempirono di coccole e, finalmente, nostro figlio più piccolo, Federico (oggi trentatreenne), provò la gioia di rilassarsi con altri coetanei senza il timore che suo fratello potesse arrivare, e spezzare la sua tranquillità».

Nei giorni successivi alla fuga, Marco, che non aveva notizie della famiglia, decise di andare a segnalarne la scomparsa. Arrivato in caserma, invece, l’uomo scoprì di essere stato denunciato e venne arrestato con l’accusa di violenza domestica e percosse reiterate nel tempo. Dopo il processo, Marco (oggi trentottenne) è stato condannato a 3 anni di carcere che ha scontato parzialmente, per poi passare a pene alternative.

«Mio figlio soffre di narcisismo patologico ma, grazie al percorso di recupero iniziato a seguito dell’arresto, oggi sta meglio; lavora, ha una casa e, anche se lo vedo poco e con la supervisione di terzi, so che si sta riabilitando, che è autonomo, e che non è pericoloso né per sé, né per gli altri — conclude Alberto — ecco perché, sento forte il bisogno di lanciare un appello, a tutti i genitori vittime dei propri figli: non vergognatevi per la vostra tragedia familiare e abbiate la sfrontatezza di chiedere aiuto».

E denunciare, subito, «senza aspettare di perdere tutto com’è accaduto a noi che, pur di accontentarlo, abbiamo contratto debiti con chiunque conoscessimo, fino a chiedere la carità, per strada».

Se un figlio «vuole sempre più soldi e aspira a un tenore di vita smisurato e fuori controllo, c’è qualcosa che non va, e voi dovete reagire: per lui, e per voi stessi». Parola di padre.